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Stefano Campagnolo

IL CODICE PANCIATICHI 26 DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI FIRENZE


NELLA TRADIZIONE DELLE OPERE DI FRANCESCO LANDINI*

A chi s’è addentrato nello studio dei manoscritti medioevali è ben noto che
ogni codice costituisce un universo autonomo: esso è unico non solo per carat-
teristiche fisiche e di contenuto, ma anche la storia, l’uso che ne è stato fatto, le
fortunate circostanze che ne hanno permesso la conservazione sono uniche e con-
tribuiscono ad arricchirlo di significati, ogni vicenda aggiungendo nuovi segni,
lasciando una nuova traccia. Un manoscritto parla di sé dunque come un indivi-

* Questo articolo è nato all’interno di un gruppo di studio sulla notazione dell’Ars Nova italiana creato
da Maria Caraci Vela nel 1994 presso l’Università di Pavia (Scuola di Paleografia e Filologia Musicale di
Cremona). In questo lavoro rifluiscono distillate molte delle discussioni avvenute nei due anni di incontri
di studio. A Maria Caraci Vela soprattutto, che mi ha incoraggiato a occuparmi di Fp continuamente
suggerendomi spunti di ricerca, va dunque il mio ringraziamento, ma anche a tutti i membri del gruppo.
Un grazie infine a Marco D’Agostino per la preziosa consulenza paleografica e codicologica.
Nello studio sono usate le seguenti sigle:
Manoscritti
Cil Perugia, biblioteca privata di Galliano Ciliberti.
CH Chantilly, Musée Condé, Ms. 564 (olim 1047).
Fp Firenze, Biblioteca Nazionale, Ms. panciatichiano 26.
Fsl Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ms. Archivio Capitolare di San Lorenzo 2211.
F.5.5. Firenze, Biblioteca Nazionale, Ms. Incunabulum F.5.5.
Lo London, British Library, Ms. Additional 29987.
Lw Chicago, biblioteca privata di Edward E. Lowinsky.
Manc Lucca, Arch. di Stato, Cod. 184, e Perugia, Biblioteca Comunale «Augusta», Ms. 3065.
Pit Paris, Bibliothèque Nationale, Ms. Fonds ital. 568
PT Pistoia, Archivio Capitolare, Ms. B.3.5.
Reina Paris, Bibliothèque Nationale, Ms. nouv. acq. frç. 6771.
Rossi Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ms. Rossi 215, e Ostiglia, Fondazione Opera Pia
Greggiati, Ms. senza segnatura.
Sev Sevilla, Catedral Metropolitana, Biblioteca Capitular y Colombina, Ms. 5.2.25.
Sq Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Cod. Mediceo Palatino 87 (Codice Squarcialupi).
Cataloghi
RISM B IV/3-4 Répertoire International des Sources Musicales: Series B IV/3-4, Handschriften mit mehrstimmigen
Musik des 14., 15. und 16. Jahrhunderts, hrsg. von Kurt von Fischer und Max Lütolf, Henle,
München-Duisburg 1972.
Edizioni
Schrade 1958 Francesco Landini, The Works of Francesco Landini, ed. by Leo Schrade, L’Oiseau-Lyre, Monaco
1958 (Polyphonic Music of the Fourteenth Century, 4).
Letteratura
Nádas 1985 J. Nádas, The Transmission of Trecento Secular Polyphony: Manuscript Production and Scribal Practices
in Italy at the End of the Middle Ages, UMI, Ann Arbor, Mich. 1986 (PhD Diss., New York
University 1985).
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duo. Tuttavia si può parimenti affermare che in ogni codice è riflessa anche la
somma della serie di analoghi soggetti che lo ha preceduto. Ciò perché ciascuna
cultura stabilisce i propri modi e forme di trasmissione e il libro medioevale, o
meglio le varie tipologie di libri, erano caratterizzate secondo la funzione svolta
quanto e forse più di un libro moderno1. Inoltre, più concretamente, la stesura di
un codice, specie se importante, impegnava profondamente uno scriba o un inte-
ro scriptorium, in modo tale che si rendeva necessario procedere con una accurata
pianificazione. Questa necessità finiva con lo stabilire delle costanti nella dispo-
sizione del testo, delle illustrazioni, delle rubriche, degli indici, etc.; similmente
la pratica creava routines: nella preparazione della pergamena, nella rigatura, nel-
la fascicolazione, e così via fino alla legatura.
Lo studio di un manoscritto medioevale può dunque configurarsi nella ricerca
delle specificità che lo distinguono nella cornice della struttura caratteristica del
genere nel quale si inscrive.
I manoscritti che ci tramandano il repertorio della polifonia italiana del Tre-
cento possiedono molti tratti di somiglianza determinati da un comune canone
compositivo. Si conviene in genere che a far loro da modello siano stati essenzial-
mente gli chansonniers trobadorici copiati in area norditaliana (e di lì trasmessi
poi in Toscana), in cui vidas e razos erano disposte in approssimativo ordine cro-
nologico, o in cui a dettare l’ordinamento era il genere poetico secondo la dispo-
sizione tradizionale che prevedeva la successione di canzoni, sirventesi e jeux parties2.
1. Cfr. la densa sintesi di A. Petrucci, Il libro manoscritto, in Letteratura Italiana, dir. da Alberto Asor
Rosa, Einaudi, Torino 1983, vol. II, Produzione e consumo, pp. 499-524.
2. Modello subito trasmesso ai canzonieri del volgare italiano. La questione, estesa anche alla poesia
trovierica, è affrontata in Nádas 1985, pp. 19-27, cui si rinvia pure per la relativa bibliografia, da integrare,
sulla evoluzione del genere-canzoniere, con C. Bologna, Tradizione e fortuna dei classici italiani, Einaudi,
Torino 19942, (Piccola Biblioteca Einaudi, 603). Si veda inoltre F. A. Gallo, Introduzione, in Il codice Squarcialupi,
Ms. Mediceo Palatino 87, Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, 2 voll., Giunti-Libreria Musicale Italiana,
Firenze-Lucca 1992, (Ars Nova, 1), vol. II: Studi raccolti a cura di F. Alberto Gallo, pp. 11-17. Il modello
dell’antologizzazione poetica è in realtà un modello classico (Anthologia Palatina) e solo mediato dalla tradi-
zione occitanica. Sarebbe forse opportuno richiamarsi in via esclusiva all’ulteriore mediazione dei codici che
ci tramandano la poesia siciliana e dello stil novo: nel tardo Trecento, la lingua d’oc era ormai una lingua
umanistica e come tale ristretto patrimonio degli eruditi, mentre stile, forme e figure erano state completa-
mente assorbite dalla poesia volgare italica. Rispetto alla tradizione trobadorica, costituisce stimolante
connessione con l’arsnovistica la natura poetico-musicale – che sembra avere un seguito nella pratica della
ballata monodica, e tenuissima traccia pare la riutilizzazione polifonica del mot (ma non del son) della chanson
trovierica Quan je voy le duç tens venir (per cui si veda Th. Karp, The Textual Origin of a Piece of Trecento
Polyphony, «Journal of American Musicological Society», XX 1967, pp. 469-473), testimoniata proprio in
Fp alla c. 90v – mentre un più diretto collegamento con la poesia dello stil novo, in cui era invece operante
una distinzione netta tra suono e testo poetico – secondo la nota tesi di Gianfranco Folena compiutamente
esposta e discussa in A. Roncaglia, Sul «Divorzio tra musica e poesia» nel Duecento italiano, in L’Ars Nova
Italiana del Trecento IV, Centro studi sull’Ars Nova Italiana del Trecento, Certaldo 1978, pp. 365-397, e
tenacemente avversata da Nino Pirrotta, la cui posizione, esposta molte volte nei suoi saggi, si veda da
ultimo in N. Pirrotta, Poesia e musica, in Poesia e musica e altri saggi, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze)
1994, (Discanto/Contrappunti, 33), pp. 1-11; così come le obiezioni più recenti alla tesi ‘divorzista’ in A.
Fiori, Il ruolo del notariato nella diffusione del repertorio poetico-musicale nel Medioevo, «Studi musicali» XXI/2
1992, pp. 211-235 – varrebbe però come elemento di peso per la denominazione, in ancora aperta querelle
sulla legittimità dell’appellativo Ars Nova applicato alla polifonia italiana del Trecento. Infatti il recente
rifacimento dell’MGG (Die Musik in Geschichte und Gegenwart: allgemeine Enzyklopädie der Musik, Zweite,
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Tra i codici arsnovistici, il modello normativo è maggiormente attivo e perciò


evidente nel più formalizzato d’essi, il Palatino 87 della Biblioteca Mediceo-
Laurenziana di Firenze (Codice Squarcialupi), che è anche tra i più tardi3. In esso
vediamo operare i princìpi descritti: le sezioni sono ordinate secondo l’antichità
del compositore, dai più antichi ai più moderni, e all’interno della sezione vige
una disposizione per genere. Inoltre, tracce di un qualche tipo di ordinamento
alfabetico si colgono per certi gruppi di composizioni. In diversa misura l’ispira-
zione a un analogo modello è visibile in tutti gli altri principali codici, maggior-
mente in quelli dell’Italia centrale, mentre lo è meno, ma è pur sempre percettibile,
nei codici del nord4.
Analogie tra la lirica occitanica e la musica dell’Ars Nova italiana si cogliereb-
bero pure nella tradizione dei testi: così come quella dovette circolare in forma di
fogli, rotoli o quaderni sciolti, analogamente le musiche degli arsnovisti trovaro-
no la loro fortuna attraverso simili strade5, diffondendosi, come pare ormai accer-
tato, su tali supporti scrittori di facile consumo e altrettanto facile deperimento.
Infatti, nessun testimone ci è giunto di questa fase più antica6, ma il repertorio è
tràdito unicamente attraverso le grandi collezioni della fine del XIV inizio XV
secolo, la gran parte delle quali copiate in Firenze.
neuearbeitet Ausgabe, hrsg. von Ludwig Finscher, Bärenreiter-Metzler, Kassel-Stuttgart 1994–) non accoglie
il lemma con riferimento alla musica italiana. Personalmente ritengo tuttora inoppugnabili le osservazioni
fatte a questo proposito da Nino Pirrotta ancora nel 1955 a Wégimont (N. Pirrotta, Cronologia e denomina-
zione dell’Ars Nova italiana, in Les Colloques de Wégimont II, 1955: L’Ars Nova, recueil d’études sur la musique du
XIVe siècle, Société d’Edition ‘Les belles lettres’, Paris 1959, pp. 93-104) e più volte ribadite intorno alla
convenzionalità dell’uso del termine anche in riferimento alla musica francese, e quindi sulla sua convenzio-
nale estensibilità all’italiana.
3. Creduto a lungo il più tardo in assoluto, dopo la recente revisione della datazione accettata dagli
studiosi (1410-1415) viene probabilmente sopravanzato da Fsl. Sulla struttura di Sq, oltre agli studi che
accompagnano l’edizione facsimile (cfr., Studi raccolti) e particolarmente quello di J. Nádas, Il codice
Squarcialupi: una ‘edizione’ della musica del Trecento (ca. 1410-1415), pp. 19-86, (rifacimento del capitolo
dedicato a Sq in Nádas 1985, pp. 362-458), si vedano M. Bent, Facsimiles of the Squarcialupi MS and Other
Sources [recensione], «Early Music History», 15 1996, pp. 251-269, e J. Haar, [recensione a Il codice
Squarcialupi], «Journal of American Musicological Society», XLIX 1996, pp. 145-155, dove vengono avan-
zati vari dubbi e alcune idee interessanti intorno all’origine e alla compilazione del manoscritto.
4. «MSS R [Reina] and Man/ManP [Manc], both originating in Padua, were originally planned with
distinct composer and genre sections.», Nádas 1985, p. 19. Resta comunque che il codice Rossi non reca
tracce di un simile ordinamento.
5. Tale affermazione è però generica e forse non vale per alcuni autori, soprattutto quelli vissuti a ridosso
del secolo XV che potrebbero ben aver prodotto edizioni autorizzate e ‘sorvegliate’ della propria opera
(Gallo, Introduzione, pp. 14-16, ipotizza che per Landini, ad esempio, non sia da escludere tale eventualità).
6. Anche il più antico, il Rossi, ha un carattere retrospettivo. Tra i frammenti superstiti invece una
particolare natura pare attribuibile a Lw: a giudicare dalle dimensioni e dal ridotto numero di pentagrammi
si tratta forse della parte residua di un fascicolo atto alla diffusione della musica di un solo autore (Paolo da
Firenze). Se ne veda la descrizione e l’edizione fotografica in N. Pirrotta, Paolo Tenorista in a New Fragment of
the Italian Ars Nova, Gottlieb, Palm Springs 1961. Un posto particolare inoltre sembra quello occupato da
Lo, considerabile, per certi aspetti, quale unico esempio di «libro-registro [...] scritto direttamente dal
consumatore-lettore per suo proprio uso» (Petrucci, Il libro manoscritto, p. 510), ovvero come prodotto libra-
rio in cui copista e fruitore assommano alla stessa persona (per Lo superano la bibliografia precedente: M.
Gozzi, Il manoscritto Londra, British Library Additional 29987, tesi di Laurea, Università di Pavia, Scuola di
Paleografia e Filologia Musicale, a. a. 1984-1985; G. Di Bacco, Alcune nuove osservazioni sul Codice di Londra
(British Library, Ms. Additional 29987), «Studi Musicali», XX 1991, pp. 181-234, e ancora M. Gozzi,
Alcune postille sul codice Add. 29987 della British Library, «Studi Musicali», XXII 1993, pp. 249-277).
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Davanti a una situazione siffatta, cioè in considerazione della mutilazione che


fa sì che non ci rimanga perlopiù che una tradizione recenziore rispetto l’arco
cronologico di attività dei principali maestri, e aggiungendo l’altro dato capitale
relativo alla tradizione dei testi che vuole certo che non ci sia testimoniato alcun
esempio di trasmissione diretta (nessun descriptus, nessuna relazione più che ge-
nerica tra i testimoni), è evidente come l’analisi codicologica – nel momento in
cui distingue le diverse fasi della redazione di un codice permettendo così di
appressarsi per congettura a natura e forma degli antigrafi – riesca a ricavare
informazioni inestimabili e non altrimenti deducibili circa la storia dei testi.
Informazioni che, integrandosi con lo studio delle varianti testuali, diventano
essenziali nella restitutio textus. Gioverà ricordare che tali strumenti di analisi
sono posseduti da sempre dalla filologia romanza, ma sono di relativamente tar-
da acquisizione da parte della musicologia. Probabilmente è solo con Charles
Hamm e la sua teoria sulla struttura dei manoscritti musicali del ’400 che s’è
iniziato a utilizzare metodologie davvero moderne nello studio dei codici e delle
modalità di trasmissione della musica polifonica7. Da allora, grazie alle precisazioni
e agli approfondimenti di molti altri studiosi (si segnalano particolarmente le
critiche mosse ad Hamm da Margaret Bent)8, credo che la nostra conoscenza
della musica del Medioevo e del primo Rinascimento abbia potuto fondarsi su
basi più solide che in precedenza.
Per quanto attiene gli studi sull’Ars Nova italiana, è toccato a John Nádas
introdurre nuovi approcci metodologici, a partire proprio da un lavoro su Fp9. Il

7. Ch. Hamm, Manuscript Structure in the Dufay Era, «Acta Musicologica», XXXIV 1962, pp. 166-184. A
volte, in relazione alla teoria di Hamm e a proposito della redazione dei codici musicali, è stato evocato il
sistema della pecia (ad esempio in A. Tomasello, Scribal Design in the Compilation of Ivrea, Ms. 115, «Musica
Disciplina», XLII 1988, pp. 73-100: 86 e ss., dove si introduce anche la più appropriata definizione di
‘booklet’ per indicare i fascicoli sciolti con cui veniva diffusa la musica), ma non pertinentemente: il mecca-
nismo della pecia infatti è da considerarsi un sistema di produzione dei libri manoscritti serializzato, funzio-
nale e strettamente collegato all’ambito, lo studium parigino e poi il bolognese e in generale gli scriptoria
universitari, in cui fu ideato. Il fatto che la polifonia tre-quattrocentesca possa aver circolato in quaderni e
fogli sciolti di per sé non crea commistione, neanche idealmente, col sistema della pecia (che presuppone
sempre l’idea dell’exemplar, concetto assente con i codici musicali). Più semplicemente: non basta che ci
siano dei quaderni sciolti per parlare di pecia (ma sulla presenza di forme di produzione analoghe alla pecia in
ambito provenzale si veda la breve discussione intorno al problema ancora aperto e i relativi rinvii bibliografici
in Bologna, Tradizione e fortuna, pp. 52-53).
8. M. Bent, Some Criteria for Establishing Relationships between Sources of Late-Medieval Polyphony, in Music
in Medieval and Early Modern Europe: Patronage, Sources and Texts, ed. by Iain Fenlon, Cambridge University
Press, Cambridge 1981, pp. 295-317.
9. J. Nádas, The Structure of MS Panciatichi 26 and the Transmission of Trecento Polyphony, «Journal of
American Musicological Society», XXXIV 1981, pp. 393-427, confluito poi con lievi ampliamenti in Nádas
1985, pp. 56-117. Nella sua tesi dottorale, Nádas ha studiato molti dei principali manoscritti arsnovistici
(Fp, Reina, Pit, Manc, Sq, Fsl e anche il frammento F.5.5.) approntandone descrizioni codicologiche corre-
date da schemi della fascicolazione, descrivendone l’articolazione in livelli di stesura e, soprattutto, distin-
guendo le mani che hanno operato su ciascun testimone e individuandone le abitudini scrittorie. La
pubblicazione dell’articolo di Nádas ha coinciso con l’uscita dell’edizione fotografica di Fp: Il codice musicale
Panciatichi 26 della Biblioteca Nazionale di Firenze, riproduzione in facsimile a cura di F. Alberto Gallo,
Olschki, Firenze 1981 (Studi e testi per la storia della musica, 3).
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manoscritto Panciatichi 26 della Biblioteca Nazionale di Firenze – tra i testimo-


ni del Trecento musicale italiano giuntici maggiormente integri, noto da sempre
e da subito riconosciuto come uno dei più antichi – mancava, fino al lavoro di
Nádas, di una descrizione codicologica dettagliata come invece esisteva per altri,
malgrado la sua importanza ben fosse manifesta. In specie, nella tradizione delle
musiche di Francesco Landini ad Fp tocca un posto particolarissimo e non è un
caso che Leo Schrade l’abbia assunto, nel curarne l’edizione delle opere complete,
quale «main source»10, a motivo dell’antichità, della sua evidente fiorentinità,
ma soprattutto in ragione della posizione che le composizioni del musicista cieco
vi occupano. Infatti Fp deroga a quello che è il modello comune per le grandi
collezioni musicali che ho descritto: vi si privilegia con grande evidenza l’opera
di Landini che ne rappresenta più della metà del contenuto.
La struttura di Fp obbedisce – nel corpo principale, non considerando cioè le
addizioni seriori di musica francese – a un ordinamento per generi e autori, ma
non cronologico: quella che inizialmente par essere una collezione delle musiche
di Landini, si allarga progressivamente in senso retrospettivo a comprendere i
principali autori toscani del XIV secolo, per concludersi con una collezione di
cacce e madrigali canonici11.
Più esattamente, si succedono, con studiata disposizione, dapprima le ballate
di Landini a due voci (I e II fascicolo) e quelle a tre (III e IV), seguite dai madrigali
suoi e quindi da quelli di Giovanni da Cascia (V), con i quali si apre una sezione
miscellanea dove troviamo insieme mescolate composizioni ancora di Giovanni e
di Piero (VI); viene poi (VII, VIII e IX) una lunga e omogenea sequenza di opere di
Jacopo da Bologna e pezzi dei fiorentini Lorenzo Masini, Donato, Gherardello e
ancora un madrigale di Landini. Infine – segnalata la presenza, inframmezzata,
anche di singoli componimenti di Ser Feo (II) e Nicolò del Preposto (IX), di due
composizioni anonime su testo francese (IV e IX) e due su testo italiano (VI) –
troviamo il fascicolo nel quale sono riuniti in maggioranza cacce e madrigali a
canone (X), fascicolo che costituisce la più ricca selezione esistente del genere.

10. Schrade 1958. L’apparato critico e l’introduzione al volume sono pubblicati a parte: L. Schrade,
Commentary to Volume IV, The Works of Francesco Landini, L’Oiseau-Lyre, Monaco s. d., p. 5.
11. Nella descrizione di von Fischer: «Im Gegensatz zu allen andern MSS wird FP durch eine
Ballatensammlung eröffnet. [...] Erst anschließend an Landinis Ballaten und Madrigale folgen die Werke
der älteren Meister in einigermaßen chronologischer Reihenfolge (immer wieder durch Einschübe von
weiteren Landini-Ballaten, französischen Werken und einer Ballata von Bartolino auf noch freiem Platz
ergänzt). Zum Schluß bringt FP eine Reihe besonders kunstvoller dreistimmiger Stücke (mehrtextige M,
KM, Ca). Auch hier steht Landini wieder vor Piero, Jacopo und Giovanni», K. von Fischer, Studien zur
italienischen Musik des Trecento und frühen Quattrocento: I. Das Repertoire, II: Repertoire-Untersuchungen, Haupt,
Bern 1956 (Publikationen der Schweizerischen Musikforschungen Gesellschaft, Sr. II, 5), p. 89. Come si
può notare, nella descrizione (così come ripresa anche in K. von Fischer, Florence, Biblioteca Nazionale Centra-
le, Panciatichi 26, nella voce Sources Ms. § VIII, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, MacMillan,
London 1980, vol. XVII, p. 667) si rimarca che la disposizione è anzitutto per genere e secondariamente per
autore, individuando la successione di forme in ballate, madrigali e pezzi a tre voci (pluritestuali, madrigali
a canone e cacce).
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Bianco restava, nella primitiva redazione, il quinione finale, pur ospitando già la
rigatura per la notazione musicale similmente a tutte le altre carte del mano-
scritto. Su questa base, gli stessi copisti intervenivano successivamente aggiun-
gendo una ballata di Guglielmo di Francia (I)12, parecchie altre ballate di Landini,
un madrigale di Bartolino da Padova (VII) e uno di Piero (IX)13.
Schrade ha adottato per la sua edizione anche l’ordinamento delle composizio-
ni di Fp, supponendo che le opere di Landini vi fossero collocate secondo una non
rigorosa ma comunque evidente successione cronologica, e ciò in forza di alcune
osservazioni relative alle ballate aggiunte nella seconda fase di stesura, considera-
te stilisticamente più avanzate e maggiormente influenzate dal gusto francese14.
Deve aver pesato, sulle convinzioni di Schrade, ancora la reminiscenza della tra-
dizione trobadorica, ma ancor più l’esempio dell’opera di Machaut e il desiderio
inconscio di collegare il più possibile i due maggiori compositori del Trecento.
C’è da dire però che la successione delle opere di Landini in Fp sembra davvero
non essere casuale, anche se presto Kurt von Fischer ha provveduto a vuotare di
fondamento l’idea di Schrade mostrando come si ritrovino mescolate opere dallo
stile palesemente arcaico accanto ad altre più moderne15. Ciò nonostante, con-
frontandosi con Fp è impossibile sfuggire a questi interrogativi: qual è il signifi-
cato da attribuire al piano di compilazione del manoscritto? Può esso averci
conservato, almeno in parte, una raccolta delle musiche di Landini preparata
sotto la sua supervisione? Ovvero, ha avuto origine in un circolo vicino al massi-
mo compositore del Trecento italiano, potendo così attingere ad antigrafi parti-
colarmente attendibili?
Schrade, come detto, ha risposto affermativamente ai quesiti16, mentre Kurt
von Fischer pensava che «FP nicht nur aus Florenz, sondern auch aus Landinis
unmittelbarer Umgebung stammen mu߻17. Nino Pirrotta, interpretando si-
12. Adespota in Fp ma a lui attribuita in Pit ed Sq.
13. Dopo questa fase, copisti diversi da quelli che si sono occupati della musica italiana, e in più tempi,
hanno aggiunto altre 27 composizioni alle 158 iniziali. Per l’esattezza: quattro senza testo (una attribuita a
un «Marcus», l’altra adespota, ma attribuibile, dalla concordanza con CH, a Solage e altre due pure concor-
danti con lo stesso manoscritto, ma anche lì anonime), due che recano l’incipit di un testo italiano (Invidia
nimica di Dufay e l’anonima O lieta stella), sei di Machaut, una ciascuno di Antonio da Cividale, Johannes
Cesaris, Pierre des Molins, e 11 composizioni anonime con testo francese. Aggiunta in ultima sede è La
doulse cere d’un fier animal di Bartolino da Padova (qui Bartolino ‘da Perugia’, evidente errata interpretazione
dell’indicazione abbreviata ‘da Pa’, o forse dello «Schappuccia» con cui lo si trova nominato in Pit). Con
riferimento all’indice RISM B IV/3-4 si tratta delle composizioni numero 33, 34, 35, 36, 37, 72, 110, 114,
128, 136, 139, 142, 145, 156, 161, 167, 171, 176-185.
14. Cfr. Schrade, Commentary, pp. 10-23.
15. Cfr. K. von Fischer, Ein Versuch zur Chronologie von Landinis Werken, «Musica Disciplina», XX 1966,
pp. 31-46.
16. Schrade presupponeva l’esistenza di «several authentic collections, compiled and copied under the
supervision, or with the advice, of the composer», e che Fp fosse «the copy of an older source no longer
known [...] the direct or indirect copy of one of the originals», pure però avendo un’idea dell’originale non
come prodotto unitario di uno scriba ma, come i manoscritti oggi sopravvissuti sono il risultato del lavoro
combinato di «various compilers, various scribes», così «a comparable situation must be assumed for the
lost originals» (Schrade, Commentary, p. 28).
17. Fischer, Studien, p. 89.
IL CODICE PANCIATICHI 26 83

milmente a Schrade il medium spesso scelto in Fp per le ballate a due e tre voci
(contratenor soltanto o anche tenor strumentali) quale indizio di un gusto piutto-
sto tardo e seguendo la nota tendenza che sempre l’ha contraddistinto nel pro-
porre datazioni in genere più avanzate rispetto a quelle di altri studiosi, lo ha
collocato a ridosso del ’400, stemperando così la possibilità che vi sia stata una
diretta dipendenza da Landini stesso, ma correlandolo piuttosto a quei circoli
altoborghesi – simili in tutto a quello descritto da Giovanni Gherardi da Prato
ne Il Paradiso degli Alberti18 e circoscritti poi in qualche dettaglio da Michael
Long19 – nella cui orbita sarebbero da ricondurre anche figure come quelle di
Andrea de’ Servi e Paolo da Firenze20.
Le risposte date da Nádas sono state indirette, ma inequivocabili: la datazione
che egli dà di Fp (1400, con le ragioni di cui dirò poi) riduce di molto l’ipotesi
dell’esistenza di una stretta relazione con Landini. Inoltre nella sua lettura l’at-
tuale configurazione di Fp risponderebbe soprattutto a gusti e abitudini dei copisti/
compilatori, capaci di selezionare il materiale, attribuirgli la veste notazionale
desiderata, scegliere a piacere se inserire o meno il testo sotto tenores e contratenores,
capaci insomma di segnare fortemente struttura e aspetto del codice.
Anche Nádas ha lasciato irrisolte alcune questioni. Ad esempio non si vede
quale ratio ci sia, se c’è, nella disposizione delle composizioni di Landini (specie
nelle ballate a due e tre voci), che sembra sfuggire alle pur tenui costanti
individuabili nella tradizione seguendo così un ordinamento tutto proprio. Non
sembra poi sufficientemente chiarita la posizione delle carte bianche, o meglio
non sono chiari i criteri con i quali i copisti sono intervenuti con le successive
addizioni utilizzando certi spazi piuttosto che altri. Inoltre non s’è data alcuna
giustificazione alla presenza di un intero fascicolo, l’ultimo, rimasto integral-
mente bianco: quale poteva essere il suo contenuto nel piano di compilazione?
Perché non è stato usato per le addizioni landiniane?
E inoltre, tra gli interrogativi più pressanti, perché in Fp non vi sono così
tante delle ballate a due voci di Landini, mentre la collezione di quelle a tre è
quasi completa? Perché si passa col repertorio aggiunto, con un salto cronologico
evidente, da Landini all’ars subtilior (con le significative concordanze con CH),
ignorando tutta una intera generazione di compositori italiani della tarda Ars
Nova?

18. Giovanni Gherardi da Prato, Il Paradiso degli Alberti, a c. di Antonio Lanza, Salerno Editrice, Roma
1975 (I Novellieri Italiani, 10).
19. M. P. Long, Musical Tastes in Fourtheenth-Century Italy: Notational Styles, Scholary Traditions and Historical
Circumstances, UMI, Ann Arbor, Michigan 1981, (PhD Diss., Princenton University 1981), pp. 178-190, e
anche Id., Francesco Landini and the Florentin Cultural Élite, «Early Music History», 3 1983, pp. 83-99.
20. «Dieses Repertoire muß ungefähr der Geschmacksrichtung des Florentiner Kreises nach dem Tode
Landinis (1397) entsprochen haben. Allerdings waren in diesem Kreise die Werke der jüngeren Komponisten,
wie Andrea dei Servi und Paolo Tenorista [...]», N. Pirrotta, Florenz, Codex Palatino Panciatichiano 26 (FP),
in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, hrsg. von Friedrich Blume, Bärenreiter, Kassel 1949-1979, vol. III
(1955), coll. 401-405: 402.
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Con una descrizione del codice, riprenderò i dati dell’analisi di Nádas, discu-
tendone alcuni soprattutto in relazione alle mani che hanno esemplato il
manoscritto, e proverò a elaborare qualche ipotesi per rispondere ad alcune di
queste domande. In particolare, intorno all’ordinamento delle composizioni di
Landini, alla disposizione dei fascicoli (secondo quella che ritengo essere stata la
prima idea del compilatore), e infine sulla datazione di Fp e sulla sua possibile
origine21.

1. Descrizione codicologica e paleografica

Il codice, cartaceo22, è composto da 11 quinioni con musica, tutti completi,


più un fascicolo iniziale che contiene l’indice che consta di sole cinque carte23.
Nádas ha identificato tre diverse filigrane nel manoscritto, indicandone i tipi
con i numeri 1, 2 e 3. Il tipo numero 1 compare solo nell’indice, mentre nei
quinioni con musica si alternano gli altri due24. In dettaglio: i fascicoli numero
1, 3, 6, 7, 8, 9 e 10 recano la filigrana di tipo 2, mentre il 2 e il 4 quella di tipo
3 (nella numerazione per fascicoli non tengo in conto quello con l’indice). I
quinioni 5 e 11 sono misti: i due bifogli esterni hanno filigrana di tipo 3 e i tre
interni di tipo 2 per il primo, il contrario per il secondo.
In origine il fascicolo dell’indice doveva essere un quaternione (cfr. la Tavola
1)25. La carta 1 (numerazione araba di mano recente) manca del foglio corrispon-

21. Questa analisi presuppone la conoscenza di quella di Nádas, che costituisce il mio punto di partenza
e cui rinvio per riscontri più precisi di quelli qui forniti, così come rinvio all’edizione fotografica per la
bibliografia complessiva sul codice fino al 1981 redatta da Alberto Gallo, nonché per i numerosi riscontri
che il lettore dovrà fare direttamente sulla riproduzione. Desidero chiarire da subito che, per quanto in
parecchi punti esprima il mio dissenso da alcune conclusioni di Nádas, è evidente che senza il suo fonda-
mentale lavoro – esemplare, come ho già detto, in quanto a metodologie applicate – questo contributo non
avrebbe potuto essere portato a compimento.
22. Sul significato da attribuire al materiale scrittorio prescelto, si veda Long, Musical Tastes, p. 185, il
quale mette in relazione l’uso della carta con la borghesia mercantesca (e, aggiungerei, il notariato), di
contro alla pergamena, tipica scelta degli ambienti ecclesiastici.
23. Il manoscritto è stato restaurato nel 1957-1958 (cfr. F. A. Gallo, Premessa, in Il codice musicale Panciatichi
26, p. 7) con velatura di parecchie carte e nuova legatura. Conseguentemente, la fascicolazione originale è
diventata di lettura ardua, da cui le improprie notizie riportate dallo stesso Gallo e in RISM B IV/3-4, p.
835, ma tutti coloro che ebbero a descrivere il codice prima di quella data non hanno avuto difficoltà a
individuarne l’uniforme struttura in quinioni che trova altresì conferma nell’analisi delle filigrane (cfr.
Nádas 1985, pp. 72-78).
24. I repertori di filigrane cui si fa riferimento in Nádas 1985, pp. 72-78, indicano per tipi analoghi
queste datazioni: tipo 1 (tre monti con una croce alla sommità) 1398-1408; tipo 2 (tre monti con una croce
leggermente più in alto rispetto al tipo 1) 1373?, 1385-1386, 1392, 1400; tipo 3 (tre monti in un cerchio
con una croce al di sopra) 1378-1390, 1392, 1388-1398, 1393, 1399. Per appressarsi maggiormente alla
datazione di Fp sarebbe necessario fare uno studio sulle filigrane più accurato (purtroppo non è consentito
trarne il disegno secondo i metodi tradizionali).
25. Nádas ipotizza che potesse trattarsi di un ternione (Nádas 1985, p. 63), non tenendo in conto della
quantità e disposizione delle filigrane, presenti in quattro dei cinque fogli superstiti. Alberto Gallo (Gallo,
Premessa, in Il codice musicale Panciatichi 26, p. 8, nota 11) ha osservato come la mutilazione dell’indice debba
IL CODICE PANCIATICHI 26 85

dente: questo probabilmente chiudeva il fascicolo ed era bianco come questa


stessa carta superstite, a mo’ di guardia. Mancano poi i due fogli corrispondenti
delle carte 4 e 5, secondo e terzo dell’ipotetico quaternione: è possibile che il
primo contenesse quanto ci sarebbe maggiormente servito per determinare la
provenienza del manoscritto, ovvero una nota di possesso (anche in forma di
stemma), forse un’intitolazione e magari una miniatura similmente a Pit26; nel
secondo doveva trovare posto il registro per le 51 composizioni da elencare sotto
le lettere A-E poiché l’indice infatti comincia solo con la lettera F.

Tavola 1: Fascicolo dell’indice (l’asterisco accanto alla numerazione araba indica la presenza
di filigrana)
1* bianca

[A-E]

2 F-I
L-N-

3* -N-O
P-Q

4* R-T
U/V
5* bianca

[bianca]

Le carte sono state tutte uniformemente preparate, con rigatura tirata median-
te foratura ai margini, per accogliere la notazione musicale con otto esagrammi
egualmente spaziati nello specchio di scrittura27.
Il codice, per quanto riguarda i testi poetici, è interamente vergato in una
scrittura ascrivibile alla tipologia grafica che Armando Petrucci ha individuato
quale «particolare tipo toscano, elaborato e adoperato a Firenze, a Siena, a Pisa,

essere stata precocissima, poiché una delle addizioni più tarde, Bonté bialté di Johannes Cesaris a c. 14v, è
stata registrata in ultimo sotto le composizioni inizianti per u/v. Da notare infine che la capitale finale per
le lettere u/v non è conclusa, ma ne è stato tracciato il solo contorno.
26. Sull’attuale c. 2r dell’indice è visibile, in basso a destra, l’ombra di una S capitale che vi appare
impressa dal recto e non dal verso di una delle carte mancanti (infatti non è in controparte). Non ho idea a
cosa possa corrispondere, ma è segno inequivocabile che doveva esserci qualcosa di più oltre al registro
alfabetico.
27. Per le varie anomalie riscontrabili nella preparazione della carta per la rigatura, cui non farò che
qualche cenno, si veda Nádas 1985, pp. 63-69.
86 STEFANO CAMPAGNOLO

ad Arezzo», denominandola come «piccola gotica toscana»28. Oltre all’inchio-


stro bruno scuro o nero, viene usato il rosso per le capitali (non nell’indice né
nelle addizioni di musica francese), per le attribuzioni in testa alla pagina, per la
cartulazione in numeri romani – per carte, di una sola mano, che va senza solu-
zione di continuità da I a CX senza numerare il fascicolo dell’indice – varie rubri-
che e, occasionalmente, per correggere errori nel testo e nella musica29. Inoltre,
sono toccati di rosso tutti i capoversi e, non sistematicamente, le longae finali
allungate a fisarmonica.
In Fp è visibile una grande attenzione per il testo poetico, attenzione evidente
sia nella cura con cui sono indicate le forme poetiche, sia nella attenta distribu-
zione del testo sotto la musica, sia, come ha osservato Long30, nell’uso frequente
di puncti subscripti per le vocali in sinalefe.
L’individuazione delle mani che si sono alternate nella stesura è estremamente
complessa. Il tipo alfabetico utilizzato, per quanto riguarda le composizioni su
testo italiano, è pressoché il medesimo, sia per le minuscole sia per le maiuscole,
con soli lievi scostamenti cui farò poi qualche accenno. Ancor più difficile è
individuare marcate differenze nel tratteggio della musica. Fino all’analisi
codicologica di Nádas, virtuosistica per certi aspetti, l’unico dato certo era che a
una prima fase di redazione comprendente le musiche del Trecento italiano ne
fosse seguita almeno una seconda in cui più scribi in concorso avevano inserito
un nutrito numero di composizioni francesi nelle carte rimaste bianche e negli
spazi utilizzabili a fondo pagina. Con varie differenze, concordavano su questo
punto Ludwig, Ghisi, Pirrotta, Schrade, Becherini e Kurt von Fischer31.

28. Così descritta da Petrucci: «una scrittura dal tratteggio ora più, ora meno marcato, anche se mai
pesante come nella ‘bononiensis’, con lettere staccate le une dalle altre, modulo piuttosto piccolo, forme
slanciate, aste relativamente alte sul rigo e munite in fine e in cima di sottili svolazzi e codine ornamentali,
cui corrispondono anche le caratteristiche maiuscole proprie della corsiva documentaria coeva. In comples-
so si tratta di una gotica ancora strettamente legata alla tradizione tardo-carolina (in Toscana particolar-
mente forte) e influenzata da quella minuscola cancelleresca [ovvero la minuscola dei «Cento Danti» di Ser
Francesco di Ser Nardo di Barberino] che era largamente diffusa nella regione e ricca di prestigio nell’uso
librario», A. Petrucci, Breve storia della scrittura latina, nuova edizione riveduta e aggiornata, Bagatto Libri,
Roma 1992, pp. 165.
29. Nádas 1985, pp. 93-94, tende ad attribuire gli interventi in inchiostro rosso (e alcune delle poche
rasure individuabili) a mani diverse da quelle dei copisti di testo e musica, individuandovi correzioni appor-
tate da esecutori, a provare quindi un uso pratico del manoscritto. Non penso che esistano ragioni valide per
escludere che queste correzioni, almeno per la maggior parte, possano essere opera degli stessi copisti,
magari di uno solo di essi incaricato di rivedere l’intero codice. Infatti, mentre il tratteggio e lo stile di certe
indicazioni, come le attribuzioni, paiono mutare al variare della mano principale, certi altri elementi sem-
brano spesso scritti di una stessa mano, come ad esempio la specificazione della voce di tenor, aggiunta in
rosso. La revisione finale di un codice per la correzione era una pratica assolutamente consueta negli scriptoria.
Nádas inoltre interpreta talvolta quali correzioni quelli che sono semplici abbellimenti, come nel caso
dell’indicazione Controtenore cui a suo dire sarebbe stata soppressa in rosso la -e finale alle cc. 22v (qui
addirittura, se di correzione si trattasse, bisognerebbe chiedersi perché il revisore non si sia accorto che è
scritto «Controtenonore»), 23r e 24r (cfr. Ibidem, nota 137).
30. Long, Musical Tastes, p. 185.
31. Cfr. Guillaume de Machaut, Musikalische Werke, hrsg. von Friedrich Ludwig, 4 voll., Breitkopf &
Härtel, Leipzig 1926-1943, vol. II, pp. 28-29; F. Ghisi, Poesie musicali italiane, «Note d’archivio per la storia
IL CODICE PANCIATICHI 26 87

Schrade s’è occupato soltanto delle composizioni landiniane e vi ha individua-


to le mani di due copisti, (gli altri parlano sempre di «una mano principale» per
le composizioni italiane). Michael Long, che ne ha recepito integralmente le
conclusioni, ha battezzato il secondo copista come «scriba andare»32, dalla carat-
teristica indicazione che marca l’inizio della seconda parte delle ballate nelle voci
senza testo.
Nádas invece ha distinto l’alternarsi di quattro mani nella sezione principale
del manoscritto, identificando i copisti con le lettere A, B, C, e D33. Nella sua
ricostruzione questi operano in un primo momento dividendosi il lavoro per
fascicoli: il copista A copia Landini nel primo e terzo quinione; B (quello cui in
assoluto si devono più composizioni) copia le ballate a due voci di Landini nel
secondo e tutto il sesto e settimo fascicolo; C si occupa dell’ottavo e del nono,
mentre solo il decimo quinione è esemplato da D. Due fascicoli vengono realiz-
zati a più mani: il quarto, con ballate a tre voci di Landini, che vede operare in
successione i copisti B, C e D, e il quinto. Questo quinto fascicolo è quello nel
quale si ha la struttura di copia più complessa, con la stretta collaborazione tra
tre copisti (B, C e D). Infatti i tre bifogli interni sarebbero interamente di mano
B, mentre i due esterni di mano C, ma, nelle ultime due carte del fascicolo, C si
sarebbe limitato a copiare la sola musica, mentre i testi sarebbero stati aggiunti
da D.
A questo primo stadio ne sarebbe seguito un altro in cui i copisti B, C e D
avrebbero concorso ad arricchire la collezione soprattutto con opere di Landini,
occupando spazi rimasti bianchi a fondo pagina. In particolare B intervenendo
sul lavoro di A, C su quello di B, e D su B e C, in una tal maniera da far pensare
a una stesura in successione del codice: cominciato da A, proseguito da B e C e
concluso da D, che sarebbe poi il copista incaricato anche di redigere l’indice.
Così come Nádas, credo che tranne poche eccezioni testo e musica siano sem-
pre da attribuirsi al medesimo copista. Come prassi generale, i vari scriba paiono
avere per regola l’inserimento prima della musica e poi del testo, diversamente
da quanto accade in molti altri manoscritti musicali. Lo si vede ad esempio a c.
2v, dove il copista è costretto nel quarto sistema a introdurre un frammento di
esagramma al margine destro per copiare l’inizio della seconda parte del tenor,
errore impossibile a spiegarsi se non ipotizzando che abbia cominciato a copiare
dalla musica34, così come lo si vede nei casi in cui non è stato realizzato un sod-
musicale», XV 1938, pp. 36-41, 189-196, 271-280: 37; Pirrotta, Codex Palatino Panciatichiano 26, col.
401; Schrade, Commentary, pp. 5-6 e passim; B. Becherini, Catalogo dei manoscritti musicali della Biblioteca
Nazionale di Firenze, Bärenreiter, Kassel 1959, p. 112; K. von Fischer, RISM B IV/3-4, p. 835.
32. Long, Musical Tastes, p. 179. Long, ma non Schrade, estende il lavoro dei due scribi a tutto il
manoscritto e non alle sole composizioni di Landini.
33. Nádas 1985, pp. 79-87.
34. Non è indicativo invece l’errore per omoteleuto (salto dalla prima alla seconda parte del tenor) visibi-
le nel quarto sistema della c. 23v nella ballata di Landini Nella mi’ vita sento men venire, perché il tenor è senza
testo.
88 STEFANO CAMPAGNOLO

disfacente allineamento testo-musica e i copisti sono ricorsi a dei tratti verticali


per indicare l’esatta corrispondenza tra nota e sillaba35. È da supporre che si pro-
cedesse nella copia un pezzetto alla volta, forse ogni sistema, e probabilmente
senza iniziare una nuova voce prima che fosse finita l’altra. Ciò spiegherebbe in
parte le oscillazioni linguistiche che si verificano tra superius e tenor36, anche se
bisogna registrare un caso in cui il copista comincia addirittura a copiare un’altra
composizione prima di aver concluso il tenor della precedente37.
In massima parte trovo convincenti le attribuzioni per copisti fatte da Nádas,
ma nella mia lettura del codice ci sono alcune differenze di rilievo che mutano in
qualche misura l’inquadramento storico di Fp38.
Credo anzitutto sia necessario distinguere cinque mani nel corpo principale
del codice, fermo restando che parecchie parti del manoscritto sembrano mostra-
re una collaborazione tra più copisti spesso impossibile a districarsi (specie nei
fascicoli 7-9, dove i copisti B e C paiono spesso condividere la copia) e che dun-
que le attribuzioni che propongo hanno soprattutto un valore indicativo.
La maggior divergenza tra la mia analisi e quella di John Nádas è relativa
all’identificazione della mano che copia Landini nel secondo fascicolo e nelle
prime carte del quarto, che Nádas assimila alla mano B, ma che io penso possa
più facilmente accostarsi alla mano A: alcune forme grafiche usate da A sporadi-
camente trovano nel secondo fascicolo largo impiego, in particolare certi tratti
propri della corsiva e tali differenze con A si riducono spesso fino a scomparire
nei residua. La mano che opera nel secondo e quarto fascicolo si differenzia però
dalla mano A per l’uso della Y che A non utilizza mai; per la forma della S, usata
prevalentemente in un tipo (impiegato anche da A, ma occasionalmente) che ha
l’asta che scende marcatamente sotto al rigo con assottigliamento del tratto e
inclinando decisamente a sinistra spesso con un tratto finale di ritorno a de-
stra . Rispetto alla mano B si fa notare invece l’assenza del tipo di S che B usa
più di frequente: sempre perpendicolare al piano di scrittura e con uncino supe-
riore e inferiore arrotondato , a volte con svolazzi nell’uncino superiore e tratto
doppio nell’asta. La mano B inoltre non usa mai la R diritta, e solo eccezional-
mente la S rotonda gotica (che trova impiego invece negli altri copisti in genere
a inizio verso) e usa collocare la lettera-guida per la capitale nella posizione in cui
sarà inserito il capolettera diversamente da quanto fa la mano A (che colloca la

35. Sembra deporre all’opposto quanto accade alla fine del quinto – inizio sesto sistema a c. 9v, ma
potrebbe trattarsi di un semplice ripensamento.
36. Capita spesso per tutto il codice di cogliere differenze anche significative nella grafia linguistica, ma
si tratta sempre di normali oscillazioni all’interno di una lingua ricca di movimento. Per una recensione di
varianti grafiche e alcune interpretazioni si veda il contributo di Marco Mangani in questo stesso volume.
37. È quanto si verifica a cc. 98v-99r, dove la parte finale del tenor della caccia di Piero Con dolce brama e
con gran desio è posta nel secondo sistema di c. 99r come coda all’inizio del primus cantus della caccia anonima
Seghugi a corta e can per la foresta.
38. Per le attribuzioni agli altri copisti responsabili delle addizioni di musica francese (per le quali si
veda la nota 13), denominati con lettere da E a I (una delle mani è distinta in G e G’), concordo in tutto con
Nádas 1985, pp. 93-94.
IL CODICE PANCIATICHI 26 89

lettera-guida a sinistra sul margine della carta) e da quanto avviene anche nel
secondo e all’inizio del quarto fascicolo. La mano B infine fa uso di una caratteri-
stica abbreviatura per indicare etcetera , che è diversa da quella usata nel
secondo e quarto fascicolo, dove piuttosto si trova l’abbreviatura usata anche da
A con lo stesso significato . Per quanto riguarda la musica, nel secondo e
nelle prime carte del quarto fascicolo è usato sempre un custos semplice, così
come nei fascicoli primo e terzo, mentre la mano B usa solo custodes con doppia o
tripla coda.
Indicherei quindi la mano che opera nel secondo e all’inizio del quarto fascico-
lo come mano A2. Non so se sia identificabile con A, anche se la struttura di
copia dei fascicoli 1-3 mi fa ritenere di si39 (escludo in ogni caso B), ma qualora
l’identità fosse stabilita, sarebbe più comprensibile che il copista inizialmente
incaricato di redigere la sezione landiniana sia stato anche il primo, trascorso un
certo lasso di tempo che giustifichi la modificazione del tratto di scrittura, a
preoccuparsi di rafforzarne la collezione, senza defilarsi totalmente dalla redazio-
ne del codice dopo aver esemplato due soli fascicoli come avviene invece nella
ricostruzione di Nádas.
Molto problematico è identificare le mani che hanno lavorato sul quinto fasci-
colo. Questo quinione deve aver avuto certamente una redazione travagliata,
evidenziata da varie anomalie di struttura a cominciare dalla composizione fatta
con due tipi di carta. Se da una parte Nádas40, basandosi sull’osservazione della
foratura fatta per la rigatura della carta, tutta praticata in un solo tempo, ha
potuto escludere che siano stati rimossi e sostituiti dei fogli, dall’altra non trova
spiegazione la presenza di una capitale ‘ombra’: una S in rosso compare a c. 50r
nel secondo sistema del tenor di Nascoso ’l viso all’altezza della parola «guardava»,
sotto il gruppo di minime che segue la longa puntata, ultimo suono della legatu-
ra quaternaria41. Questa capitale non è in controparte e dunque è il residuo di
una rasura (difficilmente, a giudicare dallo stato della carta), o l’inchiostro deve
essere trapassato dal recto di una carta poi rimpiazzata dall’attuale 49 che non ne
porta traccia. Non si comprende a quale momento della storia del manoscritto
possa riferirsi. Si fa notare inoltre che questo quinto è l’unico fascicolo a non
essere scritto sul primo recto.
Il fascicolo è copiato inizialmente di mano C (cc. 41v-42v), subentrando poi la
mano A2 a c. 43r per il tenor del madrigale di Landini Tu che l’oper’altru’ vuo’
giudicare, ma attribuirei ancora alla mano C il superius della ballata Perché virtù fa
l’uom costant’e forte sulla stessa pagina42. I madrigali delle pagine successive, da c.

39. Su questo punto si veda poi al § 2 e in particolare la nota 88.


40. Nádas 1985, pp. 86-87.
41. È visibile anche nell’edizione fotografica, ma a malapena.
42. Lo dimostrano i custodes doppi e la suddivisione dei versi nel residuum fatta con dei puntini, così come
è caratteristica del copista C, nonché la presenza di un punctum subscriptum sempre nel residuum per la sinalefe
alle parole «giugne all’ultimo».
90 STEFANO CAMPAGNOLO

43v a c. 48r, sono di mano B, mentre le ballate a piè delle pagine (con l’eccezione
di I’ son un pellegrin che vo cerchando, sempre di mano B) sono di mano C. Nel
lavoro di B tuttavia pare di scorgere una collaborazione con la mano A2 difficile
a distinguersi con chiarezza43, collaborazione che comunque sembra interrom-
persi da c. 47v. Successivamente, cc. 48v-49r, ci sono due composizioni copiate a
metà fra tre copisti, il madrigale di Giovanni Angnel son biancho e la ballata di
Landini Chom’a seguir costei: la c. 48v è di mano B e la 49r di mano C per la musica
e D per i testi. Una situazione analoga si ripete per Nascoso ’l viso, pure di Giovan-
ni, e la ballata Cholgli ochi assai ne miro di Landini alle cc. 49v-50r: la c. 49v è
copiata di mano D, mentre la 50r di mano C44. L’ultima carta del fascicolo è di
mano D.
Riassumendo, le diverse mani si alternano così nei fascicoli nella prima fase di
redazione del codice:
* Fascicolo 1: tutto copiato di una sola mano (mano A). Sono aggiunte le
composizioni n. 5, 12, 16, 19, tutte di mano A e il tenor della n. 26 (c.10v) di
mano A2.
* Fascicolo 2: tutto di una sola mano (A2), tranne il residuum della n. 25 (Ser
Feo, Già molte volte amore), di mano C. È aggiunto il superius della n. 26 (c.11r), di
mano A2.
* Fascicolo 3: tutto di mano A. Sono aggiunte le composizioni n. 51 e forse 53
di mano A.
* Fascicolo 4: cc. 31-33r di mano A2, ma il contratenor della ballata El gran
disi’ e ·lla dolce sperança è aggiunto dalla mano C45; cc. 34r-38r di mano C (il
residuum della ballata Amor in huom gentil è una luce a c. 34r è forse di mano D);
38v-40v di mano D. È aggiunta la composizione n. 61 di mano A2.
* Fascicolo 5: cc. 41v-42v di mano C; cc. 43r-48v di mano B; c. 49r di mano
C (musica) e D (testi); c. 49v di mano D; 50r di mano C; 50v di mano D. Sono
aggiunte le composizioni n. 79, 81, 85, 91, 93, di mano C; n. 89, di mano B.

43. Si notino i custodes singoli e non doppi di c. 45r e la caratteristica abbreviatura per etcetera propria
delle mani A e A2 nei residua di O pianta vagha e Non a Narcisso.
44. L’attribuzione della copia di Nascoso’l viso a due mani diverse per quanto riguarda superius e tenor è
particolarmente importante (si veda per questo alla nota 109). Che le carte 49v-50r siano da attribuirsi a
due diverse mani mi pare però abbastanza evidente: per quanto attiene alla sola grafia, a c. 48v si fa uso per
la maggior parte alla R diritta (come è tipico del copista D), mentre a c. 50r quasi solo della R a forma di 2,
ma sono molto evidenti le differenze anche nella forma della S e in quella della A maiuscola, della stessa N
capitale e nelle lettere indicanti le divisiones. Anche nella musica si notano apprezzabili differenze di tratteg-
gio. Si noti inoltre, oltre alla capitale ‘ombra’ di cui s’è già detto, che l’attribuzione a Giovanni è ripetuta su
tutt’e due le carte (altro indizio che l’attuale c. 49 possa essere frutto di una sostituzione), come non avviene
mai nel resto del codice, e che lo stile delle attribuzioni è palesemente diverso nella grafia e nel ductus.
45. Questa ballata è una di quelle con doppia tradizione (a due e a tre voci): in questo caso Pit ci conserva
la versione a due alle cc. 84v-85r. Più che ipotizzare l’aggiunta a posteriori di una voce di cui precedente-
mente non si disponeva, pensando perciò a una contaminazione tra più antigrafi, bisogna supporre un
semplice caso di collaborazione tra copisti, perché se la composizione fosse stata a due voci difficilmente
sarebbe stata collocata in apertura di questo fascicolo.
IL CODICE PANCIATICHI 26 91

* Fascicolo 6: Tutto di mano B. Sono aggiunte le composizioni n. 100, 104, di


mano D; n. 107, di mano B.
* Fascicolo 7: Tutto di mano B, ma pare di scorgere una qualche collaborazio-
ne con la mano C difficile a determinarsi con esattezza. Sono aggiunte le compo-
sizioni n. 116 di mano D e 122, 124 di mano C.
* Fascicolo 8: Tutto di mano C (insieme alla mano B?).
* Fascicolo 9: Tutto di mano C (insieme alla mano B?). Sono aggiunte le com-
posizioni n. 149 e 158 di mano D.
* Fascicolo 10: tutto di mano D.
* Fascicolo 11: bianco.
Le diverse attribuzioni tra la mia lettura e l’analisi di Nádas sono sintetizzate
in questa tabella:

COPISTA
COMPOSIZIONE MANO
(da Nádas 1985)
n. 12 A B
n. 25 A2/C B
n. 26-32, 38, 58 A2 B
n. 59 A2/C B/C
n. 60-63 A2 B
n. 80 C/A2 C/B
n. 81 C C/B
n. 92-93 D/C C
n. 94 D C

Concordo quasi integralmente con l’identificazione di Nádas della mano D. Il


lavoro svolto dal copista D possiede molte particolarità: anzitutto, grazie all’ana-
lisi delle inserzioni landiniane operate da questo copista nel corpo di Fp, Nádas
ha potuto stabilire quella che è senz’altro una delle relazioni tra i testimoni
arsnovistici più interessante46, messa in essere dal fatto che sette delle otto balla-
te aggiunte dal copista D negli spazi agibili del manoscritto sono disposte conse-
cutivamente in Pit47, configurandosi così nel corpus delle opere di Landini come

46. Nádas 1985, pp. 90-91.


47. Divennon gli ochi mie nel partir duro è in unicum alla c. 39v, mentre le altre sette ballate sono: Né ’n
ciascun mie pensiero a c. 38v, Già non biasim’amor a c. 39r, Nessun ponga sperança a c. 40r, I’ fu tuo servo a cc. 53v-
54r, Nella partita pianson a c. 56r, Amar sì li alti a c. 63r, Chontemplar le gran cose a c. 82r, ballate che in Pit
sono alle cc. 113v-118. Non mi pare che il rapporto tra questi due gruppi di ballate di Fp e Pit possa
spingersi oltre a una relazione piuttosto lontana poiché sono molte le lezioni discordanti tra i due mano-
92 STEFANO CAMPAGNOLO

piccola collezione con circolazione indipendente. Inoltre, nel decimo quinione,


ove è contenuto un alto numero di unica (otto su dodici composizioni), quasi a
porre una sigla personale, nella nota finale del contratenor di Sì chome al chanto
della bella yguana di Jacopo da Bologna (c. 95r), sono aggiunte in inchiostro rosso
le parole «musicha mia». Kurt von Fischer, che per primo se ne avvide48, ipotizzò
che il copista potesse perciò essere l’autore del contratenor, visto che in Lo ed Sq la
composizione sopravvive a due voci (mentre in Reina è a tre come in Fp). Della
stessa opinione Long che anzi, supponendo che il copista fosse un provetto musi-
cista, si è spinto per questo ad attribuirgli anche la caccia su testo francese Quan
ye voy le duç tens venir49. Più verosimile, come pensa Nádas50, che D ritenesse
quella musica «sua» in quanto esemplata da un manoscritto di sua proprietà,
probabilmente composto di pezzi, già allora, di rara reperibilità e quindi degni
di una nota di possesso. Non si può escludere tuttavia che gli abbellimenti in
inchiostro rosso possano non essere di mano dello stesso copista che ha scritto il
testo in quella carta: di sicuro si incontrano per tutto il codice elementi quali
rubriche e altri che potrebbero essere stati aggiunti, ultimata la redazione del
codice, da una sola mano, come la cartulazione51. Il significato di «musicha mia»
potrebbe essere quindi più generico, da considerarsi una licenza del copista, qua-
si una sorta di invocazione alla musica che questi ha fatto nell’unico modo con-
sentitogli dalla sua professione, a catturare l’attenzione e la benevolenza del lettore.
Nell’opinione di Nádas, D è però anche il copista dell’indice. La questione è di
rilievo, poiché l’indice è stato redatto dopo l’intervento anche dei copisti E, F e
G, e se la loro attività fosse così prossima a quella del copista D, la datazione del
codice ne sarebbe influenzata, e infatti Nádas pone Fp al 1400 circa.
Il copista D però non è colui che ha redatto l’indice e lo si può dimostrare
abbastanza agevolmente.

scritti, come anche una superficiale collazione è in grado di evidenziare, e bisogna considerare come alta-
mente significativa la presenza nel gruppo di Fp di una ballata in unicum (a riprova, si confronti l’analisi
delle varianti di Chontemplar le gran cose fatta da Daniele Sabaino in questo stesso volume). Piuttosto dalla
collazione esce rafforzata la nota concordanza tra Pit ed Sq. Come Allan Atlas ha sottolineato (cfr. A. W.
Atlas, The Metodology of Relating Sources, in Id., The Cappella Giulia Chansonnier (Rome, Biblioteca Apostolica
Vaticana, C. G. XIII 27), 2 voll., Institute of Mediaeval Music, Brooklyn 1975-1976, vol. I, pp. 39-48,
questo capitolo, col titolo Metodi per stabilire il grado di parentela tra i testimoni, adesso in La critica del testo
musicale, a c. di Maria Caraci Vela, LIM, Lucca 1995, pp. 141-153), è sempre la presenza di varianti ed errori
congiuntivi o disgiuntivi a stabilire relazioni certe tra i testimoni, e non la sola presenza di pezzi in comune,
neanche quando persiste un identico ordinamento (vedi anche Bent, Some Criteria, p. 299).
48. K. von Fischer, RISM B IV/3-4, p. 890.
49. Long, Musical Tastes, pp. 181-183. Long trova delle affinità tra superius e contratenor di Jacopo e le due
voci a canone del ritornello di questa caccia – opera probabile secondo Pirrotta di autore francese in voluto
cimento con una forma tipicamente italiana (N. Pirrotta, The Music of Fourteenth-Century Italy, American
Institute of Musicology, s.l. 1960, (Corpus Mensurabilis Musicae, 8/2), p. II) – affinità che però in realtà
non vanno oltre una sfumata somiglianza, determinata più che altro dall’andamento comune per semibreves
e minimae (all’interno delle divisiones rispettivamente di senaria imperfetta e novenaria).
50. Nádas 1985, pp. 88-90.
51. Si veda quanto detto alla nota 29.
IL CODICE PANCIATICHI 26 93

In primo luogo il ductus dell’estensore dell’indice possiede molti tratti caratte-


ristici che non hanno corrispondenza alcuna con D, come, forse il più evidente, la
spiccata tendenza a chiudere tutte le aste alte in occhiello con una morfologia
decisamente influenzata dalla minuscola cancelleresca (si noti in specie l’asta
della b), oppure una maniera tipica di staccare la cediglia dal corpo della lettera.
Le somiglianze tra la mano dell’indice e la mano D sono da cogliersi nella
decorazione delle capitali iniziali – in cui evidentemente il primo imita la ma-
niera dell’altro, maniera comunque diffusa, nella sua semplicità, come topos –
nell’uso dei punti sottoscritti alle vocali affacciate in sinalefe – caratteristica che
non è però esclusiva di D come invece vuole Nádas, ma che, oltre a essere in
genere piuttosto diffusa52, in Fp è usata anche dal copista C53 – e a prima vista
nella forma della ‘g’, che tuttavia, osservata attentamente, mostra un altro trat-
teggio: malgrado in entrambi l’occhiello inferiore sia sempre aperto, il copista
dell’indice traccia il tratto inferiore parallelo al piano di scrittura e staccando la
penna dopo aver disegnato l’asta bassa , mentre D traccia in un solo tempo i
due segni, l’inferiore inclinando decisamente all’in giù spesso con uno svolazzo
finale .
In secondo luogo, l’usus scribendi dei due copisti è estremamente differente nel
rendere grafie oscillanti. Il copista dell’indice pare mostrare usi davvero diversi
da quanto visibile nel resto del manoscritto. Per restare solo all’incipit delle com-
posizioni copiate da D, dove dovrebbe esistere la maggiore coincidenza, si può
notare che la ‘c’ velare è resa sempre con ‘ch’ dal copista D, ma non da quello
dell’indice (si veda ad esempio: D, Si chome al chanto della bella yguana, contrappo-
sto nell’indice a Si come al canto della bella yguana), così come si nota differenza
nell’impiego dei nessi ‘lgl’ ed ‘ngn’ (D: Ongni dilecto e ongni bel piaciere contro Ogni
dilecto et ogni bel piacere dove la differenza nell’uso della c è evidente pure nell’im-
piego della i per distinguere la palatale; e ancora D: Nella partita pianson gli ochi
miey contro Nella partita pianson li ochi miei e Nel boscho sença folglie contro Nel bosco
sença folgle), e nel raddoppiamento fonosintattico.
In definitiva si può escludere che si tratti della stessa mano. Semmai potrebbe
scorgersi una parentela del copista dell’indice con quella mano che ha aggiunto
segni di bemolle in varie carte54 e penso che certamente a lui si debba la
cartulazione (si confronti il ductus della numerazione romana nelle carte e nell’in-
dice). Concordemente a quanto sostenuto da von Fischer e Pirrotta55, credo che
l’indice sia stato redatto parecchio avanti nel ’400, probabilmente tra il 1420 ed

52. Cfr. Long, Musical Tastes, pp. 15-20.


53. I puncti subscripti sono usati da C nelle composizioni n. 64-66, 70-71, 78, 81, 91, 124, 152, troppi
casi per pensare che possano essere stati aggiunti da D (come si suppone in Nádas 1985‚ p. 111, nota 158),
altrimenti non si vedrebbe perché quest’ultimo non sia intervenuto anche sugli altri copisti (va segnalato
un caso anche nel lavoro del copista B, nel residuum della composizione n. 106).
54. Cfr. Nádas 1985, pp. 88-90.
55. Pirrotta, Codex Palatino Panciatichiano 26, col. 404; K. von Fischer, RISM B IV/3-4, p. 835.
94 STEFANO CAMPAGNOLO

il 145056, momento questo che corrisponde a una fase importante nella vita del
codice, ma tornerò in conclusione su datazione e storia di Fp.
Tra i motivi per cui a una prima visione il manoscritto ha un aspetto unitario,
dando decisamente l’impressione di essere stato preparato in breve tempo da
copisti in stretta collaborazione, ci sono alcuni elementi, oltre al comune colorito
linguistico e alle comuni scelte grafiche, che fanno pensare a un gruppo di scribi
capaci di discreta calligraficità (indizio di un esercizio della copia non occasiona-
le), che opera con un retroterra di competenza musicale e notazionale analogo e
di ottimo livello: da cui la generale correttezza della lezione che in genere si
osserva indipendentemente dal compositore esemplato. Tale comune background
si esplica in alcune scelte non rintracciabili negli altri codici arsnovistici e che
rendono Fp per certi aspetti un testimone eccentrico nella tradizione.
Una di queste particolarità è data dalla indicazione – la parola «andare», che
non trova che rarissimi riscontri altrimenti – posta con regolarità nelle voci sprov-
viste di testo (tenores e contratenores) a segnalare l’inizio delle mutazioni nelle bal-
late di Landini57. Il termine registra una accezione di significato legata alla musica
quale «andamento di un motivo musicale»58, ma che non sembra avere alcuna
attinenza con l’uso che se ne fa in Fp. Per Schrade non esisteva spiegazione plau-
sibile a tale termine59, ma altri hanno creduto di poter trovare una giustificazio-
ne: Bianca Becherini afferma che «toscanamente, andare significa muoversi, fare
subito una cosa; in questo caso, eseguire, sonare. Tale senso era specialmente
comune nel periodo classico della letteratura italiana, e spesso è usato da Dante,
dal Boccaccio, dal Machiavelli, Varchi etc.»60. Nádas la ritiene un sinonimo di
«ritornello»61, però le ballate hanno sì un ritornello (meglio detto ‘ripresa’), ma
questo è la prima e non la seconda parte. Una spiegazione molto fantasiosa è
invece quella di Michael Long62: a suo dire andare potrebbe essere frutto di una

56. Secondo von Fischer (RISM B IV/3-4, p. 836), Bonté bialté di Cesaris sarebbe stata copiata tra il 1430
e il 1450 e questa data stabilisce il termine ante quem, mentre il post quem, sempre stando alle datazioni
proposte da von Fischer per le addizioni, sarebbe nella data in cui opera il copista G, ovvero il 1420.
Attenendosi a una linea mediana si può sostenere che l’indice è stato redatto nel 1430 circa.
57. Anche per la ballata Tutta soletta di Guglielmo di Francia e in quella di Ser Feo, Già molte volte amore,
alle cc. 10v-11r. Si segnala pure l’unica eccezione per le musiche di Landini (tenor privo di testo senza
l’indicazione ‘andare’) con Vhaga fanciulla a cc. 10v-11r, per la quale in Nádas 1985, p. 113, si suppone, e
io sono d’accordo, che il testo sia assente soltanto per la mancanza di spazio.
58. S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, UTET, Torino 1961-, ad vocem «andare», l’uso è
registrato in Benedetto Varchi: «Non si ricordava delle proprie parole di quei versi, ma aveva nel capo il
suono d’essi, cioè l’aria e quello che noi diciamo l’andare», ma in questo caso il ‘suono’ pare inteso come
ritmo. Ho trovato un’occorrenza più specificatamente musicale nei Ragionamenti Accademici di Cosimo Bartoli
(Venezia, 1567): «la Musica sua [di Jachet da Mantova] mi diletta grandemente, & mi pare ch’ella abbia di
quello andare delle composizioni di Adriano [Willaert]» (citato qui da J. Haar, Cosimo Bartoli on Music,
«Early Music History», 8 1988, pp. 37-79: 55).
59. «This word, which does not belong to the text, cannot be explained», Schrade, Commentary, p. 59.
60. Becherini, Catalogo dei manoscritti musicali della Biblioteca Nazionale di Firenze, p. 112.
61. Nádas 1985, p. 93, nota 136.
62. Long, Musical Tastes, pp. 178-180.
IL CODICE PANCIATICHI 26 95

errata interpretazione dell’indicazione Secunda pars che è quella che abitualmente


contrassegna i piedi delle ballate nelle voci senza testo negli altri manoscritti,
originariamente evidentemente scritta in forma abbreviata in questo modo: 2ndaps,
col numero arabo poi interpretato come una A maiuscola e dunque derivandone
l’inusuale termine. Non mi sono noti però manoscritti in cui si faccia uso di tale
sistema di abbreviatura63. Inoltre, Long credeva che tutte le ballate in cui occor-
reva il termine fossero dovute a una sola mano, quella dello «scriba andare»
appunto, mentre nelle carte si alternano le mani di più copisti, rendendo dunque
arduo pensare a una così grossolana interpretazione erronea. Senza considerare
poi che in Fp si fa uso anche dell’indicazione Secunda pars a opera del copista D
per l’anonima ballade Le doulz prinstemps (c. 40v): altro indizio che quantomeno a
uno dei copisti era noto l’uso comune. Inoltre questa indicazione non ricorre solo
in Fp: la ritroviamo in un caso anche in Pit (c. 97r), nel tenor della ballata Facto
m’à sdegno partir vie d’amore di Paolo da Firenze64, così come anche nel tenor del-
l’anonimo rondeau francese Araigera de madame in PT (c. IIv)65. L’occorrere del
termine anche al di fuori di Fp direi faccia cadere definitivamente l’ipotesi di
Long.
Per parte mia penso che il termine andare possieda una coerenza di significato
pari a quella con cui è impiegato nel manoscritto e non sia né casuale, né di senso
generico. Per spiegarne derivazione e significato, non credo che sia proficuo ad-
dentrarsi troppo addietro nel tempo e tentare spiegazioni legate alla forma
coreutica della ballata, piuttosto il senso pare da ricercarsi nella stessa struttura

63. Nel codice Manc compare in parecchie carte una scrittura abbreviata simile («2a ps»).
64. La composizione è una di quelle con attribuzione erasa («D.P.») e dapprima dunque considerate
anonime dagli studiosi ed edita in Italian Secular Music, ed. by W. Th. Marrocco, L’Oiseau-Lyre, Monaco
1978, (Polyphonic Music of the Fourteenth Century, 11), senza che vi sia fatto cenno, né a testo, né nelle
note critiche, alla singolare indicazione di Pit. Ursula Günther (U. Günther, Die ‘anonymen’ Kompositionen
des Manuskripts Paris, B. N., fonds it. 568 (Pit), «Archiv für Musikwissenschaft», XXIII 1966, pp. 73-92) ha
successivamente dimostrato l’attendibilità delle attribuzioni soppresse, confermata poi dal ritrovamento di
altri testimoni concordanti (come Fsl). Anche Facto m’a sdegno ha trovato di recente un manoscritto concor-
dante, il frammento Cil, che chiarisce senza dubbi la paternità di Paolo, ma in cui si fa uso della più
ordinaria indicazione secunda pars, (su Cil cfr. B. M. Brumana-G. Ciliberti, Nuove fonti per lo studio dell’opera
di Paolo da Firenze, «Rivista italiana di musicologia» XXII 1987, pp. 3-33, dove c’è anche la riproduzione
fotografica del frammento, e anche Id., L’opera di Paolo da Firenze in una nuova fonte di Ars Nova italiana, in
La musica nel tempo di Dante, atti a c. di Luigi Pestalozza, Unicopli, Milano 1988, (Quaderni di Musica/
Realtà, 19), pp. 198-205; infine J. Nádas, The songs of Don Paolo Tenorista: the manuscript tradition, in In cantu
et in sermone, for Nino Pirrotta on his 80th birthday, ed. by Fabrizio Della Seta [and] Franco Piperno, Olschki,
Firenze 1989, (Italian Medieval and Renaissance Studies, 2), pp. 41-64). Diversamente, questa singolare
circostanza, la presenza cioè dell’indicazione «andare», avrebbe potuto far pensare a una possibile attribu-
zione a Landini, vista pure l’incertezza del copista di Pit.
65. Cfr. F. Ghisi, Un frammento musicale dell’Ars Nova italiana nell’archivio capitolare della cattedrale di
Pistoia, «Rivista musicale italiana», XLII 1938, pp. 37-51. Il pezzo in questione, normalizzato l’incipit in
Avrai ge ja, è stato pubblicato sia in French Secular Compositions of the Fourteenth Century, ed. by Willi Apel,
American Institute of Musicology, s.l., s.d., (Corpus Mensurabilis Musicae, 53), sia in French Secular Music:
Rondeaux and Miscellaneous Pieces, ed. by Gordon K. Greene, literary texts by Terence Scully, L’Oiseau-Lyre,
Monaco 1989, (Polyphonic Music of the Fourteenth Century, 22), ma a testo non è riportata né si fa cenno
nelle note critiche all’indicazione «andare» che segna l’inizio della seconda parte in PT. Si noti che nel resto
del frammento c’è solo la consueta indicazione secunda pars.
96 STEFANO CAMPAGNOLO

della ballata e strettamente in relazione alla pratica strumentale. È da sottoline-


arsi inoltre come il termine appaia sempre e comunque in connessione (anche se
non diretta) con Landini, visto che sia nel caso di Pit sia in quello di PT precedo-
no o seguono sue composizioni.
Si ponga mente alla diversa alternanza di testo e musica che si produce nelle
due principali forme poetico musicali trecentesche, madrigale e ballata: pur es-
sendo entrambe musicalmente bipartite, nel madrigale la prima sezione è subito
replicata ad esporre la seconda terzina e seguita poi dal conclusivo ritornello;
nella ballata occorre passare invece immediatamente alla parte B, questa sì
ritornellata e spesso con «verto» e «chiuso» per le due terminazioni, e da questa
si è ricondotti alla sezione A per volta e ripresa.
Similmente, il confronto tra ballata italiana e ballade francese conduce ad ana-
loghe osservazioni: anche nella ballade è la prima parte che viene immediatamen-
te replicata, mentre nel virelai si riproduce la struttura della ballata italiana.
L’indicazione «andare» produrrebbe sì dunque «a quick point of reference»66
per esecuzioni strumentali indicando il punto in cui riprendere (per questo scopo
sarebbe stata sufficiente anche l’indicazione secunda pars), ma soprattutto stareb-
be a significare ‘seguitare’, ovvero fare attenzione a non replicare la prima parte,
ma passare direttamente alla sezione B67.
La necessità di porre un avvertimento di questo tipo per gli strumentisti, te-
stimonierebbe allora di un periodo in cui gli esecutori dovevano essere altrettan-
to avvezzi nell’eseguire ancora l’antica forma del madrigale quanto le più recenti
ballate (e forse la ballade francese). Lo strumentista, senza l’ausilio del testo, non
sarebbe diversamente stato in grado a prima vista di distinguere un madrigale da
una ballata. Va notato che, per quanto per il madrigale si preferisse sempre una
esecuzione puramente vocale, ce ne sono una dozzina di attestazioni con tenores
privi di testo e di questi tre in Fp68.
Il senso dell’impiego dell’indicazione «andare» dunque potrebbe essere indi-
zio di una familiarità dei musicisti con la più antica forma del madrigale (che
non cessa nell’uso, pur rarefacendosi, fino all’inizio del ’400), e quindi quale
segno di una particolare arcaicità di Fp, e inoltre di familiarità con la musica
francese, considerazione questa che sfiora da presso l’ovvietà, ma che assume mag-
giore significato per Fp vista la predilezione che vi si palesa per l’esecuzione delle
ballate di Landini con una o due parti strumentali.
Quanto alla derivazione etimologica, si potrebbe pensare a un uso ellittico
dell’espressione «andare a seconda» (stabilendosi così un improprio collegamen-
66. Long, Musical Tastes, p. 179.
67. In questa accezione di significato, il termine «andare» risulta incoerente in due ballate landiniane
Partesi con dolore e Conviensi a fede) nelle quali anche la prima parte possiede un «verto» e un «chiuso», ed è
quindi subito ritornellata prima della parte B.
68. La bella stella (cc. 47v-48r) e De come dolcemente m’abracciava (c. 53r ), di Giovanni e Come ’l potestu far
di Donato (c. 80v).
IL CODICE PANCIATICHI 26 97

to con l’indicazione più comunemente usata di secunda pars), espressione d’uso


marinaresco relativa alla navigazione fluviale69. In Fp stesso la troviamo impie-
gata in senso figurale nell’anonima ballata I’ son un pellegrin che vo cercando, nel
secondo piede, dove leggiamo:
E chiamo chiamo e non è chi risponda;
e, quando credo andare a la seconda,
vento contrario mi vien tempestando70.

L’espressione ha in generale il senso di ‘navigare seguendo la corrente’, per


estensione ‘seguire da presso, accompagnare’ da cui il verbo ‘secondare’ di iden-
tica etimologia. In ogni caso, qualsivoglia sia la derivazione etimologica, il senso
da attribuirsi all’espressione è chiaro (‘proseguire’), ma soprattutto essa ci forni-
sce qualche indizio in più sulla storia del codice.
Un’altra caratteristica singolare di Fp che contribuisce fortemente a dare al-
l’operato dei copisti principali senso di unitarietà, è una curiosa pratica di nota-
zione. Come noto, a fine verso si trova spesso nel testo musicale, ma anche nel
testo poetico, un tratto verticale che sta a significare o solo la fine del verso, o la
conclusione di una sezione della composizione (terzina o ritornello nei madriga-
li, ripresa o mutazioni nella ballata). I teorici chiamano questo tratto finis punctorum
– da considerarsi tra i segni di pausa come fanno senza eccezione tutti coloro che
ne trattano già dai tempi di Francone – e può assumere dimensioni e forme
mutevoli: può essere raddoppiato o abbellito, può coprire tutte le linee del siste-
ma o solo parte di esse, può portare o meno segno di ritornello, etc. In Fp c’è
un’estrema attenzione e assoluta coerenza nel far corrispondere lo stesso segno
nelle due o tre voci interessate: in tutto il manoscritto non si trova mai un segno
diverso usato simultaneamente in più voci, mentre negli altri codici la finis
punctorum è notata spesso in modo non uniforme. In Fp troviamo in genere un
tratto singolo che copre uno spazio, o due o tre come si trattasse rispettivamente
di una pausa di breve, longa imperfetta o perfetta71. Quando la finis punctorum
occupa tutto il sistema, spesso il segno è raddoppiato o triplicato e corrisponde
sempre a cesure di più grosso momento.
In genere chi ha trascritto il repertorio del Trecento italiano non ha tenuto
conto di queste pause, da considerarsi alla stregua di ‘sospiri’ di durata non esatta-

69. Pare che i musicisti dell’Ars Nova (o i poeti da loro intonati) avessero particolare familiarità con tali
lessici specialistici: ad esempio, nella caccia Con dolce brama di Piero ricorrono moltissimi termini nautici
(cfr. N. Pirrotta, Piero e l’impressionismo musicale del secolo XIV, in L’Ars Nova italiana del Trecento I, Centro studi
sull’Ars Nova italiana del Trecento, Certaldo 1962, pp. 57-74: 61).
70. Il testo è ripreso da G. Corsi, Poesie musicali del Trecento, Commissione per i testi di lingua, Bologna
1970, (Collezione di opere inedite o rare pubblicate dalla Commissione per i testi di lingua, 131), p. 352.
Corsivo mio.
71. In un caso (il madrigale Di novo è giunto un cavalier errante di Jacopo da Bologna, a c. 68r) troviamo un
segno che occupa quattro spazi: anche in questa occasione è replicato identico nelle due voci.
98 STEFANO CAMPAGNOLO

mente determinabile72, ma nella pratica mostrata dai copisti di Fp pare scorgersi


una sorta di uso indiziale della finis punctorum, almeno nei casi in cui non ha alcun
significato mensurale, non serve cioè a riempire la quantità di una divisio. L’indi-
cazione sembra essere correlata alla qualità della breve. Si veda ad esempio il
madrigale La bella stella, di Giovanni a cc. 47v-48r: nella sezione in senaria
imperfecta (suddivisione binaria delle breve) è usato un segno di pausa di longa
imperfecta, mentre nella sezione del ritornello in senaria perfecta (suddivisione
ternaria delle breve) la pausa è di longa perfecta73.
Al di là del significato notazionale da attribuire a questa pratica, è da sottoli-
nearsene la singolarità e soprattutto è da notare l’uso coerente dei vari scribi, a
maggior ragione perciò raffigurabili come un gruppo di sodali ed esperti musici.

2. L’ordinamento delle ballate di Landini

Nella sua analisi dei più tardi manoscritti fiorentini (Sq, Fsl, F.5.5), Nádas ha
messo in luce come la trasmissione delle musiche di alcuni autori – soprattutto i
più antichi Giovanni e Jacopo – si cristallizzi a canone, sia nella lezione, sia
nell’ordinamento delle composizioni74. Diversamente, per l’opera di Landini,
molto più vicina nel tempo, esiste ancora un’estrema fluidità: l’ordinamento in
Sq è sottomesso a una frammentazione – cui contribuisce l’altissimo numero di
unica che impedisce il confronto con altri testimoni – dovuta alla pianificazione
della copia suddivisa alfabeticamente e per genere fra tre copisti75. Il modello
alfabetico pare imposto integralmente nel frammento F.5.576. Esiste poi una se-
rie di ballate di Landini che troviamo con alcune regolarità testimoniate nei
codici del nord (i frammenti padovani, Reina, etc.): segno che facevano parte di
un autonomo repertorio lì diffuso77.
72. Leonard Ellinwood le trascrive in genere tutte (The works of Francesco Landini, ed. by Leonard Ellinwood,
Mediaeval Academy of America, Cambridge (Mass.) 1945, (Studies and Documents, 3), II ed. with textual
collation by William A. McLaughlin, Kraus, New York 1970), mentre secondo Marrocco «such lines probably
indicate a breath-mark», però «in the transcription such lines or rests have been omitted» (Italian Secular
Music, ed. by W. Thomas Marrocco, L’Oiseau-Lyre, Monaco 1967, (Polyphonic Music of the Fourteenth
Century, 6), p. XI). Nell’opera di Landini, tali pause hanno spesso valore essenziale (anche se non esattamen-
te determinato: spesso è necessario riempire la battuta solo con un terzo o la metà di una pausa di longa) e
servono a concludere la quantità della divisio, altrimenti nell’edizione di Schrade sono segnalate come suspiria
con un apostrofo sopra i pentagrammi.
73. È ovvio che se si voleva usare un segno di pausa in senso indiziale, era giocoforza utilizzare l’unico
segno di pausa differenziato quanto a perfezione o imperfezione, ovvero quello di longa. Approfondirò in
altra sede questa caratteristica di notazione, ma va detto subito che tale uso è tutt’altro che inequivoco e
conta varie eccezioni alla modalità illustrata per il madrigale di Giovanni.
74. Cfr. Nádas 1985, pp. 482-486.
75. Cfr. Nádas, Il codice Squarcialupi, pp. 70-78.
76. Cfr. Nádas 1985, pp. 290-305. Invece, il palinsesto di San Lorenzo è di difficile interpretazione
perché la parte dedicata a Landini è tra quelle maggiormente mutilate.
77. Cfr. J. Nádas - A. Ziino, Introductory Study, in The Lucca Codex, Codice Mancini, Lucca, Archivio di
Stato, MS 184 – Perugia, Biblioteca Comunale «Augusta», MS 3065, ed. by John Nádas and Agostino Ziino,
LIM, Lucca 1990, (Ars Nova, 3), p. 33.
IL CODICE PANCIATICHI 26 99

Da parte sua, Pit si dimostra un eccellente punto di riferimento perché a quanto


pare i copisti non hanno scomposto nell’ordine i gruppi di composizioni che
venivano a loro disposizione, limitandosi a inserirli all’interno del piano di com-
pilazione78. Grazie a Pit, tramite la collazione con gli altri testimoni e lo studio
dell’indice – contemporaneo, questo sì, col contenuto del codice e costituito via
via che veniva copiato – è possibile capire molto intorno alla circolazione di
parecchie musiche arsnovistiche. Senza dubbio il gruppo di ballate più chiara-
mente individuato come costituenti una sorta di collezione indipendente è quel-
lo delle sette che la mano D ha aggiunto negli spazi disponibili di Fp disposte
invece consecutivamente in Pit79.
Molto utile in tal senso anche il codice di Londra, dove il copista principale
«dopo aver copiato una serie di ventun madrigali forse già ordinatamente raccol-
ti e predisposti per la trascrizione dal suo predecessore, scrisse poi nel codice
tutto ciò che gli passava tra le mani»80, consentendoci così di poter ritenere con
sufficiente sicurezza che le musiche fra loro contigue con molte probabilità deri-
vino da un antigrafo che le vedeva di già appaiate.
Pare invece sfuggire a qualsiasi classificazione la successione delle ballate a
due e tre voci di Fp. Schrade, oltre all’ordinamento cronologico, ipotizzò potesse
esistere una qualche relazione per gruppi di divisiones81, e davvero si susseguono
spesso pezzi con la stessa scansione del tempo, ma in modo molto discontinuo.
In realtà l’ordine delle ballate di Landini risponde semplicemente a una parti-
colare strategia di copia del copista A. Supponiamo che, all’atto di pianificare il
suo lavoro, questi avesse alla mano un numero nutrito di ballate costituente la
larga parte della prima fase di stesura dei fascicoli 1 e 3. È probabile che fossero
divise tra più fascicoli di piccole dimensioni e che siano venute ad essere associa-
te soltanto in occasione della copia di Fp. Infatti niente nel lavoro di A fa pensare
che egli possa aver attinto a un altro manoscritto di uguali proporzioni. Contra-
sta fortemente con questa possibilità l’eterogeneità, di stile e di notazione, del-
l’insieme delle ballate82. Alcuni di questi fascicoli presentavano certamente
mescolate assieme ballate a due e tre voci: questo dato lo si può ricavare dall’in-
tera tradizione, poiché con l’eccezione di Fp – soggetto a una pianificazione più
rigorosa – tutti gli altri testimoni non sembrano fare distinzioni a seconda del
numero delle voci. Il primo compito del copista A era dunque quello di separare
le ballate a due da quelle a tre voci.

78. A riprova, si può vedere quanto spesso Nádas vi ricorra nella sua analisi di Sq (Il codice Squarcialupi,
pp. 70 e ss.). Per la numerosa bibliografia relativa a Pit rinvio alla rilettura del codice fatta in Nádas 1985,
pp 216-290 e 306-336.
79. Vedi nota 47.
80. Gozzi, Alcune postille, p. 253. Si tengano in conto però anche le osservazioni di pp. 255-256.
81. Cfr. Schrade, Commentary, p. 18.
82. Così come afferma anche Schrade (Id., pp. 28-29).
100 STEFANO CAMPAGNOLO

Altro obiettivo evidente nel lavoro di A è l’economizzazione dello spazio, e


infatti la copia è organizzata in modo che si possa collocare una intera ballata in
una sola pagina indipendentemente dal numero delle voci. Questa pratica gli ha
permesso, seguendo del resto una prassi assai diffusa83, la comodità di lavorare
non sul fascicolo già legato, ma su bifogli sciolti, di regola iniziando da quello
che sarebbe stato il bifoglio esterno dell’intero quinione.
Se osserviamo la disposizione delle ballate dei bifogli esterni dei fascicoli 1 e 3
(Tavola 2) possiamo vedere come le ballate poste sui lati recto-recto, et contra,
delle carte congiunte, si trovino consecutive in altri codici: è il caso di Donna s’i’
t’ò fallito e Fortuna ria amor e crudel donna, che si susseguono in Pit (cc. 85v-
86v)84, così come di Già per ch’ i’ penso nella tuo partita e Vita non è più miser né più
ria che ritroviamo congiunte in Reina (cc. 48v-49r)85. La stessa cosa accade nel
terzo fascicolo86, dove il pezzo d’apertura, Guard’ una volta ’n cià è seguito, in Lo,
dalla pluritestuale Per che di novo sdegno – Per che tuo servo – Vendetta far dovrei (cc.
24v-25v)87, e quello di chiusura, Non n’avrà ma’ pietà questa mie donna, è seguito
in Pit dal virelai landiniano Adieu, Adieu dous Dame (aggiunto a c. 72r, che, nella
sua unicità all’interno della produzione di Landini, potrebbe non essere stato
preso in considerazione dai compilatori di Fp) e poi da Per seguir la sperança (cc.
61v-63r)88.
Sono consecutive in Lo anche le due ballate che aprono i fascicoli primo e
terzo, dunque accoppiate forse nell’ipotetico antigrafo e sciolte, perché l’una a
due e l’altra a tre voci, dal copista di Fp89. Si noti poi come in questi due bifogli
ben cinque delle otto ballate presenti concordino con il codice di Londra e quat-
tro di esse vi stanno anche consecutive. Vale a dire che il 33% delle ballate che
trovano concordanza tra Fp e Lo sono riunite in queste quattro carte90, una per-

83. Cfr. Bent, Some Criteria, p. 300. Per restare nell’ambito dei manoscritti dell’Ars Nova italiana, proce-
dimenti simili sono quelli illustrati da Nádas, Il codice Squarcialupi, pp. 70 e ss., ma anche da Gozzi, Alcune
postille, pp. 255-256.
84. La composizione numero 121 alle cc. 85v-86r, è la ballata Donne e fanciulle di Paolo ed è aggiunta
nella parte bassa delle carte. Secondo Nádas 1985, p. 314, essa era in relazione di copia con Donna si t’ho
fallito.
85. In questo caso queste due ballate segnano in Reina la ripresa dopo una pausa del lavoro di una stessa
mano, quella del copista S (cfr. Nádas 1985, p. 183).
86. A conferma che i bifogli sono stati copiati separatamente, alle cc. 21r-v e 30r di questo primo
bifoglio del terzo fascicolo, l’indicazione Contra è aggiunta da una stessa mano in rosso (da notarsi pure che
solitamente è sempre scritto Contratenor o Contratenore), come non accade più nel resto del fascicolo (è sem-
pre scritta in nero).
87. Il pezzo inframmezzato è l’anonima ballata I’ son un pellegrin che vo cercando, che è una delle addizioni
successive fatte dal copista principale di Lo (cfr. Gozzi, Alcune postille, p. 256).
88. Per ragioni paleografiche Non n’avrà ma’ pietà in Fp parrebbe però un’inserzione seriore, da collegarsi
piuttosto con le quattro ballate che seguono, ma la particolare organizzazione della copia testimonia sfavo-
revolmente. Si noti anche che a Per seguir la sperança, seguono in Reina Già per ch’i’ penso e Vita non è più miser,
ovvero due ballate del primo bifoglio del primo fascicolo.
89. Anche in Sq sono sullo stesso bifoglio (cc. 157 e 163) copiate da un medesimo copista (C). Secondo
Gozzi, Alcune postille, p. 256, Donna si t’ho fallito in Lo è un’altra delle addizioni successive.
90. Per quanto riguarda Landini, Lo ed Fp concordano su 19 composizioni: 2 madrigali, una caccia e 16
ballate.
IL CODICE PANCIATICHI 26 101

centuale troppo elevata per non pensare che circolassero indipendenti in una
piccola collezione.

Tavola 2: Le concordanze di particolare significato sono evidenziate dal neretto. Le sigle che
non compaiono nel siglario iniziale sono riferite a RISM B IV/3-4, così come la numerazione
delle composizioni.

Fascicolo 1.
1r, Donna s’i’ t’ò fallito
[Pit 120, Reina 70, Lo 27, Sq 271, Manc 19, GB-Ob 229]
1v, Già per ch’ i’ penso nella tuo partita
[Pit 94, Reina 95, Lo 82, Sq 304]

10r, Fortuna ria amor e crudel donna


[Pit 122, PT 2, Sq 237, Sc 2b]
10v, Vita non è più miser
[Pit 149, Reina 96, Sq 298, Fsl]

Fascicolo 3.
21r, Guarda una volta ’n cià
[Lo 28, Sq 282, Fsl]
21v, Per seguir la sperança
[Pit 85, Reina 94, Sq 294, Fsl]

30r, Per che di novo sdegno – Per che tuo servo – Vendetta far dovrei
[Lo 30, Sq 287, Pit 89]
30v, Non n’avrà ma’ pietà
[Pit 83, Reina 104, Lo 26, Sq 192, I-FZc117 53]

Si può obiettare, a questo procedere, che saltando da un codice all’altro si


potrebbe riuscire a dimostrare la consecutività o la vicinanza di qualsiasi coppia
di ballate, ma la grande quantità di raggruppamenti distinguibili esclude asso-
lutamente la coincidenza91. Infatti in questi due fascicoli possiamo individuare
parecchie altre analoghe combinazioni.
Molto interessante è osservare i tre bifogli interni al terzo fascicolo: qui, alle
cc. 23r e 28v fra loro corrispondenti, sono copiate Po’ che partir convienmi donna
chara e Lasso di donna vana inamorato, che in Pit sono di seguito (nn. 132 e 133,
cc. 93v-94r). Diversamente dai bifogli esterni, in questo caso A copia su un recto
e un verso e non sui due recto, ma c’è una ragione: all’interno di questi tre bifogli,

91. Bisogna sottolineare che tutte le corrispondenze che ho indicato e le altre di cui dirò, segnalate le
debite eccezioni, sono con sezioni dei codici di riferimento assolutamente omogenee, prive di interpolazioni
ed esemplate da una stessa mano.
102 STEFANO CAMPAGNOLO

cc. 26v-28r, ci sono due ballate piuttosto lunghe (Quanto più caro fay e Gientil
aspetto in cu’ la mente mia), con le quali lo scriba ha dovuto derogare a quella che
s’era data per regola, ovvero inserire una ballata ogni pagina, sconfinando dal
verso al recto fino alla 28r. Il secondo bifoglio del quinione (cc. 22, 29) contiene
tre ballate consecutive in Sq (Quel sol che raggia sempre nel cor mio, c. 137v, seguita
da Questa fanciull’ amor fallami pia e S’i’ fossi certo del dover morire collocate sulla
stessa c. 138r) più l’unicum Amor in te spera’ già lungo tempo. Questa particolare
struttura parrebbe evidenziare una sorta di cesura tra i due bifogli esterni e i tre
interni, che potrebbero essere stati concepiti indipendentemente.
Nel primo fascicolo individuiamo solo un’altra coppia di ballate su carte cor-
rispondenti: Per servar umiltà a c. 3r e S’i’ ti son stat’e vogli’ esser fedele a c. 8r sono
consecutive sia in Pit (nn. 126-127, cc. 88v-90r), sia in Fsl (c. 109r e v dell’at-
tuale foliazione)92, dunque con una doppia conferma sulla loro correlazione.
Se in Sq si fosse mantenuta la disposizione degli antigrafi utilizzati, è probabi-
le che saremmo riusciti a ricostruire con maggiore dettaglio l’ordine di copia
delle ballate soprattutto in questo primo fascicolo.
È possibile che il copista A abbia a un certo punto proceduto nella copia sul
quinione completo passando da una carta all’altra di seguito. Più o meno è quan-
to si deduce guardando alla struttura del secondo fascicolo (Tav. 3), struttura
adesso molto più comprensibile nell’apparente anomalia delle carte lasciate
bianche.

Tavola 3: Fascicolo 2.
11r, Ser Feo, Già molte volte amore + 10v-11r Vhaga fanciulla leggiadr’e veççosa
11v, Chi pregio vuol
12r, De volgi gli occhi a me
12v, Se pronto non sarà
13r, L’alma leggiadra del tuo viso pio
13v, Donna la mente mia è sì ’nvaghita
14r, S’andray sança merçe
15
16
17 cc. 14v-19v bianche
18
19
20r, Se merçe donna merita ’l servire

92. Per la struttura e l’indice di Fsl si veda Nádas 1985 pp. 459-486, e Id., Manuscript San Lorenzo 2211:
Some Further Observations, in L’Ars Nova italiana del Trecento VI, Centro studi sull’Ars Nova italiana del
Trecento, Certaldo 1992, pp. 145-168.
IL CODICE PANCIATICHI 26 103

La ballata posta dalla mano A2 sulla carta 20r allora risponde allo stile di copia
consueto del copista A93. Rimane comunque probabile che in previsione il fasci-
colo avrebbe dovuto essere completato con altre ballate a due voci di Landini, e
che quindi Se merçè donna merita ’l servire fosse destinata a non rimanere isolata.
Due pezzi sul recto del bifoglio esterno (Già molte volte amore e Se merçe donna
merita ’l servire) sono due unica e non sembra azzardato ipotizzare che possano aver
circolato assieme, forse anche a causa di una qualche incertezza sulla paternità
della ballata di Ser Feo94.
Anche le addizioni successive avvengono attingendo ad antigrafi di piccole
dimensioni. Si distingue nel quarto fascicolo, vera e propria appendice alla rac-
colta delle ballate a tre voci rappresentata dal terzo95, la serie consecutiva di tre
ballate di mano C (O fanciulla Giullia, Posto che dall’aspetto, Chosa nulla più fé) che
sono consecutive anche in Pit (cc. 86v-89r). A una analoga derivazione fanno
pensare pure le inserzioni nelle altre parti del manoscritto: infatti non si può
attribuire al caso che le prime tre ballate poste ai piedi dei madrigali del quinto
fascicolo siano in unicum (I’ non ardischo mostrare ’l tormento, Perché virtù fa l’uom
costant’e forte, Già ebbi libertate).
L’ordinamento interno delle ballate di Landini in Fp, almeno nel nucleo cen-
trale, è dunque riconducibile nell’alveo di una tradizione dei testi che, per quan-
to disgregata, pure si lascia cogliere mostrando la trama di una diffusione
estremamente frammentata, fatta attraverso piccoli fascicoli (i fascicle-manuscripts
di Hamm)96 contenenti spesso non più di due composizioni97. Allo scopo sarebbe
stato sufficiente un semplice bifoglio scritto soltanto nelle pagine interne. Qua-
lora lo fosse stato anche nelle pagine esterne avrebbe potuto ospitare quattro, o
forse, a seconda delle dimensioni, anche cinque pezzi. Due bifogli di questo tipo
basterebbero a contenere i sette pezzi di Landini che la mano D ha aggiunto in
un secondo momento condivisi con Pit (o otto considerando solo Fp), e un ternione
ospiterebbe comodamente la collezione di cacce e madrigali a canone dello stesso
copista che assomma a dodici composizioni98.

93. Non serve dunque a «neatly defining both the limits and contents of his copying stint», Nádas
1985, p. 84. Non mi pare essenziale in questo caso accertare l’identità o meno delle mani A e A2: nell’una
o nell’altra evenienza è comunque evidente che la mano A2 segue la strategia di copia di A.
94. Potrebbe darsi che la ballata sia stata dapprima inserita perché creduta di Landini (come forse pure
nel caso di Tutta soletta di Guglielmo di Francia e dell’anonima Io son un pellegrin). L’accesso a un’altra fonte
potrebbe aver poi chiarito l’attribuzione e aver portato il testo delle stanze successive alla prima, che sono,
come visto, copiate d’altra mano. Non credo possano ancora sussistere dubbi sulla reale esistenza di un
compositore a nome Feo: Feo, quale diminutivo di Maffeo o Alfeo, era nome discretamente diffuso all’epoca
(e pure successivamente: tra i famosi si pensi a Belcari), e la specificazione ‘Ser’, come noto attribuita a preti
o notai, serve a ulteriormente distinguerlo da Francesco, sempre qualificato come ‘Magister’.
95. Come nota Nádas 1985, p. 84.
96. Cfr. Hamm, Manuscript Structure, p. 167.
97. Potrebbero risalire a questa fase i raggruppamenti per divisiones.
98. Ribadisco la mia convinzione che il frammento Lw (si veda quanto detto alla nota 6) possa ben
rappresentare una di queste ‘fonti-generatrici’.
104 STEFANO CAMPAGNOLO

3. La compilazione di Fp

Una delle apparenti anomalie di Fp, una volta scoperto che la struttura dei
fascicoli delle ballate nascondeva un particolare ordine di copia, è così ricondotta
a norma, ma rimane da giustificare la posizione di Landini nel piano di compila-
zione del manoscritto, così come si devono spiegare alcune piccole anomalie e
particolarità. In specie:
- Le cc. 14v-19v e 20v del secondo fascicolo e la c. 41r del quinto sono bianche:
perché non sono state utilizzate per le addizioni landiniane?
- Tra tutte le composizioni di Landini che non siano state aggiunte a posterio-
ri, una soltanto è isolata dal corpus principale collocato nei primi cinque quinioni
e dunque in posizione anomala. Si tratta del madrigale politestuale Musicha son
che mi dolgo piangendo - Ciaschun vuol innarrar musical note - Già furon le dolceççe mie
pregiate copiato a piena pagina alle cc. 89v-90r. Perché questo madrigale non si
trova nel fascicolo 5 insieme agli altri?
- Qual è la ragione per cui il quinto quinione ha avuto una redazione così
particolare?
- Michael Long ha riconosciuto ai due brani in lingua francese copiati dalle
mani principali una funzione di ‘organizzazione’ del repertorio di Fp99. Che na-
tura hanno e quale significato è loro attribuibile?
È possibile spiegare buona parte delle apparenti incongruenze nella organizza-
zione di Fp ipotizzando l’esistenza di un precedente piano di compilazione. Per
giungere a formularlo è utile ricorrere a una scomposizione del codice, come con
i bifogli dei primi tre fascicoli. Tale lettura ‘modulare’ funziona anche a livello
più alto, cioè prendendo in esame non i bifogli, ma i quinioni intesi come singo-
le unità codicologiche. Essi sono tra loro assolutamente svincolati: nessuna com-
posizione è stata copiata a metà fra due fascicoli, se non nel caso dei primi due
con la ballata Vagha fanciulla, caso a suo modo significativo perché sta ad indica-
re la dipendenza di contenuto dal primo del secondo fascicolo, palese aggiunta
successiva alla prima fase di compilazione. Già Pirrotta si era chiesto se, stante
comunque visibile il piano d’ordinamento, i fascicoli erano stati pensati isolata-
mente e poi assemblati o se il manoscritto era stato preparato integralmente e
poi copiato, e Nádas, nel soffermarsi sulla suddivisione della copia per fascicoli
tra i copisti, ha supposto che i quinioni di Fp potrebbero aver avuto in origine
una successione diversa da quella attuale, ma senza avanzare ipotesi al merito100.
Se si guarda all’alternanza delle filigrane si possono distinguere due diverse
fasi di stesura101: la prima corrisponde all’uso di carta con filigrana di tipo 2
99. Long, Musical Tastes, pp. 180-181.
100. Cfr. Pirrotta, Codex Palatino Panciatichiano 26, col. 402, e Nádas 1985, p. 83, nota 126 e p. 92.
101. La datazione delle filigrane pare confortare questa ipotesi. Per quanto i dati (si veda alla nota 24)
non possano essere interpretati inequivocamente, la tendenza tra le date proposte è individuabile con niti-
dezza: la filigrana tipo due pare più antica della tre, ed entrambe più antiche della uno.
IL CODICE PANCIATICHI 26 105

(fascicoli 1, 3, 6-10); la seconda all’uso di carta con filigrana di tipo 3 (fascicoli


numero 2 e 4). I fascicoli 5 e 11 sono misti dei due tipi – la qual cosa fa pensare
che ci sia stato uno scambio di fogli tra questi fascicoli, mettendoli in relazione –
e rappresenterebbero dunque una fase intermedia, di cesura tra i due momenti.
Parrebbe insomma che siano stati preparati nello stesso tempo, quando, conclusa
la prima fase di lavoro con il primo tipo di carta, si è reso necessario aggiungere
nuovi fascicoli.
Il secondo fascicolo certamente riflette una successiva fase di stesura: il fatto
che le ballate a due voci inserite posteriormente non siano andate a occupare le
cc. 14v-19v, è indizio che questo quinione è stato aggiunto in ultimo, dopo che
con le addizioni landiniane si era riempita la gran parte degli spazi utilizzabili,
nel momento in cui si è reso improvvisamente disponibile un nuovo, folto grup-
po di ballate di Landini102. Il quarto quinione invece deve esser stato copiato
precedentemente (altrimenti De non fuggir, dame tuo vaga vista, a due voci, non vi
avrebbe trovato posto come addizione a c. 32r), ma comunque sempre successi-
vamente al terzo. Certamente in ultimo fu preparato anche l’undicesimo quinione,
rimasto bianco. Se si pensa allora che anche il quinto fascicolo sia stato copiato in
tale seconda fase di realizzazione, si deve formulare un piano di compilazione
coerente con questo dato.
Il quinto fascicolo, oltre a esserlo materialmente, è davvero centrale nell’orga-
nizzazione di Fp. È qui che si realizza la trasformazione del codice da raccolta di
tutte le opere di Landini in più consueta silloge storica. Qui la ballata cede
anacronisticamente il passo al madrigale mescolando le musiche del più antico
dei compositori toscani, Giovanni, col più noto dei tempi moderni. A sottoline-
are questa centralità sta l’organizzazione della copia più complessa del codice e a
indicare una gestazione sofferta c’è la capitale ‘ombra’, che certo ne indica il
passaggio attraverso diversi stadi formali, facendo supporre che in precedenza
possa non aver avuto l’aspetto attuale.
Un utile indizio per risalire al primitivo piano redazionale lo fornisce la posi-
zione di Musicha son che mi dolgo piangendo103. Leo Schrade riteneva questo ma-
102. Così come certamente era prevista l’aggiunta di altre ballate. Nádas (Nádas 1985, p. 92) suppone
invece che questo fascicolo potesse essere indisponibile al momento delle inserzioni nel resto del manoscrit-
to per qualche ignota ragione. Egli mette pure in luce come questo quinione presenti un inchiostro più
scuro, rispetto a tutto il resto del manoscritto, per la rigatura. Tale particolarità avvalora a mio parere
l’ipotesi che sia stato l’ultimo ad essere realizzato.
103. È possibile che la sua natura di composizione politestuale ne abbia comportato una diversa colloca-
zione. Pare pensarla così Kurt von Fischer a giudicare dalla sua descrizione di Fp (si veda alla nota 11), ma
la descrizione «appears to be based more on the nature of the contents of the source than on the physical
evidence» (Nádas 1985, p. 63). Il madrigale di Landini non appartiene tuttavia al fascicolo di cacce del
copista D, ovvero il gruppo di pezzi con cui von Fischer lo mette in relazione e inoltre c’è anche la ballata
Per che di novo sdegno – Per che tuo servo – Vendetta far dovrei che non ha subito analogo trattamento, così come
ci sono altri pezzi a tre voci, oltre alle ballate di Landini, non collocati a fine manoscritto. Supponendo però
che il copista C fosse venuto in possesso di questo madrigale verso la fine del suo lavoro, avrebbe potuto
inserirlo solo in questo punto (o in un fascicolo aggiunto poi come il secondo), poiché il madrigale necessita
di due pagine.
106 STEFANO CAMPAGNOLO

drigale un’opera tarda, e ne spiegava la collocazione, coerentemente con la sua


teoria sulla disposizione cronologica delle opere di Landini in Fp, supponendo
perciò che i copisti ne fossero venuti in possesso da ultimo, ma Kurt von Fischer
l’ha smentito sulla datazione104.
Una ipotesi percorribile mi sembra possa prevedere che Musica son, il madri-
gale che significativamente principia la sezione delle opere di Landini in Sq,
dovesse originariamente aprire la sezione di Landini anche in Fp105. Ciò presup-
pone che la copia del codice abbia avuto questo tipo di svolgimento: mentre il
copista A, isolato nel suo lavoro su primo e terzo quinione, lavorava sulle ballate,
gli altri copisti copiavano i rimanenti fascicoli, il primo dei quali, seguendo il
tradizionale modello di ordinamento cronologico e per generi, avrebbe dovuto
essere il sesto che comincia con De sotto ’l verde, la composizione che funge da
apertura anche nel codice Rossi106. Fp avrebbe perciò avuto una struttura più
consueta, dipanandosi attraverso i fascicoli 6-10 con le opere, nell’ordine, di Gio-
vanni, Piero, Jacopo, Lorenzo, Donato, Gherardello e infine Landini, la cui colle-
zione sarebbe iniziata con i madrigali, affidati dapprima al solo copista C, cui
avrebbero dovuto aggiungersi i quinioni primo e terzo (con l’appendice rappre-
sentata dal quarto) con le ballate a due e tre voci preparati nel frattempo dal
copista A107. Qualcosa a questo punto deve essere intervenuto a modificare tale
assetto. Forse l’intervento di un nuovo compilatore, forse l’acquisizione del ma-
teriale poi aggiunto in seconda fase (e particolarmente dei madrigali di Giovanni
collocati nel quinto fascicolo), o forse quello che era un progetto più ambizioso,
che voleva cioè comprendere anche le musiche della generazione successiva a
quella di Landini, ha subito un drastico ridimensionamento, costringendo i com-
pilatori a ripensare l’intero impianto del manoscritto. Fatto sta che è maturata la
decisione di porre all’inizio del codice le composizioni di Landini108. Così il fasci-
colo con i madrigali è diventato quello centrale, è stato inserito nell’attuale col-
locazione e vi si è dato corso alla commistione con le composizioni di Giovanni

104. Cfr. Fischer, Ein Versuch, pp. 38-39 e 43.


105. Si può notare come nel madrigale l’attribuzione a Francesco sia fatta scrivendo il suo nome senza
abbreviazioni, cosa che accade pure in alcune delle addizioni a piè di pagina, ma, significativamente, non
nella pagina di apertura del codice.
106. Composizione adespota, ma che per caratteristiche formali è stata convincentemente ascritta a
Giovanni da Nino Pirrotta (cfr. Il codice Rossi 215 della Biblioteca Apostolica Vaticana. Con i frammenti della
Fondazione Opera Pia don Giuseppe Greggiati di Ostiglia, ed. facs. a c. di Nino Pirrotta, LIM, Lucca 1992, (Ars
Nova, 2), p. 40). Questo sesto fascicolo ha anche una piccola anomalia strutturale, essendo originariamente
un quaternione (secondo quanto si deduce in Nádas 1985, p. 63, dalla foratura per la rigatura), cui è stato
poi aggiunto un foglio al mezzo.
107. Il fascicolo 10 sarebbe stato posto probabilmente in ogni caso alla fine, poiché la tradizione pone
madrigali canonici e cacce isolati rispetto alle altre composizioni, come si evince, ad esempio, dall’indice di
Fsl (cfr. Nádas 1985, p. 462).
108. Sembra essere avvenuto esattamente l’opposto nel codice Reina: Bartolino da Padova doveva tro-
varvi un posto privilegiato secondo quanto deduce Nádas 1985, pp. 188-190 e 195, interpretando lo spazio
lasciato per la capitale de La douce cere che apre la sezione di Bartolino come segno indubbio della volontà di
porre in rilievo il compositore; ma nella redazione finale l’ordinamento previsto è stato modificato anteponendo
a questo, che è attualmente il secondo, un altro fascicolo.
IL CODICE PANCIATICHI 26 107

per congiungerlo contenutisticamente col successivo. Troverebbe così agevole


spiegazione la collaborazione dei copisti nel quinto fascicolo, impegnati a rivolu-
zionare il primitivo piano di lavoro109.
Le due composizioni su testo francese appartenenti a questa fase di redazione
(Quan ye voy le duç tens venir e Le doulz prins temps), sono state usate come riempitivi
per le due zone di cesura create nel rivolgimento: la prima è servita ottimamente
a cominciare la sezione dedicata alle cacce, la seconda, come ballade, chiude la
sezione delle ballate.
Rimaneva bianca così la c. 41r, che in origine avrebbe forse dovuto ospitare,
insieme alla 99v, un madrigale di Landini che potrebbe esser stato Tu che
l’oper’altrui, che in Sq segue Musica son e precede Fa metter bando e comandar amore
(cc. 121v-123r).
A questo primitivo piano redazionale, una pura ipotesi, fornisce un appiglio il
gruppo di ballate inserite dal copista D: come detto, sette di queste si trovano
consecutive in Pit, ma se disponiamo quelle di Fp supponendo che il copista D
abbia cominciato a inserirle a partire da quello che allora ancora considerava il
fascicolo d’apertura del codice, il sesto, vediamo che c’è corrispondenza anche nella
sequenza. Il copista D ha inserito (fra parentesi il numero della composizione in
Pit) nel sesto quinione I’ fu’ tuo servo (166) e Nella partita pianson (168); nel settimo
Amar si li alti (167); nel nono Chontemplar le gran cose (165); poi, nel quarto, Né ’n
ciascun mie pensiero (169), Già non biasim’amor (171) e Nessun ponga sperança (170). Le
109. La differenza nello stile notazionale visibile tra le composizioni di Giovanni contenute nel quinto
fascicolo (specialmente Nascoso ’l viso e Appress’un fiume chiaro) e le altre del quinione successivo non sarebbe
dunque attribuibile a un’iniziativa del copista C, ma probabilmente a una diversa provenienza dei pezzi.
Dato il carattere particolarmente arcaicizzante della notazione di alcune delle composizioni di Giovanni del
fascicolo 6 (la sezione a lui dedicata, non senza significato, sarebbe iniziata nel vecchio piano di compilazio-
ne con O tu chara scientia mie, musica) – oltre alle significative concordanze con Rossi (Quando l’aria di Piero
e De sotto ’l verde concordano solo con Rossi) e l’alta concentrazione di unica (4) – si potrebbe ipotizzare che
si sia attinto ad antigrafi nordici, con musica di più rara circolazione, mentre sarebbero stati utilizzati
antigrafi ‘fiorentini’ per il fascicolo 5 (nessun unicum, pezzi di larga diffusione). Uno dei punti di forza del
lavoro di Nádas su Fp sta certamente nella ridefinizione del ruolo dei copisti nella determinazione dello
stile notazionale. A suo parere la libertà interpretativa degli scribi potrebbe essersi spinta fino al punto di
effettuare trasposizioni dalla notazione italiana più antica alla forma mista di elementi francesi, direttamen-
te dall’antigrafo ad Fp: «One might expect the point of change (i.e., the change of notational language) to
have taken place in the lost exemplars rather than in our extant sources, especially given the retrospective
character of the latter, but it might be suggested that in view of evidence of scribal practices, FP and other
surviving sources (at least in some cases), rather than their exemplars, are the point of change» (Nádas
1985, p. 109). Una affermazione questa che modifica in modo sostanziale la nostra concezione dei mano-
scritti arsnovistici superstiti, ma basata in larga parte sull’analisi della versione di Fp del madrigale di
Giovanni Nascoso ’l viso, risaputa crux notazionale, che il copista C avrebbe ‘modernizzato’ intervenendo
radicalmente sulla notazione. Nascoso ’l viso è però, come abbiamo visto, copiata da due mani diverse, circo-
stanza che pone un ostacolo quasi insormontabile all’interpretazione di Nádas (bisogna registrare anche un
parziale ripensamento espresso da Nádas su tali questioni in Nádas, Il codice Squarcialupi, p. 78, nota 121).
Vorrei ritornare approfonditamente in altra sede sul ruolo dei copisti, ma posso anticipare che le mie con-
vinzioni divergono sostanzialmente da quelle di Nádas: il processo di copia, quale ci è testimoniato nelle
fonti attualmente disponibili, non ha previsto che interventi di modificazione limitati, quantomeno a livel-
lo di notazione e certo non si è spinto fino alla trasformazione del ‘dialetto notazionale’. Maggiori libertà
sono state forse consentite nella disposizione del testo poetico, magari fino al caso limite di non inserire il
testo sotto alcune delle voci.
108 STEFANO CAMPAGNOLO

piccole discrepanze nell’ordinamento possono essere dovute a fenomeni meccanici


di trasmissione: un lontano antigrafo comune potrebbe aver avuto tre composizio-
ni disposte su due pagine aperte verso e recto che i copisti potrebbero aver copiato
con altro ordine, inserendone soltanto due sulle pagine affacciate.
La diversa posizione tra Fp e Pit di Amar si li alti e Chontemplar le gran cose, è
spiegabile invece col fatto che queste ballate sono a tre voci come le ultime del
gruppo, e, come abbiamo visto fare anche al copista A, le ballate vengono sempre
distinte a seconda del numero delle voci, anteponendo quelle a due.
Riassumendo, credo che in Fp si prevedesse in origine una disposizione del
materiale secondo il consueto ordinamento cronologico, ma tale determinazione,
per motivi non precisabili, è stata abbandonata in una certa fase della redazione
a favore di un ordinamento in cui vien data grande preminenza alla figura di
Landini110.
Se così fu, allora l’ordine di copia dei fascicoli deve esser stato il seguente: 1, 3,
6-10, (i quinioni 1 e 3 sono stati preparati contemporaneamente ai quinioni 6-
10), 4, 5, 2, 11.
Dal quarto quinione in poi la copia di Fp è effettuata utilizzando fascicoli già
legati, non scorgendosi più traccia delle procedure tipiche del lavoro di A, ma
anzi si fa notare la scelta dei copisti di preferire al più spesso la scrittura su due
pagine affiancate verso-recto. Tutto ciò contrasta fortemente con la struttura del-
la sezione di Landini. Questa circostanza potrebbe far tornare d’attualità una
vecchia idea di Friedrich Ludwig111, cioè che Fp possa essere copia fedele di un
manoscritto più antico. Lasciando a sé la sezione landiniana e il fascicolo delle
cacce (in ogni caso isolato nel piano di compilazione), i quinioni 6-9 o anche
soltanto la parte comprendente le opere dei tre compositori più antichi (Giovan-
ni, Piero e Jacopo) con esclusione dei fiorentini, potrebbero davvero essere deri-
vati da un codice di analoga consistenza, palesandosi una struttura di copia
meditata nella quale i copisti dimostrano avere idea esatta della quantità e della
successione del materiale112. Questo dunque potrebbe essere stato il nucleo attor-
no al quale si è sviluppata la redazione dell’intero codice.

4. La trasmissione delle opere di Landini e la storia di Fp


Ricostruita per mani la redazione del manoscritto e ipotizzato quello che po-
teva essere il piano di compilazione originario, resta da vedere quali conseguenze
derivano dai dati esposti, soprattutto all’interno della tradizione landiniana.
110. Così come la struttura di Fp è leggibile duplicemente – cioè come ordinata successione di forme
poetico-musicali con una principale articolazione che distingue ballate e madrigali, o come raccolta siste-
matica di composizioni di Landini seguita da antologia storica – così il rivolgimento del piano compilativo
potrebbe altrimenti leggersi come prevalenza della forma-ballata sulla forma-madrigale.
111. Machaut, Musikalische Werke, II, p. 28.
112. Potrebbe derivare da questo antigrafo anche l’alternanza di composizioni di Giovanni, Piero e
Jacopo che si oppone all’ordine che regna nella sezione dei fiorentini Lorenzo, Donato e Gherardello.
IL CODICE PANCIATICHI 26 109

Nell’analisi paleografica l’elemento principale è certo l’aver escluso che il copista


dell’indice sia identificabile con alcuna delle mani che intervengono nella copia
delle musiche, tra esse comprendendo anche le addizioni di composizioni france-
si. L’attribuzione dell’indice a una mano diversa da quella di D ha conseguenze
di grandissimo rilievo sulla datazione del manoscritto. È evidente che accettando
l’ipotesi di Nádas è necessario concordare per una datazione di Fp a ridosso del
1400; diversamente, non potendo contare su evidenze paleografiche e
codicologiche, per datare il manoscritto diventano essenziali le considerazioni
relative al repertorio tràdito. A quale altezza cronologica può essere allora ragio-
nevolmente collocata la compilazione del corpo principale di Fp? La proposta di
datazione che trovo maggiormente convincente è ancora quella di Kurt von
Fischer: 1380-90113. Questa datazione è suscettibile di aggiustamenti in avan-
ti114, ma non eccessivamente: parecchi elementi concordano infatti nell’attribui-
re a Fp caratteri di vetustà115, a cominciare da tratti singolari quali la notazione
delle fines punctorum e l’indicazione «andare». Tali particolarità fanno pensare o a
una perifericità (non geografica) del codice – cioè a Fp come prodotto di un
circolo ristretto di musicisti con abitudini e usi tutti interni al gruppo – o a una
fase decisamente arcaica della ‘notazione fiorentina’ che non si spiegherebbe con
una datazione del manoscritto troppo vicina al 1400.
Si può notare come in molte occasioni abbia trovato comodo fare riferimento a
Pit. Le relazioni tra Fp e Pit sono molteplici, a partire dalla sopravvivenza in Pit
dell’uso dell’indicazione «andare», ma sono da sottolinearsi anche le significati-
ve concordanze di repertorio e ordinamento, così come la presenza di composi-
zioni di autori di più rara circolazione quali Ser Feo e Guglielmo di Francia.
Tuttavia anche le differenze tra Fp e Pit sono molto grandi, tali da far supporre
che fra i due manoscritti corra maggior tempo del lustro o poco più che li divide-
rebbe datando Fp al 1400.
Il corpo principale del manoscritto deve essere stato redatto in un breve arco
di tempo, probabilmente intorno al 1390, vivente Landini. Si ripropone così con

113. Dapprima von Fischer aveva optato per un arco cronologico più ampio (von Fischer, Studien, pp.
89-90, dove si propone 1380-1390), restringendolo poi proprio considerando in dettaglio le opere di Landini
(Id., Ein Versuch, pp. 31-46: 45-46, dove si propone 1380-1385/88), ma riprendendo la prima datazione in
RISM B IV/3-4, p. 835.
114. Una delle lacune in Fp considerate da von Fischer più significative, e che pare fungergli da terminus
ante quem per la datazione, è quella della ballata Orsù gentili spiriti, la quale, citata com’è nel Paradiso degli
Alberti (III-64), sarebbe da datarsi al 1389, anno in cui si svolge l’azione del romanzo. Bisogna tener presen-
te però che la scelta dell’anno in cui ambientare le vicende del Paradiso fu dettata a Giovanni Gherardi (nel
1425-1426, epoca in cui cominciò a stendere l’opera) da motivi ideali, vedendo egli riflesso in quella data
un momento particolarmente felice per la città di Firenze, per la sua stessa vita (era allora ventiduenne) e
soprattutto per la cultura scolastica di cui volle farsi portavoce a contrasto all’Umanesimo imperante, e non
può essere considerata alla lettera (cfr. A. Lanza, Introduzione, in Gherardi da Prato, Il Paradiso, pp. IX-L:
XXXVII e ss.).
115. Non si dimentichi la presenza, condivisa parzialmente solo con Rossi, delle composizioni di Piero,
che però stanno in Fp con uno stile di notazione fortemente modernizzato: si guardi ad esempio Sovra un
fiume reghale (61v-62r), notato in tempo imperfetto con prolazione perfetta e frequente alterazione della
minima.
110 STEFANO CAMPAGNOLO

forza, collocato Fp da presso al «felicissimo e grazioso anno»116 in cui corre il


romanzo di Giovanni Gherardi, l’interrogativo di fondo sull’origine del mano-
scritto: in che misura può esser stato prodotto nelle prossimità di Landini stesso?
Nella mia ricostruzione i copisti di Fp non paiono mostrare un accesso privile-
giato alle composizioni del Cieco: la mano A lavora inizialmente su una raccolta
di ballate di ampia circolazione, almeno a giudicare dalla quantità di attestazioni
superstiti. Delle 43 copiate nei quinioni primo e terzo solo una è in unicum117, e
soltanto otto trovano concordanza esclusivamente con Sq118, mentre sono presen-
ti quasi tutte le più diffuse. È con le addizioni successive, frutto evidente di una
faticosa ricognizione, che vengono rintracciate composizioni di più ristretta dif-
fusione: nel secondo fascicolo ci sono due unica e tre concordanze con il solo Sq su
un totale di otto ballate; nel quinto, su sei aggiunte alle carte con i madrigali,
ben tre sono in unicum e due concordano soltanto con Sq, a ulteriore dimostrazio-
ne che le inserzioni del secondo e del quinto quinione appartengono a una mede-
sima, tarda fase di redazione del codice119.
D’altra parte la collezione landiniana di Fp si dimostra di solidissima consi-
stenza: delle ventuno composizioni di Landini che non vi trovano posto e che non
sono attestate in unicum in altri codici, solo una è sopravvissuta in quattro
attestazioni (una ballata a due/tre voci)120; soltanto tre in tre testimoni (due bal-
late a due voci e il virelai)121 e diciassette in due (otto ballate a due, cinque a tre
e quattro madrigali)122.
Non si può escludere, datando Fp al 1390 circa, che alcune delle ballate inse-
rite in un secondo momento, così come alcune di quelle che vi mancano, appar-
tengano effettivamente all’ultima fase produttiva di Landini. A tale proposito,
John Nádas ha individuato una serie di ballate in cui Landini usa senhals che si
ritrovano anche in composizioni dei più giovani Paolo da Firenze e, in qualche
caso, Andrea de’ Servi123: delle nove che condividono tali senhals, tre mancano del
tutto in Fp (lacuna significativa, perché due di queste sono a tre voci e la colle-
zione delle ballate a tre vi sta quasi completa)124, le restanti, con l’esclusione di

116. Gherardi da Prato, Il Paradiso, III 11.


117. Amor in te spera’ già lungo tempo, a c. 29v.
118. Data l’enorme quantità di composizioni landiniane presenti in Sq – risultato di uno sforzo di
recensione eccezionale, sul cui significato si veda al § IV dello studio di Maria Caraci Vela in questa stessa
sede – è ovvio che il concordare di una composizione unicamente con Sq può considerarsi comunque indizio
certo di limitata circolazione.
119. Così come il fatto che delle diciassette ballate del quarto fascicolo solo due concordino soltanto con
Sq e nessuna sia in unicum rafforza la cronologia da me proposta per la copia.
120. La dolce vista che dagli occhi move su testo di Niccolò Soldanieri che compare in Pit, Sq, Lo e Reina.
121. Con riferimento al numero progressivo di Schrade 1958 si tratta dei numeri 70, 78 e 141.
122. Schrade 1958, nn. 43, 58, 59, 68, 79, 82, 88-89, 132-135, 140, 146-148, 150.
123. Cfr. Nádas 1985, pp. 311 e ss.
124. Si tratta di Amor, c’al tuo suggetto, Orsù, gentili spiriti a tre e L’onesta tuo biltà a due, con senhals
rispettivamente a ‘Lena’, ‘Cosa’ – o ‘Piera’ («Petra»): il senhal a ‘Cosa’ è nella versione della ballata presente
nel Paradiso degli Alberti («mirate d’esta Cosa suo bel viso»), ma nella versione di Sq il terzo verso legge
diversamente («mirate d’esta Petra el vago viso»: cfr. Corsi, Poesie musicali, p. 204) – e ‘Orsa’.
IL CODICE PANCIATICHI 26 111

Dè pon quest’amor giù (senhal a ‘Cosa’) che è nel primo fascicolo, sono tutte o nel
quarto125, o nel secondo126, oppure sono aggiunte nel resto del codice127.
In Fp la quantità di ballate a tre voci rispetto quelle a due è decisamente
squilibrata in percentuale sul totale: manca solo un quinto delle ballate a tre128,
ma ben più della metà di quelle a due129. Maria Caraci Vela, nel suo contributo in
questa miscellanea di studi, si sofferma sul numerosissimo gruppo di ballate a
due voci in unicum in Sq: tra esse sono rappresentate composizioni che, per carat-
tere e stile, sembrano coprire tutto l’arco di attività compositiva di Landini.
L’osservazione ci pone davanti all’ipotesi che il gruppo di ballate a due in unicum
in Sq abbia avuto una circolazione particolarmente limitata, per cui i compilato-
ri di Fp non vi hanno avuto accesso. Tuttavia non si può escludere che le compo-
sizioni presenti in Fp siano frutto di una selezione che ha privilegiato le ballate a
tre – quali maggiormente confacenti a un gusto fortemente orientato verso la
musica francese – su quelle a due, né si può escludere che fosse prevista l’inser-
zione di ulteriori ballate a due voci (e che a tal scopo fossero destinati sia il
secondo sia l’undicesimo fascicolo) e che il progetto non abbia avuto seguito. In
ogni caso credo che fosse pianificato il contenuto anche del fascicolo rimasto
bianco: non penso, stando al tipo di evoluzione che ha avuto la copia di Fp, che in
partenza ogni parte del codice non fosse esattamente determinata quanto a con-
tenuto130.
Quale che fosse il contenuto previsto per questa sezione, Fp appare per molti
aspetti come un’opera incompiuta: da un lato si legge nei compilatori uno spiri-
to da collezionisti che anima un’opera di ricerca in tutto simile a quella che ha
prodotto una raccolta come Sq131; dall’altro a questa ricerca si contrappone una

125. All’e s’andrà lo spirto, con senhal a ‘Sandra’ e Chosa nulla più fé e Che cos’è quest’amor ancora a ‘Cosa’,
tutte inserite di mano C.
126. S’andray sança merçè, pure a ‘Sandra’.
127. È il caso di Ma non s’andrà per questa donn’altera (a ‘Sandra’) inserita nella sezione dedicata a Jacopo
a c. 66v-67r.
128. Le ballate a tre o due-tre voci assenti in Fp sono dieci, ma una di queste (La dolce vista, per la quale
si veda a nota 120) ha il contratenor conservato solo in Reina, contratenor su cui grava il sospetto di non essere
d’autore (cfr. Schrade, Commentary, p. 94). Le carte del codice Manc scoperte da Nádas e Ziino e il frammen-
to di Siviglia (Sev) hanno inoltre portato altri contratenores pure spuri, ma di queste ballate (Po’ che da te mi
convien partir via e Fortuna ria amor e crudel donna) Fp conserva la versione a due voci, così come per Donna ’l
tuo partimento (a tre nelle altre due attestazioni note di Pit ed Sq).
129. Delle ottantanove ballate a due voci sono quaranta quelle in Fp.
130. Una possibilità è che l’undicesimo quinione dovesse contenere musica sacra. Del resto, la maggio-
ranza dei codici fiorentini (come Pit, Fsl e anche Lo) ha delle sezioni di musica sacra (facendo eccezione il
solo Sq), e il piccolo ciclo di Pit, collocato a fine manoscritto, appartiene alla generazione di compositori
pienamente attestata in Fp (Gherardello, Bartolo, Lorenzo).
131. Della stessa specie sembrano pure Fsl, F.5.5. e Cil. La recente scoperta di questi manoscritti testi-
monia che simili raccolte di grande estensione erano più numerose di quanto non si sospettasse. La sorte che
è toccata loro (Fsl è stato smembrato e raschiato per essere riutilizzato; di F.5.5. e Cil sono rimasti solo
frammenti perché impiegati a mo’ di guardia per delle legature, così come è accaduto a Manc) è significa-
tiva: la ricchezza e bellezza di Sq l’ha certo preservato da una fine analoga, e l’essere un manoscritto cartaceo,
quindi scarsamente riutilizzabile, sarà pure servito a proteggere Fp, ma la maggior parte delle collezioni di
questo tipo, perso il proprio valore d’uso, deve aver subito lo stesso destino dei recenti ritrovamenti.
112 STEFANO CAMPAGNOLO

frattura sul piano del contenuto, poiché manca tutta la generazione di composi-
tori successiva a quella di Landini. Certo, tutto si potrebbe spiegare con un mu-
tamento nei gusti del possessore del codice che forse cambia proprietario magari
semplicemente passando di padre in figlio132, ma altre ipotesi sono praticabili.
Le addizioni di musica francese forniscono elementi utili sulla storia del codi-
ce. Malgrado i copisti che hanno aggiunto composizioni in Fp siano numerosi, la
maggior parte delle inserzioni è frutto di due sole mani, quelle che Nádas ha
identificato con le lettere E ed F. La mano E – certamente la prima a lavorare
subito dopo i copisti principali, provvedendo a riempire la maggioranza degli
spazi utili a piè delle pagine già scritte con Machaut e alcuni unica – mostra
parecchie somiglianze con la mano D: potrebbe trattarsi dello stesso copista che
opera nuovamente trascorso qualche tempo con un ductus sostanzialmente muta-
to133. Ma le addizioni certamente più interessanti sono quelle fatte a piena pagi-
na dalla mano F, e particolarmente il gruppo di cinque pezzi consecutivi alle cc.
103v–108r, tutti contenuti in CH. Tre di questi (Le mont Aon de Trace, Tout clerité
m’est obscure e Pluseurs gens voy qui leur pensée) concordano solo con questo codice,
ma se aggiungiamo anche Cigne vermeill, cigne de tres haut pris, una ballade copiata
dalle mani G/G’ a c. 101v-102r, sono quattro, su un totale di otto concordanze
complessive134, le composizioni che CH condivide unicamente con Fp.
Se la relazione tra Fp e CH appare certa – Gordon Greene, sulla base della
collazione, la dice particolarmente stretta135: sono soddisfatti dunque entrambi i
requisiti necessari per considerare correlati due testimoni, ovvero la condivisione
di parte del repertorio e la presenza di lezioni o errori congiuntivi – è vero pure
che le certezze possedute su CH non sono molte. Il codice di Chantilly è un
manoscritto incompleto nella decorazione e che ha subito manipolazioni profon-
de136: il fascicolo di apertura avrebbe dovuto essere quello che reca la miniatura,

132. Come avviene nel caso di CH, per cui si veda a seguire.
133. Se davvero mano D e mano E sono identificabili, implicando che il codice è rimasto per un lungo
tempo nella disponibilità di uno stesso copista, acquisterebbe maggior significato l’annotazione «musicha
mia» della c. 95r, che potrebbe in tal caso essere vista come una vera e propria nota di possesso.
134. Sono le composizioni numero 156, 176, 178, 180, 181, 182, 183 e 184. Le composizioni numero
156 e 176 sono copiate di mano E, ma non sono particolarmente significative perché di larghissima attesta-
zione.
135. French Secular Music: Manuscript Chantilly, Musée Condé 564, ed. by Gordon K. Greene, texts ed. by
Terence Scully, L’Oiseau-Lyre, Monaco 1981 (Polyphonic Music of the Fourteenth Century, 18). Nel com-
mentare Le Mont Aon (Fp cc. 103v-104r), Greene afferma che «The argument for there having been a close
relationship between CH 564 and Fn 26 is strengthened by observing a minor correction that occurred in
both MSS. The two red SB [bianche in Fp] e d (bars 68-69) are corrections added after something else was
erased [...]» (p. 153); di Je ne puis avoir plaisir (Fp cc. 104v-105r) Greene (p. 154) dice che: «Fn 26 is almost
identical with CH 564», e ancora ribadisce (ibidem) a proposito di Medee fut en amer meritable (Fp cc. 107v-
108r): «The notational features of Fn 26 are very similar to CH 564 indicating a close relationship between
the two MSS.».
136. La descrizione che qui si dà di CH si rifà integralmente alla revisione di Ursula Günther delle
precedenti teorie sul codice: U. Günther, Unusual Phenomena in the Transmission of Late 14th Century Polyphonic
Music, «Musica disciplina», XXXVIII 1984, pp. 87-118. La tesi è ancora recentissimamente ribadita in
forma immutata nella sostanza nella voce di M. C. Gómez-U. Günther, Ars Nova, § II: Ars Subtilior in Die
IL CODICE PANCIATICHI 26 113

a c. 37, in cui è probabilmente effigiato il nobile signore per cui deve essere stato
originariamente preparato. Questo primo committente era con ogni probabilità
un italiano – come deduce Ursula Günther, dall’analisi dell’insegna araldica rap-
presentata – così come è un italiano il primo possessore accertato del codice,
Francesco d’Altobianco degli Alberti, il quale alla data del 18 di luglio 1461 ne
fece dono, come si evince da una nota nel manoscritto, al figlio naturale Ladislao.
Il repertorio di CH risale alla fine del secolo XIV: il terminus post quem per la
datazione è posto al 1393-95137, ma nel ’400 sono state aggiunti dei nuovi fogli
con l’indice del contenuto e le composizioni di Baude Cordier tra cui il celeberrimo
‘cuore musicale’ con cui si apre ora il codice. Lo stile della decorazione, la grafia,
l’uso di un esagramma per la musica e la profonda corruttela dei testi francesi
evidente nella parte più antica del manoscritto, fanno ritenere che i copisti fosse-
ro degli italiani. Di contro, la sezione aggiunta posteriormente tradisce una pro-
venienza francese e certe caratteristiche paleografiche fanno supporre che questa
parte del manoscritto possa essere stata redatta ben addentro nel ’400.
Puntualizzando infine il proprio punto di vista, la Günther ipotizza che CH
potrebbe essere la copia realizzata da un copista italiano in Francia (se anteriore
al 1428) o addirittura redatta in Italia dopo il 1428, di un manoscritto (o di una
serie di fascicle-manuscripts) portato dalla Francia (Parigi probabilmente, o
Montpellier) da Francesco d’Altobianco degli Alberti, e che fu concluso con l’ad-
dizione delle composizioni di Cordier forse in occasione delle nozze di Francesco
avvenute nel 1432 con una Nanna di Bernardo dei Bardi. L’ipotesi della Günther
è basata soprattutto sull’analisi delle note vicende degli Alberti, i mercanti e
banchieri fiorentini i quali, persa una lunga contesa con gli Albizzi, furono nel
1401 banditi da Firenze e costretti all’esilio in Francia fino al 1428138, data nella
quale furono ritirati i bandi fatti a loro danno e consentito loro il ritorno in
patria.
Stando alla Günther l’inserzione delle composizioni di mano F e G in Fp sa-
rebbe avvenuta a quell’altezza cronologica, utilizzando le stesse fonti generatrici
usate per CH o altre comunque da esse derivate139.
Per parte mia, vorrei richiamare l’attenzione sullo stile di copia della mano G
in Cigne vermeill140: la capitale ittiomorfa del superius così come la cadella con

Musik in Geschichte und Gegenwart... neuearbeitet Ausgabe, I, coll. 892-918 (da consultare pure per la numerosa
bibliografia su CH).
137. Il termine è dato dalla ballade Se Alixandre et Hector scritta per Mathieu de Foix (cfr. Günther,
Unusual Phenomena, p. 89).
138. Sulle vicende dell’esilio degli Alberti si veda S. F. Baxendale, Exile in Practice: The Alberti Family In
and Out of Florence 1401-1428, «Renaissance Quarterly», XLIV 1991, pp. 720-756.
139. Cfr. Günther, Unusual Phenomena, p. 100. Certe discordanze tra Fp e CH si spiegano, secondo
Ursula Günther, con l’utilizzo di un antigrafo scritto su cinque linee (ibidem).
140. Molto opportuna la distinzione di Nádas tra le mani G e G’: il contra di c. 102r è certamente d’altra
mano, la stessa che copia poi superius e tenor di Je prins conget della carta successiva. Ma anche il contra di
quest’ultima composizione, a giudicare dalla forma dei custodes, è forse opera di un ulteriore copista.
114 STEFANO CAMPAGNOLO

profilo virile del tenor nella stessa pagina, e la decorazione della capitale della c.
102v, richiamano CH molto da vicino, ricordandone lo stile d’illustrazione, e
inoltre c’è una buona somiglianza tra la mano dell’indice di Fp e quella dell’indi-
ce di CH. Si può notare una affinità stilistica maggiormente pronunciata in par-
ticolare tra le capitali delle composizioni di Baude Cordier e la J iniziale di Je
prins conget d’amours en souspirant. Questo tipo di decorazione, afferma la Günther,
oltre a essere certamente quattrocentesca è anche spiccatamente francese, così
come lo è la grafia del testo di c. 101v141.
La tarda datazione fatta dalla Günther delle parti aggiunte in CH e le somi-
glianze paleografiche con Fp che ho richiamato servono a fare ipotesi sulla storia
più recente del nostro manoscritto: è probabile che, mentre le addizioni della
mano E potrebbero essere di poco successive a quelle del corpo principale del
codice e quindi da datare all’ultimo decennio del XIV secolo, le composizioni di
mano F e G, a giudicare dallo stile della grafia e della decorazione, siano da
datarsi tra il 1420 e il 1430, epoca in cui il codice deve aver assunto, redatto
l’indice e inserita la numerazione delle carte, la forma che oggi presenta.
Quanto alla connessione di Fp con Landini, credo che la relazione di Fp con gli
Alberti, per il tramite di CH – su cui si è già soffermato Michael Long rifacendo
la storia dei possessori del manoscritto di Chantilly142, ma, molto prudentemente,
senza stabilire che una semplice e generica relazione d’ambiente col codice
panciatichiano – si possa invece spingere più a fondo e ipotizzare per questo che
Fp sia stato nelle disponibilità della stessa famiglia Alberti. Ci sarebbe così una
facile spiegazione per l’enfasi data alla figura di Landini, ma oltre a ciò si aprireb-
be il campo all’ipotesi certamente affascinante che parte delle addizioni siano
state fatte direttamente in Francia143. Dato che Fp, che non ha nessuno dei tratti
tipici dei codici ostensivi, mostra un carattere eminentemente pratico, potrebbe
essere stato trattato come un bene d’uso e dunque aver viaggiato al seguito dei
suoi proprietari, come un vero e proprio canzoniere quanto mai adatto a ricorda-
re cultura e costumi della casa d’origine a una famiglia esule, per fare poi ritorno
a Firenze a ’400 inoltrato.

141. Si vedano gli esempi che la Günther porta a corroborare la sua ipotesi (Günther, Unusual Phenomena,
tavola 8), ripresi da un manoscritto di Pierre Salmon. Il copista di Cigne vermeill secondo Federico Ghisi era
senza dubbio un «amanuense francese del XV secolo» (Ghisi, Poesie musicali, p. 278).
142. Long, Musical Tastes, pp. 185-189.
143. In Francia potrebbero essere state copiate le composizioni di mano G ed F. Bisogna inoltre conside-
rare come anche Pit del resto abbia preso la via della Francia in epoca imprecisata. Il fatto che i compilatori
di Sq non abbiano potuto attingere ad alcuno degli altri manoscritti fiorentini potrebbe essere spiegabile
con l’indisponibilità fisica, temporanea nel caso di Fp, dei codici. C’è da aggiungere però, per quanto
riguarda la mano F, che questo copista inserisce anche due composizioni probabilmente di autore italiano
alle cc. 16-17r, a giudicare dall’incipit di una di queste (O lieta stella), e se il Marcus cui è attribuita l’altra
è davvero identificabile con un cantore registrato in Santa Reparata nel 1410 (cfr. Gallo, Premessa, p. 8),
queste circostanze spingerebbero decisamente per una stabile permanenza di Fp a Firenze.
APPENDICE: INDICE DEL MANOSCRITTO PANCIATICHIANO 26 115

APPENDICE

Indice del manoscritto Panciatichi 26


della Biblioteca Nazionale di Firenze

L’indice, necessario per favorire la piena comprensione dello studio sul codice, riporta
nell’ordine:
- la numerazione progressiva della composizione (che rispecchia quella RISM B IV/3-4);
- la collocazione per carte nel manoscritto;
- il nome del compositore così come è riportato nel manoscritto, sciolte tacitamente
le abbreviature;
- l’incipit della composizione preso dalla voce superiore e trascritto diplomaticamen-
te con scioglimento tacito delle abbreviature, separazione delle parole, aggiunta di ac-
centi ortofonici e apostrofi per indicare l’elisione, normalizzazione dell’uso delle maiuscole
per i nomi propri. Le necessarie integrazioni sono in parentesi quadre.
- Infine, credendo di fare cosa utile al lettore, ho inserito l’elenco delle concordanze
per le sole composizioni italiane con i codici o i frammenti venuti alla luce dopo il 1981
(Fsl, F.5.5, e le nuove carte del Manc), quindi dopo l’indice dettagliato redatto da Alber-
to Gallo per l’edizione fotografica (Il codice Panciatichi 26), cui sarà necessario comunque
fare ricorso per il panorama completo dei manoscritti concordanti (i nuovi dati sono
ripresi da Nádas 1985 e da The Lucca Codex). La numerazione per carte di Fsl, codice
palinsesto, è relativa all’attuale foliazione.
- La presenza di un asterisco specifica che la composizione è in unicum. Le sigle di
riferimento sono quelle poste prima della nota 1.
- Per le composizioni francesi ho aggiunto inoltre l’indicazione del copista ripresa da
Nádas 1985.

1) 1r Magister Francesco de Florentia, 10) 5r Magister Francesco, Poi che da te mi


Donna s’i’ t’ò fallito convien partir via [Manc c. LIIr]
2) 1v Magister Francesco, Già per ch’i’ pen- 11) 5v Magister Francesco, Per allegreça del
so nella tuo partita parlar d’amore
3) 2r Magister Francesco, De pon quest’amor 12) 5v-6r [Magister Francesco], Donna ’l tuo
giù partimento
4) 2v Magister Francesco, Non creder don- 13) 6r Magister Francesco, La bionda treccia
na che nessuna sia di fin or colore
5) 2v-3r [Magister Francesco], Donna l’ani- 14) 6v Magister Francesco, Sia maladetta
mo tuo pur fugge amore l’ora e ’l dì ch’io venni
6) 3r Magister Francesco, Per servar umiltà 15) 7r Magister Francesco, Gli occhi che ’n
la mente spera [Fsl c. 109v] prima tanto bel piacere [Fsl c. 106v]
7) 3v Magister Francesco, D’amor mi bia- 16) 6v-7r [Guglielmo di Francia], Tutta so-
smo chi che se ne lodi letta si già mormorando
8) 4r Magister Francesco, L’anticha fiam- 17) 7v Magister Francesco, Donna se ’l cor
ma e ’l dolce disio t’ò dato
9) 4v Magister Francesco, Non per fallir di 18) 8r Magister Francesco, S’i’ ti son stat’e
me tuo vista pia vogli’ esser fedele [Fsl c. 109r]
116 STEFANO CAMPAGNOLO

19) 7v-8r [Magister Francesco], Or è ·ttal 45) 24r Magister Francesco, Non dò la colp’a
l’alma mia te del duol ch’i porto
20) 8v Magister Francesco, Ama donna chi 46) 24v Magister Francesco, El mie dolce so-
t’ama ’n pura fede spir qual move ’l core
21) 9r Magister Francesco, Va pure amore colle 47) 25r Magister Francesco, Giunta vaga
reti tue [Fsl c. 103r] biltà con gentileça
22) 9v Magister Francesco, Po’ ch’amor ne’ 48) 25v Magister Francesco, Charo singnior
begli ochi più non veggio palesa
23) 10r Magister Francesco, Fortuna ria amor 49) 26r Magister Francesco, Gram piant’agli
e crudel donna ochi greve dogli’ al core
24) 10v Magister Francesco, Vita non è più 50) 26v Magister Francesco, Quanto più caro
miser né più ria [Fsl c. 100r] fay [Fsl c. A]
25) 11r Ser Feo, Già molte volte amore* 51) 26v-27r Magister Francesco, La mente
26) 10v-11r Magister Francesco, Vagha fan- mi riprende
ciulla leggiadr’ e veççosa 52) 27v-28r Magister Francesco, Gientil
27) 11v Magister Francesco, Chi pregio vuol aspetto in cu’ la mente mia
in virtù pong’ amore [F.5.5, c. 137v] 53) 27v-28r Magister Francesco, Partesi con
28) 12r Magister Francesco, De volgi gli oc- dolore
chi a me donna per chui 54) 28v Magister Francesco, Lasso di donna
29) 12v Magister Francesco, Se pronto non vana inamorato
sarà l’uom al ben fare [Fsl c. 103v] 55) 29r Magister Francesco, S’i’ fossi certo del
30) 13r Magister Francesco, L’alma leggia- dover morire
dra del tuo viso pio 56) 29v Magister Francesco, Amor in te spera’
31) 13v Magister Francesco, Donna la mente già lungo tempo*
mia è sì ’nvaghita* 57) 30r Magister Francesco, Per che di novo
32) 14r Magister Francesco, S’andray sança sdegno- Per che tuo servo e suggetto mi tengno-
merçè di tempo ’n tempo [Fsl c. 100v] Vendetta far dovrei
33) 14v [Johannes Cesaris], Bonté bialté Co- 58) 30v Magister Francesco, Non n’avrà ma’
pista I pietà questa mie donna
34) 15r-15v Le firmament* Copista I 59) 31r Magister Francesco, El gran disi’ e
35) 16v Marcus, [rondeau]* Copista F ·lla dolçe sperança
36) 17r Do [?], O lieta stella* Copista F 60) 31v Magister Francesco, L’alma mie
37) 17v-18r [Guillaume Dufay], Invidia piang’ e mai non può ’ver pace [Fsl c. 503,
nimica de ciaschun virtuoso Copista I Manc c. XLIXv]
38) 20r Magister Francesco, Se merçè donna 61) 32r Magister Francesco, De non fuggir
merita ’l servire* dame tuo vaga vista
39) 21r Magister Francesco, Guard’ una vol- 62) 32v Magister Francesco, Conviensi a fede
ta ’n cià verso ’l tuo servo fé conviens’ amore
40) 21v Magister Francesco, Per seguir la 63) 33r Magister Francesco, Donna i’ prego
sperança che m’ancide amor il qual m’à facto
41) 22r Magister Francesco, Quel sol che rag- 64) 34r Magister Francesco, Amor in huom
gia sempre nel cor mio gentil è una luce
42) 22v Magister Francesco, Questa fan- 65) 34v Magister Francesco, O fanciulla giul-
ciull’amor fallami pia lia [Fsl c. B]
43) 23r Magister Francesco, Po’ che partir 66) 35r Francesco da Firenze, Posto che dal-
convienmi donna chara [Fsl c. 106r] l’aspetto sì allungato
44) 23v Magister Francesco, Nella mi’ vita 67) 35v Magister Francesco, Chosa nulla più
sento men venire fé ch’amor richiede [F.5.5, c. 138r]
IL CODICE PANCIATICHI 26 117

68) 36r Magister Francesco, Donna per far- 91) 48v-49r Magister Francesco, Chom’ a
mi guerra o per mal dire seguir costei amor fu presto
69) 36v-37r Magister Francesco, Che pen’ è 92) 49v-50r Magister Giovanni de Floren-
quest’ al cor che sì non posso [Fsl c. 41v, tia, Nascoso ’l viso stava ’nfra ·lle fronde
F.5.5, c. 138v] [Fsl cc. 19v-20r]
70) 36v-37r Magister Francesco, Che cosa è 93) 49v-50r Magister Francesco, Cholgli ochi
quest’amor che ’l ciel produce assai ne miro [F.5.5, c. 138v]
71) 37v-38r Magister Francesco, A·lle’ s’an- 94) 50v Magister Giovanni de Florentia,
drà lo spirto e l’alma mia Appress’ un fiume chiaro [Fsl cc. 2v-3r]
72) 38r Frate Antonio da Civitate, Longs 95) 51r De sotto ’l verde vidi gli ochi vaghi
temps [j ay mis mon cuer mon pensement] 96) 51v-52r Magister Giovanni, O tu chara
Copista H sciença mie musica [Fsl cc. 3v-4r]
73) 38v Magister Francesco, Né ’n ciascun 97) 52v-53r Magister Giovanni, Sedendo al-
mie pensiero [Fsl c. 89v] l’ombra d’una bella mandorla
74) 39r Magister Francesco, Già non bia- 98) 52v-53r Magister Giovanni, De come
sim’amor po’ che ’l mio petto dolcemente m’abracciava*
75) 39v Magister Francesco, Divennon gli 99) 53v-54r Magister Giovanni, Più non mi
ochi mie nel partir duro* curo della tua rampongna [Fsl cc. 4v-5r]
76) 40r Magister Francesco, Nessun ponga 100) 53v-54r Magister Francesco, I’ fu’ tuo
sperança [Fsl c. Av] servo amore in verde etate
77) 40v Le doulz prinstemps quant par nature 101) 54v Magister Giovanni, Quando la stel-
vient* la pres’a l’alba spira*
78) 41v-42r Magister Francesco [de] Floren- 102) 55r Magister Giovanni, Nel meço a sey
tia, Fa metter bando e comandar amore paghon ne vid’un biancho
79) 41v-42r Magister Francesco, I’ non ar- 103) 55v-56r Magister Giovanni, Togliendo
discho mostrare ’l tormento* l’un’ all’altra fogli’ e fiori [Fsl c. 18v-
80) 42v-43r Magister Francesco, Tu che 19r]
l’oper’altru’ vuo’ giudicare 104) 56r Magister Francesco, Nella partita
81) 42v-43r Magister Francesco, Perché vir- pianson gli ochi miei
tù fa l’uom costant’ e forte* 105) 56v-57r Magister Giovanni, Donna già
82) 43v-44r Magister Francesco, O pianta fu leggiadra ’nnamorata [Fsl cc. 20v-1r]
vagha che nell’alto monte 106) 57v-58r Magister Giovanni, O perlaro
83) 44v-45r Magister Francesco, Si dolce non gentil se dispogliato [Fsl cc. 1v-2r]
sonò cho’ ·llir’ Orfeo 107) 57v-58r Magister Piero, Quando l’aria
84) 45v-46r Magister Francesco, Così pen- cominci’ a farsi bruna
soso chom’amor mi guida 108) 58v-59r Magister Giovanni, Per
85) 46r Magister Francesco, Già ebbi liber- ridd’andando ratto al terço cerchio*
tate* 109) 59v-60r Magister Giovanni, In sulla
86) 46v-47r Magister Francesco, Non a ripa del dorato fiume*
Narcisso fu più amar lo specchio 110) 60r [Guillame de Machaut], Se vos
87) 46v-47r Magister Francesco, Il suo bel n’estes pour mon gueredonée Copista E
viso che guardar mi tolglie 111) 60v Magister Piero, All’onbra d’un per-
88) 47v-48r Magister Giovanni, La bella laro*
stella che suo fiamma tene [Fsl cc. 17v- 112) 61r Magister Jacopo da Bologna, Tan-
18r] to che sete aquistati nel giusto [Fsl cc. 14v-
89) 47v-48r I’ son un pellegrin che vo cerchando 15r]
90) 48v-49r Magister Giovanni, Angnel son 113) 61v-62r Magister Piero, Sovra un fiu-
biancho e vo belando be [Fsl cc. 16v-17r] me reghale*
118 STEFANO CAMPAGNOLO

114) 61v-62r Rose sans perdre toutes* Copista E 135) 73v-74r Magister Jacopo da Bologna,
115) 62v-63r Magister Jacopo da Bologna, Um bel sparver çentil di penna bianca [Fsl
O dolce appresso un bel perlaro fiume [Fsl c. 47v]
c. 46v] 136) 73v-74r Jour a yuour la vie Copista E
116) 63r Magister Francescho, Amar sì li alti 137) 74v-75r Magister Jacopo da Bologna,
tuo genti[l] costumi Nel mio parlar di questa donn’eterna*
117) 63v Magister Jacopo da Bologna, Nel 138) 75v-76r Ser Lorenço, Sovra la riva d’un
bel giardino che l’Adice cinge [Fsl cc. 43v- corrente fiume
44r] 139) 75v-76r [Guillaume de Machaut],
118) 64r Magister Jacopo da Bologna, O in Honte paour doubranche de mesfayre Co-
Ytalia felice Luguria [Fsl c. 47r] pista E
119) 64v Magister Jacopo da Bologna, Io mi 140) 76v-77r Ser Lorenço, A poste mosse vel-
son un che per le frasch’andando [Fsl c. tri e gran mastini
44v] 141) 77v-78r Ser Lorenço, Nel chiaro fiume
120) 65r Magister Jacopo, O ciecho mondo di dilectoso e bello
lusinghe pieno [Fsl cc. 12v-13r] 142) 77v-78r Simple regart en toutes doulz vis*
121) 65v-66r Magister Jacopo da Bologna, Copista E
Posando sopr’un’acqua in sonnio vidi 143) 78v-79r Ser Lorenço, Vidi nell’ombra
122) 66r Fra’ Bartolino, Per un verde boschetto d’una bella luce
123) 66v-67r Magister Jacopo da Bologna, 144) 79v-80r Ser Lorenço, Di riva riva mi
Prima virtut’ è constringer la lingua [Fsl guidav’amore
cc. 13v-14r] 145) 79v-80r Quiconques veilt d’amours ioir
124) 66v-67r Magister Francescho, Ma’ non Copista E
s’andrà per questa donn’altera [Manc c. 146) 80v Ser Donato, Come ’l potestu far dolce
XLIXr]
singnore*
125) 67v Magister Jacopo da Bologna, Lo 147) 81r Ser Donato, Un cane un’ocha e una
vechia paçça [Fsl c. 52r]
lume vostro dolce ’l mio singnore [Fsl c.
148) 81v-82r Ser Donato, Seguendo ’l canto
48r]
d’un uccel selvaggio [Fsl cc. 55v-56r]
126) 68r Magister Jacopo, Di novo è giunto
149) 82r Magister Francescho, Chontemplar
un cavalier errante
le gran cose c’è onesto
127) 68v-69r Magister Jacopo da Bologna, 150) 82v-83r Ser Donato, Sovran uccello se
Osellecto selvaggio per stagione [Fsl cc. fra tutti gli altri [Fsl cc. 53v-54r]
11v-12r] 151) 83v-84r Ser Donato, Lucida pecorella son
128) 69r Je languis d’amere mort Copista E canpata [Fsl cc. 54v-55r]
129) 69v Magister Jacopo da Bologna, In 152) 84v-85r Ser Donato, Con levrieri e ma-
su be’ fior in sulla verde fronde* stini e segugi e bracchi
130) 70r Idem Magister Jacopo, Per sparve- 153) 85v Ser Gherardello, Intrando ad abi-
rare tolsi el mio sparvero tar per una selva
131) 71v Magister Piero, Si com’al canto del- 154) 86r Ser Gherardello, Tosto che l’alba del
la bella Yguana* bel giorn’appare[Fsl cc. 83v-87r]
132) 71r Magister Jacopo da Bologna, Non 155) 86v-87r Ser Nicholò del Proposto, Nel
al su’ amante più Diana piaque meço già del mar la naviciella
133) 71v-72r Magister Jacopo da Bologna, 156) 86v-87r [Pierre de Molins], De ce que
Sotto l’imperio del possente prinçe [Fsl cc. fol pensé [souvent remaynt] Copista E
45v-46r] 157) 87v Ser Gherardello, Per prender caccia-
134) 72v-73r Magister Jacopo da Bologna, gion leççadra e bella
Ogelletto silvagio per stagione [Fsl cc. 15v- 158) 88r Magister Piero, Ongni dilecto e on-
16r] gni bel piaciere
IL CODICE PANCIATICHI 26 119

159) 88v-89r Ser Gherardello, Sotto verdi 172) 97v-98r Magister Giovanni, Nel boscho
fraschetti molt’augelli sença folglie*
160) 89v-90r Magister Francescho, Musicha 173) 98v-99r Magister Piero, Con dolce bra-
son che mi dolgo piangendo- Ciaschun vuol ma e con gran desio*
innarrar musical note- Gia furon le dol- 174) 99r Seghugi a corta e can per la foresta
ceççe mie pregiate 175) 99v [Guillame de Machaut], De toutes
161) 90v Quan ye voy le duç tens venir* flours m’avoit et de toutes fruis Copista E
162) 91r Magister Piero, Chavalchando chon 176) 100r [Guillame de Machaut], De petit
un giovine achorto* [po de nient volente] Copista E
163) 91v-92r Magister Jacopo da Bologna, 177) 100v En mon cuer est un blanc e[s]me pour-
Aquila altera ferma in su la vetta- Uccel trait* Copista E
di Dio insengna di giustitia- Creatura 178) 101v-102r Cigne vermeill Cigne de tres
gentile animal dengno [Fsl cc. 48v-49r] haut pris Copisti G, G’
164) 92v Magister Piero, Chon brachi assai e 179) 102v Je prins conget d’amours en souspi-
chon molti sparveri* rant* Copisti G’, G’’ (?)
165) 93r Magister Jacopo da Bologna, Giun- 180) 103v-104r Le mont Aon [de Trace doulz
ge ’l bel tempo della primavera* pais] Copista F
166) 93v-94r Magister Giovanni, Chon bra- 181) 104v-105r Je ne puis avoyr plasir Copi-
chi assai e chon molti sparveri* sta F
167) 94v Qui contre fortune Copista E 182) 105v-106r Tout clerité [m’est obscure]
168) 95r Magister Jacopo da Bologna, Sì Copista F
chome al chanto della bella Yguana 183) 106v-107r Solage, [Pluseurs gens voy qui
169) 95v-96r Magister Jacopo, In verde pra- leur pensée] Copista F
to a padilglon tenduti 184) 107v-108r Medea [fut en amer verita-
170) 96v-97r Magister Giovanni, Per lar- ble] Copista F
ghi prati e per gran boschi folti* 185) 108v-109r Bartolino da Padova, La
171) 97r [Guillame de Machaut], En amer doulse cere d’un fier animal Copista F [Fsl,
la doulce vie Copista E cc. 7v-8r].

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