Sei sulla pagina 1di 21

Claudio Monteverdi e l’origine dell’opera in musica

Claudio Monteverdi (1567-1643) fu una delle maggiori personalità della


storia della musica e la sua produzione segna il passaggio dallo stile rinascimentale a quello
barocco. Fu importante non solo perché contribuì grandemente alla nascita dell’opera con l’Orfeo,
primo capolavoro del genere, ma anche perché apportò numerose novità in altri generi come il
madrigale, nel quale riprese la monodia e inserì l’utilizzo degli strumenti in un genere prettamente
vocale. Nato a Cremona dove studiò con Marcantonio Ingegneri, trascorse la sua vita prima a
Mantova alla corte dei Gonzaga dove fu attivo dal 1590 al 1612, poi a Venezia dove morì dopo 30
anni di attività. La sua produzione molto ampia comprende 8 libri di madrigali, musica sacra e varie
opere in musica di cui ci rimangono oltre a Orfeo, Il ritorno di Ulisse in patria e L’incoronazione di
Poppea, entrambe degli anni ’40 del Seicento.
L'opera in musica è un genere teatrale in cui si uniscono parola, musica e azione scenica. Oggetto
della rappresentazione è un'azione drammatica presentata con l'ausilio di scenografie, costumi e
attraverso il canto. Il testo letterario che contiene il dialogo appositamente predisposto e le
didascalie è chiamato libretto. I cantanti sono accompagnati da un complesso strumentale che può
allargarsi fino a formare una grande orchestra sinfonica. L’opera in musica nasce a Firenze agli inizi
del Seicento dalla necessità di dare al linguaggio musicale una sempre più accentuata espressività,
principio che stava alla base della “nuova musica” in stile monodico. Dopo la grande stagione
polifonica dei secoli XV e XVI portata avanti dai maestri fiamminghi e dalle scuole polifoniche
italiane, sul finire del XVI secolo si ha l’esigenza di ritornare a un modo di scrittura musicale che
valorizzi la parola e ne metta in risalto le qualità espressive. Ciò si attua con i madrigali monodici e
le prime opere, tra cui l’Orfeo di Monteverdi. L’Orfeo è una favola in musica in cinque atti -
preceduti da una toccata strumentale e da un prologo - composta su libretto di Alessandro Striggio
junior che riprese il celebre mito greco con le dovute modifiche. Quest’opera fu molto apprezzata
dall’ambiente di fruizione: venne rappresentata per la prima volta a Mantova, presso il palazzo
ducale in occasione di una seduta dell’accademia degli Invaghiti il 24 febbraio del 1607, perciò in
un ambito omogeneo e selezionato e di carattere non ufficiale, dettato dalla ristrettezza
dell’uditorio. Alla corte dei Gonzaga fu accolta con entusiasmo, infatti fu lo stesso principe
Francesco Gonzaga, che ne è il dedicatario, a patrocinarne la composizione e l’esecuzione.
Monteverdi fu certamente appoggiato dalla corte mantovana, inoltre è proprio nel prologo
dell’opera che troviamo toni encomiastici nei confronti dei Gonzaga. L’opera si apre con una
toccata, il brano introduttivo orchestrale che nelle opere successive prenderà il nome di sinfonia di
apertura e si diversificherà per organico e carattere a seconda del periodo storico.
Il compositore stesso ha prescritto che questa si eseguisse tre volte prima del levare del sipario.
Successivo alla toccata è il prologo, strofico, cantato dalla figura allegorica della musica che si
presenta, espone l’argomento ed elogia i Gonzaga. La musica è l’elemento fondamentale di tutta
l’opera. Grazie al suo potere espressivo, Orfeo, mitico cantore, riesce ad ottenere qualcosa di
impensabile: entrare da vivo nel regno dei morti.
L’opera è divisa in 5 atti caratterizzati ognuno dall’intervento di un personaggio importante per il
susseguirsi degli eventi. Nel primo atto Orfeo ed Euridice si preparano alle nozze, nel secondo atto
una messaggera annuncia la morte di Euridice morsa da una serpe; nel terzo atto Orfeo ammansisce
Caronte col suo canto “Possente spirto”, nel quarto atto Plutone, dio degli inferi, consente ad Orfeo
di riportare in vita Euridice a patto di non voltarsi a guardarla prima di uscire dall’Ade. Ma Orfeo si
volta cercando di abbracciarla e lei scompare. Infine nel quinto atto Orfeo piange l’amata sui campi
della Tracia e appare Apollo che gli consente di contemplare per sempre il volto dell’amata nel
regno degli dei superni. Alla fine di ognuno degli atti venivano eseguiti dei brani strumentali,
chiamati sinfonie, che avevano la duplice funzione di anticipare il tono espressivo dell’atto seguente
e accompagnare il cambio di scena. Frequenti i ritornelli strumentali che si ripetono più volte.
Importante, oltre agli strumenti, era il coro che aveva la funzione di commento alla vicenda, quasi
come nelle tragedie greche dove il coro dialogava cantando con l’attore. Monteverdi utilizza
nell’Orfeo lo stile spiegato nella seconda pratica, cioè un nuovo modo di scrivere, in cui la musica
è al servizio della parola e non il contrario. Perciò, come nei madrigali precedenti, mantiene e
conferma l’importanza del rapporto musica-testo. Altra novità in campo musicale fu la definizione
del ruolo preciso degli strumenti: Monteverdi prescrive quali utilizzare e talora fornisce indicazioni
sulle modalità di impiego; è la prima volta nella storia dell’opera che compare un elenco, all’inizio
della partitura, degli strumenti da impiegare. Ad esempio prescrisse gli strumenti con timbro grave
come i tromboni, la viola da gamba e il regale1 per le scene infernali, mentre per le scene gioiose
con i pastori scelse invece strumenti dal timbro acuto come flauti, violini, arpe, clavicembali, viole
da braccio.

Uno dei pezzi più significativi e celebri dell’opera è “Possente spirto” nel terzo atto proprio a
metà dell’opera. Rappresenta la virtuosistica esibizione del mitico cantore Orfeo, teso a
commuovere Caronte che lo lascia poi entrare nel regno dei morti.
Questo brano solistico di Orfeo si configura come un’aria ancora però all’origine della sua storia.
L’aria è un brano cantabile e virtuosistico all’interno dell’opera, in cui il cantante esprime un
“affetto”, cioè un suo stato d’animo, un sentimento. Sarà la parte più seguita e apprezzata dal
pubblico.
1
Il regale è un piccolo organetto con un solo registro ad ancia battente, privo di risuonatori (o con risuonatori corti),
usato tra il XV e il XVII secolo.

2
La partitura presenta due parti di canto sovrapposte e una didascalia precisa: «Orfeo al suono del
Organo di legno, & un Chitarrone, canta una sola delle due parti». Le due parti vocali rivestono
due tipi di notazioni ritmiche differenti: la prima è in valori semplici (semibrevi, minime,
semiminime), l’altra in valori diminuiti molto virtuosistica («croma, biscroma treplicata»). La
prima voce presenta un modo di cantare detto cantar sodo, mentre la seconda propone le
diminuzioni, i passaggi e altri abbellimenti dei quali il virtuoso (senza dubbio Rasi) ornava il suo
canto al momento della prima rappresentazione mantovana.
In «Possente Spirto» il compositore impiega tre stili di canto, le più diverse forme di
accompagnamento e dei ritornelli con orchestrazione rinnovata, di una rara potenza espressiva.
Il testo comprende sei stanze, organizzate in cinque terzine seguite da una quartina conclusiva.
Il compositore ha ripartito simmetricamente queste sei stanze in due gruppi di tre. Le prime tre
esplorano lo stesso modo di canto (il cantar passeggiato) e il suo seguito di Ritornelli. Le ultime tre
vedono sparire i Ritornelli, e oppongono tre modi di canto (passeggiato, d’affetto, sodo) e tre
diversi tipi di accompagnamento. Il «cantar sodo» (che sarà tipico della scuola romana), è il cantare
in coro o comunque un canto semplice in cui i cantanti non hanno parti virtuosistiche; nel « cantar
d'affetto » (che sarà tipico della scuola napoletana) prevale l’espressività dei sentimenti; il «cantar
passeggiato» (che sarà tipico della scuola veneziana) punta invece su effetti solistici virtuosistici.
Le sei stanze sono poi costruite sullo stesso basso, e anche i tre Ritornelli poggiano su un basso
identico. In quest’aria Monteverdi unisce la voce solistica e gli strumenti a scopo espressivo. Gli
strumenti fioriscono la voce (in particolare nelle prime tre strofe si susseguono 2 violini, 2 cornetti,
2 arpe) e rendono maggiormente efficace la preghiera di Orfeo con una ricercatezza dimostrativa
che non ha riscontri. Qui si radunano le virtù estetiche e quelle comunicative e morali della musica:
l’ampio spiegamento di mezzi fonici le rappresenta e simboleggia acutamente.
Struttura
Stanza 1: «Possente Spirto» [cantar passeggiato]
Ritornello [8a]: Duoi violini
Stanza 2: «Non viv’io no» [cantar passeggiato]
Ritornello [8b]: Duoi cornetti
Stanza 3: «A lei volt’ho il cammin» [cantar passeggiato]
Ritornello [8c]: Arpa doppia
Stanza 4: «Orfeo son io» [cantar passeggiato]
Accompagnamento in trio: Violino, violino, basso da brazzo
Stanza 5: «O de le luci» [cantar d’affetto]
Accompagnamento: basso continuo solo
Stanza 6: «Sol tu nobile Dio» [cantar sodo]
Accompagnamento in modo di lira: tre Viole da braccio, & un contrabasso de Viola tocchi pian
piano.
La prima stanza ci rinvia alla nostra sfera umana. E’ accompagnata dai violini, strumento
emblematico di Orfeo, le cui volute verso il sovracuto figurano il «passaggio dell’anima verso
l’altra riva». La seconda evoca la morte e gli Inferi: quella di Euridice e quella, prossima, di Orfeo.
Allora si fanno sentire due strumenti infernali: due cornetti. La terza ci porta al Paradiso. L’arpa
diventa cetra, emblema dell’armonia universale. Per evocare la natura sovrumana del suo canto, la
voce di Orfeo si estende qui fino a coprire più di una dodicesima. Al centro della strofa su «tanta
bellezza» un vocalizzo vertiginoso discende da fa acuto al si bem. grave. All’inizio della quarta
stanza, Orfeo proferisce il suo nome, come se fosse caricato da una virtù magica. Tre parti di viole
da brazzo si fanno allora sentire e sono allusive alla sua lira. La quinta stanza, in cui Orfeo mescola
l’implorazione e il ricordo di Euridice, fa apparire un nuovo modo di cantare, usato per
l’espressione delle più forti passioni: il cantare d’affetto. L’ornamentazione virtuosa cessa, il
cantante sottolinea l’ampiezza del suo dolore con una pesante dissonanza quando esprime il suo
dolore, le sue «pene». Come ultima implorazione nella sesta stanza, Orfeo ricorre al canto più
semplice, il cantar sodo. Ma il canto è sostenuto dalla sua lira, figurato con le quattro parti degli

3
archi che suonano accordi tenuti su valori lunghi, in modo di lira: «Furno sonate le altre parti da
tre Viole da braccio, & un contrabasso da Viola tocchi pian piano.» Il canto si conclude con un
ultimo ornamento (trillo) su «invan». Orfeo avrebbe già preso consapevolezza che, nonostante i
suoi sforzi sovrumani, il suo canto non ha toccato il cuore di Caronte?

TESTO

Possente spirto, e formidabil nume,


Senza cui far passaggio a l'altra riva
Alma da corpo sciolta invan presume,

Non vivo io, no, che poi di vita è priva


Mia cara sposa, il cor non è più meco,
E senza cor com'esser può ch'io viva?

A lei volt'ho il cammin per l'aer cieco,


A l'inferno non già, ch'ovunque stassi
Tanta bellezza il paradiso ha seco.

Orfeo son io, che d'Euridice i passi


Segue per queste tenebrose arene,
Ove già mai per uom mortal non vassi.

O de le luci mie luci serene,


S'un vostro sguardo può tornarmi in vita,
Ahi, chi niega il conforto a le mie pene?

Sol tu, nobile Dio, puoi darmi aita,


Né temer dei, ché sopra un'aurea cetra
Sol di corde soavi armo le dita.
Contra cui rigida alma invan s'impetra.

Potrebbero piacerti anche