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Storia

della Musica
e del Teatro Musicale Moderno

a cura di
Angelo Fernando Galeano

Liceo Germana Erba


Teatro Nuovo Torino 


STORIA DELLA MUSICA !1


Introduzione
Questo non è un testo di Storia della Musica, ma una dispensa di supporto. Quello
che lo studente troverà in questa modesta pubblicazione è una serie di appunti e
linee guida di studio preorganizzate in vista delle lezioni scolastiche, che essendo di
carattere digressivo, non possono contenere molti dati e nozioni presenti nei
seguenti appunti ma dai seguenti appunti traggono spunto per la cronologia e la
trattazione degli argomenti per aggiungere e integrare ciò che non può essere
sempre messo nero su bianco.
I presenti appunti pertanto sono da considerarsi un canovaccio del programma
scolastico del corso di Storia della Musica, ma non sostitutivi della partecipazione
attenta e proficua alle lezioni. Sono presenti quindi tutti i dati e le informazioni di
carattere enciclopedico e nozionistico, nonché buona parte degli ascolti che verranno
proposti durante le lezioni con testo ed eventuale traduzione così da fornire una
scheda d’ascolto utile per la riproduzione personale dell’ascolto da parte dell’allievo.

AFG


STORIA DELLA MUSICA !2


Capitolo I

Il Medioevo
Nella Storia della Musica, la musica medievale è quella musica composta in Europa
durante il Medioevo, ovvero nel lungo periodo che va convenzionalmente dal V
secolo d.C, ossia dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C. al XV
secolo, ossia il 1492, data della riscoperta occidentale delle Americhe da parte della
spedizione di Cristoforo Colombo, ed è suddivisa in sottoperiodi che ne distinguono
lo sviluppo in quasi un millennio di cultura europea.

Il canto Gregoriano
Il canto gregoriano è un canto liturgico, solitamente interpretato da un coro di voci
bianche o maschili o da un solista chiamato cantore (cantor) o spesso dallo stesso
celebrante con la partecipazione di tutta l'assemblea liturgica.
È finalizzato a sostenere il testo liturgico in latino.
Deve essere cantato a cappella, cioè senza accompagnamento strumentale, poiché
ogni armonizzazione, anche se discreta, altera la struttura di questa musica.
In effetti si tratta di un canto omofono, più propriamente monodico, è una musica
cioè che esclude la simultaneità sonora di note diverse: ogni voce che lo esegue canta
all'unisono.
Non è cadenzato, ma è assolutamente ritmico. Il suo ritmo è molto vario,
contrariamente alla cadenza regolare della musica moderna. Il ritmo, che nel canto
gregoriano riveste un ruolo complesso, oltrepassa le parole e la musica, sorpassando
le due logiche. È una musica recitativa che predilige il testo in prosa, che prende
origine dal testo sacro e che favorisce la meditazione e l'interiorizzazione (ruminatio)
delle parole cantate. Il canto gregoriano non è un elemento ornamentale o
spettacolare che si aggiunge alla preghiera di una comunità orante, ma è parte
integrante della celebrazione liturgica di rito cattolico romano.
Il nome deriva dal papa benedettino Gregorio I Magno1. Secondo la tradizione, egli
raccolse ed ordinò i canti sacri in un volume detto Antifonarium Cento, legato con

1Papa Gregorio I, detto papa Gregorio Magno ovvero il Grande (Roma, 540 circa – Roma, 12 marzo 604), è
stato il 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica, dal 3 settembre 590 fino alla sua morte.

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una catena d'oro all'altare della Chiesa di San Pietro così da preservarne
l’inviolabilità, la cui copia originale andò persa durante le invasioni barbariche.
Più di recente, si è messa in dubbio non solo l'origine miracolosa dell'Antifonario,
ma la stessa derivazione da Gregorio.

Papa Gregorio Magno in un dipinto


di Antonello da Messina

Dalla carenza di testimonianze autografe dell'interesse


di Gregorio per quello che riguarda l'impianto dell'uso
della musica nel rito della messa, tranne una lettera
generica in cui si parla del rito britannico, sono
derivate altre ipotesi. Fra queste, vi è quella secondo
cui l’Antifonario, e la storia della sua origine,
sarebbero entrambi di origine carolingia, quindi
databili quasi due secoli dopo la morte di Gregorio, e farebbero parte dello sforzo di
unificazione del nascente Sacro Romano Impero: esistono infatti documenti che
attestano i tentativi degli imperatori carolingi di unificare i riti franco e romano.
Secondo questa ipotesi, attribuire la riforma ad un miracolo che coinvolgeva un papa
di grande fama come Gregorio sarebbe servito quale espediente per garantirne
l'accettazione universale e incondizionata.

Guido D’Arezzo
Guido d'Arezzo nacque intorno al 995 d.C. in un villaggio vicino a Pomposa
(Ferrara). Entrò nel monastero benedettino dell'abbazia di Pomposa e poi si trasferì
ad Arezzo, dove maturò il suo nuovo metodo per l'apprendimento del canto
liturgico, che espose al papa Giovanni XIX, il quale ne favorì la propagazione. Le sue
opere sono il Micrologus de Musica, considerato il più importante trattato musicale a
noi pervenuto del Medioevo e il Prologus in Antiphonarium nel quale l'Antifonario
gregoriano viene dato nella nuova notazione.
Guido d'Arezzo diede una soluzione ai molteplici tentativi di notazione diastematica
e fu una figura importante nella storia della notazione musicale, soprattutto per
l'impostazione del modo di leggere la musica: inventò il tetragramma e utilizzò la
notazione quadrata.
Diede inoltre un nome ai suoni dell'esacordo, con l'intento di aiutare i cantori a
intonare e memorizzare una melodia anche senza leggerne la notazione. A questo

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fine utilizzò l'inno Ut queant laxis, dedicato a san Giovanni Battista: Guido aveva
infatti osservato che i primi sei emistichi dell'inno hanno inizio ciascuno su un
diverso suono dell'esacordo, in progressione ascendente. Decise dunque di dare
come nome a ciascun suono la sillaba di testo corrispondente.

L’inno a San
Giovanni Battista
(Traduzione: affinché i fedeli possano
cantare con tutto lo slancio le tue gesta
meravigliose, liberali dal peccato che ha
contaminato il loro labbro,
o S. Giovanni.)

Successivamente la sillaba
ut fu sostituita con do:
l'artefice della sostituzione é
stato erroneamente
identificato in Giovanni
Battista Doni, il quale nel
XVII secolo avrebbe a
questo scopo impiegato la
prima sillaba del proprio
cognome; in realtà l'uso della sillaba do è attestato già nel 1536 (dunque molto prima
della nascita di Doni) in un testo di Pietro Aretino. Guido D'Arezzo realizzò anche il
sistema esacordale che non fu un sistema teorico, ma un metodo didattico, con la
funzione pratica di aiutare i cantori ad intonare i canti. Organizzò la successione
delle note in esacordi perché la maggior parte dei canti stavano nell'ambito di 6 note
ed erano le sei note che stavano nel tetragramma.

La Solmisazione
In precedenza le note erano denominate soltanto con una lettera dell'alfabeto latino,
uso tuttora in vigore nei paesi anglosassoni: partendo dal nostro DO la successione
delle note era C D E F G A B. Guido d'Arezzo utilizzò le sillabe dell'Inno a S.
Giovanni per indicare i gradi dell'esacordo, in modo che il semitono ascendente (E-F,
B-C, A-Bb) fosse sempre chiamato mi-fa e costituisse sempre il passaggio dal terzo al
quarto grado dell'esacordo.

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Quindi si solmisava ut, re, mi, fa, sol, la l'esacordo naturale C D E F G A B, ma anche
l'esacordo duro G A B C D E e l'esacordo molle F G A Bb C D.
Il sistema è piuttosto semplice finché si canta all'interno di un esacordo. Quando la
melodia supera i limiti dell'esacordo occorre passare da un primo esacordo a un
secondo.
La solmisazione consente, più che l'apprendimento dei canti, la corretta intonazione
degli intervalli secondo l'intonazione naturale degli armonici. Non solo il semitono
diatonico ascendente è sempre chiamato mi-fa, ma anche il tono presente tra I e II
grado e tra IV e V grado dell'esacordo è sempre chiamato ut-re o fa-sol, mentre il
tono tra II e III e tra V e VI, di ampiezza minore del precedente (il cosiddetto tono
piccolo), è chiamato re-mi (o sol-la, in assenza di mutazione). Chi canta sa dunque
che l'intervallo mi-fa corrisponde al semitono diatonico, ut-re e fa-sol al tono grande
e re-mi e sol-la al tono piccolo, qualunque siano le altezze assolute da lui cantate.

La Mano Guidoniana
Per facilitare ai cantori la pratica della
solmisazione venne inventata la mano
guidoniana: sulla mano sinistra veniva
messa la notazione alfabetica di Oddone di
Cluny (= lettere maiuscole = ottava grave;
minuscole = ottava media; doppie
minuscole = ottava acuta). Guardando
questa mano doveva essere più facile
praticare la solmisazione. La mano
guidoniana aiutava, dunque, la pratica
della solmisazione.

La notazione neumatica.
Per scrivere le melodie i monaci avevano inventato dei neumi, parola che dal greco
significa segni, da porre sopra le parole dei canti, senza ausilio di righe e chiavi. I
neumi non indicano l'esatta altezza delle note, da apprendere oralmente, ma sottili
sfumature ritmiche e di intonazione. La trasmissione orale del canto gregoriano non
impedì l’utilizzo, dal punto di vista teorico, di una scrittura alfabetica medievale,
che, a differenza di quella greca, utilizzò le lettere dell'alfabeto latino. La notazione

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che venne utilizzata fu quella di Oddone di Cluny. Si tratta di una notazione tuttora
impiegata nei paesi anglosassoni, che utilizza le lettere dalla A alla G, per indicare la
successione dei suoni dal LA al SOL. Le lettere maiuscole si riferiscono alla prima
ottava (quella più bassa), le lettere minuscole alla seconda ottava (ottava intermedia).
Per quanto riguarda il SI, nota mobile, si utilizzava il SI dai contorni rotondi se
bemolle, mentre il SI dai contorni quadrati se naturale. Dal punto di vista pratico,
per facilitare le memorizzazione dei canti, si posero degli accenti (neumi) sul testo,
che ricordavano, a chi cantava o leggeva il testo, l'andamento della melodia. E
poiché in greco l'accento si chiama neuma, questa notazione venne chiamata
neumatica.
Inizialmente, gli accenti furono l'accento acuto (´), l'accento grave (`), circonflesso (^).

Esempi di notazione neumatica adiastematica, ossia senza rigo di riferimento.

Gli vennero dati anche nomi, quali, ad esempio, notazione in campo aperto (perché i
neumi erano liberamente posti sul testo), notazione adiastematica (da "diastema" =

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intervalli + A privativa, cioè incapace di indicare l'altezza precisa dei suoni, ma solo
l'andamento della melodia) e notazione chironomica - da "cheiros" (= mano), perché
riproponeva, in pergamena, il movimento della mano del "precento" (= direttore
d'orchestra), che guidava il coro.
Un momento decisivo nell'evoluzione della scrittura musicale fu quello in cui un
ignoto copista tracciò una linea a secco, senza inchiostro, sulla pergamena. Prima di
questa linea pose la lettera C (= Do, nella notazione alfabetica medievale). I neumi al
di sopra della linea rappresentavano note al di sopra del DO, mentre quelli al di
sotto erano rappresentavano note al di sotto del DO. Successivamente venne
aggiunta una seconda linea, prima della quale venne messa la lettera "G" (che
indicava il sol) ed una terza linea, preceduta dalla lettera F (che indicava il Fa).
L'evoluzione di queste lettere ha portato alla nascita delle chiavi di Do, Sol e Fa.
Inizialmente ogni linea aveva la sua chiave ed era colorata, per essere distinta dalle
altre. Il punto di arrivo di questo tentativo, di questo sforzo di trovare una notazione
che indicasse l'altezza reale dei suoni, quindi che non si limitasse ad indicare
l'altezza della melodia fu appunto la notazione quadrata guidoniana, una notazione
costituita da quattro linee e tre spazi (= tetragramma). La 5ª linea nacque quando si
sviluppò un canto più ampio dal punto di vista melodico. La chiave utilizzata era
una sola.

Esempio di notazione diastematica ad un rigo.

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Capitolo II

Monodie sacre e profane


La musica profana
Fuori dalla Chiesa, nel Medioevo, esistevano due tipi di produzione musicale: sacra
e profana. La Chiesa, nel momento in cui impose il proprio potere culturale, vietò o
mise al bando tutte le forme di produzione artistica che da se stessa prescindevano e,
di conseguenza, tutta una vasta produzione poetica (Ovidio, Orazio, Virgilio)
inizialmente in latino e poi anche in volgare che si produsse nel Medioevo spesso
accompagnata dalla musica.
Ben presto iniziò a nascere una produzione autonoma, ad esempio il Planctus Karoli
(cioè pianto di Carlo) che è un lamento funebre scritto per la morte di Carlo Magno,
di cui sappiamo esistere una versione musicale. Abbiamo anche il canto Roma Nobilis
che era un canto di pellegrini che andavano verso Roma; si è scoperto che la melodia
di questo canto era utilizzata anche per un testo profano: O admirabilis Veneris idolum.
Dunque c'era l'utilizzazione contemporanea di una medesima melodia tanto per un
testo sacro quanto per un testo profano.
Di tutte queste composizioni non ci è pervenuta la melodia e nemmeno la melodia
dei famosi Carmina Burana. Sappiamo soltanto che fino al 1100 d.C. circa ci fu questa
produzione, inizialmente su testi latini, poi su testi in lingua volgare che aumentaò
gradatamente con il passare dei decenni, restando però, pur essendo profana, un
prodotto esclusivo della classe ecclesiastica, l’unica in quel momento ad avere i
mezzi culturali per comporre e divulgare musica.
La Storia della Musica, al di fuori della Chiesa Cattolica Romana, è principalmente
legata, ancora una volta, alla storia della letteratura europea; nel momento in cui
nasce la letteratura volgare, quella che chiamiamo "letteratura romanza", nasce
nell'ambito del sistema feudale, per l'organizzazione che Carlo Magno e i suoi eredi
diedero all'immenso territorio del Sacro Romano Impero.
Il feudalesimo diede un assetto sociale, economico e politico all'intero territorio del
Sacro Romano Impero, quindi diede anche una certa stabilità. Questo provocò la
graduale trasformazione della fortezza militare, del castello, in corte, ove nacque la
prima produzione della letterature europea: la lirica cortese.

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È una lirica incentrata prevalentemente sul tema dell'amor cortese e il rapporto fra la
donna e il suo amante non è altro che la riproduzione del rapporto di vassallaggio
fra il vassallo e la sua Signora, musa e Domina.
I poeti di questo genere letterario vennero chiamati trobador ossia creatori di tropi.
Il tropo (tropus in latino, dal greco τρό$ος, "cambio") è l'ampliamento di un brano
liturgico dato, attraverso l'inserimento di un testo o di una melodia. Solitamente i
brani oggetto di tropatura erano quelli della messa della Chiesa Cattolica di rito
romano, che servivano a dare una forma particolarmente solenne a determinati
elementi della liturgia, per esempio all'ingresso del celebrante. Esse ebbero presto
formazione e vita autonoma, testimoni di una esigenza di rinnovamento delle forme
liturgiche; dal IX al XIV sec. ne furono scritti circa 5000.
Questo processo, oltre che riscuotere una notevole popolarità, ebbe anche una
rimarchevole rilevanza nella storia della musica occidentale e della liturgia, fiorito
soprattutto nei primi decenni del IX secolo. Dal punto di vista letterario ha una
scarsa importanza, però col passare dei secoli, queste composizioni hanno lasciato
l'ambito liturgico e religioso per affrontare temi profani dando origine alla poesia dei
trovatori.

I Trovatori
I trovatori furono poeti attivi nei secoli XII e XIII nelle corti aristocratiche della
Provenza, regione attualmente appartenente alla Francia. Parlavano la lingua
occitana. Successivamente, trovatori si poterono trovare in Francia, Catalogna, Italia
settentrionale, e vennero ad essere influenzate tutte le scuole letterarie d'Europa: la
scuola siciliana, toscana, tedesca, scuola mozarabica e portoghese.
Erano musicisti provenienti dalla Francia del nord. Parlavano la lingua d'oil, uno dei
due volgari francesi (assieme alla lingua d’oc).
Le poche melodie di lirica trobadorica che ci sono pervenute risalgono al 1300 circa.
Questo perché si sentì l'esigenza di mettere per iscritto una parte di questo
patrimonio, ma ormai troppo tardi ed in forma assai incompleta.
Adam de la Halle, uno dei principali trovatori, fu un poeta francese che, trasferitosi
a Napoli al servizio degli Angioini, concepì un'operina in miniatura: Le jeu de Robin et
Marion, formalmente una pastorella drammatica; la pastorella era una lirica in cui si
immaginava l'incontro di un cavaliere con un pastorella. Questa opera è nota in tutto
il mondo come il primo abbozzo della storia di Robin Hood.
Il trobar plan era un modo di scrivere poeticamente abbastanza semplice. Il trobar rich
era un modo di poetare più complesso, il trobar clus era un modo di poetare chiuso,

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nel senso che se non si conosceva una chiave
di lettura, era impossibile leggere,
decodificare il testo poetico. I testi poetici
erano fatti dai trovatori, poeti provenzali, e
non venivano letti o recitati, ma cantati da
menestrelli e giullari, musicisti di
provenienza perlopiù popolare.
Il primo trovatore fu Guglielmo IX
d’Aquitania, detto il Trovatore (22 ottobre
1071 – 10 febbraio 1126), duca di Aquitania,
duca di Guascogna e conte di Poitiers, dal 1086
alla sua morte. Fu uno dei condottieri della crociata del 1101 e, anche se le sue
imprese politiche e militari hanno una certa importanza storica, è meglio
conosciuto come il primo dei trovatori ed il primo poeta della storia ad utilizzare il
volgare e non il latino per la sua produzione poetica di argomento profano.

Ma fra tutti il più importante e famoso fu Bernard de Ventadorn, (Moustier-


Ventadour, 1130-1140 – Abbazia di Dalon ?, 1190-1200) che viene considerato uno dei
più ispirati poeti del mondo trobadorico. Bernard rappresenta un caso unico tra i
compositori secolari del XII secolo per la quantità di lavori comprensivi di notazione
musicale sopravvissuti: delle sue quarantacinque poesie, diciotto la possiedono
intatta, circostanza insolita per un compositore trovatore. La sua opera è databile
probabilmente tra il 1147 e il 1180.
Bernard de Ventadorn è rigorosamente votato alla poesia d'amore per la dama che lo
fa soffrire ma che allo stesso tempo sembra concedergli la speranza. Come gli altri
trovatori paragona la fedeltà verso la dama al servizio cavalleresco, ma nel suo caso
anche ad altri modelli metastorici, come il servizio di Giacobbe presso lo zio Laban
per Rachele. I meriti del servizio d'amore sono misconosciuti, ma Bernard de
Ventadorn si dilunga sui favori elargiti dalla dama agli ultimi arrivati, i quali
provocano la delusione dell'amante che ha a lungo faticato. A ostacolare l'amante,
inoltre, non c'è solo la lontananza e la durezza della dama, ma anche le malelingue
dei lauzengiers, ovvero degli invidiosi del joi d'amore.
I cansonieri, cioè le raccolte di canzoni di questi trovatori, ci hanno tramandato circa
2600 testi poetici, dei quali ci sono pervenute solo 300 melodie.
La disparità fra il gran numero di testi e il ridotto numero di melodie si spiega
perché l'ispirazione è uguale esattamente a quella della lirica greca: i testi poetici

STORIA DELLA MUSICA !11


erano scritti, mentre le melodie legate a schemi melodici fissi e ad una sorta di
memorizzazione di tradizione orale.
Accanto alla canso ci furono delle altre forme poetiche dei trovatori come il jeu parti,
una sorta di dialogo, oppure l'aube, il commiato mattutino di due amanti, il
sirventes2, una canzone di contenuto politico, morale o allegorico.
Nel nord della Francia, intanto, si erano sviluppate due forme letterarie di tipo
narrativo: la chanson de geste che narrava le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini,
poi passata nella narrativa popolare, in versi, e il romanzo cavalleresco che raccontava
le gesta di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, ed era in prosa.
Con il romanzo cortese nacque un nuovo rapporto tra il destinatario e il testo
letterario, fondato sulla lettura. Accanto a queste forme ne nacquero delle altre di
tipo narrativo, per esempio la chanson de toile, una canzone in cui una donna che
tesse racconta una storia. È una lirica di contenuto narrativo che risponde ad
un'esigenza di narrazione molto sviluppata nelle corti della Francia settentrionale.
C'è poi la tradizione di testi poetici con ritornello, che derivavano dalle musiche di
danza. Questi testi sono: Ballade, rondeau e la virelai. Gli stessi termini denunciano la
provenienza dalla danza. Ballade, infatti, vuol dire ballata, rondeau viene da ronder
che vuol dire girare e virelai viene da viler che vuol dire anche girare.
Con il matrimonio di Beatrice di Borgogna con Federico Barbarossa3 la lirica francese
venne portata in Germania, dove nacque la tradizione del lied, l'equivalente tedesco
della chanson francese e della canso provenzale. I trovatori provenzali, diventati
trovieri francesi, vennero chiamati Minnesanger (minne = amore e sang = canto) ed
erano poeti aristocratici che scrivevano testi poetici.
La differenza tra il lied tedesco a la tradizione francese provenzale è che nel lied
tedesco c'è una concezione molto più spirituale dell'amore rispetto alla forte
componente sensuale della lirica francese. La prima scuola poetica italiana fu quella
siciliana. I poeti di quest'ultima erano i poeti della cerchia di Federico II e,
diversamente dai trovatori e dai trovieri, la loro formazione scolastica non era
avvenuta perlopiù in ambito ecclesiastico. Per la prima volta in Italia, la poesia
volgare nasce in un ambito nel quale la musica non è coltivata. Nel corso del

2 Il termine sirventes (serventes o servantes) deriva dal provenzale sirvent, un mercenario al servizio di un signore
feudale. Quindi l'intento originario di questo genere di composizione, fosse essa cantata dal menestrello o
composta dal trovatore, era quello di lodare o criticare i signore a cui si prestava servizio.
3 Federico I Hohenstaufen, meglio noto come Federico Barbarossa (Waiblingen, 1122 – Saleph, 10 giugno 1190),
è stato imperatore del Sacro Romano Impero. Salì al trono di Germania il 4 marzo 1152 succedendo allo zio
Corrado III, e fu incoronato Imperatore il 18 giugno 1155. l giorno di Pentecoste, il 17 giugno 1156 Federico
sposò a Würzburg Beatrice di Borgogna (1145 – Besançon, 15 novembre 1184), figlia unica, del conte di
Borgogna Rinaldo III e di Beatrice di Lorena, figlia di Gerardo I di Lorena. Nonno di Federico II di Svevia,
detto Stupor Mundi, che regnerà sul Regno di Sicilia nel 1210.

STORIA DELLA MUSICA !12


Duecento quindi nel Rgno di Sicilia verranno poste le basi per la poesia in volgare
che diventerà la Lingua Italiana, e che influenzerà poi i poeti fiorentini, su tutti
Dante Alighieri.

La musica sacra
Accanto al canto gregoriano, praticato in ambito liturgico, si sviluppò una
produzione musicale sacra che non era legata alla liturgia. Si tratta di una
produzione in latino, l'ufficio drammatico (e poi dal dramma liturgico) e di una
tradizione in volgare, le laudi. Nel Medioevo, all'interno della liturgia, si
cominciarono a teatralizzare rievocazioni del testo sacro che lo consentivano. Questa
prima fase della teatralizzazione di momenti del testo sacro prese il nome di ufficio
drammatico, perché la teatralizzazione avveniva nell'ambito di una celebrazione
liturgica.
Il passo successivo fu la nascita del dramma liturgico che fu una vera e propria
rappresentazione teatrale, realizzata sull'altare della chiesa, in cui i chierici vestivano
i panni di attori. Il dramma liturgico fu una rappresentazione teatrale ispirata alla
tradizione del vecchio e del nuovo Testamento e interamente cantato. Il passaggio
dall'ufficio drammatico al dramma liturgico risulta evidente se si prende in
considerazione il primo ufficio drammatico, Quem quaeritis? un tropo che si cantava
nel mattutino pasquale4. Questo tropo era un canto interamente inventato che
rievocava l'incontro dell'angelo con le pie donne. Questo nucleo dialogico venne
teatralizzato, dunque diventò un ufficio drammatico. Quando dal canto teatralizzato
si passò alla rappresentazione vera e propria in cui all'angelo e alle pie donne si
aggiungono altri personaggi, nasce il dramma liturgico che prende il nome di Ludus
Paschalis perché la parola che venne utilizzata per indicare questi drammi di norma
fu ludus, gioco. Fra l'altro, si tenga conto che il rapporto fra la teatralità e il gioco è
molto diffuso nelle lingue non italiane.
Il ludus Danielis rievoca la vicenda di Daniele e della fossa dei leoni5 ed è una
rappresentazione molto interessante perché è il più grandioso dramma liturgico.
Prevede molti personaggi in scena, la presenza di strumenti accanto alle voci ed ha
un numero molto alto di melodie di varia provenienza. Inoltre, il ludus Danielis ha
delle parti in volgare perché i fedeli ormai parlavano in volgare e, quindi, in una

4 Il mattutino è quel momento della liturgia delle ore che riguarda una delle prime ore del giorno di Pasqua.
5 Nel primo libro dei Maccabei si narra la storia di Daniele che gettato innocente in una fossa piena di leoni fu
ritrovato miracolosamente incolume il mattino seguente.

STORIA DELLA MUSICA !13


rappresentazione teatrale che doveva raggiungere direttamente il fedele si sentì la
necessità di inserire parole, frasi o parti in lingua volgare. A questo inserimento della
lingua volgare si accompagnò la tendenza di inserire delle parti comiche che vennero
legate in particolare ad alcuni personaggi. Ad esempio San Pietro era esposto alla
comicità. Questo provocò una reazione della Chiesa che, ad un certo punto, vietò che
i drammi liturgici, divenuti troppo profani, avessero luogo all’interno degli edifici di
culto. Questi drammi liturgici, quindi, vennero spostati sul sagrato della chiesa e
divennero Sacre Rappresentazioni.
La Sacra Rappresentazione è una rappresentazione di contenuto sempre sacro, legato
ad una vicenda sacra. Si rappresentava fuori dalla chiesa, sul sagrato, ed era in
lingua volgare. Col passare del tempo, nel Medioevo, il testo della sacra
rappresentazione assume una precisa versificazione, quella in ottave di
endecasillabi. Delle sacre rappresentazioni bisogna ricordare che si trattava di un
teatro che non rispettava i principi del teatro classico, cioè di unità di tempo di luogo
e di azione che si sarebbero ri-applicate a partire dal 1400, quando venne riscoperta
una copia de la Poetica di Aristotele6.
Accanto al dramma liturgico e alla sacra rappresentazione, dobbiamo ricordare come
funzione musicale di contenuto sacro uno extra liturgico, le Laudi. Il loro sviluppo va
letto all'interno di una grande fioritura religiosa che avvenne nel corso del Duecento,
legata in gran parte anche alla diffusione del movimento francescano. Infatti grande
prototipo di questo genere è il Cantico delle Creature di San Francesco d'Assisi, di cui
si sa che esistesse una traduzione musicale, che noi non possediamo. Più avanti si
costituirono addirittura delle confraternite preposte proprio all'esecuzione di laudi e
le raccolte di laudes chiamate laudari. Tra questi ricordiamo due laudari che ci sono
pervenuti: sono in parte simili, ma anche molto diversi, le melodie infatti del
laudario che si trova nella Biblioteca Nazionale di Firenze, sono molto più fiorite e i
manoscritti in cui si trovano queste melodie sono molto più ricchi eleganti e miniati
rispetto a quelle del secondo laudario, il Laudario di Cortona, comune toscano in
provincia di Arezzo.

6 La Poetica è un trattato di Aristotele, scritto ad uso didattico, probabilmente tra il 334 e il 330 a.C., ed è il
primo esempio, nella civiltà occidentale, di un'analisi dell'arte distinta dall'etica e dalla morale. In essa il filosofo
teorizza il concetto di catarsi e codifica per la prima volta le unità teatrali di tempo, luogo e azione, che saranno
rispettate per tutto il periodo classico e rispolverate a partire dal teatro del ‘500 fino al ‘900.

STORIA DELLA MUSICA !14


I Carmina Burana
I Carmina Burana costituiscono un corpus di testi poetici medievali dell'XI e del XII
secolo, prevalentemente in latino, tramandati da un importante manoscritto
contenuto in un codice miniato del XIII secolo, il Codex Latinus Monacensis 4660 o
Codex Buranus, proveniente dal convento di Benediktbeuern (l'antica Bura Sancti
Benedicti, fondata attorno al 740 da San Bonifacio nei pressi di Bad Tölz in Baviera).
Il codice è custodito nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera.
Il termine Carmina Burana venne introdotto dallo studioso Johann Andreas
Schmeller nel 1847 in occasione della prima pubblicazione del manoscritto. Tale
codice comprende 228 componimenti poetici su 112 fogli di pergamena decorati con
8 miniature. Sembra che tutte le liriche dovessero essere destinate al canto, ma gli
amanuensi autori di questo manoscritto non riportarono la musica di tutti i canti
poetici, cosicché si può ricostruire l'andamento melodico solo per 47 di essi.

Il codice è suddiviso in sezioni:


Carmina moralia (CB:1-55), argomento satirico e morale;
Carmina veris et amoris (CB:56-186), argomento amoroso;
Carmina lusorum et potatorum (CB:187-226), canti bacchici e conviviali;
Carmina divina, argomento moralistico sacrale (CB: 227 e 228; questa parte fu
probabilmente aggiunta all'inizio del secolo XIV).

Pagina del Manoscritto del Codex Buranus con il


Frontespizio di O Fortuna

I testi (tutti in latino medievale eccetto 47 scritti


in alto tedesco) hanno argomenti evidentemente
molto diversi tra loro, e dimostrano la
poliedricità della produzione goliardica. Se da
un lato troviamo i ben noti inni bacchici, le
canzoni d'amore ad alto contenuto erotico e le
parodie blasfeme della liturgia, dall'altro emerge
un moralistico rifiuto della ricchezza, e la
sferzante condanna verso la Curia Romana, della
quale molti membri erano ritenuti sempre e solo
dediti alla ricerca del potere e del piacere.

STORIA DELLA MUSICA !15


Queste parole dimostrano chiaramente come gli autori di questi versi (i cosiddetti
clerici vagantes) non fossero unicamente dediti al vizio, ma che si inserissero anche
loro in quella corrente contraria alla mondanizzazione degli uomini di Chiesa.
Tuttavia non sono contro la Chiesa come istituzione divina, anzi, il concetto è dato
per scontato in ogni canto. Nessun canto attacca la Chiesa Cattolica ma solo i suoi
membri corrotti. D'altra parte la varietà di contenuti di questo manoscritto è anche
indiscutibilmente ascrivibile al fatto che i vari carmina hanno autori differenti,
ognuno con un proprio carattere, proprie inclinazioni e probabilmente propria
ideologia, non trattandosi di un "movimento letterario" compatto ed omogeneo nel
senso moderno del termine.
I testi originali sono inframmezzati da notazioni morali e didattiche, come si usava
nel primo Medioevo, e la varietà degli argomenti (specialmente religioso e amoroso
ma anche profano e licenzioso) e delle lingue adottate, riassume le vicende degli
autori, i clerici vagantes, detti anche goliardi, dal nome del mitico vescovo Golia7 che
usavano spostarsi per motivi di studio tra le varie nascenti università europee.

L'opera teatrale di Carl Orff


Nel 1937, il compositore tedesco Carl Orff musicò alcuni brani dei Carmina Burana8,
realizzando un'opera omonima. Orff scelse di comporre una musica nuova, sebbene
nel manoscritto originale fosse contenuta una traccia musicale per alcuni dei brani.
La prima rappresentazione fu l'8 giugno 1937 a Francoforte sul Meno. Mentre la
prima rappresentazione italiana invece si tenne al Teatro alla Scala a Milano il 10
ottobre 1942.
Per le sue caratteristiche può essere definita anche "cantata scenica" ed ha il
sottotitolo "Cantiones profanae cantoribus et choris cantandae, comitantibus instrumentis
atque imaginibus magicis". L'opera non presenta una trama precisa e richiede tre solisti
(un soprano, un controtenore e un baritono), due cori (uno dei quali di voci bianche),

7 Pietro Abelardo (francese: Pierre Abélard; Le Pallet, 1079 – Chalon-sur-Saône, 21 aprile 1142) è stato un
filosofo, teologo e compositore francese, talvolta chiamato anche Pietro Palatino a seguito della latinizzazione del
nome della sua città di origine. Precursore della Scolastica, fu uno dei più importanti e famosi filosofi e pensatori
del medioevo. Per alcune idee fu considerato eretico dalla Chiesa cattolica nel Concilio Lateranense II del 1139.
Abelardo fu noto anche col soprannome di Golia: durante il Medioevo tale appellativo aveva la valenza di
"demoniaco". Pare che Abelardo fosse particolarmente fiero di questo soprannome, guadagnato in relazione ai
numerosi scandali di cui fu protagonista, tanto da firmare con esso alcune delle sue lettere.
88Carl Orff (Monaco di Baviera, 10 luglio 1895 – Monaco di Baviera, 29 marzo 1982) è stato un compositore
tedesco, famoso principalmente per i Carmina Burana (1937) e per i Catulli Carmina (1943). Ho deciso di
ascoltare la sua opera più famosa nel primo anno anziché nel terzo perché didatticamente più efficace nella
comprensione dei veri Carmina medioevali.

STORIA DELLA MUSICA !16


mimi, ballerini e una grande orchestra (Orff ne ha composto anche una seconda
versione dove l'orchestra è sostituita da due pianoforti e percussioni).
L'opera è strutturata in un prologo e tre parti. Nel prologo c'è O Fortuna,
l'invocazione alla Dea Fortuna sotto cui sfilano diversi personaggi emblematici dei
vari destini individuali. Nella prima parte si celebra la "Veris laeta facies" ovvero il
lieto aspetto della primavera. Nella seconda, "In taberna" ovvero "All'osteria", si
hanno prevalentemente canti goliardici; la terza parte - "Cour d'amours" cioè "Le corti
dell'amore" - contiene brani che inneggiano all’amore. Nel finale si ha la ripresa del
coro iniziale alla Fortuna.

Olim lacus colueram Un tempo vivevo nei laghi

Olim lacus colueram, Un tempo vivevo nei laghi,


olim pulcher exstiteram, un tempo ero bello,
dum cygnus ego fueram. quando ero un cigno.

Miser, miser! modo niger Misero, Misero! Me ora nero e arrostito!


et ustus fortiter!

Girat, regirat garcifer; Gira e rigira lo spiedo, l’inserviente,


me rogus urit fortiter; per cucinarmi bene sul fuoco.
propinat me nunc dapifer. Il cameriere ora mi serve.

Miser, miser! modo niger Misero, Misero! Me ora nero e arrostito!


et ustus fortiter!

Nunc in scutella iaceo, Ora giaccio su un piatto e non posso più


et volitare nequeo; volare; vedo denti che stridono.
dentes frendentes video.

Miser, miser! modo niger Misero, Misero! Me ora nero e arrostito


et ustus fortiter!

STORIA DELLA MUSICA !17


O Fortuna O Sorte
velut luna come la luna
statu variabilis, con atteggiamento incostante,
semper crescis sempre cresci
aut decrescis; o decresci;
vita detestabilis la vita detestabile
nunc obdurat ora perdura salda
et tunc curat e proprio ora,
ludo mentis aciem, occupa l'ingegno con un gioco;
egestatem, la miseria,
potestatem il potere
dissolvit ut glaciem. dissolve come il ghiaccio
Sors immanis La sorte immane
et inanis, e vuota,
rota tu volubilis, tu ruota che giri,
status malus, funesto stato,
vana salus futile benessere
semper dissolubilis, sempre dissolubile,
obumbrata oscura
et velata e velata
mihi quoque niteris; e su di me chi più si appoggerà;
nunc per ludum ora che per un gioco
dorsum nudum il dorso nudo
fero tui sceleris. porto per la tua cattiveria?
Sors salutis La sorte del benessere
et virtutis e della virtù
mihi nunc contraria, ora a me contraria,
est affectus è un desiderio
et defectus è una debolezza
semper in angaria. sempre in corsa obbligata.
Hac in hora Ora per di qua
sine mora senza sosta
corde pulsum tangite; Sentite il battito del cuore;
quod per sortem poiché a causa della sorte
sternit fortem, egli acquieta la forza,
mecum omnes plangite! piangete tutti con me!

STORIA DELLA MUSICA !18


In taberna Quando siamo
quando sumus nella taverna
In taberna quando sumus Quando siamo nella taverna
Non curamus quid sit humus Non pensiamo che saremo polvere
Sed ad ludum properamus Ma ci affrettiamo al gioco
Cui semper insudamus Che sempre finisce per denudarci
Quid agatur in taberna Qual che accade nella taverna
Ubi nummus est pincerna Dove comanda il danaro
Hoc est opus ut queratur Si farebbe bene a chiederlo
Si quid loquar, audiatur Se qualcosa si risponde, sarà ascoltato
Quidam ludunt, quidam bibunt Qualcuno gioca, qualcuno beve
Quidam indiscrete vivunt Qualcuno vive in modo peccaminoso
Sed in ludo qui morantur Ma di coloro che si cimentano al gioco
Ex his quidam denudantur Alcuni ne escono nudi
Quidam ibi vestiuntur Altri rivestiti
Quidam saccis induuntur Altri indossano sacchi
Ibi nullus timet mortem Qui nessuno teme la morte
Sed pro Baccho mittunt sortem Ma tentano la sorte in nome di Bacco
Primo pro nummata vini Il primo è per il mercante di vino
Ex hac bibunt libertini Per il quale brindano i libertini
Semel bibunt pro captivis Il secondo per i prigionieri
Post hec bibunt ter pro vivis Il seguente lo bevono per i vivi
Quater pro Christianis cunctis Il quarto per tutti i Cristiani
Quinquies pro fidelibus defunctis Il quinto per i morti nella fede
Sexies pro sororibus vanis Il sesto per le sorelle smarrite
Septies pro militibus silvanis Il settimo per i guardiacaccia
Octies pro fratribus perversis L’ottavo per i fratelli che peccano
Nonies pro monachis dispersis Il nono per i monaci dispersi
Decies pro navigantibus Il decimo per i marinai
Undecies pro discordaniibus L’undicesimo per i contestatori
Duodecies pro penitentibus Il dodicesimo per i penitenti
Tredecies pro iter agentibus Il tredicesimo per i viaggiatori
Tam pro papa quam pro rege Dal Papa al Re
Bibunt omnes sine lege Bevono tutti senza legge

STORIA DELLA MUSICA !19


Bibit hera, bibit herus Beve la donna, beve l’uomo
Bibit miles, bibit clerus Beve la milizia, beve il clero
Bibit ille, bibit illa Beve quello, beve quella
Bibit servis cum ancilla Beve il servo con l’ancella
Bibit velox, bibit piger Beve il veloce, beve il lento
Bibit albus, bibit niger Beve il bianco, beve il nero
Bibit constans, bibit vagus Beve il costante, beve il distratto
Bibit rudis, bibit magnus Beve il grezzo, beve il raffinato
Bibit pauper et egrotus Beve il povero e il malato
Bibit exul et ignotus Beve l’esule e lo straniero
Bibit puer, bibit canus Beve il fanciullo, beve l’anziano
Bibit presul et decanus Beve il vescovo ed il decano
Bibit soror, bibit frater Beve la suora, beve il frate
Bibit anus, bibit mater Beve la vecchia beve la madre
Bibit ista, bibit ille Beve questa, beve quella
Bibunt centum, bibunt mille Bevono in cento, bevono in mille
Parum sexcente nummate Difficilmente 600 denari
Durant, cum immoderate suffice Durano, quando immoderatamente
Bibunt omnes sine meta Bevono tutti senza limite
Quamvis bibant mente leta Benché bevano a mente lieta
Sic nos rodunt omnes gentes Siamo noi che tutti rimproverano
Et sic erimus egentes E così siamo mendicanti
Qui nos rodunt confundantur Siano maledetti coloro che ci calunniano
Et cum iustis non scribantur E che non vengano ricordati tra i giusti.

STORIA DELLA MUSICA !20


Il Madrigale
Il madrigale è una composizione musicale o lirica, in maggior parte per gruppi di 3-6
voci, originaria dell'Italia, e diffusa in particolare tra Rinascimento e Barocco.
L'origine della parola è a tutt'oggi discussa: se ne ipotizza l'etimologia dal latino
volgare mandria-mandrialis in riferimento al contenuto rustico e pastorale; da matrix-
matricalis, "di lingua materna, dialettale" o, nell'accezione proposta da Bruno
Migliorini, "alla buona"; dal provenzale mandra gal, "canto pastorale" o ancora dallo
spagnolo madrugada, "alba"; dal latino "materialis" opposto a "spiritualis" ovvero "cose
materiali o grosse". Tutte queste saranno caratteristiche del madrigale musicale del
'300. La forma originale del madrigale, assai praticata nel secolo XIV, era costituita da
una successione di endecasillabi, di numero variabile da sei a quattordici, ripartiti in
brevi strofette con vari incontri di rime e comunque sempre con una rima baciata
finale.
Se già Dante scriveva brevi liriche destinate ad essere musicate magari dall'amico
Casella, di cui parla nel Purgatorio, i primi madrigali, che ci sono noti dal 1330 circa
sono a 2 e raramente a 3 voci, di cui la prima melodica, e la seconda, più bassa, ha
funzioni di sostegno armonico. Nell'esecuzione potevano essere impiegati gli
strumenti ed esistono infatti madrigali puramente strumentali. In quel tempo, i
maggiori compositori di madrigali, oltre che di cacce e ballate, sono Giovanni da
Cascia, Jacopo da Bologna e, soprattutto, Francesco Landini.
Con l'inizio del Quattrocento, si ha un'eclissi del genere; alla fine del secolo si assiste
all'affermazione in Toscana del canto carnascialesco, musicato su testi di Lorenzo il
Magnifico e di Angelo Poliziano e, nel Nord Italia, della frottola, composizione
generalmente con un contenuto frivolmente amoroso, in forma di ottava di versi
ottonari e musicata a 3 o 4 voci, di cui la prima spicca monodicamente e le altre
vanno a contrappunto. I maggiori musicisti del genere sono Bartolomeo
Tromboncino e Marchetto Cara.
La dimensione produttiva del madrigale musicale cinquecentesco, di cui si
conservano a stampa circa 40.000 brani, è tale che supera ampiamente l'intera
produzione polifonica vocale non liturgica di tutte le altre forme vocali profane e di
tutte le lingue europee messe insieme, e rappresenta un vertice di comunicazione
musicale tardo rinascimentale, che tocca e influenza quasi tutta la produzione
musicale europea del XVI e del XVII secolo.
Nel XVI secolo si ha quindi la sua piena affermazione: nel 1520 viene pubblicato a
Venezia un libro di musiche di Bernardo Pisano su testi del Petrarca che, vicine al

STORIA DELLA MUSICA !21


mottetto fiammingo, possono costituire l'atto di nascita del madrigale
cinquecentesco.
Tra i madrigalisti più rigorosi sono il fiammingo Orlando di Lasso, Giovanni
Pierluigi da Palestrina, autore di madrigali profani e sacri, il veneziano Andrea
Gabrieli, che adotta il recitativo corale e il dialogo, il nipote Giovanni Gabrieli, Luca
Marenzio.

STORIA DELLA MUSICA !22


Capitolo III

La nascita del Teatro


Musicale Moderno
Firenze, 1600
La prima azione teatrale eseguita in pubblico della quale sono arrivate tracce
complete fino ai nostri giorni fu l'Euridice composta da Jacopo Peri9 sul testo
dell'ecloga pastorale omonima del poeta fiorentino Ottavio Rinuccini.
La struggente storia d'amore fra i personaggi mitologici di Orfeo ed Euridice
(argomento peraltro ritenuto da molti poco adatto alla circostanza) fu rappresentata
il 6 ottobre 1600, a Firenze, in occasione dei festeggiamenti per le nozze di Maria de'
Medici con il re di Francia Enrico IV.
Assistettero alla rappresentazione duecento invitati, molti dei quali, al termine, non
mancarono – secondo le cronache dell'epoca – di manifestare una certa delusione.
Tuttavia quella data era destinata a restare nella storia della musica.

La Camerata de’Bardi
La stagione del madrigale tradizionalmente inteso stava per esaurirsi (Monteverdi
avrebbe pubblicato nel 1638 il suo ultimo libro, l’ottavo, a partire dal 1587) e i tempi
erano maturi perché potesse prendere forma il progetto a lungo teorizzato alla fine
del Cinquecento dalla Camerata fiorentina dei Bardi: quel "Recitar cantando" di cui
aveva già scritto nel 1528 Baldassarre Castiglione:
"... parmi gratissimo il cantare alla viola per recitare; il che tanto di venustà ed efficacia
aggiunge alle parole …".
Gli appartenenti alla Camerata erano nobili umanisti o musicisti della corte
fiorentina, la prima assise della Camerata di cui si ha notizia si tenne il 14 gennaio
1573. Non si sa con esattezza chi e quanti furono i partecipanti a quella riunione. Si
sa però che del gruppo avrebbero fatto parte da allora in avanti, oltre che il conte
Bardi, intellettuali, drammaturghi e musicisti come Girolamo Mei, Vincenzo Galilei
(liutista, padre di Galileo e confidente del conte), Giulio Caccini, Emilio de' Cavalieri,

9Jacopo Peri (detto Zazzerino) (Roma, 20 agosto 1561 – Firenze, 12 agosto 1633) è stato un compositore,
organista e tenore italiano durante il periodo di transizione tra Rinascimento e Barocco.

STORIA DELLA MUSICA !23


Jacopo Peri, Francesco Rasi e Ottavio Rinuccini. In effetti, anche se il germe veniva
da lontano, fu solo nel 1573 che un gruppo di nobili ed intellettuali fiorentini prese a
riunirsi con assiduità per approfondire il rapporto tra poesia e musica.
Più precisamente, scopo di quella che veniva chiamata Camerata de' Bardi (dal nome
del conte Giovanni de' Bardi, nella cui abitazione di Firenze, Palazzo Bardi in Via de'
Benci, si tenevano le riunioni) era quello di ricostituire l'habitat naturale delle antiche
tragedie greche.
Il contenuto di queste assemblee è ben riassunto nel Dialogo della musica antica e
moderna scritto da Vincenzo Galilei, padre di Galileo, il quale dette subito prova
pratica di tali principi musicando il canto dantesco riguardante il conte Ugolino.
La teoria emergente voleva che si tenesse conto della semplicità della musica
popolare per imitare i modelli naturali del discorso, osservando cioè come le persone
parlavano a seconda dei differenti stati emotivi (appunto il recitar cantando).
Occorreva perciò abbandonare le antiche formule dei complessi contrappunti per
riscoprire la funzione puramente affettiva della musica, giungendovi con uno stile
monodico semplice e lineare. Tali teorizzazioni saranno riprese nel 1602 da Giulio
Caccini ne Le nuove musiche, ritenuto il vero e proprio manifesto della Camerata.
L'antico mito di Orfeo e di Euridice, oltre che nelle circostanze sopra citate, venne
ripreso presto da diversi compositori (e lo sarà ancora, in futuro).
Uno su tutti, Claudio Monteverdi, che nel 1607 musicò su apposito libretto di
Alessandro Striggio, per il duca di Mantova (spettatore entusiasta a Firenze
dell'Euridice di Peri), un proprio Orfeo, favola per musica in un prologo e cinque
atti.

L’Orfeo
Claudio Giovanni Antonio Monteverdi
(Cremona, 9 maggio 1567 – Venezia, 29 novembre 1643)

Tra gli spettatori della messa in scena dell'Euridice, nell'ottobre del 1600, c'era anche
un giovane avvocato e diplomatico della corte dei Gonzaga, Alessandro Striggio.
Anche il giovane Striggio era un abile musicista. Nel 1589 (a 16 anni), aveva suonato
la viola alla cerimonia nuziale di Ferdinando di Toscana. Assieme ai due figli più
giovani del Duca Vincenzo, Francesco e Fernandino, era membro dell'esclusivo
circolo intellettuale mantovano: l'Accademia degli Invaghiti, che rappresentava un
importante trampolino di lancio per le opere teatrali della città.

STORIA DELLA MUSICA !24


Claudio Monteverdi

Non si sa esattamente quando Striggio abbia


iniziato la stesura del libretto, ma il lavoro era
evidentemente già avviato nel gennaio 1607.
Basato sul mito greco di Orfeo, parla della sua
discesa all’Ade, e del suo tentativo infruttuoso di
riportare la sua defunta sposa Euridice alla vita
terrena. Composto nel 1607 per essere eseguita
alla corte di Mantova nel periodo carnevalesco,
L'Orfeo è uno dei più antichi Drammi per musica
ad essere tuttora rappresentati regolarmente.
Dopo l'anteprima, avvenuta all'Accademia degli Invaghiti di Mantova il 22 febbraio
1607 (con il tenore Francesco Rasi nel ruolo del titolo), la prima è stata il 24 febbraio
al Palazzo Ducale (Mantova). In seguito il lavoro fu eseguito nuovamente, anche in
altre città italiane, negli anni immediatamente successivi. Lo spartito venne
pubblicato da Monteverdi nel 1609 e, nuovamente, nel 1615.
Quando Monteverdi scrisse la musica per L'Orfeo, possedeva già un'approfondita
preparazione nell'ambito della musica per teatro. Aveva infatti lavorato alla corte dei
Gonzaga per sedici anni, nel corso dei quali si era occupato di varie musiche di
scena, in qualità sia di interprete che di arrangiatore.

Personaggi
La Musica soprano
Orfeo tenore
Euridice soprano
La Messaggera soprano
Speranza soprano
Caronte basso
Proserpina soprano
Plutone basso
Apollo tenore
Ninfa soprano
Eco tenore
Ninfe e pastori coro
Spiriti infernali coro

STORIA DELLA MUSICA !25


Prologo.
La Musica introduce la vicenda presentandosi, illustrando l’argomento e chiedendo silenzio .

ATTO I
I pastori si raccolgono festosi attorno a Orfeo ed Euridice, che stanno per celebrare le loro
nozze. Vengono intonate preghiere propiziatorie (ed eseguite gioiose danze corali. Orfeo
chiama gli astri a testimone della sua felicità, ed Euridice gli fa eco. Poi tutti si avviano al
tempio in cui si compirà il rito. Additando questa ulteriore riprova, il coro invita a non
lasciarsi mai prendere dalla disperazione.

ATTO II
Orfeo ritorna ai suoi boschi e ai suoi prati, al culmine della felicità, mentre i pastori
continuano a intonare lieti canti. Lo stesso Orfeo si esibisce in una canzone strofica.
Quell’atmosfera gioiosa è però turbata dai gemiti di Silvia che, provocando la costernazione
generale, informa dell’improvvisa e inopinata morte di Euridice. Silvia racconta come tutto
ciò sia potuto accadere: mentre raccoglieva fiori, Euridice è stata morsa da un serpente, ed è
spirata tra le braccia delle sue compagne invocando il nome dell’amato Orfeo. Tutti sono
sconvolti: Orfeo addirittura si propone di scendere nell’oltretomba per cercare di riportare
Euridice alla vita. Un generale compianto accompagna la sua disperazione.

ATTO III
Orfeo penetra nel regno degli Inferi guidato dalla Speranza. Lasciato solo, Orfeo s’imbatte in
Caronte, il traghettatore delle anime dei morti, che gli si para davanti impedendogli l’accesso.
Orfeo tenta vanamente d’impietosirlo: decide allora di provocarne il sonno intonando
un’appropriata melodia sulla sua lira, e di utilizzarne nel frattempo l’imbarcazione per
attraversare il fiume infernale. Il coro addita quest’azione come caso esemplare di ardimento
umano.

ATTO IV
Giunto al cospetto delle divinità infere, Orfeo espone il suo caso. Trova una sostenitrice in
Proserpina che, in nome e nel ricordo di quanto ha fatto per amor suo, prega Plutone di
accontentare Orfeo. Plutone acconsente, stabilendo però che Orfeo non dovrà mai guardare
Euridice prima di aver lasciato l’oltretomba. Orfeo è dapprima raggiante per il successo, e
canta, ma poi inizia a essere roso dal dubbio che Euridice lo segua davvero nel cammino di
ritorno sulla terra. Spaventato da strani rumori, si volta a controllare se Euridice è con lui,
infrangendo così la clausola dettata da Plutone e perdendola per sempre. Il coro sottolinea il
paradosso: Orfeo, che l’aveva spuntata contro la legge di natura, non è riuscito a vincere se
stesso e le sue passioni.

STORIA DELLA MUSICA !26


ATTO V
Ritornato sulla terra, Orfeo piange la sua sorte e si propone di non più innamorarsi. Dal cielo
scende suo padre Apollo, cercando di consolarlo e portandolo con sé in cielo: il coro se ne
rallegra, sottolineando come il dolore sulla terra sia ripagato in cielo.
Anziché con la discesa di Apollo e la ‘beatificazione’ di Orfeo, il testo letterario
stampato in concomitanza con la ‘prima’ faceva terminare l’opera con un’irruzione
delle baccanti, che si abbandonavano a celebrazioni dionisiache prima di volgersi
all’inseguimento di Orfeo, per punirlo con la morte delle sue affermazioni misogine.
La disparità di queste due conclusioni (finale dionisiaco del libretto, finale apollineo
della partitura) potrebbe imputarsi all’angustia della sala in cui la prima
rappresentazione avvenne, e all’impossibilità di impiegarvi dispositivi di macchine
sceniche complesse. Essa potrebbe però riflettere anche una duplice soluzione
prospettata per due diverse udienze: quella dionisiaca, più sofisticata dal punto di
vista culturale, pensata per la ‘prima’ davanti ai soli accademici; quella apollinea,
più spettacolare e moraleggiante in senso cristiano (e musicalmente non immune da
sospetti di facilismo), pensata a tambur battente come rimpiazzo per la replica una
settimana dopo davanti a un pubblico meno selezionato.

La Musica
(Prologo) Quinci a dirvi d'Orfeo desio mi sprona,
Dal mio Permesso amato d'Orfeo che trasse al suo cantar le fere,
a voi ne vegno, e servo fe' l'inferno a sue preghiere,
incliti eroi, sangue gentil di regi, gloria immortal di Pindo e d'Elicona.
di cui narra la fama eccelsi pregi,
né giugne al ver perch’è troppo alto il Or mentre i canti alterno, or lieti, or
segno. mesti,
non si mova augellin fra queste piante,
Io la Musica son, ch'a i dolci accenti né s'oda in queste rive onda sonante,
so far tranquillo ogni turbato core, ed ogni auretta in suo cammin s’arresti.
ed or di nobil ira, ed or d'amore
posso infiammar le più gelate menti. La Speranza
(atto III)
Io su cetera d'or cantando soglio Ecco l'atra palude, ecco il nocchiero
mortal orecchio lusingar talora, che trae gli spirti ignudi a l'altra
e in guisa tal de l'armonia sonora sponda,
de le rote del ciel più l'alme invoglio.

STORIA DELLA MUSICA !27


dov'ha Pluton de l'ombre il vasto Pon freno al folle ardir,
impero. ch'entr'al mio legno
Oltra quel nero stagno, oltra quel fiume, non accorrò più mai corporea salma,
in quei campi di pianto e di dolore, sì de gli antichi oltraggi ancora ne
destin crudele ogni tuo ben t'asconde. l'alma
Or d'uopo è d'un gran core serbo acerba memoria e giusto sdegno.
e d'un bel canto:
io fin qui t'ho condotto, or più non lice Proserpina
teco venir, ch'amara legge il vieta, (Atto IV)
legge scritta col ferro in duro sasso Signor, quell’infelice
de l'ima reggia in su l'orribil soglia, Che per queste di morte aspre
che in queste note il fiero senso esprime: campagne
«Lasciate ogni speranza o voi Va chiamando Euridice,
ch'entrate.» Ch’udito hai tu pur dianzi
Dunque, se stabilito hai pur nel core Così soavemente lamentarsi,
di porre il piè ne la città dolente, Moss’ha tanta pietà dentro al mio core
da te me n' fuggo e torno Ch’un’altra volta torno a porger prieghi
a l'usato soggiorno. Perchè il tuo nume al suo pregar si
pieghi.
Caronte Deh, se da queste luci
(atto III) Amorosa dolcezza unqua traesti,
O tu ch'innanzi morte a queste rive Se ti piacqu’ il seren di questa fronte
temerato te n' vieni, arresta i passi; Che tu chiami tuo cielo, onde mi giuri
solcar quest'onde Di non invidiar sua sorte a Giove,
ad uom mortal non dassi, Pregoti per quel foco
né può coi morti albergo aver chi vive. Con cui già la grand’alm’amor t’accese.
Che? vuoi forse nemico al mio signore, Fa ch’Euridice torni
Cerbero trar de le tartaree porte? A goder di quei giorni
O rapir brami sua cara consorte, Che trar solea vivend’ in fest’ e in canto,
d'impudico desire acceso il core? E del miser’ Orfeo consola il pianto.


STORIA DELLA MUSICA !28


Capitolo IV

Il Barocco
Caratteri generali
Il melodramma nasce a Firenze verso la fine del XVI secolo e, grazie a Claudio
Monteverdi, ha enorme diffusione in età barocca, affermandosi soprattutto a Roma, a
Venezia e, successivamente (a partire dagli ultimi decenni del Seicento), a Napoli.
Spettacolo inizialmente riservato alle corti, e dunque destinato ad una élite di
intellettuali e aristocratici, acquista carattere di intrattenimento a partire
dall'apertura del primo teatro pubblico nel 1637: il Teatro San Cassiano di Venezia.
Alla severità dell'opera degli esordi, ancora permeata dell'estetica tardo-
rinascimentale, subentra allora un gusto per la varietà delle musiche, delle
situazioni, dei personaggi, degli intrecci; mentre la forma dell'aria, dalla melodia
accattivante e occasione di esibizione canora, ruba sempre più spazio al recitativo dei
dialoghi e, di riflesso, all'aspetto letterario, il canto si fa sempre più fiorito.
Durante il Seicento il teatro barocco viene considerato come il teatro dell’illusione e
della fantasia. Una delle innovazioni fu il mutamento di scena, cioè i cambi di scena
che non avvenivano più a scena chiusa, ma a scena aperta. Giacomo Torelli fu uno
dei grandi scenografi di quest'epoca, che perfezionò la tecnica del mutamento di
scena attraverso l’uso dell’argano, apparecchio di sollevamento costituito da un
cilindro a cui si avvolge una fune. Questo strumento portò anche a una diminuzione
delle spese da parte degli imprenditori. La scenografia barocca è basata su ambienti
naturali e fantastici che offrono l’immagine di una realtà mutevole in cui l’uomo ha
perso la propria centralità. La scena barocca è caratterizzata da una realtà
imprevedibile, dominata da fenomeni naturali per questo il mondo viene
considerato come un grande teatro.
Gian Lorenzo Bernini fu uno dei più grandi artisti del Seicento, e oltre che famoso
architetto e scultore si occupò del movimento della scenografia e di effetti teatrali.
Bernini riprodusse sul palcoscenico i più spettacolari fenomeni della natura, come
inondazioni e incendi, nella maniera più realistica, in modo da suscitare stupore e
sorpresa negli spettatori.

STORIA DELLA MUSICA !29


Scenografia teatrale di Gian Lorenzo Bernini per il Sant’Alessio di Landi.

Il Da capo
L'aria col da capo è una forma tripartita con schema A-B-A1. È composta cioè da tre
sezioni, dette anche strofe: la prima è un'unità musicale completa che si conclude
nella tonalità di impianto, la seconda è in forte contrasto con la prima, mentre la
terza, che spesso non viene neppure scritta dal compositore, ma semplicemente
indicata con la dizione da capo sulla partitura, consiste nella ripetizione letterale della
prima. La terza sezione era impreziosita con improvvisazioni e abbellimenti per
mezzo dei quali il cantante poteva mettere in mostra tutta la sua abilità e il suo
virtuosismo.
L'aria "col da capo" era spesso accompagnata da un testo in due strofe, ciascuna
composta da tre a sei versi.


G.F.Handel, da Alcina, finale Atto I



A B
Tornami a vagheggiar, Già ti donai il mio cor :
te solo vuol' amar fido sarà il mio amor;
quest' anima fedel, mai ti sarò crudel,
caro, mio bene, caro! cara mia speme.


STORIA DELLA MUSICA !30


La Castrazione e gli evirati cantori
Nella storia della musica, furono detti castrati i cantanti maschi che avevano subito
la castrazione prima della pubertà, allo scopo di mantenere la voce acuta in età
adulta. Con la maturità sessuale infatti, sia gli uomini che le donne mutano la voce,
ma nei primi la modificazione è molto più evidente e comporta un cambiamento
notevole del timbro e dell'estensione.
Il termine castrato, per il significato spregevole che poteva assumere, fu spesso
sostituito da altre locuzioni, come 'cantori evirati', 'musici', 'soprani naturali' etc.
I cantori evirati divennero in alcuni casi veri e propri fenomeni e furono impiegati da
molti operisti e compositori soprattutto nel XVII e XVIII secolo, sino al XIX secolo. La
castrazione in seguito cadde in disuso e nel Novecento fu vietata dalla Chiesa, unica
isola superstite dove tale pratica sopravviveva.
La castrazione, che in passato avveniva con modalità e tecniche differenti, non era
esente da rischi, sia per le scarse condizioni igieniche, sia per le limitate conoscenze
medico-chirurgiche; non mancarono casi di ragazzi che rimasero perennemente
invalidi o morirono.
Eseguita prima della pubertà, la castrazione non consentiva di raggiungere una
normale maturità sessuale; di conseguenza, la laringe e l'estensione vocale della
preadolescenza erano in gran parte mantenute e il timbro si sviluppava con
caratteristiche sui generis.
L'allenamento intenso a cui erano sottoposti i giovani destinati al canto, permetteva
di conseguire prestazioni virtuosistiche eccezionali; la proliferazione dei castrati
avvenne infatti parallelamente allo sviluppo della vocalità del periodo barocco, il cui
repertorio richiedeva notevole abilità.
L'impiego dei cantori evirati fu per molto tempo preferito a quello delle voci puerili,
il cui utilizzo era limitato necessariamente a pochi anni.
Una situazione particolare era quella delle chiese, dove le donne non erano ammesse
nelle cantorie per rispettare il detto di San Paolo che nella I lettera agli abitanti di
Corinto tuonava:“Mulieres in ecclesiis taceant”.
Il successo dei castrati fu parallelo allo sviluppo del melodramma e dell'opera. Dalla
fine del XVII secolo, i castrati divennero protagonisti delle scene e mantennero la
loro egemonia per circa un secolo, soppiantando i colleghi di sesso maschile nel
ruolo di 'primo uomo'. Nel corso del XVIII secolo, con la diffusione dell'opera
italiana a livello europeo (con la particolare eccezione della Francia), cantanti come
Baldassarre Ferri, Matteo Sassano, Nicolò Grimaldi, Senesino, Farinelli, Gaspare
Pacchierotti, Giovanni Battista Velluti divennero autentici divi internazionali,

STORIA DELLA MUSICA !31


originando finanche fenomeni di adorazione isterica, e i più fortunati guadagnarono
ricchezze considerevoli.
La concezione drammaturgica dell'epoca era improntata all'irrealtà e
all'idealizzazione, pertanto sempre più spesso nei protagonisti (personaggi della
mitologia o della storia romana) non vi era alcun rapporto fra sesso e ruolo; i castrati
dunque potevano interpretare indifferentemente parti maschili o femminili.
L'organizzazione rigida e strettamente gerarchica dell'opera seria favoriva le voci
acute per la rappresentazione delle virtù eroiche (sebbene i castrati venissero anche
spesso derisi per il loro aspetto o per la recitazione ridicola), mentre le voci maschili
tradizionali del basso e del tenore baritonale (il tenore acuto dalla voce chiara
nascerà solo nel XIX secolo, con la fine dei castrati) erano considerate troppo
realistiche e perciò volgari, poco portate al virtuosismo e adatte solo a ruoli
secondari o comici.
La castrazione per fini musicali era una pratica quasi esclusivamente italiana e,
secondo il diritto canonico, illegale: si trattava infatti di una mutilazione e in quanto
tale punibile con la scomunica. Non è strano, quindi, che il musicografo Charles
Burney cercò senza successo i luoghi dove si praticava l'intervento di
'miglioramento':
"Indagai attraverso l'Italia in quale posto prevalentemente i ragazzi erano scelti per cantare
tramite castrazione, ma non ne potei avere un'informazione sicura. Mi venne detto a Milano
che era a Venezia; a Venezia che era a Bologna; ma a Bologna negarono, e venni indirizzato a
Firenze; da Firenze a Roma, e da Roma venni mandato a Napoli... Si dice che vi siano
botteghe a Napoli con questa insegna: QUI SI CASTRANO RAGAZZI; ma io non fui in
grado di vedere o di sentir parlare di alcuna di queste botteghe durante la mia permanenza in
quella città”.

Farinelli
Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, detto Farinelli
(Andria, 24 gennaio 1705 – Bologna, 16 settembre 1782)

Nacque ad Andria (allora nel Regno di Napoli) in una famiglia agiata della nobiltà
locale; il padre Salvatore, che ricopriva cariche amministrative feudali, fu un grande
appassionato di musica e volle indirizzare entrambi i figli a professioni del settore,
facendo studiare Riccardo, il maggiore, da compositore e Carlo da cantante. Fu il

STORIA DELLA MUSICA !32


fratello Riccardo a volere per Carlo la castrazione, eseguita poco dopo la morte del
padre, avvenuta nel 1717.
Il giovane fu mandato a Napoli, per studiare canto con Niccolò Porpora che curò
l'affinamento del suo naturale talento di soprano.
Il suo debutto avvenne a Napoli, nel 1720, nella serenata "Angelica e Medoro" (di
Nicolò Porpora, suo maestro di canto), in una soirée in onore dell'Imperatrice
d'Austria. Il libretto era la prima prova teatrale di Pietro Metastasio, che strinse con
Broschi un'amicizia che durò tutta la vita ed è testimoniata da un interessante
carteggio. Riscosse un ottimo successo e le successive esibizioni gli valsero una
crescente rapida notorietà.
Nel 1734, Carlo Broschi si trasferì a Londra e cantò presso l'Opera della Nobiltà al
Lincoln's Inn Fields, che era diretta da Porpora e vedeva Francesco Bernardi, detto il
Senesino, come cantante principale. La sua fama era immensa, e i proventi che
ottenne durante i tre anni in cui soggiornò in Inghilterra superavano le 5.000 sterline.
Questi anni, che segnano l'apice della sua gloria come artista di scena, furono anche
degli anni della cocente rivalità tra i due gruppi teatrali residenti a Londra, da una
parte quello di Georg Friedrich Händel, sostenuto dal re Giorgio II, e dall'altra parte
quello di Porpora, sostenuto dal Principe di Galles e dalla nobiltà.

BARTOLOMEO NAZZARI,
Ritratto del Farinelli (1733)

Nel 1737, senza dubbio stanco delle


incessanti acredini che opponevano i
due gruppi teatrali, Farinelli accettò
l'invito che aveva appena ricevuto da
Elisabetta Farnese, moglie di Filippo V
di Spagna. Durante il viaggio dovette
passare per la Francia, e lì cantò per
Luigi XV. Il re spagnolo, che soffriva di
nevrastenia e melanconia, aveva di
fatto abbandonato la vita pubblica,
disinteressandosi degli affari di Stato e
manifestava segni di incipiente follia.
La regina Isabella invitò quindi
Farinelli ad esibirsi davanti a suo

STORIA DELLA MUSICA !33


marito, nella speranza che la sua voce prodigiosa potesse risvegliarlo dalla sua
apatia. L'episodio è rimasto celebre, e ha contribuito ad accrescere di più la leggenda
che circonda il cantante. La voce di Farinelli fece un tale effetto sul malinconico
Filippo V, che quest'ultimo non volle più separarsi dal cantante. La "terapia"
quotidiana consisteva nel far cantare il castrato sempre le stesse otto o nove arie, di
cui la prima era "Pallido il sole", dall'Artaserse di Johann Adolf Hasse da una stanza
diversa da quella del sovrano, le prime volte dalla stanza più lontana e via via
sempre più vicina fino ad arrivare giusto dietro la porta, il cantante riuscì a far uscire
di sua spontanea volontà il sofferente Filippo, lo fece lavare e radere. Il re gli fece
promettere di restare alla corte di Spagna, corrispondendogli uno stipendio di 2000
ducati, con l'unica richiesta di non cantare più in pubblico.
Divenuto criado familiar dei Re di Spagna, il cantante vide la sua importanza crescere
con l'ascesa al trono di Ferdinando VI di Spagna, che lo nominò cavaliere di
Calatrava, la più alta carica, fino ad allora riservata ai gentiluomini che potevano
provare la nobiltà e l'antichità delle loro famiglie. Broschi-Farinelli, favorito dal
monarca, esercitava sulla corte, e anche sulla politica, una grande influenza. Gli si
devono i primi lavori di bonifica delle rive del Tago, e assicurò la direzione
dell'opera di Madrid, e degli spettacoli reali. Utilizzò il suo potere alla corte
persuadendo Ferdinando a instaurare un teatro d'opera italiano.
Rispettato da chiunque, sommerso di doni, adulato sia dai diplomatici avversi alla
Francia, sia da quelli francesi che avrebbero voluto vedere la Spagna firmare il Patto
di famiglia, conservò questa posizione di rilievo fino all'avvento di Carlo III, il quale,
probabilmente a causa dell'eccessiva influenza del cantante, lo allontanò nel 1759.
Farinelli si ritirò allora a Bologna, dove terminò la sua esistenza nella sontuosa villa
che aveva fatto costruire in vista del suo ritiro (fuori Porta Lame, oggi distrutta).
Malgrado le numerose visite che vi ricevette (tra cui quelle di Wolfgang Amadeus
Mozart allora adolescente, e di Giuseppe II d'Austria), Farinelli soffrì fino alla sua
morte di solitudine e di malinconia.

STORIA DELLA MUSICA !34


Capitolo V

Antonio Vivaldi
Antonio Lucio Vivaldi (Venezia, 4 marzo 1678 – Vienna, 28 luglio 1741)

Detto il Prete Rosso per via del


colore dei suoi capelli, fu uno dei
violinisti più virtuosi del suo tempo
e uno dei più grandi compositori di
musica barocca. Considerato il più
importante, influente e originale
musicista italiano della sua epoca,
Vivaldi contribuì significativamente
allo sviluppo del concerto,
soprattutto solistico e della tecnica
del violino e dell'orchestrazione.
Non trascurò inoltre l'opera lirica.
Vastissima la sua opera compositiva
che comprende inoltre numerosi
concerti, sonate e brani di musica
sacra.
Benché giovane la sua fama iniziò
presto a diffondersi e nel settembre 1703 fu ingaggiato come maestro di violino dalle
autorità del Pio Ospedale della Pietà, dove iniziò la sua attività il 1º settembre 1703
con uno stipendio di 60 ducati annuali; qui rimase sino al 1720.
Fondato nel 1346, il Pio Ospedale della Pietà era il più prestigioso dei quattro
ospedali femminili di Venezia (gli altri tre erano l'Ospedale degli Incurabili,
l'Ospedale dei Mendicanti e l'Ospedale dei Derelitti ai SS. Giovanni e Paolo). In
questo tipo di istituti trovavano assistenza i bambini orfani o provenienti da famiglie
molto povere. I ragazzi imparavano un mestiere e lasciavano l'istituto all'età di 15
anni, mentre le ragazze ricevevano un'educazione musicale; quelle dotate di
maggior talento rimanevano e diventavano membri dell'ospedale. Vi era una
gerarchia in funzione delle differenti capacità tra le ragazze musicanti, dalle figlie di
coro, alle più esperte dette privilegiate di coro, fino alle maestre di coro che
insegnavano. Il cronista-musicofilo Charles de Brosses certificherà ammirato:

STORIA DELLA MUSICA !35


”La musica eccezionale è quella degli Ospedali dove le putte cantano come gli angeli e
suonano il violino, l'organo, l'oboe, il violoncello, il fagotto; insomma non c'è strumento che
le spaventi. “

Nel 1718 fu offerto a Vivaldi il prestigioso incarico di maestro di cappella da camera


alla corte del principe Filippo d'Assia-Darmstadt, governatore di Mantova e noto
appassionato di musica. Egli si trasferì dunque nella città lombarda e vi rimase per
circa tre anni.
Questo è anche il periodo in cui egli scrisse Le quattro stagioni, quattro concerti per
violino che rappresentano le scene della natura in musica; probabilmente l'idea di
comporre questi concerti gli venne mentre viveva nelle campagne attorno Mantova e
furono una rivoluzione nella concezione musicale: in essi Vivaldi rappresenta lo
scorrere dei ruscelli, il canto degli uccelli, il latrato dei cani, il ronzio delle zanzare, il
pianto dei pastori, la tempesta, i danzatori ubriachi, le notti silenziose, le feste di
caccia (sia dal punto di vista del cacciatore che della preda), il paesaggio ghiacciato, i
bambini che slittano sul ghiaccio e il bruciare dei fuochi. Ogni concerto è associato a
un sonetto scritto dallo stesso Vivaldi, che descrive la scena raffigurata in musica.
Furono pubblicati come i primi quattro concerti di una raccolta di dodici: Il cimento
dell'armonia e dell'inventione Opus 8, pubblicata ad Amsterdam, nel 1725, da Michel-
Charles Le Cène.
Nel 1730, accompagnato da suo padre, viaggiò a Vienna e a Praga, dove fu
rappresentata, tra le altre, la sua opera Farnace. Alcuni altri lavori di questo periodo
segnarono il suo incontro con due dei maggiori librettisti italiani dell'epoca:
L'Olimpiade e Catone in Utica furono scritte su libretto del già affermato Pietro
Metastasio10, che era divenuto nel 1730 poeta cesareo alla corte di Vienna, mentre il
libretto della Griselda costituiva un adattamento, da parte della giovine speranza
Carlo Goldoni, di un vecchio libretto del predecessore di Metastasio, Apostolo Zeno.
A Pietro Metastasio, già citato per l’amicizia con Farinelli, si deve l’introduzione nel
teatro musicale delle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione.

10 Pietro Metastasio, pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (Roma, 3 gennaio 1698 –
Vienna, 12 aprile 1782), è stato un poeta, librettista, drammaturgo e presbitero italiano. È considerato il
riformatore del melodramma italiano.Scrisse 27 melodrammi nel corso di 50 anni di attività teatrale.

STORIA DELLA MUSICA !36


Le Quattro Stagioni
Primavera

I tre movimenti di cui consta la Primavera, in tonalità di Mi maggiore, descrivono tre


momenti della stagione: il canto degli uccelli (allegro), il riposo del pastore con il suo
cane (largo) e la danza finale (allegro)..
Il violino solista rappresenta un pastore addormentato, le viole, il latrato del suo
fedele cane, mentre i restanti violini le foglie fruscianti.

Allegro
Giunt' è la Primavera e festosetti
La Salutan gl' Augei con lieto canto,
E i fonti allo Spirar de' Zeffiretti
Con dolce mormorio Scorrono intanto:

Vengon' coprendo l'aer di nero amanto


E Lampi, e tuoni ad annuntiarla eletti
Indi tacendo questi, gl' Augelletti
Tornan di nuovo al lor canoro incanto:

Largo
E quindi sul fiorito ameno prato
Al caro mormorio di fronde e piante
Dorme 'l Caprar col fido can' à lato.

Allegro
Di pastoral Zampogna al suon festante
Danzan Ninfe e Pastor nel tetto amato
Di primavera all'apparir brillante.

STORIA DELLA MUSICA !37


Estate

La tonalità è Sol minore. Per i suoi toni accesi e violenti questo concerto riflette con
maggiore efficacia rispetto agli altri la carica esplosiva della stagione. La tempesta
viene descritta passo passo nella sua manifestazione al pastore: dapprima si avvicina
da lontano nella calura estiva (allegro non molto - allegro), quindi il pastore che si
spaventa per l'improvviso temporale (adagio presto) e infine la virulenza sprigionata
dalla tempesta in azione (presto).

Allegro non molto


Sotto dura stagion dal sole accesa
Langue l’huom, langue ‘l gregge, ed arde ‘l pino,
Scioglie il cucco la voce, e tosto intesa
Canta la tortorella e ‘l gardellino.

Zeffiro dolce spira, ma contesa


Muove Borea improvviso al suo vicino;
E piange il Pastorel, perché sospesa
Teme fiera borasca, e ‘l suo destino

Adagio
Toglie alle membra lasse il suo riposo
Il timore de’ lampi, e tuoni fieri
E de mosche, e mosconi il stuol furioso:

Presto
Ah che pur troppo i suoi timor sono veri
Tuona e fulmina il cielo grandinoso
Tronca il capo alle spiche e a’ grani alteri.

STORIA DELLA MUSICA !38


Autunno

È in Fa maggiore. Vivaldi descrive la figura del dio romano Bacco: un'iniziale


panoramica della vendemmia è seguita dall'ebbrezza provocata dal vino, movimento
dal titolo "I dormienti ubriachi", in un clima trasognato e sereno. L'ultimo
movimento coincide con i martellanti ritmi della caccia.

Allegro
Celebra il Vilanel con balli e Canti
Del felice raccolto il bel piacere
E del liquor di Bacco accesi tanti
Finiscono col Sonno il lor godere

Adagio molto
Fa' ch' ogn' uno tralasci e balli e canti
L' aria che temperata dà piacere,
E la Staggion ch' invita tanti e tanti
D' un dolcissimo sonno al bel godere.

Allegro
I cacciator alla nov'alba à caccia
Con corni, Schioppi, e cani escono fuore
Fugge la belva, e Seguono la traccia;

Già Sbigottita, e lassa al gran rumore


De' Schioppi e cani, ferita minaccia
Languida di fuggir, mà oppressa muore.

STORIA DELLA MUSICA !39


Inverno

L'Inverno, in Fa minore, viene descritto in tre momenti: l'azione spietata del vento
gelido (allegro), il secondo movimento, tra i più celebri delle quattro stagioni, della
pioggia che cade lenta sul terreno ghiacciato (adagio) e la serena accettazione del
rigido clima invernale (allegro).

Allegro non molto


Agghiacciato tremar tra nevi algenti
Al Severo Spirar d'orrido Vento,
Correr battendo i piedi ogni momento;
E pel Soverchio gel batter i denti;

Largo
Passar al foco i dì quieti e contenti
Mentre la pioggia fuor bagna ben cento
Caminar sopra il ghiaccio, e a passo lento
Per timor di cader girsene intenti;

Allegro
Gir forte Sdrucciolar, cader a terra
Di nuovo ir sopra'l ghiaccio e correr forte
Sin ch'il ghiaccio si rompe, e si disserra;

Sentir uscir dalle ferrate porte


Scirocco, Borea, e tutti i venti in guerra
Quest'è'l verno, ma tal, che gioia apporte.

STORIA DELLA MUSICA !40


Capitolo VI

Johann Sebastian Bach


( Eisenach, 31 marzo 1685 – Lipsia, 28 luglio 1750)

Universalmente considerato uno dei più


grandi geni nella storia della musica. Le
sue opere sono notevoli per profondità
intellettuale, padronanza dei mezzi tecnici
ed espressivi e bellezza artistica.
Bach operò una sintesi mirabile fra lo stile
tedesco e le opere dei compositori italiani
(particolarmente Vivaldi), dei quali
trascrisse numerosi brani, assimilandone
soprattutto lo stile concertante. La sua
opera costituì la summa e lo sviluppo delle
svariate tendenze compositive della sua
epoca. Il grado di complessità strutturale,
la difficoltà tecnica e l'esclusione del genere
melodrammatico, tuttavia, resero la sua
opera appannaggio solo dei musicisti più dotati e all'epoca ne limitarono la
diffusione fra il grande pubblico, in paragone alla popolarità raggiunta da altri
musicisti contemporanei come Telemann o Händel.
Nel 1829 l'esecuzione della Passione secondo Matteo, diretta a Berlino da Felix
Mendelssohn, riportò alla conoscenza di un vasto pubblico la qualità elevatissima
dell'opera compositiva di Bach, che è da allora considerata il compendio della
musica contrappuntistica del periodo barocco.
Ottavo e ultimo figlio di Johann Ambrosius Bach e discendente da vecchia famiglia
di musicisti, orfano di padre e di madre a 10 anni, fu accolto dal fratello Johann
Christoph, organista a Ohrdruf, e quivi seguì i corsi del ginnasio fino all'anno 1700,
nel quale passò a quello di Lüneburg. Terminato il liceo, non poté iscriversi
all'università per motivi economici ed entrò violinista nell'orchestra di Johann Ernst
di Weimar, fratello del duca di Sassonia-Weimar. Ma presto passò all'organo di
S.Bonifacio in Arnstadt (1704) e a questo periodo risalgono le prime composizioni di
data certa. Ad Arnstadt rimase fino a mezzo il 1707, con un intervallo di 4 mesi

STORIA DELLA MUSICA !41


trascorsi a Lubecca a udire il grande organista D. Buxtehude. Nel 1707 passò
all'organo di Mühlhausen e in questa città sposò la cugina Maria Barbara.
Nel giugno dello stesso 1708 fu chiamato a Weimar quale organista di corte e
cembalista dell'orchestra ducale. A Weimar maturò la sua grandezza d'organista e
compì la maggior parte delle sue composizioni per organo, studiò a fondo - spesso
trascrivendole per organo o per cembalo - le musiche degli Italiani: Antonio Vivaldi,
Benedetto Marcello, ecc. Passato, nel 1717, Kapellmeister alla corte del principe
d'Anhalt a Cöthen, dove trovava a sua disposizione un'orchestra e un buon organo,
si dedicò, nei cinque anni che vi trascorse, a comporre e far eseguire musica da
concerto e da camera e di quando in quando si recò in altre città: Lipsia, Halle,
Amburgo, ecc. producendovisi, acclamato, quale organista. Ritornato da Karlsbad,
nel 1720, trovò morta la moglie Barbara. Dal dicembre 1721 gli fu nuova moglie
Anna Magdalena Wülken, buona compagna e musicista. Bach aveva avuto 7 figli
dalla prima consorte; 13 ne ebbe dalla seconda. Nel 1723 passò a Lipsia come Kantor
(maestro) alla Thomasschule; impiego modesto che tenne per 26 anni (i restanti della
sua vita) tra meschinità di mezzi artistici e di ambiente accademico. Lavorava
incessantemente; musiche per clavicembalo, per organo, per soli e orchestra, oratorî,
pagine chiesastiche, circa 200 cantate, s'aggiunsero alle precedenti, senza però
procurare al compositore, nell'ambiente del suo tempo, tanta ammirazione quanta
era tributata all'organista. La stessa Passione secondo Matteo passò inosservata. Nel
1747, accogliendo un vecchio invito di Federico il Grande, si recò insieme con il suo
primogenito Wilhelm Friedemann a Potsdam, dove suonò lungamente anche
improvvisando su temi suggeriti dal re. Uno dei quali temi il Bach riprese in lavoro
svolgendolo in un complesso monumento contrappuntistico che dedicò a Federico
sotto il titolo Das musikalische Opfer. Negli ultimi anni attendeva a corali per organo e
al suo testamento di contrappuntista: la sorprendente Kunst der Fuge. Negli ultimi
tempi lo colse la cecità.
Dei 20 figli, nove soltanto gli sopravvissero, e alcuni divennero celebri musicisti:
Wilhelm Friedemann, Karl Philipp Emanuel e Johann Christian. Sola eredità di Bach
furono - con numerosi libri e gli strumenti - le numerosissime e superbe
composizioni, tutte manoscritte tranne una minima parte. Molti manoscritti
andarono dispersi. I generi e le forme della musica di J. S. Bach, tutta dominata da
costanza e novità di pensiero, sono pochi: oratorio, cantata, suite, concerto,
variazione; culmine, e pietra di paragone della composizione a schema, la fuga, di
cui Bach è ineguagliato maestro.
A lui sono dedicati l'asteroide 1814 Bach e il cratere Bach sulla Luna.

STORIA DELLA MUSICA !42


Magnificat
Il Magnificat in re maggiore BWV 243 è una delle più importanti opere vocali di
Johann Sebastian Bach. Si tratta di una cantata sacra composta per orchestra, coro a
cinque voci e cinque solisti. Il testo è tratto dal cantico contenuto nel primo capitolo
del Vangelo secondo Luca, con il quale Maria loda e ringrazia Dio perché ha liberato
il suo popolo. Il Magnificat, insieme alla Messa in Si minore, costituisce una delle
due principali composizioni in lingua latina di
Bach compose una prima versione in mi bemolle maggiore nel 1723 per i vespri di
Natale a Lipsia, versione che conteneva numerosi testi natalizi. Nel corso degli anni
il compositore rimosse i brani specifici per il Natale in modo da rendere il Magnificat
eseguibile durante tutto l'anno. Bach traspose anche il brano da mi bemolle
maggiore a re maggiore, tonalità più adatta per le trombe. La nuova versione, che è
quella conosciuta oggi, venne eseguita per la prima volta nella Thomaskirche di
Lipsia il 2 luglio 1733.

Toccata e Fuga in Re minore


La toccata e fuga in Re minore BWV 565 è una delle opere per organo più conosciute
di Johann Sebastian Bach, nonché una delle più celebri e classiche composizioni di
musica barocca.

Si tratta di un lavoro composto da un Bach non ancora ventenne, fra il 1702 ed il


1703, scritto su misura per l'organo che Johann Friedrich Wender costruì per la
Chiesa Nuova (ridenominata poi Bach-kirche) di Arnstadt. Johann Sebastian Bach
inaugurò questo strumento con un concerto proprio nel 1703.

STORIA DELLA MUSICA !43


La prima parte, la Toccata, che ha un evidente impianto improvvisativo, alterna parti
manualiter in Prestissimo a potenti accordi in Adagissimo, che ben rappresentano lo
stile compositivo del giovane virtuoso. Le parole di Johann Nikolaus Forkel, primo
biografo di Bach, che descrivono il giovane compositore, sono assolutamente
perfette per riassumere quest'opera: "[gli piaceva] correre lungo la tastiera e saltare da un
capo all'altro di essa, premere con le dieci dita quante più note possibile, e proseguire in
questo modo selvaggio fino a che per caso le mani non avessero trovato un punto di riposo"

La fuga
La fuga è una forma musicale polifonica basata sull'elaborazione contrappuntistica
di un'idea tematica (a volte due o tre), che viene esposta e più volte riaffermata nel
corso della ricerca di tutte le possibilità espressive e/o contrappuntistiche da essa
offerte. Dalla seconda metà del Seicento alla prima metà del Settecento (quindi nel
momento di massimo splendore del Barocco) la fuga è stata la più importante forma
contrappuntistica strumentale. Per le sue caratteristiche, la fuga è stata scritta
soprattutto per strumenti polivoci, in grado cioè di produrre contemporaneamente
due o più suoni. È considerata una delle più importanti espressioni del contrappunto
nella storia della polifonia occidentale.

STORIA DELLA MUSICA !44


Capitolo VII

Georg Friedrich Händel


(Halle, 23 febbraio 1685 – Londra, 14 aprile 1759)

Fu uno dei maggiori compositori


del XVIII secolo. La sua opera
spazia in ogni genere musicale,
strumentale e vocale, sacro e
profano. La prima parte della sua
carriera fu dedicata principalmente
alla composizione di opere
prevalentemente su testo italiano,
che sono tra gli esempi più squisiti
di questo genere musicale; negli
ultimi anni, domina il genere
dell'oratorio in lingua inglese,
destinato ad ampi organici vocali e
orchestrali, di impronta fortemente
drammatizzata.

Francesco Valesio, nel Diario di Roma, 14 gennaio 1707, scrive:

“È giunto nella nostra Città un Sassone, eccellente suonatore di cembalo e compositore, il


quale oggi ha fatto gran pompa di sé suonando l'organo nella Chiesa di San Giovanni, con
stupore di tutti i presenti.”

Händel visse dal 1706 al 1710 in Italia, dove raffinò la sua tecnica compositiva,
adattandola a testi classici italiani; rappresentò opere nei teatri di Firenze, Roma,
Napoli e Venezia e conobbe e frequentò musicisti coevi come Scarlatti, Corelli,
Marcello. A Roma fu al servizio del cardinale Pietro Ottoboni, mecenate anche di
Corelli e Juvarra.
Dopo essere stato per breve tempo (dal 16 giugno 1710) direttore musicale alla corte
dell'Elettore di Hannover Giorgio Ludovico (destinato a diventare, di lì a quattro
anni, re di Gran Bretagna con il nome di Giorgio I), nel 1711 si trasferisce a Londra

STORIA DELLA MUSICA !45


per rappresentarvi al Queen's Theatre in febbraio il Rinaldo, che riscuote un notevole
successo. A Londra Händel decide così di stabilirsi e fondare un teatro regio
dell'opera, che sarà conosciuto come Royal Academy of Music.
Fra il 1720 e il 1728, scriverà per il King's Theatre (come si era ridenominato il
Queen's Theatre dopo l'ascesa al trono di Giorgio I) quattordici opere. Nel 1723 è
nominato compositore della Chiesa di San Pietro ad Vincula (Cappella Reale) di
Londra.
A Londra, sotto tre sovrani, Händel conoscerà la vera gloria (addirittura, un
mecenate gli farà erigere - lui vivente - un monumento nei Giardini di Vauxhall),
divenendo di fatto il musicista della famiglia reale inglese; ma vivrà anche scandali e
rivalità dovuti soprattutto a motivi politici: il re Giorgio I, tedesco, non era ben visto
dal partito conservatore inglese, che non potendolo attaccare direttamente, prese
come bersaglio "il Caro Sassone" e la sua musica, a loro dire non "in linea" con la
moda italiana allora in voga a Londra: ingaggiarono addirittura vari compositori
italiani (tra cui Giovanni Bononcini e Nicola Porpora) costituendo l'Opera della
Nobiltà per contrastare il tedesco, che seppe comunque mantenere alto il proprio
prestigio grazie a composizioni memorabili.
Una volta decaduta la moda italiana, Händel, con il sostegno della famiglia reale,
seppe "riciclarsi" percorrendo la "strada" degli oratori, ancor oggi considerati tra i
vertici della sua arte (basti ricordarsi del Messiah e del suo celeberrimo Hallelujah).
La frenetica attività musicale del compositore sassone iniziò peraltro, a partire dalla
seconda metà degli anni Trenta, a trovare limitazioni nelle sue condizioni di salute.
Nel 1736 l'esaurimento fisico accumulato nella stagione concertistica lo costrinse ad
un periodo di riposo e cure termali in Inghilterra.
Nell'aprile del 1737, all'età di cinquantadue anni, fu colpito da un primo colpo
apoplettico che gli lasciò una parziale paralisi del braccio destro, dalla quale
comunque si rimise completamente nel corso di un soggiorno termale di sei
settimane ad Aquisgrana. Nella primavera si fece visitare da un chirurgo di nome
Samuel Sharp (1709-1778) il quale gli diagnosticò un'«incipiente gutta serena», cioè a
dire, in termini di medicina moderna, un principio di cecità di origine ignota.
Händel riuscì comunque a riprendere l'attività e a completare il Jephtha, ma, con la
vista ormai quasi completamente perduta all'occhio sinistro e gravemente declinante
a quello destro, dovette rivolgersi a William Bromfield (1713-1792), rinomato medico,
allora chirurgo della principessa vedova di Galles. Questi lo sottopose, nel novembre
del 1752, ad un intervento di abbassamento della cataratta che, al di là di un
momentaneo miglioramento, lo lasciò in pratica completamente cieco. E a nulla valse

STORIA DELLA MUSICA !46


nel 1758 un secondo intervento da parte del sedicente ophthaliater John Taylor, il
quale era già intervenuto otto anni prima sugli occhi di Johann Sebastian Bach,
concorrendo secondo alcuni a causarne la morte per batteriemia.
Nonostante la cecità Händel non aveva affatto interrotto la sua attività concertistica
ed il 6 aprile del 1759 ebbe un mancamento proprio mentre dirigeva un'esecuzione
del Messiah: morì, probabilmente a seguito di ictus cerebrale, il 14 aprile. Fu sepolto,
conformemente alle sue ultime volontà, nell'Abbazia di Westminster, tra i grandi
d'Inghilterra. Una raffigurazione marmorea del compositore recante lo spartito del
Messiah è stata eretta sulla sua tomba, nel Poets' Corner.

Il Messiah
L'idea per il Messiah fu di Charles Jennens,
che aveva già scritto il libretto per
l'oratorio Saul e nel luglio del 1741 disse ad
un amico che voleva convincere Händel a
musicare un'altra raccolta di testi biblici,
per eseguirla nella Settimana Santa.
Ma Händel non voleva impegnarsi per la
stagione 1741/42. Nella stagione
precedente non era riuscito ad affermarsi
con le sue opere liriche italiane Imeneo e
Deidamia. Lo spunto per la composizione del nuovo oratorio provenne infine
dall'invito di William Cavendish, III duca di Devonshire per un serie di concerti a
Dublino.
Händel scrisse la musica con la solita velocità, utilizzando parzialmente - come in
altre opere e oratori - dei pezzi esistenti, tra cui le sue cantate italiane a duetto. Iniziò
il 22 agosto 1741 terminando il primo atto il 28 agosto, il secondo il 6 settembre ed il
terzo il 12 settembre. Con la strumentazione la partitura fu completata il 14
settembre – quindi dopo 24 giorni. Subito dopo proseguì con l'oratorio Sansone
(Samson) e ne compose la maggior parte, rivedendolo poi nell'autunno del 1742.
Nel novembre del 1741 Händel si recò a Dublino. Il 2 ottobre là venne aperto "Mr
Neale's Great Musick Hall in Fishamble Street" dove si proponevano da dicembre un
serie di sottoscrizioni in cui venivano eseguiti L'Allegro, il Penseroso ed il Moderato
ed altri oratori. Ancora prima della prima esecuzione del Messiah modificò alcuni
passaggi e compose pezzi nuovi. La prima esecuzione il 13 aprile del 1742 (successo)

STORIA DELLA MUSICA !47


diretta da Matthew Dubourg con Susannah Maria Arne ed i Cori della Cattedrale di
San Patrizio (Dublino) e della Cattedrale di Christ Church (Dublino) (preceduta da
una première con un pubblico più ridotto il 9 aprile) fu annunciata come concerto di
beneficenza per diverse organizzazioni caritative:
”For the Relief of the Prisoners in the several Gaols, and for the Support of Mercer's Hospital
in Stephen's Street and of the Charitable Infirmary on the Inns Quay, on Monday the 12th of
April [recte April 13], will be performed at the Musick Hall in Fishamble Street, Mr.
Handel's new Grand Oratorio, call'd the MESSIAH, in which the Gentlemen of the Choirs
of both Cathedrals will assist, with some Concertoes on the Organ, by Mr Handell.“

Dopo altre rappresentazioni del Messiah, Händel lasciò Dublino in agosto e tornò a
Londra. In confronto all'accoglienza entusiastica di Dublino, assai più problematica
fu la reazione nei concerti di Londra. Già con Israel in Egypt si erano sentite voci che
criticavano la citazione di testi biblici in teatri profani; ora accadeva di peggio, con
queste citazioni dai vangeli ad uso di un divertimento serale. Ancora anni dopo la
composizione veniva giudicata blasfema, nonostante l'approvazione della Casa reale
e della cattolicissima città di Dublino.
Forse per via di questi pregiudizi l'oratorio venne annunciato come A New Sacred
Oratorio per la rappresentazione del 19 marzo 1743 nella Covent Garden Theatre di
Londra senza il titolo Messiah nella seconda versione. Questa prassi venne
mantenuta anche nel 1745 al Her Majesty's Theatre di Londra e nel 1749 al Covent
Garden. Solo nel 1750 al Royal Opera House incominciò una tradizione d'esecuzione
annuale in cui Händel concludeva la sua stagione di oratori nella quaresima con una
rappresentazione del Messiah, nella terza versione, ed una dopo Pasqua nella
cappella del Foundling Hospital, il cui ricavato andava ai bambini trovatelli. Nel
1755 avviene la prima a Bath diretta dal compositore e nel 1758 nella Cattedrale di
Bristol.
Händel stesso diresse il Messiah tante volte, modificandolo spesso per adattarlo alle
più correnti esigenze. Conseguentemente nessuna versione può essere considerata
autentica, e tante modifiche e arrangiamenti si sono aggiunti nei secoli seguenti, dei
quali il più famoso è quello di Wolfgang Amadeus Mozart per conto di Gottfried van
Swieten a Vienna nel 1789 con Valentin Adamberger.
Il brano più celebre dell'oratorio è l'Hallelujah, che conclude la seconda delle tre
parti dell'opera. La melodia dell'Halleluja venne poi ripresa dallo stesso Händel nel
concerto per organo e orchestra HWV 308. In alcuni Paesi è d'uso che il pubblico si
alzi in piedi durante questa parte dell'esecuzione. La tradizione vuole che il re

STORIA DELLA MUSICA !48


Giorgio II quando sentì questo coro per la prima volta era così agitato che balzò in
piedi, seguito da tutti gli altri.

Hallelujah
(Il Messiah, Atto II)

Hallelujah!
For the Lord God Omnipotent reigneth.
Hallelujah!
For the Lord God Omnipotent reigneth.
Hallelujah!
The kingdom of this world
Is become the kingdom of our Lord,
And of His Christ, and of His Christ;
And He shall reign for ever and ever,
For ever and ever, forever and ever,
King of kings, and Lord of lords,
King of kings, and Lord of lords
And Lord of lords,
And He shall reign,
And He shall reign forever and ever,
King of kings, forever and ever,
And Lord of lords,
Hallelujah! Hallelujah!
And He shall reign forever and ever,
King of kings! and Lord of lords!
And He shall reign forever and ever,
King of kings! and Lord of lords!
Hallelujah!

STORIA DELLA MUSICA !49


Capitolo VIII

Il Classicismo
Il Classicismo, in storia della musica, indica la musica composta nel periodo che
segue il Barocco e precede il Romanticismo, ovvero nella seconda metà del
Settecento, con appendice nella prima parte dell'Ottocento, fino agli anni
immediatamente successivi al Congresso di Vienna (1815)
Il polo del movimento classicista è in particolare Vienna (tanto che si parla di
Classicismo viennese o Wiener Klassik), città dove operavano Franz Joseph Haydn,
Wolfgang Amadeus Mozart, e Ludwig van Beethoven, i tre più grandi protagonisti
della stagione classicista.
La stagione del Classicismo musicale si colloca circa tra il 1760 e il 1830 e presenta
caratteri analoghi a quelli del neoclassicismo nelle arti figurative, quali la ricerca
della linearità e il gusto delle simmetrie.
L'estetica del classicismo è caratterizzata da una forte razionalizzazione del discorso,
dal tentativo di istituire un equilibrio tra le parti della composizione e dall'adozione
di regole rigorose. Il tipico esempio è l'introduzione dello schema formale noto come
forma-sonata, particolare struttura basata sulla dialettica tra due temi e articolata in
tre parti: esposizione, sviluppo e ripresa.
In questo periodo il melodramma si divide in due filoni tematici e stilistici:

OPERA SERIA dove si raffigurava principalmente la storia antica e la mitologia,


principalmente in teatri di corte o ambienti aristocratici.

OPERA BUFFA nella quale si rappresentano scene di vita quotidiana in cui si


prendevano in giro i nobili e i loro privilegi. I teatri di opera buffa sono frequentati
da pubblico pagante di ceto popolare o borghese.

È durante il Classicismo che si afferma l'orchestra sinfonica modernamente intesa.


Inoltre il clavicembalo è progressivamente sostituito dal pianoforte, in cui il controllo
delle dinamiche consente una maggiore resa espressiva.

STORIA DELLA MUSICA !50


Capitolo IX

Wolfgang Amadeus Mozart


Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart
(Salisburgo, 27 gennaio 1756 – Vienna, 5 dicembre 1791)

Compositore, pianista, organista,


violinista e clavicembalista austriaco,
a cui è universalmente riconosciuta
la creazione di opere musicali di
straordinario valore artistico. Mozart
è annoverato tra i più grandi geni
della storia della musica, dotato di
raro e precoce talento.
Iniziò a comporre prima di aver
compiuto i sei anni (la sua prima
composizione, un minuetto per
clavicembalo, risale al gennaio 1762),
e morì all'età di trentacinque anni,
lasciando pagine indimenticabili di
musica. È stato definito dal Grove
Dictionary come "il compositore più universale nella storia della musica
occidentale": la sua produzione comprende musica sinfonica, sacra, da camera e
opere di vario genere.
Fu il primo, fra i musicisti più importanti, a svincolarsi dalla servitù feudale e a
intraprendere una carriera come libero professionista.
La musica di Mozart è considerata la "musica classica" per eccellenza: egli è infatti il
principale esponente del classicismo settecentesco, i cui canoni principali erano
l'armonia, il grande senso melodico, l'eleganza, la calma imperturbabile e l'olimpica
serenità.
I nomi assegnati al piccolo Mozart furono:
Joannes Chrysostomus, perché il bambino nacque il 27 gennaio, giorno di san Giovanni
Crisostomo.
Wolfgangus (letteralmente: «camminare come un lupo»), nome del nonno materno,
Wolfgang Nikolaus Pertl (1667 - 1724).

STORIA DELLA MUSICA !51


Theophilus, nome del padrino, Johann Theophilus Pergmayr, commerciante e
consigliere civico.
Il padre Leopold chiamava familiarmente suo figlio Wolferl. Il nome Amadeus è la
traduzione latina del nome Theophilus (dal greco Θεόφιλος Theophilos, cioè «colui
che ama Dio» o anche «colui che è amato da Dio»); successivamente (dal 1771) fu
chiamato anche Amadè. Nei primi anni il padre usò inoltre, in alcune lettere, la
versione tedesca del nome, ossia Gottlieb. Sembra che Mozart patisse una certa
insofferenza per la desinenza '-us' apposta alla fine dei suoi nomi, tanto che a volte si
firmava con enfasi scherzosa: Wolfgangus Amadeus Mozartus.
Il bambino dimostrò un talento per la musica tanto precoce quanto straordinario, un
vero e proprio bambino prodigio: a tre anni batteva i tasti del clavicembalo, a quattro
suonava brevi pezzi, a cinque componeva. Esistono vari aneddoti riguardanti la sua
memoria prodigiosa, la composizione di un concerto all'età di cinque anni, la sua
gentilezza e sensibilità, la sua paura per il suono della tromba. Inoltre aveva la
capacità di riconoscere l'altezza dei suoni (il cosiddetto orecchio assoluto).
Leopold definiva suo figlio come "il miracolo che Dio ha fatto nascere a Salisburgo" ed è
ragionevole ritenere che il grandissimo talento mostrato dal piccolo Amadeus abbia
motivato nel padre una responsabilità molto grande, oltre quella di un semplice
genitore o insegnante. Contrariamente a quanto riportato da alcuni, tra cui la figlia
Nannerl, Leopold continuò a svolgere con cura i suoi servizi a corte, ma dedicò
grandissima energia, molto tempo e denaro nell'educazione musicale dei figli, anche
con diversi viaggi in Europa che oltre a segnarlo fisicamente hanno probabilmente
arrestato l'avanzamento della sua carriera professionale a corte.
Quando non aveva neppure cinque anni, il padre portò Amadeus e la sorella, pure
assai dotata, a Monaco, affinché suonassero per la corte del Principe elettore
bavarese Massimiliano III; alcuni mesi dopo, andarono a Vienna, dove furono
presentati alla corte imperiale e in varie case nobiliari.
Verso la metà del 1763 egli ottenne il permesso di assentarsi dal suo posto di vice
Kapellmeister presso la corte del principe vescovo di Salisburgo.
Tutta la famiglia intraprese così un lungo viaggio nel continente, che durò più di tre
anni. I Mozart soggiornarono nei principali centri musicali dell'Europa occidentale
della seconda metà del Settecento: Monaco di Baviera, Augusta, Stoccarda,
Mannheim, Magonza, Francoforte, Bruxelles e Parigi (dove trascorsero il primo
inverno), poi la lunga sosta a Londra fino al luglio del 1765, quindi di ritorno
attraverso L'Aja, Amsterdam, Parigi, Lione, la Svizzera e infine il rientro a Salisburgo
nel novembre 1766.

STORIA DELLA MUSICA !52


Milano
I soggiorni milanesi diventeranno un'importante esperienza formativa: Mozart
(talvolta chiamato "Volgango Amadeo") rimarrà a Milano complessivamente per
quasi un anno della sua breve vita. Incontrò musicisti (Johann Adolph Hasse,
Niccolò Piccinni, Giovanni Battista Sammartini, Johann Christian Bach e forse anche
Giovanni Paisiello), cantanti (Caterina Gabrielli) e scrittori (Giuseppe Parini, che
scrisse per lui alcuni libretti).
Hasse rimase molto colpito dalle capacità del ragazzo, tanto che disse: "Questo
ragazzo ci farà dimenticare tutti”.

Bologna
Un altro importante soggiorno fu quello di Bologna (in due riprese, da marzo a
ottobre 1770). Ospite del conte Gian Luca Pallavicini, ebbe l'opportunità di
incontrare musicisti e studiosi (dal celebre castrato Farinelli ai compositori Vincenzo
Manfredini e Josef Mysliveček, fino allo storico della musica inglese Charles Burney
e padre Giovanni Battista Martini). A Parma ebbe l'occasione di assistere a un
concerto privato del celebre soprano Lucrezia Agujari, detta La Bastardella.
Amadeus prese lezioni di contrappunto da padre Martini, all'epoca considerato
come il più grande teorico musicale e il più grande esperto d'Europa nel
contrappunto barocco.

Firenze
A Firenze, grazie alla raccomandazione del conte Pallavicini, la famiglia Mozart
ottenne udienza presso Palazzo Pitti con il granduca e futuro imperatore Leopoldo
II. Ritrovarono a Firenze anche il violinista Pietro Nardini, già incontrato all'inizio
del viaggio in Italia. Nardini e Wolfgang suonarono insieme in un lungo concerto
serale al palazzo estivo del Granduca.

Roma
A Roma Mozart dà una straordinaria prova del suo genio: ascolta nella Cappella
Sistina il Miserere di Gregorio Allegri e riesce nell'impresa di trascriverlo interamente
a memoria dopo solo due ascolti. Si tratta di una composizione a nove voci,
apprezzata a tal punto da essere proprietà esclusiva della Cappella pontificia, tanto

STORIA DELLA MUSICA !53


da essere intimata la scomunica a chi se ne fosse impossessato al di fuori delle mura
vaticane. L'impresa ha i caratteri dello sbalorditivo, se si pensa all'età del
giovanissimo compositore e alla incredibile capacità mnemonica nel ricordare un
brano che riassume nel proprio finale ben nove parti vocali. La notizia della
straordinaria impresa raggiunse anche il Papa, Clemente XIV.

Napoli
Dopo tale impresa i salisburghesi, passando per Sessa Aurunca e Capua, si recarono
a Napoli, dove soggiornarono per sei settimane. Qui ebbero un incontro con il
segretario di Stato Bernardo Tanucci e con l'ambasciatore britannico William
Hamilton, che avevano già conosciuto a Londra.Mozart tenne anche un concerto al
Conservatorio della Pietà dei Turchini, durante il quale qualcuno attribuì all'anello
che portava al dito la genesi delle sue incredibili capacità musicali. Wolfgang se lo
tolse e lo posò sulla tastiera, dimostrando che il suo talento non derivava da virtù
magiche.
A parte la scaramanzia, Napoli nel 1770 era la Capitale della Musica oltre che quella
di un Regno, e i Mozart ebbero modo di sondare il terreno della produzione
musicale napoletana. Amadeus era attratto dagli innovatori della musica a Napoli:
Domenico Cimarosa, Tommaso Traetta, Pasquale Cafaro, Gian Francesco de Majo e
principalmente Giovanni Paisiello. Secondo il musicologo Hermann Abert, da
Paisiello il giovane Mozart doveva apprendere diversi aspetti "[...] sia per i nuovi
mezzi espressivi sia per l'uso drammatico-psicologico degli strumenti". Mozart a
Napoli viene a imparare, tuttavia la città lo ignora, nonostante i positivi riscontri
ottenuti dai Mozart durante il soggiorno a Bologna e a Roma.
Ferdinando IV di Borbone, all'epoca diciottenne, non lo riceve a corte se non in una
visita di cortesia presso la Reggia di Portici. Per Mozart non arriva nessuna scrittura
nei Teatri napoletani, nessun concerto alla corte della Capitale della Musica. La
qualità e la quantità della musica prodotta a Napoli induce il padre Leopold in una
lettera al figlio del 23 febbraio del 1778 ad affermare:
«Adesso la questione è solo: dove posso avere più speranza di emergere? forse in Italia, dove
solo a Napoli ci sono sicuramente 300 Maestri [...] o a Parigi, dove circa due o tre persone
scrivono per il teatro e gli altri compositori si possono contare sulle punte delle dita? »
Il viaggio di ritorno verso la casa natale iniziò con una nuova sosta a Roma, dove
papa Clemente XIV gli conferì lo Speron d'Oro. Indi lasciarono Roma per recarsi
sulla costa adriatica, fermandosi ad Ancona e Loreto; questo soggiorno colpì il
giovane Mozart, tanto che, subito dopo il ritorno, scrisse una composizione sacra

STORIA DELLA MUSICA !54


dedicata alla Madonna di Loreto dal titolo Litaniae Lauretanae Beatae Mariae Virginis,
seguita tre anni più tardi, nel 1774, da una seconda.
In seguito, i Mozart si fermarono nuovamente a Bologna, dove sostarono per
qualche tempo a causa di un infortunio alla gamba di Leopold Mozart.
Fu probabilmente all'inizio di ottobre del 1770 che Mozart iniziò gli studi sotto
Giovanni Battista Martini. Fu presso di lui che sostenne l'esame per l'aggregazione
all'Accademia Filarmonica di Bologna (allora titolo ambitissimo dai musicisti
europei). La prova consisteva nella redazione di un'"antifona di canto
fermo" (Mozart presentò la sua opera Quaerite primum regnum, K. 86/73v). Il difficile
e rigido esame dell'ancora giovane Mozart non fu particolarmente brillante (al
musicista venne accreditato un "6"), tuttavia esistono prove del fatto che lo stesso
Martini lo abbia aiutato in sede d'esame per favorirne la promozione. A riprova del
travagliato esito, infatti, del cosiddetto compito di Mozart esistono oggi ben due
copie, la prima esposta al Museo Internazionale e Biblioteca della Musica e quella
"definitiva" all'Accademia Filarmonica di Bologna.
La famiglia giunse in seguito a Milano dove, il 26 dicembre, al Teatro Regio Ducale,
fu eseguita la prima rappresentazione dell'opera Mitridate, che vide Wolfgang al
clavicembalo. L'evento fu un clamoroso successo, al punto che furono organizzate 22
repliche.

Torino
La tappa successiva fu costituita da un breve soggiorno a Torino, dove Mozart ebbe
occasione di incontrare alcuni importanti musicisti, come il violinista Gaetano
Pugnani e il quindicenne bambino prodigio Giovanni Battista Viotti.
Il musicista soggiornò nell’Albergo, tuttora esistente, la Dogana Vecchia, nell’attuale
Via Corte d’Appello, che oggi espone una targa a memoria dei 17 giorni passati a
Torino dal più famoso musicista della storia.

Il suo padrone, l'arcivescovo Hieronymus von Colloredo, non era propriamente un


oscurantista: aderiva al programma di riforme promosse dall'imperatore Giuseppe
II, favoriva la cultura e la ricerca e il suo governo manifestava una certa apertura sul
piano politico e religioso. Attuò però una politica di tagli e di riduzioni di spese
nell'ambito delle istituzioni musicali cittadine, fra l'altro chiudendo gli spazi riservati
al teatro musicale; negli anni precedenti Mozart si era lamentato più volte, nelle sue
lettere, della scarsa considerazione in cui Colloredo teneva la musica e i musicisti e
del fatto che a Salisburgo non si potessero rappresentare né ascoltare opere liriche.

STORIA DELLA MUSICA !55


Nei primi giorni del maggio 1781, Mozart andò ad abitare in una stanza in affitto a
casa della madre di Aloysia Weber, la signora Maria Caecilia Stamm vedova Weber;
quest'ultima viveva a Vienna assieme alle tre figlie nubili, Josepha, Sophie e
Constanze; con Constanze Weber, allora diciannovenne, Mozart di lì a poco si
fidanzò. La coppia, nonostante la contrarietà di Leopold Mozart, si sposò a Vienna,
nella cattedrale di Santo Stefano, il 4 agosto 1782. Constanze ebbe numerose
gravidanze, ma solo due figli sopravvissero fino all'età adulta, Carl Thomas e Franz
Xaver Wolfgang.
Mozart morì nella sua casa a Vienna il 5 dicembre 1791, cinque minuti prima dell'una
di notte. La salma fu portata alla Cattedrale di Santo Stefano il 6 dicembre; il corpo
venne poi sepolto, lo stesso giorno o forse la mattina del 7, in una fossa comune del
Cimitero di St. Marx, a quanto pare senza che nessuno della famiglia di Mozart, né
dei suoi amici o conoscenti, fosse presente (le testimonianze dei contemporanei
tentano di giustificare questo fatto assumendo che al momento del funerale ci fosse
maltempo, ma quest'ultima circostanza è stata posta in dubbio in epoca moderna). Si
trattò di un funerale di terza classe, vale a dire del più economico possibile (a
eccezione del funerale per i poveri, che era gratuito); forse tale tipo di funerale era
stato scelto dallo stesso Mozart, seguendo le sue convinzioni illuministiche che
potrebbero averlo indotto a disprezzare, alla stregua di un retaggio della
superstizione, sia le cerimonie funebri troppo sfarzose sia il conforto della Chiesa
(fra l'altro, Mozart non aveva chiesto, né ricevuto, l'estrema unzione).
L'esatto luogo di sepoltura di Mozart non è stato mai identificato. Vi sono a Vienna
ben due monumenti funerari del compositore in due diversi cimiteri, uno presso il
Cimitero di St. Marx e un altro presso il Cimitero centrale.
La malattia e la morte di Mozart sono state e sono tuttora un difficile argomento di
studio, oscurato da leggende romantiche e farcito di teorie contrastanti. Gli studiosi
sono in disaccordo sul corso del declino della salute di Mozart, in particolare sul
momento in cui Mozart divenne conscio della sua morte imminente e se questa
consapevolezza influenzò le sue ultime opere.
Anche l'effettiva causa del decesso di Mozart è materia di congettura. Il suo
certificato di morte riporta hitziges Frieselfieber (“febbre miliare acuta”, che allora era
considerata contagiosa, o “esantema febbrile”), una definizione insufficiente a
identificare la corrispettiva diagnosi nella medicina odierna. Sono state avanzate
diverse ipotesi, dalla trichinosi all'avvelenamento da mercurio, alla febbre reumatica
o, più recentemente, la sifilide. La pratica terapeutica del salasso, all'epoca diffusa, è
menzionata come concausa della morte. Una serie di ricerche epidemiologiche

STORIA DELLA MUSICA !56


eseguite nel 2009 da un gruppo di patologi austriaci e olandesi, che si sono
soffermati a studiare tutte le principali cause di decesso della popolazione negli
ultimi anni di vita di Mozart, porta a ritenere che, con grande probabilità, il
compositore sia morto per una nefrite acuta conseguente a una glomerulonefrite a
eziologia streptococcica.
Mozart morì lasciando incompiuto il Requiem, il cui completamento fu affidato dalla
moglie del compositore in un primo tempo al musicista Joseph Eybler, il quale,
tuttavia, ben presto si fece indietro. Fu allora chiamato il giovane compositore Franz
Xaver Süssmayr, allievo e amico di Mozart che terminò il lavoro, completando le
parti non finite e scrivendo ex novo quelle inesistenti.
Nel 1809 Constanze Weber, la vedova, si risposò col diplomatico danese Georg
Nikolaus von Nissen (1761–1826), grande ammiratore di Mozart e autore di una
delle prime biografie dedicate al musicista. Per questo lavoro di sicuro Nissen attinse
a testimonianze di Constanze, la quale, però, non può essere considerata una fonte
del tutto attendibile. Ad esempio dalle lettere scritte da Mozart ad amici e familiari
(alla stessa Constanze, ad esempio) Nissen e Constanze cancellarono spesso le parti
più scurrili e ciò nel chiaro intento di idealizzare la figura del compositore.

Le Nozze di Figaro
Le nozze di Figaro, ossia la folle giornata (K 492) dramma giocoso.

È la prima delle tre opere italiane scritte dal compositore salisburghese su libretto di
Lorenzo Da Ponte.
Musicato da Mozart all'età di ventinove anni, il testo dapontiano fu tratto dalla
commedia Le Mariage de Figaro di Beaumarchais (autore della trilogia di Figaro: Il
barbiere di Siviglia, Le nozze di Figaro e La madre colpevole).
Fu Mozart stesso a portare una copia della commedia di Beaumarchais a Da Ponte,
che la tradusse in lingua italiana e rimosse tutti gli elementi di satira politica dalla
storia.
L'opera fu scritta da Mozart in gran segreto (la commedia era stata vietata
dall'Imperatore Giuseppe II, poiché attizzava l'odio tra le varie classi sociali). Egli
impiegò sei settimane per completarla (famoso è il finale del secondo atto, scritto in
una notte, un giorno e una successiva notte di lavoro continuato). Eppure fu solo

STORIA DELLA MUSICA !57


dopo aver convinto l'Imperatore della rimozione delle scene politicamente più
discusse che questi diede il permesso di rappresentare l'opera.
Inoltre, la scena finale del terzo atto, che comprendeva un balletto e una pantomima,
si dovette scontrare con un divieto imperiale di rappresentare balli in scena.
Racconta Da Ponte, nelle sue Memorie, che lui e Mozart, non intendendo rinunciare
al finale come l'avevano concepito, invitarono l'imperatore ad assistere a una prova,
dove eseguirono quel pezzo muto. L'imperatore subito ordinò che la musica fosse
reinserita.
Così Le nozze di Figaro, finita di comporre il 29 aprile, fu messa in scena al
Burgtheater di Vienna, il 1º maggio, 1786 con Nancy Storace (Susanna), Francesco
Benucci (Figaro) e Michael Kelly (tenore) (Basilio e Don Curzio) diretta dal
compositore nelle prime due rappresentazioni e da Joseph Weigl nelle repliche.
Ottenne un successo strepitoso, al punto che l'imperatore, dopo la terza recita,
dovette emanare un decreto per limitare le richieste di bis, in modo che le repliche
non durassero troppo.
Ancor più grande fu il successo al Teatro Nazionale di Praga (dal 17 gennaio 1787),
dove (a detta di Mozart): «Qui non si parla che del Figaro, non si suona, non si strombetta,
non si canta, non si fischia che il Figaro, non si va a sentire altra opera che il Figaro.
Eternamente Figaro!».
L'opera è in quattro atti e ruota attorno alle trame del Conte d'Almaviva, invaghito
della cameriera della Contessa, Susanna, sulla quale cerca di imporre lo ius primae
noctis. La vicenda si svolge in un intreccio serrato e folle, in cui donne e uomini si
contrappongono nel corso di una giornata di passione travolgente, piena sia di
eventi drammatici che comici, e nella quale alla fine i “servi” si dimostrano più
signori e intelligenti dei loro padroni. L'opera è per Mozart, e prima di lui per
Beaumarchais, un pretesto per prendersi gioco delle classi sociali dell'epoca che da lì
a poco saranno travolte dai fatti con la Rivoluzione francese. L'intera vicenda può
anche essere letta come una metafora delle diverse fasi dell'amore: Cherubino e
Barbarina rappresentano l'amore acerbo, Susanna e Figaro l'amore che sboccia, il
Conte e la Contessa l'amore logorato e senza più alcuna passione, Marcellina e don
Bartolo l'amore maturo.

STORIA DELLA MUSICA !58


PERSONAGGI
Il Conte di Almaviva baritono
La Contessa di Almaviva soprano
Susanna, promessa sposa di Figaro soprano
Figaro basso-baritono
Cherubino, paggio del Conte mezzosoprano
Marcellina mezzosoprano
Don Bartolo, medico di Siviglia basso
Don Basilio, maestro di musica tenore
Don Curzio, giudice tenore
Barbarina, figlia del giardiniere Antonio soprano
Antonio, giardiniere del Conte e zio di Susanna basso
Paesani, villanelle e vari ordini di persone coro

ATTO I
Il giovane Figaro prende le misure della stanza che il Conte ha gentilmente concesso a lui e
alla sua promessa sposa, Susanna. E' la mattina del giorno delle loro nozze, Susanna è intenta
a misurarsi un cappello da indossare per l'occasione. Figaro si lascia sfuggire un complimento
alla generosità del Conte per aver loro offerto una stanza tanto comoda e ampia. Susanna
lascia intendere che forse quel gesto che Figaro vede come generoso, sia in realtà dovuto ad
altro; secondo lei infatti, il Conte vorrebbe rivendicare lo ius primae noctis, da lui stesso già
abolito. Le manovre sibilline del Conte trovano consenso in Don Basilio, il maestro di musica
di Susanna.
Intanto, la non più giovane Marcellina, vorrebbe impedire il matrimonio, e sposare lei stessa
Figaro, in virtù di un vecchio prestito concessogli e mai restituito. In suo aiuto accorre anche
Don Bartolo, desideroso di vendicarsi di Figaro (l'ex "Barbiere di Siviglia"), reo di aver aiutato
il Conte a portarli via la sua Rosina, ora Contessa di Almaviva.
Nel frattempo Cherubino, il paggio, chiede a Susanna di mettere una buona parola per lui
presso la Contessa. Il Conte avendolo trovato solo con Barbarina, la figlia dodicenne del
giardiniere Antonio, lo ha allontanato dal palazzo.
Cherubino deve nascondersi frettolosamente quando entra in scena il Conte, desideroso di
rilanciare le sue proposte galanti alla giovane Susanna. A sua volta anche il Conte è costretto
a nascondersi quando compare Don Basilio, intenzionato a rivelare a Susanna le attenzioni
speciali rivolte da Cherubino alla Contessa.
Con un moto di gelosia il Conte esce dal suo nascondiglio, e si accorge che anche Cherubino
è lì, nascosto. In quel momento entrano i contadini, che ringraziano il Conte per aver abolito
lo ius primae noctis.

STORIA DELLA MUSICA !59


Trovando un pretesto, il Conte rimanda il matrimonio e ordina l'arruolamente obbligatorio di
Cherubino e il suo dislocamento a Siviglia.

ATTO II
Susanna confida alla Contessa le avances ricevute dal Conte. Intanto Figaro ha escogitato un
piano per smascherare il Conte: farà avere al Conte un biglietto anonimo avvisandolo che la
Contessa ha in programma un appuntamento romantico con un ammiratore segreto per
quella stessa sera. A questo punto Susanna dovrà fingere di accettare la proposta del Conte; al
suo posto però si presenterà Cherubino travestito da donna. In questo modo la Contessa
potrà smascherare il marito.
Mentre Cherubino si sta travestendo, entra in scena il Conte che ,preso dalla gelosia, decide
di forzare la porta dello stanzino dove si è nascosto il paggio. Cherubino riesce
fortunosamente a fuggire in tempo dalla finestra e Susanna ne prende il posto. Quando il
Conte vede Susanna, è costretto a chiedere scusa alla moglie per aver dubitato di lei. Nel
frattempo sopraggiunge anche Figaro.
Antonio, il giardiniere, irrompe in scena dicendo di aver visto qualcuno scappare
furtivamente dalla finestra della camera della Contessa; Figaro cerca di sviare i sospetti
dicendo di essere stato lui.
Il secondo Atto si conclude con l'ingresso di Marcellina e Don Bartolo; ella è finalmente in
possesso dei documenti che vincoleranno Figaro a sposarla.

ATTO III
La Contessa spinge Susanna a proseguire con il piano di Figaro per smascherare il Conte, il
quale per scopre il piano e promette vendetta.
Proprio quando il giudice Don CUrzio derime il vecchio debito di Figaro, intimandogli di
sposare Marcellina, la situazione viene stravolta: da un segno sul braccio di Figaro, si scopre
che egli è in realtà il frutto del vecchio amore tra Marcellina e Don Bartolo.
In quel momento entra Susanna con i soldi per riscattare il debito di Figaro; vedendolo
abbracciato a Marcellina, si infuria. Dopo aver capito che Marcellina era felice di aver
ritrovato il suo figlio perduto, si unisce alla loro gioia. Don Bartolo chiede la mano di
Marcellina, la quale acconsente e condona il vecchio debito come regalo per le nozze con
Susanna. La Contessa decide di modificare leggermente il piano iniziale di Figaro: detta a
Susanna un bigliettino, ma si presenterà lei all'appuntamento con il Conte, non Cherubino.
Susanna consegna il bigliettino al Conte, il quale si punge con la spilla di Susanna usata per
sigillarlo.
La scena si chiude con i festeggiamenti per le due coppie di sposi: Susanna e Figaro,
Marcellina e Don Bartolo.

STORIA DELLA MUSICA !60


ATTO IV
Ormai è calata la notte al castello; la trama si infittisce quando Figaro capisce che il biglietto
recapitato al Conte era stato scritto da Susanna. Essendo venuto meno il suo piano iniziale,
crede che Susanna voglia veramente cedere alle lusinghe del Conte. Decide quindi di
appostarsi vicino al luogo dell'appuntamento insieme ad alcuni testimoni.
Susanna origlia lo sfogo di gelosia di Figaro e decide di vendicarsi tenendolo sulle spine.
La Contessa (travestita da Susanna), viene importunata prima da Cherubino e poi dal Conte.
Con un diversivo la Contessa allontana il Conte e fugge nel bosco.
Nel frattempo Figaro viene raggiunto da Susanna (travestita da Contessa). Durante la
conversazione che segue, Susanna dimentica di imitare la voce della Contessa e viene
scoperta. Figaro però non lascia intendere di aver capito l'imbroglio, e decide di punire la sua
amata Susanna indirizzando le proprie avances alla "finta Contessa".
Dopo una sequenza di colpi di scena, Figaro si scusa con Susanna per aver dubitato di lei; il
Conte, tornato nel luogo dell'appuntamento, scorge i due, non riconoscendo Susanna nelle
vesti della Contessa.
L'arrivo della vera Contessa pone il termine alle vicende, spiegando tutto l'imbroglio e
lasciando il Conte sbalordito. Al Conte non resta altro che chiedere il perdono della Contessa
e dare la propria benedizione alle nozze tra Figaro e Susanna.

Atto I, Scena 1
Camera non affatto ammobiliata, un seggiolone in mezzo.
FIGARO con una misura in mano e SUSANNA allo specchio che si sta mettendo un
cappellino ornato di fiori.

FIGARO (misurando) SUSANNA e FIGARO


Cinque... dieci... venti... trenta... Ah il mattino alle nozze vicino
Trenta sei... quaranta tre... Quanto è dolce al mio/tuo tenero sposo
SUSANNA Questo bel cappellino vezzoso
Ora sì ch’io son contenta; Che Susanna ella stessa si fè.
Sembra fatto inver per me.
(fra se stessa, guardandosi nello specchio) SUSANNA
Guarda un po’, mio caro Figaro, Cosa stai misurando,
Guarda adesso il mio cappello. Caro il mio Figaretto?
(seguitando a guardarsi) FIGARO
FIGARO Io guardo se quel letto
Sì mio core, or è più bello; Che ci destina il Conte
Sembra fatto inver per te. Farà buona figura in questo loco.

STORIA DELLA MUSICA !61


SUSANNA Lo vado a servir.
In questa stanza?… SUSANNA
FIGARO Così se il mattino
Certo, a noi la cede Il caro Contino,
Generoso il padrone. Din din, e ti manda
SUSANNA Tre miglia lontan;
Io per me te la dono. Din din, e a mia porta
FIGARO Il diavol lo porta,
E la ragione? Ed ecco in tre salti...
SUSANNA FIGARO
(toccandosi la fronte) Susanna, pian pian.
La ragione l’ho qui.
FIGARO SUSANNA
(facendo lo stesso) Ascolta…
Perché non puoi FIGARO
Far che passi un po’ qui? Fa presto.
SUSANNA SUSANNA
Perché non voglio. Se udir brami il resto,
Sei tu mio servo o no? Discaccia i sospetti
FIGARO Che torto mi fan.
Ma non capisco FIGARO
Perché tanto ti spiaccia Udir bramo il resto,
La più comoda stanza del palazzo. I dubbi, i sospetti
SUSANNA Gelare mi fan.
Perch’io son la Susanna, e tu sei pazzo. SUSANNA
FIGARO Orbene; ascolta e taci!
Grazie! non tanti elogi: osserva un poco FIGARO (inquieto)
Se potriasi star meglio in altro loco. Parla, che c’è di nuovo?
SUSANNA
Se a caso Madama Il signor Conte,
La notte ti chiama, Stanco di andar cacciando le straniere
Din din, in due passi Bellezze forestiere,
Da quella puoi gir. Vuole ancor nel castello
Vien poi l’occasione Ritentar la sua sorte,
Che vuolmi il padrone, Nè già di sua consorte, bada bene,
Don don, in tre salti Appetito gli viene…

STORIA DELLA MUSICA !62


FIGARO FIGARO
E di chi, dunque? Come! ne’ feudi suoi
SUSANNA Non l’ha il Conte abolito?
Della sua Susannetta. SUSANNA
FIGARO Ebben, ora è pentito, e par che voglia
(con sorpresa) Riscattarlo da me.
Di te? FIGARO
SUSANNA Bravo! mi piace:
Di me medesma; ed ha speranza Che caro signor Conte!
Che al nobil suo progetto Ci vogliam divertir; trovato avete...
Utilissima sia tal vicinanza. (si sente suonare un campanello)
FIGARO Chi suona? la Contessa.
Bravo! tiriamo avanti. SUSANNA
SUSANNA Addio, addio, Fi... Fi...garo bello.
Queste le grazie son, questa la cura FIGARO
Ch’egli prende di te, della tua sposa.
FIGARO
Oh guarda un po’ che carità pelosa!
SUSANNA
Chetati, or viene il meglio: Don Basilio,
Mio maestro di canto e suo mezzano,
Nel darmi la lezione
Mi ripete ogni dì questa canzone.
FIGARO
Chi? Basilio? oh, birbante!
SUSANNA Coraggio, mio tesoro.
E tu forse credevi SUSANNA
Che fosse la mia dote E tu, cervello. (Parte.)
Merto del tuo bel muso?
FIGARO
Me n’era lusingato.
SUSANNA
Ei la destina
Per ottener da me certe mezz’ore...
Che il diritto feudale…

STORIA DELLA MUSICA !63


Atto I, Scena 8 Atto II, Scena 2
FIGARO CHERUBINO
Non più andrai farfallone amoroso Voi che sapete
Notte e giorno d’intorno girando; Che cosa è amor
Delle belle turbando il riposo, Donne vedete
Narcisetto, Adoncino d’amor. S’io l’ho nel cor.
Non più avrai questi bei pennacchini, Quello ch’io provo
Quel cappello leggero e galante, Vi ridirò;
Quella chioma, quell’aria brillante, È per me nuovo,
Quel vermiglio donnesco color. Capir nol so.
Tra guerrieri, poffar Bacco! Sento un affetto
Gran mustacchi, stretto sacco, Pien di desir,
Schioppo in spalla, sciabla al fianco, Ch’ora è diletto.
Collo dritto, muso franco, Ch’ora è martir.
Un gran casco, o un gran turbante, Gelo, e poi sento
Molto onor, poco contante, L’alma avvampar,
Ed invece del fandango, E in un momento
Una marcia per il fango, Torno a gelar.
Per montagne, per valloni, Ricerco un bene
Con le nevi e i sollioni, Fuori di me
Al concerto di tromboni, Non so chi ’l tiene,
Di bombarde, di cannoni, Non so cos’è.
Che le palle in tutti i tuoni Sospiro e gemo
A l’orecchio fan fischiar. Senza voler,
Cherubino, alla vittoria; Palpito e tremo
Alla gloria militar! Senza saper,
(Partono tutti al suon di una marcia.) Non trovo pace
FINE DELL’ ATTO PRIMO Notte nè dì,
Ma pur mi piace
Languir così.
Voi che sapete
Che cosa è amor,
Donne vedete
S’io l’ho nel cor


STORIA DELLA MUSICA !64


Don Giovanni
Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni è la seconda delle tre opere italiane che il
compositore austriaco scrisse su libretto di Lorenzo Da Ponte (che era al servizio
dell'imperatore d'Austria), il quale attinse a numerose fonti letterarie dell'epoca. Essa
precede Così fan tutte e segue Le nozze di Figaro, e venne composta tra il marzo e
l'ottobre del 1787, quando Mozart aveva 31 anni.
Commissionata dall'imperatore Giuseppe II, non andò tuttavia in scena per la prima
volta a Vienna, bensì al Teatro degli Stati di Praga. Don Giovanni è considerata uno
dei massimi capolavori di Mozart, della storia della musica e della cultura
occidentale in generale.

Personaggi
Don Giovanni: giovane cavaliere molto licenzioso che passa la vita a sedurre le
donne (baritono o basso).
Leporello: servitore di Don Giovanni. Trascrive le conquiste amorose del suo
padrone su un catalogo (basso-baritono o basso).
Commendatore: il Signore di Siviglia e padre di Donna Anna; all'inizio dell'opera
sarà ucciso da Don Giovanni poi tornerà sotto forma di statua per punirlo (basso).
Donna Anna: figlia del Commendatore e promessa sposa di Don Ottavio (soprano).
Don Ottavio: promesso sposo di Donna Anna (tenore).
Donna Elvira: nobile dama di Burgos abbandonata da Don Giovanni. Donna Elvira
lo cerca affinché si penta delle sue malefatte (soprano o mezzosoprano).
Zerlina: contadina corteggiata da Don Giovanni (soprano o mezzosoprano).
Masetto: promesso sposo, molto geloso, di Zerlina (baritono o basso).
Contadini e Contadine: amici di Masetto e Zerlina (coro).
Servi: servitori e gendarmi di Donna Anna e Don Ottavio (coro).
Suonatori: suonatori di Don Giovanni (coro).
Demoni e Diavoli: entità infernali richiamate dalla statua del Commendatore per
trascinare Don Giovanni all'inferno (coro).

L'impronta di Lorenzo Da Ponte, futuro poeta di corte a Vienna, si avverte in


maniera sensibile in tutte e tre le opere italiane scritte per Mozart.
Da Ponte, nella collaborazione con Mozart per la stesura dell'opera, si appoggiò ad
un precedente libretto di Giovanni Bertati intitolato Don Giovanni, o sia Il convitato
di pietra, apportandovi per altro importanti modifiche. Bertati aveva quasi

STORIA DELLA MUSICA !65


certamente derivato il suo testo da un dramma in versi pubblicato nel 1630 del
grande scrittore spagnolo Tirso de Molina, Il seduttore di Siviglia e il convitato di
pietra (El burlador de Sevilla y Convidado de piedra).
Il tema di Don Juan Tenorio, ripreso dalla fantasia popolare, consentì a Tirso de
Molina - che articolò il suo racconto in tre distinte giornate del burlador de Sevilla -
di inaugurare quella che sarebbe stata la fortunata sorte letterario-musicale del don
Giovanni. Un riferimento importante per Da Ponte e Mozart fu sicuramente anche il
Don Giovanni o Il convitato di pietra di Molière.
In particolare, mentre le atmosfere cupe e intrise di un religioso senso di colpa sono
da riferirsi al modello di Tirso de Molina, l'immagine del libertino impenitente, ateo
e irriverente al punto da scherzare con le ombre dell'aldilà e sfidare persino il
giudizio divino, sono assai vicine alla commedia di Molière. Tuttavia, il
compiacimento un po' crudele con cui Don Giovanni tratta le sue conquiste, è segno
di una certa misoginia che non compare in Molière, e che invece è da ascrivere
interamente a Mozart e Da Ponte (anche guardando in prospettiva storica la terza
opera della "trilogia", cioè il Così fan tutte).
Don Giovanni passa la vita a sedurre donne. L'elenco di quelle da lui conquistate nel
girare il mondo è conservato da Leporello sul suo catalogo: in Italia 640, in
Alemagna (Germania) 231, in Francia 100, in Turchia 91 e in Spagna 1003. In questo
cavaliere, licenzioso quanto coraggioso, si è talvolta voluto vedere una proiezione di
Mozart perché anch'egli era un grande seduttore di donne per la sua fama, anche se
questo non è mai stato sostenuto da nessun documento storico. Don Giovanni finirà
poi vittima del suo errore più grave, ossia di non pentirsi davanti alla statua del
Commendatore, non soltanto rifiutandosi per ben tre volte di farlo, ma spingendosi a
simulare il pentimento davanti a Donna Elvira solamente per raggiungere i suoi
scopi. Proprio per questi motivi, verso la fine dell'Atto II, scontrandosi con la statua
del Commendatore venuto dall'oltretomba e che, con un amore infinito, lo esorta a
cessare ogni violenza e a pentirsi, il nobile finirà all'inferno. Per questo motivo
Mozart e Da Ponte hanno conferito a Don Giovanni questa fissità frenetica, brutale,
ossessiva e dissennata, così caratteristica della cultura della nostra epoca, e che
ritroviamo nella musica del libertino. Il Don Giovanni non lascia indifferenti, poiché
provoca e disturba con la sua ironia, ma non tradisce la sua intenzione ben definita:
ci mostra la supremazia delle leggi dell'universo sull'arbitrarietà della tirannia,
lanciandoci una sfida, spiegando perché l'opera non piacque ai viennesi.

STORIA DELLA MUSICA !66


ATTO I
Leporello attende il suo padrone Don Giovanni, introdottosi mascherato in casa di Donna
Anna per sedurla e, se del caso, violentarla, lamentandosi della sua condizione di servitore.
Ma la tentata violenza da parte del nobile non riesce: egli era intento a cercare di violentare
Donna Anna che, anche se all'inizio credeva che fosse il suo fidanzato Don Ottavio a farle
visita, subito dopo si era accorta dell'inganno ed era riuscita ad allontanare il nobiluomo dalla
sua stanza, facendolo scappare fino in giardino, dove il servo lo attendeva. Sopraggiunge
allarmato il Commendatore, padre di Anna, che dopo aver mandato la figlia a chiamare i
soccorsi, sfida a duello Don Giovanni. Questi, prima riluttante, accetta ed in pochi istanti
uccide il vecchio. Ritrova Leporello che spaventato, si era nascosto ed ora che il
Commendatore è stato ucciso, al nobile ed al suo complice non resta che fuggire. Donna
Anna, quando scopre il cadavere del padre, sviene per il dolore; Don Ottavio, che
l'accompagna, la soccorre e le promette di vendicare la morte del suocero a qualsiasi costo.
Nel frattempo, Don Giovanni è per strada con Leporello in cerca di nuove conquiste e,
mentre parla con quest'ultimo, scorge da lontano una fanciulla tutta sola e le si avvicina, ma
quando scopre che quella dama è Donna Elvira, da lui già sedotta ed abbandonata pochi
giorni prima e che ora lo cerca disperata d'amore, si trova in grande imbarazzo. Don
Giovanni cerca di giustificarsi e quando Donna Elvira viene distratta da Leporello, si
allontana in fretta lasciando il povero servo a tentare di placare la furia funesta di donna
Elvira: viste le circostanze, egli non può far altro che rivelarle la vera natura del carattere di
Don Giovanni e l'infinita serie delle sue conquiste di donne in tutto il mondo: 640 in Italia,
231 in Germania, 100 in Francia, 91 in Turchia e in Spagna 1003.
Donna Elvira, sebbene sia sconvolta e molto triste, non vuole arrendersi e ricercherà quel
birbone di Don Giovanni affinché si penta definitivamente delle sue malefatte. Intanto, un
gruppo di contadini e contadine festeggiano le nozze di Zerlina e Masetto. Don Giovanni e
Leporello, fuggiti da Donna Elvira, vanno a vederle. Intenzionato a sedurre la fresca sposina,
Don Giovanni fa allontanare con una scusa il marito in compagnia di Leporello (che stava
corteggiando alcune invitate) con tutti gli altri paesani suscitando l'ira di Masetto che però
riesce a contenersi e, rimasto solo con la giovane Zerlina, la invita a seguirlo e le promette di
sposarla. Proprio quando Zerlina sta per cedere alle promesse e alle lusinghe di Don
Giovanni, sopraggiunge Donna Elvira arrabbiatissima, che la avvisa delle cattive intenzioni
del malvagio libertino e la porta via con sé mentre arrivano Donna Anna e Don Ottavio,
venuti a chiedere a Don Giovanni aiuto per rintracciare l'ignoto assassino del Commendatore,
senza sapere che sia stato proprio lui. Donna Elvira arriva di nuovo e dice di non credere a
Don Giovanni, ma questi la accusa di essere pazza. Donna Anna e Don Ottavio, partiti Don
Giovanni e Donna Elvira, rimangono soli: Donna Anna ha riconosciuto dalla voce di Don
Giovanni l'uccisore del padre, ricorda al fidanzato la sua promessa e poi parte. Rimasto solo,
Don Ottavio rimane stupito dalle parole di Donna Anna, ma prima di arrestare Don
Giovanni, decide di andarla a consolare.

STORIA DELLA MUSICA !67


Don Giovanni, per sedurre Zerlina, ordina a Leporello di organizzare una grande festa in
onore del matrimonio. Partiti, Zerlina cerca di farsi perdonare da Masetto ma nel frattempo
arriva Don Giovanni che li invita al ballo insieme agli altri paesani. Prima della festa, Donna
Anna, Don Ottavio e Donna Elvira vogliono andare mascherati al matrimonio che Don
Giovanni ha organizzato, per arrestarlo. Il donnaiolo ordina a Leporello di invitarli, senza
sapere le loro intenzioni. Arrivano contadini e contadine in festa che iniziano a scherzare e
ballare. Il cavaliere balla con Zerlina e la conduce in disparte per farla sua, mentre Leporello
intrattiene ancora Masetto. Ma la giovane grida fuori scena e tutti vengono in suo soccorso.
Don Giovanni dapprima cerca di accusare della tentata violenza l'innocente Leporello, ma
Donna Elvira, Donna Anna e Don Ottavio, gettate le maschere, lo accusano apertamente e
cercano di arrestarlo insieme a Masetto, Zerlina e agli altri paesani. Don Giovanni e
Leporello, però, riescono a fuggire.

ATTO II
La Sera, di fronte alla casa di Donna Elvira, Don Giovanni e Leporello discutono
animatamente. Inizialmente quest'ultimo, dopo le accuse rivoltegli ingiustamente, vorrebbe
prendere le distanze dal suo padrone, ma questi, offrendogli del denaro, lo convince a tornare
al suo servizio attuando una nuova impresa: scambiare con lui gli abiti in modo tale che
mentre il servo distrae Elvira, egli possa corteggiare impunemente la sua cameriera. Donna
Elvira, affacciatasi alla finestra, cade nel tranello e si illude che Don Giovanni si sia pentito e
ravveduto.
Dopo che Donna Elvira e Leporello travestito si sono allontanati, Don Giovanni intona una
serenata sotto la finestra della cameriera. Sopraggiunge Masetto in compagnia di contadini e
contadine armati in cerca del nobile per ucciderlo. Protetto dal suo travestimento, Don
Giovanni riesce a far allontanare tutti gli altri tranne Masetto: rimasto solo con il giovane e
con l'inganno privato delle sue armi, Don Giovanni lo prende a botte e si allontana. Zerlina,
di lì passante, soccorre il marito che quando le rivela l'accaduto, decide insieme a questi di
catturare non solo Don Giovanni ma anche il suo sfortunato complice dato che Masetto crede
di esser stato picchiato da lui.
Nel frattempo, Leporello travestito non sa più come comportarsi con Donna Elvira che lo
incalza e vorrebbe fuggire senza dare nell'occhio: trovata un'uscita, decide di tagliare la corda,
ma è bloccato dall'arrivo di Donna Anna, Don Ottavio, Zerlina e Masetto accompagnati da
servi, contadini e contadine, che credendolo Don Giovanni, si fanno avanti per catturarlo e
ucciderlo, non prima che però il poveretto riveli la sua vera identità (Sola sola in buio loco).
Le cose comunque non cambiano, Zerlina lo accusa di aver picchiato Masetto, Donna Elvira
di averla ingannata e Don Ottavio e Donna Anna di tradimento, quindi lo vogliono uccidere
ugualmente. Il servo spiega a Masetto e a Zerlina di non sapere nulla, dato che è da un'ora
che gira con Donna Elvira e spiega a Donna Anna e a Don Ottavio che non ha colpa di
tradimento verso di loro, poi fugge. Don Ottavio è sempre più deciso ad assicurare Don
Giovanni alla giustizia e parte per vendicare gli amici. Mentre Masetto cerca Don Giovanni,

STORIA DELLA MUSICA !68


Zerlina raggiunge Leporello e cerca di eliminarlo perché non crede alle sue parole, ma con
l'inganno Leporello riesce a fuggire nuovamente. Zerlina, insieme a Donna Elvira, cerca di
inseguirlo ma sopraggiunge Masetto che spiega che Leporello è innocente perché ha visto
Don Giovanni con gli abiti del servo, poi partono. Donna Elvira, rimasta da sola, dà sfogo a
tutta la sua amarezza e rabbia ai suoi sentimenti contrastanti, divisi fra l'amore per Don
Giovanni e il desiderio di vendetta nei suoi confronti
È notte fonda, verso le due. Don Giovanni si è rifugiato nel cimitero e attende Leporello.
Questi arriva e racconta al padrone ciò che gli è capitato dicendo che avrebbe fatto meglio ad
andarsene invece di accettare la sua offerta di soldi: Giovanni reagisce ridendo di gusto
all'accaduto del suo servo, ma all'improvviso si ode una voce minacciosa: «Di rider finirai pria
dell'aurora». Stupiti, si guardano intorno per vedere di chi fosse quella voce tenebrosa, ma la
si sente ancora dicendo «Ribaldo, audace, lascia ai morti la pace». È la statua funebre del
Commendatore a parlare. Leporello è tremante nascosto sotto una panchina, ma Don
Giovanni non ne è per nulla intimorito, anzi, ordina beffardo a Leporello, terrorizzato, di
invitarla a cena: la statua accetta rispondendo terribilmente “Sì".
Palazzo del Commendatore, notte. Don Ottavio chiede a Donna Anna se si sia decisa a
sposarlo. Donna Anna dice che lo ama moltissimo ma è troppo addolorata per la perdita del
padre, quindi dichiara che potrà sposarlo solo quando il colpevole di questo atroce delitto
(Don Giovanni) sarà arrestato.Don Ottavio non può fare a meno di darle ragione: lui e i suoi
amici vendicheranno il Commendatore, ma nessuno di loro sa che Don Giovanni lo ha
invitato a cena nel suo palazzo.
Nel palazzo di Don Giovanni, tutto è pronto per la cena: la tavola è preparata, i musicisti
sono al loro posto ecc... Quindi Don Giovanni si siede a mangiare. Il licenzioso cavaliere si
intrattiene ascoltando brani delle opere: Una cosa rara di Vicente Martín y Soler, Fra i due
litiganti il terzo gode di Giuseppe Sarti e infine in una spiritosa autocitazione, Le nozze di
Figaro, in quel caso, l'aria di Figaro Non più andrai farfallone amoroso dello stesso Mozart.
Giunge all'improvviso Donna Elvira, che implora ancora una volta a Don Giovanni di
pentirsi, ma questi si prende gioco di lei e la caccia via. La donna esce di scena, ma la si sente
gridare terrorizzata. Don Giovanni ordina a Leporello di andare a vedere cosa stia accadendo
là fuori e si sente un altro grido e questa volta è Leporello a tornare pallidissimo e tremante:
alla porta c'è la statua del Commendatore! Dato che il servo è troppo spaventato, lo stesso
Don Giovanni, allora, si reca ad accoglierla a testa alta mentre il servo si nasconde sotto al
tavolo Entra quindi la statua del Commendatore, vedendo Don Giovanni stupito e Leporello
tremante che cerca di convincere il padrone a scappare, malgrado egli rifiuti.
Il "convitato di pietra" vuole ricambiare l'invito, e propone a Don Giovanni di recarsi a cena
da lui, porgendogli la mano. Impavido e spericolato, Don Giovanni accetta e stringe la mano
della statua: pur prigioniero di quella morsa letale, rifiuta fino all'ultimo di pentirsi. Il
Commendatore, molto arrabbiato, scompare in mezzo a nubi di foschia, improvvisamente
compare fuoco da diverse parti e si sente un gran terremoto; sono demoni e diavoli che
stanno richiamando il libertino all'inferno. Egli cerca di sfuggire al suo destino ma il potere

STORIA DELLA MUSICA !69


dei mostri è troppo forte e Don Giovanni viene inghiottito dalle fiamme dell'inferno.
Giungono gli altri personaggi con servi, contadini e contadine pronti ad arrestarlo. Leporello
riferisce l'orribile scena appena accaduta. Dato che il Cielo ha punito l'incorreggibile
libertino, Don Ottavio chiede a Donna Anna se questa volta ella sia disposta a sposarlo ma il
suo cuore si deve ancora sfogare, Masetto e Zerlina vanno a cena insieme ai loro amici,
Donna Elvira, poiché l'unico uomo che ha amato, Don Giovanni, è morto, decide di ritirarsi
in convento e Leporello va a cercare un padrone migliore. Il sipario si chiude infine sui
personaggi che dopo aver cantato il concertato finale si allontanano in direzioni diverse.

Atto I, scena 5
LEPORELLO
Madamina, il catalogo è questo delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt’io: osservate, leggete con me.
In Italia seicento e quaranta, in Lamagna duecento e trentuna,
cento in Francia, in Turchia novantuna, ma in Ispagna son già mille e tre.
V'ha fra queste contadine, cameriere, cittadine,
v'han contesse, baronesse, marchesane, principesse,
e v'han donne d'ogni grado, d'ogni forma, d'ogni età.
Nella bionda egli ha l'usanza di lodar la gentilezza;
nella bruna, la costanza; nella bianca, la dolcezza.
Vuol d'inverno la grassotta, vuol d'estate la magrotta;
è la grande maestosa,la piccina è ognor vezzosa.
Delle vecchie fa conquista pe 'l piacer di porle in lista:
ma passion predominante è la giovin principiante.
Non si picca se sia ricca, se sia brutta, se sia bella:
purché porti la gonnella, voi sapete quel che fa.
(parte)

Atto I, Scena 9
DON GIOVANNI
Alfin siamo liberati,
Zerlinetta gentil, da quel scioccone.
Che ne dite, mio ben, so far pulito?
ZERLINA
Signore, è mio marito...
DON GIOVANNI
Chi! Colui? Vi par che un onest'uomo,

STORIA DELLA MUSICA !70


un nobil cavalier, qual io mi vanto,
possa soffrir che quel visetto d'oro,
quel viso inzuccherato,
da un bifolcaccio vil sia strapazzato?
DON GIOVANNI
Ma, signor, io gli diedi parola di sposarlo.
DON GIOVANNI
Tal parola non vale un zero.
Voi non siete fatta per esser paesana:
un'altra sorte vi procuran quegli occhi briconcelli, quei labbretti sì belli,
quelle ditucce candide e odorose... parmi toccar giuncata e fiutar rose.
ZERLINA
Ah... non vorrei...
DON GIOVANNI
Che non vorreste?
ZERLINA
Alfine ingannata restar.
Io so che rado colle donne voi altri cavalieri siete onesti e sinceri.
DON GIOVANNI
Eh, un'impostura della gente plebea! La nobiltà
ha dipinta negli occhi l'onestà.
Orsù, non perdiam tempo: in questo istante io vi voglio sposar.
ZERLINA
Voi!
DON GIOVANNI
Certo, io. Quel casinetto è mio: soli saremo,
e là, gioiello mio, ci sposeremo.
Là ci darem la mano, là mi dirai di sì.
Vedi, non è lontano: partiam, ben mio, di qui.
ZERLINA
(Vorrei, e non vorrei...mi trema un poco il cor...
Felice, è ver, sarei; ma può burlarmi ancor.)
DON GIOVANNI
Vieni, mio bel diletto!
ZERLINA
(Mi fa pietà Masetto.)

STORIA DELLA MUSICA !71


DON GIOVANNI
Io cangerò tua sorte.
ZERLINA
(Presto non son più forte.)
ZERLINA E DON GIOVANNI
Andiam, andiam, mio bene, a ristorar le pene
d'un innocente amor!

Atto II, Scena 6


ZERLINA

Vedrai, carino, se sei buonino, dare te 'l posso,
che bel rimedio ti voglio dar: se il vuoi provar.
è naturale, non dà disgusto, Saper vorresti dove mi sta?
e lo speziale non lo sa far. Sentilo battere, toccami qua. 

È un certo balsamo che porto addosso:

Così fan tutte


Così fan tutte, ossia La scuola degli amanti è la
terza ed ultima delle tre opere italiane “buffe”
scritte dal compositore salisburghese su libretto
di Lorenzo da Ponte (da Le metamorfosi di
Ovidio e da La grotta di Trofonio di Giovanni
Battista Casti). Fu commissionata
dall’imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena
in seguito alle felici riprese viennesi (1788-1789)
di Le nozze di Figaro e Don Giovanni.
La prima rappresentazione ebbe luogo al Burgtheater di Vienna il 26 gennaio 1790
con Adriana Ferraresi Del Bene e Francesco Benucci diretta dal compositore.
L'architettura di questo dramma giocoso è edificata su un divertente gioco di
simmetrie. Le due coppie originarie (Fiordiligi e Guglielmo, Dorabella e Ferrando)
sono perfettamente speculari: al binomio soprano-baritono si oppone quello di
mezzosoprano-tenore. A questo incrocio, lo scambio di coppie insito nella
scommessa sembra portare ordine (al soprano si abbina perfettamente il tenore,
mentre al mezzosoprano il baritono). A queste geometrie non sono estranei

STORIA DELLA MUSICA !72


nemmeno i rimanenti personaggi (Don Alfonso e Despina) i quali, seppure non
partecipino ai giochi amorosi, sono attivi spettatori e incitano i protagonisti alle
nuove unioni, nonché ad una filosofia di vita meno rigorosa. Da notare come molti
allestimenti registici abbiano altrettanto giocato sulle simmetrie e sulle specularità
dell’opera.
Sul versante letterario, difficile è rinvenire nelle fonti anteriori il tema qui dominante
dello "scambio di coppia". Si ritiene unico antecedente di Così fan tutte (e della
filosofia di Don Alfonso) l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto: nel canto XXVIII si
legge di due amici che, appresa l'infedeltà delle loro donne, decidono di partire per
sfogarsi in nuove esperienze amorose. Il viaggio-studio però rivela l'amara verità:
anche le altre donne non sono più caste. Insomma: così fan tutte! Quivi si
rinvengono inoltre i nomi di Fiordiligi, Doralice, Fiordispina, Guglielmo e Don
Alfonso. Evidente è l'analogia tra la nostra Fiordiligi (che minaccia di morire sul
campo di battaglia insieme al suo amato, per non compromettersi) e quella
ariostesca, che muore come simbolo di estrema fedeltà. Una situazione analoga allo
scambio di coppie di Così fan tutte si rinviene nell'opera di Antonio Salieri La grotta
di Trofonio. Le protagoniste, Ofelia e Dori, scelgono i propri futuri mariti sulla base
di profili caratteriali che sono opposti alle rispettive attitudini di vita: una scelta
dettata dalla ragione e non dal cuore. Solo alla fine, si rivedranno delle proprie scelte
e si ricomporranno con i rispettivi mariti sulla base delle giuste affinità caratteriali.
Anche se qui lo scambio non riguarda i fidanzati ma i rispettivi caratteri, è evidente
che il tema aveva solleticato la fantasia di Mozart e di Lorenzo da Ponte.

Personaggi

Fiordiligi, dama ferrarese abitante in Napoli soprano


Dorabella, dama ferrarese e sorella di Fiordiligi soprano
Guglielmo, ufficiale, amante di Fiordiligi basso
Ferrando, ufficiale, amante di Dorabella tenore
Despina, cameriera soprano
Don Alfonso, vecchio filosofo basso
Coro di soldati, servi e marinai

STORIA DELLA MUSICA !73


ATTO I
In una bottega di caffè a Napoli, siedono i due ufficiali Ferrando e Guglielmo, che vantano la
fedeltà delle loro fidanzate, Dorabella e Fiordiligi, sorelle.
Il loro amico Don Alfonso, anch'egli presente, li contraddice affermando, dandosi come
sempre arie da filosofo cinico, che la fedeltà femminile non esiste (tutti sanno che c'è ma
nessuno sa dov'è) e che, se si presentasse l'occasione, le due innamorate dimenticherebbero
subito i loro fidanzati e passerebbero a nuovi amori.
A seguito di questa dichiarazione, i due intendono sfidarlo a duello per difendere l’onore delle
future spose. Don Alfonso scommette cento zecchini per provare ai due amici che le fidanzate
non sono diverse dalle altre donne: per un giorno, Ferrando e Guglielmo dovranno attenersi
ai suoi ordini.
Intanto nel giardino della loro casa sul golfo Fiordiligi e Dorabella contemplano sognanti i
ritratti dei fidanzati, ma poi si preoccupano perché sono già le sei del pomeriggio e i due
amanti non sono ancora venuti a trovarle, come fanno di solito tutti i giorni.
Ad arrivare è invece Don Alfonso, che reca loro una notizia terribile: i fidanzati sono stati
convocati al fronte e devono partire all’istante. Arrivano Ferrando e Guglielmo e fingono
anche loro di dover partire.
La cameriera Despina, complice di Don Alfonso, espone alle sorelle le proprie idee circa la
fedeltà maschile ed esorta Fiordiligi e Dorabella a "far all’amor come assassine": i fidanzati al
fronte faranno altrettanto. Don Alfonso cerca l’aiuto di Despina, promettendole venti scudi se
insieme riusciranno a far entrare nelle grazie delle sorelle due nuovi pretendenti.
Gli stessi Ferrando e Guglielmo si presentano allora travestiti da ufficiali albanesi. Le padrone
irrompono furenti per la presenza degli sconosciuti e i finti albanesi si dichiarano spasimanti
delle sorelle. Don Alfonso presenta gli ufficiali come Tizio e Sempronio, suoi cari amici.
Alle loro rinnovate e caricaturali offerte d’amore, Fiordiligi risponde che serberanno fedeltà
agli amanti fino alla morte. Fiordiligi e Dorabella si ritirano.
Don Alfonso si allontana con gli albanesi, che poco lontano fingono di suicidarsi per il dolore
bevendo del veleno.
Don Alfonso finge di andare in cerca di un medico e lascia i due agonizzanti davanti alle
esterrefatte sorelle, che iniziano a provare compassione.
Arriva Despina travestita da medico, declamando frasi in un latino maccheronico, e fa
rinvenire gli albanesi toccandoli con una calamita. I finti albanesi rinnovano le dichiarazioni
di amore e abbracciano le donne.
Despina e Don Alfonso guidano il gioco esortando le donne ad assecondare le richieste dei
nuovi spasimanti resuscitati, i quali si comportano in modo molto passionale.
Quando i due pretendono un bacio, Fiordiligi e Dorabella si infiammano indignate e
rifiutano.

STORIA DELLA MUSICA !74


ATTO II
Nella loro camera Fiordiligi e Dorabella vengono convinte da Despina a "divertirsi un poco, e
non morire dalla malinconia", senza mancare di fede agli amanti, s’intende. Giocheranno,
nessuno saprà niente, la gente penserà che gli albanesi che girano per casa siano spasimanti
della cameriera. Resta solo da scegliere: Dorabella, che decide per prima, vuole Guglielmo, e
Fiordiligi apprezza il fatto che le spetti il biondo Ferrando.
Nel giardino sul mare i due albanesi hanno organizzato una serenata alle dame, i suonatori e i
cantanti arrivano in barca. Don Alfonso e Despina incoraggiano gli amanti e le donne a
parlarsi e li lasciano soli. Fiordiligi e Ferrando si allontanano, suscitando la gelosia di
Guglielmo, che offre un regalo a Dorabella e riesce a conquistarla. Fiordiligi è sconvolta,
capisce che il gioco si è mutato in realtà. Quando Ferrando si accomiata ella ha un attimo di
debolezza e vorrebbe richiamarlo, poi rivolge il pensiero al promesso sposo Guglielmo e si
proclama a lui fedele. Questi è impacciato nel comunicare a Ferrando che Dorabella ha
ceduto facilmente, ma è felice del fatto che Fiordiligi si sia dimostrata "la modestia in carne",
commentando l’infedeltà di Dorabella.
In casa, Dorabella esorta Fiordiligi a divertirsi. Fiordiligi decide di travestirsi da ufficiale e
raggiungere il promesso sposo sul campo di battaglia: si fa portare delle vesti maschili, si
guarda allo specchio, constata il fatto che cambiare abito significa perdere la propria identità;
immagina di trovarsi già sul posto e che Guglielmo la riconosca, ma Ferrando la interrompe,
e chiede la sua mano, rivolgendosi a lei con parole che probabilmente Guglielmo non le ha
mai detto. Guglielmo ha assistito al dialogo, è furente, e anche Ferrando odia la sua ex
fidanzata, ma Don Alfonso, che ha dimostrato quanto voleva, li esorta a finire la commedia
con doppie nozze: una donna vale l’altra, meglio tenersi queste "cornacchie spennacchiate".
Don Alfonso spiega di non voler accusare le donne, anzi le scusa, è colpa della natura se "così
fan tutte".
Nella sala illuminata, con la tavola imbandita per gli sposi, Despina organizza i preparativi e
il coro di servi e suonatori inneggia alle nuove coppie. Al momento del brindisi Fiordiligi,
Dorabella e Ferrando cantano un canone, su un tema affettuoso, da musica da camera,
mentre Guglielmo si mostra incapace di unirsi a loro e commenta: "Ah, bevessero del tossico /
queste volpi senza onor!".
Il notaio (che è ancora Despina travestita) fa firmare il finto contratto nuziale. Ma un coro
interno intona "Bella vita militar!" e le sorelle rimangono impietrite: tornano i fidanzati.
Nascosti gli albanesi in una stanza, esse si preparano ad accogliere Ferrando e Guglielmo, che
fingono di insospettirsi quando scoprono il notaio e il contratto. Don Alfonso si giustifica: ha
agito a fin di bene, per rendere più saggi gli sposi. Le coppie si ricompongono come in origine
e tutti cantano la morale: "Fortunato l’uom che prende / ogni cosa pel buon verso, / e tra i casi e le vicende
/ da ragion guidar si fa”.

STORIA DELLA MUSICA !75


Atto I, Scena 1 chi lascia di bocca
FERRANDO sortire un accento
La mia Dorabella che torto le fa.)
capace non è:
fedel quanto bella GUGLIELMO
il cielo la fe’. Fuor la spada! Scegliete
GUGLIELMO qual di noi più vi piace.
La mia Fiordiligi DON ALFONSO
tradirmi non sa: (placido)
uguale in lei credo Io son uomo di pace,
costanza e beltà. e duelli non fo, se non a mensa.
DON ALFONSO FERRANDO
Ho i crini già grigi O battervi, o dir subito
ex cathedra parlo perché d'infedeltà le nostre amanti
ma tali litigi sospettate capaci!
finiscano qua. DON ALFONSO
FERRANDO E GUGLIELMO Cara semplicità, quanto mi piaci!
No, detto ci avete FERRANDO
che infide esser ponno: Cessate di scherzar, o giuro al cielo!...
provar ce 'l dovete, DON ALFONSO
se avete onestà. Ed io, giuro alla terra,
non scherzo, amici miei.
DON ALFONSO Solo saper vorrei
Tai prove lasciamo... che razza d'animali
FERRANDO E GUGLIELMO son queste vostre belle,
(metton mano alla spada) se han come tutti noi carne,
No, no, le vogliamo: ossa e pelle,
o, fuori la spada, se mangian come noi, se veston gonne,
rompiam l'amistà. alfin, se dèe, se donne son...
DON ALFONSO FERRANDO E GUGLIELMO
(O pazzo desire! Son donne,
Cercar di scoprire ma... son tali, son tali...
quel mal che, trovato, DON ALFONSO
meschini ci fa.) E in donne pretendete
FERRANDO E GUGLIELMO di trovar fedeltà?
(Sul vivo mi tocca Quanto mi piaci mai, semplicità!

STORIA DELLA MUSICA !76


DON ALFONSO Immutabil carattere...
(scherzando) FERRANDO
È la fede delle femmine Promesse...
come l'araba fenice: GUGLIELMO
che vi sia, ciascun lo dice; Proteste...
dove sia, nessun lo sa. FERRANDO
FERRANDO Giuramenti...
(con fuoco) DON ALFONSO
La fenice è Dorabella! Pianti, sospir, carezze, svenimenti.
GUGLIELMO Lasciatemi un po' ridere...
La fenice è Fiordiligi! FERRANDO
DON ALFONSO Cospetto!
Non è questa, non è quella: Finite di deriderci?
non fu mai, non vi sarà. DON ALFONSO
FERRANDO Pian piano:
Scioccherie di poeti! e se toccar con mano
GUGLIELMO oggi vi fo che come l'altre sono?
Scempiaggini di vecchi! GUGLIELMO
DON ALFONSO Non si può dar!
Orbene, udite, FERRANDO
ma senza andar in collera: Non è!
qual prova avete voi che ognor costanti DON ALFONSO
vi sien le vostre amanti; Giochiam!
chi vi fe' sicurtà che invariabili FERRANDO
sono i lor cori? Giochiamo!
FERRANDO DON ALFONSO
Lunga esperienza... Cento zecchini.
GUGLIELMO GUGLIELMO
Nobil educazione... E mille, se volete.
FERRANDO DON ALFONSO
Pensar sublime... Parola...
GUGLIELMO FERRANDO
Analogia d'umor... Parolissima.
FERRANDO DON ALFONSO
Disinteresse... E un cenno, un motto, un gesto
GUGLIELMO giurate di non far di tutto questo

STORIA DELLA MUSICA !77


alle vostre Penelopi. FERRANDO, GUGLIELMO
FERRANDO E DON ALFONSO
Giuriamo. E che brindisi replicati
DON ALFONSO far vogliamo al dio d'amor!
Da soldati d'onore.
GUGLIELMO Atto I, Scena 9
DESPINA
Da soldati d'onore.
Signora Dorabella,
DON ALFONSO
signora Fiordiligi,
E tutto quel farete
ditemi: che cosa è stato?
ch'io vi dirò di far.
DORABELLA
FERRANDO
Oh, terribil disgrazia!
Tutto!
DESPINA
GUGLIELMO
Sbrigatevi, in buonora!
Tuttissimo!
FIORDILIGI
DON ALFONSO
Da Napoli partiti
Bravissimi!
sono gli amanti nostri.
FERRANDO E GUGLIELMO
DESPINA
Bravissimo,
(ridendo)
signor don Alfonsetto!
Non c'è altro?
FERRANDO
Ritorneran.
A spese vostre
or ci divertiremo.
DORABELLA
GUGLIELMO
Chi sa!
(a Ferrando)
DESPINA
E de' cento zecchini, che faremo?
(come sopra)
Come, chi sa?
FERRANDO
Dove son iti?
Una bella serenata
DORABELLA
far io voglio alla mia dèa.
Al campo di battaglia.
GUGLIELMO
DESPINA
In onor di Citerea
Tanto meglio per loro:
un convito io voglio far.
li vedrete tornar carchi d'alloro.
DON ALFONSO
FIORDILIGI
Sarò anch'io de' convitati?
Ma ponno anche perir.
FERRANDO E GUGLIELMO
DESPINA
Ci sarete, sì signor.

STORIA DELLA MUSICA !78


Allora, poi, pensate a divertirvi.
tanto meglio per voi. FIORDILIGI
FIORDILIGI (con trasporto di collera)
(arrabbiata) Divertirci?
(sorge) DESPINA
Sciocca! che dici? Sicuro! E, quel ch'è meglio,
DESPINA far all'amor come assassine e come
La pura verità: due ne perdete, faranno al campo i vostri cari amanti.
vi restan tutti gli altri.
FIORDILIGI DORABELLA
Ah, perdendo Guglielmo Non offender così quelle alme belle,
mi pare ch'io morrei! di fedeltà, d'intatto amore esempi!
DORABELLA
Ah, Ferrando perdendo DESPINA
mi par che viva a seppellirmi andrei! Via, via! Passaro i tempi
da spacciar queste favole ai bambini!
DESPINA
Brave, «vi par», ma non è ver: ancora In uomini, in soldati
non vi fu donna che d'amor sia morta. sperare fedeltà?
Per un uomo morir!... Altri ve n'hanno (ridendo)
che compensano il danno. Non vi fate sentir, per carità!
DORABELLA
E credi che potria Di pasta simile,
altr'uomo amar chi s'ebbe per amante son tutti quanti:
un Guglielmo, un Ferrando? le fronde mobili,
DESPINA l'aure incostanti
Han gli altri ancora han più degli uomini
tutto quello ch'han essi. stabilità.
Un uomo adesso amate, Mentite lagrime,
un altro n'amerete: uno val l'altro, fallaci sguardi,
perché nessun val nulla, voci ingannevoli,
ma non parliam di ciò: vezzi bugiardi
sono ancor vivi, son le primarie
e vivi torneran; ma son lontani, lor qualità.
e, piuttosto che in vani In noi non amano
pianti perdere il tempo, che 'l lor diletto;

STORIA DELLA MUSICA !79


poi ci dispregiano, dée saper le maliziette
neganci affetto, che innamorano gli amanti:
né val da' barbari finger riso, finger pianti,
chieder pietà. inventar i bei perché;
Paghiam, o femmine, dée in un momento
d'ugual moneta dar retta a cento;
questa malefica colle pupille
razza indiscreta: parlar con mille;
amiam per comodo, dar speme a tutti,
per vanità! sien belli o brutti;
La ra la, la ra la, la ra la, la. saper nascondersi
senza confondersi;
Atto II, Scena I senza arrossire
saper mentire;
FIORDILIGI
e, qual regina
Cosa dobbiamo far?
dall'alto soglio,
DESPINA
col «posso e voglio»
Quel che volete:
farsi ubbidir.
siete d'ossa e di carne, o cosa siete?
(Par ch'abbian gusto
di tal dottrina.
Una donna a quindici anni
Viva Despina
dée saper ogni gran moda,
che sa servir!)
dove il diavolo ha la coda,
(parte)
cosa è bene e mal cos'è;

STORIA DELLA MUSICA !80


Capitolo X

Ludwig van Beethoven


( Bonn, 16 dicembre 1770 – Vienna, 26 marzo 1827)

Ludwig van Beethoven è stato un


compositore e pianista tedesco. Figura
cruciale della musica colta occidentale,
fu l'ultimo rappresentante di rilievo del
classicismo viennese, nonché il primo
grande romantico. È considerato uno
dei più grandi compositori di tutti i
tempi. Nonostante i problemi di
ipoacusia che lo afflissero prima ancora
d'aver compiuto i trent'anni, egli
continuò a comporre, condurre e
suonare, anche dopo che fu diventato
del tutto sordo. Beethoven ha lasciato
una p ro d u z i o n e musicale
fondamentale, straordinaria per la sua
forza espressiva e per la capacità di
evocare una gran mutevolezza di emozioni. E’ considerato universalmente il
precursore del Romanticismo musicale e anello di congiunzione fra il Classicismo e il
Romanticismo.
Il mito del Beethoven artista eroico, capace di trasmettere attraverso la sua opera
ogni sua emozione, esperienza personale o sentimento, crebbe moltissimo nel
periodo Romantico.
L'anno 1796 segnò una svolta nella vita del compositore: Ludwig iniziava a prendere
coscienza della sordità e malgrado tentasse, in gran segreto, di arginarne il
peggioramento con delle cure, la stessa gradualmente divenne totale prima del 1820.
La causa della sordità di Beethoven è rimasta sconosciuta; Le ipotesi di una
labirintite cronica, di una otospongiosi e della malattia ossea di Paget sono state
ampiamente discusse ma nessuna è stata mai confermata. Chiusosi in isolamento per
non rivelare in pubblico questa realtà vissuta in maniera drammatica, Beethoven si
fece una triste reputazione di misantropo, della quale soffrì chiudendosi in
rassegnato silenzio fino al termine della sua vita.

STORIA DELLA MUSICA !81


Consapevole che quest'infermità avrebbe definitivamente distrutto la sua carriera
pubblica di pianista virtuoso quale fino ad allora si era dimostrato, dopo aver
meditato per sua stessa ammissione anche il suicidio, si dedicò con nuovo slancio
alla composizione tentando di sfuggire ai mali che tormentavano la sua anima. In
una lettera indirizzata ai fratelli espresse tutta la sua tristezza e la fede nella sua arte
(testamento di Heiligenstadt):
« O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale,
come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un'apparenza
[...] pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, che medici incompetenti
hanno peggiorato. Di anno in anno, deluso dalla speranza di un miglioramento [...] ho dovuto
isolarmi presto e vivere solitario, lontano dal mondo [...] se leggete questo un giorno, allora
pensate che non siete stati giusti con me, e che l'infelice si consola trovando qualcuno che gli
somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso
nel novero degli artisti e degli uomini di valore. »
(Beethoven, 6 ottobre 1802)

Le nove sinfonie
Le nove sinfonie di Beethoven hanno ognuna una propria forza distintiva e nel loro
insieme formano un corpus di opere dalla forza espressiva difficilmente eguagliabile.
È cosa nota che, curiosamente, diversi compositori succeduti a Beethoven, romantici
o post-romantici, abbiano completato l'insieme delle proprie sinfonie fermandosi alla
nona; che sia un caso o sia una scelta voluta forse in omaggio proprio a Beethoven,
non ci sono certezze, però a seguito di questi avvenimenti è nato il mito della
"maledizione della nona" legata appunto all'ultima cifra d'opera delle sinfonie di
diversi compositori, oltre a Beethoven stesso: Bruckner, Dvorak, Mahler, Schubert,
ma anche Ralph Vaughan Williams.
Le prime due sinfonie di Beethoven sono d'ispirazione e d'impostazione classica.
Diversamente da queste prime due, La terza sinfonia, detta «Eroica», segnerà invece
un grande cambiamento nella composizione sinfonica e orchestrale. L'Eroica si
caratterizza per l'ampiezza dei suoi movimenti e per l'orchestrazione. Il primo
movimento era già da solo più lungo di una qualsiasi intera sinfonia scritta fino a
quel momento. Quest'opera monumentale, in partenza scritta per Napoleone, prima
che fosse incoronato imperatore, ci mostra un Beethoven simile ad grande "architetto
musicale" e rimarrà come esempio per il Romanticismo musicale. Nell'intenzione
dell'autore l'opera non è semplicemente il ritratto di Napoleone o di un qualsivoglia
eroe, ma in essa Beethoven voleva rappresentare l'immortalità delle gesta compiute

STORIA DELLA MUSICA !82


dai grandi uomini; questi suoi pensieri ci sono giunti dalle lettere scritte di suo
pugno.
Vengono poi la quinta sinfonia e la sesta sinfonia che possono avvicinarsi alla terza
per il loro aspetto monumentale.[perché?] Della quinta è noto il suo famoso motivo a
quattro note, spesso detto «del destino» (il compositore avrebbe detto, parlando di
questo celebre tema, che rappresenta «il destino che bussa alla porta») utilizzato
ripetutamente con variazioni in quasi tutta la sinfonia. La sesta sinfonia detta
«Pastorale» evoca perfettamente l'idea della natura di Beethoven. Ha un carattere
quasi impressionistico: oltre a momenti sereni e trasognati, la sinfonia possiede un
movimento in cui la musica cerca di rappresentare una tempesta. La settima sinfonia
è caratterizzata dal suo aspetto gioioso e dal ritmo frenetico del suo finale, per
questo giudicata da Richard Wagner come «apoteosi della danza».
La sinfonia successiva, brillante e spirituale, ritorna ad una forma più classica. Infine,
la nona sinfonia è l'ultima sinfonia compiuta. Lunga più di un'ora, è una sinfonia in
quattro movimenti che non rispetta la forma di sonata. All'ultimo movimento
Beethoven aggiunge un coro ed un quartetto vocale che cantano l'Inno alla gioia,
dall'ode omonima (An die Freude) di Friedrich Schiller. Quest'opera richiama
all'amore e alla fratellanza tra tutti gli uomini e fa ora parte del patrimonio mondiale
dell'UNESCO. L'Inno alla gioia è inoltre stato scelto come inno ufficiale dell'Unione
europea.

Le Sinfonie
Sinfonia n. 1 in Do maggiore, op. 21 (1800)
Sinfonia n. 2 in Re maggiore, op. 36 (1802)
Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore, op. 55 "Eroica" (1804)
Sinfonia n. 4 in Si bemolle maggiore, op. 60 (1806)
Sinfonia n. 5 in do minore, op. 67 (1808)
Sinfonia n. 6 in Fa maggiore, op. 68 "Pastorale" (1808)
Sinfonia n. 7 in La maggiore, op. 92 (1812)
Sinfonia n. 8 in Fa maggiore, op. 93 (1813)
Sinfonia n. 9 in re minore, op. 125 "Corale" (1824)

STORIA DELLA MUSICA !83


Nona sinfonia in Re minore
Già dal 1799 Beethoven manifestò la volontà di scrivere un'opera a partire dall'Inno
alla Gioia di Friedrich Schiller, animato dai sentimenti di fratellanza universale che
riflettevano gli ideali che avevano indotto lo scrittore tedesco ad affiliarsi alla
Massoneria. Allo stesso anno risale il primo abbozzo, sotto forma di Lied, mentre
altri schizzi si trovano attualmente in raccolte risalenti al 1814 e 1815. Ma fu solo con
la Nona Sinfonia che Beethoven adattò tale testo alla musica, la sua più grande
sinfonia. E per far ciò, prese ispirazione da una stesura dell'Ode vista dall'autore
stesso nel 1803. L'ode "An die Freude" è una lirica nella quale la gioia è intesa non
certo come semplice spensieratezza e allegria, ma come risultato a cui l'uomo giunge
seguendo un percorso graduale, liberandosi dal male, dall'odio e dalla cattiveria.
Peculiarità di quest'ultimo movimento è il perfetto uso (ante litteram) del Leitmotiv,
che sarà caratteristico della produzione Wagneriana. Infatti Beethoven, all'inizio del
4º movimento, riprende in ordine tutti e tre i temi dei precedenti.
Essa costituisce un messaggio umanista e universale: la sinfonia venne eseguita per
la prima volta davanti a un pubblico in delirio il 7 maggio 1824 e Beethoven ritrovò il
grande successo. È in Prussia e in Inghilterra, dove la notorietà del musicista era da
tempo commisurata alla grandezza del suo genio, che la sinfonia ebbe l'accoglienza
più folgorante. Più volte invitato a Londra, come Haydn, Beethoven ebbe la
tentazione verso la fine della sua vita di stabilirsi in Inghilterra, Paese che ammirava
per la sua vita culturale e per la sua democrazia, in contrapposizione alla frivolezza
della vita viennese, ma questo progetto non si realizzò mai.

IV MOVIMENTO 

« O Freunde, nicht diese Töne!
 Wem der große Wurf gelungen,

Sondern laßt uns angenehmere
 Eines Freundes Freund zu sein;

anstimmen und freudenvollere. Wer ein holdes Weib errungen,

Freude, schöner Götterfunken
 Mische seinen Jubel ein!

Tochter aus Elysium,
 Ja, wer auch nur eine Seele

Wir betreten feuertrunken,
 Sein nennt auf dem Erdenrund!

Himmlische, dein Heiligtum!
 Und wer's nie gekonnt, der stehle

Deine Zauber binden wieder
 Weinend sich aus diesem Bund!
Was die Mode streng geteilt;
 Freude trinken alle Wesen

Alle Menschen werden Brüder,
 An den Brüsten der Natur;

Wo dein sanfter Flügel weilt. Alle Guten, alle Bösen


STORIA DELLA MUSICA !84


Folgen ihrer Rosenspur.
 Ihr stürzt nieder, Millionen?

Küsse gab sie uns und Reben,
 Ahnest du den Schöpfer, Welt?

Einen Freund, geprüft im Tod;
 Such' ihn über'm Sternenzelt!

Wollust ward dem Wurm gegeben,
 Über Sternen muß er wohnen.
Und der Cherub steht vor Gott. Freude heißt die starke Feder

Froh, wie seine Sonnen fliegen
 In der ewigen Natur.

Durch des Himmels prächt'gen Plan,
 Freude, Freude treibt die Räder

Laufet, Brüder, eure Bahn,
 In der großen Weltenuhr.

Freudig, wie ein Held zum Siegen. Blumen lockt sie aus den Keimen,

Seid umschlungen, Millionen!
 Sonnen aus dem Firmament,

Diesen Kuß der ganzen Welt!
 Sphären rollt sie in den Räumen,

Brüder, über'm Sternenzelt
 Die des Sehers Rohr nicht kennt. »

Muß ein lieber Vater wohnen.


Traduzione

« O amici, non questi suoni! lasci piangente e furtivo questa


ma intoniamone altri compagnia!
più piacevoli, e più gioiosi. Gioia bevono tutti i viventi

Gioia! Gioia! dai seni della natura;

Gioia, bella scintilla divina, vanno i buoni e i malvagi

figlia di Elisio, sul sentiero suo di rose!

noi entriamo ebbri e frementi, Baci ci ha dato e uva, un amico,

celeste, nel tuo tempio. provato fino alla morte!

Il tuo fascino riunisce La voluttà fu concessa al verme,

ciò che la moda separò e il cherubino sta davanti a Dio!
ogni uomo s'affratella Lieti, come i suoi astri volano

dove la tua ala soave freme. attraverso la volta splendida del cielo,

L'uomo a cui la sorte benevola,
 percorrete, fratelli, la vostra strada,

concesse il dono di un amico,
 gioiosi, come un eroe verso la vittoria.
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
 Abbracciatevi, moltitudini!

unisca il suo giubilo al nostro!
 Questo bacio vada al mondo intero!

Sì, - chi anche una sola anima
 Fratelli, sopra il cielo stellato

possa dir sua nel mondo!
 deve abitare un padre affettuoso.

Chi invece non c'è riuscito,
 Vi inginocchiate, moltitudini?


STORIA DELLA MUSICA !85


Intuisci il tuo creatore, mondo?
 nel grande meccanismo del mondo.

Cercalo sopra il cielo stellato!
 Essa attrae fuori i fiori dalle gemme,

Sopra le stelle deve abitare! gli astri dal firmamento,

"Gioia" si chiama la forte molla
 conduce le stelle nello spazio,

che sta nella natura eterna.
 che il canocchiale dell'osservatore
Gioia, gioia aziona le ruote
 non vede. »


Capitolo XI

Il Romanticismo
Dopo il Settecento ebbe inizio l’età romantica dove i popoli sotto la spinta degli
ideali della Rivoluzione Francese erano in fermento per rivendicare i propri diritti di
libertà e uguaglianza. L’aristocrazia dopo aver perso il potere economico perde
anche quello politico quindi la borghesia ha il sopravvento avviando un grande
processo d’industrializzazione. La musica entra nei salotti borghesi e cessa di essere
gestita dagli aristocratici. I compositori sono molto più liberi di esprimere i propri
sentimenti e pensieri perché non sono più alle dipendenze della nobiltà. Il
romanticismo sostituisce la Ragione universale, esso tende a risolvere i problemi
dell’umanità con altre tematiche quali i sentimenti, la lotta dell’uomo-eroe per
realizzare un ideale non sempre raggiungibile.

Questo profondo mutamento di pensiero cambio` tutta la società umana e
naturalmente si fece sentire anche sulle arti, infatti nella pittura gli artisti
dell’ottocento dipingevano secondo i loro sentimenti privilegiando argomenti storici,
che in qualche modo riflettessero le aspirazioni di libertà dell’epoca avendo  sempre
come sfondo una natura bella, crepuscolare a volte inquietante fra un grande
contrasto di luci e colori;al contrario dell'artista del settecento che dipingeva
un'immagine geometrica in un mondo ideale.

In poesia il romanticismo porto’ a cambiamenti espressivi privilegiando certe forme,
quali la ballata, la romanza, più libere rispetto ad altre quali l’ode, il sonetto, l’ottava
più schematiche.
La musica romantica è la musica composta secondo i principi dell'estetica del
Romanticismo. In senso stretto abbraccia un arco di tempo che va dal 1820 al 1880
circa, e segue il periodo classico.
In questo periodo il linguaggio musicale subisce una rapida evoluzione. Il musicista
romantico muta infatti la sua posizione sociale: da un dipendente al servizio di

STORIA DELLA MUSICA !86


chiese o corti diventa un libero professionista. Per il musicista romantico la ricerca
della libertà professionale significò la possibilità di esprimere i propri sentimenti e le
proprie sensazioni senza dover obbedire alle rigide, aride regole formali che
vigevano nel classicismo.
Si impose dunque una nuova libertà formale: alla melodia fu affidato un ruolo-
chiave come veicolo dell'espressione, ora frenetica ora malinconica, anche grazie al
frequente uso del modo minore. Le dinamiche si fecero più irregolari, costellate dalle
variazioni. Notevole importanza ed autonomia acquisirono i timbri strumentali. Lo
strumento musicale prediletto di
quest'epoca fu il pianoforte per la
quantità di gradazioni d'intensità e
timbro di cui era capace e per
l'elemento lirico e soggettivo
legato alla presenza di un unico
esecutore.

Caspar David Friedrich, Viandante


sul mare di nebbia (1818),
Amburgo, Kunsthalle.
Il dipinto è considerato uno dei
manifesti del Romanticismo.

Nacquero in questo periodo nuove forme musicali caratterizzate dalla concisione,


quali il notturno, la romanza senza parole, foglio d'album e il Lied, finalizzate ad
un'espressione immediata dei sentimenti e dei moti più intimi dell'animo umano.
Brani che talvolta erano scritti "di getto" (da cui il nome di un'altra forma tipica della
letteratura pianistica di questo periodo: l'improvviso), sotto l'impulso
dell'ispirazione.
In quest'ambito si svilupparono due tendenze opposte: l'intimismo e il virtuosismo.
Il primo cercava suoni perlati, soffici e raffinati, evitava le folle, si rifugiava nei
salotti ed emergeva d'innanzi a pochi amici. Il virtuosismo invece scatenava sonorità

STORIA DELLA MUSICA !87


imponenti, tempeste di note e di arpeggi. Era alla ricerca della folla e voleva
mandarla in delirio, trionfando su di essa.
Solitamente questo tipo di composizioni erano eseguite nei salotti di signori
facoltosi, mecenati delle arti e donne di cultura.
In Italia e in Francia, l'età romantica fu un periodo di cambiamento anche per
l'opera, i cui argomenti non furono più tratti dalla mitologia e classici, bensì furono
per lo più ispirati a soggetti storici.
Parigi fu la culla del grand-opéra, una sfarzosa miscela di spettacolo, azione, balletto e
musica, i cui autori furono inizialmente soprattutto compositori stranieri stabilitisi in
Francia, tra cui Gioachino Rossini (Guillaume Tell) e soprattutto Giacomo
Meyerbeer. Sempre a Parigi si svilupparono i generi dell'opéra-comique e più tardi -
nel periodo tardoromantico - dell'opéra-lyrique.
In Italia, l'opera continuò a porre l'accento principalmente sull'uso della voce. Agli
albori del romanticismo italiano si collocano le figure di Vincenzo Bellini e Gaetano
Donizetti. In seguito, l'autore simbolo del melodramma italiano dell'Ottocento,
Giuseppe Verdi, proseguì sulla strada tracciata dai suoi predecessori ma le sue opere
mostrano un sensibile incremento della componente realistica, tanto che l'aggettivo
"romantico" vi si lascia applicare con difficoltà e in modo comunque parziale.
Più direttamente legata al filone tardoromantico fu l'opera italiana degli anni
Settanta e Ottanta dell'Ottocento. Il compositore italiano che seppe far propri i temi e
le ambientazioni fantastiche proprie del romanticismo tedesco fu Alfredo Catalani.
Aspetti romantici si registrano ancora nei compositori della Giovane scuola: Pietro
Mascagni, Ruggero Leoncavallo, Francesco Cilea, Umberto Giordano e soprattutto
Giacomo Puccini, che in particolare con Manon Lescaut (1893) diede vita ad una
delle poche opere italiane pienamente ascrivibili al filone tardoromantico.
L'opera romantica si affermò tuttavia soprattutto in Germania, grazie a Ernst
Theodor Amadeus Hoffmann, Ludwig Spohr e soprattutto Carl Maria von Weber,
l'autore del Franco cacciatore (1821). Sulla scia di Weber, Richard Wagner dedicò la
prima parte della sua attività di musicista allo sviluppo dell'opera romantica tedesca.
La sua ultima opera considerata dall'autore stesso come "opera romantica" è
Lohengrin (1850), mentre i successivi Tristano e Isotta e Parsifal abbandonano la
definizione di "opera" collocandosi nella sfera particolare dei drammi musicali (o
"gesta della musica divenute visibili", secondo le parole dello stesso Wagner) e
ponendosi a cavallo tra Romanticismo e Decadentismo.

STORIA DELLA MUSICA !88


Capitolo XII
Felix Mendelssohn-Bartholdy
Jakob Ludwig Felix Mendelssohn Bartholdy
(Amburgo, 3 febbraio 1809 – Lipsia, 4 novembre 1847)

Fu un compositore, direttore d'orchestra,


pianista e organista tedesco.
Mendelssohn ebbe il merito di riportare alla
luce la musica di Johann Sebastian Bach,
caduta in oblio in quel periodo, in particolare
la Passione secondo Matteo (mai più
interpretata dalla morte di Bach), di cui diresse
un'esecuzione (non integrale e rimaneggiata
nella strumentazione dal giovane Mendelssohn
stesso) nel 1829, con un grande successo che gli
permise di guadagnare un'ottima reputazione,
e i cui effetti di riscoperta verso la musica
bachiana durano tutt'oggi.
Felix ebbe un ruolo determinante anche nella
riscoperta dei lavori di Mozart, dal quale (congiuntamente a Bach) subì la maggior
influenza musicale.
Le musiche di scena per Sogno di una notte di mezza estate sono fra le opere più
celebri di Mendelssohn e vennero composte per la commedia di William
Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate su commissione del re di Prussia
Federico Guglielmo IV.
Il 26 agosto 1826 venne terminata l'ouverture, quando il compositore aveva solo 17
anni. La prima esecuzione in pubblico ebbe luogo nel febbraio 1827 a Stettino,
attuale Polonia, sotto la direzione di Carl Loewe. Mendelssohn non dichiarò mai di
voler comporre una suite a quest'opera. Questo argomento divenne attuale quando
Federico Guglielmo IV di Prussia decise di far rappresentare l'ouverture al nuovo
palazzo di Potsdam. Malgrado i suoi pressanti e onerosi incarichi derivanti
dall'essere direttore permanente della Gewandhausorchester Leipzig, direttore del
Conservatorio delle medesima città e direttore generale della musica di Prussia,
Mendelssohn accettò l'incarico di completare l’opera e la compose nel 1843. La prima
esecuzione avvenne il 14 ottobre 1843.

STORIA DELLA MUSICA !89


Song with Chorus, Atto II, Scena II
FIRST FAIRY. Worm nor snail, do no offence.
You spotted snakes with double tongue, Come not here.
Thorny hedgehogs, be not seen; TRADUZIONE
News and blind-worms, do no wrong; Voi serpi screziate, dalla lingua forcuta,
Come not near our fairy queen. voi ricci spinosi, sparite di qui.
Hence away! Gechi e orbettini, non fate del male,
non v’appressate alla regina delle fate.
CHORUS.
Philomel, with melody, Filomela, con la tua melodia
Sing in our sweet lullaby; unisciti alla dolce ninna nanna.
Lulla, lulla, lullaby; lully, lulla, lullaby; Tutte le fate Ninna nanna.
Never harm, Malie, fatture, incanti,
Nor spell, nor charm, lungi all’amabile nostra signora.
Come our lovely lady nigh; Buona notte, e ninna nanna.
So, good night, with lullaby.
Ragni tessitori, non v’accostate,
SECOND FAIRY. via di qui, tessitori spilungoni;
Weaving spiders come not here; neri scarabei, lungi da qui.
Hence, you long legg-d spinners, hence! Bruchi e lumache, state tranquilli.
Beetles black, approach not near

STORIA DELLA MUSICA !90


Capitolo XIII

Ambroise Thomas
(Metz, 5 agosto 1811 – Parigi, 12 febbraio 1896)

La sua opera più celebre, Hamlet, del 1868, dalla


tragedia di Shakespeare, gli darà fama
internazionale. La musica di Thomas non venne
giudicata molto calzante al soggetto ma l'opera
riuscì comunque ad avere successo, anche per
merito della compagnia di canto, tanto che il
compositore sarà il primo compositore a ricevere
l'insegna di Commendatore della Légion
d'Honneur direttamente dalle mani di Napoleone
III.
Thomas divenne poi professore di composizione
al Conservatorio di Parigi nel 1856, succedendo
ad Adolphe Adam. Alla morte di Daniel Auber nel 1871, Thomas gli succedette
nell'incarico di direttore del Conservatorio. Egli smise allora di comporre ad
eccezione della Françoise de Rimini del 1874, che non ebbe grande successo e di un
balletto, La Tempête del 1889, entrambi da Shakespeare, rappresentati all'Opéra de
Paris. Durante la sua direzione del Conservatorio, si oppose alle influenze tedesche
nella musica francese e nel 1887, presiedette la commissione istituita dal ministro
della guerra per scegliere la versione ufficiale de La Marseillaise. La versione decisa
dalla commissione fu adottata fino al 1974.
«Vi sono due generi di musica, la buona e la cattiva e poi c'è la musica di Ambroise Thomas»,
disse Emmanuel Chabrier: intendendo dire in effetti che la musica di Ambroise
Thomas non era ne buona ne cattiva; leggera, facile, melodiosa, era pensata per
piacere al pubblico popolare del Secondo impero.

STORIA DELLA MUSICA !91


Hamlet
opera in 5 atti su libretto di Michel Carré e Jules Barbier, rappresentata all'Opéra
de Paris il 9 marzo 1868.

.
La tragedia di Shakespeare assume un carattere romantico che ne stravolge il senso.
Amleto perde la sua ironia raggelante, le due coppie di cortigiani spariscono, il ruolo
di Polonio non esiste praticamente più, Gertrude non solo sa del crimine, ma ne è la
complice, come attesta il duetto dei sovrani nel II atto. In questo modo, il crimine
non è più potenzialmente fantastico, diventa realtà obiettiva. Il dramma si restringe
sulla tensione al cuore dell'amaro personaggio di Amleto, i suoi aspetti bizzarri sono
cancellati.
L'opera ha affascinato molto per la sua scena di follia tradizionale che occupa per
intero l'atto IV: l'aria di Ofelia.

STORIA DELLA MUSICA !92


OPHÉLIE La Willis au regard de feu! 

A vox jeux, mes amis, Que Dieu garde 

permettez-moi de grâce Celui qui s'attarde 

De prendre part! 
 Dans la nuit

Nul n'a suivi ma trace. 
 au bord du la bleu! 

J'ai quitté le palais
 Heureuse l'épouse 

aux premiers feux du jour. 
 Aux bras de l'époux! 

Des larmes de la nuit, 
 Mon âme est jalouse 

la terre était mouillée, 
 D'un bonheur si doux! 

Et l'alouette, avant l'aube éveillée, 
 Nymphe au regard de feu, 

Planait dans l'air, ah!. 
 Hélas!

Ah!. Mais vous, 
 tu dors sous les eaux du la bleu!
pourquoi parler bas? 
 Ah!.Ah!.Ah!.

Ne me reconnaissez-vous pas?
 La la ,etc

Hamlet est mon époux,
 Ah! cher époux! 

et je suis Ophélie! Ah! cher amant! 

Un doux serment nous lie.
 Ah! Doux aveu! 

Il m'a donné son cour
 Ah! tendre serment! 

en échange du mien, 
 Bonheur surpême! 

Et si quelqu'un vous dit 
 Ah! cruel, tu vois mes pleurs! 

Qu'il me fuit et m'oublie, etc. 
 Ah! Pour toi je meurs! 

N'en croyez rien! 
 Ah!.Ah!.

Si l'on vous dit qu'il m'oublie, 
 Ah!.je meurs!
N'en croyez rien; 

Non, Hamlet est mon époux, etc Hamlet, Act IV
S'il trahissait sa foi, 
 Versione originale
j'en perdrais la raison! di Shakespeare
Partagez-vous mes fleurs! 

A toi cette humble branche 
 LAERTE
De romarin sauvage. 
 Che succede?
Ah!.Ah!. 
 Entra Ofelia
A toi cette pervenche. 
 Oh, febbre, inaridiscimi il cervello!
Ah!.Ah!. Lacrime mie, sette volte salate,
Et maintenant écoutez ma chanson! 
 bruciate dei miei occhi tutto il senso,
Pâle et blonde 
 tutto il potere!... Questa tua pazzia,
Dort sous l'eau profonde 
 per Dio!, sarà pagata a giusto peso,

STORIA DELLA MUSICA !93


fin che la nostra bilancia si schianti! e qui le viole, per i tuoi pensieri.
O tu, rosa di maggio!
Cara, buona sorella, dolce Ofelia! LAERTE
Cielo, è dunque possibile Una lezione, pur nella pazzia:
che il senno d'una giovane fanciulla i pensieri e i ricordi bene uniti.
perisca come la vita d'un vecchio?
La natura s'affina nell'amore, OFELIA
e invia di sé qualche preziosa parte Ecco per te il finocchio, e le verbene,
alla cosa ch'è oggetto del suo amore. e la ruta, ed un poco anche per me:
la possiamo chiamare l'erba grazia
OFELIA della domenica; ma la tua ruta
(Cantando) devi portarla addosso in altro modo...
"Nella bara a volto nudo Ecco una margherita... E le violette
"l'han disteso, ninna oh... ti vorrei dare, ma appassiron tutte
"Sulla tomba sua caduto quando morì mio padre.
"è assai pianto, ninna oh..." M'hanno detto che ha fatto buona fine...
Addio, mio piccioncino! (Canta)
"Perché il mio dolce Robin
LAERTE "è tutta la mia gioia…"
Se tu avessi quel senno ch'era tuo,
e potessi incitarmi alla vendetta, LAERTE
non potresti commuovermi di più! Pensiero ed afflizione, ambascia,
inferno,
OFELIA ella converte tutto nell'incanto
Voi dovete cantare: "In giù, in giù", della sua leggiadria.
come se lo chiamaste da sotterra.
Oh, come gira bene l'arcolaio! OFELIA
È stato il maggiordomo, il traditore, (Canta)
a rubare la figlia del padrone. "Dunque non torna più?
"No, morto è il mio diletto,
LAERTE "riposa nel suo letto,
Questo nulla che dice è più che tutto. "e più non tornerà...
"Bianca era la barba,
OFELIA "bianca come la neve,
Ecco del rosmarino; è per memoria. "e lino la sua testa.
Non ti scordare, amore; "Se n'è andato, e quaggiù

STORIA DELLA MUSICA !94


"solo il pianto ci resta. Per lui e tutte le anime cristiane
"Della sua anima, mio Dio, pietà!" io prego Iddio. E che Dio sia con voi.


Capitolo XV

Gioachino Rossini
o Gioacchino, all'anagrafe Giovacchino Antonio Rossini
(Pesaro, 29 febbraio 1792 – Parigi, 13 novembre 1868)

Rossini, uomo dalle mille


sfaccettature, è stato descritto dai
numerosi biografi in molte
maniere: ipocondriaco, umorale e
collerico oppure preda di
profonde crisi depressive, ma pure
gioviale bon vivant amante della
buona tavola e delle belle donne;
spesso è stato ritenuto afflitto da
pigrizia, ma la sua produzione
musicale, alla fine, si rivelerà
incomparabile (sebbene arricchita
da numerosi centoni, brani
musicati precedentemente e
riutilizzati per nuove opere che il
compositore prestava a sé stesso in
una sorta di auto-plagio).
Rossini smise di comporre per il
teatro lirico all'età di trentasette anni, dopo il Guglielmo Tell, ritirandosi dalla
mondanità a vita privata. Nonostante ciò continuò fino all'ultimo a comporre
musica, per sé, per Olympe Pélissier (sposata in seconde nozze nel 1846, dopo la
morte della prima moglie, Isabella Colbran, avvenuta l'anno prima) e per gli amici.
Tra le ultime opere composte occorre ricordare la versione definitiva dello Stabat
Mater (1841) ed innumerevoli brani di musica da camera. Nella produzione
dell'ultimo Rossini ci sarà inoltre spazio anche per quelli che egli stesso definì
autoironicamente i suoi «Péchés de vieillesse», "semplici senili debolezze".

STORIA DELLA MUSICA !95


Nel 1859 lo Stato Pontificio cominciò a venire annesso dall'esercito sabaudo a partire
dal territorio delle Legazioni. Rossini, che già nel corso della precedente rivoluzione
nazionale (1848-49) aveva ritenuto più prudente lasciare Bologna per Firenze, si
stabilì stabilmente a Parigi. Nella capitale francese compose l'ultima sua
composizione di rilievo, la Petite messe solennelle (1863) per dodici cantori (tra uomini,
donne e castrati), due pianoforti ed armonium, che Rossini si risolse ad orchestrare
poco prima di morire, nel timore che altrimenti poi lo avrebbe fatto qualcun altro. Di
questa versione, tuttavia, finché visse, non consentì mai l'esecuzione neppure in
privato, mentre la versione originale fu rappresentata nel 1864 presso la villa di una
nobildonna parigina, alla presenza di un limitatissimo numero di amici e conoscenti,
tra cui i più grandi musicisti operanti all'epoca nella capitale francese.
L'autore di capolavori come Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola, L'Italiana in
Algeri, Semiramide, Tancredi, La gazza ladra e Guglielmo Tell (solo per citarne
alcune) si spense dopo aver lungamente combattuto contro il cancro nella sua villa di
Passy, presso Parigi, il 13 novembre 1868. I francesi - ma non solo - si stavano
preparando a festeggiare il suo settantasettesimo compleanno. Le sue spoglie furono
tumulate nel cimitero parigino del Père Lachaise e traslate in Italia solo nel 1887:
nove anni dopo la morte della Pélissier, su iniziativa del governo italiano. Riposano
definitivamente nel "tempio dell'Itale glorie", la Basilica di Santa Croce, a Firenze. Il
suo monumento funebre, realizzato da Giuseppe Cassioli, fu inaugurato nel 1900.
A parte alcuni legati a titolo individuale in favore della moglie e di alcuni parenti,
Rossini nominò erede universale delle sue ingenti fortune il Comune di Pesaro
L'eredità fu utilizzata per l'istituzione di un Liceo Musicale cittadino. Quando, nel
1940, il liceo fu statalizzato, diventando il Conservatorio Statale di Musica Gioachino
Rossini, l'Ente Morale a cui erano state conferite proprietà e gestione dell'asse
ereditario rossiniano fu trasformato nella Fondazione Rossini. Finalità della
Fondazione, che è tuttora in piena attività, sono: il sostegno dell'attività del
Conservatorio, lo studio e la diffusione nel mondo della figura, della memoria e delle
opere del pesarese. La Fondazione ha collaborato, fin dagli inizi, con il Rossini Opera
Festival, ed ha concorso, in misura significativa, a predisporre gli strumenti culturali
(le "edizioni critiche" delle opere rossiniane) che sono stati alla base della Rossini-
renaissance dell'ultimo trentennio del Novecento.

STORIA DELLA MUSICA !96


Il Barbiere di Siviglia
Il barbiere di Siviglia è un'opera di Gioachino Rossini su libretto di Cesare Sterbini
tratto dalla commedia omonima di Beaumarchais.

Il titolo originale è “Almaviva, o sia l'inutile precauzione”. Prima di lui, Giovanni
Paisiello aveva messo in scena il suo Barbiere di Siviglia nel 1782.
La prima rappresentazione ebbe luogo il 20 febbraio 1816 al Teatro Argentina a
Roma e terminò fra i fischi. A provocarli, secondo i pettegolezzi dell'epoca, sarebbero
stati gli impresari di un teatro concorrente, il Teatro Valle; secondo altri, la colpa fu di
alcuni seguaci di Paisiello e della sua versione dell'opera. Il solo annuncio che
Rossini stava preparando una nuova versione del Barbiere di Siviglia aveva suscitato
non poche polemiche, anche in considerazione del fatto che all'epoca Paisiello era
ancora vivo.
Il fiasco della prima fu però riscattato immediatamente dal successo delle repliche e
l'opera di Rossini finì presto per oscurare la precedente versione di Paisiello,
divenendo ad oggi una delle opere più rappresentate al mondo.
Il contralto Geltrude Righetti Giorgi fu la prima Rosina della storia mentre il ruolo di
Almaviva fu affidato al grande tenore spagnolo Manuel García e quello di Figaro a
Luigi Zamboni.

STORIA DELLA MUSICA !97


PERSONAGGI
Il Conte d'Almaviva, innamorato della giovane Rosina, (tenore)
Don Bartolo, dottore in medicina, tutore di Rosina e suo pretendente
(basso)
Rosina, sua pupilla (contralto)
Figaro, barbiere tuttofare (baritono)
Don Basilio, maestro di musica di Rosina (basso)
Berta, vecchia governante in casa di Bartolo (soprano)
Fiorello, servitore del Conte d'Almaviva (basso)
Ambrogio, servitore di Bartolo;
un ufficiale, un alcalde, o Magistrato; un notaro; Alguazils, o siano Agenti di polizia;
soldati; suonatori di istromenti


ATTO I SCENA I
(I Suonatori accordano gli istrumenti, Soave momento

e il Conte canta accompagnato da essi.) che eguale non ha.

CONTE
 ATTO I SCENA III


DI ALMAVIVA (Figaro, con la chitarra appesa al collo)
Ecco, ridente in cielo FIGARO
spunta la bella aurora, Largo al factotum

e tu non sorgi ancora della citta'.

e puoi dormir cosi'?
 Presto a bottega,

Sorgi, mia dolce speme, che' l'alba e' gia'.

vieni, bell'idol mio; Ah, che bel vivere,

rendi men crudo, oh Dio, che bel piacere

lo stral che mi feri’. per un barbiere

di qualita'!

Oh sorte! gia' veggo
 Ah, bravo Figaro!

quel caro sembiante; Bravo, bravissimo;

quest'anima amante
 fortunatissimo

ottenne pieta'. per verita'!

Oh istante d'amore!
 Pronto a far tutto,

Oh dolce contento! la notte e il giorno

sempre d'intorno,


STORIA DELLA MUSICA !98


in giro sta.
 Pronto prontissimo

Miglior cuccagna
 son come il fulmine:

per un barbiere,
 sono il factotum

vita piu' nobile,
 della citta'.

no, non si da'.
 Ah, bravo Figaro!
Rasori e pettini,
 bravo, bravissimo;

lancette e forbici,
 a te fortuna

al mio comando
 non manchera'.
tutto qui sta.

V'e' la risorsa,
 SCENA IX
poi, del mestiere
 (Camera nella casa di don Bartolo.

colla donnetta
 Di prospetto la finestra con gelosia, come
col cavaliere
 nella scena prima. Rosina, sola.)
Ah, che bel vivere,

che bel piacere
 ROSINA
per un barbiere
 Una voce poco fa

di qualita'!
 qui nel cor mi risuono';

Tutti mi chiedono,
 il mio cor ferito e' gia',

tutti mi vogliono,
 e Lindor fu che il piago'.

donne, ragazzi,
 Si', Lindoro mio sara';

vecchi, fanciulle:
 lo giurai, la vincero'.

Qua la parrucca
 Il tutor ricusera',

Presto la barba
 io l'ingegno aguzzero'.

Qua la sanguigna
 Alla fin s'acchetera'

Presto il biglietto
 e contenta io restero'

Figaro Figaro
 Si', Lindoro mio sara';

Son qua, son qua.
 lo giurai, la vincero'.

Figaro Figaro.
 Io sono docile, son rispettosa,

Eccomi qua.
 sono obbediente, dolce, amorosa;

Ahime', che furia!
 mi lascio reggere, mi fo guidar.

Ahime', che folla!
 Ma se mi toccano dov'e' il mio debole

Uno alla volta,
 saro' una vipera e cento trappole

per carita'!
 prima di cedere faro' giocar.


STORIA DELLA MUSICA !99


La Cenerentola
Opera su libretto di Jacopo Ferretti.
Il titolo originale completo è La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo.

Il soggetto fu tratto dalla celebre fiaba di


Charles Perrault, ma Ferretti si servì
anche di due libretti d'opera: Cendrillon
di Charles Guillaume Etienne per Nicolò
Isouard (1810) e Agatina, o la virtù
premiata di Francesco Fiorini per Stefano
Pavesi (1814).
L'opera fu composta in circa tre settimane
e Rossini e la prima rappresentazione
ebbe luogo il 25 gennaio 1817 al Teatro
Valle di Roma. Il contralto Geltrude
Righetti Giorgi, che era stata già la prima
Rosina del Barbiere di Siviglia, cantò il ruolo della protagonista.
Il debutto, pur non provocando uno scandalo paragonabile a quello del Barbiere, fu
un insuccesso, ma dopo poche recite, l'opera divenne popolarissima e fu ripresa in
Italia e all'estero.
Come aveva già fatto altre volte, Rossini usò la tecnica dell'autoimprestito, cioè prese
le musiche per alcuni brani da opere composte in precedenza: il rondò di Angelina è
tratto dall'aria del conte di Almaviva del Barbiere "Cessa, di più resistere" e la
sinfonia è tratta da quella della Gazzetta.
Per una ripresa del 1820 al Teatro Apollo di Roma, avendo a disposizione l'ottimo
basso Gioacchino Moncada, Rossini sostituì l'aria di Alidoro composta da Agolini
con una grande aria virtuosistica (Là del ciel nell'arcano profondo), che nelle
rappresentazioni odierne viene solitamente eseguita. Scelta che per altro obbliga a
scritturare una prima parte anche per il ruolo di Alidoro, che nella versione originale
era poco più di un comprimario.
La vocalità di Rosina è sulla carta da “contralto”. In realtà si tratta di un soprano con
facilità sia in grave che in acuto e particolarmente portato per il canto di agilità. Il
ruolo fu creato dalla moglie del compositore, il contralto Isabella Colbran. Tutti i
ruoli per questo tipo di vocalità ibrida fra il soprano e il contralto, la distinzione di
mezzosoprano verrà adoperata più tardi, prendono il nome di ruoli Colbran.

STORIA DELLA MUSICA !100


PERSONAGGI
Don Ramiro, principe di Salerno (tenore)
Dandini, suo cameriere (basso)
Don Magnifico, barone di Montefiascone, padre di (basso buffo)
Clorinda (soprano), e di
Tisbe (mezzosoprano)
Angelina, sotto il nome di Cenerentola, figliastra di Don Magnifico
(contralto)
Alidoro, filosofo, maestro di Don Ramiro (basso)
Dame che non parlano (comparse) - Coro di cortigiani del Principe

ATTO II SCENA ULTIMA (X)


(All'alzarsi della tenda scorgesi un atrio con festoni di fiori illuminato, e nel cui fondo su
piccola base siedono in due ricche sedie Ramiro e Cenerentola in abito ricco; a destra in piedi
Dandini, dame e cavalieri intorno. In un angolo Don Magnifico, confuso, con gli occhi fitti in
terra. Indi Alidoro, Clorinda e Tisbe, mortificate, coprendosi il volto.)

ANGELINA Figlia, sorella, amica


Ah Prence, 
 Tutto trovate in me.
Io cado ai vostri piè. (abbracciandole)
Le antiche ingiurie 
 TUTTI MENO CENERENTOLA
Mi svanir dalla mente. 
 M'intenerisce e m'agita,
Sul trono io salgo, e voglio 
 È un Nume agli occhi miei.
Starvi maggior del trono. 
 Degna del tron tu sei
E sarà mia vendetta il lor perdono. Ma è poco un trono a te.
Nacqui all'affanno, al pianto. 
 CENERENTOLA
Soffrì tacendo il core; 
 Padre... sposo... amico... oh istante!
Ma per soave incanto, 
 Non più mesta accanto al fuoco
Dell'età mia nel fiore, 
 Starò sola a gorgheggiar.
Come un baleno rapido 
 Ah fu un lampo, un sogno, un gioco
La sorte mia cangiò. Il mio lungo palpitar.
(a Don Magnifico e sorelle) CORO
No no; - tergete il ciglio; 
 Tutto cangia a poco a poco
Perché tremar, perché? Cessa alfin di sospirar.
A questo sen volate; Di fortuna fosti il gioco:

STORIA DELLA MUSICA !101


Incomincia a giubilar.

Capitolo XVI

Vincenzo Bellini
(Catania, 3 novembre 1801 – Puteaux, 23 settembre 1835)

Dotato di una prodigiosa vena


melodica, Bellini dedicò la sua breve
vita alla composizione. Il suo talento nel
cesellare melodie della più limpida
bellezza, conserva ancora oggi un'aura
di magia, mentre la sua personalità
artistica si lascia difficilmente
inquadrare entro le categorie
storiografiche.
Legato ad una concezione musicale
antica, basata sul primato del canto, sia
esso vocale o strumentale, il siciliano
Bellini portò prima a Milano e poi a
Parigi un'eco di quella cultura
mediterranea che l'Europa romantica
aveva idealizzato nel mito della
classicità. Il giovane Wagner ne fu tanto
abbagliato da ambientare proprio in Sicilia la sua seconda opera, Il divieto d'amare,
additando la chiarezza del canto belliniano a modello per gli operisti tedeschi e
tentando, invano, di seguirlo a sua volta.
La svolta decisiva nella carriera e nell'arte del musicista catanese coincise con la sua
partenza dall'Italia alla volta di Parigi. Qui Bellini entrò in contatto con alcuni dei
più grandi compositori d'Europa, tra cui Fryderyk Chopin, e il suo linguaggio
musicale si arricchì di colori e soluzioni nuove, pur conservando intatta l'ispirazione
melodica di sempre. Oltre ai Puritani, scritti in italiano per il Théâtre-Italien, a Parigi
Bellini compose numerose romanze da camera di grande interesse, alcune delle quali
in francese, dimostrandosi pronto a comporre un'opera in francese per il Teatro
dell'Opéra di Parigi. Ma la sua carriera e la sua vita furono stroncate a meno di 34
anni da un'infezione intestinale probabilmente contratta all'inizio del 1830.

STORIA DELLA MUSICA !102


Bellini fu sepolto nel cimitero Père Lachaise, dove rimase per oltre 40 anni, vicino a
Chopin e a Cherubini. Nel 1876 la salma fu traslata nel Duomo di Catania.Norma

Norma
Norma è un'opera in due atti su libretto di Felice Romani.

Composta in meno di tre mesi, dall'inizio di settembre alla fine di novembre del
1831, debuttò al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre dello stesso anno,
inaugurando la stagione di Carnevale e Quaresima 1832.
Quella sera l'opera, destinata a diventare la più popolare tra le dieci composte da
Bellini, andò incontro ad un fiasco clamoroso, dovuto sia a circostanze legate
all'esecuzione (l'indisposizione della primadonna, il soprano Giuditta Pasta, nonché
la tensione psicologica degli altri membri del cast), che alla presenza di una claque
avversa a Bellini e alla Pasta. Non di meno l'inconsueta severità della drammaturgia
e l'assenza del momento più sontuoso, il concertato che tradizionalmente chiudeva il
primo dei due atti, spiazzò il pubblico milanese.
Il soggetto, tratto dalla tragedia di Alexandre Soumet Norma, ossia L'infanticidio, è
ambientato nelle Gallie, al tempo dell'antica Roma, e presenta espliciti legami con il
mito di Medea. Fedele a questa idea di classica sobrietà, Bellini adottò per Norma
una tinta orchestrale particolarmente omogenea, relegando l'orchestra al ruolo di
accompagnamento della voce.
L'opera, incentrata sulla protagonista, divenne il cavallo di battaglia di alcuni grandi
soprani del passato, tra cui Maria Callas, Joan Sutherland e Montserrat Caballé.
Tuttavia la poliedricità del personaggio e della sua vocalità - che spazia dal lirismo
più puro alla coloratura e ad accenti di sconvolgente drammaticità - ne fanno uno
dei ruoli più impervi per voce di soprano, tanto che l'opera è oggi più famosa che
rappresentata.

PERSONAGGI
Pollione, proconsole di Roma nelle Gallie (tenore)
Oroveso, capo dei druidi (basso)
Norma, druidessa, figlia di Oroveso (soprano)
Adalgisa, giovane ministra del tempio di Irminsul (soprano)
Clotilde, confidente di Norma (soprano)
Flavio, amico di Pollione (tenore)
Due fanciulli, figli di Norma e Pollione (recitanti)

STORIA DELLA MUSICA !103


Druidi, Bardi, Eubagi, sacerdotesse, guerrieri e soldati galli

ATTO I SCENA IV
(Entra Norma in mezzo alle sue ministre. Ha sciolto i capegli, la fronte circondata di una
corona di verbena, ed armata la mano d'una falce d'oro. Si colloca sulla pietra druidica, e
volge gli occhi d'intorno come ispirata. Tutti fanno silenzio.)

NORMA I dì maturi.

Sediziose voci, voci di guerra Delle sicambre scuri

Avvi chi alzarsi attenta Sono i pili romani ancor più forti.
Presso all'ara del Dio? OROVESO E UOMINI
V'ha chi presume E che t'annunzia il Dio?

Dettar responsi alla veggente Norma, Parla! Quai sorti?
E di Roma affrettar il fato arcano? NORMA
Ei non dipende, no, non dipende Io ne' volumi arcani leggo del cielo,
Da potere umano. In pagine di morte
Della superba Roma
OROVESO è scritto il nome.
E fino a quando oppressi Ella un giorno morrà,
Ne vorrai tu? Ma non per voi.
Contaminate assai Morrà pei vizi suoi,
Non fur le patrie selve Qual consunta morrà.
E i templi aviti L'ora aspettate, l'ora fatal
Dall'aquile latine? Che compia il gran decreto.
Omai di Brenno oziosa Pace v'intimo …
Non può starsi la spada. E il sacro vischio io mieto.

UOMINI (Falcia il vischio; le Sacerdotesse lo


Si brandisca una volta! raccolgono in canestri di vimini; Norma si
avanza e stende le braccia al cielo; la luna
NORMA splende in tutta la sua luce; tutti si
E infranta cada.
 prostrano.)
Infranta, sì, se alcun di voi snudarla

Anzi tempo pretende.
 Casta Diva, che inargenti
Ancor non sono della nostra vendetta
 Queste sacre antiche piante,

STORIA DELLA MUSICA !104


Al noi volgi il bel sembiante, Non isfugga al giusto scempio;
Senza nube e senza vel! E primier da noi percosso
Il Proconsole cadrà.
OROVESO E CORO
Casta Diva, che inargenti NORMA
Queste sacre antiche piante, Cadrà!
A noi volgi il bel sembiante, Punirlo io posso.
Senza nube e senza vel! (Ma punirlo il cor non sa.)
(Ah! bello a me ritorna
NORMA Del fido amor primiero,
Tempra, o Diva, E contro il mondo intiero
Tempra tu de' cori ardenti, Difesa a te sarò.
Tempra ancora lo zelo audace. Ah! bello a me ritorna
Spargi in terra quella pace Del raggio tuo sereno
Che regnar tu fai nel ciel. E vita nel tuo seno
E patria e cielo avrò.)
OROVESO E COR
Diva, spargi in terra OROVESO E CORO
Quella pace che regnar Sei lento, sì, sei lento,
Tu fai nel ciel. O giorno di vendetta,
Ma irato il Dio t'affretta
NORMA Che il Tebro condannò!
Fine al rito.
E il sacro bosco NORMA
Sia disgombro dai profani. (Ah! riedi ancora qual eri allora,
Quando il Nume irato e fosco Quando il cor ti diedi allora,
Chiegga il sangue dei Romani, Qual eri allor, ah, riedi a me!)
Dal druidico delubro
La mia voce tuonerà. OROVESO E CORO
O giorno!
OROVESO E CORO O giorno, il Dio t'affretta
Tuoni, Che il Tebro condannò!

E un sol del popolo empio

STORIA DELLA MUSICA !105


I Capuleti e i Montecchi
I Capuleti e i Montecchi è un'opera in due atti su libretto di Felice Romani,
rappresentata in prima assoluta al Teatro La Fenice di Venezia, l'11 marzo 1830.

Il libretto costituisce un adattamento di un precedente melodramma di Romani, già


messo in musica da Nicola Vaccaj. Esso si basa su un'ampia tradizione letteraria
italiana (tra cui la novella IX di Matteo Bandello - 1554) dedicata alla celebre coppia
di innamorati veronesi, e non, come talvolta si legge, sulla tragedia Romeo e
Giulietta di William Shakespeare, all'epoca pressoché sconosciuta in Italia.
L'opera fu composta in poco più di un mese, tra la fine di gennaio ed i primi di
marzo, tanto che Bellini dovette attingere a piene mani a motivi della Zaira, l'opera
composta l'anno precedente e andata incontro ad un irrimediabile insuccesso. La
romanza di Giulietta Oh! quante volte, oh quante!, il brano più famoso dell'opera, fu,
invece, ricavata dall'opera d'esordio, Adelson e Salvini. In tutti questi casi, tuttavia,
Bellini non si limitò a riciclare la vecchia musica, bensì la sottopose ad un'accurata
rielaborazione, per adattarla ai personaggi, ai versi e agli interpreti, al punto che di
alcuni brani non è facile riconoscere ad orecchio la fonte.
Come in Zaira, la coppia dei protagonisti è affidata a due voci femminili. La scelta
del mezzosoprano en travesti per la parte di Romeo è quanto mai appropriata alla
rappresentazione di un amore adolescenziale. È semmai interessante come l'amore
tra fratello e sorella in Zaira, spesso con la musica relativa, si converta senza
difficoltà in quello tra i due innamorati di Verona.
Nel XX secolo la parte di Romeo fu a lungo affidata alla voce di tenore, come
nell'incisione diretta da Claudio Abbado nel 1966.

ATTO I SCENA II

GIULIETTA Siate, ah! siate per me faci ferali.


Eccomi in lieta vesta... eccomi adorna... Ardo... una vampa, un foco
Come vittima all'ara. Oh! almen potessi Tutta mi strugge.
Qual vittima cader dell'ara al piede! Un refrigerio ai venti io chiedo invano.
O nuzïali tede, Ove se'tu, Romeo?
Abborrite così, così fatali In qual terra t'aggiri?

STORIA DELLA MUSICA !106


Dove, dove invïarti i miei sospiri? E inganno il mio desir!
Raggio del tuo sembiante
Oh! quante volte, Parmi il brillar del giorno:
Oh! quante ti chiedo L'aura che spira intorno
Al ciel piangendo Mi sembra un tuo sospir.

Con quale ardor t'attendo,

Capitolo XVII

Gaetano Donizetti
Domenico Gaetano Maria Donizetti (Bergamo, 29 novembre 1797 – Bergamo, 8
aprile 1848)

Scrisse più di settanta opere, oltre a numerose


composizioni di musica sacra e da camera. Le
opere del Donizetti oggi più sovente
rappresentate nei teatri di tutto il mondo sono
L'elisir d'amore, la Lucia di Lammermoor e il
Don Pasquale. Con frequenza sono allestite
anche La fille du régiment, La favorite, la
Maria Stuarda, l'Anna Bolena, la Lucrezia
Borgia e il Roberto Devereux. La fortuna del
Donizetti vivente fu rilevantissima. La sua
vena romantica e le straordinarie doti
compositive furono riconosciute in tutta
Europa, nel "mondo delle capitali" e a livello
popolare. Il suo percorso creativo contribuì
potentemente a inserire l'opera, prima rivolta
al "bel canto", nella più profonda e drammatica
teatralizzazione romantica, anticipando così la grande stagione verdiana. Pur
rimanendo assai diffuso, dalla fine dell'Ottocento fino al secondo dopoguerra, via via
il repertorio donizettiano regolarmente eseguito andò assottigliandosi, fino a
restringersi quasi ai soli capolavori assoluti: la Lucia di Lammermoor, per il teatro
drammatico, L'elisir d'amore e Don Pasquale, per l'opera buffa. Nel secondo
Novecento si è assistito a una diffusa riproposizione delle opere del Donizetti, per

STORIA DELLA MUSICA !107


impulso di numerosi protagonisti, fra i quali innanzitutto il direttore d'orchestra
Gianandrea Gavazzeni, e per merito d'interpretazioni eccezionali, come quella di
Maria Callas nell’Anna Bolena, quella di Luciano Pavarotti nella Figlia del
reggimento, e quelle di Montserrat Caballé e Joan Sutherland.

Lucia di Lammermoor
Lucia di Lammermoor è un'opera in tre atti di Gaetano Donizetti su libretto di
Salvatore Cammarano, tratto da The Bride of Lammermoor (La sposa di
Lammermoor) di Walter Scott.

La prima assoluta ebbe luogo al teatro San Carlo di Napoli il 26 settembre 1835: nei
ruoli dei protagonisti figuravano Fanny Tacchinardi (Lucia), Gilbert Duprez
(Edgardo). In seguito lo stesso Donizetti curò una versione francese che andò in
scena al Théâtre de la Renaissance di Parigi il 6 agosto 1839.
Il 21 marzo 2006, al Teatro alla Scala di Milano, sotto la direzione di Roberto Abbado,
l'opera Lucia di Lammermoor è stata messa in scena nella sua edizione originale:
Donizetti aveva infatti pensato, per la "scena della pazzia", all'uso della
glassarmonica (o armonica a bicchieri), integrata con l'orchestra sinfonica.
Circostanze pratiche costrinsero però Donizetti a rinunciare a questa originale
soluzione e a riscrivere la partitura. L'edizione critica dell'opera ha reintegrato la
parte per glassarmonica, che ben esprime, secondo quanto detto dal critico Paolo
Isotta nel suo articolo sul Corriere della Sera del 22 marzo 2006, "l'atmosfera spettrale e
nel contempo il totale distacco dalla realtà in cui Lucia è precipitata.”

PERSONAGGI
Lord Enrico Ashton (baritono)
Lucia, sua sorella (soprano)
Sir Edgardo di Ravenswood (tenore)
Lord Arturo Bucklaw (tenore)
Raimondo Bidebent, educatore e confidente di Lucia (basso)
Alisa, damigella di Lucia (mezzosoprano)
Normanno, capo degli armigeri di Ravenswood (tenore)
Dame e cavalieri, congiunti di Ashton, abitanti di Lammermoor, paggi, armigeri,
domestici di Ashton

STORIA DELLA MUSICA !108


La Scena della pazzia è la seconda "Scena ed Aria" della protagonista. Si tratta
probabilmente della più celebre scena di pazzia della storia dell'opera, nota
soprattutto nella versione modificata dai soprani dell'epoca, con l'aggiunta di una
lunga cadenza col flauto
La sua struttura è:
1. Scena (recitativo): Eccola! [...] Il dolce suono / Mi colpì di sua voce (Do minore, 121
battute)
2. Cantabile: Ardon gl'incensi [...] Alfin son tua (Larghetto, Mi bemolle maggiore, 44 battute
nella versione originale)
3. Tempo di mezzo: S'avanza Enrico (Allegro, Do bemolle maggiore, 92 battute)
4. Cabaletta: Spargi d'amaro pianto (Moderato, Mi bemolle maggiore, 175 battute)

ATTO II SCENA V
(Lucia è in succinta e bianca veste: ha le chiome scarmigliate, ed il suo volto, coperto da uno
squallore di morte, la rende simile ad uno spettro, anziché ad una creatura vivente. Il di lei
sguardo impietrito, i moti convulsi, e fino un sorriso malaugurato manifestano non solo una
spaventevole demenza, ma ben anco i segni di una vita, che già volge al suo termine.)


CORO
(Oh giusto cielo!
Par dalla tomba uscita!)


LUCIA 

Il dolce suono
Mi colpì di sua voce!...
Ah! quella voce
M’è qui nel cor discesa!...
Edgardo! Io ti son resa:
Fuggita io son da’ tuoi nemici... –
Un gelo Mi serpeggia nel sen!...
trema ogni fibra!...
Vacilla il piè!... Presso la fonte, meco
T’assidi alquanto... Ahimé!...
Sorge il tremendo 

Fantasma e ne separa!... 

Qui ricovriamci, Edgardo, a piè dell’ara...

STORIA DELLA MUSICA !109


Sparsa è di rose!...
Un’armonia celeste
Di’, non ascolti? –
Ah, l’inno Suona di nozze!...
Il rito per noi, per noi s’appresta!...
Oh me felice! Oh gioia che si sente, e non si dice!
Ardon gl’incensi... splendono
Le sacre faci intorno!...
Ecco il ministro!
Porgimi La destra....
Oh lieto giorno!
Alfin son tua, sei mio!
A me ti dona un Dio...
Ogni piacer più grato
Mi fia con te diviso
Del ciel clemente un riso
La vita a noi sarà!
(…)
Spargi d’amaro pianto
Il mio terrestre velo,
Mentre lassù nel cielo
Io pregherò per te...
Al giunger tuo soltanto
Fia bello il ciel per me!

STORIA DELLA MUSICA !110


Capitolo XVIII

Fryderyk Franciszek Chopin


noto con il nome francesizzato di Frédéric François Chopin
(Żelazowa Wola, 1º marzo 1810 – Parigi, 17 ottobre 1849), è stato un compositore e
pianista polacco naturalizzato francese.

Fu uno dei grandi maestri della musica


romantica, talvolta definito «poeta del
pianoforte», il cui genio poetico è basato su
una tecnica professionale che è senza eguali
nella sua generazione.

L'unica fotografia conosciuta di Fryderyk


Chopin del 1849, attribuita a Louis-Auguste
Bisson; sono visibili i segni della malattia

Bambino prodigio, crebbe in quello che fu


l'allora Ducato di Varsavia, dove ebbe modo
di completare la sua formazione musicale.
A seguito della repressione russa della
Rivolta di Novembre (1830), all'età di 21
anni si trasferì a Parigi nel contesto della
cosiddetta Grande Emigrazione polacca.
Durante gli ultimi 18 anni della sua vita, diede solo circa 30 spettacoli pubblici,
preferendo l'atmosfera più intima dei salotti. Visse e si mantenne grazie alla vendita
delle sue composizioni e con l'insegnamento di pianoforte, per il quale la domanda
era consistente. Chopin fu in amicizia con Franz Liszt e fu ammirato da molti dei
suoi contemporanei, tra cui Robert Schumann.
Nel 1835 ottenne la cittadinanza francese. Dopo il fallimento della relazione con
Maria Wodzińska, che durò tra il 1835 e il 1837, intraprese un rapporto spesso
turbato con la scrittrice francese George Sand. Un breve ed infelice soggiorno a
Maiorca con la Sand, avvenuto tra il 1838 e il 1839, coincise con uno dei suoi periodi
più produttivi per quanto riguarda la composizione. Nei suoi ultimi anni, fu

STORIA DELLA MUSICA !111


sostenuto finanziariamente dal suo mecenate Jane Stirling, che gli organizzò anche
un viaggio in Scozia nel 1848. Per la maggior parte della sua vita, Chopin soffrì di
una cattiva salute.

Chopin suona per i Radziwill nel 1829 (dipinto di Henryk Siemiradzki, 1887).

Morì a Parigi nel 1849, probabilmente di tubercolosi.


Gran parte delle composizioni di Chopin vennero scritte per pianoforte solista; le
uniche significative eccezioni sono i due concerti, quattro ulteriori composizioni per
pianoforte e orchestra, e la Sonata op. 65 per pianoforte e violoncello. Scrisse anche
un paio di musiche da camera e alcune canzoni su testi polacchi. Il suo stile
pianistico fu altamente individuale e spesso tecnicamente impegnativo, ma
mantenendo sempre le giuste sfumature e una profondità espressiva. Egli inventò la
forma musicale nota come ballata strumentale e addusse innovazioni ragguardevoli
alla sonata per pianoforte, alla mazurca, al valzer, al notturno, alla polonaise, allo
studio, all'improvviso, allo scherzo e al preludio. Le influenze sul suo stile
compositivo includono la musica popolare polacca, la tradizione classica di J. S.
Bach, Mozart, come quella dei salotti parigini ove era ospite frequente. Le sue
innovazioni nello stile, nella forma musicale e nell'armonia e la sua associazione
della musica con il nazionalismo, sono stati influenti in tutto il periodo romantico e
anche successivamente.

STORIA DELLA MUSICA !112


Il suo successo universale come compositore, la sua associazione (anche se solo
indiretta) con l'insurrezione politica, la sua vita sentimentale e la morte precoce
hanno fatto diventare Chopin un simbolo importante del Romanticismo.

Notturno in Mi bemolle
maggiore, op.9 n.2
Il Notturno11 op. 9 n. 2 è una composizione per pianoforte di Fryderyk Chopin,
datata fra il 1829 e il 1830.
L'andamento sognante, il morbido appoggio del basso, la melodia ispirata e libera di
vagare sono i segni distintivi del secondo notturno dell'op. 9. Un unico tema
tessendo lentamente la sua fine trama articolandosi in due frasi: una prima tenera e
intimistica, una seconda più aperta e discorsiva. Basato sul principio
dell'ornamentazione, il notturno si sviluppa attraverso piccoli e impercettibili
cambiamenti del materiale tematico iniziale.
Chopin eseguiva spesso questo notturno, con continui nuovi interventi sugli
abbellimenti che insegnava agli allievi. Non è quindi irrilevante il fatto che oggi
possediamo di esso almeno quattordici varianti. La melodia, di stampo prettamente
vocale, riporta al gusto belcantistico italiano, tanto che Chopin ricordava ai propri
discepoli di rifarsi nell'interpretazione al modello della grande cantante lirica
Giuditta Pasta e alla grande scuola di canto italiana.

11 Un notturno (dal francese nocturne) è una composizione musicale ispirata alla notte. La dicitura «notturno»
fu per la prima volta impiegata nel XVIII secolo, quando stava ad indicare un'opera in vari movimenti, scritto in
forma libera e tipico dell'epoca romantica, con un tempo dolce e moderato. In ogni caso, l'esponente più famoso
di questa forma musicale fu Fryderyk Chopin, che ne scrisse 21. Le sue opere, in parte ispirate al melodramma
italiano del tempo, sono il regno del bel suono e dell'espressione; divise in più sezioni tematiche contrastanti,
alternano a sentimenti dolci e sognanti momenti cupi o di profondo sconforto. notturni sono generalmente
percepiti come tranquilli, spesso espressivi e lirici, alcune volte piuttosto pessimisti.

STORIA DELLA MUSICA !113


Capitolo XIX

Giuseppe Verdi
(Le Roncole, 10 ottobre 1813 – Milano, 27 gennaio 1901)

È considerato il più celebre


compositore italiano di tutti i
tempi.
Per lungo tempo Verdi è stato
considerato un tranquillo uomo
di campagna toccato dal genio,
un uomo rustico e schietto,
integerrimo, e di rara onestà
intellettuale. Tale immagine si
univa a quella del patriota
ardente, che a giusto titolo
sedette come deputato nel primo
parlamento dell'Italia unita
(1861). Aspetti questi, facenti
sicuramente parte della sua
personalità ma che da soli non
possono spiegare la grandezza
dell'artista e delle sue immortali
creazioni. In realtà Verdi fu un
operista attento alle grandi
correnti di pensiero che percorrevano l'Italia e l'Europa del tempo, pronto a mettersi
in discussione e nel contempo profondamente conscio del proprio valore. Sempre
aggiornatissimo, alla ricerca di nuovi soggetti cui ispirare le proprie opere, fu un
grande frequentatore della capitale artistica dell'Europa del tempo, Parigi. Il suo
primo viaggio nella Ville Lumière risale al 1847, l'ultimo, al 1894, in occasione
dell'allestimento dell'Otello che egli stesso volle seguire personalmente. Compositore
meticoloso, dotato di un'eccezionale sensibilità drammaturgica che aveva
ulteriormente affinato con gli anni, Verdi fu per tutta la sua vita uno sperimentatore,
proteso verso traguardi sempre più alti e dotato di un senso critico fuori del comune,
che gli permise di andare incontro ai gusti di un pubblico sempre più esigente pur

STORIA DELLA MUSICA !114


senza mai rinunciare ai propri convincimenti di uomo ed artista. L'enorme
epistolario che ci ha lasciato, oltre a rappresentare un affascinante affresco di quasi
settant'anni di storia italiana (dalla metà degli anni trenta dell'Ottocento sino alla
fine del secolo), è uno strumento per conoscere un Verdi "inedito", orgoglioso della
propria estrazione contadina, ma allo stesso tempo uomo fondamentalmente colto e
osservatore fine della realtà e dell'ambiente che lo circondavano, personaggio
inquieto e protagonista carismatico di un'epoca memorabile. Stimato e amato da un
ampio pubblico internazionale è, con Giacomo Puccini, l'operista italiano più
rappresentato al mondo, occupando un posto privilegiato nell'olimpo dei più grandi
creatori musicali di tutti i tempi.
Verdi partecipò attivamente alla vita pubblica del suo tempo. Fu, come si è
accennato, un patriota convinto, anche se nell'ultima parte della sua vita traspare,
dall'epistolario e dalle testimonianze dei suoi contemporanei, una disillusione, un
disincanto, nei confronti della nuova Italia unita, che forse non si era rivelata
all'altezza delle proprie aspettative. Fu sostenitore dei moti risorgimentali (pare che
durante l'occupazione austriaca la scritta "Viva V.E.R.D.I." fosse letta come "Viva
Vittorio Emanuele Re d'Italia"). Cavour lo volle candidato alla Camera del primo
parlamento del Regno d'Italia (1861-1865), eletto come Deputato nel Collegio di
Borgo San Donnino, l'attuale Fidenza, al ballottaggio del 3 febbraio 1861. Il Re lo
nominerà poi, per motivi culturali e perché fra i maggiori contribuenti del Regno,
senatore nel 1874. Fu anche consigliere provinciale di Piacenza. Rappresentò, e
continua a rappresentare per molti italiani, la somma di tutti quei simboli che li
hanno guidati all'unificazione nazionale contro l'oppressione straniera.

La Traviata
La traviata è un'opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria
Piave, tratto dalla pièce teatrale di Alexandre Dumas (figlio) La signora delle camelie;
fa parte della "trilogia popolare" assieme a Il trovatore e a Rigoletto.
Fu in parte composta nella villa degli editori Ricordi a Cadenabbia, sul lago di
Como. La prima rappresentazione avvenne al Teatro La Fenice di Venezia il 6 marzo
1853 ma, a causa soprattutto di interpreti non all’altezza e della scabrosità
dell'argomento, si rivelò un sonoro fiasco; ripresa l’anno successivo con interpreti
più validi, riscosse finalmente il meritato successo.
A causa della critica alla società borghese, l'opera, nei teatri di Firenze, Bologna,
Parma, Napoli e Roma, fu rimaneggiata dalla censura e messa in scena con alcuni

STORIA DELLA MUSICA !115


pezzi totalmente stravolti. Sempre per sfuggire alla censura, l'opera dovette essere
spostata come ambientazione cronologica dal XIX secolo al XVIII secolo.

PERSONAGGI

Violetta Valéry (soprano)


Flora Bervoix, sua amica (mezzosoprano)
Annina, serva di Violetta, (soprano)
Alfredo Germont (tenore)
Giorgio Germont, suo padre (baritono)
Gastone, Visconte di Létorières (tenore)
Il barone Douphol (baritono)
Il marchese d'Obigny (basso)
Il dottor Grenvil (basso)
Giuseppe, servo di Violetta (tenore)
Un domestico di Flora (basso)
Un commissionario (basso)

Servi e signori amici di Violetta e Flora, Piccadori e mattadori, zingare, servi di


Violetta e Flora, maschere

ATTO PRIMO TUTTI


SCENA II Libiamo, amor fra i calici
Più caldi baci avrà.
ALFREDO
VIOLETTA
Libiam ne' lieti calici (S'alza)
Che la bellezza infiora,
Tra voi saprò dividere
E la fuggevol ora
Il tempo mio giocondo;
S'inebri a voluttà.
Tutto è follia nel mondo
Libiam ne' dolci fremiti
Ciò che non è piacer.
Che suscita l’amore, Godiam, fugace e rapido
Poiché quell'occhio al core
È il gaudio dell’amore;
indicando Violetta
È un fior che nasce e muore,
Onnipotente va.
Né più si può goder.
Libiamo, amor fra i calici
Godiam c'invita un fervido
Più caldi baci avrà. Accento lusinghier.

STORIA DELLA MUSICA !116


TUTTI Solinga ne' tumulti
Godiam la tazza e il cantico Godea sovente pingere
La notte abbella e il riso; De' suoi colori occulti!
In questo paradiso Lui che modesto e vigile
Ne scopra il nuovo dì. All'egre soglie ascese,
VIOLETTA E nuova febbre accese
(ad Alfredo) Destandomi all'amor.
La vita è nel tripudio. A quell'amor ch'è palpito
ALFREDO Dell'universo intero,
(a Violetta) Misterioso, altero,
Quando non s'ami ancora. Croce e delizia al cor.
VIOLETTA A me fanciulla, un candido
(ad Alfredo) E trepido desire
Nol dite a chi l'ignora. Questi effigiò dolcissimo
ALFREDO Signor dell'avvenire,
(a Violetta) Quando ne' cieli il raggio
È il mio destin così Di sua beltà vedea,
TUTTI E tutta me pascea
Godiam la tazza e il cantico Di quel divino error.
La notte abbella e il riso; Sentìa che amore è palpito
In questo paradiso Dell'universo intero,
Ne scopra il nuovo dì. Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor!
ATTO SCENA V (Resta concentrata un istante, poi dice)
Follie! follie delirio vano è questo!
VIOLETTA
Povera donna, sola
(da sola)
Abbandonata in questo
È strano! è strano! in core
Popoloso deserto
Scolpiti ho quegli accenti!
Che appellano Parigi,
Sarìa per me sventura un serio amore?
Che spero or più?
Che risolvi, o turbata anima mia?
Che far degg’io!
Null'uomo ancora t'accendeva, o gioia
Gioire,
Ch'io non conobbi,
Di voluttà nei vortici perire.
essere amata amando!
Sempre libera degg'io
E sdegnarla poss'io
Folleggiar di gioia in gioia,
Per l'aride follie del viver mio?
Vo' che scorra il viver mio
Ah, fors'è lui che l'anima

STORIA DELLA MUSICA !117


Pei sentieri del piacer, Dee volare il mio pensier.
Nasca il giorno, o il giorno muoia,
Sempre lieta ne' ritrovi
A diletti sempre nuovi

STORIA DELLA MUSICA !118


Rigoletto
Opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal dramma di Victor
Hugo Le Roi s'amuse.

La prima ebbe luogo l'11 marzo 1851 al Teatro La Fenice di Venezia.


Con Il trovatore (1853) e La traviata (1853) è parte della cosiddetta "trilogia popolare"
di Verdi. Centrato sulla drammatica e originale figura di un buffone di corte,
Rigoletto fu inizialmente oggetto della censura austriaca. La stessa sorte era toccata
nel 1832 a Le Roi s'amuse, bloccata dalla censura e riproposta solo 50 anni dopo la
prima. Nel dramma di Hugo, che non piacque né al pubblico né alla critica, erano
infatti descritte senza mezzi termini le dissolutezze della corte francese, con al centro
il libertinaggio di Francesco I, re di Francia. Nell'opera si arrivò al compromesso di
far svolgere l'azione alla corte di Mantova, a quel tempo non più esistente,
trasformando il re di Francia nel duca di Mantova e cambiando il nome del
protagonista da Triboulet a Rigoletto (dal francese rigoler che significa scherzare).
Intenso dramma di passione, tradimento, amore filiale e vendetta, Rigoletto non solo
offre una combinazione perfetta di ricchezza melodica e potenza drammatica, ma
pone lucidamente in evidenza le tensioni sociali e la subalterna condizione
femminile in una realtà nella quale il pubblico ottocentesco poteva facilmente
rispecchiarsi.

PERSONAGGI
Il Duca di Mantova (tenore)
Rigoletto, suo buffone di Corte (baritono)
Gilda, figlia di Rigoletto (soprano)
Sparafucile, sicario (basso)
Maddalena, sorella di Sparafucile (contralto)
Giovanna, custode di Gilda (mezzosoprano)
Il Conte di Monterone (baritono)
Marullo, cavaliere (baritono)
Matteo Borsa, cortigiano (tenore)
Il conte di Ceprano (basso)
La contessa di Ceprano (mezzosoprano)
Un usciere di corte (basso)
Un paggio della Duchessa (soprano)
Cavalieri, dame, paggi, alabardieri (coro)


STORIA DELLA MUSICA !119


ATTO SECONDO 

SCENA IV

RIGOLETTO Muta d'accento


Cortigiani, vil razza dannata, e di pensiero.
Per qual prezzo vendeste il mio bene? Sempre un amabile,
A voi nulla per l'oro sconviene, Leggiadro viso,
Ma mia figlia è impagabil tesor. In pianto o in riso,
La rendete! o, se pur disarmata, è menzognero.
Questa man per voi fora cruenta; È sempre misero
Nulla in terra più l'uomo paventa, Chi a lei s'affida,
Se dei figli difende l'onor. Chi le confida -
Quella porta, assassini, m'aprite! mal cauto il core!
Ah! voi tutti a me contro venite … Pur mai non sentesi
piange Felice appieno
Tutti contro me! ... Chi su quel seno
Ah! Ebben, piango … non liba amore!
Marullo ... Signore,
Tu ch'hai l'alma gentil come il core, ATTO III
Dimmi tu ove l'hanno nascosta?
SCENA III
È là ... non è vero? … Tu taci ... ahimè! ...
DUCA DI MANTOVA
Miei signori... perdono, pietate...
Un dì, se ben rammentomi,
Al vegliardo la figlia ridate ...
O bella, t'incontrai...
Ridonarla a voi nulla ora costa,
Mi piacque di te chiedere,
Tutto al mondo tal figlia è per me.
E intesi che qui stai.
Signori, perdono, pieta ...
Or sappi che d'allora
Ridate a me la figlia,
Sol te quest'alma adora.
Tutto al mondo tal figlia è per me.
MADDALENA
Pietà, pietà, Signori, pietà.
Ah! Ah!... e vent'altre appresso
Le scorda forse adesso?...
ATTO TERZO Ha un'aria il signorino
SCENA II Da vero libertino...
DUCA DI MANTOVA DUCA
La donna è mobile Sì... un mostro son...
Qual piuma al vento, (per abbracciarla)

STORIA DELLA MUSICA !120


MADDALENA E non ti basta ancor?...
Lasciatemi, stordito.
DUCA GILDA
Eh, che fracasso! Iniquo traditor!
MADDALENA DUCA
Stia saggio. Bella figlia dell’amore,
DUCA Schiavo son dei vezzi tuoi;
E tu sii docile, con un detto sol tu puoi
Non farmi tanto chiasso. Le mie pene consolar.
Ogni saggezza chiudesi Vieni e senti del mio core
Nel gaudio e nell'amore... Il frequente palpitar.
(Le prende la mano.) MADDALENA:
La bella mano candida! Ah! Ah! Rido ben di core,
MADDALENA Ché tal baie costan poco;
Scherzate, voi signore. Quanto valga il vostro giuoco,
DUCA: No, no. Mel credete, so apprezzar.
MADDALENA Sono avvezza, bel signore,
Son brutta. Ad un simile scherzar.
DUCA GILDA
Abbracciami. Ah, così parlar d'amore
MADDALENA A me pur l'infame ho udito!
Ebbro!... Infelice cor tradito,
DUCA (ridendo) Per angoscia non scoppiar.
D'amore ardente. Perché, o credulo mio core,
MADDALENA Un tal uom dovevi amar?
Signor l'indifferente, RIGOLETTO (a Gilda)
Vi piace canzonar?... Taci, il piangere non vale;
DUCA Ch'ei mentiva or sei secura...
No, no, ti vo' sposar... Taci, e mia sarà la cura
MADDALENA La vendetta d'affrettar.
Ne voglio la parola... Pronta fia, sarà fatale,
DUCA (ironico) Io saprollo fulminar.
Amabile figliuola!
RIGOLETTO
(a Gilda che avrà tutto osservato ed inteso)

STORIA DELLA MUSICA !121


Macbeth
Macbeth è tra i più conosciuti drammi di Shakespeare, nonché la tragedia più breve.
Frequentemente rappresentata e riadattata nel corso dei secoli, è divenuta archetipo
della brama di potere e dei suoi pericoli.
Per la trama Shakespeare si ispirò liberamente al resoconto storico del re Macbeth di
Scozia di Raphael Holinshed e a quello del filosofo scozzese Hector Boece. Ci sono
molte superstizioni fondate sulla credenza che il dramma sia in qualche modo
"maledetto" e molti attori non vogliono menzionarne ad alta voce il titolo, riferendosi
ad esso come "Il dramma scozzese". Pronunciare il suo nome dentro un teatro è
considerato un atto capace di trasformare qualsiasi spettacolo in un fiasco.
La versione operistica di questa tragedia, musicata da Verdi su libretto di Francesco
Maria Piave è considerata, se possibile, ancora più malaugurante del dramma
shakespeariano.
Dopo l'iniziale successo, il 14 marzo 1847, al Teatro della Pergola di Firenze, l'opera
cadde nell'oblio, e in Italia fu riesumata con strepitoso successo al Teatro alla Scala il
7 dicembre 1952, con Maria Callas nel panni della protagonista femminile. Da allora
è entrata stabilmente in repertorio.
La complessa struttura del dramma shakespeariano in cinque atti fu sintetizzata da
Francesco Maria Piave, non senza difficoltà, in una struttura in quattro atti che
prevede numerosi cambi di scena e scenari variegati, con ben due scene ambientate
nel bosco (introduzione dell'atto primo e finale ultimo). Il lavoro di Piave fu rivisto
da Andrea Maffei e il risultato finale mostra una notevole aderenza al testo di
Shakespeare.
In questa opera Verdi appare ancora legato alle forme tradizionali. L'azione
drammatico-musicale si sviluppa infatti attraverso pezzi chiusi. Non mancano
tuttavia scene dalla struttura meno segmentata, come la celebre aria del
sonnambulismo di Lady Macbeth.
La distinzione tra i personaggi positivi (Malcolm, Macduff, Banco) e la coppia
malvagia dei protagonisti si riflette nello stile di canto, spianato e nobile per i primi,
incline ad una declamazione drammatica e cupa (inclusi alcuni effetti di sottovoce)
per i secondi.

STORIA DELLA MUSICA !122


Personaggi


DUNCANO, re di Scozia (Mimo)


MACBETH, generale dell'esercito del Re (Baritono)
BANCO, generale dell'esercito del Re (Basso)
LADY MACBETH, moglie di Macbeth (Soprano)
LA SUA DAMA (Mezzosoprano)
MACDUFF, nobile scozzese, Signore di Fiff (Tenore)
MALCOLM, figlio di Duncano (Tenore)
MEDICO (Basso)
DOMESTICO di Macbeth (Basso)
SICARIO (Basso)
ARALDO (Basso)
FLEANZIO, figlio di Banco (Mimo)
ECATE, Dea della notte (Ballerina)

CORO di streghe, messaggeri del re, nobili e profughi scozzesi, sicari,



Soldati Inglesi, Bardi, Spiriti aerei, Apparizioni, ecc;
Luogo: Scozia

SCENA V-VII
Atrio nel castello di Macbeth che mette in altre stanze.

Lady Macbeth leggendo una lettera.

SCENA V Alla grandezza aneli,


LADY Ma sarai tu malvagio?
"Nel dì della vittoria io le incontrai… Pien di misfatti è il calle
Stupito io n'era per le udite cose; Della potenza, e mal per lui che il piede
Quando i nunzi del Re mi salutaro Dubitoso vi pone, e retrocede!
Sir di Caudore, vaticinio uscito Vieni t'affretta! Accendere
Dalle veggenti stesse Ti vo' quel freddo core!
Che predissero un serto al capo mio. L'audace impresa a compiere
Racchiudi in cor questo segreto. Addio." Io ti darò valore;
Ambizioso spirito Di Scozia a te promettono
Tu sei Macbetto... Le profetesse il trono...

STORIA DELLA MUSICA !123


Che tardi? Accetta il dono, SCENA VII
Ascendivi a regnar. Lady Macbeth sola.
LADY
Duncano sarà qui?...qui? qui la notte?...
SCENA VI
SERVO Or tutti sorgete, - ministri infernali,
Al cader della sera il Re qui giunge. Che al sangue incorate,- spingete i
LADY mortali!
Che di'? Macbetto è seco? Tu, notte, ne avvolgi - di tenebre
SERVO immota;
Ei l’accompagna. Qual petto percota - non vegga il
La nuova, o donna, è certa. pugnal.
LADY
Trovi accoglienza quale un re si merta.
(Il servo parte)

Aida
Aida è un'opera in quattro atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Antonio Ghislanzoni,
basata su un soggetto originale dell'archeologo francese Auguste Mariette.
Isma'il Pascià, Chedivè d'Egitto, commissionò un inno a Verdi per celebrare
l'apertura del Canale di Suez (1868) nel 1870, offrendo un compenso di 80.000
franchi, ma Verdi rifiutò, dicendo che non scriveva musica d'occasione. Invece,
quando venne l'invito (Mariette mandò uno schema di libretto su un soggetto
egiziano a Camille du Locle, direttore dell'Opéra-Comique di Parigi che lo sottopose
a Verdi, che trovò la storia valida) a comporre un'opera per l'inaugurazione del
nuovo teatro de Il Cairo, Verdi accettò. Il 27 aprile 1870 Mariette scriveva a du Locle:
«Ciò che il Viceré vuole è un'opera egiziana esclusivamente storica. Le scene saranno basate
su descrizioni storiche, i costumi saranno disegnati avendo i bassorilievi dell'alto Egitto come
modello». La prima dell'opera fu ritardata a causa della guerra franco-prussiana, dato
che i costumi e le scene erano a Parigi sotto assedio. Il teatro del Cairo s'inaugurò
invece con Rigoletto nel 1869. Quando finalmente la prima ebbe luogo ottenne un
enorme successo e ancora oggi continua ad essere una delle opere liriche più famose.
Verdi raggiunse un effetto sensazionale con l'utilizzo, nella Marcia trionfale, di
lunghe trombe, del tipo delle trombe egiziane o delle buccine romane («...com'erano le

STORIA DELLA MUSICA !124


Trombe nei tempi antichi»),
appositamente ricostruite
per l'occasione, ma dotate di
un unico pistoncino
nascosto da un panno a
forma di vessillo o
gagliardetto.
La prima rappresentazione
avvenne quindi al Teatro
Khediviale dell'Opera del
Cairo il 24 dicembre 1871,
diretta da Giovanni Bottesini.
Per l'anteprima italiana sotto la sua diretta supervisione, Verdi scrisse una ouverture,
che però alla fine non venne eseguita per un ripensamento, considerando il breve
preludio più organico ed efficace.

Personaggi
Aida, principessa etiope (soprano)
Radamès, capitano delle Guardie (tenore)
Amneris, figlia del Faraone (mezzosoprano)
Amonasro, Re dell'Etiopia e padre di Aida (baritono)
Ramfis, Gran Sacerdote (basso)
Il Re d'Egitto, padre di Amneris (basso)
Una sacerdotessa (soprano)
Un messaggero (tenore)
Sacerdoti, sacerdotesse, ministri, capitani, soldati, ufficiali, schiavi e prigionieri
etiopi, popolo egizio (coro)

Atto I
Scena I: Sala del palazzo del re a Menfi.
Aida, figlia del Re di Etiopia Amonasro, vive a Menfi come schiava; gli Egizi l'hanno catturata
durante una spedizione militare contro l'Etiopia ignorando la sua vera identità. Suo padre ha
organizzato una incursione in Egitto per liberarla dalla prigionia. Ma fin dalla sua cattura,
Aida è innamorata, ricambiata, del giovane guerriero Radamès. Aida ha una pericolosa
rivale, Amneris, la figlia del Re d'Egitto. Giunta Aida, Amneris intuisce che possa essere lei la
fiamma di Radamès e falsamente la consola dal suo pianto. Appare il Re assieme agli ufficiali
e Ramfis che introduce un messaggero recante le notizie dal confine. Aida è preoccupata: suo

STORIA DELLA MUSICA !125


padre sta marciando contro l'Egitto. Il Re dichiara che Radamès è stato scelto da Iside come
comandante dell'esercito che combatterà contro Amonasro. Il cuore di Aida è diviso tra
l'amore per il padre e la Patria e l'amore per Radamès.
Scena II: Interno del tempio di Vulcano a Menfi.
Cerimonie solenni e danza delle sacerdotesse. Investitura di Radamès come comandante in
capo.

Atto II
Danze festose e musica nelle stanze di Amneris. Amneris riceve la sua schiava Aida e
ingegnosamente la spinge a dichiarare il suo amore per Radamès, mentendole dicendo che
Radamès è morto in battaglia; la reazione di Aida alla notizia la tradisce rivelando il suo
amore per Radamès. Amneris, scoperto il suo amore, la minaccia: ella è figlia del Faraone.
Con orgoglio Aida dice che anche lei è figlia di re, ma se ne pente ben presto. Risuonano da
fuori le trombe della vittoria. Amneris obbliga Aida a vedere con lei il trionfo dell'Egitto e la
sconfitta del suo popolo. Aida è disperata, e chiede perdono ad Amneris.
Scena II: Uno degli ingressi della città di Tebe.
Radamès torna vincitore. Marcia trionfale. Il faraone decreta che in questo giorno il
trionfatore Radamès potrà avere tutto quello che desidera. I prigionieri etiopi sono condotti
alla presenza del Re e Amonasro è uno di questi. Aida immediatamente accorre ad
abbracciare il padre, ma le loro vere identità sono ancora sconosciute agli Egizi. Amonasro
infatti dichiara che il Re etiope è stato ucciso in battaglia. Radamès per amore di Aida chiede
come esaudimento del desiderio offertogli del Re il rilascio dei prigionieri. Il Re d'Egitto,
grato a Radamès, lo proclama suo successore al trono concedendogli la mano della figlia
Amneris e fa inoltre rilasciare i prigionieri, ma, su consiglio di Ramfis, fa restare Aida e
Amonasro come ostaggi per assicurare che gli etiopi non cerchino di vendicare la loro
sconfitta.

Atto III
Scena: Le rive del Nilo, vicino al tempio di Iside.
Amonasro e Aida sono tenuti in ostaggio; il Re etiope costringe la figlia a farsi rivelare da
Radamès la posizione dell'esercito egizio. Radamès ha solo apparentemente consentito di
diventare il marito di Amneris, e fidandosi di Aida, durante la conversazione le rivela per
incauta confidenza le informazioni richieste dal padre. Quando Amonasro rivela la sua
identità e fugge con Aida, Radamès, disperato per avere involontariamente tradito il suo Re e
la sua Patria, si consegna prigioniero al sommo sacerdote.

STORIA DELLA MUSICA !126


Atto IV
Scena I: Sala nel palazzo del Re; andito a destra che conduce alla prigione di
Radamès.
Amneris desidera salvare Radamès di cui conosce l'innocenza, supplicandolo di discolparsi,
ma egli rifiuta. Il suo processo ha luogo fuori dal palcoscenico; egli tace e non si pronuncia in
propria difesa, mentre Amneris, che rimane sul palco, si appella ai sacerdoti affinché gli
mostrino pietà. Radamès viene condannato a morte per alto tradimento e sarà sepolto vivo.
Amneris maledice i sacerdoti mentre Radamès viene portato via.
Scena II: L'interno del tempio di Vulcano e la tomba di Radamès; la scena è divisa
in due piani: il piano superiore rappresenta l'interno del tempio splendente d'oro e
di luce, il piano inferiore un sotterraneo.
Radamès crede di essere solo, ma pochi attimi dopo si accorge che Aida si è nascosta nella
cripta per morire con lui. I due amanti accettano il loro terribile destino, confermano l'amore
l'un per l'altro, dicono addio al mondo e alle sue pene e aspettano l'alba, mentre Amneris
piange e prega sopra la loro tomba durante le cerimonie religiose e la danza di gioia delle
sacerdotesse.

Capitolo XX

Modest Petrovič Musorgskij


Karevo, 21 marzo 1839 – San Pietroburgo, 28 marzo 1881)

Musicista del periodo romantico, è da


ricordare come un appartenente al cosiddetto
Gruppo dei Cinque (compositori che alla loro
musica conferirono un'impronta nazionale, e
anche nazionalista, intesa come riscoperta
delle musiche russe tradizionali e del loro
impatto sulla cultura nazionale).
Pur destinato a una carriera militare, il suo
interesse principale fu la musica, per cui seguì
questa passione anche se essa gli procurò una
vita di miseria.
Affetto da disturbi di nevrosi e depressione,
causati in parte dal vizio del bere, durante un
soggiorno in campagna dal fratello - durato tre

STORIA DELLA MUSICA !127


anni - si dedicò con fervore ad alcune delle sue opere più importanti, come Una
notte sul Monte Calvo (1867, riv. nel 1875) per orchestra. Dello stesso periodo è la
celebre suite per pianoforte Quadri di un'esposizione (Kartinki s vystavki, composto
fra il 2 e il 22 giugno 1874), un tentativo di tradurre in musica alcuni disegni e
acquerelli dell'amico artista Viktor Aleksandrovič Hartmann (1834-1873) visti ad una
mostra. L'opera fu pubblicata postuma e destinata ad avere una particolare fortuna
soprattutto per la ricchezza ritmica e la novità di timbri, che indurranno Maurice
Ravel a scriverne una magistrale orchestrazione. Inizialmente il titolo del ciclo era
Hartmann.
Il suo capolavoro è considerato l'opera Boris Godunov (da un dramma di Puškin),
l'unico suo melodramma rappresentato mentre era ancora in vita, mentre le
successive Chovanščina e La fiera di Soročynci sono rimaste incompiute alla sua morte,
e completate e/o orchestrate da altri musicisti russi (Nikolaj Rimskij-Korsakov il più
noto), nelle cui versioni vengono oggi messe in scena.

Quadri da un’esposizione
Quadri da un'esposizione fu pubblicato la prima volta nel 1886, cinque anni dopo la
morte dell'autore, a cui seguì una seconda edizione, con una prefazione di Vladimir
Stasov. In entrambi i casi il revisore fu Nikolaj Rimskij-Korsakov che - snaturando
una delle più belle composizioni mai scritte - ammorbidì i tocchi audaci di
Musorgskij, con il risultato che il lavoro non fu stampato nella sua forma originale.
Fu probabilmente nel 1870 che Musorgskij conobbe l'artista ed architetto Viktor
Aleksandrovič Hartmann, forse grazie all'influente critico Vladimir Stasov, che li
conosceva entrambi e ne seguiva con interesse l'attività. I due svilupparono
rapidamente un profondo sentimento di amicizia, poiché entrambi appartenevano a
quel gruppo di intellettuali russi che aspiravano ad un'arte legata alle radici culturali
della loro terra, al suo folklore ed alle sue tradizioni, rifiutando le influenze straniere.
Hartmann morì improvvisamente per un aneurisma nel 1873, a soli 39 anni. In suo
ricordo ebbe luogo tra febbraio e marzo del 1874, su iniziativa di Stasov, una mostra
all'Accademia Russa di Belle Arti a San Pietroburgo, dove furono esposti circa 400
suoi lavori. Musorgskij, che aveva contribuito prestando alcune opere della sua
collezione, rimase molto colpito dalla visita alla mostra, e nel giro di poche settimane
compose i Quadri.
Il compositore fu ispirato da disegni ed acquerelli prodotti da Hartmann nel corso
dei suoi viaggi, soprattutto all'estero. Ad oggi la maggior parte di quei lavori è

STORIA DELLA MUSICA !128


andata perduta, rendendo impossibile identificare con certezza a quali opere si sia
ispirato Musorgskij. Il musicologo Alfred Frankenstein, in un articolo pubblicato nel
1939 sulla rivista The Musical Quarterly, sostenne di aver identificato sette quadri.
Essi sono L'Ebreo ricco, L'Ebreo povero (Frankenstein suggerì due dipinti distinti,
conservatisi fino ad oggi, per Samuel Goldenberg und Schmuyle), Gnomus, Tuileries
(ora perduto), Balletto dei pulcini nei loro gusci (un disegno di un costume per un
balletto), Catacombae, La capanna su zampe di gallina (Baba Jaga), e Progetto per
una porta a Kiev - Facciata principale.
Come per la maggior parte delle opere di Musorgskij, anche la pubblicazione dei
Quadri da un'esposizione fu una vicenda travagliata. Infatti il lavoro fu dato alle
stampe solo nel 1886, cinque anni dopo la morte dell'autore, a cura del suo amico
Nikolaj Rimskij-Korsakov. Questi però, convinto che nel manoscritto fossero presenti
numerosi errori, che riteneva necessario correggere, non pubblicò la partitura
originale, ma apportò parecchie modifiche. Solo nel 1931 l'opera fu pubblicata in
accordo al manoscritto di Musorgskij, che venne poi pubblicato in fac-simile nel
1975.
La suite è composta da quindici brani, dieci ispirati ai quadri e cinque Promenade
(passeggiata), che rappresentano il movimento dell'osservatore da una tela all'altra.
Le Promenade (non tutte intitolate così nell'originale, ma chiaramente riconoscibili)
presentano sempre lo stesso tema, con variazioni più o meno sensibili, quasi a far
risaltare i diversi stati d'animo che pervadono il compositore per il quadro appena
visto. La ripetizione del tema funge inoltre da elemento di coesione in una
composizione altrimenti episodica, basata sui forti contrasti tra un soggetto e l’altro.

Promenade
Qui c'è il motivo principale delle "passeggiate", filo conduttore ed autentica sigla
dell'intero brano. La melodia ed il ritmo richiamano canzoni popolari russe.

1. Lo gnomo
Il primo quadro rappresenta un nano malvagio che si aggira nella foresta. La musica,
caratterizzata da tempi contrastanti, da frequenti fermate e riprese, e da un alternarsi
di forte, pianissimo e fortissimo, rappresenta i movimenti dello gnomo. Ravel, nella
sua trascrizione per orchestra, affida il tema principale agli archi, specialmente ai
contrabbassi e ai violoncelli.

STORIA DELLA MUSICA !129


(Tema della Promenade)
Una placida esposizione della melodia della passeggiata raffigura il visitatore mentre
cammina verso la prossima opera: il rapido cambio di atmosfera e la morbidezza dei
timbri fanno già presagire il clima del pezzo successivo.

2. Il vecchio castello
La scena si svolge in Italia, dove un trovatore intona la sua struggente canzone
d'amore davanti alle mura di un castello medievale, in un paesaggio soffuso di
tristezza. È probabilmente l'episodio più lirico dell'intera raccolta, dal tono
melanconico e trasognato, in movimento di barcarola ed in tempo di Andante
cantabile. L'espressività è sottolineata dai numerosi crescendo e diminuendo. Il
canto, in modo minore, è legato e va intonato "piano, con espressione", finché piano e
forte si fondono formando un unico grande crescendo che porterà alla Promenade
successiva. Nella versione orchestrale di Ravel, la melodia principale fu affidata ad
un sassofono contralto, strumento che possiede un timbro caldo e vibrante, simile
alla voce umana. L'orchestra funge inizialmente da accompagnamento, ed alla fine
riprende il tema del sassofono. Questo brano non richiede grande tecnica solistica,
bensì spiccate doti espressive.

(Tema della Promenade)


Anche questa breve "passeggiata" (in 8 battute) segna uno stacco netto col quadro
precedente. Le indicazioni agogiche (moderato, pesante) paiono voler esprimere
l'umore ancora pensieroso del visitatore.

3. Tuileries (Litigio di fanciulli dopo il gioco)


Alcuni bambini giocano nei giardini del parco parigino delle Tuileries, sotto lo
sguardo attento delle governanti che chiacchierano tra di loro. Per rappresentare i
litigi dei bambini, Musorgskij sceglie un motivo basato sul tipico intervallo delle
canzoncine infantili, iterato e innervato di rapidissimi scatti di sedicesimi. Il brano è
composto in forma tripartita (ABA).

4. Bydło
Un bydło, caratteristico carro dei contadini polacchi, dalle ruote altissime e
pesantissimo, è trainato nel fango faticosamente e lentamente da buoi. Il brano va in
crescendo fino all'assordante passaggio del carro davanti all'ascoltatore-spettatore.
Progressivamente, poi, il carro si perde in lontananza. Il movimento è in forma
tripartita (ABA) con una coda. Nell'originale di Musorgskij il brano inizia in

STORIA DELLA MUSICA !130


fortissimo (ff), suggerendo che il viaggio del carro inizi vicino all'ascoltatore. Dopo
aver raggiunto un climax (con tutta forza), l'indicazione diventa improvvisamente
piano (battuta 47), seguita da un diminuendo per un finale in pianissimo (ppp), che
rappresenta il definitivo allontanamento del convoglio. Invece gli arrangiamenti
basati sull'edizione curata da Rimskij-Korsakov, come quello di Ravel, iniziano piano
e presentano successivamente crescendo, fortissimo e diminuendo, come se il carro
si avvicina, passa davanti e si allontana dall'ascoltatore.

(Tema della Promenade)

5. Balletto dei pulcini nei loro gusci


Ballerini travestiti da pulcini che escono dall'uovo, dal
disegno di scena di Hartmann per il balletto Trilby, in cui
gli allievi di una scuola d'arte drammatica dovevano
esibirsi come tali. Questo brano presenta acciaccature
quasi in ogni misura o battuta e, in generale, molti
abbellimenti che indicano i movimenti dei pulcini. Il
brano inizia in fa maggiore, poi transita in altre tonalità,
ed è composto in forma tripartita (ABA) con una
ripetizione letterale ed una breve coda.

6. Samuel Goldenberg e Schmuÿle


Due ebrei polacchi si incontrano: Samuel Goldenberg è
ricco, grosso, grasso e tronfio del suo benessere; l'altro,
Schmuÿle, è piccolo, magro, insistente e piagnucoloso.
Quest'ultimo, con voce petulante e piagnucolosa, chiede
insistentemente del denaro all'altro. L'irruzione del
motivo di Goldenberg, che si sovrappone a quello di
Schmuÿle, segnala lo
sdegnoso rifiuto di questi, che
non si lascia commuovere
dalle implorazioni del povero. Infine, dopo la brusca
interruzione del battibecco, un'ultima idea dolente pare
raffigurare - nell'accento che la conclude - il singhiozzo di
Schmuÿle. L'uso dell'intervallo di terza minore, nel tema
di Schmuÿle, richiama la musica ebrea, così come la scala
dominante Frigia.

STORIA DELLA MUSICA !131


Promenade
Questo pezzo riprende con leggere differenze la prima Promenade e con il suo
carattere di ricapitolazione divide la suite in due parti. La maggior parte degli
arrangiamenti, incluso quello di Ravel, omettono questo brano.

7. Limoges, il mercato
Chiacchiere tra contadine nella piazza del mercato di Limoges, che degenerano in
una lite rumorosa. Nell'autografo di Musorgskij il pezzo era preceduto da un
preambolo scritto, poi depennato, in cui si spiegavano i motivi della lite. Il
movimento è uno scherzo in forma tripartita (ABA). Una rapida coda conduce senza
interruzione al pezzo seguente.

8. Catacombae - Con i morti in una lingua


morta
Il movimento è diviso in due parti. La prima è un
quasi statico Largo, consistente in una sequenza
di accordi, con melodie elegiache che aggiungono
un tocco di malinconia, la seconda è un cupo e
più fluente Andante che introduce nella scena il
tema della Promenade. Il soggetto è lo stesso
Hartmann, che al lume di una lanterna visita le
catacombe di Parigi: l'autografo del compositore infatti spiega: "Lo spirito creatore
del defunto Hartmann mi conduce verso i teschi e li invoca; questi si illuminano
dolcemente all'interno". La prima sezione, alternando accordi potenti e morbidi
evoca la grandezza, l'immobilità e l'eco delle catacombe; la seconda fa emergere un
osservatore nella scena che discende nelle catacombe.

9. La capanna sulle zampe di gallina (Baba-Yaga)


Il quadro illustra l'incedere della strega Baba-Yaga,
essere grottesco raffigurato presso la sua dimora: un
orologio a cucù sorretto da zampe di gallina; la musica
esprime la paura del compositore nel visitarne
l'orribile antro. Il brano è uno scherzo "feroce" con una
sezione centrale lenta. I suoi motivi evocano i rintocchi
di un grande orologio ed i suoni di un inseguimento
frenetico. Strutturalmente il movimento rispecchia gli
aspetti grotteschi dello Gnomo su scala più grande.

STORIA DELLA MUSICA !132


L'Andante centrale è uno dei momenti più impegnativi di tutta la suite per il
pianista, perché presenta per tutta la sua durata un tremolo di terzine di semicrome.
Anche questo brano è in forma tripartita (ABA), con una coda che conduce
direttamente al primo accordo del successivo ed ultimo brano.

10. La grande porta di Kiev


Hartmann progettò una porta monumentale in onore dello zar Alessandro II, per
commemorare il fatto che il monarca scampò ad un tentativo di assassinio il 4 aprile
1866. Egli lo riteneva il miglior lavoro che avesse mai fatto. In effetti il suo progetto
risultò vincitore in un concorso nazionale, ma poi i piani per costruire la struttura
furono abbandonati. Il movimento presenta un
grandioso tema principale quasi a glorificare la
Promenade di apertura, così come Baba-Yaga amplifica
Lo gnomo. Il solenne tema secondario è basato su un
inno battesimale tratto dal repertorio di canti della
Chiesa ortodossa russa. Il pezzo ha la forma di un
ampio rondò in due sezioni principali: ABAB|CADA.
La prima parte del movimento rispetta la struttura di
uno schema ABABA. La sua brusca interruzione con
nuova musica appena prima della sua conclusione
attesa dà al resto del movimento un senso di vastità:
questo esteso congedo fa da coda alla suite nel suo
complesso.

A Tema principale (forte) Tempo: Maestoso


B Tema dell'inno (piano) (la bemolle minore)
A Tema principale (forte) Le scale discendenti ed ascendenti ricordano un insieme di
campane.
B Tema dell'inno (piano) (mi bemolle minore)
C Interludio/Transizione (forte) Il tema della Promenade viene richiamato.
Suggestioni di meccanismi d'orologio, campane, ascesa.
A Tema principale (fortissimo) Figure di terzine. Tempo: Meno mosso, sempre
maestoso
D Interludio/Transizione (mezzo forte con crescendo) Terzine.
A Tema principale (fortissimo) Tempo: Grave, sempre allargando Il ritmo rallenta
fino al punto fermo della cadenza finale.

STORIA DELLA MUSICA !133


Capitolo XXI

Pëtr Il'ič Čajkovskij


(Kamsko-Votkinsk, 7 maggio 1840 – San Pietroburgo, 6 novembre 1893)

Considerato oggi come uno dei più grandi


musicisti russi e fra i più significativi nella storia
musicale (oltre che eseguiti), Čajkovskij nacque a
Kamsko-Votkinsk, Russia, da un ingegnere
minerario ucraino e dalla sua seconda moglie,
Aleksandra Andreevna d'Assier, una donna di
nobili origini francesi, ma nata a San Pietroburgo
nel 1812. Le ascendenze complessive del futuro
musicista mescolavano anche sangue polacco,
cosacco e tedesco
Nel 1850 supera l'esame per l'ammissione alla
Scuola di Giurisprudenza di San Pietroburgo che
frequentò per i successivi nove anni, un destino,
quello di burocrate, notevolmente diffuso nel ceto
al quale Čajkovskij apparteneva (anche i suoi due fratelli gemelli compirono eguali
studi).
Nella Scuola di Giurisprudenza ottenne risultati mediocri, ma strinse amicizie che si
prolungarono per tutta l'esistenza, scoprendo anche debolezze umane quali quella
per il fumo ed il bere (fu sempre un accanito fumatore ed amante dell'alcool,
inclinazione, quest'ultima, anche del di lui padre).
A sedici anni ascolta per la prima volta il Don Giovanni di Mozart: è un colpo di
fulmine, un'assoluta rivelazione del proprio destino per la musica: «A Mozart sono
debitore della mia vita dedicata alla musica». Scrive anche in uno stesso articolo critico-
musicale: “La musica di Don Giovanni è stata la prima musica ad avere su di me un effetto
realmente sconvolgente. Mi ha condotto in un mondo di bellezza artistica dove dimorano solo
i geni più grandi “
Altri studi pianistici seguiranno alla conclusione della frequenza della Scuola di
Giurisprudenza nel 1859 e al conseguente impiego al Ministero della Giustizia
Anteriormente al 1859 in Russia non solo non esistevano scuole ufficiali per
l'insegnamento musicale, ma anche lo "status" di musicista era negato. Un giovane

STORIA DELLA MUSICA !134


dell'aristocrazia doveva frequentare l'opera, conoscere la musica e magari saper
suonare e addirittura comporre qualche cosa, ma un gentiluomo che abbracciasse la
musica come professione era una cosa da non prendersi nemmeno in
considerazione. La maggior parte degli artisti e della musica eseguita era straniera.
Gli italiani vi imperavano pur esistendo del resto una tradizione musicale, seppur
più propriamente popolare e religiosa
Gli eventi biografici che daranno una marcatura indelebile alla vita del musicista si
verificheranno proprio tra la fine del 1876 e il 1877 e costituiscono due capitoli a sé,
degni di essere indagati assieme al mistero sulla sua morte prematura (come infatti i
biografi, ancora oggi, continuano a fare, per fini non solo di curiosità ma perché
Čajkovskij fu un tipico artista dell'Ottocento, ove le sue proprie vicende personali si
saldarono sempre con la creazione artistica). L'indagine critico-biografica tipica del
secolo seguente e dell'attuale, con ricorsi anche alla psicoanalisi, cercherà di mettere
in luce, gli aspetti della sua complessa personalità più di quanto non fosse già
blandamente avvenuto nelle prime, pur non marginali
opere biografiche.
Nadežda Filaretovna von Meck, nata nel 1831 e
dunque più vecchia di soli nove anni rispetto a
Čajkovskij, era una russa di classe media che aveva
ottenuto il titolo nobiliare sposando Karl von Meck,
un ingegnere ferroviario, originario della regione
baltica dell'antico Impero. Le condizioni economiche
della famiglia (con molti figli) furono disagiate per
lungo tempo (lo ricorderà la donna stessa in una
lettera a Čajkovskij), ma cambiarono tuttavia verso il
1860, in virtù della concessione governativa, ottenuta
con intrighi e corruzioni, per la costruzione di tre
importanti linee ferroviarie.
Rimasta vedova nel 1876, la donna si ritrovò un'immensa fortuna e - intelligente, pur
se dispotica - amante delle arti e della musica in particolare, prese a diventare uno di
quei mecenati che la storia russa del tempo vide non di rado. La donna cercava
all'epoca un giovane violinista che potesse accompagnarla nel repertorio per solista e
pianoforte (madame era una buona dilettante). Tramite Nikolaj G. Rubinštejn la
scelta cadde su Iosif Iosifovič Kotek, che aveva allora ventun anni, allievo di
Čajkovskij ed anche – a suo tempo – uno dei tanti amanti del musicista.

STORIA DELLA MUSICA !135


Fu così che il nome del compositore venne fatto e
una commissione inoltrata (Kotek sapeva
benissimo dei bisogni economici di Čajkovskij):
lautamente ricompensata, s'intende. La prima
lettera della donna al musicista è del 30 dicembre
1876: «La prego di credere che con la sua musica la mia
vita è davvero diventata più facile e piacevole». La
risposta fu immediata, del giorno dopo.
È l'inizio di un rapporto particolarissimo, fatto di
detto e non detto tra i due, di una dipendenza
spirituale reciproca, analizzata ormai sin troppo
dai biografi e purtuttavia carica di fascino. La von
Meck fu una delle tre donne importanti nella vita
di Čajkovskij, assieme alla madre e alla sorella
Aleksandra. A loro il musicista fece ricorso in varia misura e in diverse circostanze:
più esattamente è possibile concordare con Maria Delogu quando dice: «Forse
Čajkovskij sperava di trovare quella madre che tanto gli era mancata e di cui tutto sommato
aveva molto più bisogno che di un'amante».
La von Meck divenne la principale finanziatrice del compositore, cui elargiva
frequentemente grosse somme di denaro ed un regolare mensile. La cosa avveniva
all'insegna di un autentico mecenatismo, pur apparendo scontata la "facilità"
dell'atto, vista la ricchezza di lei. Il musicista, dal canto suo, non si fece invero molti
scrupoli nell'accettare e ricorrere sovente alla generosità di madame. Questo
sostegno economico, al quale la von Meck si riteneva come obbligata tanto dalla
propria posizione sociale quanto dal trasporto affettivo verso il musicista, consentì a
Čajkovskij di abbandonare la cattedra al Conservatorio, per dedicarsi a tempo pieno
alla composizione.
La donna fu anche una confidente privilegiata del musicista e la persona con cui
intrattenne una fittissima corrispondenza : si scrivevano praticamente ogni giorno e
anche più volte al giorno (questo almeno per la prima parte della loro relazione
epistolare) dal 1877 al 1890. Secondo lo specialista Brett Langston, curatore del sito in
lingua inglese "Tchaikovsky Research", il numero complessivo sarebbe attualmente
(2009) di milleduecentotré lettere, di cui 768 scritte dal musicista e 435 dalla von
Meck.

STORIA DELLA MUSICA !136


Čajkovskij fu un grafomane assoluto, capace di arrivare a scriver ben 18 lettere al
giorno; uno spazio, serale di solito, era puntualmente riservato a questo. Le lettere
repertoriate nel The Tchaikovsky Handbook... ammontano a 5.248.
Al settembre 2011, le lettere scritte dal musicista sarebbero 5.347 a 389 corrispondenti
diversi, tenendo tuttavia presenti le "scoperte" più recenti di materiale sinora
sconosciuto (quasi un centinaio).
I due per reciproca, concorde volontà, non si incontrarono mai, anche se non
mancarono delle eccezioni volute dal caso o dall'astuzia femminile della von Meck,
contro ben altri sentimenti del musicista, che temeva l'approccio fisico con lei, fermo
nella sua costante idealizzazione dell'altro sesso. Le circostanze sono riportate da più
biografi. In una prima occasione, il musicista venne invitato (1878) a Firenze (una
città prediletta, ove frequentemente tornava e compose) da madame che vi
soggiornava. Il "gioco" era anche quello di visitare le reciproche dimore in assenza
l'un dell'altro oppure, come scrive lo stesso Čajkovskij:
« Alle undici e mezzo precise del mattino passa davanti a casa mia, cercando di vedermi e non
riuscendovi a causa della sua miopia. Ma io la vedo perfettamente. A parte questo, ci siamo
intravisti una volta a teatro... »
Un'ulteriore circostanza si verificò l'estate dell'anno seguente, ospite il musicista in
una tenuta della von Meck presso Simaki. Nonostante i rispettivi orari fossero
coordinati in modo da evitare possibili incontri, come racconta sempre il musicista:
« Accadde un incidente spiacevole...Andai nel bosco, persuaso di non incontrare certo
Nadežda Filaretovna...Avvenne dunque ch'io uscissi un po' più presto e che ella fosse in
ritardo. Così ci incontrammo inaspettatamente. Sebbene ci guardassimo soltanto un attimo,
io rimasi estremamente confuso, riuscii però a salutare cortesemente, togliendomi il cappello.
Lei invece sembrò perder completamente il controllo e non sapere come comportarsi »
La von Meck però gli scrisse:
« Sono veramente felice del nostro incontro e non posso descriverle il calore che sentii
affluirmi al cuore quando ebbi compreso che era lei...Non desidero rapporti personali fra noi,
provo però un piacere enorme a sapermi silenziosa e passiva vicino a lei, a esser con lei sotto
un medesimo tetto, come quella volta a teatro a Firenze, o incontrarla come poc'anzi... »
Del resto il musicista temeva questo "pedinamento" (che avrebbe potuto nascondere
chissà quali "pretese") e rifiutò di vedere persino l'ultimogenita della von Meck che,
sembra autonomamente, aveva manifestato il desiderio di vedere l'uomo misterioso
e chiedeva innocenti ragguagli fanciulleschi sul misterioso signore. E a "madame"
scriveva sempre e comunque lettere piene delle sue tipiche circonlocuzioni,

STORIA DELLA MUSICA !137


esternando un contegno che spesso non
corrispondeva ai suoi sentimenti reali, viceversa
rivelati ad amici e parenti.
La von Meck era una donna appassionata nelle
proprie manifestazioni: durante gli anni di questa
inusuale relazione con il musicista lo manifestò
chiaramente e tutt'altro che con desideri
"platonici" (sebbene sempre velati), quando si
rivolse significativamente a lui chiamandolo "mio
tesoro", "mio diletto" e "mio signore e Maestro”. Il
musicista per parte sua si guardò sempre bene
dall'assecondare queste "voglie" di una vicinanza
tangibile, che ovviamente capiva esservi da parte
della mecenate.
È interessante tuttavia sapere che un
accostamento fisico tra i due personaggi avvenne davvero, attraverso le nozze che i
due favorirono (o si potrebbe dire "stabilirono", ovviamente per corrispondenza) tra
un figlio della von Meck, Nikolaj e Anna, una delle figlie della sorella di Čajkovskij,
Alexandra Davydov, avvenimento sin troppo chiaro del desiderio di un'unione
carnale (certo solo da parte di madame).

Lo Schiaccianoci
Lo Schiaccianoci (in russo Щелкунчик, Ščelkunčik) è un balletto con musiche di Pëtr
Il'ič Čajkovskij (op. 71), il quale seguì minuziosamente le indicazioni del coreografo
Marius Petipa e, in seguito, quelle del suo successore Lev Ivanov.
Il balletto fu commissionato dal direttore dei Teatri Imperiali Russi, Ivan
Aleksandrovič Vsevoložskij.
La storia deriva dal racconto Schiaccianoci e il re dei topi di Ernst Theodor Amadeus
Hoffmann (1816).
Pëtr Il'ič Čajkovskij compose le musiche del balletto tra il 1891 e il 1892. La prima
rappresentazione, che ebbe luogo il 18 dicembre 1892 presso il Teatro Mariinskij di
San Pietroburgo, Russia, fu diretta interamente dal compositore italiano Riccardo

STORIA DELLA MUSICA !138


Drigo e coreografata dal ballerino russo Lev Ivanov; questa esecuzione tuttavia non
riscosse successo. Tra gli interpreti di questa prima esecuzione spiccano l'italiana
Antonietta Dell'Era, nel ruolo della Fata Confetto, il russo Pavel Gerdt, Olga
Preobrajenska e il giovane Nicolaj Legat. Il ruolo di Clara era interpretato da una
bambina della scuola di ballo del Teatro Mariinskij.
La suite, estremamente popolare in sede concertistica, fu realizzata nell'agosto 1892
dal musicista stesso, che a differenza degli altri due propri balletti, per i quali non
era convinto a creare una Suite, lo fece su invito come "anteprima" della prossima
realizzazione, addirittura quando non era stata ancora iniziata l'orchestrazione
integrale del balletto (i primi numeri furono proprio quelli della Suite). La diresse
personalmente a San Pietroburgo il 7 marzo 1892, con un esito trionfale. La Suite
dura una ventina di minuti, utilizzando lo stesso organico dell'opera ballettistica.
Una novità in quest'opera è la presenza di uno strumento che fu visto dal
compositore a Parigi: la celesta. Čajkovskij lo volle assolutamente inserire
nell'organico strumentale e lo aggiunse in alcuni passaggi del secondo atto: Scene
iniziali, Passo a due (Danza della Fata Confetto) e Apoteosi con associazione al
personaggio della Fata.Lo strumento venne usato da Čajkovskij anche nel proprio
poema sinfonico Il Voevoda, op. 78, contemporaneo al balletto. Prima di lui, in
assoluto, Charles-Marie Widor nel 1880. Il nostro musicista temeva che i suoi "rivali"
russi potessero precederlo nell'utilizzo dello strumento.

STORIA DELLA MUSICA !139


Atto I
Durante la vigilia di Natale, agli inizi del XIX secolo, il signor Stahlbaum, in Germania,
indice una festa per i suoi amici e per i loro piccoli figli.
Questi, in attesa dei regali e pieni di entusiasmo, stanno danzando quando arriva il signor
Drosselmeyer, lo zio di Clara e Fritz, che porta regali a tutti i bambini, intrattenendoli con
giochi di prestigio, nonostante all'inizio incuta paura ai bambini.
Alla sua nipote prediletta, Clara, regala uno schiaccianoci a forma di soldatino che Fritz, il
fratello della bambina, rompe per dispetto. Ma Drosselmeyer lo ripara per la gioia della
bambina.
Arrivano alla festa anche gli altri parenti, che si uniscono alla festa danzando. Clara, stanca
per le danze della serata, dopo che gli invitati si ritirano, si addormenta sul letto e inizia a
sognare. È mezzanotte, e tutto intorno a lei inizia a crescere: la sala, l'albero di Natale, i
giocattoli.. e soprattutto una miriade di topi che cercano di rubarle lo schiaccianoci.
Clara tenta di cacciarli, quando lo Schiaccianoci si anima e partecipa alla battaglia con i
soldatini di Fritz: alla fine, rimangono lui e il Re Topo, che lo mette in difficoltà. Clara, per
salvare il suo Schiaccianoci, prende la sua ciabatta e la lancia addosso al Re Topo,
distraendolo; lo Schiaccianoci lo colpisce uccidendolo. Ed ecco che lo Schiaccianoci si
trasforma in un Principe, e Clara lo segue, entrando in una foresta innevata. L'Atto si chiude
con uno splendido Valzer dei fiocchi di neve.

Atto II
I due giovani entrano nel Regno dei Dolci, dove al Palazzo li riceve la Fata Confetto, che si fa
raccontare dallo Schiaccianoci tutte le sue avventure, e di come ha vinto la battaglia col Re
Topo. Subito dopo, tutto il Palazzo si esibisce in una serie di danze che compongono il
Divertissement più famoso e conosciuto delle musiche di Čajkovskij e che rendono famoso il
balletto, culminando nel conosciutissimo Valzer dei fiori.
Dopo, il Principe e la Fata Confetto si esibiscono in un Pas de deux, dove nella Variazione II
si può riconoscere in maniera eclatante il suono della celesta. Il balletto si conclude con un
ultimo Valzer, e il sogno finisce: una volta risvegliata, mentre si fa giorno, Clara ripensa al
proprio magico sogno abbracciando il suo Schiaccianoci.

STORIA DELLA MUSICA !140


La Bella addormentata
La Bella addormentata (in russo, Спящая красавица, Spjaščaja krasavica) è il secondo,
per cronologia di composizione, dei tre balletti di Pëtr Il'ič Čajkovskij. Il libretto fu
scritto interamente dal principe e sovrintendente dei Teatri Imperiali di San
Pietroburgo Ivan Vsevolozhsky: la coreografia venne affidata a Marius Petipa. La
prima rappresentazione ebbe luogo il 15 gennaio 1890 presso il Teatro Mariinskij di
San Pietroburgo, Russia: il successo fu immediato.
Il 13 maggio 1888, l'allora direttore dei teatri imperiali Ivan Vsevolozhsky scrisse a
Čajkovskij riguardo alla propria idea di allestire un nuovo balletto, basato sulla fiaba
di Charles Perrault de La bella addormentata, proponendo al compositore di
scriverne la musica.
La passione di Vsevolozhsky per l'epoca di Luigi XIV, portò il direttore a concepire
lo scenario nello stile dei balletto di corte del XVII secolo: la coreografia del balletto
dunque, che doveva, secondo Vsevolozhsky, divenire l'opera più importante dei
teatri imperiali e del repertorio pietroburghese, fu affidata al pluridecorato Marius
Petipa, già coreografo di numerosi e famosi balletti. Questi divenne poi anche
coautore del libretto, insieme appunto al direttore.
La prova generale avvenne in presenza dello zar Alessandro III e la prima ebbe
luogo il 15 gennaio 1890 presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo: la direzione
orchestrale fu di Riccardo Drigo, protagonista l'italiana Carlotta Brianza (nel ruolo di
Aurora) accanto al russo Pavel Gerdt (nel ruolo del Principe Désiré).
Bisogna aspettare però il 1896 perché il balletto giunga in Italia, al Teatro alla Scala di
Milano: l'allestimento milanese fu anche il primo allestimento ad essere eseguito al
di fuori della scena pietroburghese. Solo nel 1899 arrivò al Teatro Bol'šoj a Mosca.

Il cast originale della


prima assoluta del
balletto, Atto I.
Al centro è Carlotta
Brianza come Aurora.
(Teatro Mariinskij,
Sanpietroburgo, 1890)

STORIA DELLA MUSICA !141


Prologo
Alla corte di re Floristano, viene indetta una festa per il battesimo della principessa Aurora:
vengono invitati cavalieri, dame e le fate buone del regno, che portano con loro doni per la
principessa. Tra gli invitati però manca la fata Carabosse, non presente nella lista; per
vendicarsi, nonostante le suppliche della corte, la fata getta una maledizione alla piccola: al
sedicesimo anno di età, la principessa morirà pungendosi con un fuso. La fata dei Lillà però,
non avendo ancora fatto il suo regalo, decide di modificare la maledizione: questa non morirà
infatti alla puntura, ma sprofonderà solamente in un lunghissimo ed eterno sonno, che
coinvolgerà tutta la corte e che avrà fine solamente grazie al bacio di un giovane principe.

Atto I
Al giardino del castello si festeggia il sedicesimo anno di età della principessa, dopo che ogni
fuso è stato bandito dal regno e il suo uso vietato severamente.
Aurora appare e, corteggiata da quattro pretendenti che arrivano dai quattro rispettivi
continenti, balla con i quattro principi (il famoso Adagio della Rosa): le varie danze di corte
distolgono l'attenzione del pubblico e così la fata Carabosse, travestita da vecchia mendicante,
porge un fuso alla principessa.
Incuriosita dall'oggetto mai visto, Aurora tocca la punta del fuso e sviene: la fata dei Lillà
interviene e trasforma la morte in sonno, con il suo dono.
Gli invitati si addormentano e il castello viene avvolto da rovi e circondato da un fitto bosco.

Atto II
Scena Prima: trascorrono cento anni e, in una radura nei pressi del castello ancora avvolto
dai rovi, una compagnia di nobili è presa in una battuta di caccia, allietandosi nel fitto bosco
con pic-nic e danze.
Tra questi è presente anche il principe Désiré. A un certo punto, l'atmosfera cambia e appare
la fata dei Lillà, che in un sogno conduce il principe da Aurora, avvisandolo dell'accaduto. La
visione di questa splendida principessa fa innamorare il giovane principe. Finito il sogno, il
principe si dirige al castello incantato. Scena Seconda: il principe riesce ad entrare nel castello
e, trovata la principessa, le dà un bacio, spezzando l'incantesimo; la corte allora si risveglia e le
danze ricominciano; il principe potrà ora sposare la principessa Aurora.

Atto III
C'è una grande festa al castello e tra gli invitati compaiono l'Uccello Azzurro e la principessa
Florin; compaiono anche molti dei personaggi delle fiabe di Perrault (Il gatto con gli stivali e
la gatta bianca, Cenerentola e il Principe Fortuné, Cappuccetto rosso e il lupo).
I due promessi sposi danzano, in un celebre passo a due, alla reggia di Floristano, e con loro
anche tutti gli invitati in onore del futuro re e della futura regina.

STORIA DELLA MUSICA !142


Il Lago dei cigni
Il Lago dei Cigni (in russo: Лебединое озеро, traslitterato: Lebedinoe ozero) è uno dei
più famosi e acclamati balletti del XIX secolo, musicato da Pëtr Il'ič Čajkovskij (op.
20). La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro Bolshoi di Mosca il 20 febbraio
1877 (calendario giuliano), con la coreografia di Julius Wenzel Reisinger.
Il libretto di Vladimir Petrovic Begičev, direttore dei teatri imperiali di Mosca
insieme al ballerino Vasil Fedorovič Geltzer, è basato su un'antica fiaba tedesca, Der
geraubte Schleier (Il velo rubato), seguendo il racconto di Jophann Karl August
Musäus.
Primo dei tre balletti di Čajkovskij, fu composto tra il 1875 e il 1876. Viene
rappresentato in quattro atti e quattro scene (soprattutto fuori dalla Russia e
nell'Europa Orientale) o in tre atti e quattro scene (in Russia e Europa occidentale).
Sebbene esistano molte versioni diverse del balletto, la maggior parte delle
compagnie di danza basa l'allestimento, sia dal punto di vista coreografico che
musicale, sul revival di Marius Petipa e Lev
Ivanov per il Balletto Imperiale, presentato la
prima volta il 15 gennaio 1895 al Teatro
Imperiale Mariinskij a San Pietroburgo, Russia.
La prima rappresentazione (20 febbraio 1877)
deluse molto critica e pubblico. Reisinger operò
tagli e manomissioni alla partitura originale,
nonché allestì in modo scadente le scene, lasciò
ai ballerini, oltretutto di scarsa personalità, il
compito di improvvisare variazioni e passi: il
risultato fu deludente. Anche l'orchestra uscì a testa bassa, eseguendo la partitura in
modo scadente.
Nonostante ciò, il balletto venne comunque riproposto e inscenato per un numero
totale di quarantadue allestimenti, tutti, a detta della critica del tempo, dei veri e
propri fiaschi.
Dopo la morte del compositore, nel 1895, il balletto passò nelle mani di Marius
Petipa, coreografo che si era distinto egregiamente anche nell'altra opera di Pëtr Il'ič
Čajkovskij (La Bella Addormentata), e in quelle di Lev Ivanov. Il 15 gennaio 1895
finalmente ebbe luogo il primo allestimento coreografato da Petipa e Ivanov presso il
Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Petipa curò il primo e il terzo atto, mentre
Ivanov curò gli atti bianchi, il secondo e il quarto. Inoltre vennero apportate anche

STORIA DELLA MUSICA !143


modifiche alla sequenza dei
numeri e furono aggiunti brani
del musicista trascritti dal
compositore italiano (e direttore
d'orchestra in tale occasione)
Riccardo Drigo.
Questa volta fu un successo e Il
lago dei cigni entrò a pieno
diritto nel repertorio dei teatri
pietroburghese e moscovita. La
nuova coreografia e le nuove musiche sono considerate una pietra miliare del
balletto classico.

Il movimento che introduce il balletto è una breve sintesi musicale ed emotiva del
dramma, che rimpiazza la tradizionale ouverture. La melodia d'apertura è il primo
tema del cigno, in esso risuona già una delle scale discendenti che si incontreranno
poi in tutto il balletto. Queste scale alludono al destino che incombe sui due amanti,
a cui non potranno sottrarsi. Il movimento agitato che appare, simboleggia il
sortilegio del mago su Odette e la di lei trasformazione in cigno. In talune revisioni
librettistiche e coreografiche, comunque non conformi all'originale, la breve scena
viene rappresentata sul palcoscenico, come antefatto (ad esempio in Nicholas
Beriozoff, Milano, 1964).

Atto I
In un parco di fronte al castello, il principe Siegfried festeggia coi suoi amici il suo
compleanno. Si avvicinano dei contadini per porgergli gli auguri e lo intrattengono con le
loro danze. Giunge la regina madre, che esorta il figlio a trovare una sposa tra le ragazze che
lei ha invitato al ballo del giorno dopo. Alla sua uscita, le danze dei contadini riprendono con
due divertissement, posti al di fuori dell’intreccio. La festa continua con danze e scherzi del
buffone di corte.
Gli ospiti rientrano nel castello ed il principe Siegfried e i suoi amici decidono di andare a
caccia e imbracciato l'arco s'inoltrano nella foresta. Appare il secondo tema del cigno, più
precisamente della "fanciulla cigno”.

STORIA DELLA MUSICA !144


Atto II
Sulle acque di un lago nuotano i cigni, in realtà bellissime fanciulle stregate dal malvagio
Rothbart, che possono assumere forma umana solo la notte. Siegfried e i suoi amici li
contemplano sotto la luce della luna. Questo numero, ideato come entr'acte, divenne in
seguito un tableau scenico.
I cacciatori prendono la mira, ma proprio in quel momento i cigni si trasformano in fanciulle.
La loro regina, Odette, narra al principe la loro triste storia, e spiega che solo una promessa di
matrimonio fatta in punto di morte potrà sciogliere l’incantesimo che le tiene prigioniere.
Siegfried, incantato dalla bellezza di Odette, la implora di prendere parte al ballo del giorno
dopo, in cui egli dovrà scegliere una sposa. Ha inizio un divertissement, parte essenziale
dell’intreccio, composto dalle danze delle fanciulle cigno e da un pas d'action, la cui musica è
tratta dall'opera giovanile Undine, dove Siegfried e Odette si giurano eterno amore. È l'alba, e
le fanciulle vengono nuovamente trasformate in cigni.

Atto III
Nella sala da ballo del castello entrano gli invitati, accolti da Siegfried e dalla regina madre.
Iniziano i festeggiamenti. Gli squilli di tromba annunciano l’arrivo delle sei ragazze aspiranti
pretendenti del principe. Siegfried si rifiuta di scegliere, quand’ecco che uno squillo di tromba
annuncia l'arrivo di nuovi ospiti. Si tratta del mago Rothbart e della figlia Odile che, grazie al
padre, ha assunto l'aspetto di Odette. L’intento del mago è quello di far innamorare Siegfried
di Odile, in modo da mantenere per sempre Odette in suo potere. La musica espone il tema
del fato, e il motivo della “fanciulla cigno” suggerisce la somiglianza tra Odette e Odile, che il
pubblico può comunque distinguere dal costume, che nel caso di Odile è nero.
Ciascuna ragazza balla una variazione per il principe. Seguono una serie di danze nazionali.
Con il suo fascino, Odile è riuscita a sedurre Siegfried, che la presenta a sua madre come
futura sposa. Rothbart esultante si trasforma in una civetta e fugge dal castello, che piomba
nell’oscurità fra l’orrore degli invitati. Siegfried, resosi conto dell’inganno, scorge la vera
Odette attraverso un’arcata del castello, e disperato si precipita nella notte alla ricerca della
fanciulla.

Atto IV
Odette, morente, piange il destino crudele che la attende. Siegfried arriva da lei tentando di
salvarla, ma una tempesta si abbatte sul lago e le sue acque inghiottono i due amanti. La
bufera si placa e sul lago, tornato tranquillo, appare un gruppo di candidi cigni in alto volo.

STORIA DELLA MUSICA !145


Finale alternativo del balletto
Dopo la Rivoluzione del 1917, ma soprattutto nel
periodo stalinista, anche i protagonisti dei balletti
dovettero in qualche modo essere assimilati al concetto
di eroi positivi. Proprio per aderire a questa nuova
filosofia, il finale del balletto venne modificato. Nella
versione di Vladimir Bourmeister del 1953, dopo un
combattimento tra Rothbart e Siegfried, questo riesce a
sconfiggere il mago e Odette riprende le sue sembianze
umane potendo così vivere il proprio sogno d'amore
con il principe.

Capitolo XXII

Charles Camille Saint-Saëns


(Parigi, 9 ottobre 1835 – Algeri, 16 dicembre 1921)

Saint-Saëns nacque a Parigi da un impiegato


governativo molto ricco, che morì dopo soli tre
mesi dalla nascita del figlio. La madre, Clémence,
si rivolse alla zia Charlotte Masso per un aiuto ed
ella si trasferì da loro e cominciò ad insegnare a
Camille a suonare il pianoforte. Uno dei bambini
prodigio più dotati musicalmente di tutti i tempi,
possedeva una intonazione perfetta e iniziò le
lezioni di pianoforte con la pro-zia a due anni e
quasi subito iniziò a comporre. La sua prima
composizione, un breve pezzo per pianoforte
datato 22 marzo 1839, è al momento conservata
presso la Biblioteca nazionale di Francia. La

STORIA DELLA MUSICA !146


precocità di Saint-Saëns non era limitata alla musica, all'età di tre anni sapeva già
leggere e scrivere e aveva imparato il latino quattro anni più tardi.
La sua prima esibizione in pubblico avvenne all'età di cinque anni, quando
accompagnò al pianoforte una sonata per violino di Beethoven. Quindi si dedicò a
studiare a fondo la partitura del Don Giovanni. Nel 1842 Saint-Saëns A dieci anni,
tenne il primo concerto debuttando alla Salle Ignaz Pleyel, suonando il concerto per
pianoforte N. 15 di Mozart (K. 450) in Sib Maggiore e altri brani di Handel,
Kalkbrenner, Hummel e Bach. Come bis, Saint-Saëns si offrì di suonare una delle
trentadue sonate per pianoforte di Beethoven a memoria. La notizia di un così
incredibile concerto si sparse rapidamente per l'Europa e persino negli Stati Uniti,
dove fu pubblicata su un quotidiano di Boston.
Alla fine degli anni quaranta Saint-Saëns entrò nel Conservatorio di Parigi, dove
studiò organo e composizione, quest'ultima come allievo di Jacques Halévy. Saint-
Saëns vinse molti premi importanti, ma non riuscì ad aggiudicarsi il prestigioso
Premio di Roma né nel 1852 e nemmeno nel 1864. La fama derivante dai
riconoscimenti conquistati gli permise di conoscere Franz Liszt, che divenne uno dei
suoi migliori amici. All'età di sedici anni, Saint-Saëns scrisse la sua prima sinfonia; la
seconda, pubblicata come Sinfonia N. 1 in Mib Maggiore, fu eseguita nel 1853 tra lo
stupore e la meraviglia dei critici e degli altri compositori. Hector Berlioz, che
divenne un buon amico di Saint-Saëns, si lasciò scappare un commento, rimasto
famoso, "Il sait tout, mais il manque d'inexpérience" ("Sa tutto, ma gli manca
l’inesperienza”). All'età di 25 anni intraprese uno dei suoi tanti viaggi verso l'Europa
dell'occidente per far conoscere a tutti il suo genio musicale che si ampliò durante le
sue avventure dove si appassionò anche allo studio delle scienze animali e vegetali
Per guadagnarsi da vivere Saint-Saëns lavorò come organista in diverse chiese di
Parigi. Nel 1857, sostituì Lefébure-Wely nell'insigne ruolo di organista della Chiesa
della Madeleine, ruolo che mantenne fino al 1877. Le sue improvvisazioni
incantarono il pubblico parigino e gli procurarono l'encomio di Liszt, che nel 1866
affermò che Saint-Saëns era il più grande organista del mondo.
Dal 1861 al 1865, Saint-Saëns per la prima ed ultima volta nella sua vita si dedicò
all'insegnamento, coprendo la cattedra di pianoforte alla scuola Niedermeyer, dove
infranse le tradizioni più consolidate, inserendo nei programmi opere di musicisti
contemporanei quali Liszt, Gounod, Schumann, Berlioz e Wagner, laddove i
curricula prevedevano solo Bach e Mozart. Tra i suoi studenti troviamo compositori
destinati alla celebrità come André Messager e soprattutto Gabriel Fauré, il suo
allievo favorito, destinato a diventare il suo più caro amico.

STORIA DELLA MUSICA !147


Saint-Saëns fu un intellettuale poliedrico. Sin da piccolo si dedicò allo studio della
geologia, dell'archeologia, della botanica e della branca dell'entomologia che studia i
lepidotteri. Fu anche un eccellente matematico. In seguito, accanto all'attività di
compositore, esecutore e pubblicista musicale, si dedicò alle più svariate discipline,
intrattenendosi in discussioni con i migliori scienziati d'Europa e scrivendo dotti
articoli in materia di acustica, scienze occulte, decorazioni nel teatro dell'antica Roma
e strumenti antichi. Scrisse anche un'opera filosofica, Problèmes et Mystères, che
tratta di come la scienza e l'arte possano rimpiazzare la religione; la visione
pessimistica e atea di Saint-Saëns anticipò l'Esistenzialismo. Sul versante letterario,
pubblicò un volume di poesie intitolato Rimes familières e la commedia farsesca La
Crampe des écrivains, che ebbe un buon successo. Fu anche membro della Società
Astronomica di Francia. Tenne conferenze sul tema dei miraggi, possedette un
telescopio costruito secondo sue precise indicazioni, e giunse persino a progettare
concerti che corrispondessero a eventi astronomici quali le eclissi di sole.
Nel 1870 Saint-Saëns fu arruolato nella Guardia Nazionale per combattere nella
guerra franco-prussiana, un'esperienza che, pur concludendosi in appena sei mesi,
lasciò un marchio indelebile sul compositore. Nel 1871 fondò insieme a Romain
Bussine la Société Nationale de Musique allo scopo di promuovere il nuovo e
originale stile musicale francese. Dopo la caduta della Comune di Parigi, la Société
organizzò la prima esecuzione di lavori di membri quali Fauré, César Franck,
Édouard Lalo, e lo stesso Saint-Saëns, che condivise la presidenza della Société. In tal
modo, Saint-Saëns diede un apporto determinante nel modellare il futuro della
musica francese.
Saint-Saëns continuò a scrivere di argomenti musicali, scientifici e storici, viaggiando
spesso prima di trascorrere i suoi ultimi anni ad Algeri, capitale dell'Algeria. Come
riconoscimento dei suoi traguardi, il governo francese gli concesse l'onorificenza
della Legion d'onore.
Camille Saint-Saëns morì di polmonite il 16 dicembre 1921, all'Hôtel de l'Oasis ad
Algeri. Il suo corpo fu riportato a Parigi per i funerali di stato alla chiesa de La
Madeleine e sepolto nel Cimetière du Montparnasse a Parigi.
In Francia, Saint-Saëns è stato uno dei primi sostenitori della musica di Wagner,
proponendo brani dalle sue opere durante le lezioni alla Scuola Niedermeyer e
facendo eseguire in prima francese la Marcia da Tannhäuser. Wagner stesso rimase
stupito quando lo vide suonare a vista l'intera partitura orchestrale di Lohengrin,
Tristan und Isolde e Siegfried, suggerendo a Hans von Bülow di assegnargli
l'appellativo della "più grande mente musicale" dell'epoca. È noto che il 29 maggio

STORIA DELLA MUSICA !148


1913, Saint-Saëns lasciò la sala alla prima de La Sagra della primavera di Igor
Stravinsky, infuriato, a quel che si dice, dall'uso non appropriato del fagotto nelle
battute iniziali del balletto.

Il Carnevale degli Animali


Composta nel 1886 durante un periodo di riposo a Vienna, venne eseguita
privatamente nel 1887, in occasione della festività del martedì grasso. Per volere del
compositore, infatti, l'opera doveva essere eseguita pubblicamente solo dopo la sua
morte. La sua prima fu il 26 febbraio 1922, trentasei anni dopo la sua composizione e
un anno dopo la morte dell'autore.
Il carnevale degli animali divenne la musica più caratteristica di Saint-Saens per i
suoi toni umoristici e canzonatori.
I 14 brani, tutti molto brevi, si riferiscono ciascuno ad un animale. Non mancano
riferimenti dichiaratamente satirici e umoristici. La comicità del brano è data anche
dalle citazioni esplicite di brani o motivi conosciuti.

1. Marcia reale del leone


Il primo brano descrive l'avanzata del leone, immaginato come di consueto come re
della foresta. Gli accordi ripetuti dei pianoforti sottolineano la cadenza del passo
dell'animale. La solennità del brano è resa da sonorità chiare e incisive, in tempo
Andante maestoso.

2. Galline e galli (Poules et Coqs)


Pianoforti, violini e viola riproducono il chiocciare delle galline per trentacinque
battute. Il "coccodè" è reso da note corte e incalzanti, con l'acciaccatura sulle note
acute.

3. Emioni [Hémiones (animaux véloces)]


L'immagine che il brano propone è la corsa veloce e frenetica di questi asini o cavalli
selvatici; il tempo Presto furioso caratterizza questa parentesi virtuosistica dei due
pianoforti. Dopo veloci arpeggi e scale, il brano si conclude con sbrigativi accordi
finali.

4. Tartarughe (Tortues)
L'ironia del brano consiste nella scelta del tema. Il famoso Can-can dell'Orfeo
all'inferno di Jacques Offenbach, originariamente un travolgente balletto, viene qui

STORIA DELLA MUSICA !149


proposto in versione lenta, evidentemente "adattato" per l'andatura lenta delle
tartarughe.

5. L'elefante (L'Éléphant)
Il goffo animale viene descritto dal timbro grave del contrabbasso, che espone un
valzer su accompagnamento del secondo pianoforte. Anche qui la citazione di un
tema famoso, la Danza delle silfidi di Hector Berlioz, dà ironia al brano: le silfidi
erano creature mitologiche leggiadre e graziose, che contrastano con la pesantezza
dell’animale.

6. Canguri (Kangourous)
I salti improvvisi dei canguri sono riprodotti da brevi successioni di note dei
pianoforti. Nonostante il carattere comico della descrizione musicale, il brano
conferisce un tono di mistero e di ambientazione fantastica, introducendo al
suggestivo brano che segue.

7. Acquario (Aquarium)
I pianoforti, il flauto, la glassarmonica e gli archi eseguono una dolce nenia, in tempo
Andantino. I fraseggi e gli arpeggi, esplorano sonorità inconsuete, descrivendo
l'ambiente impalpabile e al contempo soave dell'Acquario. Le scale ascendenti degli
archi e del pianoforte descrivono efficacemente le bollicine dell'acquario.I pianoforti
suonano nel registro acuto.TEMA:violini e flauto(traverso).

8. Personaggi dalle orecchie lunghe (Personnages à longues oreilles)


Il brano riproduce inequivocabilmente il raglio degli asini, con note acute dei violini
succedute da note basse (hi-ho). Il titolo del brano però allude anche ai critici
musicali del tempo e alla loro aria saccente, presi di mira da Saint-Saëns con questa
descrizione caricaturale.

STORIA DELLA MUSICA !150


9. Il cucù nel bosco (Le coucou au fond des bois)
Il cuculo si inserisce con il suo cu-cu (suonato dal clarinetto) in una trama di accordi
minimali dei pianoforti. L'atmosfera riproduce i colori e le sensazioni della foresta,
con la presenza quasi nascosta dell'uccello.

10. Voliera (Volière)


Il rapido volo incessante di uccelli non meglio identificati viene riprodotto da una
leggera frase del flauto, ripresa più volte, sull'accompagnamento degli archi. Il brano
suggerisce sensazioni di libertà e spensieratezza.

11. Pianisti (Pianistes)


La musica di questo brano non è altro che una serie di semplici e ripetitivi esercizi di
studio per l'apprendimento del pianoforte. Inserendo la "razza" dei pianisti tra gli
animali, Saint-Saëns dipinge una divertente parodia di questi musicisti, costretti ad
ore di ripetitivo ed estenuante studio sulla tastiera. Lo strumento stesso viene messo
in ridicolo, mentre propone elementari studi piuttosto che scale, arpeggi o
virtuosismi.

12. Fossili (Fossiles)


I fossili vengono riprodotti dallo xilofono, che fa pensare al rumore delle ossa. I temi
di questo brioso brano sono tratti dalla Danza Macabra dello stesso Saint-Saëns e dal
Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini. Con questo brano Saint-Saens prende in
giro i critici musicali, spesso vecchi e antiquati.

13. Il cigno (Le Cygne)


Sicuramente il più celebre motivo di Saint-Saëns, conosciuto soprattutto per il
balletto La morte del cigno, di cui fa parte. Sugli arpeggi dei due pianoforti, il
violoncello espone il dolcissimo tema, in tempo 6/4 in sol maggiore.

14. Finale (Finale)


Il finale è un allegro rondò che alterna il nuovo divertente tema con la citazione di
temi già proposti dagli altri brani, quasi a ricapitolare tutta l'opera.

STORIA DELLA MUSICA !151


Capitolo XXIII

Pietro Mascagni
(Livorno, 7 dicembre 1863 – Roma, 2 agosto 1945)

Mascagni visse a cavallo tra Ottocento e Novecento,


occupando un posto di rilievo nel panorama
musicale dell'epoca, soprattutto grazie al successo
immediato e popolare ottenuto nel 1890 con la sua
prima opera, Cavalleria rusticana. Cavalleria fu la
prima di altre 15 opere per cui Mascagni ebbe una
popolarità planetaria, insieme a pochi altri
compositori. Tuttavia, soprattutto al giorno d'oggi,
solo alcune di esse sono entrate stabilmente in
repertorio, come ad esempio l'Iris, che tocco' la
ragguardevole cifra di 800 produzioni in meno di
120 anni di vita. Mascagni, inoltre, scrisse
un'operetta, Sì, musica vocale, strumentale, nonché
canzoni, romanze e composizioni per pianoforte. Compose anche musica sacra (ad
esempio la bella Messa di Gloria), e fu il primo compositore italiano a scrivere per il
cinema muto (Rapsodia Satanica, da Nino Oxilia)
Pietro Mascagni nacque il 7 dicembre 1863, a Livorno, in piazza delle Erbe.
Proveniva da una famiglia abbastanza rinomata nella città, ma di condizioni
economiche non agiate, nonostante il padre fosse uno dei più facoltosi e conosciuti
panettieri del centro di Livorno. Dopo aver ultimato gli studi ginnasiali, ai quali
affiancò anche lo studio del pianoforte e dell'organo, dal 1876 si dedicò agli studi
musicali – contro la volontà del padre – seguendo gli insegnamenti di Alfredo
Soffredini, fondatore dell'Istituto Musicale Livornese (in seguito rinominato 'Luigi
Cherubini'), dove studiò anche violino, contrabbasso e alcuni strumenti a fiato. Nel
1927 Mascagni ricevette la delega dal Governo in qualità di rappresentante
dell'Italia, in occasione delle celebrazioni per il centenario della morte di Ludwig
Van Beethoven, che ebbero luogo a Vienna. Due anni dopo, nel 1929, alla fondazione
della Reale Accademia d'Italia, Mascagni venne incluso tra gli Accademici, insieme,
tra gli altri, a Luigi Pirandello, Guglielmo Marconi, Gabriele d'Annunzio ed Enrico
Fermi; nel 1932 si iscrisse al Partito Nazionale Fascista.

STORIA DELLA MUSICA !152


Il 16 gennaio 1935 venne rappresentata alla Scala Nerone, l'ultima sua fatica, su
libretto del sempre fedele Targioni-Tozzetti. In occasione del cinquantenario di
Cavalleria rusticana (1940) l'opera fu incisa su disco. L'anno successivo, 1941, diresse
le celebrazioni per il cinquantenario dell'Amico Fritz, col tenore mascagnano
Ferruccio Tagliavini. Tra il 1943 e il 1944, ormai ottuagenario, Mascagni terminò la
sua carriera di direttore al Teatro Adriano di Roma. Già nel 1943, subito dopo il
bombardamento di Roma, in una sua lettera ad Anna Lolli scriveva: "Rendiamo
grazie a Dio, il Fascismo è finito, torna su di noi il sole della libertà".
Pietro Mascagni morì nel suo appartamento all'Hotel Plaza di Roma (sua residenza
stabile dal 1927) il 2 agosto del 1945: il Presidente del Consiglio dell'epoca, Ferruccio
Parri, gli negò i funerali di Stato. Radio Mosca fece un minuto di silenzio e la folla si
accalcò per omaggiare la salma. Ancora oggi si può visitare il suo sepolcro al
Cimitero della Misericordia di Livorno, dove le sue spoglie furono trasferite nel 1951.
Trasferitosi a Milano, per studiare al Conservatorio con Amilcare Ponchielli e
Michele Saladino, Mascagni condivise una stanza in affitto con Giacomo Puccini, più
anziano di lui di cinque anni, condividendone povertà e gioie. In Conservatorio,
però, Mascagni si trovò presto in difficoltà: i metodi e i contenuti della disciplina
musicale impartita dai docenti si scontravano col suo temperamento e con la sua
musica più moderna, anche se aveva Amilcare Ponchielli dalla sua parte. Nel 1885
Mascagni abbandonò il Conservatorio di Milano (e gli studi di musica), unendosi a
compagnie d'operetta come direttore d'orchestra. Nel dicembre 1886, in tournée con
la compagnia di Diego Zucca, fece tappa a Cerignola (FG), dove il sindaco allora in
carica (il Commendatore Cannone) invitò lui e la futura moglie, Argenide Marcellina
Carbognani (Lina, che sposerà nel febbraio 1888), a fermarsi, offrendogli di dirigere
la neonata Filarmonica locale. Nella cittadina dauna Mascagni resterà sino al 1892,
componendo la sua prima opera e dando lezioni di musica e canto.

Cavalleria Rusticana
Cavalleria rusticana fu la prima opera composta da Mascagni ed è certamente la più
nota fra le sedici composte dal compositore livornese (oltre a Cavalleria rusticana, solo
Iris e L'amico Fritz sono rimaste nel repertorio stabile dei principali enti lirici). Il suo
successo fu enorme già dalla prima volta in cui venne rappresentata al Teatro
Costanzi di Roma, il 17 maggio 1890, e tale è rimasto fino a oggi.
Venne rappresentata la Cavalleria Rusticana nel dicembre 1917 al Teatro Reale di
Madrid con grande successo. Luigi Rossi Morelli rappresentò Alfio, il carrettiere.

STORIA DELLA MUSICA !153


Basti pensare che ai tempi
della morte di Mascagni,
avvenuta nel 1945, l'opera era
già stata rappresentata più di
quattordicimila volte solo in
Italia.,
Nel 1888 l'editore milanese
Edoardo Sonzogno annunciò
un concorso aperto a tutti i
giovani compositori italiani
che non avevano ancora fatto rappresentare una loro opera. I partecipanti dovevano
scrivere un'opera in un unico atto, e le tre migliori produzioni (selezionate da una
giuria composta da cinque importanti musicisti e critici italiani) sarebbero state
rappresentate a Roma a spese dello stesso Sonzogno.
Mascagni, che all'epoca risiedeva a Cerignola, in provincia di Foggia, dove dirigeva
la locale banda musicale, venne a conoscenza di questo concorso solo due mesi
prima della chiusura delle iscrizioni e chiese al suo amico Giovanni Targioni-
Tozzetti, poeta e professore di letteratura all'Accademia Navale di Livorno, di
scrivere un libretto. Targioni-Tozzetti scelse Cavalleria rusticana, una novella
popolare di Giovanni Verga come base per l'opera. Egli e il suo collega Guido
Menasci lavoravano per corrispondenza con Mascagni, mandandogli i versi su delle
cartoline. L'opera fu completata l'ultimo giorno valido per l'iscrizione al concorso. In
tutto, furono esaminate settantatré opere e il 5 marzo 1890 la giuria selezionò le tre
opere da rappresentare a Roma: Labilia di Nicola Spinelli, Rudello di Vincenzo
Ferroni, e Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni.
La prima rappresentazione di Cavalleria rusticana fu, come già accennato, un
successo inaudito, con Mascagni che venne richiamato sul palco dagli applausi del
pubblico per quattro volte, e vinse il Primo Premio del concorso.

Personaggi
Santuzza, giovane contadina (soprano drammatico anche mezzosoprano)
Turiddu, giovanissimo contadino (tenore)
Lucia, sua madre (contralto)
Alfio, carrettiere (baritono)
Lola, sua moglie (mezzosoprano)

STORIA DELLA MUSICA !154


Trama
La scena si svolge in un paese
siciliano (ispirato a Vizzini)
durante il giorno di Pasqua.
Ancora a sipario calato, si sente
Turiddu, il tenore, cantare una
serenata a Lola, sua promessa
sposa, che durante il servizio
militare di Turiddu ha però
sposato Alfio. La scena si riempie
di paesani e paesane in festa,
giunge anche Santa, detta
Santuzza, attuale fidanzata di Turiddu, che decide di non entrare in chiesa
sentendosi in grave peccato. Si rivolge allora a mamma Lucia, madre di Turiddu,
chiedendole notizie del figlio.
Lucia dice a Santuzza che Turiddu è andato a Francofonte a comprare il vino, ma
Santuzza risponde che Turiddu è stato visto in paese nel bel mezzo della notte. Lucia
replica stizzita e le chiede di entrare in casa: ha infatti paura che qualcuno possa
sentire la loro conversazione, ma Santuzza rifiuta l'invito perché si sente disonorata.
Intanto, Alfio giunge a far visita a Lucia e le domanda del vino: Lucia riferisce che
Turiddu è andato a Francofonte per comprarne, ma Alfio replica di averlo visto al
mattino vicino casa sua. Compare Alfio se ne va e a questo punto Santuzza svela a
Lucia la relazione tra Turiddu e Lola, pur essendo quest'ultima sposata: Lucia,
attonita, invoca la Madonna e si allontana. Giunge Turiddu che discute
animatamente con Santuzza; quindi, interviene anche Lola, diretta alla chiesa, e le
due donne si scambiano battute ironiche.
Dopo che Lola è entrata in chiesa, la discussione tra Turiddu e Santuzza degenera in
lite violenta fino a che, gettata a terra da Turiddu, al colmo dello sdegno, Santuzza
gli augura la malapasqua. Quindi Turiddu entra in chiesa. Santuzza, rialzatasi, vede
arrivare Alfio e gli denuncia la tresca amorosa della moglie. Dopo la messa, Turiddu
offre vino a tutti i paesani per stare più tempo con Lola. Giunge Alfio, Turiddu gli
offre del vino, ma questi rifiuta. Così, Turiddu getta via il vino e, con la scusa di un
abbraccio pacificatore, morde l'orecchio ad Alfio sfidandolo a duello. Turiddu corre a
salutare la madre e, ubriaco, le dice addio affidandole Santuzza.
Subito dopo si sente un vociare di donne e popolani. Un urlo sovrasta gli altri:
"Hanno ammazzato compare Turiddu!”.

STORIA DELLA MUSICA !155


Cavalleria Rusticana di Giovanni Verga
Cavalleria rusticana è una novella appartenente alla prima raccolta di novelle di
Giovanni Verga intitolata Vita dei campi, pubblicata da Treves a Milano nel 1880. È
una storia d'amore e di gelosie, ambientata in un paese siciliano, Vizzini, nel secondo
Ottocento.
È uno dei testi più noti di Giovanni Verga: quando la trama venne utilizzata per il
libretto dell'omonima opera di Pietro Mascagni e vedendo che l’opera riscuoteva un
gran successo, Verga aprì una causa per plagio. La causa fu vinta da Verga che venne
risarcito; ciò gli garantì, per un certo periodo di tempo, una discreta tranquillità
finanziaria.

Capitolo XXIV

Ruggero Leoncavallo
(Napoli, 23 aprile 1857 – Montecatini Terme, 9 agosto 1919)

Nato a Napoli, da bambino si trasferì con la famiglia


in provincia di Cosenza, a Montalto Uffugo, dove il
padre fu pretore. In giovanissima età assistette a un
fatto di sangue che, successivamente, lo ispirò per la
realizzazione dell'opera Pagliacci. Studiò al
Conservatorio di San Pietro a Majella nella sua città
natale,ove trovò anche il tempo di laurearsi in
Lettere.
Dopo alcuni tentativi operistici giovanili non
particolarmente fortunati, sulla scia del grande
successo riportato nel 1890 da Cavalleria rusticana di
Mascagni, compose un'opera verista destinata a
grande fortuna: Pagliacci. Rappresentata per la prima volta nel 1892 al Teatro Dal
Verme di Milano, sotto la direzione di Arturo Toscanini, l'opera riscosse un successo
immediato ed è, forse, l'unica creazione di Leoncavallo che non sia mai uscita dal
grande repertorio lirico. La sua aria più celebre, "Vesti la giubba", registrata da
Enrico Caruso, fu il primo disco al mondo a toccare il milione di copie di vendita.
Dopo un periodo giovanile ricco di viaggi, verso la fine del XIX secolo Leoncavallo
approdò a Brissago (Svizzera). Nel 1903 egli affidò all'architetto Bernasconi il

STORIA DELLA MUSICA !156


compito di costruirgli una villa a Brissago, Villa Myriam. Lì il Maestro visse fino al
1916, anno in cui dovette venderla per far fronte alle ristrettezze finanziarie. Fino ad
allora, la sua villa fu un punto di ritrovo per direttori di teatro, scrittori, cantanti,
editori (Toscanini, Caruso, Sonzogno...). I brissaghesi, consapevoli del suo
attaccamento al loro villaggio, gli concessero nel 1904 la cittadinanza onoraria.
Successivamente Leoncavallo compose Zazà (1900), ricordata solo per due arie
rimaste in repertorio. Tra le molte romanze da lui composte, la più famosa è
Mattinata scritta per la Gramophone Company e prevista per la voce di Caruso. Lo
stesso Leoncavallo suonò il pianoforte durante la prima incisione della romanza
avvenuta l'8 aprile del 1904 e interpretata da Caruso.
Il compositore morì a Montecatini Terme nel 1919. Fu seppellito a Firenze nel
cimitero delle Porte Sante. Le sue spoglie mortali, assieme a quelle di sua moglie
Berthe, dando seguito al suo desiderio, verranno traslate a Brissago (Canton Ticino-
Svizzera) sul Lago Maggiore nel 1989.
La sua più celebre romanza, Vesti la giubba, ha ispirato Bob Kane nella creazione del
personaggio del Joker ed è stata citata dai Queen all'inizio del loro brano It's a Hard
Life.

I Pagliacci
Essa si ispira a un delitto realmente accaduto a Montalto Uffugo, in Calabria, quando
il compositore era bambino e in seguito al quale il padre di Ruggero Leoncavallo, che
era magistrato, istruì il processo che portò alla condanna dell'uxoricida.
L'opera fu ed è ancora una delle opere più eseguite al mondo, il successo immediato
trova spiegazione nell'attualità del linguaggio e nell'approccio verista e popolare che
in quel periodo permeava tutte le arti, ma non secondari furono l'impegno
dell'editore Sonzogno che all'epoca conduceva una battaglia per contrastare il
dominio dell'editore di Giuseppe Verdi e di Giacomo Puccini, Ricordi, e la
celeberrima registrazione discografica con Enrico Caruso quale protagonista; infatti
il disco è ricordato come una pietra miliare dell'allora nascente industria
discografica, essendo stato il primo ad aver superato il milione di copie vendute.
L'opera di Ruggiero Leoncavallo s'intitolava originariamente "Il Pagliaccio". Ma,
siccome doveva rappresentarlo per la prima volta il baritono francese Victor Maurel,
tipo molto orgoglioso e puntiglioso, questi s'impuntò: "Nelle opere del mio
repertorio la parte del baritono dev'essere nel titolo. Qui il titolo comprende solo il
tenore. Pertanto, se non cambiate il titolo, io non canto!". L'editore, per evitare di

STORIA DELLA MUSICA !157


mettere a rischio la prima, ebbe un'idea geniale. Cambiò il titolo da singolare a
plurale: "Pagliacci". Così nel titolo era compreso anche il baritono. Si andò in scena
regolarmente e il successo fu trionfale.

Personaggi
Nedda, nella commedia Colombina (soprano)
Canio, nella commedia Pagliaccio (tenore)
Tonio, nella commedia Taddeo (baritono)
Beppe, nella commedia Arlecchino (tenore)
Silvio, contadino (baritono)

Trama
La rappresentazione inizia a sipario calato, con Tonio che, in costume da Taddeo, si presenta
come Prologo, fungendo da portavoce dell'autore ed enunciando i principi informatori e la
poetica dell'opera. Il Prologo di Pagliacci costituisce un vero e proprio manifesto poetico-
programmatico della corrente verista all'interno della Giovane Scuola italiana (Si può, si
può?).
La compagnia di Canio è giunta in un paesino meridionale, Montalto Uffugo in provincia di
Cosenza, per inscenare una commedia. Canio non sospetta che la moglie Nedda lo tradisca
con Silvio, un contadino del luogo. Tonio, che ama Nedda ma che è da lei respinto, avvisa
Canio del tradimento. Questi scopre i due amanti che si promettono amore, ma Silvio fugge
senza che Canio lo veda in volto. Canio vorrebbe scagliarsi contro Nedda, ma arriva uno
degli attori a sollecitare l'inizio della commedia perché il pubblico aspetta. Canio non può
fare altro, nonostante il suo turbamento, che truccarsi e prepararsi per la commedia (Recitar...
Vesti la giubba).
Canio, nel ruolo di Pagliaccio, impersona appunto un marito tradito dalla sposa Colombina.
La realtà e la finzione finiscono col confondersi, e Canio, nascondendosi dietro il suo
personaggio, riprende il discorso interrotto dalla necessità di dare inizio alla commedia e,
sempre recitando, rinfaccia a Nedda la sua ingratitudine e trattandola duramente le dice che
il suo amore è ormai mutato in odio per la gelosia. Di fronte al rifiuto di Nedda di dire il
nome del suo amante, Canio uccide lei e Silvio accorso per soccorrerla. Tonio e Beppe,
inorriditi, non intervengono, ma gli spettatori, comprendendo troppo tardi che ciò che stanno
vedendo non è più finzione, cercano invano di fermare Canio. A delitto compiuto, Canio,
esclama beffardo: "la commedia è finita!".

STORIA DELLA MUSICA !158


Prologo
(Tonio, in costume da Taddeo come nella
commedia, passando attraverso al telone.)

Tonio
Si può?... Si può?...
(poi salutando)
Signore! Signori!... Scusatemi
se da sol me presento.
Io sono il Prologo: ed ei con vere lacrime scrisse,
Poiché in iscena ancor e i singhiozzi
le antiche maschere mette l'autore, il tempo gli battevano!
in parte ei vuol riprendere Dunque, vedrete amar
le vecchie usanze, e a voi sì come s'amano gli esseri umani;
di nuovo inviami. vedrete de l'odio i tristi frutti.
Ma non per dirvi come pria: Del dolor gli spasimi,
«Le lacrime che noi versiam son false! urli di rabbia, udrete,
Degli spasimi e de' nostri martir e risa ciniche!
non allarmatevi!» No! No: E voi, piuttosto
L'autore ha cercato che le nostre povere gabbane d'istrioni,
invece pingervi le nostr'anime considerate,
uno squarcio di vita. poiché siam uomini
Egli ha per massima sol di carne e d'ossa,
che l'artista è un uom e che di quest'orfano mondo
e che per gli uomini al pari di voi spiriamo l'aere!
scrivere ei deve. Il concetto vi dissi...
Ed al vero ispiravasi. Or ascoltate com'egli è svolto.
Un nido di memorie (gridando verso la scena)
in fondo a l'anima Andiam. Incominciate!
cantava un giorno, (Rientra e la tela si leva.)


STORIA DELLA MUSICA !159


Vesti la Giubba
Viene intonata alla fine del primo atto da Canio, che si prepara per la commedia nel
ruolo di Pagliaccio, nonostante abbia scoperto, avvisato da Tonio, il tradimento della
moglie Nedda. Quest'aria rappresenta il concetto di "clown tragico", che
apparentemente non presenta nessun turbamento, ma che al di fuori del suo ruolo è
continuamente frustrato.!

Recitar! Mentre preso dal delirio, Vesti la giubba,


non so più quel che dico, e la faccia infarina.
e quel che faccio! La gente paga, e rider vuole qua.
Eppur è d'uopo, sforzati! E se Arlecchin t'invola Colombina,
Bah! sei tu forse un uom? ridi, Pagliaccio, e ognun applaudirà!
Tu se' Pagliaccio! Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto
in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor
Ah, ridi, Pagliaccio,
sul tuo amore infranto!
Ridi del duol, che t'avvelena il cor!


STORIA DELLA MUSICA !160


Capitolo XXV

Giacomo Puccini
(Lucca, 22 dicembre 1858 – Bruxelles, 29 novembre 1924)

Da quattro generazioni i Puccini erano maestri di cappella del Duomo di Lucca e


fino al 1799 i loro antenati avevano lavorato per la prestigiosa Cappella Palatina
della Repubblica di Lucca. Il padre di Giacomo era, già dai tempi del Duca di Lucca
"Carlo Lodovico", uno stimato professore di composizione presso l'Istituto Musicale
Pacini. La morte del padre, avvenuta quando Giacomo aveva cinque anni, mise in
condizioni di ristrettezza la famiglia. Il giovane musicista fu mandato a studiare
presso lo zio materno, Fortunato Magi, che lo considerava un allievo non
particolarmente dotato e soprattutto poco disciplinato (un «talento», come giunse a
definirlo, ossia un fannullone senza talento).
Giacomo si iscrisse poi all'Istituto Musicale di
Lucca dove il padre era stato, come detto,
insegnante. Ottenne buonissimi risultati con il
professor Carlo Angeloni, già allievo di Michele
Puccini, mostrando un talento destinato a pochi.
A quattordici anni Giacomo poté già iniziare a
contribuire all'economia familiare suonando
l'organo in varie chiese di Lucca.
L'aneddotica ce lo descrive tuttavia come uno
scavezzacollo, anche se è totalmente priva di
fondamento la storia secondo cui, per intascare
qualche spicciolo, avrebbe rubato alcune canne
dell'organo del duomo.
La tradizione vuole che egli decise di dedicarsi al
teatro musicale nel 1876 dopo aver assistito a una rappresentazione di Aida di Verdi
a Pisa, dove si sarebbe recato a piedi con due amici.
Nel 1883 partecipò al concorso per opere in un atto indetto dall'editore Sonzogno. Le
Villi, su libretto di Ferdinando Fontana, non vinse il concorso, ma nel 1884 fu
rappresentata al Teatro dal Verme di Milano sotto il patrocinio dell'editore Giulio
Ricordi, concorrente di Sonzogno.
Puccini però non amava la vita in città, appassionato com'era di caccia ed avendo
indole essenzialmente solitaria. Quando, con Manon Lescaut ebbe il primo grande

STORIA DELLA MUSICA !161


successo e vide aumentare le sue disponibilità economiche, pensò quindi di tornare
verso la terra natale e acquistato un immobile sulle colline tra la città di Lucca e la
Versilia, ne fece un elegante villino che considerò per qualche tempo luogo ideale per
vivere e lavorare. Purtroppo la compagna Elvira mal sopportava il fatto che per
raggiungere la città si doveva andare a piedi o a dorso d'asino, fu quindi giocoforza
per Puccini spostarsi da Chiatri verso il sottostante Lago di Massaciuccoli (del quale
da Chiatri si gode una ineguagliabile vista). Nel 1891 Puccini si trasferì dunque a
Torre del Lago (ora Torre del Lago Puccini, frazione di Viareggio): ne amava il
mondo rustico, la solitudine e lo considerava il posto ideale per coltivare la sua
passione per la caccia e per gli incontri, anche goliardici, tra artisti. Di Torre del Lago
il maestro fece il suo rifugio, prima in una vecchia casa affittata, poi facendosi
costruire la villa che andò ad abitare nel 1900.
Tra i capolavori del panorama operistico tardoromantico, La bohème è un esempio
di sintesi drammaturgica, strutturata in 4 quadri (è indicativo l'uso di questo termine
in luogo del tradizionale "atti") di fulminea rapidità. La successiva, Tosca,
rappresenta l'incursione di Puccini nel melodramma storico a tinte forti. Il soggetto,
tratto da Victorien Sardou, può richiamare alcuni stereotipi dell'opera verista, ma le
soluzioni musicali anticipano piuttosto, specie nel secondo atto, il nascente
espressionismo musicale. Il primo atto di Tosca fu composto, nel 1898, nella
seicentesca Villa Mansi di Monsagrati, ove Puccini, ospite dell'antica famiglia
patrizia, lavorava essenzialmente durante le fresche notti estive che caratterizzano
quella località della Val Freddana posta a una decina di km da Lucca. Madama
Butterfly (basata su un dramma di David Belasco) è la prima opera esotica di
Puccini. Il suo debutto alla Scala nel 1904 fu un solenne fiasco, probabilmente
almeno in parte orchestrato dalla concorrenza. Dopo alcuni rimaneggiamenti, l'opera
fu presentata al Teatro Grande di Brescia, dove raccolse un successo pieno, destinato
a durare fino ad oggi.
La collaborazione con Illica e Giacosa fu certamente la più produttiva della carriera
artistica di Puccini. A Luigi Illica, drammaturgo e giornalista, spettava
prevalentemente il compito di abbozzare una «tela» (sorta di sceneggiatura) e
definirla poco per volta, discutendola con Puccini, fino ad approdare alla stesura di
un testo completo. A Giuseppe Giacosa, autore di commedie di successo e professore
di letteratura, era riservato il delicatissimo lavoro di mettere in versi il testo,
salvaguardando sia le ragioni letterarie che quelle musicali, compito che svolgeva
con grande pazienza e notevole sensibilità poetica.

STORIA DELLA MUSICA !162


L'ultima parola spettava comunque a Puccini, al quale Giulio Ricordi aveva
affibbiato il soprannome di «Doge», a indicare il predominio che esercitava
all'interno di questo gruppo di lavoro. Lo stesso editore contribuiva personalmente
alla creazione dei libretti, suggerendo soluzioni, talvolta persino scrivendo versi e
soprattutto mediando tra i letterati e il musicista in occasione delle frequenti
controversie dovute all'abitudine pucciniana di rivoluzionare a più riprese il piano
drammaturgico durante la genesi delle opere.
Frattanto erano cominciati gli anni più difficili della vita di Puccini. Nel 1903 il
musicista, appassionato di automobili, rimase gravemente ferito in seguito ad un
incidente e dovette sopportare una lunga e penosa convalescenza.
Nel 1906 la morte di Giacosa mise fine alla collaborazione a tre che aveva dato vita ai
precedenti capolavori. I tentativi di collaborazione con il solo Illica, in particolare a
una Maria Antonietta, naufragarono tutti.
Nel 1909 fu la volta di una tragedia e uno scandalo che colpirono profondamente il
musicista: a ventitré anni la domestica Doria Manfredi, perseguitata dalla gelosia
ossessiva di Elvira, si suicidò avvelenandosi. Il dramma aggravò ulteriormente i
rapporti con la moglie ed ebbe pesanti strascichi giudiziari.
Nel 1912 morì anche Giulio Ricordi, l'editore al quale Puccini era profondamente
legato e che considerava un secondo padre.
Sul fronte artistico, la passione per l'esotismo (da cui era nata Butterfly) spingeva
sempre più il musicista a confrontarsi con il linguaggio e gli stili musicali legati ad
altre tradizioni musicali: nacquero così, nel 1910 La fanciulla del West, un western
ante-litteram, e nel 1917 La rondine, concepita come operetta e diventata in seguito
un singolare ibrido tra questo genere e quello dell'opera lirica.
Ma la crisi si manifestò nell'enorme quantità di progetti abortiti, talvolta
abbandonati ad uno stadio di lavoro avanzato (vedi elenco in fondo). Sin dagli
ultimi anni dell'Ottocento Puccini tentò anche, a più riprese, di collaborare con
Gabriele d'Annunzio, ma la distanza spirituale tra i due artisti si rivelò incolmabile.
L'eclettismo pucciniano, e insieme la sua incessante ricerca di soluzioni originali,
trovarono piena attuazione nel cosiddetto Trittico, ossia in tre opere in un atto
rappresentate in prima assoluta a New York nel 1918. I tre pannelli presentano
caratteri contrastanti: tragico e verista Il tabarro, elegiaca e lirica Suor Angelica,
comico Gianni Schicchi.
Delle tre, l'ultima divenne subito popolare, mentre Il tabarro, inizialmente giudicata
inferiore, guadagnò col tempo il pieno favore della critica. Suor Angelica fu invece la
preferita dell'autore.

STORIA DELLA MUSICA !163


Concepite per essere rappresentate in un'unica serata, oggi le singole opere che
compongono il Trittico sono per lo più messe in scena appaiate a opere di altri
compositori.
Nel 1919 Puccini fu costretto a lasciare Torre del Lago perché disturbato dall'apertura
di un impianto per l'estrazione della torba. Per un periodo egli visse nel comune di
Orbetello, nella Bassa Maremma, dove acquistò sulla spiaggia della Tagliata una
vecchia torre di avvistamento del tempo della dominazione spagnola, oggi detta
Torre Puccini. In seguito andò ad abitare in un elegante villino a Viareggio. Qui il
compositore si dedicò alla sua ultima opera: Turandot, che lasciò incompiuta.
Tratta da una fiaba teatrale di Carlo Gozzi rappresentata la prima volta nel 1762,
Turandot è la prima opera pucciniana di ambientazione fantastica, la cui azione –
come si legge in partitura – si svolge «al tempo delle favole». In quest'opera
l'esotismo perde ogni carattere ornamentale o realistico per diventare forma stessa
del dramma: la Cina diviene così una sorta di regno del sogno e dell'eros e l'opera
abbonda di rimandi alla dimensione del sonno, nonché di apparizioni, fantasmi, voci
e suoni provenienti dalla dimensione altra del fuori scena.
Puccini si entusiasmò subito al nuovo soggetto e al personaggio della principessa
Turandot, algida e sanguinaria, ma fu assalito dai dubbi al momento di mettere in
musica il finale, coronato da un insolito lieto fine, sul quale lavorò un anno intero
senza venirne a capo.
L'opera rimase incompiuta poiché Puccini morì a Bruxelles nel 1924, per un infarto
miocardico acuto, sopraggiunto qualche giorno dopo un disperato intervento
chirurgico eseguito per estirpare un diffuso cancro alla gola che lo tormentava da
qualche tempo. L'operazione, eseguita dal prof. Louis Ledoux dell'Institut du
Radium di Bruxelles, consistette nell'applicazione, tramite tracheotomia, di sette aghi
di platino irradiato, inseriti direttamente nel tumore e trattenuti da un collare. Una
cura troppo invasiva per il fisico del compositore, sofferente oltretutto di diabete, che
si trovò costretto a comunicare, nei suoi ultimi giorni di vita, servendosi di foglietti
di carta.
Le ultime due scene di Turandot, di cui non rimaneva che un abbozzo musicale
discontinuo, furono completate da Franco Alfano sotto la supervisione di Arturo
Toscanini; ma la sera della prima rappresentazione lo stesso Toscanini interruppe
l'esecuzione sull'ultima nota della partitura pucciniana, ossia dopo il corteo funebre
che segue la morte di Liù.

STORIA DELLA MUSICA !164


Puccini e i motori
(non c’entra nulla, ma è carino da sapere)

Pochi sanno che a Giacomo Puccini si deve la costruzione del primo fuoristrada
italiano.
Appassionato di motori, il maestro iniziò la sua carriera automobilistica acquistando,
nel 1901, una De Dion-Bouton 5 CV, vista all'Esposizione di Milano di quell'anno e
presto sostituita (1903) con una Clément-Bayard.

Con quelle vetture, percorrendo l'Aurelia, dal suo "rifugio" di Torre del Lago
raggiungeva velocemente Viareggio o Forte dei Marmi e Lucca. Forse, troppo
velocemente, secondo la pretura di Livorno, che multò Puccini per eccesso di
velocità, nel dicembre del 1902. Una sera di due mesi più tardi, nei pressi di Vignola,
alla periferia di Lucca, sulla Statale Sarzanese-Valdera, la Clement usciva di strada,
rovesciandosi nel fossato "la Contesora", con a bordo anche la moglie, il figlio ed il
meccanico; tutti incolumi, tranne il musicista che si fratturò una gamba, il primo
incidente automobilistico della storia.
Nel 1905, acquistò una Sizaire-Naudin, cui seguì una Isotta Fraschini del tipo "AN
20/30 HP" e alcune FIAT, tra cui una "40/60 HP" nel 1909 ed una "501" nel 1919.
Tutte automobili che ben si prestavano alle gite con famiglia e amici, ma inadatte da
utilizzare nelle sue amate battute di caccia.
Per questo motivo, Puccini chiese a Vincenzo Lancia la realizzazione di vettura
capace di muoversi anche su terreni difficili. Dopo pochi mesi, gli venne consegnata
quella che possiamo considerare la prima "fuoristrada" costruita in Italia, con tanto

STORIA DELLA MUSICA !165


di telaio rinforzato e ruote artigliate. Il prezzo della vettura era, per il tempo,
astronomico: 35 000 lire. Ma Puccini ne fu talmente soddisfatto da acquistare,
successivamente, anche una "Trikappa" e una "Lambda".
Con la prima, nell'agosto del 1922, il maestro organizzò un lunghissimo viaggio in
automobile attraverso l'Europa. La "comitiva" di amici prese posto su due vetture, la
Lancia Trikappa di Puccini e la FIAT 501 di un suo amico, tale Angelo Magrini.
Questo l'itinerario: Cutigliano, Verona, Trento, Bolzano, Innsbruck, Monaco di
Baviera, Ingolstadt, Norimberga, Francoforte, Bonn, Colonia, Amsterdam, L'Aia,
Costanza (e poi il ritorno in Italia).
La "Lambda", consegnatagli nella primavera del 1924, fu l'ultima vettura posseduta
da Puccini; quella con la quale compì il suo ultimo viaggio, il 4 novembre 1924, fino
alla stazione di Pisa e, da lì, in treno per Bruxelles, dove subì la fatale operazione alla
gola.

La Bohème. 1896
Ispirato al romanzo di Henri Murger Scènes de la vie de bohème, il libretto ebbe una
gestazione abbastanza laboriosa, per la difficoltà di adattare le situazioni e i
personaggi del testo originario ai rigidi schemi e all'intelaiatura di un'opera
musicale. L'orchestrazione della partitura procedette invece speditamente e fu
completata nel dicembre 1895.
Meno di due mesi dopo, il 1º febbraio 1896, La bohème fu rappresentata per la prima
volta al Teatro Regio di Torino, con Evan Gorga, Cesira Ferrani, Antonio Pini-Corsi e
Michele

Mazzara, diretta dal ventinovenne maestro Arturo Toscanini, con buon successo di
pubblico, mentre la critica ufficiale, dimostratasi all'inizio piuttosto ostile, dovette
presto allinearsi ai generali consensi.
L'opera ha la stessa fonte e lo stesso titolo dell'omonimo spettacolo di Ruggero
Leoncavallo, con cui al tempo Puccini ingaggiò una sfida.

STORIA DELLA MUSICA !166


Personaggi

Mimì (soprano)
Musetta (soprano)
Rodolfo, poeta (tenore)
Marcello, pittore (baritono)
Schaunard, musicista (baritono)
Colline, filosofo (basso)
Benoît, il padrone di casa (basso)
Parpignol, venditore ambulante (tenore)
Alcindoro, consigliere di stato (basso)
Sergente dei doganieri (basso)
Doganiere (basso)

Trama
L'esistenza gaia e spensierata di un gruppo di giovani artisti bohémien costituisce lo
sfondo dei diversi episodi in cui si snoda la vicenda dell'opera, ambientata nella
Parigi del 1830.

Quadro I
La vigilia di Natale. Il pittore Marcello, che sta dipingendo un Mar Rosso, e il poeta Rodolfo
tentano di scaldarsi con la fiamma di un caminetto che alimentano di volta in volta con il

STORIA DELLA MUSICA !167


legno di una sedia e la carta di un poema scritto da quest'ultimo. Giunge il filosofo Colline,
che si unisce agli amici. Infine il musicista Schaunard entra trionfante con un cesto pieno di
cibo e la notizia di aver finalmente guadagnato qualche soldo. I festeggiamenti sono interrotti
dall'inaspettata visita di Benoît, il padrone di casa venuto a reclamare l'affitto, che però viene
liquidato con uno stratagemma. È quasi sera e i quattro bohémiens decidono di andare al
caffè di Momus. Rodolfo si attarda un po' in casa, promettendo di raggiungerli appena finito
l'articolo di fondo per il giornale "Il Castoro".
Rimasto solo, Rodolfo sente bussare alla porta. Una voce femminile chiede di poter entrare. È
Mimì, giovine vicina di casa: le si è spento il lume e cerca una candela per poterlo
riaccendere. Una volta riacceso il lume, la ragazza si sente male: è il primo sintomo della tisi.
Quando gira per andarsene, si accorge di aver perso la chiave della stanza: inginocchiati sul
pavimento, al buio (entrambi i lumi si sono spenti), i due iniziano a cercarla. Rodolfo la trova
per primo ma la nasconde in una tasca, desideroso di passare ancora un po' di tempo con
Mimì e di conoscerla meglio. Quando la sua mano incontra quella di Mimì ("Che gelida
manina"), il poeta chiede alla fanciulla di parlargli di lei. Mimì gli confida d'essere una
ricamatrice di fiori e di vivere sola ("Sì, mi chiamano Mimì").
L'idillio dei due giovani, ormai ad un passo dal dichiararsi reciproco amore, viene interrotto
dagli amici che, dalla strada, reclamano Rodolfo. Il poeta vorrebbe restare in casa con la
giovane, ma Mimì propone di accompagnarlo e i due, che dal "voi" formale del dialogo
precedente, sono passati al "tu" degli innamorati, inneggiando all'amore ("Amor, amor")
lasciano insieme la soffitta alla volta del caffè Momus.

Quadro II
Il caffè Momus. Rodolfo e Mimì raggiungono gli altri bohèmiens. Il poeta presenta la nuova
arrivata agli amici e le regala una cuffietta rosa. Al caffè si presenta anche Musetta, una
vecchia fiamma di Marcello, che lei ha lasciato per tentare nuove avventure, accompagnata
dal vecchio e ricco Alcindoro. Riconosciuto Marcello, Musetta fa di tutto per attirare la sua
attenzione, esibendosi ("Quando men vo"), facendo scenate ed infine cogliendo al volo un
pretesto, il dolore al piede per una scarpetta troppo stretta, per scoprirsi la caviglia. Marcello
non può resisterle e i due amanti, riconciliatisi, fuggono insieme agli altri amici, lasciando il
ricco amante di Musetta con la scarpa in mano e il conto da pagare.

Quadro III
Febbraio. Neve dappertutto. La vita in comune si è rivelata ben presto impossibile: le scene di
gelosia fra Marcello e Musetta sono ormai continue, come pure i litigi e le incomprensioni fra
Rodolfo e Mimì, accusata di leggerezza e di infedeltà. Per di più Rodolfo ha capito che Mimì
è gravemente malata e che la vita nella soffitta potrebbe pregiudicarne ancor più la salute; i
due vorrebbero separarsi, ma lo struggente rimpianto delle ore felici trascorse insieme li
spinge a rinviare l'addio alla primavera. Frattanto Marcello e Musetta si separano dopo una
furiosa litigata.

STORIA DELLA MUSICA !168


Quadro IV
Ormai separati da Musetta e Mimì, Marcello e Rodolfo si confidano le pene d'amore.
Quando Colline e Schaunard li raggiungono, le battute e i giochi dei quattro bohémiens
servono solo a mascherare la loro disillusione. All'improvviso sopraggiunge Musetta, che ha
incontrato Mimì sofferente sulle scale, ormai prossima alla fine, in quella soffitta che vide il
suo primo incontro con Rodolfo. Musetta manda Marcello a vendere i suoi orecchini per
comperare medicine, ed esce lei stessa per cercare un manicotto che scaldi le mani gelide di
Mimì. Anche Colline decide di vendere il suo vecchio cappotto (“Vecchia zimarra, senti”), al
quale è molto affezionato, per contribuire alle spese. Qui, ricordando con infinita tenerezza i
giorni del loro amore, Mimì si spegne dolcemente circondata dal calore degli amici (che le
donano il manicotto e le offrono un cordiale) e dell'amato Rodolfo. Mimì è apparentemente
assopita, inizialmente nessuno si avvede della sua morte. Il primo ad accorgersene è
Schaunard, che lo confida a Marcello. Nell'osservare gli sguardi e i movimenti degli amici,
Rodolfo si rende conto che è finita e, ripetendo straziato il nome dell'amata, l'abbraccia
piangendo.

Tosca, 1900
Durante una tournée, La Tosca venne rappresentata anche al Teatro dei
Filodrammatici di Milano, all'inizio del 1889, e Giacomo Puccini vi assistette,
rimanendone molto colpito.
Così Puccini cominciò a pensare di ricavarne un'opera. Ne parlò con l'editore Giulio
Ricordi, chiedendogli di interessarsi ai diritti dell’opera per avere l’autorizzazione a
musicarla.
Sardou non oppose un netto rifiuto ma dimostrò freddezza; in ogni modo alla fine
del 1893 Ricordi ottenne l'autorizzazione a musicarla, anche se a favore di un altro
compositore, Alberto Franchetti, che aveva da poco trionfato con Cristoforo
Colombo (1892).
Luigi Illica preparò l'abbozzo del libretto, che fece approvare da Sardou in presenza
di Giulio Ricordi e Giuseppe Verdi (quest'ultimo, a Parigi per la prima francese di
Otello, confiderà qualche anno più tardi al suo biografo che, se non fosse stato per
l'età, avrebbe voluto lui stesso musicare Tosca).
Dopo pochi mesi Franchetti rinunciò a comporre l'opera. Così Ricordi commissionò
l'opera a Puccini, nel 1895. Cominciò il lavoro qualche mese dopo il successo de La
bohème, nella tarda primavera del 1896. Partecipò alla stesura del libretto anche

STORIA DELLA MUSICA !169


Giuseppe Giacosa, anche se riteneva il soggetto poco poetico e sosteneva che il
successo dell’opera era dato dalla bravura della Bernhardt e non dal testo.
Dopo alcuni contrasti e ripensamenti, nell'ottobre 1899 l’opera fu completata ed il 14
gennaio 1900 venne rappresentata al Teatro Costanzi di Roma, con il soprano
Hariclea Darclée nel ruolo di Tosca, il tenore Emilio De Marchi nei panni di
Cavaradossi e il baritono Eugenio Giraldoni come Scarpia. All'evento erano presenti,
tra gli altri, il presidente del Consiglio Pelloux e la regina Margherita di Savoia. La
serata fu nervosa, a causa di alcuni spettatori ritardatari il direttore d'orchestra
Leopoldo Mugnone fu costretto a interrompere l'esecuzione e ricominciare da capo.
Inizialmente criticata da una parte della stampa, che si attendeva un lavoro più in
linea con le due precedenti opere di Puccini, Tosca si affermò ben presto in repertorio
e nel giro di tre anni fu rappresentata nei maggiori teatri lirici del mondo.

Personaggi
Floria Tosca, celebre cantante (soprano)
Mario Cavaradossi, pittore (tenore)
Il Barone Scarpia, capo della polizia (baritono)
Cesare Angelotti (basso)
Il Sagrestano (basso)
Spoletta, agente di polizia (tenore)
Sciarrone, Gendarme (basso)
Un carceriere (basso)
Un pastore (voce bianca)

Il libretto
Il libretto fu ricavato dal dramma omonimo di
Victorien Sardou, ma fu ridotto da cinque a tre atti e
snellito di molti particolari che costituivano la cornice
storica realistica del dramma in prosa; vennero inoltre
eliminati moltissimi personaggi secondari, tra cui
Giovanni Paisiello, che compariva in persona alle
prese con la famosa cantante, e la vicenda si concentrò
principalmente sul triangolo Scarpia - Tosca -
Cavaradossi, delineando le linee principali dei caratteri, anche se a scapito delle
concatenazioni logiche degli avvenimenti. Il dramma dell'amore perseguitato
interessava Puccini più del grande affresco storico condito di delitti e di sangue.

STORIA DELLA MUSICA !170


Caratteri generali
Tosca è considerata l'opera più drammatica di Puccini, ricca com'è di colpi di scena e
di trovate che tengono lo spettatore in costante tensione. Il discorso musicale si
evolve in modo altrettanto rapido, caratterizzato da incisi tematici brevi e taglienti,
spesso costruiti su armonie dissonanti, come quella prodotta dalla successione degli
accordi del tema di Scarpia che apre l'opera: Si bemolle maggiore, La bemolle
maggiore, Mi maggiore (il primo e l'ultimo dei quali in relazione di tritono).
La vena melodica di Puccini ha modo di emergere nei duetti tra Tosca e Mario,
nonché nelle tre celebri romanze, una per atto ("Recondita armonia", "Vissi d'arte", "E
lucevan le stelle"), che rallentano in direzione lirica la concitazione della vicenda.
L'acme drammatico è invece costituito dal secondo atto, che vede come protagonista
il sadico barone Scarpia, nel quale l'orchestra pucciniana assume sonorità che
anticipano l'estetica dell'espressionismo musicale tedesco.
L'azione si svolge a Roma nell'atmosfera tesa che segue l'eco degli avvenimenti
rivoluzionari in Francia, e la caduta della prima Repubblica Romana in una data ben
precisa: Sabato 14 giugno 1800, giorno della Battaglia di Marengo.

Atto primo
Angelotti (basso), bonapartista ed ex console della Repubblica Romana, è fuggito dalla
prigione di Castel Sant'Angelo e cerca rifugio nella Basilica di Sant'Andrea della Valle, dove
sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare un travestimento femminile che gli
permetterà di passare inosservato. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro
dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi (tenore). Quando irrompe nella chiesa un sagrestano
(basso), Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano, borbottando ("... e
sempre lava..."), mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco sopraggiunge per
continuare a lavorare al suo dipinto ("Recondita armonia..."). Il sagrestano finalmente si
congeda e Cavaradossi scorge nella cappella Angelotti, che conosce da tempo e di cui
condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga ma l'arrivo di Floria Tosca
(soprano), l'amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi di nuovo nella cappella.
Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso per quella sera ("Non la sospiri la nostra
casetta..."). Poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della Maddalena ritratta nel
quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica ("Qual occhio al mondo..."), riesce a
calmarla e a congedarla.
Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo
indirizza nella sua villa in periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da
Castel Sant'Angelo; Cavaradossi decide allora di accompagnare Angelotti per coprirlo nella
fuga e portano con loro il travestimento femminile, dimenticando però il ventaglio nella
cappella.

STORIA DELLA MUSICA !171


La falsa notizia della vittoria delle truppe austriache su Napoleone a Marengo fa esplodere la
gioia nel sagrestano, che invita l'indisciplinata cantoria di bambini a prepararsi per il Te
Deum di ringraziamento. Improvvisamente sopraggiunge con i suoi scagnozzi il barone
Scarpia (baritono), capo della polizia papalina che, sulle tracce di Angelotti, sospetta
fortemente di Mario, anch'egli bonapartista.
Per riuscire ad incolparlo ed arrestarlo e poter quindi scovare Angelotti, egli cerca di
coinvolgere Tosca, ritornata in chiesa per informare l'amante che il programma era sfumato
in quanto ella era stata chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l'avvenimento
militare ("Ed io venivo a lui tutta dogliosa..."). Scarpia suscita la morbosa gelosia di Tosca
usando il ventaglio dimenticato nella cappella degli Attavanti. La donna, credendo in un
furtivo incontro di Mario con la marchesa, giura di ritrovarli. Scarpia, che ha raggiunto il suo
scopo, la fa seguire ("Tre sbirri, una carrozza, presto..."). Mentre Scarpia pregusta la sua
doppia rivalsa su Cavaradossi - ucciderlo e prendergli la donna - comincia ad affluire gente in
Chiesa per inneggiare alla vittoria e a cantare il "Te, Deum”.

Atto secondo
Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si sta svolgendo una grande festa alla presenza del
Re e della Regina di Napoli, per celebrare la vittoriosa battaglia; nel suo appartamento
Scarpia sta consumando la cena. Spoletta (tenore) e gli altri sbirri conducono in sua presenza
Mario che è stato arrestato. Questi, interrogato, si rifiuta di rivelare a Scarpia il nascondiglio
di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene torturato.
Tosca, che poco prima aveva eseguito una cantata al piano superiore, viene convocata da
Scarpia, il quale fa in modo che ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida
dell'uomo amato, la cantante rivela a Scarpia il nascondiglio dell'evaso: il pozzo nel giardino
della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende del tradimento
di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento arriva un messo ad annunciare
che la notizia della vittoria delle truppe austriache era falsa, e che invece è stato Napoleone a
sconfiggere gli austriaci a Marengo. A questo annuncio Mario inneggia ad alta voce alla
vittoria, e Scarpia lo condanna immediatamente a morte, facendolo condurre via. Disperata,
Tosca chiede a Scarpia di concedere la grazia a Mario. Ma il barone acconsente solo a patto
che Tosca gli si conceda. Inorridita, la cantante implora il capo della polizia e si rivolge in
accorato rimprovero a Dio (Vissi d'arte, vissi d'amore). Ma tutto è inutile: Scarpia è
irremovibile e Tosca è costretta a cedere. Scarpia convoca quindi Spoletta e, con un gesto
d'intesa, fa credere a Tosca che la fucilazione sarà simulata e i fucili caricati a salve. Dopo aver
scritto il salvacondotto che permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Scarpia si
avvicina a Tosca per riscuotere quanto pattuito, ma questa lo accoltella con un coltello trovato
sul tavolo. Quindi prende il salvacondotto dalle mani del cadavere e, prima di uscire, pone
religiosamente due candelabri accanto al corpo di Scarpia, un crocifisso sul suo petto, e
finalmente esce.

STORIA DELLA MUSICA !172


Atto terzo
È l'alba. In lontananza un giovane pastore canta una malinconica canzone in romanesco. Sui
bastioni di Castel Sant'Angelo, Mario è ormai pronto a morire e inizia a scrivere un'ultima
lettera d'amore a Tosca, ma, sopraffatto dai ricordi, non riesce a terminarla (E lucevan le
stelle). La donna arriva inaspettatamente e spiega a Mario di essere stata costretta ad uccidere
Scarpia. Gli mostra il salvacondotto e lo informa quindi della fucilazione simulata.
Scherzando, gli raccomanda di fingere bene la morte. Ma Mario viene fucilato veramente e
Tosca, sconvolta e inseguita dagli sbirri che hanno trovato il cadavere di Scarpia, grida "O
Scarpia, avanti a Dio!" e si getta dagli spalti del castello.

Madama Butterfly, 1904


Madama Butterfly è un'opera in tre atti (in
origine due) di Giacomo Puccini, su libretto di
Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, definita nello
spartito e nel libretto "tragedia giapponese" e
dedicata alla regina d'Italia Elena di Montenegro.
La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro
alla Scala di Milano, il 17 febbraio 1904, della
stagione di Carnevale e Quaresima.
Puccini scelse il soggetto della sua sesta opera
dopo aver assistito al Duke of York's Theatre di
Londra, nel luglio 1900, all'omonima tragedia

STORIA DELLA MUSICA !173


(Madame Butterfly) in un atto di David Belasco, a sua volta tratta da un racconto
dell'americano John Luther Long dal titolo Madam Butterfly, apparso nel 1898.
Iniziata nel 1901, la composizione procedette con numerose interruzioni:
l'orchestrazione venne avviata nel novembre del 1902 e portata a termine nel
settembre dell'anno seguente e soltanto nel dicembre 1903 l'opera poté dirsi
completa in ogni sua parte.
Per la realizzazione del dramma Puccini si documentò senza sosta e minuziosamente
sui vari elementi orientali che ritenne necessario inserirvi. Lo aiutarono
particolarmente una nota attrice giapponese, Sada Yacco, e la moglie
dell'ambasciatore nipponico con la quale parlò in Italia facendosi descrivere usi e
costumi dell'affascinante popolo orientale. I costumi al debutto alla Scala di Milano
furono disegnati da Giuseppe Palanti.
La sera del 17 febbraio 1904, nonostante l'attesa e la grande fiducia dei suoi artefici in
Rosina Storchio, all'apice della sua carriera, Giovanni Zenatello e Giuseppe De Luca
oltre che nella direzione di Cleofonte Campanini, grande talento che aveva preparato
l'opera con molta cura, la Madama Butterfly cadde clamorosamente al Teatro alla
Scala di Milano.
Il tragico clima di questo storico fiasco è efficacemente descritto da una delle sorelle
di Puccini, Ramelde, in una lettera al marito:
« Alle due siamo andati a letto e non posso chiudere occhio; e dire che tutti eravamo tanto
sicuri! Giacomo, poverino, non l'abbiamo mai veduto perché non si poteva andare sul
palcoscenico. Siamo arrivati in fondo non so come. Il secondo atto non l'ho sentito affatto e,
prima che l'opera finisse, siamo scappati dal teatro. »
Considerato che la versione di Milano era poco differente rispetto a quella che sarà
presentata poco dopo a Brescia, accolta trionfalmente e poi passata in repertorio, è
difficile dar ragione del fiasco milanese. Molti studiosi, tra cui il direttore d'orchestra
Pinchas Steinberg, oltre che Giulio Ricordi e Puccini stesso, ritengono che attorno
all'autore e all'opera fosse stato costruito ad arte un clima d'ostilità, poi sconfitto dal
palese valore dell'opera. L'ipotesi del complotto è confermata anche dalle sensazioni
di Puccini, che scrivendo all'amico Camillo Bondi riferì d'una ubriacatura d'odio
nell'ambito della quale si dovette tenere la prima scaligera:
« con animo triste ma forte ti dico che fu un vero linciaggio. Non ascoltarono una
nota quei cannibali. Che orrenda orgia di forsennati, briachi d’odio. Ma la mia
Butterfly rimane qual è: l’opera più sentita e suggestiva ch’io abbia mai concepito. E
avrò la rivincita, vedrai, se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d’odi e
di passioni »

STORIA DELLA MUSICA !174


così come dalla cronaca di Giulio Ricordi, stilata poche settimane dopo:
« Grugniti, boati, muggiti, risa, barriti, sghignazzate, i soliti gridi solitari di bis fatti apposta
per eccitare ancor di più gli spettatori, ecco, sinteticamente, qual è l’accoglienza che il
pubblico della Scala fa al nuovo lavoro del maestro Giacomo Puccini. Dopo questo
pandemonio, durante il quale pressoché nulla fu potuto udire, il pubblico lascia il teatro
contento come una pasqua!»
Il fiasco spinse autore e editore a ritirare immediatamente lo spartito, per sottoporre
l'opera ad un'accurata revisione che, attraverso l'eliminazione di alcuni dettagli e la
modifica di alcune scene e situazioni, la rese più agile e proporzionata. Puccini inserì
anche una nuova aria per Pinkerton, «Addio, fiorito asil». Una delle più importanti
modifiche è tuttavia puramente musicale e riguarda la linea vocale dell'aria del
suicidio di Butterfly.
Nella nuova veste, Madama Butterfly, interpretata da Solomiya Krushelnytska e
Zenatello diretta da Campanini, venne accolta entusiasticamente al Teatro Grande di
Brescia appena tre mesi dopo, il 28 maggio, e da quel giorno iniziò la sua seconda,
fortunata esistenza.
Al Teatro Regio di Torino, avviene la prima rappresentazione nella terza versione, il
2 gennaio 1906 con la Krushelnytska diretta da Arturo Toscanini.
La partitura e gli effetti scenici vengono ulteriormente ritoccati da Puccini fino al
1907, prima per la rappresentazione dell'opera al Royal Opera House, Covent
Garden di Londra il 10 luglio 1905, poi per quella del 1906 al Théâtre National de
l'Opéra-Comique di Parigi.
Nel 1920 Puccini tornò nuovamente sulla partitura, ripristinando nel primo atto un
assolo di Yakusidé, lo zio ubriacone della protagonista. È possibile che il
cambiamento fosse anche mirato a combattere la prassi di tagliare un breve episodio
in concertato, che nella versione del 1907 era rimasto l'unico brano a cui prendeva
parte lo zio Yakusidé. Tagliandolo, i teatri evitavano di scritturare un cantante.
L'editore Ricordi non pubblicò mai la nuova versione, col risultato che oggi l'arietta
non viene eseguita e, soprattutto, il concertato continua ad essere quasi sempre
tagliato.

STORIA DELLA MUSICA !175


Personaggi
Madama Butterfly / Cio-Cio-San (soprano)
Pinkerton, tenente della marina degli Stati Uniti (tenore)
Suzuki, servente di Cio-Cio-San (mezzosoprano)
Sharpless, console degli Stati Uniti a Nagasaki (baritono)
Goro, nakodo (tenore)
Lo zio Bonzo (basso)
Il Principe Yamadori (tenore)
Kate Pinkerton (mezzosoprano)
Lo zio Yakusidé (baritono)
La zia (soprano)
La cugina (soprano)
Dolore (bambino, mimo)

Trama
Sbarcato a Nagasaki, Pinkerton (tenore), ufficiale della marina degli Stati Uniti, per vanità e
spirito d'avventura si unisce in matrimonio, secondo le usanze locali, con una geisha
quindicenne di nome Cio-Cio-San (giapponese: Chōchō-san), termine giapponese che
significa Madama (San) Farfalla (蝶 Chō), in inglese Butterfly, acquisendo così il diritto di
ripudiare la moglie anche dopo un mese; così infatti avviene, e Pinkerton ritorna in patria
abbandonando la giovanissima sposa. Ma questa, forte di un amore ardente e tenace, pur
struggendosi nella lunga attesa accanto al bimbo nato da quelle nozze, continua a ripetere a
tutti la sua incrollabile fiducia nel ritorno dell'amato.
Pinkerton infatti ritorna dopo tre anni, ma non da solo: accompagnato da una giovane
donna, da lui sposata regolarmente negli Stati Uniti, è venuto a prendersi il bambino, della
cui esistenza è stato messo al corrente dal console Sharpless, per portarlo con sé in patria ed
educarlo secondo gli usi occidentali. Soltanto di fronte all'evidenza dei fatti Butterfly
comprende: la sua grande illusione, la felicità sognata accanto all'uomo amato, è svanita del
tutto. Decide quindi di scomparire dalla scena del mondo, in silenzio, senza clamore; dopo
aver abbracciato disperatamente il figlio, si uccide (secondo l'usanza giapponese denominata
jigai) con un coltello tantō donatole dal padre.

STORIA DELLA MUSICA !176


Il Trittico 1918
Trittico è il nome con cui sono conosciute tre opere in un atto musicate da Giacomo
Puccini: Il tabarro, su libretto di Giuseppe Adami, Suor Angelica e Gianni Schicchi,
entrambe su libretto di Giovacchino Forzano.
Intorno al 1904, Puccini iniziò la pianificazione di una serie di opere in un atto, in
gran parte a causa del successo di Cavalleria rusticana. In origine, aveva in mente di
scrivere ogni opera per riprendere ognuna delle tre cantiche della Divina Commedia
di Dante.. Tuttavia, alla fine basò solo Gianni Schicchi sul poema di Dante.
Inizialmente Puccini compose solo Il tabarro (l'idea originaria gli fu suggerita
dall'ascolto a Parigi, nel 1912, del dramma La houppelande di Didier Gold); solo in
seguito pensò di accompagnare questo truce dramma con altri due lavori di carattere
contrastante, appunto Suor Angelica, scritta tra la fine del 1916 ed i primi mesi del
1917, e Gianni Schicchi, terminato nella primavera del 1918.
Le tre opere furono rappresentate in prima assoluta il 14 dicembre 1918 al
Metropolitan di New York con esito sostanzialmente positivo, anche se solo Gianni
Schicchi fu accolto senza riserve. La "prima" fu diretta dal Maestro Roberto
Moranzoni.
Sebbene all'inizio fu apprezzato soprattutto il Gianni Schicchi (che comunque
rimane il più rappresentato fra le tre opere anche per la famosa aria O mio babbino
caro), mentre Puccini preferiva Suor Angelica, oggi l'orientamento della critica è
mutato e tutte e tre le opere sono entrate a pieno titolo nei repertori dei teatri lirici.
Puccini voleva che dovessero essere tutte e tre eseguite come un insieme, e scrisse a
Casa Ricordi per lamentarsi del permesso nel 1920 alla Royal Opera di Londra di
eseguire il Tabarro e Schicchi senza Suor Angelica.

Il tabarro
Luogo: Una chiatta sulla Senna a Parigi.
Tempo: 1910.
L'opera è molto scura e cupa, piena di violenza: ha un
carattere verista.

STORIA DELLA MUSICA !177


Personaggi
Michele, padrone del barcone, 50 anni (baritono)
Luigi, scaricatore, 20 anni (tenore)
Il «Tinca», scaricatore, 35 anni (tenore)
Il «Talpa», scaricatore, 55 anni (basso)
Giorgetta, moglie di Michele, 25 anni (soprano)
La Frugola, moglie del «Talpa», 50 anni (mezzosoprano)
Un venditore di canzonette (tenore)
Due amanti (soprano, tenore)
Scaricatori, Midinettes (coro)

Nei decenni, pur senza mai diventare un'opera popolare, Il tabarro si è guadagnato
un posto di tutto rispetto tra le opere di Puccini. L'intenzionale assenza di melodie
facili, di quelle che colpiscono immediatamente l'orecchio, è compensata da
un'estrema densità drammatica e compositiva. Puccini lavora per lo più su leitmotiv
di poche note, elaborandoli sul piano delle sonorità più che su quello armonico. Al
contrario, è a partire da quest'opera che Puccini inizia a costruire le sue partiture per
grandi blocchi tonali, di monumentale staticità.
Sul piano drammaturgico, Il tabarro sembrerebbe segnare un inatteso e tardivo
omaggio all'opera verista. L'azione si svolge infatti nei bassifondi di Parigi, in riva
alla Senna, tra scaricatori e donne del popolo. Due decenni prima, nel momento di
massima fortuna del melodramma verista, Puccini aveva evitato di pagare tributo a
questa moda, rinunciando a mettere in musica La lupa di Verga.
Nel farlo ora, fuori tempo massimo, ne rovescia di segno i principi estetici. Nessuno
dei suoi lavori è infatti così lontano dal tono nazional-popolare di Cavalleria
rusticana e delle altre celebri opere della stagione verista. La severità con cui la
musica si concentra sul dramma può semmai richiamare alla lontana l'idea verdiana
di un teatro musicale in cui tutto dev'essere al servizio del dramma.
La più cupa tra le opere di Puccini è imperniata sull'idea del tempo che passa,
incarnata metaforicamente dall'ora del tramonto, dalla stagione autunnale e
soprattutto dal lento, inesorabile scorrere del fiume, intorno al quale l'intera vicenda
si sviluppa. Un'idea alla quale rinvia anche l'uso massiccio di tempi a struttura
ternaria, il cui moto circolare guida i protagonisti verso la tragedia avvolti in un
clima di danzante erotismo. Dice la protagonista: «Io capisco una musica sola: quella
che fa danzare», ma la musica che accompagna le sue parole è la stessa che aprirà il
suo appassionato duetto d'amore con Luigi.

STORIA DELLA MUSICA !178


La trama
È il tramonto. Sulla Senna è ancorato un vecchio barcone da carico, di cui è padrone il
maturo Michele; questi, che ha sposato Giorgetta, una parigina molto più giovane di lui,
avverte che l'unione sta vacillando e sospetta che la moglie, sempre più insofferente e
scontrosa, lo tradisca con un altro uomo. Il sospetto è fondato: Giorgetta è innamorata di
Luigi, un giovane scaricatore che ogni sera, richiamato dal tenue chiarore di un fiammifero
acceso, la raggiunge protetto dall'oscurità.
Michele, che vede crollare poco a poco le proprie illusioni, tenta di risvegliare nell'animo della
moglie la passione di un tempo ricordandole quel bimbo la cui breve esistenza aveva
accompagnato il loro amore: erano i giorni felici in cui Giorgetta e il figlio cercavano rifugio
nel suo tabarro. Ma quando egli tenta di stringerla fra le braccia, la moglie si ritrae
adducendo un pretesto. Quindi si ritira nella sua stanza in attesa che il marito la segua e si
assopisca, per poi incontrarsi con Luigi.
Michele indugia, riflettendo su chi possa essere l'amante della moglie e meditando vendetta,
quindi accende la pipa. Attirato dal segnale luminoso, Luigi balza sul barcone credendo di
trovarci l'amante; ma Michele gli è sopra, l'immobilizza e con un urlo lo riconosce; poi lo
afferra per la gola, lo costringe a confessare il suo amore e lo strangola. Quindi ne avvolge il
corpo esanime dentro al suo tabarro. Giorgetta torna in coperta, come colta da uno strano
presentimento, ma quando si avvicina a Michele, questi apre il tabarro lasciando cadere a
terra il cadavere di Luigi.

Suor Angelica
Luogo: Un convento vicino a Siena. Tempo: L'ultima parte del XVII secolo.
Questa seconda opera, (ma di solito è quella che viene omessa se sono eseguite solo
due opere): è un racconto edificante sulla redenzione religiosa.
È tra le poche opere a contenere solo personaggi femminili. Fra le tre opere che
compongono il Trittico era la preferita da Puccini.

Personaggi
Suor Angelica (soprano)
La zia principessa (contralto)
La badessa (mezzosoprano)
La suora zelatrice (mezzosoprano)
La maestra delle novizie (mezzosoprano)
Suor Genovieffa (soprano)
Suor Osmina (soprano)
Suor Dolcina (soprano)
La suora infermiera (mezzosoprano)

STORIA DELLA MUSICA !179


Le cercatrici (soprani, coro)
Le novizie (soprani, coro)
Le converse (coro)
Coro interno di donne, ragazzi e uomini

La trama
L'azione si svolge verso la fine del XVII secolo, tra le mura di
un monastero nei dintorni di Siena.
Da sette anni Suor Angelica, di famiglia aristocratica, ha
forzatamente abbracciato la vita monastica per scontare un
peccato d'amore. Durante questo lungo periodo non ha saputo
più nulla del bambino nato da quell'amore, che le era stato
strappato a forza subito dopo la nascita.
L'attesa sembra finalmente terminata: nel parlatorio del
monastero Angelica è attesa a colloquio dalla zia principessa.
Ma la vecchia signora, algida e distante, non è venuta a
concederle il sospirato perdono, bensì a chiederle un formale
atto di rinuncia alla sua quota del patrimonio familiare, allo
scopo di costituire la dote per la sorella minore Anna Viola,
prossima ad andare sposa. Il ricordo di eventi lontani ma mai cancellati dalla memoria e la
possibilità di avvicinare una persona di famiglia spingono Angelica a chiedere con insistenza
notizie del bambino.
Ma con implacabile freddezza la zia le annuncia che da oltre due anni il piccolo è morto,
consumato da una grave malattia. Allo strazio della madre, caduta di schianto a terra, la
vecchia non sa porgere altro conforto che una muta preghiera. Il pianto di Angelica continua,
soffocato e straziante, anche dopo che la zia, ottenuta la firma, si allontana. Nel suo animo si
fa strada l'idea folle e disperata di raggiungere il bambino nella morte per unirsi a lui per
sempre. È scesa intanto la notte e Suor Angelica, non vista, si reca nell'orto del monastero:
raccoglie alcune erbe velenose e con esse prepara una bevanda mortale.
D'improvviso, dopo aver bevuto pochi sorsi del distillato, Angelica è assalita da un angoscioso
terrore: conscia di essere caduta in peccato mortale, si rivolge alla Vergine chiedendole un
segno di grazia. E avviene il miracolo: la Madonna appare sulla soglia della chiesetta e, con
gesto materno, sospinge il bambino fra le braccia protese della morente.

STORIA DELLA MUSICA !180


Gianni Schicchi
Luogo: Firenze. Tempo: 1299.
La terza opera è la più famosa, una farsa piena di avidità e connivenze, basata su un
episodio del Canto XXX dell'Inferno di Dante (vv. 22-48).

Personaggi
Gianni Schicchi, 50 anni (baritono)
Lauretta, sua figlia, 21 anni (soprano)
Zita detta La Vecchia, cugina di Buoso, 60 anni (contralto)
Rinuccio, nipote di Zita (tenore)
Gheraldo, nipote di Buoso, 40 anni (tenore)
Nella, sua moglie, 34 anni (soprano)
Gheraldino, loro figlio, 7 anni (soprano)
Betto Di Signa, cognato di Buoso, povero e malvestito, età indefinibile (basso)
Simone, cugino di Buoso, 70 anni (basso)
Marco, suo figlio, 45 anni (baritono)
La Ciesca, moglie di Marco, 38 anni (mezzosoprano)
Maestro Spinelloccio, medico (basso)
Ser Amantio Di Nicolao, notaro (baritono)
Guccio, tintore (basso)
Pinellino, calzolaio (basso)

Trama
Gianni Schicchi, famoso in tutta Firenze per il suo spirito
acuto e perspicace, viene chiamato in gran fretta dai parenti
di Buoso Donati, un ricco mercante appena spirato, perché
escogiti un mezzo ingegnoso per salvarli da un'incresciosa
situazione: il loro congiunto ha infatti lasciato in eredità i
propri beni al vicino convento di frati, senza disporre nulla
in favore dei suoi parenti.
Inizialmente Schicchi rifiuta di aiutarli a causa
dell'atteggiamento sprezzante che la famiglia Donati,
dell'aristocrazia fiorentina, mostra verso di lui, uomo della
«gente nova». Ma le preghiere della figlia Lauretta
(romanza «O mio babbino caro»), innamorata di Rinuccio,
il giovane nipote di Buoso Donati, lo spingono a tornare sui

STORIA DELLA MUSICA !181


suoi passi e a escogitare un piano, che si tramuterà successivamente in beffa. Dato che
nessuno è ancora a conoscenza della dipartita, ordina che il cadavere di Buoso venga
trasportato nella stanza attigua in modo da potersi lui stesso infilare sotto le coltri, e dal letto
del defunto, contraffacendone la voce, dettare al notaio le ultime volontà.
Così infatti avviene, non senza che Schicchi abbia preventivamente assicurato i parenti circa
l'intenzione di rispettare i desideri di ciascuno, tenendo comunque a ricordare il rigore della
legge, che condanna all'esilio e al taglio della mano non solo chi si sostituisce ad altri in
testamenti e lasciti, ma anche i suoi complici («Addio Firenze, addio cielo divino»).
Schicchi declina dinanzi al notaio le ultime volontà e quando dichiara di lasciare i beni più
preziosi – la «migliore mula di Toscana», l'ambita casa di Firenze e i mulini di Signa – al suo
«caro, devoto, affezionato amico Gianni Schicchi», i parenti esplodono in urla furibonde. Ma
il finto Buoso li mette a tacere canterellando il motivo dell'esilio e infine li caccia dalla casa,
divenuta di sua esclusiva proprietà.
Fuori, sul balcone, Lauretta e Rinuccio si abbracciano teneramente; mentre Gianni Schicchi
sorridendo contempla la loro felicità, compiaciuto della propria astuzia.

Turandot, 1924
Turandot è un'opera in 3 atti e 5 quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato
Simoni, lasciata incompiuta da Giacomo Puccini (morto il 29 novembre 1924) e
successivamente completata da Franco Alfano.
La prima rappresentazione ebbe luogo nell'ambito della stagione lirica del Teatro alla
Scala di Milano il 25 aprile 1926, con Rosa Raisa, Francesco Dominici, Miguel Fleta,
Maria Zamboni, Giacomo Rimini e Giuseppe Nessi sotto la direzione di Arturo
Toscanini, il quale arrestò la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo
il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!» (alla morte di Liù), ovvero dopo l'ultima pagina
completata dall'autore, rivolgendosi al pubblico con queste parole: «Qui termina la
rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto.» La sera seguente,
l'opera fu rappresentata, sempre sotto la direzione di Toscanini, includendo anche il
finale di Alfano.
L'incompiutezza dell'opera è oggetto di discussione tra gli studiosi. C'è chi sostiene
che Turandot rimase incompiuta non a causa dell'inesorabile progredire del male che
affliggeva l'autore, bensì per l'incapacità, o piuttosto l'intima impossibilità da parte
del Maestro di interpretare quel trionfo d'amore conclusivo, che pure l'aveva
inizialmente acceso d'entusiasmo e spinto verso questo soggetto. Il nodo cruciale del

STORIA DELLA MUSICA !182


dramma, che Puccini cercò invano di risolvere, è costituito dalla trasformazione della
principessa Turandot, algida e sanguinaria, in una donna innamorata.

Personaggi
Turandot, principessa (soprano)
Altoum, suo padre, imperatore della Cina (tenore)
Timur, re tartaro spodestato (basso)
Calaf, il Principe Ignoto, suo figlio (tenore)
Liú, giovane schiava, guida di Timur (soprano)
Ping, Gran Cancelliere (baritono)
Pang, Gran Provveditore (tenore)
Pong, Gran Cuciniere (tenore)
Un Mandarino (baritono)
Il Principe di Persia (tenore)
Il Boia (Pu-Tin-Pao) (comparsa)
Guardie imperiali - Servi del boia - Ragazzi - Sacerdoti - Mandarini - Dignitari - Gli
otto sapienti - Ancelle di Turandot - Soldati - Portabandiera - Ombre dei morti - Folla

L'azione si svolge a Pechino, «al tempo delle favole».

Atto I
Un mandarino annuncia pubblicamente il solito editto:
Turandot, figlia dell'Imperatore, sposerà quel pretendente
di sangue reale che abbia svelato tre indovinelli da lei
stessa proposti; colui però che non sappia risolverli, dovrà
essere decapitato. Il principe di Persia, l'ultimo dei tanti
pretendenti sfortunati, ha fallito la prova e sarà giustiziato
al sorger della luna. All'annuncio, tra la folla desiderosa di
assistere all'esecuzione, sono presenti il vecchio Timur che,
nella confusione, cade a terra e la sua schiava fedele Liù
chiede aiuto. Un giovane si affretta ad aiutare il vegliardo:
è Calaf, che riconosce nell'anziano uomo suo padre, re
tartaro spodestato. Si abbracciano commossi e il giovane
Calaf prega il padre e la schiava Liù, molto devota, di non
pronunciare il suo nome: ha paura, infatti, dei regnanti
cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre. Nel
frattempo il boia affila la lama preparandola per
l'esecuzione, fissata per il momento in cui sorgerà la luna, la folla si agita ulteriormente.

STORIA DELLA MUSICA !183


Ai primi chiarori lunari, entra il corteo che accompagna la vittima. Alla vista del giovane
principe, la folla, prima eccitata, si commuove per la giovane età della vittima, e ne invoca la
grazia. Turandot allora entra e, glaciale, ordina il silenzio alla folla e con un gesto dà l'ordine
al boia di giustiziare il Principe.
Calaf, che prima l'aveva maledetta per la sua crudeltà, è ora impressionato dalla regale
bellezza di Turandot, e decide di tentare anche lui la risoluzione dei tre enigmi. Timur e Liù
tentano di dissuaderlo, ma lui si lancia verso il gong dell'atrio del palazzo imperiale. Tre figure
lo fermano: sono Ping, Pong e Pang, tre ministri del regno, che tentano di convincere Calaf a
lasciar perdere, descrivendo l'insensatezza dell'azione che sta per compiere. Ma Calaf, quasi
in una sorta di delirio, si libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il nome di
Turandot. Turandot appare quindi sulla loggia imperiale del palazzo e accetta la sfida.

Atto II
Ping, Pong e Pang si lamentano di come, in qualità di ministri del regno, siano costretti ad
assistere alle esecuzioni delle troppe sfortunate vittime di Turandot, mentre preferirebbero
vivere tranquillamente nei loro possedimenti in campagna.
Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito dei tre enigmi. L'imperatore Altoum invita
il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma quest'ultimo rifiuta. Il mandarino fa dunque iniziare
la prova, ripetendo l'editto imperiale, mentre entra Turandot. La bella principessa spiega il
motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei
tartari e, in seguito a ciò, una sua antenata era finita nelle mani di uno straniero. In ricordo
della sua morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata possedere da un
uomo: per questo, aveva inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe
mai risolti.
Calaf riesce a risolvere uno dopo l'altro gli enigmi e la principessa, disperata e incredula, si
getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Ma per l'imperatore
la parola data è sacra. Turandot si rivolge allora al Principe e lo ammonisce che in questo
modo egli avrà solo una donna riluttante e piena d'odio. Calaf la scioglie allora dal
giuramento proponendole a sua volta una sfida: se la principessa, prima dell'alba, riuscirà a
scoprire il suo nome, egli le regalerà la sua vita. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona
un'ultima volta, solenne, l'inno imperiale.

Atto III
È notte e in lontananza si sentono gli araldi che portano l'ordine della principessa: quella
notte nessuno deve dormire in Pechino, il nome del principe ignoto deve essere scoperto a
ogni costo, pena la morte. Calaf intanto è sveglio, convinto di vincere e sognando le labbra di
Turandot, finalmente libera dall'odio e dall'indifferenza.
Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi cosa per il suo nome. Ma il
principe rifiuta. Nel frattempo, Liù e Timur vengono portati davanti ai tre ministri. Appare

STORIA DELLA MUSICA !184


anche Turandot, che ordina loro di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola
a conoscere il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai questo nome.
Subisce molte torture, ma continua a tacere, riuscendo a stupire Turandot: le chiede cosa le
dia tanta forza per sopportare le torture, e Liù risponde che è l'amore a darle questa forza.
Turandot è turbata da questa dichiarazione, ma torna ad essere la solita gelida principessa:
ordina ai tre ministri di scoprire a tutti i costi il nome del principe ignoto. Liù, sapendo che
non riuscirà a tenerlo nascosto ancora, strappa di sorpresa il fermacapelli (che è anche un
pugnale) alla principessa e si trafigge a morte, cadendo esanime ai piedi di Calaf.
Il corpo senza vita di Liù viene portato via seguito dalla folla che prega. Turandot e Calaf
restano soli e lui la bacia. La principessa dapprima lo respinge, ma poi ammette di aver avuto
paura di lui la prima volta che l'aveva visto, e di essere ormai travolta dalla passione. Tuttavia
ella è molto orgogliosa, e supplica il principe di non volerla umiliare. Calaf le fa il dono della
vita e le rivela il nome: Calaf, figlio di Timur. Turandot, saputo il nome, potrà perderlo, se
vuole.
Il giorno dopo, davanti al palazzo reale, davanti al trono imperiale è riunita una grande folla.
Squillano le trombe. Turandot dichiara pubblicamente di conoscere il nome dello straniero:
«il suo nome è Amore». Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona tra le
braccia di Calaf.

Il finale "incompiuto"
Per la verità il lavoro alla Turandot da parte dello stesso autore non rimase
effettivamente incompiuto. Certamente a questo episodio contribuì anche e non poco
il fatto che Puccini stesso in quel periodo non godeva affatto di buone condizioni di
salute, tanto che morirà prematuramente poco tempo dopo per un tumore maligno
alla gola. Puccini dopo aver scritto l' ultimo coro
funebre (dedicato alla morte di Liù), in cui ha
raggiunto "il massimo splendore" della sua musica
non volle più continuare, in quanto riteneva che il
lavoro era già perfettamente concluso, secondo una
sua legittima personale considerazione. Il lavoro di
stesura ad un vero e proprio finale alternativo iniziò
praticamente poche settimane prima della morte,
quando l'autore stava per essere ricoverato, ma non
rimasero solamente che abbozzi più o meno
compiuti. Gli abbozzi sono sparsi su 23 fogli che il
Maestro portò con sé presso la clinica di Bruxelles in
cui fu ricoverato nel tentativo di curare il male che
lo affliggeva. Puccini non aveva per niente indicato

STORIA DELLA MUSICA !185


in modo esplicito nessun altro compositore per il completamento dell'opera.
L'editore Ricordi decise allora, su pressione di Arturo Toscanini e di Antonio, il figlio
di Giacomo, di affidare la composizione al napoletano Franco Alfano (allora
Direttore del Conservatorio di Torino), che due anni prima si era distinto nella
composizione di un'opera, La leggenda di Sakùntala, caratterizzata da una
suggestiva ambientazione orientale.
La composizione del finale procedette lentamente a causa sia della malattia agli
occhi di cui Alfano soffriva che della richiesta da parte dell'editore Ricordi,
sollecitato da Toscanini, che non ritenne all'altezza una prima versione consegnata,
di rifare il lavoro. Alfano in un primo momento compose integralmente una propria
versione del finale, incorporando, ed unendo nel miglior modo possibile, i materiali
rimasti negli abbozzi pucciniani. Questa in realtà è la vera e propria versione
integrale del finale di Alfano, che oggi viene quasi erroneamente considerata come
"prima versione" ed eseguita piuttosto raramente. Nella nuova versione
(comunemente eseguita), Alfano fu costretto ad attenersi più fedelmente agli schizzi
e tagliò centodieci battute degli appunti pucciniani e forse anche parte dei suoi.
L'effetto di questi interventi, che l'autore eseguì con enorme controvoglia, è
avvertibile nella condotta armonica e drammatica, piuttosto vuota e a tratti
irregolare. Inoltre Alfano trascurò alcuni schizzi di Puccini e richiese la partitura
d'orchestra del resto dell'opera solo pochi giorni prima di consegnare il lavoro.

STORIA DELLA MUSICA !186


Capitolo XXVI

Maurice Ravel
(Ciboure, 7 marzo 1875 – Parigi, 28 dicembre 1937)

Il suo brano più celebre per orchestra è certamente


Boléro. Molto nota è anche l'orchestrazione,
realizzata nel 1922, dei Quadri di un'esposizione di
Modest Mussorgsky. Egli stesso descrisse il suo
Boléro come "una composizione per orchestra
senza musica". Le orchestrazioni di Ravel sono da
apprezzare in modo particolare per l'utilizzo delle
diverse sonorità e per la complessa
strumentazione
Maurice Ravel nacque nei pressi di Ciboure il 7
marzo del 1875, nella regione basca francese, ai
confini con la Spagna. Suo padre, Joseph Ravel
(1832-1908), era un apprezzato ingegnere civile, di
ascendenza svizzera e savoiarda Ravex. Sua madre, Marie Delouart-Ravel
(1840-1917), era di origine basca, discendente di una vecchia famiglia spagnola
Deluarte o Eluarte. Ebbe un fratello, Édouard Ravel (1878-1960), con cui mantenne
durante tutta la vita una forte relazione affettiva.
All'età di sette anni, Ravel iniziò a studiare il pianoforte al Conservatorio di Parigi.
Durante i suoi studi a Parigi, Ravel incontrò e frequentò numerosi compositori
giovani, e innovativi, che usavano chiamarsi Les Apaches per la loro vita sregolata.
Studiò musica con Gabriel Fauré per quattordici straordinari anni. In questo periodo,
Ravel provò diverse volte a vincere il prestigioso premio Prix de Rome, inutilmente.
Dopo uno scandalo che implicò anche la mancata assegnazione del premio a Ravel,
Maurice abbandonò il conservatorio. Questo incidente comportò anche le dimissioni
del direttore del conservatorio. Ravel fu influenzato da diversi stili musicali legati a
diverse parti del mondo: il jazz americano, la musica asiatica e le canzoni popolari
tradizionali di tutta Europa. Maurice non fu religioso: non gli piacevano i temi di
carattere spiccatamente religioso degli altri compositori, come Richard Wagner, e
preferiva studiare la mitologia classica per ispirarsi. Durante la Prima guerra
mondiale non poté essere arruolato per la sua età e la salute debole: diventò un
autista di ambulanza. Tra i suoi pochi allievi si ricordano Maurice Delage e Ralph

STORIA DELLA MUSICA !187


Vaughan Williams. Nel 1932 Ravel fu coinvolto in un incidente d'auto piuttosto
grave a seguito del quale la sua produzione artistica diminuì sensibilmente. Colpito
da ictus all'emisfero sinistro del cervello, non fu più in grado di leggere la musica,
ma poté continuare a dirigere l'orchestra. A causa di un'atrofia cerebrale, le sue
condizioni peggiorarono inesorabilmente fino al 1937 quando, il 18 dicembre, fu
operato alla testa. L'intervento non ebbe alcun esito e Ravel morì dieci giorni più
tardi, lasciando a tutti un ricordo di lui come un musicista appassionato.
Politicamente era socialista, amico di Leon Blum, Presidente del Consiglio francese
tra il 1936 e '38, e assiduo lettore del quotidiano "Le Populaire”.
A una prima impressione, fu influenzato da Debussy, ma in realtà Ravel fu ispirato
anche dalla musica russa e spagnola, e dal jazz degli Stati Uniti, come si evidenzia
dal movimento intitolato Blues della sua sonata per violino e pianoforte e dal clima
del Concerto per pianoforte per la mano sinistra, dedicato al pianista Paul
Wittgenstein mutilato in guerra. Maurice Ravel è considerato impressionista al pari
di Debussy, ma anche imitando lo stile di altri, il carattere tipico delle composizioni
di Ravel rimane evidente. Nell'anno 1928 Ravel affermò che "la maggiore paura dei
compositori americani è quella di trovare in se stessi strani impulsi al distacco dalle
regole accademiche: a questo punto i musicisti, da buoni borghesi, compongono la
loro musica secondo le regole classiche dettate dalla tradizione europea". Quando il
compositore americano George Gershwin incontrò Ravel, gli parlò del desiderio di
studiare, se possibile, con il compositore francese. Quest'ultimo rispose: "Perché
dovresti essere un Ravel di secondo livello quando puoi essere un Gershwin di
primo livello?" Alcuni appunti e frammenti confermano l'influenza che la musica
basca ebbe sul compositore. Ravel commentò che André Gedalge, il suo professore
di contrappunto, fu fondamentale per lo sviluppo delle sue qualità compositive.
Ravel studiò con grande perizia e meticolosità le possibilità espressive dei singoli
strumenti, per poterne determinare gli effetti: fu questa la caratteristica che permise
il successo delle sue trascrizioni per orchestra, sia delle sue composizioni per
pianoforte sia di quelle degli altri compositori.Il Boléro composto da Maurice Ravel
nel 1928 è una musica da balletto divenuta celebre anche a titolo di pezzo da
concerto. È sicuramente il bolero più celebre mai composto, nonché l'opera più
popolare del compositore.

STORIA DELLA MUSICA !188


Bolero
La composizione fu commissionata da parte di Ida Rubinštejn, una ballerina russa.
Ravel non ne voleva più sapere di balletti dopo che aveva rotto con il mostro sacro
dell'epoca in tema di balletti, quel Sergej Pavlovič Djagilev che imperava a Parigi in
quegli anni come direttore artistico nonché fondatore dei famosi Balletti russi. Ma
cedette alle insistenze della Rubinstein e decise di orchestrare un pezzo del
compositore spagnolo Isaac Albéniz, il componimento per pianoforte Iberia, per un
balletto. Arrivò presto però la notizia che gli eredi del grande compositore spagnolo
non avevano acconsentito a nessuna trascrizione di pezzi del maestro anche perché
la partitura della Iberia era già stata orchestrata dal maestro Enrique Fernàndez
Arbòs.

Fu a questo punto che Ravel, non scoraggiandosi, prese l'iniziativa di comporre ex


novo un pezzo a tempo di bolero, scegliendo dunque un brano dal carattere
tipicamente spagnolo. Il Boléro andò in scena all'Opéra national de Paris il 22
novembre 1928, diretto da Walter Straram con le coreografie di Bronislava Nijinska.
Il balletto, pur molto innovativo e provocatorio, ottenne un clamoroso successo.
La prima esecuzione sinfonica del Boléro fu l'11 gennaio 1930 dall'Orchestre
Lamoureux diretta dallo stesso Ravel, preceduta cronologicamente dalle trascrizione
del componimento per pianoforte, a due e a quattro mani, ed entrò nel mercato
discografico per l'etichetta Tournabout.
Il balletto originale è una sorta di ballo rituale durante il quale una donna danza in
modo seducente su un tavolo, mentre un gruppo di uomini si avvicinano a lei

STORIA DELLA MUSICA !189


sempre più, con il crescere della musica. Esistono altre letture del balletto, come
quella di Maurice Béjart che assegnò la parte principale ad un danzatore, o quella di
Aurel Milloss, ambientata in una taverna.

Struttura
Il brano è strutturato dalla ripetizione di due temi principali A e B, di diciotto battute
ciascuno, proposti da strumenti diversi. I temi si inseriscono sull'accompagnamento
ritmico continuo del tamburo, e sull'accompagnamento armonico, spesso proposto
in maniera accordale. La successione delle ripetizioni è disposta in un graduale e
continuo crescendo, dal pianissimo iniziale fino al maestoso finale, per un totale di
diciotto sequenze musicali (nove ripetizioni del tema A e nove del tema B). Il brano
rimane sempre nella tonalità di do maggiore, sebbene nel tema B siano presenti
elementi tensivi dominanti come il SIb che lo differenziano dal tema A diatonico,
tranne una breve modulazione in mi maggiore nell'ultima sequenza che apre alla
cadenza finale. L'organico orchestrale previsto è un'orchestra con l'aggiunta di un
oboe d'amore, di tre sassofoni e di un gong. Man mano che cambiano i temi vengono
inseriti strumenti al fine di curare il timbro e nello stesso tempo per sottolineare uno
stato di confusione, tanto che nella parte finale gli strumenti sono tanti da alterare il
riconoscimento del ritmo e delle note. Il rullante ripete il ritmo ostinato 169 volte.

Temi e strumenti che li espongono:


Tema A, flauto Tema A, clarinetti, oboi
Tema A, clarinetto Tema B, trombone
Tema B, fagotto Tema B, fiati
Tema B, clarinetto piccolo Tema A, violini e fiati
Tema A, oboe Tema A, violini, fiati e sax tenore
Tema A, tromba e flauto Tema B, violini e fiati
Tema B, sax tenore Tema B, violini e fiati
Tema B, sax soprano Tema A, archi e fiati
Tema A, celesta, ottavini, corno Tema B, archi e fiati


STORIA DELLA MUSICA !190


Capitolo XXVII

Igor Stravinsky
Igor' Fëdorovič Stravinskij (in russo: Игорь Фёдорович Стравинский?;
Lomonosov, 17 giugno 1882 – New York, 6 aprile 1971) è stato un compositore
russo naturalizzato francese, e in seguito statunitense.

La maggior parte dei suoi lavori rientra


nell'ambito del neoclassicismo e poi della
serialità, ma la sua popolarità presso il grande
pubblico si deve ai tre balletti composti durante
il suo primo periodo (Balletti russi): L'uccello di
fuoco (1910), Petruška (1911) e La sagra della
primavera (1913), opere che reinventarono il
genere del balletto. Stravinskij scrisse per ogni
tipo di organico, spesso riutilizzando forme
classiche. La sua opera omnia include
composizioni d'ogni genere, dalle sinfonie alle
miniature per pianoforte.

« Recentemente ho visto Stravinsky...


Dice: il mio Uccello di fuoco, la mia Sagra, come un bambino direbbe, la mia trottola, il mio
cerchio. È proprio un bambino viziato che ogni tanto mette le dita nella musica. Si aggira
come un giovane selvaggio, con cravatte da pugno nell'occhio, baciando la mano alle signore,
mentre al contempo pesta loro i piedi. Da vecchio, sarà insopportabile, o meglio non
sopporterà nessuna musica; ma per ora è straordinario! »
(Claude Debussy)

Ottenne grande fama come pianista e direttore d'orchestra, dirigendo spesso le


prime delle sue composizioni, e fu anche pubblicista. Scrisse anche due saggi di
filosofia musicale, nei quali esponeva le giustificazioni riguardo alla sua visione della
musica come suprema arte dinamica che non può essere mai rinchiusa in canoni
prestabiliti e un saggio teorico che racchiude una serie di conferenze tenute presso
l'Universita di Harvard nell'anno accademico del 1940 intitolato Poetica della
musica, in cui l'autore affronta la genesi di un'opera musicale dissertando anche
sulla storia musicale russa. Fra i vari concetti espressi senza dubbio la frase "la

STORIA DELLA MUSICA !191


musica è incapace di esprimere niente altro che se stessa" è la più famosa e
rappresentativa del compositore,che si rifà allo slogan francese ottocentesco "l'art
pour l'art", conosciuto anche come "Art for art's sake" nella variante inglese.
Per sua espressa richiesta, la sua tomba è vicina a quella del suo collaboratore di
vecchia data, Djagilev, a Venezia nell'isola di San Michele, dove era nata l'opera
centrale dell'ultimo periodo della sua prolifica attività, The Rake's Progress (La
carriera di un libertino). La sua vita ha racchiuso buona parte del XX secolo, e anche
molti degli stili musicali classico moderni, influenzando altri compositori sia durante
che dopo la sua vita. Fu sistemata una stella a suo nome al numero 6340 di
Hollywood Boulevard, all'interno della Hollywood Walk of Fame

La sagra della Primavera


La sagra della primavera (titolo originale Le Sacre
du printemps) è un balletto rappresentato per la
prima volta a Parigi il 29 maggio 1913 al Théâtre
des Champs-Elysées dai Balletti russi di Sergej
Djagilev, su musica di Igor' Stravinskij, con
scenografie di Nikolaj Konstantinovič Roerich e per
la coreografia di Vaclav Nižinskij.
La traduzione di "sagra" calcata su "sacre" non è
fedele all'originale, perché il significato del termine
francese è "rituale": una traduzione basata solo sul
significato sarebbe dunque "Il rituale della
primavera".
Il balletto inscena un rito sacrificale pagano nella
Russia antica all'inizio della primavera, nel quale
un'adolescente veniva scelta per ballare fino alla
morte con lo scopo di propiziare la benevolenza
degli dei in vista della nuova stagione.
L'aperto richiamo alla Russia è comunque decisivo: risalendo oltre la civiltà
dell'uomo moderno, distruggendo l'ordine delle forme tradizionali, Stravinskij intese
ricreare un mondo barbarico e primitivo, in un clima rituale pagano che sfocia in una
rissa demoniaca.

STORIA DELLA MUSICA !192


Parte I - L’adorazione della Terra
❖ Introduzione
❖ Gli auguri primaverili – danze delle adolescenti
❖ Gioco del rapimento
❖ Danze primaverili
❖ Gioco delle tribù rivali – corteo del saggio – il saggio
❖ Danza della terra

Parte II - Il sacrificio
❖ Introduzione
❖ Cerchi misteriosi delle adolescenti
❖ Glorificazione dell'Eletta
❖ Evocazione degli antenati
❖ Azione rituale degli antenati
❖ Danza sacrificale (l’Eletta)

L’uccello di Fuoco
L'uccello di fuoco (francese: L'Oiseau de
feu; russo: Жар-птица, Žar-ptica) è un
balletto in un atto e due scene
rappresentato per la prima volta il 25
giugno 1910 all'Opéra di Parigi. Fu uno
dei cavalli di battaglia dei Balletti Russi di
Djaghilev.
La musica è di Igor' Stravinskij, la
coreografia di Mikhail Fokine, le scene di
Alexandre Golovine, i costumi di Leon
Bakst e la direzione di Gabriel Pierné.

Disegno di Leon Bakst per i costumi di una


ballerina nell'Uccello di fuoco

STORIA DELLA MUSICA !193


La partitura doveva essere scritta, in un primo tempo, da Liadov, ma egli desistette
lasciando il posto a Stravinskij. In un primo tempo fu scritta a San Pietroburgo la
partitura per pianoforte e in seguito venne orchestrata dal compositore nell'aprile del
1910. L'opera è dedicata a Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov.
È il primo grande balletto del musicista russo, seguito di lì a poco da Petruška nel
1911 e da La sagra della primavera nel 1913, anch'essi commissionati da Diaghilev.
Gli interpreti principali furono Tamara Karsavina, Mikhail Fokine, Vera Fokina,
Alexei Bulgakov. Il balletto venne riscritto dallo stesso autore nel 1919 e poi nel 1945.
Ispirata a una fiaba russa, la storia vede lo scontro tra due elementi antitetici: un
mago immortale di nome Kašej, in grado di pietrificare gli esseri umani (simbolo del
male), e un uccello di fuoco col potere di sfatare gli incantesimi del mago. Gli unici
personaggi umani risultano Ivan Zarevič e la principessa prigioniera dell'orco. Ivan,
grazie ad una piuma magica donatagli dall'Uccello di fuoco, riuscirà a liberare le
principessa costringendo Kašej a danzare fino allo sfinimento.

Introduzione
Scena 1
‣ Il giardino incantato di Kascej
‣ Apparizione dell'Uccello di fuoco seguito dal principe Ivan
‣ Danza dell'Uccello di fuoco
‣ Cattura dell'Uccello di fuoco da parte del principe Ivan
‣ Suppliche dell'Uccello di fuoco – apparizione delle tredici principesse prigioniere
‣ Gioco delle principesse con il pomo d'oro
‣ Brusca apparizione del principe Ivan
‣ Khorovod (rondò) delle principesse
‣ Alba – Il principe Ivan entra nel palazzo di Kascej
‣ Carillon magico – apparizione dei mostri-guardiano di Kascej - cattura del
principe Ivan – intercessione delle principesse
‣ Danza della suite di Kascej incantato dall'Uccello di fuoco
‣ Danza infernale di tutti i sudditi di Kascej
‣ Berceuse (l'Uccello di fuoco) – risveglio di Kascej – morte di Kascej – Tenebre
profonde

Scena 2
Sparizione del palazzo e dei sortilegi di Kascej
animazione dei cavalieri pietrificati, allegria generale

STORIA DELLA MUSICA !194


Capitolo XXVIII

Il Jazz
Il jazz è attualmente una forma musicale, ma nacque tra il 1600 e 1700 come
fenomeno sociale dagli schiavi di pelle scura africani che trovavano conforto e
speranza nelle loro anime improvvisando collettivamente od individualmente canti.
Il jazz viene riconosciuto come fenomeno musicale solo tra Ottocento e Novecento e
piace molto anche ai «bianchi».
Si sviluppa negli Stati Uniti, prima nelle piantagioni sud-americane e poi arriva con
le jam session (improvvisazioni collettive di suonatori che componevano musica «ad
orecchio»), gruppi di suonatori (massimo 3 strumenti) e con le jazz band a New
Orleans, Louisiana.
È nato come musica vocale perché si eseguiva durante il lavoro nelle piantagioni o
durante costruzioni ferroviarie e delle strade, questo per ritmare e coordinare i
movimenti del lavoro (infatti il ritmo era binario, deriva ad esempio dalla raccolta e
rimessa del cotone nella cesta). Il jazz arriverà anche a Chicago con Louis Armstrong
e poi anche in Europa dove avrà un successo grandissimo.
Nel jazz ci sono due forme primarie: il blues, in 12 battute (3 frasi musicali), e la
canzone, in 32 battute. L'essenza dell'improvvisazione è nella linea melodica, ciò è
dovuto al fatto che il mezzo jazz prototipico (originale) è il gruppo di ottoni, in cui,
dato che ogni suonatore può produrre una sola nota alla volta, gli assoli sono
necessariamente melodici. Il pianoforte venne dopo, copiando però le caratteristiche
dell'insieme di ottoni.
Sin dai primi tempi il jazz ha incorporato nel suo linguaggio i generi della musica
popolare americana, dal ragtime, al blues, alla musica leggera fino alla musica colta,
soprattutto statunitense. In tempi più recenti il jazz si è mescolato con tutti i generi
musicali moderni anche non statunitensi, come il samba, la musica caraibica e il
rock.
Il jazz si sviluppa agli inizi del XX secolo a New Orleans, Louisiana. La cittadina
costituiva un ribollente spirito etnico: prima di dominazione francese, poi spagnola,
era diventata parte degli Stati Uniti con il "Louisiana Purchase" del 1803. Il jazz si
afferma subito come sincretismo fra numerose culture musicali, europee (musica per
banda militare, canti da chiesa, opera lirica) e africane (percussione, ritmo).
Dal punto di vista tecnico, il jazz moderno è caratterizzato dall'uso estensivo
dell'improvvisazione, di blue note, di poliritmie e di progressioni armoniche insolite

STORIA DELLA MUSICA !195


se confrontate con quelle in uso nella musica classica. La musica jazz degli albori era
basata su combinazioni di elementi musicali africani, articolata cioè su scale
pentatoniche, con caratteristiche blue notes, mescolate ad armonie derivate dalla
musica colta europea, ed un notevole uso di ritmi sincopati e poliritmi.
Caratteristica peculiare della musica jazz è l'improvvisazione la quale, partendo
dalla semplice variazione sul tema iniziale, ha assunto via via sempre maggiore
importanza. Nella forma che fu chiamata "free jazz" e che ebbe il suo periodo d'oro
negli anni sessanta-settanta, il tema poteva anche scomparire in esperimenti che
venivano chiamati "improvvisazione totale collettiva".
La formazione jazzistica moderna tipica è costituita da un gruppo musicale di
dimensioni limitate. La combinazione più frequente è il quartetto, quasi
invariabilmente costituito da una sezione ritmica composta da batteria, basso o
contrabbasso, pianoforte e da uno strumento solista, generalmente un sassofono o
una tromba.
Nell'ambito della piccola formazione sono possibili e frequenti una gran varietà di
cambiamenti. Per quello che riguarda la consistenza numerica, si trovano esempi di
performance solistiche (spesso, ma non sempre, si tratta di pianoforte solo) fino ad
arrivare al nonetto, formazione che comincia già ad assumere caratteristiche
orchestrali. Si hanno anche svariatissime combinazioni per quello che riguarda la
qualità degli strumenti coinvolti: si hanno esempi di jazz suonato solisticamente con
la maggior parte degli strumenti orchestrali (perfino oboe e arpa) o folcloristici (ad
esempio, la kora).
Un fenomeno simile ha recentemente conferito la categoria di genere colto anche a
parte della musica brasiliana e argentina (Antonio Carlos Jobim, Astor Piazzolla e
altri), che fra l'altro si è apparentata con il jazz, anche per l'opera svolta da Stan Getz
ed altri in conseguenza della quale molti standard jazz utilizzano modelli brasiliani e
argentini.
La musica Jazz è il fenomeno musicale più importante del '900, si può considerare
come un nuovo varco verso altri mondi musicali: un genere che, partendo da un
substrato che comprendeva le forme popolari del blues, degli spirituals e della
musica bandistica e incorporando via via altre forme di musica nera (ad esempio il
ragtime degli anni 1920) arrivò ad utilizzare una base di standard usati come punto
di partenza per modificarne di continuo ogni modulo armonico, melodico, e ritmico.
Tutta la musica jazz e derivata è stata definita come colta, appunto per il
presupposto che è risultante della conoscenza della musica classica, delle varie etnie
musicali e di sviluppi armonici complessi. Lo stesso non può dirsi per il blues

STORIA DELLA MUSICA !196


iniziale. Il passaggio di qualità può forse attribuirsi a George Gershwin, musicista di
grande valore, figlio di emigranti russi, morto giovane ma che ebbe dei maestri
importanti e fu ispirato da autori come Debussy e Ravel.

Breve Storia
La musica che originariamente sarebbe stata chiamata "jass" e poco dopo "jazz" nasce
quasi certamente a New Orleans all'inizio del XX secolo. Il musicista cui è attribuito
il titolo di "padre del jazz", Buddy Bolden, è attivo a New Orleans nel 1904. Nel 1906
il pianista Jelly Roll Morton compose il brano King Porter Stomp, che fu uno dei
primi brani jazz a godere di vasta notorietà, e negli anni seguenti a New Orleans
furono attive molte formazioni jazz: tra le più importanti, quella capeggiata dal
cornettista Joe "King" Oliver. La parola "jazz" venne stampata da un quotidiano, per
la prima volta, nel 1913.
Grande notorietà ebbe la Original Dixieland Jass Band (O.D.J.B.), composta da soli
bianchi e diretta dal cornettista, di origini italiane, Nick La Rocca. Dopo il debutto a
Chicago il 3 marzo 1916, il 26 febbraio 1917, la O.D.J.B. registrò per la prima volta un
brano jazz Livery Stable Blues. Per questo alla O.D.J.B. venne attribuito il titolo di
"inventori del jazz".
Tra il 1910 e il 1920, molti musicisti di New Orleans, spinti dai maggiori guadagni
che venivano offerti al Nord e dalla decadenza dell'intrattenimento a New Orleans si
spostarono al nord e molti di essi scelsero Chicago, città che attrasse anche King
Oliver, e attorno alla quale si creò una scuola da cui emersero molti protagonisti
soprattutto bianchi, tra cui Bix Beiderbecke, Frank Trumbauer, Pee Wee Russell.
Il jazz aumentava la sua popolarità, affermandosi tra l'altro come musica da ballo e
nei locali notturni. Molti protagonisti, tra cui il sassofonista Sidney Bechet fecero
tournée in Europa. Nelle orchestre aumenta l'importanza del solista come
simboleggia l'emergere della figura di Louis Armstrong(agli esordi seconda cornetta
della "Creole Jazz Band" di Joe "King" Oliver) reso famoso dalle registrazioni dei suoi
gruppi, gli Hot Five e gli Hot Seven nel 1925.
Nacquero in questo periodo molte orchestre (Big band) tra cui si ricordano quelle di
Fletcher Henderson, quella del bianco Paul Whiteman e quella del giovane Duke
Ellington. La fiorente industria dell'intrattenimento e l'abbondanza di sale da ballo
fanno di New York una delle città centrali per il jazz.
A seguito della crisi di borsa dell'ottobre 1929 l'intrattenimento musicale negli Stati
Uniti d'America subì un drammatico azzeramento e negli anni immediatamente
successivi, passati alla storia come "la Grande depressione", pochi musicisti

STORIA DELLA MUSICA !197


riuscirono a sopravvivere con la loro musica. I migliori iniziarono fortunate
esibizioni in Europa; gli altri fecero fatica a sbarcare il lunario.La rinascita musicale, e
con essa totale, dell'America è legata all'intuizione di un giovane musicista di origine
ebrea, Benny Goodman. Questi mise a punto un'originale formula musicale
utilizzando un tempo costante, rendendo perciò "ballabile" il nuovo stile, e
un'accelerazione progressiva nei toni, nei timbri, nei contrappunti. La musica che ne
derivò prese il nome di "swing", come il giro di mazza del giocatore di baseball. Ogni
brano comincia con tranquillità per scatenarsi progressivamente, mantenendo però
rigorosamente lo stesso ritmo. Per rendere ancora più gradito ai ballerini il nuovo
stile, Goodman utilizzò una grande orchestra, con una ricca sezione di strumenti a
fiato e una sezione ritmica. La formazione tipo dell'orchestra swing comprendeva tre
o quattro trombe, tre tromboni, cinque sassofoni tra cui due contralti, due tenori e un
baritono. La sezione ritmica comprendeva una chitarra, un contrabbasso, un
pianoforte e la batteria. A questa formazione si aggiungeva lo strumento del leader,
nel caso di Goodman il clarinetto.
Le orchestre jazz diventarono il principale veicolo di diffusione del jazz. In questo
periodo assunsero ai primi posti delle classifiche musicali le orchestre di Benny
Goodman (che assunse Fletcher Henderson come arrangiatore), Duke Ellington, Cab
Calloway, Woody Herman, Count Basie, Chick Webb (che aveva come cantante Ella
Fitzgerald), Artie Shaw, Glenn Miller.
New York assurse ad un ruolo di preminenza sulla scena jazzistica, prima coi locali e
le sale da ballo di Harlem (tra cui il famoso Cotton Club), poi coi club che fiorirono
attorno al Greenwich Village, a Broadway e alla Cinquantaduesima strada,
soprannominata Swing Street o "la strada che non dorme mai". Furono questi i
palcoscenici che portarono al successo Billie Holiday, Art Tatum, Fats Waller,
Coleman Hawkins, Lester Young. Lo stile che nacque in questi locali era rilassato e
notturno, esemplificato dall'interpretazione di Body and Soul data in quegli anni da
Hawkins, che fu anche uno degli strumentisti che resero il sax tenore la voce
dominante del jazz.
La segregazione razziale, che era stata fino ad allora la regola nelle orchestre di jazz
così come nei locali, iniziò in quegli anni a perdere un po' della sua compattezza,
grazie anche al coraggioso esempio di direttori d'orchestra come Goodman e Shaw
che portarono in tournée gli artisti afroamericani Roy Eldridge e Billie Holiday.
Le mutate condizioni economiche costrinsero alla chiusura la maggior parte delle
grandi orchestre. Solo le maggiori sopravvissero: quelle di Duke Ellington, Count

STORIA DELLA MUSICA !198


Basie, Woody Herman e Stan Kenton furono tra le più longeve, prolungando la loro
attività anche negli anni 1960 e oltre.
Attorno al 1945, si saluta la nascita di un nuovo stile, nato dalle jam session che si
tenevano a tarda ora in due locali di Harlem, il Minton's Playhouse e il Monroe's.
Questo stile fu chiamato dapprima rebop, poi bebop o semplicemente bop, dal suono
di una frase ricorrente nei brani tipici di questa nuova musica ed era praticato
soprattutto da musicisti giovani, appena giunti sulla scena jazz di New York.
Caratterizzato da armonie complesse e tempi velocissimi, il bebop fu tenuto a
battesimo dal trombettista Dizzy Gillespie, che ne fu il pioniere assieme all'alto
sassofonista Charlie Parker – detto Bird o Yardbird. Parallelamente la critica sociale
condannava apertamente gli aspetti più provocatori dell'atteggiamento e dello stile
di vita dei bopper per focalizzarsi poi soprattutto sulla contiguità tra il mondo del
jazz e la droga, che, agli inizi degli anni cinquanta, iniziò a mietere vittime di alto
profilo tra i jazzisti in generale e tra i bopper in particolare. Billie Holiday, Fats
Navarro e Charlie Parker furono solo i più famosi musicisti a trovare la morte a
causa della loro dipendenza: molti altri, se non morirono, subirono le conseguenze di
questo flagello. Sotto il profilo musicale, alcuni artisti della generazione precedente
(che i bopper chiamavano "mouldy figs", "fichi ammuffiti") si distinsero come critici
particolarmente severi: il più famoso di questi fu senz'altro Louis Armstrong.
Nel corso degli anni ’60 la corrente bop iniziò a dividersi tra coloro che seguirono
l'esperienza di Miles Davis e John Coltrane nel cosiddetto "jazz modale" (uno stile
musicale meditativo e intellettuale, che vide la sua fondazione nella storica incisione
di Davis nel 1959, Kind of Blue) e quanti invece preferirono avvicinarsi al rhythm
and blues praticando quello che alcuni chiamavano "soul jazz".
Lo stile modale visse il suo periodo più fecondo a cavallo tra la fine degli anni
cinquanta e la metà degli anni sessanta, soprattutto con l'attività del (secondo)
quintetto di Miles Davis e del quartetto di John Coltrane, finendo col diventare un
idioma consolidato della tradizione jazzistica.
Una tendenza senz'altro più radicale e controversa fu determinata dal
contemporaneo avvento di uno stile che venne dapprima chiamata "The New Thing"
("la cosa nuova") e in seguito "free jazz". Fondato alla fine degli anni cinquanta da
giovani musicisti quali Ornette Coleman e Cecil Taylor, il free jazz praticava una
forma d'improvvisazione collettiva totale la cui conseguenza è la totale
frantumazione della maggior parte delle idee tradizionali di forma, armonia,
melodia e ritmo. Oltre ad implicare una forte componente di critica politica e sociale,
il free jazz incorporava anche una moltitudine di influenze musicali di provenienza

STORIA DELLA MUSICA !199


Asiatica e Africana. Il free jazz attrasse l'attenzione di molti protagonisti (Charles
Mingus, Steve Lacy, Sun Ra), reclutò giovani brillanti (Archie Shepp, Albert Ayler,
Pharoah Sanders) e si attirò le aspre critiche di alcuni dei nomi più in vista (Davis e
Gillespie tra gli altri) dando origine a polemiche che furono tra le più violente che il
jazz avesse mai conosciuto e che durarono decenni senza mai esaurirsi
completamente, anche dopo che l'esperienza storica del free jazz poté dirsi conclusa:
i critici più accesi affermarono che il free jazz rimuoveva la distinzione tra chi sapeva
suonare e chi no. Non v'è comunque dubbio che il movimento free jazz mancasse
quasi totalmente della componente popolare che per lungo tempo aveva costituito
una delle due anime del jazz, e che fosse seguito quasi esclusivamente dalle élite:
questo, negli USA, ne decretò anche un crescente insuccesso commerciale, che
diveniva tanto più evidente quanto più si ingigantiva il successo di altri generi
musicali contemporanei. Nel free jazz finirono per confluire alcuni esponenti della
parte considerata più "colta" del jazz: il più in vista tra questi fu senz'altro John
Coltrane, che si avvicinò al movimento free jazz negli ultimi anni della sua vita. Il
free jazz ebbe miglior fortuna in Europa, dove molti giovani musicisti lo adottarono
come un veicolo che permetteva d'incorporare nel linguaggio jazzistico una varietà
di contesti musicali e culturali.
Nella seconda metà degli anni sessanta, l'irruzione del fenomeno della musica di
massa, che in gran parte s'imperniava sulle generazioni più giovani e sulla loro
musica d'elezione, il rock, mise in difficoltà, anche economica, la gran parte dei
musicisti jazz. Quelli che non scelsero la critica radicale del free jazz e che non
sparirono dalla scena dovettero cambiare stile. Alcuni scelsero di accentuare il
carattere funky della loro musica fino ad apparentarla al funky e alla sempre più
popolare musica soul-dance. Una diversa tendenza cercava l'avvicinamento rock e
all'elettronica, e portò alla nascita del cosiddetto genere fusion. Molti critici
ritengono che fra le prime incisioni fusion vi siano Hot Rats di Frank Zappa, il quale
sembrò avvicinarsi al jazz partendo dal rock con quest'album del 1969, ed il doppio
album Bitches Brew di Miles Davis (1970).

STORIA DELLA MUSICA !200


Capitolo XXIX

Louis Daniel Armstrong


noto anche con il soprannome di Satchmo o Pops
(New Orleans, 4 agosto 1901 – New York, 6 luglio 1971)

Armstrong è stato uno tra i più


famosi musicisti jazz del XX secolo,
raggiungendo la fama inizialmente
come trombettista, ma fu anche uno
dei più importanti cantanti jazz,
soprattutto verso la fine della
carriera.
Armstrong affermava di essere nato
il 4 luglio 1900, data annotata in
molte biografie. Sebbene sia morto
nel 1971, fu solo verso la metà degli
anni ottanta che la sua vera data di nascita (il 4 agosto del 1901) fu scoperta grazie
all'esame dei documenti battesimali.
Armstrong nacque in una famiglia povera a New Orleans ed era nipote di schiavi.
Trascorse la sua infanzia in un sobborgo residenziale di New Orleans, noto come
"Back of Town". Suo padre, William Armstrong (1881-1922), abbandonò la famiglia
quando Louis era ancora neonato e se ne andò con un'altra donna. Sua madre,
Mayann Armstrong (1886-1942), lasciò così Louis e la sorella Beatrice Armstrong
Collins (1903-1987) alla nonna, Josephine Armstrong, e a volte allo zio Isaac. A
cinque anni tornò a vivere con la madre e i suoi parenti, e rivide il padre solo in
poche circostanze. Frequentò la Fisk School per ragazzi. Portava a casa pochi soldi
raccogliendo carta e trovando resti di cibo che vendeva a vari ristoranti ma ciò non
era abbastanza per allontanare la madre dalla prostituzione.
Armstrong crebbe nel fondo della scala sociale, in una città caratterizzata da una
forte discriminazione razziale, ma anche appassionata a quel tipo di musica che ai
tempi veniva chiamato “ragtime” e non ancora “jazz”. Pur avendo avuto una
difficile gioventù, (finì in riformatorio giovanissimo), Armstrong non considerava
quegli anni come negativi e ne trasse ispirazione. In un'intervista Armstrong
dichiarò: “Ogni volta che chiudo gli occhi per soffiare nella mia tromba, guardo nel
cuore della buona vecchia New Orleans... Mi ha dato qualcosa per cui vivere.”

STORIA DELLA MUSICA !201


Dopo essere stato espulso dalla Fisk School a undici anni, Armstrong si unì a un
quartetto di ragazzi che avevano una vita simile alla sua e cantò insieme a loro per le
strade per avere dei soldi. Inoltre cominciò a cacciarsi nei guai.
Dapprima imparò a suonare la cornetta nella banda musicale di un riformatorio per
ragazzi neri dove era stato rinchiuso, dodicenne, per aver festeggiato il Capodanno
del 1913 sparando in aria con un revolver rubato. Armstrong sviluppò la sua abilità a
suonare la cornetta suonando con impegno in una band del New Orleans Home for
Colored Waifs dove venne mandato molte volte per delinquenza, in particolare per
un lungo periodo dopo aver fatto fuoco con la pistola del patrigno durante la
celebrazione per la vigilia del nuovo anno, come confermano alcuni documenti della
polizia. Il professor Peter Davis insegnò un po' di disciplina ad Armstrong e lo
addestrò musicalmente. Louis diventò intanto il leader della band. La Home Band
suonò nei dintorni di New Orleans e il tredicenne Louis iniziò a concentrarsi sulla
sua cornetta, iniziando la sua carriera musicale. A quattordici anni lasciò la Home
Band, andando a vivere prima con il padre e con la matrigna, poi di nuovo con la
madre e nelle strade. Armstrong ebbe il suo primo impiego alla Dance Hall di Henry
Ponce’s, dove Black Benny divenne il suo protettore e la sua guida. Di notte il
giovane Louis suonava la cornetta.
Seguiva con passione le frequenti esibizioni della banda cittadina e non perdeva
occasione per ascoltare i musicisti più grandi, imparando da Bunk Johnson, Buddy
Petit, Kid Ory, e soprattutto Joe "King" Oliver, il quale divenne mentore e figura
paterna per il giovane musicista.
Successivamente Armstrong suonò nelle bande e sui battelli di New Orleans,
iniziando con la rinomata band di Fate Marable. Louis descriveva il suo periodo con
Marable come "una via per l'Università", dato che gli diede molta più esperienza.
Quando Joe Oliver lasciò la città nel 1919, Armstrong prese il suo posto nella band,
allora la migliore jazz band della città.
Il 19 marzo del 1918 Louis sposò una ragazza dello Stato della Louisiana, Daisy
Parker. Adottarono un bimbo di tre anni, Clarence Armstrong, la cui madre, cugina
di Louis, morì dopo aver partorito. Il piccolo Clarence era mentalmente disabile
(risultato di un incidente in giovanissima età) e Louis avrebbe speso il resto della sua
vita a prendersi cura di lui[5].
Il matrimonio con Daisy fallì velocemente e si separarono. Daisy morì poco dopo la
separazione.
Attraverso varie esibizioni, le abilità musicali di Armstrong maturarono. A vent'anni
riusciva a leggere la musica e iniziò ad essere incluso in vari assoli di tromba,

STORIA DELLA MUSICA !202


diventando uno dei primi jazzisti che avevano questa capacità, riuscendo però ad
inserire, negli assoli, la sua personalità ed il suo stile. Creò un proprio suono, unico e
fortemente caratterizzato, e inoltre iniziò a cantare nelle sue esibizioni.
Fu nel 1922 che Armstrong si unì alla grande immigrazione nella città di Chicago,
dove venne invitato dal suo mentore Joe "King" Oliver a unirsi alla band di
quest'ultimo. Avrebbe guadagnato abbastanza con la sua musica da non doversi più
arrangiare con lavori di vario tipo. In quegli anni ci fu a Chicago un grande boom
economico e la città era letteralmente piena di occasioni di lavoro per i neri.
Nei primi anni venti la band di Oliver fu la più importante di Chicago, in un periodo
la città stessa era capitale del jazz più di New Orleans. Armstrong incise i suoi primi
dischi suonando come seconda cornetta nella band di Oliver.
Eccitato della sua vita a Chicago, iniziò a scrivere delle lettere nostalgiche ai suoi
amici di New Orleans. La reputazione di Armstrong aumentò, tanto che venne
sfidato in varie gare da persone che volevano mostrare alla gente il nuovo fenomeno.
Armstrong incise i suoi primi dischi alla Gennett Records e all'Okeh Records.
Dopo il periodo newyorkese del 1924, Armstrong tornò a Chicago nel 1925 per
occuparsi della moglie, che voleva nuovamente dare una spinta alla sua carriera e
aumentare i guadagni.
Dopo questo periodo, Armstrong iniziò a suonare per il Sunset Café, di proprietà di
Joe Glaser (che in quegli anni si poteva considerare una sorta di "manager" di
Armstrong), con la Carroll Dickerson Orchestra, che venne presto rinominata Louis
Armstrong and his Stompers, con Hines (direttore musicale) al piano. Hines e
Armstrong divennero in seguito amici. Negli anni seguenti, il locale ebbe fra i soci
proprietari anche Al Capone, il boss della malavita.
Durante la Grande Depressione del 1929, Armstrong tornò a New York, dove suonò
nell'orchestra del musical Hot Chocolate, scritto da Andy Razaf e dal pianista/
compositore Fats Waller. Fece anche un cameo come cantante, con Ain't Misbehavin',
versione diventata poi famosissima..
Iniziò a lavorare ad Harlem al Connie's Inn, il locale notturno più famoso dopo il
Cotton Club (che era anche una sorta di rifugio per il boss ebreo della malavita
newyorkese Dutch Schultz. Inizialmente, Armstrong ebbe anche un discreto successo
con le sue registrazioni vocali, incluse versioni di famose canzoni composte dal suo
vecchio amico Hoagy Carmichael. Le sue registrazioni degli anni trenta ebbero un
grande vantaggio soprattutto con l'introduzione dell'RCA nel 1931 che aiutò molto i
cantanti e i loro vari stili, come quello di Bing Crosby. La famosa interpretazione di
Louis della canzone Stardust divenne una delle versioni più famose, grazie alle

STORIA DELLA MUSICA !203


abilità vocali di Armstrong e al suo approccio nel cantare queste canzoni. Anche la
sua versione di Lazy River (registrata nel 1931) ebbe un discreto successo.
Il singolo All of Me (brano musicale) del 1932 nel 2005 entra nella Grammy Hall of
Fame Award. La Grande Depressione ebbe un grande impatto anche nel mondo del
jazz. Il Cotton Club chiuse nel 1936 e molti musicisti smisero di suonare. Bix
Beiderbecke morì e la band di Fletcher Henderson andò in pezzi. King Oliver fece
alcune registrazioni ma ormai gli anni d'oro erano passati. Sidney Bechet divenne un
sarto e Kid Ory ritornò a New Orleans e si mise ad allevare polli. Armstrong si
spostò a Los Angeles alla ricerca di nuove opportunità. Suonò al nuovo Cotton Club
di Los Angeles, con Lionel Hampton come batterista. Bing Crosby e molte altre
celebrità divennero ospiti frequenti al club. Nel 1931 Armstrong apparve nel suo
primo film, Ex-Flame. Venne in seguito condannato per possesso di marijuana, ma
alla fine venne solo sospeso. Sempre nel 1931 tornò a Chicago e suonò con altre band
e orchestre. Quando Louis andò a visitare New Orleans venne accolto come un eroe
e rivide i suoi vecchi amici. Fece da sponsor a una squadra di baseball locale nota
come "Armstrong's Secret Nine" e vide una mascotte ricevere il suo stesso nome.
Successivamente iniziò un tour attraverso l'Europa.
Tornato quindi negli Stati Uniti, iniziò una serie di tour nel paese, durante i quali il
suo agente, Johnny Collins, lasciò regolarmente Armstrong senza soldi. Collins
venne in seguito licenziato. Infine scelse Joe Glaser come suo nuovo manager e iniziò
subito a occuparsi dei debiti e degli altri problemi che lo affliggevano. Armstrong
incontrò inoltre un problema alle dita e alle labbra, deformate a causa del suo modo
di suonare. Iniziò così a usare più spesso la voce e ad apparire in alcuni teatri.
Apparve inoltre in un altro film, diventando una sorta di attore.
Nel 1937, Armstrong sostituì Rudy Vallee in un programma radio della CBS,
diventando la prima persona di colore ad avere una parte in radio. Divorziò da Lil
nel 1938 e sposò la fidanzata Alpha, con la quale avrebbe divorziato in seguito.
Nel 1943, dopo molti anni in tour, si stabilì definitivamente a New York, al numero
3456 della 107sima strada nel nord del quartiere Corona, nel Queens, dove oggi c'è
un museo in suo onore. Qui sposò la sua quarta moglie, Lucille e continuò a
sviluppare il suo stile musicale. Registrò un'altra canzone di Carmichael, intitolata
Rockin' Chair. Nei trent'anni successivi, Armstrong si esibì per oltre trecento serate
l'anno.

STORIA DELLA MUSICA !204


Gli All Stars
Dopo un concerto al New York Town Hall il 17 maggio 1947, che vide la
collaborazione tra Satchmo e il trombonista Jack Teagarden, Joe Glaser sciolse la
grande band di Pops e creò un nuovo gruppetto di sei membri formato da
Armstrong, Teagarden (inizialmente), Earl Hines e altri famosi musicisti.
Questo gruppetto venne chiamato All Stars' e includeva Earl "Fatha" Hines, Barney
Bigard, Edmond Hall, Jack Teagarden, Trummy Young, Arvell Shaw, Billy Kyle,
Marty Napoleon, Big Sid Catlett, Cozy Cole, Tyree Glenn, Barrett Deems e il
percussionista filippino Danny Barcelona. Durante questo periodo Armstrong
comparve in molti film, spesso come comparsa o, pochissime volte, come co-
protagonista. Apparve inoltre sulla copertina del Time Magazine il 21 febbraio 1949.

Nel 1964, registrò una delle sue canzoni più famose, Hello, Dolly!. Il singolo scalò
subito le classifiche musicali, "cacciando" i Beatles dalla prima posizione della
Billboard Hot 100, arriva in seconda posizione in Norvegia ed in ottava in Germania
ed Olanda. Nel 1965 vince il Grammy Award alla canzone dell'anno ed Armstrong
vince il Grammy Award for Best Vocal Performance, Male. Nel 1969 esegue il brano
con Barbra Streisand nel film Hello, Dolly!. Il brano venne premiato nel 2001 con il
Grammy Hall of Fame Award.
Louis Armstrong mantenne la sua agenda sempre piena fino a pochi anni prima
della morte. Negli ultimi anni suonò talvolta in alcuni locali e show. Fece inoltre dei
tour in Africa, Europa e Asia. Non essendo più giovane, i suoi appuntamenti
vennero limitati ma continuò lo stesso a suonare fino al giorno della morte.

Personalità
Da giovane era anche conosciuto come Dippermouth. Ciò è riferito alla tendenza che
aveva nel rinfrescarsi con un mestolo da un secchio d'acqua, sempre presente nel
backstage con la band di Joe "King" Oliver a Chicago nei primi anni venti.
Il danno provocato alla bocca fu causato proprio dalla pressione con cui suonava e
ciò è visibile in molte foto degli anni venti. Per certi periodi non fu infatti in grado di
suonare. Tuttavia, dopo aver messo da parte la sua tromba per un po' di tempo,
migliorò il suo stile di suonare e continuò la sua carriera da trombettista. Amici e
musicisti lo chiamavano affettuosamente "Pops", che è il nome con cui Armstrong si
riferiva a loro, eccetto Pops Foster, che lui chiamava "George".

STORIA DELLA MUSICA !205


Fu anche criticato per aver accettato il titolo di "Re degli Zulu" nella comunità afro-
americana di New Orleans, un ruolo onorevole come capo del Carnevale nero ma
offensivo nei confronti degli estranei, con i loro costumi tradizionali.
Fu un attivo massone, membro della Loggia Montgomery nº 18 di New York..
Armstrong era un importante sostenitore finanziario di Martin Luther King Jr. e di
altri attivisti per i diritti civili, ma di solito preferiva lavorare silenziosamente dietro
le quinte, senza mischiare i suoi ideali politici con il lavoro. Proprio per questo,
fecero notizia le poche occasioni in cui rese pubbliche le proprie idee: l'episodio più
importante in questo senso fu la violenta critica che Armstrong rivolse al Presidente
Eisenhower, in occasione del conflitto tra segregazionisti e anti-segregazionisti che
ebbe luogo a Little Rock, Arkansas nel 1957. In quell'occasione Armstrong definì
Eisenhower "falso" e "smidollato" a causa della sua inattività; Armstrong cancellò
inoltre un tour già pianificato in Unione Sovietica dichiarando che il governo
statunitense poteva "andare all'inferno" per il modo in cui stava trattando i neri nel
sud degli Stati Uniti, e che lui non avrebbe mai potuto rappresentare all'estero un
governo che si trovava in conflitto con la gente di colore.
Era un uomo estremamente generoso, tanto che si dice che abbia donato più soldi di
quanti se ne sia tenuti per sé. Armstrong curava molto anche la sua salute. Faceva
uso frequente di lassativi, segno di una cura del peso, e praticava anche programmi
dietetici che definiva "diete alla Satchmo".
Pur non avendo avuto figli amava i bambini, li intratteneva e incoraggiava i giovani
musicisti. Gli piaceva anche scrivere. Scriveva costantemente anche on the road. Nei
suoi scritti parlava di tutto: musica, sesso, cibo, ricordi della sua gioventù, i suoi
medicinali e perfino del suo intestino.

STORIA DELLA MUSICA !206


Capitolo XXX

Ella Fitzgerald
« Some kids in Italy call me Mama Jazz; I thought that was so cute. As long as they don't
call me Grandma Jazz »
nota anche come Lady Ella e First Lady of Song
(Newport News, 25 aprile 1917 – Beverly Hills, 15 giugno 1996)

È considerata una delle


migliori e più influenti
cantanti jazz della storia.
Vincitrice di tredici
Grammy, era dotata di un
potente strumento vocale,
vantando un'estensione
vocale di più di tre
ottave.
Ella Fitzgerald è stata
attiva per 59 anni
vendendo circa 40 milioni
di copie dei suoi oltre 70
album.
Esibiva spesso la sua
grande capacità di improvvisazione jazzistica, soprattutto nello scat, una tecnica
vocale tipica del jazz di cui è considerata la maggiore esponente di tutti i tempi: i
suoi scat potevano durare oltre i cinque minuti, pur mantenendo una perfetta
impronta melodica. Nell'ultima parte della sua carriera artistica, nei suoi concerti si
divertiva sovente a imitare le voci di altri cantanti: particolarmente riuscite erano le
imitazioni di Rose Murphy, Dinah Washington, Della Reese e Louis Armstrong.
Rimasta orfana a quattordici anni, passò la sua infanzia tra orfanotrofi e quartieri
malfamati di New York. Debuttò giovanissima nel 1934 all'Apollo Theater di
Harlem, New York. L'occasione fu una delle famose Amateur Nights, le serate
dedicate alle competizioni canore dei dilettanti, a cui partecipò e vinse. Fu notata da
Bardu Ali che convinse Chick Webb, della cui band faceva parte, ad assumerla. Iniziò
a cantare per l'orchestra di Webb nel 1935, e successivamente incise con loro alcune
canzoni di successo, tra cui A-Tisket, A-Tasket, Undecided e Mister Paganini: il suo
stile vivace, colorato e vorticoso, perfetto per il genere swing, le permise di entrare a

STORIA DELLA MUSICA !207


far parte delle stelle della musica. Alla morte di Webb nel 1939, l'orchestra continuò a
esibirsi con il nuovo nome di Ella Fitzgerald and Her Famous Orchestra.
Nel 1941 iniziò la carriera solista, abbracciando nel tempo i più svariati generi
musicali: swing, bebop, blues, samba, gospel, calypso. Si esibì con i più importanti
gruppi e interpreti solisti: in pratica, il suo ruolo era quello di "strumentista della
voce". Negli anni cinquanta Lady Ella si esibì in una tournée attraverso l'Europa e il
Nord America, accompagnata dall'orchestra di Duke Ellington. Anche con Louis
Armstrong instaurò un sodalizio artistico che sarebbe sfociato nell'incisione di tre
dischi: Porgy and Bess, in cui i due si esibiscono interpretando l'omonima opera di
George Gershwin, e due incisioni di standard jazz, Ella and Louis e Ella and Louis
Again.
Dal 1956 al 1964 incise per l'etichetta discografica Verve Records una serie di
Songbooks, prodotta da Norman Granz, tratta dal repertorio delle canzoni scritte dai
più grandi compositori americani.
Nel 1960 tenne un concerto a Berlino, da cui sarebbe stato tratto l'album Ella in
Berlin: Mack the Knife, in cui, non ricordando il testo, cominciò a improvvisare con
grande ritmo e verve: per questa interpretazione si aggiudicò un Grammy Award.
Nel 1965 tiene il concerto "An Evening with Ella Fitzgerald" al Lewisohn Stadium di
New York (Manhattan) per il Metropolitan Opera House diretta da Nelson Riddle.
Negli anni sessanta e settanta continuò a incidere dischi, a esibirsi in tutto il mondo e
a comparire in programmi televisivi, ospite di celebri colleghi, come Frank Sinatra,
Dean Martin, Nat King Cole e Dinah Shore.
Si sposò due volte, la seconda con il bassista Ray Brown. La coppia adottò un
bambino.
Gravi problemi di salute le segnarono gli ultimi anni di vita. Già cieca a causa del
diabete mellito, nel 1994 le furono amputate le gambe a causa dello stesso male, di
cui soffriva sin dall'infanzia. Morì nel 1996 e fu sepolta a Inglewood, in California.

STORIA DELLA MUSICA !208


Lo scat
E’ una forma di canto, quasi sempre improvvisato, appartenente alla cultura
musicale del jazz. Consiste nell'imitazione di strumenti musicali con la voce, tramite
la riproduzione di fraseggi simili a quelli strumentali. Per questo non prevede l'uso
di parole compiute, bensì di fonemi privi di senso dal suono accattivante, che il
cantante utilizza in chiave ritmica oltre che melodica. I brani in cui si può ascoltare lo
scat sono di solito veloci e allegri, e non di rado esso viene utilizzato in chiave
grottesca e caricaturale.
Una diffusa leggenda attribuiva l'invenzione dello scat a Louis Armstrong: egli
raccontò di aver avuto per caso l'idea di cantare sillabe senza senso al posto di un
testo quando, durante una registrazione della canzone Heebie Jeebies, nel 1926, il
brano che stava leggendo gli cadde dal leggìo. Questa attribuzione di paternità è
stata smentita, anche se rimane innegabile che Armstrong sia stato uno dei principali
artefici della diffusione dello scat a partire dalla metà degli anni venti. Fra coloro che
ne hanno sviluppato maggiormente le potenzialità vi sono Ella Fitzgerald, Mel
Tormé, Jon Hendricks, Cab Calloway e Dizzy Gillespie.

STORIA DELLA MUSICA !209


Capitolo XXXI

George Gershwin
George Gershwin (Brooklyn, 26 settembre 1898 – Hollywood, 11 luglio 1937)
compositore, pianista e direttore d'orchestra statunitense.

La sua opera spazia dalla musica


colta al jazz.
È considerato l'iniziatore del
musical statunitense.
Le composizioni di Gershwin
hanno attraversato i generi blues
e musica classica, e le sue
melodie più popolari sono
ampiamente conosciute. Tra le
sue opere più note ci sono le
composizioni orchestrali
Rapsodia in blu (1924) e Un
americano a Parigi (1928), così come l'opera Porgy and Bess (1935)
Ha scritto la maggior parte delle sue opere vocali e teatrali, tra cui più di una
dozzina di spettacoli teatrali di Broadway, in collaborazione con il suo fratello
maggiore, paroliere, Ira Gershwin. George Gershwin compose la musica sia per
Broadway, sia per le sale da concerto europee, così come per il grande pubblico che
ha portato la sua opera ad un pubblico ancora più ampio. Le sue composizioni sono
state utilizzate in numerosi film e in televisione, e molte sono diventate standard jazz
registrati in numerose varianti. Innumerevoli i cantanti e musicisti che hanno
registrato le canzoni di Gershwin.
La composizione più ambiziosa di Gershwin resta comunque Porgy and Bess, uno
dei pochi esempi moderni di melodramma, andata in scena per la prima volta il 30
settembre 1935 a Boston. Con lo stile generale della commedia, quest'opera contiene
alcune delle arie più famose di Gershwin, prima fra tutte Summertime, con testo di
Ira Gershwin e DuBose Heyward. Porgy and Bess è tuttora generalmente considerata
la più grande opera americana del XX secolo, sia per le sue innovazioni (i personaggi
sono quasi tutti neri) che per la qualità delle canzoni che presenta.
Il principale motivo per cui le composizioni di Gershwin sono ancora apprezzate è,
infatti, la loro trasversalità: combinano elementi che dimostrano grandi conoscenze

STORIA DELLA MUSICA !210


delle tecniche classiche, come una fuga e vari cambi di tonalità, con le sonorità
tipiche della musica popolare e, in particolare, del jazz.
Gershwin ricevette solo una nomination all'Oscar per una canzone che scrisse
insieme al fratello Ira, They Can't Take That Away from Me, tratta dallo show Voglio
danzar con te (Shall We Dance?, 1937).
Nel 1936 si trasferì a Hollywood per comporre colonne sonore. La sua celebrità
ormai toccava le vette del firmamento musicale, anche se adesso era costretto a
dividerla con gli altri grandi musicisti del tempo, Cole Porter e Irving Berlin.
Già all'inizio del 1937 Gershwin cominciò ad avvertire i sintomi di quello che si
rivelerà un tumore al cervello: mal di testa lancinanti e una costante impressione di
emanare odore di gomma bruciata. Sul set di The Goldwyn Follies, l'11 luglio 1937
Gershwin si accasciò al suolo. George Gershwin morì al Cedars of Lebanon Hospital
dopo un inutile intervento d'urgenza all'età di 38 anni. Per ironia della sorte, anche il
suo idolo Maurice Ravel morì 5 mesi dopo, durante un intervento simile al cervello.
Ai solenni funerali tenutisi il 15 luglio 1937 presso la sinagoga Emanu-El di New
York partecipò una folla di oltre 4500 persone, assieme al sindaco di New York
Fiorello La Guardia e a numerose personalità della politica e della cultura
newyorkese.
Nel 2005 il Guardian stilò una stima dei guadagni accumulati da Gershwin e stabilì
che George era il più ricco compositore di tutti i tempi.

STORIA DELLA MUSICA !211


Porgy and Bess
Porgy and Bess è un'opera musicata da George Gershwin, per il libretto di DuBose
Heyward, e testi di Ira Gershwin e Heyward. La storia è basata sul romanzo di
Heyward Porgy e sull'omonimo lavoro teatrale che egli scrisse con la moglie
Dorothy, che descrive la vita degli afroamericani nell'immaginaria strada di Catfish
Row a Charleston, Carolina del Sud all'inizio degli anni trenta.
Porgy and Bess narra la storia di Porgy, un uomo di colore zoppo dei sobborghi
("slum") di Charleston e il suo tentativo di salvare Bess dalle grinfie di Crown, il suo
protettore, e Sportin' Life, lo spacciatore. Originariamente concepita da Gershwin
come una "American folk opera" ("opera popolare Americana") il lavoro fu
rappresentato la prima volta il 30 settembre del 1935 nel Colonial Theatre di Boston
ed il 10 ottobre all'Alvin Theatre di New York per Broadway, ma non fu accettato
negli Stati Uniti come opera legittima fino ai tardi anni '70 e '80: ora è considerata
parte del repertorio operistico popolare. Porgy and Bess è anche regolarmente
rappresentata internazionalmente. Nonostante questo successo, l'opera è stata
controversa; alcuni fin dall'inizio l'hanno considerata razzista.

STORIA DELLA MUSICA !212


Capitolo XXXII

Leonard Bernstein
nato con il nome di Louis (Lawrence, 25 agosto 1918 – New York, 14 ottobre
1990), è stato un compositore, pianista e direttore d'orchestra statunitense.

« Il più grande pianista tra i direttori, il più grande direttore tra i compositori, il più grande compositore tra i
pianisti...un genio universale » (Artur Rubinstein)

Secondo il sondaggio tra cento


famosi direttori d'orchestra
pubblicato dalla rivista Classic Voice
nel dicembre 2011 è considerato il
secondo più grande direttore
d'orchestra di tutti i tempi dietro a
Carlos Kleiber e davanti a Karajan e
Toscanini. Artista di grande fama
internazionale, è stato direttore della
New York Symphony Orchestra,
dell'Orchestra filarmonica d'Israele e
dal 1958 al 1968 direttore musicale
della New York Philharmonic.
Nel 1953 in due concerti, dove è
anche pianista, diventa il primo
americano a dirigere l'Orchestra del
Teatro alla Scala di Milano.
Dal 1958 al 1969 Bernstein è direttore d'orchestra e direttore musicale dell'Orchestra
Filarmonica di New York, diventando il primo nato negli USA a ricoprire questi
incarichi.
Le sue opere più note sono il musical On the Town (1944, girato 1949), Wonderful Town
(1953, girato nel 1958), Candide (1956), e la molto popolare commedia musicale West
Side Story (1957, girato 1961), scritta in collaborazione con Stephen Sondheim e
Jerome Robbins. Ha composto le musiche per il film Fronte del porto (1954), per il
quale ha ricevuto una nomination all'Oscar.

STORIA DELLA MUSICA !213


West Side Story
West Side Story è un musical che debuttò per la prima volta il 26 settembre 1957 a
New York. È stato scritto da Jerome Robbins (regia e coreografia), Arthur Laurents
(libretto), Leonard Bernstein (musiche) e Stephen Sondheim (testi) su soggetto ideato
da Robbins al quale contribuirono poi con modifiche e suggerimenti anche gli altri
autori. La storia è una revisione in tempi moderni della tragedia Shakespeariana
Romeo e Giulietta.
Nel Regno Unito lo spettacolo dopo la première al Manchester Opera House venne
rappresentato al Her Majesty's Theatre di Londra il 12 dicembre 1958 con George
Chakiris raggiungendo 1038 recite fino al 1961.
Nel 1961 la United Artists ne realizzò una versione cinematografica per la regia di
Jerome Robbins e Robert Wise che debuttò nelle sale il 18 ottobre. Il film - che aveva
tra gli interpreti anche Chakiris - vinse dieci Academy Awards cinematografici, tra i
quali quello per il miglior film. Mai un film musicale aveva ricevuto così tanti
riconoscimenti.
La storia è un rifacimento della tragedia di William Shakespeare Romeo e Giulietta.
Il tema tragico, la musica sofisticata e le istanze sociali rappresentate segnarono il
linguaggio musicale del teatro in inglese che in precedenza si era dedicato, tranne
rare eccezioni, a temi leggeri. West Side Story è ancora oggi rappresentato con una
certa frequenza.
Le musiche, scritte da Bernstein, sono molto popolari. Tra le canzoni si ricordano
Something's Coming, Maria, America, Somewhere, Tonight, Gee, Officer Krupke, I Feel
Pretty, One Hand, One Heart, e Cool.
Nel 1984 Bernstein decise di ri-registrare il musical, dirigendo una sua composizione
in prima persona per la prima volta. Nota come una "versione operistica" di West
Side Story, vide la partecipazione di Kiri Te Kanawa nel ruolo di Maria, José Carreras
in quello di Tony, Tatiana Troyanos come Anita, Kurt Ollman come Riff mentre
Marilyn Horne canta "Somewhere" nel ruolo di un personaggio secondario
("Anybody"). Questa versione ha vinto un Grammy Award nel 1985.

Trama
La storia si ispira, con alcune varianti, a Romeo e Giulietta di William Shakespeare,
ambientato nell'Upper West Side di New York tra bande di strada inglesi e
portoricane. Tony e Maria si innamorano, nonostante facciano parte di gruppi rivali
(Tony con i Jets mentre Maria, nata a Porto Rico, con gli Sharks). Gli Sharks sono

STORIA DELLA MUSICA !214


comandati dal fratello di Maria, Bernardo, mentre i Jets dal migliore amico di Tony,
Riff. Quando le bande organizzano una "rissa", Maria prega Tony di dissuadere gli
amici a parteciparvi. Quando Bernardo ferisce accidentalmente a morte Riff, Tony, in
un momento di rabbia, uccide Bernardo. All'arrivo della polizia entrambe le bande
scappano, e Tony si rifugia da Maria accordandosi di fuggire insieme. Dal momento
che Maria non riesce a recarsi all'incontro con Tony essendo trattenuta dall'ufficiale
di polizia, la fidanzata di Bernardo, Anita, acconsente ad aiutarla ma, affrontata dai
Jets che tentano di violentarla, racconta loro che Maria è stata uccisa da Chino, pazzo
di gelosia per la relazione tra Tony e Maria, ragazza che avrebbe dovuto essere sua
sposa. Tony disperato cerca Chino affinché uccida anche lui, cosa che tragicamente
avviene anche se rivede Maria sana e salva. Infine, piangente sul corpo di Tony,
Maria riesce a riappacificare le due bande.

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