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L’età dell’Umanesimo: il quattrocento

Con l’espressione scuola fiamminga, si indica la civiltà musicale che, nata nel ducato di
Borgogna nel 15esimo secolo, domina il 400 europeo, esercitando un’influenza decisiva
sulla formazione e lo sviluppo della musica rinascimentale. In particolare i paesi bassi sono
il fulcro della produzione polifonica europea.
Analizziamo alcuni aspetti: la formazione scolastica è molto rigorosa: l’istruzione avviene
presso centri ecclesiastici che garantiscono lo studio del latino, del canto gregoriano, della
polifonia e della composizione. I pueri cantores sono di norma seguiti dagli otto anni fino
alla muta della voce e poi proseguono l’educazione con lo studio delle discipline
umanistiche. Successivamente i cantori sono pronti per l’esercizio della professione.
Fra le tecniche improvvisative praticate dai fiamminghi v’è il “falsobordone”, ovvero una
tecnica improvvisativa su tenor liturgico che privileggiava gli accordi di terza e sesta su
ogni nota, ed eventuale fioritura della parte superiore.
Esaminiamo le principali caratteristiche musicali della scuola fiamminga attraverso l’opera
dei suoi esponenti. Si è soliti distinguere 6 generazioni di compositori.

La prima generazione è dominata da Guillaime Dufay.


Di DuFay ci restano circa 200 brani tra i quali emergono 9 messe, una ventina di mottetti e
più di 90 chansons (brani profani di carattere amoroso).
Tra i suoi mottetti menzioniamo: “Ecclesiae militantis”, forse il suo mottetto isoritmico più
complesso, composto da 12 strofe, sei per il motetus e 6 per il triplum. Il tenor doppio e
strumentale e in canone mensurale.
Forse il suo mottetto più famoso è “Nuper rosarum flores”, scritto per la consacrazione di
santa maria del fiore di firenze. La chiesa in questione, era sulla scia del tempio di salomone
e dufay utilizzò le dimensioni bibliche del tempo per costruire il suo imponente mottetto a
isoritmico a 4 voci con doppio tenor liturgico. Il testo è diviso in 4 talee, quindi 4 ripetizioni
del cantus firmus ma sdoppiato in due linee melodiche. La prima talea è molto sfasata e
asimmetrica, le 4 strofe e i 4 episodi corrispondenti ciascuno ad una talea, non coincidono.
Il cantus planus (terribilis est locus iste) è posto al tenor 2 e si ripete ciclicamente per
ciascuna delle 4 sezioni del mottetto. Nel tenor 1 è sviluppato un canone quasi interamente
mensurale. In alcune misure appare una voce aggiunta ad una delle due parti superiori, quasi
sempre nel contra e raramente nel cantus, tuttavia siccome ciò accade sempre quando uno
dei 2 tenores è in pausa, il numero complessivo delle voci rimane invariato.
Riguardo le messe, DuFay conquista gradualmente alcuni stilemi di scrittura che
caratterizzano l’identità quattrocentesca della composizione liturgica. Un unico cantus
firmus, affidato al tenor è utilizzato per tutti i brani dell’orinarium missae, questo
procedimento dà origine alla cosiddetta “messa ciclica”. Inoltre codifica il modello di messa
a 4 voci, con spunti di imitazione ritmico melodica. (es. missa l’homme armè).

La terza generazione dei musicisti fiamminghi è invece dominata da Josquin Desprez


(1455?/1521). Lui è il primo compositore a non essere dimenticato dopo la sua morte.
Certamente la sua fortuna si deve alla stampa, poiché fu il primo compositore a cui Petrucci
dedicò un intero libro di messe. Tra le sue messe ne ricordiamo una molto importante, la
“Messa Hercules dux ferrarie”, in cui il tenor è ricavato dalle analogie musicali
intercorrenti tra le vocali del nome del mecenate estense (l’ultimo incarico della sua vita è
presso il duca di Ferrara, Ercole d’Este.) [Vocali → e u e u e a i e / Note → re ut re ut re fa
mi re].
Stabat Mater / Comme femme desconfortée → Un mottetto. La polifonia è costruita attorno
a un "cantus firmus" che è presumibilmente tratto da una canzone profana di Gilles Binchois: il
"Tenore" di Comme femme desconfortée. Rispetto alla musica rinascimentale inglese lo stile è
rilassato. Le stanze sono cantate l'una dopo l'altra senza intoppi, con un'eccezione: dopo "dum
emisit spiritum", l'ultimo respiro di Gesù, i cantori fanno una sottile pausa. In generale, i
mottetti di Desprez hanno melodie con un andamento rigorosamente aderente alla prosodia:
i melismi sono limitati a note di abbellimento e si espandono solo nelle cadenze; in questo
modo il compositore dimostra di aderire profondamente alla poetica umanistica che
condannava nella musica tardomedievale il piacere per il giugo sonoro astratto
dall’espressione viva del pernsiero.

El grillo (polifonia profana rinascimentale)


El grillo che possiamo inserire nella polifonia profana rinascimentale, è il brano più celebre di
Josquin Desprez(reso famoso dall'onomatopea del frinire del grillo che conclude la ripresa). Si è
conservato grazie la stampa di Petrucci "Frottole" del 1504 testo con numerosi errori
riconosciuti solo in parte. Alcuni sono di facile soluzione come il mancato collocamento delle
sillabe di "verso" e "amore", altri conservati nelle prime edizioni moderne, hanno condizionato
le attuali esecuzioni, ->come ad esempio la mezza battuta in più all'inizio della strofa, indotta
forse dall'iperimetria di "ma non fa"! o il posizionamento anticipato delle sillabe "canta sol".
Anche l'interpretazione del testo ha creato incomprensioni: "dale beve" significa dagli da bere
che il grillo si mette a cantare, mentre "li" nella frase "come li han" non è un avverbio di luogo
ma pronome-> "loro", pertanto non può essere accentato, quindi è proclitico, e non può essere
accentato( l'accento si poggia sulla parola successiva?) "quando la maggior el caldo" è da
leggersi quando l'ha maggior el caldo, nel senso che "egli ha". Le due ipermetrie, forse
introdotte da petrucci, possono essere corrette eliminando le parole qui poste fra parentesi
quadre( ma conservarle appartiene all'instabilità metrica tipica della frottola). El grillo presenta
la comune struttura monostrofica con Barform incorniciata da ripresa indipendente.

Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 –1594) è stato un compositore e organista italiano,


tra i più importanti del Rinascimento europeo. Fu considerato tra i massimi compositori di area
romana del XVI secolo e venerato come modello ideale per la composizione polifonica sacra.
La produzione palestriniana, per la maggior parte sacra, fu cospicua, anche rispetto a quella di
famosi e prolifici compositori dell'epoca, come Orlando di Lasso e Philippe de Monte. Scrisse
almeno 104 messe, superando ogni altro compositore contemporaneo; a questo numero già
considerevole, si devono aggiungere più di 300 mottetti, 68 offertori, non meno di 72 inni, 35
magnificat, 11 litanie e 4 o 5 lamentazioni. Compose poi oltre 140 madrigali su testi sacri e
profani.
Orlando di Lasso nacque a Mons intorno al 1530. Da bambino fu cantore presso il coro di San
Nicola a Mons, dove fu particolarmente apprezzato per la sua voce. Entrato al servizio di
Ferdinando di Gonzaga, generale di Carlo V, iniziò a viaggiare con l’esercito imperiale
durante la campagna del 1544 in Francia. Si trasferì poi a Napoli, sempre al servizio della
famiglia Gonzaga, e successivamente a Roma, dove soggiornò per circa 10 anni ospite dell’
arcivescovo di Firenze Bindo Altoviti. Nella città papale, dal 1553 al 1554 fu maestro di
cappella di San Giovanni in Laterano, posto che in seguito fu tenuto da Giovanni Pierluigi da
Palestrina. Dopo un soggiorno ad Anversa, tra il 1555 e il 1556, si stabilì definitivamente a
Monaco di Baviera, presso la corte del Duca Albrecht V. Nel 1570 l’imperatore Massimiliano
lo elevò alla nobiltà; nel 1574 papa Gregorio XIII lo insignì del titolo di Cavaliere dello
Sperone d’Oro. Morì nel 1594 a Monaco di Baviera.
Orlando di Lasso è considerato uno dei più importanti compositori fiamminghi che portarono
all’apice lo stile franco-olandese che dominava la cultura musicale europea nel Rinascimento.
Egli si dedicò prevalentemente alla musica vocale e lavorò in numerose corti di tutta Europa.
Matona mia cara, un capolavoro di spirito e di caratterizzazione pittoresca, è una scanzonata
villanella a quattro voci pubblicata nel 1581. Orlando di Lasso mette in scena la divertente
caricatura di un soldato lanzichenecco (“Lantze bon compagnon”) che sta facendo una
serenata alla sua bella – “Matona” sta per Madonna – ma che, per farlo, impiega un
italiano stentato e buffo, usando le parole più per il loro suono e musicalità che per il significato.
Così, ad esempio, il prode innamorato s’immagina di recar in dono all’amata, quale trofeo
di caccia, “beccazze grasse come rognon”…! O di volerle bene “come greco e capon”… Il
tono è popolare e la serenata del lanzo si fa via via proposta sempre più esplicita e a suo modo
sconveniente (“…urtar come monton…”).

Jacques Arcadelt (1507-1568) di origini fiamminghe o, forse, francesi, fu probabilmente


allievo di Josquin Desprez a Parigi e poi di Philippe Verdelot a Firenze, dove la sua presenza è
attestata a partire dalla seconda metà degli anni ’20 del Cinquecento. Arcadelt risiedette nella
capitale toscana per tutto il decennio successivo, entrando alle dipendenze del duca Alessandro
de’ Medici in veste di madrigalista e, forse, anche come musicista da chiesa. Noto
prevalentemente come madrigalista, egli inizialmente si mosse sulle orme di Verdelot, ma il suo
stile maturò velocemente durante gli anni ’30 e, tra la fine di questo decennio e la prima metà
del successivo, Arcadelt pubblicò cinque libri di madrigali presso lo stampatore veneziano
Antonio Gardano. Durante il periodo romano frequenti problemi di salute gli impedirono invece
di svolgere una regolare attività compositiva, così prestò servizio per lo più come cantore,
riuscendo tuttavia a scrivere anche un numero relativamente piccolo di lavori sacri. Le sue
messe e mottetti furono pubblicate soprattutto in seguito, a Parigi, assieme con le chansons
ampiamente richieste dai suoi mecenati francesi, un genere praticato da Arcadelt durante l’
intero corso della sua parabola artistica.
Luca Marenzio (Coccaglio, 18 ottobre 1553 – Roma, 22 agosto 1599) è stato un compositore
italiano. Fu il più acclamato autore di madrigali del suo tempo. Iniziò la carriera musicale come
fanciullo cantore nella scuola del Duomo di Brescia. Di venne poi maestro di cappella, prima
del cardinale di Trento che risiedeva a Roma, poi, dal 1578, del cardinale Luigi D'Este. Nel
1587 si spostò a Firenze dove fu al servizio di Ferdinando I de' Medici per due anni. Tornato a
Roma nel 1589 fu maestro di cappella del cardinale Aldobrandini, passando poi alla famiglia
Orsini. Noto in tutta Europa, fu per due anni - tra il 1596 e il 1598, maestro di cappella del re di
Polonia Sigismondo III, operando a Varsavia e a Cracovia. Tornato a Roma, vi morì ad appena
46 anni, nel 1599. Fu sepolto a San Lorenzo in Lucina. Conosciuto anche come Marentius,
scrisse nove libri di madrigali a cinque voci, sei di madrigali a sei voci e numerosi madrigali
spirituali. Le sue composizioni sono caratterizzate da una scrittura polifonica ricca e complessa
e da una notevole aderenza alle immagini contenute nei testi. La sua opera può essere
considerata una delle più mature e perfette testimonianze dei caratteri peculiari della polifonia
vocale rinascimentale, e in particolare del genere del madrigale serio (procedimento astrofico,
imitativo, per sezioni; notevole utilizzo di madrigalismi; equilibrio tra le sezioni, scrittura per
voci sole senza strumenti); quei caratteri che Claudio Monteverdi, nel corso della sua vita
artistica, sublimerà e poi supererà aprendo le porte alle nuove tendenze che saranno proprie
della musica barocca (voci prevalenti, presenza sistematica di accompagnamento strumentale).
Luca Marenzio è uno dei principali interpreti della moda, tipica della musica reservata
cinquecentesca, di utilizzare testi di Francesco Petrarca (petrarchismo musicale). Degni del
massimo risalto sono, tra gli altri, i suoi madrigali Zefiro torna e'l bel tempo rimena (a 4 voci) e
Solo e pensoso (a 5 voci Solo e pensoso (https://www.donatellarampado.com/solo-e-pensoso-
dal-sonetto-petrarchesco-al-madrigale-di-marenzio/) basati sugli omonimi, celeberrimi sonetti
del Canzoniere. Pubblicò anche cinque libri di villanelle a tre voci e una settantina di mottetti a
quattro e tredici voci. A lui è intitolato dal 1993 il Conservatorio di Musica Statale di Brescia.

Claudio Giovanni Antonio Monteverdi è nato a Cremona il 9 maggio 1567 e morì a Venezia
il 29 novembre 1643. Claudio Monteverdi fu un bambino prodigio, studiò musica con Marc’
Antonio Ingegneri, maestro di cappella del Duomo di Cremona, e a soli quindici anni, pubblicò
la sua prima raccolta vocale Sacrae Cantiunculae, nel 1582. Nel 1583 Monteverdi diede alle
stampe i Madrigali spirituali a 4 voci, nel 1584 le Canzonette a 3 voci libro I, i Madrigali a 5
voci libro I nel 1587 e il II libro nel 1590. A soli 23 anni insomma Claudio Monteverdi aveva gi
à una nutrita serie di composizioni al suo attivo. Claudio Monteverdi visse in un momento di
grandi cambiamenti musicali, poiché la polifonia vocale del Rinascimento cedette il passo alle
trame compositive del primo barocco. Monteverdi divenne padrone di entrambi gli stili con
grande abilità, a volte contrapponendoli nello stesso lavoro, e riuscì a comporre con successo
ogni genere vocale. Le sue opere liturgiche possono essere ascoltate come il culmine delle
tradizioni corali dei secoli precedenti ma anche come opere innovative dei secoli a venire. Le
sue opere incarnano le innovazioni liriche e drammatiche che presto avrebbero conquistato l’
Europa. Tra le altre importanti opere non operistiche di Claudio Monteverdi scritte a Venezia, il
Combattimento di Tancredi e Clorinda, 1624 circa, che è stato successivamente incluso nell’
Ottavo Libro dei Madrigali, è un meraviglioso esempio di musica descrittiva per archi,
raffigurante cavalli al trotto, un duello e la morte dell’eroina. Una cantata a tre voci, il lavoro
include il primo uso conosciuto di pizzicato.
“Il combattimento di Tancredi e Clorinda”

Capolavoro della produzione monteverdiana, “Il combattimento di Tancredi e Clorinda”


segna un nuovo e importante capitolo nella storia della musica. Monteverdi, che già ha
esperienza con il melodramma, l’Orfeo è del 1607, alla polifonia contrappuntistica franco-
fiamminga contrapporre una “seconda prattica” musicale, nella quale il canto imita gli
accenti della lingua e la musica, con i suoi ritmi e le sue melodie, traduce e accentua le
emozioni suscitate dal testo rappresentato (teoria deglia affetti).
Il madrigale, composto sul testo della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, canto XII versi
52-62 e 64-68, riprende la vicenda del cavaliere cristiano Tancredi, innamorato di Clorinda,
guerriera musulmana, costretto dalla sorte a battersi in duello proprio con lei e ad ucciderla. In
punto di morte Clorinda si converte e, battezzata da Tancredi, affronta serenamente il trapasso.
L’organico strumentale prevede due violini, una viola da braccio e il basso continuo; le parti
vocali sono per soprano, Clorinda, e per due tenori, il Testo (narratore) e Tancredi. Le voci non
sono mai sovrapposte, i versi sono cantati in ordinata successione; la musica si adegua alla
parola, anche nel sottolineare gli interventi del narratore. Gli strumenti, poi, non hanno soltanto
un ruolo di semplice accompagnamento ma diventano protagonisti, come nell’episodio del
combattimento in cui, la concitazione e l’ansia dei duellanti sono evidenziate, per la prima
volta, dal tremolo degli archi.
Monteverdi esprime due passioni contrarie: da una parte l’ira e lo sdegno, dall’altra la
preghiera dolente e la rassegnazione; passaggi melodici ampi e pacati si alternano a momenti di
intenso turbamento, sottolineati da note ribattute, da ritmi puntati e da contrattempi.

Il Madrigale

Il madrigale fu una forma musicale vocale da camera che ebbe origine nell’Italia settentrionale
durante il XIV secolo, declinò e quasi scomparve nel secolo successivo, rifiorì nel 1500 per
raggiungere uno status internazionale a cavallo tra Rinascimento e Barocco.

L'origine del termine madrigale è incerta, ma probabilmente deriva dal latino matricale (che
significa "nella lingua madre"; cioè, italiano, non latino), oppure da mandria per l’origine
pastorale.

Sotto l’influenza dei compositori fiamminghi, che dominarono la musica italiana per tutto il
‘400, il madrigale si sviluppò in forme sempre più raffinate, mettendo in musica testi di
elevata qualità letteraria. I poeti preferiti dai compositori dei madrigali furono Francesco
Petrarca, Giovanni Boccaccio, Jacopo Sannazaro, Pietro Bembo, Ludovico Ariosto, Torquato
Tasso e Battista Guarini.

I madrigalisti svilupparono una scrittura descrittiva ed espressiva di grande rilievo e furono


sperimentatori in campo armonico. La loro musica intende rappresentare il testo, “dipingere le
parole secondo i loro significati realistici”, come scrive Claudio Gallico.
Per meglio rappresentare le espressioni del testo, i compositori utilizzarono successioni
armoniche audaci come la giustapposizione di accordi oppure improvvise modulazioni che
toccano punti dello spettro tonale distanti tra loro.

Parole emotivamente cariche come "gioia", "rabbia", "ridere" e "piangere" ricevevano un


trattamento particolare, ma non a scapito della continuità musicale dell’insieme. Anche l’
organizzazione armonica costituiva una tecnica volta a preservare la continuità e si presentava
come una fusione affascinante di tonalità maggiore moderna e di modalità antica. La maggior
parte dei lavori madrigalistici dal 1520 al 1550 erano scritti a 4 voci; poi diventarono consueti a
cinque e sei voci, fino ad arrivare a dieci voci.

I madrigali (e le canzoni polifoniche ad essi affini) divennero tanto richieste che la loro
produzione fu molto vasta: tra il 1530 il 1600 ne furono pubblicate circa 2000 raccolte.

I madrigali erano di argomento sentimentale o amoroso; venivano cantati nelle riunioni di societ
à a corte; in Italia si eseguivano soprattutto nelle riunioni delle accademie, sorte in molte città
per lo studio e la discussione di argomenti letterari e scientifici o artistici.

Il fiammingo Adriaan Willaert scrisse numerosi madrigali, ed è considerato uno dei maggiori
compositori di questa forma musicale. Anche grazie alla sua posizione di maestro di cappella a
San Marco a Venezia, divenne il musicista più influente in Europa dopo la morte di Josquin e
prima dell’avvento di Palestrina. I suoi madrigali rappresentano una sintesi tra lo stile
contrappuntistico della scuola fiamminga e la enfasi tutta italiana sul colore armonico e
sull'espressività.

Un altro fiammingo, allievo di Willaert, Cipriano De Rore pubblicò cinque libri di madrigali a
cinque voci e tre libri per quattro voci. In particolare, furono i versi di Francesco Petrarca a
essere utilizzati nei suoi madrigali. Infatti, Petrarca veniva considerato il poeta ideale per un’
arte che era alla ricerca di un’espressione perfetta, sensuale e profana.

Ma De Rore scrisse anche un ciclo di undici madrigali sulla canzone in dieci stanze Vergine
bella, che di sol vestita di Petrarca in lode della Madonna, che concludeva il ciclo In morte di
Madonna Laura. Questo tipo di madrigali su testi devoti facevano parte della categoria dei
“madrigali spirituali”.

Un altro allievo di Willaert, Andrea Gabrieli, fu uno dei creatori dello stile madrigalistico
veneziano, in cui sono caratteristici gli effetti policorali e i brillanti contrasti della trama
musicale.

Dopo i fiamminghi, tra cui bisogna ancora ricordare Philippe Verdelot che lavorò a Roma e
Firenze e Jacob Arcadelt che diresse la cappella papale, i più grandi madrigalisti italiani furono
Luca Marenzio e Carlo Gesualdo, che toccheranno le vette del madrigale cinquecentesco
italiano.
Claudio Monteverdi condurrà questa forma ad esiti completamente nuovi, con lo stile
concertato per voci e strumenti, la monodia e soprattutto ad una vera e propria rappresentazione
scenica come nel caso del Combattimento di Tancredi e Clorinda.

Il madrigale nella metà del 1600 concluderà il suo sviluppo, dando luogo ad altre forme come la
cantata da camera.

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