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Conservatorio di Musica «N.

Piccinni» Bari

Tesi in Forme della poesia per musica

La cantata per voce sola di primo Settecento:


il caso di Nicola Fago ‘Il Tarantino’

Docente: Ines Aliprandi Candidata: Valeria La Grotta

a.a. 2015-2016
1. Le origini della cantata da camera
1.1. La cantata nel Seicento: terminologia, geografia, autori

Nel corso del primo Seicento il madrigale polifonico andò lentamente sparendo (anche a

causa della crisi dell’editoria musicale che ne aveva garantito la diffusione), lasciandosi

sostituire da un nuovo genere di musica vocale: la “cantata”. Questo termine fu usato per la

prima volta in un’antologia vocale di Alessandro Grandi 1 Cantade et arie (Venezia,

Vincenti, 1620) dove si può notare una distinzione formale tra l’Aria, un brano che per le

diverse strofe ripeteva la stessa musica, e la Cantata, nella quale invece la melodia variava

per ogni strofa (anche se la linea del basso non mutava). Il termine, nel primo Seicento,

indicava in modo generico una composizione vocale più complessa delle arie e delle ariette

strofiche, ma ben diversa dai madrigali ariosi a voce sola. A seconda delle esigenze del

committente la cantata assunse vesti differenti:

- brano lirico da camera di argomento amoroso

- breve brano ricreativo di argomento sacro

- piccolo surrogato dell’opera lirica (monologhi di personaggi tragici)

Talvolta i cantanti potevano essere in due e si parlava allora di “duetto da camera” che

manteneva le stesse caratteristiche formali della cantata solistica.

La cantata fu il genere di musica vocale da camera più consumato e più richiesto nelle corti

cardinalizie e aristocratiche di Roma (Aldobrandini, Barberini, Borghese, Chigi, Colonna,

Orsini, Pamphilj) perché il suo stile era raffinato e dunque adeguato alla committenza;

perché i testi potevano essere scritti dagli stessi committenti (che si celavano

nell’anonimato); perché l’organico ridotto ne agevolava la realizzazione.

1
Alessandro Grandi (1680-1730) fu allievo di Monteverdi e attivo nella Cappella musicale di
S.Marco a Venezia dal 1617 al 1627, per diventare poi maestro di cappella in S.Maria
Maggiore a Bergamo. Anne Schoebelen ha di recente (2013) offerto edizioni critiche della
musica sacra di Grandi.
La circolazione delle cantate per tutto il Seicento e per il primo Settecento fu volutamente

ristretta: il genere in Italia non fu mai a stampa bensì diffuso tramite manoscritti confezionati

dai ‘copisti di casa’ delle grandi famiglie nobiliari. La cantata era considerata come un

oggetto di pregio e veniva offerta o acquistata da nobili stranieri come fosse uno status

symbol esclusivo. Le stesse corti di principi e cardinali spesso erano in concorrenza tra di

loro e si contendevano i più valenti compositori richiedendo la confezione di cantate

particolarmente ricercate o innovative.

Tra i compositori di cantate più prolifici si distinsero: Alessandro Scarlatti (autore di ben 700

cantate), Marco Marazzoli (400), Luigi Rossi (300), Giacomo Carissimi (250) Alessandro

Stradella (200). I musicisti potevano porsi al servizio di diversi mecenati e migrare da un

palazzo nobiliare ad un altro. A questa mobilità doveva corrispondere una versatilità

stilistica poiché le occasioni per scrivere cantate variavano a seconda del committente e

potevano fare prevalere una componente cerimoniale o ricreativa, sconfinare nel sacro o

avvicinarsi al mondo del melodramma.

1.2. Fonti, funzioni sociali e strutture formali

Le fonti delle cantate tra Sei e Settecento furono rappresentate da due tipi di raccolte:

- antologie con finalità didattiche. Roma era il massimo centro di formazione per cantanti

d’opera e i decenni di massima fioritura della cantata (1640-1690) non a caso coincidono con

la centralità dell’ambiente musicale romano per l’istruzione dei virtuosi cantanti

- antologie per collezionisti. Si trattava cioè di materiale musicale da far eseguire a tutta una

serie di cortigiani che, pur non avendo nel libro paga il ruolo di musicista ufficiale, erano

professionalmente capaci di eseguire musica. Tra essi figuravano molte donne, damigelle di

corte.
La cantata aveva una funzione squisitamente sociale: quella di favorire i legami

interpersonali ‘istituzionali’, necessari al mantenimento del prestigio sociale e del potere

politico di una famiglia. Incontrarsi era parte di una strategia sociale finalizzata ad ottenere

cariche pubbliche, a combinare matrimoni tra diverse casate, a ottenere privilegi. Non è un

caso che la cantata, quando perse questo tipo di committenza, sopravvisse solo come genere

celebrativo.

Sul piano formale le tipologie delle cantate erano molto varie. La cantata con ritornello era

caratterizzata dal ritorno di alcuni versi a mo’ di refrain aventi la stessa melodia (spesso

sottilmente variata) La cantata strofica musicava le prime due stanze del testo con due

sezioni distinte (A e B) che poi si ripetevano per le stanze successive (questo era il modello

preferito da Carissimi). Infine la cantata in forma durchkomponiert libera, dove

l’articolazione della musica non era predeterminata dal testo e il compositore era libero di

gestire una struttura musicale coerente con il contenuto poetico (in questo caso si avvicinava

alla logica compositiva del madrigale). L’aderenza alla sintassi, alla semantica e alla

prosodia del testo ovviamente era la priorità del musicista a prescindere dagli schemi

formali. I recitativi, gli ariosi e le arie nelle cantate si alternano con una certa libertà e

assumono dimensioni variabili così come varie sono le forme interne delle arie:

Aria belcantistica Metro ternario 3/2 Vocalità distesa, vocalizzi, imitazioni tra
canto e basso

Aria declamatoria Metro binario Canto sillabico, basso passeggiato (o


corrente) ossia con ritmo regolare e mobile
sul piano melodico

Aria ABB’ Su strofe di 4 o di 5 Primi due versi = melodia A


versi
Ultimi tre versi = melodia B

Aria AA’ Su unico verso Prima sezione A


endecasillabo isolato
dal contesto Seconda sezione A’ = stessa melodia ma
diversa armonia di A

2. La cantata nel primo Settecento

2.1. Da musica di consumo a oggetto di collezionismo

Il madrigale, con la sua esibita omogeneità tra le cinque voci, era lo specchio di un mondo,

quello del tardo Rinascimento, dove i musicisti e gli aristocratici potevano mescolarsi ed

eseguire insieme villanelle, frottole, strambotti, aeri per capitoli d’ottave. Nel passaggio dal

Cinquecento al Seicento la cantata risultò vincente rispetto al madrigale perché era più adatta

a un nuovo modo di ascoltare la musica che separava in modo netto l’ascoltatore

dall’esecutore. Nel passaggio dal Sei al Settecento si verificò un ulteriore cambiamento del

gusto e delle abitudini di consumare musica che privilegiarono il melodramma. L’imporsi

del sistema dei teatri impresariali e del professionismo dei cantanti fece sì che gli

aristocratici preferissero andare a teatro (come ad una sorta di rito societario) piuttosto che

fare produrre musica nei propri palazzi stipendiando musicisti. La cantata (e il duetto da

camera) divenne così un genere dedicato non più al vivo consumo musicale ma soltanto a

una forma di collezionismo. Ciò non toglie che molti operisti continuassero a produrre

cantate per soddisfare la richiesta di committenti religiosi e laici: Handel a Roma per l’intera

sua permanenza fu sostanzialmente un autore di cantate. Scarlatti, pur impegnato con

costanza a scrivere melodrammi non cessò mai di confezionare cantate da camera.

2.2. La cantata da camera ‘napoletana’

Il dibattuto concetto storiografico di ‘scuola napoletana’ ha conosciuto recenti revisioni ma

in questa sede è possibile sfruttarlo per inglobare sotto una comune etichetta i compositori
che si formarono e che insegnarono all’interno dei conservatorii di Napoli. La generazione di

Scarlatti, Mancini, Sarro, prima, e quella di Vinci, Porpora e Leo, poi, considerò il genere

della cantata da camera come un’appendice sia alla principale attività operistica sia alla

composizione di lavori per le istituzioni religiose. Eccettuato Scarlatti, i compositori sopra

nominati non scrissero molte cantate, allineandosi a una tendenza generale che vide il netto

decremento della produzione cantatistica. Va detto tuttavia che nella Napoli di primo

Settecento le occasioni offerte dalla nobiltà locale per riattivare il consumo di cantate non

furono poche. Il genere della cantata a Napoli poteva andare a mischiarsi con quello,

formalmente più complesso, della serenata; oppure trovare collocazione come prologo delle

opere serie rappresentate prima al teatro S. Bartolomeo, poi al S. Carlo.

2.2. Il caso di Nicola fago

Tra gli autori di ‘scuola napoletana’ che contano un catalogo consistente di cantate, il

tarantino Nicola Fago occupa un posto di rilievo. La figura di questo compositore solo in

tempi recenti ha ottenuto attenzione dalla ricerca musicologica (si veda la Bibliografia in

Appendice) e giova delinearne qui la biografia.

Nicola Fago nacque a Taranto il 26 febbraio 1677, figlio di Cataldo Fago e Faustina Tursi, e

fu battezzato due giorni dopo nel Duomo di San Cataldo. Nel novembre del 1692 si trasferì a

Napoli ma solo il 27 luglio 1693 riuscì ad entrare nel Conservatorio della Pietà dei Turchini,

per studiare con Francesco Provenzale. Divenuto probabilmente ‘mastricello’ o

‘sottomaestro’ di Provenzale si impose con una certa velocità poiché dai documenti del

processetto matrimoniale del 1701 si sa che già l’anno precedente era diventato maestro di

Cappella. La moglie, Caterina Speranza Grimaldi, fu responsabile in parte dei successi di

Fago poiché era la sorella del celebre sopranista Nicolino Grimaldi. Divenuto nel 1701

secondo maestro alla Pietà dei Turchini, nel 1704 fu fatto membro della Reale

Congregazione e Monte dei Musici, un’influente confraternita che commissionava lavori ai


massimi compositori napoletani. Nel luglio 1704 diventò Primo Maestro di Cappella al

Conservatorio di Sant’Onofrio a Capuana (in agosto nacque il figlio Lorenzo, destinato a

seguire le orme paterne) e poco dopo a maggio 1705 la stessa carica gli fu attribuita al

Conservatorio della Pietà dei Turchini dove insegnerà fino al 1740 contando tra gli allievi:

Nicola Jommelli, Nicola Sala, Francesco Feo, Giuseppe De Majo (dal 1744 al 1793 la carica

passerà al figlio Lorenzo).

Nel decennio 1705-1715 Fago scrisse tre melodrammi e tre commedie, sei oratori e una

favola pastorale (La Dafne, 1714). A questo periodo forse risale la composizione di un primo

corpus di cantate cui si aggiungono due cantate encomiastiche Le quattro monarchie (1700)

e E’ più caro il piacer dopo le pene. Nel 1709 Fago diventò maestro di Cappella del Duomo

di Napoli (posto che cederà al figlio nel 1731) servendo con lo stesso ruolo anche la

Congregazione e Chiesa di San Carlo e la Chiesa di San Diego. L’ultimo impiego lo vide

attivo come direttore della Cappella della Real Chiesa di San Giacomo agli Spagnuoli,

incarico che tenne fino alla morte sopravvenuta il 18 febbraio 1745.

Nonostante la limitata produzione di melodrammi e l’estraneità alla Real Cappella, Nicola

Fago mantenne un ruolo prestigiosissimo nella Napoli di primo Settecento, al pari di

Francesco Mancini, Domenico Sarro, Nicola Porpora, Leonardo Vinci, Leonardo Leo.

Purtroppo le sole partiture operistiche sopravissute sono quelle di Cassanda indovina e

dell’oratorio Faraone sommerso, un’esiguità che non permette di determinare aspetti

stilistici.

3. Le cantate di Fago nell’edizione Melucci (1995)

3.1. I testi poetici


I testi delle cantate di Fago sono anonimi. In questa sede sisono analizzate le diciannove

cantate edite da Mariagrazia Melucci nel 1995 e per l’analisi dei testi si fa riferimento a

quella edizione.

Il corpus delle diciannove cantate lascia individuare elementi formali ricorrenti: tutte le

cantate alternano versi sciolti in recitativo e due sole arie in versi misurati, ad eccezione delle

cantate nn.8 e 15 che presentano tre arie. Sempre restando sul piano metrico macroformale si

nota una perfetta alternanza tra le arie polimetriche e stroficamente asimmetriche (21 casi) e

quelle bistrofiche o monostrofiche isometriche (20 casi). A segmentare le unità strofiche

concorrono qui i versi tronchi, laddove essi non siano preponderanti (come nel caso della

prima e della terza aria della cantata n.15). Indicando il numero di versi che compongono le

singole unità strofiche e, in apice, il metro utilizzato, è possibile offrire uno schema metrico

delle cantate di Fago analizzate. Ad esempio:

38+28 = terzina e distico di ottonari

44/8+44/8 = due quartine di polimetria tra quadrisillabi e ottonari.

La tabella riassume le forme delle quarantuno arie presenti nelle diciannove cantate:

Titolo Prima aria Seconda aria Terza aria


1. Allor ch’in dolce oblio 45+45 rima: abac 37+37 rima: aab
2. Che vuoi, mio cor, che vuoi? 27+27 rima: abab 37/5+47/5 rima: abcd

3. Come viver poss’io 28+38 rima: abccb 47/5+47/5 rima: abbc


4. Destati ormai dal sonno 37+37 rima: aab 28+28 rima: abab 34/8+34/8 rima: aab
5. Dopo mille martiri 38+28 rima: abcdc 48+48 rima: aabc/dedc
6. è ben chiara ragione 28+28 rima: abab 47/5+47/5 rima: abbc
7. Ingegni curiosi 210+310 rima: abacb 27/11+27/11+27/11 rima:
abaabb
8. Lagrime di cordoglio 38+38 rima: abc 45+45 rima: abbc 210+210 rima: abab
9. Miserabile scempio 68 rima: abccab 48+58 rima: abbcddeec
10.Non credo che vi sia 37/5+37/5 rima: aabccb 210+210 rima: abab
11. Non ha il bambino arciero 47/5+47/5 rima: abbc 27+37 rima: abccb
12. Qualor non veggio 210+210 rima: abab 28+28+28 rima: ababab
13. Quanto invidio la tua sorte 28+38 rima: abccb 37/5+37/5 rima: aabccb
14. Questo povero cor 47/5+47/5 rima: 85+85 rima: aabccdde
abcbaded
15. Sapesse il core almen 37/5+37/5 rima: aabccb 37/5+57/5 rima: aabccddb 46 rima: abab
16. Se gelosia crudele 44/8+44/8 rima: abab 45+45 rima: abbc
17. Sopra del bel Sebeto 38+38 rima: abcabc 45+45 rima: abbc
18. Stava un giorno Fileno 34/8+34/8 rima: aab 97 rima: abcaddeef
19. Sulle sponde del mare 48 rima: abab 48 rima: abab

Il metro prevalente è l’ottonario (semplice, 13 occorrenze; o in polimetria con il

quadrisillabo, 3 casi); seguito dalla polimetria di settenari e quinari (9 casi); seguono a pari

merito il settenario e il quinario (5 casi per ciascun metro) e il decasillabo (con 4

occorrenze). Casi isolati il senario e la polimetria di settenari ed endecasillabi. La prevalenza

dell’ottonario rispetto al settenario tradisce un legame con la tradizione metrica di marca

seicentesca. Mentre più rivolto al futuro del canone metastasiano è il trattamento delle

bistrofe monometriche riservate per la maggior parte dei casi ai quinari e ai settenari (doppie

strofe monometriche che replicano uno stesso schema di rime). L’uso delle uscite tronche e

sdrucciole è variegato e attardato sui moduli delle ariette e canzonette barocche. Da notare la

prima e la terza aria della cantata n. 15.

I sistemi di rime sono molto variegati e permettono al musicista una intonazione altrettanto

flessibile.

Sul piano dei contenuti, come è ovvio aspettarsi, prevale la tematica amorosa allineata ai

topoi della pastorale di fine Cinquecento: ossimori, metonimie, chiasmi e analoghe figure

retoriche affondano le radici nella tradizione madrigalistica che in queste cantate individua la

propria prosecuzione. Nelle cantate 7, 11 e 18, trovano spazio Clori e Fileno, tipici

personaggi pastorali impegnati in schermaglie amorose. L’amore è spesso trattato, infatti,

come pena grazie a un armamentario lessicale che insiste su termini quali: pena, sospiri,

martiri, strugge, tormento, affanno, pianto, disperato, desolato. Bozzetti naturalistici sono

tracciati nelle ultime tre cantate, mentre nelle precedenti prevale una certa astrattezza. Unica

cantata di argomento devozionale in cui l’amore terreno lascia il posto a quello celeste è la

n.4, allineata con le cantate sacre di ambiente romano.


3.2. La musica

3.2.1. Assetto formale

Sul piano della realizzazione musicale la prevalenza della forma tripartita con il da capo è

netta. Soltanto tre arie non seguono questo assetto, che all’altezza cronologica degli anni ’20

del XVIII secolo era diventato normativo: l’aria Se col marmo favello piangendo (cantata

n.8) che ha una forma bipartita AB; Sono belle le fiammelle (cantata n. 14) che affianca tre

sezioni tra loro variate A A’ A’’; Son vaghe e care (cantata n.14) bipartita in due sezioni

variate AB A’B’.

3.2.2. Tessuto delle parti

Le arie sono notate su due pentagrammi: uno per il canto e l’altro per il basso continuo

dotato talora di numeriche. Alcune configurazioni del basso presentano caratteristiche

retrospettive che si rifanno allo stile di Scarlatti e talvolta (quelle con il basso che propone un

motto ritmico d’apertura, quale ad esempio l’aria Ancor sognando della cantata n.1) anche a

quello di Stradella e dei maestri di fine Seicento. La seconda aria della prima cantata si

distingue per una figura ostinata al basso, anch’essa segno di un legame con il fare del primo

Barocco. Più moderna la scrittura di quelle arie che presentano rapidi vocalizzi su parole

chiave del testo (ad esempio “pace” e, in rapporto ossimorico, “fiamma” Non so né sa più

vivere della cantata n.3) o figurazioni in sillabazioni su sedicesimi (Al martir di lontananza,

sempre cantata n.3). Altre arie, come In grembo de’piaceri della cantata n.4, pongono la

linea del canto e quella del basso in stretto dialogo concertante o in passaggi imitativi. Non

sono presenti madrigalismi spiccati ad eccezione della penultima aria dove l’incipit del testo

“onde” viene a giustificare un basso passeggiato che simboleggia l’oscillazione delle onde,

metafora dell’incostanza dell’amato.


3.2.3. I recitativi

I recitativi seguono l’andamento modulante di quelli operistici e solo in due occasioni si nota

la tecnica tipica delle cantate di Stradella, Carissimi, Scarlatti, Pasquini, denominata dagli

studiosi (cfr. Carloyn Gianturco) “arioso-ponte”: il due recitativi della cantata n.9 (l’unica

notata in chiave di basso alla linea del canto) sfociano nell’aria con sezioni di collegamento

vocalizzate piuttosto estese; l’ultima cantata ha invece un breve arioso-ponte di sole tre

misure. Tutti gli altri recitativi seguono gli schemi cadenzali in uso.

3.2.4. Le arie

Le arie presentano uno stile ancora vicino al fare degli anni ’80-’90 del XVII secolo

nonostante le datazioni più attendibili siano risalenti al 1703,1712 e 1715. La scelta

prevalente delle tonalità minori, l’agogica rallentata e il carattere declamatorio sono tutti

elementi che accomunano Fago al primo Sarro, a Mancini e Scarlatti, distanziandolo dal più

moderno Nicolò Porpora. Qui di seguito si offre la tabella completa delle quaranta arie

contenute nella raccolta esaminata.

Titolo Forma Agogica, tonalità, metro


Ancor sognando A-B-A da capo Tempo giusto Fa min. 4/4
Nei sogni di contento [Andante] Fa min. 3/8
Non è per te quel volto Largo Do min. 3/8
Mio cor più non dar fede Andante Sol min. 4/4
Al martir di lontananza Largo Mi min. 4/4
Non può né sa più vivere Andante Si min. 4/4
In grembo de’ piaceri [Andante] Do min. 3/8
Fronda vile esposta al vento Andante Mi bem.magg. 2/4
Non amar quel ben ch’alletta [Allegro] Do min. 4/4
Foglio caro, amato foglio Largo Mi min. 4/4
Alma mia tu che farai? Largo Si min. ¾
In quei labri i labri tuoi Adagio Sol min. ¾
È vano anche il pensare Tempo giusto Do min. 4/4
Di due stelle qual sia la più vaga Tempo giusto La min. 4/4
Tu dimmi dio Cupido Andante Do magg. ¾
I più teneri sospiri Largo Do min. ¾
Al suon di lacrime Andante Fa min. 3/8
Se col marmo favello piangendo Bipartita A-B Andante Fa min. 2/4
Vivo sì ma sol per piangere A-B-A da capo Largo La min. 4/4
E se fia che all’urna mia Lacrimevole assai Re min.3/4
Potessi dire almeno Adagio Mi min. 12/8
Non v’è pena maggior che languire Andante La min. 4/4
Non ha il bambino arciero Adagio La min. 4/4
Oh dio perché lontano Tempo giusto Do min. ¾
Non più vive quest’alma nel core [Andante] La min. 4/4
Vivo in mar qual navicella Allegro Re min. 4/4
Quanto invidio la tua sorte [Andante] La min. ¾
Son lungi dal mio bene [Andante] Sol min. 4/4
Sono belle le fiammelle A-A’-A’’ Andante Mi min. 12/8
Son vaghe e care A-B-A’-B’ Allegro Mi min. ¾
Sapesse il core almen A-B-A da capo Adagio Mi min. 4/4
Ah se vedessi il cor Andante Sol magg. 4/4
Chi muore per te Allegro Mi min. 3/8
La saetta Tempo giusto Si bem.magg.3/4
Se non mi credi Allegro Si bem.magg. 4/4
Se le lagrime volete Largo La min. 4/4
Se quanto amabili Andante Sol min. 3/8
Ogni fior non è sì bello Adagio Do magg. 4/4
Bacia la violetta Allegro La min. 12/8
Onde voi che in sen chiudete Largo Do min. ¾
L’incostanza di chi adoro Allegro Sol min. 4/4

2.5. La vocalità

Sul piano della vocalità l’alternanza tra sezioni declamatorie e altre più belcantistiche

tradisce un atteggiamento indeciso tra moduli tardo barocchi econcessioni al gusto moderno

dei nuovi divi del palcoscenico. La destinazione cameristica giustifica comunque un

trattamento delle tessiture che lascia prevalere il range intermedio o medio-acuto per mettere

a proprio agio anche cantanti non professionisti (ma è incerto che la destinazione di queste

cantate fosse anche per dilettanti).

L’esistenza dell’edizione critica invita oggi a riscoprire questo raffinato repertorio in sede

concertistica e discografica, riscoperta che andrebbe a far luce su un mondo, quello delle

cantate prodotte dagli autori napoletani di primo Settecento, ancora osservato con una sorta

di ‘monocolo’ che continua a prediligere lo sguardo (da outsider) di Handel.


Bibliografia
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à Catherine Massip, a cura di Cécile Reynaud e Herbert Schneider, Paris, Bibliothéque
Nationale de France, 2012, pp. 91-112 (con catalogo aggiornato del corpus di cantate di
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3. FAUSTINI-FASINI Eugenio, Il primo contributo per Nicola Fago, in «Musica d’oggi»
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6. LEO Giacomo, Nicola Fago, in «Rivista Storica Salentina», anno VIII (1913) settembre-
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7. LO MARTIRE Maurizio, Nicola Fago: la musica sacra, Tesi di Laurea, Pavia - Scuola di
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8. MARX Hans Joachim – VOSS Steffen, Unbekkante Kantaten von Haendel, A. Scarlatti,
Fago und Grillo in einer neapolitanische Handschrift von 1710, in Et Faciam dolçi canti.
Studi in onore di Agostino Ziino in occasione del suo 65° compleanno, Lucca, LIM,
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15. Id., Latin sacred music and Nicola Fago: the career and sources of an early eighteenth
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