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Silvia Lucà

L.M.Musica e arti performative

Corso di Musicologia applicata

Elaborato/riassunto de

Pietro Revoltella. Le laudi spirituali di Giuseppe Tartini

in «Il Santo», Rivista Antoniana di Storia Dottrina Arte (Padova 1992)

L’articolo, che ha come argomento le laudi spirituali di Giuseppe Tartini, è corredato di numerosi
esempi musicali, grazie ai quali si possono individuare affinità fra alcune laudi e altre composizioni
(soprattutto sonate) dello stesso Tartini. Come approfondimento vengono analizzate quattro laudi
dedicate alla Madonna.
Il corpus delle laudi spirituali di Giuseppe Tartini costituisce l’unico autografo di musiche religiose
su testo in lingua italiana giunto a noi. La raccolta senza titolo delle 18 laudi ci sono pervenute non
solo in bella copia ma anche in brutta copia. Di ciascuna lauda è stata musicata solo una strofa ma è
implicito che anche le altre strofe si debbano cantare su modello della prima, similarmente al genere
della ballata. Tre laudi sono a voce sola senza accompagnamento; una lauda soltanto è a tre voci; le
altre sono a due voci. Nella lauda Lagrime amare l’autore scrive sul margine del foglio «o a solo o a
due come piace» dove l’indicazione «a solo» prevede l’esclusione dell’accompagnamento non inteso
come basso continuo ma come seconda voce. Il basso continuo infatti è da escludere nell’intera
raccolta e anche in alcune sonate per violino. La prassi è indicata dallo stesso Tartini in una lettera al
conte Francesco Algarotti dove riferisce di suonare tali sonate «senza bassetto».
Come le altre musiche sacre in latino di Tartini (Miserere e Salve regina), anche le Laudi (che sono
invece in lingua volgare) rispettano la comprensibilità del testo attraverso una precisa scansione
ritmica e collocazione delle sillabe. Il linguaggio musicale è semplice; si evitano effetti decorativi,
melismi e ricerche di contrasto; essenzialità e trasparenza suggeriscono uno spirito di
interiorizzazione, per non dire di ripiegamento in sé stesso dell’autore, caratteristiche che
suggeriscono una datazione delle laudi relativa all’ultimo periodo creativo del musicista, in linea con
la semplificazione dei mezzi espressivi e dello stile delle ultime opere.
L’articolo prosegue con i confronti musicali tra alcune laudi ed altre composizioni strumentali dello
stesso compositore.
L’autore del saggio individua una somiglianza dal punto di vista melodico tra il secondo movimento
(Cantabile) di una delle ultime sonate per violino e violoncello in re maggiore (B.D9) e la lauda
Voglio amar Gesù anch’io. Revoltella suggerisce che il carattere intimistico e assorto del testo poetico
dovrebbe ben ispirare il violinista per trovare l’affetto conveniente all’esecuzione del Cantabile della
sonata, limitandosi nell’aggiunta degli abbellimenti.
Tornando alle laudi, la tessitura delle voci non supera l’ottava, procedono per moto parallelo (in
genere a distanza di terza o sesta), con poche modulazioni e comunque ai toni vicini. Questa
semplicità stilistica fa supporre che le laudi fossero destinate a cantori non professionisti, a scopo
devozionale e di preghiera, in pieno rispetto di quello che era lo spirito originale della lauda, nata
negli ambienti degli ordini religiosi, opera di autori anonimi o semplici adattatori di melodie popolari.
Nella sua opera Trattato di musica1(di cui il Revoltella riporta il passo) Tartini manifesta profondo

1
TARTINI, Trattato di musica Padova 1754 p. 148
interesse e ammirazione per la musica popolare, di antica tradizione, in quanto molto seguita e
apprezzata dal popolo proprio per quella sua semplicità che la avvicina alla natura, ma non per questo
facile da trattarsi musicalmente. A testimonianza di questa vocazione popolare, l’autore del saggio
individua una somiglianza della linea melodica di una Cantione venetiana (di autore ignoto) per
violino solo e il secondo movimento (Allegro) della sonata V in la minore per violoncello e basso
continuo (B.a10), a sua volta riconoscibile nella Laude Infrangiti mio core a una sola voce.
La semplicità ricercata nelle laudi è testimoniata anche dalle numerose cancellazioni tramite segni
obliqui presenti in brutta copia, riscritture e raschiature. Da un’attenta osservazione si possono
ricostruire i vari passaggi, anche se non sempre con certezza totale. Nell’atto stesso di ricopiare,
Tartini compie delle modifiche estemporanee. Anche il procedimento letterario segue le orme della
trascrizione musicale: le parole sono poste soltanto sotto la parte della voce superiore (in virtù della
preponderante omoritmia delle voci) ma nella brutta copia si possono vedere numerose battute senza
parole nemmeno sotto la voce superiore.
E’evidente lo sforzo compositivo di avvicinare le voci tra loro con intervalli di terza o al massimo di
sesta, limitando l’estensione non oltre l’ottava. A questo proposito il saggio riporta nuovamente un
passo dal già citato Trattato di Tartini in cui l’autore si riallaccia alla concezione classica degli
“affetti”, secondo la quale la musica (ad imitazione della natura) può suscitare emozioni, per cui
ciascuna passione ha i suoi moti particolari ed un tono particolare di voce (l’allegrezza è dato dal
moto veloce e dal tono di voce intenso e acuto; la mestizia ha un moto lento e il tono di voce grave e
mesto). Sempre secondo il Tartini, le voci opposte (basso e soprano) contengono intrinsecamente i
moti sia della mestizia e dell’allegrezza e la loro unione nell’armonia produce un “affetto” verso l’una
o l’altra passione ma non potranno mai convenire alla produzione di un sentimento particolare. Ci
sarà dunque un moto dell’animo verso l’uno o l’altro sentimento ma mai una passione determinata.
Alma contrita fu la lauda creativamente più tormentata. A margine della musica Tartini scrisse la
famosa nota «impara Tartini», quale monito morale e religioso e segno di un periodo di profonda
riflessione personale. Cancellò dalla bella copia con segni obliqui l’intera laude e la ricompose dopo
aver rimaneggiato più volte la brutta copia anche nella parte testuale, dato che il suo inizio, per
distrazione, divenne Alma pentita.
Le laudi hanno contenuti di carattere penitenziale, ad eccezione di quattro di esse che hanno un
carattere più fiducioso e sono dedicate alla Madonna. L’autore del saggio passa in rassegna queste
ultime, non tanto per ragioni musicali quanto per una presumibile devozione mariana del compositore
sostenuta dal fatto che scrisse anche uno Stabat Mater e Salve Regina.

«IDDIO TI SALVI VERGINE BELLA»


Dal confronto con la brutta copia si evince che il compositore utilizzò le prime dieci battute della
prima versione di Alma contrita, adattandoci il testo e modificando alcune battute (la 5°,7°,8° e le
ultime due). Non si tratta dell’unico rimaneggiamento in quanto, sempre nella brutta copia, le battute
7 e 8 rifiutate furono riutilizzate per un’altra lauda, E m’ami ancora, scritta in seguito. Nel ricopiarla
Tartini aggiunse l’indicazione «non presto». Le prime due battute della parte superiore richiamano
tematicamente l’inizio del terzo movimento del Concerto per violino, archi e basso continuo in la
maggiore (B.D96). La lauda fu eseguita a Padova il 30 Maggio 1897 insieme ad altre quattro laudi
nella sala dei concerti della Cappella musicale del Santo. Qualche mese più tardi le suddette laudi
vennero pubblicate da Giovanni Tebaldini ne la “Gazzetta Musicale di Milano” definendole
«Canzoncine Sacre», sottolineandone in questo modo la differenza rispetto alle altre produzioni sacre.
Alla lauda Iddio ti salvi regina venne aggiunta un’armonizzazione da parte dell’organista e
compositore Oreste Ravanello (1871-1938). L’armonizzazione è a 4 parti e prevede il raddoppio della
voce superiore, l’aggiunta di numerose sincopi, la modifica dell’indicazione dinamica da «non
presto» a «moderato», l’omissione di numerose appoggiature, l’aggiunta di un pedale tonale e una
coda di tre battute per organo solo. Tutte queste modifiche tolgono molto slancio e rendono la lauda
eccessivamente “sentimentale”, snaturando l’originaria semplicità della musica di Tartini.
«VERGINE BELLA DEL CIEL REGINA»
Il primo verso di questa laude richiama chiaramente l’incipit della famosa canzone che conclude il
Canzoniere di F.Petrarca: «Vergine bella che di sol vestita».
Anche in questo caso è confermata l’elaborazione attenta della scrittura musicale suggerita dal
confronto con la brutta copia, che rivela la volontà da parte dell’autore di semplificare il linguaggio
musicale. Nella brutta copia vi è un cambio di tempo che poi viene eliminato; le prime due battute
vengono spostate verso l’acuto; il ritornello compare nella brutta copia in due versioni del tutto
differenti: la prima, in si bemolle minore, molto più elaborata, con preziosità armoniche, addirittura
con un intervallo di quinta trattato come una dissonanza ( con undicesima al basso); la seconda
versione in si bemolle maggiore risulta molto più semplice e sembra sia stata preferita dall’autore. La
prima versione infatti si presta più difficilmente all’adattamento testuale, aspetto invece che stava a
cuore al compositore poiché la comprensione delle parole era indispensabile per “andare direttamente
al cuore dei fedeli”. Inoltre la seconda versione è nella stessa tonalità, senza modulazioni, il ché
evitava possibili complicazioni all’esecutore. Sia pure in misura limitata, vi è la simbologia della nota
più acuta per le parole «ciel» e «sol», quindi con l’utilizzo dell’andamento melodico con funzione
descrittiva. Questa caratteristica sarà più evidente nella lauda che viene successivamente analizzata.

«DIO TI SALVI REGINA»


Sempre secondo l’autore del saggio, in questa laude è evidente il disegno ascendente della melodia,
associato al verso «per cui favor si sale». Si può facilmente riconoscere la nota antifona “Salve
Regina” volgarizzata, molto diffusa al tempo in varie versioni. Anche in questo caso le prime due
battute in brutta copia coincidono con un’altra laude Iddio ti salvi vergine bella. Nella bella copia
Tartini modificò la seconda battuta non solo per evitare due incipit equivalenti ma anche per meglio
adattare la collocazione delle sillabe del testo, come da sua premura.

«VERGINE BELLA E PIETOSA».


La redazione di questa lauda in fa maggiore per due voci tenori comprende una brutta ed una bella
copia quasi del tutto coincidente ma presenta cancellature alla fine della seconda e terza battuta. Il
secondo verso (Madre, figliuola e sposa) richiama nuovamente la canzone del Petrarca “Vergine bella
che di sol vestita”. L’utilizzo per ben cinque volte delle semicrome in levare e delle crome la rende
una composizione snella e vivace, quasi disinvolta.

A conclusione del saggio si riportano i giudizi di letterati quali Francesco Algarotti e Camillo Ugoni
che convergono nel considerare la produzione delle laudi tartiniane come il risultato di un lavoro
accurato e sofferto che rispecchia un mondo interiore di intensa ricerca, di concentrazione ed
essenzialità. Si termina quindi con le parole del compositore stesso:
…intendo benissimo la convenienza dell’adattazione delle nostre grazie musicali (leggi
abbellimenti, N.d.R.) a moltissime cantilene; ma delle stesse grazie musicali a tutte le
cantilene non la ho intesa. Son troppo persuaso, e convinto, che quando la cantilena fosse
veramente adattata alla passione espressa dalle parole, ciascuna cantilena dovrebbe aver i
suoi modi individui, e particolari di espressione, e in conseguenza il suo buon gusto.2

2
Ibidem, cit.,p.150

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