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CONTESTUALIZZAZIONE STORICA E DESCRIZIONE SINTETICA DELLA


SONATA OP. 101 E DEL SUO SIGNIFICATO
Nell’ottobre 1815 il fratello di Ludwig Van Beethoven, Carl, morì di tubercolosi. Il Compositore
fece di tutto per ottenere la tutela del nipote (Karl) ora orfano di padre escludendo del tutto la
cognata dal compito, poiché la giudicava inadeguata all’educazione del giovanotto. Ottenuto il
consenso del tribunale in dicembre, nel gennaio successivo Karl Van Beethoven entrò, iscritto dallo
zio, nell’istituto di Giannattasio del Rio. In questo periodo Beethoven lavorava al ciclo di lieder Die
ferne Gelibte, a un trio per pianoforte in Fa minore – mai portato a termine, doveva essere
dedicato ai figli della tanto cara contessa di Erdöny, che lasciava Vienna nel novembre 1815.

In questo contesto comincia la scrittura di una nuova Sonata per pianoforte in La maggiore,
contemporaneamente alla Sonata per violoncello e pianoforte in Do maggiore, pubblicata poi
sotto il numero di opera 102. Esiste un profondo parallelismo nel modello architettonico di queste
due Sonate, modello che non fu utilizzato per nessun altra opera ma possedeva elementi già
analoghi all’op 125.

Considerando l’intero l’iter compositivo beethoveniano, possiamo considerare questo momento


della vita del compositore come l’inizio del “terzo periodo” secondo la visione, ormai tradizionale
di Hans Von Bülow. La Sonata per pianoforte op 101 è sez’altro lo spartiacque fra queste due fasi.

Sebbene la profondità del significato e l'altezza del messaggio musicale non raggiungano ancora le
altezze metafisici delle Sonate successive (dalla op 106 in avanti), la riflessione sulla forma che
Beethoven mostra in questa Sonata è estremamente approfondita. Risulta di conseguenza
necessario l'impiego di criteri d'analisi ad hoc.

Come suggerisce Alfred Brendel:

<<Beethoven's late music involves a general expansion and synthesis of the means of
expression, whereby opposites are often juxtaposed, with every new complexity of style
seeming to parallel, as its antithesis, a childlike simplicity. Normal modes of analysis are
inadequate to grasp the tremendous richness of this idiom, which embraces equally the past,
present, and future, the sublime and the profane.1>>

Analisi generale della Sonata

L’approccio compositivo dell’ultimo Beethoven è volto alla costruzione e alla sperimentazione di


particolari ed inusitati modelli architettonici che soddisfino le sue nuove richieste espressive. La
tendenza generale nell’organizzazione formale macroscopica dei pezzi è quella di rimpiazzare le
forme simmetriche con climax centrale con delle strutture più progressive che spostano verso il
finale l’episodio culminante. E questo avviene sia all’interno dei pezzi della Sonata sia
nell’accostamento di questi ultimi in una sequenza sbilanciata verso il quarto movimento, ora il più
ricco pesante nella ponderazione dell’intero ciclo della sonata.

1
Alfred Brendel, Music Sounded Out, 1992, The Noonday Press, Farrar, Straus and Giroux, New York.
2

I quattro movimenti sono di carattere estremamente vario e differenziato; i due movimenti


portanti della sono il secondo (Lebhaft marschmittag) e il quarto (Allegro, Geschwinde, doch nicht
zu sehr, und mit Entschlossenheit) preceduti ciascuno da un movimento dalla funzione
introduttiva.

Beethoven impiega nuove tecniche di collegamento fra i movimenti della sonata. Come avviene
nella Sonata per Violoncello op 102 n°1, le citazioni e gli echi degli episodi lirici del primo
movimento assumono un’inusuale importanza, senz’altro più fondamentale dei riecheggiamenti
che furono sperimentati già quindici anni prima nella Sonata-fantasia op 27 n°1.2

Il primo movimento Allegretto ma non troppo è di una estrema tenerezza quasi unica nell’intero
lascito artistico di Beethoven; comincia in medias res sulla tonalità della dominante e procede,
sino alla fine con dolce lirismo, in un’atmosfera di quiete quasi imperturbata. La qualità sospesa ed
indecisa, di questa musica priva di appoggi è supportata dall’Esposizione sul tono della dominante
e dall’evitazione sistematica di cadenze forti alla tonica e funge da introduzione contrastante con il
secondo movimento, una marcia, brusca, e lunatica di incredibile complessità contrappuntistica e
armonica in Fa Maggiore.

Il terzo movimento (con l’indicazione Langsam und sehnsuchtsvoll), è una vera e propria
introduzione al movimento successivo, che ricorda, per il carattere sospeso e processionale, il
secondo tempo della Sonata op 51 Waldstein o, ancora, del quarto Concerto per Pianoforte op 58.
Qui il canto viene trascinato sempre più in basso, mediante una progressione di accordi di settime
diminuite, fino a collassare su un morbido accordo di Mi maggiore che si rivela la chiave di volta
per un nuovo inizio.

Figura 1

Si noti che nel secondo accordo è presente un Sol# in più che nel precedente, venendosi a formare
(evidenziato in rosso) una melodia di terza discendente, anticipazione del principale elemento
costruttivo del quarto movimento.

2
Nel quarto movimento, misure 256-264.
3

Oltre a rappresentare la fine della progressione discendente e la fine dell’Adagio, questi due
accordi incarnano la “condizione a priori” del Allegretto ma non troppo, dal momento che si
presentano con la stessa esatta sonorità e nel medesimo registro da cui è sgorgato il primo
movimento. Tenendo conto di ciò, l’apertura della Sonata in medias res assume un rinnovato, più
profondo significato, quasi una giustificazione della dominante, una rinascita dell’idea musicale3.
L’importanza del’accordo è confermata dall’insistenza su di esso e dalla conseguente
trasformazione, dopo un passaggio in stile di cadenza da Concerto [margine destro in fig. 1], nella
citazione letterale dell’inizio del primo movimento. La reminescenza dura poche battute e sfocia
nel determinato incipit del Finale, marcato da una forte cadenza in La maggiore, finora ascoltata
solo una volta in tutta la sonata (ossia alla fine della ricapitolazione nel primo movimento, si veda
il capitolo successivo).

Figura 2

Il finale (Allegro, Geschwinde, doch nicht zu sehr, und mit Entschlossenheit) è in forma di allegro di
Sonata, la cui Elaborazione è affidata ad un fugato. Mezzi contrappuntistici avevano già
caratterizzato il Lebahft Marschmäβig, specie nel trio e il loro impiego in questa fuga raggiunge
livelli di complessità e virtuosismo paragonabili solo al finale della Sonata successiva, la
Hammerklavier. L’op 101 è senz’altro una delle sonate più difficili da eseguire e Beethoven stesso
la descrisse come Eine die Schwer zu Exeguirende Sonate in A4, stessa definizione ironica della
Sinfonia n°7. Aggiunge dopo:

<< […] denn was schwer ist, ist auch schön, gut, groß etc, jeder Mensch sieht also ein, daß
diesdas fetteste Lob ist, was man <sagen>geben kann, denn das schwere macht schwizen>>5.

3
Procedimenti analoghi si hanno in moltissime composizioni degli ultimi anni di Beethoven. Bellissimo, per citare
un esempio con funzione analoghe tratto dal corpus delle Sonate, il Sol Maggiore a battuta 132, dopo l’Arioso
dolente, perdendo le forze dell’op 110. Forse ancora più forte dell’op 101, questo accordo è una rivolta contro la
morte imminente presagita dall’arioso, ancor più che una riconferma del materiale musicale (sebbene il soggetto
della fuga non tarda a ringorgare dalla nuova tonalità così presentata).
4 Lettera 1061.
5 Ibidem. Traduzione: ma ciò che è difficile è anche bello, buono, grandioso, ecc… da questo tutti realizzeranno

che questo è il complimento più generoso che si possa porgere, poiché ciò che è complesso e difficile ci
addolcisce.
4

Le indcazioni di tempo e carattere di questa Sonata sono scritte in Tedesco così come nella op 90.
È dedicata a Dorothea Von Ertmann, un’allieva di Beethoven, a sua volta pianista straordinaria. Il
carattere del primo movimento giustificherebbe il destinatario della dedica, con la quale il
compositore aveva un rapporto intimo ed affettuoso.

L’op 101 riscosse l’interesse di molti compositori romantici. Fra i molti, Mendelssohn la imita nella
sua Sonata op. 66, Schumann ne adorò il secondo movimento e Wagner trasse dal primo
movimento la sua idea di “melodia infinita” (vedi capitolo seguente).

La sfida di questa Sonata non è costituita solo dalla complessità dei movimenti, ma, soprattutto
nella delicata sequenza dell’intero ciclo. Accostamenti di umori così diversi (specie nel quarto
movimento) sono regolati da una complessa rete di relazioni tonali e tematiche senza vere e
proprie rotture nella forma di allegro di Sonata ma come una serie di momenti di progressiva
trasformazione.

Oggetto della mia analisi sarà il primo movimento, Etwas lebhaft und mit der innigsten
Empfindung, brano per il quale quest’ultima considerazione è perfettamente calzante.

6
William Kinderman, Beethoven, 1995, Oxford University Press.
5

INTRODUZIONE ALL’ANALISI
Il primo movimento è un brano in forma di allegro di Sonata7. Nei pezzi delle Sonate di Beethoven
composte sinora, composti in questa forma, il rapporto dialettico tra i due temi è stato il principio
compositivo fondamentale: i due gruppi tematici determinano, infatti, la presenza di due
“caratteri” ben definiti e distinguibili, dal cui rapporto si sviluppa il brano. Spesso questo rapporto
è di contrasto, sia sul piano dell’“atmosfera affettiva” sia (naturalmente i due fattori sono
strettamente connessi) per quanto riguarda i principi compositivi utilizzati. Quando non in
contrasto diretto, i due gruppi tematici rappresentano comunque due personalità differenti e,
nonostante possano basarsi su motivi compositivi simili, la varietà viene sempre garantita. Questa
varietà “superficiale” si fa carico di quella varietà di significato che è in fondo la bellezza della
forma di allegro di Sonata: il contrasto o la contraddizione tra due “affetti” ben distinti più o meno
chiaramente enunciati, si risolve alla fine infine, solo attraverso un elaborato gioco di confronto
retorico, sfociando nel tanto desiderato ritorno del primo tema e nell’ancor più “riequilibrante”
secondo tema riproposto nel tono d’impianto.

Nell’Allegretto che ci apprestiamo ad analizzare non avviene nulla, o quasi, di tutto ciò: all’ascolto
è quasi impossibile percepire un qualsivoglia cambio di umore tra primo e secondo tema. Gli stessi
temi non emergono dal tessuto musicale in modo particolarmente evidente e nessuno dei due ha
carattere affermativo. L’intero pezzo si percepisce come un’omogenea durch-zusammensetzung,
in cui le divergenze affettive sono appianate in un liquido fluire melodico. Questa omogeneità
soccorre al fine di Beethoven di creare un primo movimento che preludiasse al secondo senza
sminuirne la quantità d’informazione espressa ma che, nel contempo, preservasse la sua
importanza semantica e emozionale nell’architettura totale della Sonata. inoltre, sempre in virtù
della forte omogeneità d’atmosfera del movimento, Beethoven è in grado di rievocare l’intera
gamma di sfumature presenti in esso citandone solamente quattro battute (immediatamente
prima del quarto movimento).

La preziosità di questo Allegretto ma non troppo, sta proprio in questo: la convivenza, quasi
paradossale, di una microstruttura estremamente particolareggiata e ricca di raffinatezze
compositive con una fluidità e una scorrevolezza preludiante che permettono, comunque, la
percezione immediata della macrostruttura (forma dell’allegro di Sonata) all’insegna di una
semplicità d’ascolto piuttosto rare in Beethoven. Questo risultato viene raggiunto attraverso una
gestione a dir poco magistrale di materiali musicali differenti. Ogni “novità” sul piano motivico e
melodico è in qualche modo predetta o prevedibile e ogni frase (spesso di lunghezza o
organizzazione irregolare) sfocia nella seguente pur mantenendo una sua coerenza interna. In
altre parole, la melodia è uno sviluppo continuo che pare quasi rompere il rapporto gerarchico-
insiemistico tipico della canonica organizzazione formale. Non stupisce sapere che questo
movimento era il prediletto da Wagner, il precursore per eccellenza della “melodia infinita”,
nell’ambito dell’intero corpus delle Sonate per Pianoforte8.

7
Si veda Analysis of form in Beethoven's sonatas (1901) di Henry Alfred Harding
8
Cfr. Andràs Schiff, alle conferenze presso la Wigmore Hall, 2006.
6

Questo processo di “dissoluzione” formale e retorica operato da Beethoven non stravolge


comunque l’architettura dell’allegro di Sonata. Ora però è difficile comprendere se l’impiego di
questa forma sia effettivamente necessario ai fini di un equilibrio strutturale globale o se il
compositore se ne serva come un modello oramai appartenente ad una tradizione ben consolidata
ma quasi esautorata di significato espressivo. Ma forse sta proprio in questo la grandezza del
movimento: un equilibrio perfetto tra invenzione melodica libera e strutturazione formale, tutto
sommato, rigida.

L’ordine con cui si susseguono le sezioni in cui si articola il brano9, rispetta, come già sottolineato,
piuttosto fedelmente lo schema dell’allegro di Sonata sebbene le proporzioni fra di esse e il loro
trattamento nella gestione tematica risultino inusuali. Ancor meno “classici” sono i collegamenti
tra le varie sezioni: nessuna di esse è effettivamente “compiuta” in sé ma, al contrario, sfocia nella
successiva senza particolari stacchi o cambi d’umore. Più specificamente10, nei finali di sezione non
si ha la condensazione dell’intero compositivo, ma solo di uno o alcuni dei suoi molteplici aspetti: i
parametri compositivi non si rifanno ad un solo principio dialettico ma seguono direzioni quasi
autonome. Ad esempio, se una sezione – qui in senso molto lato – ha raggiunto la simmetria sul
piano dell’articolazione fraseologica, armonicamente non si ha raggiunto un grado-cardine,
oppure la dinamica è in una fase di instabilità, e così via. Viceversa, punti di culmine dinamici
(fortissimi o armonici) si trovano spesso in luoghi non strutturalmente cruciali. Quando invece una
sezione sembra chiaramente seguire una direzione in tutti i suoi parametri, ecco che Beethoven la
contraddice completamente quando raggiunge la chiusa, la quale a sua volta – come accennato
sopra – funge già da incipit della successiva.

Sempre in linea con questa destabilizzazione costruttiva si osserva come ad una ritmica
decisamente uniforme si accosti una continua oscillazione dinamico-armonica e come al
complicarsi dell’una corrisponda un graduale semplificarsi dell’altra. Altra interessante
constatazione è come con l’aumento della complessità polifonica e in rapporto si instauri una
dinamica “piana” e viceversa.

Scopo della tesina

In questa tesina ci apprestiamo ad analizzare nel dettaglio tutte le casistiche qui solamente
accennate. Noteremo quanto ognuno dei principi obbedisca all’idea fondamentale del
dislocamento degli eventi musicali rispetto alla forma ed alla disseminazione di eventi dotati di una
certa rilevanza o particolarità in punti poco “strategici” (dal punto di vista formale). In altri termini,
il modello formale a cui Beethoven si rifà regola solo la disposizione del materiale melodico, ma ad
essa non obbediscono gli itineres percorsi dagli altri parametri compositivi.

Scopo di questa tesina è mostrare come attraverso questo complessa tecnica di indebolimento
formale, Beethoven conferisca al pezzo quel carattere di scorrevole semplicità che più gli

9 La divisione in sezioni proposta nel prossimo capitolo è simile a quella proposta da A. Harding (vedi nota 7) e se
ne discosta solo per quanto riguarda il punto di inizio della ripresa.
10 Il seguente procedimento ricorda vagamente lo stile del primo Bartók (armonizzazioni di melodie tradizionali,

Mikrokosmos I-III, Children’s Pieces I-II, ecc…)


7

funzionale per l’architettura globale dell’opera 101. Attraverso il dislocamento degli eventi il
compositore di Bonn stempera il dualismo retorico che ha sinora caratterizzato i suoi movimenti in
questa forma e come, ma, contemporaneamente, mantiene intatta l’ossatura dell’allegro di
Sonata con tutti i suoi vantaggi.

Parametri tenuti in considerazione

Per semplificare l’esposizione, conviene elencare i parametri compositivi presi in considerazione.


Ognuno di essi possiede una scala ordinata di valori:

 DINAMICA: in questa sonata lo spettro della dinamica è completo, dal pp (battuta 34-41) al
ff (86)
 AMPIEZZA, ossia l’intervallo compreso fra la nota più alta e la nota più bassa suonate
simultaneamente. Nell’ultimo Beethoven questo parametro possiede una rilevanza da non
sottovalutare: oltre che all’ampiezza di per sé sarebbe opportuno notare il vuoto che
intercorre fra le due masse accordali suonate dalla mano sinistra (al basso) e destra
(all’alto).
 DISSONANZA: la maggiore o minore durezza della disposizione simultanea di voci, ossia la
compresenza di più o meno intervalli dissonanti fra note. Ad esempio, gli accordi con cui
l’Allegretto ha inizio e fine sono i più consonanti del brano, mentre il secondo accordo di
battuta 85 è il più “dissonante”.
 TONALITÀ: ossia la distanza delle tonalità toccate dalla tonalità d’impianto. Ai fini della
analisi è utile tener conto anche di modulazioni transitorie, tonalità introdotte da
dominanti secondarie e progressioni.
 RITMO ARMONICO: rapporto tra il numero di accordi reali (quindi escludendo armonie di
volta e di passaggio) e il metro ritmico (semiminima puntata = tre ottavi). In questo brano
si va da un minimo di 1 armonia su 9 metri (battute 32-36) ad un massimo di 2 armonie per
unità di tempo.
 NUMERO DELLE VOCI SIMULTANEE, in questo brano, da una (battuta 16 e altre) a nove
(battuta 85).

Naturalmente esistono alcuni parallelismi fra parametri diversi livelli, presenti con valori analoghi, che il
nostro orecchio (o il Compositore) trova spontaneamente; è naturale, ad esempio, che a maggiore
ampiezza si tenda ad associare una dinamica spostata verso il f, o che maggior numero di voci la mente
aumenti la percezione dell’intensità, e così via …

Osservazioni preliminari sui due temi

Come già accennato in questa introduzione, i due temi sono legati da una parentela affettiva di
fondo e hanno perso la loro funzione di eroici e duellanti protagonisti della composizione. Hanno,
di conseguenza dimensioni notevolmente ridotte e poggiano su una esigua gamma di materiali
motivici e ritmici. Per la lunghezza paiono (soprattutto il secondo) quasi due soggetti di fuga, ma
privi di quel carattere “lapidario” che in genere possiede il Soggetto vero e proprio. Viene favorita,
grazie ad un’altissima economia del materiale musicale, la spontaneità melodica (da cui la
predilezione per il grado congiunto e le molte note di passaggio) e l’omogeneità ritmica. Nel
8

capitolo successivo si osserveranno più dettagliatamente le numerose analogie costruttive tra i


due temi.

È opportuno a questo punto procedere ad una analisi dettagliata del pezzo, senza dilungarci sulle
molte e meravigliose raffinatezze compositive, ma sottolineando, ove non appesantisca
eccessivamente l’esposizione, i mezzi impiegati per quello “stemperamento” drammatico di cui si
parlava in precedenza e approfondendo l’analisi degli snodi tra sezioni.

La divisione in paragrafi segue la tradizionale suddivisione della forma dell’allegro di Sonata, simile
a quella proposta dal su citato Harding.
9

ESPOSIZIONE
[1-4] Primo Tema
Figura 3

A B 1

Di brevissima durata, il Primo Tema [fig. 3] è una frase11 binaria aperta, con una melodia molto
semplice ed una netta prevalenza di gradi congiunti. La scrittura, come lungo l’intero corso del
pezzo, è visibilmente contrappuntistica. Netta è anche la suddivisione fraseologica interna: due
semifrasi A e B alle quali segue la giustapposizione di una codetta (1).

Pur nel loro piccolo, A e B sono semifrasi contrastanti: A insiste su un solo accordo (quello del V
grado del tono d’impianto) e B ha un ritmo armonico triplo il profilo melodico di A è
approssimativamente ascendente mentre quello di B discendente12, la tessitura delle parti di A è
basata sul moto contrario mentre quella di B sul moto retto, infine le dinamiche di A seguono il
profilo melodico (crescendo quando la melodia sale e viceversa) mentre B ne è indifferente
(sonorità piano). Le due semifrasi hanno in realtà la stessa esatta lunghezza di 3 movimenti e
costituiscono una coppia simmetrica e positiva13. Il materiale motivico di A, in ogni caso, subisce
elaborazioni più di frequente ne corso del brano rispetto a quello di B, in quanto possiede una
maggiore carica espressiva e fattori di maggiore interesse melodico.

Non solo ogni suddivisione del pezzo in questione si manifesta come la più spontanea
continuazione della precedente, ma persino l’incipit del brano si rifiuta di essere affermativo:
innanzitutto il p presente in questa edizione (Peters) non proviene dall’autografo, che è, al
contrario, privo di contestualizzazione dinamica. È un crescendo dal niente, o, come osserva anche
Andràs Schiff nelle sue ricerche14, che sembra quasi provenire dalla conclusione della Sonata
precedente. Non solo il clima emotivo con cui si apre la sonata op 101 è analogo al clima con cui la
op 90 si chiude, ma anche la tonalità d’inizio (mi maggiore) è la stessa.

11
Il fatto che il tema sia una frase e non un periodo si vedrà più avanti; il lettore tenga a mente questo elemento
di grande importanza.
12 Osservando più attentamente, noteremo che (ad esclusione del LA in levare) il profilo melodico delle due

semifrasi è perfettamente speculare.


13 Le due semifrasi possiedono il semplice significato di coppia domanda+risposta (dovuto, ovviamente, al

rapporto di quinta che sussiste fra le armonie principali relative a ciascuna delle due), tuttavia fortemente
indebolito dalla cellula 1 (vedi più avanti).
14Cfr. di Andràs Schiff e Meyer Martin: Le sonate per pianoforte di Beethoven e il loro significato, 2012, Il

Saggiatore.
10

Il primo tema è scritto, appunto, nella tonalità della dominante procedendo, sin dalla prima
misura, in un’area di ambiguità tonale che caratterizza (quasi) l’intero pezzo. Armonicamente il
tema è fondamentalmente costruito sul quinto grado del tono d’impianto. Il processo di
posticipazione della risoluzione, in questo caso, addirittura di affermazione della tonalità di
impianto, comincia già nella seconda battuta con una cadenza d’inganno, contraddicendo
l’anticipazione della nota la, che chiuderebbe “canonicamente” la linea melodica di A in posizione
di ottava dell’accordo di tonica. L’enfasi apparentemente esagerata posta su una comune cadenza
ad inganno trova la sua giustificazione nel fatto che la prima cadenza perfetta V-I in La maggiore si
trova a battuta 79 (ossia al termine della ripresa!).

Combinando invece l’osservazione sulla gestione dinamica-melodica in rapporto a quella


armonica, già dal primo tema si può osservare il procedimento di appianamento gerarchico
operato mediante una compensazione parametrica, in questo caso molto semplice: in B il ritmo
armonico è triplo rispetto ad A, così, per evitare che B destabilizzi la prima frase risultando più
dinamico (in senso lato) del suo antecedente, ecco che Beethoven compensa la “staticità”
armonica di A intervenendo su altri parametri: l’ampiezza è maggiore che in B e la dinamica è
lievemente oscillante mentre in B è ferma.

Il primo movimento della Sonata è ricchissimo di procedimenti simili al precedente, tutti volti, sin
dalle primissime battute, a volatilizzare l’appiglio a classici principi compositivi (come la cadenza
sospesa a metà periodo a cui corrisponde una cadenza perfetta, ecc…) cui l’ascoltatore medio è
avvezzo.

Il secondo movimento della seconda misura della seconda semifrase, è in effetti una cellula
motivica a se stante (d’ora in avanti la chiameremo “1”), ed ha grande importanza nel corso del
movimento e nel corso dell’intera Sonata: dopo la cadenza solistica alla fine del terzo movimento,
su di esso si frammenta la narrazione musicale, fino ad interrompersi completamente e a fluire in
tre trilli prima del quarto movimento. Possiede inoltre grande rilevanza armonica, fattore che
influisce sulla percezione a posteriori del tema: il passaggio I64-V rappresenterebbe la fine di una
frase in cadenza sospesa, lasciando presagire una risoluzione immediata (dal momento che il tema
è appena concluso) una cadenza perfetta sulla tonica alla fine della corrispondente semifrase a
fine periodo. Ciò è contraddetto in entrambi i casi (si veda il prossimo paragrafo). La
riproposizione (non letterale) immediatamente successiva di A sempre sull’accordo di dominate,
genera una sincope armonica D-D, che è il primo autentico evento di rottura - dovrebbe essere
attentamente preso in considerazione dall’interprete.

[5-16] Secondo Episodio (Ponte Modulante)


Il Ponte Modulante è un periodo binario irregolare in Mi maggiore (tono della dominante),
sebbene non vi sia alcuna conferma diretta della tonalità, ma solo le sue alterazioni e una discreta
insistenza sul relativo V grado.

Come appena affermato, il Ponte Modulante comincia in sincope armonica con il tema. Essa
fornisce un primo esempio (già a battuta 5!), di quanto si diceva nel capitolo introduttivo a
11

proposito delle chiuse delle sezioni: la presenza della sincope modifica a posteriori la percezione
della prima frase: già instabile, essa perde la prima occasione di affermazione tonale e con essa il
tema è privato di quella autosufficienza che, generalmente, dovrebbe caratterizzarlo.

Riflessione posteriore sul Primo Tema

Tuttavia resta da spiegare perché la sezione del tema sia stata fatta terminare solo dopo due
semifrasi e non, come più logico, attendendo la conferma della tonalità a fine periodo. La risposta
è semplice: questa conferma non avrà mai luogo. Il primo periodo è binario e negativo, e sembra
seguire (fino a battuta 6) lo schema più tipico e semplice della costruzione del tema: una semifrase
con un’idea primaria, sviluppata nella sua risposta di eguali proporzioni, la terza semifrase che
riprende, non letteralmente la prima (che dovrebbe esser conclusa nella quarta semifrase). La
quarta semifrase, però, prende completamente un’altra direzione, assecondando l’invenzione
melodica (materiale di A, ossia grado congiunto ascendente) senza rispetto per l’equilibrio
formale. Termina sull’accordo di V del relativo minore di Mi maggiore. Il periodo è dunque
armonicamente negativo e non può, fatto in questo modo, essere un tema nella sua interezza.
L’autosufficienza è compromessa e il primo tema è così calato nello scorrere melodico che quasi
non pare non necessario parlare di “tema” in questo caso: se sia la frase di domanda che quella di
risposta consegnano a ciò che segue un significato portato a termine, è ancora opportuno
ricorrere alla terminologia sonatistica per descrivere un periodo o una frase siffatti? A sostegno
della risposta negativa c’è il fatto che nella ripresa, esso è quasi completamente assente. Sarebbe
addirittura lecito interpretare il primo periodo (tema+prima fase del Ponte) come una pura
introduzione a battuta 9, dove, per giunta, la ritmica è la stessa del secondo tema.

Ciò che conta, tuttavia, ai fini della nostra analisi è quel “dislocamento di eventi” annunciato
nell’introduzione attuato sin da ora da Beethoven: il tema è racchiuso in un’unità formale di
maggior ampiezza e, né al suo termine, né alla fine del periodo vi sono segnali tipici della
conclusione di sezione. Al contrario, questo si trova a battuta 6 (ritardando con corona), però,
compensato dal parametro dell’armonia (una semplicissima modulazione cromatica senza la
benché minima conferma cadenzale) e dalla posizione nell’articolazione fraseologica.

Seconda metà del Ponte

Sul levare di 9 l’armonia è già molto distante dalla tonalità d’impianto. La tensione tonale ha già
raggiunto un picco, rispecchiato dal mf.

[10-16] Sul battere di 10 abbiamo il primo punto culminante del brano. Le sette battute che
seguono (a mio parere fraseggiabili come [3+3]+1) 15 si sviluppano attorno all’armonia di
dominante della dominante (ci aspettiamo che il secondo tema sia in Mi maggiore). Il materiale

15
La ritmica e il profilo melodico di 9-10 sono analoghi a quelli di 12-13; lo stesso vale se confrontiamo 11 con
14: la ritmica è leggermente diversa (ma il pattern di 14 è una semplice variazione di quello di 11) ma il profilo
melodico e i collegamenti armonici sono equivalenti. Mi pare dunque opportuno considerare 9-11 la prima
semifrase ternaria (2+1) e 12-14 come la seconda semifrase ternaria simmetrica (sempre 2+1). La battuta 15,
invece, costituisce un eccezione sotto tutti i punti di vista presi in considerazione poco fa e rende l’intera frase di
sette battute a-simmetrica.
12

melodico inserito è in parte nuovo, sebbene si percepisca come una continuazione molto fluida di
tutto il resto. Nonostante l’apparente spontaneità, la melodia attua un meticoloso gioco di
richiami e anticipi, rendendo sempre più vaghi gli elementi già ascoltati, e, contemporaneamente
mettendo in luce sempre più nitidamente le caratteristiche del secondo tema in procinto di
comparire.

Ancora una volta l’azione si divide su due parametri diversi: la melodia percorre profili che
richiamano in maniera sempre meno letterale, quello di B e di A16, mentre la ritmica e la
successione di modi di attacco al tasto assumono una conformazione sempre più simile a quella
del secondo tema. In sequenza si ha:

(battute 9-10) (battute 12-13) (battute 14, 16, ecc…)

Questo a dimostrazione di quanto riesca ad appianare l’affermazione del secondo tema e a


ridurne le differenze, sempre nell’ottica della globale liquefazione semantica. L’unico elemento del
secondo tema di effettiva differenziazione dal resto della tessitura del brano viene dunque già
preannunciato cancellandone così la novità.

A conclusione dell’analisi del Ponte modulante, è interessante notare che sia all’inizio (battuta 9)
che alla fine di questa interessantissima frase, Beethoven utilizza una cadenza ad inganno,
rispettivamente: V-VI di do#-minore (in realtà si tratta di movimenti contrappuntistici, ma il sapore
dell’inganno si percepisce comunque) e V-VI di mi-Maggiore. Dunque tre cadenze ad inganno in 15
battute - un numero abbastanza considerevole, motivato dalla qualità “dinamica”, di spinta in
avanti che questa cadenza armonica possiede. Ancora una volta, infine, la sezione non si conclude
con l’affermazione della tonalità (Mi maggiore), il che ne svilisce il senso di compiutezza ed
autosufficienza.

16
A battuta 11, il tetracordo discendente è quello di B trasportato una quinta sopra mentre la seconda volta, alla
battuta corrispondente (14) esso è sfumato dall’impiego di una ritmica diversa.
13

Secondo tema [16-25]


Infatti, come conseguenza del tutto naturale del Ponte modulante, è presentato il secondo tema.
La sua costruzione formale si basa sull’impiego di tre semplici formule melodiche.

 2 - Derivata dalla prima terzina di battuta 14 (ove era stata enunciata per
moto contrario);

 3 - Con un fraseggio nuovo (tre ottavi legati a cavallo di battuta) ma un


profilo melodico che ricorda quello di 1.

 4 – ritmica delle voci superiori di A e B qui distribuita tra basso e accordi.

A
B

Figura 4

Il secondo tema [fig. 4] è un periodo, come il precedente, irregolare: una prima frase ternaria
regolare (C, misure 16-18) con semifrasi della durata di sei ottavi, seguita da una seconda frase
ternaria (D, misure 18-25) di proporzioni doppie, ovvero con semifrasi della lunghezza di due
battute, di cui la terza è ampliata per lasciar spazio alla cadenza su Mi maggiore.

In C viene si impiega il solo frammento melodico 2, per moto retto e contrario, mentre in D
troviamo l’alternanza di 3 e 4.

La melodia di C è armonicamente molto instabile, denso ed incalzante: ogni inciso è infatti


costruito su una dominante o sensibile secondaria fino a raggiungere il V app64 sul battere di battuta
18. Il frammento melodico pare quasi un soggetto di fuga per brevità e caratterizzazione. La sua
14

caratteristica più peculiare è la serie di attacchi al tasto ma, come già osservato, essa è in realtà
preannunciata nel Ponte Modulante. Questo fatto fa sì che, persa la novità, il “soggetto” non si
esprima più lapidariamente come avviene nelle fughe, ma risulti, come si è detto poco fa, la
continuazione più naturale di ciò che lo precedeva. Ecco un altro esempio del procedimento di
dislocamento degli eventi musicali che, negando al secondo soggetto la proprietà di “espositore”
di una novità tematica, favorisce lo scorrere in avanti del brano e ben si allinea con la tendenza a
quel durch-komponiert, tipico dell’intero brano. Il secondo tema descrive, in altre parole, affetti
analoghi al primo.

D è una frase molto più bizzarra. Essa è costituita dalla giustapposizione di tre moduli analoghi,
con armonia pendolare di dominante e tonica, dove le prime due cadenza sono imperfette (V 2-I6)
mentre la terza, che chiude l’Esposizione, è perfetta. Beethoven –come d'altronde aveva già fatto
a battuta 4 - spegne la carica tensiva del I64, che l’ascoltatore medio percepisce come segnale di
preannuncio della cadenza sulla tonica in stato fondamentale risolvendo il doppio ritardo su una
settima in terzo rivolto che risolve, invece sul primo grado in primo rivolto. Egli reitera questa
delusione dell’aspettativa dell’ascoltatore accostando tre cellule analoghe. L’espansione della
terza semifrase va inquadrata e giustificata in quest’ottica di esasperazione della tensione
armonico-tonale. Di contro, la tensione strutturale è quasi nulla.

Si noti la compensazione parametrica attuata anche in questo caso tra le due frasi del secondo
tema: l’armonia in C è molto tesa, cambia ogni semiminima puntata e procede per rapporti di
quinta mentre in d è statica e pendolare ed ha un andamento a-ritmico. Al contrario, la dinamica è
statica in C e fortemente oscillante in D, dove i crescendi non trovano sfogo se non alla fine (data
la presenza del p subito).

Alla fine del secondo tema il brano cadenza sulla dominante del tono d’impianto, come da
manuale. Questo è il primo ed unico punto di snodo strutturale trattato “canonicamente” (ad
eccezione della ripresa), dal momento che si è raggiunto un vero punto culminante dopo di ben 23
battute.

Code dell’Esposizione [25-33]


Le code dell’Esposizione, che già di norma possiedono una funzione distensiva17, in questo brano
stemperano completamente la tensione creatasi con il secondo tema. Quest’ultimo era infatti
caratterizzato da un andamento più vario, da un numero maggiore di cambi di testura18, cambi di
ritmo armonico e da un’oscillazione dinamica molto evidente. Questi fattori interrompono il
placido fluire degli eventi e producono un notevole squilibrio strutturale ed una tensione verso
l’avvenire che trova generalmente la sua risoluzione durante (o con) la fase di ricapitolazione. Tra
l’altro, queste caratteristiche sono più tipiche di una fase di transizione più che di una sezione di
esposizione tematica, il che è una prova a favore della defunzionalizzazione strutturale delle
sezioni dell’allegro di Sonata. Tuttavia in questo brano, dove l’equilibrio e l’omogeneità
rappresentano l’assoluta premura del compositore, la tensione accumulata si dissolve subito nelle

17
Cfr. Rosen, La forme sonata.
18
Traslitterazione del termine inglese “texture”.
15

code dell’Esposizione. A questo scopo Beethoven propone una fase di “riposo” armonico-melodico
con un trattamento dei parametri compositivi diametralmente opposto al secondo tema.

Osserviamo dunque la gestione parametrica di Beethoven nella Coda, finalizza, ricordiamo, allo
stemperamento della tensione, al recupero della costanza ritmico-testurale e alla affermazione
finalmente definitiva, del mi maggiore, tonalità sinora solo desiderata e transitoria.

Armonicamente, ed è questo il fattore di maggior importanza, ci troviamo in un’atmosfera di


gradevole monotonia, essendo impiegati solo le armonie del primo e del quinto grado di Mi. Il
pedale della seconda frase contribuisce ancor più all’effetto di staticità armonica desiderato.

La dinamica è assolutamente piatta, in p.

Interessante è la gestione della ritmica, grazie alla quale la manovra distensiva è assai facilitata.
Nella prima semifrase viene impiegata la ritmica caratteristica di 4 (tratta da B), che evidenzia il
battere e la caduta sulla tonica con un effetto fortemente staticizzante.

Sul pedale di tonica, invece, l’interesse armonico melodico è


praticamente nullo, dunque occorre una ritmica che, pur nella sua
regolarità e semplicità, ravvivi l’interesse dell’ascoltatore. Si spiega
così l’uso della sincope [fig. 5]. Inoltre, grazie ad essa, si riesce a
preservare una maggiore delicatezza e ad evitare un appoggio
eccessivo sul battere che rischierebbe indubbiamente di appesantire
il dolce fluire che si va nuovamente profilandosi in questa Coda.
Figura 5

Quanto all’organizzazione fraseologica, in quest’ultima sezione all’ascoltatore è finalmente


concessa la simmetria. La Coda consiste, infatti, di due frasi binarie regolari di quattro battute, di
cui:

 la prima è ottenuta per giustapposizione di due semifrasi melodicamente analoghe


(praticamente identiche, con la parte della mano destra trasposta un’ottava più in alto e
leggermente variata). Il materiale motivico utilizzato proviene dal materiale del gruppo del
primo tema; più precisamente, la melodia al basso è un aggravamento di 1;
 la seconda, è costruita, come si accennava poco fa, su un pedale di tonica. Il materiale
melodico è ancora tratto dal primo tema poiché il tetracordo ionico discendente che
conclude l’Esposizione, è lo stesso di B. In ogni caso, la testura19 accordale della coda,
specie nella seconda semifrase, indebolisce la percezione melodica agevolando, al
contrario, la sensazione di stabilità del Mi maggiore come tonica.

Considerazioni finali sull’Esposizione

Al termine dell’Esposizione dell’Allegretto ma non troppo, l’ascoltatore non può certamente avere
la tipica sensazione di fine-Esposizione sonatistica di compiutezza e di chiara comprensione dei
due temi-protagonisti della vicenda musicale. I due temi non sono, infatti sufficientemente

19
Traslitterazione del termine inglese “texture”.
16

caratterizzati e contrastanti perché una tale percezione avvenga. Certamente i segnali tipici del
finale di sezione ci sono e sono ben intendibili ma, dopo che si realizza la transizione da una fase
del discorso alla seguente, ciò che resta alla memoria dell’ascoltatore non è che una sola
atmosfera esplicata in tre fasi ben distinguibili ma molto contigue (Primo Tema + Ponte
Modulante; Secondo Tema; Code). L’effetto, per proporre una metafora, è quello di un duo di
cantanti con la stessa voce. La dialettica interna non segue in nessun modo un procedimento di
tipo “argomentativo” rimandabile all’arte oratoria classica.

Al contrario, ci troviamo nel dominio del durch-komponiert, dove sezioni adiacenti bilanciano ogni
tipo di tensione compositiva senza alcun accumulo tensivo, cioè senza lasciar presagire alcuna
risoluzione alla fase di ricapitolazione.
17

ELABORAZIONE
Alla fine dell’Esposizione il brano ha raggiunto un momento di tenera tranquillità non ancora
provata. A battuta 33, continuando con il ritmo sincopato del Pedale, la massa accordale si
concentra20, la sonorità è delicatissima, quasi volatile21. L’accordo diventa un bicordo pianissimo
(la delicatezza è eterea a questo punto) che introduce una citazione tematica in mi maggiore alla
mano sinistra.

L’Elaborazione è relativamente breve e si divide in tre parti: nella prima, A, il soggetto, viene
citato nelle tonalità della dominante e della dominante del sesto grado, nella seconda, la più
“beethoveniana” viene elaborata la coda di A con altri elementi di varia provenienza fino al
culmine, sulla tonalità della dominante di do# minore (dunque un tono lontano) e infine, nella
terza una progressione ci porta a La minore, dove viene citato nuovamente A.

Nella prima frase l’atmosfera è delicatissima e sospesa. Il modo in cui Beethoven ottiene un simile
effetto è semplicemente magistrale e si basa sulla copresenza di più piani ritmici differenti: le parti
di soprano e contralto dell’esposizione di A sono riproposte un’ottava sotto (alle posizioni
equivalenti al tenore e al basso), la prima fedelmente e la seconda semplificata in modo che sia
comunque percepita la ritmica caratteristica (con l’appoggio sul secondo ottavo). La semifrase è
tuttavia allungata di battuta, in cui e l’ascoltatore comincia a perdere la cognizione narrativa e
l’appiglio fraseologico “regolare” e “canonico” a cui prima si era abituato. Armonicamente avviene
qualcosa di insolito: l’apposizione della sesta al bicordo sol#-si produce un accordo di settima di
seconda specie in primo rivolto che l’orecchio non riesce a contestualizzare fino al cambio di modo
e alla risoluzione V-I nella tonalità di fa# minore. Il cambio di modo è ottenuto alterando la prima
nota della melodia di A contestualizzandolo nel tono del VI grado rispetto al tono d’impianto 22.

Inizia così un periodo musicale in pieno stile beethoveniano, cioè basato su una riduzione
progressiva ed incalzante dei frammenti musicali, che conduce ad un climax, vedre,p, molto
particolare. Il materiale che Beethoven utilizza è quello di A, la prima volta trasportato per intero,
poi, alternando le dinamiche f e p, solo la seconda metà, in fa#- minore, poi in Re maggiore, quindi
in si minore, poi (con un altro cambio di modo, questa volta della triade della dominante di si),
slacciandosi quasi del tutto dalla fonte tematica, sulla dominante di do# minore, su cui si ferma
con una corona. L’accordo (nella dinamica di p subito) rappresenta il punto culminante
dell’elaborazione, tant’è che l’ascoltatore medio avrebbe buona ragione per aspettarsi il ritorno

20
A partire da questa sonata (si vedano soprattutto il secondo e il movimento), notiamo l’affermarsi di un topos
beethoveniano, utilizzato fino alla op 111, di incredibile efficacia e di estrema modernità: mano destra e sinistra
molto lontane tra loro che suonano massicci accordi, spesso fortemente dissonanti. Il “vuoto” fra le due mani
crea un effetto particolarissimo, che diventa magico quando viene poi “ricolmato”.
21 Si passa, senza preavviso da accordi a 6 voci su un doppio pedale di tonica, con un ultimo accordo contenente

ben 4 fondamentali, ad un accordo a 5 voci con una sola fondamentale, seguito poi da un bicordo di terza e
quinta dell’accordo di tonica. L’appoggio al suolo è compromesso sebbene alcuni interpreti, che a mio parere si
sbagliano in questo caso, usano il pedale di destra!
22Canonicamente dal tono del VI grado uno sviluppo procederebbe percorrendo rapporti di 5° sino a raggiungere

il tono della dominante. Beethoven, dopo l’ennesima “licenza”, agisce in questo modo, ma concentra questo
procedimento solo nell’ultima battuta dello Sviluppo.
18

del primo tema. Ciò non avviene. Tutt’altro, segue, quasi si trascina, un’altra frase concentrata e
ricca di tensioni: una progressione dalla testura strettamente accordale23 ci porta ad una cadenza
(V65) – V del La maggiore, tonalità d’impianto. Ma neppure ora torniamo a casa! In genere,
secondo lo schema “accademico” della forma-sonata, l’arrivo al grado della dominante coincide
con il culmine della tensione armonica, formale, e dinamica dell’Elaborazione. Qui invece si trova
sul tempo debole della battuta, segue un’appoggiatura ed è in piano come. Si percepisce come
conseguenza assai debole di una progressione, al contrario, carica di tensioni armoniche anche
superiori, la quale, seguiva a sua volta un punto culminante. Come risultato, l’evento inaspettato
della citazione di A in la minore, sembra quasi una coincidenza “fluida” della progressione. Una
sensazione di sorprendente “ripresa” (ma non del solito “appagamento”) si ha invece appena
dopo (battuta 58), quando si ritorna a Mi maggiore sullo stesso frammento melodico.

A questo punto vale la pena soffermarsi sull’analisi di alcune particolari scelte armonico-tonali del
compositore a mio parere fondamentali per l’efficacia dell’intero movimento (oltre che
bellissime).

Quando a battuta 38 si era raggiunto il tono di fa# minore, VI grado di La, si aveva l’impressione di
proseguire secondo un “normale” schema si successioni tonali che coinvolgono i gradi preparatori
alla dominante, reale bersaglio dell’Elaborazione. Ritroviamo questi gradi nella successione più
logica fino a battuta 49. A questo punto è un cambio di modo (triade maggiore minore di fa#) a
decidere le sorti dell’Elaborazione: da dominante del secondo grado (del tono d’impianto) a
sottodominante del tono del terzo grado. Questo viene raggiunto, ma la risoluzione non è affatto
bilanciata con la preparazione (una cadenza imperfetta V65-I della durata di un ottavo, sul tempo
debole non è certamente appagante). Sbilanciata è pure la chiusa a Mi maggiore che avviene sì
secondo uno schema di intensificazione della tensione armonica ma formalmente inadeguato a
saziare il desiderio e le aspettative generate sino a quel momento. Queste scelte si mostrano,
ancora una volta, miranti alla “delusione” delle aspettative, alla soppressione di una schietta e
“classica” risoluzione, sempre a vantaggio di una generale indecisione fin quasi di uno
smarrimento della via che preluderebbe a Wagner.

Reputo dunque necessario collocare l’inizio della Ricapitolazione a battuta 58, quanto il soggetto
iniziale passa in Mi maggiore. Le altre motivazioni che hanno motivato questa scelta - contraria
alla visione di Harding, motivata dal fatto che la melodia sia effettivamente citata – sono la quasi
totale esattezza della citazione (trasportata un’ottava sopra) contro la complicazione
contrappuntistica che caratterizza al contrario la ripresentazione in la minore, l’espansione della
semifrase (da binaria a ternaria) in la minore che aveva invece determinato l’inizio dello Sviluppo,

23
Le linee melodiche sono poco interessanti e quelle ricavabili mediante un’evidenziazione “artificiosa”
(nell’interpretazione di Gilels, ad esempio, emerge piuttosto chiaramente la voce del contralto) sono a mio
parere troppo ardite e inutili all’architettura progressiva del brano. Dopo un insistenza persino ossessiva sulle
ultime quattro note di A, mi pare lecito supporre, che Beethoven abbia stanziato due battute e mezzo di totale
assenza di melodica in favore di una concentrazione totale sul movimento armonico. Da qui il molto espressivo
che, nell’ultimo Beethoven indica aree quasi decontestualizzabili dall’articolazione fraseologica circostante.
19

e infine la coerenza del percorso armonico che viene a determinarsi24, che crea quasi una seconda
“piccola elaborazione” che punta alla direzione “giusta” dopo un primo sviluppo che ha puntato,
come mostrato dal culmine di battuta 52, alla direzione “sbagliata” e senza futuro.

Un ultimo dettaglio da sottolineare in questo sviluppo è la magistrale gestione degli schemi ritmici
presentati nell’Esposizione, ora sovrapposti. Essa un procedimento così riassumibile: somma-
complicazione-sottrazione-semplificazione-ritorno al soggetto - già di per sé dialettica.

Questi sono i quattro moduli fondamentali (tutti della durata di tre ottavi):

 X: proveniente dal Primo Tema;

 Y: dal controcanto (contralto) sempre nel Primo Tema;

 Z: dalla prima frase del secondo Tema(C);

 T: dal pedale di tonica sincopato delle battute 25-33.

Provenendo dall’Esposizione si ha ….T/T+X+Y/T/T+X+Y/T/T+X+Y (7 battute) /T (=lo sf in


levare)+X+Z/X+Z*(si percepisce dallo staccato)/corona/X (progressione)/X+Y (citazione in la
minore)/ ripresa (X+Y).

Ciò contribuisce a garantire quella fluidità e quella continuità che sinora non è mai mancata,
nonostante la complessità del brano.

Considerazioni conclusive sull’Elaborazione

A differenza dell’Esposizione, la presente sezione possiede una dialettica interna molto forte che
tuttavia non segue le leggi classiche di incremento e distensione della tensione.

Dall’analisi della gestione e della sovrapposizione delle ritmiche si osserva come l’arrivo del tema
sia facilitato e predetto sul piano ritmico. Come già era avvenuto nell’esposizione del Secondo
Tema, l’arrivo del tema non costituisce alcuna “novità”: coerentemente con la
defunzionalizzazione strutturale oramai assodata per questo brano, la riproposizione del tema non
rappresenta alcuno sfogo, ma, al contrario uno sfociare che elimina la tensione, non assecondando
l’aspettativa dell’ascoltatore. Non sottolineerò mai a sufficienza l’importanza, l’esemplarità e la

24
In mi maggiore, sia ha, da battuta 52, (V65)-VI/VI-IV6/IV6-V65/appV65-V65-V65-I/(V7)-IVarm/idem/idem (VII65)-
VII7/I.
20

genialità di questa fase di transizione dall’Elaborazione alla Ricapitolazione: Beethoven riesce a


superare il procedimento, oramai noto e quasi “scontato” che vorrebbe uno “sfogo”tensivo nel
tema e crea al contrario, un rifluire in un’atmosfera già nota.
21

RIPRESA
La ripresa comincia (come precedentemente accennato) con la ripresentazione di A nella
medesima tonalità dell’Esposizione. A questo punto Beethoven attua una elisione completa di B e
delle battute 5,6,7,8 del Ponte Modulante e raccorda l’elemento A con la ripresa di battuta 9 e
seguenti (precisamente l’ultimo quarto puntato di 8) nel tono d’impianto. Di qui in avanti la ripresa
procede senza eccezioni dalla forma canonica fino alla coda.

Si noti tuttavia che la prima Tonica in stato fondamentale dell’intero brano autenticamente
raggiunta si trova a battuta 77.

Considerazioni generali

Data l’instabilità armonica dell’Esposizione e la scarsa capacità conclusiva del pedale di tonica della
Coda dell’Esposizione, la ripresa non può chiudere il brano ed un’ulteriore coda, di proporzioni
adeguate, è assolutamente necessaria. Naturalmente si approda alla Coda senza soluzione di
continuità: quest’ultima sezione appare nuovamente, la continuazione più naturale e spontanea
della precedente.
22

CODA
La fluidità della transizione dalla Ripresa alla coda è ottenuta (così come per il passaggio da
Esposizione a Elaborazione) tramite il mantenimento del ritmo sincopato e della testura accordale
fino ad un prossimo evento di cambiamento testurale. Se a battuta 33 gli accordi si “alleggerivano”
sino a due sole note simultanee, ora (battuta 85) le voci sono addirittura 9! Troviamo un fulmineo
crescendo che porta in soli quattro accordi all’unico ff dell’intero brano. L’innalzamento della
tensione è assolutamente (volutamente) sproporzionato. Il fine è quello di lasciar presagire altri
sviluppi futuri che possano ri-equilibrare questo inaspettato e isterico cambio d’umore.

Seguono infatti due “eco” dinamico-armoniche di questa impennata a battute 85-87, una a
battute 93-94, e l’altra nelle ultime 2 battute dell’Allegretto.

La dinamica è regolarmente oscillante: scema fino a 92 (si noti l’impiego dei sedicesimi, gli unici
due dell’intero movimento, come “smorzatori”), risale fino a 94 (questi quattro accordi sono una
risposta ai precedenti, una sorta di eco con un crescendo di netto meno incisivo), poi diminuisce
(da 96 a 99) e cresce fino a battuta 102, in p subito, dove, con un ritardo 7-8 e ritmica piana
conclude il primo movimento della sonata, naturalmente in la maggiore. Il materiale tematico
impiegato in questa coda proviene principalmente dal secondo soggetto della cui inversione c’è un
Stretto nel ritardando conclusivo.

Considerazioni generali sulla Coda:

Nonostante la necessità strutturale della coda, l’umore in essa descritto è sempre lo stesso. La
genialità di questa coda sta nell’equilibrio tra la progressiva rarefazione del tessuto musicale (che
incrementa l’effetto conclusivo) e la preservazione di un tactus armonico e di una cadenza ritmica
piuttosto costanti (per garantire fino alla fine l’omogeneità del brano).

Il vero indizio di una imminente conclusione si ha nelle pause di battute 96 e 97, dove è ripreso,
tra l’altro, l’elemento dell’accordo sincopato, contraddetto dal ritorno del secondo tema a battuta
98. Anche in questo caso, perciò, un equilibrio perfetto tra pulsione fluidità d’ascolto e
solidificazione strofica. La scelta dell’approfondimento del materiale di C ben si accorda con la
necessità di rendere l’insieme sempre più rarefatto ed etereo.
23

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLA FORMA


Come si è visto, la forma dell’allegro di Sonata è trattata con un certo margine di licenza sebbene il
suo scheletro sia ben chiaro. Non è certo in ciò che si rivela la grandezza di questo brano. Al
contrario i tre grandi colpi di genio su cui l’analisi ha insistito sono:
 Lo svincolamento delle varie sezioni dal loro compito architettonico (defunzionalizzazione
strutturale): Beethoven lascia che la melodia si esprima su tutto l’arco del pezzo in una
continua elaborazione e non lascia solo alle fasi tematiche il compito di esporre nuovi
elementi musicali e parti melodiche da rielaborare.
 Il rapporto tra armonia e forma: in questo brano l’ambiguità tonale è ai massimi livelli (c’è
solo una cadenza alla tonica ad esclusione di quella conclusiva) e, ciò nonostante, non si
avverte mai quell’ansia di risoluzione tipica di Schumann, ma, al contrario, pare sempre di
trovarsi in un ambito tonale vicino e familiare. Inoltre i punti di tensione culminante (ad
esempio, la fine del Ponte Modulante o l’inizio della Coda finale) non sono mai sulla
tonalità della dominante che invece sembra aver perso quasi del tutto (tranne nelle
rarissime fasi di cadenza alla tonica) la sua naturale tensione verso il la maggiore.
 La fluidità della struttura: nonostante la chiarezza formale sia percepibile ad ogni
ascoltatore medio, non si avverte un’organizzazione schematica altrettanto forte. I cambi
di umore sono minimi (si è sottolineata spesso la grande omogeneità caratteriale di questa
sonata) e le transizioni da una sezione all’altra straordinariamente fluide (in relazione alla
defunzionalizzazione strutturale, poiché ogni nuovo elemento è o anticipato attraverso
un’introduzione diretta o lasciato intuire all’ascoltatore). Una conseguenza di questo
fenomeno è lo scostamento dei punti culminanti dalla loro posizione più “tipica”. Il culmine
del Ponte Modulante, ad esempio, non è prima della ricapitolazione che invece deve
attendere ancora molta altra musica prima della sua venuta; ancora, il culmine della
dinamica e della dissonanza del brano non precede nessun elemento tematicamente
significante ed è collocato nel mezzo della Coda.
Riassumendo, questo movimento è solo mascherato dalla Forma Sonata, ma possiede
un’organizzazione ben diversa. In altre parole, l’esigenza espressiva di Beethoven segue tutt’altre
leggi che quelle della forma-sonata classica.
Ora però resta un grande interrogativo in sospeso: la forma risultante dell’Etwas lebhaft und mit
der innigsten Empfindung risponde in pieno alle esigenze espressive del compositore oppure
mostra l’impiego artificioso di una forma già esistente leggermente adattata all’esigenza specifica?
In altre parole, non si riesce a comprendere se la struttura della forma-sonata stia costituendo un
vincolo al desiderio compositivo dell’ultimo Beethoven o se sia effettivamente il risultato di
quest’ultimo. Mi parrebbe addirittura lecito supporre che il modello formale qui impiegato sia solo
un’etichetta in linea con una tradizione che, nel 1816 poteva già essere considerata tale. Sebbene
non sia piegata completamente all’arbitrio compositivo né tanto meno stravolta dalla fantasia
creativa del compositore, non sia un’applicazione di maniera. Forse, già a partire dall’opera 101, la
forma sonata, esautorata dello spessore espressivo del Classicismo, mostra già quei segni di
corrosione che il primo ‘900 ha messo chiaramente in luce.
24

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ESSENZIALI

Charles Rosen, Le Forme Sonata, 2001 EDT;

William E. Caplin, Classical Form: A Theory of Formal Functions for the Instrumental Music of
Haydn, Mozart, and Beethoven, 1998, Oxford University Press;

Alfred Brendel, Music Sounded Out, 1992, The Noonday Press, Farrar, Straus and Giroux, New
York;

William Kinderman, Beethoven, 1995, Oxford University Press;

Andràs Schiff e Meyer Martin: Le sonate per pianoforte di Beethoven e il loro significato, 2012, Il
Saggiatore;

Analysis of form in Beethoven's sonatas, 1901

https://www.youtube.com/watch?v=H0ugMzl8uew (Andras Schiff, Lecture-concerts)


http://www.lvbeethoven.it/Breviario_Beethoveniano/Breviario_Beethoveniano04.html
http://www.raptusassociation.org/indexg.html
Estratti della partitura tratti da: Beethoven Sonaten für Klavier zu zwei Händen, Bd.2, Leipzig: C.F.
Peters;
Partitura consultata: Beethoven: Klaviersonaten, Band II, Urtext Henle Verlag.

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