Sei sulla pagina 1di 10

ANALISI DELLA SONATA N.5 OP.

24 “LA PRIMAVERA” IN FA
MAGGIORE DI L. V. BEETHOVEN
A cura di Arturo Susani

“La primavera”, come fu denominata probabilmente dall’editore Mollo, è senza dubbio una delle
sonate per pianoforte e violino più popolari nel corpus beethoveniano, e anzi il primo tema del
primo movimento è probabilmente uno dei più famosi della storia della musica.
Inizialmente pubblicata nell’op. 23 insieme alla sonata n. 4, fu ripubblicata da sola sotto il numero
d’opera 24 dallo stesso Beethoven, che forse ne aveva intuito l’importanza sia per il suo carattere
che per le innovazioni sulla parte violinistica.
Nonostante questa rettifica sulla pubblicazione da parte di Beethoven, molti critici, compreso il
grande violinista ungherese Szigeti, ritenevano che questa sonata fosse inseparabile dalla
precedente, con “la primavera”, così cantabile e spensierata, volta a intervenire per liberare la
tensione creata dalla sonata n. 4, più aspra e irregolare.
La sonata, in fa maggiore, si sviluppa in quattro movimenti, novità nelle sonate di Beethoven per
questo organico.

I MOVIMENTO: Allegro

Spesso Beethoven ci ha abituati a temi più motivici che melodici, a brevi motti ricorrenti e variati
nel corso della composizione (come nella stessa sonata n. 4), dimostrando di non avere eguali nel
trattare in questo modo il materiale compositivo. In questo movimento no. In questo movimento
troviamo Beethoven in veste di straordinario melodista, con il primo tema (questa volta è legittimo
dire primo tema e non necessariamente primo gruppo tematico) che è un trionfo di lirismo e
cantabilità. Questa splendida melodia è costituita da due semifrasi, una di quattro e una di sei
battute e, in ossequio alla sua natura lirica, essa viene completamente conclusa prima che il lavoro
proceda. In un primo momento, essa è affidata interamente al violino, con il pianoforte che
accompagna con un semplicissimo basso albertino, che insieme a elementi quali le appoggiature di
battuta 9 conferisce un carattere molto classico a questa sezione. Successivamente i ruoli si
invertono, con la melodia che viene ripresentata al pianoforte, ornamentata da figurazioni tipiche
dello strumento, e il violino che esegue il basso albertino. Segue una serie di codette alla dominante
su un pedale di do, che sfociano in una decisa cadenza di do maggiore. La struttura è, quindi, molto
semplice e anche armonicamente lo sviluppo della frase è assolutamente elegante: I grado, VI, II, V
con la settima che risolve su un primo rivolto del I e cadenza perfetta sul primo. Solo nelle codette
troviamo delle figurazioni armoniche leggermente più complesse, con la cadenza finale che arriva
dopo una settima di sensibile costruita sul pedale della sua tonica e dove la sensibile si presenta solo
nell’ultimo ottavo.
La chiusa corta dell’ultima nota di questo primo tema e i due quarti di pausa successivi (che
ricordano una grosse pause orchestrale) separano nettamente questa sezione dalla successiva.
Il ponte modulante si apre con un mi bemolle in fortissimo a cui segue una figurazione ritmico
melodica simile alle quartine iniziali in senso discendente, la quale può essere sia interpretata nel
modo minore della tonalità d’impianto, sia alla sua relativa maggiore, ossia la bemolle maggiore.
Proprio nel momento in cui sembra che essa si stia confermando in fa minore, al posto del fa
troviamo un fa diesis, sensibile di una dominante secondaria della dominante della dominante. Qui
troviamo una figurazione del violino, seguita da un arpeggio ascendente del piano, che si presenta
prima sulla triade di re, dominante di sol e poi una quarta sopra su sol dominante di do minore, su
cui ci si riposa molto poco perché troviamo una settima di sensibile di sol arpeggiata dal violino. Da
qui una scala cromatica discendente e due battute chiaramente in sol che introducono il secondo
gruppo tematico, impostato in do maggiore.
Anche il primo tema del secondo gruppo tematico è inizialmente affidato esclusivamente al violino,
col pianoforte che esegue dei corposi arpeggi a sei voci in crescendo che culminano in un
beethoveniano sforzato piano alla dominante di do. Il tema del violino è molto semplice: dei sol
sforzati (da interpretare come quinta della triade di do) a cui segue un arpeggio discendente di sol
con la settima. Questa idea la troviamo ripetuta due volte prima del secondo tema del secondo
gruppo tematico, che per la prima volta introduce le sonorità del modo minore, anche se comunque
la cadenza che chiude il tema è in modo maggiore. Stavolta c’è, tra i due strumenti, un dialogo
basato sul reciproco rimbalzarsi di una cellula motivica costituita da due semicrome e sei crome
ribattute.
Da qui parte una variazione dell’intero secondo gruppo tematico, che sostanzialmente consiste in
un’inversione di ruoli tra i due strumenti, nonostante sia introdotta anche variazione nell’armonia,
come a battuta 58, dove la figurazione, finora sempre presentata in maggiore, si trova in minore.
Segue una serie di codette, prima affidate al violino e poi al piano, costituite da figurazioni di
semicrome ascendenti e discendenti che muovono per grado congiunto. L’esposizione è chiusa da
una breve coda di sette battute, in cui il basso scende cromaticamente da do a fa e in cui troviamo
un fraseggio piuttosto particolare: Beethoven, infatti, segna uno sforzato sulla seconda nota della
legatura, invertendo quella che sarebbe la normale prassi, ossia la prima nota più accentata e la
seconda sfumata.

Se all’inizio dell’esposizione abbiamo visto il Beethoven melodista, all’inizio dello sviluppo lo


vediamo trattare lo stesso materiale in modo motivico: le quartine di semicrome di battuta 1 sono
ora proposte estrapolate dal contesto melodico, in la maggiore, per modulare e scendere di registro.
Si percepisce chiaramente che la maggiore non sarà la tonalità dello sviluppo e che andrà a risolvere
da qualche altra parte, con la sua naturale risoluzione che sarebbe re. Ma qui Beethoven sfrutta una
battuta in cui entrambi gli strumenti eseguono quattro la staccati in crescendo, del valore di una
semiminima ciascuno, che permettono alla nota, spogliata della sua armonia, di essere interpretata
come sensibile di si bemolle, sottodominante, su cui è riproposto il primo tema del secondo gruppo
tematico variato. Vorrei soffermarmi un attimo su questa battuta di ottave vuote, perché in essa
possiamo sentire molto chiaramente quello che sarà non solo uno degli elementi motivici principali
ma addirittura la prima battuta del concerto per violino op. 61 che Beethoven comporrà nel 1806.

Sonata op. 24 n.5

Concerto op. 61
Il primo tema del secondo gruppo tematico è riproposto esattamente come la seconda volta che
esso è presentato nell’esposizione, ma trasposto in si bemolle maggiore prima, in si bemolle minore
poi. A un certo punto, tuttavia, subentra una variazione: la prima semifrase dell’inciso (gli sforzati
con l’arpeggio ascendente staccato) diventa un arpeggio discendente legato del pianoforte
accompagnato da terzine del violino, le quali passano poi al pianoforte in occasione della seconda
semifrase.

È da notare come con la variazione cambi anche la relazione armonica tra le due semifrasi:
inizialmente l’arpeggio di risposta è la dominante dell’arpeggio iniziale, mentre successivamente
esso è dominante secondaria della dominante dell’arpeggio iniziale. Questo permette alla
figurazione di modulare scendendo per quarte: da si bemolle a fa, poi a do e a sol.
A questo punto un’altra dominante secondaria ci porta in re minore fino a un’interessantissima
sezione sulla sua dominante, la maggiore. Il carattere di questa sezione contrasta molto col resto
della composizione: troviamo un trillo scritto per esteso eseguito prima dal pianoforte nel registro
più grave che Beethoven avesse a disposizione e poi dal violino nel registro medio alto. La dinamica
è nel piano, e aiuta a conferire un senso di cupezza e di mistero. La tensione e il mistero aumentano
quando il trillo è eseguito all’unisono dalle due mani del pianoforte e dal violino, prima in crescendo
e poi in diminuendo, ma tutta la tensione si scioglie col meraviglioso ritorno del tema iniziale in fa
maggiore, stavolta affidato prima al pianoforte e poi al violino, che avvia la ripresa.
II MOVIMENTO: Adagio molto espressivo

Il secondo movimento, in si bemolle maggiore, è in continuità con le componenti cantabili e idilliche


del movimento precedente. Anche qui, per favorire la liricità, il tema iniziale è interamente concluso,
in un primo momento dal pianoforte e poi dal violino, prima che la composizione prosegua. Attorno
a questo tema iniziale, variato sia con ornamentazioni tipiche dello strumento sia armonicamente,
si sviluppa sostanzialmente tutto il brano.
Tra queste variazioni, una è particolarmente interessante: il violino esegue il tema apparentemente
in si bemolle minore, con un semplice cambio di modo, mentre in realtà dopo due battute modula
a sol bemolle maggiore, tonalità molto lontana dal fa maggiore d’impianto della sonata.

Sul finale di movimento, non si può non notare la citazione letteraria del primo tema del primo
movimento, a sottolineare la continuità e l’indivisibilità di questi primi due tempi.
III MOVIMENTO: Scherzo

Lo scherzo di questa sonata, che ritorna in fa maggiore, indicato Allegro molto, nonostante la sua
breve durata incarna alla perfezione le caratteristiche umoristiche e brillanti tipiche della forma:
lungo tutto il corso dello scherzo, Beethoven sembra ironizzare sul fatto che gli esecutori non siano
in grado di suonare insieme, con gli ingressi di violino e piano sfasati addirittura di un quarto.

Anche il trio ha un carattere molto brillante, ed è costituito quasi interamente da scale ascendenti
e discendenti di crome staccate.

IV MOVIMENTO: Rondò

Il finale, Allegro ma non troppo, è costruito sul collaudatissimo modello classico del rondò sonata
viennese.
Il tema iniziale ricorda molto da vicino quello del rondò della sonata op. 22 n. 11 per pianoforte,
pubblicata pochi anni prima:
Sonata op. 24 n. 5

Sonata op. 22 n. 11

Questo rondò presenta, nella sua sezione centrale, una delle figurazioni più esigenti tecnicamente
per il violino di tutta la sonata: delle terzine molto brillanti che accompagnano la melodia in cui è
molto difficile mantenere un suono pulito e un tempo regolare.

Potrebbero piacerti anche