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MUSICA/REALTÀ
2010/03
93
INTERVENTI
SAGGI
33 Hugues Dufourt
La dimensione produttiva dell’intensità e del timbro e la loro
integrazione al sistema degli “elementi portatori di forma”
49 Franco Fabbri
Il plurale di “musica”
67 Alessandra Vaccarone
La figura femminile nella Vienna di inizio secolo nella musica,
nella letteratura e nelle arti figurative
95 Alessandra Pagan
Realtà discografiche indipendenti italiane: la Caligola Records
Ubi “majors” minor non cessat
DOCUMENTI
DOCUMENTI /RILETTURE
di Raffaele Di Mauro
1
Canzone napoletana è, secondo noi, semplicemente qualsiasi breve composi-
zione fatta di testo in dialetto napoletano e musica. Questa definizione generale
può abbracciare manifestazioni musicali assai diverse che coprono un lungo arco
temporale: si va dalle villanelle cinquecentesche (ovviamente solo quelle in dia-
letto) a quelle che chiameremo canzoni napoletane classiche, dalle arie in napole-
tano tratte dall’opera buffa settecentesca alle canzoni più moderne fatte su ritmi
dub o posse (Almamegretta, 99 Posse), rap (‘A famiglia, Co’ Sang) o rock (A 67).
Quando parleremo di canzone napoletana classica ci riferiremo invece a un periodo
preciso della canzone napoletana e cioè dal 1880 fino alla fine degli anni Cinquanta
del Novecento.
2
Roberto De Simone, Disordinata storia della canzone napoletana, Valentino
Editore, Napoli 1994, p. 7. La prima edizione di questo saggio è R. De Simone,
“Appunti per una disordinata storia della canzone napoletana”, Culture Musicali,
II, 3 (1983), pp. 3-40.
3
Pasquale Scialò, La canzone napoletana dalle origini ai giorni nostri, Newton
Compton, Roma 1995, p. 12.
4
Vittorio Paliotti, Storia della canzone napoletana, Newton Compton, Roma
1992 (1ª ediz. Milano, Ricordi, 1958).
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 135
5
Piero Elia, La canzone napoletana, P.A.I.S., Roma 1954.
6
Federico Petriccione, Piccola storia della canzone napoletana, Messaggerie
musicali, Milano 1959.
7
Pietro Gargano & Gianni Cesarini, La canzone napoletana, Rizzoli, Milano
1984.
8
Carmelo Pittari, La storia della canzone napoletana. Dalle origini all’epoca
d’oro, Baldini Castaldi Dalai editore, Milano 2004.
9
Giovanni Amedeo, Canzoni e popolo a Napoli dal ‘400 al ‘900, Grimaldi & C.
editori, Napoli 2005.
10
Antonio Grano, Trattato di sociologia della canzone classica napoletana, Pal-
ladino Editore, Campobasso 2004.
11
Sebastiano Di Massa, La canzone napoletana e i suoi rapporti col canto popo-
lare, Editrice Rispoli Anonima, Napoli 1939. Questo testo fu in seguito ripubblicato
con alcune modifiche e aggiunte: cfr. Sebastiano Di Massa, Storia della canzone
napoletana, Fausto Fiorentino, Napoli 1961.
12
Cfr. Cesare Caravaglios, Il folklore musicale in Italia, Editrice Rispoli Ano-
nima, Napoli, 1936, pp. 87-106.
136 Raffaele Di Mauro
13
Ci riferiamo agli studi dedicati a brani come ‘O guarracino (R. De Simone, La
tarantella napoletana ne le due anime del Guarracino, Edizioni di Gabriele e Maria-
teresa Benincasa, Roma 1992; Pasquale Scialò, “Il processo del guarracino, meta-
morfosi di un canto marinaro”, in P. Scialò, Storie di musiche, a cura di Carla Conti,
Guida editore, Napoli 2010, pp. 29-58) o da chi scrive a Fenesta che lucive (Raffaele
Di Mauro, “Il caso Fenesta che lucive: enigma 'quasi' risolto”, in Enrico Careri &
Pasquale Scialò (a cura di), Studi sulla canzone napoletana classica, LIM, Lucca
2008, pp. 195-240). De Simone si è anche soffermato su una lettura diversa, nella
chiave magico-rituale dei segni, del testo di un brano di origine popolare divenuto
poi un “classico” della canzone napoletana e cioè Michelemmà: cfr. R. De Simone,
La tradizione in Campania (libro allegato al cofanetto contenente 7 microsolchi),
Emi-La Voce del Padrone, Milano 1978, p. 44 (questo lavoro è stato pubblicato
anche senza dischi: R. De Simone, Canti e tradizioni popolari in Campania, Lato
Side, Roma 1979).
14
Per evitare le confusioni terminologiche a cui il termine popolare spesso
induce, soprattutto in Italia. Cfr. Franco Fabbri, Il suono in cui viviamo, Arcana,
Roma 2002 (2ª edizione), pp. 11-12, oppure Giorgio Adamo, “Introduzione”, in G.
Adamo (a cura di), Il canto popolare nel Lazio, Squilibri, Roma 2003, pp. 7-8.
15
Cfr. Jean Molino, “Che cos’è l’oralità musicale”, in Enciclopedia della Musica,
vol. VII, Einaudi-Il Sole 24 ore, Milano 2006, p. 382.
16
Diego Carpitella, Musica e tradizione orale, Flaccovio, Palermo 1973, p. 53.
Su questa distinzione vedere anche Giorgio Adamo, “L’indagine etnomusicolo-
gica come studio dell’identità in musica”, Studi Musicali, anno XXVIII (1999), n. 1,
pp. 296-97.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 137
20
Di questo brano conosciuto come ’E spingule frangese è possibile ascoltarne
due versioni “tradizionali”: una registrata a Frasso Telesino nel 1978 e pubblicata in
Sergio De Gregorio (a cura di), Musiche e canti popolari della Campania vol.1,
(disco con opuscolo allegato), Albatros, VPA 8439 e l’altra indicata col titolo Tam-
murriata di Pimonte in R. De Simone, La tradizione in Campania, microsolco n. 5,
facciata A, brano n.3.
21
S. Di Massa, La canzone napoletana e i suoi rapporti col canto popolare.
22
La fronna è un’espressione musicale tipica ed esclusiva della Campania. Si
tratta di una particolare forma di canto eseguito a distesa, senza accompagna-
mento strumentale, le cui tematiche si riferiscono in genere all’amore, al sesso e
alla morte. Spesso veniva adoperata anche come forma di comunicazione con i car-
cerati. Dal punto di vista strettamente musicale essa è costituita solitamente da due
frasi melodiche (struttura bipartita AB, a volte ripetuta ABA'B) di cui la prima
attacca in genere sul quinto grado e termina con una cadenza intermedia sul terzo
grado, invece la seconda attacca di solito sempre sul quinto grado per terminare
però con una cadenza finale sul primo grado. Il profilo melodico, assai melismatico,
è essenzialmente discendente e si muove su una scala di 5-6 suoni sul modo minore
oppure, raramente, si raggiunge l’ambitus di un’ottava su una scala maggiore col
caratteristico quarto grado aumentato. Dal punto di vista testuale tipico è l’uso di
vari stereotipi iniziali, tutti metricamente equivalenti (quinari), che hanno il preci-
puo scopo di preparare rime o assonanze: fronna ‘e limone (da cui il nome), ’o mare
e arena, anella anella, albero ‘e noce ecc.
23
Il canto a figliola è anch’esso un particolare tipo di canto campano, eseguito
senza accompagnamento strumentale e legato principalmente al culto della
Madonna di Montevergine (detta anche Madonna nera o Mamma schiavona). La
denominazione a figliola è proprio in riferimento alla Madonna (quella di Monte-
vergine ma anche la Madonna di Castello, di Somma Vesuviana) in onore della
quale viene intonato questo tipo di canto. Dal punto di vista musicale molte sono le
somiglianze con le fronne (attacco sul quinto grado, profilo melodico discendente,
ambitus di 5-6 suoni, quarto grado aumentato) ma numerose sono anche le diffe-
renze: il canto a figliola ha generalmente una struttura monostica (una sola frase
melodica A, che può essere ripetuta con variazioni AA'), invece che bipartita, con
cadenze tutte sul primo grado, ed è generalmente sillabico non melismatico. Ciò
che altresì differenzia in modo inequivocabile il canto a figliola dalla fronna è la
presenza del coro nella cadenza finale: tale cadenza è intonata (con il solista che dà
l’attacco) su vari stereotipi, anche qui tutti metricamente equivalenti (senari), tra i
quali ricordiamo ’a ‘figliola (da cui il nome), ’a majesta soia, ’a Mamma Schiavona,
aggio ritto buono ecc.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 139
24
La voce di questua (o voce d’a cerca) in Campania è legata principalmente alla
festa della Madonna dell’Arco quando, nel momento immediatamente precedente
il lunedì in Albis, le paranze vanno in giro appunto per la questua o cerca. Consiste
in una particolare forma vocale, senza accompagnamento strumentale, assai simile
stilisticamente alle fronne e ai canti a figliola (attacco sul quinto grado, ambitus
melodico di 5-6 suoni, quarto grado aumentato), ma caratterizzata da una diversa
struttura melodica (ABCC'D) e dal tipico stereotipo iniziale chi è devoto. Voci di
questua sono riscontrabili anche nella raccolta delle offerte per “altre” Madonne o
Santi: ad esempio per la Madonna del Carmine, per S. Anna o per San Gennaro.
140 Raffaele Di Mauro
25
Diego Carpitella, Conversazioni sulla musica. Lezioni, conferenze, trasmis-
sioni radiofoniche 1955-1990, Ponte alle Grazie, Firenze 1992, pag. 59.
26
Sugli aspetti totalmente differenti della vocalità tradizionale rispetto a quella
colta vedere anche Giorgio Adamo, “Il suono nella tradizione orale”, in AA.VV.,
Forme e comportamenti della musica folklorica italiana. Etnomusicologia e didat-
tica, Unicopli, Milano 1985, pp. 155-73.
27
Una registrazione di questi 2 brani, risalenti agli inizi del Novecento ed ese-
guiti entrambi da Nicola Smeragliuolo, è possibile ascoltarla in uno dei dischi
facenti parte dell’antologia Le antiche voci della canzone napoletana pubblicata in
10 volumi dalla Emi, ristampata su cd dal 1999 al 2000. I brani in questione si tro-
vano nel vol. 8 dal titolo I cantanti di giacca vol. 2, Emi Music Italy S.p.A., 2000, 7243
52437429.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 141
28
R. De Simone, La tradizione in Campania, p. 19.
29
Viviani in alcuni brani (‘O maruzzaro, L’acquaiuolo, ‘O pizzaiolo, ‘O ficurinaro
e ‘O ficaiuolo) inseriti nei sui lavori teatrali adotta un particolare metodo composi-
tivo costruito proprio a partire da citazioni di frammenti di voci di venditori. Oltre a
queste rinveniamo nella produzione di Viviani altre citazioni: di fronne (Canzone
sott’o carcere), di voci di questua (Pascale d’a cerca), di canti a figliola (nell’opera
teatrale Festa di Montevergine) ecc. Vedi Raffaele Viviani, Teatro, a cura di Antonia
Lezza e Pasquale Scialò, Napoli, Guida, 1987-1994 (6 voll.) e una serie di saggi di
Pasquale Scialò su Viviani usciti in diverse sedi e ora raccolti in un unico volume (P.
Scialò, Storie di musiche, pp. 223-301). Sull’argomento chi scrive ha svolto un lavoro
di tesi di laurea in etnomusicologia: Raffaele Di Mauro, La musica di tradizione
orale nel teatro di Raffaele Viviani, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Roma
Tor Vergata, a. acc. 2003-2004, relatore prof. Giorgio Adamo.
142 Raffaele Di Mauro
30
Gli elementi tipici del canto sul tamburo in Campania, chiamato appunto
tammurriata, sono i seguenti: ritmo binario con un ciclo di 4 battute o pulsazioni,
profilo melodico discendente con un attacco sul quinto grado, ambitus melodico
pentafonico con quarto grado aumentato, chiusura sulla tonica prolungata sulla
cosiddetta vutata o rotella, struttura strofica con alternanza di endecasillabi e sette-
nari (o ottonari), uso di interpolazioni testuali (le cosìddette barzellette o stroppole)
costituite da ottonari autonomi (spesso con chiare allusioni sessuali), uso di parti-
colari stilemi fonici come la trasformazione in “a” di tutte le vocali nelle cadenze. La
tammurriata di area vesuviana è per certi versi lo stile areale di canto sul tamburo in
Campania più diffuso e famoso, tanto da rappresentare una sorta di “modello base”
da cui gli altri stili relativi ad aree diverse si differenziano: maggiormente quelli
dell’area amalfitana e dell’area giuglianese che hanno caratteristiche proprie assai
marcate, in modo minore quello dell’area nocerino-sarnese che, forse anche grazie
ad una maggiore vicinanza geografica, presenta molte affinità con lo stile vesu-
viano. Dal punto di vista delle tematiche testuali diversi sono i riferimenti: magico-
simbolici, religiosi, storici ecc. Il testo più celebre è quello che ha inizio con i due
endecasillabi più noti di tutta la tammurriata campana: “Bella figliola ca te
chiamme Rosa, che bellu nomme mammeta t’a mise”.
31
Per le caratteristiche della tammurriata e della tarantella di tradizione orale
campana vedere anche: R. De Simone, La tradizione in Campania, pp. 14-15.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 143
32
Erano delle canzoni composte da corporazioni di arti e mestieri in occasione
del Carnevale i cui testi, che incensavano le supreme autorità e molto spesso cele-
bravano la propria corporazione e le qualità dei propri prodotti, venivano stampati
appunto su dei fogli volanti distribuiti al pubblico e un solo esemplare veniva stam-
pato su seta e consegnato al re. Secondo Scafoglio, che riproduce l’immagine di un
cartello del 1777 (Pe la Quadriglia de la preta de la loggia) molto simile grafica-
mente ai fogli volanti ottocenteschi, “i cartelli derivavano dai canti legati ai Trionfi
carnascialeschi dei secoli XVI-XVII, ma risentivano altresì dell’influenza dei canti
dei mestieri della tradizione orale popolare”. Cfr. Domenico Scafoglio, Il carnevale
napoletano. Storia, maschere e rituali dal XVI al XIX secolo, Newton Compton,
Roma 1997, pp. 32-34.
33
Una riprova del fatto che Guglielmo Cottrau attingesse proprio a questo tipo
di repertorio cittadino per le sue “trascrizioni” o rielaborazioni è data dalla pre-
senza, tra le 68 canzoncine della terza edizione del 1829 dei Passatempi, di un brano
dal titolo Storia di Angelo del duca (che, lo ricordiamo, era un celebre brigante) col
sottotitolo come si canta sul Molo di Napoli.
34
Secondo Pietro Martorana queste storielle de coppa a lo Muolo traevano l’ori-
gine dai canti carnascialeschi degli artigiani e dei piccoli rivenditori napoletani, che
abbiamo già citato (vedi nota 32) a proposito dei cartelli dei carri e delle quadriglie
legate al Carnevale, e risalivano ai tempi del Basile (1575-1632). Cfr. Pietro Marto-
rana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napolitano, Chiu-
razzi Editore, Napoli 1874, pp. 57-59.
144 Raffaele Di Mauro
35
Abbiamo anche qui degli esempi precisi presi sempre da due canzoncine
pubblicate da Cottrau: la Canzone di soldato, Chi bussa alla mia porta? il cui testo è
abbastanza simile ad una ballata (la n. 30, Il Marito giustiziere) riportata dal Nigra
(cfr. Costantino Nigra, Canti popolari del Piemonte, 2 voll., Einaudi, Torino 1974, 1ª
ediz. 1957, vol. I, pp. 210-15) e La Calabresella il cui testo è quasi identico a un canto
popolare calabrese raccolto da Raffaele Lombardi Satriani (cfr. Antonello Ricci &
Roberta Tucci, I “canti” di Raffaele Lombardi Satriani. La poesia cantata nella tradi-
zione popolare calabrese, A.M.A. Calabria, Lamezia Terme 1997, pp. 132-34).
36
Bruno Nettl, “Musica urbana”, in Enciclopedia della Musica, vol. VI, p. 539.
Secondo Nettl “con ogni probabilità, l’urbanizzazione è responsabile di un gran
numero – se non della maggioranza – delle miscele e combinazioni stilistiche che
caratterizzano oggi la musica locale”.
37
A tal proposito interessanti, seppur brevi, sono le considerazioni fatte da De
Simone sui due periodi: cfr. R. De Simone, Disordinata storia della canzone napole-
tana, pp. 13-23, 37-40.
38
Vedere Francesca Seller, “Zingarelli, Mercadante, Florimo e la ramanza
nell’editoria musicale partenopea dell’ottocento”, in Francesco Sanvitale (a cura
di), La romanza italiana da salotto, EDT, Torino 2002, pp. 197-207.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 145
39
La denominazione precisa era Passatempi musicali o sia Raccolta di Ariette e
duettini per camera inediti, Romanze francesi nuove, Canzoncine Napoletane e Sici-
liane, Variazioni pel canto, piccoli Divertimenti per pianoforte, Contraddanze, Walz,
Balli diversi etc. Questa raccolta, curata da Guglielmo Cottrau, uscì in due serie di
fascicoli misti (i primi 6 fascicoli dall’Ottobre 1824 all’Ottobre 1825, gli altri 6 fasci-
coli, con nuovi brani, dal Gennaio 1826 al Settembre del 1827) e in 3 edizioni divise
in parti (le prime due, del 1825 e del 1827, in 3 parti e la terza, del 1829, in 4 parti)
che riprendevano sostanzialmente i brani già pubblicati nei fascicoli misti ma divisi
appunto in parti (1ª parte ariette, romanze, duettini per camera; 2ª parte canzon-
cine, barcarole, napoletane e siciliane, 3ª parte contradanze, walz, tarantelle, 4ª
parte pot-pouris teatrali). Alla 2ª parte (quella che a noi interessa, perché conte-
nente le canzoni napoletane) che nel 1829 raggruppava 68 canzoncine fecero poi
seguito diversi Supplementi, i primi tre curati sempre da Guglielmo Cottrau prima
della sua morte nel 1847: il primo uscito nel 1843 raggruppava 16 canzoncine uscite
dal 1832 al 1843, il secondo uscito sempre verso la fine del 1843 conteneva 25 nuove
canzoncine, il terzo uscito invece nel 1845 altre 20 nuove canzoncine nazionali
napoletane. Alla produzione pubblicata da Guglielmo Cottrau vanno aggiunte poi
tutta una serie di raccolte e di canzoni napolitane (quelle da noi al momento indivi-
duate sono circa un migliaio) che dagli anni Quaranta fino agli anni Settanta
dell’Ottocento videro la luce grazie a compositori noti come Florimo, Mercadante,
De Giosa e altri; o meno noti come Labriola, Biscardi, De Roxas fino ad arrivare a
Teodoro Cottrau, figlio di Guglielmo).
40
I fogli volanti erano grandi circa 20x30 cm ed erano nella maggior parte dei
casi stampati su un solo lato e illustrati, tranne rare eccezioni, in modo abbastanza
rozzo. Spesso riportavano solo il testo della canzone senza l’indicazione degli
autori, talvolta invece riportavano anche la melodia del canto e l’indicazione
dell’autore del testo e del compositore. Tra le maggiori stamperie di fogli volanti
ricordiamo quelle di Azzolino e De Marco. Per una ricostruzione del passaggio dalla
trasmissione orale al foglio volante fino a giungere alla cassetta vedere: Roberto
Leydi, “Il mercato della musica popolare. Dal foglio volante alla cassetta”, in R.
Leydi (a cura di), Guida alla musica popolare in Italia, 2. I Repertori, LIM, Lucca
2001, pp. 173-91.
146 Raffaele Di Mauro
45
Vedere ad esempio alcuni fogli volanti riportati da De Mura: Ettore De Mura,
Enciclopedia della canzone apoletana, 3 voll., Il Torchio, Napoli 1969, vol. III, pp.
254-55, 281.
46
Per Io te voglio bene assaie, così come per alcuni altri brani che nello stesso
periodo ebbero un discreto successo come Don Ciccio alla fanfarra del 1844, non è
possibile parlare ancora di un modello strofa-ritornello in senso stretto, con una
struttura per intenderci A/B/A1/B/A2/B ecc. La struttura ci appare ancora di tipo
strofico, essenzialmente A/A1/A2/A3 e così via, con ogni A costituito a livello
testuale da un’ottava divisa in due quartine composte da tre settenari (talvolta otto-
nari) e un senario (a volte un settenario), e spesso con rime ABBC-DEEC. Sono pro-
prio il settenario e il senario in conclusione della seconda quartina (per intenderci
quelli con rima EC) a essere ripetuti sempre con lo stesso testo e la stessa melodia e
a diventare la parte “memorabile” del brano. Nel caso di Io te voglio bene assaje lo
‘ntercalare o riepeto obbrecato (oggi lo definiremmo “tormentone”) è appunto “Io te
voglio bene assaje/ ma tu non pienz’a me” così come in Don Ciccio alla fanfarra è
“Don Ciccio alla fanfarra/ ch’è ‘o core de mammà”.
47
Non rientrano nella “norma” tutto quel repertorio di brani in dialetto napole-
tano musicati da diversi compositori colti (come Alfano, Pizzetti e in precedenza,
nel primo Ottocento da Florimo, Mercadante, De Giosa e altri) che hanno strutture
assai varie e complesse (forme a ponte o a specchio e così via). Tutto questo reperto-
rio è stato indagato in maniera esaustiva, in un lavoro recente, da Gianfranco Pleni-
zio il quale parla di un “doppio registro”, da un lato le “melodie” (o “romanze”) e
dall’altra le “canzoni”, a volte utilizzati entrambi dal medesimo compositore
nell’ambito della propria produzione (due esempi per tutti: Pasquale Mario Costa e
Luigi Denza). Plenizio indaga a fondo, con numerosi esempi musicali analizzati, sul
primo dei due registri e cioè su quelle che lui definisce “melodie”, mentre è facil-
mente intuibile che a noi interessi proprio l’altro “registro”, ovvero le “canzoni”,
rimasto volontariamente fuori dalla sua analisi. Cfr. Gianfranco Plenizio, Lo core
sperduto. La tradizione musicale napoletana e la canzone, Guida editore,
Napoli,2009.
148 Raffaele Di Mauro
bili,49 laddove, invece, nella fase precedente non era insolito che si
cantassero testi diversi sulla stessa melodia o lo stesso testo su
melodie diverse (così come avviene nelle canzoni narrative).50 Un
esempio è la famosa Lu guarracino di cui si conoscono varie ver-
sioni diverse testualmente e varie risposte (Il processo del Guarra-
cino, Il matrimonio del Guarracino ecc.) e sulla cui melodia si pote-
vano cantare anche altre canzoni.51
4) Passaggio dalla funzione di intrattenimento socio-identitario
della canzone artigiana di tradizione orale alle funzioni di intratte-
nimento puro della canzone napoletana d’autore: abbiamo già
detto che la musica artigiana diversamente da quella agro-pasto-
rale, sempre collegata a una determinata funzione esecutiva,
veniva eseguita in momenti di incontro collettivo in luoghi come
piazze, osterie, ecc., ma la sua esecuzione era motivata essenzial-
mente dal piacere di fare/ascoltare musica, una forma quindi di
“intrattenimento” che però poteva servire anche per esprimere i
valori culturali fondanti della comunità di appartenenza. Gli
esempi tipici di questo tipo di intrattenimento tradizionale sono
sicuramente la ballata, presente in diverse culture italiane ed
europee,52 e la storia,53 i cui interpreti erano i cosiddetti cantasto-
48
Non mancheranno ovviamente le eccezioni che confermano la regola in cui il
ritornello verrà cantato sulla stessa musica ma con un testo completamente diverso
(esempi famosi: Marechiare di Di Giacomo-Tosti e Era de maggio di Di Giacomo-
Costa) ma possiamo ritenere questi casi come “interni” al modello, perché in essi
appare comunque chiara una delimitazione, avvertibile anche attraverso la sola
musica, tra una parte che costituisce la strofa (A) e l’altra il ritornello (B).
49
Assai significative, in questo senso, sono le “avvertenze” che appaiono su
alcune copielle di inizio Novecento (ad esempio Si me sonno Napule di L. Bovio – E.
Tagliaferri edita da Gennarelli nel 1916 oppure ‘E sunature ‘e mandulino... di G.
Capaldo – M. S. Ciociano edita da Izzo nel 1915) dov’è scritto chiaramente che “è
assolutamente proibito di adattare sulle musiche di proprietà dell’editore… altri
versi che non siano quelli originali, pei contravventori si procederà a norma di
legge”. Molto probabilmente la pratica di adattare versi diversi alla stessa melodia
era ancora presente agli inizi del secolo scorso ma a quel punto ostacolata in tutti i
modi anche in difesa di quel diritto d’autore da poco “acquisito” (ricordiamo che la
Siae era nata nel 1882).
50
R. Leydi, “‘Sentite buona gente’. La ballata e la canzone narrativa”, in R. Leydi
(a cura di), Guida alla musica popolare in Italia, 2. I Repertori, p. 177.
51
Vajro ci segnala un brano dal titolo Lo festino de Luvisella. Canzona ‘ncopp’ a
la tarantella cantata sulla stessa musica de Lu Guarracino che, non a caso, nella
prima edizione pubblicata anonima da Cottrau nel 1829 si chiamava semplice-
mente Canzone sulla tarantella (Cfr. M. Vajro, La canzone napoletana dalle origini
all’ottocento, p. 126). Probabilmente anche altri brani con ritmo di tarantella, come
la famosa Cicerenella, venivano cantati su una melodia uguale o simile a quella de
Lu guarracino.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 149
52
I. Macchiarella, “Dalla musica etnica ai generi di intrattenimento”, pp. 1171-
1175.
53
Sulla differenza tra ballata (tipica dell’Italia centro-settentrionale) e storia
(tipica invece dell’Italia centro-meridionale e in particolare della Sicilia) vedere: R.
Leydi, “‘Sentite buona gente’. La ballata e la canzone narrativa”, pp. 23-77.
54
Quest’ultimi potevano essere sia dei “professionisti”, il cui lavoro si collocava
in relazione diretta con un mercato (ovvero una clientela da accontentare in cam-
bio di un compenso) sia dei semplici “operatori culturali popolari” ovvero membri
della comunità stessa che non operavano per profitto ma a scopo di intratteni-
mento “educativo”. Cfr. R. Leydi, “‘Sentite buona gente’. La ballata e la canzone
narrativa”, p. 49.
55
Sui posteggiatori napoletani vedere Giovanni Artieri, I posteggiatori, Longa-
nesi, Milano 1961; Mimmo Liguoro, I posteggiatori napoletani, Newton Compton,
Roma 1995 e il prezioso lavoro di Maria Teresa Greco, I vagabondi, il gergo, i posteg-
giatori. Dizionario napoletano della parlèsia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
1997.
56
R. De Simone, Disordinata storia della canzone napoletana, p. 53.
57
Nel corso dell’Ottocento in ambito musicale cittadino operavano però a
Napoli anche altre figure: cantastorie, cantori girovaghi come i cosiddetti viggia-
nesi, improvvisatori, ecc. Cfr. M. L. Stazio, Osolemio. La canzone napoletana – 1880/
1914, pp. 25-42.
150 Raffaele Di Mauro
58
Si vedano a tal proposito le liste degli associati alla prima serie di 6 fascicoli
dei Passatempi del 1824-1825 poste all’inizio dei fascicoli stessi. Vi troviamo quasi
tutta la nobiltà dell’epoca, con particolar riferimento al gentil sesso che più si “dilet-
tava” con questo tipo di repertorio ritenuto “semplice”: principesse, duchesse,
baronesse, marchese e persino, in testa alla lista (vedi fascicolo n.1 dell’Ottobre
1824), “S. M. la Regina del Regno delle due Sicilie”.
59
R. De Simone, Disordinata storia della canzone napoletana, p. 46.
60
È negli anni Settanta dell’Ottocento che Piedigrotta inizierà a subire una sorta
di “mutamento genetico” passando da una festa essenzialmente rituale, in cui pro-
babilmente fin da tempi più antichi si eseguivano tarantelle, canti a figliola o canti
devozionali e alla quale forse già dall’inizio dell’Ottocento si era affiancata una pro-
duzione canzonettistica cittadina diffusa su fogli volanti (come testimoniato dallo
stampatore Azzolino in un articolo del Regaldi: cfr. Giuseppe Regaldi, “I canti popo-
lari di Napoli 1847”, Poliorama Pittoresco, anno XII 1848, semestre II, p. 338) dalla
quale ogni anno usciva una “canzone della festa”, a una festa spettacolare e com-
merciale legata ai concorsi indetti da giornali e riviste e dominata da meccanismi
pubblicitari. Com’è stato efficacemente sintetizzato da Roberto Cajafa si passerà
“dalla canzone della festa alla festa delle canzoni”. Cfr. P. Scialò, La canzone napole-
tana dalle origini ai giorni nostri, pp. 28-31.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 151
Sui temi fin qui trattati e in particolar modo sui processi indivi-
duati nella seconda parte di questo intervento che riguardano una
fase storica ben precisa della canzone napoletana, definita da noi
pre-classica e che va dal 1824 (anno d’inizio dei Passatempi) al 1879
(anno della morte di Teodoro Cottrau e anno precedente a Funi-
culì Funiculà di P. Turco-L. Denza del 1880 che segna invece l’ini-
zio della canzone napoletana classica), è attualmente in corso una
ricerca di dottorato da parte di chi scrive.61 Queste nostre conside-
razioni non sono da considerarsi quindi “definitive” ma vogliono
essere un primo contributo all’analisi di un momento “chiave”
della canzone napoletana, cercando in prospettiva futura di tro-
vare eventuali parallelismi in ambito sia europeo che internazio-
nale che favoriscano una più efficace comprensione di un’interes-
sante fase di “passaggio” che non riguarda soltanto la canzone
napoletana (tante sono, con le dovute differenze, le analogie con
ciò che avviene, più meno nello stesso periodo, ad esempio nella
canzone americana, irlandese, francese, ecc.) e che recentemente
Franco Fabbri ha definito in modo assai efficace “della popular
music prima della 'popular music'”.62
61
La ricerca si svolge nell’ambito del corso triennale del dottorato in Storia,
Scienze e Tecniche della Musica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.
62
Franco Fabbri, La popular music a Napoli e negli USA prima della 'popular
music': da Donizetti a Stephen Foster, da Piedigrotta a Tin Pan Alley, relazione ine-
dita tenuta a Napoli il 4 Giugno 2010 nell’ambito del convegno “La canzone napole-
tana. Le musiche e i loro contesti”.