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Musica/Realtà

MUSICA/REALTÀ

2010/03

93

Libreria Musicale Italiana


Musica/Realtà
Rivista quadrimestrale
Anno XXXI, numero 93 - Novembre 2010
Direttore responsabile
Luigi Pestalozza
Redazione e attività
Cesare Bermani, Lorenzo Bianconi, Antonio Doro, Franco Fabbri, Roberto Favaro,
Enrico Fubini, Francesco Galante, Giovanni Guanti, Giacomo Manzoni, Alessandro
Melchiorre, Richard Middleton, Pier Francesco Moliterni, Angelo Orcalli, Luigi Pesta-
lozza, Carlo Piccardi, Paolo Prato, Nicola Sani, Andrea Talmelli, Alvise Vidolin
Corrispondenti
Ramón Barce, Hanns-Werner-Heister, Philip Tagg
Redattore
Roberto Favaro
Segreteria di redazione
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Direttore editoriale
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Per il 2009 un numero Eu. 13,00. Rinnovo dell’abbonamento Eu. 31,00; abbona-
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intestato a LIM Editrice srl.
Registrazione del Tribunale di Milano n° 171 del 22 marzo 1997.
La collaborazione alla rivista avviene su invito della Redazione.

Stampato con i contributi di


CARIPLO
BANCA CRT • FONDAZIONE MUSICALE UMBERTO MICHELI
Indice

INTERVENTI

Ricerca e innovazione? (Daniele Lombardi) p. 5; Insegnare e studiare


la musica elettronica in Conservatorio. Appunti critici per una
nuova lontana stagione (Francesco Galante) p. 13; Riflessioni e
appunti sul “suono” nel jazz (Maurizio Franco) p. 21; Analisi
musicale e completezza testuale. Riflessioni a margine delle
incompiute di Gershwin (Andrea Garbuglia) p. 26; In ricordo di
Günter Mayer (L.P.) p. 31.

SAGGI

33 Hugues Dufourt
La dimensione produttiva dell’intensità e del timbro e la loro
integrazione al sistema degli “elementi portatori di forma”

49 Franco Fabbri
Il plurale di “musica”

67 Alessandra Vaccarone
La figura femminile nella Vienna di inizio secolo nella musica,
nella letteratura e nelle arti figurative

95 Alessandra Pagan
Realtà discografiche indipendenti italiane: la Caligola Records
Ubi “majors” minor non cessat

111 Andrea Malvano


La Sonata per pianoforte di Paul Dukas. Alfa e omega di un
genere musicale francese
133 Raffaele Di Mauro
Canzone napoletana e musica di tradizione orale:
dalla canzone artigiana alla canzone urbana d’autore

DOCUMENTI

153 Roberto Favaro


Visioni musicali. Un libro sui rapporti tra musica e arti visive

157 Francesco Tedeschi


Visioni Musicali
Introduzione. Un incontro sui rapporti tra musica e arti visive
nel Novecento

DOCUMENTI /RILETTURE

169 Francesco D’Arcais


L'industria musicale in Italia

185 DISCHI DI OGGI


a cura di Maurizio Franco
Canzone napoletana e musica di tradizione orale:
dalla canzone artigiana alla canzone urbana d’autore

di Raffaele Di Mauro

Spesso in maniera semplicistica e oleografica si identifica la


canzone napoletana con quell’espressione musicale nata a Napoli
nel periodo che va dalla fine dell’Ottocento (in genere dal 1880 in
poi, anno del brano Funiculì funiculà) fino più o meno alla prima
metà del Novecento, ovvero con quella stagione in cui grandi poeti
e musicisti diedero vita a canzoni divenute celebri in tutto il
mondo e cantate ancora oggi. In realtà questa visione contiene
solo una parte di verità e di quel fenomeno ampio e complesso che
indichiamo con il termine canzone napoletana. Possiamo conside-
rare il periodo sopra indicato (dal 1880 fino agli anni Cinquanta del
Novecento), come l’epoca “d’oro” oppure come l’epoca della can-
zone napoletana classica, così come comunemente definita, ma
sarebbe erroneo identificare tout-court tale periodo con “la” can-
zone napoletana. Fermarsi a esaminare solo il periodo classico
vuol dire tenere fuori dalla valutazione fenomeni e manifestazioni
musicali come le villanelle cinquecentesche, le arie settecentesche
in dialetto tratte dall’opera buffa, le canzoni del primo Ottocento
(una fra tutte la famosissima Io te voglie bene assaie, da alcuni indi-
cata erroneamente come “prima” canzone napoletana o prima
canzone “d’autore”, ma sicuramente la prima canzone napoletana
ad aver avuto un successo tale da segnare una “svolta”), alcune
canzoni di derivazione popolare di incerta paternità e datazione
ma sicuramente pre-ottocentesche (Michelemmà, Lo Guarracino,
Cicerenella ecc.) oppure le canzoni di Renato Carosone, Sergio
Bruni e altri, del secondo Novecento. Tutte queste pur non rien-
trando nel periodo d’oro fanno a pieno titolo parte della canzone
napoletana e solo partendo dalla prospettiva storica di un arco
temporale che possiamo circoscrivere, basandoci sulle fonti musi-
cali certe attualmente disponibili, dal Cinquecento (o meglio dal
1537, anno della prima raccolta di villanelle alla napolitana a noi
pervenuta) fino ai giorni nostri, è possibile comprendere qual è il
percorso, segnalandone le persistenze e le mutazioni, che ha por-
tato alla fine del XIX sec. all’esplosione del fenomeno canzone
napoletana.1
Precisati meglio i limiti temporali, altro discorso, ma non meno
complicato, è analizzare l’oggetto canzone napoletana, manifesta-
zione musicale connotata, come è stato sottolineato acutamente,
da un costante “plurilinguismo” in cui è assai difficile stabilire i
134 Raffaele Di Mauro

diversi livelli di produzione (colto, semi-colto e popolare)2 e isolare


le diverse matrici musicali che ne influenzano il linguaggio
(musica colta, romanza da salotto, musica d’uso per il ballo,
musica di tradizione orale ecc.).3 Lo scopo di questo studio è pro-
prio quello di analizzare le relazioni esistenti tra la canzone napo-
letana e una di queste matrici, ovvero la musica di tradizione orale,
soffermandoci anche sugli aspetti musicali di tale relazione ancora
poco indagati.
Fino a qualche tempo fa la lettura del fenomeno canzone napo-
letana è stata legata a due visioni contrapposte che da un lato vole-
vano la canzone napoletana come una sorta di “sorella minore”
della romanza da camera (possiamo considerare come primo
sostenitore “ideale” di questa tesi Salvatore Di Giacomo, il quale,
in tutti i modi, ha cercato di dare “padri nobili” alla canzone napo-
letana) e dall’altra invece come “figlia maggiore” di un non meglio
precisato “canto popolare” (principale fautore di quest’altra tesi è
invece, a nostro avviso, Sebastiano Di Massa del quale parleremo
fra poco).
In ogni caso però l’indubbio rapporto esistente tra la musica di
tradizione orale e la canzone napoletana è stato quasi sempre sot-
tolineato da tutti gli studiosi che hanno affrontato la storia della
canzone partenopea. Molto spesso, tuttavia, esso è stato trattato o
in maniera retorico-celebrativa (musicalità popolare “innata” dei
napoletani) o sotto forma di resoconto delle citazioni (“in tale can-
zone troviamo una voce di venditore, in tal altra una fronna” ecc.),
nei lavori caratterizzati da un approccio giornalistico-aneddotico
(Paliotti,4 Elia,5 Petriccione,6 Gargano-Cesarini,7 Pittari8); oppure

1
Canzone napoletana è, secondo noi, semplicemente qualsiasi breve composi-
zione fatta di testo in dialetto napoletano e musica. Questa definizione generale
può abbracciare manifestazioni musicali assai diverse che coprono un lungo arco
temporale: si va dalle villanelle cinquecentesche (ovviamente solo quelle in dia-
letto) a quelle che chiameremo canzoni napoletane classiche, dalle arie in napole-
tano tratte dall’opera buffa settecentesca alle canzoni più moderne fatte su ritmi
dub o posse (Almamegretta, 99 Posse), rap (‘A famiglia, Co’ Sang) o rock (A 67).
Quando parleremo di canzone napoletana classica ci riferiremo invece a un periodo
preciso della canzone napoletana e cioè dal 1880 fino alla fine degli anni Cinquanta
del Novecento.
2
Roberto De Simone, Disordinata storia della canzone napoletana, Valentino
Editore, Napoli 1994, p. 7. La prima edizione di questo saggio è R. De Simone,
“Appunti per una disordinata storia della canzone napoletana”, Culture Musicali,
II, 3 (1983), pp. 3-40.
3
Pasquale Scialò, La canzone napoletana dalle origini ai giorni nostri, Newton
Compton, Roma 1995, p. 12.
4
Vittorio Paliotti, Storia della canzone napoletana, Newton Compton, Roma
1992 (1ª ediz. Milano, Ricordi, 1958).
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 135

soffermandosi esclusivamente sull’analisi del dato letterario di tale


legame, nei lavori segnati da un approccio tematico-testuale (Ame-
deo,9 Grano10). A tutt’oggi il lavoro più serio e documentato
sull’argomento resta La canzone napoletana e i suoi rapporti col
canto popolare di Sebastiano Di Massa del lontano 1939.11 Ma
anche in questo caso l’indagine si concentrava unicamente sulle
parentele testuali tra canto popolare e canzone napoletana che
veniva lì definita canzone popolaresca (riprendendo una distin-
zione suggerita da Caravaglios12) e che a suo avviso aveva dato nel
corso dei secoli il meglio di se stessa proprio quando aveva attinto
direttamente al “canto popolare”. Già in quell’occasione Di Massa
aveva poi incitato gli studiosi a svolgere un lavoro analogo sul ver-
sante musicale che avrebbe chiarito ancor meglio la natura di tale
rapporto. L’appello tuttavia, se si escludono alcuni preziosi contri-
buti con un approccio di tipo musicologico o etnomusicologico
dedicati all’analisi approfondita di singoli brani significativi,13 non
è stato ancora raccolto in toto.
Ciò che differenzia fondamentalmente la canzone napoletana
classica dalla musica o canto popolare, che riteniamo più corretto
chiamare musica di tradizione orale,14 è il fatto che si tratta di una
creazione individuale (nel senso di uno o più autori chiaramente
identificati) che si trasmette attraverso un testo scritto che non
può essere mutato (la partitura) e che non è legata a una partico-
lare funzione o contesto esecutivo, laddove invece un canto tradi-
zionale, quand’anche all’inizio frutto di una creazione individuale,
è quasi sempre oggetto di un processo dinamico di aggiunte e/o
modifiche dovute a una sorta di “ri-creazione collettiva”,15 si tra-
smette oralmente (di solito all’interno di una stessa comunità) e

5
Piero Elia, La canzone napoletana, P.A.I.S., Roma 1954.
6
Federico Petriccione, Piccola storia della canzone napoletana, Messaggerie
musicali, Milano 1959.
7
Pietro Gargano & Gianni Cesarini, La canzone napoletana, Rizzoli, Milano
1984.
8
Carmelo Pittari, La storia della canzone napoletana. Dalle origini all’epoca
d’oro, Baldini Castaldi Dalai editore, Milano 2004.
9
Giovanni Amedeo, Canzoni e popolo a Napoli dal ‘400 al ‘900, Grimaldi & C.
editori, Napoli 2005.
10
Antonio Grano, Trattato di sociologia della canzone classica napoletana, Pal-
ladino Editore, Campobasso 2004.
11
Sebastiano Di Massa, La canzone napoletana e i suoi rapporti col canto popo-
lare, Editrice Rispoli Anonima, Napoli 1939. Questo testo fu in seguito ripubblicato
con alcune modifiche e aggiunte: cfr. Sebastiano Di Massa, Storia della canzone
napoletana, Fausto Fiorentino, Napoli 1961.
12
Cfr. Cesare Caravaglios, Il folklore musicale in Italia, Editrice Rispoli Ano-
nima, Napoli, 1936, pp. 87-106.
136 Raffaele Di Mauro

molto spesso, soprattutto in ambito contadino, è legato a un


evento particolare in cui esso viene eseguito (la festa di una
Madonna, il Carnevale o una situazione di lavoro). Per capire
meglio i rapporti che intercorrono tra canzone napoletana classica
e musica di tradizione orale è fondamentale fare propria la divi-
sione di quest’ultima in due fasce folkloriche suggerita dall’etno-
musicologo Diego Carpitella, il quale distingueva la musica della
fascia agro-pastorale-marinara (ovvero la musica di area conta-
dina, indicata come patrimonio popolare) da quella della fascia
artigiano-urbana (ovvero la musica di area cittadina, indicata
invece come patrimonio popolaresco).16 Questa distinzione è indi-
spensabile perché investe vari aspetti: diversi sono i moduli melo-
dici, le strutture melodico-armoniche, il sistema di intonazione, la
concezione del ritmo, gli strumenti impiegati e così via.17 Ovvia-
mente l’elemento principale che accomuna queste due diverse
realtà musicali è la trasmissione per via orale ma differenti sono i
contesti e le funzioni che la musica riveste nei due ambiti. Da que-
sto punto di vista possiamo indicare le musiche di fascia agro-
pastorale come forme di repertorio contestuale (legate cioè a uno
specifico contesto esecutivo: la festa, il rito, il lavoro) la cui fun-
zione fondamentale è quella di “organizzazione e supporto delle

13
Ci riferiamo agli studi dedicati a brani come ‘O guarracino (R. De Simone, La
tarantella napoletana ne le due anime del Guarracino, Edizioni di Gabriele e Maria-
teresa Benincasa, Roma 1992; Pasquale Scialò, “Il processo del guarracino, meta-
morfosi di un canto marinaro”, in P. Scialò, Storie di musiche, a cura di Carla Conti,
Guida editore, Napoli 2010, pp. 29-58) o da chi scrive a Fenesta che lucive (Raffaele
Di Mauro, “Il caso Fenesta che lucive: enigma 'quasi' risolto”, in Enrico Careri &
Pasquale Scialò (a cura di), Studi sulla canzone napoletana classica, LIM, Lucca
2008, pp. 195-240). De Simone si è anche soffermato su una lettura diversa, nella
chiave magico-rituale dei segni, del testo di un brano di origine popolare divenuto
poi un “classico” della canzone napoletana e cioè Michelemmà: cfr. R. De Simone,
La tradizione in Campania (libro allegato al cofanetto contenente 7 microsolchi),
Emi-La Voce del Padrone, Milano 1978, p. 44 (questo lavoro è stato pubblicato
anche senza dischi: R. De Simone, Canti e tradizioni popolari in Campania, Lato
Side, Roma 1979).
14
Per evitare le confusioni terminologiche a cui il termine popolare spesso
induce, soprattutto in Italia. Cfr. Franco Fabbri, Il suono in cui viviamo, Arcana,
Roma 2002 (2ª edizione), pp. 11-12, oppure Giorgio Adamo, “Introduzione”, in G.
Adamo (a cura di), Il canto popolare nel Lazio, Squilibri, Roma 2003, pp. 7-8.
15
Cfr. Jean Molino, “Che cos’è l’oralità musicale”, in Enciclopedia della Musica,
vol. VII, Einaudi-Il Sole 24 ore, Milano 2006, p. 382.
16
Diego Carpitella, Musica e tradizione orale, Flaccovio, Palermo 1973, p. 53.
Su questa distinzione vedere anche Giorgio Adamo, “L’indagine etnomusicolo-
gica come studio dell’identità in musica”, Studi Musicali, anno XXVIII (1999), n. 1,
pp. 296-97.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 137

attività sociali”18 mentre le musiche di fascia artigiano-urbana


come forme di repertorio non contestuale (cioè non legate a un pre-
ciso contesto esecutivo) la cui funzione principale è di tipo espres-
sivo oppure di intrattenimento, ma “un intrattenimento che non
va inteso nel senso di mero passatempo o di svago fine a se stesso”
in quanto attraverso di esso la comunità locale può “esprimere e
riaffermare la propria identità”.19

La canzone napoletana e la musica di area contadina: tre tipi di


citazioni

A nostro avviso la canzone napoletana classica non “discende”


affatto dalla musica di area contadina ovvero della fascia agro-
pastorale, così come ipotizzato ad esempio, come abbiamo visto,
dal Di Massa. Il rapporto con essa avviene sempre sotto forma di
citazione attraverso le tre modalità seguenti:
- 1) Citazioni testuali: questa modalità riguarda l’adozione di testi
tratti dal repertorio musicale contadino quasi sempre riscritti e
rivestiti ex-novo di una musica totalmente diversa da quella sulla
quale si cantavano i testi “originali” (è il caso ad esempio di ’E spin-
gule frangese di Di Giacomo-De Leva20 del 1888). Per una più esau-
17
Vedere a tal proposito la famosa polemica tra Massimo Mila e Diego Carpi-
tella risalente agli inizi degli anni Cinquanta (D. Carpitella, Musica e tradizione
orale, pp. 257-66). Mila sosteneva che non esisteva in Italia una musica popolare
aliena dalle influenze della musica “colta” e “chiesastica”, Carpitella, invece, reduce
dalle prime spedizioni con De Martino, sosteneva che Mila aveva ragione ma solo
per quanto riguarda la musica “popolaresca” (artigiano-urbana) perché esisteva
invece in Italia un “sottofondo della musica popolare” che riguardava la musica
prodotta dal mondo agro-pastorale (contadini, pastori, pescatori ecc.) in cui si
incontravano “scale pre-pentatoniche, pentatoniche, modali, note blues, diafonie e
polifonie varie, strutture asimmetriche, particolari tecniche di esecuzione, ecc., che
con la tradizione colta e chiesastica non hanno proprio niente a che fare”.
18
Cfr. Francesco Giannattasio, “Il concetto di musica in una prospettiva cultu-
rale”, in Enciclopedia della Musica, vol. VI, p. 994. Giannattasio riassume qui in tre
ordini di funzioni (organizzazione e supporto delle istituzioni sociali; induzione e
coordinamento delle reazioni sensorio-motorie; espressive) le dieci funzioni prin-
cipali della musica indicate precedentemente da Merriam: 1) espressione delle
emozioni, 2) godimento estetico, 3) intrattenimento, 4) comunicazione, 5) rappre-
sentazione simbolica, 6) stimolo della risposta fisica, 7) potenziamento del confor-
mismo e del rispetto delle norme sociali, 8) supporto delle istituzioni sociali e dei
riti religiosi, 9) contributo alla continuità e alla stabilità della cultura, 10) contributo
all’integrazione sociale. Cfr. Alan Merriam, Antropologia della musica, Sellerio,
Palermo 1983 (1ª ediz. 1964) pp. 212-29.
19
Ignazio Macchiarella, “Dalla musica etnica ai generi d’intrattenimento”, in
Enciclopedia della Musica, vol. IV, p. 1166.
138 Raffaele Di Mauro

riente panoramica su questo tipo di citazioni rinviamo all’esau-


stivo lavoro del Di Massa21 i cui esempi vanno dalle villanelle cin-
quecentesche alla canzone classica otto-novecentesca passando
per le arie settecentesche dell’opera buffa.
- 2) Citazioni melodiche: questa modalità riguarda in principal
modo l’utilizzo di quelle forme vocali di tradizione contadina che
definiamo monodie senza accompagnamento (voci di venditori,
fronne,22 canti a figliola,23 voci di questua,24 canti di lavoro, ninne

20
Di questo brano conosciuto come ’E spingule frangese è possibile ascoltarne
due versioni “tradizionali”: una registrata a Frasso Telesino nel 1978 e pubblicata in
Sergio De Gregorio (a cura di), Musiche e canti popolari della Campania vol.1,
(disco con opuscolo allegato), Albatros, VPA 8439 e l’altra indicata col titolo Tam-
murriata di Pimonte in R. De Simone, La tradizione in Campania, microsolco n. 5,
facciata A, brano n.3.
21
S. Di Massa, La canzone napoletana e i suoi rapporti col canto popolare.
22
La fronna è un’espressione musicale tipica ed esclusiva della Campania. Si
tratta di una particolare forma di canto eseguito a distesa, senza accompagna-
mento strumentale, le cui tematiche si riferiscono in genere all’amore, al sesso e
alla morte. Spesso veniva adoperata anche come forma di comunicazione con i car-
cerati. Dal punto di vista strettamente musicale essa è costituita solitamente da due
frasi melodiche (struttura bipartita AB, a volte ripetuta ABA'B) di cui la prima
attacca in genere sul quinto grado e termina con una cadenza intermedia sul terzo
grado, invece la seconda attacca di solito sempre sul quinto grado per terminare
però con una cadenza finale sul primo grado. Il profilo melodico, assai melismatico,
è essenzialmente discendente e si muove su una scala di 5-6 suoni sul modo minore
oppure, raramente, si raggiunge l’ambitus di un’ottava su una scala maggiore col
caratteristico quarto grado aumentato. Dal punto di vista testuale tipico è l’uso di
vari stereotipi iniziali, tutti metricamente equivalenti (quinari), che hanno il preci-
puo scopo di preparare rime o assonanze: fronna ‘e limone (da cui il nome), ’o mare
e arena, anella anella, albero ‘e noce ecc.
23
Il canto a figliola è anch’esso un particolare tipo di canto campano, eseguito
senza accompagnamento strumentale e legato principalmente al culto della
Madonna di Montevergine (detta anche Madonna nera o Mamma schiavona). La
denominazione a figliola è proprio in riferimento alla Madonna (quella di Monte-
vergine ma anche la Madonna di Castello, di Somma Vesuviana) in onore della
quale viene intonato questo tipo di canto. Dal punto di vista musicale molte sono le
somiglianze con le fronne (attacco sul quinto grado, profilo melodico discendente,
ambitus di 5-6 suoni, quarto grado aumentato) ma numerose sono anche le diffe-
renze: il canto a figliola ha generalmente una struttura monostica (una sola frase
melodica A, che può essere ripetuta con variazioni AA'), invece che bipartita, con
cadenze tutte sul primo grado, ed è generalmente sillabico non melismatico. Ciò
che altresì differenzia in modo inequivocabile il canto a figliola dalla fronna è la
presenza del coro nella cadenza finale: tale cadenza è intonata (con il solista che dà
l’attacco) su vari stereotipi, anche qui tutti metricamente equivalenti (senari), tra i
quali ricordiamo ’a ‘figliola (da cui il nome), ’a majesta soia, ’a Mamma Schiavona,
aggio ritto buono ecc.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 139

nanne ecc.) che tradendo la loro valenza pragmatica (legate cioè a


una particolare funzione esecutiva) vengono qui impiegate con
valenza estetica (ad esempio come “colore” nelle canzoni dei tipi,
legate ai vari mestieri) o per fini drammatico-musicali (nelle can-
zoni cosiddette di giacca).
Questo è il campo decisamente più ampio e possiamo suddivi-
derlo ulteriormente in tre sotto-categorie:
a) citazione di forme melodiche staccate dalla struttura-canzone,
con o senza accompagnamento armonico: ci riferiamo all’utilizzo
di forme vocali di tradizione agro-pastorale, in genere per intro-
durre e/o concludere canzoni di argomento assai vario, che non
hanno un peso strutturale all’interno della canzone, nel senso che
eliminando queste citazioni i brani non ne risentirebbero in parti-
colar modo perché poste al di fuori del modello strofa-ritornello.
Ne riportiamo alcuni esempi:
- le voci di venditori che introducono e chiudono brani come ’A lat-
tara di V. De Crescenzo-F. Rendine del 1955 (“Signò acalate, signò
‘a lattara”) oppure Palcuscenico di E. Bonagura-S. Bruni del 1956
(“Signò acalate, ca io dimane nun ce vengo”) o ancora Li funtanelle
di E. Bonagura-L. Benedetto del 1952 (“All’acqua all’acqua ‘e tre
paise, Napule, Castellamare e Marcianise, a muntagna fredda”)
- la voce di questua che chiude il brano Vuto argiento di A. Gigliati-
F. Barile del 1952 (“Chi è devoto d’a putenza ‘e San Gennaro, surè
ca chillo ve scanse ‘e figlie e ‘e cape ‘e casa, surè, San Gennaro”)
- la ninna nanna che introduce un brano come ’E figurelle di G.
Coppolecchia-G. Lama del 1941 (“E nonna nonna nonna nunna-
rella, ‘o lupo s’a mangiate ‘a pecurella”).
In tutti questi casi le forme citate ricordano testualmente quelle
tradizionali (attraverso ad esempio l’uso degli stessi stereotipi ver-
bali come ’a muntagna fredda, signò acalate, chi è devoto ecc.) e

24
La voce di questua (o voce d’a cerca) in Campania è legata principalmente alla
festa della Madonna dell’Arco quando, nel momento immediatamente precedente
il lunedì in Albis, le paranze vanno in giro appunto per la questua o cerca. Consiste
in una particolare forma vocale, senza accompagnamento strumentale, assai simile
stilisticamente alle fronne e ai canti a figliola (attacco sul quinto grado, ambitus
melodico di 5-6 suoni, quarto grado aumentato), ma caratterizzata da una diversa
struttura melodica (ABCC'D) e dal tipico stereotipo iniziale chi è devoto. Voci di
questua sono riscontrabili anche nella raccolta delle offerte per “altre” Madonne o
Santi: ad esempio per la Madonna del Carmine, per S. Anna o per San Gennaro.
140 Raffaele Di Mauro

anche musicalmente alcune caratteristiche melodiche rimandano


ai modelli originari (ambitus e profilo melodico, impiego della
quarta aumentata ecc.). Ma, come direbbe Carpitella, una melo-
dia, così come una rondine, “non fa primavera”,25 nel senso che
non basta da sola a decretare come “tradizionale” un brano. Nella
musica di tradizione orale le intonazioni hanno sempre un carat-
tere naturale, al di fuori del cosiddetto sistema temperato e inoltre
comportano una serie di tecniche espressive (portamenti, sin-
ghiozzati, glissati, ecc.) completamente assenti nelle canzoni
sopra citate. Dove risulta chiara la differenza è infatti soprattutto
nella vocalità: si tende qui a far propendere queste forme verso il
sistema temperato (aiutati spesso dall’accompagnamento armo-
nico) cercando di “aggiustare” l’intonazione e c’è un largo impiego
di un vibrato di origine belcantistica nella voce, cosa assoluta-
mente inconsueta nella vocalità contadina caratterizzata invece
dall’assenza o comunque da forme diverse di vibrato.26
b) citazione di forme melodiche interne alla struttura-canzone, con
o senza accompagnamento armonico: ci riferiamo in questo caso
all’utilizzo di forme musicali di tradizione contadina come parti
strutturali della canzone (che quindi sarebbe impossibile togliere)
ovvero del modello strofa-ritornello, costituendo nella maggior
parte proprio il ritornello. Vediamo alcuni esempi:
- le voci di venditori in brani come Montevergine di P. Cinque-
grana-V. Valente del 1898 oppure Nanasse di V. P. Gasdia-A. Mon-
tagna del 1907 o ancora in Prezzetella ‘a semmentara di Donadio-
Jacoletti del 1930
- le fronne in brani come ’O schiavuttiello di G. Quaranta degli anni
’10 del ‘900 oppure ’O festino a fronna ‘e limone di Donadio del
decennio successivo.27

25
Diego Carpitella, Conversazioni sulla musica. Lezioni, conferenze, trasmis-
sioni radiofoniche 1955-1990, Ponte alle Grazie, Firenze 1992, pag. 59.
26
Sugli aspetti totalmente differenti della vocalità tradizionale rispetto a quella
colta vedere anche Giorgio Adamo, “Il suono nella tradizione orale”, in AA.VV.,
Forme e comportamenti della musica folklorica italiana. Etnomusicologia e didat-
tica, Unicopli, Milano 1985, pp. 155-73.
27
Una registrazione di questi 2 brani, risalenti agli inizi del Novecento ed ese-
guiti entrambi da Nicola Smeragliuolo, è possibile ascoltarla in uno dei dischi
facenti parte dell’antologia Le antiche voci della canzone napoletana pubblicata in
10 volumi dalla Emi, ristampata su cd dal 1999 al 2000. I brani in questione si tro-
vano nel vol. 8 dal titolo I cantanti di giacca vol. 2, Emi Music Italy S.p.A., 2000, 7243
52437429.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 141

Si tratta in questi due ultimi casi di due canzoni di giacca che


trattano temi legati alla malavita e dove la fronna (da sempre asso-
ciata anche al mondo delle carceri28) viene utilizzata per fini dram-
matici ovvero per dar maggior risalto a una situazione criminosa.
Valgono anche qui le considerazioni fatte sopra sulla sostanziale
diversità dell’esecuzione vocale di queste fronne diciamo “stiliz-
zate” inserite nel contesto di una canzone rispetto alle fronne tra-
dizionali del repertorio contadino caratterizzate invece da una
vocalità che può sembrare aspra e “violenta”.
c) citazioni di frammenti delle forme melodiche tradizionali: ci rife-
riamo in quest’ultimo caso all’espediente di utilizzare parti relati-
vamente brevi di forme tradizionali (frammenti di voci di venditori
oppure di voci legate a canti di lavoro) assorbendole all’interno del
tessuto melodico della strofa oppure del ritornello. Maestro in
questo tipo particolare di citazioni è sicuramente Raffaele Viviani29
(l’esempio massimo è la famosa Rumba degli scugnizzi) ma pos-
siamo segnalare anche altri esempi:
- i frammenti di voci di venditori in canzoni come la già citata ’E
spingule frangese in cui viene ripreso alla fine del ritornello, pie-
gato alle esigenze “melodiche”, il grido del venditore di spille (“Ah
chi vo’ spingule, ah chi vo’”) oppure ’E cerase di Di Giacomo-
Valente del 1888 in cui viene utilizzato allo stesso modo il grido del
venditore di ciliegie (“’E cerase, ‘e cerase”).
- 3) citazioni ritmiche: quest’ultima modalità riguarda quelle innu-
merevoli canzoni napoletane classiche che adottano il nome di
tammurriata30 o di tarantella imitandone l’andamento ritmico ma
con impianti “melodico-armonici” totalmente differenti dai
modelli di riferimento,31 seppure alcune di esse abbiano un indub-

28
R. De Simone, La tradizione in Campania, p. 19.
29
Viviani in alcuni brani (‘O maruzzaro, L’acquaiuolo, ‘O pizzaiolo, ‘O ficurinaro
e ‘O ficaiuolo) inseriti nei sui lavori teatrali adotta un particolare metodo composi-
tivo costruito proprio a partire da citazioni di frammenti di voci di venditori. Oltre a
queste rinveniamo nella produzione di Viviani altre citazioni: di fronne (Canzone
sott’o carcere), di voci di questua (Pascale d’a cerca), di canti a figliola (nell’opera
teatrale Festa di Montevergine) ecc. Vedi Raffaele Viviani, Teatro, a cura di Antonia
Lezza e Pasquale Scialò, Napoli, Guida, 1987-1994 (6 voll.) e una serie di saggi di
Pasquale Scialò su Viviani usciti in diverse sedi e ora raccolti in un unico volume (P.
Scialò, Storie di musiche, pp. 223-301). Sull’argomento chi scrive ha svolto un lavoro
di tesi di laurea in etnomusicologia: Raffaele Di Mauro, La musica di tradizione
orale nel teatro di Raffaele Viviani, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Roma
Tor Vergata, a. acc. 2003-2004, relatore prof. Giorgio Adamo.
142 Raffaele Di Mauro

bio sapore popolare come, ad esempio, Tammurriata palazzola di


F. Russo-R. Falvo del 1914. Ne citiamo solo alcune:
. Tammurriata all’antica di E. Murolo- E. A. Mario del 1913

. Tammurriata muderna di E.A.Mario del 1931

. Tammurriata sigreta di L. Bovio-F. Albano del 1931

. Tammurriata americana di L. Bovio-E. Tagliaferri del 1934

. Tarantella scura di S. Di Giacomo-V. Valente del 1906

. Tarantella luciana di L. Bovio-E. Cannio del 1913

. Tarantella tentatora di A. Califano-E. Di Capua del 1914

. Tarantella internazionale di E. Murolo-E. Tagliaferri del 1926

Di questa categoria fa parte anche la famosissima Tammurriata


nera di E. Nicolardi-E. A. Mario del 1944 che è diventata, anche gra-
zie a una celebre (ma per certi versi “ambigua”) interpretazione
della Nuova Compagnia di Canto Popolare, il “modello” di tam-
murriata più conosciuto, pur non avendo nulla a che vedere con la
tammurriata tradizionale contadina che si può ascoltare ancora
oggi recandosi in Campania a una delle varie feste legate al culto
delle cosiddette Madonne sorelle (Madonna delle Galline,

30
Gli elementi tipici del canto sul tamburo in Campania, chiamato appunto
tammurriata, sono i seguenti: ritmo binario con un ciclo di 4 battute o pulsazioni,
profilo melodico discendente con un attacco sul quinto grado, ambitus melodico
pentafonico con quarto grado aumentato, chiusura sulla tonica prolungata sulla
cosiddetta vutata o rotella, struttura strofica con alternanza di endecasillabi e sette-
nari (o ottonari), uso di interpolazioni testuali (le cosìddette barzellette o stroppole)
costituite da ottonari autonomi (spesso con chiare allusioni sessuali), uso di parti-
colari stilemi fonici come la trasformazione in “a” di tutte le vocali nelle cadenze. La
tammurriata di area vesuviana è per certi versi lo stile areale di canto sul tamburo in
Campania più diffuso e famoso, tanto da rappresentare una sorta di “modello base”
da cui gli altri stili relativi ad aree diverse si differenziano: maggiormente quelli
dell’area amalfitana e dell’area giuglianese che hanno caratteristiche proprie assai
marcate, in modo minore quello dell’area nocerino-sarnese che, forse anche grazie
ad una maggiore vicinanza geografica, presenta molte affinità con lo stile vesu-
viano. Dal punto di vista delle tematiche testuali diversi sono i riferimenti: magico-
simbolici, religiosi, storici ecc. Il testo più celebre è quello che ha inizio con i due
endecasillabi più noti di tutta la tammurriata campana: “Bella figliola ca te
chiamme Rosa, che bellu nomme mammeta t’a mise”.
31
Per le caratteristiche della tammurriata e della tarantella di tradizione orale
campana vedere anche: R. De Simone, La tradizione in Campania, pp. 14-15.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 143

Madonna dell’Arco, Madonna di Castello, Madonna di Briano e


così via).

La canzone napoletana e la musica di area cittadina: dalla can-


zone artigiana di tradizione orale alla canzone urbana d’autore

Ci sembra invece più diretto il legame di “filiazione” che lega la


canzone napoletana classica alla canzone di fascia artigiana di
area cittadina, da cui essa sembra “discendere”. Per canzone
napoletana artigiana di tradizione orale intendiamo tutto quel
repertorio di brani di area cittadina diffusi per via orale o attra-
verso fogli volanti (come i settecenteschi cartelli dei carri e delle
quadriglie32) o eseguiti sul Molo33 (chiamati storie ’e copp’ ‘o
muolo34), o in giro per la città da diverse figure di musici ambulanti
(cantastorie, improvvisatori, viggianesi, posteggiatori e cantori
girovaghi). A questo va sicuramente aggiunto anche tutto il reper-
torio di canzoni narrative, per certi versi “trasversale” (nel senso
che tocca sia il mondo rurale e contadino che quello artigiano-cit-
tadino), che, grazie ai suoi testi poetici e melodici più facilmente
“plasmabili” in vista di una pubblicazione ad esempio per canto e
pianoforte, era un’altra preziosa fonte a cui attingere.35
A nostro avviso, quindi, la canzone napoletana classica non è
altro che l’evoluzione della canzone napoletana artigiana di tradi-

32
Erano delle canzoni composte da corporazioni di arti e mestieri in occasione
del Carnevale i cui testi, che incensavano le supreme autorità e molto spesso cele-
bravano la propria corporazione e le qualità dei propri prodotti, venivano stampati
appunto su dei fogli volanti distribuiti al pubblico e un solo esemplare veniva stam-
pato su seta e consegnato al re. Secondo Scafoglio, che riproduce l’immagine di un
cartello del 1777 (Pe la Quadriglia de la preta de la loggia) molto simile grafica-
mente ai fogli volanti ottocenteschi, “i cartelli derivavano dai canti legati ai Trionfi
carnascialeschi dei secoli XVI-XVII, ma risentivano altresì dell’influenza dei canti
dei mestieri della tradizione orale popolare”. Cfr. Domenico Scafoglio, Il carnevale
napoletano. Storia, maschere e rituali dal XVI al XIX secolo, Newton Compton,
Roma 1997, pp. 32-34.
33
Una riprova del fatto che Guglielmo Cottrau attingesse proprio a questo tipo
di repertorio cittadino per le sue “trascrizioni” o rielaborazioni è data dalla pre-
senza, tra le 68 canzoncine della terza edizione del 1829 dei Passatempi, di un brano
dal titolo Storia di Angelo del duca (che, lo ricordiamo, era un celebre brigante) col
sottotitolo come si canta sul Molo di Napoli.
34
Secondo Pietro Martorana queste storielle de coppa a lo Muolo traevano l’ori-
gine dai canti carnascialeschi degli artigiani e dei piccoli rivenditori napoletani, che
abbiamo già citato (vedi nota 32) a proposito dei cartelli dei carri e delle quadriglie
legate al Carnevale, e risalivano ai tempi del Basile (1575-1632). Cfr. Pietro Marto-
rana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napolitano, Chiu-
razzi Editore, Napoli 1874, pp. 57-59.
144 Raffaele Di Mauro

zione orale, figlia di un’urbanizzazione “primaria” (essenzial-


mente monoculturale, dovuta al “concentrarsi di un gran numero
di persone appartenenti a una data area nel relativo centro cultu-
rale”) in canzone napoletana d’autore, figlia invece di un’urbaniz-
zazione “secondaria” (sostanzialmente multiculturale, dovuta alla
“confluenza di più culture in una sola città”).36 Questo “passag-
gio”, che a nostro avviso avviene dagli inizi dell’Ottocento fino
all’ultimo ventennio dello stesso secolo, è accompagnato da innu-
merevoli processi che investono vari livelli.
Proviamo a fare un elenco di quelli più significativi:
1) Incontro della canzone napoletana artigiana di tradizione orale
con forme musicali colte (romanza da salotto, musica operistica,
musica da ballo ecc.): il contatto prolungato tra la musica popolare
cittadina e la musica colta, che provocherà a Napoli continui effetti
di acculturazione e sincretismo, ha i suoi precedenti già nell’espe-
rienza cinquecentesca delle villanelle e in quella settecentesca
dell’opera buffa.37 Ma sarà a nostro avviso soltanto nell’Ottocento,
grazie anche ai paralleli cambiamenti culturali e sociali, che
dall’incontro di queste due forme nascerà quel prodotto “ibrido”
conosciuto come canzone napoletana. Tale “incontro” avverrà
nella prima metà dell’Ottocento nelle case e nei salotti napoletani
durante quelle che saranno poi definite periodiche, ovvero riunioni
della borghesia e nobiltà napoletana dove, oltre a chiacchierare
bevendo un po’ di rosolio, si potevano ascoltare indifferentemente
romanze,38 riduzioni di arie operistiche, musiche per il ballo
(molto in voga erano allora la quadriglia, il valzer, ecc.) e anche

35
Abbiamo anche qui degli esempi precisi presi sempre da due canzoncine
pubblicate da Cottrau: la Canzone di soldato, Chi bussa alla mia porta? il cui testo è
abbastanza simile ad una ballata (la n. 30, Il Marito giustiziere) riportata dal Nigra
(cfr. Costantino Nigra, Canti popolari del Piemonte, 2 voll., Einaudi, Torino 1974, 1ª
ediz. 1957, vol. I, pp. 210-15) e La Calabresella il cui testo è quasi identico a un canto
popolare calabrese raccolto da Raffaele Lombardi Satriani (cfr. Antonello Ricci &
Roberta Tucci, I “canti” di Raffaele Lombardi Satriani. La poesia cantata nella tradi-
zione popolare calabrese, A.M.A. Calabria, Lamezia Terme 1997, pp. 132-34).
36
Bruno Nettl, “Musica urbana”, in Enciclopedia della Musica, vol. VI, p. 539.
Secondo Nettl “con ogni probabilità, l’urbanizzazione è responsabile di un gran
numero – se non della maggioranza – delle miscele e combinazioni stilistiche che
caratterizzano oggi la musica locale”.
37
A tal proposito interessanti, seppur brevi, sono le considerazioni fatte da De
Simone sui due periodi: cfr. R. De Simone, Disordinata storia della canzone napole-
tana, pp. 13-23, 37-40.
38
Vedere Francesca Seller, “Zingarelli, Mercadante, Florimo e la ramanza
nell’editoria musicale partenopea dell’ottocento”, in Francesco Sanvitale (a cura
di), La romanza italiana da salotto, EDT, Torino 2002, pp. 197-207.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 145

brani popolari (soprattutto quelli di area cittadina) trascritti per


canto e pianoforte, insomma tutto quel repertorio che trova il suo
specchio editoriale nei celebri Passatempi Musicali.39
2) Passaggio dall’oralità alla scrittura: si passa gradualmente da
una trasmissione “orale-aurale” (da bocca a orecchio) a forme
scritte come i fogli volanti40 (recante il testo del brano a volte
accompagnato dalla sola melodia del canto) e le trascrizioni per
canto e pianoforte (come quelle di Cottrau raccolte nei Passa-
tempi) per giungere infine alle partiture e le copielle41 che accom-
pagneranno la nascita della canzone napoletana classica e che
saranno diffuse in commercio dalle numerose case editrici che
sorgeranno a Napoli in quegli anni. Più tardi, agli inizi del Nove-
cento, con l’avvento e l’invenzione del disco e della radio si assi-
sterà al curioso fenomeno della “oralità secondaria” o meglio

39
La denominazione precisa era Passatempi musicali o sia Raccolta di Ariette e
duettini per camera inediti, Romanze francesi nuove, Canzoncine Napoletane e Sici-
liane, Variazioni pel canto, piccoli Divertimenti per pianoforte, Contraddanze, Walz,
Balli diversi etc. Questa raccolta, curata da Guglielmo Cottrau, uscì in due serie di
fascicoli misti (i primi 6 fascicoli dall’Ottobre 1824 all’Ottobre 1825, gli altri 6 fasci-
coli, con nuovi brani, dal Gennaio 1826 al Settembre del 1827) e in 3 edizioni divise
in parti (le prime due, del 1825 e del 1827, in 3 parti e la terza, del 1829, in 4 parti)
che riprendevano sostanzialmente i brani già pubblicati nei fascicoli misti ma divisi
appunto in parti (1ª parte ariette, romanze, duettini per camera; 2ª parte canzon-
cine, barcarole, napoletane e siciliane, 3ª parte contradanze, walz, tarantelle, 4ª
parte pot-pouris teatrali). Alla 2ª parte (quella che a noi interessa, perché conte-
nente le canzoni napoletane) che nel 1829 raggruppava 68 canzoncine fecero poi
seguito diversi Supplementi, i primi tre curati sempre da Guglielmo Cottrau prima
della sua morte nel 1847: il primo uscito nel 1843 raggruppava 16 canzoncine uscite
dal 1832 al 1843, il secondo uscito sempre verso la fine del 1843 conteneva 25 nuove
canzoncine, il terzo uscito invece nel 1845 altre 20 nuove canzoncine nazionali
napoletane. Alla produzione pubblicata da Guglielmo Cottrau vanno aggiunte poi
tutta una serie di raccolte e di canzoni napolitane (quelle da noi al momento indivi-
duate sono circa un migliaio) che dagli anni Quaranta fino agli anni Settanta
dell’Ottocento videro la luce grazie a compositori noti come Florimo, Mercadante,
De Giosa e altri; o meno noti come Labriola, Biscardi, De Roxas fino ad arrivare a
Teodoro Cottrau, figlio di Guglielmo).
40
I fogli volanti erano grandi circa 20x30 cm ed erano nella maggior parte dei
casi stampati su un solo lato e illustrati, tranne rare eccezioni, in modo abbastanza
rozzo. Spesso riportavano solo il testo della canzone senza l’indicazione degli
autori, talvolta invece riportavano anche la melodia del canto e l’indicazione
dell’autore del testo e del compositore. Tra le maggiori stamperie di fogli volanti
ricordiamo quelle di Azzolino e De Marco. Per una ricostruzione del passaggio dalla
trasmissione orale al foglio volante fino a giungere alla cassetta vedere: Roberto
Leydi, “Il mercato della musica popolare. Dal foglio volante alla cassetta”, in R.
Leydi (a cura di), Guida alla musica popolare in Italia, 2. I Repertori, LIM, Lucca
2001, pp. 173-91.
146 Raffaele Di Mauro

dell’“auralità di ritorno”42 (dal disco o dalla radio all’orecchio) per


cui numerosi interpreti apprenderanno le canzoni non più per
“imitazione” sentendole cantare direttamente da un altro esecu-
tore (trasmissione orale-aurale classica) né leggendole da un foglio
volante, una partitura o una copiella (trasmissione scritta) ma
ascoltandone semplicemente una precedente registrazione (tra-
smissione aurale di natura tecnica).
3) Passaggio da una canzone basata su una ripetizione discorsiva
puramente strofica43 a una basata invece sul modello strofa-ritor-
nello:44 durante l’ottocento avverrà il passaggio da una canzone
basata sulla ripetizione di poche frasi melodiche con un testo sem-
pre diverso (è il caso di brani famosi come Lo guarracino, Miche-
lemmà, Fenesta che lucive nelle quali manca una parte che corri-
sponda al ritornello) a una canzone invece basata sulla distinzione
chiara tra una strofa e un ritornello che viene ripetuto pressoché
41
Le copielle, con un formato di cm 20x10, a differenza dei fogli volanti erano
stampate su due lati (da una parte il testo, dall’altra la musica ovvero la melodia
spesso scritta per essere eseguita dal mandolino) ed erano molto spesso un efficace
“veicolo” per pubblicizzare altri prodotti. Sul passaggio dal foglio volante alla
copiella in chiave “commerciale” vedere Massimiliano Vajro, La canzone napole-
tana dalle origini all’ottocento, Vajro, Napoli 1957, p. 144 oppure Maria Luisa Stazio,
Osolemio. La canzone napoletana – 1880/1914, Bulzoni editore, Roma 1991, p. 129.
42
Cfr. Jean Molino, “Che cos’è l’oralità musicale”, in Enciclopedia della Musica,
vol. VII, p. 405.
43
Richard Middleton ha individuato come uno degli elementi basilari della
forma-canzone la struttura ripetitiva o quella che lui chiama politica della ripeti-
zione. Egli distingue due tipi di ripetizione: 1) ripetizione musematica, cioè di brevi
cellule melodico-ritmiche (ad esempio i riffs del rock) 2) ripetizione discorsiva, cioè
di frasi, periodi o sezioni (strofe, ritornelli, chorus ecc.). Per essere sintetici: a nostro
avviso la musica di tradizione orale di area contadina è basata spesso sulla ripeti-
zione musematica, ovvero sulla reiterazione di patterns melodico-ritmici (una sorta
di riffs popolari) su cui si cantano testi sempre diversi come ad esempio nella tam-
murriata; la canzone artigiana si basa invece di solito su una ripetizione discorsiva
puramente strofica; la canzone napoletana classica è basata anch’essa sulla ripeti-
zione discorsiva ma con l’alternanza strofa-ritornello in cui si tende a far ripetere
più volte la parte principale ovvero il ritornello. Cfr. Richard Middleton, “Sulla ripe-
tizione”, in Luca Marconi e Gino Stefani (a cura di), Il senso in musica: antologia di
semiotica musicale, Clueb, Bologna 1987, pp. 287-98; R. Middleton, “‘Over and
over’. Appunti verso una politica della ripetizione (I e II)”, Musica/Realtà, n. 55
(1998), pp. 135-50; n. 56 (1998), pp. 169-80.
44
Cfr. Franco Fabbri, “La canzone”, in Enciclopedia della Musica, vol. IV, pp.
558-59. Fabbri distingue un modello strofa-ritornello (modello SR) con uno schema
finalistico cioè teso “sul finale”, da un modello chorus-bridge (modello CB) invece
tutto teso “sull’inizio”. La canzone napoletana classica (così come in genere quasi
tutta la canzone italiana) adotterà e in un certo senso prefigurerà il modello SR
mentre il modello CB sarà tipico ad esempio della canzone americana.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 147

uguale nella musica e nel testo. La canzone apripista in questo


senso sarà la celebre Io te voglie bene assaje (pubblicata anonima
da Cottrau nel 1840 ma probabilmente a partire da versioni spurie
apparse precedentemente su fogli volanti), che, insieme ad altri
esempi meno famosi disseminati nella produzione del primo Otto-
cento, è caratterizzata da una sorta di “proto-ritornello” (o ritor-
nello in nuce) indicato su alcuni fogli volanti come lo ‘ntercalare
(intercalare) oppure lo riepeto obbrecato (ripetizione obbligata)45 e
alquanto diverso, a nostro avviso, dal ritornello così come lo inten-
diamo oggi.46 L’adozione invece del tipico modello strofa-ritor-
nello diventerà quasi “normativo”47 solo nella canzone napoletana
classica e quindi a partire dal 1880 (attraverso ad esempio brani
come Funiculì-Funiculà di Turco-Denza o Nannì della fortunata
coppia Di Giacomo-Costa).48 La canzone napoletana classica
nascerà inoltre come canzone con una sua precisa carta d’identità
ovvero una data melodia associata a un dato testo non più separa-

45
Vedere ad esempio alcuni fogli volanti riportati da De Mura: Ettore De Mura,
Enciclopedia della canzone apoletana, 3 voll., Il Torchio, Napoli 1969, vol. III, pp.
254-55, 281.
46
Per Io te voglio bene assaie, così come per alcuni altri brani che nello stesso
periodo ebbero un discreto successo come Don Ciccio alla fanfarra del 1844, non è
possibile parlare ancora di un modello strofa-ritornello in senso stretto, con una
struttura per intenderci A/B/A1/B/A2/B ecc. La struttura ci appare ancora di tipo
strofico, essenzialmente A/A1/A2/A3 e così via, con ogni A costituito a livello
testuale da un’ottava divisa in due quartine composte da tre settenari (talvolta otto-
nari) e un senario (a volte un settenario), e spesso con rime ABBC-DEEC. Sono pro-
prio il settenario e il senario in conclusione della seconda quartina (per intenderci
quelli con rima EC) a essere ripetuti sempre con lo stesso testo e la stessa melodia e
a diventare la parte “memorabile” del brano. Nel caso di Io te voglio bene assaje lo
‘ntercalare o riepeto obbrecato (oggi lo definiremmo “tormentone”) è appunto “Io te
voglio bene assaje/ ma tu non pienz’a me” così come in Don Ciccio alla fanfarra è
“Don Ciccio alla fanfarra/ ch’è ‘o core de mammà”.
47
Non rientrano nella “norma” tutto quel repertorio di brani in dialetto napole-
tano musicati da diversi compositori colti (come Alfano, Pizzetti e in precedenza,
nel primo Ottocento da Florimo, Mercadante, De Giosa e altri) che hanno strutture
assai varie e complesse (forme a ponte o a specchio e così via). Tutto questo reperto-
rio è stato indagato in maniera esaustiva, in un lavoro recente, da Gianfranco Pleni-
zio il quale parla di un “doppio registro”, da un lato le “melodie” (o “romanze”) e
dall’altra le “canzoni”, a volte utilizzati entrambi dal medesimo compositore
nell’ambito della propria produzione (due esempi per tutti: Pasquale Mario Costa e
Luigi Denza). Plenizio indaga a fondo, con numerosi esempi musicali analizzati, sul
primo dei due registri e cioè su quelle che lui definisce “melodie”, mentre è facil-
mente intuibile che a noi interessi proprio l’altro “registro”, ovvero le “canzoni”,
rimasto volontariamente fuori dalla sua analisi. Cfr. Gianfranco Plenizio, Lo core
sperduto. La tradizione musicale napoletana e la canzone, Guida editore,
Napoli,2009.
148 Raffaele Di Mauro

bili,49 laddove, invece, nella fase precedente non era insolito che si
cantassero testi diversi sulla stessa melodia o lo stesso testo su
melodie diverse (così come avviene nelle canzoni narrative).50 Un
esempio è la famosa Lu guarracino di cui si conoscono varie ver-
sioni diverse testualmente e varie risposte (Il processo del Guarra-
cino, Il matrimonio del Guarracino ecc.) e sulla cui melodia si pote-
vano cantare anche altre canzoni.51
4) Passaggio dalla funzione di intrattenimento socio-identitario
della canzone artigiana di tradizione orale alle funzioni di intratte-
nimento puro della canzone napoletana d’autore: abbiamo già
detto che la musica artigiana diversamente da quella agro-pasto-
rale, sempre collegata a una determinata funzione esecutiva,
veniva eseguita in momenti di incontro collettivo in luoghi come
piazze, osterie, ecc., ma la sua esecuzione era motivata essenzial-
mente dal piacere di fare/ascoltare musica, una forma quindi di
“intrattenimento” che però poteva servire anche per esprimere i
valori culturali fondanti della comunità di appartenenza. Gli
esempi tipici di questo tipo di intrattenimento tradizionale sono
sicuramente la ballata, presente in diverse culture italiane ed
europee,52 e la storia,53 i cui interpreti erano i cosiddetti cantasto-

48
Non mancheranno ovviamente le eccezioni che confermano la regola in cui il
ritornello verrà cantato sulla stessa musica ma con un testo completamente diverso
(esempi famosi: Marechiare di Di Giacomo-Tosti e Era de maggio di Di Giacomo-
Costa) ma possiamo ritenere questi casi come “interni” al modello, perché in essi
appare comunque chiara una delimitazione, avvertibile anche attraverso la sola
musica, tra una parte che costituisce la strofa (A) e l’altra il ritornello (B).
49
Assai significative, in questo senso, sono le “avvertenze” che appaiono su
alcune copielle di inizio Novecento (ad esempio Si me sonno Napule di L. Bovio – E.
Tagliaferri edita da Gennarelli nel 1916 oppure ‘E sunature ‘e mandulino... di G.
Capaldo – M. S. Ciociano edita da Izzo nel 1915) dov’è scritto chiaramente che “è
assolutamente proibito di adattare sulle musiche di proprietà dell’editore… altri
versi che non siano quelli originali, pei contravventori si procederà a norma di
legge”. Molto probabilmente la pratica di adattare versi diversi alla stessa melodia
era ancora presente agli inizi del secolo scorso ma a quel punto ostacolata in tutti i
modi anche in difesa di quel diritto d’autore da poco “acquisito” (ricordiamo che la
Siae era nata nel 1882).
50
R. Leydi, “‘Sentite buona gente’. La ballata e la canzone narrativa”, in R. Leydi
(a cura di), Guida alla musica popolare in Italia, 2. I Repertori, p. 177.
51
Vajro ci segnala un brano dal titolo Lo festino de Luvisella. Canzona ‘ncopp’ a
la tarantella cantata sulla stessa musica de Lu Guarracino che, non a caso, nella
prima edizione pubblicata anonima da Cottrau nel 1829 si chiamava semplice-
mente Canzone sulla tarantella (Cfr. M. Vajro, La canzone napoletana dalle origini
all’ottocento, p. 126). Probabilmente anche altri brani con ritmo di tarantella, come
la famosa Cicerenella, venivano cantati su una melodia uguale o simile a quella de
Lu guarracino.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 149

rie54 (tipici in Italia furono quelli siciliani). Una funzione analoga a


quella dei cantastorie fu esercitata a Napoli dai posteggiatori55 la
cui presenza è ipotizzabile attraverso fonti letterarie secentesche
(Cortese, Basile, Sgruttendio) fin dal Cinquicento.56 Furono loro a
Napoli i massimi rappresentanti della musica di area cittadina57
volta all’intrattenimento (erano richiesti ad esempio nei banchetti
nuziali e nelle varie feste) e non è un caso che il loro declino inizi
proprio con la fase d’oro della canzone napoletana che rivestendo
sempre più essa stessa le funzioni di intrattenimento (divenuto
sempre più “puro” intrattenimento) occuperà lo spazio una volta
occupato proprio dai posteggiatori. Viceversa la musica di fascia
agro-pastorale continuerà a vivere parallelamente perché ope-
rante in contesti completamente diversi (la campagna, i santuari
ecc.) in cui la musica conserva la sua funzione rituale o comunque
di presenza caratterizzante di attività socio-comunitarie come il
lavoro, la festa ecc. Questo mondo musicale “impermeabile” e
totalmente altro dalla canzone urbana entrerà in crisi solo nel
secondo dopoguerra ma per ragioni completamente diverse, tra
queste la pesante industrializzazione, con il relativo spostamento
del lavoro dalla campagna alla fabbrica, che determinerà sempre
più il venir meno di quei particolari contesti esecutivi tipici della
musica contadina.

52
I. Macchiarella, “Dalla musica etnica ai generi di intrattenimento”, pp. 1171-
1175.
53
Sulla differenza tra ballata (tipica dell’Italia centro-settentrionale) e storia
(tipica invece dell’Italia centro-meridionale e in particolare della Sicilia) vedere: R.
Leydi, “‘Sentite buona gente’. La ballata e la canzone narrativa”, pp. 23-77.
54
Quest’ultimi potevano essere sia dei “professionisti”, il cui lavoro si collocava
in relazione diretta con un mercato (ovvero una clientela da accontentare in cam-
bio di un compenso) sia dei semplici “operatori culturali popolari” ovvero membri
della comunità stessa che non operavano per profitto ma a scopo di intratteni-
mento “educativo”. Cfr. R. Leydi, “‘Sentite buona gente’. La ballata e la canzone
narrativa”, p. 49.
55
Sui posteggiatori napoletani vedere Giovanni Artieri, I posteggiatori, Longa-
nesi, Milano 1961; Mimmo Liguoro, I posteggiatori napoletani, Newton Compton,
Roma 1995 e il prezioso lavoro di Maria Teresa Greco, I vagabondi, il gergo, i posteg-
giatori. Dizionario napoletano della parlèsia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
1997.
56
R. De Simone, Disordinata storia della canzone napoletana, p. 53.
57
Nel corso dell’Ottocento in ambito musicale cittadino operavano però a
Napoli anche altre figure: cantastorie, cantori girovaghi come i cosiddetti viggia-
nesi, improvvisatori, ecc. Cfr. M. L. Stazio, Osolemio. La canzone napoletana – 1880/
1914, pp. 25-42.
150 Raffaele Di Mauro

5) Passaggio da un livello di fruizione della canzone artigiana da


parte di un determinato ceto a un livello di fruizione della canzone
napoletana classica tendenzialmente interclassista: la canzone
artigiana di tradizione orale diffusa anche attraverso fogli volanti
era rivolta principalmente al popolo cittadino e a tutto quel mondo
di mestieri o delle arti che oggi definiremmo piccola borghesia,
così come la musica colta (sia vocale che strumentale) e le trascri-
zioni di brani popolari per canto e pianoforte erano indirizzate alla
medio-alta borghesia e alla nobiltà.58 La canzone napoletana clas-
sica sarà invece tendenzialmente interclassista rivolgendosi indif-
ferentemente a tutti i ceti sociali, da quelli popolari a quelli più alti,
e la sua tendenza egemonica, parallela a quella della nuova bor-
ghesia locale (che come ha osservato De Simone si dichiarerà
“unica interprete del sentimento popolare della città”),59 tenderà a
coprire tutti gli spazi della creatività cittadina andando sia a sosti-
tuire il ruolo una volta ricoperto da musici artigiani come posteg-
giatori, cantastorie, viggianesi ecc., sia a operare una profonda tra-
sformazione anche su eventi cittadini di natura rituale operanti
quindi su contesti profondamente diversi da quelli della canzone.
Il caso emblematico sarà la festa di Piedigrotta che si trasformerà
da festa caratterizzata da repertori musicali di tradizione orale di
tipo “contestuale” (tammurriate, tarantelle e canti devozionali in
onore della Madonna di Piedigrotta) in una gara di canzoni ovvero
di repertori musicali scritti e “non contestuali” (la cui funzione
principale è “l’intrattenimento”), per cui si potrà parlare di “due”
Piedigrotta.60

58
Si vedano a tal proposito le liste degli associati alla prima serie di 6 fascicoli
dei Passatempi del 1824-1825 poste all’inizio dei fascicoli stessi. Vi troviamo quasi
tutta la nobiltà dell’epoca, con particolar riferimento al gentil sesso che più si “dilet-
tava” con questo tipo di repertorio ritenuto “semplice”: principesse, duchesse,
baronesse, marchese e persino, in testa alla lista (vedi fascicolo n.1 dell’Ottobre
1824), “S. M. la Regina del Regno delle due Sicilie”.
59
R. De Simone, Disordinata storia della canzone napoletana, p. 46.
60
È negli anni Settanta dell’Ottocento che Piedigrotta inizierà a subire una sorta
di “mutamento genetico” passando da una festa essenzialmente rituale, in cui pro-
babilmente fin da tempi più antichi si eseguivano tarantelle, canti a figliola o canti
devozionali e alla quale forse già dall’inizio dell’Ottocento si era affiancata una pro-
duzione canzonettistica cittadina diffusa su fogli volanti (come testimoniato dallo
stampatore Azzolino in un articolo del Regaldi: cfr. Giuseppe Regaldi, “I canti popo-
lari di Napoli 1847”, Poliorama Pittoresco, anno XII 1848, semestre II, p. 338) dalla
quale ogni anno usciva una “canzone della festa”, a una festa spettacolare e com-
merciale legata ai concorsi indetti da giornali e riviste e dominata da meccanismi
pubblicitari. Com’è stato efficacemente sintetizzato da Roberto Cajafa si passerà
“dalla canzone della festa alla festa delle canzoni”. Cfr. P. Scialò, La canzone napole-
tana dalle origini ai giorni nostri, pp. 28-31.
Canzone napoletana e musica di tradizione orale 151

Sui temi fin qui trattati e in particolar modo sui processi indivi-
duati nella seconda parte di questo intervento che riguardano una
fase storica ben precisa della canzone napoletana, definita da noi
pre-classica e che va dal 1824 (anno d’inizio dei Passatempi) al 1879
(anno della morte di Teodoro Cottrau e anno precedente a Funi-
culì Funiculà di P. Turco-L. Denza del 1880 che segna invece l’ini-
zio della canzone napoletana classica), è attualmente in corso una
ricerca di dottorato da parte di chi scrive.61 Queste nostre conside-
razioni non sono da considerarsi quindi “definitive” ma vogliono
essere un primo contributo all’analisi di un momento “chiave”
della canzone napoletana, cercando in prospettiva futura di tro-
vare eventuali parallelismi in ambito sia europeo che internazio-
nale che favoriscano una più efficace comprensione di un’interes-
sante fase di “passaggio” che non riguarda soltanto la canzone
napoletana (tante sono, con le dovute differenze, le analogie con
ciò che avviene, più meno nello stesso periodo, ad esempio nella
canzone americana, irlandese, francese, ecc.) e che recentemente
Franco Fabbri ha definito in modo assai efficace “della popular
music prima della 'popular music'”.62

61
La ricerca si svolge nell’ambito del corso triennale del dottorato in Storia,
Scienze e Tecniche della Musica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.
62
Franco Fabbri, La popular music a Napoli e negli USA prima della 'popular
music': da Donizetti a Stephen Foster, da Piedigrotta a Tin Pan Alley, relazione ine-
dita tenuta a Napoli il 4 Giugno 2010 nell’ambito del convegno “La canzone napole-
tana. Le musiche e i loro contesti”.

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