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Athos Zontini
1
Athos Zontini
Nato
il
primo
marzo
1914
a
Bagnoli
Irpino
e
scomparso
dopo
una
breve
ma
fatale
malattia
il
30
novembre
1992,
iniziò
la
sua
carriera
sportiva
in
atletica
leggera,
stabilendo
numerosi
record
nazionali
ed
europei
nella
staffetta
4x400
metri,
nel
mezzofondo
e
nei
100
metri
piani.
Nel
1936
rappresentò
l’Italia
alle
Olimpiadi
di
Berlino.
Debuttò
in
Serie
A
nel
calcio
professionistico
con
Mister
Garbutt,
che
gli
affidò
il
ruolo
di
difensore
nel
campionato
1934-‐1935
e
militò
con
la
squadra
partenopea
per
tre
stagioni
consecutive,
giocando
la
sua
ultima
partita
contro
il
Novara
il
ventotto
febbraio
1937.
Abbandonò
in
seguito
il
calcio
per
laurearsi
in
medicina
e
partecipare
alla
seconda
guerra
mondiale
dove
fu
decorato
al
valor
militare.
Al
suo
rientro
in
Patria,
dopo
una
lunga
prigionia
nel
lager
tedesco
di
Ziegenhein,
iniziò
a
lavorare
presso
l’Ospedale
dei
Pellegrini
e
a
collaborare
con
la
squadra
del
Napoli
di
cui
fu
medico
sportivo
per
circa
diciassette
anni.
Fu
eletto
Assessore
alla
Sanità
durante
le
elezioni
comunali
del
1961
e
tentò
di
opporsi
alle
intemperanze
di
Lauro,
rassegnando,
infine,
le
dimissioni
da
entrambi
gli
incarichi.
2
Premessa
La
Storia
del
Napoli
che
mio
padre
scrisse
nella
prima
metà
degli
anni
sessanta
è
un
diario
ideale
della
vita
trascorsa
in
azzurro,
che
coincide,
in
gran
parte,
con
la
sua
biografia
di
atleta,
calciatore
e
medico
sportivo.
Galantuomo
d’altri
tempi,
non
sempre
riuscì
a
condividere
i
valori
della
società
emersa
dal
dopoguerra,
nuova,
ma
non
necessariamente
migliore,
i
cui
ideali
erano
oramai
diversi
da
quelli
della
sua
giovinezza.
La
sua
storia
è
dunque
il
racconto
vivo
e
reale
delle
tante
vicissitudini
di
cui
fu,
in
parte,
protagonista
e
condivise
con
lealtà
e
passione
fin
dai
tempi
lontani
e
gloriosi
di
Garbutt
e
Sallustro.
Ringraziamenti
Ringrazio
mio
figlio
Martino
che
mi
ha
aiutato
e
sostenuto
nelle
ricerche
e
nella
fase
di
pubblicazione,
incoraggiandomi
a
portare
a
termine
il
progetto;
mia
sorella
Gemma
che,
nonostante
i
suoi
impegni
professionali,
mi
ha
coadiuvato
mettendo
a
disposizione
i
ricordi
di
famiglia
di
cui
è
stata
custode
durante
la
mia
lunga
assenza.
Ringrazio
Gaetano
Valente,
amico
di
sempre,
fin
dalla
nostra
ormai
lontana
giovinezza,
che
mi
è
stato
vicino
in
questa
come
in
altre
occasioni
facendomi
sentire
il
conforto
di
un
affetto
sincero
e,
infine,
Nicola
Schinco,
un
nuovo
amico,
appassionato
sportivo
e
collezionista
che
ha
reso
possibile
con
la
sua
affettuosa
ed
efficace
collaborazione
la
pubblicazione
di
questo
libro.
Leandro Zontini
3
1
C’era una volta
4
Per
mancanza
di
avversari
validi
il
Naples
si
vide
costretto
a
imbastire
incontri
occasionali
con
squadre
di
marinai
che
avevano
la
ventura
sportiva
di
sbarcare
alla
vecchia
Immacolatella.
Capitò
così,
un
bel
giorno,
a
bordo
dell’Arabik,
la
squadra
inglese
che
aveva
umiliato
i
grifoni
del
“Genoa
1893”,
antesignani
e
campioni
del
calcio
in
Italia,
che
le
avevano
buscate
per
tre
a
zero.
Il
Naples
vinse
per
tre
a
due,
con
goal
di
Mc
Pherson,
Scarfoglio
e
Chaudoir,
lasciando
gli
inglesi
a
bocca
aperta.
L’equipaggio
dell’Arabik,
accorso
al
campo
di
Bagnoli
con
propositi
bellicosi,
portò,
invece,
in
trionfo,
con
grande
spirito
sportivo,
i
vincitori.
Venne
poi
la
coppa
Lypton,
indetta
dall’omonimo
industriale
di
the
che
aveva
base
a
Palermo,
dove,
tra
l’altro,
la
maggior
parte
dei
giocatori
era
di
origine
maltese;
il
Naples
si
aggiudicò
la
vittoria
per
due
a
uno
al
novantesimo
minuto
di
una
partita
incandescente
che
trascinò
il
pubblico
all’entusiasmo
più
schietto.
Per
la
prima
volta
nella
storia
del
calcio
meridionale
l’esito
della
gara
fu
comunicato
nella
stessa
giornata
con
una
telefonata
al
numero
358
di
casa
Bruschini
in
Via
San
Severo
alla
Pietrasanta
dove
si
erano
riuniti
i
soci
del
Club
blu-‐celeste.
L’Unione Sportiva Internazionale
L’equilibrio
tra
i
giocatori
del
Naples
Football
Club,
scarsamente
affiatati
per
ragioni
etniche
e
linguistiche,
non
poteva,
tuttavia,
che
essere
precario.
Nel
1911
Bayon
e
Steinegger,
provocarono,
infatti,
una
prima
scissione
che
dette
vita
all’Unione
Sportiva
Internazionale
nella
quale
affluirono
amici
e
dissidenti
con
Stolti
presidente;
il
timone
del
Naples
passò
dunque
nelle
mani
di
Emilio
Anatra,
socio
del
Savoia
e
skipper
di
grande
fama.
L’Unione
Sportiva
Internazionale
indossava
una
casacca
blu
con
collo
e
paramano
bianchi
e
la
sigla
USI
sul
petto;
il
biglietto
per
accedere
al
campo
di
Agnano
costava
cinquanta
centesimi
ma
già
allora
i
portoghesi,
evitando
il
botteghino,
scavalcavano
le
“montagnelle”
che
circondavano
il
campo
per
godersi
tranquillamente
lo
spettacolo.
La
squadra,
nelle
cui
fila
confluirono
gradualmente
molti
giocatori
di
formazioni
minori,
attratti
dal
prestigio
del
Club,
poteva
ormai
contare
su
atleti
come
Steinegger,
Fowles,
lo
svizzero
Jenni,
il
portiere
Giuseppe
Cangiullo,
Paduli
e
De
Giuli
(ex
juventini),
Mascoli
e
i
fratelli
Matecena
provenienti
dalla
Società
Sportiva
Napoli.
Dopo
aver
subito
cocenti
sconfitte
nei
primi
derby
cittadini
i
dirigenti
del
Naples
capirono
che,
per
arginare
il
pericolo,
bisognava
attrezzarsi;
Gaetano
Del
Pezzo,
in
veste
di
organizzatore,
ingaggiò
dunque
i
danesi
Thorthenson
e
Hansen
e
schierò
in
porta
Guido
Cavalli
(ex
baluardo
della
Juventus)
ben
noto
per
le
sue
formidabili
respinte
di
piede
e
di
pugno,
con
la
speranza
di
poter
fronteggiare
l’agguerrita
rivale.
La
gente
cominciava
a
guardare
con
maggiore
simpatia
i
pazzi
della
palla
rotonda
e
correva
ad
applaudirli,
incuriosita,
con
crescente
entusiasmo.
Il
vento,
tuttavia,
stava
cambiando
direzione;
sulla
bocca
di
tutti
echeggiavano,
infatti,
le
note
di
una
canzone
che
ci
avrebbe
accompagnati
a
Tripoli,
“bel
suol
d’amore”,
almeno
nelle
intenzioni
del
poeta:
l’Italia
partiva
in
armi
alla
conquista
della
“Quarta
Sponda”.
Nel
breve
intervallo
tra
l’impresa
africana
e
la
Prima
Guerra
mondiale,
il
Naples
vinse,
a
Roma,
la
coppa
Noli
da
Costa
e
sconfisse
la
Roman
(tre
a
zero)
e
la
Virtus
Juventusque
di
Livorno
(due
a
zero),
schierando
in
campo
Cavalli,
Garozzo,
Piccini,
Dalia,
Hellul,
Del
Pezzo,
Bruschini
II,
Reichlin
II,
Eastwood,
Reichlin
I
e
Bruschini
I.
Nel
maggio
1915,
con
l’entrata
in
guerra
del
nostro
Paese,
i
giovani
idonei
alla
leva
militare
partirono
in
massa
e
i
calciatori
partenopei
non
fecero
eccezione.
5
Chaudoir,
Defendi
e
Teodoro
Capocci
non
tornano
più,
mentre,
tra
i
reduci,
alcuni
non
furono
più
in
grado
di
toccare
un
pallone,
come
Eastwood
che
perse
una
gamba
sul
fronte
francese.
Quelli
che
furono
risparmiati
dal
destino
tornarono
all’antica
passione
al
termine
del
conflitto;
le
casacche,
allora,
riaffiorarono
dalla
naftalina
e
il
pallone
riprese
la
sua
corsa
sui
verdi
prati
dei
campi
sportivi.
Le porte di pietra
Il
1919
fu
l’epoca
d’oro
della
“Villetta”,
un’area
pianeggiante
di
fronte
Via
Caracciolo,
dove
giocatori
affermati
non
disdegnavano
di
togliersi
la
giacca
e
schierarsi
in
campi
improvvisati
con
le
porte
formate
da
pietre
o
cataste
di
libri.
Come
dimenticare
Cassese,
Lobianco,
Jaquinto,
Matarazzo,
Gigliesi,
Bruschini
III
e
il
terzino
De
Manes,
considerato
il
“re”
della
Villetta?
Come
non
ricordare
Ernesto
Ghisi,
Parodi,
i
fratelli
De
Palma,
Osvaldo
Sacchi,
Gennaro
Maisto?
La
nostra
città
contava
in
quel
periodo
ben
cinque
squadre
che
partecipavano
al
Campionato
di
Prima
Divisione,
vale
a
dire
il
Naples,
l’U.S.
Internazionale,
la
Bagnolese,
la
Pro
Napoli
e
la
Puteolana.
L’Internazionale
vinse
il
primo
campionato
campano
del
dopoguerra,
precedendo
in
classifica
la
Puteolana,
la
Pro
Napoli,
il
Naples
e
la
Pro
Caserta.
Fu
proprio
allora
che
cominciò
a
fare
le
prime
apparizioni
un
ragazzetto
alto
e
sottile,
con
i
capelli
arruffati
e
i
calzoni
corti
al
ginocchio,
il
cui
nome
divenne
presto
leggendario
nell’ambiente
sportivo
napoletano
e
nazionale;
Attila
Sallustro
non
aveva
che
undici
anni
ma
le
sue
sorprendenti
qualità
calcistiche
non
sfuggirono
a
Emilio
Reale,
Presidente
dell’Internazionale
e
pioniere
del
calcio
partenopeo,
che,
nel
1921,
riuscì
ad
accaparrarselo.
Sallustro
e
Massimo
Pensa
erano
i
ragazzi
più
in
gamba
del
momento;
insieme
costituirono
un
duo
rimasto
famoso
nella
memoria
dei
tifosi
e
degli
appassionati
sportivi.
Il
Naples,
sotto
la
guida
affettuosa
e
tenace
del
buon
Molfesi
badò
a
migliorare
i
suoi
ranghi
in
vista
del
Campionato
Regionale
che,
sebbene
ricco
di
emozioni
e
di
agonismo,
terminò
in
pareggio
tra
i
due
massimi
Club
cittadini
costretti
ad
affrontarsi
di
nuovo
sul
campo
Oncino
di
Torre
Annunziata
dove
i
blu
celesti
la
spuntarono
per
uno
a
zero;
i
giocatori
del
Club
di
Agnano,
mortificati
per
lo
smacco,
si
tapparono
in
casa
per
sfuggire
ai
commenti
mordaci
della
tifoseria.
La
Bagnolese
vinse
il
girone,
con
sette
punti,
seguita
dalla
Puteolana,
penalizzata
per
aver
fatto
giocare
alcuni
elementi
sotto
falso
nome;
il
Naples
aveva
totalizzato
cinque
punti
e
l’Internazionale
due.
Bagnolese
e
Naples
disputarono
quindi
le
semifinali
interregionali
con
le
squadre
del
Centro
Italia.
La
capolista
dovette
affrontare
il
Pisa
e
la
Fortitudo
di
Roma
mentre
il
Naples
dovette
battersi
con
il
Livorno
e
la
Lazio,
che
sconfisse
in
casa
per
quattro
a
due,
pareggiando,
nel
ritorno,
per
quattro
a
quattro:
un
esordio
davvero
lusinghiero;
Fulvio
Bernardini
difendeva
la
porta
laziale
mentre
il
Naples
schierava
il
quindicenne
Ghisi,
in
posizione
di
centravanti,
e
Ninò
Bruschini,
diciottenne,
all’ala
destra
che
infilarono
due
goal
a
testa,
siglando
la
trasferta.
Bernardini,
da
quel
giorno,
non
volle
più
saperne
di
restarsene
tra
i
pali;
e
fu
la
sua
fortuna.
L’Internazionale,
punta
nell’orgoglio,
ingaggiò
l’austriaco
Bino
Shasa,
primo
allenatore
nella
storia
del
calcio
locale,
competente
dal
punto
di
vista
tecnico
ma
piuttosto
indeciso
e
remissivo,
specie
con
i
calciatori
più
anziani;
come
trainer
di
prima
squadra
non
ebbe
fortuna.
Lasciò
invece
un
eccellente
ricordo
per
la
sua
opera
appassionata
e
paziente
nei
confronti
delle
giovani
promesse
e
fu
il
primo
a
intuire
le
qualità
di
Sallustro
e
a
infondergli
fiducia
nei
propri
mezzi
insegnandogli
le
malizie
dell’arte.
Le
stagioni
successive
non
furono
propizie
ai
due
maggiori
sodalizi
partenopei
a
causa
del
crescente
antagonismo
tra
le
squadre
e
tra
gli
stessi
giocatori.
6
Fu,
invece,
l’anno
del
Savoia
che
riuscì
a
rappresentare
i
colori
regionali
nelle
semi
finali
del
Campionato
Centro-‐Meridionale.
Le
due
grandi
rivali
compresero
allora
che
era
giunta
l’ora
di
tendersi
la
mano
e
concentrare
il
meglio
delle
reciproche
forze
per
tentare
la
scalata
alla
vetta
del
Calcio
Nazionale;
dalla
loro
fusione
nacque
l’Internaples,
che
esordì
nella
stagione
1923-‐1924
in
casacca
azzurra
con
collo
e
paramano
celesti.
7
2
Associazione Calcio Napoli
Ascarelli
Giorgio
Ascarelli,
che
aveva
assunto
la
Presidenza
del
sodalizio
azzurro,
era
convinto
che
il
calcio
richiedesse
studio
e
disciplina,
a
prescindere
dalle
doti
atletiche
o
agonistiche
di
ciascun
giocatore;
decise
quindi
di
affidare
la
squadra
alle
cure
di
Carlo
Carcano,
ex
calciatore
alessandrino,
che
portò
con
sé
il
giovanissimo
Giovanni
Ferrari,
una
delle
migliori
promesse
del
Calcio
Italiano.
Sotto
la
sua
direzione,
l’Internaples
dominò,
incontrastata,
il
Campionato
Regionale
di
Prima
Divisione,
riuscendo
a
segnare
ben
centotrenta
goal!
La
formazione
prevedeva
Ferrari
alla
mezzala
sinistra,
Ghisi,
giunto
ormai
all’apogeo
della
fama
e
della
carriera,
in
posizione
di
centravanti,
e
Sallustro
all’opposta
mezzala;
Fariello,
(cui
subentrò
poco
dopo
Fiorini)
giocava
all’ala
destra
mentre
l’irruento
e
velocissimo
Osvaldo
Sacchi
all’ala
sinistra.
Si
vedeva
finalmente
una
squadra
capace
di
suscitare
grandi
consensi
e
maggior
interesse
per
il
gioco
del
calcio.
Il
tifo
esplose
irresistibilmente;
la
squadra
aveva
trovato
il
sostegno
e
il
calore
del
generoso
pubblico
napoletano
che
per
anni
ha
continuato
a
lottare
con
i
suoi
atleti,
accompagnandoli
con
affetto
immutato
anche
nell’ora
della
sfortuna
e
della
tristezza.
In
Campionato
gli
atleti
compirono
autentici
prodigi;
Sallustro
era
cresciuto
per
classe
ed
esperienza
mentre
Ghisi,
con
il
suo
prestigio,
galvanizzava
i
compagni.
Nelle
semifinali
l’Internaples
passò
ancora
di
successo
in
successo
superando
la
pur
salda
Anconetana
per
quattro
a
zero
e
vincendo
contro
la
gloriosa
Fortitudo
per
tre
a
uno
sul
Campo
dell’Arenaccia;
dopo
le
semifinali,
il
sodalizio
azzurro
dovette
affrontare
l’Alba
di
Roma
per
la
finale
decisiva
del
titolo
di
Campione
Centro-‐Meridionale
e
fu
una
vigilia
d’armi
da
cardiopalmo.
Nervosismo
e
stanchezza
erano
quasi
tangibili
e,
per
di
più,
Carcano
era
in
rotta
con
la
Dirigenza;
la
squadra,
che
risentiva
dell’atmosfera
negativa,
scese
in
campo
con
i
nervi
scossi
e
i
muscoli
intorpiditi,
proprio
quando
avrebbe
dovuto
esprimere
il
meglio
di
sé.
Il
comportamento
del
pubblico
romano
fu,
tra
l’altro,
particolarmente
aggressivo;
sul
campo
volavano,
infatti,
pomodori,
arance
marce
e
oggetti
contundenti
di
varia
natura.
L’Internaples,
disorientata,
cercava
invano,
nella
bolgia,
di
ritrovare
il
suo
profilo
migliore;
i
giocatori
si
giravano
smarriti
verso
i
bordi
del
terreno
di
gioco
per
incrociare
lo
sguardo
del
loro
allenatore,
aspettando
inutilmente
un
consiglio,
un
suggerimento.
Carcano,
invece,
assisteva
rassegnato
alla
sconfitta,
inespressivo
e
silenzioso,
immobile
come
una
statua,
con
il
volto
rigato
dalle
lacrime;
l’Alba
vinse
per
sei
a
uno,
facendo
crollare
ambizioni,
sogni
e
speranze.
Per
andare
in
finale
si
sarebbe
dovuto
vincere,
la
domenica
successiva,
con
uno
scarto
di
sei
punti
in
ossequio
alla
regola
del
quoziente
reti.
Fantasie.
Sette
giorni
dopo,
all’Arenaccia,
l’Internaples
riuscì,
infatti,
solo
a
pareggiare
per
uno
a
uno;
il
pubblico
applaudì
ugualmente
i
suoi
ragazzi
e
rispose
alle
provocazioni
dell’incontro
precedente
con
una
furibonda
bagarre
che
condusse
alla
prima
squalifica
del
Campo
della
nostra
storia
calcistica.
Carcano
andò
via
portando
con
sé
Giovanni
Ferrari
che
divenne
poi
una
stella
di
prima
grandezza
del
firmamento
nazionale;
lo
sconforto
regnava
sovrano
in
quella
calda
estate
del
1926
ma
la
Provvidenza
stese
una
mano
al
Club
azzurro
che
riuscì
a
evitare
la
retrocessione
per
il
rotto
della
cuffia.
La
Lega
aveva,
infatti,
deciso
d’istituire
due
gironi
di
sedici
squadre;
le
vincitrici
di
ciascun
girone
si
sarebbero
battute
per
il
titolo
nazionale
mentre
le
otto
perdenti
8
erano
destinate
alla
retrocessione.
Ascarelli
sfruttò
abilmente
l’occasione
per
chiedere
e
ottenere
un
posto
al
sole
per
la
sua
Internaples
che,
insieme
all’Alba
e
alla
Fortitudo,
costituì,
per
l’appunto,
la
terna
vessillifera
del
calcio
centro-‐meridionale
in
seno
all’eletta
schiera
degli
squadroni
del
Nord.
Accadde,
tra
l’altro,
in
quella
torrida
estate,
un
evento
destinato
a
marcare
la
storia
del
calcio
partenopeo;
Ascarelli,
incoraggiato
dagli
eventi
favorevoli,
avanzò,
infatti,
durante
una
riunione
del
Consiglio
Direttivo,
una
storica
proposta.
“Signori”
–
disse
–
“Per
ragioni
condivisibili
all’epoca
dei
nostri
natali,
coloro
che
ci
hanno
preceduto
hanno
attribuito
alla
squadra
che
oggi
rappresentiamo
nomi
diversi,
accomunati,
tuttavia,
da
un
accento
straniero”.
“Propongo,
dunque,
che
il
nostro
sodalizio
si
chiami
d’ora
in
poi,
e,
mi
auguro,
per
sempre,
Associazione
Calcio
Napoli”.
La
proposta
fu
accolta
all’unanimità,
con
un
lungo,
interminabile
applauso.
Alle
soglie
del
Campionato
1926-‐1927
si
cercò,
nel
poco
tempo
a
disposizione,
di
dare
alla
squadra
una
struttura
adeguata;
furono
acquistati
Kreutzer,
famoso
centro
mediano
del
Torino
(che
fungeva
anche
da
allenatore),
Giuseppe
Pirandello,
proveniente
dal
Palermo,
terzino
destro
d’impressionante
potenza,
Gariglio
I,
proveniente
dal
Brescia,
Paolo
Innocenti,
dal
Bologna,
Catapano,
prelevato
dalla
Pro
Italia
di
Taranto
e
De
Martino,
dalla
Stabia.
Kreutzer,
affiancato
da
Bino
Shasa
con
il
compito
di
occuparsi
della
preparazione
dei
giovani,
intuì
per
primo
che
Sallustro
era
un
centravanti
piuttosto
che
una
mezzala,
forte
nella
manovra
e
nel
dribbling,
velocissimo
e
formidabile
nello
sfondamento
con
i
suoi
tiri
improvvisi
da
ogni
posizione
e
pregevole
nel
gioco
di
testa.
Il
“Veltro”
passò
dunque
al
centro
della
prima
linea
ed
Ernesto
Ghisi
alla
mezzala
destra.
Al
via
del
Campionato
Nazionale
il
Napoli
schierava
in
formazione
Pelvi,
Pirandello,
Innocenti,
De
Martino,
Kreutzer,
Minter
(unico
giocatore
straniero
con
cittadinanza
italiana),
Gariglio
I,
Ernesto
Ghisi,
Attila
Sallustro,
Jaquinto,
Sacchi.
Giocavano
in
riserva
Catapano,
Valente,
Marra,
Costa,
Pollio,
Ventura,
Latella
e
Gorini.
Il
debutto
fu
deludente;
la
squadra,
che
mancava
di
esperienza
e
di
affiatamento,
era
debole
in
difesa
e
nutriva
un
certo
timore
reverenziale
nei
confronti
dei
più
illustri
avversari.
Lo
stesso
Kreutzer,
che
nei
primi
quaranta
cinque
minuti
di
gioco
riusciva
a
tenere
in
pugno
le
redini
della
squadra
e
della
partita,
calava
di
colpo
alla
distanza.
Il
continuo
succedersi
di
disfatte
provocò,
di
conseguenza,
una
crisi
paurosa
nell’organizzazione
della
Società
e
Ascarelli,
amareggiato,
si
dimise;
un’improvvisata
pentarchia
formata
da
Coppola,
Elia,
Pichetti,
Reale
e
Zinzaro,
dette
vita
ad
un
nuovo
Consiglio
Direttivo,
presieduto
da
Nicola
Sansanelli,
ma
le
sconfitte
continuarono
a
succedersi
con
sconcertante
regolarità.
La
navicella
azzurra
giunse
in
porto
con
cinquantuno
goal
subiti,
nove
segnati
e
un
solo
punto
acciuffato
in
casa
contro
il
Brescia
con
cui
aveva
pareggiato
per
zero
a
zero.
Il ciuccio di Fichella
Con
tipico
umorismo
napoletano
un
anonimo
avventore
del
Bar
Brasiliano
in
Galleria,
dove
si
riunivano
i
tifosi,
traendo
ispirazione
dal
primo
simbolo
dell’Associazione
Calcio
Napoli
(un
cavallo
rampante
in
campo
blu),
affermò
un
giorno
che
la
squadra
poteva
essere
paragonata
più
al
“ciuccio
di
Fichella”
afflitto
da
trentatré
piaghe
e
la
coda
fradicia
che
al
focoso
destriero
d’imperiale
retaggio;
nell’aneddotica
popolare,
infatti,
il
povero
asinello,
non
riuscendo
a
trainare
al
mercato
il
carretto
colmo
di
fichi,
si
abbatteva
al
suolo
e
non
c’era
più
modo
di
farlo
rialzare, come
accadeva
al
Napoli
di
quegli
anni.
I
redattori
del
“Vaco
‘e
presse”,
un
foglio
umoristico
locale,
presero
spunto
dall’episodio
per
ritrarre
la
squadra
con
9
l’immagine
del
ciuccio
che,
attraverso
la
vignetta,
divenuta
nel
frattempo
famosa,
entrò
a
far
parte
dell’araldica
calcistica
nazionale.
Contagiato
dall’atmosfera
di
sconforto,
il
viennese
Kreutzer
fece
pubblico
voto
di
tornarsene
a
casa
a
piedi
se
la
squadra
avesse
mai
vinto
una
partita.
E
fu
di
parola.
Il
Napoli,
al
termine
del
Campionato,
partecipò,
infatti,
alla
Coppa
C.O.N.I.,
un
torneo
di
consolazione
tra
le
escluse
dal
girone
finale,
comportandosi
in
maniera
veramente
brillante
e
vinse,
a
Roma,
contro
l’Alba
per
due
a
uno,
suscitando
effusioni
di
gioia
tra
giocatori
e
dirigenti
che,
prima
del
rientro,
offrirono
un
simpatico
banchetto
al
quale
parteciparono
tutti
meno
il
biondo
austriaco
che
aveva
tenuto
parola,
privando
però
il
Napoli
del
suo
centromediano
e
allenatore
in
un
momento
piuttosto
delicato.
La
classifica
raggiunta
nella
Coppa
C.O.N.I.
non
legittimava
alcuna
speranza
di
vittoria
ma
le
prove
sempre
più
lusinghiere
e
incoraggianti
degli
azzurri
avevano
un
po’
risollevato
il
morale
del
pubblico,
infondendo
nuove
speranze
nella
dirigenza
della
squadra
che
vedeva
approssimarsi
la
campagna
soci
1927-‐1928.
Bino
Shasa,
rimasto
solo
dopo
la
scomparsa
di
Kreutzer,
assegnò
senza
esitazioni
il
ruolo
di
centro
mediano
al
diciassettenne
Attila
Sallustro,
ignorando
obiezioni
e
perplessità.
“Ha
il
senso
della
posizione”
–
sosteneva
–
è
preciso
e
intelligente
nei
passaggi,
ha
un
tocco
perfetto
della
palla
e
tanto
fiato
per
resistere
in
campo
anche
più
del
necessario”.
Aveva
ragione.
Attila
giocò
nel
ruolo
assegnatogli
con
entusiasmo
e
convinzione,
senza
far
rimpiangere
nessuno,
nemmeno
il
disperso
viennese.
Dopo
la
vittoria
sull’Alba,
il
Napoli
superò
il
Livorno
per
uno
a
zero
ma
perse,
clamorosamente
contro
l’Alessandria
per
nove
a
uno!
Si
riprese,
poi,
superando
l’Andrea
Doria
per
due
a
zero,
pareggiò
a
Brescia
(zero
a
zero)
e
a
Napoli,
con
la
Alba,
(uno
a
uno)
e
perse
nuovamente,
a
Napoli,
contro
l’Alessandria
per
uno
a
due
in
una
partita
che
suscitò
una
ridda
di
critiche
e
di
polemiche.
La
classifica
finale
ci
vide
al
terzo
posto,
a
pari
punti
con
il
Brescia,
con
tre
vittorie,
tre
pareggi,
quattro
sconfitte,
dodici
goal
fatti
e
diciannove
ricevuti.
Quel
terzo
posto
e
quei
nove
punti
in
classifica
rappresentavano
un
netto
miglioramento
nei
confronti
del
precedente
campionato
e
furono
decisivi
per
la
permanenza
della
squadra
nei
ranghi
della
Divisione
Nazionale.
A
norma
di
regolamento,
infatti,
il
Napoli
avrebbe
dovuto
retrocedere
in
Prima
Divisione
ma
il
successo
nella
Coppa
C.O.N.I.
e
l’alto
senso
sportivo
dei
dirigenti
federali
permisero
nuovamente
alla
squadra
partenopea
di
continuare
a
giocare
nel
girone
A
della
Divisione
Nazionale.
Il
disastro
dell’anno
precedente
indusse
i
Dirigenti
partenopei
a
correre
ai
ripari
e
la
campagna
acquisti
fu
condotta
con
maggiore
acuzie
e
su
più
vasta
scala,
puntando
soprattutto
su
giovani
promettenti
anche
se
poco
conosciuti.
Le
finanze
azzurre,
d’altronde,
dopo
le
dimissioni
del
munifico
Ascarelli,
non
consentivano
lussi
particolari
e,
gli
incassi,
all’epoca,
erano
piuttosto
modesti.
Shasa
fu
licenziato
e
al
suo
posto
subentrò
l’austriaco
Rolf
Steiger.
Furono
ingaggiati
Costa
e
Tosini
dall’Alessandria,
Biagio
Zoccola
dal
Bari,
Gariglio
II
e
Innocenti
II
dal
Livorno,
Cassese
dalla
Bagnolese
e
il
centro
sostegno
Pino
Ghisi,
reduce
dal
servizio
militare
a
Roma
dove
aveva
giocato
con
la
Fortitudo.
Al
via
del
Campionato
il
Napoli
schierava
in
formazione
Pelvi,
Pirandello,
Innocenti,
Zoccola,
Ghisi
II,
Cassese;
Innocenti
II,
Ghisi
I,
Sallustro,
Costa
e
Gariglio
I.
Nella
prima
partita
casalinga
gli
azzurri
superarono
la
Reggiana
per
tre
a
uno
ma
furono
poi
sconfitti
dal
Milan
(cinque
a
uno)
e
dal
Cremona
con
un
desolante
cinque
a
zero.
Si
sperò
che
il
fattore
campo
valesse
a
ridare
foga
e
successo
all’undici
partenopeo
ma
anche
all’Arenaccia
incassammo
quattro
reti
senza
segnare
nemmeno
il
goal
della
bandiera,
scatenando
amarezze
e
delusioni,
critiche
e
parole
grosse.
10
Il
Consiglio
Direttivo
entrò
di
nuovo
in
crisi
e
Gustavo
Zinzaro
di
fronte
a
tanti
tentennamenti
e
dimostrazioni
di
sfiducia
prese
atto
delle
dimissioni
dell’organo
direttivo
e
assunse
con
coraggio
la
carica
di
Commissario
Straordinario.
Steiger
lasciò
il
posto
a
una
commissione
tecnica
composta
da
Felice
Scandone,
Mario
Argento
e
Gianni
Terrile,
ex
giocatore
dilettante
genovese.
Dopo
due
mesi
di
alterne
vicende
fu
eletto
un
nuovo
Consiglio
Direttivo
presieduto
da
Emilio
Reale,
Gustavo
Zinnaro
e
Pasquale
De
Rosa,
valente
chirurgo
dell’Ospedale
dei
Pellegrini
e
già
valoroso
terzino
dilettante
degli
anni
trascorsi.
Alla
Commissione
tecnica,
che
pure
aveva
funzionato
nel
miglior
modo
possibile,
subentrò
l’ungherese
Ferenk
Molnàr,
uomo
di
grande
temperamento
ma
rude
ed
esplicito
fino
all’imbarazzo
nell’esprimere
giudizi
e
opinioni
tra
l’altro
non
sempre
fondati
se
si
pensa
al
suo
“vaticinio”
calcistico
nei
confronti
di
Attila
Sallustro.
Il busto di Pippone
Il
Napoli,
leggermente
migliorato,
si
discostava
appena
dal
fanalino
di
coda
collocandosi
al
terzultimo
posto,
con
quindici
punti
all’attivo,
ventitré
goal
segnati
e
cinquantaquattro
ricevuti;
che
batoste,
ragazzi!
Milan-‐Napoli
cinque
a
uno;
Cremonese-‐Napoli
cinque
a
zero;
Alessandria-‐Napoli
undici
a
uno
e
Torino-‐Napoli
undici
a
zero
sotto
il
rullo
compressore
del
trio
Baloncieri,
Libonati
e
Rossetti!
A
proposito
di
questo
Campionato,
mi
piace
ricordare
un
episodio
abbastanza
indicativo
della
passione
e
attaccamento
dei
giocatori
di
allora
verso
i
propri
colori
sociali.
In
una
partita
disputatasi
all’Ilva,
contro
la
Cremonese,
Innocenti
riportò
la
frattura
della
clavicola
sinistra
che
gli
venne
curata
con
apparecchio
gessato
piuttosto
ingombrante.
Dopo
una
ventina
giorni,
tuttavia,
pregò
il
Professor
De
Rosa
di
togliergli
il
gesso
per
scendere
in
campo
la
domenica
successiva
contro
la
Lazio.
De
Rosa
si
lasciò
convincere
e
lo
accompagnò
all’Istituto
Ortopedico
Salvati,
a
Piazza
Dante,
dove
gli
fu
confezionato
uno
busto
di
celluloide
per
proteggere
l’osso
fratturato.
Pippone
scese
in
campo
la
domenica
successiva
e
cominciò
brillantemente
la
partita,
resistendo
benissimo
negli
scontri
con
gli
avversari
ma
i
giocatori
laziali
notarono
qualcosa
di
strano
addosso
al
terzino
azzurro
e
avvisarono
l’arbitro
che
gli
chiese
di
disarmarsi
e
terminare
la
gara
senza
il
busto
protettore.
Innocenti,
incurante
del
dolore,
obbedì
prontamente.
Era
addirittura
felice
perché,
con
la
sua
presenza,
il
Napoli
era
riuscito
a
piegare
la
Lazio
per
due
a
uno!
Ciott il proteiforme
Anche
quell’anno
si
disputò
la
Coppa
C.O.N.I.
e
ancora
una
volta
il
comportamento
degli
azzurri
che
si
classificarono
al
terzo
posto
con
quattordici
punti
(sei
vittorie,
due
pareggi,
quattro
sconfitte,
ventinove
goal
segnati
e
ventidue
subiti)
fu
particolarmente
brillante.
Il
terzultimo
posto
nella
classifica
finale
del
Campionato
comportava,
in
ogni
caso,
la
retrocessione,
ma
il
presunto
intervento
di
San
Gennaro
e
quello
più
concreto
di
alcune
Autorità
cittadine,
convinsero
i
dirigenti
della
Federazione
Italiana
Gioco
Calcio
a
concedere
una
seconda
solennissima
scoppola
alla
squadra
partenopea
che
fu
di
nuovo
ammessa
a
disputare
il
massimo
Campionato.
11
Giovanni
Maresca
di
Serracapriola,
già
calciatore
militante
nell’Internazionale
e
nell’Internaples,
assunse
la
presidenza
della
Società
azzurra,
coadiuvato
dal
Maggiore
Zinzaro
e
dal
Cavalier
Emilio
Reale.
La
Cassa
Sociale
di
Piazza
della
Carità
era,
tuttavia,
più
francescana
che
caritatevole
e
molti
lodevoli
progetti
restarono
in
pectore.
Il
Club
si
limitò,
pertanto,
a
pochi
acquisti,
indubbiamente
più
ragionati
di
quelli
degli
anni
precedenti.
Molnàr
fu
sostituito
da
Fisher,
un
austriaco
piuttosto
sfortunato
che,
dopo
qualche
tempo,
decise
di
andarsene,
sostituito
dal
simpaticissimo
Gianni
Terrile,
giornalista
e
provetto
giocatore
dell’Andrea
Doria
di
Genova
all’età
della
pietra
del
calcio
nazionale.
Autentico
gentlemen,
Terrile
non
assunse
mai
le
arie
e
le
pretese
dei
grandi
trainers.
Seppe
invece,
con
molto
senso
pratico
e
buona
dose
di
energia,
ridare
vigore
morale
e
atletico
alla
compagine
azzurra
che
espresse
in
quel
Campionato
un
finale
sorprendente,
ricco
di
notevoli
affermazioni.
Andiamo
per
ordine.
Il
Campionato
italiano
di
massima
divisione
1928-‐1929
era
sempre
articolato
su
due
gironi,
A
e
B
e,
questa
volta,
al
Napoli
toccò
il
girone
B.
La
squadra
cercò
di
potenziare
le
sue
schiere
acquistando
dal
Casale
l’indimenticabile
Ciott
(al
secolo
Carlo
Buscaglia),
il
giocatore
più
versatile,
eclettico
ed
estemporaneo
che
io
abbia
mai
conosciuto,
inesauribile
motorino
capace
di
ricoprire
ogni
ruolo
con
disinvolta
maestria.
Napoli
sportiva
lo
ricorda
ancora
oggi
per
la
potenza,
l’esuberanza,
l’ardore
e
la
caparbia
tenacia
con
cui
si
batteva
in
difesa
dei
nostri
colori.
A
distanza
di
tanti
anni
mi
sembra
giusto
esprimere
un
omaggio
affettuoso,
anche
in
nome
di
tutti
gli
sportivi
napoletani,
nei
confronti
di
un
atleta
grande
e
generoso
come
pochi
seppero
essere.
Con
lui
furono
acquistati
l’ala
sinistra
Fenili,
dalla
Lazio,
il
centromediano
Roggia,
dal
Novara,
Scacchetti,
terzino
destro,
dal
Modena,
l’ala
destra
Rizza,
dal
Brescia
e,
infine,
Valeriani
,
portiere
valoroso,
e
Federico
Stella,
dal
Palermo.
Cominciava
così,
all’insegna
della
speranza
e
dell’avventura,
la
terza
fatica
dell’Associazione
Calcio
Napoli
che
schierava
in
formazione
Valeriani,
Pirandello,
Innocenti
I,
De
Martino,
Roggia,
Catapano,
Buscaglia,
Ghisi
I,
Sallustro
I,
Pampaloni,
Fenili.
Il ritorno di Ascarelli
Gli
azzurri
iniziarono
il
girone
piegando
il
Verona
per
tre
a
zero
sul
campo
dell’Ilva
di
Bagnoli
e
vinsero,
la
domenica
successiva,
contro
il
Pistoia
per
uno
a
zero,
sovvertendo
i
pronostici
che
li
davano
per
spacciati.
La
compagine
partenopea,
che
sembrava
davvero
trasformata,
offriva
finalmente
gioco,
spettacolo
e
soddisfazione.
Il
dolore,
tuttavia,
era
in
agguato.
Di
ritorno
da
Roma,
dopo
una
folgorante
vittoria
sul
campo
della
Rondinella
contro
la
Lazio
moriva,
infatti,
Giuseppe
Pirandello
colpito,
a
soli
venticinque
anni,
da
una
sincope
causata
da
una
banale
endovenosa.
Al
suo
posto
subentrò
il
poderoso
Sacchetti,
mentre
Ghisi
I
fu
sostituito
da
Buscaglia
con
Gondrano
Innocenti
all’ala
destra.
Il
Napoli
cominciò
a
piacere
per
davvero,
a
entusiasmare
i
suoi
appassionati.
Superò,
infatti,
la
Fiorentina
per
sette
a
due,
il
Venezia
e
l’Ambrosiana
(entrambi
per
quattro
a
uno)
e
12
sconfisse
in
un
esaltante
crescendo
il
Verona
(tre
a
zero),
il
Brescia
(quattro
a
zero)
e
la
Biellese
addirittura
per
cinque
a
zero.
Quell’anno
la
F.I.G.C.
aveva
istituito
la
Divisione
Nazionale
B,
limitando
la
massima
divisione
a
sedici
formazioni,
circostanza
che
aveva
scatenato
una
lotta
serrata
tra
le
squadre
di
centro
classifica.
Il
Napoli
era
alla
soglia
dell’ambito
traguardo,
l’aveva
a
portata
di
“piede”
eppure
non
riusciva
a
raggiungere
il
traguardo.
L’ennesima
crisi
interna
della
Società
minacciava,
infatti,
ancora
una
volta,
di
compromettere
il
rendimento
della
squadra.
Mancavano
i
soldi,
l’intesa
e
l’affiatamento;
mancava
una
guida
sicura
e
un
punto
di
riferimento
in
seno
al
Consiglio
Direttivo.
Mancava
tutto,
in
sostanza,
a
parte
la
buona
volontà
dello
sparuto
drappello
di
atleti
che
continuavano
a
battersi
sul
terreno
di
gioco.
Ore
tragiche,
insomma,
fino
a
quando,
nel
pieno
di
tanta
amarezza,
tornò
Ascarelli,
come
un
raggio
di
sole
in
mezzo
alle
nuvole
grigie
della
tempesta.
Giocavo
con
i
boys
quando
il
Presidente
riprese
il
timone
della
squadra,
offrendo
affetto,
esperienza,
simpatia
e,
naturalmente,
denaro,
senza
nulla
chiedere
in
cambio,
nemmeno
la
riconoscenza
dei
napoletani
cui
donò
uno
Stadio
costruito
a
sue
spese
al
Rione
Luzzatti
che
portò
il
suo
nome
fino
a
quando
l’umana
ingratitudine
e
i
pregiudizi
dell’epoca
decisero
altrimenti.
Il
ritorno
di
Ascarelli
galvanizzò
la
squadra
che
riuscì
a
superare
la
crisi
terminando
il
Campionato
all’ottavo
posto,
a
pari
punti
con
Lazio.
I
due
Club,
legati
per
consuetudine
da
rapporti
cordiali,
furono
dunque
costretti
a
lottare
per
l’agognata
vittoria.
Noblesse oblige
La
battaglia,
sebbene
accanita,
terminò
con
un
nulla
di
fatto,
a
reti
inviolate
da
entrambe
le
parti.
Per
l’incontro
di
qualificazione,
che
ebbe
luogo
la
domenica
successiva,
fu
scelta
l’Arena
di
Milano.
La
Lazio
segnò
il
primo
goal
per
merito
di
Spivach
ma
Sallustro,
per
niente
intimorito,
pareggiò
le
sorti
della
gara
infilando,
con
eleganza
da
torero,
la
porta
laziale.
Pochi
minuti
dopo
Buscaglia
partì
in
velocissima
fuga
fin
verso
la
bandierina
del
corner
calciando
un
lunghissimo
cross
raccolto
di
testa
da
Sallustro
e
spento
sui
piedi
di
Innocenti
II
che,
a
volo,
mise
in
rete
con
rara
potenza.
Tripudio
in
campo
e
delirio
sugli
spalti
dei
tifosi
napoletani!
A
venti
minuti
dalla
fine
il
Napoli
conduceva
per
due
a
uno.
Un
giornale
dell’epoca
(il
Mezzogiorno),
aveva
organizzato
un
particolare
servizio
d’informazioni
telefoniche
durante
il
corso
della
partita;
in
Piazza
San
Ferdinando,
sotto
i
balconi
del
giornale,
la
folla
consultava
febbrilmente
gli
orologi
con
il
cuore
in
gola
e
il
respiro
mozzato
dall’emozione
quando
il
balcone
si
aprì
per
annunciare
che
la
Lazio
aveva
pareggiato.
Un’ondata
di
gelo
calò
sulle
migliaia
di
tifosi.
Si
profilava
l’ombra
del
terzo
incontro
e,
con
esso,
l’incertezza
del
risultato.
Ascarelli,
però,
si
recò
a
Roma
per
perorare
ancora
una
volta
presso
Leandro
Arpinati,
Presidente
della
F.I.G.C.,
la
causa
del
suo
Napoli
che
aveva
comunque
raggiunto
ventinove
punti,
dimostrando
di
sapersi
battere
degnamente
contro
avversari
più
quotati
e
più
esperti.
Lazio
e
Napoli
non
partirono
mai
alla
volta
di
Padova,
dove
l’incontro
si
sarebbe
dovuto
disputare,
poiché,
nel
frattempo,
la
Federazione
aveva
deciso
di
aumentare
il
numero
delle
squadre
della
Divisione
Nazionale
A
da
sedici
a
diciotto,
consentendo,
quindi,
a
entrambi
i
Club
di
restare
in
serie
A.
13
3
Un Mister a Napoli
Willy Garbutt
Perorando
la
causa
del
Napoli
Giorgio
Ascarelli
aveva
promesso
un
campo
da
gioco
adeguato
e,
di
ritorno
da
Roma,
si
accinse
senza
indugi
a
realizzare
il
programma
illustrato
ai
dirigenti
federali.
I
primi
di
agosto
del
1929
si
gettarono,
infatti,
le
fondamenta
del
nuovo
14
stadio
che
sarebbe
sorto
sul
terreno
acquitrinoso
del
Rione
Luzzatti.
I
lavori
proseguirono
a
ritmo
febbrile,
giorno
e
notte,
consentendo,
in
tempi
da
record,
la
realizzazione
dell’opera
che
fu
ultimata
nel
febbraio
del
1930,
diciassette
giorni
prima
la
prematura
scomparsa
del
suo
artefice.
Avviata
la
realizzazione
del
campo,
Ascarelli
rivolse
le
sue
attenzioni
alla
campagna
acquisti.
Una
ridda
di
emissari
partì
in
ogni
direzione
incrociandosi
con
osservatori
che
rientravano
per
riferire
l’esito
delle
trattative.
La
sede
sociale
di
piazza
della
Carità,
in
quei
mesi
di
canicola,
era
un
cantiere
operoso,
stracolmo
di
telegrammi,
dove
si
tenevano
riunioni
plenarie
fino
a
notte
inoltrata.
Il
Napoli
sborsò
quell’anno
la
cifra,
iperbolica
per
quei
tempi,
di
mezzo
milione
di
lire
per
l’acquisto
di
nuovi
giocatori
che
avrebbero
contribuito
a
elevare
la
squadra
a
stella
di
prima
grandezza
nel
firmamento
nazionale.
Vennero
giù,
infatti,
quelli
che
fecero
il
grande
Napoli
che
tutti
amarono
e
che
restò
scolpito
nel
ricordo
e
nell’ammirazione
del
pubblico;
con
loro
comparve
l’indimenticabile
Mister
Garbutt,
trainer
autorevole
e
buono
al
tempo
stesso,
sobrio
nella
vita
e
sul
campo;
un
galantuomo
più
unico
che
raro
tra
i
tanti
che
ho
conosciuto
al
timone
della
squadra.
E
ne
ho
visti
parecchi.
Il
suo
talento
era,
d’altronde,
ben
noto.
Tecnico
del
Genoa
dal
1912
al
1927,
William
Garbutt
aveva
allenato
squadre
nazionali
olimpioniche
ed
era,
infine,
passato
alla
Roma,
vincendo
una
Coppa
CONI.
Con
lui
vennero
giù
Cavanna
(portiere,
dal
Vercelli),
Marietti
(portiere,
dalla
Fiumana),
Vincenzi
(terzino
destro,
dal
Torino),
Vojak
(mezz’ala
destra,
dalla
Juventus),
Mihalich
(mezzala
sinistra,
dalla
Fiumana)
e
Perani
(ala
destra,
dall’Atalanta).
Il
Napoli,
così
rinnovato,
si
presentò
deciso
ad
assumere
un
ruolo
rilevante
sul
palcoscenico
della
stagione
1929-‐1930
che
si
giocava
ancora
all’Arenaccia,
in
attesa
del
nuovo
stadio
al
Rione
Luzzatti.
Il
primo
giorno
di
convocazione
per
l’inizio
degli
allenamenti
eravamo
tutti
presenti,
vecchi
e
nuovi,
titolari,
boys
e
riserve
e
con
noi
c’era
Mario
De
Palma
in
veste
di
massaggiatore.
Ascarelli
e
Garbutt
arrivarono
insieme,
come
vecchi
amici,
confabulando
e
sorridendo.
L’inglese
si
fermò
davanti
a
noi,
cacciò
via
la
pipa
di
bocca,
si
tolse
il
cappello
e
salutò
con
il
suo
inconfondibile
accento
anglosassone
mentre
il
Presidente
faceva
le
presentazioni.
“Amici
cari
e
fedeli,
ho
il
piacere
di
presentarvi
il
vostro
nuovo
allenatore”.
E’
inutile
che
vi
dica
chi
sia.
Molti
lo
conoscono
già
e
gli
altri
impareranno
presto.
“Vi
lascio
in
buone
mani
sperando
che
non
vorrete
deludermi”.
Nato
a
Hazel
Grove
(Inghilterra)
il
nove
gennaio
1883,
William
Thomas
Garbutt
si
era
arruolato
in
giovane
età
nell’esercito
dove,
con
la
squadra
degli
Artiglieri,
giocava
nel
ruolo
di
attaccante.
Iniziò
la
sua
carriera,
dopo
il
congedo,
con
la
maglia
del
Reading,
giocando
nella
Southern
League
dal
1903
al
1905
per
poi
passare
al
Woolwich
Arsenal
con
cui
debuttò
in
First
Division
il
ventitré
dicembre
contro
il
Preston
North
End.
Con
il
Blackburn,
che
lo
aveva
ingaggiato
nel
maggio
1908,
fece
registrare
ottantadue
presenze
in
quattro
stagioni
prima
di
subire
un
grave
infortunio
che
compromise
la
sua
carriera.
Ritornò
all’Arsenal
nel
1911
per
poi
ritirarsi
definitivamente
nel
1912
e
trasferirsi
a
Genova
per
lavorare
nel
Porto.
Il
trenta
luglio
1912,
in
seguito
a
una
sollecitazione
di
Vittorio
Pozzo,
fu
assunto
come
allenatore
dal
Genoa
che
guidò
dal
1912
al
1927,
incarnando
il
prototipo
dell’allenatore
professionista.
Durante
il
primo
conflitto
mondiale
combatté
sul
fronte
francese
riportando
una
ferita
al
ginocchio
destro
e
tre
medaglie
al
valor
militare.
La
consuetudine
di
designare
gli
allenatori
con
il
titolo
di
Mister
iniziò
proprio
con
lui
che,
con
un
pizzico
di
snobismo
britannico,
non
desiderava
altri
appellativi.
Lo
vidi
per
la
prima
volta
in
quell’estate
del
1929,
mentre
ci
passava
in
rassegna
con
il
suo
sguardo
penetrante.
“Signori,
disse,
per
fare
una
grande
squadra
occorrono
grandi
giocatori,
tra
i
quali
emergono,
a
volte,
autentici
fuori
classe.
Se
ce
ne
saranno,
me
ne
rallegrerò.
Diversamente,
mi
15
accontenterò
di
giocatori
grandi,
di
coloro
cioè
che
hanno
coraggio,
entusiasmo
e
cuore
generoso.
“Vorrei
incontrarvi
tutti
nella
mia
stanza
per
stringere
la
mano
a
ciascuno
di
voi
e
conoscervi
personalmente”.
Il
suo
“personalmente”
era,
tra
l’altro,
un
grosso
quaderno
su
cui
registrava
il
primo
colloquio
e
il
curriculum
di
ciascuno
che
comprendeva
nome,
età,
professione,
titoli
scolastici,
ruolo
di
gioco,
attitudine
specifica
di
calciatore,
comportamento
agonistico,
ammonizioni,
infortuni
subiti,
condotta
nell’ambiente
sportivo
e
fuori
di
esso,
abitudini
alimentari
e
voluttuarie.
I
suoi
appunti
sono
stati
per
molto
tempo
la
nostra
biografia.
Come eravamo
Un
giorno,
durante
un
allenamento,
Garbutt
si
accorse
dell’assenza
di
un
giocatore.
“Allo,
Zontini,
dove
essere
Scauta?”
chiese
a
me
che
ero
allora
capitano
dei
boys.
“All’ospedale
–
risposi
turbato–
pare
che
abbia
la
tubercolosi”.
Non
disse
nulla,
ma
il
suo
sorriso
si
spense.
Sapemmo,
in
seguito,
che
si
recava
spesso
a
trovare
il
povero
Scauta,
giocatore
di
talento
che
viveva
in
miseria,
per
portargli
cibo,
indumenti,
e
qualche
lira
che,
con
innata
eleganza,
gli
lasciava
nello
stringergli
la
mano
al
momento
del
commiato
raccomandando
di
“non
comprare
sigarette”.
“Ragazzi”,
ci
disse
un
giorno,
dopo
l’allenamento,
“il
nostro
amico
Scauta
sta
per
morire”.
“Andiamo
a
trovarlo
in
ospedale.
“Sono
certo
che
gli
farà
piacere”.
Andammo
tutti.
Quando
ci
vide,
il
volto
scavato
dal
male
sembrò
ritrovare
un
po’
di
colorito
e
gli
occhi,
vivi
e
lucidi,
si
velarono
di
un
pianto
sottile,
tenero
e
silenzioso
come
un
muto
ringraziamento.
“Allo
Scauta”,
gli
disse
Garbutt
per
alleviare
la
tensione,
“
è
ora
di
alzarsi
da
questo
letto,
basta
fare
il
poltrone,
pensa
che
fra
due
settimane
dobbiamo
incontrare
il
Livorno
e
tu
devi
riprendere
il
tuo
posto
di
terzino….capito?”
“
Forza,
fare
presto
a
guarire
del
tutto,
ormai
stai
bene,
non
ti
pare?”.
Parlava
con
tale
naturalezza
il
caro
Mister
che
lo
guardammo
sbalorditi.
Due
settimane
dopo
incontrammo
i
boys
del
Livorno
sul
campo
dell’Arenaccia
con
la
fascia
del
lutto
sul
braccio;
Scauta
era
morto
qualche
giorno
prima.
Gli
sarebbe
tanto
piaciuto
giocare
quella
partita
che
dedicammo
a
lui,
vincendo
per
due
a
zero
con
un
goal
di
Sallustro
III
e
uno
mio.
Al
via
del
Campionato
il
Napoli
schierava
in
formazione
Cavanna,
Vincenzi,
Innocenti;
De
Martino,
Roggia,
Zoccola;
Perani
(Buscaglia),
Vojak,
Sallustro,
Mihalich
e
Fenili.
La
squadra
cominciò
a
sorprendere
fin
dalla
prima
partita
a
Torino,
sul
campo
della
Juventus
che
vinse
per
due
a
tre
dopo
un
combattimento
aspro
e
incerto
fino
all’ultimo
secondo;
la
domenica
successiva
pareggiammo
in
casa
con
il
Brescia
(uno
a
uno)
e
nella
terza
partita
riuscimmo
a
piegare
brillantemente
il
Milan
per
due
a
uno;
fummo
poi
sconfitti
a
Bologna
per
tre
a
uno
e
pareggiammo
in
casa
con
il
Livorno
per
uno
a
uno.
Gli
azzurri,
in
effetti,
cominciavano
a
trovare
l’armonia
e
l’affiatamento,
la
giusta
carburazione
e
il
giusto
ritmo.
Il
grande
avvenimento
dell’annata
calcistica
era
divenuto
improvvisamente
il
trio
Vojak,
Sallustro
e
Mihalich,
i
cui
nomi
acquistarono
presto
sapore
di
leggenda.
Periodo aureo
16
Se
ne
accorse
subito
la
Roma
che
dovette
sostenere
l’urto
di
un
Napoli
scatenato
che
andò
in
vantaggio
due
volte,
con
Vojak
e
Sallustro,
e
per
due
volte
fu
raggiunto.
Negli
ultimi
minuti
un
tiro
formidabile
di
Fenili
entrò
nell’angolo
alto
a
sinistra
della
porta
romana,
sfondò
la
rete
e
passò
oltre!
L’arbitro
non
convalidò
perché
vide
il
pallone
solo
fuori
della
rete.
Seguirono
discussioni,
appello
al
guardalinee,
polemiche
ma
fu
tutto
inutile:
al
fischio
finale
il
direttore
di
gara
confermò,
infatti,
il
pareggio.
L’attacco
azzurro,
considerato,
giustamente,
come
la
linea
più
efficiente
e
realizzatrice
del
momento,
viveva
il
suo
periodo
aureo.
Vittima
di
questo
stato
di
grazia
fu
il
povero
Modena
che,
al
termine
di
una
prova
superlativa,
si
ritrovò
con
due
palloni
di
Sallustro,
altrettanti
di
Mihalich
e
uno
di
Vojak
in
fondo
alla
rete
senza
riuscire
a
segnare
nemmeno
il
goal
della
bandiera.
Dopo
ventuno
partite
di
Campionato,
unica
tra
le
diciotto
squadre
della
Divisione
Nazionale
A,
il
Napoli
aveva
segnato
come
minimo
un
goal
a
partita.
Gli
sportivi
napoletani,
dopo
tante
pillole
amare,
erano
pazzi
di
gioia.
Ricordo
ancora
il
corteo
di
migliaia
di
persone
festose
che
inalberavano
cartelli
di
osanna
e
gagliardetti
azzurri,
accalcate
alla
stazione
di
Mergellina
in
attesa
del
treno
che
riportava
a
Napoli
la
squadra
vittoriosa
sul
Modena;
gli
azzurri
accolti
da
urla
di
entusiasmo
irrefrenabile
furono
portati
in
trionfo
tra
il
delirio
della
folla.
Il
“moro”
Vincenzi,
ci
rimise
l’orologio
(del
bisnonno,
diceva
lui),
Roggia
una
scarpa
e
Garbutt
la
famosa
pipa
che,
appena
fuori
della
mischia,
sostituì,
imperturbabile,
con
un’altra,
pescata
dalla
tasca
dell’impermeabile;
sosteneva,
infatti,
che
il
vero
fumatore
doveva
averne
almeno
tre!
Vincemmo
ancora
contro
la
Triestina
(quattro
a
tre)
l’ultima
partita
del
girone
d’andata
sul
Campo
del
Rione
Luzzatti
finalmente
terminato
nel
febbraio
del
1930;
nella
prima
giornata
del
Girone
di
ritorno
contro
la
Juventus
lo
stadio
era
un
vero
spettacolo,
gremito
di
gente
in
ogni
ordine
di
posti
che
inalberava
grandi
drappi
azzurri
e
cartelli
Forza
Napoli
e
Ciuccio
fa’
tu.
E
la
storica
partita
fu
degna
del
contesto.
Debuttava
con
la
Juventus
in
Italia
la
mezzala
sinistra
Renato
Cesarini,
il
più
grande
giocatore
che
io
ricordi
di
aver
visto
in
quel
ruolo;
l’italo-‐argentino
era
un
autentico
prestigiatore
del
pallone,
funambulo,
giocoliere
e
acrobata
al
tempo
stesso.
Aveva
fiato,
intelligenza,
cuore;
e
tanta
classe
da
poterne
vendere
la
metà.
Al
suo
fianco
giocava
il
formidabile
Raimundo
Orsi,
oriundo
argentino,
che
alternava
al
calcio
il
violino
nei
momenti
di
malinconia
per
la
sua
terra
lontana.
Addio, Presidente!
Fu
una
partita
incandescente.
La
Juventus
partì
di
scatto
galvanizzata
da
un
Cesarini
in
grande
forma
presente
ovunque
fosse
la
palla
e,
nel
primo
tempo,
passò
in
vantaggio
con
un
goal
di
Munerati
e
uno
di
Orsi;
nel
secondo
tempo
però,
gli
azzurri
con
un
gioco
brioso
e
sapiente,
riuscirono
a
superare
il
famoso
trio
Combi-‐Rosetta-‐Calligaris
e
a
pareggiare
con
due
reti
del
piccolo
grande
Buscaglia
in
vena
di
prodezze.
In
vista
della
trasferta
a
Brescia
(dove
vincemmo
per
due
a
uno)
e
del
successivo
incontro
con
il
Milan,
Garbutt
aveva
deciso
di
condurre
la
squadra
in
romitaggio
ad
Arona.
Nel
pomeriggio
di
venerdì
quattordici
marzo
qualcuno
avvertì
i
responsabili
della
squadra,
che
era
in
visita
a
Stresa,
di
mettersi
in
contatto
con
l’albergo.
Innocenti
corse
al
telefono
e
ritornò
poco
dopo,
pallido
come
un
fantasma.
“Il
Presidente
è
morto”,
mormorò
sconsolato.
“Bisogna
rientrare
subito
per
i
funerali”.
17
Una
peritonite
fulminante
aveva,
infatti,
stroncato
la
vita
di
Giorgio
Ascarelli,
a
soli
trentasei
anni.
Dopo
la
mesta
cerimonia
e
l’ultimo
commosso
saluto,
addolorati
e
confusi,
gli
azzurri
partirono
in
treno
per
Milano
dove,
con
il
lutto
al
braccio,
sconfissero
clamorosamente
il
Milan
a
San
Siro
per
tre
a
zero.
Un
omaggio
postumo
al
grande
Presidente.
Napoli milionaria
La
gioia
per
i
trentasette
punti
conquistati
e
per
il
quinto
posto
in
classifica
era
offuscata,
naturalmente,
dalla
scomparsa
del
vero
artefice
del
nostro
successo.
Si
giunse,
nonostante
tutto,
al
Campionato
1930-‐1931
con
Giovanni
Maresca
di
Serracapriola
presidente.
Il
Consiglio
Direttivo
era
composto
da
Emilio
Reale,
Andrea
Carafa
d’Andria,
Eugenio
Coppola,
Davide
Pichetti,
il
dottor
Iannuzzi,
Pasquale
De
Rosa,
Giusto
Sènes,
Manfredini,
Del
Monte,
Riccio
e
Dumontet.
La
Società
acquistò
Enrico
Colombari,
autentico
asso
del
Calcio
Nazionale,
centro
sostegno
e
laterale
ambidestro
del
Torino,
detto
“Banco
di
Napoli”,
o
“quarto
di
milione”
perché
da
solo
era
costato
la
bella
cifra
di
duecento
cinquantamila
lire,
seguito
da
Luigi
Castello,
terzino
destro
della
Dominante
di
Genova,
Aldo
Bandini,
terzino
sinistro
del
Livorno,
Ettore
Fontana,
mediano
sinistro
della
Dominante,
Mariano
Tansini,
ala
sinistra
del
Milan
e
Giuseppe
Rizza,
ala
destra
del
Brescia.
L’arrivo
di
nuovi
giocatori
e
il
ricordo
ancora
vivo
del
brillante
comportamento
nel
precedente
Campionato
legittimarono
previsioni
eccessivamente
ottimistiche
suffragate
dalla
stampa
sportiva
pressoché
concorde
nel
ritenere
la
squadra
in
odore
di
scudetto.
La
compagine
azzurra
era
formata
da
Cavanna,
Vicenti,
Innocenti;
Colombari,
Roggia,
Fontana;
Buscaglia,
Vojak,
Sallustro
I,
Mihalich
e
Tansini,
allenati
da
Willy
Garbutt
che
preferiva
formazioni
d’attacco
piuttosto
che
di
difesa.
La
condotta
degli
azzurri,
che
durante
il
girone
d’andata
terminarono
in
seconda
posizione,
a
pari
punti
con
la
Roma,
non
smentì
le
previsioni.
Ricordo,
tra
le
partite
più
belle,
lo
scontro
con
la
Juventus
a
Torino,
dove,
a
sorpresa,
sconfiggemmo
i
Campioni
d’Italia
per
due
a
uno
e
la
vittoria
per
due
a
zero
contro
il
Bologna
all’Ascarelli.
Alla
fine
del
girone
d’andata
il
Napoli
era
secondo
in
classifica
con
venticinque
punti,
nove
partite
in
casa,
nove
vittorie,
otto
partite
fuori
casa,
tre
vittorie
contro
Juventus,
Milan
e
Casale,
un
pareggio
con
la
Triestina
e
quattro
sconfitte
contro
Roma,
Genoa,
Ambrosiana
e
Torino.
Il
girone
di
ritorno
iniziò
male,
con
la
partenza
per
il
servizio
militare
di
Attila
Sallustro,
assegnato
prima
al
Genio
di
Caserta
e
trasferito,
in
seguito,
al
Distaccamento
del
Campo
Sportivo
Militare
dell’Arenaccia.
Il
cambiamento
di
vita
e
di
abitudini
influì
sul
grado
di
forma
del
biondo
centrattacco,
indebolendo,
di
conseguenza,
l’offensiva
del
quintetto
napoletano.
La
squadra,
alla
fine
del
Campionato,
fu
squalificata
una
prima
volta
per
invasione
di
campo
durante
l’incontro
con
l’Ambrosiana,
terminato
per
due
a
due,
e,
poi,
per
la
seconda
volta,
in
occasione
della
sconfitta
con
il
Torino
per
uno
a
zero,
su
un
rigore
inesistente.
Il
Napoli
precipitò
al
sesto
posto
in
classifica
con
trentasette
punti,
diciotto
partite
vinte,
quindici
perse
e
una
pareggiata.
Si
cominciò
a
parlare
di
stanchezza,
d’infortuni,
di
arbitraggi,
di
mille
cose,
insomma,
che
potevano
esser
vere
oppure
no,
finché
Garbutt,
stanco
di
chiacchiere,
andò
dritto
al
nocciolo
della
questione.
18
“
Le
ragioni
che
avete
esposto
potrebbero
essere
valide
se
noi
stessimo
lottando
per
la
retrocessione.
Invece,
grazie
anche
al
demerito
delle
altre
squadre,
non
ci
troviamo
a
questo
punto.
Il
fatto
è
che
voi
avete
paura!
Vi
spaventa
il
peso
della
responsabilità
per
il
secondo
posto
conquistato
durante
il
girone
d’andata.
E
chi
ha
paura,
si
smarrisce.
“Voglio
ricordarvi
che
abbiamo
perso
contro
l’Ambrosiana
perché
avete
abboccato
come
sciocchi
alle
provocazioni
degli
avversari,
lasciandovi
trascinare
in
tafferugli,
zuffe
e
indecorosi
pugilati
che,
alla
fine,
hanno
determinato
l’espulsione
di
Colombari,
artefice
primo
della
nostra
sconfitta”.
Colombari,
da
buon
toscano,
tentò
una
reazione
di
difesa,
alzò
un
po’
il
tono
della
voce,
disse
qualche
sproposito
e
Garbutt,
dopo
averlo
ascoltato,
gli
additò
l’uscio
degli
spogliatoi,
pregandolo
di
non
presentarsi
più
in
campo
fino
a
nuovo
ordine.
Atleta
di
valore
e
uomo
generoso,
Rico
Colombari
capì
di
aver
sbagliato
e
si
presentò
qualche
giorno
dopo
per
chiedere
scusa.
Il
Mister
gli
batté
amichevolmente
col
pugno
sulla
testa
ricciuta
e
tutto
finì
lì.
Il Mister a scuola
A
proposito
di
Garbutt
voglio
qui
ricordare
il
suo
modo
d’intendere
la
disciplina.
L’Ascarelli
era
dotato
di
tre
spogliatoi
per
il
Napoli
oltre
e
altrettanti
per
gli
ospiti
.
Gli
spogliatoi
della
Prima
Squadra
erano
destinati
solo
ai
titolari
e
le
rispettive
riserve
mentre
gli
altri
potevano
essere
usati
dalla
squadra
B
e
dai
boys.
Bisognava
bussare
per
accedere
allo
spogliatoio
dei
titolari
e,
rivolgendosi
a
loro,
bisognava
chiamarli
“signor
Vojak”,
“signor
Sallustro”.
Chiunque
avesse
avuto
cose
personali
da
riferire
all’allenatore
doveva
farlo
nel
suo
ufficio
perché
il
campo
era
destinato
esclusivamente
all’allenamento.
Garbutt
s’interessava
ai
nostri
studi,
al
lavoro,
alle
nostre
ambizioni
future,
ai
nostri
hobby.
Un
giorno
mi
chiese
come
andavo
a
scuola
e
qual
era
il
mio
profitto.
Risposi
che
mi
sembrava
soddisfacente.
Qualche
giorno
dopo
il
Professor
Ermenegildo
La
Terza,
sportivissimo
e
colto
Preside
del
Liceo
che
frequentavo,
mi
chiamò
in
direzione
per
chiedermi
come
facevo
a
trovare
il
tempo
per
il
calcio,
l’atletica
e
lo
studio,
disimpegnando
le
tre
cose
abbastanza
bene.
”Volontà”,
risposi,
stringendomi
nelle
spalle.
“Cerco
di
conciliare
lo
studio
con
lo
sport”.
Sorrise
e
mi
diede
un
buffetto
sulla
guancia.
“Torni
in
classe,
e
continui
sempre
così”.
Capii
il
senso
di
quelle
parole
nel
successivo
incontro
con
il
Mister.
“Complimenti
Athos!
“Tre
otto,
quattro
sette,
un
sei,
in
matematica
credo….”
“Professor
Bucco,
si
chiama
così?
Molto
simpatico!
“Anche
simpatico
il
Professor
Finelli,
quello
di
Scienze……Bella
palestra
ha
la
tua
scuola,
sai!”.
Restai
di
stucco.
Era
venuto
al
Liceo
per
informarsi
dei
miei
studi
e
della
mia
preparazione!
Faceva
così
con
tutti.
Viveva
tra
noi
e
con
noi,
pur
mantenendo
la
necessaria
distanza.
E
ci
sentivamo
protetti,
spronati
a
fare
sempre
meglio.
Ricordo
l’anno
degli
esami
di
Maturità.
Il
giorno
che
uscirono
i
quadri
di
scrutinio
lo
incontrai
davanti
al
cancello
della
scuola,
tranquillo
e
sorridente,
con
la
sua
inseparabile
pipa.
“Allô
Athos,
come
stare?
Dura
fatica,
eh?
“E
ora,
all’Università,
hai
già
pensato
a
quale
Facoltà
ti
vuoi
iscrivere?”.
Non
potei
evitare
di
abbracciarlo.
Non
ho
mai
letto
il
risultato
dei
mei
esami
poiché
la
sua
parola
valeva
più
di
qualsiasi
riscontro.
Uno strano torneo
19
Nella
nuova
stagione
calcistica
1931-‐1932
il
Napoli
provvide
ad
altri
acquisti
tra
cui
Volante
che
proveniva
dall’Argentina,
Vojak
II,
dalla
Juventus,
Benatti
(il
“sorcetto”),
dal
Lecce,
Boltri
dal
Casale
e
Bonivento,
ex
bustocco,
dal
Vomero.
Se
ne
andarono
invece
Adamo
Roggia
e
Perani,
giocatore
brillante
e
veloce,
che
interruppe
la
sua
carriera
per
un
grave
incidente
al
ginocchio.
I
nuovi
acquisti
non
furono
decisivi
agli
effetti
della
classifica.
Volante
era
certamente
un
buon
centravanti,
forte
di
testa,
ma
troppo
lento
per
il
gioco
veloce
e
ricco
d’improvvisazioni
del
calcio
italiano;
equivaleva,
in
effetti,
al
giubilato
Roggia,
che
però
aveva
il
pregio
di
una
combattività
irriducibile;
Benatti
sostituiva
Perani
ma
il
“sorcetto”,
piuttosto
irriflessivo,
non
era
l’ala
destra
ideale
per
quel
Napoli;
Boltri
era
un
mediano
tenace,
non
molto
tecnico
ma
picchiatore
e
duro
a
morire
che
ebbe
alti
e
bassi
nelle
sue
prestazioni
e
fece
più
la
riserva
che
il
titolare;
Bonivento
era
ormai
alla
fine
della
sua
lunga
carriera.
Il
Campionato
non
fu
certo
brillante,
anche
a
causa
dei
problemi
finanziari
del
Club
che
non
erano
pochi;
la
situazione
economica
si
era,
infatti,
aggravata
e,
la
morte
di
Ascarelli,
il
cui
mecenatismo
restava
un
fenomeno
isolato,
peggiorava
notevolmente
le
cose.
Nessuno
voleva
o
poteva
assumersi
l’impegno
personale
di
sanare
le
falle
della
Società
e
la
squadra,
con
trentacinque
punti,
scivolò
al
nono
posto
della
classifica.
Il
Napoli,
spavaldo
e
corsaro
contro
le
squadre
più
forti,
sembrava
stranamente
rassegnato
contro
quelle
più
modeste.
Le
dispute
all’Ascarelli
contro
il
Bologna
e
la
Juventus
furono
indubbiamente
le
prove
più
belle
del
Campionato.
Il
Bologna,
che
non
aveva
ancora
perso
una
partita,
scese
in
campo
sul
terreno
del
Rione
Luzzatti
con
l’aria
baldanzosa
del
conquistatore,
suffragata
da
uno
spettacolare
goal
di
Fedullo
da
trenta
metri,
a
fil
di
traversa,
nel
primo
tempo;
Garbutt,
nell’intervallo,
elogiò
Cavanna,
Vincenzi,
e
Innocenti
e
i
mediani
Colombari
e
Volante,
rivolgendosi
poi
sarcasticamente
agli
attaccanti.
“Pensavo
che
sareste
riusciti
a
far
di
meglio
contro
Monzeglio,
Gasperi
e
Baldi,
ma
vedo
che
sono
troppo
forti
per
le
vostre
possibilità.
Battersi
contro
di
voi
è
davvero
uno
scherzo
per
gente
di
quella
classe”.
Vojak,
paonazzo,
si
strappò
l’inseparabile
retina
dal
cuoio
capelluto
e
cominciò
a
sacramentare
in
friulano;
Sallustro
guardava
il
Mister
a
bocca
aperta,
stentando
a
credere
che
fosse
proprio
lui
a
parlare
così;
poi
di
scatto
mollò
un
pugno
sul
petto
del
biondo
Mihalich.
“Adesso
gli
faremo
vedere
se
è
davvero
uno
scherzo!”.
Fu
un
secondo
tempo
gagliardo,
ricco
di
prodezze
del
nostro
scatenatissimo
attacco
che
fece
vacillare
le
retrovie
avversarie
sotto
l’urto
pressante
delle
azioni.
Poi
una
fuga
velocissima
di
Transini;
Sallustro
e
Baldi,
volando
verso
l’alto,
si
contendono
la
sfera
di
cuoio
ma
Sallustro
tocca
per
primo
e
gira
a
mezza
altezza
un
pallone
smorzato
all’accorrente
Vojak
che
tira
a
volo
una
cannonata
che
ha
il
rombo
del
tuono.
Il
portiere
bolognese
vide
la
palla
solo
in
fondo
alla
rete.
Uno
a
uno.
Il
Napoli
continuò
sullo
slancio
fino
all’ultimo
secondo
della
dura
contesa
e,
in
un’azione
tutta
personale,
Sallustro,
scartati
tutti
gli
avversari
e
superata
di
prepotenza
la
roccaforte
di
Monzeglio
e
Gasperi,
lasciò
partire
un
formidabile
affondo
che
la
mano
di
San
Petronio
s’incaricò
di
deviare
sulla
traversa!
Il
comportamento
degli
azzurri
contro
la
Juventus
fu
ancora
più
brillante
e
deciso.
Il
Napoli
tenne
il
campo
da
dominatore,
galvanizzato
da
Sallustro
che,
al
centro
della
prima
linea,
infondeva
ai
compagni
la
volontà
di
vincere;
Combi,
Rosetta
e
Caligaris
tremarono
sotto
i
colpi
del
quintetto
partenopeo
finché
il
plurinazionale
baluardo
juventino
finì
col
crollare.
Il
povero
Combi
dovette,
infatti,
raccogliere
due
volte
i
palloni
del
“veltro”
nel
fondo
della
rete.
Colombari,
Vojak
e
Sallustro
furono
convocati
in
Nazionale
per
affrontare
il
quattordici
febbraio
1932
la
Svizzera
sul
Campo
dell’Ascarelli.
20
4
Il Veltro e la Soubrette
Una sera a Santa Lucia
Il
diciotto
agosto
1932,
al
tradizionale
raduno
della
squadra
per
la
preparazione
al
Campionato,
la
Dirigenza,
impegnata
tra
l’altro
a
far
fronte
al
notevole
passivo
che
la
Società
aveva
accumulato,
volle
offrire
ai
nuovi
acquisti
e
ai
superstiti
della
precedente
stagione
un
simpatico
banchetto
in
un
ristorante
della
scogliera
di
Santa
Lucia.
21
Ebbi
un
tuffo
al
cuore
quando
Garbutt
comunicò
la
rosa
dei
titolari
perché
accanto
a
campioni
come
Cavanna,
Vincenzi,
Vojak
e
Sallustro,
il
Mister
aveva
fatto
il
mio
nome!
Ero
orgoglioso
ed
entusiasta
come
si
può
esserlo
a
diciotto
anni.
Al
termine
dei
discorsi,
con
mia
rinnovata
sorpresa,
Eugenio
Coppola
mi
rivolse
un
encomio
che
non
potrò
mai
dimenticare.
“Questa
festa
sportiva
non
può
terminare
prima
di
aver
elogiato
e
ringraziato
il
suo
più
giovane
rappresentante
che
ha
vinto
domenica
scorsa
a
Bologna
due
Campionati
italiani
di
atletica
leggera
dando
lustro
allo
sport
napoletano
e,
quindi,
alla
nostra
Associazione.
Athos
ha,
infatti,
eguagliato
il
record
nazionale
nei
settantacinque
metri
con
ostacoli
e
ha
demolito
il
record
nazionale
nei
duecentocinquanta.
“A
questo
nostro
atleta
vogliamo
dunque
esprimere
la
nostra
ammirazione
affettuosa
pregando
l’allenatore,
che
lo
considera
il
suo
allievo
migliore,
di
offrirgli
un
segno
della
nostra
stima”.
Garbutt,
cercando
di
nascondere
la
commozione,
mi
strinse
la
mano
consegnandomi
un
astuccio
azzurro
legato
da
un
nastrino
a
strisce
bianche
e
celesti
tra
gli
applausi
e
gli
abbracci
dei
miei
compagni.
Ero
confuso,
emozionato.
Dissi
qualcosa
che
io
stesso
non
ricordo
con
la
gola
stretta
da
un
nodo.
L’involucro
conteneva
un
cronometro
d’oro
con
bracciale,
dove
erano
incise
le
mie
iniziali,
la
sigla
ACN,
e
la
data.
L’ho
tenuto
sempre
con
me,
come
un
talismano,
finché
non
me
lo
portarono
via
i
tedeschi,
a
Cefalonia,
in
quel
nero
settembre
del
quarantatré.
Sallustro innamorato
Garbutt
sosteneva
che
per
correre
novanta
minuti
sul
campo
bisognava
allenarsi
a
correre
per
centottanta
e,
di
conseguenza,
curava
molto
la
nostra
preparazione
atletica.
Eravamo
divisi
per
gruppi,
secondo
le
caratteristiche
fisiche
di
ciascuno
e
i
ruoli
di
gioco
che
il
Mister
riteneva,
peraltro,
complementari.
L’allenamento
durava
due
ore
reali,
con
lunghi
giri
di
pista
in
souplesse,
a
ritmo
accelerato,
a
scatti
brevi
e
lunghi,
e
poi
di
nuovo
in
souplesse.
Si
eseguivano
vere
e
proprie
gare
di
salto
misto
e
corsa
ad
ostacoli,
intervallate
da
esercizi
con
la
corda
e
a
corpo
libero
studiati
per
favorire
l’allungamento
progressivo
dei
muscoli
in
modo
da
prevenire
rigidità,
strappi
e
stiramenti.
Poi
doccia
e
massaggio,
riservato,
in
realtà,
solo
agli
anziani.
Il
buon
Beato
non
esitava,
infatti,
a
“secutare”
i
più
giovani
che
osavano,
anche
solo
per
scherzo,
chiedere
i
suoi
servigi.
Il
giorno
successivo
ci
s’incontrava
al
bar
Daniele
del
Vomero,
alle
otto
e
trenta,
per
una
passeggiatina
distensiva
e
ossigenante
verso
i
Camaldoli.
A
piedi,
naturalmente!
Il
Campionato
prese
il
via
dodici
settembre
1932
con
il
varo
del
Napoli
all’Ascarelli
contro
la
Lazio,
favorita
nei
pronostici;
gli
azzurri,
tuttavia,
non
si
lasciarono
impressionare
e
disputarono
una
gara
eccellente
per
stile,
agonismo
e
volontà
e
Sallustro,
in
vena
di
prodezze,
regalò
un
grande
spettacolo
e
due
goal
magistrali
allo
sbalordito
Sclavi.
Dopo
il
successivo
pareggio
a
Trieste,
il
sodalizio
partenopeo
cambiò
di
nuovo
presidenza;
il
ventotto
settembre
1932,
infatti,
Eugenio
Coppola
passò
il
timone
a
Vincenzo
Savarese
che
impose
una
condotta
più
austera
per
tentare
di
ridurre
il
disavanzo
che
ammontava
ormai
alla
ragguardevole
cifra
di
ottocentomila
lire.
Su
questa
nuova
ammiraglia
il
vessillo
azzurro
riprese
il
Campionato
piegando
la
Juventus
sul
campo
dell’Ascarelli
con
una
staffilata
di
Sallustro,
guizzante
come
un
pugnale,
che
obbligò
il
grande
Combi
a
raccogliere
la
palla
in
fondo
alla
rete.
La
quarta
giornata
ci
vide
ospiti
a
San
Siro.
Lo
stadio
traboccava
di
gente
tumultuante
e
poco
ospitale
che
non
digeriva
questo
Napoli
spavaldo
e
corsaro
convinto
di
poter
umiliare
le
grandi
del
calcio
italiano.
L’arbitro
Mazzarino,
tuttavia,
diresse
l’incontro
con
fermezza,
senza
22
lasciarsi
intimorire
dagli
umori
del
pubblico.
Gli
azzurri
partirono
come
se
avessero
il
fuoco
addosso;
al
centro
della
mediana
debuttava
il
proteiforme
Buscaglia,
coadiuvato
da
Boltri
e
Colombari.
Il
trio
difensivo
era
sempre
lo
stesso
di
tante
partite
con
Cavanna
(il
giaguaro),
Vincenzi
(il
leone)
e
Pippone
(la
volpe);
in
prima
linea
erano
invece
schierati
Benatti,
Vojak,
Sallustro,
Gravisi
e
Ferraris
II,
più
indemoniati
che
mai:
un
bolide
di
Benatti
e
due
saette
di
Sallustro
varcarono
irresistibilmente
la
rete
di
Compiani
siglando
un
secco
tre
a
zero.
La
marcia
trionfale
sembrava
inarrestabile:
Napoli-‐Casale
quattro
a
zero,
Padova-‐
Napoli
due
a
due,
Napoli-‐Fiorentina
due
a
uno,
Bari-‐Napoli
due
a
quattro,
Napoli-‐Torino
uno
a
uno.
Giocammo
nove
partite
consecutive
al
comando
della
classifica
prima
di
subire,
al
Littoriale
di
Bologna,
la
prima
sconfitta
per
tre
a
uno
per
opera
dei
felsinei,
cedendo
in
questo
modo
lo
scettro
alla
Juventus.
Il
peso
morale
di
squadra
da
battere
cominciava
a
riflettersi
sulla
compagine
azzurra
che
alternava,
ancora
una
volta,
prove
scialbe
a
splendide
prestazioni.
Il
calo
di
forma
di
Sallustro,
apparentemente
inspiegabile,
influì
notevolmente
sul
rendimento
della
prima
linea
azzurra.
Il
veltro
aveva,
infatti,
perso
smalto
e
vitalità.
Si
parlò
di
precarie
condizioni
fisiche,
di
crisi
morale,
di
allettamenti
da
parte
di
altre
Società
(Attila,
infatti,
non
giocava
per
denaro
ma
per
pura
passione).
Si
parlò
di
tante
cose,
insomma,
girando
intorno
all’unica
verità
che
si
chiamava
Lucy
D’Albert,
diciottenne
soubrette
della
Compagnia
di
rivista
Molinari,
idolatrata
e
applaudita
dalle
platee
d’ogni
rango
e
d’ogni
ceto
di
cui
Attila
era
follemente
innamorato.
All’inizio
degli
anni
trenta
i
salotti
napoletani
impazzivano
per
la
loro
storia
d’amore
che
anticipava
la
tendenza,
ormai
diffusa,
a
fare
coppia
tra
giocatori
e
dive
dello
spettacolo.
Lucy
D’Albert,
al
secolo
Elena
Lucy
Johnson,
di
origine
russa,
era,
infatti,
una
delle
più
belle
e
famose
soubrette
della
rivista
italiana
nel
suo
periodo
di
massimo
splendore,
che
condivise
il
palcoscenico
con
divi
come
Totò,
Anna
Magnani
e
Nino
Taranto,
prescelta
da
autori
e
registi
come
Michele
Galdieri,
Garinei
e
Giovannini
e
Daniele
Danza
che
la
volle
accanto
a
Delia
Scala
in
Giove
in
doppiopetto.
La
storia
del
Veltro
e
della
Soubrette
rappresentava
il
filo
conduttore
di
tutta
un’epoca
imperniata
sull’ascesa
del
calcio
azzurro
e
sulle
affermazioni
del
teatro
italiano
e
napoletano
in
particolare.
Per
molto
tempo
non
si
parlò
che
di
questo
e
gli
autori
di
rivista
misero
in
scena
innumerevoli
allegorie
calcistiche
imperniate
sull’indiscutibile
talento
della
soubrette.
Lucy
e
Attila
che,
insieme,
erano
sinonimo
di
bellezza
e
di
gioventù,
si
unirono
in
matrimonio
qualche
anno
dopo,
in
tutta
semplicità
e
riservatezza,
realizzando
così
una
felice
storia
d’amore
che
continua
ancora
oggi.
Arrivano i brasiliani
Il
Campionato
batteva,
intanto,
il
solito
ritmo
infernale.
Sallustro
tirava
avanti
alla
meglio,
conscio
del
muto
rimprovero
dei
suoi
compagni
costretti
a
sopperire
alle
sue
défaillances.
Durante
l’incontro
con
il
Pro-‐Patria
che
vincemmo
per
due
a
uno
segnò
di
testa
un
fantastico
goal
ma
non
era
ancora
lui.
Aveva
ancora
bisogno
di
riposo
e
l’occasione
propizia
giunse
durante
la
preparazione
della
Nazionale
per
l’incontro
con
la
Germania
previsto
il
primo
gennaio
del
1933
che,
tra
l’altro,
vincemmo
per
tre
a
uno.
Nella
mediana
nazionale
giocava
Rico
Colombari
che
vedeva
così
giustamente
premiato
il
superbo
grado
di
rendimento
e
di
forma
con
cui
stava
disputando
il
Campionato.
Vittorio
Pozzo,
convocandolo,
aveva
voluto
riconoscere
in
lui
il
miglior
mediano
italiano
del
momento.
Dopo
questa
parentesi
internazionale
la
battaglia
riprese
il
dieci
gennaio
con
Genoa-‐Napoli,
terminato
in
pareggio
per
due
a
due
con
goal
di
Vojak
e
di
Sallustro.
23
Partita
di
mille
emozioni,
e
altrettante
incertezze,
condotta
con
estrema
decisione
e
gagliardia
da
ambo
le
parti.
Garbutt,
che
per
anni
aveva
allenato
il
Genoa,
ci
teneva
molto
a
non
perderla.
Come
premio,
dopo
la
partita,
la
squadra
sostò,
per
qualche
giorno
a
Varazze,
allenandosi
sul
campo
della
squadretta
locale.
Rientrò
a
Napoli
rinfrancata
e
serena
alla
vigilia
dell’incontro
con
la
Pro
Vercelli,
conseguendo
un’altra
splendida
vittoria
per
tre
reti
a
zero,
con
goal
di
Benotti,
Ferraris
II
e
Sallustro.
Poi,
ad
Alessandria,
in
un
incontro
drammatico,
perdemmo
contro
i
grigi
per
due
a
tre
e
perdemmo
di
nuovo
a
Padova
per
due
a
zero.
Alla
vigilia
dell’incontro
Sallustro
era
influenzato
ma
volle
scendere
in
campo
ad
ogni
costo;
dopo
la
partita
si
accasciò
in
treno
con
un
febbrone
da
cavallo,
affranto,
tra
l’altro,
dalla
certezza
di
non
poter
essere
in
campo
la
domenica
successiva
contro
l’Ambrosiana.
Aveva,
infatti,
un
conto
da
saldare
con
il
balilla
Meazza,
suo
eterno
rivale
e
termine
di
paragone
e
quella
domenica
sarebbe
stata
dunque
la
volta
buona
per
dimostrare
alla
tifoseria
che
Sallustro
valeva
bene
Meazza.
La
sua
assenza,
tuttavia,
non
modificò
il
risultato;
l’Ambrosiana,
infatti,
venne,
vide
e
prese
tre
palle
in
fondo
alla
rete,
con
un
goal
di
Randelli
e
due
di
Vojak.
I
dirigenti
del
clan
azzurro,
nonostante
il
Campionato
fosse
in
pieno
svolgimento,
stavano
già
pensando
al
potenziamento
della
squadra.
L’otto
febbraio
Savarese
annunciò
l’acquisto
di
Goliardo,
Santillo,
Ragusa
e
Barilotti:
quattro
brasiliani
in
una
volta
sola!
Ce
n’era
a
iosa
per
far
esplodere
la
tifoseria
e
azzardare
pronostici
di
scudetto.
I
moschettieri
d’oltremare,
imbarcati
sul
“Conte
Biancamano”,
giunsero
a
Genova
il
ventitré
febbraio
1933
e
furono
accolti
alla
stazione
di
Mergellina
da
Garbutt,
Savarese
e
una
folla
di
tifosi
plaudenti.
Erano
simpatici
con
la
loro
aria
scanzonata,
l’andatura
dinoccolata
e
i
cappelloni
calcati
sulla
testa.
Barilotti
e
Ragusa
esibivano
baffoni
neri
e
acuminati
che
sembravano
punte
di
lancia
incollate
al
labbro
superiore.
Garbutt,
nonostante
l’impazienza
generale,
non
volle
che
cominciassero
subito
gli
allenamenti
poiché,
a
suo
avviso,
dovevano
anzi
tutto
acclimatarsi
e
adattarsi
alle
abitudini
locali,
all’alimentazione
e
al
metodo
della
squadra.
Il
caso
Stabile,
che
appena
sbarcato
a
Genova
si
era
schierato
il
giorno
stesso
all’ala
destra
del
Genoa,
infilando
tre
belle
pappine
nella
rete
del
Bologna,
rappresentava,
a
suo
avviso,
un’eccezione.
E
così,
i
quattro
brasiliani
fecero
i
turisti
per
una
ventina
di
giorni,
girando
per
le
vie
della
città
e
visitando
i
dintorni;
vivevano
in
mezzo
alla
gente
e
mangiavano
all’italiana,
assistendo
in
tribuna
ai
nostri
allenamenti.
Trascorsa
la
“quarantena”,
cominciarono
anche
per
loro
le
fatiche
della
preparazione
e,
finalmente,
il
due
aprile
debuttarono
all’Ascarelli
dinanzi
ad
una
folla
enorme
di
tifosi
in
un’amichevole
contro
il
Novara.
L’incontro
terminò
con
un
pareggio
(tre
a
tre);
avemmo
tutti
l’impressione,
punteggio
a
parte,
che,
sebbene
volenterosi
e
disciplinati,
i
nuovi
acquisti
non
fossero
in
realtà
che
calciatori
mediocri.
Barilotti,
il
più
eclettico
dei
quattro,
aveva
un
temperamento
incostante
mentre
Goliardo,
ben
impostato
tecnicamente,
non
era
di
certo
superiore
a
Bedendo
o
al
formidabile
Buscaglia.
Ragusa
e
Santillo
furono
impiegati
per
lo
più
nella
riserva.
Il Mister poliziotto
Mentre
i
brasiliani
se
ne
stavano
soprattutto
a
guardare,
il
Campionato
filava
a
vele
spiegate.
Vincemmo
contro
la
Lazio
per
uno
a
zero
con
un
goal
magistrale
di
Vojak
e
contro
la
Triestina
per
due
a
zero
con
un
goal
di
Sallustro,
finalmente
guarito,
e
un
altro
di
Ranelli;
Buscaglia,
duramente
colpito
a
una
gamba,
fu
costretto
ad
abbandonare
il
campo.
La
domenica
successiva
le
buscammo
a
Torino
per
tre
a
zero
contro
la
Juventus;
giornata
nera
dopo
una
nottata
bianca.
La
squadra
aveva
preso
alloggio,
come
di
solito,
all’Hotel
Sitea
che
in
quei
giorni
ospitava
anche
la
compagnia
di
riviste
di
Macario
con
tutto
24
quel
ben
di
dio
di
ballerine
e
soubrette
che
andavano
e
venivano
per
i
corridoi
dell’albergo,
prima
e
dopo
lo
spettacolo.
Le
creature
si
squietarono
e
persero
la
pace
e
il
sonno!
Garbutt,
coadiuvato
da
Michelangelo
Beato,
montava
la
guardia,
mandando
fumo
a
tutto
vapore,
affinché
non
fossero
violate
le
colonne
di
Ercole;
andò
male
per
tutti,
in
ogni
caso,
sia
in
albergo
che
in
campo.
Il
Mister
era
irritato
non
solo
per
la
sconfitta
ma
anche
per
la
condotta
della
squadra
che,
gingillandosi
in
inutili
finezze,
aveva
subito
goal
davvero
balordi.
Perdemmo
di
nuovo
a
Milano
per
uno
a
zero,
su
calcio
di
rigore,
e
poi
contro
il
Casale
con
lo
stesso
punteggio.
Una
brutta
partita,
cattiva,
con
un
pubblico
ostile.
Cavanna,
in
un
balzo
spericolato,
riportò
la
frattura
della
clavicola
sinistra
ma,
ricevute
le
prime
cure,
volle
restare
tra
i
pali,
lasciando
tutti
sbalorditi.
La
sconfitta
evidenziò
i
problemi
del
nostro
quintetto
attaccante
che
sembrava
ignorarsi
come
se
non
avessero
mai
giocato
insieme.
Savarese
era
furibondo.
Tre
sconfitte
consecutive!
La
sua
ira
tuonò
senza
indugio,
decretando
un
severo
ammonimento
e
una
più
concreta
multa
di
lire
mille
da
trattenersi
sulle
competenze
mensili.
Seguirono
Napoli-‐Padova
(uno
a
uno),
Fiorentina-‐Napoli
(uno
a
zero),
Napoli-‐Bari
(due
a
zero,
con
goal
di
Vojak
e
Ranelli)
e,
infine
affrontammo
di
nuovo
il
Torino.
Garbutt,
paventando
anche
questa
volta
incontri
eccessivamente
ravvicinati,
giurò
che
non
avrebbe
tollerato
intemperanze,
ma
al
Silea
non
c’era
nessuno
e
la
comitiva
azzurra
poté
contare
sulla
quiete
sperata.
Sallustro,
dopo
aver
ricevuto
la
palla
dal
velocissimo
Ferraris
II,
segnò
di
testa,
elevandosi
oltre
i
pugni
di
Maina
e
siglando
così
il
goal
della
vittoria.
I
due
attaccanti,
in
grandissima
forma,
ripeterono
un
analogo
exploit
contro
il
Bologna
sconfitto
per
due
a
uno,
il
Pro
Patria
superato
per
due
a
zero
e
il
Genoa
battuto
per
tre
a
zero
I duellanti
Il
caldo
cominciava
a
farsi
sentire;
si
era
in
primavera
avanzata
ma
già
i
primi
bagnanti
cominciavano
a
invadere
le
spiagge.
Tempo
di
mare,
dunque,
ma
anche
d’acquisti;
integrarono
la
squadra,
infatti,
Visentin,
ala
destra,
che
proveniva
dall’Ambrosiana
e
Gino
Rossetti,
mezzala,
che
militava
con
il
Torino,
indimenticabile
protagonista
del
trio
granata
con
Balonceri
e
Libonatti.
Cominciammo
in
bellezza
battendo
l’Alessandria
e
il
Pro
Vercelli
per
due
a
uno
e
travolgendo
il
Palermo
con
tre
goal
di
Vojak
e
due
di
Gravisi.
Non
restava
che
affrontare
l’Ambrosiana
a
Milano
e
poi
godersi
le
vacanze,
lontani
dalle
angosce
e
dalle
prediche
dell’allenatore.
La
comitiva
azzurra,
durante
la
trasferta
in
treno,
teneva
banco
per
allegria
parlando
del
sospirato
riposo,
a
parte
Vojak
che
se
ne
stava
in
silenzio;
quando
Garbutt
gli
chiese
a
cosa
stesse
pensando
il
friulano
rispose
che,
se
avessimo
vinto
a
Milano
e
se
il
Bologna
avesse
commesso
un
passo
falso,
avremmo
certamente
partecipato
alla
Coppa
Europa.
Il
Mister
replicò
che
in
tal
caso
avremmo
avuto
l’onore
di
difendere
il
calcio
nazionale,
rinunciando
naturalmente
alle
vacanze
e
che
Sallustro
avrebbe
potuto
finalmente
pareggiare
i
suoi
conti
con
il
balilla.
Gli
azzurri
si
fecero
pensierosi
finché
Ferraris
rispose
con
tutta
serietà:
“Va
bene,
Mister,
faccia
conto
di
aver
già
vinto
questa
partita,
se
proprio
ci
tiene”.
“Domani,
segneremo
Sallustro
ed
io”.
Gli
rispose
un
coro
di
risate
e
una
pernacchia
di
Beato
ma
il
friulano
tenne
parola
realizzando
uno
dei
cinque
goal
contro
l’Ambrosiana
che
ne
totalizzò
soltanto
tre.
Gli
altri
furono
di
Sallustro,
Vojak
e
Gravisi.
Il
Napoli,
tuttavia,
non
fu
ammesso
in
Coppa
Europa,
nonostante
la
vittoria,
in
ossequio
alla
regola
del
quoziente
reti
che
favoriva
il
Bologna.
25
Se
ne
andava
così
anche
l’anno
calcistico
1932-‐1933
con
un
terzo
posto
in
classifica,
ex
equo
con
il
Bologna,
con
sessanta
quattro
reti
segnate
e
trenta
sette
subite.
Il Vomero
E
fu
quella
la
stagione
di
fuoco
che
vide
esplodere
il
più
grande
Napoli
di
tutti
i
tempi,
quello
che
Garbutt
aveva
messo
su
anno
per
anno,
pedina
per
pedina,
cercando
di
amalgamare
pazientemente
per
affinità
tecnica,
combattività
e
tenacia
l’undici
partenopeo.
Si
giocava
al
Vomero
poiché
l’Ascarelli
era
sottoposto
a
lavori
di
ampliamento
e
di
trasformazione.
Ranelli,
Maffioli,
Fontana,
Tacchinardi,
Capano
(che
aveva
debuttato
a
Bologna
nell’incontro
perso
per
tre
a
uno)
e
Villa
(ceduto
dalla
Sangiovannese)
lasciarono
la
squadra,
sostituiti,
come
accennato,
da
Visentin,
Rossetti
e
Rivolta,
mediano
ambidestro
dall’Ambrosiana.
Il
Mister
pretendeva
dai
suoi
la
perfezione
e
abituava
il
quintetto
attaccante
a
calciare
il
pallone
a
volo
dichiarando
in
quale
angolo
della
porta
lo
avrebbe
tirato.
Non
era
facile,
vi
assicuro,
ma
Gino
Rossetti
vinse
tutte
le
scommesse.
Si
cominciò
l’otto
agosto
con
il
raduno
dei
giocatori
a
Sant’Agata
dei
Due
Golfi
dove
il
Cavalier
Fiorentino,
in
veste
di
organizzatore,
aveva
predisposto
il
nostro
soggiorno
presso
la
pensione
Jaccarino;
il
silenzio
e
la
quiete
del
piccolo
albergo
furono
presto
interrotti
dalla
rumorosa
allegria
della
carovana
azzurra
in
fase
di
ossigenazione
e
di
preparazione
atletica.
Il
buonumore
contagiò
anche
gli
altri
pensionanti
allietati
dalle
qualità
canore
di
Colombari
e
di
Michelangelo
Beato
che
si
producevano
in
romanze,
canzoni
napoletane
e
brani
di
operette,
interrotti,
talvolta,
dai
frizzi
e
dai
lazzi
di
Sallustro,
Pippone,
e
Cavanna,
stonati
come
campane
e,
per
questo,
ribattezzati
Trio
Les
Cani.
Garbutt,
seduto
in
un
angolo,
con
la
pipa
in
azione,
lasciava
correre,
divertendosi
un
mondo.
Il
ventisette
agosto,
in
occasione
dell’incontro
contro
il
Perugia,
fu
presentata,
all’Arenaccia,
la
nuova
formazione
composta
da
Cavanna,
Vincenzi,
Innocenti,
Colombari,
Rivolta,
Visentin,
Vojak,
Sallustro,
Rossetti
e
Buscaglia.
Mancava
Pietro
Ferraris,
ai
ferri
corti
con
la
Società
per
questioni
finanziarie,
mentre
atleti
come
Marietti,
Benatti,
Castello,
Goliardo,
Ragusa,
Santillo,
Borza,
Giraud
III
(il
popolare
“Giovannino”)
e
Gravisi
fungevano
da
riserve.
Il
confronto
con
il
Perugia
terminò
con
un
fiacco
uno
a
zero.
Mancava
ancora,
infatti,
l’affiatamento
necessario.
La
domenica
successiva
venne
il
Wien
che
perse
per
tre
a
due;
una
contesa
piacevole
ma
non
ancora
tecnicamente
perfetta.
E
quindi
al
palo
di
partenza
per
il
Campionato
1933-‐1934.
Multe e sanzioni
Le
prime
partite
furono
un
disastro.
La
squadra
annaspava
nell’affannosa
ricerca
di
un’intesa,
di
uno
schema
di
gioco,
di
coordinazione
tra
difensori
e
attaccanti
mentre
grandinavano
sconfitte
e
mortificazioni.
Triestina-‐Napoli
quattro
a
uno;
Napoli-‐Genova
zero
a
zero;
Ambrosiana-‐Napoli
due
a
uno
(debutto
di
Alfieri
in
porta
al
posto
di
Cavanna
infortunato);
Napoli-‐Livorno
zero
a
zero;
Brescia-‐Napoli
uno
a
uno.
Cinque
punti
in
sette
partite!
Garbutt,
esasperato,
preannunciò
severe
sanzioni
e,
per
affrontare
la
Juventus,
decise
di
rinforzare
la
difesa
sostituendo
Visentin
e
Ferraris
con
Innocenti
e
Buscaglia;
il
successo
era
dunque
affidato
al
solo
trio
centrale
della
prima
linea.
Il
Napoli
scese
in
campo
contro
i
26
campioni
d’Italia
schierando
in
formazione
Marietti,
Vincenzi
e
Casillo;
Colombari,
Bedendo
e
Rivolta,
Innocenti,
Vojak,
Sallustro,
Rossetti
e
Buscaglia.
Una
partita
epica.
La
Juventus
crollò
sotto
il
peso
di
una
superba
rete
di
Vojack
e
un
goal
di
Buscaglia.
Innocenti,
indeciso
sull’opportunità
di
chiudersi
in
difesa
o
di
continuare
all’attacco
consultò
Garbutt
che
gli
fece
cenno
di
proseguire
ma
a
venti
minuti
dalla
fine,
fece
arretrare
Buscaglia
come
quarto
mediano
e
Innocenti
sulla
linea
dei
terzini,
con
il
compito
di
marcare
Orsi,
anticipando,
a
mio
avviso,
il
moderno
catenaccio.
Continuammo
poi
con
Napoli-‐Palermo
(tre
a
zero);
Padova-‐Napoli
(tre
a
uno);
Napoli-‐
Roma
(uno
a
due);
Pro
Vercelli-‐
Napoli
(zero
a
zero);
Napoli-‐Alessandria
(due
a
uno).
Sallustro,
ammonito
dalla
Società,
disse
qualcosa
che
non
piacque
ai
dirigenti
e
fu
relegato
tra
le
riserve;
senza
di
lui,
pareggiammo
a
Torino
per
zero
a
zero.
La
stampa
e
i
tifosi
protestarono
vigorosamente
contro
la
sanzione
giudicata
eccessiva
e,
con
l’aiuto
del
compianto
Mario
Argento,
il
veltro
rientrò
al
suo
posto
di
combattimento,
giusto
in
tempo
per
battere
il
Milan
per
uno
a
zero.
Il
girone
di
andata
terminò
così,
con
un’altalena
di
cose
egregie
e
di
cose
mediocri,
una
condotta
di
gioco
talvolta
estrosa
ma
più
spesso
apatica,
violenta
ed
emotiva.
Al
giro
di
boa
ci
ritrovammo
al
quinto
posto,
con
diciannove
punti,
diciotto
goal
fatti
e
diciotto
subiti.
La
corsa
riprese
a
Roma,
con
la
Lazio;
solito
derby,
stesso
clima
arroventato,
immutata
incertezza.
Solo
Garbutt
era
sereno
e
fiducioso.
“Lasciare
nervi
negli
spogliatoi,
otturare
orecchie
e
aprire
bene
gli
occhi”.
“La
tradizione
avere
suoi
diritti
che
andare
rispettati:
otto
volte
consecutive
noi
avere
vinto
la
Lazio.
“Questa
essere
nona
volta!”.
Vincemmo,
infatti,
per
due
a
zero.
Venne
il
Bologna
e
perse
per
uno
a
zero
e
poi
andammo
a
Livorno;
una
partita
spigolosa,
piena
di
falli
e
di
cattiveria.
Vincenzi
e
Colombari,
pur
essendo
di
casa,
non
erano
bene
accetti
in
maglia
azzurra.
E
giù
botte
da
orbi.
In
quel
clima
rovente
e
surreale
il
Mister,
ai
bordi
del
campo,
guardava
divertito
i
suoi
che
ci
sapevano
fare
davvero;
nel
mezzo
della
sarabanda
saltò
fuori
a
un
tratto,
come
da
un
racconto
di
Offenbach,
la
siluette
agile
ed
elegante
di
Sallustro
che,
senza
pensarci
due
volte,
folgorò
in
rete
il
goal
della
vittoria.
Battemmo
ancora
il
Brescia
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Vojak
ma
perdemmo
con
La
Juventus
per
due
a
zero.
Sconfiggemmo
poi
il
Palermo,
per
due
a
uno,
in
una
specie
di
duello
rusticano
e
trionfammo
a
Torino
infilando
cinque
goal
contro
due
degli
avversari
ad
opera
di
Gravisi,
Vojak
,
Visentin
e
Rossetti.
All’insegna
del
risparmio,
in
vista
dell’imminente
derby
al
Testaccio
contro
la
Roma,
pareggiammo
a
Padova
per
uno
a
uno
Il metodo Garbutt
Sveglia
alle
sette
e
trenta
e
colazione
alle
otto;
alle
dodici
il
pranzo
e
la
cena
alle
venti;
alle
ventidue
e
trenta
bisognava
chiudere
gli
occhi
“perché
un
atleta
deve
dormire
otto
ore
abbondanti,
altrimenti
non
recupera
a
sufficienza
e
se
dorme
di
più,
si
alza
con
il
cervello
intontito
e
i
muscoli
fiacchi”.
Lunedì
riposo
e
visita
medica
per
chi
ne
avesse
bisogno;
mercoledì,
venerdì
e
sabato,
riunione
al
bar
Daniele,
alle
otto
e
trenta,
e
lunghe
passeggiate
per
stimolare
il
buonumore
e
l’affiatamento;
martedì
pomeriggio
alle
quattordici
e
trenta
(un’ora
dopo,
d’estate)
convegno
al
campo
per
gli
allenamenti
di
carattere
ginnico
e
atletico.
Cominciavamo
con
un
buon
quarto
d’ora
di
esercizi
respiratori,
saltelli
sul
posto,
movimenti
di
scioltezza
per
gli
arti
inferiori
e
per
il
tronco,
con
particolare
riguardo
a
quelli
necessari
per
l’allungamento
e
il
tono
dei
27
quadricipiti,
dei
flessori
e
degli
adduttori
della
coscia
(alle
volte
restavamo
lunghi
minuti
a
terra
con
gli
arti
inferiori
in
forzata
abduzione
o
posizione
dell’ostacolista
per
dare
maggiore
elasticità
ai
muscoli
soggetti
a
lesionarsi
durante
lo
sforzo).
In
pista
s’iniziava
a
passo
sciolto
e
si
accelerava
gradualmente
con
allunghi
velocissimi
di
circa
cinquanta
metri
per
ritornare
in
seguito
al
ritmo
normale.
I
velocisti
non
facevano
più
di
otto
o
dieci
giri
di
pista;
gli
altri,
quindici
o
sedici
di
circa
cinque
cento
metri
a
ritmo
medio
e
sostenuto
per
fare
fiato
seguito
da
cinque
o
sei
minuti
di
ginnastica
respiratoria
e,
finalmente,
si
andava
alle
docce.
Il
mercoledì
pomeriggio
alle
quattordici
e
trenta
si
svolgevano
gare
atletiche
tra
calciatori
che
consistevano
in
corse
di
velocità
su
cinquanta,
ottanta
e
cento
metri,
intervallate
da
corse
di
resistenza
sui
trecento
metri,
gare
a
ostacoli,
salto
in
alto,
in
lungo
e
misto;
Garbutt
assegnava
premi
ai
vincitori.
Negli
allenamenti
eravamo
divisi
in
gruppi
omogenei
(terzini,
mediani
e
attaccanti)
che
eseguivano
palleggi,
passaggi,
triangolazioni,
calci
da
fermo,
al
volo
e
di
testa.
Il
giovedì
si
giocava
tra
titolari
e
riserve,
o
contro
una
squadretta
locale,
per
provare
schemi,
spostamenti
e
marcature;
quando
il
Mister
ci
interrompeva
nel
corso
della
partita
dovevamo
fermarci
nella
posizione
in
cui
ci
trovavamo
e
lui
ci
mostrava
l’errore
o
l’impostazione
sbagliata
nei
confronti
dell’avversario
e
dei
compagni
di
squadra.
Venerdì
riposo;
sabato
passeggiata
distensiva;
domenica:
nessuno
si
tiri
indietro!
5
Addio Mister!
La sfida di Vojak
Partimmo
il
sabato
pomeriggio
da
Mergellina
alla
volta
della
Capitale,
dove
ci
aspettava
a
piè
fermo
la
Roma.
Io
e
Busiello,
con
il
quale
condividevo
la
stanza
all’Hotel
Marini,
non
ci
nascondevamo
le
difficoltà
dell’incontro.
Avevamo
da
poco
terminato
la
cena,
piuttosto
frugale,
quando
Masetti,
Gadaldi
e
Costantino
vennero
a
salutare
i
loro
ex
compagni
e
la
squadra
in
generale
nello
spirito
di
un
cameratismo
d’altri
tempi.
Vojak
e
Masetti,
ambedue
polesani,
si
abbracciarono
e
cominciarono
in
tono
scherzoso
a
stuzzicarsi
finché
il
portiere
romanista
pronosticò
che
avrebbe
parato
ogni
tiro,
perfino
un
rigore
se
ci
fosse
stato.
Vojack,
in
genere
calmo
e
taciturno,
replicò
che
se
gli
fosse
capitata
la
28
palla
giusta
non
sarebbe
riuscito
a
prenderla
nemmeno
se
gli
avesse
indicato
l’angolo
della
porta
dove
intendeva
infilarla!
L’indomani
lo
stadio
Testaccio
sembrava
un
formicaio.
Migliaia
di
napoletani
accorsi
con
trombette
e
gagliardetti,
esibivano
ampi
striscioni
azzurri
su
cui
spiccava
bianchissima
la
scritta
Ciuccio
fa’
tu!.
Si
partì
di
gran
carriera
con
i
romanisti
scatenati
che
costrinsero
gli
azzurri
nella
loro
metà
campo;
un
assalto
furibondo.
Per
venti
minuti
il
Napoli
fu
alla
mercé
degli
avversari
e
sembrava
dover
capitolare
da
un
momento
all’altro
nonostante
il
tentativo
di
riordinare
le
fila
e
organizzare
il
gioco
finché
Costantino,
ricevuto
un
pallone
sui
piedi,
stringe
al
centro
e
batte
Cavanna
irresistibilmente.
Sugli
spalti
scoppiano
tafferugli
mentre
sul
campo
piovono
oggetti
di
varia
natura
tra
cui
una
forbice
da
sarto
che
l’arbitro
non
vede.
Garbutt,
nell’intervallo,
invocava
la
calma,
ordinando
alla
difesa
e
alla
mediana
di
tenersi
fuori
dall’area
di
rigore
per
appoggiare
la
prima
linea.
Nella
ripresa
Colombari
lancia
sulla
destra
all’indirizzo
di
Visentin
che
intuisce
e,
raggiunta
la
sfera
quasi
sul
fondo,
centra
una
parabola
tesa,
al
limite
dell’area
romanista;
il
pubblico
trattiene
il
respiro
e,
nel
silenzio,
irrompe
la
voce
di
Vojak
che
aveva
finalmente
ricevuto
la
palla
che
aspettava.
“Te
lo
faccio
là….te
lo
faccio
là….”,
grida,
indicando
al
portiere
romanista
l’angolo
superiore
sinistro
della
rete
con
la
mano.
Il
bolide
parte
con
estrema
precisione,
infilandosi
tra
le
mani
dello
sbalordito
Masetti
che
si
lancia
in
uno
spettacolare
ma
inutile
tentativo
di
salvataggio,
rialzandosi
poi
per
stringere
la
mano
di
Vojak
tra
gli
applausi
del
pubblico.
Costantino
sfiora
ancora
il
successo
per
i
giallo-‐rossi
ma
è
fermato
da
Colombari
che
rilancia
in
avanti;
Rossetti
raccoglie
e
fa
partire
un
bolide
che
striscia
sul
montante
destro
della
porta
e
si
smorza
in
fondo
alla
rete
siglando
il
raddoppio.
La
vittoria
è
nostra!
Tifosi
e
dirigenti
non
stanno
nei
panni
per
la
gioia;
Savarese
elargisce
mille
lire
di
premio
a
tutti
i
giocatori,
riserve
comprese
e
offre
un
soggiorno
a
Rapallo
in
attesa
della
trasferta
sul
campo
del
Casale.
Al
Bristol
lottiamo
con
le
zanzare
e
il
desiderio
di
un
tuffo
nell’azzurro
del
mare
dove
cominciavano
ad
apparire
le
prime
ondine
straniere.
Passiamo
tutta
la
settimana
senza
toccare
il
pallone,
limitandoci
a
fare
qualche
esercizio
e
lunghe
passeggiate
alla
maniera
di
Garbutt
che
ci
porta
a
piedi
fino
a
Santa
Margherita
Ligure!
Ci
avviamo
alla
fine
del
Campionato
con
Casale-‐Napoli,
vincendo
per
quattro
a
uno
(Ferraris
II,
Vojak
e
Gravisi);
sconfiggiamo
ancora
il
Vercelli
per
uno
a
zero
per
merito
di
Vojack,
assistendo
ai
soliti
dispettucci
tra
Cavanna
e
Piola,
e
perdiamo
con
l’Alessandria
per
uno
a
zero;
pareggiamo
infine
per
uno
a
uno
con
la
Fiorentina.
L’ultimo
atto
va
in
scena
a
Milano;
Garbutt
decide
di
tenere
a
riposo
la
prima
squadra
e
invia
a
San
Siro
la
squadra
cadetta
composta
da
Marietti,
Innocenti,
Santillo,
De
Nicola,
Bedendo,
Boltri,
Ragusa,
Benatti,
Busiello,
Franzese
e
Venditto.
Non
presi
parte
all’incontro
perché
disputavo
i
cento
e
duecento
metri
piani
ai
Littoriali
dello
Sport.
I
milanesi
vinsero
per
uno
a
zero
sudando
però
le
proverbiali
sette
camicie
davanti
ad
un
pubblicò
ostile
ai
partenopei
e
all’arbitro
Zorzi
di
Vicenza
che,
in
seguito
a
un
lancio
di
pietre,
si
vide
costretto
a
porre
fine
alla
gara
al
quarantesimo
minuto
del
secondo
tempo.
La
F.I.G.C.
appioppò
al
Napoli
una
multa
di
dieci
mila
lire
per
aver
mandato
in
campo
una
squadra
di
riserve
in
un
incontro
di
massima
divisione
ma
gli
dette
partita
vinta
ai
danni
del
Milan
applicando
la
sanzione
prevista
dal
Regolamento
in
base
al
rapporto
arbitrale.
La
Juventus
era
Campione
d’Italia
per
la
terza
volta
consecutiva
mentre
Il
Napoli
terminava
il
Campionato
al
terzo
posto,
dopo
l’Ambrosiana-‐Inter,
con
quaranta
quattro
punti,
quaranta
quattro
goal
segnati
e
trentuno
ricevuti.
29
Coppa Europa
Ambrosiana,
Napoli
e
Bologna
ebbero
così
il
privilegio
di
partecipare
alla
Coppa
Europa.
A
Roma,
nel
frattempo,
cominciava
il
raduno
degli
azzurri
d’Italia
per
i
Campionati
del
mondo;
Cavanna
con
sua
grande
soddisfazione
e
orgoglio
degli
azzurri
fu
convocato
in
Nazionale.
Nel
primo
turno
il
Napoli
pareggiò
a
Vienna
per
zero
a
zero
contro
l’Admira
sul
campo
del
Prater,
schierando
in
formazione
Cavanna,
Vincenzi,
Castello,
Mongero,
Colombari,
Rivolta,
Visentin,
Vojack,
Sallustro,
Rossetti
e
Ferraris
II.
La
domenica
successiva,
all’Ascarelli,
Il
Napoli
conduceva
per
due
a
zero
con
una
rete
di
Sallustro
e
un’altra
di
Vojak,
su
rigore,
ma
poi
gli
azzurri
cominciarono
a
gingillarsi,
ritenendo,
forse,
di
avere
in
pugno
la
vittoria.
Un
primo
malinteso
tra
Rossetti
e
Rivolta
mandò
la
palla
in
possesso
di
Siegel
il
quale,
dopo
una
fuga
velocissima,
la
passò
a
Durspekt
che
insaccò
da
pochi
passi
e,
dopo
un
ennesimo
malinteso
dei
nostri,
segnò
di
nuovo
al
trentaduesimo
del
secondo
tempo.
E
fu
la
fine
del
sogno.
La
domenica
successiva,
a
Zurigo,
l’Admira
piegò
il
Napoli
sotto
il
fardello
di
cinque
reti!
La
Presidenza
tuonò,
parlando
d’irresponsabilità
e
di
scarso
senso
del
dovere
e
decise
di
applicare
una
multa
di
millecinquecento
lire
a
ogni
singolo
giocatore
e
di
duemilacinquecento
a
Sallustro,
revocato
inoltre
dall’incarico
di
capitano.
Veltro e Levriero
Benatti,
Marietti,
Ragusa,
Goliardo,
Barilotti,
Borza
e
Giraud
III
lasciarono
il
Napoli
che
acquistò
invece
Mongero
dal
Torino,
Stabile
dal
Genoa,
Glovi
dalla
Bagnolese
e
il
portiere
Sentimenti
II
dal
Modena.
Al
Vomero,
dove
ci
radunammo
il
ventisei
agosto,
mancavano
solo
Ferraris
II
e
Colombari
che
contestavano
i
rispettivi
ingaggi.
I
lavori
di
restauro
e
di
ampliamento
dell’Ascarelli,
che
procedevano
febbrilmente,
terminarono
i
primi
di
settembre,
restituendo
alla
città
un
terreno
di
gioco
morbido,
elastico,
del
colore
della
speranza,
che
metteva
addosso
la
voglia
di
vincere.
Purtroppo,
quando
fu
inaugurato
il
nove
settembre
1934,
ospite
il
Modena,
non
si
chiamava
più
Ascarelli
ma
Stadio
Partenopeo,
in
omaggio
ai
pregiudizi
dell’epoca.
Ferraris
II,
tornato
a
più
miti
consigli,
raggiunse
la
squadra
il
dodici
settembre
alla
vigilia
della
battaglia,
mentre
Colombari
e
Sallustro
rimanevano
sull’Aventino.
Il
Napoli
che
schierava
in
formazione
Cavanna,
Vincenzi,
Castello,
Mongero,
Buscaglia,
Rivolta,
Visentin,
Vojack,
Glovi,
Rossetti
e
Ferraris
II
cominciò
male,
perdendo
contro
l’Alessandria
per
uno
a
zero
e
contro
la
Juventus
per
due
a
uno.
Poi,
il
dodici
ottobre,
grazie
ai
buoni
uffici
di
Garbutt,
rientrò
Colombari
e
la
domenica
successiva
vincemmo
per
tre
a
due
contro
la
Roma,
con
reti
di
Ferraris
II,
Glovi
e
Rossetti.
La
squadra
cominciava
a
muoversi
meglio,
sebbene
avesse
ancora
bisogno
di
preparazione
e
d’intesa;
dopo
il
pareggio
con
il
Milan,
grazie
a
due
reti
di
Vojak,
tornò
anche
Sallustro.
C’eravamo
tutti
finalmente,
come
una
volta,
ma
a
Firenze
perdemmo
per
tre
a
due,
dopo
una
lotta
furibonda
che
ci
lasciò
esausti
e
ammaccati
nonostante
la
magnifica
prestazione
di
Sallustro
e
Visentin
La
domenica
successiva
dovevamo
incontrare
il
Brescia
ma
l’intervallo
di
riposo
non
era
sufficiente
per
riprendere
vigore
e
curare
le
botte
ricevute;
Garbutt
decise
dunque
di
sostituire
Cavanna
con
Sentimenti
II,
e
di
farmi
giocare
al
posto
di
Visentin.
30
“Il
levriero
all’ala
destra”,
scriverà
Mario
Argento
commentando
la
scelta
dell’allenatore
che
intendeva
sperimentare
una
formazione
atipica
con
Rossetti
al
centro,
Colombari
e
Rivolta
alla
mediana,
Gravisi
e
Vojak
a
mezz’ala,
me
stesso
e
Ferraris
II
alle
due
ali;
vincemmo
per
due
a
zero,
con
goal
di
Colombari
e
Gravisi.
Il
pubblico
si
divertiva
per
le
mie
lunghe
falcate
da
velocista.
Battemmo
poi
il
Palermo
per
sei
a
due
con
due
goal
di
Sallustro,
due
di
Ferraris
II,
uno
di
Vojack
e
uno
di
Rivolta
e
la
Sampierdarenese
per
tre
a
uno
(Sallustro,
Gravisi,
Ferraris
II);
vincemmo
ancora
a
Torino,
per
due
a
uno
ma
perdemmo
contro
la
Lazio
per
tre
a
uno,
(nonostante
il
rientro
di
Cavanna
e
di
Buscaglia)
e
contro
l’Ambrosiana
per
zero
a
uno;
superammo
il
Livorno
per
tre
a
uno
con
due
reti
di
Sallustro
e
una
di
Ferraris
II
in
un
incontro
burrascoso
e
scorretto,
in
campo
e
sugli
spalti,
culminato
con
l’espulsione
di
Uslenghi
e
Garaffa
e
l’intervento
della
polizia
che
dovette
proteggere
gli
spogliatoi;
con
una
doppietta
di
Vojak
battemmo
invece
la
Triestina
per
due
a
uno,
incappando,
subito
dopo,
in
una
serie
di
sconfitte
con
il
Bologna
(tre
a
zero),
l’Alessandria
(quattro
a
due)
e
la
Roma
(quattro
a
zero);
pareggiammo
invece
per
zero
a
zero
con
la
Juventus.
Il
comportamento
discontinuo
del
Napoli
non
era
certo
una
novità
ma,
questa
volta,
la
situazione
era
davvero
pessima,
aggravata
peraltro
dalla
solita
crisi
finanziaria
e
dall’atmosfera
di
apatia
che
prevaleva
tra
i
giocatori
non
pagati
da
mesi;
la
stampa
non
fu
benevola
neppure
con
Garbutt
che
sentiva
la
situazione
sfuggirgli
di
mano.
Il
Campionato,
intanto,
proseguiva
con
risultati
modesti:
Napoli-‐Milan
zero
a
uno;
Vercelli-‐Napoli
uno
a
uno;
Napoli-‐Fiorentina
uno
a
uno.
L’incontro
con
la
Fiorentina
tenne
a
battesimo
il
debutto,
all’ala
sinistra,
di
Venditto,
che
ebbe
poi
la
soddisfazione
di
vestire
la
maglia
azzurra
dei
cadetti
nell’incontro
Italia-‐Austria.
Buscaglia
lo
chiamava
“Giovanni
il
cravattaro”
perché
amava
indossare
cravatte
vistose
“all’americana”.
Grazie
a
Sallustro
segnammo
l’unico
goal
della
partita
contro
il
Brescia
ma
i
giorni
grigi
erano
in
agguato;
perdemmo,
infatti,
contro
il
Palermo
per
due
a
zero
e
pareggiammo
con
la
Sampierdarenese
per
uno
a
uno
con
un
goal
di
Rossetti.
Il
ventisei
aprile
1935
Francesco
Picone,
Segretario
Federale
di
Napoli,
cercò
di
comporre
i
dissidi
interni
e
di
rinsaldare
le
malconce
finanze
della
Società
nominando
un
Comitato
Direttivo
composto
da
Vincenzo
Savarese,
Achille
Lauro,
l’ingegner
Limoncelli,
Domenico
Gattinara,
Domenico
Pellegrini
Giampietro
e
Ugo
Grimaldi.
Il
Comitato
era
affiancato
da
un
Consiglio
composto
di
sportivi,
appassionati
e
personalità
cittadine
di
spicco.
La
squadra,
in
quello
scorcio
di
Campionato,
tirava
avanti
alla
meglio;
pareggiammo
a
Torino
per
zero
a
zero
e
vincemmo
contro
la
Lazio
per
tre
a
zero
(
Sallustro
I,
Sallustro
II
e
Rossetti)
ma
perdemmo
contro
l’Ambrosiana
per
due
a
uno
(Rivolta).
L’incontro
con
la
Triestina,
pareggiato
per
zero
a
zero,
si
trasformò
invece
in
una
vera
e
propria
rissa
che
condusse,
tra
l’altro
all’espulsione
di
Colombari.
L’indifferenza
del
pubblico
e
degli
stessi
giocatori
accolse
il
pareggio
con
il
Bologna
per
uno
a
uno
nell’ultima
partita
casalinga.
La
Juventus
vinse
il
Campionato
con
quaranta
quattro
punti
mentre
il
Napoli
si
classificava
al
settimo
posto
con
ventinove
punti
su
trenta
partite,
trentanove
goal
segnati
e
trentotto
subiti.
Il
venti
giugno
dello
stesso
anno
la
FIGC
introdusse
la
Coppa
Italia,
una
competizione
a
eliminazione
semplice,
basata
sugli
stessi
criteri
della
Coppa
d’Inghilterra
e
della
Coppa
di
Francia.
Il
torneo
si
sarebbe
svolto
a
latere
del
Campionato
coinvolgendo
sessanta
quattro
squadre
di
cui
sedici
di
Divisione
Nazionale
A,
sedici
di
Divisione
Nazionale
B
e
trentadue
di
Divisione
Nazionale
C.
L’otto
giugno,
fu
acquistato
dal
Livorno
Giovanni
Busoni,
uno
dei
migliori
centravanti
italiani
del
momento,
e
con
questa
novità
ci
avviammo
alla
stagione
1935-‐1936.
31
Fritz
Caflish,
Bruno
Decker,
Leopolodo
De
Lieto
e
Gioacchino
Ruggiero,
membri
del
Consiglio,
dovettero
rimboccarsi
le
maniche
per
riorganizzare
la
Società
e
mettere
ordine
in
famiglia,
disciplinando
compiti
e
mansioni.
L’amarezza di Garbutt
Nacque
così
l’Unione
Sportiva
Partenopea,
un
vivaio
di
giovanissimi,
affidato
a
Ludovico
Pierro;
per
stimolare
la
campagna
abbonamenti
Fritz
Caflish,
vecchia
gloria
del
volante,
propose
il
sorteggio
di
una
Fiat
Balilla
fra
i
primi
duemila
cinquecento
soci.
Si
fece,
insomma,
tutto
il
possibile
per
riaccendere
la
passione
e
l’entusiasmo
del
pubblico
deluso
e
amareggiato
per
i
risultati
della
passata
stagione,
sapendo,
tuttavia,
che
anche
la
migliore
propaganda
non
poteva
prescindere
dai
contenuti:
per
fare
una
squadra
occorrevano
giocatori!
Il
Club
decise
dunque
di
acquistare
l’uruguaiano
Uslenghi,
centromediano,
dal
Livorno,
Fenoglio,
terzino
ambidestro,
dall’Alessandria,
Mosele,
portiere,
dall’Alessandria,
Blecich,
terzino
sinistro,
dalla
Triestina
e
Blasevich,
mezz’ala
sinistra
,
dal
Palermo.
Garbutt,
ormai
in
aperto
contrasto
con
i
dirigenti,
deluso
dalla
scialba
prestazione
della
squadra
e
amareggiato
dal
disinteresse
del
pubblico,
decise
di
andarsene,
lasciando
molti
rimpianti
e
un
ricordo
indelebile
in
coloro
che
lo
avevano
conosciuto
e
gli
avevano
voluto
bene.
Si
trasferì
in
Spagna
per
allenare
l’Athletic
Bilbao,
che
vinse
il
Campionato
nazionale.
Rientrato
in
Italia
nel
1936,
dopo
un
breve
passaggio
al
Milan,
fece
ritorno
al
Genoa
con
cui,
escluso
il
periodo
bellico,
rimase
fino
al
1948.
Durante
la
guerra
visse
anni
difficili,
durante
il
suo
rientro
in
Inghilterra
fu
addirittura
incarcerato
perché
proveniente
da
un
Paese
nemico.
Sua
moglie
morì
sotto
i
bombardamenti
e
sua
figlia,
Maria
Concetta
Ciletti,
adottata
in
Italia,
non
ricevette
alcun
sostegno
da
parte
delle
Istituzioni.
Genoa
e
Napoli
cercarono
con
numerose
iniziative
di
sostenere
il
loro
Mister,
collaborando
per
raccogliere
fondi
in
suo
favore.
La
sua
partenza
coincise
con
la
fine
del
periodo
aureo
del
calcio
partenopeo.
Quando
lo
rividi
per
l’ultima
volta
a
Londra,
nel
1958,
mi
raccontò
che,
lasciando
Napoli,
aveva
pianto
di
nascosto
in
un
angolo
dello
scompartimento
ferroviario;
ricordava
con
nostalgia
le
ansie
e
le
gioie
di
quell’epoca,
i
clamori
della
folla
napoletana,
le
tante
battaglie
vinte
e
quelle
perdute.
Si
spense
a
Warwich
(Inghilterra)
il
venti
quattro
febbraio
1964.
Addio,
caro,
insuperato
Maestro!
La nostalgia di Ulisse
33
Napoli
due
a
uno;
Fiorentina-‐Napoli
due
a
zero;
Napoli-‐Alessandria
uno
a
zero;
Torino-‐Napoli
uno
a
zero;
Napoli-‐Bari
due
a
zero;
Ambrosiana-‐Napoli
quattro
a
due;
Napoli-‐Genova
due
a
due;
Napoli-‐Lazio
uno
a
due
e,
infine,
Napoli-‐Juventus
due
a
due
con
goal
di
Buscaglia
e
di
Busoni.
Il
pubblico,
divertito,
applaudiva
le
prodezze
di
Tricoli,
scatenato
come
un
leone,
che
ricevette
quel
giorno
l’elogio
di
Vittorio
Pozzo,
uno
dei
migliori
tecnici
italiani.
Verso
la
fine
del
Campionato
sconfiggemmo
il
Milan
per
uno
a
zero
con
un
goal
spettacolare
di
Venditto
che
attraversava
un
periodo
di
forma
eccezionale;
timido
e
taciturno,
il
mariglianese,
specialista
nel
saettare
a
volo
la
palla
dalle
posizioni
più
incredibili,
univa
un’intelligenza
calcistica
notevole
a
doti
innate
di
velocità
e
di
controllo.
Vestì
la
maglia
azzurra
della
Nazionale
B
contro
la
Svizzera,
contribuendo
alla
vittoria
azzurra
(due
a
zero)
con
uno
dei
suoi
tiri
invisibili
di
cui
nessuno
a
seguire
la
traiettoria.
In
casa
azzurra
Sallustro
e
Busoni
erano
ai
ferri
corti
per
il
ruolo
di
centravanti;
Csakpay
avrebbe
potuto
utilizzare
entrambi,
affiancandoli,
uno
al
centro
e
l’altro
all’ala,
se
fosse
stato
meno
miope
calcisticamente
parlando.
Il
quindici
marzo
1936,
stanco
per
i
risultati
scadenti
della
squadra
e
amareggiato
per
i
commenti
della
stampa,
Savarese
passò
il
timone
nelle
mani
di
Achille
Lauro,
uno
dei
personaggi
più
popolari
e
controversi
del
calcio
napoletano
e
delle
vicende
politiche
della
città.
Nato
a
Piano
di
Sorrento
il
sedici
giugno
1887,
il
“Comandante”
è
stato
nella
sua
lunghissima
vita
politico,
editore
e
dirigente
sportivo;
figlio
dell’armatore
Gioacchino
Lauro,
fu
a
sua
volta
armatore
e
fondatore
della
“Flotta
Lauro”,
una
delle
più
potenti
flotte
italiane
di
tutti
i
tempi,
nonché
di
un
vero
e
proprio
impero
finanziario.
Come
uomo
politico
fu
dotato
di
forte
carisma
e
addirittura
venerato
da
gran
parte
dei
napoletani,
tanto
che
nelle
elezioni
comunali
del
1952
e
del
1956
ottenne
circa
trecentomila
preferenze,
quota
mai
raggiunta
prima
da
un
candidato
alle
elezioni
locali;
fondò
nel
1954,
il
Partito
Monarchico
Popolare
e
fu
eletto
deputato
e
capogruppo
alla
Camera.
L’armatore,
per
far
fronte
al
dissesto
finanziario,
impose,
in
primo
luogo,
un
regime
di
austerità
inteso
a
ridurre
le
spese
allo
stretto
indispensabile;
la
sede
di
Toledo
fu,
infatti,
trasferita
in
un
appartamento
di
tre
stanze,
in
via
De
Pretis,
e
relegata,
successivamente,
in
un
modesto
locale
della
Flotta
.
Il
Comandante
dovette
inoltre
fronteggiare
l’incubo
della
retrocessione
e
il
calo
d’introiti
conseguente
al
malumore
dei
tifosi
che
disertavano
lo
Stadio;
la
situazione
era
a
dir
poco
sconcertante.
I
debiti
ammontavano
a
265.982,75
lire
(una
somma
enorme
per
l’epoca)
di
cui
115.200,05
per
saldi
ancora
dovuti
ai
giocatori
e
44.500
per
insoluti
di
varia
natura.
Lauro
si
rese
conto
che
la
pratica
di
frazionare
e
ritardare
gli
emolumenti
mensili
dei
calciatori
non
giovava
certo
al
loro
rendimento
e
che,
di
conseguenza,
bisognava
innanzitutto
saldare
le
loro
spettanze;
decise
quindi
di
eliminare
la
pletora
di
giocatori
superflui,
stabilendo,
tra
l’altro,
che
le
retribuzioni
dovessero
essere
commisurate
al
rendimento
agonistico.
Csapkay,
messo
in
libertà
il
trenta
maggio
dello
stesso
anno,
fu
sostituito
da
Angelo
Mattea,
proveniente
dal
Messina,
cui,
peraltro,
Vittorio
Pozzo
affidò,
nel
1936,
la
preparazione
per
le
Olimpiadi
di
Berlino
della
Nazionale
Goliardica
che
superò
brillantemente
la
prova
battendo
l’Austria
per
due
a
uno.
Il
Comandante
dedicò,
in
seguito,
la
sua
attenzione,
agli
aspetti
amministrativi
della
Società,
preventivando
una
spesa
mensile
di
quarantamila
lire,
a
fronte
delle
sessantamila
del
campionato
precedente;
le
quote
di
abbonamento
della
campagna
soci
1936-‐1937
furono
stabilite
in
lire
mille
per
i
Soci
Benemeriti;
lire
duecento
cinquanta
per
i
Soci
Ordinari
A
(Tribune
centrali
numerate);
lire
centocinquanta
per
le
Patronesse
A
e
i
Soci
Ordinari
B
(Tribune
laterali
numerate);
lire
cento
per
le
Patronesse
B
e
i
Soci
Aderenti;
lire
sessanta
per
la
Categoria
ragazzi
(fino
a
dodici
anni,
con
diritto
a
qualsiasi
ordine
di
posto).
Furono
acquistati
Ferrara
II,
ala
destra,
Ferrara
I,
mezzala
destra
Masera,
mezzala
ambidestra,
dalla
Pro
Patria,
Biagi,
mezzala
sinistra,
dal
Pisa,
Carella,
ala
destra,
dalla
Salernitana,
Poggi,
ala
sinistra,
dal
Bologna
e
Da
Caprile,
centromediano,
dal
Bari.
34
Il
credito
di
duecentocinquantamila
lire
che
Savarese
vantava
nei
confronti
del
Club,
fu
in
parte
onorato
con
la
cessione
di
Ferraris
II
e
in
parte
con
un
prelievo
diretto
dalle
tasche
di
Lauro
che,
a
conti
fatti,
aveva
già
sborsato
trecento
mila
lire,
nella
speranza
che
il
Napoli
potesse
finalmente
voltare
pagina.
Applausi per il Mister
Il
primo
incontro
tra
vecchi
e
nuovi
elementi
della
squadra
ebbe
luogo
allo
Stadio
del
Vomero
il
dieci
agosto
1936;
il
Napoli
schierava
in
formazione
Mosele,
Fenoglio,
Castello;
Colombari,
Buscaglia,
Rossetti;
Ferrara
II,
Biagi,
Sallustro,
Masera,
Venditto.
Tra
i
rincalzi
Ferrara
I,
Tricoli,
Glovi,
Da
Caprile
che
faranno
spesso
la
loro
apparizione
in
campo,
a
seconda
delle
esigenze
di
forma,
d’infortuni
o
di
squalifiche
dei
titolari.
Cominciammo
con
un
pareggio,
a
Roma,
a
reti
inviolate.
Il
tandem
d’attacco,
era
formato,
a
destra,
dai
fratelli
Ferrara
mentre
al
centro
Glovi
sostituiva
Sallustro;
pareggiamo
di
nuovo
a
Firenze
per
uno
a
uno
con
un
goal
di
Buscaglia
su
rigore;
perdemmo
poi
contro
la
Juventus
per
uno
a
zero.
Debuttava
Biagi,
con
una
prestazione
veramente
positiva
e
Sallustro
tornava
al
centro
della
prima
linea;
una
partita
sfortunata.
Pareggiammo
di
nuovo
contro
la
Triestina
per
uno
a
uno;
gli
alabardati
partirono
come
razzi,
neutralizzati,
tuttavia,
dalle
prodezze
di
Mosele;
dopo
i
primi
venti
minuti
Buscaglia
riprese
le
redini
del
gioco,
consentendo
tra
l’altro
a
Biagi
di
segnare
ma
i
triestini
pareggiarono.
L’incontro
con
il
Genoa,
pareggiato
per
zero
a
zero,
si
presenta
invece
piuttosto
spigoloso;
Venditto
passa
a
Biagi
che
punta
a
rete,
supera
Agosteo
e,
atterrato
da
Genta,
rotola
nella
polvere;
Bertolio
però
nega
il
rigore
mentre
il
pubblico
fischia
e
si
agita
minaccioso,
scuotendo
le
inferriate
e
lanciando
oggetti
nel
campo,
con
conseguente
multa
di
cinque
cento
lire
per
contegno
irriguardoso
nei
confronti
dell’arbitro.
A
Milano
giochiamo
invece
una
delle
nostre
partite
più
belle
per
tecnica
e
stile
ma
subiamo
un
goal
in
zona
Cesarin;
vinciamo
poi
contro
il
Novara
per
quattro
a
zero
con
due
goal
di
Ferrara,
uno
di
Biagi
e
un
altro
Colombari.
La
Lucchese
però
ferma
il
nostro
slancio
superandoci
per
tre
a
due
in
un
incontro
più
simile
al
pugilato
che
al
calcio,
dentro
e
fuori
del
campo;
Castello
dà
il
meglio
di
se
(anche
nel
sottopassaggio!)
e
l’arbitro
lo
ammonisce,
costringendo
Lauro
a
intervenire
per
evitargli
la
squalifica.
Perdiamo
di
nuovo
contro
il
Bologna
per
uno
a
zero,
incassando
nei
primi
minuti
un
goal
a
freddo
dell’indemoniato
Reguzzoni;
gli
azzurri
sbandano
e,
dopo
lo
stupore,
stringono
d’assedio
l’area
bolognese
ma
Cerasoli
resiste.
Il
pubblico,
amareggiato,
critica
aspramente
il
comportamento
del
quintetto
attaccante
invocando
a
gran
voce
il
ritorno
di
Sallustro,
assente
ormai
da
diverse
settimane.
Volano
parole
grosse,
un
ombrello
si
abbate
sul
cranio
di
qualcuno,
una
signora
sviene,
gemendo,
tra
le
braccia
di
un
cavaliere
premuroso………..
La
domenica
successiva,
Sallustro
rientrato
in
squadra,
sigla
il
nostro
due
a
zero
contro
l’Alessandria
con
Venditto
che
metterà
poi
in
rete
il
goal
della
bandiera
nella
partita
contro
il
Bari,
persa
per
tre
a
uno;
anche
a
Torino
incassiamo
tre
goal.
Rossetti,
ex
granata,
vorrebbe
sprofondare
per
la
vergogna,
anche
se
dopo
l’incontro
i
suoi
antichi
compagni
corrono
ad
abbracciarlo
in
segno
d’affetto.
Sallustro
e
Meazza
duellano
come
ai
bei
tempi
nell’incontro
con
l’Ambrosiana
che
vinciamo
per
due
a
uno;
Ferrara
II,
sfruttando
un
corner
a
nostro
favore,
batte
con
tiro
teso
la
palla
che,
carica
di
effetto,
corre
lungo
la
traversa
e
termina
in
rete,
lasciando
Perucchetti
di
sasso;
Buscaglia
raddoppia
su
rigore.
Vinciamo
ancora
contro
il
Sampierdarena
per
due
a
zero
un
derby
tra
città
marinare
e
dunque
tra
armatori.
Lauro,
che
a
Genova
è
di
casa,
pretende
che
si
vinca
ad
ogni
costo
avendo
tra
l’altro
scommesso
una
bella
sommetta
che
non
intende
affatto
perdere.
Vincemmo,
infatti,
per
due
a
zero,
con
un
goal
di
Ferrara
II
e
uno
di
Rossetti.
La
domenica
successiva
affrontiamo
la
Roma;
35
Ticoli,
zoppicante,
non
riesce
a
fermare
D’alberto
che
segna
con
un
po’
di
fortuna.
Il
nostro
quintetto
di
punta
fa
più
pena
che
rabbia.
Arriva
poi
la
Fiorentina
che
incassa
un
goal
di
testa
di
Colombari
negli
ultimi
istanti
di
una
furibonda
battaglia;
nella
porta
avversaria
debuttava
il
giovanissimo
Innocenti,
portiere
della
terza
squadra
viola.
La
Juventus
invece
ce
le
suona
per
due
a
zero
e
Castello
si
fa
male
scontrandosi
con
Borel
II
al
quindicesimo
minuto
del
primo
tempo.
Segnano
Borel
I
e
Gabetto,
il
Manolete
del
calcio
italiano.
Pareggiamo
con
la
Triestina
per
zero
a
zero
ma
battiamo
il
Genoa
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Ferrara
II
e
il
Comandante
vince
così
la
sua
seconda
scommessa.
Il
Milan
però
ferma
la
nostra
serie
positiva,
battendoci
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Gabardo
alla
fine
del
primo
tempo.
Grande
folla
allo
stadio
partenopeo.
I
rossoneri
sono
allenati
da
Garbutt,
la
cui
presenza
amplifica
l’attesa;
la
gente
ha
occhi
solo
per
il
suo
beniamino
che
incede
elegante,
in
completo
grigio,
con
il
cappello
in
testa
e
l’eterna
pipa
tra
le
labbra,
suscitando
un
applauso
interminabile.
Il
Mister
accenna
un
saluto,
togliendosi
il
cappello,
commosso
dall’ossequio
del
pubblico
e
dei
giocatori
di
entrambe
le
squadre.
6
Il tramonto di Sallustro
Tanti auguri
36
La
domenica
successiva
ci
attendeva
un
altro
incontro
di
fuoco
con
il
Novara
in
lotta
per
la
retrocessione.
Mattea,
all’ultimo
minuto,
mi
chiese
di
sostituire
Fenoglio;
avevo
ricevuto
un
brutto
colpo
alla
caviglia
durante
una
partita
con
la
Rappresentanza
Universitaria
ma
la
gioia
di
poter
vestire
ancora
una
volta
la
maglia
azzurra
mi
fece
passare
d’incanto
ogni
dolore;
quella
domenica
di
marzo
compivo
ventitré
anni.
Il
giorno
precedente
avevo
notato
che
Beato
confabulava
con
Colombari,
Castello
e
Buscaglia
e
pensai
che
stessero
per
realizzare
uno
dei
soliti
scherzi
al
bravo
ma
permaloso
Natale
Masera.
La
domenica
mattina,
invece,
la
squadra
al
completo
irruppe
nella
mia
stanza
cantando
i
tradizionali
tanti
auguri
e
Castello,
mio
compagno
di
linea,
mi
consegnò,
a
nome
di
tutti,
un
portafoglio
di
coccodrillo,
augurandomi
di
poterlo
riempire,
dopo
la
partita,
con
il
premio
che
il
Comandante
avrebbe
elargito
in
caso
di
vittoria.
Fu
un
incontro
terribile,
sotto
una
pioggia
torrenziale
che
aveva
ridotto
il
campo
a
un
pantano;
i
novaresi
cercavano
il
successo
a
tutti
i
costi.
Ricevetti
un
altro
colpo
al
ginocchio
ma
strinsi
i
denti
e
tirai
avanti
alla
meglio;
Mosele
parò
l’impossibile
mentre
Buscaglia,
Castello
e
Colombari
fecero
il
resto.
All’ultimo
minuto,
con
un
volo
da
un
palo
all’altro,
a
portiere
battuto,
tolsi
di
testa,
dalla
rete,
una
cannonata
di
Rizzotti.
Pareggiammo
per
zero
a
zero,
al
cospetto
di
un
pubblico
minaccioso,
una
partita
dura
e
scorretta,
durante
la
quale,
tuttavia,
l’arbitro
Galeati
non
si
era
lasciato
intimorire.
E
noi
nemmeno.
La
domenica
successiva
battemmo
la
Lucchese
per
quattro
a
due
con
goal
di
Ferrara
II,
Venditto
e
Rossetti
e,
in
seguito
il
Bologna
per
due
a
uno
con
goal
di
Ferrara
I;
sconfiggemmo
poi
l’Alessandria
per
due
a
zero
in
un
incontro
che
esaltò
le
doti
del
grande
Rossetti
e
superammo
il
Bari
per
tre
a
zero
con
goal
di
Sallustro
che,
la
domenica
seguente,
si
ritrovò
nuovamente,
in
un
incontro
tumultuoso,
a
duellare
con
Meazza.
Un
goal
di
Rossetti
e
uno
di
Sallustro
siglarono
il
pareggio
con
l’Ambrosiana,
con
buona
pace
del
balilla.
Inopinata
débâcle,
invece,
a
Roma
dove
perdemmo
con
la
Lazio
per
quattro
a
zero!
Giocammo
infine
l’ultima
di
Campionato
contro
la
pericolante
Sampierdarenese,
sul
terreno
dell’Ascarelli;
i
liguri
tentarono
il
tutto
per
tutto,
scatenando
una
battaglia
furibonda,
controllata
da
Dattilo
con
pugno
di
ferro.
Sfiorammo
più
volte
il
successo
finché
l’astuto
e
flemmatico
Spicah,
in
contropiede,
riuscì
a
infilare
due
palloni
alle
spalle
del
guardiano
partenopeo,
salvando
la
squadra
dalla
retrocessione.
Il
Bologna
vinse
il
Campionato
per
la
seconda
volta
consecutiva;
retrocessero
invece
Novara
e
Alessandria.
Il
Napoli
era
al
tredicesimo
posto
con
ventiquattro
punti,
trentuno
goal
segnati
e
trentanove
subiti.
In
Coppa
Italia
perdemmo
nuovamente
in
casa
con
la
Roma
per
uno
a
zero;
un
confronto
penoso
cui
fece
seguito
un’immediata
reazione
della
Presidenza
che
inflisse
una
multa
di
mille
lire
a
Rossetti,
Colombari
e
Buscaglia,
settecento
cinquanta
a
Sallustro,
Masera,
Castello
e
Ferrara
II
e
cinquecento
a
Biagi,
Tricoli,
Venditto
e
Mattea;
unico
encomio
a
Giuseppe
Fenoglio
per
la
sua
gagliarda
prestazione.
Rocco in azzurro
Lauro
riteneva
che
l’atteggiamento
d’insubordinazione
nei
confronti
del
Club
dipendesse
in
larga
misura
dagli
“anziani”
che
la
facevano
da
padroni,
fomentando,
tra
l’altro,
i
nuovi
venuti;
bisognava
dunque
svecchiare.
Non
avvezzo
alle
mezze
misure,
il
Comandante
mise
subito
in
pratica
il
suo
convincimento
liquidando
Sallustro,
Colombari,
Rossetti,
Ferrara
II,
Ferrara
I
e
Masera
e
procedendo
all’acquisto
di
forze
nuove
quali
Filippo
Prato,
mediano
ambidestro,
dal
Torino,
Nicola
Nicolosi,
ala
sinistra,
dal
Catania,
Nicola
Riccardi,
mediano
sinistro,
dal
Palermo,
Giuseppe
Gerbi,
centravanti,
dal
Messina,
Corrado
Tamielli,
terzino
sinistro,
dal
Venezia,
Nereo
Rocco
mezz’ala
sinistra,
dalla
Triestina,
Germano
Mian,
ala
destra,
37
dalla
Triestina,
Mario
Pretto,
mediano
ambidestro,
dallo
Schio
e
Mario
Guerrini
mezz’ala
ambidestra,
dall’Atalanta;
Mattea
fu
riconfermato
allenatore.
L’iscrizione
dei
nuovi
soci,
più
cara
rispetto
all’anno
precedente,
prevedeva
le
seguenti
tariffe:
Soci
Benemeriti
lire
mille,
ordinari
A
trecento,
Patronesse
A
duecento,
Soci
Ordinari
B
centocinquanta,
Patronesse
B
e
Soci
Aderenti
cento,
signore
ottanta
e
ragazzi
fino
a
dodici
anni
sessanta.
Il
primo
agosto
la
carovana
azzurra
si
trasferì
a
Sant’Agata
sui
Due
Golfi,
in
romitaggio,
per
affiatarsi
con
i
nuovi
arrivati
e
caricarsi
in
vista
dei
prossimi
cimenti.
Tra
noi
c’era
anche
Paolo
Innocenti,
addetto
all’accompagnamento
della
squadra
in
qualità
di
consigliere
aulico
per
volere
di
Lauro
che
lo
aveva
in
simpatia.
Del
vecchio
Napoli,
a
parte
il
sottoscritto,
rimanevano
Buscaglia,
Castello,
Busiello
e
Zanni.
Prato
era
un
atleta
ben
piantato,
forte,
di
statura
regolare,
molto
socievole;
aveva
una
facilità
straordinaria
a
ricoprire
più
ruoli
e
giocava
indifferentemente
nella
mediana
e
in
attacco.
Insieme
facemmo
coppia
di
terzini
contro
l’Ambrosiana
in
Coppa
Italia;
Gerbi,
elegante
e
sottile,
si
muoveva
come
un
ballerino,
veloce
e
armonioso.
Era
nato
a
Cecina,
in
Toscana,
e
per
non
smentirsi,
quando
cominciava
a
parlare,
c’incantava
tutti;
gli
teneva
testa
solo
Nereo
Rocco,
uno
dei
più
grandi
personaggi
che
abbiano
mai
calcato
i
campi
di
gioco,
intelligente
e
dotato
di
un
fisico
eccezionale.
Amava
il
calcio
e
la
vita
ed
era
sempre
pronto
a
scherzare,
gareggiando
con
Beato
e
Mian.
Un
giorno
quest’ultimo
raccontava
di
essere
stato
falegname
prima
di
cominciare
a
giocare
e
Nereo
non
si
fece
sfuggire
l’occasione
di
prenderlo,
sia
pure
garbatamente,
un
po’
in
giro.
“Si
dice
artista
del
legno,
caro
Germano;
tu
sei
un
discepolo
di
San
Giuseppe”.
“
Ma
come
ti
viene
……..”,
rispose
imbarazzato
Mian.
“E
poi
di
che
t’impicci?”.
“Mah”,
replicò
Rocco.
“Siamo
compaesani
e
ci
tenevo
a
farti
fare
bella
figura”.
La scommessa di Mian
La
preparazione
vera
e
propria
iniziò
il
diciannove
agosto
all’Ascarelli;
il
cinque
settembre,
a
ranghi
incompleti,
pareggiammo
un’amichevole
contro
il
Messina.
Alla
vigilia
del
Campionato,
che
iniziava
il
dodici
settembre,
incontrammo
il
Bologna
con
Glovi
in
sostituzione
di
Gerbi
che
si
era
ammalato.
Il
Napoli
scese
in
campo
con
Mosele,
Fenoglio,
Castello,
Riccardi,
Buscaglia,
Tricoli,
Mian,
Prato,
Glovi,
Rocco
e
Nicolosi
ma
la
formazione
non
era
ancora
affiatata
e,
nel
primo
tempo,
subimmo
tre
reti,
riscattate
nella
ripresa
da
un
goal
di
Prato
e
due
di
Glovi;
niente
da
fare
invece
per
Rocco,
quasi
azzoppato,
e
costretto
a
segnare
il
passo.
Poi
tocca
alla
Triestina;
Spanghero
e
Loschi
vengono
a
salutare
Rocco
(che
non
giocherà)
e
Mian,
scommette,
tra
il
serio
e
il
faceto,
che
il
“pazzo
volante”
non
toccherà
palla
né
vedrà
la
via
della
porta.
Sul
campo
si
scatena
una
battaglia
senza
esclusione
di
colpi;
Riccardi
interpreta
troppo
letteralmente
il
ruolo
di
angelo
custode
di
Colausig
e
l’arbitro
espelle
entrambi;
Mian,
sorvegliato
speciale,
gigioneggia
in
attesa
del
momento
favorevole
e,
appena
si
presenta
l’occasione,
bussa
due
volte
alla
porta
avversaria,
come
il
postino
di
felice
memoria,
tra
la
costernazione
dei
suoi
ex
compagni,
vincendo
la
scommessa
contro
il
baluardo
triestino;
Gerbi
segna
il
terzo
goal
e
portiamo
a
casa
un
netto
tre
a
zero.
A
Roma,
invece,
perdiamo
per
due
a
uno;
Da
Caprile
sostituisce
Riccardi
mentre
Prato
si
fa
squalificare
e
Gerbi
segna
l’unica
rete
azzurra.
Pareggiamo
poi
con
il
Milan
per
uno
a
uno;
Pretto
debutta
a
centromediano
e
Guerrini
a
mezzala
sinistra;
Glovi
si
fa
espellere
dopo
aver
ricevuto
un
calcione
da
Gianesello.
Scarpi,
direttore
di
gara,
fa
onore
al
suo
nome
e
arbitra
davvero
con
i
piedi!
Perdiamo
contro
la
Juventus
per
due
a
uno,
nonostante
un
goal
di
Prato,
riscattandoci
però
a
Firenze
con
tre
goal
di
Nicolosi,
Mian
e
Biagi;
Pretto
riceve
una
botta
a
38
una
caviglia
ma
resiste
fino
all’ultimo
minuto;
con
un
autogoal
di
Castello
e
uno
di
Meazza
perdiamo
per
due
a
uno
(Nicolosi)
contro
l’Ambrosiana.
Tra
gli
avversari
c’è
Ferrara
II,
il
popolare
“Turzillo”
che
si
fa
voler
bene
anche
a
Milano.
In
casa
azzurra
le
cose
volgono
al
peggio;
dissensi
e
beghe
personali
non
giovano,
infatti,
all’armonia
della
squadra.
La
stampa
critica
aspramente
lo
scarso
senso
di
responsabilità
dei
giocatori
inversamente
proporzionale
ai
loro
guadagni,
proponendo
di
sostituirli
con
giovani
del
calibro
di
Busiello,
De
Nicola,
Tricoli,
Glovi,
Zanni
e
Benardelli
che
da
mesi
aspettano
in
panchina.
E,
nel
frattempo,
Mattea,
chi
sa
perché,
s’intestardisce
a
chiudere
la
squadra
in
difesa.
Ospedale da campo
Bisogna
dire,
a
onore
del
vero,
che
anche
la
sfortuna,
in
quel
momento,
si
accaniva
contro
di
noi;
gli
arbitri
incappavano
sempre
in
giornate
infelici,
sviste
clamorose
e
papere
monumentali.
Mastellari,
per
esempio,
sanzionò
a
Livorno
un
rigore
che
fece
ridere
perfino
il
pubblico
amaranto
e
costò
l’espulsione
di
Riccardi;
terminammo
in
dieci
la
partita
perdendo
per
uno
a
zero.
Un
giorno,
mentre
andavo
all’allenamento,
Castello
mi
confidò
di
essere
davvero
stufo
della
situazione,
al
punto
di
voler
smettere
di
giocare.
Evocava
altri
tempi,
altri
uomini,
una
morale
e
una
dignità
sportiva
diverse
da
quelle
attuali;
ricordava
di
essere
stato
per
anni
nelle
riserve,
al
mio
fianco,
perché
in
prima
squadra
giocavano
personaggi
di
fronte
ai
quali
bisognava
togliersi
il
cappello.
“Oggi,
invece,
tutto
è
diventato
difficile”,
diceva.
“Ci
sono
dei
momenti
in
cui
ti
mettono
in
condizione
di
fare
certe
figure
che
vorresti
davvero
nasconderti”.
Pareggiamo
per
due
a
due
con
i
grifoni
di
Garbutt,
a
Genova,
dove
veniva
giù
una
piacevole
acquerugiola
che,
dopo
il
goal
di
Servetti,
si
trasformò
in
una
doccia
gelata;
Glovi
però,
raccogliendo
un
suggerimento
di
Rocco,
pareggiò
i
conti
dopo
qualche
minuto
con
un
goal
di
rara
potenza;
il
Genoa
replicò
con
Scarabello,
tornando
in
vantaggio;
la
pipa
del
Mister
cominciò
a
sbuffare
come
un
caminetto
fino
a
quando
Rocco,
dopo
una
formidabile
respinta
di
Castello,
pareggiò
di
nuovo
le
sorti
dell’incontro.
La
pipa
si
spense,
ma,
nel
sottopassaggio,
Garbutt
confessò
di
essere
felice
per
i
napoletani
che
portava
sempre
nel
suo
cuore.
La
stampa,
nonostante
il
pareggio,
non
risparmiò
le
critiche:
troppi
infortuni!
Il
Club
sembrava
un
ospedale
da
campo
piuttosto
che
una
squadra
di
football;
che
cosa
avevano
Gerbi,
Tamietti,
Nicolosi
e
tutti
gli
altri
ammalati?
Andammo
a
Bergamo,
per
incontrare
l’Atalanta
e,
con
l’occasione,
si
decise,
finalmente,
di
far
visitare
Gerbi
dal
Professor
Donati
che
diagnosticò
una
frattura
del
menisco.
Il
responso,
tuttavia,
fu
prontamente
ignorato
da
tutti,
Gerbi
compreso,
nonostante
l’autorevolezza
dell’illustre
clinico.
In
campo
medico,
infatti,
a
differenza
di
quanto
avviene
in
altre
professioni,
chiunque
sente
il
dovere
di
esprimere
opinioni
non
richieste
e,
generalmente,
infondate.
L’Atalanta,
in
ogni
caso,
segnò
due
goal
e
il
Napoli
fu
relegato
in
romitaggio
a
Cava
dei
Tirreni,
sotto
la
guida
e
il
controllo
tecnico
di
Ludovico
Pirro,
fiduciario
di
Lauro,
che
aveva
il
compito
di
“mettere
a
punto”
la
sregolata
condotta
della
squadra.
Unica
consolazione
per
il
sodalizio
partenopeo
fu
la
convocazione
del
mediano
Riccardi
agli
allenamenti
della
Nazionale.
La
domenica
successiva
vincemmo
contro
la
Lazio
con
un
goal
di
Venditto
che
lasciò
Piola
e
Busani
a
bocca
asciutta.
39
Mister “Piluscio”
Non
avemmo
il
tempo
di
assaporare
la
gioia
della
vittoria
poiché
la
morte
di
Gianni
Terrile,
pioniere
e
animatore
del
calcio
partenopeo,
giunse
a
funestare
di
nuovo
la
famiglia
sportiva
partenopea.
Dopo
aver
battuto
il
Palermo
per
due
a
zero
in
Coppa
Italia
riprendemmo
gli
incontri
di
Campionato
pareggiando
per
due
a
due
con
la
Lucchese
–Napoli
grazie
a
due
sventole
di
Venditto;
incontrammo
poi
il
Liguria
(nato
dalla
fusione
della
Sampierdarenese
e
dell’Andrea
Doria),
vincendo
per
tre
a
due,
con
un
goal
di
Glovi
e
due
di
Gerbi.
A
proposito
di
questa
partita
e
della
situazione
sanitaria
del
Napoli,
nel
commento
del
martedì
sul
“Corriere
di
Napoli”
Mario
Argento
scrisse
testualmente
che
“Il
Napoli
è
una
nave
ospedale,
ma
fa
ugualmente
il
suo
dovere”.
Nuova
parentesi
di
Coppa
Italia;
la
Roma
venne
a
Napoli
schierando
in
formazione
Maselli,
Monzeglio,
Gadaldi,
Frisoni,
Bernardini,
Donati,
Mascheroni,
Mazzoni,
Michelini,
Scaramella
e
Borsetti.
Io
giocavo
nel
mio
ruolo
abituale
di
terzino
accanto
a
Fenoglio
con
Sentimenti
in
porta;
Riccardi,
Buscaglia,
e
Prato
erano
schierati
sulla
mediana
mentre
Mian,
Biagi,
Rocco,
Glovi
e
Venditto
formavano
il
quintetto
d’attacco.
Il
derby
fu
una
delle
più
belle
partite
della
stagione.
Dopo
appena
un
minuto
Fenoglio
ci
regalò
un
autogoal
pareggiato
da
Rocco
al
quindicesimo
minuto
cui
rispose
Michelini,
al
quattordicesimo
della
ripresa,
segnando
il
secondo
goal
della
Roma.
Il
vantaggio
fu
annullato
da
Mian,
dopo
sei
minuti
e
andammo
ai
supplementari.
Il
Napoli
è
davvero
scatenato
in
quella
grigia
giornata
d’inverno;
Rocco
e
Monzeglio
si
danno
aperta
battaglia
mentre
la
folla,
con
i
giornali
distribuiti
all’ingresso,
accende
migliaia
di
fiaccole
che
formano
un
cerchio
di
fuoco
intorno
al
rettangolo
di
gioco.
Biagi,
in
possesso
della
palla,
dopo
una
rapida
triangolazione
con
Riccardi
e
Mian,
segna
nel
primo
tempo
supplementare;
poi
la
prima
linea
azzurra
scende
a
valanga
facendo
barcollare
la
difesa
romanista.
Rocco
sta
per
saettare
ma
è
atterrato
da
Gadaldi
e
l’arbitro
Scorzoni
non
esita
a
sanzionare
il
rigore
e
non
esita
nemmeno
Buscaglia
che,
con
una
secca
legnata,
mette
in
rete
il
quarto
goal!
La
domenica
successiva,
tuttavia,
perdiamo
per
tre
a
uno
con
il
Bari.
Lauro
esonera
Mattea,
sostituendolo
con
Eugenio
Payer,
un
ungherese
piuttosto
simpatico
anche
se
non
molto
loquace,
vestito
con
una
certa
cura,
che
indossava
sempre
un
soprabito
blu
e
un
cappello
di
pelo
lucido
che
gli
valse
immediatamente
l’appellativo
di
“piluscio”
affibbiatogli
dal
solito
Beato.
Le
cose,
tuttavia,
non
migliorarono
affatto.
All’insegna
di
una
certa
fobia
arbitrale
nei
nostri
confronti,
pareggiammo,
infatti,
a
Torino
per
uno
a
uno,
con
un
goal
di
Gerbi;
nei
quarti
di
finale
della
Coppa
Italia
perdemmo
per
due
a
zero
contro
l’Ambrosiana
subendo
un
goal
di
Meazza
e
un
altro
di
“Giuanin”
Ferrari;
in
quell’occasione
giocavo
in
difesa
con
Prato.
Pareggiammo,
in
seguito
a
Bologna
per
uno
a
uno
(Mian)
e,
finalmente,
vincemmo
a
Trieste
per
tre
a
zero;
a
Roma
ci
aspettava
invece
di
nuovo
un
pareggio
in
conseguenza
di
un
altro
autogoal
seguito
da
un
goal
di
Frisoni.
Durante
l’incontro
Gerbi,
che
nessuno
aveva
toccato,
si
accasciò
al
suolo
urlando
di
dolore:
la
diagnosi
del
Professor
Donati
si
confermava
nel
momento
peggior;
continuammo
a
batterci
pensando
di
aver
perso
l’uomo
goal
quando
Venditto,
con
due
tiri
fulminanti
che
ci
riportarono
in
pareggio,
smentì
le
previsioni.
La
domenica
successiva
perdemmo
contro
il
Milan
per
tre
a
uno
ma
pareggiammo
poi
con
la
Juventus
per
uno
a
uno;
Scarpi,
confermando
la
sua
pedestre
vocazione,
rifiutò,
infatti,
di
annullare
un
goal
di
Gabetto,
in
chiarissimo
fuori
gioco,
ma
Prato
s’incaricò
di
pareggiare;
Payer,
chi
sa
perché,
aveva
deciso
di
far
giocare
Buscaglia
a
centravanti.
Vincemmo
a
Firenze
con
tre
goal
di
Mian,
Prato
e
Venditto
e
pareggiammo
con
l’Ambrosiana
per
uno
a
uno,
con
un
goal
di
Buscaglia
su
rigore,
e
contro
il
Livorno
con
lo
stesso
risultato
grazie
a
un
goal
di
40
Venditto;
perdemmo
poi
contro
il
Genoa
per
due
a
uno
(Biagi);
Gerbi,
tornato
in
campo
contro
l’Atalanta,
segnò
il
goal
della.
Pareggiamo
ancora
per
zero
a
zero
contro
la
Lazio,
il
Liguria
e
il
Torino
e
vincemmo
contro
la
Lucchese
per
due
a
uno
con
goal
di
Venditti
e
Buscaglia,
e
contro
il
Bari
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Gerbi.
Che
sudata,
ragazzi!
L’Ambrosiana
era
campione
d’Italia
e
noi
al
decimo
posto
con
ventotto
punti,
trenta
sette
goal
segnati
e
trenta
quattro
subiti.
Nuove speranze
Lauro,
a
dir
poco
contrariato,
decise
di
cedere
Mosele,
Nicolosi,
Da
Caprile,
Glovi,
Guerrini
e
il
caro,
indimenticabile
Ciott.
Acquistò,
invece,
Piccini,
Braglia,
Romagnoli,
Fabbro,
Mangolini,
Pipan,
Negro
e
Gramaglia,
confermando
Eugenio
Payer
allenatore.
Gli
azzurri
d’Italia
vinsero,
nel
frattempo,
il
Campionato
Mondiale
a
Parigi
battendo
l’Ungheria
per
quattro
a
due.
Il
ricordo
dei
nuovi
arrivati
è
ancora
vivo
nella
mia
memoria
sia
per
la
loro
schietta
personalità
che
per
la
loro
classe
calcistica.
Come
dimenticare
Achille
Piccini,
centromediano
olimpionico
a
Berlino,
generoso
e
polemico
nello
stesso
tempo?
Come
non
ricordare
il
giovane
Fabbro,
gentile
e
corretto
sul
campo
e
nella
vita,
a
dispetto
della
sua
stazza
da
gigante?
La
prima
volta
che
vidi
Gramaglia,
con
i
suoi
capelli
rossicci
e
il
vestito
marrone,
mi
fece
pensare
ad
un
sigaro
acceso;
era
un
giocatore
di
rara
furbizia
e
intelligenza,
duro
come
una
roccia,
che
sapeva
calcolare
al
millimetro
lo
spazio
a
sua
disposizione,
dotato,
peraltro,
di
un
appetito
formidabile.
Raccontava
Pippone
che
durante
una
trasferta
in
treno,
era
riuscito
a
ingollare,
per
scommessa,
quaranta
panini
farciti!
Italo
Romagnoli
che
ricordava
Buscaglia
e,
come
lui,
poteva
ricoprire
qualsiasi
ruolo,
con
classe,
naturalezza
e
talento
acrobatico,
è
stato,
a
mio
avviso
uno
dei
più
grandi
atleti
che
il
Napoli
abbia
mai
avuto;
Alfonso
Negro,
olimpionico
a
Berlino,
era
un
giocatore
di
classe,
brioso
e
spumeggiante,
ma
anche
colto
e
romantico
come
un
cavaliere
d’altri
tempi.
Declamava
versi,
ogni
tanto,
alla
maniera
di
Cirano
de
Bergerac,
interrotto
dalle
prosaiche
proteste
di
Beato
che
mettevano
fine
alla
sua
ispirazione.
Il
quindici
luglio1938
ci
ritrovammo
in
romitaggio
a
Sant’Agata
sui
Due
Golfi,
ospiti
della
pensione
Jaccarino.
La
preparazione
cominciò
con
qualche
partitella
di
assaggio
per
provare
la
formazione
standard
che
debuttò
all’Ascarelli
l’undici
settembre,
pareggiando
contro
la
Roma
per
zero
a
zero.
In
campo
erano
schierati
Sentimenti,
Fenoglio,
Castello,
Prato,
Piccini,
Riccardi,
Mian,
Romagnoli,
Negro,
Rocco
e
Venditto,
A
Napoli
vincemmo
contro
il
Novara
per
due
a
uno,
con
goal
di
Negro
e
Venditto,
ma
pareggiammo
a
Milano
per
zero
a
zero;
Prato
sbagliò
un
rigore
e
Mian
si
ruppe
una
clavicola.
“Forza
Germano,
se
si
rompe
ancora,
ne
mettiamo
una
di
legno!”,
suggerì
Rocco
per
rincuorare
il
compagno.
Il
successivo
pareggio
con
il
Liguria
per
zero
a
zero
scatenò
le
prime
critiche;
partita
abulica,
povertà
di
gioco,
scarsa
forza
di
penetrazione
negli
attaccanti,
necessità
di
un
sistema
di
gioco
più
veloce…..Quanti
maestri!
E,
a
proposito
d’insegnamento,
la
Federazione
Elvetica
introduceva,
proprio
in
quei
giorni,
l’insegnamento
del
calcio
nelle
scuole.
Il
malumore
serpeggiava
tra
gli
azzurri
quando
perdemmo
contro
la
Juventus
per
uno
a
zero;
Buscaglia,
passato
alla
vecchia
signora,
dominava
il
centro
campo.
Poi,
finalmente,
vincemmo
contro
la
Triestina
per
due
a
zero,
con
un
goal
di
Negro
e
uno
di
Romagnoli;
Tricoli
giocava
come
mediano
sinistro
con
Poggi
all’ala,
mentre
Rocco
e
Venditto
restarono
in
panchina.
A
Lucca
pareggiammo
per
due
a
due
ma
solo
grazie
al
talento
di
Sentimenti
II
in
vena
di
prodezze;
Piccini
e
Biagi
erano
scesi
in
campo
febbricitanti
e
a
nulla
valse
l’invito
di
Payer
a
farsi
sostituire
perché
i
due
toscani
ci
tenevano
a
giocare.
Piccini,
cui
piaceva
41
scherzare,
rassicurò
l’allenatore
sostenendo
che
se
gli
avversari
si
fossero
avvicinati
troppo
ai
malati
avrebbero
rischiato
un’infezione
letale……
Negro,
tanto
per
complicare
le
cose,
ricevette
un
brutto
colpo
ma
continuò,
zoppicante,
a
battersi
con
coraggio;
Romagnoli
e
Prato
s’incaricarono
di
segnare.
Sentimenti,
tuttavia,
non
riuscì
a
impedire,
la
domenica
successiva,
la
vittoria
per
uno
a
zero
del
Modena,
dove,
ironia
della
sorte,
giocava,
tra
i
pali,
suo
fratello
Sentimenti
IV,
più
volte,
in
seguito,
portiere
della
Nazionale
italiana.
Lo
stadio
partenopeo,
purtroppo,
fu
preso
d’assalto
ed
espugnato
da
un
manipolo
di
scalmanati
privi
d’ogni
senso
di
dignità
civica
e
sportiva.
La
Presidenza
reagì
alla
sconfitta
appioppando
una
multa
di
mille
lire
a
Riccardi,
Piccini
e
Romagnoli,
di
cinquecento
a
Pretto
e
di
trecento
a
Venditto
e
Poggi
mentre
Prato,
cui
si
rimproverava
di
essere
venuto
meno
ai
suoi
compiti
di
capitano,
fu
sostituito
da
Castello.
Le
riserve,
vittoriose
contro
la
Lazio,
ricevettero,
invece,
un
premio
di
mille
lire.
La collera del Toro
Il
momento
era
certamente
tragico
e
la
squadra
sembrava
ormai
alla
deriva.
Mancava
un
allenatore
dal
polso
fermo;
c’era
ruggine
tra
i
ragazzi
e
volavano
spesso
parole
grosse
suscettibili
di
degenerare
in
vie
di
fatto.
Durante
una
lite
Nereo
Rocco
mandò
al
diavolo
tutti
e
piantò
la
squadra
in
asso
ritirandosi
a
vita
privata.
Castello
era
davvero
furibondo
e
la
collera
del
toro
poteva
essere
pericolosa,
considerata
la
sua
forza
fisica
davvero
impressionante
di
cui
nessuno
poteva
dubitare
dopo
che
un
giorno,
per
scommessa,
si
era
caricato
sulle
spalle
un
sacco
di
cemento
di
un
quintale
con
cui
aveva
salito
e
ridisceso
le
gradinate
dell’Ascarelli
per
cinque
volte
consecutive!
In
un’altra
occasione,
a
seguito
di
un’animata
discussione
con
alcuni
dei
colleghi
più
giovani
e
strafottenti,
mancò
poco
che
non
si
scatenasse
davvero;
per
fortuna,
proprio
mentre
stava
perdendo
i
lumi
della
ragione,
riuscì
a
sfogare
la
sua
rabbia
frantumando
con
la
testa
una
porta
dello
spogliatoio;
calò
il
silenzio
fino
a
quando
Fabbro,
uno
dei
più
valorosi
tra
gli
azzurri,
si
alzò
e
gli
chiese
scusa.
Povero
Fabbro!
Morì
vittima
della
guerra,
durante
uno
spaventoso
bombardamento.
Aveva
soltanto
ventitré
anni
e
tanta
gioia
di
vivere.
Il
derby
Roma-‐Napoli,
al
Testaccio,
terminò
con
un
pareggio;
gli
azzurri
passarono
subito
in
vantaggio
con
due
goal
di
Biagi
nel
primo
tempo
ma
furono
raggiunti
dalla
Roma
con
un
goal
di
Serantoni
e
uno
di
Subinaghi;
la
gara
vide
un
fantastico
duello
tra
Bernardini
e
Romagnoli
che
si
confermò
ancora
una
volta
come
uno
dei
grandi
del
calcio
italiano;
a
terzino,
nella
Roma,
giocava
un
altro
grande
indimenticabile
gladiatore,
lo
scomparso
Ferraris
IV,
epico
protagonista
di
un
famoso
incontro
internazionale
contro
l’Inghilterra
che
sfortunatamente
perdemmo
per
tre
a
due.
La
domenica
successiva
perdemmo
per
tre
a
due
contro
il
Torino;
la
forma
imperfetta
di
Gerbi
e
Mian,
inattivi
fin
dall’inizio
del
Campionato
per
infortuni,
toglieva
mordente
al
quintetto
di
punta.
A
dicembre,
Rocco
tornò
finalmente
all’ovile;
vincemmo
per
uno
a
zero
contro
l’Ambrosiana,
(Venditto),
ma
perdemmo
per
tre
a
uno
(Romagnoli)
contro
il
Genoa.
In
Coppa
Italia
non
riuscimmo
a
spuntarla
contro
l’Ambrosiana,
pareggiando
prima
per
uno
a
uno
e
perdendo
poi
per
uno
a
zero.
L’ira di Achille
42
Alla
ripresa
del
Campionato
pareggiammo
con
il
Bari
per
uno
a
uno
(Rocco)
ma
perdemmo
a
Livorno
per
due
a
zero,
per
poi
farci
travolgere
dai
sei
goal
del
Bologna
durante
una
partita
da
oratorio:
un
autentico
tracollo!
L’ira
di
Achille
raggiunse
il
colmo;
Presidenza
e
Consiglio
minacciarono
di
lasciare
la
squadra
in
balia
di
se
stessa,
sospendendo,
tra
l’altro
gli
stipendi
mentre
la
stampa
e
i
tifosi
erano
inviperiti
contro
Lauro,
De
Rosa,
Payer,
e,
naturalmente,
contro
la
squadra.
Il
Comandante
reagì
licenziando
Prayer,
sostituito
da
Paolo
Iodice,
lustro
e
vanto
dell’atletismo
nazionale.
Si
ordinò
ai
giocatori
di
prendere
dimora
al
Vomero,
per
controllarli
più
facilmente,
affidando
la
sorveglianza
a
Ludovico
Pirro
in
veste
di
cerbero;
Amedeo
D’Albora,
nota
figura
di
sportivo,
fu
incaricato
di
seguire
la
squadra
nelle
trasferte
e
nelle
competizioni.
Pareggiammo
con
la
Lazio
a
reti
inviolate;
Sentimenti,
sempre
in
vena
di
miracoli,
parò
perfino
un
rigore
del
grande
Piola
mentre
Tamietti
si
fece
male
e
passò
all’ala;
Romagnoli,
invece,
dimostrando
la
sua
vocazione
di
terzino,
arretrò
in
difesa
per
marcare
Piola
che,
infatti,
non
riuscì
a
spuntarla.
Continuammo
con
risultati
alterni:
Novara-‐Napoli
zero
a
zero;
Napoli-‐Milan
uno
a
zero
(Rocco);
Liguria-‐Napoli
due
a
zero;
Napoli-‐Juventus
quattro
a
uno,
con
goal
di
Piccini
e
Rocco
e
un
raddoppio
di
Mian;
Triestina-‐Napoli
zero
a
zero;
Modena-‐Napoli
due
a
uno
(Rocco);
Napoli-‐Roma
uno
a
zero
(Paone)
e,
infine,
Napoli-‐Torino
zero
a
zero.
Dopo
questa
incerta
galoppata
invernale
attraverso
campi
gelati
e
acquitrinosi,
giunse
infine
la
primavera;
a
Pasqua
si
giocava
a
Milano,
contro
l’Ambrosiana,
campione
d’Italia.
La
carovana
azzurra,
sbarcata
all’Hotel
Rosa,
trascorse
la
domenica
Santa
in
un
clima
di
ansia
e
di
speranza;
Biagi,
Piccini
e
Zanni
scommettevano
l’aperitivo
giocando
alla
carta
più
alta,
Beato
scriveva
una
montagna
di
cartoline
mentre
nel
bel
sole
di
primavera,
i
colombi
tubavano
e
la
gente
indugiava
per
le
strade
meneghine.
Allo
stadio
c’era
una
folla
curiosa
venuta
a
godersi
lo
spettacolo
che
si
trasformò
subito
in
cavalleria
rusticana:
“A
te
la
mala
Pasqua”,
grida
il
piede
di
Zanni
al
venticinquesimo
del
primo
tempo,
ma
il
pallone
batte
violentemente
contro
il
palo
sinistro
e
rimbalza
in
campo.
I
meneghini
perdono
il
buon
umore.
Mian
ha
il
diavolo
in
corpo
e
Rocco
spara
dinamite
sulla
porta
avversaria
che
cede
due
volte;
Barsanti
accorcia
le
distanze
ma
il
risultato
non
cambia
e
siamo
i
primi
in
Campionato
ad
aver
espugnato
il
campo
dell’Ambrosiana.
Vinciamo
ancora
contro
il
Genoa
per
due
a
zero
con
goal
di
Zanni
e
Mian
e
pareggiamo
a
Bari,
per
uno
a
uno
(Biagi).
L’atmosfera
è
triste
perché
Cesare
Grossi
è
morto
in
Albania,
vittima
di
un
incidente.
Venditto,
Mian
e
Biagi,
infine,
segnano
contro
il
Livorno
che
riesce,
tuttavia,
a
mettere
in
rete
il
goal
della
bandiera.
La
squadra
finalmente
funziona
e
D’Albora,
in
odore
di
portafortuna,
trabocca
di
felicità.
A
maggio,
durante
un’amichevole
con
la
Bagnolese,
facciamo
conoscenza
con
Banfi,
oriundo
dell’Uruguay,
giocatore
valente,
che
segna
l’unica
rete.
Batosta
a
Bologna,
invece,
dove
perdiamo
per
quattro
a
zero,
e
pareggio
per
zero
a
zero
contro
la
Lazio.
Anche
per
quest’anno,
è
finita;
il
Bologna
si
aggiudica
lo
scudetto
mentre
il
Napoli,
a
pari
punti
con
Roma
e
Liguria,
termina,
in
base
alla
regola
del
quoziente
reti,
al
settimo
posto,
con
trentuno
punti,
trenta
goal
segnati
e
trentacinque
subiti.
Durante
i
preparativi
per
il
Campionato
1939-‐1940
ci
lasciano
Tamietti,
Piccini
e
Poggi.
Prayer
è
sostituito
da
Baloncieri,
allenatore
del
Liguria,
considerato
uno
dei
più
grandi
giocatori
di
tutti
i
tempi
al
pari
di
Meazza
e
Mazzola.
Con
lui
l’Italia
vinse
la
medaglia
di
bronzo
alle
Olimpiadi
di
Amsterdam
nel
millenovecentoventotto,
ottenendo
il
primo
risultato
di
prestigio
a
livello
internazionale.
Acquistiamo
Cassano,
Quario,
Rossellini
e
Pastorino
e
inizia
anche
la
Campagna
Soci.
Le
quote
di
abbonamento
sono
maggiorate
di
cinque
lire;
quell’anno,
la
F.I.G.C.
stabilì
l’applicazione
di
un
numero
sulle
maglie
dei
giocatori
per
migliorarne
l’identificazione.
43
La
formazione
azzurra,
presentata
al
pubblico
il
tre
settembre
1939
in
un
incontro
sul
terreno
dell’Ascarelli
contro
la
Lazio,
che
vinse
per
due
a
uno,
comprendeva
Sentimenti,
Fenoglio,
Castello,
Pastorino,
Turchi,
Prato,
Rossellini,
Biagi,
Quario
(Romagnoli),
Rocco
e
Venditto.
La
domenica
successiva,
restituimmo
la
visita
della
Lazio
perdendo
nuovamente,
a
Roma,
per
uno
a
zero
su
rigore;
Castello
s’infortunò
gravemente
al
ginocchio.
Iniziammo
il
Campionato
con
una
vittoria
contro
il
Bari,
sconfitto
per
uno
a
zero
e
il
Liguria,
che
perse
per
tre
a
due,
subendo
un
goal
di
Biagi
e
una
doppietta
di
Quario
ma
poi
perdemmo
contro
la
Triestina
per
due
a
zero,
scatenando
i
soliti
malumori
e
Turchi,
ammonito
per
scarso
rendimento,
ne
fece
per
primo
le
spese.
La
stampa
si
chiedeva
cosa
mai
avesse
in
testa
Balonceri
che
in
cinque
partite
aveva
schierato
cinque
linee
attaccanti
differenti!
Con
un
tempo
da
lupi
e
il
campo
trasformato
in
una
vasca
da
bagno
riusciamo
poi
a
vincere
poi
contro
il
Modena
per
uno
a
zero;
Mian
danzando
sotto
la
pioggia
come
una
libellula
infila
la
palla
nella
rete
modenese,
accompagnata
da
un
grumo
di
fango
e
una
scarpa.
Perdiamo
in
seguito
contro
il
Torino
per
uno
a
zero
ma
ci
rifacciamo
con
la
Fiorentina
superata
per
due
a
uno;
Sentimenti
è
distratto
e
Frigo
ne
approfitta
per
segnare
ma
il
ciuccio,
ragliando
di
dolore,
scalcia
due
volte
in
rete
per
opera
di
Quario
e
Rosellini.
Contro
il
Genoa
tutto
lasciava
sperare
per
il
meglio
dopo
l’allenamento
con
il
Trigullio
ad
Arenzano
ma
Balonceri
s’intestardisce
in
una
tattica
strettamente
difensiva
e
perdiamo
per
due
a
zero,
con
buona
pace
del
catenaccio;
stessa
tattica
e
stesso
errore
con
il
Milan
con
cui
perdiamo
di
nuovo
per
quattro
a
uno!
I
giocatori,
che
non
hanno
ben
capito
il
metodo
del
Mister,
polemizzano
tra
loro:
tu
dovevi
marcare
quello,
io
quell’altro….perché
ti
sei
fermato
in
quell’azione,
perché,
perché…...
Lauro
scaglia
fulmini
e
tuoni
sotto
forma
di
multe
e
di
minacce
ma
perdiamo
ancora
contro
la
Lazio
per
due
a
zero,
subendo
per
giunta
l’espulsione
di
Cassano;
vinciamo
finalmente
contro
il
Novara
per
due
a
uno
con
goal
di
Quario
e
di
Prato,
e
pareggiamo
(Venditto)
contro
il
Bologna
per
uno
a
uno
e
contro
la
Juve
per
zero
a
zero;
debuttava
tra
i
pali
il
povero
Eriberto
Braglia
che
morì
di
tifo
a
soli
ventuno
anni.
Non
abbiamo
fortuna
neppure
con
il
Venezia
che
riesce
a
infilare
due
goal
nella
nostra
rete,
lasciandoci
a
bocca
asciutta.
Il
girone
di
andata
termina
con
il
Bologna
capolista
e
il
Napoli
al
penultimo
posto
con
dieci
punti,
dieci
goal
segnati
e
ventiquattro
ricevuti.
Si
riprende
con
un
pareggio,
a
Bari,
per
uno
a
uno
con
un
goal
di
Rosellino
segnato
dopo
l’espulsione
di
Mian
all’ottavo
del
secondo
tempo;
perdiamo
invece
contro
il
Liguria
per
due
a
zero,
contro
l’Ambrosiana
per
uno
a
zero
e
contro
la
Roma
per
uno
a
zero,
riscattandoci
però
a
Trieste
(tre
a
uno)
e
a
Modena
(zero
a
zero).
A
febbraio,
Luigi
Castello
decide
di
andarsene.
Che
brutta
giornata!
Era
stato
mio
compagno
di
linea
nella
squadra
riserve,
dove,
nonostante
le
sue
qualità,
aveva
fatto
anticamera
per
anni.
Nutrivo
nei
suoi
confronti
un
debito
di
gratitudine
e
di
affetto
perché
mi
aveva
guidato
e
insegnato
le
astuzie
del
mestiere,
proteggendomi,
anche
moralmente,
nelle
tante
battaglie
combattute
insieme
su
tutti
i
campi
d’Italia.
Prima
di
partire
m’invitò
per
salutarmi
con
sua
moglie
Bruna
e,
al
momento
del
commiato,
mi
consegnò
un
astuccio
di
cartone
avvolto
in
un
giornale
chiedendomi
di
aprirlo
quando
fossi
giunto
a
casa;
conteneva
una
marina
napoletana
di
Casciaro,
avvolta
nel
Corriere
di
Napoli
del
primo
marzo
1939
dove
campeggiava
la
notizia
della
sua
partenza
accompagnata
da
un
biglietto.
“Auguri
per
i
tuoi
ventisei
anni!
Ti
vogliamo
bene.
“Ricordaci
sempre”.
Vojack “Mister”
44
Durante
il
nostro
soggiorno
al
Sitea
in
attesa
di
batterci
con
le
riserve
del
Torino
vedemmo
comparirci
davanti
Willy
Garbutt
con
un
pacco
alla
mano.
Il
Mister
ci
salutò
con
affetto
congratulandosi
con
Sentimenti
che
era
diventato
padre
di
una
graziosa
bambina.
“Per
la
tua
femminuccia”,
gli
disse,
porgendogli
il
dono
prima
di
girare
sui
tacchi
e
scomparire
oltre
il
portone.
Inaugurando
una
breve
serie
positiva
riuscimmo
a
sconfiggere
il
Torino
per
tre
a
uno
con
goal
di
Quario,
Romagnoli
e
Biagi,
la
Fiorentina
per
due
a
zero
e
il
Genoa
per
tre
a
uno
ma
perdemmo
poi
contro
il
Milan
per
tre
a
uno;
pareggiammo
invece
con
la
Lazio
e
il
Bologna
per
uno
a
uno
(Quario)
e
vincemmo
contro
il
Novara
per
uno
a
zero
(Biagi);
perdemmo
di
nuovo
contro
la
Juventus,
per
due
a
uno,
sfiorando
così
l’orlo
dell’abisso.
A
un
passo
dalla
serie
B,
con
un
guizzo
da
giocoliere,
battemmo
il
Venezia
per
due
a
zero,
riuscendo
fortunosamente
a
salvarci
dalla
retrocessione.
L’Ambrosiana
vinse
il
Campionato
e
noi
terminammo
al
quattordicesimo
posto
con
ventiquattro
punti,
ventisei
goal
segnati
e
quarantuno
subiti.
Lauro,
stanco
di
sborsare
inutilmente
quattrini,
lasciò
il
timone
a
Gaetano
Del
Pezzo
che
assunse
la
carica
di
Commissario
Straordinario
nel
giugno
del
1940.
Il
Campionato,
a
causa
dell’entrata
in
guerra
dell’Italia,
iniziò
il
sei
ottobre
con
stipendio
dimezzato
per
i
giocatori
durante
il
periodo
di
ferie.
Il
Napoli
acquistò
Busani,
Milano
e
Barrera
dalla
Lazio,
Cappellini
e
Candregari
dal
Bari
e
Monsellato,
dal
Molfetta.
Antonio
Vojak,
volto
noto
e
caro
al
pubblico
partenopeo,
assunse
il
ruolo
di
allenatore,
affiancato
da
Vecchina,
altro
grande
giocatore
della
Juventus,
con
il
compito
di
curare
le
squadre
minori
e
creare
un
vivaio
di
giovanissimi;
Baloncieri
tornò
al
Liguria,
Romagnoli
alla
Lazio
e
Prato
al
Battipaglia.
La
formazione
definitiva
comprendeva
dunque
Sentimenti,
Braglia,
Pipan
(portieri),
Fenoglio,
Cassano,
Monsellato
(terzini),
Pretto,
Milano,
Tricoli,
Gramaglia,
Pastore
(mediani),
Busani,
Cappellini,
Quario,
Cadregari,
Biagi,
Rosellini,
Negro,
Venditto
e
Zanni
(attaccanti).
Il
ventisei
agosto
ci
ritrovammo
dunque
al
Vomero
agli
ordini
di
Vojack.
Avevamo
una
gran
voglia
di
correre
e
di
sgambettare
anche
se
qualcuno
mancava
all’appello;
Giuseppe
Fenoglio
era,
infatti,
morto
di
tifo
all’alba
di
quel
giorno
presso
l’Ospedale
Civile
di
Alessandria.
Incredibile,
assurdo!
Avevamo
ancora
negli
occhi
la
visione
del
grande
fazzoletto
bianco
che
gli
bendava
la
fronte
quando
scendeva
in
campo;
Sentimenti,
Cassano
e
Quario,
in
rappresentanza
del
Napoli,
portarono
il
gagliardetto
azzurro
ai
suoi
funerali.
Addio
Beppe!
Se
ne
andava
così,
a
soli
trentuno
anni,
un
amico
e
compagno
di
tante
avventure
calcistiche,
di
tante
ore
liete
e
spensierate;
per
sostituire
una
perdita
così
grave
si
prese
in
prestito
dalla
Lazio
il
terzino
uruguaiano
Faotto.
7
Le macerie dell’Ascarelli
45
Non ti pago!
Il
Napoli
acquista
ma
non
paga.
La
Federazione
ammonisce
il
Club
azzurro
e
fissa
al
dieci
settembre
il
termine
ultimo
per
onorare
gli
impegni
pena
l’estromissione
dal
Campionato;
debuttammo,
nonostante
tutto,
il
nove
settembre
al
Torneo
Italo
Balbo,
vincendo
contro
la
Sangiovannese
per
nove
a
zero;
il
giorno
seguente
però
un
altro
lutto
funestava
la
famiglia
azzurra:
morì,
infatti,
all’Ospedale
Militare
di
Napoli,
il
giovanissimo
portiere
partenopeo
Eriberto
Braglia,
anche
lui
di
tifo!
L’undici
settembre
il
C.O.N.I.
nominò
Presidente
l’Avvocato
Tommaso
Leonetti
confermando
l’incarico
di
commissario
tecnico
a
Gaetano
Del
Pezzo.
Il
Napoli
affrontava
il
torneo
di
massima
divisione
schierando
in
formazione
Sentimenti,
Faotto,
Pretto,
Gramaglia,
Fabbro,
Milano,
Busani,
Cappellini,
Barrera,
Quario,
Rossellini.
Iniziammo
subito
con
un
paio
di
batoste
prima
contro
il
Milan
(quattro
a
zero)
e
contro
la
Fiorentina
(due
a
zero)
esibendo
una
difesa
di
carta
velina;
riuscimmo
poi
a
pareggiare
con
la
Lazio
(uno
a
uno)
con
un
goal
di
Quario
e
con
la
Juventus,
per
due
a
due,
con
goal
di
Milano
e
di
Busani;
Pretto
e
Galbetto
però
si
fecero
espellere
dall’arbitro
Pizziolo
e
Quario
fu
squalificato
per
due
domeniche
mentre
il
Club
incassava
una
multa
di
mille
lire.
Vincemmo
poi
contro
il
Genoa
per
due
a
uno
con
un
tiro
micidiale
di
Barrera
e
uno
di
Rosellini
e
pareggiammo
con
ben
quattro
goal
per
ciascuno
contro
il
Bologna
offrendo,
finalmente
uno
spettacolo
attraente
e
ricco
di
emozioni.
Barrera
apre
la
giostra
ma
Puricelli
pareggia
di
testa;
poi
è
la
volta
di
Rosellini
che
mette
a
segno
due
staffilate;
Reguzzoni
accorcia
le
distanze
ma
Andreoli
pareggia
e
Rosellini
ci
porta
di
nuovo
brevemente
in
vantaggio
fino
al
successivo
pareggio
di
Reguzzoni.
Che
partita,
ragazzi!
La
nostra
difesa,
tuttavia,
dopo
la
morte
del
povero
Braglia,
è
davvero
sguarnita
e
Sentimenti,
da
solo,
non
può
fare
miracoli.
La
Presidenza
decise
allora
di
acquistare
dalla
Lazio
il
portiere
Blason;
vinciamo
a
Novara
per
due
a
zero
ma
perdemmo
per
uno
a
zero
contro
l’Ambrosiana
e
il
Livorno
e
contro
la
Triestina
per
due
a
zero.
E
così
via,
sempre
con
il
cuore
in
gola,
tra
alti
e
bassi,
partite
piacevoli
e
scontri
drammatici,
come
quello
con
la
Lazio
perso,
a
Napoli,
per
uno
a
zero;
la
gara
fu
sospesa
al
trentottesimo
del
secondo
tempo
per
un’invasione
di
campo
che
ci
costò
la
squalifica,
una
multa
di
cinquecento
lire
e
la
sospensione
di
Evaristo
Barrera.
Finimmo
così
all’ottavo
posto,
con
trenta
punti,
quarantuno
goal
segnati
e
quarantotto
ricevuti;
retrocessero
il
Bari
e
il
Novara
mentre
il
Bologna
vinse
lo
scudetto.
Le
nostre
amarezze
non
facevano
che
cominciare;
il
successivo
Campionato
fu,
infatti,
quello
della
retrocessione.
In
ossequio
a
utopiche
velleità
nazionalistiche
che
riflettevano
il
clima
della
tragedia
in
atto,
il
Club
commise
errori
fatali,
cedendo
giocatori
di
classe,
considerati
anziani
o
stanchi,
in
cambio
di
brocchi.
Molti
di
noi,
in
ogni
caso,
erano
già
partiti
per
i
fronti
di
guerra.
Verso
la
fine
del
1940
Biagi,
Negro,
Zanni
ed
io
eravamo
disseminati
tra
Grecia
e
Libia.
Il
Napoli
affrontò
il
Campionato
con
una
nuova
formazione,
acquistando
Berra,
Meanti,
Menti,
Paoletti,
Verrina,
Dugini
e
Solbiati
e
cedendo
Rosellini,
Quario,
Cappellini,
Faotto,
che
tornò
alla
Lazio,
e
Pipan
che
andò
in
prestito
allo
Stabia.
Restarono
Sentimenti,
Blason,
Cassano,
Pretto,
Gramaglia,
Fabbro,
Milano,
Busani,
Barrera
(in
una
posizione
piuttosto
controversa),
Venditto,
Cadregari,
Pastore,
Di
Costanzo,
Del
Prete,
Capolino
e
Tricoli.
Le
forze
azzurre
si
radunarono
il
venticinque
agosto
in
previsione
del
debutto
fissato
il
quattordici
settembre,
a
Castellamare
di
Stabia,
dove
segnammo
due
goal
e
ne
incassammo
altrettanti.
La
formazione
azzurra
prevedeva
Blason
(Sentimenti),
Pretto
e
Cassano;
Paoletti,
Fabbro
e
Milano;
Busani,
Solbiati,
Cadregari,
Dugini
e
Menti.
46
Il
ventotto
settembre
sconfiggemmo
il
Mater
per
due
a
zero
con
Berra
al
posto
di
Pretto;
il
4
ottobre
pareggiamo
con
la
Roma
per
uno
a
uno
schierando
la
stessa
formazione
con
la
variante
di
Paoletti
al
posto
di
Fabbro
e
Venditto
che
sostituiva
Menti;
perdemmo
poi
per
due
a
zero
contro
il
Palermo
un
incontro
valevole
per
la
Coppa
Italia;
vincemmo
infine
contro
il
Siena
per
quattro
a
uno
l’ultima
partita
di
collaudo.
Leonetti,
nel
frattempo,
si
dimise
lasciando
l’incarico
a
Luigi
Piscitelli.
Prima Retrocessione
All’inizio
del
campionato
dovemmo
affrontare
la
Roma
incassando
subito
cinque
sventole
che
ci
spedirono
a
casa
con
le
pive
nel
sacco;
ci
rifacemmo
con
il
Milan,
che
perse
per
due
a
uno
con
un
goal
di
Cadregari
e
un
altro
di
Busani,
ma
incassammo
altre
cinque
pedate
a
Bergamo
dall’Atalanta.
Un
giornale
dell’epoca
definì
il
nostro
attacco
“claudicante”,
intendendo,
forse,
“paralitico”.
L’acquisto
in
extremis
del
centravanti
Barsanti
dall’Ambrosiana
non
cambiò
di
molto
le
cose;
eravamo
ormai
terzultimi,
con
ventitré
punti,
davanti
al
Livorno
e
al
Modena
che
ne
avevano
diciannove.
Per
evitare
la
bocciatura
avremmo
dovuto
vincere
a
Genova
dove,
invece,
incassammo
tre
goal
mentre
il
Livorno,
a
San
Siro,
infilava
due
reti
nella
porta
milanista;
rissa
sugli
spalti
e
botte
da
orbi;
l’arbitro
Zelotti
aggrava
le
cose
infliggendoci
una
multa
di
mille
lire
per
comportamento
scorretto
nei
suoi
confronti.
La
Roma
dunque
è
Campione
d’Italia;
il
Napoli,
penultimo
con
ventitré
punti,
trentadue
goal
fatti
e
cinquantuno
subiti,
finisce
in
serie
B,
in
compagnia
del
Modena;
massima
divisione
invece
per
Bari
e
Vicenza.
Terzo
Campionato
di
guerra;
arriverà
davvero
Colombari?
Per
il
momento
resta
Vojack.
La
formazione
è
immutata
a
parte
Ganelli,
mezzala
destra,
che
proviene
dal
Torino,
Pipan
che
rientra,
per
fine
prestito,
Viani
e
Arcari
II,
acquistati
dal
Livorno;
rientra
anche
Tamietti
ma
partono
Blason
e
Cassano.
Il
ventisei
agosto,
allo
Stadio
Partenopeo,
Vojack
presenta
la
formazione
che
comprende
Sentimenti
II
(Pipan),
Pretto
e
Berra;
Milano
(Tricoli),
Fabbro
e
Granaglia;
Busani,
Cadregari
(Ganelli),
Viani
II,
Verrina,
Arcari
III
(Venditto).
I
risultati
sono
favorevoli
fino
all’ottava
giornata,
quando
il
Pisa
ce
le
suona
per
due
a
zero;
una
partita
scorretta
durante
la
quale
incassiamo
due
rigori
e
l’espulsione
del
bollente
Pretto.
Stessa
musica
e
tre
belle
bastonate
a
Pescara,
sette
giorni
dopo;
ancora
intontito,
il
Napoli
ospita
lo
Spezia,
imbattuto
capolista
del
girone
e
siccome
non
c’è
due
senza
tre,
cade
per
la
terza
volta
perdendo
per
due
a
uno;
poi,
finalmente,
il
cerchio
si
spezza
e
vinciamo
contro
l’Anconetana
per
due
a
uno.
Proprio
in
quei
giorni
Corrado
Tamietti,
terzino
olimpionico
a
Berlino,
lascia
il
Napoli
e
abbandona
lo
sport.
Si
ritira
nella
sua
Torre
Pellice,
dove
eserciterà
la
professione
di
commercialista.
Addio
Corrado!
Non
dimenticherò
le
tante
battaglie
combattute
insieme.
Perdiamo
ancora
contro
il
Cremona
per
uno
a
zero
ma
vinciamo
per
due
a
uno
sia
contro
il
Brescia
sia
contro
l’Udinese
(con
Verrina
in
veste
di
giustiziere
che
trasforma
due
punizioni).
Nel
gennaio
1943
la
Società
nomina
una
Commissione
Tecnica
composta
da
Guido
Cavalli,
Agostino
Gamba,
Domenico
Mancuso
e
Giuseppe
Mensitieri
per
coadiuvare
il
Presidente.
Perdiamo
contro
il
Modena
per
tre
a
zero
ma
vinciamo
a
Siena
per
due
a
zero;
gli
azzurri
segnano
nel
primo
tempo
e
dominano
nella
ripresa,
nonostante
l’espulsione
di
Gramaglia
e,
per
nostra
fortuna,
Sentimenti
para
un
rigore
all’ultimo
minuto.
Il
comportament
o
della
squadra
è
davvero
imprevedibile:
battiamo
l’Alessandria
per
due
a
uno
e
il
Novara
per
47
tre
a
zero
ma
pareggiamo
con
il
Fanfulla
per
zero
a
zero!
Nel
frattempo
arriva
Manni
dal
Modena
e
parte
Fabbri
per
il
servizio
militare.
Anche
da
noi,
quell’anno,
si
parlava
molto
del
così
detto
sistema,
un
metodo
di
gioco
teorizzato
e
applicato
negli
anni
trenta
da
Herbert
Chapman,
allenatore
dell’Arsenal,
che
vinse
due
titoli
inglesi
e
una
Coppa
nazionale.
Le
squadre
italiane
opponevano
una
certa
resistenza
all’innovazione,
preferendo
il
vecchio
metodo
di
gioco;
a
parte
il
Napoli,
s’intende,
che
non
applicava
né
l’uno
né
l’altro.
Il
buon
Vojack
non
aveva
la
minima
idea
di
queste
cose;
sapeva
soltanto
che
bisogna
portare
la
palla
in
fondo
alla
rete
e,
stanco
di
chiacchiere,
se
ne
andò
a
metà
Campionato,
lasciando
l’incarico,
e
i
relativi
grattacapi,
a
Paolo
Innocenti
che,
per
prima
cosa,
tentò
di
restituire
un
po’
di
fiducia
ai
giocatori.
La
situazione
cominciò
a
migliorare
e
avremmo
anche
potuto
vincere
nell’ultima
partita
casalinga
contro
il
Modena,
e
quindi
salvarci,
ma
non
avemmo
fortuna;
Sentimenti
non
era
in
forma
e
incassò
il
goal
decisivo
per
la
nostra
permanenza
in
serie
B.
Per
esigenze
belliche,
il
Campionato
1943,
che
non
fu
mai
disputato,
si
sarebbe
dovuto
svolgere
su
tre
gironi
misti
con
la
partecipazione
di
squadre
di
A
e
B,
vietando,
il
passaggio
definitivo
dei
giocatori
da
un
Club
all’altro,
ma
consentendo
il
prestito,
per
un
solo
anno,
limitatamente
a
cinque
giocatori.
La
maggior
parte
dei
giocatori,
considerati
gli
eventi,
si
rese
irreperibile,
dileguandosi
chi
sa
dove;
del
Club
non
restava
che
il
nome,
finché
non
si
perse
anche
quello.
La
sorte
più
triste
fu
quella
dello
Stadio
Partenopeo
dilaniato
dagli
incessanti
bombardamenti
che
sconvolsero
Napoli;
il
campo
e
la
struttura
dell’impianto
sportivo
erano
ormai
ridotti
a
un
inutile,
spaventoso
colabrodo
e
quel
poco
che
la
guerra
aveva
risparmiato
fu
oggetto
di
saccheggio;
Ascarelli
non
avrebbe
creduto
ai
suoi
occhi!
La ripresa
Dopo
cinque
anni
di
devastazioni,
la
guerra,
finalmente,
volse
al
termine;
la
città
era
quasi
distrutta
ma
la
vita
ricominciò
poco
a
poco;
le
ragazze
napoletane
dimenticarono
il
tedesco
e
impararono
la
lingua
dei
vincitori.
Riprese
anche
il
desiderio
di
svago
di
cui
il
calcio
era
una
delle
espressioni
più
popolari
e
già
verso
la
metà
del
1944
nacquero
la
Società
Sportiva
Napoli
e
la
Società
Polisportiva
Napoli.
Arturo
Collana
ed
Enrico
Marcucci,
oggi
direttore
de
“Il
Mattino”,
dettero
vita
alla
prima
cercando
di
riprendere
contatto
con
simpatizzanti
ed
ex
giocatori.
Le
riunioni
si
svolgevano
nel
bar
di
Paolo
Innocenti,
in
attesa
di
trovare
una
sede
meno
provvisoria,
individuata,
in
seguito,
in
Via
De
Pretis;
la
Sportiva
Napoli
iniziò
perfino
a
disputare
qualche
partita
amichevole.
La
Società
Polisportiva
Napoli,
con
sede
al
numero
dieci
dell’Angiporto
Galleria,
vide
la
luce
il
primo
maggio
1944
per
impulso
di
Luigi
Scuotto,
Mario
Spinetti,
Luigi
De
Manes,
Leopoldo
Pappacoda
e
Raul
Carsana
cui
si
aggiunsero,
in
un
secondo
momento,
Renato
Lombardi,
Sante
Smedile,
Ottavio
Nappa,
Renato
Campora,
Renato
Magiapia,
Mario
D’Onofrio,
Gaetano
Picardi
e
Massimo
Botti.
La
Polisportiva
che
comprendeva
sezioni
separate
di
Atletica
leggera
(Nappa),
di
Calcio
(De
Manes),
di
Pallacanestro
(Pappacoda)e
di
Scherma
(Spinetti),
trasferì,
nell’ottobre
del
1944
la
sua
sede
al
numero
quattordici
di
Via
Monte
di
Dio
nello
storico
palazzo
del
Duca
Serra
di
Cassano,
dove,
prima
della
guerra,
usavano
darsi
convegno
l’aristocrazia
di
mezza
Europa.
Arturo
Collana
intuì
la
necessità
di
far
convergere
le
due
squadre
e,
infatti,
il
diciannove
gennaio
del
1945,
l’Assemblea
dei
soci
della
Polisportiva
Napoli
diede
mandato
a
una
commissione
composta
da
Scuotto,
Botti,
Nappi,
Campora
Smedile
e
Pappacoda,
di
procedere
alla
fusione
da
cui
nacque
l’Associazione
Polisportiva
Napoli.
Il
vecchio
Napoli
48
metteva
a
disposizione
la
sua
cospicua
attrezzatura
calcistica
mentre
l’organizzazione
e
l’amministrazione,
tradizionale
punto
debole
del
Club
azzurro
dopo
la
scomparsa
di
Ascarelli,
erano
affidate
alla
giovane
Polisportiva,
abilmente
guidata
da
Gino
Scuotto.
Il
ventotto
gennaio
dello
stesso
anno,
per
volere
del
Comitato
Regionale
della
F.I.G.C.,
iniziò
il
Campionato
regionale
misto
cui
partecipavano
dieci
squadre
tra
cui
Napoli
e
Salernitana,
provenienti
dalla
serie
B,
Stabia,
Scafatese,
Torrese,
Frattese
e
Casertana,
inquadrate
in
serie
C,
il
Portici,
che
giocava
in
Prima
Divisione,
l’Internaples,
appena
costituita,
e
la
P.M.I.
composta
di
militari.
Guidato
da
Gigi
De
Manes,
il
Napoli
scese
in
campo
schierando
Corghi,
Maneo,
Puzo,
Di
Giovanni,
Pastore,
Pretto,
Gerbi,
Furnari,
Rosellini,
Capolino,
Venditto.
Durante
il
Campionato
furono
acquistati
Mazzetti
I,
mezzala
destra
della
Udinese,
Galassi
e
Mascilini,
rispettivamente
centravanti
e
mezzala
del
Perugia.
L’inizio
non
fu
molto
brillante;
una
sola
vittoria
contro
l’Internaples
per
zero
a
uno
e
poi
una
serie
di
pareggi
con
la
Frattese,
il
Portici
e
la
Casertana.
Le
squadre
avversarie
potevano,
infatti,
contare
su
calciatori
di
tutto
rispetto
che,
a
causa
della
guerra,
avevano
trovato
sistemazione
presso
i
vari
sodalizi
campani.
Lo
Stabia,
per
esempio,
disponeva
di
Chellini,
Dolfi,
Del
Medico,
Dapas,
Menti
(quello
stesso
che
poi
passò
al
Torino
e
fu
plurinazionale);
l’Internaples
aveva
Pastore,
Glovi,
Di
Costanzo,
Del
Prete
e
il
Portici
Romagnoli,
De
Nicola,
Busiello.
Vincenzo
Savarese,
coadiuvato
da
Luigi
Scuotto,
fu
eletto
Presidente
durante
la
prima
assemblea
dell’Associazione
Polisportiva
Napoli
che
ebbe
luogo
il
ventuno
febbraio
1945.
Il
torneo
regionale
continuò
con
alterne
esibizioni
contro
la
Torrese
(due
a
zero),
la
Salernitana
(uno
a
uno)
e
il
P.M.I.
(uno
a
uno).
La
squadra,
priva
di
disciplina
e
d’impegno,
era
sostanzialmente,
allo
sbando.
Dopo
una
multa
severa,
raddoppiata
nei
confronti
di
Pretto,
il
buon
De
Manes
cedette
il
comando
a
Paolo
Innocenti
ma
la
musica
rimase
la
stessa
e
incassammo
tre
goal
dallo
Stabia.
49
della
FIGC
in
attesa
di
ulteriori
provvedimenti.
Nelle
more,
fu
organizzato
un
torneo
a
quattro
cui
parteciparono
Fiorentina,
Livorno,
Napoli
e
Stabia,
che
vinse
per
sorteggio.
Il
Campionato
Regionale
riprese
il
diciassette
giugno
1945
con
Napoli-‐Stabia
pareggiato
con
tre
goal
a
testa
che
consentirono
allo
Stabia
di
qualificarsi
campione
campano
del
torneo
regionale
misto.
Il
dieci
luglio
del
1945,
i
rappresentanti
delle
squadre
di
serie
A
e
B
appartenenti
alla
Lega
Sud
si
riunirono
nella
sede
del
CONI
e
decisero
che
il
successivo
campionato
sarebbe
stato
disputato
a
girone
unico,
ammettendo
alla
partecipazione
Fiorentina,
Livorno,
Pisa,
Siena,
Anconetana,Roma,
Lazio,
Mater,
Pescara,
Bari,
Napoli,
Salerno
e
Palermo.
Per
disputare
il
Campionato,
tuttavia,
bisognava
far
fronte
alle
spese
relative
che
ammontavano
alla
bella
somma
di
seicentomila
lire,
non
poche
per
l’epoca;
e
bisognava
trovarle
al
più
presto.
La bohème
Entrò
dunque
in
campo
un
nuovo
manipolo
di
appassionati
e
sportivi
come
Giuseppe
Muscariello,
Alfonso
Cuomo,
Vincenzo
Romano,
Egidio
Musolino,
Giuseppe
Amato
e
Pasquale
Russo.
Una
Commissione
Straordinaria
composta
da
Scuotto,
Re
e
Lonardi
s’incaricò
di
ricostituire
il
sodalizio
azzurro
prendendo
contatti,
nel
frattempo,
con
il
Comando
Alleato
per
ottenere
lo
stadio
del
Vomero
e
risolvere
dunque
il
problema
del
terreno
di
gioco.
La
Commissione
dovette
anche
occuparsi
di
acquisti
e
trasferiment;
furono
confermati
Sentimenti,
Pipan,
Pretto,
Pastore,
Verrina,
Ganelli,
Di
Costanzo,
Busani,
Berra,
Milano
e
ceduti
tutti
gli
altri.
Russo
e
Scuotto,
presidente
in
pectore,
si
misero
allora
in
viaggio
per
la
Penisola,
puntando
verso
Nord
a
bordo
di
una
macchina
che
suscita
ancora
nel
ricordo
dei
protagonisti
fremiti
di
paura;
le
gomme,
infatti,
erano
così
lisce
che
dovettero
essere
protette
con
le
cinture
dei
pantaloni!
La
malconcia
vettura
si
rivelò,
tuttavia,
un
utile
giaciglio,
poiché
i
letti
delle
poche
locande
disponibili,
infestati
d’insetti
d’ogni
genere,
camminavano
da
soli!
Disavventure
a
parte,
i
due
scrutatori
tornarono
a
casa
con
buoni
risultati
assicurandosi
un
bel
nucleo
di
giocatori
tra
cui
Raffaele
Sansone,
mezzala
e
allenatore,
Michele
Andreolo
e
Franco
Mazzetti,
provenienti
dal
Bologna,
Lustha,
dalla
Juventus,
Rosi
Mari,
dal
Livorno,
Luigi
Gallanti,
dal
Fanfulla,
Carlo
Barbieri,
dal
Carpi,
Baldi
dal
Torino
e
Michele
Giraud
dal
Savoia
di
Torre
Annunziata.
Il
costo
globale
dell’intera
stagione
si
aggirava
intorno
ai
sette
milioni.
L’abbonamento
alle
Tribune
Centrali
costava
tremila
seicento
lire,
ridotte
a
duemila
quattrocento
per
signore
e
ragazzi;
i
Distinti
erano
in
vendita
a
duemila
quattrocento
lire,
ridotte
a
mille
quattrocento
per
signore
e
ragazzi.
L’Assemblea
dei
Soci,
in
vista
del
Campionato
Centro
Sud
1945-‐1946
elesse
il
nuovo
Consiglio
Direttivo
composto
da
Vincenzo
Savarese,
Pasquale
Russo,
Luigi
Scuotto,
Giuseppe
Caputo,
Franco
Smedile,
Giovanni
Re
e
Luigi
Lonardi.
Il Vomero
Il
Campionato
iniziò
il
quattro
novembre;
la
nostra
formazione
comprendeva
Sentimenti,
Pretto,
Berra,
Baldi,
Andreolo,
Rosi,
Busani,
Gallanti,
Lustha,
Verrina
e
Barbieri,
allenati
da
Raffaele
Sansone,
con
Pipan,
Pastore,
Di
Costanzo,
Ganelli,
Milano
e
Giraud
II
in
riserva.
Il
torneo
fu
però
funestato,
durante
l’incontro
Napoli-‐Bari,
terminato
per
uno
a
zero
in
nostro
favore,
dal
crollo
di
una
tribuna
che
cedette
sotto
la
spinta
della
folla
entusiasta
per
il
goal
di
Lustha,
provocando
la
morte
di
alcuni
spettatori.
50
Il
Napoli
si
classificò
primo
(con
ventotto
punti,
ventotto
goal
segnati
e
dieci
subiti)
e
fu
ammesso
con
Roma,
Bari
e
Livorno
a
disputare
il
girone
finale
contro
il
Torino
(che
vinse
lo
scudetto),
la
Juventus,
l’Internazionale
e
il
Milan,
posizionandosi
al
quinto
posto
con
tredici
punti,
diciannove
goal
segnati
e
ventisette
ricevuti.
L’anno
calcistico
1946-‐1947
vide
il
primo
torneo
a
girone
unico
del
dopoguerra.
Il
ventitré
agosto
1946,
L’Associazione
Polisportiva
Napoli
si
costituì
in
Società
a
Responsabilità
Limitata
(con
un
capitale
di
trecentocinquantamila
lire)
in
seguito
al
fattivo
interessamento
di
Armando
Andreassi.
La
campagna
acquisti
vide
la
partenza
di
Meanti,
Baldi,
Pipan,
Gallani
e
Cadregari
e,
soprattutto,
l’arrivo
di
Italo
Romagnoli,
uno
dei
più
grandi
giocatori
di
tutti
i
tempi,
formidabile
sia
in
attacco
sia
in
difesa.
Il
problema
della
sede
non
poteva
più
essere
rimandato;
Scuotto,
con
un
atto
di
forza,
prese
possesso
di
una
delle
due
palazzine
dello
Stadio
della
Liberazione
(alias
Vomero),
quella
che
ospita,
oggi,
il
Comando
dei
Carabinieri;
l’altra,
più
funzionale,
con
accesso
diretto
agli
spogliatoi
e
al
campo
di
gioco,
era
utilizzata
da
una
squadra
di
partigiani
che
l’abile
Gino
però
convinse
a
scambiare
con
la
nostra,
considerata,
da
quel
momento,
la
palazzina
azzurra
per
antonomasia
fino
al
mese
di
agosto
del
1964.
I
soci,
a
turno,
dovevano
piantonare
giorno
e
notte
i
locali
per
evitare
che
fossero
occupati
dalla
folla
dei
sinistrati
che
avevano
perso
le
loro
abitazioni
per
effetto
delle
devastazioni
belliche.
Gli
azzurri
avevano
dunque
trovato
la
loro
sede
dove
regnò
per
anni
il
compianto
Paolo
Uccello,
il
più
simpatico
e
dinamico
Segretario
Sociale
che
io
abbia
conosciuto.
Il
Campionato
Italiano
di
Calcio,
disputato
a
girone
unico,
riprese,
dopo
due
anni
di
traversie,
il
ventidue
settembre
1946.
Il
Napoli
schierava
in
formazione
Sentimenti
(Chellini),
Pretto
e
Berra
(Romagnoli);
Rosi
(Nespolo),
Andreolo
(Santamaria),
Pastore
(Morgia);
Busani,
Di
Costanzo
(Ganelli),
Di
Benedetto,
Verrina,
Barbieri.
Il
gioco
degli
azzurri,
allenati
da
Raffaele
Sansone
affiancato
da
Attila
Sallustro
in
qualità
di
direttore
sportivo,
impostato
essenzialmente
sul
metodo,
era
piacevolmente
spettacolare;
Barbieri,
Busani
e
Romagnoli
dominavano
incontrastati
fino
a
quando
quest’ultimo
fu
costretto
a
lasciare
l’attività
agonistica
per
un
grave
infortunio
al
ginocchio
nel
dicembre
del
1946;
quel
giorno
era
di
turno
al
Vomero
il
grande
Torino
di
Valentino
Mazzola,
Gabetto,
Loick,
Bacigaluppo
e
Maroso
che
tutti
ricordano.
Fu
una
partita
all’insegna
della
correttezza
e
della
cavalleria;
il
Napoli
cercava
di
contrastare
i
campioni
d’Italia
mettendocela
tutta,
per
niente
intimorito
dal
prestigio
degli
avversari;
segnò
Gabetto
ma
Andreolo
pareggiò,
su
punizione;
gli
azzurri
poi
andarono
in
vantaggio
con
una
prodezza
di
Berto
Busani,
incitati
dalla
folla
al
culmine
dell’entusiasmo.
L’impresa
aveva
il
sapore
dell’impossibile
e,
infatti,
il
sogno
durò
giusto
il
tempo
impiegato
da
Gabetto
per
fulminare
di
nuovo
la
porta
partenopea,
atterrando
come
un
falco
su
un
allungo
di
Castigliano.
La
prestazione
della
squadra,
nonostante
il
pareggio,
era
comunque
notevole
e
il
risultato
encomiabile;
il
Napoli
cercava,
naturalmente,
di
difendere
il
risultato
con
ogni
mezzo
e
fu
durante
una
di
queste
azioni
che
il
volo
di
Romagnoli,
levatosi
in
alto,
come
una
libellula,
per
respingere
di
testa
il
pallone,
restò
incompiuto
poiché
il
ricciuto
terzino,
urlando
di
dolore,
si
accasciò
al
suolo
piegato
su
se
stesso.
Pur
avendo
smesso
da
tempo
di
giocare,
ero
sempre
rimasto
vicino
alla
mia
squadra
con
cui,
tra
l’altro,
avevo
occasionalmente
collaborato.
Quel
giorno,
dunque,
accorsi
a
soccorrere
il
povero
Romagnoli
e
mi
resi
conto,
fin
dal
primo
esame
ai
bordi
del
campo,
che
si
era
fratturato
il
menisco.
Il
rimedio,
a
mio
avviso,
non
poteva
essere
che
chirurgico;
mi
guardarono
tutti
un
po’
increduli,
pensando
che
avessi
azzardato
la
diagnosi,
ma
Italo,
dopo
aver
girato
mezza
Italia
per
consultare
nomi
più
illustri
del
mio,
dovette
infine
operarsi,
come
avevo
previsto,
al
Rizzoli
di
Bologna.
L’episodio
segnò
il
mio
ritorno
tra
gli
azzurri
in
veste
di
medico
sportivo,
durato
poi
fino
al
1964.
51
Il
primo
febbraio
1947
la
Segreteria
azzurra
comunicò
al
pubblico
e
alla
Stampa
il
mutamento
della
denominazione
sociale
che
da
Associazione
Polisportiva
Napoli
divenne
Associazione
Calcio
Napoli,
con
delibera
dell’Assemblea
Straordinaria
omologata
dal
Tribunale
di
Napoli
il
venti
febbraio
1947.
Il
Napoli
terminò
il
Campionato
classificandosi
al
sesto
posto,
con
trentasette
punti,
cinquanta
goal
all’attivo
e
cinquantanove
subiti.
La
Campagna
acquisti
1947-‐1948
fu
affidata
a
Raffaele
Sansone
che
partì
per
il
Sud
America
con
un
portafoglio
di
circa
sei
milioni,
alla
ricerca
di
nuovi
talenti,
accompagnato
da
un
certo
Ladislao
Klein,
sedicente
allenatore
e
mediatore
sportivo,
che
sparì
insieme
al
denaro
ricevuto.
Fu
ingaggiato
Naim
Krieziu,
ala
destra
della
Roma,
albanese
di
nascita,
atleta
e
professore
di
educazione
fisica,
diplomatosi
presso
l’Accademia
della
Farnesina;
Gucciardi,
Capolino
e
Carola
provenivano,
invece,
dal
vivaio
azzurro.
Il
ventitré
settembre
1947
arrivarono
dall’Uruguay
Rodrigo
Candales,
terzino
sinistro
del
Nacional
di
Montevideo,
Roberto
La
Paz,
centravanti
del
Sudamerica
di
Montevideo
e
Angelo
Cerilla,
centromediano
del
Rionegro.
Al
via
del
Campionato,
iniziato
il
quattordici
settembre,
il
Napoli
schierava
in
formazione
provvisoria
Chellini
(Sentimenti),
Pretto,
Soldani
(Pastore);
Rosi,
Santamaria,
Di
Costanzo
(Nespolo);
Krieziu,
Spartano
(Ganelli),
Di
Benedetti,
Verrina
e
Barbieri.
L’inizio
fu
disastroso;
perdemmo,
infatti,
a
Torino
per
quattro
a
zero,
nonostante
gli
applausi
a
scena
aperta
al
bravo
Chellini,
e
perdemmo
di
nuovo
a
Genova
per
tre
a
due
contro
i
grifoni;
pareggiammo
poi
con
la
Lazio
ma
perdemmo
a
Firenze
nonostante
il
debutto
di
Andreolo
e
di
Candales:
nove
goal
subiti
e
due
soli
punti
in
cinque
partite!
Il
Consiglio
Direttivo
si
riunì
d’urgenza,
il
diciannove
ottobre,
per
esonerare
Raffaele
Sansone
e
affidare
l’incarico
ad
Attila
Sallustro
in
attesa
di
Vecchina.
Con
il
Vicenza
le
cose
andarono
anche
peggio;
riuscimmo,
infatti,
a
collezionare
una
multa
di
trecento
mila
lire
e
la
squalifica
del
campo
per
una
domenica
in
seguito
all’indegno
comportamento
del
pubblico
che
tentò
d’invadere
il
campo
dopo
la
decisione
arbitrale
di
annullare
una
rete
di
Di
Benedetti
in
evidente
posizione
di
fuori
gioco.
L’incontro
con
l’Alessandria
ebbe
luogo,
pertanto,
a
Pescara,
dove
subimmo
un’altra
sconfitta
per
due
a
uno
e
la
squalifica
di
una
giornata
per
Di
Costanzo
e
Pastore
rivelatisi
pugili
piuttosto
che
giocatori.
Nel
successivo
incontro
con
la
Juventus
debuttò
Roberto
La
Paz
con
grande
soddisfazione
dei
tifosi,
ammirati
dai
funambolici
virtuosismi
del
negrito
che
non
cambiarono,
tuttavia,
il
modesto
pareggio
a
reti
inviolate;
il
pubblico,
esasperato,
chiedeva
a
gran
voce,
le
dimissioni
della
Dirigenza
azzurra,
auspicando
il
ritorno
di
Lauro.
8
Eraldo in campo
Seconda retrocessione
52
Il
Consiglio
direttivo
si
dimise
il
sette
gennaio
1948,
passando
le
consegne
a
Vincenzo
Savarese
che
rifiutò
l’incarico,
assunto
poi
dal
dottor
Martusciello.
Il
Napoli,
nel
frattempo,
risvegliatosi
dal
letargo,
era
riuscito
perfino
a
segnare
cinque
goal
al
Modena,
grazie
anche
alle
prodezze
di
Candales
che
sfoggiava,
per
l’occasione,
la
gran
classe
di
cui
era
dotato;
l’uruguaiano
era
un
giocatore
di
gran
carattere,
freddo
e
raffinato
nelle
situazioni
critiche,
signore
per
nascita,
appassionato
di
tele
e
di
colori.
Passo
breve,
però,
dal
paradiso
all’inferno:
durante
la
partita
casalinga
contro
la
Roma,
nel
rispetto
della
tradizione,
spuntò,
infatti,
dall’estrema
sinistra
giallo-‐rossa
l’argentino
Bruno
Pesaola
saettando
due
lingue
di
fuoco
che
il
portiere
azzurro
non
riuscì
nemmeno
a
vedere;
il
Club
reagì
appioppando
cinquemila
lire
di
multa
a
Pretto,
Ganelli,
La
Paz
e
Pastore;
la
tifoseria
napoletana,
al
culmine
del
malumore,
chiedeva
minacciosamente
le
dimissioni
della
Dirigenza
e
il
ritorno
di
Lauro.
Vecchina,
sostituito
da
Arnaldo
Sentimenti,
chiese,
prudentemente,
di
essere
esonerato,
seguito
alla
fine
di
gennaio,
dal
Presidente
Russo
cui
subentrò
Muscariello
in
veste
di
Commissario
Straordinario;
spirava
un
vento
di
tragedia,
dentro
e
fuori
il
campo.
Il
cinque
febbraio
ci
lasciò,
infatti,
a
soli
ventotto
anni,
un
altro
ex
azzurro
che
morì
di
tifo
all’Ospedale
di
Chiavar;
Luigi
Cassano
aveva
giocato
con
noi
prima
della
guerra
per
passare
poi
alla
Sampdoria.
La
primavera
non
fu
migliore
dell’inverno
fino
alla
famosa
Inter-‐Napoli
terminata
per
uno
a
zero
grazie
alle
sviste
dell’arbitro
Bonivento
che
giunse
perfino
ad
annullare
un
impeccabile
goal
di
La
Paz
al
quarantaquattresimo
del
primo
tempo
senza
poi
essere
in
grado
di
giustificare
la
sua
decisione;
i
nostri
reagirono
energicamente
ottenendo
l’espulsione
e
la
squalifica
di
Barbieri.
Il
ricorso
alla
Lega
e
il
successivo
intervento
alla
F.I.G.C.
non
ebbero
alcun
effetto;
pollice
verso
contro
i
partenopei,
classificati
al
diciottesimo
posto,
con
trentaquattro
punti,
e
destinati,
dunque,
a
sprofondare
di
nuovo
in
serie
B.
Le
umiliazioni
proseguirono
con
un’inopinata
polemica
condotta
dalla
Lega
nei
confronti
di
Muscariello,
accusato
d’illecito
sportivo
e
condannato
a
vita
a
non
ricoprire
cariche
sportive;
Ganelli
fu
invece
accusato
di
tentativo
di
corruzione
nei
confronti
di
Taiti,
Cappello
e
Arcari,
del
Bologna,
e
Paolo
Innocenti
fu
squalificato
per
tre
anni.
Il
Napoli,
nonostante
le
proteste,
retrocesse
all’ultimo
posto,
provocando
le
dimissioni
in
massa
del
Consiglio
Direttivo
e
la
nomina
di
un
Comitato
Direttivo
provvisorio
presieduto
da
Egidio
Musolino
e
Gino
Scuotto.
Durante
la
stagione
1948-‐1949
fu
ingaggiato,
“Farfallino”,
al
secolo
Felice
Placido
Borel,
ex
centravanti
della
Juventus,
in
veste
di
Mister;
terminata
la
campagna
acquisti
la
squadra
schierava
in
formazione
Chellini
e
Mazzetti
(portieri);
Soldani,
Cappellini
Pretto,
Pastore,
Capolino
(terzini);
Rosi,
Santamaria,
Di
Costanzo,
Cerilla,
Gerlin,
Manola
(mediani);
Krieziu,
Spartano,
Brighenti,
Suprina,
Barbieri,
Rosignoli,
Busani,
La
Paz,
Iacobini
(attaccanti).
La
preparazione
iniziò
il
diciotto
agosto
allo
Stadio
del
Vomero
sotto
la
guida
di
Paolo
Iodice
per
la
parte
atletica
e
di
Borel
per
la
parte
tecnica;
debuttammo
il
dodici
settembre
in
un’amichevole
contro
la
Lazio
vinta
per
tre
a
uno
con
goal
di
Brighenti,
Suprina
e
Rosignoli.
A
inizio
di
Campionato,
con
due
goal
spettacolari
di
Ivo
Suprina,
pareggiammo
per
due
a
due
con
la
Cremonese
malgrado
l’espulsione
di
Brighenti
(squalificato
per
aver
preso
a
pugni
un
avversario)
che
scatenò
i
commenti
sfavorevoli
della
stampa.
Vincemmo
su
rigore
a
Venezia
(uno
a
zero)
per
fallo
nei
confronti
di
Suprina
che
reagì
senza
troppi
complimenti,
facendosi
espellere;
il
pubblico
protesta,
fischia,
lancia
fiori
e
confetti
sul
terreno
di
gioco
ma
l’arbitro
non
si
commuove
e
fa
appioppare
una
multa
di
settanta
mila
lire
alla
Società
partenopea;
perdemmo
poi
per
uno
a
zero
contro
la
Spal,
a
Ferrara,
dove
Roberto
La
Paz
difese
a
cazzotti
le
sue
caviglie
(facendosi
squalificare
per
una
giornata)
e
terminammo
con
un
irrilevante
pareggio
con
lo
Spezia
a
reti
inviolate
da
entrambe
le
parti.
53
Sistema, metodo e mezzo sistema
Andammo
avanti
con
esibizioni
prive
d’interesse,
povere
di
contenuto
agonistico
e
tecnico,
cosparse
di
qualche
vittoria,
eccessivamente
celebrata,
di
molte
sconfitte
e
altrettanti
pareggi,
ma
anche
di
multe,
equamente
dispensate
a
tutta
la
squadra,
allenatore
compreso.
L’ennesima
Commissione
Speciale
nominata
nel
frattempo
ebbe
l’arduo
compito
di
vigilare
sul
comportamento
dei
giocatori
per
assicurare
un
minimo
di
disciplina
in
tutta
quella
baraonda;
si
andava
a
braccio,
per
dirla
tutta
senza
riuscire
a
dare
un
senso
concreto
a
concetti
come
sistema,
mezzo
sistema
e
metodo
che
restavano
vane
parole.
Il
Consiglio,
non
sapendo
cosa
fare,
licenziò
Borel,
ben
lieto,
tra
l’altro,
di
tornarsene
a
Torino,
e
Paolo
Iodice,
che,
a
sua
volta,
tirò
un
sospiro
di
sollievo
lasciando
volentieri
il
posto
a
Gigi
De
Manes.
L’atmosfera
era
sempre
più
minacciosa;
in
via
Santa
Brigida
i
tifosi
aggredirono
fisicamente
Giuseppe
Caputo
che
avrebbe
dovuto
farsi
portavoce
delle
loro
richieste
ma
il
Consiglio
tenne
duro
e
convocò
Domenico
Mattioli,
presidente
della
Salernitana,
per
chiedere
la
sua
collaborazione.
Le
cose
sembrarono
migliorare;
si
cominciò
a
giocare
con
più
impegno
e
maggiore
disciplina,
anche
se
il
bel
gioco
era
lontano
da
venire.
Quell’anno,
peraltro,
il
mondo
dello
sport
fu
funestato
dalla
tragedia
di
Superga
che
costò
la
vita
all’intera
squadra
del
Torino
mentre
rientrava
da
Lisbona
dove
aveva
disputato
un
incontro
amichevole
con
il
Benfica;
a
causa
del
maltempo,
infatti,
il
trimotore
delle
Avio
Linee
Italiane
si
schiantò
contro
il
terrapieno
posteriore
della
Basilica
di
Superga.
Il
Campionato,
nonostante
il
lutto,
riprese;
anche
Gigi
de
Manes,
che
nel
frattempo
aveva
perso
dodici
chili,
alla
fine
gettò
la
spugna
e
fu
sostituito
da
Vittorio
Mosele,
ex
baluardo
azzurro
dei
tempi
migliori,
che
non
riuscì,
tuttavia,
a
migliorare
la
squadra
né
sul
piano
agonistico
né
su
quello
morale.
Litigiosità
e
malumori
esplosero
nuovamente
durante
la
partita
con
il
Verona,
persa
per
tre
a
uno,
che
si
trasformò
in
un
incontro
di
boxe
cui
partecipò
anche
il
massaggiatore
Scarpitti;
perfino
l’aristocratico
Krieziu
scoprì
che
il
suo
sangue,
dopotutto,
era
rosso
come
quello
degli
altri.
Morale
della
favola,
restammo
in
Serie
B,
al
sesto
posto,
con
quarantacinque
punti,
quarantatré
goal
segnati
e
quaranta
incassati;
Como
e
Venezia
furono
promosse
mentre
Pescara,
Lecce,
Parma
e
Seregno
scivolarono
in
Serie
C.
Il Sergente di ferro
Con
il
Campionato
1949-‐1950
iniziano,
a
mio
avviso,
gli
anni
ruggenti
del
calcio
nostrano.
Egidio
Musolino
aveva
capito
che
il
primo
problema
da
risolvere
era
quello
dell’allenatore;
occorreva
un
personaggio
carismatico,
qualcuno
che
avesse
un
passato
sportivo
di
prestigio,
dotato
di
grande
passione
e
idee
chiare;
scelse
Monzeglio
che,
all’epoca,
allenava
il
Pro
Sesto.
Eraldo
era
stato
un
glorioso
terzino
allevato
alla
scuola
del
grande
Caligaris,
baluardo
del
famoso
Bologna
“che
fa
tremare
il
mondo”.
Eravamo
stati
tante
volte
avversari.
54
Aveva
cominciato
a
giocare
nel
1924
con
la
maglia
del
Casale
per
poi
passare,
nel
1926,
al
Bologna
con
cui
disputò
duecento
cinquantadue
incontri
in
nove
Campionati,
collezionando
dieci
presenza
nella
Coppa
dell’Europa
Centrale
prima
di
trasferirsi
alla
Roma,
dal
1935
al
1939,
dove
terminò
la
carriera;
giocò
trentacinque
partite
in
Nazionale
laureandosi
campione
del
mondo
nel
1934
e
nel
1938
e,
in
occasione
del
Mondiale,
conobbe
Benito
Mussolini
che
gli
affidò
l’incarico
di
allenare
i
suoi
figli.
Dopo
Garbutt
è
stato,
a
mio
avviso,
uno
dei
migliori
allenatori
che
il
Napoli
abbia
mai
avuto;
aveva
un
carattere
piuttosto
difficile,
una
dialettica
impetuosa
e
una
franchezza
eccessiva,
talvolta
imbarazzante.
Morbosamente
geloso
della
sua
squadra,
non
tollerava
intrusioni
suscettibili
di
turbare
il
clima
un
po’
mistico
instaurato
all’interno
della
compagine;
il
suo
temperamento
lo
portava
spesso
a
strafare
e
a
prendere
posizione
anche
in
materie
estranee
alle
sue
competenze.
Io
stesso
ho
dovuto
più
volte
confrontarmi
con
le
sue
pretese
diagnostiche,
sostanzialmente
infondate;
lo
zelo
eccessivo
lo
induceva,
talvolta,
a
scavalcarmi,
dimenticando
che
dedicavo
il
mio
tempo
alla
squadra
per
mera
passione
e
a
titolo
puramente
grazioso.
A
prescindere
da
polemiche
e
manie,
Monzeglio
esercitava
un
certo
fascino
che
derivava
anche
dai
suoi
trascorsi
sportivi;
amava
ripetere
che
“non
è
l’allenatore
che
fa
grande
una
squadra,
ma
sono
i
giocatori
che
fanno
grande
la
squadra
e
l’allenatore”.
Egidio
Musolino,
trasformatosi
in
commesso
viaggiatore,
percorreva
intanto
la
Penisola
da
un
capo
all’altro
in
cerca
di
giocatori
validi.
Furono
dunque
acquistati
Delfrati
e
Ragona,
dal
Cosenza,
Vultaggio
e
Dagianti,
dalla
Salernitana,
Morelli
dal
Benevento,
D’Alconzo,
dal
Siracusa,
De
Andreis,
dalla
Lazio,
Gramaglia,
dalla
Sampdoria,
Brandimarte,
dal
Torino,
Zanolla,
dal
Torino,
Astorri,
dall’Atalanta,
Usberti,
dal
Brescia,
Benedetti,
dall’Olimpico
di
Marsiglia
e
Paolo
Todeschini,
dalla
Lazio,
cui
avevo
rilevato,
durante
la
visita
medica,
un’accentuata
tachicardia.
Batticuore
Todeschini
ammise
con
grande
lealtà,
che
la
Lazio
lo
aveva
messo
in
lista
di
trasferimento
proprio
per
i
suoi
malanni
fisici;
costatai,
dopo
un
esame
più
approfondito,
che
aveva
semplicemente
le
tonsille
ammalate
e,
nonostante
le
solite
perplessità
della
Dirigenza,
dopo
un
consulto
col
Professor
Zappacosta,
riuscii
a
farlo
operare
da
Gino
Musso
a
Villa
Amedeo;
tornò
in
ottima
forma,
pronto
per
la
ripresa
del
Campionato.
Durante
la
sua
brillante
carriera
è
stato,
tra
l’altro,
allenatore
dell’Italia
Olimpica,
con
Nereo
Rocco,
e
tecnico
del
Milan
nella
stagione
1961-‐1962,
in
coppia
con
Giuseppe
Viani.
Il
raduno
per
l’inizio
del
Campionato
era
fissato
per
l’otto
agosto
1949
e,
il
sedici,
si
giocò
il
primo
allenamento;
il
ventidue
De
Andreis
riportò
una
contusione
al
ginocchio
e
il
venticinque
rientrò
Gramaglia,
ex
azzurro,
dalla
Sampdoria;
Mario
Rosi
andò
in
clinica
per
frattura
della
gamba
destra,
mentre,
proprio
in
quei
giorni,
Ivo
Suprina
cominciò
a
fare
i
capricci
per
dissidi
finanziari,
avanzando,
tra
l’altro,
un
reclamo
alla
lega;
il
ventitré
settembre
Augusto
Capolina,
altra
vittima
del
menisco,
entrò
in
clinica
per
farsi
operare.
Nella
prima
partita
amichevole
il
Napoli
schierava
in
formazione
Chellini,
Soldani,
Delfrati;
Todeschini,
Vultaggio,
Di
Costanzo,
Krieziu,
Dagianti,
Ragona,
De
Andreis
e
d’Alconzo.
Pareggiamo
ad
Alessandria
per
due
a
due
con
goal
di
De
Andreis
e
Krieziu;
l’arbitro
annullò
altre
due
nostre
reti,
suscitando
fischi
e
disapprovazione
da
parte
dello
stesso
pubblico
alessandrino,
vincemmo
a
Prato
per
tre
a
uno
con
goal
di
Dagianti,
Todeschini
e
D’Alconzo,
ma
perdemmo
contro
l’Udinese
per
tre
a
due.
Il
sedici
ottobre
Suprina,
con
grande
soddisfazione
di
Monzeglio,
torna
all’ovile
e
Usberti,
ala
ambidestra
del
Brescia,
accetta
l’ingaggio.
A
Modena
pareggiammo
per
zero
a
zero
(opponendo
Vultaggio
all’ex
azzurro
55
Brighenti)
ma
vincemmo
a
Taranto
per
due
a
uno
con
goal
di
D’Alconzo
e
Todeschini;
perdemmo
poi
contro
la
Spal
per
due
a
uno
(De
Andreis);
a
Legnano
Suprina
tornò
al
comando
del
quintetto
azzurro
regalandoci
due
fantastici
goal:
vincemmo
per
quattro
a
uno
con
due
reti
di
D’Alconzo
e
Krieziu;
poi,
incredibile
ma
vero,
incassammo
cinque
reti
dallo
Spezia!
Musolino
riuscì,
nel
frattempo,
ad
accaparrarsi
Mario
Astorri,
lo
“sceriffo”,
ceduto
al
Napoli
dall’Atalanta;
attesa
febbrile
per
il
derby
contro
la
Salernitana
che
vincemmo
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Soldani
su
rigore
a
quattro
minuti
dalla
fine;
l’Empoli,
complice
la
pioggia
e
ancor
di
più
l’arbitro,
che
negò
un
evidente
rigore,
riuscì
a
sconfiggerci
per
uno
a
zero
ma
pareggiammo
con
la
Reggiana
per
due
a
due
sul
campo
neutro
del
Cremona,
con
un
goal
di
De
Andreis
e
uno
di
Astorri;
pareggiammo
di
nuovo
a
Livorno,
per
zero
a
zero;
le
triglie
livornesi
non
abboccarono
alle
nostre
avances
e
anzi,
innervosite,
se
la
presero
con
il
povero
Soldani,
fomentando
Vultaggio
che,
alla
fine,
si
fece
espellere.
Niente
da
fare
nemmeno
a
Siracusa,
dove
non
riuscimmo
a
portare
a
casa
che
un
modesto
zero
a
zero.
Fuga di La Paz
Nel
dicembre
del
quarantanove
Musolino,
deciso
a
tutti
i
costi
a
riportare
la
squadra
in
massima
divisione,
comunicò
da
Milano
di
aver
ingaggiato
Federico
Zanolla,
proveniente
dal
Torino;
il
buon
Egidio
riteneva
di
aver
concluso
un
grande
affare,
ignorando
probabilmente
il
comportamento
piuttosto
balzano
del
giocatore
che
influiva
considerevolmente
sulle
sue
qualità
calcistiche.
Anche
Roberto
La
Paz
non
scherzava
in
materia
di
stranezze;
decise,
infatti,
di
lasciare
il
Napoli
di
punto
in
bianco
per
traferirsi
all’Olimpico
di
Marsiglia,
facendo,
tra
l’altro,
intascare
al
Club
azzurro
un
milione
settantasette
mila
lire
e
ottocento
centesimi
(gli
spiccioli
derivavano
dal
cambio
tra
valuta
estera
e
Am-‐lire).
Gino
Scuotto,
eletto
nel
frattempo
Assessore
allo
Sport,
comunicò
in
conferenza
stampa
che
il
Comune
aveva
reperito
i
fondi
necessari
per
l’acquisto
del
suolo
in
zona
flegrea
dove
sarebbe
sorto
il
nuovo
stadio
e,
addolcito
dalla
circostanza,
anticipò
la
strenna
natalizia.
Il
Napoli,
come
la
Befana,
elargiva
intanto
goal
a
destra
e
a
manca.
Dagianti,
che
si
era
fratturato
il
perone
a
Pisa,
decise
di
farsi
curare
a
Roma
con
scarsi
risultati.
Quando
lo
visitai,
mi
accorsi
che
bisognava
“smontare”
tutto
e
rimettere
le
cose
a
posto.
Il
Napoli,
in
ogni
caso,
continuò
a
vincere
e
Suprina
a
compiere
prodigi,
appoggiato
dalla
spalla
pirata
di
Todeschini,
vero
motore
di
una
squadra
lanciata
ormai
sulle
ali
dell’entusiasmo.
La scalata
Continuando
la
nostra
serie
vittoriosa
sconfiggiamo
il
Siracusa
per
uno
a
zero,
la
Cremonese
per
tre
a
uno,
il
Brescia
per
cinque
a
zero
(tre
bordate
di
Suprina,
una
di
Krieziu,
seguito
da
Astorri,
e
una
di
Aldo
Brandimarte);
continuiamo
a
vincere
contro
il
Fanfulla
per
quattro
a
uno
e
il
Vicenza
per
uno
a
zero;
la
scalata
è
quasi
compiuta.
Leo
Brandi,
cantante
supertifoso,
spopola
con
“In
Serie
A!”,
una
canzone
da
lui
stesso
composta
sulla
musica
della
più
celebre
“M’aggia
curà!”
di
Cioffi
e
Pisano.
56
Incontriamo
infine
il
Catania
in
uno
scontro
di
vulcani
in
un
delirio
di
folla;
segna
di
forza
Suprina
ma
i
catanesi
pareggiano;
Suprina,
da
vero
scugnizzo,
improvvisa
due
o
tre
finte
poi
allarga
sulla
sinistra
e
aspetta
la
palla
che
puntualmente
arriva
superandolo
però
di
qualche
metro
e
con
un
balzo
felino
insacca
in
rovesciata
all’indietro
proprio
sotto
la
traversa
il
goal
della
vittoria.
Musolino
e
Monzeglio
vengono
portati
in
trionfo
mentre
i
tifosi
invadono
pacificamente
il
campo,
solidali
nella
gioia
e
nella
riconoscenza
alla
squadra
del
cuore.
I
goliardi
dell’Ateneo
napoletano
offrono
un
berretto
a
Egidio
Musolino,
mentre
’O
ricciulillo,
al
secolo
Gennaro
Meterangelis,
considerato
il
“Re
di
Forcella”,
scende
in
campo
preceduto
dalla
banda
del
pazzariello,
tenendo
per
la
briglia
un
asinello
addobbato
di
azzurro
e
di
bianco.
Siamo
primi
in
classifica
con
sessantuno
punti,
settantasei
goal
segnati
e
trenta
quattro
ricevuti.
Musolino,
lungi
dal
cullarsi
sugli
allori,
riparte
in
cerca
d’acquisti
per
il
successivo
Campionato
e
torna
con
il
carniere
pieno,
portando
a
casa,
Silvio
Formentino,
dal
Genoa,
Leandro
Remondini,
dalla
Lazio,
Giuseppe
Casari,
dall’Atalanta,
Amedeo
Amadei,
dall’Inter,
Farnese
Masoni,
dalla
Cremonese,
Antonio
Bacchetti
e
Giuseppe
Gaggiotti,
dal
Brescia;
a
parte
il
fuggitivo
La
Paz,
ci
lasciano
invece
Morgia,
Ragona
e
D’Alconzo.
Nella
prima
partita
contro
la
Fiorentina
il
Napoli
schiera
in
formazione
Casari,
Vultaggio,
Soldani,
Todeschini,
Remondini,
Gramaglia,
Krieziu,
Formentin,
Amadei,
Bacchetti
e
Masoni;
di
fronte
a
trenta
mila
tifosi
vinciamo
per
tre
a
due
con
goal
di
Bacchetti,
Krieziu,
e
Remondini
su
rigore.
Pareggiamo,
invece
con
l’Atalana
per
due
a
due;
segnano
Krieziu
e
Remondini
e
viene
annullata,
inopinatamente,
una
nostra
rete.
Prima
battuta
d’arresto
con
il
Bologna
che
ci
supera
per
due
a
zero
in
un
clima
di
scorrettezze
che
costò
l’infortunio
di
Remondini
e
l’espulsione
di
Bacchetti;
una
grandinata
di
palloni
da
parte
del
trio
GRE-‐NO-‐LI
(Gre,
Nordhal
e
Liedholm)
ci
aspetta
invece
a
Milano
dove
perdiamo
per
cinque
a
tre;
perdiamo
di
nuovo
contro
l’Inter
per
quattro
a
tre;
i
tifosi
aspettano
al
varco
Amadei,
ex
nero-‐
azzurro,
incuriositi
tra
l’altro
dall’antica
rivalità
tra
lui
e
Lorenzi;
Gramaglia
gioca
a
centromediano
e
Granata
in
posizione
di
laterale
destro
e,
per
l’occasione
rientra
anche
Bacchetti,
un
altro
ex.
La
folla
di
sessantamila
spettatori
straripa
da
tutte
le
parti
ed
è
costretta
a
invadere
pacificamente
la
pista
per
assistere
alla
contesa
sotto
la
vigilanza
della
Celere.
Il
Napoli
che
a
Milano
è
stimato
e
rispettato
schiera
in
formazione
Casari,
Delfrati,
Vullaggio,
Todeschini,
Gramaglia,
Granata,
Krieziu,
Formentin,
Amadei,
Bacchetti
e
Masoni.
L’Inter
passa
in
vantaggio
con
un
goal
con
Rossetti
seguito
da
Wilkes
e
da
Lorenzi
che
ne
segna
due
ma
il
Napoli
risponde
con
due
goal
di
Bacchetti
e
uno
di
Masoni
(detto
“spazzolino”
per
i
capelli
cortissimi)
che
però
si
scontra
con
Blason,
che,
nel
secondo
tempo,
lo
aggredisce
con
un
calcio
a
freddo;
il
fallo,
ignorato
dall’arbitro,
viene
fischiato
dallo
stesso
pubblico
milanese;
Vultaggio
si
fa
male
a
una
caviglia
ma
la
lotta
continua
fino
all’ultimo
secondo
tra
l’entusiasmo
del
pubblico
che
scandisce
ammirato
il
nome
di
Masoni.
Pareggiamo
per
uno
a
uno
contro
il
Genoa;
una
partita
mediocre
sotto
un
cielo
grigio;
perdiamo
poi
per
uno
a
zero
contro
la
Lucchese
l’incontro
che
segnò
la
fine
della
carriera
del
giovane
e
brillante
Masoni;
Mike
aveva
già
segnato
su
rigore
per
i
lucchesi
ma,
sull’uno
a
zero,
fu
assegnato
un
rigore
anche
a
nostro
favore
al
trentasettesimo
del
primo
tempo,
battuto
da
Amadei;
il
bolide
torna
in
campo
dopo
aver
rimbalzato
sulla
traversa
e
“spazzolino”
si
lancia
sul
pallone
per
prenderlo
al
volo
ma
compie
una
giravolta
su
stesso,
accasciandosi
al
suolo,
senza
essere
stato
spinto
né
toccato.
Quel
movimento
brusco
e
veloce
di
avvitamento
gli
ha
fatalmente
leso
i
legamenti
del
ginocchio
sinistro.
Chirurghi e calciatori
57
L’incidente
condizionò
seriamente
la
carriera
di
Masoni.
Mi
resi
conto
durante
la
visita
che
i
legamenti
esterni
del
ginocchio
si
erano
lacerati;
dopo
aver
rimosso
i
fluidi
in
eccesso,
provvidi
a
ingessare
l’arto
e
prescrissi
venti
giorni
di
assoluta
immobilità,
giudicando
il
giocatore
guaribile
entro
sessanta
giorni.
Masoni,
un
po’
prima
di
Natale
si
recò
a
Pisa
per
passare
le
ferie
in
famiglia
e
approfittò
dell’occasione
per
farsi
visitare
a
Firenze
da
Scaglietti;
il
“chirurgo
dei
calciatori”
avanzò
l’ipotesi
di
una
probabile
lesione
del
menisco,
invitandolo
a
farsi
ricoverare
presso
il
suo
Istituto
per
eseguire
gli
accertamenti
necessari
e
giungere
quindi
a
una
diagnosi
precisa.
A
gennaio,
Monzeglio,
di
ritorno
da
un
incontro
con
l’Udinese,
si
fermò
a
Roma
per
chiedere
il
parere
del
Professor
Zappalà
che
decretò
la
lesione
del
menisco
esterno,
e
decise
per
l’intervento
immediato;
il
dieci
febbraio
Masoni
tornò
a
Napoli
con
il
ginocchio
ancora
dolorante
e
chiese
il
mio
parere.
Lo
invitai,
ovviamente,
a
rivolgersi
al
Professor
Zappalà.
Riconfermato
per
il
Campionato
1951,
Masoni
riprese
a
giocare
ma,
durante
un
incontro
con
il
Lecce
subì
una
nuova
distorsione.
Mi
resi
conto
che
questa
volta
si
era
davvero
fratturato
il
menisco
superstite,
quello
interno,
che
Zappalà
non
gli
aveva
asportato;
chiese
in
quell’occasione
di
essere
affidato
alle
mie
cure
ma,
naturalmente,
rifiutai.
Il
dieci
marzo
Masoni
si
ricoverò
nuovamente,
a
Roma,
accompagnato
dal
sottoscritto;
Zappalà
m’invitò
cortesemente
ad
assisterlo
nell’intervento
e
io,
con
altrettanta
cortesia,
rifiutai.
A
maggio
riprese
con
prudenza
gli
allenamenti;
il
ginocchio
migliorò
progressivamente
ma
non
sarebbe
mai
più
stato
quello
di
un
calciatore.
Torniamo
al
Campionato;
dopo
il
Lucca
arrivò
il
Como
e
prese
una
stangata
memorabile,
perdendo
per
sette
a
zero;
segnarono
Todeschini,
Amadei,
Astorri,
Formentin,
Krieziu
e
Bacchetti,
in
vena,
quel
giorno,
di
prodezze;
perdemmo
poi
con
la
Juventus
per
tre
a
due
un
incontro
all’insegna
del
bel
gioco;
a
due
minuti
dalla
fine
Amadei
riceve
un
pallone
da
Astorri
e
segna,
di
forza,
il
terzo
goal
napoletano,
quello
del
pareggio,
ma
l’arbitro
decreta
un
fallo
immaginario,
accolto
da
una
salva
di
fischi
perfino
dallo
sportivissimo
pubblico
torinese.
Ci
rifacciamo
a
Novara,
vincendo
per
tre
a
zero
con
goal
di
Soldani,
Bacchetti
e
Amadei
e
pareggiamo
con
la
Roma
(zero
a
zero)
con
migliaia
di
tifosi
napoletani
sugli
spalti
che
sparano
mortaretti
al
suono
delle
trombe;
quattro
a
zero,
invece,
ai
danni
della
Sampdoria
con
due
goal
di
Astorri
e
due
di
Bacchetti
e
infine
un
altro
pareggio
con
il
Pro
Patria
(uno
a
uno),
con
un
goal
di
Remondini
su
rigore.
Nella
stessa
giornata
Ivo
Suprina,
che
aveva
tanto
contribuito
alla
conquista
della
Serie
A,
stanco
di
fare
la
riserva,
non
si
presenta
all’appuntamento
con
il
Bari
della
squadra
B,
facendosi
appioppare
una
multa
di
quaranta
mila
lire.
Incontriamo
la
Lazio
che
ce
le
suona
per
tre
a
uno;
solito
derby
all’insegna
solito
della
tensione;
la
Lazio
è
molto
forte
in
quella
stagione
perché
ha
trovato,
tra
l’altro,
la
sua
punta
di
diamante
in
Dionisio
Arce,
estroso
e
abile
centravanti
paraguaiano
acquistato
nel
1949.
Il
Guarany,
nomignolo
proveniente
da
un’operetta
brasiliana,
scommise
con
i
giornalisti
che
lo
intervistavano
che
la
Lazio
avrebbe
vinto
l’incontro,
impegnandosi,
in
caso
contrario,
a
offrire
la
cena
a
tutti
i
presenti.
La
pioggia
aveva
trasformato
il
campo
in
una
palude
ma
Arce
mantenne
parola,
segnando
il
primo
goal;
Bacchetti
accorciò
le
distanze
ma
l’esito
della
partita
era
ormai
segnato.
Continuiamo
a
batterci
in
Campiomato
con
una
serie
di
risultati
favorevoli
e
qualche
scivolone:
Torino-‐Napoli
zero
a
zero;
Napoli-‐Triestina
due
a
uno
(segna
Krieziu
e
raddoppia
Formentin
su
passaggio
di
Amadei);
Palermo-‐Napoli
zero
a
uno
(Krieziu);
Udinese-‐Napoli
zero
a
uno
(Krieziu);
Napoli-‐Padova
uno
a
zero
(Amadei);
Fiorentina-‐Napoli
due
a
zero;
Napoli-‐Atalanta
zero
a
zero;
Napoli-‐Bologna
quattro
a
uno:
ritorna
il
bel
gioco
di
Bacchetti;
Formentin
segna
un
goal
formidabile,
seguito
da
Astorri
e
da
Remondini
su
rigore,
mentre
Vanz
s’incarica
di
marcare
un’autorete;
Milan-‐Napoli
due
a
uno,
con
un
goal
di
Amadei
su
58
rigore;
Napoli-‐Inter
zero
a
quattro
all’insegna
del
catenaccio
ambrosiano
con
inesorabile
contropiede
affidato
a
Nyers
che
da
solo
segna
tre
goal.
9
Anni ruggenti
59
Scompare Musolino
Il
ventidue
febbraio
1951
Egidio
Musolino,
protagonista
della
rinascita
azzurra,
chiuse
gli
occhi
per
sempre,
stroncato
da
un
infarto.
L’incendio
del
ristorante
D’Angelo
in
via
Aniello
Falcone
cui
aveva
assistito
dal
balcone
di
casa
qualche
ora
prima
lo
aveva
sicuramente
turbato,
anche
se
i
familiari
riferirono
che
si
era
addormentato
normalmente;
aveva
quaranta
tre
anni
ed
era,
in
apparenza,
nel
pieno
del
vigore.
Due
giorni
dopo,
sul
terreno
di
Marassi,
gli
azzurri
piegarono
il
Genoa
per
due
a
uno
con
goal
di
Remondini
e
Krieziu;
i
genovesi
applaudirono
sportivamente
in
omaggio
allo
scomparso
Presidente,
sostituito,
nel
frattempo
da
Gino
Scuotto
e
Alfonso
Cuomo.
Nel
frattempo
Casari
e
Amadei
vengono
convocati
per
la
Nazionale
italiana
che
incontrerà
il
Portogallo
a
Lisbona.
In
Campionato
vinciamo
contro
la
Lucchese
per
uno
a
zero
(Astorri)
e
contro
il
Como
per
uno
a
due
(Astorri
e
Bacchetti)
ma
pareggiamo
poi
con
la
Juventus
per
uno
a
uno;
e
poi
arriva
il
Novara
che
ce
le
suona
per
sei
a
zero
grazie
anche
alle
prodezza
dell’ormai
quarantenne
Silvio
Piola
che
si
scatena
e
segna
due
goal,
imitato
da
Renica,
Pesaola
e
Arangelovich.
Riusciamo
appena
a
pareggiare
con
la
Roma
(zero
a
zero)
e
incassimao
tre
sventole
dalla
Sampdoria
(tre
a
uno)
mentre
Amadei,
Bacchetti
e
Astorri
ci
regalano
un
tre
a
uno
contro
il
Pro
Patria;
pareggiamo
ancora
con
la
Lazio
(zero
a
zero),
con
la
Triestina
(uno
a
uno)
e
con
il
Torino
(uno
a
uno)
grazie
a
un
goal
di
Krieziu
e
un’autorete
di
Remondini,
riscattandoci
infine
con
un
netto
tre
a
zero
contro
il
Padova
per
merito
soprattutto
di
Amadei
punto
nell’orgoglio
per
non
essere
stato
convocato
in
Nazionale.
Anche
la
quarantanovesima
edizione
del
massimo
Campionato
si
avvia
ormai
alla
conclusione.
La
squadra
è
piaciuta,
nonostante
i
momenti
critici
e
le
giornate
di
abulia;
grandi
giocatori
come
Amadei,
Krieziu
e
Bacchetti
hanno
ancora
una
volta
confermato
la
loro
stoffa
di
campioni.
Dopo
aver
sconfitto
l’Udinese
per
due
a
uno
e
aver
perso
contro
il
Padova,
gli
azzurri
si
classificano
al
sesto
posto
con
quarantuno
punti,
cinquanta
sette
goal
segnati
e
cinquantadue
ricevuti
mentre,
per
la
prima
volta,
la
Roma
retrocede
in
serie
B
in
compagnia
del
Genoa.
Segnali di crisi
Per
affrontare
il
Campionato
1951-‐1952
l’Assemblea
Straordinaria
dei
Soci
elegge
Alfonso
Cuomo
alla
presidenza
e
conferma
Monzeglio
allenatore;
i
problemi,
tuttavia,
sono
sempre
di
ordine
finanziario
e,
nella
speranza
di
ottenere
finanziamenti
adeguati,
si
pensa
dunque
di
avvicinare
nuovamente
Lauro
che
non
è
insensibile
alle
esigenze
della
Società
azzurra
e
della
tifoseria
anche
per
ragioni
di
propaganda
politica.
Si
procede
dunque
con
maggiore
serenità
alla
campagna
acquisti;
raggiungono
la
squadra
Ferruccio
Cassin,
dell’Arezzo,
Stefano
Mike,
in
prestito
dal
Bologna,
Giulio
Castelli
del
Genoa
(pagato
quaranta
milioni!),
Jeno
Eugen
Vinyei,
del
Pro
Patria,
Luciano
Comaschi,
del
Crotone,
Flavio
Cecconi
e
Dionisio
Arce,
della
Lazio,
Salvatore
Martire,
del
Barletta,
Luigi
Amicarelli,
dell’Acerrana,
Manlio
Scopigno,
della
Salernitana,
Biagio
Dreossi,
dell’Arezzo
e
Renzo
Giovannini
del
Torino.
Se
ne
vanno,
invece,
Remondini,
Soldani,
Zanolla,
Suprina,
Rosi,
Di
Costanzo,
Gaggiotti,
Vultaggio,
Tirittico,
Morselli
e
Mazzetti
II
mentre
Domenico
De
Nicola,
ex
calciatore
azzurro,
noto
per
la
sua
passione
e
competenza,
ha
il
compito
di
allenare
i
boys
e
prendersi
cura
del
vivaio;
Lauro
viene
eletto
Presidente
Onorario
per
il
contributo
dato
alla
campagna
acquisti.
60
Il
dieci
agosto
inizia
il
romitaggio
presso
l’albergo
San
Elmo
al
Vomero;
si
gioca
una
partita
di
presentazione
contro
il
Columbia,
che
vinciamo
per
sette
a
zero
e
un’altra
contro
il
Pro
Patria,
vinta
ugualmente
per
quattro
a
zero
che
vide,
peraltro,
il
rientro
di
Masoni.
Il
Campionato
iniziò
il
dieci
settembre
con
un
pareggio
contro
l’Udinese
per
uno
a
uno
proprio
grazie
al
nostro
“spazzolino”
che
anche
autore
del
primo
goal
contro
il
Bologna,
sconfitto
per
quattro
a
uno
(Masoni,
Cecconi,
Mike
e
Amadei).
Gli
azzurri
schieravano
in
formazione
Casari,
Delfrati,
Vinyei,
Granata,
Gramaglia,
Castelli,
Mike,
Bacchetti,
Amadei,
Cecconi
e
Masoni;
a
guardarli
giocare
sembrava
di
vedere
il
Napoli
di
Ascarelli
e
Garbutt,
spavaldo,
senza
accorgimenti
tattici
e
difensivi,
aggressivo
e
lucido
nella
manovra:
bravo
Eraldo,
unico
difensore,
oramai,
del
bel
gioco
in
Italia!
Durante
l’incontro
con
il
Padova,
che
vincemmo
per
due
a
zero,
Cecconi
si
fratturò
una
tibia
mentre,
al
diciassettesimo
del
primo
tempo,
avanzava
inarrestabile
verso
la
rete
patavina;
stretto
da
due
avversari,
riuscì,
tuttavia,
a
sganciarsi
riprendendo
la
corsa
verso
la
rete
avversaria,
fermato
però
da
un
tuffo
spericolato
del
portiere
romano
che
si
risolse
in
un
urto
è
violento.
Costatata
la
gravità
della
lesione,
disposi
quindi
il
ricovero
in
ospedale;
Cecconi
decise
di
farsi
operare
dal
sottoscritto
e
dopo
l’intervento
riportò
un
trauma
“psicologico”
che
vale
la
pena
ricordare.
Flavio
era,
infatti,
convinto
che,
nonostante
la
riabilitazione,
il
ginocchio
fosse
ancora
rigido.
Per
dimostrargli
il
contrario
dovetti
anestetizzarlo
e
piegargli
la
gamba,
lasciandolo
in
quella
posizione
fino
al
suo
risveglio!
Giocò
altre
quattro
stagioni
con
il
Palermo
cui,
nel
frattempo,
era
stato
ceduto.
Continuiamo
la
corsa
con
alterne
vicende:
Napoli-‐Lucchese
due
a
zero
(Masoni
e
Formentin);
Sampdoria-‐Napoli
due
a
uno
(Amadei);
Napoli-‐Inter
uno
a
zero
(Granata);
Napoli-‐Pro
Patria
quattro
a
uno
(Amadei,
Todeschini,
Arce,
Formentin);
Torino-‐Napoli
zero
a
due
(Astorri
e
Todeschini);
Napoli-‐Milan
zero
a
due
(e
quattro
mila
lire
di
multa
ad
Arce
per
scarso
rendimento);
Napoli-‐Padova
uno
a
due
(Casari
non
“vede”
un
goal
di
Giardi
da
quaranta
metri
e
uno
di
Bravi
su
punizione
da
fuori
area);
Lazio-‐Napoli
uno
a
zero;
Napoli-‐
Triestina
zero
a
zero;
Como-‐Napoli
due
a
quattro
(due
stangate
dello
“sceriffo”
Astorri
e
due
del
polacco
Vinyei).
Mike
prende
una
pallonata
in
pieno
addome
e
dopo
la
partita
avverte
dolori
e
nausea;
appendicite
acuta
e
conseguente
intervento
che
mi
vede,
ancora
una
volta,
protagonista.
Privo
di
Cecconi,
di
Mike,
Bacchetti,
Masoni
e
Todeschini,
il
Napoli,
non
riesce
a
fare
gioco
contro
le
zebre
juventine
e
incassiamo
un
rigore
per
opera
di
Mari;
Astorri
pareggia
ma
Hansen
raddoppia,
siglando
il
definitivo
due
a
zero.
Segue
un
intermezzo
amichevole
con
il
River
Plate.
Gioca
Masoni
ancora
titubante
e
Martire,
in
posizione
di
centravanti,
che
segna.
Gli
argentini
vincono
con
un
goal
di
Labruna
e
uno
di
Gomez.
A
Ferrara
Casari
para
un
rigore
ma
incassa
due
goal;
Amadei
segna,
Krieziu
colpisce
la
traversa,
Formentin
bisticcia
con
l’arbitro
e
subisce
due
domeniche
di
squalifica.
Hasse Jeppson
Dopo
questa
partita
Baccheti
si
presentò
in
Sede
baldanzoso
per
chiedere
il
pagamento
anticipato
di
tutti
i
suoi
compensi
fino
alla
fine
del
Campionato,
sostenendo
che
un
rifiuto
61
avrebbe
potuto
nuocere
alla
sua
vena
e
influire
sul
mordente……
Il
Club
rispose
picche
e
Bacchetti
non
si
presentò
più
agli
allenamenti
subendo
una
multa
di
quaranta
mila
lire,
la
sospensione
dai
premi
e
il
deferimento
alla
Lega.
In
Campionato
si
continua
con
risultati
alterni:
Napoli-‐Fiorentina
due
a
quattro
(gioca
Masoni
ancora
timoroso
per
il
suo
ginocchio
e
segnano
Astorri
e
Amadei);
Legnano-‐Napoli
due
a
quattro
(ancora
Masoni
all’ala
sinistra;
Segnano
Amadei,
Astorri
e
Krieziu;
sempre
assente
Bacchetti
la
cui
sospensione
era
stata
intanto
ratificata
dalla
Lega);
Napoli-‐Udinese
uno
a
due;
Napoli-‐Bologna
uno
a
uno
(Arce);
spettacolari
parate
di
Casari
a
Padova,
dove
vinciamo
per
uno
a
zero
(Krieziu)
e
ottimo
esordio
di
Luciano
Comaschi
che
sostituisce
Vinyei;
Lucchese-‐Napoli
zero
a
zero;
Napoli-‐Sampdoria
uno
a
zero
(Astorri);
Inter-‐Napoli
tre
a
zero
riscattata
però
da
un
quattro
a
due
contro
l’Atalanta
dove
giocano
Jeppson
e
Soerensen,
autori
dei
goal.
Il
Napoli
adotta
per
la
prima
volta
uno
schieramento
a
mezzo
sistema,
con
Gramaglia
su
Jeppson,
Vinyei
libero
e
Granata
arretrato.
Segnano
Formentin,
Vinyei,
Amadei
e
Astorri.
Nel
prosieguo
di
Campionato
Piola
regala
al
Novara
(che
vince
per
uno
a
zero)
l’unica
vittoria
sul
terreno
del
Napoli;
pareggiamo
invece
con
il
Pro
Patria-‐Napoli
per
zero
a
zero
(debutto
di
Giovannini
a
mediano
sinistro
e
Martire
centravanti)
e
stravinciamo
contro
il
Torino
co
un
netto
quattro
a
zero
(ritorno
di
Arce
in
prima
linea;
segnano
Astorri,
Gramaglia
e
Amadei;
Castelli
subisce
una
distorsione
al
ginocchio
sinistro
e
viene
ingessato);
pareggiamo
ancora
con
il
Milan
per
zero
a
zero
(grossolana
svista
dell’arbitro
Pieri
che
non
vede
due
goal
di
Mike
e
infortunio
di
Arce
nei
primi
minuiti
di
gioco)
e
vinciamo
per
due
a
uno
(Mike)
contro
il
Padova
e
contro
la
Lazio
(debutto
di
Scopigno
a
terzino
e
goal
di
Mike
e
Amadei).
Il
ventinove
aprile
1952
si
riunisce
l’Assemblea
Straordinaria
degli
Azionisti
per
decidere
lo
scioglimento
e
la
liquidazione
della
Società
affidata
ad
Alfonso
Cuomo;
per
salvare
il
Napoli
occorrono
consistenti
sacrifici
e
Lauro
dà
il
buon
esempio
rinunciando
a
un
credito
di
cinquanta
milioni
e
impegnandosi
a
versarne
altrettanti
per
condurre
a
termine
la
gestione.
Il
resto
dei
soci
si
adegua
e
rinuncia
all’ammontare
complessivo
dei
crediti,
stimato
in
altri
cinquanta
milioni;
si
decide
dunque
di
creare
una
nuova
Società
che
emetterà
azioni
di
mezzo
milione
alfine
di
costituire
il
capitale
necessario
per
la
campagna
acquisti.
La
Juventus
vince
il
Campionato
mentre
il
Napoli
si
classifica
al
sesto
posto
con
quaranta
due
punti,
sessanta
quattro
reti
segnate
e
quaranta
quattro
subite.
Durante
la
pausa
estiva
la
Dirigenza
è
in
gran
fermento.
Lauro,
cosciente
della
popolarità
derivante
dalla
sua
partecipazione
alle
vicende
del
Napoli,
si
reca,
in
compagnia
di
Monzeglio,
a
Milano
dove,
all’albergo
Gallia,
si
svolge
la
borsa
calcistica
nazionale
e
decide,
con
un
gesto
clamoroso,
di
acquistare
per
centotrentacinque
milioni
di
lire
il
fuoriclasse
Hans
Jeppson,
prontamente
ribattezzato
dalla
tifoseria
napoletana
Banco
di
Napoli,
poiché
da
solo
valeva
quanto
l’intero
capitale
del
più
importante
istituto
di
credito
cittadino.
“Gesù,
è
caduto
il
Banco
di
Napoli!”,
esclamò,
infatti,
una
voce
nella
folla
tra
il
serio
e
il
faceto,
quando
lo
svedese
cadde,
atterrato
da
un
avversario,
durante
uno
dei
primi
incontri
disputati.
Hans
Olaf
Jeppson,
detto
Hasse,
nato
a
Kungsbacha
(Svezia)
il
dieci
maggio
1925,
era
stato
centravanti
della
Nazionale
Svedese
ai
Campionati
del
Mondo
del
1950
a
Rio
de
Janeiro
e,
in
seguito,
aveva
giocato
per
il
Charlton
Athletic
di
Londra,
approdando
al
calcio
italiano
con
l’Atalanta
nel
1951;
era
un
ragazzone
alto
e
simpatico,
colto,
amante
della
musica
e,
soprattutto,
del
tennis
di
cui
era
stato
campione
nazionale
studentesco.
Hasse
era
un
centravanti
all’antica,
amante
dello
spettacolo,
intelligente
e
freddo;
uno
dei
migliori,
con
Sallustro
e
Vinicio,
che
io
abbia
visto
giocare
in
maglia
azzurra;
assieme
a
lui
fu
acquistato
Giancarlo
Vitali,
ala
sinistra,
dalla
Fiorentina,
per
ventisei
milioni;
si
diceva
che
avesse
un
piede
in
disordine
ma,
visitandolo,
riscontrai
che
si
trattava
solo
di
una
vecchia
frattura
perfettamente
calcificata.
62
Il “Petisso”
Durante
quella
memorabile
stagione
fu
acquistato
Bruno
Pesaola,
argentino
di
nascita
ma
oriundo
per
origini
perché
i
genitori
erano
nativi
di
Macerata.
Proveniva
dal
Novara
ma
aveva
militato,
in
precedenza,
nei
ranghi
della
Roma,
dove,
peraltro,
aveva
subito
un
infortunio
piuttosto
grave
alla
tibia.
Il
petisso,
nonostante
la
modesta
statura
(che
gli
valse
appunto
l’appellativo),
era
un
atleta
dotato
di
una
potenza
muscolare
impressionante,
velocissimo,
irreprensibile
nel
controllo
della
palla,
con
uno
sviluppo
toracico
e
una
capacità
respiratoria
che
raramente
ho
visto
in
altri
giocatori;
è
stato
uno
degli
elementi
più
preziosi
che
il
Napoli
abbia
mai
avuto,
formidabile
goleador
coraggioso,
altruista
e
sagace.
Al
raduno
che
si
tenne
l’otto
agosto
1952,
le
forze
calcistiche
partenopee
comprendevano
dunque
Casari
e
Dreossi
(portieri);
Vinyei,
Comaschi,
Delfrati,
Scopigno
(terzini);
Castelli,
Gramaglia,
Granta,
Sessa,
Cassin
(mediani);
Vitali,
Formentin,
Jeppson,
Amadei,
Pesaola,
Astorri,
Krieziu,
Masoni,
Amicarelli.
Ci
lasciarono
invece
Bacchetti,
acquistato
dall’Udinese,
Arce,
dalla
Sampdoria,
Mike,
che
rientrava
al
Bologna
per
fine
prestito,
Todeschini
e
Cecconi
ceduti
al
Palermo,
Giovannini,
al
Bari,
e
Martire
al
Maglie.
Monzeglio
radunò
la
nuova
squadra
all’Hotel
Parker
di
Napoli
per
un
periodo
di
vita
collegiale
e
di
acclimatamento
che
consentì
di
raggiungere
un
buon
livello
di
affiatamento
fisico
e
morale,
dando
inizio
alla
preparazione
con
due
sedute
atletiche
giornaliere.
Il
debutto
avvenne
il
primo
settembre
in
un’amichevole
contro
il
Kapfenberg
di
Vienna,
sconfitto
per
cinque
a
uno
con
tre
reti
di
Jeppson,
una
di
Pesaola
e
una
di
Castelli,
seguita
da
un
successivo
incontro
contro
la
svedese
Idrotts
che
incassò
nove
goal.
Mi ha fatto un goal!
Ispirato
dal
contesto
partenopeo,
il
bergamasco
Casari,
detto
per
la
sua
stazza
“il
gigante
buono”,
scoprì
di
essere
un
poeta
e
compose
una
canzonetta
musicata
da
Acampora
e
Dura
che
Pino
Cuomo
lanciò
nelle
manifestazioni
canore
di
Piedigrotta.
Il
brano
che
strizzava
l’occhio
alla
professione
del
suo
autore
s’intitolava
“M’ha
fatto
un
goal”
e
merita
di
essere
integralmente
riportato.
“Salendo
su
dalla
collina
che
da
Mergellina
in
Paradiso
va,
mi
viene
incontro
una
biondina,
una
bambolina
dai
capelli
d’or.
Mi
blocco
davanti
a
due
occhi
turchini
Che
mi
fan
sospirar……..
M’ha
fatto
un
goal
Una
bella
bambina
con
gli
occhi
ha
spezzato
La
rete
del
mio
cuor
M’ha
fatto
un
goal
Scavalcando
il
terzino
Un
bel
tiro
ha
sfondato
La
porta
del
mio
cuor…..
63
Uh!
Mamma
mia
che
tiro!
Che
tiro,
mamma
ma’
I’
comme
l’arreparo
‘Nu
tiro
‘e
chistu
ccà?
M’ha
fatto
il
goal
Una
bella
bambina:
Con
gli
occhi
ha
sfondato
La
porta
del
mio
cuor…….
M’ha
fatto
un
goal
M’ha
fatto
un
goal
M’ha
fatto
un
goal
Il
quattordici
settembre,
con
Casari
compositore
e
Monzeglio
direttore
d’orchestra,
prese
il
via
il
Campionato
di
massima
divisione
con
una
prima
vittoria
contro
l’Atalanta
che
perse
per
due
a
zero;
gli
“ex”
di
Jeppson
lo
accolgono
immusoniti
e
non
gli
risparmiano
scorrettezze
e
ostruzionismo
ma
Amadei
e
Vitali
s’incaricano
di
portare
a
casa
il
risultato
e
ristabilire
il
rispetto
in
famiglia.
Pareggiamo
poi
a
Marassi
contro
la
Sampdoria
per
zero
a
zero
al
cospetto
della
folla
delle
grandi
occasioni
venuta
soprattutto
per
Jeppson
che
però
non
è
ancora
in
forma;
la
squadra
sembra
slegata
ma
in
compenso
i
blu-‐cerchiati
picchiano
come
matti!
Grande
vittoria
in
seguito
contro
l’Udinese,
sconfitta
per
quattro
a
uno:
con
i
friulani
c’è
Bacchetti
che
gioca
in
modo
esemplare
e
corretto;
Menegotti
segna
ma
la
gioia
è
breve
perché
Amadei
reagisce
e
mette
in
rete
il
goal
del
pareggio
seguito
da
Vitali
che
ne
aggiunge
altri
tre.
Doccia
fredda
invece
contro
a
Milano,
contro
l’Inter
che
vince
per
cinque
a
uno:
il
catenaccio
funziona
e
il
contropiede
dà
i
suoi
frutti
soprattutto
con
una
squadra
che
gioca
lealmente
come
la
nostra;
segnano
Lorenzi
e
Nyers
mentre
Jeppson
è
l’autore
del
nostro
unico
goal.
Perdiamo
ancora
contro
la
Lazio
per
due
a
uno,
complice
anche
un
po’
di
sfortuna;
Jeppson,
infatti,
si
fa
male
dopo
aver
segnato
il
primo
goal
e
Amadei
subisce
uno
stiramento,
lasciando
spazio
a
Larsen
che
infila
due
palloni.
Vinciamo
contro
il
Pro
Patria
per
uno
a
zero
accompagnati
da
una
salve
di
fischi
per
tutta
la
partita
fino
a
quando
Formentin,
a
cinque
minuti
dalla
fine,
trova
la
via
del
goal!
Colpo basso
Jeppson
che
pure
segna
un
gola
spettacolare,
non
riesce
a
evitare
la
nostra
sconfitta
per
due
a
uno
contro
la
Fiorentina
durante
un
incontro
all’insegna
della
scorrettezza;
Magnini,
infatti,
colpisce
duramente
Pesaola
che
resta
fuori
campo
per
qualche
minuto
e
rientra
poi
in
pessime
condizioni,
mentre
Cervato
pesta
il
suo
ex
compagno
Vitali.
Pareggiamo
poi
per
zero
a
zero
con
il
Palermo
dove
giocano
gli
ex
azzurri
Todeschini
e
Cecconi;
la
curiosità
iniziale
del
pubblico
si
trasforma
in
rabbiosa
intemperanza
che
ci
costa
una
bella
multa
di
trentamila
lire.
E,
finalmente
il
riscatto:
Napoli-‐Milan
quattro
a
due!
La
folla
dimentica
i
precedenti
malumori
e
si
entusiasma,
vedendo
il
famoso
trio
Gren,
Nordhal,
Liedholm
travolto
irresistibilmente;
Jeppson,
scatenato,
segna
due
goal,
seguito
da
Amadei,
mentre
Zagati
ci
regala
un
autogoal.
Soffrendo
le
pene
dell’inferno
Monzeglio
allenta
di
continuo
il
nodo
della
sua
cravatta
finché
al
terzo
goal
di
Jeppson,
colto
da
un
collasso,
sviene
tra
le
mie
braccia;
quando
riaprì
gli
occhi,
era
intontito
e
aveva
la
bocca
amara,
assaporando,
probabilmente,
il
fiele
delle
tante
critiche
che
erano
state
mosse
al
suo
sistema
di
gioco
considerato
privo
di
accorgimenti
tattici.
Nei
64
giorni
successivi
ricevette
numerose
testimonianze
di
affetto
e
solidarietà
di
cui
aveva
più
che
mai
bisogno
dopo
il
colpo
basso
che
Lauro,
nel
frattempo,
gli
aveva
tirato
scaricando
su
di
lui
la
responsabilità
della
campagna
acquisti
e
dell’andamento
della
squadra
nel
corso
di
un’intervista
ad
Agostino
Panico
del
Corriere
dello
Sport.
“Caro
dottore
è
facile
gettare
un
sasso
in
piccionaia
ma
il
tempo
è
il
solo
galantuomo
che
io
conosca
e
chiarirà
molte
posizioni
che
oggi
sembrano
oscure”,
mi
disse
in
seguito
il
povero
Monzeglio
che
non
aveva
capito
con
chi
aveva
a
che
fare;
decise
di
dare
le
dimissioni
alla
vigilia
dell’incontro
casalingo
con
il
Palermo,
ma
Lauro
era
fuori
sede;
ci
provò
alla
vigilia
dell’incontro
con
il
Milan
(vinto
per
quattro
a
due)
ma
Lauro
gli
chiese
di
restare.
10
La riscossa
La profezia di Monzeglio
65
Il
Campionato
riprese
con
Como-‐Napoli
perso
per
due
a
uno
(Vitali)
cui
fece
seguito
l’incontro
con
il
Novara
(perso
nuovamente
per
due
a
tre),
noto
come
il
“giallo
dello
spogliatoio”
che
condusse
alla
squalifica
di
Casara,
Comaschi,
Castelli
e
Granata
accusati
di
aver
insultato
un
guardialinee.
Pur
giocando
a
ranghi
ridotti,
vinciamo
poi
contro
il
Bologna
per
tre
a
uno:
San
Petronio
questa
volta
non
riesce
a
fermare
le
staffilate
di
Pesaola,
Jeppson
e
Amadei
che
infilano
di
seguito
la
rete
rossoblù.
Vinciamo
ancora
a
Torino
per
due
a
uno:
Sentimenti
III
parte
alla
carica
e
segna,
ma
il
Napoli
pareggia
con
Vitali;
il
gioco
si
fa
duro
quando
Amadei
sbaglia
un
rigore;
Monzeglio,
che
si
agita
troppo,
incassa
una
multa
di
diecimila
lire,
seguito
da
Vitali
che
ne
colleziona
una
di
sei;
Jeppson,
alla
fine,
ristabilisce
la
calma
siglando
il
goal
della
vittoria.
Monzeglio
profetizza
il
futuro
del
Napoli
analizzando
il
comportamento
dei
tifosi
e
della
squadra.
“Voi,
a
Napoli,
non
farete
mai
nulla
di
buono
dal
punto
di
vista
calcistico
perché
basta
un
minimo
errore,
un
nonnulla,
e
la
gente
comincia
a
fischiare,
a
scalmanarsi,
mettendo
a
terra
il
morale
dei
ragazzi
che,
per
reazione,
cercano
di
strafare,
peggiorando
le
cose.
“In
trasferta,
ovviamente,
il
problema
non
esiste”.
Il
girone
di
andata
si
conclude
con
un
pareggio
contro
la
Triestina
per
uno
a
uno
(Formentin
al
quarantacinquesimo
del
secondo
tempo)
e
una
bella
batosta
con
la
che
vince
per
cinque
a
due;
alla
beffa
si
aggiunge
il
danno
di
settantacinquemila
lire
di
multa
per
lancio
di
mortaretti;
vinciamo
poi
contro
la
Spal
per
uno
a
zero
(Castelli)
e
contro
la
Juve
per
tre
a
due;
i
bianconeri
non
perdevano
a
Napoli
da
dodici
anni.
Hansen
e
Praest
segnano
i
primi
due
goal
ma
Pesaola
accorcia
le
distanze
e
subito
dopo
pareggia;
Amadei,
al
quarantaquattresimo
del
secondo
tempo,
sigla
infine
la
rete
della
vittoria.
E
il
Napoli
incassa
altre
diecimila
lire
di
multa
per
i
soliti
mortaretti.
Lauro,
nel
frattempo,
chiede
una
riforma
dello
Statuto
della
Società
azzurra
che
prevede
l’abolizione
della
carica
di
Vice
Presidente
e
la
costituzione
di
un
Consiglio
e
di
una
Giunta,
presieduta,
quest’ultima,
dallo
stesso
Comandante
coadiuvato
da
Cuomo,
Caputo,
Scuotto,
Muscariello
e
Savarese.
Siamo
al
giro
di
boa
del
girone
di
ritorno
che
comincia
con
Atalanta-‐Napoli
pareggiata
per
uno
a
uno;
Jeppson
ogni
volta
che
gioca
contro
la
sua
prima
squadra
italiana
si
scatena
come
un
demonio
e
mette
in
mostra
i
suoi
numeri
migliori;
per
noi
segna
Ciccio
Formentin.
Vinciamo
poi
contro
la
Sampdoria
per
due
a
uno;
Formentin
segna
per
primo
ma
i
blu-‐
cerchiati
pareggiano.
I
tifosi
azzurri,
come
al
solito,
cominciano
ad
agitarsi
ma,
a
nove
minuti
dalla
fine,
Amadei
infila
un
capolavoro
nella
rete
genovese.
Comaschi
si
è
davvero
battuto
come
un
leone,
meritando
l’epiteto
e
guadagnando
la
convocazione
per
la
Nazionale
Militare.
Pareggiamo
con
l’Udinese
per
uno
a
uno;
Pesaola,
generoso
e
instancabile,
mette
a
segno
una
cannonata
imparabile
al
trentaseiesimo
del
primo
tempo
ma
i
friulani
si
riscattano
con
Moro
su
rigore;
perdiamo
con
l’Inter
per
uno
a
zero
sotto
una
pioggia
fitta
che
trasforma
il
terreno
in
una
palude
dove
gli
interisti
sono
maestri.
Skoglund
e
Nyers
compiono
vere
prodezze
in
area
azzurra,
innervosendo
Comaschi
che
finisce
per
farsi
squalificare
con
grande
soddisfazione
di
“Veleno”
Lorenzi
che,
liberatosi
del
suo
mastino,
sigla
la
vittoria
nerazzurra.
Vittorio
Pozzo
scuote
malinconicamente
la
testa
in
Tribuna,
deluso
da
un
calcio
incapace
di
offrire
spettacolo,
dove
conta
solo
il
punteggio.
La
musica
cambia,
invece,
con
Napoli-‐Lazio
che
vinciamo
per
tre
a
zero;
debutta
Amicarelli
al
posto
di
Formentin.
Vitali
segna
due
goal
e
Amadei
uno;
colpiamo
cinque
pali
e
vediamo
due
reti
annullate!
Il
portiere
laziale
non
riesce
a
controllare
il
suo
livore
nei
confronti
di
Jeppson,
assoluto
padrone
del
campo,
e
gli
sferra
un
calcio
incassando
però
tre
domeniche
di
squalifica.
66
Si
continua
con
una
serie
di
pareggi:
Pro
Patria
Napoli
uno
a
uno
(Formentin);
Napoli-‐
Fiorentina
zero
a
zero
(debutta
Cassin
in
mediana
al
posto
di
Castelli);
Palermo-‐Napoli
zero
a
zero,
nel
rispetto
della
tradizione
(non
perdiamo,
infatti,
a
La
Favorita
dal
lontano
1934);
Milan-‐Napoli
due
a
due;
gli
azzurri
s’impongono
per
il
volume
e
la
piacevolezza
di
gioco
in
una
lotta
aspra
ma
senza
cattiveria
durante
la
quale
l’arbitro
ci
annulla
due
goal.
Vitali
si
eleva
sopra
una
piramide
di
uomini
e
segna
di
testa
una
rete
formidabile
mentre
Formentin,
tanto
per
non
smentirsi,
sigla
il
secondo
goal
tra
gli
applausi
del
pubblico;
il
Napoli
è
davvero
la
più
bella
squadra
vista
a
San
Siro.
Jeppson
segna
contro
il
Como
l’unico
goal
della
giornata
e
della
nostra
vittoria;
stesso
risultato
contro
il
Novara-‐Napoli
ma
la
partita
degenera
in
rissa
in
campo
e
sugli
spalti,
dove
il
pubblico
sfoga
la
sua
ira:
un
sasso
colpisce
alla
testa
l’arbitro
Bellè,
reo
di
non
aver
concesso
un
rigore
inesistente;
segna
Vitali
che,
dopo
il
goal,
restituisce
i
calci
subiti
e
si
fa
espellere
insieme
a
Baira
e
Pombia.
Il
ventiquattro
aprile
1953
si
disputa
Napoli-‐Bologna,
che
termina
per
quattro
a
uno.
Per
Bruno
Gramaglia
non
è
un
giorno
qualunque
perché
compie
trenta
quattro
anni
e,
a
parte
qualche
Campionato
di
guerra,
è
stato
sempre
in
maglia
azzurra.
Era
venuto
tra
noi
nel
lontano
1938,
a
soli
diciannove
anni
dimostrando
subito
la
sua
personalità
tenace,
volitiva
e
intelligente.
Abbiamo
giocato
insieme
tante
partite
e
ho
sempre
ammirato
il
suo
temperamento
agonistico
e
la
sua
serietà
professionale.
Bruno
è
tra
i
pochi
anziani
che
militano
ancora
in
serie
A.
Il
Mattino,
facendosi
portavoce
dell’affetto
e
della
riconoscenza
del
Club
e
dei
tifosi,
gli
ha
offerto
una
medaglia
d’oro
in
segno
di
riconoscimento.
In
questo
clima,
Gramaglia
e
compagni
trovano
l’entusiasmo
e
l’estro
per
travolgere
il
Bologna
sotto
il
peso
di
quattro
reti
siglate
da
Pesaola,
Castelli,
Vitali
e
Jeppson
durante
una
partita
briosa
e
appassionante.
Bel
calcio
a
Torino,
dove
vinciamo
per
tre
a
zero
con
reti
di
Vitali,
Pesaola
e
Jeppson
collocandoci
al
terzo
posto
in
classifica;
vinciamo
ancora
per
tre
a
due
a
Trieste
dove,
prima
della
partita,
Paolo
Innocenti
consegna
alla
squadra
alabardata
una
Coppa
offerta
da
Lauro
in
memoria
della
sciagura
di
Superga;
segnano
Pesaola,
Vitali
e
Jeppson;
il
Napoli
rallenta
il
ritmo
ma
senza
ostruzionismo:
gioca
e
lascia
giocare!
Continuiamo
con
un
pareggio
con
la
Roma
(zero
a
zero)
e
una
batosta
contro
la
Spal
che
infila
quattro
reti
nella
nostra
porta
(quattro
a
uno);
una
partita
imperniata
sugli
errori
di
Casari,
distratto,
probabilmente,
dal
confronto
con
Bugatti
che
il
Napoli
si
è
già
assicurato
per
la
stagione
successiva.
Pareggiamo
ancora
con
la
Juventus
(uno
a
uno);
i
torinesi
applaudono
questo
Napoli
un
po’
guascone
ma
generoso
che
si
butta
nella
mischia
senza
paura.
Per
noi
segna
Hansen
e
Vitali
raddoppia
ma
l’arbitro,
annulla
il
goal.
Terminiamo
così
al
quarto
posto
con
quarantuno
punti,
cinquanta
tre
goal
segnati
e
quaranta
tre
ricevuti;
l’Inter
è
Campione
d’Italia
mentre
Como
e
Pro
Patria
retrocedono.
Comaschi,
Vitali,
Formentin
e
Amadei
conquistano
la
maglia
azzurra
nella
Nazionale
giovanile
che
incontrerà
la
Grecia
ad
Atene.
Il cognac di Bugatti
Durante
l’anno
calcistico
1953-‐1954
il
Napoli
può
contare
su
una
discreta
compagine
di
giocatori
tra
cui
Bugatti,
Casari,
Dreossi
e
Morselli
(portieri);
Comaschi,
Vinyei,
Delfratti,
Del
Bene
(terzini),
Gramaglia,
Sessa,
Ferraro,
Castelli,
Granata
e
Giovannini;
Vitali,
Formentin,
Jeppson,
Pesaola,
Amadei,
Ciccarelli,
Cassin,
Amicarelli,
Musci
e
Martire
(attaccanti).
Masoni
è
67
stato
invece
ceduto
in
prestito
al
Novara
per
un
anno;
Astorri
va
al
Monza
e
Cecconi
al
Verona,
dopo
il
rientro
dal
Palermo;
ci
lasciano
anche
Krieziu
e
Scopigno.
Il
sette
agosto
Monzeglio
convoca
i
suoi
atleti
alla
Palazzina
Azzurra
del
Vomero.
Bugatti,
in
pantaloni
corti
e
camiciola
nera
aperta
sul
petto,
arriva
tra
i
primi
a
bordo
di
una
rombante
fuori
serie
Fiat
1400
di
colore
amaranto,
accompagnato
da
un
suo
cugino;
sul
sedile
posteriore
della
macchina
sono
sparsi
giornali,
una
borsa
da
viaggio
e
qualche
bottiglia
di
cognac:
troppo
per
il
buon
Eraldo
che
si
lancia
in
una
delle
sue
proverbiali
filippiche,
lasciando
di
stucco
il
povero
Ottavio.
Il
cugino
sparì,
portandosi
via
il
cognac,
ma
l’episodio
fu,
probabilmente,
all’origine
della
sostanziale
antipatia
tra
i
due
che
esplose
poco
dopo,
durante
un
allenamento.
Monzeglio
redarguì
Bugatti,
poco
attento,
a
suo
avviso,
e
incapace
di
scattare
come
avrebbe
dovuto
fare
un
portiere
che
si
rispetti
e
Ottavio,
sacramentando,
replicò
che
gli
sembrava
un’idiozia
metterlo
lì
tra
i
pali
di
fronte
a
palloni
calciati
violentemente
da
tutte
le
parti,
a
rischio
della
sua
incolumità
e
senza
giovamento
alcuno
per
il
senso
della
posizione
e
il
reperimento
del
pallone.
Le
urla
di
entrambi
superarono
il
perimetro
dello
Stadio!
Il
ventitré
agosto
la
squadra
debuttò
in
un
incontro
preparatorio
contro
il
Rapid
di
Mentone
vincendo
per
dieci
a
due;
il
trenta
agosto
fu
il
turno
del
Messina
che
prese
cinque
goal,
seguito
dal
Marzotto
che
ne
incassò
sei.
Il
Napoli
cominciava
ad
affiatarsi.
Il
sei
di
settembre,
infatti,
pareggiò
per
due
a
due
contro
i
venezuelani
del
Caracas,
diabolicamente
veloci.
Alla
vigilia
dell’inizio
ufficiale
del
Campionato
Giuseppe
Casari,
non
resistendo
all’umiliazione
di
non
essere
più
titolare,
se
tornò
al
Bergamo,
dove
era
iniziata
la
sua
carriera
di
portiere
che
lo
aveva
portato
fino
ai
Mondiali
di
Rio
de
Janeiro.
Il
Campionato
inizia
con
una
netta
vittoria
contro
il
Palermo
per
tre
a
zero
(Bugatti
conquista
la
folla
con
i
suoi
interventi
spettacolari;
Pesaola
fila
come
il
vento
e
travolge
i
rosanero
con
due
reti
poderose,
imitato
da
Formentin)
e
contro
l’Atalanta
travolta
da
un
clamoroso
sei
a
tre;
Jeppson
ce
l’ha
proprio
con
la
sua
antica
squadra
e
segna
quattro
goal,
lasciando
a
Vitali
gli
altri
due
mentre
Granata
litiga
con
Rasmussen
e
l’arbitro
espelle
entrambi,
squalificandoli.
I
mortaretti
di
protesta
ci
costano
cinquantacinquemila
lire
di
multa.
Il
Napoli
rallenta
pareggiando
poi
con
la
Spal
per
uno
a
uno
(Amadei)
e
con
il
Milan
che
vince
per
uno
a
zero;
i
milanesi
adottano
un’accorta
tecnica
di
copertura,
superando
i
partenopei
nell’impostazione
di
gioco
a
metà
campo
e
bloccando
l’attacco,
favoriti
dall’arbitro
Massai
che
non
concede
un
rigore
grosso
quanto
una
casa!
Trionfo,
invece,
a
Roma,
contro
la
Lazio,
dove
non
vincevamo
vent’anni:
Vitali
segna
di
prepotenza
il
primo
goal,
seguito
da
Jeppson
che
ne
segna
due
e
da
Granata
che
completa
la
quaterna,
lasciando
in
trance
i
tifosi
avversari.
Ospitiamo
in
seguito
la
Triestina,
vincendo
per
uno
a
zero;
i
rosso-‐alabardati,
intimoriti
di
dover
giocare
contro
una
squadra
così
prolifica
di
goal,
si
chiudono
in
difesa
con
catenaccio
a
doppia
mandata,
schierando
nove
uomini
in
area
di
rigore
ma
Jeppson,
in
agguato,
aspetta
il
momento
buono
e
non
se
lo
lascia
scappare.
Pareggiamo
invece
con
la
Sampdoria
per
uno
a
uno
un
incontro
all’insegna
del
nervosismo
in
campo
e
sugli
spalti;
Comaschi
e
Baldini
hanno
uno
scambio
di
vedute
troppo
vivaci
e
l’arbitro
li
espelle;
Baldini
segna
per
i
genovesi
e
qualche
sconsiderato
inizia
una
sassaiola
che
costerà
al
Napoli
centocinquantamila
lire
di
multa;
Formentin,
finalmente,
riesce
a
pareggiare.
Contro
la
Fiorentina
che
supera
per
uno
a
zero
(un
goal
piuttosto
fortuito),
crolla
invece
il
mito
dell’imbattibilità
degli
azzurri
in
trasferta;
recuperiamo
però
contro
l’Udinese
sconfitta
per
due
a
uno;
debutta
Giovannini
al
posto
di
Castelli
e
Amadei
sigla
entrambe
le
reti.
La
buona
stella
però
comincia
a
volgerci
le
spalle
e
perdiamo
per
due
a
zero
contro
l’
Inter
mentre
pareggiamo
per
zero
a
zero,
a
Bologna,
una
partita
mediocre,
all’insegna
della
paura.
Qualcosa
non
va.
Il
quintetto
di
punta,
a
parte
Amadei,
non
riesce
a
concludere.
68
Jeppson al tappeto
Bugatti,
Pesaola,
Ciccarelli
e
Vitali
furono
comunque
convocati
in
Nazionale
B
che
incontrò
a
Istanbul
la
Turchia
ma
Bugatti,
infortunato,
dovette
rinunciare.
L’incontro
in
casa
con
il
Legnano
fu
sospeso
per
impraticabilità
del
campo,
sfatando
anche
il
mito
della
città
del
sole.
Incontriamo
poi
la
Roma
pareggiando
per
zero
a
zero;
all’Olimpico
sembra
di
essere
a
Forcella!
Ovunque
si
sente
parlare
napoletano
e
i
mortaretti
esplodono
al
termine
della
partita
fortunatamente
senza
danni.
Pareggiamo
ancora
per
uno
a
uno
(Vitali)
con
il
Novara
dove
gioca
ancora
il
grande
Piola
e
vinciamo
per
uno
a
zero
(Jeppson)
il
recupero
contro
il
Legnano.
Vinciamo
poi,
almeno
sul
campo,
contro
il
Genoa,
per
tre
a
due
con
due
goal
di
Amadei
e
uno
di
Jeppson
ma
Righi
(cui
sarà
conferito
nel
1964
il
premio
“Giovanni
Mauro”
per
il
miglior
arbitraggio)
quel
giorno
non
è
in
forma;
non
vede,
infatti,
una
serie
di
falli
grossolani
in
area
genoana
e
convalida
un
goal
rosso-‐blu
in
netto
fuori
gioco,
scatenando
l’ira
dei
tifosi
che
varcano
i
reticolati
scontrandosi
con
le
forze
dell’ordine.
Al
quarantasettesimo
del
secondo
tempo
Amadei
mette
in
rete
un
rigore
finalmente
concesso
a
nostro
favore
ma
l’arbitro,
considerando
la
gara
conclusa
al
quarantaduesimo
del
secondo
tempo,
chiede
di
non
omologare
il
risultato.
La
Lega
decretò
dunque
la
vittoria
del
Genoa
(per
due
a
zero!)
infliggendoci
una
multa
di
trecento
mila
lire
e
la
squalifica
di
Vinyei
per
due
domeniche.
Perdiamo
ancora,
con
grande
delusione
dei
quaranta
mila
presenti,
contro
la
Juventus
(uno
a
due)
malgrado
un
bellissimo
goal
di
Jeppson
che
però
è
troppo
solo;
debuttava
Delfrati
al
posto
di
Viniyei,
con
Martire
all’ala
destra.
Pareggiamo
poi
a
Palermo
per
due
a
due
con
un
goal
di
Jeppson
e
uno
di
Amadei
su
rigore;
unica
nota
lieta,
la
convocazione
di
Comaschi
nella
Nazionale
giovanile
contro
l’Inghilterra
a
Bologna
(tre
a
zero).
A
Bergamo,
contro
l’Atalanta,
pareggiamo
per
uno
a
uno;
Annovazzi
interpreta
alla
lettera
il
compito
di
marcare
Jeppson
e
lo
stende
al
tappeto,
con
un
paio
di
destri,
al
decimo
del
secondo
tempo;
l’arbitro
espelle
entrambi
e
Amadei
s’incarica
di
segnare
il
nostro
unico
goal.
Vinciamo
ancora
contro
la
Lazio
per
due
a
uno;
segna
per
primo
Amadei,
trasformando
in
goal
una
di
quelle
punizioni
che
lui
solo
sapeva
tirare,
e
Jeppson
raddoppia,
segnando,
la
domenica
successiva
il
goal
del
pareggio
contro
la
Triestina
(uno
a
uno)
tra
gli
applausi
del
pubblico,
compreso
quello
di
parte
avversa.
Nonostante
le
prodezze
di
Gramaglia,
perdiamo
contro
la
Sampdoria
per
uno
a
zero;
l’attacco
è
abulico,
inconcludente
e,
per
di
più,
Jeppson
subisce
una
distorsione
alla
caviglia
destra.
Contro
la
Fiorentina
(zero
a
zero)
debutta
Cassin
in
posizione
di
centravanti
che
segna
un
goal
perfettamente
valido
annullato,
inspiegabilmente,
dall’arbitro
Bernardi;
Amadei
e
Ciccarelli
giocano,
rispettivamente,
a
mezzala
destra
e
sinistra
con
Vitali
e
Pesaola
alle
due
ali.
A
Udine
giochiamo
una
bella
partita
senza
tatticismi
e
pareggiamo
per
tre
a
tre;
segnano
Vitali,
Cassin
e
Stucchi
(autorete)
mentre
Comaschi
si
fa
squalificare
per
due
domeniche.
Dopo
quest’incontro,
il
Napoli
va
a
ossigenarsi
a
Massalubrense,
ospite
della
pensione
Franceschiello.
Comaschi
invece
è
a
Bruxelles
impegnato
con
la
Nazionale
Militare.
Il
salutare
riposo
ci
consente
di
travolgere
la
capolista
Inter
per
due
a
uno;
Jeppson
al
centro
della
prima
linea
conduce
abilmente
il
gioco
e
Ceccarelli
sigla
i
due
goal
della
vittoria.
Il
pubblico,
non
riesce
a
frenare
il
suo
entusiasmo
e
spara
mortaretti
e
botte
a
muro
che
ci
costeranno
altre
diecimila
lire
di
multa.
Forfait di Gramaglia
Vinciamo
ancora
contro
il
Bologna
per
due
a
uno
con
un
rigore
di
Amadei
e
un
goal
di
Jeppson,
entrato
ormai
in
un
vero
e
proprio
stato
di
grazia
ma
perdiamo
contro
il
Legnano
per
69
uno
a
zero.
Dopo
otto
anni
sconfiggiamo
finalmente
la
Roma
per
uno
a
zero;
clima
da
derby
e
goal
del
grande
Amadei:
“Anche
tu,
Amedeo,
figlio
mio”,
sembra
recriminare
la
Roma
al
suo
ex
attaccante.
I
mortaretti,
questa
volta,
ci
costano
cento
mila
lire!
Il
Napoli,
galvanizzato
dalla
primavera,
sconfigge
il
Novara
per
cinque
a
uno
con
due
goal
alla
vichinga
di
Jeppson,
uno
di
Ciccarelli,
uno
di
Vitali
e
un’autorete
di
Pombia.
Gramaglia
non
si
presenta
alla
partenza
per
Genova
dove
pareggiamo
per
zero
a
zero
un
incontro
arbitrato
da
Bellè,
buon
allievo
di
Righi,
che
supera,
forse,
in
partigianeria.
Jeppson
caracolla
verso
la
rete
avversaria
e
sta
per
saettare
quando
un
difensore
lo
stende
a
terra
con
una
sgambata;
rigore,
direte
voi.
Invece
no!
L’arbitro
fa
segno
di
proseguire
tra
i
fischi
dello
sportivissimo
pubblico.
Poi,
a
un
tratto,
in
una
discesa
genoana
nella
nostra
area,
sibila
il
fischietto
arbitrale
decretando
un
invisibile
rigore
contro
di
noi.
Bugatti
para
una
staffilata
dagli
undici
metri,
respingendo
il
pallone
e
lanciando
un
epiteto
pasoliniano
all’indirizzo
del
direttore
di
gara.
La
partita
finisce
a
reti
inviolate
tra
gli
applausi
del
pubblico
mentre
l’uscita
di
Bellè
è
salutata
da
una
salve
di
fischi
da
parte
del
pubblico
della
Lanterna.
Perdiamo
poi
l’ultima
di
campionato
per
tre
a
due
contro
la
Juventus;
l’Inter
è
Campione
d’Italia
mentre
il
Napoli
deve
accontentarsi
del
quinto
posto
con
trentotto
punti,
cinquanta
due
goal
segnati
e
trentotto
ricevuti.
Retrocedono
Legnano
e
Palermo;
promossi
invece
Catania
e
Pro
Patria.
La
campagna
acquisti
per
il
Campionato
1954-‐1955
vede
l’arrivo,
dal
Brescia,
di
Celso
Posio,
Odoardo
Pizzi
e
Remo
Bertoni;
Piero
Golin
proviene
dal
Cagliari
e
Brenno
Fontanesi,
dal
Crotone;
Armando
Trerè,
costato
quindici
milioni
e
Rodolfo
Beltrandi,
venti
milioni,
vengono
dalla
Roma.
Ci
lasciano
invece
Ferraro,
Cassin,
Formentin,
Dreossi,
Delfrati,
Amicarelli
e
Morselli.
Gramaglia
non
si
presenta
al
raduno
del
dieci
agosto
avvertendo
per
telefono
che
non
ne
vuole
più
sapere
di
giocare
né
con
il
Napoli
né
con
altre
squadre.
Asserisce
di
essere
“stanco,
stufo
e
vecchio”,
ma
proprio
quel
giorno
Leone
Boccali
pubblica
un
suo
profilo
descrivendolo
come
un
raro
esempio
di
serietà
professionale
e
di
genuina
passione
e
Bruno
cambia
idea.
Anche
Armando
Trerè,
il
centromediano
ultra
trentenne
acquistato
dalla
Roma,
non
arriva
puntuale
al
raduno,
sostenendo
di
non
voler
trasferirsi
a
Napoli
e
di
aver
deciso,
tra
l’altro,
di
abbandonare
l’attività
calcistica.
Anche
lui
cambiò
idea
dopo
aver
ricevuto
il
consistente
premio
d’ingaggio.
Il
Napoli
annovera
nei
suoi
ranghi
Bugatti,
Fontanesi,
Comaschi,
Vinyei,
Del
Bene,
Castelli,
Gramaglia,
Trerè,
Granata,
Posio,
Giovannini,
Vitali,
Ciccarelli,
Amadei,
Jeppson,
Golin,
Pesaola,
Masoni,
Pizzi
e
Bertoni
IV.
Si
debutta
in
amichevole
contro
la
Roma,
vincendo
per
quattro
a
due
(Jeppson,
Vitali
e
Posio);
il
cinque
settembre
la
squadra
si
esibisce
nuovamente
contro
l’Olympiackos
di
Atene,
vincendo
per
cinque
a
uno,
con
due
goal
di
Jeppson,
due
di
Golino
e
uno
di
Amadei.
Vinciamo
ancora
contro
l’Avellino
e
contro
il
Maccabi
d’Israele
per
sette
a
uno
in
entrambi
i
casi;
durante
l’incontro
però
Amadei
e
Gramaglia
s’infortunano.
La folla nemica
Il
campionato
inizia
il
diciannove
settembre
con
Genoa-‐Napoli,
pareggiata
per
uno
a
uno;
Posio,
a
letto
con
la
febbre,
è
sostituito
da
Golin;
Vinyei
commette
autorete
ma
Vitali
pareggia
le
sorti
dell’incontro
mentre
Pesaola
incassa
una
brutta
botta
alla
caviglia.
70
Si
prosegue
sconfiggendo
l’Udinese
per
tre
a
uno;
Masoni
rientra
per
sostituire
Pesaola;
il
Napoli
impone
la
sua
classe
con
due
goal
di
Jeppson
e
uno
di
Vitali.
Confermando
la
nostra
superiorità
all’ombra
delle
due
torri,
vinciamo
per
tre
a
uno
anche
contro
il
Bologna
che
spera
ardentemente
di
sfatare
la
tradizione;
gli
azzurri
però
impartiscono
una
lezione
di
bel
gioco
e
s’impongono
con
due
goal
di
Vitali
e
uno
di
Jeppson
tra
gli
applausi
sinceri
e
ammirati
dei
bolognesi.
Il
Torino
invece
riesce
a
piegarci
abbastanza
facilmente
per
due
reti
a
zero
anche
perché
Masoni
non
gioca
per
via
del
ginocchio
e
Pesaola
è
ancora
dolorante;
anche
il
Milan
ce
le
suona
con
lo
stesso
punteggio
e
la
folla,
esasperata,
copre
d’insulti
i
suoi
beniamini
a
ogni
minimo
errore
innescando
così
un
circolo
vizioso.
Pareggiamo
poi
con
la
Roma
(zero
a
zero)
con
la
Juventus
(uno
a
uno)
ma
perdiamo
contro
il
Novara
per
due
a
uno
(Vitali);
nelle
fila
avversarie
giocano
gli
ex
azzurri
Formentin
e
il
“Guarany”
Arce,
autore
di
uno
dei
goal
della
nostra
sconfitta.
Lauro
esplode
in
una
scenata
violenta
negli
spogliatoi
accusando
di
abulia
e
di
scarso
senso
del
dovere
Jeppson
che
gli
risponde
per
le
rime,
affermando
di
soffrire
ancora
per
la
contusione
alla
gamba
sinistra
e
di
aver
continuato
a
giocare
nonostante
tutto.
Monzeglio
s’inserisce
nella
querelle
chiedendo
di
essere
esonerato
dall’incarico
perché,
a
suo
avviso,
il
pubblico
gli
è
oramai
ostile,
qualunque
cosa
si
faccia.
Il
Comandante
rifiuta
annunciando
l’ennesimo
romitaggio
a
Ostia,
assortito
di
una
multa
di
sessantamila
lire;
mi
trovavo
a
Brindisi,
in
quel
frangente,
per
impegni
professionali.
Pareggiamo
poi
con
la
Spal
per
uno
a
uno;
la
vittoria,
dopo
il
goal
di
Amadei,
sembrava
nostra
ma
a
cinque
minuti
dalla
fine
Olivieri
riesce
a
pareggiare.
Sul
campo
di
Valmaura,
fino
allora
imbattuto,
riusciamo
invece
a
piegare
la
Triestina
per
due
a
zero
con
goal
di
Vitali
e
Ciccarelli.
Grazie
a
un
goal
di
Amadei
che
segna
su
rigore
pareggiamo
poi
per
uno
a
uno
con
la
Fiorentina;
Brugola
è
in
gran
forma
ma
non
ha
fortuna,
mentre
Jeppson
zoppica
vistosamente;
finito
l’incontro,
infatti,
mi
chiede
di
visitarlo,
lamentando
un
dolore
acuto
alla
coscia
sinistra.
Rilevo
subito
un
grosso
ematoma
in
corrispondenza
del
quadricipite
sinistro
ma
Lauro
e
Monzeglio
sembrano
piuttosto
scettici;
per
convincerli
estraggo
dal
muscolo
novanta
centimetri
cubici
di
liquido
ematico
avvertendo
gli
sbalorditi
presenti
che
Jeppson
non
potrà
giocare
se
non
dopo
aver
ricevuto
le
cure
necessarie.
“Jeppson
parte
per
il
romitaggio!”,
tuonò
Lauro
che
non
sapeva
rinunciare
all’ultima
parola.
“Affare
vostro”,
risposi,
stringendomi
nelle
spalle,
“In
ogni
caso,
non
potrà
giocare”.
Jeppson
fu
invece
spedito
a
Roma
per
essere
visitato
da
Zappalà
che
gli
prescrisse
fanghi
e
radioterapia
pronosticando
che
avrebbe
potuto
giocare
fin
dalla
partita
successiva,
salvo
poi
fare
marcia
indietro;
quando
Monzeglio
mi
comunicò
che
la
mia
diagnosi
era
stata
confermata,
mi
limitai
a
ricordargli
che,
come
noto,
in
patria
nessuno
è
profeta.
Durante
la
clausura
ostiense
giunse
a
Napoli
Rodolfo
Beltrandi
(Foffo
per
gli
amici),
ventiquattrenne
mezzala
della
Roma
acquistata
per
venti
milioni.
Perdemmo
in
ogni
caso
l’incontro
con
la
Lazio
per
due
a
una
(una
brutta
partita,
durante
la
quale
Castelli
si
fece
male
accrescendo
le
fila
degli
infortunati
e
perdemmo
di
nuovo
a
Napoli
contro
l’Inter
per
uno
a
due;
il
Vomero,
decisamente,
non
sembrava
portare
bene
agli
azzurri;
Beltrandi
debuttava
alla
mezzala
con
Amadei
in
posizione
di
centravanti;
Posio
segnò
per
noi
il
goal
della
bandiera.
Alla
fine
dell’incontro,
lo
stato
maggiore
napoletano
si
riunì
negli
spogliatoi
dove
Monzeglio,
alla
presenza
di
Lauro,
Cuomo
e
Scuotto,
ribadì
di
essere
pronto
ad
andarsene
per
il
bene
della
squadra.
Il
Comandante,
dopo
aver
rifiutato
le
sue
dimissioni,
mi
chiese
conto
dello
stato
di
salute
della
squadra;
stilai
dunque
il
relativo
bollettino
sanitario
confermando,
in
primo
luogo,
che
Jeppson
non
avrebbe
potuto
giocare
per
almeno
tre
settimane.
A
fine
anno
ci
rifacciamo
battendo
il
Pro
Patria
per
due
a
zero;
il
Napoli,
formato
“fuori
casa”
parte
in
quarta;
Posio,
eroe
della
giornata,
segna
il
primo
goal
e
sta
per
segnare
il
71
secondo
quando
viene
atterrato
in
area
di
rigore
consentendo
a
Amadei
di
trasformare
in
rete
la
massima
punizione
accordata
dall’arbitro.
Pareggiamo
poi
con
l’Atalanta
per
uno
a
uno;
Amadei
segna
una
splendida
rete
ma
gli
orobici
pareggiano;
Posio,
per
le
sue
ottime
prestazioni,
è
convocato
nella
Nazionale
Primavera
contro
gli
Inglesi
a
Londra.
Ancora
un
due
a
due
con
la
Sampdoria
(vincevamo
per
due
a
zero
nel
primo
tempo
con
goal
di
Vitali
e
Beltrandi)
e
il
pareggio
casalingo
provoca
un’ennesima
riunione
dei
vertici
azzurri
durante
la
quale
Lauro
decide
di
affiancare
Scuotto
a
Monzeglio,
sostenendo,
per
indorare
la
pillola,
che
avrà
un
ruolo
esclusivamente
consultivo
senza
interferire
con
le
direttive
dell’allenatore.
Finalmente,
battiamo
il
Catania
per
due
a
zero;
non
vincevamo
al
Vomero
da
sei
domeniche!
Una
partita
dura
e
piuttosto
combattuta;
Posio
si
scontra
con
il
portiere
Bardelli
che
si
frattura
la
clavicola;
Comaschi
prende
una
zuccata
e
si
procura
un
grosso
ematoma
all’occhio;
Gramaglia
si
fa
male
alla
caviglia,
Pesaola
si
busca
una
pedata
alla
gamba
e
Amadei
uno
stiramento
dei
tendini
là
dove
non
batte
il
sole.
Scuotto
però
non
è
in
panchina
perché,
secondo
i
bene
informati,
non
ha
apprezzato
il
comportamento
di
Monzeglio
(e
della
squadra
in
generale)
nei
suoi
confronti
e
pretende
opportuni
chiarimenti.
Vinciamo
ancora
contro
il
Genoa
per
tre
a
uno;
l’ex
azzurro
Stefano
Mike
milita
nelle
fila
dei
grifoni;
rientra
Jeppson
ma
Amadei
è
a
riposo
per
lo
stiramento
inguinale;
Vitali,
Posio
e
Beltrandi,
che
segnano
un
goal
ciascuno,
sono
i
protagonisti
indiscussi
della
contesa.
L’assenza
di
Jeppson
e
di
Amadei
condiziona
però
l’incontro
con
l’Udinese
che
vince
per
tre
a
zero;
senza
di
loro
il
Napoli
perde
di
peso
e
di
penetrazione.
Peccato!
Non
perdevamo
da
cinque
anni
sul
terreno
del
Moretti.
C’è
tristezza
quell’anno
in
casa
azzurra,
per
la
morte,
a
soli
quarantuno,
anni
dell’ex
centromediano
Egidio
Turchi.
11
Eraldo furioso
Mannaggia Jeppson!
72
Pareggiamo
in
casa
con
il
Bologna
per
uno
a
uno;
manca
Posio,
ancora
febbricitante.
Pivatelli
segna
per
il
Bologna
ma
Amadei
pareggia
con
un
goal
superbo;
poi
comincia
la
sfortuna:
Amadei
si
fa
male
ed
è
sostituito
da
Pesaola
che
a
sua
volta
cade,
slogandosi
una
caviglia,
imitato
da
Beltrandi
colpito
al
piede
destro.
Masoni
ricompare
all’attacco
ma
con
tutti
questi
infortuni
il
Napoli
è
davvero
nei
guai.
Chi
mettere
in
squadra?
Chi
mandare
in
campo?
Monzeglio,
preoccupato,
mi
chiede
ragguagli
e
non
posso
che
ripetere
uno
sconfortante
bilancio.
Ciccarelli:
venti
giorni
di
riposo
(strappo
al
bicipite
destro);
Hasse
Jeppson:
fuori
gioco
per
quindici
giorni
(lussazione
della
clavicola
sinistra);
Bruno
Pesaola:
idem
(distorsione
del
collo
del
piede);
Rodolfo
Beltrandi:
cinque
giorni
di
riposo
(contusione
con
ematoma
al
dorso
del
piede
sinistro);
Amadei:
quindici
giorni
per
trauma
lombare.
Conforti
e
Russo,
miei
valenti
colleghi,
riescono
a
rimettere
in
piedi
Beltrandi,
compiendo
un
piccolo
miracolo,
ma
la
buona
notizia
non
serve
a
placare
l’ira
di
Eraldo
che
esplode
all’improvviso
contro
il
povero
Jeppson,
accusato
di
“stanchezza
colposa”.
Monzeglio,
in
realtà,
non
riusciva
a
digerire
i
successi
tennistici
di
Hasse
che
eccelleva
anche
in
questo
sport
e
ancor
meno
la
sua
relazione
con
Silvia
Lazzarino
(undici
volte
campionessa
d’Italia)
che
occupava
spesso
le
pagine
dei
principali
rotocalchi.
La
sfuriata
fece
rapidamente
notizia
nei
circoli
sportivi
e
i
giornali
parlarono
apertamente
di
dissidio.
Lauro
cercò
di
minimizzare
pretendendo,
tra
l’altro,
la
pubblicazione
di
una
lettera
chiarificatrice,
firmata
dello
stesso
Jeppson,
che
ribadiva
i
suoi
più
cordiali
rapporti
con
l’allenatore.
In
previsione
delle
trasferte
a
Torino
e
Milano,
Monzeglio
schierò
in
formazione
Bugatti,
Comaschi,
Vinyei,
Castelli,
Trerè,
Granata,
Vitali,
Beltrandi,
Masoni,
Posio
e
Golin.
Perdemmo
con
il
Torino
per
uno
a
zero
e
pareggiamo
con
il
Milan
per
uno
a
uno
con
un
goal
di
Golino
all’inizio
del
primo
tempo;
il
Napoli,
complice
il
rientro
di
Jeppson,
impartiva
una
lezione
di
bel
gioco
proprio
a
quel
Milan
al
comando
della
classifica.
Vinciamo
invece
a
Roma
per
due
a
zero
un
derby
davvero
infuocato;
Jeppson
segna
un
goal
magistrale
che
manda
la
folla
in
visibilio,
seguito
da
Golino,
che
raddoppia.
Pareggiamo
con
la
Juventus
uno
a
uno
e
perdiamo
per
due
a
uno,
a
Novara,
un
brutto
incontro
arbitrato
scorrettamente;
Campanati,
infatti,
è
prodigo
di
rigori
a
nostro
danno.
Al
rientro
scoppia
la
folgore
sotto
forma
di
una
multa
di
duecento
cinquanta
mila
lire
all’inconsapevole
Hasse
per
“determinato
continuo
cattivo
rendimento”,
assortita
dalla
minaccia
di
esclusione
dalla
rosa
di
prima
squadra.
Brutti
tempi!
Tira
vento
di
calunnia
e
di
cospirazione.
Faccio
fatica
a
capire
perché
ritengo
che
Jeppson
sia
il
più
grande
centravanti
della
storia
del
Napoli,
paragonabile
solo
ad
Attila
Sallustro.
Pasqua
di
resurrezione
con
Napoli-‐Spal
che
vinciamo
per
due
a
uno
(Jeppson
segna
un
goal
fantastico
imitato
da
Vinyei)
e
con
Napoli-‐Triestina,
vinta
per
quattro
a
zero,
con
goal
di
Jeppson,
Beltrandi
e
Posio;
anche
l’Inter
incassa
quattro
goal
segnandone
uno
solo
durante
un
bell’incontro
dove
Bugatti
è
il
vero
eroe
della
giornata;
ci
riposiamo,
infine,
a
Firenze
con
un
modesto
pareggio
a
reti
inviolate.
Jeppson,
nel
frattempo,
annuncia
di
voler
tornare
in
Svezia
appena
cessati
i
suoi
impegni
di
Campionato,
e
smettere
di
giocare,
almeno
in
Italia;
Lauro
incarica
Innocenti
e
Amadei
di
sondare
il
terreno
ma
Hasse
rifiuta
qualsiasi
proposta.
Vinciamo
ancora
contro
la
Lazio
per
due
a
uno
(Masoni
sostituisce
Jeppson
e
segna,
imitato
da
Comaschi)
e
contro
l’Atalanta
per
uno
a
zero;
Jeppson,
appena
rientrato,
segna
il
goal
della
vittoria
ma
se
ne
vede
annullare
un
altro
e
Pesaola
addirittura
due.
La
folla
applaude,
nonostante
tutto,
perché
la
vittoria
colloca
il
Napoli
al
terzo
posto
in
classifica;
il
risultato
coincide
con
il
quarantanovesimo
compleanno
di
Monzeglio.
73
I
cinque
goal
della
Sampdoria
(contro
due
nostre
reti
per
opera
di
Jeppson
e
Ciccarelli)
fanno
però
crollare
i
sogni
di
gloria
e
a
nulla
serve
il
successivo
pareggio
con
il
Catania
per
uno
a
uno
(Pesaola).
Il
Campionato
termina
con
la
vittoria
del
Milan
mentre
noi
scivoliamo
al
sesto
posto
con
trentotto
punti,
cinquanta
goal
segnati
e
quaranta
ricevuti.
Bocciate
Udinese
e
Catania;
promosse,
invece,
Padova
e
Vicenza.
Vinìcius de Menezes
Il
successivo
Campionato
1955-‐1956
vide
l’arrivo
del
ventitreenne
brasiliano
Luìs
Vinicio,
al
secolo
Luìs
Vinìcius
de
Menezes,
acquistato
per
sessanta
milioni
dal
Botafogo
con
cui
aveva
fatto
il
suo
esordio
nel
Campionato
Carioca
l’11
novembre
1951,
costituendo
con
il
fuoriclasse
Garrincha
e
l’italo-‐brasiliano
Da
Costa,
un
formidabile
trio
d’attacco;
nel
1953
aveva
già
segnato
tredici
goal
in
ventidue
partite.
I
dirigenti
napoletani
che
avevano
intuito
la
sua
classe
e
le
sue
possibilità
dopo
averlo
osservato
nell’estate
del
1955,
intendevano
affiancarlo
ai
più
anziani
Amadei,
Jeppson
e
Pesaola.
“’O
lione”,
infatti,
si
mise
in
luce
fin
dal
suo
esordio
nella
squadra
partenopea
andando
in
rete
dopo
appena
quaranta
secondi
nell’incontro
Napoli-‐Torino;
arrivò
secondo
nella
classifica
cannonieri
del
1956-‐1957
con
diciotto
reti
(realizzando
perfino
un
“poker”
a
Palermo)
e
quarto
nella
classifica
1957-‐1958
con
ventuno
goal
al
suo
attivo;
il
sei
dicembre
1959
inaugurò
lo
Stadio
San
paolo
con
un
fantastico
goal
in
semi
sforbiciata
che
permise
al
Napoli
di
battere
la
Juventus
per
due
a
uno.
Nel
1960,
dopo
cinque
stagioni
in
azzurro
e
sessantanove
reti
segnate,
passò
al
Bologna
dove
gli
fu,
tuttavia,
preferito
il
giovane
Harald
Nielsen;
amareggiato,
rientrò
dunque
in
Brasile
nell’estate
del
1962
ma
fu
richiamato
dal
Lanerossi
Vicenza
con
cui
continuò
a
giocare
con
ottimi
risultati
segnando
nel
Campionato
1965-‐1966
ben
venticinque
goal
che
gli
valsero
il
titolo
di
capocannoniere.
Nel
1966
Helenio
Herrera
chiamato
da
Helenio
Herrera
lo
chiamò
alla
corte
dell’Inter
ma,
dopo
appena
un
anno,
tornò
al
Vicenza,
dove,
ormai
trentacinquenne,
concluse
la
sua
carriera
oltrepassando
la
quota
di
centocinquanta
reti
in
serie
A.
Insieme
con
lui
arrivò
il
diciannovenne
mediano
Elia
Greco
(Greco
II)
acquistato
dal
Legnano;
Masoni,
Delfrati,
Vinyei,
Del
Bene,
Gramaglia,
Martire
e
Morselli
finirono
invece
in
lista
di
trasferimento.
Jeppson,
sempre
fermo
nel
suo
proposito
di
abbandonare
il
calcio,
non
si
presentò
al
raduno
del
sei
agosto
e
tornò
all’ovile
solo
quando
Lauro,
esasperato,
minacciò
di
denunciarlo
alla
Lega
per
infrazione
di
contratto.
Il
Napoli,
tra
l’altro,
aveva
deciso
d’introdurre
una
tecnica
di
gioco
nota
come
modulo
del
doppio
centravanti
che
il
tandem
Vinicio-‐Jeppson
avrebbe
dovuto
impersonare
facendo
tremare
prima
e
crollare
poi
le
difese
avversarie.
Cominciarono
così
i
primi
allenamenti
e
le
prime
sperimentazioni.
Vinicio
era
un
giocatore
spumeggiante,
molto
mobile,
dotato
di
un
dribbling
eccezionale,
di
cui
spesso
abusava
provocando
l’ira
di
Monzeglio
che,
per
questo,
giunse
perfino
a
punirlo,
imponendogli
tre
giri
di
campo
a
ritmo
sostenuto;
l’episodio,
percepito
dal
brasiliano
come
un’offesa
personale,
fu
alla
base
della
sua
sostanziale
antipatia
nei
confronti
dell’allenatore.
Cominciammo
con
un’amichevole
contro
la
Roma
che
vincemmo
per
due
a
uno
con
un
goal
fantastico
di
Vinicio
e
uno
altrettanto
bello
di
Beltrandi;
la
formazione
azzurra
comprendeva
Bugatti,
Comaschi,
Greco,
Trerè,
Granata,
Vitali,
Amadei,
Vinicio,
Posio
e
Pesaola.
Il volo di Hasse
74
Jeppson,
prima
di
essere
indotto
a
più
miti
consigli,
aveva
intavolato
trattative
con
l’Inter
per
riscattare
la
sua
lista
e
trasferirsi
a
Milano;
gli
incontri
con
i
dirigenti
interisti
avvenivano
a
Roma
e
fu
appunto
durante
uno
di
questi
spostamenti
che,
il
dieci
settembre
1955,
a
mezzanotte
circa,
accadde
il
famoso
incidente
che
riempì
le
cronache
dei
giornali
dell’epoca.
La
sua
Alfa
1900
viaggiava
sul
nastro
di
Latina
ad
andatura
sostenuta
quando,
all’improvviso,
un
cane
si
parò
al
centro
della
strada;
l’autista
sterzò
bruscamente
e
la
macchina,
dopo
una
paurosa
sbandata,
uscì
di
strada
e
si
capovolse
nel
prato
sottostante;
sbalzato
via
dal
sedile,
dopo
un
volo
di
dieci
metri,
Jeppson
rotolò
sul
terreno
ma
fu
trattenuto
parzialmente
dai
rami
di
un
albero
che
attutirono
il
colpo.
L’autista,
appena
ventitreenne,
morì
sul
colpo,
mentre
Hasse
fu
trasportato
all’Ospedale
di
Latina
e
soccorso
nel
modo
migliore
dal
Professor
Santini
e
dai
suoi
collaboratori.
Mi
recai
immediatamente
al
suo
capezzale
con
l’amico
e
collega
Conforti,
riscontrando
fratture
varie
e,
soprattutto,
una
commozione
cerebrale
che
impose
un
periodo
di
osservazione
e
di
assoluto
riposo.
Lauro,
naturalmente,
mordeva
il
freno,
e,
appena
possibile,
convocò
Jeppson
a
Palazzo
San
Giacomo
dove
il
colloquio
degenerò
subito
in
lite.
Il
Comandante
affidò
allora
le
trattative
al
conte
Vaselli
che
riuscì
a
mettere
pace
concordando
un
ingaggio
di
ventitré
milioni
per
altri
due
anni,
assortiti
da
una
licenza
di
alcuni
giorni
da
trascorrere
in
Svezia
per
ritemprare
le
forze
e
rimettersi
dal
trauma
subito.
Il
diciotto
settembre
iniziammo
il
Campionato
pareggiando
con
il
Torino
per
due
a
due
(con
il
già
ricordato
goal
di
Vinicio
al
quarantesimo
secondo
di
gara)
ma
poi
perdemmo
contro
il
Novara
per
uno
a
zero;
una
brutta
partita,
dove
fioccarono
multe
contro
Greco,
Granata,
Trerè,
Castelli
e
Comaschi
per
proteste
verso
l’arbitro.
Vincemmo
in
seguito
contro
il
Genoa
per
due
a
uno
(Amadei
e
Ceccarelli)
e
pareggiammo
con
il
Milan
per
zero
a
zero.
Il
quattro
ottobre
Jeppson
riprese
gli
allenamenti
in
vista
del
tanto
atteso
tandem
atomico
con
Vinicio;
e
cominciarono
i
primi
malumori.
Chi
avrebbe
giocato
a
centravanti?
Jeppson,
ovviamente,
perché
il
ruolo
di
ala
o
di
mezzala
si
addiceva
meglio
a
Vinicio,
più
giovane,
più
mobile,
più
sbarazzino.
Il
duo
debuttò
al
Vomero
il
sedici
ottobre
1955
nell’incontro
Napoli-‐Pro
Patria
con
il
risultato
davvero
atomico
di
otto
a
uno!
Vinicio
segnò
tre
goal,
Jeppson
due,
Posio,
Castelli
e
Beltrandi
uno
a
testa.
Dopo
l’esplosione
della
domenica
precedente
pareggiammo
con
la
Roma
per
uno
a
uno
e
vincemmo
contro
l’Atalanta
per
due
a
uno;
sembrava
di
assistere
a
una
corrida
piuttosto
che
a
un
incontro
di
calcio.
Vinicio
segnò
entrambe
le
reti
azzurre
e
Bugatti,
dopo
cento
quarantasette
partite
consecutive,
si
fratturò
la
mano
destra.
Pareggiamo
poi
con
il
Bologna
per
tre
a
tre
una
partita
brutta
e
fallosa,
arbitrata
male
dal
direttore
di
gara
(Maurelli)
che,
non
amandoci,
fischiò
un
rigore
inesistente
al
quarantasettesimo
della
ripresa;
i
tifosi,
inviperiti,
tentarono
d’invadere
il
campo
scatenando
tafferugli
e
scontri
con
la
polizia
che
si
conclusero
con
un
bilancio
di
centoquaranta
feriti.
Il
ministro
Tambroni
ordinò
un’inchiesta
al
termine
della
quale
Maurelli
dichiarò,
tardivamente,
di
voler
ritirarsi;
morale
della
favola,
la
Lega
omologò
il
risultato,
squalificando
il
Vomero
per
due
domeniche
e
infliggendo
una
multa
di
ventiquattro
mila
lire
a
Comaschi
e
una
di
diciotto
a
Trerè.
Vincemmo
in
seguito
contro
la
Sampdoria
per
tre
a
zero
(e
quarantamila
lire
di
multa)
ma
pareggiammo
(
a
Bari)
con
la
Juventus
per
uno
a
uno
con
un
goal
di
Vinicio
che
però
si
fece
male
al
ginocchio;
pareggiammo
ancora
con
la
Lazio
per
uno
a
uno
(Jeppson);
una
brutta
partita
piena
di
cattiverie:
l’arbitro
espelle
Martegani
che
ha
sferrato
un
pugno
sul
naso
di
Greco
mettendolo
al
tappeto
e,
poco
dopo,
squalifica
anche
Comaschi.
Vinciamo
ancora
con
la
Spal
per
due
a
uno:
contro
di
noi
gioca
Vinyei
che
segna
su
rigore
e
pareggia
il
goal
di
Vitali
realizzato
fulmineamente
in
apertura
di
gioco,
ma
Vinicio,
appena
rientrato,
raddoppia.
Incontriamo
a
Roma
la
Fiorentina
e
perdiamo
per
due
a
quattro:
i
viola
sono
davvero
forti;
per
noi
segna
Vitali
e
poi
Jeppson
su
rigore;
pareggiamo
con
il
Vicenza
per
zero
a
zero
ma
perdiamo
contro
la
Triestina
per
due
a
uno
e,
contro
l’Inter,
sul
campo
del
Vomero,
per
75
due
a
zero:
Liverani
convalida
un
goal
di
Masei
del
tutto
irregolare
ed
espelle
Comaschi
che
protesta;
Lorenzi
raddoppia
e
la
folla
copre
l’arbitro
d’insulti
accompagnati
dal
lancio
di
oggetti
di
ogni
genere,
ottenendo
la
squalifica
del
Vomero
per
un’altra
domenica.
Gli ammutinati del Napoli
Negli
spogliatoi,
dopo
la
sconfitta,
tira
un’aria
di
burrasca
che
investe
prima
Vinicio,
accusato
di
condotta
inadeguata
e
quindi
Jeppson,
minacciato
di
sanzioni
finanziarie
per
scarso
rendimento;
Monzeglio
sembra
non
voler
capire
che,
dopo
l’incidente
di
Latina,
è
già
un
miracolo
che
Hasse
stia
ancora
in
piedi.
Cerco
di
spiegare
che,
a
parte
la
commozione
cerebrale,
lo
svedese
ha
subito
un’importante
contusione
alle
vertebre
e
una
probabile
compressione
del
midollo
spinale;
la
sera
stessa,
a
sorpresa,
Lauro
sospende
Monzeglio
per
un
mese,
lasciando
tutti
perplessi.
Il
Comandante,
che
considerava
l’allenatore
come
una
sua
creatura,
aveva,
infatti,
lasciato
correre
in
più
occasioni
le
sue
intemperanze,
tollerando
perfino
di
farsi
estromettere
dallo
spogliatoio
dove
era
entrato
fumando
e
discutendo
con
il
suo
abituale
codazzo
nel
bel
mezzo
di
un
sermone;
Monzeglio,
rosso
come
un
peperone,
intimò
agli
estranei
di
andare
a
fumare
e
chiacchierare
altrove
perché
“qui
abbiamo
da
fare”.
Un
episodio
analogo
accadde
dopo
il
pareggio
con
il
Bologna;
Lauro
aveva
cominciato
a
insultare
la
squadra
nel
suo
fiorito
linguaggio
portuale
quando
Eraldo
tuonò
paonazzo:
“Qui
dentro
comando
io
e
i
rimproveri
sono
una
mia
prerogativa”.
“Finita
la
partita,
sarà
padrone
di
fare
quello
che
vuole,
compreso
mandarmi
via!”.
Vi
lascio
immaginare!
La
decisione
di
Lauro
era
in
realtà
maturato
in
seguito
ad
una
specie
di
congiura
ordita
da
Castelli,
Trerè,
Pesaola,
Granata,
Amadei
e
Vitali
che
contestavano
il
metodo
di
gioco
di
Momzeglio,
rimproverandogli,
per
esempio,
l’uso
a
oltranza
dello
schema
difensivo
libero
che
favoriva
il
bel
gioco
ma
non
il
risultato.
Il
Napoli,
in
fondo,
era
l’unica
squadra
senza
battitore
libero.
I
congiurati,
a
riprova
della
loro
buona
fede,
esposero
apertamente
le
loro
idee
al
diretto
interessato,
che,
dopo
averli
ascoltati,
rispose
che
non
avrebbe
cambiato
una
virgola
alla
tattica
di
gioco
e
la
sua
intransigenza
condusse
quindi
a
un
inevitabile
cambio
della
guardia.
Il
ventitré
gennaio
1956,
infatti,
Lauro
convocò
Amadei
nel
feudo
di
Via
Crispi
e
gli
chiese
di
accettare
la
guida
tecnica
della
squadra.
Monzeglio,
dopo
sette
anni,
dovette
accontentarsi
di
una
medaglia
d’oro
e
di
un
guidoncino
con
i
colori
del
Napoli,
consegnatigli
a
Palazzo
San
Giacomo.
Amadei
cominciò
in
bellezza
nel
suo
duplice
ruolo
di
attaccante
e
allenatore
vincendo
contro
il
Padova
per
uno
a
zero
(Granata
su
rigore)
e
contro
il
Torino
per
quattro
a
uno,
con
goal
di
Pesaola,
Vitali
e
Vinicio
che
infilò
due
volte
la
rete
avversaria.
La
squadra,
espiata
la
squalifica,
tornò
al
Vomero
e,
per
volontà
del
Comandante,
si
esibì
qui
e
là
su
campicelli
di
provincia
che
ricordavano
il
Far
West,
con
tanto
di
stalle
come
spogliatoi,
in
omaggio
all’avvicinarsi
delle
imminenti
elezioni
amministrative.
Amadei
cominciò
a
imbronciarsi
quando
perdemmo
a
Novara
per
zero
a
due
in
ossequio
alla
legge
degli
ex
(Formentin);
perdemmo
ancora
contro
il
Genova
per
tre
a
uno
(Vitali)
ma
poi
giocammo
una
delle
partite
più
belle
mai
viste
al
Vomero
battendo
il
Milan
per
due
a
zero;
Vinicio,
sebbene
contuso,
rimase
in
campo
segnando
due
fantastici
goal
all’esterrefatto
Buffon;
tra
i
pali
della
nostra
porta
giocava,
applaudito,
Fontanesi.
Pareggiammo
poi,
per
zero
a
zero,
con
il
Pro
Patria
ma,
la
domenica
successiva,
perdemmo
contro
la
Roma
per
due
a
uno
(Posio)
e,
in
seguito
contro
l’Atalanta
per
tre
a
zero,
con
autoreti
di
Comaschi
e
Ceccarelli,
sotto
una
pioggia
battente;
alla
grandine
si
aggiunsero
i
fulmini
laurini
e
una
multa
collettiva
raddoppiata
nei
confronti
di
Jeppson.
Perdemmo
ancora
contro
il
Bologna
per
tre
a
uno,
ritrovandoci
così
in
zona
retrocessione;
per
colmo
di
sfortuna
si
fece
76
male
anche
Greco
ma
poi
la
disperazione
prese
il
sopravvento
e
vincemmo
contro
la
Sampdoria
per
tre
a
uno
grazie
a
Jeppson,
Vitali
e
Pesaola.
Il rovescio di Hasse
Vinicio,
dopo
l’infortunio
di
Bari,
continuava
ad
accusare
dolori
al
ginocchio;
Lauro
mi
chiese
quindi
di
accompagnarlo
a
Firenze
da
Scaglietti
che
lo
rispedì
al
mittente
dopo
aver
costatato
che
il
ginocchio
non
aveva
nulla.
Dopo
la
partita
contro
la
Juventus
che
riuscimmo
a
sconfiggere
per
uno
a
zero,
Jeppson,
autore
del
goal,
si
mise
a
letto
con
la
febbre,
imitato
da
Ciccarelli;
Vinicio,
in
compenso
non
accusava
più
dolori
alla
gamba
per
effetto,
forse,
della
scarrozzata
a
Firenze.
In
quei
giorni
giunge
a
Napoli
un
certo
Malandrino
(di
nome
e
di
fatto)
che
chiese
cinque
milioni
per
un
ingaggio
di
due
anni;
sparì
appena
intascato
il
malloppo
sfatando
il
leggendario
fiuto
laurino
per
gli
affari.
Posio
e
Pesaola,
nel
frattempo,
erano
stati
convocati
in
Nazionale
B
e
Comaschi
in
Nazionale
A.
Il
sonnolento
incontro
con
la
Lazio
(perso
per
uno
a
due)
ci
costa
altre
tre
giornate
di
squalifica
del
campo
a
causa
dei
soliti
tafferugli
sugli
spalti.
Il
ritorno
del
tandem
Jeppson-‐Vinicio,
che
ha
ben
poco
di
atomico,
ci
vede
poi
protagonisti
di
un
pareggio,
a
Livorno,
contro
la
Spal
per
due
a
due
(Vitali)
con
conseguente
romitaggio
a
Montecatini
e
convocazione
di
Beltrandi.
Pareggiamo
di
nuovo
contro
la
Fiorentina
per
zero
a
zero
(ma
Vitali
si
fa
male
in
uno
scontro
con
Magnini)
e
finalmente
vinciamo
contro
la
Triestina
(a
Lucca)
per
tre
a
due;
pareggiamo,
infine,
(ad
Arezzo)
a
reti
inviolate,
con
il
Lanerossi
Vicenza.
Superiamo
poi
la
Triestina
(tre
a
due)
con
due
reti
di
Jeppson
e
una
di
Golin,
salvandoci
dalla
retrocessione.
Si
torna
a
casa
in
vista
di
una
tournée
elettorale
ad
Avellino
e
poi
si
riparte
per
il
Nord
ad
affrontare
l’Inter
(che
ce
le
suona
per
tre
a
zero)
e
il
Padova
con
cui
pareggiamo
grazie
ad
una
staffilata
di
Comaschi
(uno
a
uno).
A
fine
Campionato
la
Fiorentina
di
Fulvio
Bernardini
è
prima
in
classifica;
il
Napoli
è
al
quattordicesimo
posto
con
trentadue
punti,
quarantasei
goal
segnati
e
quarantanove
subiti.
Novara
e
Pro
Patria
retrocedono
in
serie
B
mentre
Udinese
e
Palermo
salgono
in
massima
divisione.
A
fine
giugno,
Luciano
Comaschi
sposa
a
Sorrento
la
signorina
Rita
Saracino;
Lauro
partecipa
alle
nozze
in
veste
di
compare
d’anello.
All’inizio
del
successivo
campionato
1956-‐1957,
dopo
quattro
stagioni
in
azzurro,
Jeppson
se
ne
va
con
cinquantadue
reti
al
suo
attivo,
collocandosi
tra
i
migliori
cannonieri
della
massima
divisione;
passò
al
Torino
con
cui
ha
militato
una
sola
stagione
prima
di
ritirarsi
definitivamente.
Il
Napoli
annoverava
quell’anno
nelle
sue
fila
Bugatti
e
Fontanesi
(portieri),
Comaschi,
Greco,
Del
Bene,
Bertoni
IV
(terzini),
Morin,
Posio,
Franchini,
Trerè,
Granata,
Andronico,
Pizzi,
Geronazzo,
Di
Meo
e
Romagnoli
(mediani),
Vitali,
Brugola,
Pesaola,
Vinicio,
Moro,
Amilcarelli,
Molinari,
Storchi,
Beltrandi
e
Ciccarelli.
La
formazione
di
base
prevedeva
la
presenza
in
campo
di
Bugatti,
Comaschi,
Greco;
Morin,
Franchini,
Posio;
Vitali,
Beltrandi,
Vinicio,
Pesaola
e
Brugola.
Si
comincia
con
una
vittoria
contro
l’Atalanta
per
due
a
zero
(Vitali
e
Vinicio)
e
contro
la
Triestina
(due
a
uno
con
goal
di
Beltrandi
e
una
grande
prestazione
di
Bugatti).
Pareggiamo
poi
con
l’Inter
per
uno
a
uno
(Ciccarelli)
ma
travolgiamo
il
Milan
con
cinque
reti
contro
tre!
Vinicio
entusiasma
i
sessantamila
spettatori
di
San
Siro
segnando
già
nel
primo
tempo
due
goal,
seguito
da
Posio
e
da
Pesaola
che
ne
segna
altri
due.
Pareggiamo
poi
contro
il
Bologna
(zero
a
zero)
il
Lanerossi
(uno
a
uno),
il
Padova
(uno
a
uno)
e
la
Lazio
(zero
a
zero)
e
finiamo
col
perdere
per
due
a
zero
contro
la
Spal;
pareggiamo
di
nuovo
contro
la
Fiorentina
(uno
a
77
uno)
e
perdiamo
contro
l’Udinese
per
due
a
uno
(Beltrandi);
Griggi
espelle
Franchini
al
trentacinquesimo
del
primo
tempo
e
squalifica
Moro
per
tre
domeniche;
continuiamo
a
perdere
contro
la
Juventus
per
uno
a
due
e
Lauro
sfoga
la
sua
collera
contro
il
povero
Amadei:
“Se
non
vuoi
prenderti
responsabilità,
ci
penserò
io
a
formare
la
squadra
per
Roma…..
Sono
anche
capace
di
far
giocare
Comaschi
a
centravanti,
hai
capito?”
Vinicio,
dal
canto
suo,
ricomincia
a
fare
capricci.
Il
Professor
Zappacosta,
dopo
averlo
visitato,
non
diagnostica
nulla
tranne
“piccoli
disturbi
funzionali
emendabili
con
specifica
terapia”.
Bugatti
e
Pesaola
sono
convocati
per
la
Nazionale
B
che
incontrerà
a
Cagliari
la
Spagna,
perdendo,
tuttavia,
per
uno
a
zero.
In
vista
dell’incontro
con
la
Roma
andiamo
in
romitaggio
a
Frascati
che
si
rivela
di
buon
auspicio
perché
vinciamo
per
tre
a
uno,
ripetendo
dopo
ventidue
anni
la
prodezza
del
1934;
Vinicio,
dimentico
dei
suoi
malanni
immaginari,
segnò,
infatti,
due
goal
formidabili
seguito
da
Brugola;
poi
fu
la
volta
del
Torino
che,
nonostante
l’arbitraggio
mediocre,
perse
per
due
a
uno
con
due
splendidi
goal
di
Pesaola.
Il ruggito del leone
I
fuochi
d’artificio
di
Palermo
non
influiscono
sul
mediocre
pareggio
(zero
a
zero)
mentre
i
numerosi
errori
contro
il
Genoa
determinano
la
nostra
sconfitta
(uno
a
due)
e
il
conseguente
romitaggio
a
Grottaferrata:
la
marcatura
su
Abbadie
e
Carapellese
non
funziona;
Pesaola
sbaglia
un
rigore
e
prendiamo
due
pali.
Vinciamo
poi
contro
la
Triestina
per
due
a
uno
(Moro
e
Vinicio)
ma
perdiamo
contro
l’Atalanta
(due
a
zero),
l’Inter
(tre
a
uno)
e
il
Bologna,
(due
a
uno);
Moro
segna
su
rigore
ma
Posio
accusa
i
primo
sintomi
di
un’appendicite
che
dovrò
operare.
Pareggiamo
contro
il
Milan
per
due
a
due
(Vinicio)
e
vinciamo
contro
il
Lanerossi
per
uno
a
zero
e
contro
il
Padova
con
lo
stesso
risultato
(Brugola).
Dopo
un
ulteriore
romitaggio,
pareggiamo
con
la
Lazio
per
uno
a
uno
(Moro
su
rigore),
vinciamo
contro
la
Spal
(uno
a
zero)
e
prendiamo
una
formidabile
batosta
dalla
Fiorentina
che
infila
quattro
goal;
peggiori
in
campo
Vinicio,
Morin;
Comaschi,
ammonito
da
un
arbitro
decisamente
prevenuto,
incassa
una
multa
di
cinquanta
mila
lire
e
se
la
prende
con
tutti
in
un’intervista
alla
stampa
ruggendo
contro
il
Club,
colpevole,
a
suo
avviso,
di
scelte
sbagliate
nella
campagna
acquisti,
di
cattiva
conduzione
e
di
pessima
organizzazione;
il
“leone”
contesta
gli
addebiti
a
Brugola,
e,
alla
fine,
accusa
di
opportunismo
perfino
i
suoi
compagni
di
squadra.
Vinciamo
poi
contro
l’Udinese
per
due
a
uno
(Beltrandi
e
Vinicio)
e
stavamo
pareggiando
con
la
Juventus
quando
Hamrin,
a
tre
minuti
dalla
fine,
andò
in
rete
infrangendo
le
nostre
speranze;
perdiamo
ancora
contro
la
Roma
(due
a
uno)
e
contro
la
Sampdoria
(uno
a
zero);
pareggiamo
con
il
Torino
e
con
il
Palermo
(uno
a
uno
in
entrambe
le
partite)
e
ripartiamo
per
una
breve
tournée
elettorale
in
Sardegna.
Il
Genoa
si
salva
dalla
retrocessione
battendoci
per
uno
a
zero
nell’ultima
di
Campionato;
il
Milan
è
capolista
e
noi
al
dodicesimo
posto
con
trentadue
punti,
trentanove
goal
segnati
e
quarantuno
subiti.
Vinicio
inaugura
la
serie
dei
matrimoni
convolando
a
nozze,
il
ventidue
giugno,
con
Flora
Piccagli
nella
chiesa
di
San
Francesco
di
Paola,
testimone
Achille
Lauro;
Hasse
Jeppson,
il
ventisei
dello
stesso
mese,
sposa
Emma
De
Martino
con
una
sobria
cerimonia
celebrata
nella
Cappella
di
Santa
Maria
delle
Grazie
al
Pizzo
d’Oro
sul
Monte
Faito;
il
ventinove
è,
infine,
la
volta
di
Sergio
Morin
che
impalma
a
Monfalcone
la
signorina
Gabriella
Massotto.
78
12
Momenti di gloria
L’Asiatica
Durante
la
stagione
calcistica
1957-‐1958
vestono
la
maglia
azzurra
Beniamino
Di
Giacomo,
centravanti,
e
Carlo
Novelli,
ala
ambidestra,
acquistati
dalla
Spal,
Giampiero
Betello,
79
centromediano,
dal
Palermo,
Gino
Bertucco,
mezzala
sinistra,
dal
Verona,
Amedeo
Gasparini,
ala
sinistra,
dal
Brescia,
Silvano
Palestini,
portiere,
dal
Molfetta,
Dolo
Mistone,
dal
Gladiator,
per
fine
prestito.
Naim
Krieziu
è
allenatore
in
seconda.
Ci
lasciano
invece
Pizzi,
Ciccarelli,
Amicarelli,
Vitali,
Trerè,
Granata,
Geronazzo
e
Moro.
Il
raduno
preparatorio
è
fissato
per
il
sette
agosto
presso
l’albergo
Quattro
Stagioni
di
Rieti
ma,
tra
i
convocati,
mancano
il
marinaio
Greco,
il
bersagliere
Di
Giacomo
e
l’ammalato
Novelli.
In
casa
azzurra,
come
spesso
accade,
c’è
aria
di
tempesta.
Gli
azionisti
chiedono
la
revoca
di
Alfonso
Cuomo
dall’incarico
di
amministratore
rimproverandogli
la
mancata
presentazione
dei
bilanci
annuali
e
delle
scritture
contabili.
A
Rieti
gli
azzurri
fanno
una
partitella
con
la
squadra
locale
(vinta
per
sette
a
uno)
per
cominciare
a
provare
l’inquadratura
di
gioco,
seguita
da
un
incontro
un
po’
rissoso
a
San
Benedetto
del
Tronto
(tre
a
tre)
durante
il
quale
Pesaola
si
fa
espellere
per
la
prima
volta
in
vita
sua
e
Vinicio
riporta
una
ferita
al
sopracciglio.
Il
ventisette
agosto
si
torna
a
casa
per
disputare
un’amichevole
con
il
Messina
che
vinciamo
per
due
a
zero
(Vinicio
e
Gasparini).
La
squadra,
tuttavia,
appare
ancora
un’incognita.
Intanto,
proprio
alla
vigilia
del
Campionato,
muore,
a
Frascati,
il
padre
di
Amadei
che
sarà
dunque
sostituito
in
panchina
da
Naim
Krieziu.
Sconfiggiamo
poi
il
Genoa
per
quattro
a
zero
con
goal
di
Vinicio,
Di
Giacomo,
Franchini
(su
rigore)
e
Brugola
che
sembra
ringiovanito.
Il
Napoli
schiera
in
formazione
Bugatti,
Comaschi,
Greco;
Morin,
Franchini,
Beltrandi;
Brugola,
Di
Giacomo,
Vinicio,
Bertucco
e
Novelli.
L’asiatica
che
imperversava
quell’anno
anche
nel
nostro
Paese,
affievolì,
tuttavia,
gli
entusiasmi
della
vittoria.
Il
martedì
successivo,
infatti,
si
misero
a
letto
Franchini,
Brugola,
Betello
e
Posio
seguiti
a
ruota
da
Di
Giacomo
e
Morin.
Amadei
mi
chiese
consiglio
per
le
convocazioni
a
Milano
ed
io
decisi
di
far
partire
tutti,
a
parte
Posio
che
aveva
la
febbre
a
quaranta,
pensando
di
poter
curare
alla
meglio
convalescenti
e
febbricitanti,
coadiuvato
da
Michelangelo
Beato.
Il
Club,
pur
non
chiedendo
il
rinvio
della
partita,
fece
presente
alla
Lega
le
eventuali
difficoltà
in
cui
ci
si
sarebbe
trovati
se
l’Asiatica
avesse
continuato
a
imperversare.
La
domenica
dell’incontro
Milano
era
squarciata
da
lampi
e
scrosci
di
pioggia
che
non
miglioravano
certo
la
situazione.
Riuscimmo,
nonostante
tutto,
a
pareggiare
(due
a
due)
con
un
goal
di
Brugola
e
un
autogoal
di
Maldini.
A
Torino
invece
vincemmo
per
tre
a
zero,
con
due
goal
di
Vinicio
e
uno
di
Di
Giacomo;
Bugatti,
con
la
sua
prestazione,
si
confermava
come
miglior
portiere
italiano
del
momento.
Vincemmo
ancora
contro
l’Atalanta
per
quattro
a
due;
nel
ritmo
travolgente
dell’incontro
Vinicio
segnò
due
volte,
seguito
da
Novelli
e
Di
Giacomo
(che,
ferito
al
sopracciglio,
dovette
uscire
per
nove
minuti);
debuttavano
Del
Bene
e
Posio.
Vittoria
eclatante
a
Verona
con
tre
goal
di
Di
Giacomo,
due
di
Novelli
e
uno
di
Franchini
su
rigore
che
ci
consentono
di
portare
a
casa
un
magnifico
sei
a
zero
seguito
da
un
altrettanto
eloquente
quattro
a
zero
contro
il
Padova
grazie
alle
prodezze
di
Pesaola,
Franchini
(su
rigore),
Vinicio
e
Brugola.
In
vista
dell’incontro
della
nostra
Nazionale
con
l’Irlanda
a
Belfast
furono
invitati
agli
allenamenti
Bugatti,
Comaschi,
Di
Giacomo
e
Pesaola.
Andiamo
a
Roma
per
incontrare
la
Lazio
ma
la
nostra
marcia
è
davvero
poco
trionfale
e
perdiamo
malamente
per
quattro
a
uno;
Lauro,
furibondo,
minaccia
multe
a
tutto
spiano.
Stesso
copione
contro
la
Fiorentina
che
mette
in
rete
quattro
palloni
contro
uno
(Vinicio).
Dopo
la
partita,
un
gruppo
di
tifosi
provoca
Comaschi
e
lo
aggredisce.
Il
Club
spedisce
tutti
in
romitaggio
a
Massalubrense.
Va
meglio
poi
contro
la
Spal
che
incassa
due
goal
(Vinicio)
e
non
riesce
a
replicare
ma
pareggiamo
a
reti
inviolate
contro
la
Roma
che,
come
noi,
ha
paura
di
perdere
e
poi
Juventus-‐
Napoli
uno
a
tre!
Bugatti
ha
la
febbre
ma
vuole
giocare
ad
ogni
costo
mentre
Posio
sostituisce
Pesaola.
Una
partita
all’insegna
del
bel
gioco
e
della
corretta
combattività.
Gianni
Agnelli,
prima
dell’incontro,
vuole
stringere
la
mano
a
Bugatti,
che
definisce
il
vero
erede
di
Combi,
consegnandogli
una
medaglia
d’oro
commemorativa
del
grande
portiere
juventino.
Ottavio
ha
80
di
che
essere
soddisfatto.
John
Charles,
cavalleresco
centravanti
bianconero,
dichiarerà,
infatti,
di
“non
aver
mai
visto
un
portiere
così”.
Posio,
considerato
il
miglior
uomo
in
campo,
vive
il
suo
momento
di
gloria,
riuscendo,
tra
l’altro,
a
neutralizzare
il
grande
Sivori.
La
stampa
osanna
il
Napoli,
considerato
ormai
la
“Stella
del
Sud”.
Giornata
nera
invece
contro
il
Bologna;
si
fa
male
Gasparini
seguito
da
Franchini
e
Di
Giacomo
(che
sbagliano
due
rigori)
e,
alla
fine,
perdiamo
per
uno
zero;
perdiamo
ancora
con
la
Sampdoria
(tre
a
zero),
pareggiamo
con
l’Alessandria
(zero
a
zero)
ma
surclassiamo
l’Udinese
(tre
a
zero),
con
due
goal
di
Posio
e
uno
di
Di
Giacomo,
riuscendo
a
battere
anche
l’Inter
per
uno
a
zero;
Pesaola
infila
in
rete
un
goal
di
rara
potenza
che
smentisce
tutti
pronostici
circa
la
sua
longevità
calcistica,
dimostrando
di
essere
ben
lontano
dal
viale
del
tramonto.
Show
di
Vinicio
a
Vicenza
con
tre
reti
nella
porta
del
Lanerossi
che
riesce
a
segnare
il
goal
della
bandiera;
mediocre
prestazione
invece
a
Genoa
dove
perdiamo
per
due
a
uno;
contro
il
Milan
però
vinciamo
per
uno
a
zero
(Pesaola);
Greco
si
fa
male
al
quinto
del
secondo
tempo
aggiungendo
il
suo
nome
alla
lista
degli
infortunati
che
si
allunga
ogni
giorno
di
più.
La
partita
contro
il
Torino,
che
perdiamo
per
quattro
a
tre,
inizia
male
con
un
autogoal
di
Morin
che
poi,
innervosito,
si
fa
espellere
e
squalificare
per
due
domeniche.
Santelli
raddoppia
per
il
Torino;
nel
secondo
tempo
segnano
Pesaola,
Vinicio
e
Posio
ma
Santelli
pareggia
e
Armano,
al
quarantatreesimo,
mette
a
segno
la
rete
del
successo
torinese.
Stavamo
invece
vincendo
contro
l’Atalanta
(due
a
uno)
quando,
a
due
minuti
dalla
fine,
arriva
il
pareggio
avversario.
Lauro,
furibondo,
proclama
a
urlacci
la
stupidità
degli
azzurri
e
per
rafforzare
il
concetto
infligge
a
tutti
una
multa
di
cinquanta
mila
lire.
Romitaggio
a
Treviso
in
vista
delle
due
trasferte
venete
che
perdiamo
sia
contro
il
Verona
per
quattro
a
tre
(Bertucco,
Pesaola
e
Vinicio)
che
contro
il
Padova
per
tre
a
zero;
il
Napoli
tenta
un
modesto
catenaccio
ma
l’avversario
è
veramente
forte.
Rocco
elogia
Vinicio
che,
tuttavia,
a
suo
parere,
è
“troppo
solo”.
La solitudine di Vinicio
Aveva
visto
giusto.
La
solitudine
di
Vinicio
dipendeva
dagli
stessi
fattori
che
avevano
condotto
al
fallimento
del
famoso
tandem
con
Jeppson.
Entrambi,
infatti,
erano
troppo
divi
per
poter
accettare
una
vera
collaborazione
sul
campo
e
nessuno
dei
due
avrebbe
mai
rinunciato
allo
scettro
di
mattatore
e
idolo
della
folla.
L’effimera
intesa
non
poteva,
quindi,
che
degradarsi
e
alla
fine
dissolversi
nell’indifferenza
reciproca
a
detrimento
del
risultato
e
del
gioco
di
squadra.
E
la
storia
si
stava
ripetendo.
Di
Giacomo
voleva,
a
tutti
i
costi,
il
numero
nove
sulla
maglia
e
mise
il
broncio
vedendosi
assegnare
l’otto,
per
poi
diventare
addirittura
idrofobo
quando,
alla
fine,
non
ottenne
che
il
sette……Era
molto
giovane
ma
sapeva
il
fatto
suo
e
voleva
emergere
in
fretta,
ritenendo
di
poter
diventare
il
futuro
centravanti
della
Nazionale
se
non
ci
fosse
stato
Vinicio
a
sbarrargli
la
strada.
E
poi
c’era
Novelli,
un’ala
sbarazzina,
spumeggiante,
velocissimo
e
con
un
senso
della
rete
davvero
invidiabile.
Uno
scugnizzo,
insomma,
in
cerca
di
popolarità
e
di
gloria.
Anche
lui
non
poteva
legare
con
Vinicio,
guardato
a
vista
da
troppi
mastini
e
sempre
strettamente
marcato.
Cercarlo,
sul
campo,
era
fatica
sprecata.
Luìs,
insomma,
non
poteva
contare
sui
compagni
di
squadra,
era
isolato,
proprio
come
Jeppson
prima
di
lui.
Il
paragone
però
finisce
qui
perché
nessuno
dei
protagonisti
aveva
ereditato
la
classe
e
l’eleganza
dello
svedese
e
il
conflitto
terminò
con
una
brutta
storia
di
pugni
e
di
ceffoni.
Trionfa
il
nervosismo
nello
scontro
con
la
Lazio
pareggiato
per
uno
a
uno
(Pesaola
su
rigore);
Tozzi
da
un
pugno
a
Greco
e
rimedia
un
calcione
che
gli
lacera
una
gamba;
Posio
si
busca
una
testata
che
gli
spacca
il
sopracciglio
destro,
tra
le
proteste
fin
troppo
vibrate
del
pubblico
e
la
Lega
infligge
sessantacinque
mila
lire
di
multa
al
Napoli
che,
a
sua
volta,
81
sanziona
Brugola
e
Del
Bene
per
scarso
rendimento.
Va
meglio
con
la
Fiorentina
che
battiamo
per
tre
a
uno;
esce
Brugola
ed
entra
Di
Giacomo
all’ala
sinistra;
Vinicio
segna
due
goal,
seguito
da
Novelli.
In
difesa
giocano
Bugatti,
Greco
e
Posio
e,
finalmente,
si
torna
a
vincere
dopo
cinque
domeniche
di
amarezze
e
delusioni.
Bugatti,nel
frattempo,
è
convocato
in
Nazionale
per
giocare
contro
il
Prater,
a
Vienna
(che
vince
per
tre
a
due);
nelle
more,
Lauro
spedisce
il
Napoli
in
tournée
elettorale
tra
gli
aranceti
siciliani,
per
giocare
a
Palermo
e
Catania.
Durante
la
trasferta
però
Greco,
Betello,
Novelli
e
Comaschi
subiscono
stiramenti
muscolari
piuttosto
seri.
Il
Campionato
continua
con
una
vittoria
contro
la
Spal
per
due
a
uno
(Vinicio
e
Pesaola)
e
un
netto
quattro
a
zero
contro
l’Alessandria
siglato
da
Brugola,
Pesaola,
Bertucco
e
Morin.
Alla
vigilia
del
derby
con
la
Roma
(due
a
zero
a
nostro
favore),
Mario
Riva
ospitò
la
squadra
al
“Musichiere”,
invitando
a
cantare
anche
Vinicio
che,
imperturbabile,
si
produsse
in
una
romantica
“Statte
vicino
a
me
pe’
n’ata
sera”
tra
lo
scrosciare
degli
applausi
che
continuarono
il
giorno
seguente
per
festeggiare
la
nostra
vittoria.
Superiamo
in
seguito
anche
la
Juventus
per
quattro
a
tre;
uno
spettacolo
formidabile
con
occupazione
pacifica
del
campo
da
parte
di
migliaia
di
tifosi
che
non
avevano
trovato
posto
nelle
Tribune.
Concetto
Lo
Bello
si
preoccupa
ma
poi,
saggiamente,
decide
di
lasciar
correre.
Il
Napoli
schiera
in
formazione
Bugatti,
Greco,
Posio;
Morin,
Franceschini,
Beltrandi;
Di
Giacomo,
Bertucco,
Vinicio,
Pesaola,
Brugola.
Sul
lato
opposto
campeggia
invece
il
famoso
trio
Boniperti-‐Charles-‐Sivori.
Lo
spettacolo
inizia
con
un
goal
di
Vinicio
e
un
autogoal
di
Greco;
Brugola
raddoppia
ma
Stacchini
pareggia;
Pesaola
regala
un
autogoal
agli
avversari
ma
Bertucco
porta
a
casa
la
vittoria.
Al
fischio
finale
la
folla
invade
pacificamente
il
campo
per
portare
in
trionfo
i
suoi
beniamini;
siamo
al
secondo
posto,
appena
dietro
la
Juventus!
Pareggiamo
poi
a
Bologna
per
uno
a
uno
(Brugola)
e
perdiamo
contro
la
Sampdoria
per
uno
a
zero;
il
pubblico
accusa
i
suoi
eroi
di
essersi
venduti
e
qualcuno
tenta
perfino
di
aggredire
Beltrandi
all’uscita
degli
spogliatoi;
per
Bugatti,
che
subisce
un
infortunio,
sarà
l’ultima
partita.
Il
vero
disastro
però
ci
aspetta
a
Udine,
dove
perdiamo
per
sette
a
zero!
Fontanesi
debutta
in
porta
e
subisce
un
autogoal
di
Franchini
e
un
altro
di
Comaschi;
Amadei
è
affranto
ma
Lauro
non
demorde
e
spedisce
la
squadra
a
Taranto,
per
giocare
una
delle
solite
partitelle
elettorali
da
cui
si
rientra
con
l’abituale
bilancio
d’infortuni.
Vinciamo
ancora
contro
l’Inter
(uno
a
zero)
ma
perdiamo
clamorosamente
contro
il
Lanerossi
per
quattro
a
zero!
Adesso
è
davvero
finita.
La
Juventus
è
Campione
d’Italia
mentre
noi
ci
ritroviamo
al
quarto
posto,
con
quaranta
punti,
sessantacinque
goal
segnati
e
cinquantacinque
ricevuti
che
ci
consentono
di
disputare
la
Coppa
Italia
dove
però
non
abbiamo
fortuna;
Atalanta
e
Verona
retrocedono
in
Serie
B.
Menischi, matrimoni e svenimenti
Il
dodici
giugno
asporto
il
menisco
esterno
di
Bugatti
e
il
ventitré
dello
stesso
mese
sbarazzo
Novelli
di
un’appendice
ormai
inservibile
e
potenzialmente
pericolosa.
Il
quattro
luglio
è
la
volta
di
Morin
cui
devo
asportare
il
menisco
mediano;
le
tonsille
di
Di
Giacomo
cadono
invece
sotto
il
bisturi
del
Professor
Ferretti,
mentre
quelle
di
Posio,
che
chiudono
la
serie,
fanno
i
conti
con
le
mani
esperte
del
Professor
D’Avino.
Durante
l’intervallo
estivo
Cesare
Franchini
sposa
a
Napoli
la
signorina
Anna
Tania
nella
chiesa
del
Redentore.
Le
brevi
vacanze
finiscono
presto
ed
eccoci
alla
vigilia
del
Campionato
1958-‐1959
che
si
apre
con
l’acquisto
di
Costantini,
dalla
Spal,
Vitali,
dall’Alessandria
e
di
Emanuele
Del
Vecchio,
dal
Verona;
il
raduno
è
fissato
per
il
diciotto
82
agosto
a
Rieti.
Amadei
convoca
Bugatti,
Fontanesi,
Greco,
Del
Bene,
Comaschi,
Costantini,
Franchini,
Beltrandi,
Morin,
Betello,
Del
Vecchio,
Bertucco,
Vitali,
Di
Giacomo,
Vinicio,
Novelli,
Pesaola
e
l’allenatore
in
seconda
Naim
Krieziu.
Manca
Posio,
ancora
convalescente;
Bugatti,
dal
canto
suo,
lamenta
un
dolorino
al
ginocchio
da
me
operato
innescando
le
abituali
maldicenze.
Il
tandem
Vinicio-‐Del
Vecchio
suscita
grandi
attese
e
nere
previsioni
per
tutte
le
difese
italiane.
Emanuele
(o
Emanuelle)
Del
Vecchio,
brasiliano,
classe
1934,
era,
in
effetti,
un
giocatore
di
gran
classe,
padrone
della
palla,
preciso
nei
passaggi,
veloce
e
ritmico
nell’azione,
e,
a
dispetto
di
un
fisico
piuttosto
esile,
duro
ed
energico
ma
instabile
dal
punto
di
vista
psicologico,
fino
a
diventare
aggressivo
e
rissoso.
Sette
volte
centravanti
della
Nazionale
brasiliana,
amava
ricordare
che
Pelé
era
stato
sua
riserva,
quando
giocava
nel
Santos.
Dovetti
operarlo
d’urgenza
per
un’appendicite
cancrenosa
i
cui
sintomi
si
erano
manifestati
durante
il
primo
allenamento,
agli
inizi
di
settembre;
mentre
era
a
cena
con
Pesaola
al
ristorante
“La
Bersagliera”,
svenne
all’improvviso
e
fu
trasportato
alla
Clinica
Flegrea
dove
tutto
si
risolse
per
il
meglio.
Il
Campionato
ebbe
inizio
il
ventuno
settembre
con
l’incontro
Genoa-‐Napoli
che
pareggiamo
per
tre
a
tre;
Posio,
Vincio,
Bugatti
e
Comaschi
mancavano
all’appello
ma
il
Napoli
riuscì
ugualmente
a
cavarsela
pur
perdendo,
in
seguito,
contro
il
Milan
per
uno
a
zero.
Vincemmo
invece
contro
la
Sampdoria
per
tre
a
due;
Monzeglio
(che
allenava
la
Sampdoria)
non
se
la
sentì
di
assistere
all’incontro
mentre
Bugatti,
costretto
a
riprendere
il
suo
posto
tra
i
pali
per
un
infortunio
di
Fontanesi,
era
guarito
d’incanto;
segnarono
Del
Vecchio,
Pesaola
e
Di
Giacomo
ma
i
pareri
sul
tandem
brasiliano
non
erano
concordi.
Contro
la
Juventus,
invece,
incassammo
due
reti;
Del
Vecchio
giocava
all’ala
sinistra
ma
nessuno
gli
passava
la
palla;
Pesaola
si
fece
male
mentre
Posio,
grazie
alle
sue
eccellenti
prestazioni,
conquistò
un
posto
in
Nazionale
B
e
il
grado
di
Capitano
degli
azzurri
per
l’incontro
contro
la
Spagna
a
Saragozza.
Vincemmo
in
seguito
contro
il
Vicenza
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Bertucco
al
novantunesimo
(Del
Vecchio,
relegato
all’ala
sinistra,
era
furibondo);
pareggiammo
poi
per
zero
a
zero
un
incontro
con
la
Lazio
che
costò
la
carriera
al
povero
Guglielmo
Costantini
e
vincemmo
infine
a
Padova
per
due
a
uno
con
goal
di
Beltrandi
e
Vinicio.
L’odissea di Costantini
Costantini,
opportunamente
curato
riprese
a
giocare
per
alcune
settimane,
finché,
nel
gennaio
del
1959,
durante
un
allenamento,
si
lussò
nuovamente
la
spalla.
Lauro
mi
chiese
se
ritenevo
opportuno
un
intervento
chirurgico
che
avrebbe
ridotto
i
tempi
d’inattività
del
giocatore
previsti
in
almeno
sei
mesi.
Sconsigliai
l’operazione,
ritenendola
inutile
o
addirittura
dannosa,
ma
il
Comandante,
contrariato,
spedì
Costantini
a
Bologna,
da
Scaglietti,
che,
il
trentuno
gennaio,
effettuò
l’intervento.
Tre
mesi
dopo,
l’esimio
ortopedico
affermò
che
l’arto
aveva
ancora
bisogno
di
cure
che
si
protrassero,
infatti,
fino
al
mese
di
agosto
dello
stesso
anno.
Costantini
debuttò
in
Campionato
il
quattro
ottobre
al
Vomero
contro
il
Genoa
(che
vinse
per
uno
a
zero)
e
giocò
ancora
contro
il
Milan
che
ci
sconfisse
per
tre
a
uno
ma
in
entrambe
le
occasioni
risultò
evidente
che
non
era
per
niente
guarito.
Nel
gennaio
1960
Costantini
consultò
nuovamente
Scaglietti
che
rilevò
la
presenza
di
aderenze
intrarticolari
e
decise
di
procedere
a
un
nuovo
intervento
presso
la
Clinica
Salus
di
Bologna;
in
aprile
Costantini
tornò
a
Napoli,
dopo
otto
mesi
di
assenza,
per
giocare
nell’ultima
partita
di
Campionato
contro
l’Inter
(persa
per
tre
a
uno),
che
coincise
purtoppo
con
la
sua
ultima
presenza
in
maglia
azzurra.
Scaglietti,
visitandolo
nel
settembre
dello
stesso
anno
ammise
che
non
c’era
più
nulla
da
fare;
Costantini
abbandonò
definitivamente
il
calcio
nel
1962
dopo
83
essere
stato
ceduto
al
Pisa
ed
aver
tentato
un’ultima
esperienza
in
Canada
con
il
Toronto
Italia.
Fumo di Londra
Nel
novembre
del
1959,
in
una
pausa
del
Campionato,
il
Napoli
fu
invitato
a
Londra
grazie
all’interessamento
di
Gigi
Peronace,
general
manager
della
squadra
del
Birmingham,
già
noto
per
aver
portato
in
Italia
campioni
come
John
Charles
e
Tony
Marchi;
debuttammo
a
Sheffield,
dove
perdemmo
per
sei
a
zero,
contro
la
squadra
locale.
L’undici
novembre
giocammo
ancora
a
Glasgow,
in
Scozia,
contro
i
Rangers,
e
perdemmo
di
nuovo
per
cinque
a
due.
Rientrati
in
Italia
vincemmo
contro
la
Roma
per
tre
a
zero
con
due
goal
di
Del
Vecchio
e
uno
di
Vinicio,
ma
perdemmo
poi
a
Torino
per
due
a
zero.
Il
malumore
di
Del
Vecchio
cominciò
ad
attenuarsi
perché
finalmente
il
tandem
con
Vinicio
cominciava
a
funzionare;
entrambi,
infatti,
segnarono
i
goal
della
vittoria.
Seguirono
tre
pareggi
di
fila
a
reti
inviolate
con
Spal,
Triestina,
e
Alessandria
e
Lauro
spedì
tutti
in
romitaggio
a
Grottaferrata,
minacciando
severe
sanzioni
se
a
Bologna
non
si
fossero
ottenuti
risultati
positivi.
Il
Presidente
rosso-‐blu,
dal
canto
suo,
non
intendeva
certo
lasciarsi
sopraffare
e
la
tensione
influenzò
dunque
l’incontro
dove
volarono
più
pugni
che
pallonate:
Del
Vecchio
si
azzuffò
con
il
portiere
Santarelli,
poi
con
il
terzino
Rota,
cui
ruppe
il
naso
con
un
colpo
di
testa.
“Sangue
e
arena”
terminò
alla
fine
in
parità
con
un
goal
di
Maschio
e
uno
di
Del
Vecchio,
squalificato
per
due
domeniche.
Seguirono
Inter-‐Napoli
(uno
a
uno);
Napoli-‐Udinese
(uno
a
uno);
Napoli-‐Bari
(uno
a
due)
e
Fiorentina-‐Napoli
persa
per
quattro
a
uno
(Vinicio).
Lauro,
nel
frattempo,
aveva
offerto
il
ruolo
di
general
manager
della
compagine
azzurra
a
Gigi
Peronace
che
accettò
a
condizione
che
il
Comandante
s’impegnasse
a
non
mettere
piede
sul
campo
e
starsene
tranquillo
in
Tribuna
a
godersi
lo
spettacolo.
La
richiesta,
come
prevedibile,
estinse
ogni
interesse
nei
suoi
confronti.
13
85
Le
notizie
relative
a
un
possibile
accordo
con
Annibale
Frossi
che
circolavano
agli
inizi
di
maggio,
passano
in
secondo
piano
perché
il
ventidue
di
quel
mese
morì
Arturo
Collana,
giornalista
e
direttore
del
più
eminente
dei
fogli
sportivi
dell’epoca;
la
domenica
successiva,
prima
dell’incontro
con
l’Inter,
i
capitani
inviarono
in
Tribuna
due
fasci
di
fiori
e
fu
osservato
un
minuto
di
silenzio;
vincemmo
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Del
Vecchio.
La
settimana
seguente
dovetti
operare
d’urgenza
Dolo
Mistone
che
accusava
violenti
dolori
addominali
durante
un
allenamento
per
un’appendicite
gangrenosa
Per
l’incontro
con
l’Udinese
Lauro
avrebbe
voluto
far
giocare
Posio
ma
Amadei
aveva
già
deciso
di
utilizzare
Schiavone
e
il
povero
Celso
resta
in
Tribuna;
pareggiammo
per
uno
a
uno
con
un
goal
di
Di
Giacomo
al
ventiquattresimo
del
secondo
tempo.
Pareggiammo
ancora
con
il
Bari
(zero
a
zero)
ma
perdemmo
contro
la
Fiorentina
per
tre
a
due;
l’incontro,
trasformatosi
in
una
rissa,
si
concluse
con
l’espulsione
e
squalifica
di
Del
Vecchio
per
fallo
su
Orzan
e
una
multa
di
settecento
mila
lire.
Su
queste
note,
anche
il
Campionato
1958-‐1959
giunse
al
termine
con
il
Milan
campione
d’Italia
e
noi
al
nono
posto
con
trentaquattro
punti,
trentanove
goal
subiti
e
cinquanta
ricevuti.
Annibale alle porte
L’anno
calcistico
1959-‐1960
iniziò
con
un
bouquet
di
fiori
d’arancio;
Luigi
Brugola
sposò,
infatti,
il
primo
luglio,
la
signorina
Liliana
Lepre
nella
chiesa
di
Piedigrotta.
La
principale
novità
della
campagna
acquisti
fu
l’arrivo,
in
veste
di
allenatore,
di
Annibale
Frossi,
ex
ala
sinistra,
plurinazionale
e
olimpionico
a
Berlino
nel
1936;
la
forte
miopia
che
lo
costringeva
a
portare
occhiali
da
vista,
perfino
in
campo,
e
una
laurea
in
legge
brillantemente
conseguita,
gli
valsero
l’epiteto
di
“dottor
sottile”
che
alludeva
anche
alle
sue
teorie
difensive.
Furono
acquistati
Pacifico
Cuman,
portiere,
dall’Alessandria,
per
trenta
milioni,
Gennaro
Rambone,
ala
ambidestra,
dal
Catanzaro,
per
sedici
milioni,
Amodeo,
ala
ambidestra,
dalla
Juve
Domodossola
per
un
milione
duecentomila
e
Gian
Felice
Schiavone,
terzino
destro,
dal
Brescia;
furono
invece
ceduti
Betello,
Novelli,
Del
Bene,
Molinari
e
Fontanesi.
Frossi,
al
momento
di
accettare
l’incarico,
chiese
di
poter
aver
al
suo
fianco
Giuliano
Grandi
(allenatore
in
seconda)
e,
incoraggiato
dal
consenso
di
Lauro,
propose
l’allontanamento
di
Comaschi,
ritenuto
incapace
di
adattarsi
al
suo
modulo
di
gioco
(e,
soprattutto,
reo
di
aver
fatto
commenti
poco
piacevoli
sul
suo
conto).
Il
Comandante
nicchiò,
facendo
presente
che
si
sarebbe
potuto
impiegare
Schiavone
nel
ruolo
di
terzino
titolare.
Amadei,
dal
canto
suo,
si
ritirò
in
buon
ordine
conservando
il
ruolo
un
po’
vago,
di
osservatore.
L’undici
agosto,
in
occasione
del
primo
raduno,
Lauro
presentò
la
squadra
al
nuovo
allenatore
affermando
che
la
compagine
non
poteva
certo
considerarsi
da
scudetto
ma
neanche
da
buttar
via,
nonostante
l’indisciplina
mostrata
nel
precedente
campionato;
Frossi
replicò
che
sarebbe
stato
inflessibile
in
materia
disciplinare
e,
tanto
per
passare
dalle
parole
ai
fatti,
multò
Di
Giacomo
per
non
aver
curato
a
tempo
debito
lo
strappo
inguinale
che
lamentava
al
momento
della
convocazione.
Si
debuttò
in
amichevole
contro
il
Cirio
(uno
a
uno)
e
poi,
per
la
Coppa
Italia,
al
Vomero,
contro
la
Sanbenedettese
sconfitta
per
quattro
a
zero
con
tre
goal
di
Vitali
e
uno
di
Vinicio;
a
Bari,
però,
perdemmo
per
uno
a
zero.
Il
venti
settembre,
all’inizio
del
Campionato,
Frossi
schierò
in
formazione
Bugatti,
Comaschi,
Greco;
Morin,
Franchini,
Posio;
Rambone,
Bertucco,
Vinicio,
Di
Giacomo
e
Pesaola.
86
In
ossequio
alle
sue
teorie
la
squadra
assunse
un
sistema
di
gioco
sostanzialmente
difensivo,
arroccato
in
metà
campo,
con
l’attacco
affidato
quasi
esclusivamente
al
contropiede
e
a
qualche
sporadico
exploit
individuale;
puro
catenaccio,
dunque,
che
Frossi
riteneva
di
poter
attuare
con
calciatori
abituati
a
giocare
in
tutt’altro
modo:
per
applicare
il
principio,
peraltro
condivisibile,
del
“primo
non
prenderle”,
bisognava,
infatti,
avere
giocatori
adeguati
a
un
modulo
di
gioco
che
il
Napoli,
invece,
ignorava.
Friulano
piuttosto
algido
e
poco
incline
all’umorismo,
Frossi
rifiutò
di
trasformarsi
nel
cavaliere
servente
del
Comandante,
di
partecipare
alle
sue
levate
mattutine
per
la
“passeggiata
solare”
e,
infine,
di
sedere
in
panchina
a
fianco
dell’augusto
personaggio,
commettendo
errori
che
si
sarebbero
rivelati
fatali
anche
a
prescindere
dallo
sciovinismo
di
parte
della
squadra
nei
suoi
confronti.
Iniziammo
il
Campionato
perdendo
per
tre
a
zero
contro
la
Spal
che
giocava
con
cinque
esordienti
e
con
Novelli
dal
dente
avvelenato
e
perdemmo
nuovamente
contro
la
Fiorentina
(due
a
uno)
e
contro
il
Genoa
(uno
a
zero).
L’incontro
fu
un
vero
giallo;
Barison
segna
al
ventiduesimo
del
primo
tempo;
al
quarantesimo
della
ripresa
Vinicio
è
atterrato
in
area
di
rigore
ma,
cadendo,
riesce
ugualmente
a
colpire
la
palla
e
a
segnare
il
pareggio
proprio
nello
stesso
momento
in
cui
l’arbitro
De
Marchi
fischiava
il
fallo.
E’
goal?
Non
è
goal?
L’interrogativo
suscita
violente
discussioni
e
alterchi
sul
campo
mentre
la
folla
impazzisce
di
rabbia
sugli
spalti.
De
Marchi
però
concede
solo
un
rigore
(affidato
a
Comaschi)
che
prende
il
palo
e
rimbalza
in
campo,
consentendogli
di
tirare
nuovamente
e,
questa
volta,
fare
centro;
l’arbitro,
ovviamente,
annulla
il
goal
per
fuori
gioco.
La
folla
si
rivolta
e
minaccia
l’invasione
del
campo
contenuta
a
stento
dalle
forze
dell’ordine
che
fanno
ampio
uso
di
lacrimogeni
e
getti
d’acqua
lanciati
dagli
idranti;
De
Marchi
lascia
lo
stadio
ben
accucciato
nella
macchina
di
Lauro.
Il
Napoli
parte
in
ritiro
per
Grottaferrata
in
attesa
delle
decisioni
della
Lega
che
decreta
la
vittoria
del
Genoa,
squalificando
il
campo
per
una
domenica
e
infliggendo
una
multa
di
cinquecentomila
lire
alla
Società
e
una
di
novemila
a
capitan
Pesaola.
La
domenica
successiva
perdemmo
penosamente
contro
il
Milan
per
tre
a
uno;
Vinicio
e
Del
Vecchio
s’ignorano
completamente.
Quattro
partite,
quattro
sconfitte:
le
folgori
laurine
non
avrebbero
tardato
ad
abbattersi
sul
povero
Frossi,
trattenuto
peraltro
a
Milano
per
ragioni
personali.
Tale
circostanza
consentì
al
Comandante,
di
“suggerire”
alla
Dirigenza
l’emanazione
del
seguente
comunicato
diramato
il
dodici
ottobre
1959:
“In
seguito
alla
delicata
situazione
sportiva
della
squadra,
la
Presidenza
del
Napoli
ha
deciso
di
concedere
una
licenza
al
dottor
Frossi,
momentaneamente
assente
per
ragioni
di
famiglia,
affidando,
nel
frattempo,
la
conduzione
della
squadra
al
Signor
Amedeo
Amadei”.
Cuomo
si
era
illuso
di
poter
concedere
a
Frossi
un’altra
opportunità
ma
l’armatore
fu
irremovibile;
rispose,
infatti,
a
un
perplesso
giornalista
che
lo
intervistava
di
aver
fiducia
in
Amadei:
“Ogni
mattina
viene
a
fare
colazione
con
me”,
precisò,
senza
rendersi
conto
dello
scivolone
implicito
nella
risposta.
Frossi
rientrò
a
Napoli
la
sera
del
dodici
ottobre
e,
sbalordito
per
il
suo
esonero,
dichiarò
ai
pochi
giornalisti
che
lo
attendevano
alla
stazione
di
“essere
stato
onesto
nel
suo
lavoro”.
“Salto”
disse,
“per
una
sola
partita,
quella
contro
la
Spal.
Non
credo,
infatti,
che
a
Firenze
ci
siamo
comportati
male.
Giocavamo
in
dieci
per
l’incidente
di
Del
Vecchio.
“A
Milano,
contro
i
Campioni
d’Italia,
non
ci
si
poteva
aspettare
qualcosa
di
diverso
e
la
partita
con
il
Genoa
è
stata,
francamente,
rubata”.
“Comunque
non
ho
ricevuto
nessuna
comunicazione
ufficiale
e
domani
sarò
in
campo”.
Non
arrivò
mai
al
Vomero;
fu
invece
invitato
l’indomani
mattina
da
Lauro
che
confermò
le
sue
decisioni,
pregandolo
di
considerarsi
in
temporanea
licenza
e
invitandolo
a
formare,
sulla
carta,
lo
squadrone
del
Napoli
1960-‐1961.
87
L’avventura
del
“dottor
Sottile”
era
durata
esattamente
quattro
settimane.
Amadei,
riprese
le
redini
della
squadra
e
annunciò,
per
prima
cosa,
di
non
serbare
alcun
rancore
nei
confronti
dei
giocatori,
congiurati
compresi,
augurandosi
di
poter
andare
d’accordo
con
tutti.
Freud al Vomero
La
defenestrazione
di
Frossi
non
era
bastata
a
placare
l’ira
di
Achille
che
non
riusciva
a
mandar
giù
le
quattro
sconfitte
consecutive,
arrovellandosi
alla
ricerca
di
una
ragione,
finché
le
sue
instancabili
meningi
non
gli
suggerirono
l’idea
di
ricorrere
alla
psicoanalisi
per
capire
cosa
ci
fosse
davvero
nella
testa
di
quei
ragazzi.
E
fu
così
che
il
dodici
ottobre
la
mole
gigantesca
dello
psicologo
Luigi
Ammendola
prese
posto
nella
palazzina
del
Vomero.
Le
consultazioni
iniziarono
subito;
i
giocatori
dovevano
recarsi
quotidianamente
nel
suo
studio
per
essere
scaricati
d’ogni
grave
fardello
e
degli
angustiosi
pensieri
che
ottenebravano
le
loro
menti
in
modo
da
riportare
novello
vigore
alle
atletiche
membra
ormai
libere
dalle
catene
dei
patemi
spirituali.
La
trovata
di
Lauro
suscitò
l’ilarità
generale,
a
Napoli
e
nel
resto
d’Italia;
risero
i
Club
avversari,
la
stampa,
il
pubblico
e
perfino
gli
stessi
pazienti.
Ammendola,
dopo
aver
ammesso
che
i
ragazzi
erano
sanissimi,
chiese
a
me
per
quale
motivo
non
giocavano
bene,
passando
così
dalla
farsa
al
burlesco.
Risposi
che
avrebbe
dovuto
rivolgere
la
domanda
all’allenatore
e
non
al
medico
sociale.
Il
nostro
Freud
si
rese
conto
che
era
giunto
il
momento
di
tagliare
la
corda,
non
prima,
naturalmente,
di
aver
incassato
il
lauto
compenso
pattuito
con
l’illustre
stratega
che
lo
aveva
ingaggiato.
Vincemmo
per
uno
a
zero
contro
l’Atalanta,
a
Livorno,
grazie
ad
un
goal
di
Del
Vecchio,
e
pareggiammo
per
zero
a
zero
contro
il
Palermo
che
da
venticinque
anni
non
riusciva
a
vincere
contro
gli
azzurri
alla
Favorita.
Guido
Postiglione,
giovane
centravanti
napoletano,
debuttò
durante
una
parentesi
di
Coppa
Italia
che
perdemmo
contro
il
Bologna
per
uno
a
zero.
Pareggiammo
poi
con
la
Lazio
per
zero
a
zero
e
vincemmo
contro
il
Lanerossi
Vicenza
per
tre
a
uno
(con
goal
di
Comaschi,
Vitali
e
Del
Vecchio
che
s’improvvisò
anche
pugile
mettendo
al
tappeto
l’avversario
Agnolin);
pareggiammo
in
seguito
contro
l’Udinese
per
zero
a
zero.
Il
nuovo
Stadio
di
Fuorigrotta
era,
nel
frattempo,
terminato
e
il
Napoli
chiese
al
CONI
di
potervi
giocare
prima
del
collaudo
la
partita
inaugurale
contro
la
Juventus,
disputata
effettivamente
il
sei
dicembre
1959;
trent’anni
prima
l’Ascarelli
era
stato
inaugurato
proprio
con
la
Juventus,
quella
di
Combi,
Rosetta
e
Calligaris.
Lo
stadio
di
Fuorigrotta
che
per
l’epoca
era
abbastanza
moderno
e
poteva
ospitare
ottantamila
spettatori
stabilì
in
quell’occasione
un
record
d’incasso
di
sessantotto
milioni.
Arbitrava
Joni
di
Macerata;
la
formazione
azzurra
comprendeva
Bugatti,
Comaschi,
Mistone;
Beltrandi,
Greco,
Posio;
Vitali,
Di
Giacomo,
Vinicio,
Del
Vecchio
e
Pesaola.
Vitali
segnò
al
sesto
del
primo
tempo,
seguito
da
Vinicio
al
diciottesimo
del
secondo
tempo
con
un
fantastico
goal
in
semi
sforbiciata;
Cervato,
su
rigore,
accorciò
le
distanze
al
quarantaquattresimo
del
secondo
tempo
senza,
tuttavia,
modificare
la
vittoria
del
Napoli
per
due
a
uno.
Pareggiammo
poi
con
l’Alessandria
per
uno
a
uno
su
un
campo
impossibile,
con
un
goal
di
Di
Giacomo
ma
perdemmo
con
il
Bari
(uno
a
due)
con
un
goal
di
Rambone
che
debuttava
all’ala
destra;
al
ventiquattresimo
del
primo
tempo
Pesaola
nell’entrare
di
testa
su
un
pallone
ricevette
un
calcio
al
viso
da
parte
di
Baccari
ma
continuò
stoicamente
a
giocare
fino
al
88
termine
del
primo
tempo;
nell’intervallo,
tuttavia,
decisi
il
suo
immediato
ricovero;
un
goal
di
Erba
al
novantesimo
decise
le
sorti
dell’incontro.
Vincemmo
in
seguito
contro
la
Sampdoria
per
due
a
zero
ma
incassammo
una
solenne
batosta
contro
il
Bologna
che
mise
in
rete
quattro
goal
(per
noi
segnò
Di
Giacomo)
nello
sfortunato
incontro
che
vide
l’esordio
di
Amedeo
Gasparini.
Saudade
Perdemmo
ancora
contro
il
Padova
per
due
a
uno
con
un
goal
di
Del
Vecchio;
i
patavini,
vittoriosi
per
la
prima
volta
in
trasferta,
espugnarono
Fuorigrotta
al
novantesimo
minuto,
con
un
goal
di
Brighenti,
che
siglò
anche
la
prima
vittoria
del
Padova
contro
la
roccaforte
azzurra
negli
ultimi
cinquanta
anni.
Lauro,
negli
spogliatoi,
se
la
prende
un
po’
con
tutti,
ma
insinua
che,
alla
fine,
il
problema
dipende
da
un
solo
uomo;
Vinicio,
capita
l’antifona,
chiese
di
essere
esonerato.
Fu
subito
chiaro
che
si
stava
ripetendo
nei
suoi
confronti
quello
che
era
già
successo
con
Jeppson.
Lauro
radunò
la
squadra
e
chiese
se
ci
fossero
particolari
lagnanze
o
dissidi
nei
confronti
di
Luìs;
tutti
professarono
sentimenti
amichevoli
verso
di
lui,
più
volte
esortato,
peraltro,
a
non
intestardirsi
nel
gioco
individuale,
a
passare
la
palla,
senza
voler
per
forza
cercare,
da
solo,
la
via
del
goal,
lasciando
spazio
a
chi
era
in
condizioni
fisiche
e
morali
migliori
delle
sue.
Il
“Comandante”
allora
convocò
Cuomo,
Amadei,
Uccello
e
il
sottoscritto
per
parlare,
in
sua
presenza,
della
forma
del
brasiliano
e,
soprattutto,
della
sua
saudade;
Luìs
affermò
di
non
sentirsi
gradito
nella
squadra
in
contrasto
con
Amadei
che
contestava,
invece,
il
suo
comportamento.
Vinicio
ribadì
comunque
la
sua
posizione
chiedendo
di
essere
messo
a
riposo
e
Lauro
non
se
lo
fece
ripetere
due
volte.
Tutto
risolto
allora?
Forse,
ma
chi
lo
avrebbe
sostituito
e,
soprattutto,
come
avrebbe
fatto
Amadei
a
formare
la
squadra
per
la
prossima
trasferta?
Mistone
era
a
letto
con
trentanove
di
febbre,
Bertucco
era
indisponibile
perché
agli
ordini
della
Nazionale
Militare
e
Vitali
si
riposava
dopo
l’operazione
di
appendicite.
In
questo
frangente
vedemmo
comparire,
con
grande
stupore,
Annibale
Frossi,
convocato
da
Lauro
che
voleva
proporgli
di
allenare
il
Genoa
di
Gadolla.
Frossi
asserì,
tra
l’altro,
che
avrebbe
preferito
restare
a
Napoli
ma
il
“Comandante”
replicò
che
anche
da
Genova
avrebbe
conservato
il
ruolo
di
osservatore.
La
squadra
schierava
in
formazione
Bugatti,
Comaschi,Schiavone;
Morin,
Greco,
Beltrandi;
Di
Mauro,
Pesaola,
Di
Giacomo,
Del
Vecchio
e
Gasparini.
Perdemmo
in
seguito
contro
la
Roma
per
tre
a
zero
e
pareggiammo
per
uno
a
uno
con
l’Inter;
Di
Giacomo
segnò
a
sette
minuti
dalla
fine
mentre
Comaschi,
colpito
al
ginocchio,
dovette
starsene
a
riposo
per
tre
settimane.
Pareggiammo
di
nuovo
(due
a
due)
contro
la
Spal
cui
l’arbitro
Ferrari
assegnò
due
rigori
piuttosto
incerti
che
Morbello
realizzò
pareggiando
i
goal
di
del
Vecchio
e
Vinicio;
Pesaola
era
a
letto
con
l’influenza
che
in
seguito
colpì
anche
Vinicio,
Gasparini
e
Schiavone.
La
domenica
successiva
perdemmo
clamorosamente
contro
la
Fiorentina
per
quattro
a
zero
e
Lauro,
esasperato,
spedì
la
squadra
in
romitaggio
a
Formia;
Del
Vecchio
rifiutò
di
partire,
sostenendo
di
dover
assistere
sua
moglie,
ormai
prossima
al
parto
ma
il
“Comandante”
reagì
appioppandogli
una
multa
di
cinquecentomila
lire
che
lo
fece
prontamente
rientrare
nei
ranghi.
Al
Miramare
però
lo
attendeva
un’altra
amara
sorpresa:
la
sua
rata
di
reingaggio,
infatti,
non
era
arrivata.
Il
brasiliano,
idrofobo,
piantò
tutto
in
asso
per
tornarsene
a
Napoli
ma
fu
prontamente
deferito
alla
Lega;
ricondotto
alla
ragione,
il
focoso
attaccante
si
mise
in
treno
89
per
Genova,
dove
era
atteso
per
l’incontro
con
i
rosso-‐blu
pareggiato
per
zero
a
zero,
ignorato
peraltro
da
Amadei
che
non
lo
volle
formazione.
Continuammo
con
una
serie
di
pareggi,
diverse
sconfitte
e
una
vittoria;
Atalanta-‐Napoli
uno
a
zero;
Napoli-‐Palermo
due
a
uno
(Di
Giacomo
e
Del
Vecchio);
Lazio-‐Napoli
due
a
uno
(Del
Vecchio);
Lanerossi-‐Napoli
zero
a
zero;
Napoli-‐Udinese
uno
a
uno
(Del
Vecchio);
Juventus-‐
Napoli
quattro
a
due
(Di
Giacomo
e
Del
Vecchio);
Napoli-‐Alessandria
uno
a
uno
(segna
il
nostro
“ex”
Vitali);
Bari-‐Napoli
uno
a
uno
(Di
Giacomo);
Napoli-‐Sampdoria
uno
a
uno
(Di
Giacomo);
Napoli-‐Bologna
due
a
zero
(Postiglione
e
Vinicio)
e
infine
Napoli-‐Roma
uno
a
zero
con
un
goal
di
Del
Vecchio
su
rigore;
assistevano
al
derby
novanta
mila
spettatori
entusiasti
per
la
vittoria
che
ci
salvò
dalla
retrocessione.
Perdemmo
anche
l’ultima
di
campionato
contro
l’Inter
per
tre
uno
(Vinicio);
Costantini
rientrava
in
squadra
dopo
otto
mesi
e
Cuman
debuttava
tra
i
pali.
Con
la
Juventus
Campione
d’Italia,
il
Napoli
si
classificò
al
quattordicesimo
posto
con
ventinove
punti,
trentatré
goal
segnati
e
quarantotto
subiti.
Retrocessero
Alessandria,
Genoa
e
Palermo,
mentre
Torino,
Lecco
e
Catania
passarono
in
massima
divisione.
L’affare Gratton
All’inizio
del
Campionato
1960-‐1961
Lauro,
Cuomo
e
Muscariello
partirono
alla
volta
dell’Hotel
Gallia
di
Milano,
Borsa
del
Calcio
italiano
per
la
campagna
acquisti
e,
poco
dopo,
si
diffuse
la
prima
notizia
sensazionale
della
stagione:
Vinicio
era
stato
ceduto
al
Bologna.
Il
brasiliano
aveva
giocato
con
i
colori
del
Napoli
per
cinque
stagioni,
segnando
sessantanove
reti
in
azzurro;
fu
secondo
nella
classifica
cannonieri
del
1956-‐1957,
con
diciotto
reti,
e
quarto
nel
1957-‐1958
con
ventuno.
I
tifosi
protestarono
ma
Lauro
minimizzò
asserendo
che
il
giocatore
aveva
fatto
il
suo
tempo
e
che
aveva
ormai
bisogno
di
cambiare
aria.
Nella
stessa
occasione,
aggiungendo
un
centinaio
di
milioni,
furono
acquistati
Pivatelli,
Mihalic
e
Bodi.
Il
secondo
scoop
riguardava
invece
l’acquisto
dalla
Fiorentina,
per
novanta
milioni,
del
ventottenne
Guido
Gratton,
mezzala
destra,
undici
volte
nazionale.
I
calunniatori
di
mestiere
diffusero
la
voce,
naturalmente
infondata,
che
avevo
ricevuto
denaro
per
dichiararlo
idoneo
alla
visita
medica
cui
doveva
sottoporsi
per
la
ratifica
del
contratto.
Sebbene
la
maldicenza
fosse
poco
credibile
poiché
il
giocatore
era
perfettamente
sano
e
nessuno
avrebbe
potuto
dimostrare
il
contrario,
l’episodio
evidenziava,
a
mio
avviso,
il
crescente
degrado
morale
dell’ambiente
calcistico.
Presto
o
tardi,
dunque,
avrei
dovuto
valutare
il
prosieguo
della
mia
collaborazione
con
l’Associazione
Calcio
Napoli.
Oltre
i
già
menzionati
Pivatelli,
Mihalic
e
Bodi,
il
Napoli
acquistò
Juan
Carlos
Tacchi,
e
Antonio
Girardo,
dall’Alessandria,
Giorgio
Maioli,
mezzala
sinistra,
dal
Verona,
Santo
Barbato,
ala
destra,
dal
Crotone
e,
come
già
riferito,
Guido
Gratton.
Andò
via,
invece,
Bruno
Pesaola,
che
passò
al
Genoa,
seguito
da
Morin,
Del
Bene,
Vitali,
Beltrandi
e
Rambone.
Il
raduno
era
fissato
il
diciotto
agosto
all’Hotel
Jolly
di
Sulmona
per
il
rituale
romitaggio
d’inizio
campionato;
il
quattro
settembre
debuttammo
a
Sulmona
contro
una
squadretta
locale,
segnando
quattordici
goal
e
l’undici
giocammo
a
Crotone
dove
Pivatelli
90
mise
in
rete
tre
goal;
il
quindici
settembre
pareggiammo
in
amichevole
contro
l’Alessandria
per
uno
a
uno
e
Amadei
cominciò
a
imbronciarsi;
il
diciotto
perdemmo
in
Coppa
Italia
contro
la
Roma
per
due
a
uno
e
l’umore
di
Amadei
peggiorò
notevolmente
nonostante
l’exploit
di
Tacchi
che
riuscì
a
ripetere,
a
venticinque
anni
di
distanza,
la
prodezza
di
Ferrara
II,
segnando
direttamente
dal
calcio
d’angolo;
il
ventuno
perdemmo
infine
l’ultima
amichevole
contro
la
Salernitana
per
tre
a
uno
e
Amadei
perse
definitivamente
le
staffe:
“Ora
è
troppo,
si
comincia
a
esagerare!”.
Il
ventotto
settembre
iniziò
il
Campionato.
Amadei
aveva
schierato
in
formazione
Bugatti,
Greco,
Schiavone;
Posio,
Mihalic,
Girardo;
Di
Giacomo,
Gratton,
Pivatelli
e
Di
Giacomo.
Cominciammo
subito
con
una
sconfitta
contro
il
Lane
Rossi
Vicenza
per
tre
a
due
con
goal
di
Del
Vecchio
e
Pivatelli;
pareggiammo
poi
con
il
Torino
per
uno
a
uno
(Del
Vecchio)
e
con
la
Lazio
sempre
per
uno
a
uno
con
un
goal
di
Tacchi,
ma
poi
superammo
il
Bologna
per
due
a
zero:
Vinicio
e
Pivatelli
si
ritrovarono
faccia
a
faccia
in
posizione
ribaltata.
Gratton,
dopo
Tacchi,
mise
in
rete
il
secondo
goal
della
giornata;
Mistone,
al
suo
debutto,
mostrò
subito
la
classe
di
cui
era
dotato.
Il
primo
ottobre
dovetti
operare
al
menisco
Gasparini
che
ricominciò
a
giocare,
del
tutto
ristabilito,
il
sei
gennaio
1961
in
un’amichevole
contro
il
Cirio.
Vincemmo
contro
la
Roma
per
tre
a
due
con
goal
di
Di
Giacomo,
Del
Vecchio
e
Pivatelli
e
contro
la
Spal,
ancora
per
tre
a
due
(debuttava
Maioli),
ma
pareggiamo
con
la
Sampdoria
(zero
a
zero)
e
con
il
Milan
(uno
a
uno
con
un
goal
di
Tacchi);
superammo
infine
la
Fiorentina
per
uno
a
zero
(Di
Giacomo);
assistevano
all’incontro
settantamila
spettatori;
Postiglione,
al
suo
debutto,
si
rivelò
il
migliore
uomo
in
campo
assieme
a
Dolo
Mistone.
Vincemmo
ancora
a
Bari
per
uno
a
zero
(Greco)
e
pareggiammo
con
l’Atalanta
per
uno
a
uno
(Sbarbato);
il
“Comandante”
voleva
che
Posio
sostituisse
l’influenzato
Greco
ma
Amadei
fece
giocare
Schiavone;
perdemmo
infine
per
uno
a
zero
contro
il
Catania
che
tra
l’altro
giocava
con
nove
uomini.
La
situazione
cominciava
a
farsi
precaria
malgrado
la
benedizione
dello
Stadio
San
Paolo
impartita
dal
religioso
Emanuele
Ros
(amico
del
grande
portiere
iberico
Riccardo
Zamora
Martìnez).
91
14
Zona Cesarini
La strategia dei maccheroni
Lauro,
nonostante
la
crisi,
confermò
la
sua
fiducia
ad
Amadei
pur
avendo
già
pronto
uno
dei
suoi
tipici
colpi
di
scena;
il
dodici
gennaio
1961
annunciò,
infatti,
presentandolo
allo
Stadio
del
Vomero,
che
Renato
Cesarini
sarebbe
stato
il
nuovo
Direttore
Tecnico
della
squadra.
Affiorarono
alla
mia
mente
i
ricordi
di
un
altro
pomeriggio
del
lontano
1930,
quando
la
mezzala
argentina
(nato
a
Senigallia
ma
vissuto
a
Buenos
Aires)
debuttò
per
la
prima
volta
in
Italia,
all’Ascarelli,
con
la
maglia
bianconera,
proprio
nella
sfida
contro
il
Napoli
(ventitré
marzo
1930),
terminata
in
pareggio
(due
a
due).
Con
la
Juventus,
Cesarini
vinse
altri
quattro
campionati
prima
di
rientrare
in
Argentina
nel
1935,
precludendosi
la
possibilità
di
giocare
con
la
Nazionale
italiana;
nel
1945
si
ritirò
dal
calcio
giocato
e
divenne
allenatore,
collaborando
nuovamente
con
la
Juventus
dal
1946
al
1948.
Tornato
in
Patria,
allenò
il
River
Plate
e
fu
mentore
di
Omar
Sivori
che
volle
con
sé
al
suo
rientro
in
Italia
quando
riprese
le
redini
della
squadra
bianconera
che
allenò
dal
1958
al
1961
vincendo
due
scudetti
e
un
torneo
di
Coppa
Italia.
Cesarini,
il
cui
valore
e
prestigio
erano
fuori
discussione,
arrivava
però
in
uno
dei
momenti
peggiori
del
Club
napoletano,
dominato
da
interessi
di
parte,
invidie
e
smanie
di
protagonismo.
“Caro
dottore”,
mi
disse
un
giorno
per
sfogare
la
sua
amarezza,
“come
si
fa
a
discutere
di
tecnica
con
chi
non
ha
nessuna
competenza?
“Qui
tutti
si
danno
arie
di
maestri
ma
allora,
perché
mi
hanno
chiamato?”.
92
Un
aneddoto,
forse,
vale
più
di
molti
discorsi.
Durante
un
romitaggio
a
Sorrento
Lauro
giunse
in
albergo,
in
compagnia
di
un
medico
facente
parte
del
suo
seguito
personale,
nel
momento
in
cui
la
squadra
stava
consumando
una
cena
leggera
a
base
di
brodo
“Come
si
fa
a
vincere
mangiando
questa
roba?”,
sbottò
rivolgendosi
a
Cesarini.
“Tu
devi
dargli
maccheroni
e
vedrai
come
correranno
domenica!”
L’allenatore
cercò
di
replicare
ma
il
“Comandante”
si
rivolse
al
suo
accompagnatore
per
chiedergli
di
suffragare
la
sua
bizzarra
teoria,
ricevendone,
naturalmente,
pedissequa
conferma.
Ringalluzzito
dal
deferente
avallo,
l’armatore
chiese
al
povero
Cesarini
che
tentava
di
ricondurre
il
discorso
in
un
ambito
più
serio,
se
pretendeva
di
saperne
più
di
uno
che
era
stato
all’Università.
“Se
è
per
questo,
ho
passato
una
vita
intera
all’Università
perché
ci
abitavo
di
fronte”,
rispose
il
tecnico,
il
cui
sarcasmo
fu
prontamente
assimilato
al
reato
di
lesa
maestà.
Spie e picchiatori
L’atmosfera
avvelenata
che
circolava
nel
Club
non
poteva
che
degenerare
in
episodi
sempre
più
disdicevoli
e,
francamente,
intollerabili
in
ambito
sportivo,
come
la
spiacevole
bagarre
tra
Del
Vecchio
e
Amadei.
Alla
vigilia
della
partenza
per
Torino
Del
Vecchio
aveva
deciso
di
condurre
sua
moglie
al
cinema
e
per
questo
aveva
affidato
la
figlia
di
pochi
mesi
a
una
bambinaia
che
però
fece
cadere
la
piccola
che
batté
la
testa
contro
il
lavabo
e
svenne.
Spaventata,
la
ragazza
bussò
al
vicino
appartamento
di
Tacchi
che
si
precipitò
per
strada
in
pigiama
e
cappotto
alla
ricerca
del
compagno
di
squadra;
incontrò
invece
Amadei
cui
riferì
l’episodio.
Quando
finalmente
Del
Vecchio
rincasò,
Amadei
gli
rimproverò
una
certa
mancanza
di
responsabilità
nei
confronti
della
famiglia
e
anche
della
squadra,
dal
momento
che
un
giocatore
professionista,
alla
vigilia
di
un
incontro
importante,
avrebbe
dovuto
restarsene
a
casa
a
riposare.
Del
Vecchio
lo
guardò
con
aria
truce
ma
riuscì
a
controllare
la
collera
pensando
alla
bambina
che,
affidata
poi
alle
cure
del
Professor
Castellano,
si
rimise
perfettamente.
Lauro
reagì
inviandogli
una
lettera
di
richiamo
e
Del
Vecchio,
notoriamente
instabile
dal
punto
di
vista
emotivo,
si
presentò
il
martedì
successivo
all’allenamento
insultando
Amadei
(“sei
una
spia!”)
e
aggredendolo
fisicamente.
Lauro
decise
di
sospenderlo
in
attesa
di
provvedimenti
disciplinari
che
non
giunsero
mai.
Il
diciotto
gennaio
1961
fu,
invece,
inscenata
una
sorta
di
riconciliazione
con
tante
scuse,
strette
di
mano
e
fotografia
di
rito
per
immortalare
la
farsa.
Amadei
stette
al
gioco
ma
il
giorno
successivo
rassegnò
le
dimissioni
che,
come
al
solito,
furono
respinte.
Sul
campo,
pareggiammo
poi
con
la
Juventus
(due
a
due),
con
l’Inter
(zero
a
zero)
e
con
il
Vicenza
(ancora
zero
a
zero)
ma
perdemmo
contro
il
Padova
(due
a
zero),
contro
il
Torino
(uno
a
zero
assortito
da
una
sassata
sulla
zucca
dell’arbitro
Campanati)
e
contro
la
Lazio
con
un
memorabile
cinque
a
due!
Del
Vecchio,
dopo
la
batosta,
chiese
di
essere
messo
fuori
squadra
mentre
Gratton
e
Pivatelli
furono
sanzionati
per
scarso
impegno;
Lauro
convocò
la
solita
Commissione
(Scuotto,
Cuomo
e
Muscariell
che,
indagando,
raccolse
voci
di
un
presunto
ammutinamento
della
squadra,
smentito,
peraltro,
da
Bugatti.
93
Perdemmo
ancora
contro
il
Bologna
(uno
a
due)
e
contro
la
Roma
(due
a
zero)
avviandoci
così
verso
la
retrocessione.
Quando
perdemmo
ancora
contro
la
Spal
per
due
a
zero
il
pubblico
esplose
lanciando
sassi,
bottiglie
e
tutto
quello
che
trovava
a
portata
di
mano;
Del
Vecchio,
decisamente
fuori
controllo,
raccolse
una
pietra
per
rilanciarla
contro
il
pubblico.
Immaginatevi
il
resto!
Come
al
solito,
dopo
anche
dopo
questa
sconfitta
si
discute,
s’indaga,
si
cerca
una
soluzione
e
chi
paga
per
tutti
è
il
povero
Cesarini,
messo
prontamente
“messo
a
riposo”
pur
non
entrandoci
affatto.
Nell’incontro
con
la
Fiorentina
che
pareggiamo
per
zero
a
zero,
Bodi
deve
sostituire
Del
Vecchio
che,
dopo
il
suo
inutile
gesto,
era
stato
aggredito
e
malmenato
dai
tifosi;
contro
la
Sampdoria
Pivatelli
mette
in
rete
il
pallone
della
vittoria
mentre
Di
Giacomo
addirittura
due
contro
il
Milan
che
ne
segna
uno
solo;
Tacchi,
Di
Mauro
e
Di
Giacomo
infilano
tre
reti
nella
porta
del
Lecco
che
realizza
a
stento
il
goal
della
bandiera;
torniamo
invece
a
mani
vuote
da
Bari
dove
perdiamo
per
uno
a
zero
con
conseguente
ritiro
a
Coverciano;
Del
Vecchio,
ferito
allo
zigomo,
va
a
farsi
curare
da
Scaglietti.
Pareggiamo
poi
per
uno
a
uno
con
l’Atalanta
e
per
due
a
due
con
l’Udinese
(Di
Giacomo
e
Mistone)
ma
perdiamo
per
uno
a
zero
a
Catania
dove
scoppia
un
piccolo
“giallo”.
Un
certo
Lorenzo
Anghillari
spedisce,
infatti,
una
lettera
alla
Lega
asserendo
che
il
Napoli
avrebbe
tentato
di
comprare
la
partita;
il
suo
indirizzo
però
risulta
inesistente
e
la
notizia
evidentemente
infondata.
Il
successivo
quattro
a
zero
che
incassiamo
in
casa
dalla
Juventus
sigla
invece
la
nostra
imminente
retrocessione!
Il
Club
“concede”
una
licenza
a
Renato
Cesarini
e
Amedeo
Amadei
fino
al
termine
del
Campionato,
affidando
la
direzione
tecnica
della
squadra
ad
Attila
Sallustro,
per
il
prestigio
e
l’integrità
del
suo
nome,
coadiuvato
da
Giuliano
Grandi
e
affiancato
dal
solito
Scuotto.
Cesarini,
profondamente
amareggiato,
se
ne
va
senza
clamori,
affermando
piuttosto
sobriamente
che
“non
si
possono
coltivare
fiori
nell’argilla”.
Nella
penultima
di
Campionato
incassiamo
tre
reti
dall’Inter
(situandoci
al
penultimo
posto)
e
due
dal
Padova
che
ci
spediscono
dritti
in
serie
in
Serie
B.
La
Juventus
è
campione
d’Italia;
il
Napoli
ha
solo
venticinque
punti,
trenta
goal
fatti
e
quarantasette
ricevuti;
ci
fanno
compagnia
Lazio
e
Bari
mentre
Venezia,
Mantova
e
Palermo
passano
in
massima
divisione.
La
brutta
avventura
del
Campionato
si
conclude
con
una
dichiarazione
rabbiosa
ma
sibillina
di
Guido
Gratton:
“Per
colpa
loro,
sono
finito
così!
Mai
una
tattica,
mai
una
formazione
studiata,
mai
una
volta
d’accordo”.
Possiamo
solo
immaginare
a
chi
si
riferisse
l’ambigua
filippica.
Retrocessione
In
attesa
dell’inizio
del
nuovo
Campionato
1961-‐1962
alla
Flotta
Lauro
si
discute
animatamente
sulla
scelta
del
nuovo
allenatore;
si
fa
il
nome
di
Di
Bella,
Alfredo
Foni,
Montanari
e
Fioravante
Baldi.
La
scelta
cade
proprio
su
quest’ultimo,
ex
centrocampista
del
Torino
e,
da
ultimo,
allenatore
del
Palermo
che
ha
portato
in
Serie
A.
Vengono
acquistati
Achille
Fraschini
e
Salvatore
Di
Gaetano,
dal
Palermo,
Giovanni
Fanello
e
Pier
Luigi
Ronzon
dal
Milan,
Gianni
Corelli,
dalla
Spal,
Walter
Pontel
dal
Catania,
Mauro
Gatti,
dall’Inter,
Gluaco
Gilardoni,
dal
Lecco,
Ugo
Tomeazzi,
dal
Torino,
Enrico
Mazzucchi,
dal
Livorno,
Rosario
Rivellino,
dal
Cirio,
Giuseppe
Pescarzoli
dalla
Juve
Napoli
e
Pellegrino,
dall’Atripalda.
Ci
lasciano,
invece,
Ottavio
Bugatti
che,
dopo
otto
campionati
in
azzurro,
passa
all’Inter,
Gratton,
Maioli,
Postiglione,
Bertucco,
Di
Giacomo,
Pivatelli,
Gasparini,
Mihalic,
Del
Vecchio
e
Posio.
94
Il
tredici
luglio
1961
Lauro
annuncia
di
voler
costituire
una
nuova
grande
Società
con
programmi
avveniristici
che
resta,
tuttavia,
lettera
morta,
mentre
la
Lega,
più
realisticamente,
chiede
il
versamento
entro
le
ore
diciassette
del
ventisette
luglio
della
garanzia
finanziaria
prevista
dal
Regolamento
per
la
copertura
degli
acquisti
effettuati,
minacciando
di
annullare
i
contratti
di
Fanello
e
Ronzon.
Le
nostre
forze
calcistiche
si
riuniscono
il
ventuno
luglio
a
Tarcento,
nel
Friuli;
Baldi
convoca
Pontel,
Cuman,
Gatti,
Mistone,
Schiavone,
Greco,
Costantini,
Rivellino,
Di
Gaetano,
Bodi,
Girardo,
Corelli,
Barbato,
Di
Mauro,
Fraschini,
Mazzucchi,
fanello,
Tomeazzi,
Ronzon,
Gilardoni,
Tacchi,
Pesarzoli,
Valenzano,
Aldi,
Caltagirone
e
Pellegrino.
Scuotto
e
Cuomo,
nel
frattempo,
vanno
a
discutere
con
la
Lega,
a
Milano,
riuscendo
a
ridurre
la
garanzia
finanziaria
da
trecento
a
duecento
cinquanta
milioni.
A
Tarcento
Ronzon
comincia
subito
a
fare
le
bizze,
costringendo
Scuotto
a
mettere
in
chiaro
le
cose.
Il
quindici
agosto
si
gioca
una
partita
notturna
contro
il
Vicenza
che
perdiamo
per
due
a
zero;
il
venti
si
debutta
in
amichevole
a
Fuorigrotta
contro
il
Palermo,
sconfitto
per
tre
a
due
con
una
rete
di
Tacchi
e
due
di
Tomeazzi;
il
ventisette,
per
la
Coppa
Italia,
viene
a
Fuorigrotta
l’Alessandria
che
pareggia
ma
perde
sui
calci
di
rigore
(sette
a
sei)
per
opera
di
Bodi.
Di
Gaetano
si
fa
male
in
allenamento
ed
io
diagnostico
una
lesione
al
menisco;
Baldi
e
Morisco
dissentono
e
spediscono
il
giocatore
a
Palermo
per
ascoltare
responsi
più
elevati
dei
miei.
Il
clinico
peloritano
parla
di
“distrazione
dei
legamenti
mediali
del
ginocchio
guaribile
con
cure
fisiche
e
un
po’
di
riposo”.
Di
Gaetano,
però,
sta
male
e
non
riesce
a
giocare;
dovrà
però
attendere
la
defenestrazione
del
duo
Baldi-‐Morisco
per
farsi
operare
(dal
sottoscritto)
e
tornare
a
giocare
come
prima,
dopo
un
paio
di
mesi
di
convalescenza.
Il
tre
settembre
ha
inizio
il
Campionato;
la
nostra
formazione
prevede
Pontel,
Gatti,
Mistone;
Corelli,
Greco,
Bodi;
Tacchi,
Fraschini,
Tomeazzi,
Ronzon
e
Gilardoni.
Vinciamo
a
Novara
per
uno
a
zero
(Fraschini)
ma
pareggiamo
a
Modena
e
a
Parma
a
reti
inviolate;
poi,
sul
campo
di
Porta
Elisa,
dove
non
vincevamo
dal
1936,
battiamo
il
Lucca
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Fraschini.
Pareggiamo
con
il
Brescia
per
uno
a
uno
(Corelli)
ma
perdiamo
contro
la
Lazio
per
due
a
zero;
pareggiamo
di
nuovo
contro
il
Como
con
una
rete
a
testa;
partita
tranquilla
con
un
seguito
tumultuoso:
Fanello
ignora
le
consegne
di
Baldi
e
Scuotto
che
non
gli
concedono
di
andare
ad
Alessandria
per
ritirare
il
Premio
Caltex,
quale
miglior
cannoniere
della
passata
stagione
e
incassa
una
multa
di
cento
mila
lire;
fioccano
multe
anche
per
Ronzon,
Gilardoni
e
Fraschini,
che
non
hanno
nulla
da
ritirare
ma
si
assentano
ugualmente.
Scuotto
riesce
a
ingaggiare
per
un
milione
il
trentenne
terzino
della
Lazio
Giancarlo
Molino
che
si
rivelerà
uno
degli
atleti
migliori
della
squadra.
Pareggiamo
con
il
Bari
(zero
a
zero)
ma
perdiamo
contro
il
Messina
(due
a
zero);
la
squadra
è
ammalata,
il
suo
gioco
misero
e
poco
combattivo.
“Non
si
può
vincere
se
ci
arrendiamo
così
facilmente”,
dichiara
Mistone,
sfogando
il
suo
disappunto.
Baldi,
avvilito,
rassegna
le
dimissioni
che
Lauro
respinge;
Scuotto,
nel
frattempo,
mette
a
segno
un
altro
colpo
da
maestro
acquistando
per
due
milioni
il
trentenne
Amos
Mariani,
ala
destra
plurinazionale
della
Lazio.
Superiamo
il
Catanzaro
(che
segna
il
goal
della
bandiera)
con
tre
reti
di
Corelli
ma
perdiamo
contro
la
Reggiana
per
due
a
uno
(Mariani),
esibendoci
in
un
risibile
catenaccio,
e
contro
il
Genoa
per
tre
a
uno
(Fraschini);
perdiamo
ancora
contro
il
Pro
Patria
per
due
a
uno,
toccando
il
fondo
dell’umiliazione;
Baldi,
disperato,
ascolta
la
folla
bustocca
che
scandisce
“bidoni”
come
un
incessante
ritornello;
pareggiamo
a
Cosenza
per
uno
a
uno
(Fanello)
l’ultimo
giorno
del
1961.
Capodanno
è
alle
porte
ma
nessuno
si
aspetta
granché
e
i
risultati
confermano
le
aspettative:
Napoli-‐Verona
zero
a
zero,
Napoli-‐Prato
due
a
uno
(Fanello
e
Ronzon),
Sanbenedettese-‐Napoli
uno
a
zero
e
Novara-‐Napoli
due
a
uno
(Gilardoni).
95
Pesaola “Mister”
La
sera
del
ventinove
gennaio
Lauro
convoca
Scuotto,
Musollino,
Baldi
e
il
sottoscritto
per
trovare
una
soluzione
alla
penosa
situazione
della
squadra;
Baldi
non
vuole
più
sentire
ragioni
e
chiede
di
essere
sostituito
al
più
presto.
Emerge
così
il
nome
di
Bruno
Pesaola
che
il
trentuno
gennaio
1962
assume
il
ruolo
di
Mister.
Nato
a
Buenos
Aires
il
28
luglio
1925
da
genitori
italiani
emigrati
in
Argentina
iniziò
la
carriera
calcistica
nel
Dock
Sud
e
passò
a
quattordici
anni
nella
squadra
giovanile
del
River
Plate
allenata
da
Renato
Cesarini;
si
trasferì
alla
Roma
nella
seconda
metà
degli
anni
quaranta
distinguendosi
subito
per
le
sue
qualità
di
attaccante
abile
e
veloce
ben
accetto,
tra
l’altro
nell’ambiente
mondano
e
cinematografico;
fu
infatti
amico
di
Walter
Chiari
con
cui
recitò
nel
film
“Inafferabile
12”
e
Carlo
Dapporto
che
lo
volle
nella
pellicola
“Inafferabile
13”.
Dopo
un
grave
incidente
che
gli
costò
la
frattura
della
tibia,
passò
al
Novara
nel
1950
dove
ha
militato
per
due
stagioni
consecutive;
accogliendo,
sembra,
un
suggerimento
della
moglie
Ornella,
eletta
in
quegli
anni
“Miss
Novara”,
decide
di
trasferirsi
a
Napoli
dove
soggiorna
per
otto
anni
come
calciatori
divenendo
uno
dei
giocatori
simbolo
della
squadra
azzurra
con
la
quale
ha
totalizzato
duecentoquaranta
presenze
e
ventisette
goal.
Nel
mille
novecento
cinquantatré
esordì
in
Nazionale
B
con
cui
ha
giocato
sei
incontri;
la
sua
prima
panchina
fu
quella
della
Scafatese
che
allenava
durante
il
Campionato
1960-‐1961
quando
fu
chiamato
dal
Napoli.
La
sua
presenza
in
azzurro
si
rivela
subito
decisiva:
Napoli-‐Modena
due
a
zero
(Fraschini
e
Fanello);
il
petisso,
che
ha
schierato
in
formazione
Pontel,
Molino,
Mistone,
Girardo,
Schiavone,
Corelli,
Mariani,
Ronzon,
Fanello,
Fraschini
e
Tacchi,
è
riuscito
finalmente
a
scuotere
la
squadra
dal
torpore,
galvanizzandola
con
il
suo
entusiasmo
e
continuo
incoraggiamento.
La
gioia
della
vittoria
è
offuscata
per
la
morte
di
Paolo
Uccello,
sopraggiunta
all’improvviso,
mentre
seguiva
l’incontro
in
televisione;
povero
Paolo,
caro
e
indimenticabile
amico
di
ogni
tempo
e
di
ogni
circostanza!
La
vita
continua
e
alla
tristezza
subentra
la
gioia.
Il
cinque
febbraio
1962,
Dolo
Mistone,
acrobatico
terzino
fluidificante
di
ormai
consolidato
prestigio,
sposa
la
Signorina
Giuseppina
Fioretti
nella
chiesa
dell’Incoronata
e
del
Buon
Consiglio
a
Capodimonte.
Compare
d’anello
il
sottoscritto;
testimone
per
lo
sposo
il
compagno
di
squadra
Gigi
Bodi.
Vinciamo
ancora
contro
il
Parma
per
due
a
zero
con
goal
di
Ronzon
e
Corelli
(il
3-‐3-‐4
di
Pesaola
funziona!)
e
contro
la
Lucchese
per
uno
a
zero,
con
un
goal
di
Fraschini
su
rigore;
pareggiamo
poi
a
Brescia
per
uno
a
uno.
Durante
il
romitaggio
a
Grottaferrata,
Fanello
subisce
una
distorsione
alla
caviglia
e
Ronzon
fa
i
capricci;
non
vuole
giocare
e
chiede
di
essere
messo
a
riposo
ma
Pesaola,
che
conosce
i
suoi
polli,
sa
bene
che
l’indisposizione
di
Ronzon
è
solo
psicologica
e,
alla
fine,
la
spunta.
Pareggiamo
ancora
a
reti
inviolate
contro
la
Lazio;
strano
incontro:
al
trentunesimo
del
secondo
tempo
Seghedoni
prende
la
rincorsa
e
scaglia
una
sventola
che
nessuno
vede
entrare
nella
porta
napoletana,
neppure
l’arbitro
Rigato;
i
laziali
protestano
ma
non
c’è
niente
da
fare.
Poi
comincia
la
riscossa:
Napoli-‐Como
tre
a
uno
con
due
goal
di
Ronzon
e
uno
di
Gilardoni;
Bari-‐Napoli
uno
a
zero;
Napoli-‐Messina
quattro
a
due
(Ronzon,
Tacchi
e
Mariani);
Catanzaro-‐Napoli
uno
a
due
(Corelli
su
punizione
al
sesto
del
primo
tempo
e
Tacchi,
sempre
su
punizione,
al
ventitreesimo).
La
serie
s’interrompe
con
una
sconfitta
contro
la
Reggiana
(uno
a
zero)
e
contro
il
Genoa
che
mette
in
rete
quattro
goal;
vinciamo
poi
a
Monza
per
uno
a
zero,
evitando
così
d’intossicarci
la
Pasqua.
Il
ventisei
aprile
andammo
a
Torino
per
i
quarti
di
finale
di
Coppa
Italia
vincendo
per
due
a
zero
(Gilardoni);
Pesaola
manda
in
campo
molte
riserve
schierando
in
formazione
96
Cuman,
Gatti,
Mistone,
Montefusco,
Rivellino,
Bodi,
Simoni,
Ronzon,
Fanello,
Dell’Otto
e
Gilardoni;
vinciamo
ancora
contro
il
Pro
Patria
per
quattro
a
zero
(
Fraschini,
Fanello
e
Ronzon),
totalizzando
trentasei
punti
che
ci
collocano
al
terzo
posto
insieme
a
Lazio,
Pro
Patria
e
Moden;
il
Genoa
era
sempre
in
testa,
con
quarantanove
punti,
seguito
dal
Verona
che
ne
aveva
trentotto.
Pareggiamo
ad
Alessandria
(zero
a
zero)
e
a
Cosenza
(uno
a
uno)
ma
solo
grazie
al
rigore
concesso
dall’arbitro
Lenzi
che
Corelli
mette
in
rete;
Gilardoni
si
frattura
una
clavicola,
scontrandosi
con
il
portiere
Amati.
Napoli-‐Verona
fu
invece
rinviata
per
il
maltempo,
non
solo
meteorologico,
che
si
addensava
sulla
città
scaligera;
la
sera
precedente,
infatti,
Dario
Angelini,
grande
inquisitore
del
Calcio
italiano,
era
sbarcato
all’Albergo
Due
Torri,
dove
alloggiavamo,
per
indagare
su
presunti
tentativi
di
corruzione
del
Napoli
nei
confronti
del
Verona
che
avrebbero
comportato
la
nostra
retrocessione.
Pareggiammo
in
seguito
a
Prato
per
uno
a
uno;
i
toscani
segnano
il
primo
goal
e
Schiavone
si
fa
male
al
ginocchio
al
ventitreesimo
della
ripresa;
l’ombra
della
sconfitta
aleggia
sulla
nostra
panchina
ma
Pesaola
reagisce
e
fa
appello
all’orgoglio
della
squadra,
ottenendo
il
miracolo:
Tacchi
si
scatena
e
al
trentanovesimo
parte
dal
suo
piede
il
goal
del
pareggio
che
fa
rinascere
la
speranza!
Siamo
ancora
in
lizza
per
la
promozione
perché,
nel
frattempo,
il
Messina
è
riuscito
a
vincere
contro
la
Pro
Patria
a
Busto
Arsizio.
Il
primo
giugno
vinciamo
per
due
a
uno
contro
il
Mantova
in
Coppa
Italia,
a
Fuorigrotta,
con
reti
di
Tomeazzi
e
Fanello.
Siamo
ormai
in
finale:
Napoli-‐Sanbenedettese
due
a
zero
(Fraschini
e
Ronzon)
e,
finalmente,
Verona-‐Napoli
che
vinciamo
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Corelli
al
sedicesimo
del
secondo
tempo.
E’
fatta.
Terminiamo
al
secondo
posto
in
classifica
con
quarantatré
punti,
quaranta
quattro
goal
segnati
e
trentacinque
ricevuti,
tornando
così
in
massima
divisione
insieme
a
Genoa
e
Modena.
Il
merito
di
tutto
questo
non
può
che
essere
attribuito
a
Bruno
Pesaola
che
con
il
suo
coraggio,
il
suo
entusiasmo,
la
sua
abilità
umana
e
sportiva
era
riuscito
a
galvanizzare
la
squadra.
Gli
azzurri
si
congedarono
dal
pubblico
partenopeo
qualche
giorno
dopo
in
una
partita
amichevole
con
il
Messina,
vinta
per
tre
a
zero,
suscitando
l’esplosione
del
folclore
calcistico
napoletano
con
il
classico
giro
di
campo
alla
carioca.
Per
completare
il
successo,
il
ventuno
giugno
1962
vincemmo
all’Olimpico
di
Roma
la
Coppa
Italia,
battendo
nella
finale
la
Spal
per
due
a
uno
con
goal
di
Corelli
e
Ronconi.
Il giallo di Verona
Il
giallo
di
Verona
costituisce
uno
degli
episodi
più
opachi
e,
per
certi
versi,
sconcertanti,
del
calcio
italiano
di
quei
tempi.
Cercherò
di
riassumere
i
fatti
che,
in
realtà,
non
furono
mai
interamente
elucidati
né
dall’inchiesta
né
dal
successivo
giudizio,
inserendoli
nel
contesto
che
li
aveva
generati.
Durante
il
Campionato
1961-‐1962
Napoli,
Modena,
Lazio
e
Verona
erano
in
lizza
per
la
promozione
con
uno
scarto
minimo
di
punti.
La
classifica
finale
vide,
infatti,
il
Genoa
vittorioso
con
cinquantaquattro
punti,
seguito
da
Napoli
e
Modena,
secondi
ex
equo
con
quarantatré
punti
(in
realtà
il
Napoli
risultò
secondo
in
base
alla
regola
del
quoziente
reti
e
il
Modena
terzo)
e
da
Lazio
e
Verona
con
quarantadue
punti.
L’incontro
con
il
Verona
che
avrebbe
dovuto
svolgersi
il
venti
maggio
1962
(trentaseiesima
giornata
di
campionato),
annullato
per
impraticabilità
di
campo
e
rinviato
al
dieci
giugno
1962,
aveva
dunque
un’importanza
capitale.
Nelle
more,
tuttavia,
l’Ufficio
Inchieste
della
Federazione
Italiana
Gioco
Calcio
denunciò
Antonio
Corcione,
Antonio
Peluso,
Mario
e
Giuseppe
Tardugno
e
l’Associazione
Calcio
Napoli
per
tentativo
di
corruzione
e
illecito
sportivo.
Peluso
e
Corcione,
rispettivamente
allenatore
e
presidente
della
U.S
Padula,
una
squadra
di
calcio
campana
di
97
Prima
Categoria,
furono
dunque
rinviati
a
giudizio
insieme
a
Bruno
Pesaola
e
all’Associazione
Calcio
Napoli
per
responsabilità
oggettiva.
Secondo
l’accusa
Peluso
e
Corcione,
accompagnati
da
Mario
Tardugno,
cui
si
aggiunse
il
fratello
Giuseppe,
si
erano
recati
a
Verona
per
incontrare
l’ex
azzurro
Bertucco
e
il
portiere
Ciceri;
la
squadra
però
era
in
ritiro
in
una
villa
di
proprietà
del
Presidente
Sarfori
proprio
in
considerazione
dell’importanza
dell’incontro.
Corcione
decise
allora
di
rivolgersi
per
consiglio
e
aiuto
a
Pasquale
Principe,
un
amico
di
vecchia
data
residente
a
Milano,
ben
introdotto
nell’ambiente
della
squadra
veronese,
per
chiedergli
se,
a
suo
giudizio,
esisteva
la
possibilità
di
truccare
l’incontro.
Principe,
secondo
l’accusa,
finse
di
stare
al
gioco
ma
riferì
subito
l’episodio
a
Sartori
che,
a
sua
volta,
chiese
l’intervento
della
Federazione
che
sottopose
a
controllo
il
telefono
di
Principe
utilizzato
per
i
contatti
con
l’abitazione
milanese
di
Tardugno.
I
corruttori,
che
secondo
Principe,
avrebbero
dovuto
accordarsi
direttamente
con
Ciceri,
inviarono
all’appuntamento
Giuseppe
Tardugno,
prescelto
per
suo
accento
meneghino
utile
a
sviare
eventuali
sospetti.
L’incontro
che
avvenne
nel
piazzale
sovrastante
gli
spogliatoi
fu
ripreso
e
fotografato
da
un
paio
di
soci
del
Verona
chiamati
per
collaborare
all’inchiesta.
In
quell’occasione
si
sarebbe
pattuito
un
compenso
di
due
milioni
cinquecentomila
lire
per
il
portiere
veronese,
garantiti
da
Principe
che
li
avrebbe
ricevuti
da
Corcione
nel
corso
della
partita.
Ciceri
avrebbe
manifestato
il
suo
consenso
definitivo
allacciandosi
una
scarpa
prima
dell’inizio
della
gara
e
toccando
con
la
mano
uno
dei
pali
della
porta.
L’accusa
sosteneva
inoltre
che
la
sera
del
diciassette
maggio
ci
sarebbero
state
alcune
conversazioni
telefoniche
tra
Corcione
e
Pesaola
che
si
trovava
a
Grottaferrata
in
romitaggio
con
gli
azzurri.
Il
diciotto
maggio
Tardugno
riferì
a
Principe
che
il
prezzo
richiesto
era
stato
giudicato
eccessivo
e
che
l’offerta
si
riduceva
a
due
milioni.
A
questo
punto
il
racconto
comincia
ad
assumere
contorni
sfumati:
Corcione
avrebbe
affermato
che
un
dirigente
azzurro
era
stato
incaricato
di
confermare
l’accordo
in
occasione
dell’arrivo
del
Napoli
a
Verona;
Principe,
dal
canto
suo,
sarebbe
stato
autorizzato
dall’Ufficio
Inchieste
a
sganciarsi
dalla
vicenda
rendendosi
irreperibile;
i
napoletani,
infine,
sarebbero
passati
dalle
lusinghe
alle
minacce
senza
però
alcun
riscontro
positivo;
Corcione,
infatti,
ammise
in
seguito
di
non
essere
riuscito
a
incontrare
Pesaola
che
alloggiava
con
la
squadra
all’albergo
Due
Torri.
La
vicenda,
che
nel
frattempo
era
diventata
di
dominio
pubblico,
rischiava
di
far
retrocedere
il
Napoli
in
serie
C.
Lauro
e
Cuomo
decisero
di
rivolgersi
a
Scuotto,
considerata
la
sua
comprovata
esperienza
in
materia
di
regolamenti
sportivi;
occorreva,
in
primo
luogo,
di
stabilire
cosa
fosse
realmente
accaduto.
Scuotto
convocò
dunque
i
protagonisti
della
vicenda
invitando
Corcione
e
Peluso
ad
ammettere
di
aver
agito
di
propria
iniziativa,
senza
alcun
intervento
da
parte
del
Club;
entrambi
riferirono
che
la
trattativa
era
stata,
in
realtà,
un’iniziativa
di
Principe
e
non
dei
napoletani,
come
adesso
si
cercava
di
far
credere.
Scuotto
si
recò
allora
a
Verona
per
indagare
sugli
effettivi
rapporti
tra
Principe
e
i
dirigenti
del
Verona
e
quindi
si
trasferì
a
Milano
dove
affidò
la
difesa
al
Professor
Cesare
Grassetto,
Ordinario
di
Diritto
Penale
all’Università
e
agli
avvocati
Sbisà
e
Maresca,
fornendo,
nel
frattempo,
alla
stampa
dettagli
e
notizie
suscettibili
d’indebolire
il
castello
accusatorio.
Il
processo
iniziò
il
venticinque
giugno
1962
e
si
protrasse
fino
al
quattro
di
luglio.
Carlo
Bonazzi,
agendo
in
qualità
di
Vice
Presidente
del
Verona
aveva,
nel
frattempo,
denunciato
Scuotto,
accusandolo
di
aver
tentato
di
intimidire
Principe
per
indurlo
a
ritrattare;
quest’ultimo
però,
messo
a
confronto
all’americana
con
il
buon
Gigino
affermò
di
non
averlo
mai
visto
né
conosciuto.
Anche
l’audizione
delle
famose
registrazioni
delle
conversazioni
tra
Principe
e
i
suoi
interlocutori
si
rivelò
irrilevante
perché
i
nastri
emettevano
solo
fruscii.
Le
fotografie
dell’incontro
tra
Tardugno,
Principe
e
Ciceri
non
furono
mai
esibite
perché,
anche
in
questo
caso,
la
pellicola
risultò
inspiegabilmente
deteriorata.
L’avvocato
Sbisà
sostenne
dunque
che
era
stato
Principe,
notoriamente
amico
di
Sartori,
a
proporre
la
trattativa
98
all’ingenuo
Corcione
per
poi
denunciare
l’illecito
e
consentire
al
Verona
di
vincere
a
tavolino
una
partita
così
dura
e
incerta
sul
rettangolo
di
gioco.
La
Commissione
Giudicante
ritenne
Corcione
responsabile
del
tentativo
di
corruzione
per
sua
iniziativa
personale,
considerati
i
suoi
sentimenti
di
appassionato
tifoso,
giudicando
invece
estranei
ai
fatti
sia
Pesaola
che
l’Associazione
Calcio
Napoli.
L’Ufficio
Inchieste,
la
Società
Sportiva
Lazio
e
la
Società
Calcio
Verona
(entrambe
interessate
alla
promozione
in
Serie
A),
ricorsero,
tuttavia,
in
appello
contro
la
decisione.
Il
dieci
agosto
1962,
in
fase
di
dibattimento,
l’avvocato
Petrolillo,
patrocinante
per
la
Lazio,
chiese
l’audizione
del
telefonista
dell’Albergo
Traiano
di
Grottaferrata,
che
avrebbe
ascoltato
le
conversazioni
tra
Corcione
e
Pesaola
che
fu
fissata
stabilita
alle
ore
sedici
del
giorno
stesso.
Lauro,
stanco
e
preoccupato,
andò
a
riposare
mentre
Scuotto,
Sbisà,
Corcione,
Tardugno
e
Savastano
si
recarono
a
pranzo
da
“Gigi
Fazio”.
Scuotto,
tuttavia,
abbandonò
improvvisamente
i
commensali
e
si
recò
in
macchina
a
Grottaferrata
per
rintracciare
il
testimone;
venne
fuori
che
il
telefonista
in
servizio
il
giorno
della
famosa
intercettazione
era
un
giovane
squattrinato,
già
licenziato
dall’albergo,
che
avrebbe
potuto
prestarsi
al
gioco
per
denaro.
Scuotto
chiese
allora
al
direttore
di
testimoniare
presso
la
Commissione
giudicante.
La
seduta
aveva
già
avuto
inizio
e
il
telefonista
era
stato
ammesso
da
pochi
minuti
per
l’interrogatorio;
l’avvocato
Sbisà
fece
presente
che
il
teste
non
era
un
tesserato
della
F.I.G.C
e
che
dunque,
in
caso
di
false
dichiarazioni,
sarebbe
stato
penalmente
responsabile,
chiedendo
inoltre
l’ammissione
della
testimonianza
del
direttore
dell’Albergo
Traiano
che
attendeva
fuori
dell’aula.
Il
Presidente
Manuelli,
accolta
la
richiesta,
invitò
il
teste
a
fare
le
sue
dichiarazioni
ma
il
telefonista,
spaventato,
chiese
di
poter
consultare
il
suo
avvocato
e
l’udienza
fu
dunque
sospesa.
Durante
la
pausa
il
giovanotto
vide
il
direttore
dell’albergo
e,
ripresa
la
seduta,
dichiarò
di
non
essere
davvero
sicuro
di
quanto
aveva
sentito
e,
di
conseguenza,
di
non
poter
assumere
responsabilità
così
gravi.
La
Commissione,
preso
atto
dell’assenza
di
elementi
innovativi,
confermò
dunque
l’assoluzione
del
Napoli
con
formula
piena.
Faustino Jarbas “Cané”
Il
Campionato
del
1962-‐1963
vide
il
ritorno
di
Monzeglio,
dopo
sette
anni,
in
veste
di
Direttore
Tecnico,
al
fianco
di
Pesaola.
Eraldo
suggerì
per
prima
cosa
l’acquisto
di
Bernasconi
(centromediano)
e
di
Barison
(ala
sinistra)
al
fine
di
rafforzare
la
squadra
per
disputare
un
Campionato
onorevole
e
sperare
di
permanere
in
Serie
A.
Lauro,
notoriamente
scaramantico,
rispose
che
la
squadra
andava
benissimo
così
com’era
e
che
sarebbe
certamente
rimasta
in
Serie
A.
Il
“Comandante”
ripeteva,
in
realtà,
la
risposta
di
Pesaola
a
Fiore
che
però,
spalleggiato
da
Scuotto,
aveva
minacciato
di
dimettersi
se
la
compagine
azzurra
non
fosse
stata
potenziata.
Furono
dunque
acquistati
Giovanni
Paggi,
mediano
del
Cenisia,
Paolini,
terzino
del
Crotone,
e
la
mezzala
ambidestra
della
Juventus
Humberto
Rosa,
fortemente
voluta
da
Scuotto.
La
vera
novità,
tuttavia,
fu
l’arrivo
del
ventunenne
Faustino
Jarbas,
detto
Cané,
proveniente
dalle
fila
dell’Olaria
di
Rio
de
Janeiro,
che
Lauro
acquistò
per
quarantamila
dollari,
senza
consultare
nessuno,
dopo
aver
visto
una
sua
fotografia,
folgorato
da
una
delle
sue
ineffabili
intuizioni:
“Voglio
questo
perché
è
il
più
nero
e
il
più
brutto
di
tutti
e
quindi
farà
tanta
paura
alle
difese
avversarie
che
lo
lasceranno
andare
in
rete
quando
gli
pare
e
piace!”
All’adunata
degli
azzurri,
fissata
il
sei
agosto
ad
Agerola,
Pesaola
convocò
Pontel,
Pomarici,
Cuman
(portieri);
Gatti,
Mistone,
Paolini,
Molino
e
Schiavone
(terzini);
Costantini,
99
Girardo,
Bodi,
Rivellini,
Corelli,
Greco
e
Paggi
(mediani);
Fraschini,
Montefusco,
Tomeazzi,
Gilardoni,
Ronzon,
Mariani,
Rosa,
Fanello,
Cané
e
Tacchi
(attaccanti).
Il
venticinque
dello
stesso
mese,
ad
Agerola,
si
discuteva
di
reingaggi;
Pesaola,
cui
Lauro
aveva
garantito
cinque
milioni
di
premio
di
promozione,
sostenuto
da
Monzeglio,
minacciò
di
lasciare
la
squadra
se
prima
non
fossero
state
soddisfatte
le
sue
legittime
aspettative.
Dopo
qualche
partita
amichevole,
il
Napoli
si
trasferì
in
Gran
Bretagna
per
un
incontro
con
il
Bangor
valevole
per
la
Coppa
delle
Coppe,
ricevendo
grandi
attenzioni
e
calorose
accoglienze,
specie
femminili,
in
un
clima
di
simpatia
e
di
attesa
quasi
morbosa
per
l’incontro.
I
Gallesi,
per
l’occasione,
avevano
ripulito
e
agghindato
il
loro
Stadio
e
tappezzato
i
muri
della
cittadina
con
manifesti
inneggianti
al
piccolo
Bangor
impegnato
contro
il
“i
milionari
del
Napoli”,
alludendo
alle
fortune
del
Comandante,
ben
noto
in
Inghilterra
per
le
sue
attività
imprenditoriali.
Il
Bangor
vinse
per
due
a
zero
facendo
esplodere
la
gioia
dei
Gallesi
con
fuochi
d’artificio
che
illuminarono
a
lungo
la
notte
albionica,
sfatando
il
mito
che
i
botti
siano
una
prerogativa
esclusivamente
partenopea.
Il
nove
settembre
giocammo
a
Messina
per
la
Coppa
Italia
perdendo
nuovamente
per
due
a
uno.
Il
problema
di
Pesaola,
nel
frattempo,
non
si
era
ancora
risolto.
Lauro,
con
buona
dose
d’improntitudine,
gli
suggerì
di
rivolgersi
a
Scuotto
che
lo
convinse
ad
accettare
la
metà
di
quanto
pattuito.
Il
petisso,
capita
l’antifona,
decise
allora
di
firmare
il
contratto;
Monzeglio,
invece,
con
nordica
intransigenza,
rimase
fermo
sulla
sua
posizione.
Il
sedici
settembre
perdemmo
di
nuovo
in
amichevole
contro
la
Roma
per
tre
a
zero;
la
nostra
formazione
comprendeva
Pontel,
Molino,
Mistone;
Girardo,
Gatti,
Corelli;
Gilardoni,
Ronzon,
Cané,
Fraschini
e
Tacchi.
Il
Campionato
iniziò
il
ventitré
settembre
con
un’altra
sconfitta
per
cinque
a
uno
(Tacchi)
contro
il
Milan;
Pivatelli
dichiarò
che
il
Napoli
era
perfino
peggiore
di
quello
che
ricordava;
Pontel,
invece,
se
ne
andò
in
gran
segreto
a
Palermo,
dopo
la
partita,
per
sposare
la
Signorina
Ada
Pecoraino.
Il
ventisei
vincemmo
contro
il
Bangor
a
Fuorigrotta
per
tre
a
uno
e
dovemmo
dunque
giocare
a
Londra
lo
spareggio
valevole
per
la
Coppa
delle
Coppe,
vincendo
per
uno
a
zero.
Continuammo
il
Campionato
con
risultati
alterni:
Spal-‐Napoli
quattro
a
due;
Napoli-‐Genoa
uno
a
zero
(Tacchi);
Inter-‐Napoli
uno
a
zero;
Napoli-‐Fiorentina
due
a
zero
(Fanello
e
Mariani);
Mantova-‐Napoli
due
a
uno
(Tacchi);
Juventus-‐Napoli
uno
a
zero;
Venezia-‐Napoli
uno
a
uno
(Gatti);
Napoli-‐Vicenza
uno
a
zero
(Tacchi).
Il
primo
novembre
pareggiammo
per
uno
a
uno
a
Budapest,
contro
l’Ujpest,
per
la
Coppa
delle
Coppe
e,
nell’incontro
di
ritorno,
a
Napoli,
pareggiamo
di
nuovo
con
lo
stesso
risultato
ma
vincemmo
poi
per
tre
a
uno
a
Losanna,
in
notturna,
su
un
campo
ghiacciato
con
dodici
gradi
sotto
zero!
Seguirono
poi
risultati
incerti
e
modesti;
Sampdoria-‐Napoli
tre
a
zero;
Napoli-‐Palermo
tre
a
uno
(Gatti,
Mariani,
Fanello);
Modena-‐Napoli
quattro
a
zero;
Bologna-‐Napoli
quattro
a
due
(Fanello
e
Corelli).
Aria
grigia,
insomma,
in
casa
azzurra.
I
giocatori
fanno
a
gara
per
restare
fuori
squadra:
Rosa
dice
di
avere
dolori
ai
muscoli
addominali,
Franchini
ha
male
all’inguine
ma
io,
in
entrambi
i
casi,
non
riscontro
alcunché.
Durante
il
pareggio
con
il
Torino
(due
a
due)
l’ira
e
la
delusione
dei
tifosi
esplode,
purtroppo
letteralmente,
contro
la
panchina
del
Napoli,
sotto
forma
di
una
grossa
bomba-‐
carta
che
investe
Fiore,
Pesaola,
Monzeglio
ed
il
sottoscritto.
Il
povero
Eraldo
si
accascia
al
suolo
perdendo
sangue
e
se
la
caverà,
dal
punto
di
vista
fisico,
con
un
paio
di
giorni
di
ricovero.
Le
sue
parole
erano
state
profetiche
quando
mi
disse
a
Fuorigrotta
“Caro
dottore,
la
nostra
è
una
panchina
che
scotta!”.
Si
migliora
in
seguito
battendo
l’Atalanta
per
due
a
uno
(Ronzon
e
Fraschini)
e
pareggiando
con
la
Roma
per
tre
a
tre
(Corelli
e
Fraschini);
miracolo
a
Milano,
invece,
dove
100
vinciamo
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Corelli:
“Il
serpe
velenoso
è
stato
servito!”
urla
Monzeglio,
ancora
scosso
per
l’incidente.
Non
sapemmo
mai
a
chi
si
riferisse.
Doping a Milano
L’incontro
con
il
Milan
del
ventisette
gennaio
1963
portò
alla
ribalta
il
problema
del
doping
che
faceva
ormai
parte,
da
tempo,
del
malcostume
calcistico.
L’uso
di
anfetamine
e
stimolanti,
più
o
meno
vietati,
non
era
certo
una
novità
in
ambito
sportivo
e
proprio
per
questo
la
Federazione
aveva
previsto
controlli
a
campione
per
accertare
eventuali
infrazioni.
Le
pillole
della
forza
e
del
vigore
circolavano
liberamente
anche
nei
nostri
spogliatoi
prima
della
partita
con
il
Milan
quando
Beato
avvertì
che
i
medici
federali
erano
presenti
all’incontro
e
che,
dunque,
con
ogni
probabilità,
avrebbero
effettuato
una
verifica.
Al
termine
della
gara,
infatti,
i
giocatori
di
entrambe
le
squadre
furono
convocati
all’Hotel
Gallia
per
l’esame
del
doping
cui
risultarono
positivi
Fraschini,
Molino,
Pontel,
Rivellino,
Rosa,
Tacchi
e
Tomeazzi.
Il
Club
affidò
la
propria
difesa
a
Scuotto
che
si
rivolse
dunque
al
Professor
Mario
Covello,
Direttore
dell’Istituto
di
Chimica
Farmacologica
e
Tossicologica
Universitaria,
il
quale
non
ebbe
difficoltà
a
dimostrare
che
le
analisi
erano
state
poco
accurate
e
quindi
inattendibili.
Il
provvedimento
di
sospensione
nei
confronti
dei
giocatori
fu
revocato
ma
il
Napoli
fu
comunque
condannato
a
un’ammenda
di
sei
milioni
per
responsabilità
oggettiva.
Il
Campionato,
nel
frattempo,
proseguiva.
Vincemmo
contro
la
Spal
per
due
a
zero,
con
due
goal
di
Corelli
ma,
il
sei
febbraio,
perdemmo
contro
il
Beograd,
in
Coppa
delle
Coppe,
per
due
a
zero
e
perdemmo
ancora
contro
il
Genoa
per
tre
a
due
(Montefusco
e
Fraschini).
Giacomini
siglò
il
terzo
goal
del
Genoa,
a
due
minuti
dalla
fine,
e
Mariani
pareggiò
a
quindici
secondi
dal
termine
(ma
l’arbitro
non
vide
la
palla
oltre
la
linea
bianca).
Poi
incontrammo
l’Inter
che
vinse
per
cinque
a
uno!
Debuttava
Juliano
all’ala
sinistra;
Di
Giacomo,
passato
in
campo
avverso,
segnò
addirittura
tre
reti,
mentre
Fraschini
realizzò
per
noi
il
goal
della
bandiera.
Stessa
batosta
con
la
Fiorentina:
cinque
a
uno!
Una
partita
disastrosa
che
il
generoso
Pesaola
cercò
di
giustificare,
sostenendo
che
le
accuse
di
doping
avevano
depresso
il
morale
della
squadra.
Pareggiammo
poi
con
il
Mantova
(zero
a
zero),
perdemmo
con
il
Catania
(uno
a
zero),
pareggiammo
di
nuovo
con
la
Juventus
(zero
a
zero)
e,
finalmente,
Cané
riuscì
a
segnare
contro
il
Venezia
(uno
a
zero).
Il
tre
aprile
incontrammo
a
Marsiglia,
per
lo
spareggio
finale,
il
Beograd
che
vinse
per
tre
a
uno;
pareggiammo
a
Vicenza
per
zero
a
zero
ma
perdemmo
di
nuovo
contro
la
Sampdoria
per
due
a
zero
e
contro
il
Palermo
per
due
a
uno.
Il
ventotto
aprile
perdemmo
per
due
a
zero
anche
contro
il
Modena;
arbitrava
Campanati,
per
niente
in
forma
quel
giorno,
che
assegnò
un
goal
più
che
discutibile
ai
nostri
avversari
rifiutando
però
di
concederci
un
evidente
rigore:
al
ventesimo
della
ripresa
Ronzon
pasticcia
con
la
palla
spedendola
sui
piedi
di
Bruells
che
non
esita
a
infilarla
in
rete;
subito
dopo
Tomeazzi
è
atterrato
in
area
canarina
ma
Campanati
non
reagisce.
La
folla,
inferocita,
invade
il
campo
e
un
gruppo
di
teppisti
devasta
tutto
quello
che
capita
loro
sotto
mano;
il
bilancio
fu
di
cinquantadue
feriti,
cento
quarantotto
arresti
e
cento
trenta
milioni
di
danni,
oltre,
naturalmente,
la
squalifica
per
quattro
domeniche
del
San
Paolo.
Riuscimmo
a
spuntare
un
pareggio
con
il
Torino
(uno
a
uno)
grazie
a
un
goal
di
Corelli
su
rigore,
conquistando
un
punto
prezioso
perché
eravamo
oramai
quartultimi
in
classifica
seguiti
da
Genova,
Venezia
e
Palermo.
Se
non
avessimo
perso
a
Bergamo
avremmo
potuto
ancora
farcela.
Romitaggio
dunque
a
San
Pellegrino
in
attesa
dell’Atalanta,
dove
feci
del
mio
meglio
per
rimettere
in
piedi
i
più
malconci;
andò
tutto
male,
purtroppo,
e
perdemmo
per
due
a
uno.
L’Inter
era
Campione
d’Italia
mentre
noi,
con
venti
sette
punti,
tornammo
in
Serie
B
in
compagnia
di
Venezia
e
Palermo;
furono
invece
promossi
Messina,
Lazio
e
Bari.
101
Lauro,
amareggiato,
si
dimise
ma
il
dottor
Gagliardi
raccolse
la
sfida,
dichiarando
di
essere
pronto
ad
accollarsi
i
quattrocento
sei
milioni
di
cambiali
avallate
dal
Comandante.
Il
Prefetto
esaminò
la
situazione,
ascoltò
Lauro,
ascoltò
Gagliardi
e
decise
di
nominare
Commissario
Straordinario
Luigi
Scuotto,
affidandogli
il
compito
di
ricondurre
il
Napoli
nella
legalità
amministrativa,
affiancato
da
una
Consulta
tecnica
composta
da
Oreste
Sallustro,
Bruno
Gramaglia,
Ciro
Musollino,
Armando
Carola,
Giulio
La
Volpe
e
Armando
Ponsiglione.
Crisi profonda
Nel
frattempo,
nell’ambito
della
campagna
acquisti,
ci
lasciarono
Monzeglio,
Pesaola,
Elia
Greco,
Luigi
Bodi
e
Amos
Mariani;
Roberto
Lerici
prese
il
posto
del
petisso
e
raggiunsero
la
squadra
anche
Giovanni
Bolzoni,
ala
destra,
dal
Genoa,
il
plurinazionale
Flavio
Emoli
e
Bruno
Gazena,
terzino,
dalla
Juventus.
Ronzon
faceva
di
nuovo
i
capricci
ma,
questa
volta,
per
ragioni
abbastanza
fondate,
almeno
dal
suo
punto
di
vista.
Da
un
lato,
infatti,
la
polemica
sorta
con
Rosa,
dopo
la
sconfitta
con
il
Modena,
era
sempre
latente,
e,
dall’altro,
i
suoi
santi
protettori
Fiore
e
Pesaola
non
c’erano
più.
Cosciente
di
non
essere
simpatico
a
molti
e
di
poter
avere
vita
dura
nella
squadra,
inscenò
una
partenza
ridimensionata
in
seguito
come
breve
vacanza,
rientrando
all’ovile
il
nove
agosto
per
recarsi,
come
gli
altri,
in
romitaggio
ad
Avezzano.
Anche
Fraschini
faceva
le
bizze
per
il
suo
reingaggio
ma
poi
finì
per
trovare
un
accordo.
Nell’anno
calcistico
1963-‐1964
il
Napoli
annoverava
nei
ranghi
Pontel,
Cuman,
Garzena,
Mistone,
Emoli,
Corelli,
Rivellino,
Girardo,
Bolzoni,
Ronzon,
Fanello,
Fraschini,
Rosa,
Tacchi,
gatti,
Di
Gaetano,
Cané,
Iuliano,
Montefusco,
Gilardoni
e
Tomeazzi;
Giancarlo
Molino
era
allenatore
in
seconda.
Si
cominciò
la
preparazione
atletica
giocando
qualche
partitella
contro
i
ragazzi
di
Avezzano;
Rosa
si
allenava
in
disparte
per
via
di
una
frattura
al
piede
subita
durante
una
rissa
a
Licola,
mentre
cercava
di
difendere
l’onore
suo
e
della
squadra
dalle
offese
di
un
gruppo
di
tifosi
delusi.
Da
Avezzano
ci
trasferimmo
a
Caserta
per
un’amichevole
che
vincemmo
per
due
a
uno
prima
di
rientrare
a
Napoli,
completando
la
preparazione
allo
Stadio
di
Casoria,
in
attesa
della
ristrutturazione
del
San
Paolo.
Incontrammo
il
Bari
due
volte,
perdendo
per
tre
a
zero
un’amichevole
e
vincendo
per
uno
a
zero,
al
Flaminio,
in
Coppa
Italia,
con
un
goal
di
Corelli
su
rigore.Il
quindici
settembre
iniziò
il
Campionato
con
un
pareggio,
a
Monza,
per
uno
a
uno;
segnò
Gilardoni
seguito
da
Bolzoni
il
cui
goal,
però,
fu
inspiegabilmente
annullato.
Giocammo
poi
a
Foggia,
contro
il
Prato,
sconfitto
per
tre
a
zero,
con
goal
di
Ronzon,
Cané
e
Bolzon,
pareggiammo
a
Cagliari
per
due
a
due
(Gilardoni)
e
vincemmo
di
nuovo
a
Potenza
per
uno
a
zero
con
un
goal
di
Rosa.
Il
venti
ottobre
tornammo
a
giocare
al
San
Paolo
un’amichevole
contro
la
Triestina,
perdendo
per
uno
a
zero;
vincemmo
invece
contro
il
Parma
per
due
a
zero
(Gilardoni)
e
pareggiamo
con
il
Lecco
per
zero
a
zero;
settantamila
spettatori
assistevano
alla
partita
sperando,
in
vano,
di
poter
applaudire
i
loro
beniamini.
Durante
la
pausa
Scuotto
consegnò
medaglie
d’oro
a
Jeppson
e
Vinicio.
Vincemmo
invece
contro
l’Alessandria
per
due
a
zero
(Fraschini
e
Gilardoni).
Scuotto,
reggente
“povero”
(ma
scaltro),
cedette,
nel
frattempo,
Tomeazzi
al
Mantova
per
quaranta
milioni
e
acquistò,
dal
Catania,
il
centravanti
Prenna
e
il
trentatreenne
Claudio
Rambaldo
dalla
Fiorentina.
Al
secondo
turno
della
Coppa
Italia
perdemmo
contro
la
Roma
per
cinque
a
zero
ma
vincemmo
contro
l’Udinese
vinta
per
tre
a
uno
(Bolzoni
e
Gilardoni)
e
perdemmo
ancora
con
la
Triestina
per
uno
a
zero
uno
a
zero
pur
schierando
otto
uomini
in
difesa!
La
disfatta
è
alle
porte:
Napoli-‐Cosenza
due
a
zero
(Cané
e
Fraschini),
Foggia-‐Napoli
uno
a
zero,
Palermo-‐Napoli
quattro
a
zero
(tutti
pessimi,
a
parte
102
Gilardoni),
Napoli-‐Varese
uno
a
uno
(Prenna);
Pro
Patria-‐Napoli
due
a
due
(Prenna
e
Bolzoni),
Venezia-‐Napoli
zero
a
zero,
Napoli-‐Catanzaro
uno
a
zero
(Bolzoni),
Napoli-‐Brescia
uno
a
quattro
(naufragio
completo),
Padova-‐Napoli
(sospesa
per
la
nebbia);
Napoli-‐Monza
uno
a
due
(Ronzon).
La
crisi
profonda
del
Napoli
aveva
molteplici
cause
e
non
tutte
di
ordine
atletico
o
sportivo.
La
squadra
non
era
compatta,
mancava
di
coesione
e
d’intesa
e
molti
badavano
più
ai
propri
interessi
che
ai
risultati.
Illuminante
in
questo
senso
fu
il
comportamento
di
Ronzon
che
abbandonò
la
squadra
senza
alcuna
spiegazione
perché
gli
era
stato
riferito
che
un
dirigente
partenopeo
aveva
osato
criticare
il
suo
comportamento
di
gioco
durante
la
penosa
esibizione
con
il
Monza.
Continuiamo
in
seguito
con
una
serie
di
pareggi
(Prato-‐Napoli,
Napoli-‐Cagliari,
Verona-‐
Napoli)
e
una
vittoria
contro
il
Padova
per
due
a
uno,
con
autogoal
di
Rosa,
impacciato
di
fronte
al
suo
ex
pubblico.
Il
Club
intanto
spedisce
Fraschini
a
Como
per
farsi
curare
uno
strappo
muscolare
da
Ferrario
considerato
il
taumaturgo
dei
muscoli
illustri.
Dopo
meno
di
una
settimana
il
giocatore
rientra
all’Hotel
San
Elmo
e
dichiara
di
essere
perfettamente
guarito
ma,
vistandolo,
riscontro
lo
stesso
problema
e
sconsiglio
il
suo
impiego.
Fraschini
scende
in
campo
contro
il
Potenza
con
cui,
tra
l’altro,
perdiamo
per
due
a
uno
e,
dopo
una
decina
di
minuiti,
ricomincia
a
zoppicare,
lasciando
il
Napoli
in
dieci.
Anche
Lerici,
nel
frattempo,
viene
messo
a
riposo;
galantuomo
lontano
da
ogni
bega
e
da
ogni
interesse
che
non
fosse
puramente
calcistico,
Bob
non
riesce
a
spiegarsi
come
mai
la
squadra,
che
aveva
iniziato
un
buon
campionato,
si
sia
poi
disgregata
e
sfasciata
fino
a
quel
punto;
al
suo
posto
subentra
Giancarlo
Molino.
E
continuiamo
alla
meno
peggio:
Parma-‐Napoli
due
a
due
(Ronzon
e
Bolzoni);
Lecco-‐
Napoli
uno
a
zero;
Napoli-‐Alessandria
uno
a
uno
(Cané);
Udinese-‐Napoli
zero
a
zero;
Napoli-‐
Triestina
uno
a
zero
(Montefusco);
Cosenza-‐Napoli
zero
a
zero;
Napoli-‐Foggia
tre
a
zero
(Gilardoni,
Cané
e
Fraschini);
Napoli-‐Palermo
zero
a
zero;
Varese-‐Napoli
uno
a
zero;
Napoli-‐
Pro
Patria
tre
a
uno
(Iuliano,
Cané,
Fraschini);
Napoli-‐Venezia
uno
a
zero
(Cané);
Catanzaro-‐
Napoli
uno
a
zero;
Brescia-‐Napoli
uno
a
uno
(in
campo
vi
sono
cinque
napoletani:
Mistone,
Rivellino,
Piscitelli,
Juliano
e
Montefusco).
Perdiamo
infine
per
uno
a
zero
l’ultima
partita
di
Campionato
a
Fuorigrotta
contro
il
Padova
decretando
la
nostra
permanenza
in
Serie
B.
Il
Napoli
è,
infatti,
all’ottavo
posto,
con
trentanove
punti,
trenta
reti
segnate
e
trenta
cinque
ricevute;
passano
invece
Varese,
Cagliari
e
Foggia.
Il
resto
è
cronaca.
Nella
stagione
1964-‐1965
il
Napoli,
guidato
nuovamente
da
Bruno
Pesaola,
tornò
in
Serie
A,
riprendendo
il
suo
posto
tra
le
grandi
del
Calcio
italiano.
103
15
Commiato
Ed
eccoci
giunti
alla
fine
di
questa
storia
che
coincide,
in
parte,
con
la
mia
biografia
sportiva
e
professionale
dal
1929
a
oggi.
Avevo
quindici
anni
quando
vestii
per
la
prima
volta
la
maglia
azzurra
che
lasciai
a
ventisei
per
laurearmi
in
medicina
e
partecipare
alla
seconda
guerra
mondiale.
Al
mio
ritorno
divenni
medico
sociale
degli
azzurri
che
ho
seguito
per
diciassette
anni,
come
meglio
ho
potuto,
con
l’affetto
e
la
passione
di
sempre.
Poi
i
tempi
sono
cambiati.
Sono
cambiati
gli
uomini
e
i
valori
e,
in
qualche
modo,
il
gioco
del
calcio
è
diventato
diverso
da
quello
che
avevo
conosciuto.
Resta
per
me
l’orgoglio
e
la
gioia
di
aver
fatto
parte
della
compagine
azzurra,
di
averne
condiviso
vittorie
e
disfatte,
esultanze
e
dolori,
e
di
aver
potuto
raccontare
una
parte
della
sua
storia
avventurosa,
sempre
viva
per
me
nella
memoria.
Athos Zontini
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