com
Se questa newsletter ti è stata inoltrata e vuoi riceverla ogni settimana, iscriviti qui.
Ciao,
questa è la newsletter Strade blu del Post.
Tra i molti progetti che ci ha raccontato Don Panizza però c’è anche quello di
una squadra di calcio che si chiama Asd Rom Lamezia, che quest’anno ha
compiuto dieci anni di attività. Nacque appunto nel 2012, nel quartiere Ciampa
1
di Cavallo, che in città è noto come luogo di degrado e criminalità: uno di quei
posti la cui fama finisce per emarginarli ancora di più, a discapito dei giovani che
ci nascono e che ci crescono. L’idea di costruire lì una squadra venne a quello
che sarebbe poi diventato il suo presidente, Massimo Bevilacqua, ex calciatore
lametino di etnia rom: l’obiettivo era permettere ai ragazzi della zona di
iscriversi a una squadra senza dover pagare costose rette annuali, e soprattutto
di aumentare le loro occasioni di svago e socialità. Il primo anno fu composta da
soli ragazzi rom, molto presenti a Ciampa di Cavallo, mentre dal secondo
entrarono anche ragazzi gagé, il termine che nella lingua romanì indica le
persone che non sono di etnia rom. La squadra è sostenuta da fondazioni del
territorio, e negli anni in cui non è riuscita a racimolare i fondi necessari per la
stagione sono stati organizzati crowdfunding che hanno sempre raggiunto gli
obiettivi. È uno di quei progetti che si definiscono di “calcio sociale”, cioè che
sfruttano il potenziale di inclusione e solidarietà dello sport per affrontare
problemi sociali e per combattere le discriminazioni. Non si può certo dire che
l’Asd Rom Lamezia abbia risolto i gravi problemi di integrazione a Ciampa di
Cavallo, ma è una realtà consolidata che è diventata un esempio per tutti, e
soprattutto una zona franca per i giovani del quartiere.
Il campo e lo spogliatoio del St. Ambroeus FC a Milano, nel quartiere Gorla (Tommaso Merighi/Il Post)
L'archivio del podcast di Strade blu
Cit./1
2
E quando
– smisurata raggiera – il sole spense
dietro una casa il suo barbaglio, il campo
schiarì il presentimento della notte.
Correvano sue e giù le maglie rosse,
le maglie bianche, in una luce d’una
strana iridata trasparenza. Il vento
deviava il pallone, la Fortuna
si rimetteva agli occhi la benda.
Piaceva
essere così pochi intirizziti
uniti,
come ultimi uomini su un monte
a guardare di là l’ultima gara.”
Popolare
Nel 1978 la Conferenza generale dell’UNESCO, l’agenzia delle Nazioni Unite che
ha lo scopo di sostenere la scienza, la cultura e l’educazione, adottò una “Carta
internazionale dell’educazione fisica e dello sport”, che promuoveva queste due
attività come un diritto fondamentale di tutti e come strumento di uguaglianza e
inclusione sociale. Nel 2008 il Parlamento europeo pubblicò il “Libro bianco
sullo sport”, che riconosceva similmente il ruolo sociale dello sport e il suo
potenziale come mezzo per la coesione dei territori. Non è niente che suoni
particolarmente nuovo: è noto che lo sport possa essere usato con successo come
contesto comune in cui la comunicazione è più semplice e in cui molte diversità
si appiattiscono. Nonostante le indicazioni a livello internazionale e i tanti
esempi in giro per il mondo, però, in Italia ancora oggi molti contesti sportivi
rimangono elitari e non accessibili, e i progetti di sport aperti a tutti nascono
spesso da iniziative estemporanee di associazioni e gruppi indipendenti o legati
alla Chiesa. Vale soprattutto per il calcio, che è lo sport più diffuso e seguito nel
paese, nonché il più semplice da praticare anche in assenza di strutture.
Negli ultimi due decenni, con il progressivo aumento degli interessi economici
intorno al calcio e alla sua commercializzazione, si è fatta sempre più radicale la
contrapposizione tra il calcio definito “mainstream”, quello della televisione,
semplificando molto, e il calcio “del popolo”, quello che ha sempre meno
strutture e luoghi di incontro a disposizione per essere praticato. È da queste
situazioni di difficoltà e di carenza di impianti sportivi che spesso sono nati
progetti di integrazione come quello di Ciampa di Cavallo a Lamezia Terme, ed è
il motivo per cui per parlare di “calcio sociale” bisogna prima parlare di “calcio
popolare”: cioè «squadre integralmente autofinanziate con donazioni e forme di
3
autotassazione dei sostenitori – venti, trenta euro al mese a testa – e che a volte
si reggono anche grazie all’aiuto di qualche onlus e di progetti ad hoc finanziati
da fondazioni o amministrazioni locali», secondo un’efficace definizione di
Cristoforo Spinella su Rivista Undici.
Si può insomma dire che il calcio sociale sia un tipo particolare di calcio
popolare, o che il calcio sociale sia sempre anche popolare, perché nasce dai
campi autogestiti, dalle collaborazioni spontanee dei cittadini e con un forte
attaccamento ai territori. Non tutto il calcio popolare però dà luogo
necessariamente a progetti sociali o di lotta alle discriminazioni.
San Lorenzo
Il calcio popolare non ce l’ha solo con il calcio “mainstream”, ma più in generale
con un’idea di sport visto esclusivamente come occasione di profitto, e perciò
anche con molte cose che accadono nelle città e nei paesi: con i privati che
acquistano campi che un tempo erano di tutti per costruirci campi da padel, ma
anche con le amministrazioni pubbliche che non glielo impediscono, preferendo
vendere lotti di terreno per racimolare qualche soldo piuttosto che lasciarli alla
collettività. Negli ultimi mesi del 2021 a Roma è diventata emblematica la storia
del campo “Benedetto XV” dell’Atletico San Lorenzo, squadra dell’omonimo
quartiere, noto per essere diventato in anni recenti la zona di riferimento degli
studenti universitari in città. Al ritorno agli allenamenti a ottobre del 2021, i
giocatori e gli allenatori dell’Atletico San Lorenzo avevano trovato sul campo
recinzioni metalliche, blocchi di cemento e le due porte divelte. Alcuni giorni
dopo avevano scoperto l’intenzione dei proprietari del terreno di trasformare il
campo da calcio a 11 in uno da calcio a 8, e il restante spazio in un parcheggio e
in cinque campi da padel. Il complicato rapporto tra l’Atletico San Lorenzo e i
proprietari del campo, così come le motivazioni che avrebbero poi portato gli
stessi proprietari a cambiare idea, lasciando il campo alla squadra, sono state
ricostruite dettagliatamente e ben raccontate da Dario Saltari in una puntata del
suo podcast Trame.
L’Atletico San Lorenzo nacque più o meno otto anni fa, quando un gruppo di
cittadini del quartiere cominciò a gestire un campo di pozzolana nascosto tra i
palazzi che era lì dal 1926. In questi anni è cresciuto rapidamente fino a
includere, oltre a una squadra di calcio a 11, un settore giovanile, una squadra di
calcio a 5 femminile, due squadre di basket – una maschile e una femminile – e
una squadra di pallavolo mista. Quando sembrava ancora inevitabile la
dismissione del campo, il giornalista romano Marco D’Ottavi aveva spiegato su
Ultimo Uomo cosa significasse quello spazio all’interno del quartiere: «In una
zona della città completamente occupata da “cose”, palazzi, chiese, supermercati,
bar, hotel, un campo da calcio era una piccola ventata di spazio; basta guardarne
la geografia dall’alto. Un campo da calcio è principalmente spazio: dentro non
4
c’è nulla, neanche le porte, se ci pensate, solo le persone che lo occupano. E in un
contesto urbano ogni spazio occupato dalle persone ha un significato. La volontà
di riadattare un rettangolo di pozzolana da luogo di aggregazione a luogo di
profitto è una scelta che prima di tutto è politica. Uno spazio vuoto non è
abbastanza remunerativo, o utile, e ogni spazio deve esserlo». Se vi ha
incuriosito, lo stesso articolo ripercorre la storia di altri campi a Roma come il
Benedetto XV.
Sant'Ambroeus
5
aveva comunque giocato, ma fuori classifica). La sua storia è stata raccontata in
un film.
La festa del St. Ambroeus FC dopo un'importante vittoria contro la seconda in classifica, verso la fine del
campionato
(su gentile concessione del St. Ambroeus FC)
YouSport
6
giocano a calcio: lo si vede anche da come sono costruiti il sito e le pagine social
della società.
7
Un allenamento di una delle squadre femminili di YouSport e una foto della squadra del progetto Cantera
(su gentile concessione di YouSport Social Club)
Calciosociale
Nel 2009 venne aperto con l’aiuto di volontari, aziende e istituzioni il “Campo
dei Miracoli”, il centro sportivo della società che è soprattutto un luogo di
incontro e socialità. Si trova proprio dietro al serpentone, con cui crea una certa
discontinuità visiva per la modernità e il design dei suoi impianti e per l’impatto
del “verde” dei campi che si fa spazio tra i palazzoni di cemento. Il campo da
calcio e le strutture intorno sono realizzate con materiale ecosostenibile e
biodegradabile, come legno, argilla, sughero, cocco e olio di lino: niente plastica
e niente cemento; il riscaldamento è di origine geotermica. La convivenza tra le
iniziative del centro e il contesto in cui nasce non è semplice: nel 2015 il campo
8
venne incendiato per un atto intimidatorio da parte delle organizzazioni
criminali della zona. Intorno a Calciosociale si sono sviluppati molti progetti per
la zona, come Radio Impegno nel 2016, nata per raccontare iniziative sociali a
Roma e in Italia, o il recente Festival della Legalità e della Spiritualità, che si è
svolto nel centro sportivo a fine maggio per ricordare i 30 anni delle stragi di
Capaci e Via d’Amelio. Negli anni le attività di Calciosociale si sono espanse in
tutta Italia, e oggi la società ha presidi a Montevarchi e a Empoli in Toscana, nel
quartiere di Scampia a Napoli, nella cittadina di Quartu Sant’Elena in Sardegna
(periferia di Cagliari) e a Carsoli, in Abruzzo.
A sinistra, Corviale visto dall'alto con i campi di Calciosociale alle spalle (su gentile concessione di Calciosociale);
a destra, l'allenatore Gennaro Gattuso sul campo di Calciosociale per un evento, nel febbraio del 2014
(Ansa/Brambatti-Peri)
Cit./2
“Io faccio sempre un sogno. Sogno che un giorno nessuno farà più gol in tutto il
mondo.”
Eugenio Montale
Altre direzioni
Qualche link:
«Era una di quelle squadre di livello infimo, al più basso grado che lo sport
riesce a concepire», un altro racconto di Marco D’Ottavi sul calcio popolare a
Roma.
9
Un’intervista allo scrittore e giornalista francese Olivier Guez, che collabora con
Le Monde e il New York Times e nel 2018 ha pubblicato il libro Elogio della
finta, in cui racconta tra le altre cose che il dribbling nel calcio fu inventato dai
neri brasiliani alla fine del diciannovesimo secolo: era un modo per evitare di
toccare i bianchi in campo, perché non potevano.
In Benin c'è una squadra di calcio che si chiama Sportin Club Gigi Riva de
Parakou. Gigi Riva? In Benin? Vita ha raccontato la storia dietro questo nome.
La storia della squadra di calcio popolare fiorentina C.S Lebowski, fondata per lo
più da studenti e in cui oggi gioca Borja Valero.
Oltre alle storie positive che abbiamo raccontato, c'è ancora un calcio di
provincia molto poco inclusivo, quando non apertamente discriminatorio e
razzista, racconta Diego Falcini sul Fatto Quotidiano.
Il cosiddetto “Ius soli sportivo” è una legge che permette ai minori che risiedono
regolarmente in Italia almeno da quando hanno 10 anni di essere tesserati dalle
società sportive con le stesse procedure di chi è considerato cittadino italiano.
Ma ci sono un po' di problemi.
La storia di un esperimento rimasto unico nella storia del calcio: quello della
Democrazia corinthiana, ovvero di come una delle squadre di calcio più seguite
del Brasile, guidata da un campione atipico (Socrates), aiutò il cambiamento del
paese governato da una giunta militare.
Film/cose da vedere:
Libri:
La prossima settimana parleremo dei due mostri marini che per lungo tempo
hanno presidiato lo stretto di Messina, almeno secondo la mitologia greca. Vi
ricordate come si chiamavano? A lunedì!
L'archivio delle newsletter di Strade blu
Vuoi dare una mano? Se questa newsletter ti è piaciuta, inoltrala a una persona a cui
pensi possa piacere!
Ricevi questa newsletter perché ti sei iscritto sul sito del Post o perché qualcuno lo
ha fatto per te. Se non vuoi più riceverla, clicca qui.
Copyright © 2022 Il Post, All rights reserved
11