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Facoltà di Lettere e Filosofia Indice testi

Antonio Cartelli - Marco Palma

Stefano Zamponi
Dipartimento di Studi sul Medioevo e Rinascimento
Università di Firenze

La scrittura umanistica
XIVe colloquedu Comité international de paléographie latine
Enghien-les-Bains, 19-20 septembre 2003
(versione provvisoria; il testo definitivo apparirà in "Archiv für Diplomatik", 50 [2004])
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Albinia C. de la Mare in memoriam

Nel 1960 Ullman pubblicò The Origin and Development of Humanistic Script, il volume
che fonda scientificamente un nuovo oggetto di studio, la storia della scrittura umanistica.
Secondo la ricostruzione di Ullman, che si basa su un’ampia documentazione, la riforma
grafica umanistica ebbe origine a Firenze, intorno all’anno 1400, avendo per ispiratore
Coluccio Salutati (1331-1406); sul piano della scrittura formata, eseguita con singoli,
autonomi tratti di penna, si realizza nella littera antiqua di Poggio Bracciolini (1380-1459),
mentre sul piano della scrittura corsiva si realizza nella corsiva all’antica di Niccolò Niccoli
(1364-1437). Le due scritture di Poggio e di Niccoli sono considerate da Ullman i diretti
antecedenti dei caratteri a stampa in uso fino ad oggi, il romano tondo e il corsivo, mentre la
storia della scrittura umanistica nel Quattrocento è tracciata tutta mediante esempi fiorentini,
un modo implicito ma chiaro per affermare l’egemonia di Firenze sul panorama grafico
italiano. Il quadro delineato da Ullman è integrato, ma non superato, dal volume postumo di
James Wardrop, The Script of Humanism, del 1963, che affronta essenzialmente la scrittura
umanistica ‘corsiva’ della metà del Quattrocento, dalla sua genesi in Veneto sotto influenze
dotte e antiquarie, al suo uso come scrittura del libro, portata all’eccellenza da Bartolomeo
Sanvito, fino alla sua diffusione come scrittura documentaria nelle cancellerie del
Cinquecento.
Nei quarant’anni successivi alla pubblicazione dei libri di Ullman e Wardrop le conoscenze
sulla scrittura e sul libro umanistico sono aumentate enormemente, grazie a pubblicazioni su
copisti e centri di produzione, a ricerche di natura paleografica e codicologica, allo studio delle
fonti antiche sulla storia e la terminologia della scrittura, a cataloghi di manoscritti provvisti di
illustrazioni. Anche le edizioni di testi umanistici, realizzate da filologi e storici, e le ricerche
sulla miniatura rinascimentale concorrono a delineare un campo di indagine sempre più
conosciuto, condiviso fra studiosi che lavorano con finalità differenti e con metodi autonomi. Il
risultato di questo notevolissimo incremento del nostro sapere storico è sotto gli occhi di tutti:
un paleografo esperto oggi è in grado di datare e localizzare un manoscritto umanistico con
una sicurezza e una precisione che non ha pari per qualsiasi altro periodo della storia della
scrittura.
Nello spazio disponibile per la presente relazione non intendo rendere conto di questi studi
(sarebbe del resto impossibile), anzi dovrò considerare conosciuta la principale bibliografia, di
cui allego uno specimen; parimenti escluderò in partenza una serie di argomenti, degnissimi di
indagine, ma che a mio parere, in questa sede, rivestono minore rilievo generale (l’origine
della riforma umanistica dall’esperienza grafica petrarchesca e la pretesa climax di scritture
sempre più all’antica fra Petrarca e Salutati; la diffusione europea dell’antiqua; l’influenza dei
modelli umanistici sulle scritture di uso documentario; la codicologia del libro umanistico).
Partendo da alcuni studi, a mio parere molto importanti (in particolare Casamassima, De la
Mare, Barile e De Robertis, bibl. nr. 45, 47, 80, 88, 95, 97), affronterò solo tre argomenti, che
permettono di verificare come possa essere ripensato il disegno storico delineato da Ullman e
nello stesso tempo consentono di individuare alcuni temi meritevoli di ulteriori ricerche.
Questi tre argomenti sono: la riforma grafica umanistica nei primi decenni del Quattrocento
(fino al 1425 circa); il ruolo di Ciriaco d’Ancona; la svolta antiquaria padovana degli anni ’50
(e la fissazione di nuovi modelli di scritture all’antica).

1. La riforma grafica umanistica nei primi decenni del Quattrocento


1.1 Il problema del canone e dell’imitazione
Come è noto la prima littera antiqua (fine ‘300 / inizi ‘400) è usata essenzialmente per
copiare classici latini e padri della Chiesa e si presenta in due realizzazioni, leggermente
differenti sul piano esecutivo, dovute a Niccolò Niccoli e a Poggio Bracciolini. <TAV. 1>
Soprattutto il modello di littera antiqua poggiana, così come si viene a definire nel primo
decennio del Quattrocento, acquista il rilievo di un vero e proprio canone tramite i manoscritti
autografi di Poggio, ma subito dopo soprattutto mediante l’opera di due straordinari copisti
della prima generazione, Giovanni Aretino e Antonio di Mario.
Eppure accanto a questi esempi formali, a tutti noti, si assiste prima a Firenze, poi (dopo il
1410) anche in altre città italiane, ad un fiorire di scritture all’antica, talora palesemente
sperimentali, che non imitano il canone poggiano (un precoce sperimento di scrittura è anche il
noto Catullo marciano, che dubito debba attribuirsi a Poggio). <TAV. 2> Questa situazione, già
delineata da Ullman e poi, con maggiore ampiezza, da de la Mare, è ancora in continuo
movimento. In questa sede non si possono segnalare singoli fatti nuovi, pur rilevanti (mani o
copisti finora sconosciuti o poco noti), ma i problemi generali che da questi fatti emergono: da
cosa nasce la varietà, la diversità? Nasce da una fase sperimentale in cui un modello unico è
imitato variando gli aspetti esecutivi, cioè le scelte tecniche e i fatti grafici ad beneplacitum
(quali la temperatura della penna, l’angolo di scrittura, i rapporti e l’inclinazione dei tratti che
formano le lettere), come in molti casi sembra di potere asserire, oppure la varietà deriva da
modelli differenti (il panorama grafico dell’XI e del XII secolo è molteplice), oppure, più
semplicemente, queste diverse realizzazioni si definiscono in un sostanziale vuoto di modelli
forti, in una più libera realizzazione di un ritorno alla littera antiqua, in cui l’eventuale
scrittura del XII secolo o, più semplicemente, l’esempio dell’antiqua restaurato sta solo sullo
sfondo, come generico principio ispiratore mediante il quale il singolo copista modifica la
propria scrittura di tradizione testuale?
Se il problema del canone deve essere ulteriormente indagato, nello stesso tempo bisogna
ripensare i processi dell’imitazione, che, oltre all’eventuale modello seguito dal copista,
coinvolgono anche la base grafica da cui questi muove. Sospetto che gli studiosi di cose
umanistiche abbiano interpretato il problema dell’imitazione attraverso il filtro di una
straordinaria fonte letteraria, una lettera d’Ambrogio Traversari, sempre citata nei nostri studi,
almeno dal saggio di Hessel del 1935 (bibl. nr. 7). In tal modo ha preso forma una sorta di
vulgata (la scrittura umanistica come imitazione fedele di un concreto modello antico), che
trova espressione in affermazioni come questa: " ... si riproducevano, attraverso un vero e
proprio procedimento di imitatio puntuale, il formato, l’impaginazione, i sistemi e i tipi di
rigatura, l’ornamentazione e infine, o meglio prima di tutto, la scrittura: quella "antiqua"
"castigata et clara" che fu riprodotta nelle sue forme in modo quasi fotografico".
Il rapporto con i possibili modelli (che non a caso sono così sfuggenti, così difficili da
individuare) non si risolve affatto in una imitazione ‘fotografica’: occorre dire con assoluta
chiarezza che la nuova scrittura si ispira certamente alla minuscola del XII secolo, ma si
organizza conservando le acquisizioni del tardo medioevo, soprattutto la divisione delle parole
grafiche, separate fra loro mediante spazi bianchi, con lettere strettamente concatenate
all’interno di parola. Gli elementi demarcatori del nuovo (d diritta, s finale diritta, r diritta, g
articolata in due sezioni tondeggianti unite da un tratto autonomo, legature &, ct e st) non sono
sempre usati all’interno di un tessuto grafico che imita l’XI o XII secolo, ma talora sono
inseriti in una scrittura libraria che presenta un’avvertibile base gotica. Il problema dei modelli,
e dei concreti processi di imitazione, richiede ancora la raccolta di esempi, il loro sistematico
confronto e una riflessione complessiva.
1.2. Il ruolo di Niccolò Niccoli
Con la scoperta delle mani librarie di Niccoli (bibl. nr. 41, 47, 80, 93), ignote ad Ullman, si
delinea con maggiore pienezza l’attività di colui che è il principale protagonista della riforma
scrittoria: dalla confezione, alla scrittura, alla decorazione del libro all’antica. Nei libri più
antichi Niccoli usa una scrittura bastarda, che viene a travestire all’antica (avanzati anni ’90
del Trecento) <TAV. 3>, ma realizza anche una formale littera antiqua (c. 1400). Accanto a
queste scritture sviluppa prima del 1420 una formale bastarda all’antica <TAV. 3> e infine la
nota corsiva all’antica utilizzata all’incirca dal 1423 al 1433, sempre per copiare classici latini
e padri della Chiesa, in manoscritti cartacei senza pretese <TAV. 4> . In quest’ultimo caso la
sua base grafica è una corsiva tardo medievale, di tradizione genericamente mercantesca
(quello sprinkling of Gothic avvertito da Ullman e de la Mare), nella quale si innestano le
consuete lettere e legature all’antica sopra ricordate. Nel nuovo panorama scrittorio così
connotato bisogna rilevare che la contrapposizione fra Poggio e Niccoli istituita da Ullman (a
fronte dell’antiqua poggiana Niccoli sarebbe l’inventore di A Rival System) è in buona parte
inconsistente: la natura della scrittura corsiva all’antica di Niccoli, destinata a libri di studio, ad
un uso privato e dotto, non pone in contrapposizione i due sistemi, che hanno dignità e
funzione grafica del tutto diverse. Semmai la recente stagione di studi sul Niccoli solleva con
forza un problema, forse non ancora risolvibile, ma alla cui definizione occorre lavorare: il
contributo alla riforma grafica umanistica offerto rispettivamente da Salutati e da Niccoli. Un
rapido esame di prima mano di tutti i documenti disponibili (fonti letterarie, ma soprattutto le
realizzazioni grafiche dei due umanisti), non attesta certo un ruolo specifico di Salutati
nell’ispirare la riforma grafica, una funzione che sembrerebbe meglio assolta da Niccoli. Se
verifichiamo infatti la nuova cronologia delle prime scritture all’antica di Niccoli, gli
esperimenti di antiqua del Salutati risultano coevi o posteriori. In tal modo tutto sarebbe più
semplice e lineare: negli ultimi anni del ’300 Niccoli è nel pieno della maturità (poco oltre i 30
anni), ricco, libero da impegni pubblici, alieno dalla creazione poetica o letteraria (per la quale
si avvertiva incapace), tutto dedito al culto delle più disparate antichità, a minuti studi
ortografici, alla restaurazione della facies antica del manoscritto (qualità della pergamena,
tecniche di rigatura, decorazione); è il candidato ideale per ispirare e guidare quella brigata di
giovani arroganti che realizza una frattura con la tradizione grafica del loro tempo. In questa
nuova prospettiva Salutati, ormai anziano (oltre 65 anni), occupato in pesanti cariche politiche
e amministrative, dedito alla composizioni di proprie opere letterarie, potrebbe assumere, in
piena continuità col magistero petrarchesco, il ruolo di padre nobile del circolo umanistico
fiorentino, di appassionato e dotto raccoglitore di libri in littera antiqua, di occasionale
sperimentatore delle novità che i suoi più giovani adepti perseguivano con tanto ardore e
tenacia.
1.3. Alle origini dello Schrifthistorismus umanistico
La littera antiqua fiorentina si caratterizza per l’imitazione di una scrittura del XII secolo,
chiaramente individuata come lo stato grafico immediatamente anteriore allo stato grafico
‘moderno’ (nella consapevole dialettica littera antiqua / littera moderna / littera antiqua
horum temporum), ma percepita come più vicina, più fedele alla tradizione classica. La riforma
grafica è dettata da un complesso di motivi filologici, ortografici e grafici: si persegue il
recupero dell’antichità classica attraverso un modello ispiratore, il codice romanico corretto,
dittongato, in littera antiqua. Questo tipo di codice è considerato l’ultimo tramite di una
tradizione che deriva direttamente dal mondo classico latino.
Molto meno immediato e diretto è la soluzione del problema delle maiuscole, delle
scritture distintive, che nei codici del pieno XII secolo sono frutto di una mescolanza di più
sistemi grafici (capitale, onciale, minuscola). L’imbarazzo sembra evidente nei primi
manoscritti in antiqua di Niccoli e Poggio, ove gli spazi per rubriche e scritture distintive (ma
anche lettere iniziali) sono lasciati in bianco. Come è noto la soluzione, raggiunta da Poggio
almeno nel 1408, è individuata tramite la mediazione di modelli epigrafici dell’antichità
romana. Poggio restaura una scrittura capitale che si ispira ai modelli classici per la forma
delle lettere, che dipende dalla tradizione romanica (di nuovo da manoscritti del tardo XI e XII
secolo) per quanto riguarda l’esecuzione dei tratti, piuttosto leggeri e omogenei.
Se l’antiqua restaurata nasce da una frattura, da un esplicito, consapevole, deliberato
ritorno all’indietro, la più tarda corsiva all’antica di Niccoli ripropone una situazione del tutto
generale, in Italia e in Europa nel corso del Trecento, l’adattamento all’uso librario di scritture
del sistema corsivo: in questa sostanziale continuità il nuovo è testimoniato dalla
riorganizzazione all’antica di una scrittura di base mercantesca.
Con la scrittura corsiva all’antica prima di Niccoli e poi di Traversari (anni ’20 e ’30), il
cui rilievo deve essere ripensato e circoscritto (le copie di lavoro di uso personale sono in ogni
caso ben diverse dagli esemplari destinati a una biblioteca), si ripresenta in Firenze, sotto
nuove forme, una contrapposizione tipica del basso Medioevo, fra le due tradizioni dello
scrivere, la tradizione testuale (la littera antiqua) e la tradizione corsiva (la corsiva all’antica),
connotate da differenti strumenti grafici (penna larga versus penna fine) e da correlate tecniche
esecutive (scrittura eseguita tratto dopo tratto versus scrittura realizzata currenti calamo).
1.4. L’esperienza veneta (o veneto-padana)
È un fatto ormai accertato che Venezia fu il primo centro di diffusione della littera antiqua
fuori della Toscana, almeno dal 1412/1413. Ancora prima, nel 1406, Guarino Veronese,
l’umanista più famoso del primo Rinascimento veneto, sperimenta una scrittura certamente
all’antica in una breve nota di possesso a un libro greco <TAV. 5>: Guarino è da tre anni a
Costantinopoli, forse ha saputo qualcosa della restaurazione grafica fiorentina (anche tramite il
suo maestro Emanuele Crisolora, che aveva insegnato a Firenze dal 1396 al 1400 ed era poi
tornato a Costantinopoli), quasi sicuramente non ha mai visto un codice di Poggio o di Niccoli,
eppure vuole scrivere in littera antiqua, ovviamente senza conoscere il canone fiorentino;
realizza allora una scrittura che ha la sua base grafica in forme di tradizione trecentesca e che
viene trasformata con l’inserzione di lettere e legature all’antica (g, st), una lettera r certo
all’antica ma di più incerta origine (col primo tratto allungato, come si trova in alcuni
documenti del XII secolo) e con alcune maiuscole alla greca (A e M). Non intendo passare in
rassegna gli autografi noti di Guarino, già illustrati da Casamassima e de la Mare, ma
affrontare un problema che si pone con tutta evidenza: gli autografi di Guarino sono
certamente in una littera antiqua, ma non sono assimilabili a modelli poggiani; questa diversità
nasce perché Guarino segue un canone diverso, o perché non segue alcun canone
riconoscibile? Come è noto Casamassima, seguito con qualche prudenza da de la Mare, vede
nell’antiqua corsiveggiante di Guarino la ripresa di un modello più antico di minuscola
carolina, la carolina varia e leggera del XI secolo: si tratta di una proposta di grande fascino,
ma che a mio parere non riesce a spiegare la presenza di elementi tradizionali della ‘littera
moderna’ nella scrittura dell’umanesimo veneto e padano, e non solo nei primi decenni del
Quattrocento. Più semplicemente si dovrà riflettere se la tradizione della littera antiqua
settentrionale, a partire proprio da Guarino, possa nascere dalle comuni scritture corsive e
bastarde del tardo Trecento, variamente atteggiate all’antica, con un uso sempre piuttosto
libero delle lettere diacritiche della tradizione fiorentina (d diritta -senza esclusione della
forma rotonda-, s finale diritta -in Veneto spesso inclinata verso destra, con un secondo tratto
ampio o molto ampio-, r diritta -ma spesso rotonda-, g articolata in due sezioni tondeggianti,
talora di forme semplificate, legature &, ct e st).
Ripercorrendo gli esempi della mano di Guarino vediamo come riemergono sempre,
variamente combinate, le forme grafiche consuete della tradizione corsiva (la a semplificata, di
modello corsivo, in concorrenza con la a onciale, la h col secondo tratto discendente, la f e la s
che scendono sotto il rigo, la r rotonda); queste forme si presentano in testi differenti (dalla
lettera missiva al testo classico), caratterizzati da una stessa penna, sempre piuttosto fine, e da
gradazioni esecutive più lente o più veloci, che sono in relazione alla funzione e alla
destinazione del testo trascritto.
Nell’esperienza veneta e padana dei primi decenni del Quattrocento si presentano problemi
di grande rilievo per la storia della scrittura: non mi sembra percepibile un modello antico
forte, imitato, condiviso, antagonista al canone fiorentino, ma piuttosto mi pare che si
ripresentino procedimenti analoghi per rendere ‘antiche’ scritture d’uso comune (soprattutto
corsive e bastarde, ma anche testuali semplificate); per questo motivo, in virtù di questa base
grafica tradizionale, persiste un più forte senso di continuità con il tardo Medioevo, prosegue
un radicamento nella cultura grafica tardo-gotica mai del tutto rinnegata (questo fatto sarà
percepibile, su altro piano, anche nella decorazione e in alcune tecniche di manifattura del
libro).
Nel rapporto con l’antico risulta in buona misura superata la contrapposizione fra scrittura
formata e scrittura corsiva (la digrafia che si perpetua a Firenze nei due sistemi ‘rivali’ di
Poggio e Niccoli), perché una stessa scrittura (con una diversa presenza di lettere all’antica) e
una stessa penna, in differenti gradazioni esecutive, servono sia per realizzazioni posate che
corsive. Ancora, bisogna osservare che la penna sottile comune alla tradizione veneta è lo
strumento adatto per scrivere anche il greco, e molte realizzazioni della nuova scrittura sono
dovute a copisti bilingui, che in uno stesso testo passano in modo impercettibile dal latino al
greco.
Questa situazione grafica è stata ampiamente documentata anche da recenti ricerche su
notai-copisti impiegati in uffici della Repubblica Veneta, in stretto contatto con i patrizi che
promossero la cultura umanistica a Venezia (Francesco Barbaro, Leonardo Giustiniani); è
possibile verificare, con molti dettagli, come possa organizzarsi una costellazione di litterae
antiquae, in cui si fondono, in diversa misura, ‘antico’ e ‘moderno’, librario e corsivo, talora
con una esplicita base corsiva o cancelleresca (che di norma va insieme a una penna fine). In
questo ambiente, accanto a soluzioni tradizionali, mai abbandonate (cioè un alfabeto maiuscolo
con forme miste), si risolve in maniera del tutto originale il problema delle maiuscole
all’antica, facendo ricorso all’innesto di singole lettere greche maiuscole (A, B, E, M, O), che
appartengono alla scrittura bizantina coeva. <TAV. 6>
La presenza del greco pone problemi ancora da definire (prima di tutto ripensare in termini
grafici l’esotismo nella cultura del primo Quattrocento), ma un fatto in particolare mi sembra
rilevante per la nostra riflessione: la scrittura greca, l’alfabeto altro, diverso dall’esperienza
latina, non solo allarga il programma grafico del ritorno all’antico, che ora ingloba il mondo
bizantino dei secoli tardi del Medioevo, ma scardina una dialettica di scritture che, sia pure con
notevoli diversità fra Firenze e il Veneto, era nata all’interno della scrittura latina del pieno e
basso medioevo.
I primi risultati di questa disgregazione dei fondamenti della riforma grafica si osservano
già negli anni ’20, con un copista straordinario, Sebastiano Borsa, che in un’estrosa sincronia
dilata fortemente i confini dell’antico: la sua pagina, in una percepibile base cancelleresca,
presenta un’antiqua leggera, corsiveggiante, intessuta di lettere capitali usate in funzione di
minuscola (talora anche all’interno di parola grafica, quali A, L, N, Q, S, T, V, fra cui forme
antiquarie, come la A senza traversa), maiuscole alla greca, nessi, forme varianti della stessa
lettera. <TAV. 7> Con Sebastiano Borsa, e poi con Michele Selvatico, un altro copista
eccellente, certo più disciplinato, già noto agli studi, la tradizione veneta-padana imbocca
precocemente la strada dell’estro, della ricerca grafica espressiva, di una littera antiqua che nei
suoi elementi connotativi non è attestata da alcuna fonte, da nessun modello, ma deriva da una
personalissima misura, spesso mescolanza di più tradizioni di lettere all’antica.
Infine la continuità con la tradizione trecentesca, mai del tutto rinnegata nella scrittura, in
ambito veneto-padano si ripresenta anche nella decorazione del manoscritto all’antica, con
mescolanze talora singolarissime tra scrittura all’antica e decorazione di tradizione gotica, in
un senso di continuità col basso medioevo che in sedi analoghe non ha attestazioni in Toscana.

2. Ciriaco d’Ancona
Una volta che sia conosciuta la tradizione veneta, dovrebbe essere possibile comprendere il
valore e l’importanza della scrittura di Ciriaco d’Ancona, che mi pare il punto di snodo più
importante della scrittura latina fra gli anni ’30 e ’50 del Quattrocento.
Nella storia della scrittura umanistica Ciriaco ha una collocazione ancora provvisoria,
segnata soprattutto dall’immagine dell’unicità, dell’estro, dell’invenzione (fatti peraltro
innegabili). La sua scrittura dell’età matura, com’è noto, è una sorta di eruditissimo intarsio in
cui confluiscono la conoscenza delle tradizioni grafiche tardo-medievali latine e greche, le
lettere epigrafiche classiche, la probabile conoscenza di scritture precaroline. Forme di lettere,
di nessi e di legature che derivano da tutte queste fonti sono rese omogenee in un fluire di
scrittura più o meno rapida, più o meno inclinata, sempre scritta con la penna a punta fine, alla
greca, talora (sebbene scrittura latina) in una esplicita dipendenza da stili grafici greci. <TAV.
8> Eppure l’operazione grafica realizzata da Ciriaco va molto oltre le categorie dell’unicità,
dell’esperienza singolare e irrepetibile: Ciriaco, all’inizio della sua carriera di scriptor, è del
tutto omogeneo ad una diffusa tradizione veneto-padana; le straordinarie innovazioni della
maturità, oltre che cifra personalissima, sembrano frutto consapevole di una elaborazione che
si misura con l’intera storia della scrittura latina e greca. Questa straordinaria novità fu
percepita immediatamente anche dai contemporanei di Ciriaco, che nella sua scrittura videro la
rinascita di tradizioni ormai estinte. Jacopo Zeno, nel 1442, non solo caratterizza in termini
ancora oggi esemplari e pertinenti la scrittura di Ciriaco (Tu praeterea in scribendi recto modo
et ordine maximum et amplissimum omnibus emolumentum attulisti. Quis enim ante te
copulatas et colligatas et invicem connexas atque contextas littera formare? quis antiquitatis
in scriptura ritus observare cognoverit?) ma soprattutto ha netta e chiara la consapevolezza
della discontinuità, che cioè Ciriaco ha radicalmente recuperato nello scrivere, attraverso un
cammino del tutto originale, i riti di un’antichità che con lui per la prima volta rivive (Tu
extinctam iam dudum gloriosissimae antiquitatis memoriam arte, studio ac diligentia tua
incredibili laude reparasti, restituisti et tanquam ex inferis excitasti). Insomma Ciriaco è
importante (e forse su questo ancora dobbiamo lavorare) non solo per le sue prodigiose
capacità grafiche, ma perché nella sua scrittura noi assistiamo, in un’immota ma vitalissima
sincronia, alla dilatazione del concetto dell’antico nello spazio (mondo latino e mondo greco, e
qui di nuovo si presenta una forte attenzione verso l’oriente) e nel tempo (esperienze scelte di
scrittura dall’antichità classica in poi): la sua antiqua si radica nella tradizione latina e greca
del tardo Trecento, rifiuta i modelli grafici dei secoli XI e XII, attinge con i modelli epigrafici
alle fonti esemplari dell’antichità, individua nella continuità della tradizione bizantina un
tramite essenziale per il recupero del mondo classico.
Ciriaco supera radicalmente la dialettica minuscola carolina / littera textualis / minuscola
carolina restaurata che è alla base della riforma fiorentina, ma supera anche il richiamo alla
tradizione carolina che è pur sempre avvertibile nelle scritture all’antica settentrionali: direi
che è lucidamente estraneo a quel mondo e a quel concetto di antichità. Ciriaco irride la
misura, la sobrietà della prima tradizione umanistica con una pagina che spesso è ridondanza,
eccesso, fantasia; costruisce qualcosa che non è mai esistito prima, anche se tutti i suoi
elementi sono riconoscibili in epoche e situazioni diverse della scrittura latina e greca. Paralleli
alla scrittura sono alcuni aspetti dei suoi libri, quali elementi decorativi minori e inchiostri di
colori inusitati (verde, azzurro, viola), che a loro volta rimandano a tradizioni decorative
esotiche, il libro bizantino del basso Medioevo.

3. La svolta antiquaria padovana


Intorno alla metà del Quattrocento in Veneto, e in particolare a Padova e Verona, si realizza
un ritorno all’antico di nuova natura, che, partendo dalla lezione di Ciriaco, oltrepassa del tutto
il tramite del XI e XII secolo.
Il mito della renovatio è ora del tutto scoperto: episodio fondamentale di questo ritorno
all’antico è la restaurazione della capitale romana classica, sia nelle iscrizioni (incise o dipinte)
sia nei codici. Gli aspetti essenziali di questa vicenda sono noti: artisti, scriptores e antiquarii,
da Andrea Mantegna a Felice Feliciano, Biagio Saraceno, Giovanni Marcanova collaborano in
una ricerca che vede congiunti la riflessione formale degli artisti e lo studio filologico e
antiquario; nelle capitali degli affreschi di Mantegna, nei libri e nei documenti prodotti a
Padova dal 1450 in poi la capitale ha acquisito quella solidità di corpo e di volumi,
nell’alternarsi di pieni e di filetti, che sempre da allora caratterizza il disegno delle scritture
distintive umanistiche di più alto livello (bibl. nr. 16, 22, 24, 29, 68, 69, 71, 79, 83, 84, 91, 95,
98, 100, 102, 104). Si delinea una situazione nuova, in buona parte già nota, ma ancora degna
d’indagine e di riflessione: fra il 1450 e 1460 le punte più avanzate della riforma scrittoria si
staccano definitivamente dalla matrice originaria, essenzialmente letteraria e filologica, e
procedono per sollecitazioni di natura artistica e antiquaria. <TAV. 9>
Parallela a questa svolta grafica è la riflessione sulla storia della scrittura latina, con una
netta innovazione sul piano delle concezioni paleografiche: emergono le prime affermazioni
che la vera, unica scrittura degli antichi è la scrittura capitale, e insieme a queste
testimonianze, il più estroso copista e antiquarius di questo periodo, il veronese Felice
Feliciano, realizza un manoscritto di ottimo livello qualitativo, databile intorno al 1463, tutto
scritto in capitale, il primo, tacito ma anche esplicito e tremendo manifesto della riforma
grafica più radicale, destinata peraltro alla marginalità e all’insuccesso. <TAV. 10>
Negli stessi anni, forse per influsso geometrizzante delle capitali classiche, nasce in area
veneto-padana una littera antiqua che sul piano dello stile, e di alcune soluzioni ad
beneplacitum, si distacca dalla tradizione fiorentina, poggiana, ormai fissata ed iterata da molti
copisti di mestiere. Si viene così organizzando una littera antiqua verticale (angolo di scrittura
a 90°), talora quasi rigida, spesso caratterizzata da tratti leggeri, con lettere chiaramente
individuate (spesso distanti l’una dall’altra) e aste talora completate da trattini accessori
orizzontali, che molto prima degli esempi più noti di fine secolo (quali il Pagliarolo e il
Sallando) offre un modello che sembra un antecedente dei caratteri a stampa. Questo panorama
non è conosciuto in dettaglio, ma al momento si possono segnalare diversi esempi non
attribuiti e alcune realizzazioni di copisti noti, fra cui Felice Feliciano e di Bartolomeo Sanvito,
virtuosi manipolatori di diverse scritture. <TAV. 11>
Ancora, sempre negli stessi anni nasce, sul piano del libro di più alta fattura, il vero rival
system dell’antiqua, che con un termine posteriore di qualche decennio, attestato dai primi
trattati di scrittura italiani, possiamo già chiamare cancelleresca italica. Sono fatti in larga parte
noti grazie al lavoro di Tilly de la Mare: prima in Veneto, poi anche a Roma, la tradizione
corsiva ha la sua più alta e formale realizzazione (così formale da diventare altra da sé) con la
scrittura cancelleresca di Bartolomeo Sanvito, il più grande copista del secondo Quattrocento,
al quale possono attribuirsi oltre 100 manoscritti. Nella sua controllatissima scrittura,
leggermente inclinata, può trovarsi la singola citazione dotta di una forma di lettera o di una
legatura di origine greca o di tradizione antiquaria, ma soprattutto sono presenti le quattro
lettere fondamentali della tradizione corsiva: la a, la s e la f lunghe sotto la base di scrittura, la
s tonda in fine di parola. Accanto a queste lettere, che demarcano il piano grafico, tutto si
risolve nel sovrano dominio della forma: una scrittura piuttosto posata, eseguita tratto dopo
tratto evitando per lo più le legature, del tutto assimilata alla migliore antiqua per qualità e
dignità formale, che si accompagna perfettamente, all’interno di uno stesso manoscritto, a
capitali epigrafiche di compiuta perfezione. <TAV. 12>
Sempre in questi anni, insieme alle capitali epigrafiche, all’antiqua tonda, alla
cancelleresca italica nasce un nuovo tipo di libro all’antica, in cui il mito della renovatio è
scoperto e radicale anche nell’apparato decorativo, che trae immagini e modelli dallo studio
delle antichità romane: frontoni, cornicioni, colonne, templi, are, cornucopie, festoni,
candelabre, vasi, trionfi di carri, cavalli e cavalieri, sfingi, scene mitologiche. In questo nuovo
libro all’antica le strutture architettoniche diventano spesso sede di scrittura (colonne, are,
epigrafi, pergamene appese a templi o frontoni), e il rapporto fra architettura e scultura
valorizza al massimo le qualità estetiche e formali delle nuove scritture riformate. <TAV. 12>
Un panorama al momento molto complesso e molto frazionato, conosciuto più da singoli
specialisti (epigrafisti, storici della miniatura, studiosi appassionati a questo o quel copista),
che attende di essere ricondotto ad unità da ricerche d’insieme.

Attraverso i problemi che ho esaminato (e quelli che ho potuto soltanto ricordare) mi


sembra indubbio che il futuro della ricerca nel campo della scrittura umanistica sia almeno in
parte delineato: necessariamente dovrà ancora progredire la conoscenza su singoli copisti,
centri di produzione, canoni e modelli in continuo cambiamento, così come dovrà essere più
solida la nostra conoscenza delle fonti sulla storia della scrittura (non bisogna mai dimenticare
che nel Quattrocento si viene ad individuare un primo lessico specialistico per descrivere le
scritture e si definiscono le prime, generali categorie interpretative della storia della scrittura
latina). Ma rispetto agli ultimi decenni, nei quali spesso ha predominato un atteggiamento
molto empirico, l’accumulo di dati, di notizie, di riproduzioni, quasi in attesa che tutto questo
materiale parli da sé, bisogna lavorare anche per una stagione della sintesi e della
interpretazione. Ci attende insomma il lavoro dello storico, che (come credo di avere mostrato)
può iniziare anche solo utilizzando quello che oggi conosciamo, un complesso di acquisizioni
infinitamente più articolate di quelle che erano disponibile quarant’anni fa a Ullman o
Wardrop.
Dal quadro ancora provvisorio che ho potuto delineare, ritengo evidente che un fatto
almeno possa considerarsi acquisito: oggi non rimane moltissimo della storia della scrittura
umanistica tracciata da Ullman, pure fondamentale per dare vita e primo alimento a un nuovo
campo di indagine. Molti fatti oggettivi, già accertati da Ullman, sono fuori discussione,
soprattutto il primato di Firenze nella restituzione della littera antiqua e una data intorno
all’anno 1400, ma, se vogliamo ripensare il disegno storico finalistico delineato da Ullman, mi
pare ormai certo che Firenze non ha alcun ruolo nel fissare il canone delle tre scritture che si
cristallizzano nella stampa, la capitale, l’antiqua tonda, la cancelleresca italica: le concrete
vicende attraverso le quali queste scritture si definiscono, nella seconda metà del Quattrocento,
sono da individuarsi soprattutto nella cultura grafica degli antiquarii veneti, nel continuo
mutare e assestarsi dei modelli di antichità fra gli avanzati anni ’30 e gli anni ’70 del
Quattrocento.

Bibliografia sulla scrittura umanistica


Questa bibliografia è al momento organizzata in funzione della relazione La scrittura umanistica (XIVe colloque du Comité international de
paléographie latine, Enghien-les-Bains, 19-20 septembre 2003). Presenta i titoli più significativi (articoli, ma anche le pagine relative alla scrittura
umanistica nei principali manuali) prima del 1960, anno di pubblicazione del volume di Ullman. Dal 1960 in poi ricorda solo i lavori che in vario modo
(anche in negativo) mi sono stati utili, senza finalità di completezza. Una linea in margine segnala i contributi paleografici di maggior rilievo generale.
Ogni segnalazione di omissioni sarà utile per costruire una bibliografia generale della scrittura umanistica.

La scrittura umanistica prima del 1960

1. Nicola Barone, Notizia della scrittura umanistica nei manoscritti e nei documenti
napoletani del XV° secolo, "Atti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di
Napoli", 20 (1899), pp. 1-11, tavv. 3.
2. Cesare Paoli, Programma scolastico di paleografia latina e di diplomatica, I
Paleografia latina, Firenze 1901, pp. 36-37.
3. Franz Steffens, Lateinische Paläographie, Trier 19092, Berlin-Leipzig 19292 (Freiburg
1903-19061; trad. franc. Trier-Paris 1910): pp. XXIII-XXVI, tavv. 114, 115b, 116a-b,
117a, 118a.
4. Maurice Prou - Alain de Boüard, Manuel de paléographie latine et française, Paris
1924, pp. 244-247.
5. Mostra di codici autografici in onore di Girolamo Tiraboschi, [a cura di Domenico
Fava], Modena, Società Tipografica Modenese, 1932, pp. 131, tavv. 10.
6. Beniamino Pagnin, Della scrittura padovana nel periodo umanistico, "Archivio veneto",
15 (1934), pp. 175-189.
7. Alfred Hessel, Die Entstehung der Renaissanceschriften, "Archiv für
Urkundenforschung", 13 (1935), pp. 1-14, tavv. 2.
8. Berthold Louis Ullman, Ancient Writing and its Influence, New York, Longmans, 1932.
9. Giulio Battelli, Lezioni di Paleografia, Città del Vaticano 1936, pp. 210-214 (19392 pp.
224-228, 19493 pp. 245-249).
10. Stanley Morison, Early Humanistic Script and the First Roman Type, "The Library", s.
4, 24 (1943), pp. 1-29, figg. 20.
11. Domenico Fava, La scrittura libraria di Ciriaco d’Ancona, in Scritti di Paleografia e
diplomatica in onore di Vincenzo Federici, Firenze, Olschki, 1944, pp. 295-305, tavv.
13-23.
12. James Wardrop, Pierantonio Sallando and Girolamo Pagliarolo Scribes to Giovanni II
Bentivoglio. A Study in the Later Development of Humanistic Script, "Signature", 5
(1946). pp. 4-30, fig. 24.
13. Thomas David, What is the origin of the Scrittura umanistica?, "La Bibliofilia", 53
(1951), pp. 1-10.
14. Stanley Morison, Byzantine Elements in Humanistic Script Illustrated from the Aulus
Gellius in the Newberry Library, Chicago, The Newberry Library, 1952, pp. 12, tav. 1.
15. Giorgio Cencetti, Lineamenti di storia della scrittura latina, Bologna, Patron 1956, pp.
259-299 (19972, a cura di Gemma Guerrini Ferri, pp. 235-263).
16. Mario Carrara, Scritture veronesi del secolo XV, "Atti dell’Accademia di Agricoltura,
Scienze e Lettere di Verona", s. VI, 8 (1956-1957), pp. 1-27.
17. Millard Meiss, Andrea Mantegna as Illuminator. An Episode in Renaissance Art,
Humanism and Diplomacy, New York, Columbia University Press, 1957.
18. Giovanni Mardesteig, Leon Battista Alberti e la rinascita del carattere lapidario romano
nel Quattrocento, "Italia medioevale e umanistica", 2 (1959), pp. 285-307, tavv. XV-XX,
figg. 6.
19. Berthold L. Ullman, Pontano’s Handwriting and the Leiden Manuscript of Tacitus and
Suetonius, "Italia medioevale e umanistica", 2 (1959), pp. 309-335, tavv. XXI-XXVIII.
20. Giovanni Muzzioli, Due nuovi codici autografi di Pomponio Leto (contributo allo studio
della scrittura umanistica), "Italia medioevale e umanistica", 2 (1959), pp. 337-351,
tavv. XXIX-XXXIV.

La scrittura umanistica dal 1960 ad oggi

21. Berthold L. Ullman, The Origin and Development of Humanistic Script, Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura, 1960, pp. 146 figg. 70.
22. Millard Meiss, Toward a More Comprehensive Renaissance Paleography, "The Art
Bulletin", 42 (1960), pp. 97-112, figg. 36.
23. Emanuele Casamassima, ‘Litterae Gothicae’. Note per la storia della riforma grafica
umanistica, "La Bibliofilia", 62 (1960), pp. 109-143.
24. Felice Feliciano Veronese, Alphabetum Romanum, a c. di Giovanni Mardesteig, Verona
1960 (il commento è ripreso in Giovanni Mardesteig, Felice Feliciano Veronese, intr. di
Rino Avesani, Milano, Jaca Book, 1987, che accompagna come primo volume l’edizione
in facsimile del Vat. lat. 6852, Alphabetum Romanum).
25. Charles Mitchell, Felice Feliciano ‘Antiquarius’, "Proceedings of the British Academy",
47 (1961), pp. 197-121, tavv. XXVI-XLI.
26. Tammaro De Marinis, Di alcuni codici calligrafici napoletani del secolo XV, "Italia
medioevale e umanistica", 5 (1962), pp. 179-182, tavv. IX-XVII.
27. Emanuele Casamassima, Ludovico degli Arrighi detto Vicentino copista dell’Itinerario
del Varthema, "La Bibliofilia", 64 (1962), pp. 117-162.
28. Albinia C. de la Mare, Vespasiano da Bisticci and the Florentine Manuscripts of Robert
Flemmyng in Lincoln College, in " Lincoln College Record ", 1962-1963, pp. 7-16, tavv.
5.
29. James Wardrop, The Script of Humanism. Some Aspects of Humanistic Script 1460-
1560, Oxford, Clarendon Press, 1963, pp. 57, tavv. 58.
30. Il protocollo notarile di Coluccio Salutati, a cura di Armando Petrucci, Milano, Giuffré,
1963 (in particolare pp. 21-45 Il Salutati e la crisi grafica dell’Umanesimo).
31. Emanuele Casamassima, Lettere antiche. Note per la storia della riforma grafica
umanistica, "Gutenberg-Jahrbuch", 39 (1964), pp. 13-26.
32. Emanuele Casamassima, Per una storia delle dottrine paleografiche dall’Umanesimo a
Jean Mabillon, "Studi medievali" s. III, 5 (1964), pp. 525-578.
33. Richard W. Hunt, Humanistic Script in Florence in the Early Fifteenth Century, in
Calligraphy and Palaeography: Essays Presented to Alfred Fairbank on his 70th
Birthday, a c. di Arthur S. Osley, London, Faber & Faber, 1965, pp. 272-274.
34. Emanuele Casamassima, Trattati di scrittura del Cinquecento italiano, Milano 1966
("Documenti sulle arti del libro", 5).
35. Ernst H. Gombrich, From the Revival of Letters to the Reform of the Arts. Niccolò
Niccoli and Filippo Brunelleschi, in Essays in the History of Art Presented to Rudolf
Wittkower, ed. D. Fraser, London 1967, pp. 71-82 (trad. it. in Gombrich, L’eredità di
Apelle. Studi sull’arte del Rinascimento, Torino, Einaudi, 1986, pp. 129-153).
36. Armando Petrucci, La scrittura di Francesco Petrarca, Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana, 1967 ("Studi e testi", 248).
37. Jonathan J. G. Alexander - Albinia C. de la Mare, The Italian Manuscripts in the Library
of Major J. R. Abbey, London, Faber & Faber, 1969, pp. XXI-XL (Introduction:
Humanistic Script; The Illumination).
38. Nuovi documenti per la storia del Rinascimento, a cura di Tammaro De Marinis ed
Alessandro Perosa, Firenze, Olschki, 1970, pp. 274, tavv. 36.
39. Peter Herde, Die Schrift der Florentiner Behörden in der Frührenaissance (ca. 1400-
1460). Ein Beitrag zur Frage des Übergangs von der gotischen zur humanistischen
Schrift, "Archiv für Diplomatik", 17 (1971), pp. 302-335.
40. Stanley Morison, Politics and Script. Aspects of Authority and Freedom in the
Development of Graeco-Latin Script from the Sixth Century B. C. to the Twentieth
Century A. D., ed. Nicholas Baker, Oxford, University Press, 1972.
41. Albinia C. de la Mare, The Handwriting of Italian Humanists, I-1: Francesco Petrarca,
Giovanni Boccaccio, Coluccio Salutati, Niccolò Niccoli, Poggio Bracciolini,
Bartolomeo Aragazzi of Montepulciano, Sozomeno da Pistoia, Giorgio Antonio
Vespucci, Oxford, Association internationale de bibliophilie, 1973, pp. 143, tavv. XXV.
42. Albinia C. de la Mare - Douglas F. S. Thomson, Poggio’s Earliest Manuscript?, "Italia
medioevale e umanistica", 16 (1973), pp. 179-195.
43. Silvia Rizzo, Il lessico filologico degli umanisti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
1973 ("Sussidi eruditi" 26).
44. Thomas Frenz, Das Eindringen humanistischer Schriftformen in die Urkunden und
Akten der päpstlichen Kurie im 15. Jahrhundert, "Archiv für Diplomatik", 19 (1973),
pp. 287-418, tavv. 6 e 20 (1974), pp. 384-506, tavv.112.
45. Emanuele Casamassima, Literulae Latinae. Nota paleografica, in Stefano Caroti e
Stefano Zamponi, Lo scrittoio di Bartolomeo Fonzio umanista fiorentino, Milano 1974
("Documenti sulle arti del libro", X), pp. IX-XXXII.
46. Stefano Caroti e Stefano Zamponi, Lo scrittoio di Bartolomeo Fonzio umanista
fiorentino, cit., pp. 203, tavv. 48.
47. Albinia C. de la Mare, Humanistic Script: the First Ten Years, in Das Verhältnis der
Humanisten zum Buch, a c. di Fritz Krafft e Dieter Wuttke, Boppard, H. Boldt Verlag,
1977 ("Deutsche Forschungsgemeinschaft, Kommission für Humanismusforschung,
Mitteilung" 4), pp. 89-108.
48. Armando Petrucci, Libro e scrittura in Francesco Petrarca, in Libri, scrittura e pubblico
nel Rinascimento. Guida storica e critica, a cura di Armando Petrucci, Bari, Laterza,
1979, pp. 5-20.
49. Armando Petrucci, "Anticamente moderni e modernamente antichi", in Libri, scrittura e
pubblico nel Rinascimento. Guida storica e critica, a cura di Armando Petrucci, Bari,
Laterza, 1979, pp. 21-35.
50. Gabriella Pomaro, L’attività di Ambrogio Traversari in codici fiorentini, "Interpres", 2
(1979), pp. 105-115.
51. Paola Scarcia Piacentini, Angelo Decembrio e la sua scrittura, "Scrittura e civiltà", 4
(1980), pp. 247-277, tavv.10.
52. Giuseppe Billanovich, Alle origini della scrittura umanistica: Padova 1261 e Firenze
1397, in Miscellanea Augusto Campana, Padova, Antenore, 1981 ("Medioevo e
Umanesimo", 44), vol. I, pp. 125-140.
53. Giovanna Nicolaj Petronio, Per la soluzione di un enigma: Giovanni Aretino copista,
notaio e cancelliere, "Humanistica Lovaniensia", 30 (1981), pp. 1-12.
54. Braxton Ross, Salutati’s Defeated Candidate for Humanistic Script, "Scrittura e civiltà",
5 (1981), pp. 187-198, tavv. 5.
55. J. L. Butrica, A New Fragment in Niccoli’s Formal Hand, "Scriptorium", 35 (1981), pp.
290-292.
56. Martin Steinmann, Die lateinische Schrift zwischen Mittelalter und Humanismus, in
Paläographie 1981. Colloquium des Comité International de Paléographie, München,
1.-18. September 1981, München, Arbeo-Gesellschft, 1982, pp. 194-199, tavv. XXV-
XXVII.
57. Pavel Spunar, Die Rezeption der humanistischen Schrift in Böhmen und ihre semiotische
Bedeutung, in Paläographie 1981, pp. 201-207, tavv. XXVIII-XXX.
58. Luisa Miglio, L’avventura grafica di Iacopo Cocchi-Donati, funzionario mediceo e
copista (1411-1479), "Scrittura e civiltà", 6 (1982), pp. 189-232, tavv. 19.
59. Albinia C. de la Mare, Script and Manuscripts in Milan under the Sforzas, in Milano
nell’età di Ludovico il Moro. Atti del convegno internazionale, 28 febbraio - 4 marzo
1983, Milano, Comune di Milano e Biblioteca Trivulziana, 1983, pp. 399-408.
60. Albert Derolez, Codicologie des manuscrits en écriture humanistique sur parchemin,
voll. I-II, Turnhout, Brepols, 1984 ("Bibliologia", 5-6).
61. Silvia Rizzo, Gli umanisti, i testi classici e le scritture maiuscole, in Il Libro e il testo.
Atti del convegno internazionale, Urbino, 20-23 settembre 1982, Urbino 1984, pp. 225-
241, tavv. 12.
62. Albinia C. de la Mare, The Florentine Scribes of Cardinal Giovanni of Aragon, in Il
Libro e il testo, cit., pp. 245-293.
63. Stefano Zamponi, Modelli catalografici e lessico paleografico nell’inventario di Santa
Giustina di Padova, "Italia medioevale e umanistica", 26 (1984), pp. 161-174.
64. Albinia C. de la Mare - Claudio Griggio, Il copista Michele Salvatico collaboratore di
Francesco Barbaro e Guarnerio d’Artegna, , "Lettere italiane", 37 (1985), pp. 345-354.
65. Albinia C. de la Mare, New Research on Humanistic Scribes in Florence, in La
miniatura fiorentina del Rinascimento, 1440-1525. Un primo censimento, a c. di
Annarosa Garzelli, Firenze, Giunta Regionale Toscana - La Nuova Italia, 1985
("Inventari e cataloghi toscani", 18), I, pp. 393-600.
66. Emanuele Casamassima, L’autografo Riccardiano della seconda lettera del Petrarca a
Urbano V (Senile ix 1), "Quaderni petrarcheschi", 3 (1985-1986), pp. 9-175 [facsimile
integrale].
67. Albinia C. de la Mare, Vespasiano da Bisticci e i copisti fiorentini di Federico, in
Federico da Montefeltro. Lo stato, le arti, la cultura, III. La cultura, Roma, Bulzoni,
1986, pp. 81-96.
68. José Ruysschaert, Il copista Bartolomeo San Vito miniatore padovano a Roma dal 1469
al 1501, "Archivio della Società romana di storia patria", 109 (1986), pp. 37-47, figg. 6.
69. Susy Marcon, Umanesimo veneto e calligrafia monumentale: codici nella Biblioteca di
S. Marco, "Lettere Italiane", 39 (1987), pp. 252-281.
70. M. C. Davies, An Enigma and a Phantom: Giovanni Aretino e Giacomo Languschi,
"Humanistica Lovanensia", 37 (1988), pp. 1-29 con 2 figg.
71. Susy Marcon, Vale feliciter, "Lettere Italiane", 40 (1988), pp. 536-556, figg. 11.
72. Gabriella Pomaro, Fila traversariane. I codici di Lattanzio, in Ambrogio Traversari nel
VI centenario della nascita. Convegno internazionale di studi (Camaldoli-Firenze, 15-18
settembre 1986), a c. di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, Olschki, 1988, pp. 235-285.
73. Albinia C. de la Mare, Manuscripts given to the University of Oxford by Humphrey, duke
of Gloucester, "Bodleian Library Record", 13/1 (Oct. 1988), pp. 30-51 e 13/2 (Apr.
1989), pp. 112-121.
74. Armando Petrucci, "Le antiche e le moderne carte": imitatio e renovatio nella riforma
grafica umanistica, in Renaissance- und Humanistenhandschriften, a c. di J. Autenrieth
e U. Eigler, München, Oldenburg, 1988 ("Schriften des historischen Kollegs,
Kolloquien", 13), pp. 1-12.
75. Mirella Ferrari, La "littera antiqua" à Milan, 1417-1439, in Renaissance- und
Humanistenhandschriften, cit., pp. 13-29, figg. 1-7.
76. Martin Steinmann, Von der Übernahme fremder Schriften im 15. Jahrhundert, in
Renaissance- und Humanistenhandschriften, cit., pp. 51-62, figg. 17-26.
77. J. P. Gumbert, Italienische Schrift – humanistische Schrift - Humanistenschrift, in
Renaissance- und Humanistenhandschriften, cit., pp. 63-70, figg. 27-33.
78. Herrad Spilling, Handschriften des Augsburger Humanistenkreises, in Renaissance- und
Humanistenhandschriften, cit., pp. 71-84, figg. 34-39.
79. Jonathan J. G. Alexander, Initials in Renaissance Illuminated Manuscripts: the Problem
of the so-called ‘litera Mantiniana’, in Renaissance- und Humanistenhandschriften, cit.,
pp. 145-152, figg. 48-62.
80. Teresa De Robertis, Nuovi autografi di Niccolò Niccoli (con una proposta di revisione
dei tempi e dei modi del suo contributo alla riforma grafica umanistica), "Scrittura e
civiltà", 14 (1990), pp. 105-121.
81. Paolo Eleuteri - Paul Canart, Scrittura greca nell’umanesimo italiano, Milano, Il
Polifilo, 1991 ("Documenti sulle arti del libro", 16), pp. 203, tavv. LXXXI.
82. Armando Petrucci, Scrivere alla greca nell’Italia del Quattrocento, in Scritture, libri e
testi nelle aree provinciali di Bisanzio. Atti del seminario di Erice (18-25 settembre
1988), a c. di Guglielmo Cavallo, Giuseppe De Gregorio, Marilena Maniaci, Spoleto,
Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1991, pp. 499-517.
83. Susy Marcon, La silloge dell’anonimo marucelliano: un episodio di calligrafia
epigrafica, "Quaderni per la storia dell’Università di Padova", 24 (1991), pp. 31-56,
tavv. V-XVII.
84. Anna Pontani, Le maiuscole greche antiquarie di Giano Lascaris. Per la storia
dell’alfabeto greco in Italia nel ‘400, "Scrittura e civiltà", 16 (1992), pp. 77-227.
85. Albinia C. de la Mare, Cosimo and his Books, in Cosimo ‘il Vecchio’ de’ Medici, 1389-
1464, a c. di F. Ames-Lewis, Oxford, Clarendon Press, 1992.
86. Gilda Mantovani, Lavinia Prosdocimi, Elisabetta Barile, L’umanesimo librario tra
Venezia e Napoli. Contributi su Michele Salvatico e su Andrea Contrario, Venezia, 1993
("Memorie dell’Istituto veneto si scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali, lettere
ed arti", 45).
87. Massimo Zaggia, Schede per alcuni copisti milanesi della prima metà del Quattrocento,
"Schede umanistiche", 1993, n. 2, pp. 5-59 (rist. aggiornato ed ampliato in "Libri &
Documenti", 21/3 [1995], pp. 1-45).
88. Elisabetta Barile, ‘Littera antiqua’ e scritture alla greca. Notai e cancellieri a Venezia
nei primi decenni del Quattrocento, Venezia, 1994 ("Memorie dell’Istituto veneto di
scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti", 51).
89. Teresa De Robertis, Contributo per Michele Germanico, "Medioevo e Rinascimento", 8
(1994), pp. 241-248.
90. Albinia C. de la Mare, Lo scriptorium di Malatesta Novello, in Libraria domini. I
manoscritti della Biblioteca Malatestiana: testi e decorazioni, a c. di Fabrizio Lollini e
Piero Lucchi, Bologna, Grafis, 1995, pp. 35-93.
91. L’"antiquario" Felice Feliciano Veronese tra epigrafia antica, letteratura e arti del
libro. Atti del convegno di studi, Verona, 3-4giugno 1993, a c. di Agostino Contò e
Leonardo Quaquarelli, Padova, Antenore, 1995, pp. 325, tavv. XVI, figg. 105.
92. Emanuele Casamassima e Giancarlo Savino, Sozomeno da Pistoia: un irregolare della
‘renovatio’ grafica umanistica, "Medioevo e Rinascimento", 9, n. s. 6 (1995), pp. 187-
195.
93. Teresa De Robertis, Un libro di Niccoli e tre di Poggio, in Studi in onore di Arnaldo
D’Addario, a cura di Luigi Borgia, Francesco de Luca, Paolo Viti, Raffaella Maria
Zaccaria, II, Lecce 1995, pp. 495-515 con 5 tavole.
94. Albinia C. de la Mare, Vespasiano da Bisticci as Producer of Classical Manuscripts in
Fifteenth-Century Florence, in Medieval Manuscripts of Latin Classics: Production and
Use. Proceedings of the Seminar in the History of the Book to 1500, Leiden 1993, ed.
Claudine A. Chavannes-Mazel e Margaret M. Smith, Anderson-Lovelace-The Red Gull
Press, Los Altos Hills - London, 1996, pp. 167-207, figg. 31.
95. Elisabetta Barile, Contributi su Biagio Saraceno, copista dell’Eusebio marciano lat. IX.
1 (3496) e cancelliere del vescovo di Padova Fantino Dandolo, in Studi di storia
religiosa padovana dal Medioevo ai nostri giorni, Padova, Istituto per la storia
ecclesiastica padovana, 1997, pp. 141-164, tavv. 8 ("Fonti e ricerche di storia
ecclesiastica padovana", 25).
96. Paola Supino, La scrittura di Angelo Poliziano, in Agnolo Poliziano poeta, scrittore e
filologo. Atti del convengo internazionale di studi, Montepulciano, 3-6 novembre 1994,
a c. di Vincenzo Fera e Mario Martelli, Firenze, Le Lettere, 1998, pp. 223-244 con 3
tavole.
97. Teresa De Robertis, Motivi classici nella scrittura del primo Quattrocento, in L’ideale
classico a Ferrara e in Italia nel Rinascimento, a c. di Patrizia Castelli, Firenze,
Olschki, 1998, pp. 65-79.
98. Ciriaco d’Ancona e la cultura antiquaria dell’Umanesimo. Atti del convegno
internazionale di studio, Ancona, 6-9 febbraio 1992, a cura di Gianfranco Paci e Sergio
Sconocchia, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia, 1998.
99. Maria Antonietta Casagrande Mazzoli - Ezio Ornato, Elementi per la tipologia del
manoscritto quattrocentesco dell’Italia centro-settentrionale, in La fabbrica del codice.
Materiali per la storia del libro nel tardo Medioevo, Roma, Viella, 1999, pp. 205-287.
100. Albinia C. de la Mare, Bartolomeo Sanvito da Padova, copista e miniatore, in La
miniatura a Padova dal Medioevo al Settecento. [Catalogo della mostra, Padova, 21
marzo-27 giugno 1999], progetto e coordinamento a cura di Giordana Canova Mariani,
catalogo a cura di Giovanna Baldassin Molli, Giordana Canova Mariani, Federica
Toniolo, Modena 1999, pp. 495-505 (e scheda a pp. 252-253).
101. Albinia C. de la Mare, Notes on Portuguese Patrons of the Florentine Book Trade in the
Fifteenth Century, in Cultural Links between Portugal and Italy in the Renaissance, ed.
K. J. P. Lowe, Oxford 2000, pp. 167-181.
102. Francisco M. Gimeno Blay, Regola a fare letre antiche. A propósito de un tratado de
caligrafía del Quattrocento italiano, "Syntagma", 0 (2002), pp. 47-72.
103. Marzia Pontone, Ambrogio Traversari fra scrittura latina e scrittura greca. I codici e le
testimonianze autografe, Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e filosofia
- Discipline storiche. Tesi di perfezionamento in Paleografia latina. Anno Accademico
2002/2003 (relatore Armando Petrucci).
104. Stefano Zamponi, ‘Finis scripturae’. L’Ercole senofontio di Felice Feliciano, in
Miscellanea in memoria di Giorgio Costamagna, in corso di stampa (pubblicazione
ottobre 2003).

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