1-850.8
5^-56230
5^-56230
G23P
1850. B
Garin
Prosatori Latini del quattrocento
will
of
proper
library cards.
for
on
this card.
of
residence must be re
Public Library
Kansas
City,
Mo.
DAT-
Hi
1
l
LA LETTERATURA ITALIANA
STORIA E TESTI
DIRETTORI
PIETRO PANCRAZI
RAFFAELE MATTIOLI
ALFREDO SCHIAFFINI
VOLUME
13
PROSATORI LATINI
DEL
QUATTROCENTO
A CTJRA
DI
EUGENIC GARIN
IvTAPOLI
TUTTI
DIRITTI RISERVATI
ALL RIGMTS RESERVED
PRINTEE> IN ITALY
-
INTRODUZIONE
IX
COLUCCIO SALUTATI
41
103
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
141
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
169
POGGIO BRACCIOLINI
215
GASPARINO BARZIZZA
305
GUARINO VERONESE
313
LUDOVICO CARBONE
381
GIANNOZZO MANETTI
421
FRANCESCO FILELFO
491
LORENZO VALLA
521
635
PIO
661
IL
II
PLATINA
691
CRISTOFORO LANDING
715
795
ERMOLAO BARBARO
837
ANGELO POLIZIANO
867
MARSILIO FICINO
929
GIOVANNI BRANCATI
1013
GIOVANNI PONTANO
1021
ANTONIO GALATEO
1067
NOTA CRITICA
1127
INDICE
AI TEST1
1137
INTRODUZIONE
la
1
terrena, degna pienamente dell'uomo nobile, il Quattrocento trovo
la sua espressione piu alta in
in largo senso
di
contenuto
opere
modo nuovo
di concepire la vita,
non
ma
si
solo si
consegnava un
difendeva e
si
giustifi-
monumenti
letterari,
ma
alle
un Bartolomeo
Fazio,
Poggio
sione,
cino.
gli
ci si
dalPandamento talora
tutto sia
filosofo di profes-
proprio
uomini
un
il
un sogno
(wforsitan
un tema
letteratura europea.
Sempre
il
pur para-
momenti
di quella
fissa
Leonardo da
Vinci, arriva fino alPinno ispirato di Campanella. Leonardo rimanda esplicitamente all'apertura del terzo libro degli Inni naturali del
Marullo;
ma
2.
una
volta, in
una
nato nobile e in citt& libera- come diii Alessandro PiccoloFICINO, Opera, Basileae, per Henricum Petri, 1576, vol. i, pp.
L'omo
mini.
ci offre tutti
315-17 (Theol
INTRODUZIONE
alia fonte di
luce, e proprio Ficino. Del quale e la non dimenticabile raffigurazione di una tenebra totale, ove e spento ogni astro, che fascia
lungamente
forma
il
visibile del
cielo si
mo-
apre per
Dio verace.
ficiniana
Ma
il
un medesimo autore, Leon Batnon grande imitatore del Boccaccio, raggiunge invece la sua piena efficacia quando costruisce i suoi dialoghi, e
sa essere perfettamente originale pur intessendoli di reminiscenze
agli scritti di
per rimanere
tista Alberti,
Enea
tia di
Silvio
dei Commentarii'* e
non
zia che
le
le
le pietre
ranei di
gligenti.
un convento
Per non dire
il
monaci ne-
belve africane,
anguigeni crocodiliw,
zioni delle Piramidi nelle lettere agli amici e nel taccuino di viaggio di quel bizzarro e geniale archeologo che fu Ciriaco de Pizj
zicolli
d'Ancona.
forse
ii
grande Poliziano ha
scritto le
sue pa
corso sugli Analitici primi d' Aristotele e nella lettera alPAntiquario sulla morte del Magnifico
al
Lorenzo. Lettere dialoghi e trattati, orazioni e note autobiografiche, sono i monumenti piu alti della letteratura del Quattro
cento, e tanto piu efficaci quanto meno 1'autore si chiude nelle
i.
La novella era un genere troppo definite, troppo condizionato nelle
sue linee essenziali da una tradizione ormai piu che secolare, perche il
Piccolomini potesse eluderne il colorito e gli schemi
(G. PAPARELLI,
Enea
INTRODUZIONE
forme
che
tradizionali,
1
lo
preoccupa,
e nell'invettiva, o
XI
si
precisione
nuta che
non senza
distaccano pur
egli dice
stola
il
svelare un'intima parentela. L'epicolloquio con gli assenti, siano essi lon-
tani da noi nello spazio oppure nel tempo: e vi sono due specie
di lettere, scherzose le une, gravi e dottrinali le altre (altera
3
ociosa, gravis et severa altera))).
Ma 1'epistola
i. In una compilazione erudita come i Dies geniales di Alessandro d'Alessandro la discussione filologica si inserisce con eleganza fra il ritratto
e il
ricordo senza togliere a questi alcuna grazia, cosi che la discus
come forme
2.
civile,
caratteristiche
Rxiegg (Mommsen e Cicerone, in Varietd cit., pp. 1-12). 3. II comdel Poliziano e nel ms. Magliab. vn, 973 (Bibl. Naz. Firenze).
II testo in questione e a c. 4V-5V (est ergo proprie epistola, id quod
verbis colligimus, scriptionis genus quo certiores faex Ciceronis
cimus absentes si quid est quod aut ipsorum aut nostra interesse
arbitremur. Eiusque tamen et aliae sunt species atque multiplices, sed
altera ociosa, gravis et severa altera. Atqui neque
duae praecipuae
omnis materia epistolis accommodata est ... Brevem autem concisamque
esse oportet simplicis ipsius rei expositionem, eamque simplicibus verbis.
Multas epistolae inesse convenit festivitates, amoris significationes, multa
proverbia, ut quae communia sunt atque ipsi multitudini accommodata.
Qui vero sententias venatur quique adhortationibus utitur nimiis, iam
non epistolam, sed artificium oratorium
Epistola velut pars altera diamaiore quadam concinnatione epistola indiget quam dialogus
logi
mento
imitatur
at epistola scribitur).
INTRODUZIONE
XII
Non
il
diario,
il
taccuino di viaggio,
si
confi-
come
di continue
tati di
peso
temi e
lettera
le espressioni
medesime
delle epistole.
i.
Itinerarium:
civile)),
nella
vita civile)),
po-
magno
conoscere
il
mondo,
il
INTRODUZIONE
XIII
dialogi,
se la let-
Fattenzione
si
tato,
La
umana tende
a persua-
una trasformazione
degli
politia litteraria.
iono da un lato
la
ci
appa-
pubblico
La
piu
lode famosa di Pio II alia saggezza
spaventavano
retorica
di
un
Poliziano e di
sempre
La
riconosce
ove
il
virtu
suoi
titoli
un Barbaro,
e giova a
defimre
Anche quando,
si
po
il
nelle discussioni
valore della
da Montefeltro
i
poeti descrivendo le batdivenire
anch'essi
delParte della guerra.
maestri
taglie possono
Alfonso il Magnanimo reca seco al campo una piccola biblioteca,
pensa sempre a poeti e a filosofi, e sa che la parola bene adoveramente espressiva, e piu potente di ogni esercito.
prata, ossia
i. C'& appena bisogno di ricordare che si tratta dei titoli delle opere di
Matteo Palmieri e del Guazzo. 2. E ancora il titolo di un'opera significativa, quella di A. Decembrio in cui si rispecchia la scuola del Guarino.
INTRODUZIONE
XIV
II
non
un
si
re
badi,
che ser Coluccio fosse un vuoto retore, o Alfonso un re da sermone, ma che la cultura era, essa, viva ed efficace e umana, e
perfetta espressione di una societa capace d'accoglierla.
L'uomo che nel linguaggio celeb ra veramente se stesso
(l'uomo
essenzialmente nella parola ),* come si costituisce in pienezza definendosi attraverso la cultura (le litterae che
formano la humanitas), cosi raggiunge ogni sua efficacia mondana
manifesta
si
mediante
uomo
mediante
la parola persuasiva,
la
retorica
intesa nel
suo significato profondo di medicina dell'anima, signora delle paseducatrice vera dell'uomo, costruttrice e distruttrice delle
sioni,
citta.
Tutto
e,
si
retorica)),
che
sol
ossia tutto
il
piu vero e
il
Con
regno delle
Muse
di
figlie
Mnemosine
che e
il
medesime
cose:
non
aresti tu
gran
ti
piace
e parlerai
con
loro,
ed
di
si
traducono e
si
consegnano
delFuomo.
INTRODUZIONE
XV
II
tal modo quella
che talora & lontana dai versi e
poesia
dalle novelle, e presente ed altissima nella
pagina di un filosofo
Per
o nell'appassionata invettiva di
un
politico.
La
che
sia
si
di ogni
umano
discorso; e nel
momento
poe-
un
tal
dominio
alle
modo
il
letterato ozioso,
il
ma
al
contrario perche
il
nanzitutto e uomo, e
Di qui Fimportanza
centrale che
vengono ad assumere
le trat-
tazioni sulla lingua, sulla sua storia, sulla eleganza? ove la discussione grammaticale si trasforma di continuo in discorso finissimo
di estetica: e quel trapassare dal vocabolario, e magari dal reperneltorio ortografico
basti pensare al Perotto o al Tortelli
Panalisi critica e nella dissertazione storica. Mentre, contempo-
raneamente,
la storia,
che intende
farsi vivo
specchio della
vita
come
il
af-
progresso
i
Quasi unum in corpus convenerunt scientiae omnes, et rursus temeloquentiae studiis studia sapientiae coniuncta sunt
poribus nostris
(da una lettera del Cassi al Tortelli, contenuta nel Vat. lat. 3908 e pubblicata nel 1904 da G. F. GAMURRINI, Arezzo e rUmanesimo, Arezzo, Tip.
Cristelli, 1904, p. 87, miscellanea in onore del Petrarca dell'Accademia
.
Petrarca).
hominibus
p. 229
doctis, ed.
structuram orationis
INTRODUZIONE
XVI
De
Paolo Cortesi, in
quel
propria storia critica della letteratura del secolo XV, appunto discorrendo delle storie del Bruni, batte su questo incontro della
verita con 1'eleganza, che e tutt'uno con queH'armonia di sapienza
ai
che
la
grande letteratura
clas-
nel nostro colloquio il passato, farlo vivo con noi (quasi picturam
viventem adhuc spirantemque). Matteo Palmier i inquondam
nanzi alia vita di Niccol6 Acciaiuoli ci insegna che la storia e
.
vita
limiti del
tempo
Ill
modo,
i.
sembrano
due que-
in qualche
con quei
Aretino hu-
Cosi nel
manistisch-philosophische Schriften, Leipzig, 1938, p. 13). Una giusta valutazione delPopera storica del Bruni presenta B. L. Ullman, Leonardo Bruni
INTRODUZIONE
caratteri stessi che si sono voluti definire:
umanita
della
di
si
XVII
come,
infatti,
parlare
una lingua
mezzo espres-
serviva di
Ma
trepassare
Quanto
infatti si obbietta
del volgare, e ad
che
una presunta
ci
riferiamo
gare
si
che
si
dichiara
integrate da tutta
compresi
come
dice esplicitamente
il
Platina 1
un gergo scolaed innanzi tutto nel campo di una produzione costantemente espressa in latino. Giustamente il De San-
La
cisa
con
quale
contrappone
nostra lingua
romana
cede
il
come
posto
un nuovo
alia scioltezza
e,
anche
moderna)).
II latino
degli umanisti,
lingua veramente viva che aderisce in pieno a una cultura afTermatasi attraverso una consapevolezza critica che si collocava chianel tempo defmendo
come con il Medioevo;
ramente
antico
dal rappresentare
una battuta
il
mondo
d'arresto o
un momento
di invo-
i. Cosi nella prefazione alle Vite, che riportiamo per intero. Rilievi utili
in proposito ha il Sabbadini sia nella Storia del ciceronianismo (Torino,
Loescher, 1886), come nel Metodo degli umanisti (Firenze, Le Monnier,
1920).
INTRODUZIONE
XVIII
della sua
eloquenza interiore.
Fra
il
latino, in cui si
gli
Non sempre
Giungiamo
intendersi
cosi a quello
che forse e
il
di
Vimitaquesti quattrocentisti
la posizione assunta dagli umanisti ri-
dell' atteggiamento
una preoccupazione
storica e critica; che essi siano dei filologi desiderosi innanzi tutto
di comprendere gli autori del passato nelle loro reali dimension!
e nella loro situazione concreta: e cosa
nettamente
nuovi autori e
un
classici. Poli-
senso di tutto
il
periodo piu tardo della letteratura romana ( neque
autem statim detenus dixerimus quod diversion sit). Ma dira soprattutto 1'enorme distanza fra una poesia che fiorisce come libera creazione su una cultura meditata e fatta
proprio sangue, e
I'imitazione pedestre
ilia
3
poetas facit, haec simias.
RAFFAELE
ritrovare,
distesi e volgarizzati, i concetti di un Valla e di un Poliziano
negli scrit
tori francesi del '500. Per
esempio Joachim du Bellay, scrivendo a meta
del sec. XVI, dopo aver tratto dal Valla il concetto che
fu
Roma
grande
per la lingua ^imposta all'Europa non meno che per 1'impero ( la gloire du
Romain
n'est
moindre comme a dit quelqu'un en Tamplifacation
peuple
INTRODUZIONE
L'Umanesimo fu
come 1'ha chiamata
verso
il
questa singolare
Russo: 1 umanita
una sempre
gli altri
imitazione-creazione
fatta
consapevole attra-
forma
di raggiungere
il
in
il
XIX
pifc alta
EUGENIO GARIN
de son langaige que de ses limites)> eccolo riprendere Poliziano: imen eux, les devorant, et
mitant les meilleurs aucteurs
., se transformant
Solo
apres les avoir bien digerez, les convertissant en sang et nouriture
autrement son immitation rescosl 1'imitazione e giovevole allo scrittore
Cfr. BERNARD WEINBERG, Critical prefaces of
sembleroit celle du singe
the French Renaissance, Northwestern University Press, Evanston, Illinois,
1950, pp. 17 sgg. i. LUIGI Russo, Problemi di metodo critico, Bari, Laterza,
.
I95Q
2
,
PROSATORI LATINI
DEL QUATTROCENTO
COLUCCIO SALUTATI
in Valdinievole
il
nella
scrivendone
al
cum
figlio
in
Nel
'51 e
si
studi.
Verso
il
'46,
pro-
offitialis
communis
Pi-
al
Sposatosi nel '66, nel '67 diviene cancelliere del comune di Todi,
cerca migliori sistemazioni a Viterbo e a Roma, rivolgendosi
ma
compone
Roma,
1370
inducono a
ritirarsi
di
scriba
nuovo
omnium
Stignano.
scrutiniorum)),
il
alia
morte avvenuta
il
Da
Comune,
4 maggio 1406. Fu
il
ma se
primo, e forse il piu grande, dei cancellieri umanisti;
suo nome non pu6 staccarsi dalla grande politica fiorentina, la
sua figura & al centro del movimento culturale non solo fiorenil
tino,
Spirito.
a Francesco Landini,
degli Alberti, ove dinanzi
il
Cieco degli
sorgente umanesimo
Organi, e a Biagio Pelacani, rappresento
(A. WESSELOFSKY, // Paradiso degli Alberti, Bologna, Romagnoli,
Difese gli studia humanitatis contro il grande Giovanni Doil
1867).
minici che stese proprio contro di lui la Lucula noctis (la copia
di dedica, su cui Coluccio prepar6 la risposta troncata dalla morte,
e stata riprodotta
of the University of
I
Manuele
Crisolora,
(cfr.
G. CAMMELLI, Manuele Crisolora, Firenze, Vallecchi, 1941), mostrano quanta importanza gli debba essere riconosciuta nella rinascita degli studi greci.
che ne stende
Ancora
la vita, egli e
ai
tempi
di
Giannozzo Manetti,
uomo
di'
cul-
tura e d'azione.
tiones e la
le opere poetiche, che egli stesso rifiuto, le OraDeclamatio Lucretiae, nel 1381 offre a fra' Girolamo da
Uzzano
De
Tralasciando
il
mizz6
col Salutati, e
il
cancelliere di
con Domenico
Silvestri,
luccio al Fedone
il
1390 fu compiuto il De
BarufMdi da Faenza, di cui
medids
il
'96 e
stende
il
De
il
trattato di
la
il
verecundia, dedicato ad
An
Co-
morte.
Entro
tonio
il
Agno-
Salutati
trattati salutatiani.
medidnae,
Nel 1400
il
quid tyrannus, an
eum
occidere
liceat,
an principatus Caesaris
inferno
il
vicentino Antonio Loschi (1368-1441),
successore di Pasquino Capelli nella cancelleria viscontea, scrive
una breve Invectiva in Florentines, che 6 un vero e proprio opu-
bello,
il
Salutati fa pervenire
la
Gian
il
li-
sua risposta,
COLUCCIO SALUTATI
una
letteralmente
1'altra
riferiti,
scrittura sono
questa fra
il
Loschi e
il
il
di
Loschi
di
Cino Rinuccini,
il
di
paral-
Bruni
Decembrio.
il
Ma
un
Ex Tipographio
Caesareo, 1759 (che costituisce il primo volume delPedizione delle lettere del Traversal! a cura del Canneti).
Le
i codici cfr. le note del Novati in Epistopp. 506-07); l&DeclamatioLucretiae, conservataci in una
cinquantina di manoscritti, fu anche stampata neiredizione milanese del
1496 delle lettere di Pio II, e poi ristampata piu volte. Inedito il De sae-
lario,
volume
iv,
culo et religione
II
1947, con introd. ove, a pp. I-LVIII, si danno notizie general! sull'opera
II De laboribus Herculis (conservato negli Urb. lat. 201 e 694) e
del Salutati.
B.L.Ullman (Zurich, Thesaurus Mundi, 1951). L'JwDomenico Moreni (Florentiae, Magheri, 1826)
vectiva fu pubblicata da
De Tyranno
II
W.
scelta di lettere).
dal
Mehus
Le
lettere
(Florentiae,
volumi, Florentiae,
(2
F. NOVATI,
cfr.
Ex Typographia
J.
U epistolario
Roma
vi,
WALSER, C.
fender of poetry,
(cfr.
INVECTIVA
IN
INVEC'TIVA
IN
Quis
patienter ferat,
inscribere, et
dire,
illis
probationes et argumenta sumerent; ornarem eos, ni fallor, meritis suis, efficeremque quod
patriam verbis non laederent, quam
quam
tatis et
cumque
patriae, quam
quilibet defendere tenetur, assumo, rogans quibus vacabit haec
legere,
tria
tienter,
veritate,
pro
iustitia,
quod non
vel,
sic
pietatem
pro pa-
arbitror,
meam
pa
aequis
dinatio pateat,
litteram,
xerit respondebo, ut
cum unum
futatione subnectam.
Incipis,
evomens
elisero,
mox
alium
cum
sua con-
(dllucebitne
unquam
cuiuspiam calamitatis insignis exemplo, sic vestri similes deaerumnis vestris suum formidare discrimen, ut
terreri, et sic in
calamitas
in
ilia
videatur
exemplo ? Eruntne
praestigia, in
quibus
non solum
ullo
tempore
atque delusa
estis,
est,
ut
vanissimi et cae-
i.
Sul Loschi
schi vicentino,
GIOVANNI DA SCHIO, Sulla vita e sugli scritti di A. Louomo di lettere e di Stato, commentarii, Padova,
Tip. del
cfr.
Seminario, 1858.
INVETTIVA
ci
cosi
un principe, vorrei discuterla al cospetto degli stessi nemici; vorrei ascoltarli e comprendere la raportar questa causa davanti a
membro
un
estraneo, io
assumo
la
ma non
Come
lo credo,
con serenita
con
amore. Per render chiaro Tordine del mio discorso, citer6 innanzitutto
le
mio awersario,
parole del
In
come
le
tal
partitamente
modo,
confutato un argomento, verr6 ordinatamente connettendo la con-
scrisse,
dunque
a metter fuori
alia
il
doti
rovina della pace italiana, in cui pagherete una pena degna delle
vostre colpe ed affronterete il'meritato supplizio? Non accadra
mai che con 1'esempio della vostra immensa sciagura i pari vostri
siano atterriti ed indotti a temere nella vostra la loro rovina, in
modo
ma
che
anche
artifizi
la vostra
utile
esempio?
AlFinizio,
modo
sommamente
come mostrano
tali
che
gli altri
appaiano saggi
e ciechi?
10
excandescens, non
si
diras,
metuant
Cupis
mirabiliter
aliter
quod videntes
et iusta sit
sic nostra
tus
sit
quidque legentibus
afTerat,
est,
in
quam non
Si tuum
possit hoc idem, si quis debacchari voluerit, iaculari?
in dominum haec eadem verba scribantur, quis inconvenienter
Quid
posita causaretur?
erit
necessarium immutare,
nisi
pro
ci-
si
Die, obsecro,
et detegis
autem
Et
inimicum,
quam
fare, precor,
cum
nonne
et capitalem ac
gravitatis
te offeras
unquam
fuit, qui,
Demosthenes,
sit
summae
quem
Antonius
probaverint,
stia,
quod etiam
quem
cati testes
Come
e noto, la risposta del Salutati, inviata a Pietro Turchi 1'n setstata composta quando il Visconti, con grande gioia dei
Fiorentini, era gia morto (Epistolario, in, pp. '634, 637). 2. Cfr. PETRARCA,
i.
Rerum memorandarum
n, 26.
COLUCCIO SALUTATI
discorso, acceso
ZI
straordinariamente
essi diventino
le Furie,
esempio
ai
loro simili,
divenga utile esempio. Tu desideri che i nostri inganni siano svelati, che gli altri appaiano saggi, e i Fiorentini estremamente vani
e ciechi, quali sono in realta. Quanto sia
sciocco questo inizio
della tua esposizione, e che cosa offra al
lettore, io mostrer6 in
pochissime parole. Qual mai signore, qual principe, quale comunita esiste, contro cui non si
possano scagliare queste stesse ac
cuse, se uno voglia lasciarsi trasportare dalla furia? Se
queste
medesime
il
potrebbe sostenere che fossero fuori posto? Quale altro mutamento converrebbe fare, oltre che sostituire ai cittadini il
tiranno,
e mettere al
? Ma lasciamo stare
posto del plurale il
e
morti con
singolare
lui,
quali conviene essere piu moderati che coi vivi.
ti
prego, non ti mostri nelle tue parole awersario dei Fio
ed awersario mortale e tremendo ? Ora dichiara, ti
prego,
parte che fai: sei accusatore o testimonio? E mentre ti ofrri
Dimmi,
rentini,
la
come testimone, e come tale ti comporti, mentre ti dichiari, insieme, con questi tuoi desideri nemico di quelli che perseguiti,
qual posto lasci ad una sia pur minima fiducia in te? Qual mai
accusatore vi fu di tanta efficacia da
poter dimostrare colpevole
1'accusato con la sola esposizione delPaccusa o con la
semplice
invettiva? Sia pur Cicerone, sia Demostene, sia
1'integerrimo Catone, sia Antonio o Crasso, o Eschine accusatore di Demostene;
sia
qualunque togato o
palliate
sommamente
modo
si
comportano da
stolti
senza accor-
12
notam aut
iniquitatis
testi,
?
quitur se detegat inimicum
Perditissimos cives, vastatores patriae turbatoresque pacis Italiae
Perditissimos
cives.
Florentines vocas.
Si
inquis
.
nostrum
Sed
est ista
hosti nostro
perditos habere, sed utiles, sed bonos, sed tales quibus possit
res publica se iuvare. Relinquas igitur hoc nobis,
relinquas et id
quod
sequitur,
cc
patriae vastatores
Quid enim
tales
atque possint; et quis unquam illarum partium dominus aut populus hoc quod nobis imputas fuit conquestus ? ... Si pacem tur-
baremus
iactas, te
te deceat
mavocabulum
contra
i. II termine
praestigium indica propriamente
cantamenti (SAN TOMMASO, Summa theol., n,
le
opere magiche e
2, q. 95).
gli in-
COLUCCIO SALUTATI
13
mone
Tu
che
si
chiami
dichiari o si dimostri
i
Fiorentini
nemico
ni
di quello
che accusa
Scelleratissimi cittadi
pace italiana
Se intendi colpire tutti i Fiorentini, e falsissimo quello che
Pu6 darsi infatti che questo termine convenga a taluni che,
.
dici.
dici.
prodighi del loro, vivono nel male con costumi corrotti compiacendosi del delitto. Ma sono senza paragone di
gran lunga piu
se vuoi dire la
ma
che di
tali
essi
a noi, e lasciaci
questo
uomini capaci
polo
si
come scrivi, la pace d' Italia, tutta T Italia sarebbe nemica nostra.
Dal momento che ci6 non awiene, dal momento che, dovunque
non e arrivato il dominio e il veleno del serpente divoratore del
diritto,
i
loro commerci,
evidenza dei
che attribuisci
Ma chi mai
fatti,
onde
a te conviene
ai Fiorentini,
e che io
come occulta frode ? Infatti tu non cerci6, se non ritenessi occulti gli inganni di
ti
14
Sed quis
te docuit hostibus
in hoste requirat
unquam
ali-
aliis,
probes oportet,
Sed
ulterius
vatem.
quadam
constantiam, fortitudinemque
orbis
est
omnibus Florentinis ut
immo
vitam,
posteris
stultissime, libertatem,
cuius
rum
fiat,
tiae
non
natus
arbitror te
tui principi
domi-
Sed cur servum te voco, qui tarn valde serquod non pudeat vocare foedissimam liber
Immo, quod stultius est, non es veritus earn tyrannidem
nabiliter appellare,
tatem ?
crudelissimam appellare?
vel ire certus sim, ferre
potui.
quae
Numquid
sit
isse
Florentinorum libertate
li-
quam nostrae libertati possis, ne compaTalisne est tyrannis ilia domini cui servis,
COLUCCIO SALUTATI
ai
15
o virtu
tuttavia,
la
sia
inganno
repubblica fiorentina
chixinque
piaccia.
basta dire, bisogna che tu
provi le cose che scrivi .
Comunque ascoltiamo ancora questo nuovo profeta pazzo e violento.
Vedremo, vedremo la vostra famosa costanza e romana
Ma
non
una
crudelis-
superbi del
romano
e dichiararvi
stirpe di
Roma. Quanto
sia
nome
grande in questo
la
come
e stato detto,
neH'animo
con
il
proposito di difenderla
come
fe
un bene
Fiorentini
celeste
che
hanno fermo
la vita, anzi
piu della
vita,
le
con
Tanto
ci
piace questa
che tu chiami turpe, o il piu sciocco di tutti gli uomini, questa
liberta che solo chi non 1'ha conosciuta, come te, non apprezza
ne"
desiderare.
il
mi sembra che tu, non per umilta ma per colpa, possa, anzi
debba ragionevolmente chiamarti servo dei servi. Ma perch6 ti
chiamo servo, dal momento che ti compiaci tanto della tua servitu da non vergognarti di chiamar turpe la liberta, anzi, ed e
Perci6
stoltezza maggiore, da
non
Parola, son
berta fiorentina; che possa, non dir6 anteporsi, ma anche paragonarsi alia nostra liberta? Ed e tale forse la tirannide di cui sei
schiavo, che tu possa avere
il
l6
quod
est custos
gravis et instar servitutis
legum
dinem
ducitur atque
evagari, quae passionibus
putem
et tui similes,
libertas, gravis
vivit,
libi-
ut te facile
intelligere libertatem
quid
quorum
fuerat,
))
que
proclivia,
tecum
iugiter meditari,
que tantumque bonum, quo nihil pulchrius esse potest, rem foedissimam appellare; quae quam inepte quamque contra veritatem
dicta sint tibimet relinquerem, si te tantum hominem gereres,
iudicandum; cunctis tamen ista legentibus exhibeo dirimenda.
Verum cum
unquam temporibus negaverunt, sed nos filios, carex carne sua et ossa ex ossibus suis etiam in singularem sui
nominis honorem et gloriam reputant atque vocant? Quoque te
cipes nullis
nem
num,
et
ut,
postquam
alio tibi
dicendum loco
quam impudenter
auferam
tibi
rectius sentiendi.
i.
Lrvio,
Ab
urbe condita, n, 3.
COLUCCIO SALUTATI
liberta fiorentina?
Ben
so che e
grave, e par servitu, la liberta
custode delle leggi; e servitu sembra alia
gioventu sfrenata, che
brama scorazzare liberamente sotto la
guida delle passioni; sicche
ben capisco come tu e i tuoi
simili, non solo non
e,
ma
comprendiate
ne aborriate
il
nome
e la sostanza
come
grande,
di cui
non
vi
essere nulla di
piu bello, cosa sommamente
sciocchezza e la falsita di tutto
questo io lascerei
pu6
turpe. La
care a te medesimo, se tu
rappresentassi un sol
vece costretto a mostrarla a tutti i lettori.
Ma
stirpe
che"
poiche"
in-
Fiorentini siano di
prego, dove hai trovato il contrario ? Pervuoi concederci quello che tutta Pltalia, te
eccettuato,
romana, dimmi,
non
giudi-
uomo; sono
concede
ti
gloria
mandolo con gli autori che potr6 addurre, in modo che, essendoti
tu riservato di esporre altrove la nostra
impudenza nel proclamarci stirpe romana, io ti tolga fin da ora la possibilita di delirare e
ti
offra 1'occasione di
un
retto sentire.
l8
cum antiquissima
huius corpus, sive bello, ut fama est,
sive pace, captis montanis civibus amoenitate loci, confluxerit se-
reliquerit,
mum
Arcadas,
dum
invenisse
quod
latino
nomine Valentia
Roma
dicebatur,
fuit,
oppi-
vocabulum
Romus
fuit,
vocat et
argumentum.
Quod autem
Circus, est et locus qui Thermae dicitur, est et regio Parionis, est
et locus quern Capaciam vocant, est et templum olim Martis in-
signe
volebat auctorem ; et
templum
non
graeco,
Vetus
quam in memoriam
quam una cum ponti-
romani generis
iste
populus reservabat,
COLUCCIO SALUTATI
19
Ma
questa
stati
abbandonare
di
per lasciare
Roma? Noi
chiamati in
per
altri casi,
gli
il
principio primo
Arcadi, poich6 furono
il
detta in latino
Roma,
si
qui
crede da
chiamava veramente
Romo; il fondatore
e non Rornolo,
Romo
da cui venne appunto Roma, e non Romula; e Varrone dice esatRomo e Romulo. Ma chi sa mai quale autore ebbe quel-
tamente
citta
si inferisce
da fortissime congetture.
viva infatti una tradizione, resa incerta dagli anni, che la citta di Firenze sia stata
opera romana:
c'e
il
quartiere del
volta famoso, di Marte, che la gentilita voleva autore della
una
stirpe
romana;
e tale
mediatore
fra
la
violenza delle
OVIDIO, Fasti,
I,
461 sgg.
20
bus tribus rapuit vis aquarum, annis iam completis pridie Nonas
Novembrias septuaginta; quam quidem vivunt adhuc plurimi qui
Restant adhuc arcus aquaeductusque vestigia, more parentum nostrorum, qui talis fabricae machinamentis dulces aquas
ad usum omnium deducebant. Quae cum omnia romanae sint
viderunt.
res,
audeat di-
imitatio, quis
2
sed et forma.
Non mirum
tinguibilis
ergo
fama
est,
si,
esse
romanum oppo-
situm Faesulanis, quos Romanis fuisse contraries et adversos clarissimum facit quod sociali bello legamus Faesulas et alia quaedam
sisse Faesulas
ria
plebem
exercitum
3
.
Nunc ad
quam
virtuti verae
et insolentiam florentinam, et
unquam
Inanem
dicis et
ventosam floren
litteris, iactavisse
lactare
futurum
re-
spicit, quod
relinquimus tibique similibus faciendum. Gravitatis enim florentinae non est inania divinando iactare, sicut tu
tibi
vede
fare le
COLUCCIO SALUTATI
21
acque porto via insieme con tre ponti settanta anni fa, il giorno
prima delle none di novembre; e vivono ancor oggi molti che la
ricordano. Restano tuttora gli archi e le
vestigia
delPacquedotto
secondo Pabitudine dei nostri padri, che mediante tali costruzioni recavano dolci acque per 1'uso comune. Essendovi tutte
fatto
mai ardira
nomi,
ad imitazione
soprawivendo un
dire,
cosi solido
delle
al
vescovado, e
Roma non
abbia visto
supporra soltanto,
romane; e non solo per la materia, che e
mura
fatte le
la
di
Roma,
e cioe laterizi e
tali
che chi
ma
ma
mattoni,
anche per
forma.
Non
v'e
da
stupirsi
dunque
se,
rissimo quel che leggiamo a proposito della guerra sociale, durante la quale Fiesole e alcuni altri borghi furon distrutti; sicche
e evidentemente
suprema
sia stata
Manlio a levare un
esercito,
sollevando in Etruria
scontento per
la
ofTese patite,
tutti
beni.
cosi raccogliendo a
il
un tempo
pletamente
esercito
frutti
di
il
popolo,
dolore delle
Silla
campi e
smodata aveva
dominio di
il
fatto scialacquare
com-
Tornando ora
22
facis,
quod quidem
tiam
et
in
si
iactan-
quam quae
procedit ex meritis
Quae princeps
nunquam enim
et in
tosum
est id
cum ignorem
Si vellem
An
est,
exemplum
domini
tui,
tua nequeo
si
mihi, nihil simile posses Florentinis vel privatim vel publice, nisi
more tuo ad fingenda confugeres, imputare. His ergo dimissis,
quam
qui,
cum
non
extremum
suffocare
contra
et
ad servitutem vocata
Italia detestatur; in
sanguinem vestrum
sitit;
armatur. Haec,
mentibus
siae,
vestris iniecit, ut
Quid enim
aliud
cogitandum
est,
COLUCCIO SALUTATI
23
tando cose vane per il future, come fai tu, con le tue divinazioni
che differiamo ad altro tempo. Se
poi, come credo, per iattanza
e insolenza intend!
il
non
c'e signore
tarsi.
verita.
dal
un
Se
io volessi
momento che
qui raccogliere
fatti
tuoi, quelle
la
tue asserzioni.
uomini,
arma
1'ira
lerati,
furibonda
follia
la
rovina
mutamento dell'Impero Ro
Chiesa, per
la
del
caduta
mano, per
gloriosissimo duca. Che cosa infatti pu6
la
che
se
non
Divinita, sdegnata ormai per i vostri depensarsi,
della Sacrosanta
litti,
Madre
il
vi abbia accecato
ma
di cui
il
fulgore?
24
Non
nomen
vestrum
possunt, inquis, amplius homines sine stomacho
O vir mirabilis, primis orationis tuae partibus op-
audire.
nunc
te subli-
mius elevans, quod solius Dei est, scrutaris renes et corda. Nee
solum hominum affectus refers, sed etiam, quasi divinae mentis
arcanum agnoscas, ais: Non potest, denique, vos ferre diutius
Non possunt, ut dicis, amplius homines sine
divina lustitia.
1
Italia,
florentinum
nomen
si
non
detur, etiam
quidem
Guelforum manibus eli-
gerent liberari.
Sed addis:
cum
Verissimum
denegabo. Restat
dixeris,
inquam non
quod probes, vel
qui Latium cladibus
est hoc,
tibi
quam
ostenderis,
dicito
quidquid
Sed
si
libet
hominum quidquid
libet;
cordia divina
non
quoniam
non vult,
Psalm.
et alios peccatores,
vel
non
Deo
vii, 10.
vult
velle et posse in
nenter de
i.
Non
potest divina lustitia, quae sine Miseriesset, quaeve sustinet diabolum, idolatras, ini-
potest quia
et impertiStultissime
iram
nobis
Dei, quae donee
loqueris.
COLUCCIO SALUTATI
Tu
che
dici
gli
25
mente
1'arcano della
virtuosi;
gli
non
solo possono,
ma vogliono, ma lo
nome
il
gioia
felicita;
norentino,
ne 1'augura
ma
ma
lo
desiderano,
non
italiani,
adora,
ma
gli
ma ne
godono.
con
solo sente
augura vittoria e
tuo signore.
lino
ma, se
per
mano
Tu
ci6
non
sia possibile,
vorrebbero
la liberazione
anche
dei Guelfi.
L'Italia
aggiungi:
di vedere incolumi
ti dico: io non
negher6 infatti quanto tu dica di vero.
devi provare e dichiarare con ragioni evidenti chi siano in
realta quelli che hanno afflitto il Lazio ed hanno tentato di as-
rissimo,
Ma tu
servirlo.
stati
Quando
ma
chi
ha mai rivelato
ti
pare
credi
degli
uomi
divina giusti
zia? Chi, oltre te, ferocissima belva, potrebbe affermare che la
divina giustizia non pu6 sopportarci piu a lungo? Quella divina
ni;
ti
il
segreto
della
un modo troppo
sciocco e impertinente.
26
hominum,
non
.
capis,
Scio
sed omnibus
quod
nihil divina
Cavendum
est
tamen, quod
si
sit,
nee ineptum. Quid autem est dicere: Haec, mihi credite, scelecontra vos militat, haec nocentissimum sanguinem vestrum
rati,
sit:
dixisti.
quae
tantam furiam mentibus vestris
Mox autem
Scribis enim:
iniecit, ut de
velut ab
Atque ideo
excidio
Sanctae
Matris Ecclesiae, de mutatione Romani Imperii, de ruina gloriosissimi Ducis, perniciosa consilia tractaretis.
Unde tibi, quo de duce tuo, cuius utinam ordinare potuissemus
excidium, dimittamus, unde
tanta mendacia ?
tibi tot,
et
cogi-
sumptibus
et expensis nostris
quodque nee de
quosnam
i.
CICERONE,
De
re publica, vi, 13
(Somnium
Scipionis).
2.
Rom.
9,
19.
COLUCCIO SALUTATI
minacciarci
fatti
27
come
hanno
non
a te che
non
capisci,
ma
a quanti
mo
lunque. Bisogna badar tuttavia, quando ne parliamo, ad esprimerci almeno con tanta sobrieta e tanta moderazione che le
parole nostre non abbiano a includere nulla ne di impossibile ne
di sciocco.
Che cosa
Credetemi, scel-
Divinita combatte contro di voi, ha sete del vostro sangue criminale, desidera 1'estrema rovina di questo popolo perfido
lerati, la
e scellerato
Se combatte contro di
mo do
di Dio, in che
sola?
non
Se ha
ci
sete del
abbatte
Se desidera
noi,
come tu
quando
e scritto:
la
morte;
ma
menzogne Come
?
tratto
medi-
tare 1'eccidio della Santa Madre Chiesa, noi che sempre Pabbiamo
accresciuta ed aiutata coi nostri beni e coi nostri sussidi? E come
28
Commune nostrum
a potestate nostra
Non
possunt haec,
cum
non pendeant,
quod subditos
commissas pessum-
obiectionem
bella,
quam
causa turpissimam
iis,
quibus
vulgus
dixit,
sit
Roma-
sibi constituit,
quosque scelus et monstrum illud Anticardinales habuit et PraeScimus aeternam illam gebellinae factionis infamiam, quam
renovabimus et in notitiae lumen, sepultam licet tenebris obsculatos. 3
vestram venit his armis et copiis hisque armorum ducibus instructus exercitus, ut maiori multo
potentia quam vestra sit, ea
Allude
fici la
gri-
COLUCCIO SALUTATI
il
29
Comune ha
nostro
tenuto convegni, o ha
stipulate trattati a
tale scopo? Noi non
possiamo, poiche la cosa non dipende da
noi, intraprendere simili imprese.
stolto e sciocco, e addirittura
Sarebbe
Chiesa, che
opprimendo
mandavano
i
una miseranda
sudditi con
servitu e
meditando di
estinguere la nostra e Faltrui liberta. Quella questione fu abbastanza discussa in tutta Italia, e nei
regni di tutta la cristianita;
e,
come apparve
dagli effetti,
il
mondo
la giustizia del
Se poi tu
addurr6 molte
addurro testimoni,
per ritegno, non per paura, per moderazione, non per timore.
Ben sappiamo con quali appoggi Ludovico di dannata memoria,
volgarmente detto il Bavaro, tent6 contro il diritto e contro la
volonta della Chiesa di impadronirsi
delPImpero romano. E sap
piamo quale antipapa scelse, quali anticardinali quel mostro scel-
mantenne, e quali prelati. Ben ricordiamo quell'eterna infamia della fazione ghibellina, e siamo pronti a proclamarla e a
riportarla alia luce, ancorche ormai sepolta nelle tenebre e osculerato
Ma
passiamo ormai
al resto.
Tralascer6
gli altri
nemici vostri,
Ma
esercito
data la liberta
(Historia, vm, c. i6vv).
3. Allude qui alia creazione
e ai vari rapporti del Bavaro con Galeazzo Videll'antipapa Niccol6
sconti ( essendo massimamente per opera di Galeazzo Visconti chiamato
in Italia e ricevuto a Melano con grandissimo onore scrivera il Bruni,
Historia, v,
c.
loiv).
30
quam
et
avarum habeatis imperium, nihil minus quam animos possiSperant equidem hoc uno assertore suae libertatis exercitu,
detis.
expectant, ut
perspexerint, excutiant
iugum illud servitutis, quo manente nihil ipsis potest esse iucundum. Etenim quid delectabile videri potest miserrime servienti,
cui speciosae
voluptatem, aut
metui
summo
sint oportet?
afferre solent
magnam
Quid uxore,
quid'liberis dulcius?
Quam tamen
qui se videt nuptias ad alterius petulantiam comparasse, liberos ad alienam libidinem procreasse? Patria vero, quae unicuique debet esse iucunda, infinitam
affert tristitiam
atque
moerorem
ulla
vox
is,
ulli
non
sunt liberi
est a multis,
delitas,
post
excessere.
Ergo
hi
vitae conditione
sub
tem
asserere possint,
adventus exercitus,
difficile
tyrannorum manibus eruit aut recepit? Qui sunt vel nobiscum in libertate nati, vel de miserrimae servitutis angustiis in
dulcedinem libertatis adsciti? Num iugum excutere cupiunt, quod
non habent,
quod
COLUCCIO SALUTATI
3!
stri,
tenete
ma
da molti;
ma
non
uno
non
solo
liberi
si
leva
pensieri.
penoso
ogni tiranno a memoria d'uomo, con la propria avidita, sfrenatezza, crudelta. Perci6 coloro che voi opprimete con
cosi infame condizione di vita sotto il giogo di una insopporta-
la perfidia di
il
momento
difficile dire
con noi in
liberta,
o sono
stati
da noi portati
alia
sono desiderare
sono desiderar
dolcezza
Come
pos-
un giogo che non hanno; come poscambiare, come tu sembri credere, nel giogo
di scuoter
di
tirannico del tuo signore quel dolce freno della liberta, che e
il
32
busque, quibus omnes subiacent, oboedire, desiderant in tyrannicum domini tui iugum, ut arbitrari te simulas, commutare ? Desino
mine
mirari,
conquestus sum. Conquerebar enim tot gentes, tot urbes, tot opsupida, quot domini tui iugum premit, saevae nimis tyrannidi
biacere; mirabarque
quod
Dei
infinita
toleraret.
Sed ex
te video,
mihique
fir-
ob
civitatis
vestro
que dementia ab
eis,
quorum
sub
gloria singularis
sit,
vel nativitate,
sequens liberum
et
simam
tu,
de occultis
alieni cordis
niam quandoque
non
dispositos,
ne videar, sicut
posteritasque
non
estis,
forte vos animi vigore sicut et lege liberos appellare civesque ro-
si
Deus
vult, excutere
iugum, vosque
COLUCCIO SALUTATI
rivere secondo
diritto e
il
secondo
le leggi,
33
a cui tutti sono
sog-
che tanti
infatti
Ma
tal
te,
punto godete
della
alle leggi,
delTeguaglianza, e
per voi un giogo gravoso ed un'orribile schiavitu; obbedire invece al tiranno, che regola tutto secondo I'arbitrio del
proprio
mura
fuori delle
e la cui liberta tu
alia
gezione
il
vostro padrone.
non
mai perdere,
fatta eccezione
affermare e a difendere
non ve
n'fe
maggiore.
Ho
detto abituati e
non
disposti,
per non
dawero sangue
stamente
sei,
liberi e cittadini
34
ad nos redeam,
cum
licet,
hostium saepissime
restitisse,
parvaque
defen-
fuerit, si
platea speciosior,
formosior
aedificiis,
viarum amplitudine
laetior,
quae porticu
clarior,
quae gratior
suavior,
ficatior villis,
colis
tit?
abundantior; quae civitas portu carens tot invehit, tot emitUbi mercatura maior, varietate rerum copiosior, ingeniisque
subtilioribus excitatior?
Ubinam
viri
summum
Ita
foedissima belua, poteris assignare, si Florentini sique Florentia faex Italiae dici
possunt? Vellet Deus quod,
stante gloria stanteque Republica Florentina in eo
bertatis atque potentiae, talis esset, si
tamen esse
quod comparati
quod
est
li-
potest, reliqua me
COLUCCIO SALUTATI
turpe giogo e ricordare
il
odiare
piti lieve
il
soccorran
il
tiranni, e
35
Ma
servaggio.
per tornare a noi, se Tanimo regge, se
se ci assista il valore, confidiamo senza esi-
le forze,
Tu
il
coraggio vale
le
mura; consapevoli che la vittoria non e nella moltitudine dei soldati ma nelle mani di Dio consapevoli che per noi combatte la
giustizia. Noi ricordiamo quel che tu neghi, di essere di stirpe romana; noi leggiamo che i nostri maggiori hanno spesso resistito
contro forze soverchianti di nemici, e con piccole schiere non solo
hanno difeso le cose loro, ma hanno anche ottenuto insperata
;
vittoria
Non
Italia e la
lia
ma
in tutto
il
mondo,
bella.
Qua!
citta,
non
soltanto in Ita
un
bondante
di porto,
ha tanto
traffico di
Qual
sottili
il
citta,
priva
commercio,
accorgimenti?
e per tacer degl'infiniti che sarebbe fastidioso ricordare, cosl insigni per imprese, valenti nelle armi,
dove Dante, dove Petrarca,
potenti per giusti domini, e famosi?
dove Boccaccio ? Dimmi, ti prego, o belva terribile, a qual luogo,
Dove uomini
piii illustri,
il
Fiorentini parago-
36
Verum
pudeat
te,
spurcissimorum spur-
Lombardorum, vel potius Longobardorum, Florentines, verum et unicum Italiae decus, faecem Italiae
cissime, stercus et egeries
nominare!
COLUCCIO SALUTATI
nati agli altri potessero dirsi
in questo
mondo
dawero
la feccia d'ltalia!
37
Ma poiche
dubbio im-
possibile,
onore!
LEONARDO
DI
si
sa se nel
'70 o nel '74. Studio con Giovanni Malpaghini da Ravenna (13461417), lettoredi retorica nello Studio fiorentino, legato al Petrarca,
mazione
mantenne
fino alia
morte awe-
attivita di
Tradusse Plutarco, Senofonte (praecipuo quodam amore), Demostene, Eschine, Tomelia di san Basilio sull'utilita degli
studi greci, dedicata non senza significato a Coluccio (1403).
Salutati.
Ma
le sue versioni piu celebri sono quelle di Platone, del Fedone (1405), del Gorgia (1409), del Fedro, ddY Apologia (1424),
del Critone, di alcune Lettere (1423-27), di parte del Convito
(1435).
Le
le
De
il suo
punto di vista,
interpretazione recta (1420) egli sostiene
come la sua ammirazione per Aristotele esprime nella Vita Ari-
stotelis (1429). II
al
Vergerio
si
im-
da Milano intorno
al
dedicando a Galeazzo Ma
1468 Pier CandidoDecembrio rispondera
ria Sforza un suo scritto De laudibus Mediolanensium Urbis in comconfutazione del Bruni.
parationemFlorentiaepanegyricus, puntuale
42
mo
liber,
minam
dio,
composto
Baptistam de Malatestis
il
suo
modo
humanitatis.
Vasta
la
due
II
Commentarius de
libri di Polibio;
bello
puCommentarius
il
il
Ciriaco d'Ancona.
una
1'originalita in
lettera a
II
Ma
Elleniche senofontee.
origini
Donato
Acciaiuoli.
Ne meno
important! sono
commentarii
Rerum
The
Beginning of Political
1942; B.
nistic historiography, Medievalia et Humanistica
Institute)), v,
'400
agli scritti
come introduzione
De
militia
sono riba-
civili.
Importantissimo
ii
da
lui sostenuta
contro
il
e,
1'
zioni
si
rimanda
all'eccellente
43
volume
di
H. BARON, L. B.
aretino.
Huma-
Werke und
und Forschungen
aus
des L. B.,
Quellen
contiene anche
fonte per
Ital.
Mehus
gli elogi
(2 voll,
cfr.
come
Arezzo, Tip.
storico italiano,
Tralasciando
liche,
1741), che
la vita, la biografia di
in G. F. GAMURRINI, Arezzo c
di
Florentiae, Paperini,
N,
le
S., v,
i,
Cristelli,
Archivio
aretino, Discorso,
2,
pp. 3-34).
nel 1889
la
Klette, loc.
sono dati
(Firenze, Carnesecchi, 1899). Gli scritti umanistici e filosofici
edizioni
delle
offre
indicazioni
che
dal
critica
in edizione
Baron,
larghe
in
originali e dei codici (il DC studiis et litteris, Romae, Schurener, 1477,
versione italiana nel volume Ueducazionc umanistica in Italia a cura di
Le
con
anonima
ital.
usci
Vasta
la letteratura sul
Bruni:
*>
klass.
Altertum, 1911.
est
felici
1
data ac nobilis esset
primis adesse oportere, ut patria sibi
in
Nos
vero, Petre, etsi hac parte felicitatis expcrtes sumus, quod patria
nostra crebris fortunae ictibus diruta est et paene ad nihilum re-
dacta;
tamen hoc
solatio utimur,
quod
in ea civitate vivimus,
Nam cum
quae
frcqucntia
rerum
gcrcndarum
populi, splendore aedificiorum, magnitudinc
civitas haec florentissima est, turn etiam optimarum artium toextincta videbantur, hie
tiusque humanitatis, quae iam penitus
semina quaedam remanserunt, quae quidem in diem crescunt,
utinam
civitate
tibi
quaedam sic voluit, ut tu a nobis invitus ab invitis distraherere, non possumus sane tui desiderio non moved; sed
tamen quod reliquum ex te nobis est, eo nos quotidic avidissime
fruimur. Sic etenim res se habet: corpus quidem tuum a nobis
fortuna
montes
nee ulla
memoriam
a nobis separabit oblivio. Itaque nulla fere dies praeterit, quin tua saepius in mentem
nostram recordatio subeat; sed cum semper nobis tua prapsentia
desideretur, tune
mus quibus
tu,
loci,
unquam
dum
aliquid illarum
rerum
agi-
cum
est
minem
et in
misimus, ut
fruaris; in
i.
Con
mincia
quo
id
maxime
De
ingenuis moribus,
morem
utriusque
commodis
conati sumus, ut
mia rovinata
la patria
numero
d'abi-
tanti,
crescono ogni giorno di piu; e ben presto, a quel che credo, dif-
con
te avrebbe reso
lieti
Ma
memoria
e 1'affetto
oblioso volger di
ricordo non torni piu e piu volte; e benche la tua presenza sia
rimpianta sempre, lo e tuttavia sommamente allorquando discor-
Perche
ti
modo
quanto godiamo
modo
possa godere di
ho cercato soprattutto
al
1401.
di
La
46
diligentissime servaremus.
tuum
erit
Quantum
LIBER
Cum
solemniter celebrarentur
summa
vero in ca re profeccrimus,
iudicium.
ii
dies,
essemusque in
unum
et sapientia et eloquentia et
vitae integritate huius aetatis facile principem. Nee longius fere
2
progressis Robertus Russus fit nobis obviam, homo optimarum
artium studiis deditus nobisque familiaris; qui, quonam tende-
Nam
et
expectabamus, et
exorsus.
iis, qui se homines frugi ac diligentes appellari yolunt, in hoc uno tamen vos hcbescere neque
utilitati vestrae satis consulere
video, quod disputandi usum exercitationemque negligitis qua ego quidem re nescio an quicquam
ad studia vestra reperiatur utilius. Nam
deos im:
quid
est,
per
la
massima
fedelta le
due posizioni
47
contrastanti.
Se
LIBRO PRIMO
Si celebravano
vandomi
io
le feste per la resurrezione di Gesu Cristo, e troinsieme con Niccolo per la grande consuetudine che
a noi familiare. Avendoci chiesto dove andassimo, e udito e approvato il nostro proposito, venne anch'egli da Coluccio. Come
fummo
vi
ci
scambiammo le frasi d'uso quando gli amici s'incontrano; quindi stemmo tutti in silenzio. Noi infatti aspettavamo
che Coluccio desse inizio a un qualche disco rso, ed egli pensava
che noi non fossimo andati da lui senza ragione, o senza il pro
fece sedere, e
Ma
da
non avremmo
impegno, vedendo
Non
mi faccia
posso
incontrarmi e stare con voi, che per le abitudini, per gli studi
comuni, per la vostra devozione per me, prediligo di particolare
affetto.
dire,
vi approvo: infatti,
i
vostri studi io noto che voi ponete tutta quella cura e quell' at
si convengono a quanti vogliono esser detti accu-
tenzione, che
rati e diligenti,
cuparvene abbastanza per il vostro profitto; e questa & Pabitudine e la consuetudine della discussione, di cui non so se vi possa
esser qualcosa di piu proficuo per
vostri studi.
Che
cosa pu6
2.
48
mortales,
quod ad
res subtiles
quam
undique speculantur, ut in ea
subterfugere, nihil
latere, nihil
quod
strari
quod
nihil sit
omnium
valeat
animum fessum
quod
fru-
atque labefactum
et assiduitate lectionis
plerumque
pudore,
superatus
sis,
quod
necesse
ut
sit
reflectat,
lam
quam
expoliat,
quam
fieri
velocius.
earn in prornptu
cum
tamen quia
et
litteras scire se
cum
stinuere, nisi
subirascor,
utilitates, negligitis.
solitudine
num
utilitates proficiscuntur
cum
Nam
bandus
est,
qui
cum
liceret ei
fundum
velut
summa
is
quosdam steriles aret, partem vero quampiam eius fundi pinguissimam atque uberrimam relinquat incultam; sic reprehendendus
est is qui, cum omnia studiorum munera adimplere possit, cetera
quamvis
me
49
nome
sfuggire,
biati in
comune, mentre
la gloria, se si
superano
gli altri,
o la ver-
minare
prende come
lo spirito, eccitato
quanto tutto
altro
ci6 raffini
sano
da
onde facilmente
si
corn-
piu ra-
E non
il
argomento.
nostro dire, e
ci
esercizio,
profittare al
massimo
non
a torto
mi sdegno con
modo
la parte piu pingue e piu fertile del campo, cosi bisogna rimproverare chi, pur potendo compiere tutti gli studi, si impegna con
la
della discussione,
da cui possono
F esercizio
frutti.
Mi
N6
50
mihi gratius
nes, si
fuit, nihil
modo
potestas data
sit,
exponere,
eorumque
cum
illo erat,
Ludovicum theologum,
frequentabas,
acri
domum illius
hominem
egregie
ingenio et
modo
ipsa quae
in
Scio vos
summa
illis
dixi
ille
ad
a
erat in vita,
est.
Ad
veniebam frequenter, ut ea
mentum quoddam
omni medio
feceram, ut ab eo transgresso ad
illius
domum
plere praesentia.
copia! quanta
verba persaepe
sic proferebat,
novum
videretur:
ut
non ab
unquam ad
alio
quod
et co-
vobis ex conscientia
mea
affirmare
quam magna
sit
in disputando
Ego enim qui in hanc diem ita vixi, ut omne meum tempus
omnem
atque
operam in studio discendi consumpserim, tantos
utilitas.
mihi videor fructus ex his sive disceptationibus sive collocutionibus, quas disputationes appello, consecutus, ut eorum quae dii.
to,
Luigi Marsili e anche troppo noto per 1'opera sua al convento di S. Spiriove si incontrava con gli umanisti fiorentini. Si spense il 21
agosto 1394.
51
trarmi,
So che
la
tutti vi ricordate,
familiarita
grande
[Marsili],
ed in particolare
ne frequentavi
tu,
la
uomo
e fino alia
nevo
sua dimora, dovevo meditare su quello che mi propocon lui. E poi, quando ero arrivato, rimanevo
di discutere
me
saziarsi di lui.
Qual
vi-
memoria. Aveva presente, infatti, non solo quanto riguarda la recaratteristica dei
ligione, ma anche quella cultura che diciamo
gentili.
non
altri antichi; e
ne proferiva
citate,
ma
le
espressioni sue
qualcosa che
detti,
ma
spesso
parole stesse in
gli
dalPautorita di tanto
uomo.
Ma
che ebbero
la
tavia dire di
sia
grande
me
stesso,
Ho
preferito tut
in
modo da
colloqui,
52
dicerim
ob
pattern huic uni rei feram acceptam. Quam
laudabiles
ad
vestros
ut
praeclarosque
obsecro, iuvenes,
magnam
rem vos
labores hanc
aeque ad rem ut ad conferendum inter se aliquid auditores cohortatus est. Sed ille simpliciter atque verbo nudo, quasi rem perutilem esse constaret, adhortabatur, nullam ipsius rei vim ac potentiam demonstrans. Tu vero earn verbis ita prosecutus es, ita
omnes
quantum
modo
dici potest
Nam
si
quam
exervide,
aliqua
non recusamus
non modo verba, sed etiam verbera
est,
ut ne de
minima quidem
re
absque
summa impu-
f aciamus,
nemo
disputator poterit
Manuele
Rossi.
Crisolora,
trahant, videtis.
il
53
la
appreso
ed
puo
Allora NICCOL6
soggiunse:
Non sarebbe facile, infatti, io
ai nostri studi
volta da
te.
richiamato
Lo udii piu
mi ha quasi
lo sento dire
volte anche da
Luigi,
il
per
la
prima
cui ricordo da te
Ed anche
fatto piangere.
il
una
greco,
quel Crisolora,
volta che io ero pre-
sente,
il
Ma
come
se fosse evi-
dente che
si trattava di cosa
utilissima, eppur senza mostrare Fefficacia e la potenza di tale esercizio.
Tu, invece, ne hai parlato con
tali espressioni,
da renderne
ne hai
modo quanto
nessun
fatto
il
vedere in
tal
modo
visibili tutti
non
ci
siamo
colpa non
esercitati nella
& nostra
ma
mi-
dei tempi;
dici,
omissione, di ricevere da
Ma
noi
te,
non
ci rifiuteremo,
serenamente, non
per la nostra
solo rimbrotti
ma
se invece risulti
anzich6
sfacciati.
chiere vane,
abbiamo
Poiche tu non
ci esorti
gravita e coerenza, ed in
sei
uomo da
modo
que ignori
spute.
Ma
tutto questo,
infatti,
54
quisquam potest.
Sed satis multa de hoc ad institutum revertamur. Ego quidem,
;
video.
temporum atque
quam
Nam
sit,
aut
omnino
sit
profligata
Pone
quid mine
eo deductas esse
velis, et
intelliges,
libris
cum omnis
philosophiae ex-
posita ratio, turn singulae philosophorum scholae diligenter explicatae. Quae res, ut mihi quidem videtur, plurimum valebat ad
hominum incendenda;
servavere et Alcidum
criter
et alia
quemadmodum
nobis philo
se illam docturos
esse pollicentur!
praeclaros nostri temporis philosophos, siquidem ea docent, quae ipsi nesciunt; quos ego nequeo satis mirari,
i.
Alcidus e
il
55
Ma
luogo
corrotta? Considerane
in passato e
un punto
Prendi,
ti
come
una qualunque,
ma
chiunque
si
dinanzi a se
cido ed
altri
libri di
ed hanno
si
mai curato di
con
lasciato perire
bello produssero le
Muse
da un
lettore
non rozzo
che senza
di
non
difficolta
avrebbero ottenuto
essere trascurati.
possiamo imparare
Ma
sono a
tal
come
credi che
punto
la filosofia?
citato.
L'esemplare da
lui
56
didicerint,
verba faciunt
plures soloecismos
quam
quam loquentes
audire mallem.
Hos tamen
si
quis roget,
cuius auctoritate ac praeceptis in hac sua praeclara sapientia nitantur: Philosophi, dicunt. Hoc autem cum dicunt, Aristotelis
Atque cum quidpiam confirmare opus est, proferunt dicta in his libris quos Aristotelis esse dicunt vcrba aspera,
inepta, dissona, quae cuiusvis aures obtundere ac fatigarc possent.
intelligi volunt.
Haec
dicit,
idemque apud illos valet et ipse dixit et veritas; quasi vero aut
ille solum philosophus fuerit, aut eius sententiac ita fixae
sint,
quasi eas Pythius Apollo ex sanctissimo adito suo ediderit.
Nee ego mine, mehercule, ista dico ut Aristotelem insecter,
nee mihi
cum
cum
illo
est,
sed
si
quern
tibi
Marcus Tullius
ut
ille
in ore
meo
teneo.
Est, inquit,
nam cum
Trebatius iureconsultus
egisset, ut is sibi
rationem
rhetore
vero
se-
illis
i.
i,
2, 3.
57
parole,
lano.
che preferirei
sentirli
asserzione,
mettono
lo stesso la
sua autorita e
la verita,
come
se solo lui
Apollo Pizio
le
ma
solo
con
tempi
tristi;
si
macchias-
certo degni
di lode; eppure
ma
Se
non sarebbero
ora che
all'
penso
io
ho testimone un uomo
chi e
mai?
II
di
somma
gravita, ch'io
io,
Salutati,
mi soffermo
come un
tal
qui addurr6.
Marco
Tullio
a pronunciare
punto
egli e
per
tre
me
dolce cibo.
Cicerone
infatti
il
lo
giurista
Non
scrive
1'ho presente.
disse
al
Trebazio domandato
ed avendogli costui
spiegasse alcuni luoghi esposti da Aristotele,
tali dottrine aristoteliche, Cicerone gli scrisse
che
ignorava
risposto
che non si stupiva affatto che quel retore ignorasse un filosofo
noto solo a ben pochi filosofi. Non ti pare che Cicerone colpisca
abbastanza chiaramente questo gregge ignavo? Non ti pare che
il detto ciceroniano convenga a costoro che con tanta sfacciatag-
58
cum
indocti
difficilius
litteras
quam
latinas docti,
eum
in sua sede
penuria,
nihil sapientes
isti
ignorabunt ? Fieri
non
quidem
cum
tarn
magnam
homines, quibus
nedum
non
quicquam
si
stotelem ipsum deferat, non magis ille suos esse cognoscat quam
Actaeonem ilium, qui ex homine in cervum conversus est, canes
suae cognoverint.
atque incredibili
quadam cum
Nunc
tentia est.
telis
Nam
tantaque obscuritate perplexos, ut praeter Sybillam aut Oedipodem nemo intelligat. 1 Quamobrem desinant isti praeclari philo
sophi hanc
valent, ut
si
neque si
hoc tempore video. Sed satis multa de philosophia.
Quid autem de dialectica, quae una ars ad disputandum pernecessaria est? An ea florens regnum obtinet, neque hoc ignorantiae bello calamitatem ullam perpessa est ? Minime vero. Nam
etiam
fecit.
ilia
barbaria,
At quae
Occam,
Quorum
omnes mihi
i.
il tema dell'Aristotele mirabile scrittore messo innanzi dal Petrarca
in base alle testimonianze di Cicerone e Quintiliano. Cfr. Rerum memo-
randarum,
II,
31.
si
dice.
pochissimi
mero
59
cosi ristretto
Pu6
darsi,
Ma
non
(sappiamo
infatti
di Cicerone);
che mai
la
e tuttavia
egli
lingua latina
pochi, ignoravano in
fiori
piu che
ai
si
un tempo
tempi
riferito.
eccettuati
greco non
meno
filosofi, oggi,
colti,
ma
il
latino
sia
non
noto
solo
il
impossible, credimi,
quei
libri
sformazioni, che se
uno
li
tra-
non
portasse
riconoscerebbe piu di quel che i cani riconobbero Atteone trasformato da uomo in cervo. Del resto e affermazione ciceroniana
li
che Aristotele fu studioso d'eloquenza e che scrisse con incredibile dolcezza; ed ora invece questi libri d' Aristotele, se pur li
dobbiamo credere
gersi,
ed
d' Aristotele,
li
vediamo
che
sommo
infatti
li
intendono solo
illustri filosofi di
non hanno
tal
ma
la Sibilla
proclamare
forza d'ingegno da
se
anche fossero di
alcuna.
ingegno, non ne vedo in questi tempi possibilita
Che
partita
deirOceano. Che genti, miei dei! gft orride nei nomi, Fesembrano tutti venuti
rabrich, Buser, Occam, e simili, che mi
di la
60
1
Et quid
videntur a Rhadamantis cohorte traxisse cognomina.
in
dialectica
haec
ioca
ut
est,
omittam, quid
inquam,
est, Coluci,
tias levitatesque
Possum haec eadem de grammatica arte, haec eadem de rhetosed nolo esse
rica, haec eadem de reliquis fere omnibus dicere;
verbosus in his rebus probandis, quae manifestissimae sunt. Quid
enim causae dicemus esse, Coluci, quod his tot iam annis nemo
qui aliquam praestantiam in his rebus habuerit?
ingenia desunt, neque discendi voluntas;
sed sunt, ut opinor, hac perturbatione scientiarum desiderationeque librorum omnes viae addiscendi praeclusae, ut etiam si
inventus
sit,
quis existat
maxime ingenio
mirabitur,
si
nemo iamdiu ad
longo quidem
intervallo
proximus accesserit?
iamdudum hac de
Salutate,
orationem
re
non
Quamquam
ego,
enim
meam
qui profecto
is
quos tantopere admirare solemus, vel anteiveris vel certe adaequaveris. Sed dicam quod sentio de te, nee mehercule assentandi
gratia.
Tu
mihi videris
isto
historiae
i.
In
un
ubi Sallustii
ubi Plinii
comunque,
tutti logici
Occam
si
che
c'e,
Radamanto. Che
domando,
c'e,
Che
6l
non
non
sia stato
si sia
di-
dire
potrei
lo
stesso
della
non
si
za in
sia
tali
d'imparare; ma,
sta
Non mancano
io credo,
mancanza
anche se
c'e
di libri precludono
ogni via all'apprendere. Cosi,
qualcuno di ingegno molto vigoroso, e molto bra-
di quegli antichi?
Tu
non piuttosto
non vediamo
ai
da credere che
tempi e
alia
vano tutte
umane
le
si
trova-
62
nomina
Et
eomm
profecto deficiet,
si
velim
Colucii, in tantis
tu,
me
rerum
angustiis,
si
non linguam
in
dicis.
in sapientia
Atque illi, Pythagoram philosophorum principem magistrum habentes, hoc non sine laude faciebant: nos, magistris, doctrinis, libris nudati, hoc sine reprehensione facere non poterimus ?
Non
est
est
Ne
factum
est.
semper
ostendisti. Itaque
relinquamus, si placet, hanc totam de dispu
tando disputationem.
Hie ROBERTUS: Tu vero
perge, inquit, Salutate: nee enim decet
te,
qui
medio positam
hortatus
sis,
disputationem in
deserere.
mecumne an cum
Nicolao sentias.
iam
arbitrer potius
Nam
omni
cum
sententia
illo
cum
errare velle
Nicolao con-
quam mecum
recta sequi.
63
tempi
cherebbe
cui 1'eta
E
se
tu,
nomi
di tutti coloro di
non agitiamo
la
rinomanza per
QuelPuomo di somma saggezza riteneva, infatti, che nulla conmeno del discutere di argomenti di cui non si fosse pienamente padroni. E mentre quelli che avevano come maestro Pi
tagora, il piu grande dei fHosofi, osservavano il suo precetto non
senza lode, noi, che non abbiamo ne maestri, ne insegnamenti,
ne libri, non potremo fare lo stesso senza biasimo ? Non e giusto,
Coluccio: e perci6 mostrati giusto con noi in questo, come sei
venisse
Ma
con
le
intorno
Ma ROBERTO
che or ora
scussione.
LUCCIO
ci
Tu
non
di aver destato,
come
suol dirsi,
a te
si
addice,
mezzo
la di-
CO
soggiunse
leone dormiente; ma
allora
il
vorrei sapere da
vinto che preferirebbe sbagliare con lui che esser nel vero con me.
Ed io allora: Somma stima ho di te, Salutati, e ugualmente di
64
riam,
ut
quam
instituisti.
facillimum
Pergam, inquit COLUCIUS, et id quod
fellam.
iste
est,
hunc
est,
re-
non
tarn ad se
purgandum, quam ad
se
ea
damnandum
quae verbis probabat,
in se puroratio sua re atque veritate infringebat. Quare? quia
valuisse.
Quid
ita? quia,
puto.
cohaerent, ut quae
nisi forte
fieri
egregium quoddam
cedam, magno
ingenii
videlicet ea posset,
ceteri.
Quod ego
ille
me
si
illi
con-
paulo ante
onustum
grediare, ego te
contradicas;
nam
si
hie Nicolaus,
tu
fateris,
quem
tibi
scimus disputationibus
respondendo
nobisque videtur), quid nobis tantopere suc-
censes,
vero oratione
me
maxime
efficere potuit,
si ei rei
tantum
operam
in
dedisset,
Hie cum
tiretur,
sileret Robertus certaque vultus significatione assenconversus ad Nicolaum COLUCIUS: Te vero, inquit, Ni
65
finche
a condannarlo.
sibilita di discussione,
il
suo assunto.
credo.
E come?
che possa
farsi,
discuteva in
quindi
la
modo
cosa stessa
non
lo
condanna? Io
lo
mi
di avere
altri
acume d'ingegno.
ROBERTO intervenne qui: Permettimi, Coluccio, di interromperti un momento prima che tu prosegua: non vedo, infatti, come
tu stesso non cada in contraddizione se infatti il nostro Niccol6,
di cui sappiamo che non coltiva con frequenza il disputare, fu
abbastanza eloquente nel rispondere (come tu ammetti, e come
te per
riuscire abbastanza
bene
Ma
avrebbe
E tacendo
grandi
suoi effetti;
non
66
ac exercitationem valere
hoc idem
rei
compertum
est?
Nos
igitur, si
sapimus,
operam
Harum
tu rerum
si
hoc tempore ademptam propter hanc, ut tu inquis, perturbationem, vehementer erras. Sunt enim optimae artes labem aliquam
Nee tamen
tune,
cum
quam
lemus,
At aliqui supersunt, nee parva quidem pars; quos vel ipsos utinam
probe teneremus non enim adeo nobis ignorantiae calumnia esset
pertimescenda. Perditus est M. Varro? dolendum est, fateor, et
;
tam
delicati
libri,
essemus, facile
et
M.
aliorum
Varronis
nunc
extant,
Quamobrem
et
vide, quaeso,
ea tu tempori imputare velis. Quamego, Nicolae, nullo modo adducor, ut te eum existimem,
quae
quam
dixi, delicati
tibi
imputanda
sint,
qui non omnia quae hoc tempore disci possunt, consecutus sis.
Novi enim diligentiam tuam, vigilantiam, acritatem ingenii. Proinde
ita te arbitrari
resisterem,
velim, quae
quam
modo
disserui,
ut te lacesserem, a
me
esse dicta.
levighi.
67
Non
vedi
che
gli oratori
il
come Neottolemo,
si
ci vieta,
oggi, di fare lo stesso.
a che, mentre cerchi solo quelle cose che non si possono fare, tu
non abbia a disprezzare e a trascurare anche quelle che si pos
sono
fare.
Non
ci
rimangono
tutti
conservassimo
come
si
ci
difficili!
che possediamo. Mentre invece bisogna usare delle cose che poscomunque esse siano; di quelle che non ci sono, dal
sediamo,
momento che anche pensandoci su non riusciamo a nulla, dobbiamo strappare dalFanimo il rimpianto.
Bada, dunque, ti prego, a non attribuire ad altro la tua colpa,
e a non volere imputare ai tempi quello che dovresti imputare
a te stesso, ancorche io non creda affatto, o Niccolo, che tu non
abbia raggiunto tutto quello che in questa nostra eta si poteva
ottenere. Conosco infatti la tua accuratezza, la tua solerzia, Pacu-
me
68
Verum
de
his
neminem
fuisse iamdiu,
nam
qui aliquam
tempo ribus nostra civitas tulit, non praeDantem, Franciscum Petrarcham, lohannem Boccatium, qui tanto consensu omnium ad caelum tolluntur ?
Atqui ego non video (nee mehercule id me movet, quod cives
mei sunt), cur hi non sint omni humanitatis ratione inter veteres
illos
esset,
si aiio
nostris
com-
pararem, sed et ipsis et Graecis etiam anteponerem. Itaque, Nicolae, si tu sciens prudensque illos praeteristi, afferas rationem
autem oblivione aliqua tibi digratus videris, qui eos viros memoriae
fixos non habeas, qui civitati tuae laudi et gloriae sunt.
Hie NICOLAUS: Quos tu mihi Dantes, inquit, commemoras?
parum mihi
Non est
mobrem
me
Ego enim cum quid laudo, etiam atque etiam quaid faciam mihi patere volo. Multitudinem vero non sine
ita.
ita
corrupta
illius iudi-
firmitatis.
Itaque
quam
ut ita dicam, triumviris longe me aliter
ac populura sentire intelliges.
quid est in illis quod aut
admirandum aut laudandum cuiquam videri debeat? Ut enim a
ne mirator,
si
de hisce
tuis,
Nam
Nam cum
1
tamquarn prodigalitatem detestarentur accepit. M. vero Catonem, eum qui civilibus bellis interfuit, senem admodum barba
cana atque prolixa describit, ignorans videlicet tempora; ille enim
is
quadragesimo octavo
integra
i.
aetatis suae
cfr.
2. Purg.,
I,
34.
69
Come
uomini
tre
fioriti
mi
perche
spinge, per Ercole, il fatto che sono miei concittadini
non debbano essere annoverati per compiutezza di umana
essi
stile, io
ma
se tu
gli
Allora
cio
mi
li
disprezzi; se
mi
ticanza,
NICCOL6
insorse:
Petrarca, che
Boccac
nioni del volgo, e che appro vi o disapprovi quei che la folia apprezza e disprezza? No dawero! Quando io lodo, voglio vedere
la ragione di far cosi. Non senza motivo io ho sempre
avuto in sospetto la moltitudine, i cui giudizi corrotti mi recano
confusione piuttosto che saldezza. Non stupirti quindi se intenderai che di codesti tuoi, diciamo cosi, triumviri, io ho ben di-
ben chiara
versa opinione dal popolo. Che cosa hanno mai di degno d' es
sere ammirato e lodato da tutti? Per cominciare da Dante, a cui
non
lo
vediamo incorrere in
un
contro la prodigalita. Rappresenta quei Catone che prese parte alle guerre civili come un vecchio dalla barba
Candida e lunga, senza dubbio per ignoranza dei dati cronologici;
egli le intese rivolte
fior
poich6 Catone chiuse la sua vita in Utica ancor giovane e nel
ben
errore
e
se
Ma
anni.
a
leggero,
dell'eta,
questo
quarantotto
70
illud
iustitia,
navit;
in campis Elysiis
posuit.
civibus patriae suae libertatem sustulerat. Quamobrem, si sceleratus Marcus, sceleratiorem esse lunium necesse est; sin autem
tollendus,
fidius christianum
hominem
scripsisse
me
poena eum qui mundi vexatorem, atque eum qui mundi salvatorem prodidisset, afficiendum putavit. 2
Verum haec, quae religionis sunt, omittamus; de his loquamur
quae ad studia nostra pertinent quae quidem ab isto ita plerumque ignorata video, ut appareat id quod verissimum est,' Dantem
3
quodlibeta fratrum atque eiusmodi molestias lectitasse, lib ro rum
autem gentilium, unde maxime ars sua dependebat, nee eos qui
:
dem
qui reliqui sunt, attigisse. Denique, ut alia omnia sibi affuisNos vero non pudebit eum poetam
litteras,
quas
ille
non
possit ?
videbatur peraccurate
eius sigillo obsignatae.
At, mehercule,
non puderet.
cilio
Sed
satis
multa de Dante.
quamquam non
sit
me
fugit,
quam
Nunc Petrarcham
consideremus,
quem
mihi
isti
tui
Verum
i. Inf.,
iv,
127.
2. Inf., xxxiv,
61 sgg.
3.
Le
quae-
4. Varii codici
71
ed uccisi
re.
un tiranno?
stato scritto
da un cristiano
ho vergogna sia
che quasi la stessa pena abbia pensato potersi assegnare a chi aveva tradito un tiranno e a chi aveva
venduto il Salvatore del mondo.
tralascio quello che, per Giove,
:
Ma
genere
lesse
pure
i
i
li
ignor6 profondamente
quodlibeti frateschi e
libri dei gentili
che
manco
ci
infine, avesse
la latinita.
Non
ci
vergogneremo
altra dote,
allora di chia-
mare poeta, e di anteporre perfino a Virgilio, uno che non poteva neppur parlare latino? Ho letto di recente alcune sue lettere
stese di suo
c'e
Ha
si
io toglier6 codesto
con
farsettai,
panettieri e simili.
Ma basti di
il
popolo, sedotto da codesti
che non si possciocchezzuole
;
quali
sono chiamare diversamente le cose che costoro divulgarono.
temere
gli
attacchi
anche di tutto
non so con
Ma
io dir6 liberamente
72
secro,
ne hanc
quispiam,
meam
orationem
cum magnam
efferatis.
Quid
igitur, si pictor
theatrum aliquod pingendum conduceret, deinde magna expectatione hominum facta, qui alterum Apellen aut Zeuxin temporibus
suis
natum
distortis
is
prae se
deinde
ferat,
cum
is
continue id praedicaret,
magnamque
aut em postea ?
mus ? An
est
Ex hac
tanta professione
quisquam eius amicus, qui
nonne natus
non fateatur
est ridiculus
satius fuisse,
aut
in
se
fuit,
obscuravit.
cerchia fiorentina.
le Invective
ebbero nella
73
riveli di
si
non
di lavori
non sono capaci di recare a compimento quanto hanno promesso. Eppure niente e stato annunciate con tanto rumore come
1
Africa da Francesco Petrarca. Non c'e scritto di lui, non c'e,
si puo dire, una sola sua lettera un poco notevole in cui non si
trovi esaltata queH'opera. E poi? Da tante promesse non e forse
nato un ridicolo topo? C'e forse qualche amico suo che non
ammetta che meglio sarebbe stato che mai avesse scritto quel
J
libro,
o che,
scrittolo, lo
avesse condannato
al
fuoco
Quale
sti-
ma, quindi, dobbiamo avere di questo poeta, di cui I opera annunciata come somma, ed alia quale pose tutte le sue forze, per
universale consenso nuoce piuttosto che giovare alia sua fama?
Guarda un po' la differenza che corre fra costui e il nostro Vircol suo canto uomini oscuri; Taltro, per
gilio! Puno rese illustri
quanto stava in lui, oscurb un uomo illustre come 1'Africano.
Scrisse anche un carme bucolico, il nostro Francesco; e scrisse
invettive, cosi
superano
(e
piu
difetti ancora,
volendo,
74
eorum vitium
fore
est, quod
quemquam, qui de
ab omnibus
appellat.
unam
quam
tu per
Quamobrem,
illos civitati
Coluci, sibi
nostrae partam
esse dicis; ego enim pro virili mea illam repudio, neque multi
earn famam existimandam puto, quae ab iis qui nihil sapiunt
proficiscitur.
tanto consensu
invenerit.
tentionis processisti, ut
tere.
unus
tres
admisceantur, quod pro magnitudine meritorum digne facere difest. Itaque ego istam defensionem aliud in
tempus
ficillimum
pora haec labem aliquam passa sunt, idcirco tamen nobis facultatem eius rei exercendae ademptam esse. Quamobrem non desinam
i. Per le critiche di Evangelus e da vedere MACROBIO, Sat.,
v, i, 19 sgg.
per Luscius Lanuvinus, malivolus poeta, cfr. TERENZIO, Heaut., 22.
75
Funo chiama
antepongo
di
gran lunga a
un
epistola di Cicerone,
sol
tutti
carme
li
vostri libercoli
una
sola
si tengano
pure quella gloria che secondo te essi hanno recato alia nostra citta; io per parte mia la rifiuto, e penso che non
debba essere calcolata molto la fama proveniente da costoro che
mio,
Quanto
vorrei, Niccol6,
concittadini, ancorche
che tu
v'e
mai
stato nes
suno
il
quale,
propri concittadini.
Tu
gran cosa, o
difficile, il
assolversi
questo & molto arduo a farsi, data la grandezza dei loro meriti.
Perci6 io rimanderb questa mia difesa a un altro momento piu
adatto. Tu, Niccolo, esalta pure questi uomini, o disprezzali, a
tuo piacere; per me essi furono ricchi di molta e ottima cultura,
e degni di quella nominanza che e loro attribuita per comune
consenso.
Ed
anche questo
io credo, e
nostri
76
LIBER
quam maxime
incumbatis.
cum omnes
loscens impiger atque facundus in primis, Colucii familiaris, placuit ea die, ut hortos Roberti viseremus. Arnum itaque trans-
cum
gressi,
illam,
illuc
cum parumper
redissemus sedens
;
illic
porticum
COLUCIUS,
corona facta
cir-
Quam ornatissima sunt, inquit, nostrae urbis aediquamque praeclara! Nam me nunc admonuere, cum in hortis
cumstantibus
ficia,
perventum
essem, aedes istae quae ante oculos habemus: sunt illae quidem
honestorum fratrum, quos ego simul cum tota Pictorum familia
Nam
et eas
quae
Quod
ego verissime
arbitror a Leonardo esse dictum; neque enim Romam aut Athenas
aut Syracusas adeo mundas atque abstersas fuisse puto, sed longe
unquam
Turn PETRUS:
dumtaxat
Sunt
videmus,
cum istam laudationem legerem, vehementer in ea sententia confirmatus sum. Pro qua quidem re omnes cives tibi habere gratias,
Leonarde, debent:
cutus
ita
diligentissime
es.
Primo enim laudas urbem atque eius ornamenta; deinde oria Romanis deductis; tertio loco res gestas foris domique
ginem
i.
77
ad
esso.
LlBRO SECONDO
JL indomani, essendoci riuniti quanti eravamo convenuti il
giorno
antecedente, ed essendosi aggiunto Piero di ser Mini, giovane
sveglio e sommamente facondo, familiare di Coluccio, decidemmo
di andare a visitare la villa di Roberto. Passato 1'Arno,
poiche
fummo giunti ed avemmo guardato il giardino, ritornammo nel
vi
portico che e
vestibolo. Li
dopo
il
Me
Ne ammiro,
osservatene la grazia e la
le citta esistenti;
ne Siracusa siano
non credo
state cosi
infatti
II
vediamo com'essa
Ma
sia
onde
Firenze non
preminente an-
devono
Perci6 tutti
la diligenza
cittadini
esserti grati,
o Leonardo; tanta e
di questa citta.
ga
all* Invectiva
del Salutati.
78
omni
describis, et in
maxime
in ea oratione
me
delectavit,
quod
Verum
illud
Romani
in
summam
invidiam adducis.
tantium Firmianum, hominem doctissimum atque eloquentissimum, legisse memini se admodum admirari qua tandem de causa
cum
Hunc
1
ego puto Leonardum secutum fuisse.)) ((Quid opus est, inquit
COLUCIUS, ut Lactantium sequatur, cum Ciceronem atque Lucanum, homines doctissimos atque sapientissimos habeat auctores,
et
Svetonium
legerit?
Verum
ego, ut de
me
profitear,
nunquam
adduci potui, ut parricidam patriae suae Caesarem fuisse arbitrarer, de qua quidem re satis a me diligenter, ut mihi videor, in
eo libro quern de tyranno scripsi disputatum est, bonisque rationibus conclusum, non impie Caesarem regnasse. 2 Itaque nee par
ricidam fuisse unquam putabo, nee unquam desinam Caesarem in
suspicionem
cum virtutum
inseruit, ut aequis
LATTANZIO, Div.
p. 93);
nondum
.
79
Ma
avuto un'origine egregia, e secondo pieno e perfetto diritto questa nostra citta li ha fatti propri; mentre mostri sommamente
condannabile
le
la fazione imperiale,
nemica
che Leonardo
parricida della patria sua. E penso
CO
c'e
domand6
Che
abbia seguito quell' autore.
bisogno
e
Cicerone
di
Pautorita
ha
LUCCIO che segua Lattanzio, quando
sendo stato
di
il
Lucano, uomini
di
somma
dottrina e sapienza, e
quando ha
miei
derei piuttosto che rassomigliassero a M. Marcello o a L. Cammillo che non a Cesare. Non gli furono infatti inferiori in guerra,
ma
al
una
il
non
con-
Non
parti, e
in quella
campagna tanto
Cesaris
punto la tesi discussa nel cap. in del De tyranno (de principatu
et an ipse possit et debeat inter tyrannos rationabiliter numerari )
8o
omnium fortissime dimicarit. Sed quoniam in hanc mentionem incidimus, et tu aedificia, lautitiam, studia partium, gloriam denique bello partam promptissime laudas, bene, ut opinor,
iudicio
feceris, si doctissimos
agendum
Quis est enim tam rudis, qui non perfacile illas refutaret? Scio
enim defensiones illorum criminum vobis omnibus, qui hie adestis, esse manifestas. Sed nimium callidi esse vultis atque astuti.
Quis enim est vestrum, qui non canum senem decipere posse
arbitretur ? Sed non est ita, credite mihi, iuvenes nam
longa vita
nobis magistra est, et rerum experientia plus sapere docuit. Neque
enim latebant heri me tuae artes, Nicolae, cum vates nostros non
solum reprehendebas, sed etiam acrimonia quadam in illos invehebare. Putasti enim me, argutiis tuis commotum, ad laudes
illorum virorum statim prosilire, idque cum hoc Leonardo, opi
:
laudes illorum
litteris
me petere, ut
facere cupio, et
Leonardo morem gerere, quoniam et ipse quotidie pro nobis labores suscipit e graeco in latinum sermone transferendo, 2 tamen
nollem, mi Nicolae, tuis fraudibus impulsus videri. Itaque cum
mihi placuerit, laudes istorum
hominum
absolvam.
Ho die
regno
i.
Per
estis,
la
p. 102).
vero id
artes id
ad
in
meo
ilia cri-
delle parti,
ma un
8l
Si erano infatti impadroniti allora dello Stato uomini che sentivano in mo do disforme dalla volonta di questo popolo.
Mi
la
mia
Ma
uomini
dotti, nati
in questa nostra
citta,
dalPaltrui denigrazione.
Quei tre poeti non sono dawero la minor parte della nostra gloria!
Allora COLUCCIO
Sei nel giusto, Roberto essi non sono la mi
nima parte, ma anzi di gran lunga la fonte maggiore della nostra
gloria. Ma che debbo fare ancora? Non aprii ieri a sufficienza il
mio sentire su quei tre sommi?
rispose RO
L'apristi certo,
BERTO ma ci aspettavamo, tuttavia, che rispondessi alle accuse.
Ma di quali accuse mi parli ? ritorse COLUCCIO. Chi e mai cosi
rozzo, che non le possa confutare con estrema facilita? So bene
:
<c
che a
qui presenti quelle difese sono chiarissime ma voi furbi. Chi infatti fra voi non pensa di poter inpovero vecchio ? Eppure non e cosi, credetemi, miei gio-
tutti voi
lete fare
troppo
gannare un
maggiore saggezza.
quando non
solo criticavi,
ci
Non mi
ma
inveivi anche
Ti credevi che
mi
gettassi a lodarli, e
ti
eri
cui mirano.
Disse allora ROBERTO: Ma io, Coluccio, visto che qui siete nel
mio regno, non Iascer6 mai che ve ne andiate, se prima qualcuno
Tomelia di san Basilic, di cui Coluccio si fece forte nella polemica col
Dominici (cfr. 1'Epistolano salutatiano, vol. iv, pp. 184 sgg.).
82
mina
fuerit
;
quoniam
parum processere, vi aggrediamur.
Nunquam, mehercule, inquit COLUCIUS, a me extorquebitis hodie,
artes nostrae
berte
ut
cavea inclusa
tamquam avis
canam sed
;
si
vobis cordi
est,
huic
Leonardo committatis qui enim universam urbem laudarit, eundem hos quoque homines laudare par est. Tune ego Si ego
;
gere, aut
me
arbitrum
eligite
componendam.
se id facere
velle
dixissent:
tius, inquit, a te
rem ad
audissem, Coluci.
te detulisse,
quam
Verum
ut intelligas
me
earn
modo
non
recuso,
ego ipse suscipere
repugnabo huic sententiae sed earn
;
ordinem ad earn quae contradicta erant respondebo. Illud tamen ante omnia certissimum
habetote, me non alia de causa heri impugnasse, nisi ut Colucium
ad illorum laudes excitarem. Sed difficile erat assequi, ut vir
omnium prudentissimus ex vero animo loqui me, ac non fictum
esse
in
vixisse;
meminisse poterat,
dilexisse.
Nam
et
me
ita
memoriae
gnam partem
illius
dam
affectione.
praeclari ac luculenti poematis sine ullis lifacere non possem sine singulari qua-
quod
feci,
illam
thecam
eius meis
iste
Colucius
tanti
83
nardo; chi infatti ha lodato Pintera citta, e in condizione di loSe lo potessi fare, Coluccio, in
darne anche i cittadini. Ed io
modo degno dei loro meriti, non mi sarebbe per nulla grave ma
:
non ho
bitro
comporre
il
contrasto.
Essendosi
che
colo,
si sedessero. Quindi pronunciai la sentenza: Nicgiorno precedente aveva criticato quegli uomini indifendesse, mentre Coluccio se ne stesse ascoltando e
che
agli altri
il
signi, oggi
li
criticando.
detto,
purche
ma
lo osservero
goli argomenti.
Una
ieri
non per
altra causa
lavo dawero, e
non per
artificio.
Mi
aveva
infatti visto
sempre
Coluccio
infatti
il
primo
E come
me
n'e testimone
Africa.
84
viri, et
frequentissimus
omnium
in
ilia
sum apud
religiosos here-
mitarum ? :
Quare, ut modo dicebam, difficile erat hanc technam Colucium
latere, ut dissimulationem meam non intelligeret. An ille unquam
putasset me, qui tanta benivolentiae signa erga istos vates praebuissem, ita una die mutatum, ut lanistae, sutores atque proxenetae,
litteras viderunt,
nihilque
Dantem
unquam
aut Pe-
colui
bis
ereptum irent.
Haec ego ea de causa
me
florentini vates,
praesentia facere
facere poterunt,
et
Tune COLUCIUS
deprecere.
munus
summo poeta
adinvenerit?
Su questo testo,
coli, che il Mehus
i.
quaeque
locis,
prout ma-
e sulla notizia della copia dell "Africa recata dal Niccredette di identificare nel Laur. plut. 33, 35, molto
si
II
difficile
la
85
con
frequento di
che
il
mio
artifizio
sfuggisse a Coluccio cosi che non capisse la mia fmzione. Avrebbe egli mai potuto credere che io, dopo tante manifestazioni
vati, in
calzaiuoli
i lanaioli, i
la
non
ma
un giorno
sensali,
uomini
punto che
ignari di lettere, e
che
solo a parole,
anche con
fatti,
quando non
li
potevo
se ci fossero
i loro
poemi.
Tutto questo io dico, perche possiate capire quello che doveva
essere manifesto anche quando avessi taciuto: che io non criti-
tolti
cosa dolcissima.
sumere
la
Ma
tua parte
poich6 tu non vuoi farlo ora, tentero di asio, per quanto me Io consentiranno le forze
un grande
siano necessarie a
1'ele-
via
mo do
Maggio
consegn6
che
al lanificio
il
poema
paterno
mente a pp.
petrarchesco.
LIV-LVI).
mondo vengano
puniti
86
Nam
est, puniantur ?
quid ego de paradiso ipsa
tantus
cuius
ordo
est, tantaque accuratione descriptio, ut
loquar,
satis
adeo
nunquam
pulcherrima fictio laudari possit? Quid
digne
gnitudo cuiusque
autem
quid comites
illi
atque duces,
ostenderit
opera non mirifice sint diffusa, nee minus orquam copiae. Melliflua enim verborum flumina ilia-
illius viri
quae per
natus habent
borate fluunt omniaque sensa sic exprimunt quasi oculis audientium aut legentium subiciantur; nee ulla est tanta obscuritas,
quam
eius
dificillimum
est,
oratio.
queant pronuntiari.
Ad haec historiarum incredibilem scientiam: non enim vetera
dumtaxat, sed etiam nova, nee domestica solum, sed etiam externa
in hoc praeclaro opere, vel exornandi causa vel doctrinae gratia,
conglutinata sunt. Nullus est in Italia ritus, nullus mons, nullus
moria dignum
percommode
gesserit,
sit
ut Vergilio et
quin ab
illo
distributus. Itaque
Homero Dantem
quod
adaequaret, nullo
modo mihi
dis-
quibus amorem, odium, formidinem ceterasque anirni perturbationes exprimit; legite descriptiones temporum, legite caelorum
motus,
adhortationes,
computationes, legite
iurgationes, consolationes,
deinde vobiscum reputate, quid sapientia perfectius aut eloquentia
tarn elegantem,
lam
vero quoniam quid ego sentirem de cive, de vate, de doctissatis, ut mihi videor, expressi, respondebo crimi-
87
ciascuno
il
lodarsi abbastanza ?
agli
non
mente riescono a
difficil-
scuola.
antichi
sono
ad
sapienza. In
Italia
non
arricchirla di grazia e di
c'e gente,
luccio paragonasse
niente:
gete, di grazia,
Pamore, Fodio,
il
timore e
le
altre passioni;
numero
Quest'uomo
li
mi sembra,
proprio poema,
alle
tasette anni,
accuse che
gli si
fanno.
vita;
eppure Dante
lo
88
enim corpora ad
fingit.
Vanum
pore canissima
flocci
erat.
Non audiebamus
penderet adolescentiam ?
canae aetatis
efficiunt.
At
et integritas
ilia Virgilii
Nee immerito;
morum
est
enim
quam
sapientia
carmina:
cogis,
a nobis ignoretur,
non
indociles ad
quoniam
illinc prodigalitatem,
trahatur.
Nam
quae paria
ad alterum reprehensio
ea res Virgilium
eodem
vitio
eum
qui
mundi vexatorem
necasset
affici dicat,
aetate,
quod
crebro insipientes homines fallit, cum res a poeta dictas ita accipiunt, quasi verae shit atque non fictae. An tu putas Dantem,
virum omnium aetatis suae doctissimum, ignorasse quo pacto
et
saris
Brutum praeditum
fuisse
virtutis fuisse
omnes
laudat?
et
ignarum, quanta
historiae consentiunt
M.
Nam illius
in Bruto
agli infer!
89
barba Candida e lunga. L'accusa non sussinon vanno i corpi, ma le anime dei defunti. Perla
Ma
.
gli animi degli uomini, o esecranda brama delPoro
piuttosto che noi non comprendiamo Dante. Come, infatti, egli
pu6 avere ignorato il senso di quei versi, noti anche ai bambini?
.
nere esercitano
la
il
loro mestiere
pur essendo
rozzi e ineducati, o
suo opposto: es
quei limite che ha
il
sendo
da un
la
propria prodigalita.
Quanto alia terza accusa, che cioe abbia attribuito quasi la medesima pena a colui che uccise il Salvatore e a colui che uccise il
distruttore del
mondo,
ci
troviamo dinanzi
al
medesimo equivoco
gia notato a proposito dell'eta di Catone; equivoco che di frequente inganna gli stolti che prendono le espressioni del poeta
in senso reale e
dotto del
non
tempo
figurato.
suo,
non sapesse
in che
modo
Tuomo
Cesare
si
piu
era im-
alacrita,
ma
il
principe.
Non
tale;
come avrebbe
in-
90
modi
fuerit;
eum
sumpsit poeta ex hoc fingendi materiam. Cur ergo optimum et iustissimum virum et libertatis recucivibus
interfecissent,
peratorem in faucibus Luciferi collocavit? Cur Virgilius castissimam mulierem, quae pro pudicitia conservanda mori sustinuit,
ita libidinosam fingit, ut amoris gratia seipsam interimat? Picto-
enim atque
ribus
semper
fuit
aequa po-
Quamquam non improbe fortasse, ut equidem puto, defenderetur M. Brutum in trucidando Caesare impium fuisse. Non
testas.
desunt enim auctores, qui, vel propter affectionem illarum partium, vel ut imperatoribus placerent, factum illud Bruti scelestum
atque impium vocent. Sed ad illam quasi parificationem Christi
atque Caesaris prima defensio probabilior mihi videtur: idque
sensisse
carmina heroica
eum
litteras
scripserit,
ignorasse?
Non
satis,
ut opinor,
dixi,
de Petrarcha nostro
quamquam non paucis laudibus tanti viri excellentia contenta sit. Sed rogo, ita a me accipiatis, ut ab homine
non satis ad dicendum apto; maxime cum, ut omnes videtis, ex
tempore mihi dicendum sit, sine ulla omnino praemeditatione.
Tune PETRUS: Perge, inquit, Nicolae; nos enim quantum facul-
pauca dicamus;
tatis sit in te
minimum
ignoramus, et
enim locus in
illo
ornares
homine
ut supra
nostri
ut
libros
Petrarchae
dixi, profectus essem, inquit NICOLAUS,
transcriberem,
ille,
dum
eius,
solebam
cre-
viveret, familiarissime
utebatur; a quibus mores illius poetae sic didici, quasi ipse vidissem; quamquam et ante a Ludovico theologo, homine sanctis-
Ma
91
il senate
potuto lodare in lui il restauratore della liberta?
avendo Cesare comunque regnato, ed avendolo ucciso Bruto
uomo
ottimo e giustis-
simo, restauratore della liberta? Del resto, perche Virgilio immagina una donna castissima, che affront6 la morte per difendere
la
le
una femmina
specie di
cosi sfrenata
pittori e ai poeti fu
la tesi
Non mancano
delPempieta di
sempre
non senza
M. Bruto
nel
per amore
di parte, o per ossequio agrimperatori, hanno chiamato empia e
scellerata quell'impresa di Bruto. Tuttavia a difendere quella spe
trucidar
Cesare.
primo argomento
infatti autori
quali, o
il
il
cosi.
Ma
un uomo
il
resto, gli
la cul-
ignaro di lettere chi tante volte aveva disputato, chi aveva scritto
poemi, chi si era affermato in tanti studi. Questo non pote certo
essere; necessariamente egli fu e letteratissimo e dottissimo e fa-
condissimo,
come
ma
dichiararono,
non
modo
temporanei,
anche, e in
Ma
Niccol6! noi
ben conosciamo
la
ora nella tua difesa e nel tuo elogio di Dante, in cui nulla hai
lodarlo.E NICCOL6 prosegui Essen-
trascurato di conveniente a
92
formosissimum
mum
suae aetatis
fuisse, et
igitur asserebant
illo
tria.
Nam
doctissi-
sapientissimum eundemque
dicebant; haec omnia illi testibus
hominem
sideremus, qua ratione illi probarent, in hoc quoque genere Petrarcham nostrum praestare. Dicebant igitur, cum doctriham lau-
esse
in contentionem adducerent, ostendebantque unumquemque illorum in uno aliquo genere clarum fuisse: Ennii, Lucretii, Pacuvii,
Accii opus carmen fuisse atque poema; soluta vero oratione nihil
laude dignum quemquam illorum unquam scriptitasse Petrarchae
;
Haec cum illi ostendissent, a me contendebant, ut si quem haberem ex omni antiquitate, qui tantis laudibus respondere posset, in
medium afferrem; quod si facere nequirem, nee haberem quem
quam, qui in omni genere aeque profecerit, ut non dubitarem
civem meum omnibus doctissimis vlris, qui in hunc diem fuissent, anteferre.
LEONARDO
BRXJNI ARETINO
93
uomo
Petrarca,
simo
ma
specialmente tre.
bellis-
Tuomo
piu dotto delFeta sua; e lo dimostravano con testimonialize e con ragionamenti. Delia bellezza e
e sapientissimo, e
non
come ho
virtu. Tuttavia,
Con-
il
mai
stati; e
settore.
prosa
sommi
oratori. Cos!
poeti piu
scritte
da
condanne dei
vizi,
molte cose
stati, sul-
Teducazione dei giovani, sul disprezzo della fortuna, sulla correzione dei costumi; tutte opere da cui si scorgeva facilmente che
era stato
uomo
di grandissima dottrina.
a tal punto
il
suo in-
dino a tutti
gli
uomini piu
94
Nescio quid vobis videatur: ego nunc ferme omnia loca attigi
quibus illi causam suam confirmabant. Quae, quoniam optima
ratione concludi mihi videbantur, illis assensi mihique ita esse
persuasi.
An
vero
illi
extranei
homines
cum
ita
urbem attulerit. At eius liber, in quo summum studium posuit, non multum probatur. Quis est tam gravis censor,
qui non probet? Vellem percontari ab eo qua ratione id faciat;
quamquam si quid esset in eo libro quod improbari posset, id
ilia de causa esset, quod morte praeventus nequivit expolire. At
bucolica eius nihil pastorale sapiunt! Ego vero id non puto; nam
in nostram
istas;
sed
cum
ab
tandem de causa
aliis
scitis, retuli.
unam
omnibus
ita
converto, ut dicam
Virgilii epistolis, et
me
orationem Petrarchae
carmina eiusdem
vatis
omnibus Ci
Sed iam
satis:
re
atque flumina, qui varies virorum casus, qui mulieres claras, qui
bucolica carmina, qui amores, qui nymphas, qui cetera infmita,
facundissimo atque lepidissimo ore cecinerit, tradiderit, scripse-
Quis igitur hunc non amet? quis non observet, quis non in
caelum tollat, quis non hos omnes vates maximam gloriae partem
rit.
Te
95
cosi.
zato.
Ma
si oblauro poetico.
il libro a cui pose sommo studio non e molto apprezchi e il grave censore che non Tapprova? vorrei doman-
il
a perfezione.
praggiunta che gFimpedi di recarlo
tinua
non hanno
Ma
si
liulla di pastorale.
con-
Que-
sto
un
essi preferiscono
solo
carme
di Virgilio, e
una
sola epistola
di Cicerone.
Ma
ammiro sommamente.
monti
fiumi,
Egli in
modo
descritto le
uomini
ricchissimo e
genealogie degli
illustri, le
donne
chi
dunque
non riterra che
massima parte
come
Questo dunque avevo da dire dei nostri sommi poeti;
di
era
trascurato
ho
uomini
a
quanto
colti,
conviene parlando
poca importanza.
Tu
96
liceris,
illustres.
3)
quisse,
Quamobrem,
si
es,
censui, ita
rebus omnibus, te totum litteris studiisque praetu Qceronem, Plinium, Varronem, Livium, omnes denique
veteres qui latinam linguam celebravere, ita calles, ut uni-
buisti
illos
versi
cc
cius, obsecro,
ligo.
Cum
(quod,
si
enim veteres
illos,
difficilius id
tamen superabun-
illis
pares aut
Et
evaderent.
Nox
ista
ROBERTUS
te, Nicolae, inquit,
superiores
nobis reddidit: nam eiusmodi a te heri dicebantur, quae a nostro
dantia
quadam
fraudolento, come prima diuomini insigni con la tua eloquennon vedo che cosa tu abbia
rispose COLUCCIO
te
97
artifizio
Ma
za.
io
lasciato
la
nuto
infatti
una
ti
rima-
nesse possibilita alcuna, e Thai fatto in modo tale che non si poteva ne meglio ne con maggiore eleganza. Percio se ci hai preso
come
ti
hanno
non
ammiri moltissimo.
rispose NiCGOL6 ccsono stato abbastanza largamente
ricevendo
premiato,
queste lodi e da labbra tanto eloquenti. Ma
mio
ti
Pietro; soprattutto quando io in nessun
moderati,
prego,
modo mi lusingo, e ben so qual io sia e quali capacita io abbia.
Infatti allorche leggo quegli antichi che tu ora menzionavi (e Io
dotto che
Ed
fo
ti
io
con
gioia,
la
sapienza
conoscendo
sibile
i
quali, nonostante Pawersita dei tempi, tuttavia
sovrabbondanza d'ingegno riuscirono ad essere pari,
vati fiorentini
per una
loro
La notte passata,
o anche superiori a quegli antichi. E ROBERTO
o Niccolo, ti ha restituito a noi ieri infatti dicesti cose che erano
:
alienissime da noi.))
NiccoL6
allora:
disse
Ieri
mi
ero pro-
non
Io faro, se
. .
Che mai ?
chiese
98
inquit COLUCIUS.
inquit COLUCIUS,
apud me cenaturi
erant;
Veterem prosequente.
99
FRANCESCO BARBARO
il
1405 e
il
il
Di lui, oltre un ricco epistolario, ci resta un trattato sul matrimonio che voile offrire come dono nuziale a Lorenzo de Me
dici, il fratello di Cosimo. Nel '15, infatti, egli si era recato a Fij
renze, e li aveva fatto amicizia con Roberto de' Rossi, col Bruni,
col Niccoli. Tornato a Venezia nelFagosto, fra la fine di quelil
principio del'i6 stese il De re uxoria, interessante esercitazione retorica su un argomento di moda, intorno a cui da
1'anno e
Poggio
al
Campano,
a Guiniforte Barzizza,
un
uma-
Barbaro, che non attingeva certo a personali esperienze, pu6 invece far sfoggio senza parsirnonia della
sua cultura classica.
nisti si
cimentarono.
II
DE RE UXORIA LIBER
PRAEFATIO
Maiores
nostri,
sibi
illos
Haec
Herodotus pater
quibus ab agrorum
historiae,
ut scribit
feracitate,
2
saepe, iustissima tellus reddit.
et liberalis
appellarim. Inopes
utilitates
magnas
et
Ab
quern in tantis
divitiis,
est. Mihi praeterea recordanti multos in nostra familiaritate sermones 3 gratius atque iucundius tibi munus fore visum est, si
quos huic nuptiarum tempori accommodatos arbitror non inufuturos. Abhorrent enim a communibus praeceptis quae nee
tiles
le
pp. 1-59.
U savano
awenuto
tempi nostri non e piu servata. Perciocche, molti, che hanno diversa intenzione, fanno spesse volte debiti gravissimi per poter poi piu
largamente donare a coloro che
sono fra tutti gli altri ricchissimi. Questi tali nel seminare, per
di molt'altre) a
mi paiono assomigliarsi ai contadini di Bagran felicita del paese, la terra, si come scrive
Erodoto padre della istoria, rende sempremai ducento e trecento
per ciascheduno. lo chiamerei costoro ogni altra cosa fuor che
dir cosl,
beneficii,
bilonia, dove,
per
la
mandano
sogno che
Da
costoro io
mi trovo grandemente
lontano, e
massime conside-
rando di avere a fare con esso voi, appresso il quale, in tante e tali
ricchezze e in si fatte e continue prosperita della fortuna, non so
vedere che luogo avere si possano i miei doni. Peroche lasciando
da parte quelle cose che sono al sostenimento della vita nostra
necessarie, voi avete e panni e veste e gioie e addobbamenti onorevoli e preziosi, e sete in molti luoghi d'una copiosa e magnifi-
Ma
tornandomi a memoria
alcuni ragionamenti familiarmente per lo addietro fra noi passati, ho giudicato dovervi esser molto piu accetto e assai piu grato
lo essere da Francesco vostro che da la fortuna di lui appresentato.
Pertanto io ho fra
me
nome
abbiano ad essere ne
muni
disutili
ne
non poco
trovano different!.
Le quai
IO6
mea
pro
dentia, iustitia,
maximamm rerum
scientia,
Nee
cum
te,
quid agendum
fecisti, facis et
facturus
es,
eos
com-
in te reco-
gnoscas.
quorum
et
ornatissimum
Cosmum
abunde munitus
fratrem,
es.
Habes
Robertum Rossum
tere rectissime
in primis coleres atque observares, a cuius laquidem fere nunquam discedebas. Accedit etiam
eadem
tibi
quaedam
i.
me
ipso
pervenirent. Alexander
Si tratta di
quoque
si
ad
ille
te
arbitratus, si
intelligeres.
ex
mea
Haec enim
sententia scripta
di
Cosimo
il
vecchio.
FRANCESCO BARBARO
107
uomo
air eta
giustizia, per lunga esperienza di cose grandi e per opere memorabili singolare, e a me
in amicizia strettamente congiunto, quando entrato in un proposito tale, cio
che
si
io
ma
il
caso delle
mi
da voi pigliando T esempio, piu facilmente posmentre che io insegno loro ci6 che far si dovrebbe, voi quello che avete gia fatto, fate e sete per fare, tanto
piu acconciamente in voi medesimo riconosciate. E in vero co
de' nostri tempi,
sano imparare.
me
anche trovato
nato di
gloria vi
bella dottrina,
si
dimostrano
si
tali esempi domestichi, e sete orche tutte le strade che tendono alia
facili
e vertuoso
M. Cosimo
potete ritrarre.
non
vi
eruditissimo
M.
Nicol6 nostro;
dalli quali, si
come molte
altre
Magno
108
auri talenta a se dono missa repudiasset, quasi sibi regiis muneribus opus non esset:
Si Xenpcrati, inquit, Alexandri munificentia uti non expedk, Alexandro tamen opus est ut in Xenocra-
tem
consilium valde
Sic,
quamvis
institutes sis ut
meum
tibi
haec mihi digna res visa est et iuvenum cognitione et nostra faNam cum universa philosophia frugifera et fructuosa
ut
adeo
nulla pars eius inculta ac deserta esse deb eat, turn in
sit,
miliaritate.
si
nuptiae,
unde dome-
stica officia
ero
si tibi,
iucunda
Hac
amicitiae fides.
in re
cui prope
erit.
Ex
ipsis si
qua
commonere
minus accepta
recte poserit,
uni-
machus
sto-
illis
i.
PLUTARCO, Reg.
off.,
in, a, 5.
et imper. apoph.,
Alexan., 30.
2. Cfr.
CICERONE,
FRANCESCO BARBARO
non
lOQ
che
il
esso Xenocrate liberale. Similmente avvenga che voi siate di maniera instnitto e ammaestrato, che io non pensi per awentura
il mio consiglio vi sia molto necessario, nondimeno questa
cosa e della cognizione de' giovani e delFamicizia nostra degna
mi e paruta. Perciocche essendo tutta la filosofia utile e frut-
che
non
esser
non debba
li
domestici
uffici
si
finite.
Di qui ancora
si
Parrammi
di avere
un
bel
la
memoria
mi
Li
quali,
abbiamo principalmente
scritto
come
awiene
che
gli dilettano.
pigliar mogliera,
non levano
Io comincero
sforzandomi
il
dunque a
trattare
il
negocio del
possa una materia si grave. Le quai cose, come io dissi, dal mio
M. Zacharia e da molti altri uomini dignissimi sono
state approvate. Ora io seguir6 il mio proponimento voi con be-
si
eccellente
mi
ascoltarete,
e questa
mia
operetta,
comunque
ella si sia,
110
DE OBSEQUENDI
Tres
mam
FACILITATE
conmge bene
rem uxoriam faciunt:
ac admirabilem
tractatae, laudatissicaritas in
explicabimus,
comes
est,
si
maritum,
Superiorem
dux
est, nihil
et
magis
omnem
ex re coniu-
Quamobrem
retur:
Malam
in
rem
abi,
dixit,
cum necdum
ex puellis exces-
eius voluntati
morem
est.
Unde
minime
rus,
consererent.
Haud
aliter
i.
PLUTARCO, Coniug.
praec., 27.
apoph., 23.
3. PLUTARCO,
Coniug. praec., 37.
ib.,
2.
FRANCESCO BARBARO
BELLA FACILITA
DI
COMPIACERE
III
IL
MARITO
la
compiacere
il
marito, che
e di
donna spartana viene tanto da mold uomini commenper mala riputazione fattale da una pessima vecchia entrare in collera contro il marito: partiti con la
tua mala ventura, si le disse; perocche essendo fanciulla io imdi quella
voglio sostenere
dovessero cominciare.
cio&
quando
ribilita,
deve
il
II
medesimo'consiglio darei
io alle
donne,
allor la
ma
mano
gli elefanti
non usano
il
governano
112
tales
mentum
Nam
2
repudii gravi ignominiae coniuncti propositi sunt. Quare magna
cura cavendum est, ne per^auris suspicionem, zelotypiam, iracundiam suscipiant. Quam quidem ad rem conferet plurimum, si
regis Alexandri
habeant in
clarissimi regis,
verbum
discant ac
Is familiaribus
facient, inquit,
modo cum
i.
si
Te moratam
Eodem
et amantis-
38b.
FRANCESCO BARBARO
non
113
si
donne, Perciocche se non piace al marito ch'elle portino un qualche abito, incontanente deporre lo debbono, ne mai piu ritorlo
senza sua licenza, acciocche dal loro caro consorte col quale e
le
dolcemente
banno
e pacificamente elle
non paiano
discordant!. lo stimo che sia piu necessario il ricoprir le orecchie alle mogli che ai lottatori, conciosiache questi in
nessuna altra parte, salvo che nelle orecchie, non possono essere
ma
offesi;
si
il livore, il
sospetto, la gelosia. Cio potranno elleno schifar
facilmente, se la prudenza del Magno Alessandro in ci6 cercheranno imitare. Esso, quando alcuno gli veniva con calunnie accu-
orecchie
aveva per costume di turarsi sempre con la mano una orecper colui che volesse appo lui di-
sato,
fendere e giustifkare
casi suoi.
macchiato
ella
il
dicesse la verita,
ella
accadera che
il
vita.
Pertanto se egli
le
orecchie e scacci da se
questa velenosissima peste di maligne persone, le quali le infettarebbono 1'animo con la loro iniquitade. Non sia cosi facile al
credere ogni parola perocch6 cio sarebbe proprio un giungere esca
fuoco. Abbia ella sempre in memoria e in bocca quella bella
sentenzia del re Filippo, il quale, incitato da' suoi familiari a
al
nondimeno erano
lui:
odio
mine
Or che
li
da
lui
a'
accarezzati
con molti
li
quali,
beneficii,
mal
di
provocaremo ?
Non
ti
accorgi
alia
tu, povera sventurata, che tuo marito, non avendo riguardo
sincerita de' tuoi santi costumi, ne alia grandezza deiramore che
114
simam
et
pudicitiam
in
prudens amisero ?
deprehendit
et quasi
deprehensum
te
cum
suescerent; par
enim
erit
ac fortunatior,
quam
si
me
paene nau-
fragam
accersere,
quam
secus eas accusarim coniuges, quae cum per gratiam et concordiam una cum maritis dormitant, ira interveniente seorsum cubant
et Venerem abiciunt, cuius lepore et artibus facile reconciliari
possunt. Significat id homerica luno, cui vincla iugalia curae.
Nam cum de Theti et Oceano, si bene teneo memoria, loqueretur,
virum
et
uxorem
i.
et
introi-
domum
curae domesticae,
si
59 ; OMERO,
//.,
2. VIRGILIO, Aen.,
PLUTARCO, Coniug. praec., 40-41
3. VALERIC MASSIMO, u, i, 6.
templum
iv,
FRANCESCO BARBARO
115
tu
gli porti,
fatti
tuoi?
gli
ben
io
che da se
col giudicio
queste parole:
Oime, meschina, che cosa potrei io fare o pensare, che piu desiderabile o piu grata fusse alPinnamorata del mio marito, che par-
tendomi da
lui lasciarla
letto e in esso
la vita
mia amo,
coloro
li
godere
la
riverisco e
onoro
lira,
ammorzare la
piu ragionevole
adoperare
collera e per scacciar da noi la malinconia, che per efTeminare gli
animi di coloro che nei piaceri e nelle delizie si ritrovavano imIo
mersi. Io
suoni e
canti per
quelle
donne
le quali,
mentre
sono in pace e in concordia con i loro mariti, dormono seco volentieri; ma caso che nasca tra essi, come qualche volta suole ac-
cadere,
letti
tare.
sima cagione di
quistando e
Giunone, quando
e di racchetare
ella
e la
amorosL
le discordie
Oceano con
il
la sola
marito
nel tem-
pio della dea Viriplaca, nel cui cospetto trovandosi soli e allegando Tuno e Taltra le sue ragioni, in buona e amorevole concordia
se
ne tornavano a
tanza per
il
casa.
profitto e
Il6
viri
Graeciae celebritate habebantur, de Graecorum concordia faIste noster orator nobis omni
cienda peroraret, Melanthus ait
iure
ut
foederemur, persuadere nititur, qui se tamen ac uxorem
bus,
atque ancillam, tris dumtaxat, ut invicem consentiant inducere
:
non
potest.
pedisequam maiorem
in
cum Gor
modum
deperiret. Philippus Olympiadi atque Alexandro diu subiratus fuit. Interim Demaratus Corinthius e Graecia revertit, quem postquam de concordia Grae
gias
corum Philippus
mum,
uxore et
in gratiam redieris.
Itaque si qua liberos et administros
componere cupiet, in primis cum marito consentiat, ne quod in
filio
eis
hactenus.
DE
CARITATE
amet velim, ut
possit,
cum
sit.
Ad
intellego.
Omnibus enim
in
i.
si
lip.,
2.
PLUTARCO, Reg.
off.,
n, 13, 44.
et imper. apoph.,
Phi
FRANCESCO BARBARO
117
li
tissima.
eccellentissimo, cer-
Melantho ebbe a
dire:
si affatica
per far che noi ci rappacifichiamo tutti fra noi, e non si ricorda
che egli, la moglie e la fante, che non sono se non tre persone,
non possono mai esser d'accordo insieme. E questo procedeva
dal gran martello che avea la moglie, accorgendosi che Gorgia
mi pare, disse, o
Filippo, cosa molto inconveniente che tu ti pigli tanto affanno e tanto pensiero della unione di tutta la Grecia, e che tu non sii ancora
con
in altrui.
allo
amore
moglie, la cui
la
grandissima
come
debbe essere
dignitade e la
attestano molti
uomini
tra
il
immensa
dottissimi,
cipalmente osservar
non
il
si
modo
come diceva
vare a
cio,
un contadin da poco, se egli vuol parere d'essere vauomo ? Similmente quanta astuzia e quanta arte si conviene
che adoperi
lente
che
Il8
agriculturae,
meis
nescit. Hi, si
quam
tius,
si
quoniam
in
omni genere
famam
assequentur. Et
agrum
colat,
hominum
valetudini
sollicitas,
variis ip-
Nam
et se-
Saepenumero angor
stia,
levatur, quasi
polos
cum
et animi
partiens
mole-
communicansque exhauriet
vel
leviores
et scrufaciet.
permolesti fuerint et altius insederint, vel tantum requiescent quantum cum marito familiariter suspirare fas erit. Sic de-
Quod
si
nique velim
cum
ex duobus. 1
Hoc
i.
Cfr. CICERONE,
De
off.,
i,
17, 56.
filias
suas nubere
FRANCESCO BARBARO
IIQ
usare
degneranno
facilmente e con
piii
mag-
gior certezza che se tenessero sempre i banditori della loro ambiziosa estimazione accanto, la vera stabile e perpetua laude po-
con
la
destrezza della
quattro piedi
mento suo
si
li
aminlo, dico,
rito,
prospere
si
con tutto
lo affetto e
mo do
Facciano in
che
con tutto
egli
Per
qual cosa
la
buon senno
il
ma-
lo intrinseco
si
Perocche
contristino.
congratularsi nelle felicita ci e molto caro, cosi la consolazione nelle disgrazie e nelle tribolazioni accadute ci suole esser
siccome
il
che
il
marito, quasi
compagno divenuto
degli af-
fanni di
la
lei,
di
suoi sospiri.
modo
col marito
Laonde bramo
io
che
le
donne procedano
e,
solo.
uninchino
come
La
si
I2O
paterentur,
nisi
ostendissent.
quibuscum
Nam
sibi
virgines ipsae
ratum
enim compa-
usu probatum esse commemorant, omnes actiones, praeter admodum paucas, in curriculo
temporis fieri; nee enim contingentes ignem statim comburimur, nee ligna medias inter flamet
mas congesta
quam viatores
Studio igitur
tur,
augeatur
et
1
qui caecos ducere quam videntes sequi malunt.
sponte sua mutuus amor quaeratur, custodia-
quibus dictum
est.
DE MODERATIONS
Reliqua pars
est
semper custoditur
i.
PLUTARCO, Coning,
praec., 5-6.
et conservatur.
maritis gratissimum
victu,
est,
sed etiam
Ea in uxore
maxime
constare
congressu
videtur.
FRANCESCO BARBARO
e
121
si
grati. Si
vede naturalmente
e si
che tutte
subito
le
non
i
popoli predetti hanno
suol far degli amici, cosi le
nella elezion del marito debbano accettar quello che esse
si
awampano
donne
per
si
la
qual cosa
come
si
Queste
tali soglio io
pasta pigliano
si
sforzano ad indurre
assomigliare
il
il
ai pescatori,
pesce,
attonito divenuto riesce insipido e ingrato alia bocca, in che paiono
li
quali vogliono piuttosto guidare i ciechi che
che
hanno
Cerchisi adunque
buona e acuta vista.
seguitar quelli
dalla propria volonta di ambedue lo amor reciproco, il quale di
imitare quegliuomini
circa
il
modo
il
alle
donne
marito. Conciosiache
io
suo debito siano facilmente per trovar la via per la quale elle possano amore, fede e riverenza verso i loro mariti dimostrare.
DELLA MODESTIA
Abbiamo ora
come
il
fon
122
creditur.
De
qua vel ingenio, vel doctrina, vel usu perexponemus. Et duo ilia superiora quae eiusdem
quibus
cepimus, breviter
si
Ante omnia certissima mentis effigies vultus, qui nullo in animante nisi in homine reperitur, probi, reverentis et continentis
animi signa praeferat. In eo enim quos alioquin natura penitus
recondidit mores facile deteguntur, is profecto pleraque alia citra
sermonem
indicat et declarat.
morum habitus
confisi,
multi de uniuscuiusque natura percipienda praecepta traAt nimis expatior. Placet igitur omni loco, omni tem-
diderunt.
pore, coniuges
si
incessu,
si
modestiam prae
totius
se ferant. Id praestabunt
si oculis,
tiamque servaverint. Oculorum enim evagatio, festinatior progresmanus ac omnis ceterae partis nimia mutatio sine dedecore
sus et
non possunt
semper coniuncta
fieri
et
cum magna
re gaudium ac dignitatem diligentia vindicabunt, negligentia perturbationes et vituperationem vitare nequibunt. Minime tamen
velim sit ingrata facies et aspectus contumax, sed mansuetus, nee
ineptus corporis motus, sed comis gravitas appareat. Id non negligenter observandum praeceperim, ut a soluto risu temperent, qui
cum
si
in
omnibus
quando
turpis
sit,
modesta
quod
risus significa
erunt.
i. Per tutta questa parte cfr. CICERONE^ De leg., i, 8,26 sgg.; De off,, i,
e probabile che il Barbaro avesse pre34-36, 125-32, e 29, 103 sgg.
sente anche il De ingenuis moribus del Vergerio.
Ma
FRANCESCO BARBARO
quotidiano commercio
si
comprende;
ma
123
il
volto e quello che tiene in se piu veri e piii certi segni della effige
delPanimo nostro. In quello adunque i secreti del core, che la
si
e simili. Di qui nacque che alcuni nei soli lineamenti della faccia
fondandosi, della natura e complessione altrui volsono dar giudicio.
Ma
io
elle fare
agevolmente se nello
stare, nello
si
conviene
al
decoro dei luoghi, dei tempi e delle persone con le quali si troveranno. Pero che lo andar veloce, il vano aggirar d'occhi, il
mover spesso le mani senza proposito, lo scrollar del capo, e tutti
distorcimenti della persona, senza nota di biasimo e senza
qualche significazione di leggerezza non si possono fare. E per6
debbono le donne in ogni suo gesto e nel proceder loro servare
gli altri
la debita gravita,
e essere
molto circonspette in
non mediocre
ci6
che dicano
dagli
non potranno
nel
viso austere
che
elle
dimostrino
si
voglio per6
ma
1'esser
o
cerchino
oltra
affabili,
discrete,
dispettose,
superbe
mansuete e gentili, di portar anco nell'aria quella certa grazia che
facendo
schifare.
la
Non
suole indur
gli
uomini ad amare
e riverire altrui.
Guardinsi ancora
piacevole, dovera lor bastare, secondo la occasione, di far modestamente mostra di sogghignare. Usava Demostene, con lo aiuto dello
seguire da lui
e
sempre con
si
dovesse.
somma
Cosi vorrei
io
che
le
124
Quotidie velim speculentur et cogitent quid dignitas matronarum, quid severitas postulet, ne quid decoris ab eis desideretur.
Spartanas uxores operta facie, virgines autem aperta incedere
solitas
accepimus.
Hanc
Qua de
re Charillus
Lacedaemonius quaesitus
rent
rumor
Ast nos, qui mediocritatem sequimur, libepromulgamus. Nee enim velut in vinculis coercendae sunt, sed ita in apertum prodeant, ut haec venia, quam
sibi praestamus, virtutis et probitatis suae testimonium sit. Uxores
dissipatur.
tamen cum
Ilia
Soli
viris
longe secus
quam cum
Sole
Luna
se habeant.
tineant
et
honestum
re-
DE LIBERORUM EDUCATIONE
Restat educatio liberorum, pars uxorii muneris fructuosa et
longe gravissima. Nihil enim propemodum prodesset in compa-
i.
PLUTARCO, Apopht.
te$,pr. z.
laconica, Charill., 2.
2.
PLUTARCO, Mulier.
virtu-
FRANCESCO BARBARO
alia dignitade, al sesso e al
125
conven-
si
dimostravano.
Carillo
Lacedemonio
della
cagione di cotale usanza, rispose che i suoi maggiori avevano conceduto alle giovani questa licenza affinche phi facilmente si potessero trovar marito. Dall'altro canto poi lo proibirono alle sposate,
per far loro intendere che non avevano piu a cercare mariti,
bene a custodire e tenere buona cura di quelli che avevano
Da
deva che
donne
le
altro di loro
il
parer di Gorgia,
il
ma
.
si
quale persua-
se
che la
ritirata
Ma
alle
donne eziandio un poco piu larghe leggi concediamo. Connon mi pare per6 ch'elle si debbano tener chiuse e le
una
ciosiache
gate
come
in
una
prigione;
talora in pubblico,
vedere;
quando
ma
fattasi
molto giubilante
si
alquanto da
dimostra.
si
nasconde e non
lui lontana,
si lascia
Le mogli adunque
in presenza de
Segue ora che io parli del modo che si debba tenere in allevare
costumar i figliuoli [con che intendo, M. Lorenzo, a questo
utile,
ma
126
randis pecuniis rei familiaris diligentia, ut antiquus ille Crates dicere solebat, nisi in educandis et morandis filiis, quibus relin1
quuntur, studium et praecipua quaedam opera impendatur. Hac
etiam de causa parentibus, quibus nihil est quod non debeant
liberi,
maxime
deantur necesse
devinciuntur, a quibus et deserti et destituti viest, nisi genitis ipsis enutritionis et institutions
quidem auctoribus
vitae,
quam
facturi
sumus
si liberaliter
Qua
in re,
si
educatis morate
cuncta animo et
cogitatione lustraveris, invenies, si matres ab ipsa natura non deeducandi munus obvenisse ut id sine iniuria mul-
pensum
in natos
amorem
si-
vix a nobis
cum
tum numerum
scatentes constituit, quibus infans irriguus sensim membris augeatur ac vegetior sit. Duplices etiam mammas ideo concessisse quo-
dammodo
ac nutrire queant in
promptu
sit.
gentia,
nam, cum
ceteris
commodeque
pere possint. Sic enim ipsis non solum necessitate, sed singulari
i. PLUTARCO, De liberis educandis, 46.
Tutto questo capitolo e steso
avendo innanzi PLUTARCO, De liberis educandis (e talora il De amore prolis),
che qui si indicano una volta per tutte, ricordando che il Barbaro di con
frasi.
FRANCESCO BARBARO
12J
rebbe
la industria e la
diligenza in acquistar le ricchezze, se, come
diceva quello antique Cratete, nel nodrire e ammaestrare i
figliuoli,
hanno a
ai quali elle si
sono
ai
gati.
Onde potrebbe
non
lasciare,
si
figliuoli,
gli
sentono obbli-
da
quelli
e sprezzati e abbandonati, se
questa cura della diligente educa-
che
la
questo uiEcio
ama sempre
che
natura in
un
e,
modo ha
certo
modo
io parlerei del
che
si
formano
istessa
principalmente dato
alia
comportasse, e se la natura
scosto, che quello. che ella giudicb non potersi vedere senza schifezza e vergogna, da noi similmente con onesto decoro non si
pu6
dichiarare.
non
addietro
le quali
lasciar
alia debita
si
che parturiscono
mammelle a
pigliano
il
nodrimento del
il
guisa di
due
natura a tutti
gli
animali
riempiendo di esso
le
figli
cibo loro; e
accadendo che in
madre abbia
in se
il
somma
providenza da
incredibile nelle
lei
Le quai
cose
ordinate, parrebbono
amore
la
latte,
agli altri
animali
fanciullo, quasi
le
mammelle
modo
il
che
latte e
elle
sotto
il
ventre,
possono in un
abbracciare e baciare
128
tristi
summa
enixa
ut
est, lingua,
non modo
possit.
mida hinc
si
recusent velim, ut optimos in senectute socios, adiutores, educatores assequantur. Integrae igitur si matres esse voluerint,
quos
pepererint non reicient, sed ut animis et corporibus filiorum provideant eos alent, eis ubera porrigent et quos ignotos proprio
nutrierint sanguine, iam in lucem editos, iarn homines, iam notos,
et a se quibus possunt modis non modo nutricis, sed
iam caros
Ca-
quae in hanc
amoris incrementum
est,
ut benevolos servorum
et
filios infanti
Quam ut
suo
imitentur
infans et coalitus sit. Nullum enim aptius, nullum salutarius nutrimentum apparet, quam ut idem sanguis, qui plurimo spiritu
calore incanduit, genitis notus et familiaris victus offeratur.
Cuius ea potentia est, ut in effingendis corporis et animi proprietatibus ad seminis virtutem propissime accedat. Quod multis
et
ovium
quam
seminis; ex his
FRANCESCO BARBARO
I2Q
Non abbiam
che
noi da
Omero
bene, di continue
figliuoli stessero
E morendosi quasi di fame, toglieva il cibo a se medesima per darlo a loro? Di gravissimo castigo adunque saranno
degne le madri, se la cura e il governo de lor figliuoli non averanno a cuore. Pero elle non debbono ricusar fatica alcuna per
rava la vita ?
modo
allevargli e istruirgli in
gia preparato
il
sita naturali si
sostegno, la
possano rallegrare.
come sogliono
Non hanno
le
madri a vergo-
a'
il
assai piu
delPumore che da
lui succiano,
che
130
laetas et comantis, si
praeditas
exquisite
stituendas existiment, ne tener infans corruptis et moribus et
verbis imbuatur, ut cum ipso lacte turpitudinem, errores ac im-
puras aegritudines sugens, ex corpore et animo degeneri, pernicioso contagio inficiatur. Quemadmodum enim infantis artus
formari et componi facile possunt, ita ab ineunte aetate mores
alumnis accuraapte concinneque fmgentur. In deligendis igitur
tiores sint. Haec aetas, hie animus, mollis adhuc ad effingendum
facillimus est. Nam ut sigillum teneris ceris imprimimus, sic in
recte
Cuius ingenium
morbi
et natura
prudentissimus vates
quam
efficax
sit,
celari solent.
Maro demon-
sed etiam
strat, apud quern Dido cum Aeneam non modo ferum,
Idem
ubera
admorunt
ferreum vocet, Hircanae, inquit,
tigres
saevum
detestatur
cum
iucundissimus
poeta Theocritus,
quoque
.
Quo circa
alere,
satius, honestius,
quos summa
mammas
alumnis hanc
stitutis
sit,
officii
sui
posito et
mercenario
Primum
in
Deum
ipsum immortalem,
Deum
humani
cum
aequalibus
faciles,
cum
cum
minoribus
Omnis
itaque vultu, fronte, verbis denique comiter excipiant, optimis autem familiarissime utantur. Cibi potusque temperantiam sic discant ut ad futuram aetatem omnis
fuerint.
iv,
367 (ma
citato
da GELLIO, xn,
i,
illas
20);
effugere
TEOCRITO,
FRANCESCO BARBARO
del
seme onde
;
se
13!
sia
mediocre
come spesso interviene, da giuste e oneste cagioni impenon potranno, debbono almeno avere grandissima
awertenza, in far buona e diligente elezion della balia, la quale
deve essere di onesto legnaggio, non sciocca, non ebbriaca, non
pure,
dite,
cio far
impudica, ma savia, discreta, costumata e da bene, affinche il tenero fanciullo non abbia da infettarsi di corrotti costumi e a pigliare, nel
uomini
degli
aveva
allattato.
Or dopo che
figliuoli
saranno
alia
debita eta
le
umani
Circa
li
cibi poi
debbono
mare
le
il
abitudini,
1'eta in cui
sigillo si
della nutrice.
132
animum
lis
studiis
cogitationem adhibeant, quae grandioribus factis decori, usui, iucunditati sint. In his si filios genitrices erudire potuerint, longe melius ac facilius adiumenta doctrinae liberis comet
piens
eos,
ille
cum
nem
non
instituant, in
tigerit,
ea execrari reformident.
Quos enim
adulti
non
irridebunt, qui id
quique
facile iurant
i.
De
lib.
educ.,
14 be.
forum
FRANCESCO BARBARO
133
ancora di fuggir quei piaceri che hanno in se qualche macchia di lascivia. Applichino 1'animo e i pensieri loro a quei studii
dai quali, per la grandezza dei fatti, e onore e grandezza infinita
possano conseguire. Se le madri in queste cose potranno i figliuoli
zinsi
momento
che
comandamenti
principi fanno e porgono ai sudditi loro gli sono sempre e di maggior rispetto e piu grati, che non sono quando da altre persone
il
di grandissima laude degna reputata, per avere nella eta sua matura dato opera alle scienze, affinche ella potesse meritamente,
non
i suoi
figliuoli non sieno dissoluti nel troppo
non siano nel parlare insolenti e temerarii, ricordanappresso di non perrnettere che essi usino quelle sporche pa
ancora
le
madri che
ridere, e che
dosi
role, le quali di
cose
meno che
non per
con
voli:
li
sapendo
quali fieramente
i
contaminano
134
mendacium
illi
et garruli.
Disciplinae
illis
exploratum
tum
sit
enim impedimento
erit si
quod non
satis
adhuc adolescentis cum silentium incuminime molestum futurum est quoad ea didicero
quae taciturnitate digna non sint. Pleraque id genus, si quam
illud Catonis cuius
saretur:
Id, ait,
primum per
ac facilius ad
praeceptionem
infmitam esse dixerint, cui vix patres aetatis nostrae satisfaciant. His nihil est quod rectius
ipse respondeam, ne sane nobis
propositum fuit quid agatur describere, sed quid agi deberet osten-
sam
dere.
et
Quis
est
si
quemadmodum
tu, iustis-
forma,
divitiis,
beant?
Te
igitur,
mi
quisque
i.
Ginevra Cavalcanti.
FRANCESCO BARBARO
135
persuadendosi
alii
i
Abbiano sempre
parole.
tone,
in
memoria
il
che
il
che
ei
uomini
ascoltate.
li
noi
del
mondo
lodera
il
che, se
awertenza
al
di grado e di
Ginevra, giovine di virtu, di bellezza, di onesta,
E
ricchezze ornatissima e singolare, per moglie abbiate eletto.
certo
sorte, le cui
nenza, lo
moglie accettato
felice
gran
ottimi,
alia
136
procreetis.
videri possent,
quodammodo
acquiesceret.
sunt,
Nam
sicuti leges
nunc
meum
cumque
instar
me
quam
si
maximo
solum
civitati
in meis scrip-
emolumento
eis
cum a me disputantur,
te,
dicta sunt,
non
tui
commonendi, ut
initio dixi,
bonam
in
sed
partem
acceptum
certo scio.
iri
Quod
si
qua in
enim memoriam
tantum
et
sum
longe et fructuosiora
ut
sic dixerim, monile
itaque uxorium,
hisce nuptiis tuis a me libenter accipies, quod vel eo magnifacies scio, quod eius generis est ut non quemadmodum cetera
et graviora facta sint.
Hoc
possit, vel
quod ab optima
fide ac
animo
certe
FRANCESCO BARBARO
Pertanto se
alia vostra
chiarsi,
137
ella
sicalle
quando
il
si
grandissimo siano per conseguire. Ma acciocche dove egli cominci6 cosi anco in voi, M. Lorenzo, finisca questo ragionamento
dico che voi avete inteso il mio parere intorno a quelle cose che
;
alia
moglie appartengono.
Le
quali pero,
come ancor
dissi nel
ma
non per
istruir voi,
cosa alcuna dotta e elegantemente scritta, al dignissimo e eccelM. Zacaria Trivisano, non mai abbastanza dalla mia lingua
lente
dalle
lodato, e ai limpidissimi e copiosi fonti delle lettere greche,
sussidio ricevuto,
mediocre
non
aver
confesso
ingemiamente
quali
si attribuisca. Laonde io mi rallegro che in pochi mesi da
voglio
me
spesi in appararle,
raccolga. II
da fanciullo con
sommo
ardor deiranimo
da
me
per insin
Piseguitati, rientrare.
diro
diuturno.
caduco, fragile e di poca durata; ma fermo, stabile e
ridovera
si
E quando per altro ei non vi fusse grato,
egli essere
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
BUONACCORSO DA MoNTEMAGNO, pistoiese, morto non ancora quarantenne nel 1429, giurista di fama, lettore allo Studio fiorentino
dal 1421, ambasciatore della repubblica nel '28 a Lucca, e poi
presso
Fieschi e
Fregoso,
ci
ha
lasciato
un
trattato
De nobilitate,
esempio di un genere che nascondeva dietro Tesercitazione retorica 1'impegno fortemente sentito per una questione
essenziale. Lo scritto di Buonaccorso, dedicate ad dominum Carolum de Malatestis, ci presenta due giovani romani, un Publio Cornelio e un Gaio Flaminio, che gareggiano per la stessa fanciulla,
fondando su opposte argomentazioni la propria eccellenza. Lo
scritto, molto diffuse nel '400, ebbe presto due volgarizzamenti,
uno dei quali attribuito alTAurispa. Sempre a Buonaccorso sono
attribuite alcune orazioni pro L. Catilina contra M. T. Ciceronem,
ed altri consimili esercizi retorici. Opera sua dichiara Cristoforo
Landino anche le orazioni pronunciate dal Porcari in lode della
giustizia (n e da stimare poco Bonaccorso da Montemagno in
quelle concioni le quali in laude di Giustizia per antica consuetudine ... si fanno ), che ebbero fortuna grandissima in tutto il
sec. XV, come attestano i numerosissimi manoscritti.
caratteristico
temagno
il
italiana
Aurispa,
No to,
DE NOBILITATE
Audistis, patres conscripti, nobilissimae Lucretiae sapientissiopinionem, ut nostrum nobiliorem elegit. Ausus est itaque
mam
maiorum suorum
fortia
facta
falsis
homo hominem
Nam cum
antecellit.
praestanclaritudine animi
homo animi
quidem
cum bene
de
narum
cura, aut
parentum
pietas,
aut
amicorum benevolentia
Non
ergo divitiarum cumulus aut amplitude generis dare aut arripere nobilitatem potest. Est enim propria sedes nobilitatis ani
mus,
quem
imperatrix
ilia
rerum omnium
natura,
non ex maiorum
mano
di Lucrezia: Lucrezia dichiara che sposera il piu nobile. Davanti al Senate Public Cornelio dimostra che il piu nobile e lui perch
la
Prende
LA NOBILTA
Voi, o padri
coscritti,
nobilissima Lucrezia, siccome ha eletto il piu nobile di noi, e siccome Cornelio ha preso ardire di farsi piu nobile in generazione
e in ricchezze, e come ha disegnata la nobilta e percio ha predii gran fatti de'
maggior suoi e ha manifestate le ricchezze
abbondanti da' suoi antichi predecessori lassateli. Questo tutto
conteneva la sua orazione. Niente di se narrando, perch6 non
cati
cosa e, se non una certa eccellenza per la quale i piu degni fatti
vanno innanzi a meno degni. Siccome adunque 1'uomo per la
virtu dello animo e piu degno che tutti gli altri animali, cosi per
chiarita dello animo 1'uomo avanza 1'uomo. Imperciocch6 quando
}
con pieta,
con costanza, con magnanimita, con costumi, con senno, sara
chiaro e illustre, quando degli iddii immortali, de parenti, delli
amici, de' cognati e della Repubblica pensera, quando nelli sacratissimi studi delle lettere sara ammaestrato; certamente allora
sopra tutti
gli altri
qual cosa essere Cornelio, conciosiache de' suoi maggiori parlasse, poco innanzi diceva.
per lo contrario, quando sara corrotto per pessime arti a malvagita, a crudelta, a ignoranza e a di-
Ma
pu6 dare n6
torre la nobilta,
imperciocche
propria sedia della nobilta & 1'animo, il quale la
natura, imperatrice di tutte le cose, egualmente mette in tutti i
la
immagini
egli te le
144
tatemque dispositus. Nemo in hoc Optimo et praestantissimo munere humanitatis, naturae largitionem accusare potest. Aequalem
hunc animum praebet, neque genus, neque potenNee quisquam tarn inops tarn
vilis aut tarn abiectus est, qui ab initio nascendi non parem cum
Regum aut Imperatorum filiis habeat animum, qui non ilium
enim
singulis
tiam,
neque
divitias animadvertit.
Num
stim
clari
nobilesque evaserunt?
quorum mihi
Nonne
illi
illi
claruit ingenium, ut
et
ad
urbem
summum
ampliavit,
atque adultus
summum
etiarn
quo tarn egregie versatus est, ut et Sabinos subicere et ter triumphum agere, et tres montes huic urbi adiungere, et dignitatem
magistratuum augere meritus fuerit?
Marcus vero Portius Cato, a quo Portiae gentis proles cognomen
atque originem traxit, apud Tusculanum vicum agresti quidem tugurio natus est. Huius tamen tanta fuit in hac urbe dignitas atque
auctoritas, ut
omnes
quam
litterarum
civium veneratione
fuit,
ut sapientia sua senatorium ordinem auxerit, et ipsam quoque senatus maiestatem suo splendore decoraverit. Nonne Marium humi
mum
ortum
traxisse
et
quaestor
fuerit,
ut lugurtham ipsum et
Bocchum Maurita-
primum
victos fu-
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
145
nato,
coloro
m'abbonda
di dire
De
Ma
dironne
ebbe
il
lano in
soprannome
un
senno
si
Or non vedemmo
sopra
le
nella battaglia di
sole,
146
lugurtha, et Romam ante currum perducto, ingenti gloria triumphavit Postea cum Cimbri copias Romanorum disiecerint ita ut
timor
fuit,
Romae
est, et
unquam mortalium
et
genere
illi
verum ex
nobilitas,
compertus
est.
Non
itaque contrahitur ex
quorum
adeo
nunquam
non modo
insita
enim
cla-
ut eos
quidem suo sed beneficio Cicerei, qui patris scriba fuerat, praeturam semel impetrasset, adeo propinquorum suorum favorem
habuit, ut nihil
ne aliquo
unquam
flagitio
dolentius audierint, et
cum
vererentur
ita
Corne-
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
147
Roma
Roma,
tempo d'Annibale, per paura che i Franciosi non assaltassono un'altra volta Roma, Mario fu fatto
Console, e perche
si
fusse al
fine, vinti
Roma.
Socrate ancora, uno solo onore della umana
sapienza, per la
dottrina del quale tutte le scuole de' nlosafi sono illustrate e niuno
degli uomini mortali phi dotto e piu savio nel tempio
di Apolline fu
giudicato, non nacque egli di madre levatrice e di
giammai
? Ed
Euripide, il quale tanti
elegantissimi versi compose, e Demostene, sopra tutti i filosafi
ed eloquentissimo sopra
illustrissimo
tutt'i
adunque
uomini
poeti greci, or
ma
di padre e
non
non
o che
bono
stati
quali nacquero
e vilmente.
chiarissimi
ancora non
si
si
umilmente
figliuoli di
e viziosamente sieno
vissuti,
ma
con sua
Antioco
mand6
sache*
vilita
re,
gli
Or
non avanzo
vitu-
vilissimamente con
fusse perdonata la
illustri,
la
ie
vita..
padre?
il
quale, preso da
E temendo
la carica,]
148
liorum familiam pollueret, nunquam ilium ius dicere aut praetoriam sellam in publico ponere passi sunt, tantam sciebant in eo
imprudentiam atque secordiam. Publius etiam tuus Scipio Bestia, cum in Numidia contra lugurtham consulatum ageret, qui
reges Atherbalem et Hiempsalem, regis quondam Micipsae filios,
amicissimos populo romano, in contemptum senatus inique trucidaverat, sic ignave exercitum duxit, ut nunquam copiae nostrae
miserius aut flagitiosius vixerint. Deinde consul ipse, a lugurtha
qui,
profuit paterna
claritas,
et
sibi
quin
Hortensii, viri
clarissimi,
deductus
est,
dentia prostituerit.
hi
fuit,
quo praestantius
maiorum suorum
tum imagines
lumen nobilitatis
quorum
rarent? an putas et id
quicquam
laudis
vita eo
extinxeriint ? Quid,
eorum
si
paren-
commemo-
flagitiis afferre?
rectius dices
sima labes reipublicae. Illi quidem patriae honorem atque incolumitatem afferebant; hi vero dedecus ac pericula civium conglutinabant. Illi ex variis cladibus collacrimantem patriam aut dubiis
quandoque
periculis
nutantem
hi vero
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
e cosi vituperasse la
Casa
de' Cornell,
149
dire o se-
tuo Public Scipione Bestia, conciofussecosache console fusse mandato in Numidia contro a Giugurta, il quale in dispregio del Senato
di Roma aveva morti Aderbale e lensale re, figliuoli del re Micipsa,
al popolo di Roma, tanto laidamente condusse lo esercito,
che giammai non fu uomo che piu miseramente e piu debilmente
a nostra gente comandasse. Dipoi esso consolo per pecimia corrotto da lugurta, una vituperevole pace fece con lui, la quale il
amicissimi
Senato di
Roma
Allobrogo,
nasse,
il
sedea?
vita
e'
non difendessono
la loro
esemplo di virtu,
miseramente e iniquamente Tabbiano adoperato? Io giudico a
quanto che, avendo dinanzi dagli occhi suoi
blica per
mento
blica.
gna
della
Repub-
Coloro in
tutti e'
vergo
dubbi, pericoli e
con
vizi e
si
sforzavano. Quali
adunque sono
150
hominum
carere?
merita ?
Num
eorum
et
quidem
perveniret,
e societate
si et
cum maxime
ad
in
mortalium delen-
patrum
variis suppliciis
primus vindex
est
libertatis
rei
exemplum
necari iussit. Item et Cassium, qui filium affectantem imperium populi romani verberibus caesum interfici mandavit.
Deinde Mallius Torquatus civis noster clarissimus, qui, cum
filios
apud senatum
crimine,
ita
de
filio
immeritum pecuniam
Non
indignum iudico.
verum
ex beneficiis paternis
illis
munere
est
non
iniuria
igitur
omnium civium
mos optimi patris
et
abicere et abhorrere.
socie
Nullum
flagi-
ergo
in oscura
maiorum gloriam
meum
suorum
Sillanum filium
cum
pronunciavit:
Et
si
cum
vitiis
constare potest.
Omnis
propria
Sj
Corneli,
quod
si
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
in
una costumata
utile alia
piu
rebbe
citta
merit! di
tali
151
questi cittadini?
Or non
sa
loro padri piu dolce cosa e piu cara non averli generati,
se pervenisse il nome di questi loro figliuoli alle loro anime, spea'
rebbono questi
tali,
figliuoli
da essere
blica,
il
ritenuta pecunia, solo prese la cognizione della causa; dipoi, conosciuto il difetto e '1 peccato del figliuolo, contro a Decio Sillano
Ne
si
conviene a quelli
tali
dello specchio, cosi ne' viziosi e scellerati figliuoli non pu6 riCornelio, vanamente pensi
splendere la virtu de' loro maggiori.
la gloria de'
come
nobilta
pu6
compagna
della virtu,
con propria
Adunque qualunque
E se i
generazione non predica le sue ma 1'altrui lode.
ricevono il sangue e '1 corpo e le interiora de' loro maggiori
ria della
figliuoli
vendicano a se
la nobilta, della
quale la pro
ne lassa ai
se
niuna
animo
parte
pria sedia e 1'animo; del quale
chiari, di superfluo
se gli
sono ignorant! o
uomini
dotti
viziosi, gli
uomini
dotti gli
chiamano vitupere-
152
Nee quid
vulgus animadvertendum
reor,
ad nobilem
et
cum
sapientia convenit.
pauperior
fuit, viro
instituerentur, nihil in
deferri posset ?
est,
Nunc
Nonne
patrimonio inventum
quidem
cum
sit,
ignarum
in errores
vero
M, Agrippa
Quis enim
est
praestanti
publici census
quod
in aerarium
natum vitam
ruri
urbem obsidione
liberavit,
et se in
vocaverit,
ille,
delitiae civitatis,
diret.
Hosne
quorum
cum
paupertate nobilitas
esse liberalitatem!
Cum
enim
viri
illi
nullam
cum
pulcherrimis muneribus
reipublicae amicorum opportunitatibus subveniebant, cum civium
atque
ei
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
153
voli e indegni
la gloria e
padri.
la cui
si
verta.
nello erario?
Or
Re
pubblica; perche alia morte sua non lasso alcuna pecunia, bisogno che gli fussero fatte 1'esequie de' beni del Comune. Quinto
sono posta
libero
1'oste loro
Roma
appie delle
di quello assedio,
mura
ma
Penestrini aves-
di
quelli, scacciati
con vigorosa
forza appie del flume d'Alba, sconfisse; dipoi, otto citta le quali
erano state compagne de' Penestrini in quelle guerre, e ancora
essa oste de Penestrini sconfisse essendo fatto dittatore; le quali
j
e,
salv6 la Repubblica!
E non pertanto ne dignita di consolato, ne bellezza di citta, ne
ricchezze, ne onori acquistati nella battaglia, il poterono ritenere
che ritornasse
al
al
che
il
quale
non
gli
dica nobilissimi, per li meriti de' quali la nobilta e stata conservata alia Repubblica? Manifesta cosa e adunque che la nobilta
colla poverta e la poverta colla nobilta
non pensino,
possono
stare.
Oltre a
quando
quelli
uomini
do
non po-
clarissimi difendevano
la patria e
154
suorum
beralis.
fiat
officio
Magna
ergo
est.
pauperis libe-
valeat afferre.
non
Nam
esset virtus,
quidem homini
si
nee ullum
electio.
Quamobrem
de-
qui opibus suis caret. Vera autem hominis claritudo nulli casui
subiecta
est.
Item
viri
illi
excelsi,
nunquam
quando oriuntur gloriosissimi; si in paupertate atque inopia vimaximus nonnunquam refulsit virtutis splendor; mani-
ventibus
festum
animus
est
Verum
atque
re
cundum
est,
quod
qua
mansuetissimam
intel-
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
ingiurie de' loro cittadini vendicavano
generazione di liberalita?
e'
155
somma
egli e necessario a
ben
fare che
e'
diventi tanto
meno
potente
pu6
N6
non sarebbe
nostra,
ma
contradia e stra-
nia dal benfare. Per la qual cosa, o Cornelio, rimanti del credere
che virtu, o liberalita, o nobilta alcuna sia in abbondanza di ric-
nobilta.
Ma
la chiarezza
figliuoli, e se
ma
della
nobilta, tra noi ci resta solo quistione della virtu. Nella quale
dicesse, accosa, o padri coscritti, desidererei che altri per
me
Ma
animi e
la vostra
tutti voi
156
Unde neque
ligitis,
Ego
ubi ex infantia
igitur,
meam omnem
studiis
magnam
primum
dulcium litterarum
accommodavi. Dein
adolescentiae
ali-
meae partem
in philosophia consumpsi, cuius doctrina nescio quid in vita mortalium laudabilius intueri possis. In quo studio non modo latinos
tum
profecerim, aliorum
cere possum,
nulli
quod
sit
iudicium.
unquam mihi
dies vacui,
neque
quaedam mihi
di-
ullae
a na-
rimorum discipulorum,
effici
honestum
molesta,
sit
desiderare
verum
queam. Itaque
vitia
nunc
vitae,
non modo
vero sociae
Etenim cum intelligerem praeclariora tantum fore mortalium ingenia cum ad rempublicam accommodantur, totum me
meae patriae concessi. Neque unquam postea illius salutem et amvirtutes.
plitudinem cogitare
culi,
et
Cneus Pompeius, vir clarissimus, romanae classis imperium gemihi decem ex rostratis navibus concessisset, ut contra
Orontem cuiusdam piratarum alterius inimicae classis ducem con-
reret et
festim dimicarem,
omnibus suis
infra
civis
et ita
cum
undique hie
astatis,
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
la vita dell'uno
falsita, e la veritik
lo
157
adunque in
mia eta diedi
scere, la
piu laldabile. Nel quale studio non solo ebbi maestri latini, ma
ancora mi piacque andare in Atene e accostarmi a quelli greci
prlncipi delle ottime arti; nella dottrina de' quali quanta perfe-
zione ricevessi
altri
il
giudichi. lo di
me
ben
ma
compagne
di
tinuo
mari, e
clarissimo,
fusse fatto imperadore del navilio romano, e dieci nave colle insegne mi desse, acci6 che contra Orronte, duca de' corsali e capitano delli altri navili nimici a' Romani, combattessi, or non lo
superchiai, vinsi e conquistai con tutte sue copie e
chezze, resistente egli con grandissimo sforzo? Or
somme
ric-
non ancora
mo
Or
che non ho
Quanto onore
il
mio vivere
io
disutile.
amici miei,
158
in
fidei, pietatis
parcus,
Quamobrem,
omnium mihi
gra-
hostis
summa
est
meorum operum;
in republica
foris officiosus,
in propinquos,
venerantissimus
fore
semper
studeo. His itaque artibus semper putavi nobilitatem consequi
in studiis
vendicare velis?
unquam
Quod ullum unquam
natum
esse intelligat?
tuo patrocinio
sit
Quis
mortalium,
usus? in quern
unquam
ut
qui te
hanc,
nondum
unquam,
quam
te
vel
tu adeo
extollis,
omni impudicitia
profuderis, quibus
clarissimam et familiam
stimas turn
maxime
semper
domum tuam
illam
clarus fieri
Cum
est
illius
luctaris?
dicasti!
At cum ita vivas, maiorum tuorum egregia facta praeFateor equidem in nostra civitate illorum claritudinem
maximam celeberrimamque
prudens, male
tibi
floruisse,
tuam ignaviam
quam
verum hac
recordatione, im-
detegis. Nihil
enim
detestabi-
dum,
cillimum
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
159
Cornelio, con queste arti sempre pensai pocon queste virtu diventare Panimo chiaro
studio d'essere.
postutto piu chiaro del tuo. Quali adunque sono i tuoi costumi?
quali gli abiti della tua vita? Che operasti tu mai che tu meriti
vendicare nobilta piu di me? Quale benefizio giammai da te la
al
mortale
citasti
estolli,
maggiori;
ma
tu,
dinanzi
ai tuoi
ti
l6o
Deinde putas
in republica
?
illam tuis
deturpes
tu ipse ignavus sis? Putas, somno, quiete, otio, epulis, libidinibus atque impudicitiis gloriam quaerere, quam illi tot labo-
flagitiis
cum
periculis
siti,
quaesiere? Vehementer
Necesse
erras,
est
enim
ut,
si
fulgere cupias, tu te ipsum facias illustrem. Frustra in bonis hereditariis virtus quaeritur. Inquire maiorum tuoegregiis titulis
rum
virtutcm descriptam invenies. Dicis, nihil eorum nunc exutis animis esse iocundius, quam
ut te, illorum sanguinem atque amorem, omnes reipublicae dignimensularias rationes;
nunquam
Ego vero
ibi
arbitror, si te
nunc ex
illo
fulgore luminis prospectant, nihil eorum gloriosis spiritibus detestabilius esse quam quod tarn diu flagitia tua hacc claritudo
patriae sustinuit; a qua,
si
una procul
Nee
educatus
abiecissent.
sis dicere,
cum
hie viverent, te
iam
ipsi
adeo turpiter
et
omnes repente
quod cum illis
spurcissime vixeris, ut
non
Deinde amplissimis
potest.
tibi ilia
dedecori
sint,
mea
Sed
nescis, miser,
quam
sint pulchra.
vituperas.
vero mihi
maximis sordescere.
quam
tibi
Quamquam
ego et publicis
magistratibus et ope militari maiora quidem habere potuissem,
nee volenti mihi unquam honestae opes deesse poterunt. Sed
quia nihil super honestatem cupio, dulci hac frugalitate mea contentus sum. Satis est habere quantum cupiam, satis est
cupere
quantum honestum
sit.
cedit.
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
l6l
Tu
rono con tante fatiche, con vigilie, con continenzie, con fame, con
sete, con caldi, con affanni, con casi e pericoli? Tu erri fortemente. Perch6 egli e necessario che, se tu desideri di risplendere
d'egregi tituli, che tu te medesimo faccia illustre. Invano si cerca
j
Tu
che ora
come
agli
loro sangue
Non
e'
ti
vivessono qui,
scaccerebbono.
vergogni di dire che tu sia nutricato e alleloro; che tanto bruttamente, tanto disonestamente se'
in
modo che nel mezzo de' bordelli e luoghi vituperevoli
vissuto,
da tutti se' giudicato avere vissuto. Ancora dici che nel tuo co-
buoni
vato con
dii!
ti
potr
li
rilucere
Dipoi tu
ma
la
mia mezzana
colo campicello e la
piu
il
per
le
per
ricchissime colonie;
masserizia, la
ti arrechino vergogna
te, quanto quelle tue ricchezze
e quanto la mia poverta mi sia bella, perche molto meglio e a me
fiorire nelle piccole cose che non e a te nelli tuoi grandissimi apio e delle pubbliche diparecchiamenti vituperarti. Avvengach6
cose potessi avere, mentre
ricchezze
militari
e
di
maggiori
gnit
o misero a
vorro oneste ricchezze mai non mi mancheranno. Ma perche" io non desidero fuori d' onesta alcuna cosa, con questa dolce
mia debilezza sono contento. Assai e a me che io abbi quanto
e assai e a me desiderare quanto sia onesto; che chi
io
che
io
desidero,
alia lussuria.
in questa
162
inter
quaecumque
vilissima,
vilescat.
quaecumque splendidissima
modicum
bene facere
volenti.
Qui non
sit clarus,
Non
meam
niam caduca
cum
quidem cum
virtute nobilitas, et
Hanc
tu, Lucretia,
non
ineptiae
non muliebres ornatus, non compta monilia, non splendidae vestes, non festivi chori cantusque placuere, singula quidem
puellares,
incitamenta luxuriae.
Verum
in rebus
Hac ego
humanis copulatius
ducis.
Hac
tu sola mihi
Nihil enim
est et amabilius,
similis illu-
quam
dorem
cum
agat,
alius
ad clarum
nihil in-
virtutis splen-
necesse
Tu
quam cum
est.
cum
ille
vero,
lit-
Quaenam
iis
flagitiis
ac tur-
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
163
non che onestamente viviamo? Tutte le ricraunano a ornamento sono vane fatiche. La virtu
vita desiderate, se
chezze che
si
ornamento
rizie risplende
uomo, ma
sie
Tegregio
Non
Non
sia
le
gogna e
'1
quale piu chiara rende la mia virtu. Rimanti di porre la nobilta ne' beni della fortuna, perche tosto vengono meno e sono
d'altrui. Egli e la nobilta colla virtu da essere posta, e la virtu
la
colla nobilta.
namenti
delle grandi
donne; non
le acconciature pulite,
non
le
splendide vestimenta non i festevoli letti, tutti invitamenti e incitazioni a lussuria. Ma da tutti i liberali studi della filosofia con
;
continenzie, con fatiche, con onesta, con vigilie, con sollecitudine hai condotta la vita tua piu onorevolmente che giovane al-
al
vorra usare
vedere
ed
lettere
egli inimicissimo delle
le
sue ebrieta.
ed
Tu
vorresti
egli, fra le
adunque
164
Ego vero
meos
inter pacificos
lares
omni
videbis, in
meam
aut
tibi
aliquando
quas mirabiles Atheniensium philosophorum praeceptiones audivi,
quorum equidem dulci memoria deiector. Nulla te unquam ab
his otiis distrahet familiarium
rerum
mihi
ad vitae
commoda
sollicituclo. Satis
affert.
non
Quod
poterit;
si
Nemo
tibi inter
animos turbare
solent.
Neque
tibi
etiam dulcissimi
et
amantissimi
amor
dulcius
est in rebus
humanis quam
quam
Vos autem,
patres conscript!, in
quorum
sapientissimis animis
Unus
cum
tandem
impudicitia, continentia
cordia, eruditio
cum
earum
sit,
nobilior
cum
exitus.
ignorantia, virtus
in vestra
nunc
libidinc,
cum
magnanimitas
cum
ignavia confligit.
sententia derelinquitur.
so-
Utra
BUONACCORSO DA MONTEMAGNO
Ma io,
cordia ?
quali se
pur non
ti
165
la
soprabbondassono
nelli
sono
tari
splendide masserizie. Quivi tu vedrai e leggerai commendi Greci o vorrai di Latini. Quivi spesso della no-
le
o vorrai
ti
riferiro
alcuna volta
memoria
dolcemente mi
de' quali
ci
dara da vivere
il
am-
diletto.
gli
Giammai niuna
ti
storra.
II
mio
tuito caso
virtu,
la
della vita.
Sicch6
per
che tu vorrai.
Niuno nel tuo riposo o ne' tuoi pensieri ti sturbera; niuno romore di scellerati sgherrettoni sentirai, ne alcuna paura del temeroso congiugio, il che suole turbare i castissimi animi delle matrone. N6 ancora i dolcissimi e amatissimi abbracciamenti ti mancheranno; n6 per quelli in alcuna cosa offenderai tua onesta; perche egli e una certa religione a conservare la generazione delli
e' non ti
congiugale amore congiunto con virtu. Certo
cosa
potrebbe avvenire piu felice fortuna a' tuoi desideri. Quale
e piu beata nelle cose umane che con pacifica e tranquilla festa,
uomini
el
con virtu
disideri vi dilettate?
quale tu ed egli egualmente de' tuoi
or vi pensate e coU'animo
il
giudicio di tanta nobile cosa risiede,
di
la sentenzia
vostro
questa disputa e quistione. As
riguardate
fortuna e
sai la vita, la
costumi e
gli
la
magnanimita
piu
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
Bruni
il
'34 e il '38 da Plutarco, da
Luciano, da Teofrasto, da Isocrate, da Giuseppe Flavio, da Senofonte, da Demostene, e le sue versioni sono a un tempo fedeli
ed eleganti. Raccolse
lui
II
compose un
mentre era a Ferrara. Ci restano di
Filologia
lettere e le traduzioni.
BADINI,
Lapo
stolario e le iraduzioni di
La
Un
di
le
A d clementissimum pairem
Fr.
in-
Complures
bellicis
ceteris
rum nulla unquam diu eodcm statu permanserit, haec sola nun
quam mutatis prioribus institutis, non variata administrandi ratione et forma, sed servatis
patrumque
vestigiis,
non
semper incorruptis
integra
modo
Christi,
maiorum,
magis
IN CURIA
Al padre
in curia.
Oo, o padre clementissimo, che molti, antichi e recenti, gravissimi ed eruditissimi, hanno considerate degna di somme lodi la
citta
d'Atene, fiorentissima
un tempo per
istituti
di
pace e di
guerra. Altri invece tentano di anteporre il principato degli Spartiati ordinato dalle santissime leggi di Licurgo. Altri levano al
cielo la repubblica dei Cartaginesi per le sue ricchezze di terra e
di mare. I piu tuttavia
Flmpero
non
solo lodano,
ma
addirittura venerano
Roma come
di
degli altri.
e debbano ancora meritatamente essere lodate da tutti. Tuttavia
io
credo che nessuna di esse possa paragonarsi con questa mola curia romana, n6 per divinita d'origine,
la
maestk
dir
cosi del sovrano, ne per la moltitudine
per
per
degli altri prlncipi, n6 per la loro eminenza e dignita; ne per Posservanza, il culto, la religione, e neppure per la sua saldezza, per
sua stabilita, per la sua durata. ,Nessuna di quelle altre repubbliche infatti rimase a lungo nella medesima condizione; questa
sola, senza mai mutare le antiche istituzioni, senza variare la forma
la
il
modo
sempre incor-
sando ormai
si
sono
estinte, o
non
solo
non
peri,
ma
il
supremo
non come un
terra. Di qui pu6
lo rispettano
IJ2
giose
esse
ipsum
rito
fortuna tern-
attulit.
pus
Nam cum
1
nalis,
post obitum
summi
integerrimi et religiosissimi
cum
illo
me
kalendis
in
liter
Nam
prandendum sive ratus, id quod erat, me nonnihil perturbatum esse, sive hoc ex tristitia vultus et taciturnitate mea
inter
per-
i.
II
per
la
H35
con
efficacia
F. P. Luiso, op.
cit.,
pp. 363-64).
2.
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
173
zionai furono
chi, e
stabile,
sono
solito
vorrei dire la folle temerita di alcuni malvagi, i quali con petulanza temeraria attaccano la curia romana corne se fosse un luogo
annoverando
di sconcia turpitudine,
tutti
curiali fra
ladroni;
ed avendo udito, come non puo negarsi, che in essa vi sono alcuni
uomini corrotti, vanno turpemente infamando tutti quanti, quasi
che altrove i malvagi non siano in numero molto maggiore, ed assai
piu perfidi. Percid, essendo io rimasto ormai per due anni e piu
nella curia, ed avendo stabilito di passarvi il resto della mia vita,
loro calunnie, e
ed
integrita,
che
la
te
arbitro con
somma
eificacia.
ma
ora
che fu
dopo
uomo
la
di
morte
il
caso
non mi
di quel
sommo
grande integrita
con lui, giunsi in curia
Me
dell'
a Ferrara ai primi
amico mio Angelo da
Ero
che
io fossi scosso,
e dal
mio
silenzio, si
fine
rose lettere di
Lapo
a lui.
174
meo incommode,
vivo
praesidio sublevari
riter pransi
maxime
oporteret.
surreximus a mensa
Quo
et in
atque
ita inter
modo
ductus,
erat,
herba consedimus
quodam
mecum
quem ego
post
ANGELUS.
Cum te
contemplor, Lape, et
cum vitam
ac mores tuos,
turn eruditionem liberalem considero, vehementer tua causa cxcrucior animo et fortunae in te magnopere iniquitati succenseo,
doleoque
te,
quem
regnant ac dominantur
ceteris.
Boni autem
ubique
ab-
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
175
deplorammo il danno
veniva privata dei suoi capi proprio nel momento in cui, affitta
e in pericolo, aveva particolarmente
bisogno dei loro consigli e
della loro tutela per conservare la propria
dignita. Avendo termi
nate
il
pranzo ed insieme
discorso, ci
il
alzammo da mensa
scendemmo
dente. Ripensando piu tardi alle nostre parole son venuto stendendo
nostra discussione in forma di dialogo, tentando di rendere fe-
la
ranno troppo ardite o inesatte, accoglile con bonta, e non pensare che io le abbia dette per amore di maldicenza, ma considerale dovute alia vita e alle abitudini degli uomini di curia. Cosi,
ANGELO. Quando
i
ti
amo
sopra
della curia,
nome
bitk,
mio,
quando
tua vita e
te e
mi
mentre
menzogne hanno
la virtu, la
pro-
non solo non hanno alcun prenon trovano neppure un posto. Dpvunque regnano e
ma
dominano
i
tutti, sia
la
mi dolgo per
la discussione.
sordidi,
furfanti. I buoni,
dotti,
puri,
moderati,
modesti,
E non
solo
176
nec
modo
maiorum
cere arbitror.
Equidem
te,
mi Lape,
et hortor et
primum non
aliter ac
me
missorum magnitudine
patria,
de
quid maiores tui, quid ante acta vita, quid denique opinio
civium tuorum efflagitent cogitcs, et quod op
te et expectatio
timum atque ex
te, relicta
LAPUS. Laudo
meae
laudis
te merito,
meaeque
me
Angele, et
dignitatis
unum
eundem
te
te
perspicio
nec
fugit,
ut est amicissimi
et
quodam
viri officium,
ilia
gnum
temporum
et
fortunae potissimum
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
vengono
tanza,
177
come
Quindi, sebbene mi
sia
dolorosissimo
il
tuo benessere,
al
mio Lapo,
incito, in
ti
nome
tutto accolga le
altrui consigli
ma
da saggio volgessi
al
la patria,
lo
Topmione e
1'attesa
LAPO. Giustamente
amico
con
te,
n6
io potrei
diversamente
s entire di
Non vorrei tuttavia che mi attribuissi tanta importanza da indignarti contro 1'iniquita dei tempi e della fortuna per
e tanto legata.
178
succensendum
et indigni, ut tu dicis,
satis conscius,
et illius
mea
ampliora debentur;
est.
tem, qualiscumque
tigisse duco,
est,
modo honestam
contemno meamque
satis
sor-
levia
enim
et ea perpauca,
ostentatioquaedam,
nem, sed ad explendam naturae necessitatem appeto. Ex his si
quid mihi detrahitur, aut minus pro voluntate conceditur, non
subirascor fortunae, sed indignitati meae totum attribuo, et me
primum
quid
sit
improbare, qui tarn cupide loqueris, ncc videris quid curia sit,
in qua tarn diu verseris, satis
nosse, nee quid coneris attendere,
vel ad
Num
agerem,
quid a sanae mentis homine,
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
179
ti sembra che mi
capiti qualcosa di ingiusto, per
mi renda conto che anche in questo ti comporti da
non intendi adularmi, vizio da cui la tua rettitudine
causa mia, se
quanto
io
amico, e
ma
che piuttosto
aborre,
Infatti se,
come
tu dici,
mia pochezza,
ben cosciente
qualunque essa sia, solo che sia onesta, sicch6 la sopporto con animo tranquillo e sereno. Ben poche infatti e molto
tenui sono le cose che io desidero, e non per ostentazione o splen
egregia,
dor di
vita,
ma
per soddisfare
tolto qualcosa, o
mi
si
Se poi
concede in misura
insufficiente,
alia
mi
ritiri nella
Io
farei, e
sassi
non
che tu
la curia.
sei spinto
In que
non pen-
dalFamore per me, o trascinato da un'innon potrei fare a meno, .per dir poco,
sufficiente informazione,
di disapprovare al
li
con tanta
che cosa
massimo il tuo consiglio. Tu infatti, che parnon sembra che conosca abbastanza bene
vivacita,
non dovrebbe
piuttosto trattenermi, o addirittura, se stessi altrove, chiamarmi e farmi venire ad essa. Che cosa un uomo di
l8o
vel ad opes et copias comparandas, vel etiam, si ita vis, ad perfruendas voluptates desiderari atque expeti potcst, cuius non in
curia
quam
essc,
aucupandac
tibi gratiae
quae dicis.
LAPUS. Minime omnium istuc a
me
requiras velim.
Non enim
ausim
haec iam missa faciamus, quae uteumque se habcant, nee disputatione nostra corrigi, nee aliter immutari posscnt, ct
coepisti et
late satis
meam spem
in
et
tibi
per
me
diggredi patiar,
m^um animum
nee
lieebit facere,
quandoquidem
quoad cumu
erexisti,
LAPUS. Deprehensum
meam
me passum
sermonem
maximam
me
difficultatcm
desiderio tuo potius quam existimationi meae scrviam, ac si altcrutrum evenire necesse est, malim in suscipiendo et satisfacicndo
in
Tu
acl
vi-
ea quae per-
vis et
me
meis
tum
me
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
l8l
felice,
affatto
fare.
mi chiedessi questo,
tu credi, ho di proposito suscitato questa discussio
ci sono caduto del tutto a caso. N6 ho tale forza d'in-
n6,
come
ne,
ma
gegno da potere
in alcun
modo
impresa del genere. Preferirei perci6 darti senz'altro ragione, piuttosto che assumermi un compito tanto gravoso. Ma lasciamo tutto
questo, poiche' comunque stia la cosa non la cambiera certo il
nostro discorso, e neppure altro espediente, e volgiamo altrove
questo nostro conversare.
grandissima
amico
difficolta,
Ma
risco apparire
non ingrato o
io
ti
interrogher6
richieda. In tal
tu dirai
modo,
s'io
il
Facciamo
allora cosi;
Ma
io far6 tutto
l82
exoptem, quod intelligo convicto mihi vitam posthac in curia muliucundiorem futuram.
to
si
placet.
Pu-
bonum
esse.
ANGELUS. Minime.
LAPUS. Beatitudinem. dico non
philosophos contentio est;
bus,
alii
in divitiis,
alia in re
alii
in
cum
bona
humanam
earn
alii
valitudine,
illam,
in virtute,
alii
alii
Ne
in hoc
alii
item
ponendam
ANGELUS.
in honori-
in voluptate,
erit aliud
quam
tribuitur.
ipse
immor-
Deus ?
ANGELUS.
Nihil.
turn assecuti videmur cum ex hac mortalium vita ad meliorem vitam migramus adeptique immortalitatem
ac divinitatem quandam Deo perpetuo fruimur et cum eo coniun-
LAPUS.
Quam quidem
ctissime vivimus.
ANGELUS. Verissimum.
LAPUS. At secundum
sententia, vere
ad
et
huic
habendum
illud pervenire
proximum bonum
quo
non possumus.
est,
illud,
mea quidem
id nobis comparatur et
quo
sine
tanta
summi
tra
dinem
medium quo
ad illud ultimum perducamur atque id ipsum, si quod est, preciosissimum esse et maximum atque cognitione dignissimum co-
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
183
che anzi
lo desidererei soprattutto,
poiche* capisco che se ci6 accadesse, la mia vita in curia sarebbe, dopo, molto piu felice.
da cui
tutti derivano,
ed a cui
tutti
vengono
riferiti,
ottenuto
il
i filosofi,
terrena, sulla
buona
sa
ai
LAPO.
e,
se
non
lo stesso
Dio im
mortale ?
ANGELO. Niente.
LAPO. Ora, questa noi conseguiamo allorquando passiamo dalla
vita mortale a una vita migliore e, raggiungendo I'lmmortalita ed
una specie di divinita, godiamo perennemente di Dio vivendo congiunti strettamente con
ANGELO. Verissimo.
lux.
non
ci
184
omni
et
diligentia
retinendum.
nendam
et
quamquam
a multis
rem hanc
tarn
medium quam
esse.
tacitus cogito, ac si
me
LAPUS.
Ex
ANGELUS.
callide ad huiusmodi concertationem me impulisse, ut siquid adversus curiam dixissem incautius, efferres in vulgus magnamque
ex eo mihi conflares invidiam. Sed fortunae a me gratia est habenda,
es.
Nee
velis
me
di-
diutius
video quo
dedideris.
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
185
avversata.
ma
ANGELO. Lo ammetto;
ritieni tanto divina
dimmi,
ed ammirabile.
LAPO. La religione.
ANGELO. Era proprio quello che stavo pensando fra me, e se qualcuno mi avesse interrogato avrei risposto appunto cosi.
LAPO. Ed avresti risposto bene. Ma perche"?
ANGELO. Perche" mi ricordo di aver letto e sentito, talora anche da
uomini dotti, che la religione e il vero culto di Dio immortale,
che a Dio ci lega ed avvince con meraviglioso vincolo d'amore.
LAPO. Mi sembra di avere ascoltato Toracolo di Apollo.
ANGELO. Tu mi prendi in giro.
LAPO. Niente
corgo ora per
rnolta astuzia
affatto,
la
prima
mi
la
sempre
tua dottrina, e
mi
ac-
dissimulate, e
che con
modo
che, se
poco cautamente, tu poi potessi diffonderlo, suscitandomi contro una reazione di sdegno.
Devo quindi ringraziare la sorte per essermi rivolto verso questo
discorso.
ANGELO.
Lascia,
ti
al
punto da cui
eri
Non
li
concilia,
maggiore e
la religione,
un bene maggiore
perci6 e migliore ?
LAPO. Cosl appunto: nel genere quindi dei beni un bene, quanto
l86
praestabilius et melius; ex
Dei
religio
sit cultus,
rius et a plurimis
hoc
gratius
quam
illud
Deo
quoque perspicuum
maxima
cum
ra-
a paucis.
fit,
quam
a profanis, a
quam
maio-
a privatis sa-
cerdotibus.
ANGELUS. Fateor.
LAPUS. Et magnificentius etiam
quam
parcius.
ANGELUS. Probe.
LAPUS. Et a multis simul nationibus
quam ab
una.
ANGELUS. Certe.
LAPUS. Consequens ergo est ut locum in quo frequentius et a
pluribus et a dignioribus et magnificentius Deus colitur, et a pluribus una nationibus, eum ceteris praestantiorem et Deo
gratiorem
nobisque ad beate degendam vitam aptiorem esse dicamus.
ANGELUS. Sentio quo me his argutiis tuis concluseris, ut mihi necesse sit huiusmodi esse curiam confiteri,
quod si antea percepissem profecto
concedam, a
quam
me
nunquam
effecisses;
Quid enim
tibi
a curia alienius
LAPUS.
quamquam
et in eo fiden
efficitur,
tuam
tibi.
Negatis enim a te
tolletur et ipse
magno
iis
onere levabor.
et
quod ex
receptis a
me
confi-
quid propositum
sit
LAPO DA CASTIGHONCHIO
187
dici e chiaro.
ANGELO. Lo concede.
LAPO. E preferira il culto piu splendido a
ANGELO. Va bene.
vent
Dio e venerato,
tal
modo
vita beata.
le
con
ricatti,
sion!
ed
ancorch6
io abbia
il
la
diritto di chiederti
che tu
rispetti
patti
come
Ma
meno ed
io
sono liberate da
un grave
peso.
amor
tu voglia, che la curia non solo e un luogo egregio, ma addirittura eminentissimo, graditissimo a Dio, adattissimo alia vita beata.
Ti chiedo per6 che tu non faccia come i matematici che proce-
dono
cesse.
alia
Secondo
l88
ut
pluribus et rationibus id plenius mihi facias,
dendum
vi
cum
ad conce-
argumentations
vitate adducar.
Ad
nostrum
igitur
munus pensumque
cum
locus in terris
tates suos
nam
num
vulgo, ut
pecudum
multitudine delectetur.
et
LAPUS.
Nunquam
Hoc unum affirmare non
puto.
ro paucos esse
bonos etiam
si
dubitem,
Primum
omnes boni
dignum
nume-
in parvo
forent; ex
magna
vero
Deo cariorem
esse,
a sceleratissimo sacerdote,
solet, et nostris
comparatum
modo
rite
est,
omne
quoque
di~
sacrificium, vel
Deoque accep-
tum
esse
recusare, sed
debitum
sibi
velle
esse gratissimam.
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
189
compito.
Se
il
culto divino
ci diletta,
si
potra para-
il
da tutto
in parte spinti dalla religione e dal desiderio di vepapa, in parte dalla brama di cariche, in parte per altri
mondo,
dere
il
Ma
motivi.
con questo
si diletta
non
delle
buo-
ne
ma
bestiame
LAPO.
Non ho mai
una cosa
detto
simile; e se
non
uno
la dice, lo ri-
ad affermare,
buoni sono pochi, anche se sono buoni
tutti, mentre in una grande moltitudine possono esservi moltissimi uomini egregi. Che anzi, per quanto e concepibile da mente
Questo solo
di supplizio.
tengo degno
che in un numero piccolo
umana,
io
esiterei
sia
sempre voluto
il
dobbiamo
congetturare da noi uomini, il culto e Tonore fa piacere da chiunque venga, ed anche le nostre santissime leggi con somma sag-
gezza stabiliscono che ogni sacrificio, anche se compiuto dal sacerdote piu scellerato, purche* sia fatto secondo il rito, & vero, integro,
perfetto, intatto,
II
che e
massimo argomento per concludere che Dio, pur amando soprattutto il culto dei buoni, non rifiuta quello di nessuno, ma vuole
che tutti gli rendano il debito onore, e da tutti lo accetta, e si
mostra benigno a chi glielo rende. Perci6 non possiamo mettere
in dubbio che a Dio riesce graditissimo il culto della moltitudine,
mezzo alia quale non possono non esserci molti buoni, se essa
celebra con grande frequenza sacrifici, riti e cerimonie, offrendone sempre di nuove alPeterno Iddio.
in
IQO
maximus, qui Dei obtinet locum et quo post ilium maius nihil
habemus, qui non humano consilio sed divinitus atque a Deo
Dei voce et auctoritate constitutus est; est posterum cardinalium
pulcherrimum amplissimumque collegium, qui apostolorum explent ordinem et pontifici, non praesidio modo maximis in rebus
gerendis atque administrandis, sed etiam decori et ornamento esse
videntur. Sunt archiepiscopi,
aliique
ritate
coiverunt, et
cuius
fice
quadam
hostis,
perstringat et dulcedine
Deo
occupet et stupore
Cuius non oculi miri-
religio
deliniat?
et
divinius,
dignius reperitur?
quodam modo
Ut
est,
et gestire
laetitia videatur.
et medius fidius
ipse praesens interdum ita
ut
afficior,
cogitatione abstrahar et non humana ilia neque ab
hominibus acta videre, sed sublimis raptus ad superos, ut de
Ganymede
deorum mcnsis
vi-
dear interesse.
LAPUS.
Haud
ligio et fuit
iniuria.
tanta admiratio ac re
fama
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
ANGELO. Approve molto
le
191
quindi
gono
aiuto al
ma
vescovi,
con
il
il
patriarch!,
un
si riuniscono in
gli arcivescovi,
sol luogo, o
per un
rito,
culto di Dio.
Quando
zione, ed innanzi al pontefice collocato in quella sua augusta cattedra tutti stanno seduti in ordine, e si alza il canto di quegl'inni
divini e di quei salmi, intonato nel ritmo delle varie voci, chi
pu6 esservi tanto inumano, tanto barbaro, tanto rozzo, tanto fe-
che vedendo
commuova, e la pieta non gli occupi la mente e 1'animo, mentre uno stupore lo invade e una profonda dolcezza lo penetra? Quali occhi non ammireranno godendo
un cosi splendido spettacolo, quali orecchie non saranno addolcite dalla incredibile soavita ed armonia dei canti? Che cosa in
roce, tanto
nemico
ed ascoltando tutto
non
si
ANGELO. Did
il
vero, e per
Giove
si
quando
che non
ma mi
par
pare
alle
LAPO.
mense
Non
divine.
Tanta
infatti fu
Eugenic,
gioni, da esercitare
la
IQ2
quoque odio dissiderent, nunc primum tot post saecula Byzanthinum Imperatorem, una et Thraces, Indos, Aethiopes, taceo
alios orientis reges,
ad pacem, concordiam,
principes, nationes,
unionem cum orientalibus ineundam attraxerit. Quae cum propediem nisi infestum aliquod numen impediat futura videantur, si
nulla mihi esset alia causa frequentandae curiae, satis haec una
magna cmque ac probabilis existimari deberet, ut hunc tantum,
tam celebrem hominum atque adeo gentium concursum, tantum, tam admirabilem consensum, antea nunquam
auditum aut lectum, qui absentibus incredibilis videatur, praesens
1
aspicerem et communi omnium plausu et gaudio fmerer.
tarn varium,
mea
petua
diligentia, si
paulum modo
cogno-
scere poteris.
ANGELUS.
quod nunquam
autem qua sibi eundum
aberrat,
cilia
est
et negocii
Ut enim
in eo
errore,
nunc autem
initiis
cogni-
tionis perceptis, si
i.
li
me
perduxeris.
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
divisione antica della religione di Cristo
vano fra di loro per opinion! e dottrine, ma
la
193
non
solo contrasta-
si avversavano con
odio mortale. Ora per la prima volta,
dopo tanti secoli, 1'Imperatore bizantino insieme con i Traci,
e non
gl'Indiani,
gli Etiopi,
parlo di tutti gli altri re, dei principi e delle nazioni d'Oriente,
si e indotto alia pace, alia concordia, alPunione con
gli orientali.
Unione che, se non interverra un nume avverso, si realizzera ben
in-
ANGELO. Molto mi ha
di averne tratto
vado
un
avere deposto in massima parte 1'antico mio errore. Accade infatti, non so come, che in una cosa i difetti si manifestano subito,
mentre
non possono
grandi pregi
tenebre.
Ma
mentre
tanti e
si
un poco
cercare con
un
mi
non ha
ed impervii. Cosi
stricabili equivoci.
Continua dunque,
ti
prego, finche tu
non mi
IQ4
Non
LAPUS.
dium ex
quae
ANGELUS. Illud est in primis quod ex
ligo; videri
me
iis
dictis tuis
quodam modo
potissimum
et
col-
expeditiorem
ad superos aditum habituros esse, siquidem ibi praesente pontipraecipuo Dei beneficio et munere et meritorum praemia im-
fice
mortalia et delictorum remissio et venia tribuatur. Itaque non dicam mortem usquam expetendam esse, sed sicubi moriendum est,
ut certe
est, in
curia
mori
quam
alibi
ratio
tutior et sanctior.
commoda, incommoda,
utilia,
inutiliaque dignosci-
moda
declinare.
LAPUS. Quid?
Quod eadem
Deum
accedere.
sit,
perspicimus, et
constitutis salutaria consilia damus veritatisque cognitionem attingimus. Haec autem virtus duabus rebus praecipue comparatur.
ANGELUS. Quibus?
LAPUS. Longitudine aetatis et usu atque experientia rerum.
arbitror, et verissimum illud puto esse, quod apud
ANGELUS. Sic
Aristotelem legisse me memini, iuvenem mathematicum et physicum esse posse; prudentem vero nisi senem ac natu grandiorem
non posse; quod duo ilia sint in senibus quae iuvenes adhuc per
i.
i,
i,
io95a.
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
LAPO.
Non mi
195
ma
la via ai celesti, se
per
la
peccati.
la
morte
sia
LAPO.
denza
Ma
e
la possibilita di vivere
con pru-
moderazione.
Non
lo dir6.
guida e maestra di
una
le
possiamo ricordare
le passate,
la
prudenza
premono, prevedere
le
future
ci distin
guiamo dagli
animali, per questa noi ci eleviamo al disopra
uomini
e
ci
a Dio. Cosa che nessun altro aniavviciniamo
degli
altri
conoscenza della
in
si
sia
196
ANGELUS. Tua
id praeceptio effecit.
num multorum
et
novit et urbes
simae
rei
eadem
hominum
notavit.
Huius
preciosis-
nunquam
consequendae gratia
discrimine consecutus
est,
tibi
romana
curia
ximum
reperias. Nihil
enim
fere
ma
moniis inter
summos
videre,
instituta agnoscere
coniungere.
probandi,
Ex quibus omnibus
legendi,
rcicicndi,
sibi
dimittendi,
amicitiasquc
libcat probandi,
quod
sumendi,
im-
corrigendi,
modo non
bactus,
summo
OMERO, Od.,
r,
3.
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
LAPO.
Mi sembra
ANGELO.
197
LAPO. Volesse
riuscissi,
ho paura, se
visti
pro
ANGELO. Hai
i
poemi omerici e voappunto Omero che intendendo raffigurare nella per
sona di Ulisse 1'uomo prudente ha scritto: Sbattuto di lido in
lido conobbe i costumi di molti uomini e le
citta, e tali cose
lesse imitar
ap-
prese per
la stessa
per
la diversita dei
non per
ritk; sia
consiglio del papa, o indipendentemente dalla sua autoche si decida della pace o della guerra, di trattati o di
matrimoni
che
si
trovi in cosi
grande moltitudine
di
uomini e
di cose,
veda
dappoco; conoscera abitudini e costumi di moltissimi; con alsi leghera con vincoli di familiarita e di amicizia. Tutto
questo
cuni
offre la capacita di
rifiutare,
emendare qualunque
che
si
moltissimi giovanetti che, dotati di indole eccellente, appena andati in curia trovarono maestri cosi abili e accurati che in pochi
mesi divennero uomini, si che penso che la metamorfosi di Tiresia o di Ceneo non sia stata n tanto rapida n6 tanto grande. Ne
198
ilia mysteria
religione impedior. Sed quid
virtutes?
Nullusne
in
curia
illarum est usus, nulla exerreliquae
citatio,
nullum munus?
LAPUS. Permulta.
quin idem
Difficile est
et iustus et fortis et
enim quempiam
temperans
sit;
esse
prudentem,
uno
et capite
vicem distinguuntur,
dens; qui
iustitiae,
manent,
tamen ab
in-
qui agit ea quae sunt prudentiae, pruiustus; qui fortitudinis, fortis; qui temperansic
temperans
ilium
dicitur.
bonum
simo crudelissimoque tyranno, quoniam neminem bonum habendum ducerent nisi sapientem, nee sapientcm qucmquam nisi in
et absoluta virtus foret;
quam cum minus assecutus
Socrates videretur, aeque ipsum ac Phalarim vitio
obnoxium, et
1
perinde ut ilium improbum essc. Sed Aristoteles et alii, qui de
virtute accuratius
disputant, duo ponunt virtutum genera, quorum
quo perfecta
alterum in pervestigatione et cognitionc veritatis, alterum in actione versetur; illud intellect! vum, hoc morale
vocitant; quos secutus Cicero in primo de
sunt officiorum
officiis libro,
genera,
duo, inquit,
pertinet ad fincm
bonorum, quod
i.
jiaTa).
d'acqua, o un metro.
2.
CICERONE, De
off.,
i,
3,
8.
x-
un palmo
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
v'e da meravigliarsi, trovandosi presso la curia
non
ma
199
romana uomini
Ma
di
dime
il
Forse
un tempo
somma
stoltezza e follia
Tutte
le virtu
derivando da
un unico
fonte sono insieme legate da un sol vincolo, anche se si distinguono fra loro per le funzioni. Cosi chi compie opere di prudenza
e detto prudente, giusto chi fa opere di giustizia, forte chi compie
atti di fortezza,
neces-
virtu, le
possegga
tutte,
chiunque non raggiungesse la somma virtu. Essi sostenevano cosi che non v'e alcuna differenza fra Socrate sommo
tutti
vizi
filosofo
uomo
ed
ed
gior cura,
altri
1'altro nelFazione, e
nell'indagine e nella conoscenza del vero,
Cicerone
1'uno dicono intellettivo, 1'altro morale.
seguendoli, nel
primo
tipi,
1'uno dei
quali riguarda il
termine che noi
riguarda la
sommo
ne sono due
bene, e che
<
200
Qui vero ex
iis
remm
eundemque bonum virum esse; cui pars aliqua deesset, eum nee
sapientem nee bonum.
Ut igitur ad propositum reducatur oratio, si quis vel natura duce,
usu
prudens
ratione,
et pertractatione
evaserit,
illi
fallere,
desperare, res
magnas
et
humiles, pericula laboresque cum ratione utilitatis suscipere, eademque constantissime tolerare, nee secundis rebus efferri, nee
perturbari adversis, et tumultuantem de gradu dciici; quae a fortitudine proficiscuntur. Nee minus assuefimus rationem ducem
sequi,
percipere.
fallor, ut dicis. Non tamen arbitror
omnibus aspirare.
LAPUS. Certe omnibus volentibus dico ac perquirentibus, nee adiumentis et praesidiis naturae destitutis. Sunt enim quidam ita remisso animo et abiecto, ingenio vero ita hebeti ac tardo, plerique
ANGELUS.
ad ea bona
i.
Est quidem, ni
licere
Niente di troppo
|iYj8v (Xyav e
uno
dei Ypdc|L|AGCTa
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
che tutte
la
la
le
come
sapienza
sto si
pu6
2OI
possegga
parte di essa,
non
ne 1'uno ne
una
Ritornando dunque
al
Ad
ogni mo do, anche considerandole singolarmente, la curia non contiene minori opportunita per procacciarsi le altre virtu di quelle che offre per ottenere, conservare ed
verso
non
sara saggio.
accrescere la saggezza.
che
ci fa saggi,
La
stessa diversita ed
c'insegna a
non
offendere se
abbondanza di eventi
non
provocati, a di-
che sono
non aver
soverchia fiducia n6 incauta disperazione, a guardare e desiderare quel che e grande e difficile, a sdegnare quello che e dap-
poco, ad affrontare con abile calcolo pericoli e travagli, a soptrascinare dalla forportarli con somma costanza, a non lasciarci
turbarci per Pawersita; tutte cose, queste, che derivano dalla fortezza. N6 in misura minore ci abituiamo a seguir
tuna, a
non
sprezzare
piaceri,
che
si
Come
che
di,
obbedienza, a di-
sempre
il
man-
secondo I'insegnamento
limite, che son cose, tutte,
e,
e moderato.
sogliono chiedere appunto alPuomo temperato
si
io
non
di natura,
gegno
Alcuni
privi
infatti
altri
e vile, di in-
202
aut
non-
animi adeo
numerum
pristmum,
si
honestatem recuperare
et retinere
cupimus, veluti
magnam illis nobisque omnibus notam atque infamiam inEx quo iam apud omnes homines in sermone ac proverbio usurpatur: sine exceptione aliqua curialis bonus homo improbissimus, curialis bonus homo scelestissimus ct omnibus flagitiis cohopertus. Itaque me pudet iam, puto item bonos omnis,
gitiis
flixerunt.
LAPUS. Scio mehercule vera haec esse quae dicis, et quidem ita
esse vehementer indoleo, atque utinam id
quod dixisti modo in
mentem
et perditissimos
amquae
attollerent,
re-
mentis poti-
romanae nomen,
et eius
imperii dignitas
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
203
ANGELO. Tutti
ritrovi e
lidi
remoti. Inutili a
tutta la curia.
Con
se,
dannosi
agli altri,
sono di vergogna a
colpe e con i loro misfatti hanno coperto di una nota d'infamia se stessi e noi tutti. Perci6 corre sulle
bocche
di tutti,
cuna un buon
un uomo
le loro
curiale e
un uomo
cattivissimo,
un buon
al-
curiale e
Comunque
io
supremo
glio
provvederebbe cosi a s,
alia
vantaggio e alia salute dei curiali che vogliono vivere onestamente. Se ne andrebbero i malvagi dalla curia, dalle magistracuria, al
signi e
sommamente
tegri
allora a
204
Nam
quot in curia
romana
Tot honestissimi
paucorum
sunt,
et praestantissimi
vicio ac turpitudine
contemnuntur despiciunturque ab omnibus, gravi diuturnaque invidia flagrant. In pontificis iam maximi caput audaces ac temerarii
homines insultant, eidemque et reliquis cladem aliquam et exitium quottidie moliuntur. Bona fortunasque Ecclesiac scelarissimis latronibus praedae ac population! expositas esse videmus
eorumque armis
nisi his illorum
omne patrimonium
vexari ac diripi
dignitatis, ac
extremum propediem
Quare arbitror tempus iam
imminere videtur.
omnibus excitari atque assurgere tantisque ct praementibus
et futuris incommodis prospicere ac providere. Commune est enim
hoc malum, communis metus> commune periculum, communi
curiae excidium
instare
tamquam
aliquod
commune
incen-
ista in se dici
existimet.
referam, ac
te
tibi
et
sum
pro-
tum hominibus
in curia
locum
Ne
nullum. Siquis
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
la dignita del
va
suo potere e
la
205
Ma
ora tutto
al contrario.
Qual miseria e mai tanto grande che possa paragonarsi a questa del curiali ? Tanti uomini onestissimi ed egregi
quanti sono quelli che
capo
briganti.
Le
loro
non
ponga un argine prontamente alia loro tracotanza, sembra imminente 1'estrema rovina della curia. Perci6 io credo che sia ormai
patrimonio, e se
si
tempo per
ogni giorno
piu e affonda sempre piu le sue radici. Bisogna curarlo, bisogna
reprimerlo prima che s'insinui nelFinterno rendendo impossible
ogni rimedio.
ANGELO. Ma basta ormai con i lamenti; soprattutto con inutili lamenti. Essi non giovano infatti
al
al
Ma
vuoi.
Non
posto solo per gli uomini attivi e non anche per i dotti. Se uno
desideri star lungi dalla folia e dagli affari, e voglia raccogliersi
nella pace dello studio, nel quale si suol richiedere soprattutto
abbondanza
possa
di addottrinati
qual luogo piu adatto e conveniente a tutto ci6 si potrebbe trovare oltre la curia. Infatti, a qualunque delle arti liberali rivolga
206
tot
fessores,
quorum
studia
cum
Non commemorabo
cos;
qui
civilis
quamquam
et ipsi
magno
eorumque
tamen huic
facultati
meae
regem
homines, ita suis disciplinis omnibus ormaioribus suis mea quidem sententia conferendi sint
nati, ut
cum
medium
proferri velim.
rum hums
aetatis
Coroniensem episcopum, 2 virum et graecis et latinis litteris apprime eruditum; Poggium Florentinum pontificis maximi a secretis in quo summa inest cum eruditio, eloquentia, turn
singularis gravitas salibus multis et urbanitate condita; Cincium Romanum sic omnibus praesidiis virtutis, doctrinae, eloquentiae
cumulatum ut eo
maneat non
civitas sua,
etiam
et
2. Cristoforo
si
prisca
ilia
maiorum
gloria
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
tua attenzione ed
207
tanti
sommi
il
e perfettissimi
menzionero qui
i
professori di sacra teologia, i cui studi non hanno
nulla a che fare con questi nostri; non ricorder6 i fisici, i matema-
astronomi,
tici, gli
diritto civile
mento
ed ecclesiastico
tutela per
la
non hanno
curia,
si
affida
alia
loro abilita,
ANGELO. Passerai
sotto silenzio
anche
Greci?
credo che
infatti
ti
siano ignoti, ne
si
degnamente con
spesso,
mi
i loro
padri antichi. Quando,
trovo a discorrer con loro, rni
io
LAPO. Cosi
dei
monaci
far6, e ricorder6
del nostro
uomini,
ma
di
uomo
Coron,
vita singolare,
e gentilezza.
Cincio ro-
mano
Flavio da Forli e
come
uomo non
208
doctum
sui ordinis
nihil nostri
eodem ordine
nulla
iis
re cedere videantur.
nuccium Castiglonium
praeferendum putem,
cuius ingenium
ita
et
aequalem
meum
Baptistam Albertum
cum
eo
neminem com-
parem, ita admirorut magnum mi hi nescio quid portendere in posterum videatur. 3 Est enim eiusmodi ut ad quamcumque se animo
conferat facultatem, in ea facile ac brevi ceteris antecellat. Sunt
alii
et vitae socii et
studiorum comites
et quasi aemuli,
horum
sum nunquam
lateribus
consuetudo
si perpetuo mihi
Quae
maiorem
nullam
ab
immortali
Deo
felicitatem optasit,
rem. In hac eruditissimorum virorum copia duo tantum deside-
discedo.
vitae
concessa
rantur a
me
ac
summo
lumina
studio rcquiruntur:
illi
videlicet litterarum
fontes,
ilia
deesse arbitrarer. 4
Nee solum ad
socii.
Sive enim
quis ad ludendum, sive ad equitandum, sive ad venandum conferre se cupiat, plurimos ubique eiusdem rei studiosos inveniat.
Poggio Bracciolini, Flavio Biondo da Forli (1392-1463), Cincio de' Rus'erano tutti ritrovati in curia. L'opera storica del Biondo a cui
Lapo allude probabilmente deve ravvisarsi nolle Decades di cui una parte
nel '39 era stata gia inviata a Francesco Barbaro,
2. Giovanni Aurispa
da Noto (1376-1459); di Andrea troviamo menzione nelle lettere di Lapo
(Luiso, op. cit.j p. 233): deve trattarsi del fiorentino Andrea Fiocchi, sei.
stici,
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
2Og
ed a
sua a
scritti storici,
Ma
non
Castiglione che amo singolarmente, sia per le grandi virtu che per
1'educazione liberale, i dolcissimi costumi, e il singolare affetto
mio coetaneo,
il
non parago-
Molti
Di
compagnia tanto mi
uomini
io
diletto e godo,
mezzo a
due
soli
me
me
sono particolarmente rimpianti; le due sorle due luci del nostro tempo, gli ornamenti
delle
lettere,
genti
della dottrina e dell'eloquenza, Francesco Filelfo mio precettore,
ne mancano, e da
veglie
sommamente
essi
che con
di simili occupazioni.
romanis magistratibus.
gretario apostolico, che dedic6 a Eugenic IV un De
e il ben noto umanista 1'amico e Leon
3. Rinuccio da Castiglion Fiorentino
Filelfo e il Bruni
Battista Alberti.
4. Dei legami affettuosi di Lapo col
;
sono continue
le
testimonianze nell'epistolario.
210
iocundum quod
est, et
omnem
enim
ipsa gravissima
plerumque innasci
solere,
praecipueque
cum
dediderint,
narum
praeclarissime facultati
tantum affert romana curia campum quantum nee AtheAlexandro Macedoni, a qua ut laudaretur confessus
civitas
est
theatrum
maximum
et
a laudatis
non
tantum
viris laudari
volunt
quippe qui
quae quidem laus altissime
memoria hominum
oblivione deleri.
i.
(Laur. 99
inf.
13, c.
186).
LAPO DA CASTIGLIONCHIO
ANGELO. Sono
211
ed e degno
estremamente gravosa
toglie ogni
gusto
nel vivere.
LAPO.
romana
ad
non
ofTri
Atene ad Alessandro
il
Olimpia a Temistocle, dove pur si compiacque di essere stato lodato da tutta la Grecia riunita. Erano lodi infatti di una sola
citta o di una sola nazione. Questo e teatro sommo e grandissimo,
al quale convengono moltissime nazioni, ed ove ogni azione egreplauso di
il
si
tutti.
aggiunge anche
A questo
la
plauso,
lode di quegli
eruditi che
alFazione,
tate,
ma
non da discernimento e da
A ragione,
legua.
dalFumano
oblio.
secoli,
esser di-
POGGIO BRACCIOLINI
ranova in Valdarno.
Firenze studi6
1403 va a
Roma prima
1'arte del
i
notaio ed entr6 in
letterati fiorentini.
Nel
giugno
cio
luglio del'i6
il
Romano
va
al
monastero
di
Bartolomeo Aragazzi da Montepulciano, suoi colleghi in curia, e ne trae i primi codici di autori classici scoperte
che prosegue nel '17, estendendo le sue ricerche in Germania e
e
in Francia.
Sono
gnato per il modo in cui viene trattato in curia, nel '18 va in Inghilterra ove sta fino al '22, e vi si da a studi religiosi
sacri,
(libri
quos
Nel
tatis))).
ospita fino
al
abbandona
la curia e si ritira
Firenze, e vi
muore
il
come
30 otto-
bre 1459.
Fra
cui,
la raccolta
ft
varietate fortunae).
baro
dialoghi
blicati vivo
De
II
Romano
novembre 1428
avaritia,
Martino V,
qua disputatur. In
Cincio
13
ed
essi,
altri
li
avrebbe pub-
cum enim
in casa di Bartolomeo da
Montepulcia
altri
predicato-
Lo
gli
2l6
Osservanti. Nel '36 sposando, ormai anziano, una giovinetta (Selvaggia di Ghino Buondelmonti), scrive An scni sit uxor ducenda
(ed. dallo
Magheri, 1823). Sono di questo periodo le polemiche col Guarino su Cesare e Scipione. Scipione Mainenti da Fcrrara aveva
chiesto a Poggio chi fosse superiore fra i due, e Poggio il 10
aprile 1435 av^va risposto da Firenze esaltando Scipione. Guarino
allora difese Cesare
tirannicidio (Vat.
Le vicende
la
dere
il
Niccoli, scaglio
due furibonde
invettivc.
compiuto
il
De
il
Bruni,
il
al
maggio
posizione umani-
e finito
il
DC
infelici-
il^i
'48 Poggio stende il De varietate forNiccol6
V, in quattro libri, ove col Loschi
papa
tunae dedicato
Appartcngono an-
il
Historia tripartite disceptativa convivalis, tre dialoghi fra ii Marsuppini, FAccolti e Niccolb da Foligno in cui si discute se di un
la
Poggio
sostengono
Durante
il
1350
93
alia
Cosimo
dei
Medici
condizione deiruomo.
gli
ria florentina,
1'infelice
ove in otto
pace di Lodi
s gg-; s i
Jacopo de Rossi, 1476; Firenze, B. de' Libri, 1492). Composto a poco a poco, fra il
1438 e il 1452, e il Liber facctiarum.
E poi ancora nuove invettive e polemiche, dopo quella col Morzia,
roni,
POGGIO BRACCIOLINI
col Perotti e
di
Diodoro
il
Volpi. Per
non
217
Siculo, di Luciano.
trum, 1538).
darum
II
Contra hypocritas
(oltre
La
EPISTOLAE
I
Poggius
Si
vales,
bene
est;
Nicolao suo. 1
meum scrips! ad te ex
bam multa
de litteris hebraicis, quibus opcram dabam, plura iocabar in doctorem ipsum, ut captus eorum est, qui ex ludaeis Chri
stian! efHciuntur, virum levem, insulsum atque inconstantem litteras vero et doctrinam, ut rudem, incultam atque agrestem, fa;
cetiis
quibusdam
esse.
perstringebam.
Vcrum
suspicor
cam
epi
item alteram,
stolam, et
non
leviter
Nam
terarum, rescripsisses
postmodum
mecum
esses
Hieronymi
in transferendo cognovi.
cum me
Has autem
littcras
ex ipsis
contulissem iuncturas
manus
curandi gratia, rem dignam putavi ut eorum situm atque amoenitatem simul et mores harum gentium tibi describcrern et consue-
tudinem balneandi.
Multa dicuntur ab antiquis rcrum scriptoribus de balneis Puteolanis, ad quae univcrsus paene populus romanus voluptatis
causa confluebat: sed nequaquam arbitror ilia ad horum iucunditatem accedere potuisse, et haud curn his nostris fuisse comparanda. Nam voluptatem putcolanam magis affcrcbat amoenitas
locorum et villarum magnificentia quam festivitas hominum aut
balneorum usus. Haec vero loca, cum nullam vel admodum parvarn
praestent animi relaxationem, reliqua omnia immcnsam tribuunt
iucunditatem, ut persaepe existimem et Vcncrcm ex Cypro et
quicquid ubique est dcliciarum ad haec balnea commigrassc, ita
diligenter illius instituta servantur, ita ad ungucm eius mores ac
i.
2.
SugH
cfr.,
EPISTOLE
I
Poggio saluta
il
suo Niccolb.
gno
ti
che, se
e arrivata, ti
ha fatto certo
un mio compa-
23 di febbraio,
il
ridere.
Era
una
infatti
lettera
lunghetta
Ma
sei,
mi
avresti ri-
gono in grado
il
metodo
di
Gerolamo
nella tradu-
dei luoghi,
Dagli
ti
divertirsi;
questi,
ma
ne che
persone
vece non offrono risorse naturali, o per
gria
Io
meno ne
offrono poche,
mentre tutto
il
resto e
si
sensualita, che
si
praticano
frequentatori di Baden, senza aver letto
il
di-
oltre
220,
Rhenum venimus ad oppidum Scaphusa milibus passuum quatcum dcinde propter ingcntem fluminis descensum
tuor et viginti;
et
confragosa saxa
iter esset
pedibus conft-
praecipiti,
illius
strepitum ct fragorem
Rhenum
oppidum
fluit
stadiis
quattuor est
usum balneorum
villa
Area
est
et
soli
numero
utraque parte areae, lavacra plebis ct ignobilis vulgi, ad quae muatque viri, pueri innuptaeque puellac ct omnium circumfluentium faex descendit. In his vallus quidam interrarus, utpote
lieres
hominum
risi
POGGIO BRACCIOLINI
221
Ma
percorremmo
Reno per
zione favorevole
un
attraverso
che
(e
alia
Germania) credo
la localita fosse in
origine
del viaggio
da
vedemmo
fremente
scogli,
la
e sonante, si
lamentasse dolorosamente
la
da
propria caduta.
Mi
il
flume stesso
torn6 in mente
rumore
che
al
mezzo
quasi
si
di questo fiume,
pu6
infatti sentire a
miglio.
molto vasta
numero
gran
Le
singole case hanno all'interno bagni privati, dove si tuffano solo quelli che vi alloggiano. I bagni pubblici e privati sono circa in numero di trenta; ci sono tuttavia ai
di persone.
due lati della piazza due bagni pubblici scoperti per il basso popolo, e ci vanno a lavarsi uomini e donne, ragazzi e ragazze, e
in genere tutti gli element! piu volgari. Qui un basso steccato,
messo su
vedere
alia
buona, divide
gli
uomini
dalle donne.
ridicolo
vecchiette decrepite e al tempo stesso le ragazzine entrar in acqua nude, davanti agli uomini, mostrando ogni parte
le
del corpo
tacolo
ravo
la
piu di una volta ho riso perche questo eccezionale spetai ludi floreali, e dentro di me ammi-
mi faceva pensare
non bada
a queste cose e
222
quam
in
nudae
ire.
Masculi campestribus
induuntur vestibus
linteis
crura tenus ab alto vel latere scissis, ita ut neque collum, neque
pectus, neque brachia aut lacertos tegant. In ipsis aquis saepius
bus viros
equidem
symbolam contuli, interesse nolui, licet etiam atque etiam rogatus
non permotus pudore, qui pro ignavia habctur ac rusticitatc, sed
inscitia sermonis. Fatuum quidem mihi videbatur homincm Italum, horum inscium loquelae, unam cum fcminis adessc in aquis
;
mutum
et
terendus
cum
erat.
quo pacto
tamen lintca
lovis,
Illi
ventulum faciebant;
neum
licet
nihil
rcstat aliud
nisi
pictura
ilia
Ego autem ex deambulatorio omnia conspiciebam, mores, consuetudinem, suavitatem victus, vivcndi libertatcm ac Hccntiam
contemplatus. Permirum est videre qua simplicitate vivant, qua
Videbant viri uxores suas a pcregrinis tangi, neque commo-
fide.
POGGIO BRACCIOLINI
223
non
una
a parlare.
altrui,
si
uomo
di im-
battersi in
prire ne
collo,
il
ne
a
il
petto,
comuni
Pacqua mangiano
cui son soliti partecipare
bagnavamo, fummo
gli
n6
e a
sollecitati a
un muto con
1'altra.
Tutta
un
co
alia piacevole
abitudini.
le loro
mo gli
trattare
con
non
buona
costumi non
stranieri, e
tutto in
224
maiorem
in his diei
partem
cendo; psallunt enim in aquis paulum subsidentes, in quo maindissimurn est videre puellas iam maturas viro, iam plenis nubiles
annis, facie splendida ac libcrali in dearum habitum ac formam;
psallentes enim modice vestcs retrorsum trahunt dcsuper aquam
fluitantes ut alatam
Venerem
existimares.
Mos
est rnulicribus,
cum
viri
proiciuntur nummuli, et
tantum
rum
in die lavarer,
balneis visitandis,
ceterorum.
nummos
Neque enim
morem
quicquam tempus
erat inter symphonias, tibicincs, citharas et cantus undique circumstrepentes ; ubi velle solum sapcrc summa fuissct dementia;
praesertim
ei
Menedemus
ille
heautontimorumcnos,
humani a se alienum putans. Ad summam voluptatem deerat commercium sermonis, quod re rum omnium est priet
homo
mum.
nihil
erat,
ct ea
pratum
plenam
more
alter
ad altcrum
et
quidem dilcctiorcm
proi-
la
il
personalia terenziano, ed
e cvidente
POGGIO BRACCIOLINI
225
blica di Platone,
conoscerne
la
un poco
la
ondeggiare sull'acqua,
costume
delle donne,
parte poste-
si
quando
che
le cre-
gli
uomini
vengon
gettate delle
parte esse
monetine
e specialmente alle
piu belle; in
mentre
si
bagnano.
Attratto
quel
Menedemo
puto estraneo a
tormentatore di se stesso, essendo uomo non reniente di umano. Perche il mio piacere fosse
me
perfetto
mancava
Non mi
restava
la
si
il
226
acceptiorem,
modo ad
hos
ioci fiunt,
rcttuli ut
tatis.
Nam
si
voluptatem.
Quod
si
tiplex, turn
vero
ilia est
sit,
admirabilis
earum
lis
nes amatores, omnes proci, omnes quibus in deliciis vita est posita
hue concurrunt, ut fruantur rebus concupitis; multae corporum
simulantur aegritudines
Ita videbis
innumeras
affini,
maiori licentia
quam
ceteri vivunt, et
cando
hominum
mille, in
discordiam
oriri,
tam
variis
enim
fere
Gen., n,
8.
et
POGGIO BRACCIOLINI
getta a chi preferisce
mani, fa
mentre molti
e,
la
227
reclamano tendendo
le
il
una
ma
in
piacere.
que
sia la virtu di
queste acque, essa
una cosa
e rairabile e
veramente
di-
osservano scrupolosamente le
prescrizioni con le quali si curano
quelle che non possono concepire. Ma merita fra Taltro far menzione del fatto che una smisurata moltitudine di
persone d'ogni
condizione viene qui da distanze di duecento
miglia, non tanto
per
la salute
quanto per il piacere; tutti gli amanti, tutti i vaghegche ripongono nei piaceri lo
scopo deila vita, si
danno
le loro possibilita
gento, di gemme, tanto da far credere che vadano a nozze sontuosissime e non ai bagni. Qui sono anche
vergini vestali o, per
meglio
al
monaci,
frati, sacerdoti,
vivono con
il
bagno con
Fallegria,
Qui non
comune
tratta di dividere
piaceri.
I mariti
maldicenze.
sare con
e di godersi
si
le
lieti
vedon
le
forestieri, e a volte
una
folia cosl
mormorazioni,
vedon conver-
mogli corteggiate, le
da solo a sola; non se
la
prendono,
228
permoventur,
fieri cogitant.
nihil
istos
apud
et
obrec-
tationibus, ut
si
semper
satiati;
dum
futuras
expavescimus calamitates, continuis in calamitatibus anxietatibusque iactamur, et ne miseri fiamus nunquam miseri esse desistimus
;
semper inhiantes opibus, nunquam animo, nunquam corpori indulgentes. At isti parvo contenti in diem vivunt, quoslibet dies
festos agunt, non appetentes divitias minime profuturas, opibus
gaudent suis, non pavent futura; si quid adversi accident, bono
animo ferunt. Ita hac sola ditantur sententia vixit dum vixit bene.
Sed haec omittamus; neque enim est propositurn meum, vcl hos
:
collaudare, vel nos reprehendere. Volo epistolam totam iucundiplenam, ut eius voluptatis, quam praesens in balneis pcr-
tatis esse
quoque absens ex litteris meis portiunculam aliquam conmi Nicole iucundissimc harum litterarum Leonardum nostrum (cum amicorum inter se communia omnia sint) participem facito. Verbis meis Nicolaum et item Laurcntium salutato, et Cosmo salutem dicito. Ex Balneis XV. Kalendas Junias
cepi, tu
sequaris. Vale,
[1416].^
II
Cum
i.
il
fratello di
Cosimo
il
Vecchio.
2.
La
il
POGGIO BRACCIOLINI
non
229
meravigliano, pensano che tutto questo si faccia con innocente amicizia. La taccia di
geloso, che qualche volta ha colpito
da noi quasi tutti i mariti, qui non ha
ragion d'essere; del tutto
si
sconosciuta e
la stessa
parola;
un termine per
nome
di
storo
si e
una
indicarla.
cosa, la
c'e
dove manca
la
cosa stessa
Ne mai
volgiamo tutto
che
fra co-
al
peg-
gio,
ci
perversita dell'animo nostro, per cui sempre siamo volti al-guadagno, agli appetiti; per cui mettiamo a soqquadro cielo, terra e
mare per
lucro.
trarne danaro,
Nel timore
mai contenti
di guai futuri ci
guai e negli affanni, e per non essere un giorno miseri non smet-
tiamo mai
cupiamo
di esserlo;
del corpo,
poco, vivono alia giornata; tutti i giorni per loro sono festivi;
non desiderando ricchezze che non verranno mai, godono secondo
i
loro mezzi,
la
prendono
di
andare!
Voglio che tutta la lettera sia piena di cose allegre, perche anche
tu, da lontano, partecipi un poco, attraverso questa mia, a quel
piacere che ho goduto
ai
Leonardo
bagni. Addio,
(fra gli
II
Poggio saluta
il
JDopo aver passato parecchi giorni ai bagni, scrissi al nostro Nicco!6 una lettera che credo ti fara leggere. Pochi giorni dopo il
mio ritorno a Costanza si cominci6 a discutere pubblicamente la
Tonelli pubblic6
della primavera.
la lettera, e
xv Kal. Januarias; ma
il
viaggio fu certo
230
tam
excellens, ad
quae
ilia
sibi obiciuntur.
est
nam
est
cum terccntum
c<
quinquaginta
fui, in
sordibus, in squalore, in stercore, in compedibus, in rerum omnium inopia, adversarios atque obrectatores meos semper audieritis, me uruim horam
At
qui, inquit,
homines
estis,
non
dii;
non
i.
E Girolamo da
faciatis.
cuius
POGGIO BRACCIOLINI
causa di Girolamo da Praga, che dicono
riferirtene, sia
231
Ho
eretico.
deciso di
la gravita
per
deirawenimento, sia, soprattutto, per
Peloquenza e la dottrina deiruomo. Confesso di non avere mai
visto nessuno che, specialmente in una causa
capitale, si awicinasse di piu all'eloquenza di quegli antichi che tanto ammiriamo.
Era mirabile cosa a vedersi con quali accenti, con quale eloquenza,
con qual
con qual
sua causa;
tanto che e da rimpiangere che un ingegno cosi nobile ed eccellente si volgesse all'eresia, se e poi vero quello di cui Paccusano.
aspetto,
viso,
ed infine perorava
la
metodo
alle
dunque
sulla
vano
Ma
esclam6:
me
alle
loro accuse per tanto tempo, vi siete persuasi che sono un eretico,
nemico della fede in Dio, persecutore degli ecclesiastici ; e neppur
mi
si
da
il
modo
di scolparmi.
Dentro
di voi
mi
avete giudicato
in giuoco la testa di
un uomo
trascurabile
come me;
232
me
me
versus
interpellante,
in
cum
tandem de-
conferebantur re-
sponderet, deinde loquendi quae vellet facultas daretur. Legcbantur ergo ex pulpito singula capita accusationis, turn rogabatur
an quid vellet obicere, dcindc testimoniis confirmabantur. Incredibile est dictu
quam callide responderet, quibus se tueretur arguunquam protulit indignum bono viro, adeo ut si id in
sentiebat quod verbis profitebatur, nulla in cum ncdum mor
mentis. Nihil
fide
causa inveniri iusta posset, sed ne quidem Icvissimac offcnsioOmnia falsa esse dicebat; omnia crimina conficta ab acmulis
tis
nis.
cum
cutorem praelatorum
Pontificis, cardinalium
mea
ab
isti
salute abalienaverunt,
men-
cs-
se dixerunt
quae in
tentiis
oppressuros
torem, qualem
isti
quod de mca
salute
spcrandum
sit.
Multos salibus
remanere
quit.
panem;
Cuidam ex
verum
antea pancm, in
Christi corpus
et rcliqua sccundum
atqui aiunt tc dixissc post consccrationem
turn ille:
inapud pistorcm remanct
consecratione, et post,
fidem. Turn quidam:
panis,
tacc,
inquit,
hypocrita;
alteri
POGGIO BRACCIOLINI
ma non
parlo per
me
233
indegno
una decisione
ingiusta, nociva
non
1'esempio.
efficacia
queste
molte
si
che prima
rispondesse
poi
udivano
si
si
le
indescrivibile 1'abi-
lita delle
il
non dico un giusto motivo di condanna caun lievissima pena. Diceva che erano tutte
pitale, ma neppure per
fra 1'albugie tutte montature messe su dai suoi nemici. E come
trovare contro di
lui,
tro gli
si
del
e stendendo le mani:
Dove mi
rivolgero,
o padri ?
chi chie-
dipingendomi
me
risultavano
un comune
pensarono che se
troppo
lievi,
il
le
deva
il
disse:
uno
Sta
scienza:
Poiche
la consacrazione)); e lui:
giurava
zitto, ipocrita;
Questa, rispose, e la miglior maniera per ingannare.))
il
numero
Pimportanza
delle imputazioni
non permet-
234
QUATTROCENTO
diem tertium dilata est; quo die cum singulorum criminum argumenta recitata essent ac subinde pluribus
testibus confirmarentur, turn surgens ille:
Quoniam, inquit, ad
versaries meos tarn diligenter audistis, consequens est ut me quoque dicentem aequis animis audiatis. Data tandem, licet multis
transigi nequiret, in
neque cum posset evadere voluisse, ut duorum quac asperrima hominibus viderentur, metum demeret carceris atque mortis.
tulit,
Turn Platonis captivitatem, Anaxagorae ct Zenonis tormenta, multorum praeterea GentiHum iniquas damnationes, Rutilii exitium,
Boethii simul et aliorum quos Boethius refert indigna morte op
1
presses commemoravit. Deinceps ad Hebraeorum exempla transiit,
et
primum Moysem
saepissime a suis
calumniatum esse
contemptor populi Joseph insuper a fratribus vcnditum ob invidiam, post ob stupri suspicionem in vincula coniectum. Rccensuit
praeter hos Isaiam, Danielem et fere prophetas omnes, tamquam
contemptores Dei, tamquam seditiosos iniquis circumventos sentenet
tiis.
qui,
tatores,
quum
contemptores deorum
et
malorum operum
cffcctores. Ini-
Haec
i.
diserte et
cum omne
BOEZIO,
De
consolatione philosophiae,
I,
prosa in.
POGGIO BRACCIOLINI
teva di esaurire
la
causa in giornata, vi fu
235
un
rinvio di
li
a due
giorni. Alia data stabilita, poiche furon letti per disteso e cori-
fermati da testimoni
do
disse:
Girolamo alzandosi
falsi
testimoni,
condannati da giudici iniquissimi. E cominciando ricordo Socrate che, ingiustamente condannato dai suoi concittadini, non
voile fuggire,
delle
agli
esempi
tratti
e legislatore del
dagli Ebrei, e in primo luogo a Hose, liberatore
ricordando come fosse stato spessissimo calunniato dai
popolo,
suoi quale ingannatore ed oppressore della nazione; e menziono
fratelli
Daniele e quasi
gione per sospetto d'adulterio. Ricord6 Isaia e
accusati da inique calunnie di esser dispregiatori
tutti i
profeti,
di Dio, facinorosi.
E venne
in
campo anche
il
giudizio di
Su
sanna e di molti
non come
artefici di
opere buone,
ma come
facinorosi agitatori
stamente da un
stizia
ma
E
poi disse
dichiar6 che
la
condanna dovuta a un
si
concilio di sacerdoti;
236
Turn
adhibenda
baud procul
cxccpta
ut,
fucrit a pcrsua-
fidci causa,
Commotae
esset.
parva
omnium
erant
mentes
et
studia exposuerat,
officii
ut in
priscis doctissimis viris ac sanctissimis fuissc,
sensissc,
neque se
velle retractare
damnati, virum
morte indignum;
quoque paratum quodvis supplicium adire forti animo et con-
in laudationes
loannis
stanti;
et ilia
et testibus
illis
tarn
impudentcr
dixissent reddituri.
non
Magnus
gium
bona mens affuissct. Ille autem in sententia permortem appetcrc videbatur, laudansque lohannem Hus
salvari, si
severans
ait
eorum quac
mum
dignum
illi
bono
ilia
meretricibus, conviviis,
aliis
fuit,
rebus
cum
interrumperetur saepius oratio sua variis rumoribus, lacessercturque a nonnullis eius sententias captantibus, ncmincm eorum in-
tactum
reliquit paritcrque
omnes
murmurc
silcbat
POGGIO BRACCIOLINI
mostro che a queste non
si
doveva
237
gli
fede,
ma
per trovare
la verita.
Cosi erano
la
stati discordi
Agostino
Girolamo, e non solo avevano pensato cose diverse, ma addirittura contrarie, senza che nessun
sospetto vi fosse d'eresia.
e
Tutti aspettavano che si scolpasse negando le accuse o che chiedesse perdono dei suoi errori, ma
egli, sostenendo di non aver
errato e di non voler ritrattare cose di cui era falsamente
accusato,
venne finalmente a lodare Giovanni Huss, condannato al rogo, chiamandolo buono, giusto, santo e non meritevole di quella morte.
Si disse preparato ad affrontare
egli stesso il medesimo supplizio
con animo forte e sereno, cedendo a quei testimoni cosi spudoratamente bugiardi, che quando si sarebbero trovati davanti al Dio
che non
si
Grande era
un uomo di
mostrando un animo
contrito.
Egli invece perseverando nei propri sentiment! sembrava desiderare la morte, e, nel lodare Giovanni Huss, disse che nulla questi
aveva sostenuto contro la Chiesa, ma contro Pabuso dei preti,
contro la superbia,
il
fasto e la
ecclesiastici
pompa
ai poveri, poi
quindi alia fabbrica delle chiese, a quelPuomo era
sembrato indegno che venissero sperperati con meretrici, in ban-
patrimoni
ai pellegrini,
replica,
Quando
La sua perorazione
ed attaccandoli
i
mormorii
folia al silenzio
si
il
discorso pre-
238
audituri.
Nun-
intrepida. Illud
est,
se indigna pcrpessus
adversus se inhumanitatcm, quo in loeo
nedum legendi, sed ne videndi ullam habuit facultatcm. Mitto
anxietatem mentis qua oportuit ilium quotidic agitari, quae omnem
memoriam
hominum
excutere debuisset;
simos viros in
testes
ecclesiasticos in
medium
fuisset,
perque
si
protulit in scntentiam suam, ut satis sutoto hoc tempore summo in otio, summa in
dedisset.
operam
Vox
quadam cum
dignitate;
vcl ad comgestus oratoris vel ad indignationem exprimendam,
movendam commiserationem, quam tamcn neque postulabat, ne-
si
quid
Datum
suam
sibi
deinde spatium poenitcndi biduo, multi ad ilium accesipsum a sententia sua dimoverent (inter
eum
adiit,
constant!
ammo,
Cum
tarn forti
mortem
venissct ad
perpessus,
locum mortis,
quam
iste oppetiisse
ipsum exuit vestimentis; turn procumbens, flexis genibus, veneratus est palum ad
quern ligatus fuit; primum funibus madentibus, turn catena nudus
videtur.
ad palum constrictus
fuit; ligna
se
paleis interiectis.
poco
POGGIO BRACCIOLINI
239
gando
quaranta giorni in fondo a una torre fetida e oscura, del cui orrore si dolse affermando
che, come conviene a un uomo forte,
non aveva pianto per questo ma si lamentava di aver
cose
patito
della
a sostegno della
propria tesi tanti dottori della Chiesa, come se
tutto quel tempo in grandissima
quiete e serenita si fosse dedi
cate agli studi.
La
impavido, intrepido, non solo spregiando la morte, ma desiderandola, tanto che Tavresti detto un secondo Catone. O uomo
degno
tra gli
uomini
di eterno ricordo!
Non
la Chiesa,
la finezza del
rispondere;
concesso dalla natura per
vennero a
retta via).
Ma
errori, fu
Con
paura del rogo, non del genere del tormento, non del trapasso.
Nessuno stoico and6 mai con tanta serenita verso la morte. Quando
giunse al luogo delPesecuzione si Iiber6 da se delle vesti, poi,
mettendosi in ginocchio, ador6 il legno a cui venne legato, prima
con corde bagnate, poi con catene. Allora gli vennero posti tutfattorno, fino al petto, grossi pezzi di legno misti a paglia, e non
appena fu appiccata la fiamma cominci6 a cantare un inno che
dopo Pelogio funebre. Va ricordato che
tesi della
supremazia conciliate.
240
canere coepit
hymnum quendam,
quern fumus
Hoc maximum
tibi
narrare
paulum
Nam
ronymus poenas
luit.
in
Poggius Florentinus Secretarius Apostolicus
Licet inter quotidianas occupationes tuas, pro tua in omnes humanitate et benivolentia in
me
per-
Nam
qua
quid
est,
per
Deum
iucun-
tibi
aut
earum rerum quarum commercio doctiorcs effiquod maius quiddam videtur, elegantiores. Nam cum
generi humano rerum parens natura dederit intellectum atque ra-
quam
cognitio
cimur
et,
neque
POGGIO BRACCIOLINI
solo
il
fumo
e le
241
Ma
dettagliato,
maggio
Gerolamo subl
la
sua pena.
in
Poggio fiorentino segretario apostolico saluta
il
la
Timportanza
di
quanto sto
una grandissima
come
gioia. Infatti,
uomini
di studio, avrete
piu colti e, cio che piu conta, piu raffinati ? La natura, madre di
tutte le cose, ha dato al genere umano intelletto e
ragione, quali
ottime guide a vivere bene e felicemente, e tali che nulla possa
pensarsi di piu egregio. M'a non so se non siano veramente eccellentissimi, fra tutti i beni che a noi ha concesso, la capacita e Tor-
la
ragione stessa e
1'
242
quicquam ferme valerent. Solus est enim sermo, quo nos utentes
ad exprimendam animi virtutem ab reliquis animantibus segregamur. Permagna igitur habenda est gratia, turn reliquarum liberalium artium inventoribus, turn vel praecipue
normam quandam
cepta et
iis
dili-
cum multi
Quo uno
solo,
etiam
si
Cicero romanae
hactenus
disti
Dolendum quippe
erat,
tarn eloquentis foeda laceratione iacturam oratoriac facultatis fecisse; sed quo tune plus erat doloris et molestiae, ex eius viri
mutilatione, eo magis nunc est congratulandum, cum sit in pristinum habitum et dignitatem, in antiquam formam atque inte-
ab
diligentia restitutus.
magnum
exilio,
similes,
docti
domi forisque
homines debent,
et
unicum lumen romani nominis, quo extincto nihil praeCiceronem supererat, et eum modo simili lacerum ac dispersum, non tantum ab exilio, sed ab ipso paene interitu revocaverimus ? Nam mehercule nisi nos auxilium tulissemus, necesse erat
gulare et
ter
VIRGILIO, Aen.,
vi,
496-98.
est
virum
POGGIO BRACCIOLINI
243
la virtu
il discorso
quello per cui perveniamo ad
deiranimo, distinguendoci dagli altri animali.
con
la loro cura, ci
adornare
il
un
chiaramente
cosi
le doti
necessarie
non
per
Ma egli presso
che in
lui
riconosceva piu aspetto alcuno, abito alcuno d'uomo. Finora avevamo dinanzi un uomo con la bocca crudelmente dilacesi
rata,
il
fetta salute.
per
di Marcello dall'esilio, e in
un tempo
in cui a
Roma
di Marcelli
morte
ma quasi
questo sin
dall'esilio,
golare ed unico splendore del nome romano, estinto il quale restava solo Cicerone ? E infatti, per Ercole, se non
gli avessi recato
aiuto, era ormai necessariamente vicino al giorno della morte.
Poiche*
non
c'e
ele-
244
splendidum, mundum, elegantem, plenum moribus, plenum facetiis, foeditatem illius carceris, squalorem loci, custodum saevitiam diutius perpeti non potuisse* Moestus quidem ipse erat ac
sordidatus,
tamquam
squalentem barbam
maxime
nostra, ut
cum
cssc-
mus
ille
adhuc salvum
et
situ et
illi,
ut
pulvere squa-
eorum
dignitas
quodam
et
viri, de quibus ipse mcminit QuinHaec mea manu transcripsi, et quidem vclocitcr, ut ea
mitterem ad Leonardum Aretinum ct Nicolaum Florcntinum; qui
tilianus.
contenderunt.
Habes,
i. Citazione libera da
2. In qucsta cscursione
Virgilio, Acn., vi, 277.
Poggio era accompagnato da Cincio de' Rustic! e da Bartolomeo da
POGGIO BRACCIOLINI
gante, pieno di qualita, pieno di arguzia,
245
dei
come solevano
essere
implorare
con la sua eloquenza, aveva salvato tanti, soffriva ora, senza trovare neppur un difensore che avesse pi eta della sua sventura,
che si adoperasse per la sua salvezza, che gH impedisse di ve
nire trascinato a
un
ingiusto supplizio.
non
Ma, come
awengono
dice
spesso
le
il
nostro
cose che
oseresti sperare!
Un
lui,
mi
tare
il
cui
si
massa
diceva vi fosse
un gran numero.
di polvere.
Quei
libri infatti
non stavano
nella biblioteca,
come
pure
dei padri andasse esplorando con cura gli ergastoli in cui questi
e capitata a
grandi son chiusi, troverebbe che una sorte uguale
si
dispera.
tre
primi
libri e
insistentemente
mi
Montepulciano. Per
PP. 52-53-
le
cfr.
WALSER,
op.
cit.,
246
homine
tibi
tuisse
fuit.
te
ct
me,
lanua-
POGGIO BRACCIOLINI
un uomo
ma
dovevo contentare
il
mandare anche
nostro Leonardo.
che
247
Comunque
il
libro,
sai dov'e,
lo vorrai
DE AVARICIA
Cum
turn a christianis
quidem
in primis
erant, atque in eo
dii
ponebant, avari
Si hoc verum est, inquit ANTONIUS subridens, nulli rnodo existunt avari. Auri enim argentique nostri homines eupiditate du-
cuntur,
non
aeris.
Nam
solum
aes
in precio est
habitum apud
annis
ante id bellum argentum primo est signatum bigarum et quadrigarum nota, anno urbis conditae quingentesimo octogesimo quinto
;
nummus
aureus pcrcussus
Aes autem "Servius Tullius primus signavit nota pccudum,
unde
et
pecunia dicta,"
variaretur
cum
Ita, licet
opum
omne
in id
omnia
referant ad
suam
Unde
Nunquam,
ut
et
scitis, satiatur
Gli
altri interlocutori
L'AVARIZIA
C_/on tutto cio che e stato sostenuto a proposito dell'avarizia, disBARTOLOMEO sia dai piu dotti cristiani, sia dai pagani greci e la-
se
tini,
anzitutto stabilire 1'origme del termine avaro, poiche avarizia deriva di II. lo credo che venissero chiamati avari quelli che erano
avidi di bronzo [avidi aeris]
quelli
che
lo
desideravano avidamente,
e nel procurarselo
spendevano grandissima
venivano appunto denominati avari.
Ma se questo
disse
e vero,
ANTONIO
fatica
ed immensa cura,
sorridendo
avari
non
ce
ne sono piu. Gli uomini del nostro tempo sono mossi dalla cupidigia dell'oro e dell'argento, non da quella del bronzo.
Questo nome
rispose
BARTOLOMEO
fu posto a uomini
siffatti
Ma
batte
moneta
nome
serviva di bronzo
il
nome
di
pur
sicche"
utilita e
dunque
sara
o meglio ancora un'avidita di accumulare ricchezze. Infatti ranimo delP avaro e occupato nella ricerca di ricchezza, preso dalTamore del suo tesoro, dominato dalla cupidigia, servo del danaro,
dalla cui preoccupazione affannosa e tormentato giorno e notte.
noti gli interessi antiquari del Bracciolini, a proposito dei quali sottolineava questo testo il MttNTZ, Precursori e propugnatori del Rinascimento
,
250
siti,
Nam
non
nulla dies,
oblitus publici
plurimis. Unde Stoicus ille Cato apud Ciceronem di"Non esse magis vituperandum proditorem patriae quam
communis utilitatis desertorem propter suam utilitatem". Cum
ergo avarus sibi soli deditus, sibi consulens, non solum dcsertor
sed oppugnator sit communis utilitatis atque hostis, sui commodi
desse
quam
sputat:
neque
causa,
veluti [societatis
humanae]
ad
omnibus, certum
est
ipsum
editi
sumus.
Hoc
cumque
agit, ita
libris
fieri
iniuria
sticia,
tur.
cum omnes
i. CICERONE, De fin.,
m, 64. 2. Sia nel prime libro del De officiis, che
nel secondo, dove discute della beneficentia, Cicerone tocca le question! qui
accennate. Ma va tenuto presente che Poggio si vale probabilmente di san
Tommaso, Summa theol, n, 2, p. 118. Per il testo di Ambrogio, Pair.
lat-> 15, 1352.
POGGIO BRACCIOLINI
Come
ardente
non
251
si
fame di ricchezza.
il
a quanti
piii
per il suo personale vantaggio". Poiche dunque 1' avaro, rivolto solo a se stesso, a s6 solo provvedendo, non solamente &
utilita
disertore,
ma
comune
uti
lita,
la
Stabilito questo,
puo
essere
al
E non
solo
non
sara buono,
ma
sara
addirittura cattivissimo. II termine stesso di avaro, infatti, esprivizio designa il male. Poiche non pu6 awenire che uno
avaro senza danno e offesa di molti. E particolarmente ne resta
offesa la regina delle virtu, la giustizia, ch6 tutto quanto opera 1'a-
mendo un
sia
varo scaturisce da ingiustizia. Infatti, mentre egli anela ad aumentare le proprie sostanze, mentre tenta di accumulare denaro o di
impossessarsi di terreni, calpesta,
di giustizia. Percio, soppressa
come
un
i
dice
la giustizia,
vantaggio, frodera
poveri,
252
malum facinus, nullum dedecus cui non assentiatur, quod non perpetretur oblata spe utilitatis.
Ita nee amicitiam colere poterit, nee mover! benivolentia. Nam
quae
quod
fletu.
communi
si
Quam
dusque ab
hominum
Nam quomodo
amari
amorem
consortio
eum
et benivolentiam,
genus
At
esse in civitate,
haberemus.
aqua
publicae perniciosus.
quem
Nam
si
Consueverunt esse homines in senio prudentiores sapienquam in reliqua vita. Nam et usu expcrientiaque rerum
tioresque
dam
exire e vita
cum
inciperet sapere.
At haec perversa
in senes
labes, avaricia,
potissimum invadit, earn aetatem expugnans cui ad obsistendum plus roboris ac virium esse deberet. 1 Eo autem imbe-
i.
POGGIO BRACCIOLINI
253
nui; non si potra pensare una turpitudine, una cattiva azione, una
vergogna cui non consenta, che non sia capace di perpetrate, purchc gli si offra la speranza di trarne im utile. Quindi non potra
ne coltivare Tamicizia ne esser mosso dall'affetto. Qual benevo-
lenza infatti puo essere in lui, cui niente e piu caro del danaro;
o chi puo amare chi odia se stesso? Profondamente vero e 1'antico
Tavaro non
proverbio:
ma
con se
giudica
stesso
se
modo
un altro chi
commovera per pre-
alleviera la poverta di
Non
poverissimo?
si
ghiere, non per lacrime, non per pianti. Per accumulare le sue
ricchezze passera attraverso il dolore di chi piange. Se credera
di poterne ricavare qualcosa, calpestera anche i corpi degPinfelici,
indifferente, crudele, empio. Per tutto questo egli e degno del
comune odio dei mortali come pubblico nemico di tutti, e merita
come una
lanni.
Come
toglie
Pamore
pu6 amare
infatti si
e la
fonte di
il
ma-
resto, ci
gere dalle
fondamenta
il
genere
il
un posto
piu
citta. Infatti,
combatteranno
e
da
soppresse
la
benevolenza e
messo
1'
non avremmo
uomini
amicizia, gli
soqquadro da rapine
stragi.
Ma
bada, te ne prego,
alia gravita di
si
debba temerne
lunga vita
danno
ci
danno
la
la sapienza.
prudenza,
Onde un
le letture e
il
sapiente greco
lungo apprendere ci
Iament6 morendo
si
Ma
254
cillitas
parvum
cioribus.
satis esset,
nam
feram
versus eximios, quibus Harpyas descripsit, exnaturam forrnamque avariciac. Tencs memoria, ut
illos Vergilii
primens in
eis
opinor.
Virginei volucrum vultus, foedissima ventris
proluvies uncaeque
ora fame. 1
manus
et
pallida semper
quam
monomne
nefas parata. Vultus virginei testantur virescentem semper cupiditatem. Augetur enim quotidie et tempore sumit vires fitque in
diem adolescentior, crescens corpore decrescente, ncque aetate infirmatur, sed assurgit validior. Volucres finxit, propter appetitus
Nunquam quiescit mens avari, nunsedatur, inhiat opibus semper varia auferendi genera versans animo. Proluvies expressit apte immensam eius cupiditatem,
mobilitatem velocitatemque.
quam
ex quo
nulla
ille
enim copia
tulo.
avari vitam
immundam
et sordidos
plurimum
quam
ferat
recte addidit ad
eripit,
2. Cfr.
POGGIO BRACCIOLINI
255
la
eppure
Ma per
ritratto Paspetto
degli avari, voglio riportare quei
bei versi di Virgilio dove sono descritte le
Arpie, che rappresentano la natura e il carattere dell'avarizia. Credo che tu li
sappia
a memoria: "Uccelli con volto di
fanciulla, sconcissimo il flusso
del ventre, adunche le mani, il viso
la fame".
Come
to,
si
suoi versi
T avaro non
si cela una
un uomo, ma un mostro
di fanciulla indicano
menta
sotto
il
cui volto
umano
di continue e col
desiderio che sempre rinasce. Infatti autempo prende forza, e di giorno in giorno
si fa
indebolisce per
ricchezze volgendo sempre neiranimo piani diversi per impadronirsene. II flusso esprime acconciamente la cupidigia smisurata per
cui divenne celebre quel verso. L'avaro
Non
affamato,
ma
non
lo sazia, sta
arrabbiato
si
contenta di nessun
con
le fauci
spalan-
affer-
immonda
vesti piu a
Virgilio aggiunse le mani adunche, per mostrare la rapacita dell'avaro. Porta via, strappa, estorce. Non tocca
nulla senza sottrarne qualcosa, impoverendo chi conosce e chi non
opportunamente poi
256
Nam
quod
Primum
pallida
torquetur
duo porri
et
rum
se
admodum
cum
cum domi
ederct, foris
morbo
venire
omni
virtute expulsa.
si
hominum
terrorem, maiusque
magnum
portentum videretur quam scribantur Harpyae. Nam et ipse Vergilius, antequam eos versus proferret, videns se non aequaturum
set,
pestis et ira
ad suum
i.
commodum,
VIRGILIO, Aen.
in, 214-15.
omnes opprimat,
POGGIO BRACCIOLINI
conosce.
E quando
avrebbc potuto
il
poeta presenta
257
volti pallidi
per fame,
Dapprima Tavaro
si
non
tormenta
fatti
che una volta, di due porri recati in tavola per la cena, ordino ne
portassero via uno e lo serbassero per 1'indomani. Ma rimprover6
prima chi aveva fatto la spesa come uno scialacquatore. E un tale
di nostra conoscenza affermava che quando mangiava a casa sua gli
piacevano oltremodo cipolle e agli, ma non quando mangiava fuori.
E un altro ancora, essendo malato e chiedendogli il medico di
si nutrisse, rispose che mangiava carni di bove e di vitello."
Rimproverato perche non mangiava polio, rispose che non conveniva n6 alia sua malattia ne alia sua natura, perch6 costava di
piu. Ma in seguito mangi6 avidamente i polli offertigli in dono da
un amico venuto a conoscenza della cosa. Perci6 T avaro sara pal-
che
fatti gli
scono in
il
giare molto.
abbia voluto
Quando
il
poeta ha descritto
di
man-
tre Arpie,
credo
brama
poi
intendesse la Superbia, la Crudelta, 1'Invidia. Inavari non soffrono di un vizio solo, ma molti ne riunisi
loro, privi
come sono
di ogni virtu.
Avete cosi quasi un ritratto dell'avarizia; se la si potesse vedere con gli occhi, grande timore incuterebbe alle umane menti
e sembrerebbe un mostro assai peggiore di come vengono descritte
Arpie. Lo stesso Virgilio infatti, prima di enunciare quei versi,
vedendo che con le sue parole non avrebbe reso la deformita della
cosa, dissc "Mai mostro piu tristo e terribile, ne peste piu crudele
o divina maledizione si levo dalle onde stigie". Infatti, qual mostro
le
angosciosamente quando
lo
ha
raccolto, e spilorcio
258
nullum
tur, nescio
qua
in praemeditatione defixum.
Turn ANTONIUS:
audivi,
sentirent, qui et
cum
in luxuriam
multa sint
illius
Sed tamen
maius ac foedius
est
turbare. Ergo
et corporis et
enim omne
in
prooemio Declama-
POGGIO BRACCIOLINI
359
Che
non
ti
io
ti
ho
visto
pronto a
so quale obbiezione.
E ANTONIO
ci6 lodo
molto
il
suo inge-
gno. Benche occupatissimo negli affari della curia, dedica abbastanza tempo agli studi, da poter dire queste cose non senza finezza.
Ma
mente,
di questo
se
debba approvarle o no, prese singolarnon sono sicuro. E se anche le cose stanno co-
poi io
m'egli ha sostenuto, io tuttavia, secondo il costume degli Accademici, che erano soliti discutere le afTermazioni degH altri, porter6
alcuni argomenti che non si accordano con quanto egli ha soste
nuto, e voi giudicherete suH'opportunita di accoglierli o no.
Io ho sentito molti uomini, e non certo spregevoli, che per nessuna ragione avrebbero consentito con Bartolomeo quando con
le sue parole ha minimizzato cose a mio parere gravissime, ed al
contrario ha schiacciato con la mole del suo discorso cose di
non
sono molte
le
pene
stabilite
contro
la sfrenatezza,
nessuno punisce
Pavarizia.
lare,
ma
Ma
Perci6 la lussuria
gno, distrugge
mente
il
suo equilibrio e
la
priva di ragione; perci6 molto bene Seneca nel proemio delle De-
tem, ex viro femellam reddit, ex docto ignarum, stultum ex sapiente, memoriae vero est inimicissima. Itaque videbitis luxuriae
deditos, nullius animi, nullius vigoris, nullius prudentiae, vecordes,
contemptos, abiectos. At avaros contra fortes, prudentes, industrios,
concessa
aetati, alterius
gitat
plinam.
Nam
et in
et sapientiae disci-
et in republica praestantes,
et egregios principes,
scimus avaros
quorum
virtus
fuisse.
maxime
viros,
Reges insuper
claruit,
avaros acce-
quo
et reges
multique praeterea egregii in suis studiis viri ct philosophiae dediti, ab Luciano graeco auctore fuisse enumerantur; quo
stoteles,
rum
alio patrocinio
memoratioque, absque
absque argumentis, possit
avarorum causam satis defendere. 2 Sed seponamus auctoritatem
quamlibet, et quid a te qua ratione dicatur discutiamus.
Putasti
ita est,
quicquam
sive
cultum agrorum,
comunemcnte citato
Che Peripatetic! crano
c tcsto
2.
(cfr.
i
attaccati alle ricchezze dice Luciano, fra 1'altro,
neWErmotimo, 16. Aristotele discorre anche nella Nicomachea del valore
dei beni.
positivo
POGGIO BRACCIOLINI
261
suria.
fa di
Gli avari
rati,
al contrario, forti,
d'animo grande
e di
tristi,
abbietti.
tre,
normale
Non
furono
la
avari.
Sappiamo
rono avari re e principi egregi, di splendida virtu, si che se dovessi scegliere fra le due preferirei essere considerato avaro piut-
E non mi vergognerei di rientrare in una cerchia dove sono tanto numerosi anche i re. Dallo scrittore greco
Luciano sono
ricordati
filosofi, e molti
altri,
la
tiamo
E quanto
il
dedichiamo a
un'attivita,
perche" tutti
mano
ci
commercio,
le arti
liberali,
si
affrontano le fatiche e
disagi
262
amplius
fuerit,
eo maiori afficimur
laeticia,
pecuniae cupiditas
non
tatem? Confer
Quanta non
nisi
impudentia, haec
petunt quae vocant beneficia, mihi autcm animae maleficia videntur, divitiarum gratia, quae quo sunt opulentiora, eo maiorem
concursum atque impetum fieri videmus. Nisi forsitan propsalvandam animam, non propter vitam in dclitiis degendam,
ea tantopere putas expeti! Illi ipsi, qui sub hypocrisi haec asper-
in ea
ter
et ci-
tradit
appetitum
si
igitur
quam
I,
7;
vn,
8.
POGGIO BRACCIOLINI
relativi.
Tutto
sto: a ricavare
il
263
mira a quemassimo vantaggio. E quanto esso e piu noterallegriamo ed i nostri vantaggi commisuriamo
;
altro, infatti,
si fa
guida
che
si
dedicano
Non
non
Tammanto
Con
non
i
non
della fede,
hanno
di diventare ricchi
ma
di mira,
con poca
fa-
mopportunita ed
reclamano quelli che chiamano beneficii, ed io
chiamerei invece maleficii deiranima! E tanto maggiore vediamo il
concorso e Faffanno, quanto piu quei beneficii sono cospicui. Si
tica
quanta,
impudenza,
dir6 cura,
addirittura
essi
che crederesti si potessero desiderare a quel modo solo per la salvezza delFanima, non per una vita da trascorrersi negli agL E
quelli stessi che ipocritamente fingono di disprezzare queste cose,
agiscono cosi per dare 1'impressione che
ma
ai
le
alia
propria virtu e
propri meriti.
o manuale, e
pidigia.
la
ri-
264
et
cupidus,
quaero
aes,
si
ista
comparantur pe
sim
quidem
aurum,
avarum
est
non
csse,
est contra
ilia
naturam ava
in aetate,
quocumquc
in statu,
honore, dignitate fuerint, auri cupiditatc, hoc est avaricia, tcnentur, auroque gaudent tamquam re nobis cognata ct affini. Quaere
hoc
in pueris: laetantur
nummis
viris,
neque
causam
nisi
Cum
quod
ita
cupiditas
pcrvcstigandum
quid perversitas aut insulsitas aliquorum horridorum atque agrestium aliquando egerit, sed quid sibi
postulet vita cornmunis, quam
sequi et servare debemus. Illud addam praeterea,
fiat lucidius
quo
quod
libro
De
quam quid
quam
hoc
tu scripsit avariciam
si
curras,
si
placet,
phocniccm
i.
SANT'AGOSTINO, De
repcrisse.
16, 48.
Neque
tu mihi
POGGIO BRACCIOLINI
cerchiamo
il
la
265
cura del corpo.
Ma
queste cose, se proprio non vogliamo essere del buffoni, si ottengono col danaro; e c'e allora da stupirsi se sono cupido, se cerco
di procurarmi bronzo, oro, argento, che sono i mezzi senza cui
non si possono avere quelle cose ? Se questo significa essere avaro,
I'avarizia non e contro natura, come si diceva poc'anzi, ma e la
stessa natura a insediarla e imprimerla in noi
come
con
qualunque
ci e
connaturato. Tutti
come
di
gazzi:
godono
dell'oro
airuomo. Guarda un po' nei rarallegrano di ricevere in dono monete. Guarda nei gio-
un bene noto ed
si
gli uomini,
sono domi-
affine
vanetti, negli uomini, nei vecchi, nei ricchi e nei poveri, nei re,
nei principi: tutti allo stesso modo si compiacciono del danaro,
vanno dietro alia ricchezza; e per nessun altro motivo, se non
perche
la
natura
li
ha formati ed ammaestrati
in
modo che
cupidigia, I'avarizia
non
degna
sa-
tal
di vituperio.
Eppure
con
testa
ci
sono
umana.
stati di quelli,
Non
si tratta
di cercare
come
accettare e mantenere.
da natura ed e dovuto
alia
sua influenza.
Ma
nessuno troverai
che non desideri piu del necessario, nessuno che non voglia avere
molto di piu. L'avarizia dunque e un fatto naturale. Gira, se ti
vai nei foro, nelle strade, nei templi; se qualpiace, la citta intera;
cuno ti dira di non voler nulla piu del necessario (la natura infatti
si
la fenice.
266
istis
hypocritis
istis
tatis;
quod
fuisse atque
dicis.
Nam
qui inhabitabunt
illas,
ex-
Nos quippe
quid ego
hominibus disputo ? Civitates, res publicae,
provinciae, regna quid aliud sunt, si recte animadvertas, praeter publicam avariciae officinam? Quae,
quia communi exercetur decreto, sumit ex
publico consensu auctoritatem. Quaeso te, Cinci, in ilia tua veteri
singulis
modi ad
POGGIO BRACCIOLINI
267
grossolani, che se
fatica e senza su-
ed
altri la
poverta
Non
guadagni.
infatti
verebbe
il
e la carita;
gli
avanzi?
Come pu6
lui solo
es-
Spa-
citta, sparira ogni bellezza ed ogni ornaedificheranno piu templi, non portici; verranno
tutte le arti la nostra vita e la cosa pubblica saranno scon-
mento; non
meno
si
volte, se
si
ognuno
la definizione di
di avari si
compongono
credi che
si
centri agricoli,
debbano bandire
Ma
villaggi, le citta; e se
tu
bisogna radere
terio,
non
tanti,
secondo
risulti
il
cupido e avaro. Vuote dunque e deserte di abituo giudizio, dovrebbero rimanere le citta. Ma
modi
gravami
di spillar da-
268
replendam
aut
aerarii vastitatem,
summam
avariciam?
simus
immensam
fuit.
At quid
illius
memoria,
fama, nomine, gloria rerum gestarum? Quern non tantum commendaret libris Franciscus Petrarcha, vir excellenti ingenio et exquisita sua doctrina, si avaricia in eo virtutis laudem extinxisset.
Quoquo
deflexeris mentis
aciem adstabunt
tibi
documenta haud
publicae avariciae, ut si avaros existimes redarguendos, universus tibi reprehendendus sit terrarum orbis, totumque humanum genus sit immutandum in alios mores, in aliam
vilia et privatae et
honoretur magis. Dixi paulo ante eos qui iuri civili ct canonibus
operam darent, non sciendi sed lucrandi cupiditate se ad eorum
cognitionem conferre. Ex eo videtis quantus fiat ad has disciplinas concursus, tamquam ad certam auri fodinam. At hi, cum quae
appellantur insignia doctorum, licet plures sint indocti, suscepe-
hoc
runt,
quam
honorentur ab omnibus,
quam
quam frequententur,
colantur.
Ornantur quoque
vitiis,
si
manus
suas,
vitia
talogna.
la
di
Ca-
POGGIO BRACCIOLINI
naro per saziare
o
non
la
sua
la
capacita dell'erario,
ti
269
sembrano forse
liberalita,
piuttosto
non testimonianze
rilievo
in
fama
Roberto
di
essi, se
ma
d'argento. Pure fu
c'e di
piu
que tu volga
il tuo
pensiero, troverai esempi insigni di avarizia
e
privata
pubblica, a tal segno che se ritieni degni di biasimo gli
vizio
e,
si
dedica
amore
e ricco, tanto
al diritto civile
di lucro e
non
e canonico,
di scienza.
come
ed anche
si
il
diritto di
un
ne sono piu
concederei ci6 che dianzi ha sostenuto
gravi.
E nemmeno
io vi
Bartolomeo, che tutti i vizi riuniti insieme non sono paragonacon quest'unico vizio. Se cosi fosse, male avrebbero meritato
bili
avendo
270
publicarum, qui cum singulis criminibus flagitiisque, quibus turbarentur civitates hominumque societas violaretur, suam poenam
nulli
id ea ratione,
prohibentur. Atque
innata esse mentibus
necessaria ad
quod
intelligebant sapientissimi
viri
tamquam
urbium
avariciae,
Tu
eis
an ambi-
tionem ? Alterius ope rem publicam saepe adiutam audivimus, alterius male oppressam. M. Crassus fuit avarus, Caesar libcralis, sed
cupidus dominandi. Quid Romam evertit: Crassine avaricia imCaesaris ambitio? Videte quantum a vestra opinione
mensa an
Sint aliqui prae ceteris avari, praeter hanc comavariciam cupidi; vos extimatis e civitatibus hos abici
oportere; ego contra advocari in illas tamquam opportuna admi-
dissentiam.
munem
Quam
ob causam
bene moratis populis ac civitatibus constituuntur horrea publica ad subministrandum frumentum in caritate
ros,
annonae,
ita
sicut in
percommodum
cum
tamquam
basis et
fundamentum
iudi-
hoc
si
est avaros
(nam hae
nee
POGGIO BRACCIOLINI
2J1
stabilito
avari
non sono
colpiti
piu gravi
citta
Ma
delitti.
abbiamo
sare fu liberale,
quanto son lontano dal vostro parere! Se alcuni sono piii avari
della generalita, e cupidi di danaro oltre la normale
misura, voi
ritenete che debbano bandirsi dalle citta. lo invece
reputo che vi
si debbano attirare come un valido
appoggio per il popolo. Ab-
bondano
tradizioni
si
usa
istituire dei
il
fru-
mento
in pubbliche elargizioni, cosi sarebbe molto comodo collocarvi degli avari che costituissero una sorta di
privato deposito di
moneta capace
si
amministra
come
danaro.
Se
infatti
remo noi
pure
qualche volta
ai
ai ricchi, e cio
senz'avarizia ?
che con
la citta
poveri braccianti e
Di
ha bisogno
di
poiche di rado
meglio che si riempia
agli avari,
chi 6
un
aiuto, ricorre-
ai dispregiatori della
ci si
ricchezza oparricchire
pu6
la citta?
Dei ricchi
loro mezzi
una roccaforte
con
e a
le ricchezze,
un
presidio.
ma piu
Non
la
prudenza, con
272
Vidimus ipsi quidem permultos, qui cum avari habetamen et recte consulerent rei publicae et in ea plurimum
auctoritate.
rentur,
auctoritae pollerent,
avaricia.
quorum
Adde quod
decorem
villae,
templa, porticus,
avarorum pecuniis constructa, ut nisi hi fuissent carerent omnino urbes maximis ac pulcherrimis ornamentis.
hospitalia
amicis, turn
Non
ne-
quidem quam
quam
pecunia; nonne
alia
fiat
amicis, con-
Nam
Numquid
tenet.
ilia
1
celebratur,
satis intelligo.
in amicitia conservanda
Multa
stos.
rosos, qui in
Itaque
i.
si
VALERIO MASSIMO,
iv,
7, ext.
i;
ma
Damone
10,
POGGIO BRACCIOLINI
273
la protezione,
consigli.
gli avari
e piu belli?
Tu
Ma
giusti-
onde
il
venuti su
ospiti e di amici.
che non
c'e
sono forse
glio, la
altre cose
premura,
che convengono
all'amicizia,
come
il
sano essere
minima
consi-
protezione?
il
ma
La
nel-
molti
non
difetti
alia stessa
Ma
misura, come
274
non
est avariciae
Cum
erdm
bona.
fere est
bonum
seposito privato emolumento ? Ego ad hunc diem neminem cognovi, qui id quidem posset impune. Dicuntur eiusmodi nonnulla
aliud in
fit
labi, id
ego laudi
sed praevidentia.
dandum
Cum
enim
senes, tamquam qui emensi procellopelagus iter fecerint tempestatibus plenum, versent animo discrimina ac pericula, quae nos circumstant et egestates quae pre-
sum
munt; ad haec autem propellenda noverunt pecuniam quam plurimum conferre; veriti ne in easdem reincidant, quas experti sunt
difficulties, quaerendo ac conservando sibi prospiciunt et suis,
ac veluti usu edocti ea apparant adiumenta, quae praecipua et
utilia ceteris cognoverunt. Non igitur imbecillitate animi, sed firmitate; non errore, sed prudentia rerum magistra comparant pe
POGGIO BRACCIOLINI
275
ma
della malvagita,
io ti
op-
Che
di
ricerca solo
siamo misurare
la vita dei
fe
filosofia.
non
prefe-
rissimo
alia verita.
le
Non
c'e infatti
si
ri-
solva in danno per qualcuno, poiche ci6 che uno ottiene per se
vien tolto a un altro. Quanto alia tua affermazione finale, cosi urtante, che
vo
vecchi cadono molto facilmente nell'avarizia, io ascrine credo che scaturisca da un vizio delPeta, ma dalla
ci6 a lode,
previdenza. Perche
celloso,
ha
fatto
pericoli che
vecchi,
come
un viaggio pieno
ci
chi,
traversando
un mare pro-
di tempeste, considerano
ci
rischi
minacciano.
un
errore,
una
maestra di
vita,
intendendo co-
sicurissima risorsa in caso di poverta, carestia, difficolta, e di tutti i malanni che affliggono i mortali. Perci6 non mi
sembra che i vecchi sbaglino, se fanno dei risparmi ed economiz-
stituire
276
si
nit
quam
Quarum rerum
nisi
moda
evitanda.
attentiores
sit
vitae
ad eloquentiae exercitationem,
ita te
video
hominem liberalissimum
ceteris
dixisse
Nam
cupidum,
non mentietur, cum id absque vitio possit
contingerc. Hoc
loco duo recognoscas velim. Primum, an
lapsus sis in
tasse
in
signifi-
dum
naturam.
POGGIO BRACCIOLINI
277
Ma
se
Fuomo
che
si
ma
la fragilita
della natura, che ci espone a tanti rischi, che ci grava di tanti bi-
che ricorrere
alle ricchezze.
naturale nelFuomo,
ma
umana
fragile natura
Ne
non
e solo
prowe-
la
disagi.
Come ebbe detto questo, tutti guardarono ANDREA che sembrava tenuto a rispondere ad Antonio: Non c'e piu modo di
tacere
disse
per
non per
se.
Poi, sorridendo
indisturbato.
gli altri e
Mi
quegli allora.
sembrava difendere
avendo
letto in
tale,
uomo
vedo
sai
lato in difesa,
possibilita
di
il
uomo
un
che
si
tu,
mi
sei
uomo
la difesa.
liberale,
se qualcuno
plice sospetto d'avarizia;
primo
parole,
distinti,
quando
come
ne occuperemo in seguito, se
e secondo natura.
e del resto ce
rizia
che I'ava
Altro vuol dire avarizia, altro vuol dir cupidigia. Ogni avaro
278
me cupidum
immensa,
tate animi, in
qua
est avaricia,
extiterit
eo est
quae in
eis
continentur, nullum reperietur in illis avariciae vestigium, sed redundabunt omnia liberalitate et munificentia. Quid enim caelum,
et
Quid
vivimus
prodeunt ?
terra,
donis multiplicibus, ut
traria
fert.
Haec
manu;
ilia
POGGIO BRACCIOLINI
279
filosofi,
il
da
desiderio di aver
cibi e le vesti
le
necessita della
forme
fornito di
madre
anima
e di ragione si
il cielo, il mare,
prive di anima, o per lo meno di ragione. Guarda
la terra e ci6 che in essi si volge, e non troverai la minima traccia
di avarizia; tutto
cosa
non
ci
cui influsso
da
il
sovrabbonda di
vengono
le
liberalita e
munificenza.
Che
Che
stelle,
Che
dal
1'aria,
tanti vantaggi che ci offre senza chieder nulla in cambio ? Che cosa
la terra, che produce per il genere umano tante specie di biade, di
di frutta, di animali ? e se qualche bene le affidi, te lo re-
verdure,
stituisce
benefica,
verai
mai
ma
ed appartenga
alia natura,
perche
1'avarizia e contraria e
ben
Ion-
tana dalla natura. Questa dona, largisce; quella strappa, ruba. Que
le cose a piene mani, quella estorce le
sta
spontaneamente porge
280
nos
alit, ilia
spoliat alimentis.
ilia
vinculis eruperunt,
tamquam
avarum
est servus,
tandem
dubium
concupi-
lestias
hominum
ram servitutem
et
diabolicum dominatum!"
Ex
quae sit servitus avari et quae scclcsta. Quo pacto igitur avariciam
aut pecuniarum concupiscentiam asseris
naturalem, per quam na
turae ipsius praecipua iura subruuntur ? Quod si ea csset secundum
naturam, orirentur avari omnes. Producuntur cnim nobiscum naturales
motus atque
ratione amoveantur,
ita effigiuntur,
datur
vitio, si
At
maximum crimen semper iudicatum est quocumque in hostatu, dignitate. Nox me deficeret si recenserc vellem sin-
avaricia
mine,
in
Matth.
POGGIO BRACCIOLINI
281
offerte.
con
tura che
non naturale
ragione stessa
Favarizia.
Ma
combatta contro di
al
bada, te ne prego, a
come
la
Non
mondo
te.
Favaro
si
sottopone spontaneamente
alia servitu
della cupidigia,
ha
scelto
come
propria signora. Senti cosa dice a tal proposito Giovanni Crisostomo. Egli afferma che la cupidigia di danaro congiunta ad avarizia e peggiore di qualunque tiranno non consente gioie, reca tutti
;
che e nemico
alia virtu;
amara
che piu dispiacciono a Dio e agli uomini.
servitu e diabolico potere! Voglio che tu riconosca di qui quale
sia la schiavitu delFavaro, e quanto funesta. Come osi dunque assealle azioni
rire esser
supremi
la cupidigia,
da cui
gli stessi
il
Ma
gli avari, e
non nascono
cosi,
ma
tali
diventano
uomini
per uno storto modo di pensare. Inoltre le cose che negli
nato
esser
di
sono naturali non si criticano. A nessuno si imputa
Ma
1'avarizia e
cieco o zoppo.
colpa, in qualunque uomo, in
dignita.
Non mi
basterebbe
la
ci6 che e stato scritto contro Favarizia dai piu dotti e sapienti
e latini, in cui non troverai mai una parola in lode o in scusa
greci
282
ilia
ab Alexandro,
operum suorum
.vitio
quo muita
suscepit.
Tamen
nulla in parte
minus
vi
scitis
compulsus
malam. At
et ipse et
omnibus
Cum tarn
insita,
ut
dicis,
quamvis aperte affirmaverim neminem philosophum fuisse unquam avarum, qui quidem esset dignus philosophi nomine. Nam
aut carebit appellatione philosophi, si fuerit avarus; aut, si amator extiterit sapientiae, carebit avaricia. Itaque acutum, perspica-
qua
veluti in spurcissimo
virtutis
tuam
attulisti
laborant
bonos.
Non enim
siores evadunt.
esse principes ac
POGGIO BRACCIOLINI
neppure
So che Aristotele era tenuto per
dell'avarizia,
avari.
283
fama
di
So anche che
si
crede aggiungesse
alia vita
beata
avaro.
per non
dell' ammo,
citare
al contrario essa
e classificata fra
vizii,
virtu, Percio
della verita,
molti
filosofi
non
lo
ma per
Che
cia
vizi,
della filosofia,
non difende
autorita al delitto,
le cattive azioni,
ma
gliela toglie,
ma le biasima; non
accorda
e
fuggire, sicche quanto piu uno
Vedi
di
biasimo.
dotto ed erudito, tanto piu le sue colpe son degne
come si impone la forza dell'onesta e il vigore della natura. Pur
dobbiamo
quanto tu
tutti,
dici,
non
c'e stato
diffusa, tanto
mai
filosofo
comune
in
o scrittore cosi
sfacciato da osare di
possono mescolarsi,
e 1'avarizia, in cui
vien
5
meno
ne"
come
un
lurido fango e in
Ma
stati
la virtu
fetida sentina
fra
nell avaro
dotto
una
In
questo e il solo difetto delle persone cospicue.
sono
cattivi
i
umana
condizione
primo luogo, in ogni fortuna e
molto piu numerosi dei buoni. Infatti per esser posti piu in alto
della colpa.
gli
Ne
cipi e
aspri,
virtuosi.
In secondo luogo,
prin
284
rerum
Magnum
quippe
est, et
supra multorum
vires, in
magno
Exa-
mentem
gitat
principatus, inflammat animum, perturbat rationem,
subicit varias cupiditates, ut non multum mirentur homines cum
illi
At vero avarum
monstro,
cum
cum
quicquid
excogitari possit,
esse
quam dominantium
avaricia, ex
cum dicant vereri se ne futurum egeant, ne menHie autem timor non potest cadere in principes aut reges,
quorum in nutu, voluntate, ditione, subditorum bona posita
rem
egestatis,
dicent.
Nam
potentia ipsa
quidem
et
magna rerum
facultas
odium ab
enim putes maliciam illorum solis eis obesse; plurimos laedat necesse est, primum damno, turn autem intentione. Praeclare
quidem,
ut cetera, a Cicerone nostro in libris
De
legibus est
positum, cupi-
tantum
ipsum malum,
impune pervulgaretur avaricia, cur tantas sumpserit vires, cum rudes et imperiti id bonum existimarunt ad quod debitam curam suorum
principum cernerent, quorum mores imitari pulchrum esse ducunt
i.
CICERONE,
De
leg.,
il
detto di Platone).
POGGIO BRACCIOLINI
285
forze di
mold obbedire
alia
Ma
un
re o
un
principe avaro e
una mostruo-
sita,
miseria,
dicendo
temere per il futuro strettezze e necessita di andar mendicando. Ma questo timore non tocca i
principi al cui cenno, alia
di
cui volonta,
Che
meschino
un
tati nelle
Ma
nelPintimo ha
le
un principe
non
perci6,
ma
gPimpulsi
le colpe dei
principi
leggi,
afferma che
corrompono
non sono solamente un male per
se,
ma un
rompono;
dunque il
e nuocciono piu
col vizio.
Ottimo
principi, imitare
costumi
286
et principibus
hominum
avaricia lae-
cinus,
domini
exercetur.
contumelia digni ?
non
Quamquam
vide,
servi miserrimi
an reges
omnique
Quo enim
cenam
imperio simul
et vita
privatus.
Rex enim
non
ille dicitur,
modi, cui est cordi utilitas subditorum, qui quaecumque agit refert
ad eorum quibus praeest commoditatem. Hie autem avarus esse
nulla ratione potest Quod si secus fecerit, non rex sed
tyrannus
dicendus est, cuius est proprium vacare privato emolumento. Hoc
enim
quod
alter
non plerosque,
auri
piuntur,
cupiditate adductos avaricia terieri, refellant hi duo,
mores
cum sint ab eius vitii labe sepositi, eorum est suae
quorum
est explicatum,,
Atqui, inquit,
POGGIO BRACCIOLINI
287
Ma
se 1'ava-
principe
non
solo
principe
nessuna
diritto,
delitti, se
verranno
riscat-
tati col
porteranno un
utile; tutto si
che di piu?
La
il
danno
scompiglio dappertutto. Ma
forse neanche dovremo chiamare costoro re e
signori, bensi servi
Vo-
lesse
il
remo
cielo
in seguito),
conservare
uomo
un porro
rosicchiato o
una mezza
re,
non
ma
tiranno,
un
re
non
Ma
cio
nuto cosi a lungo, che cioe non molti, ma tutti (parola, questa,
che non eccettua nessuno), presi dalla cupidigia delPoro, sono dominati
dall' avarizia,
due, a cui
buon nome.
Ma
forse
288
de sacerdotibus voluit
dixit,
commune malum
et
ludas
illis.
primum
temporibus
non qualescumque
suis in Ecclesia
martyrum
virtus,
cum
hominum
neri
hominum
avaricia,
quam
infinita
cupiditas,
quanta libido
bula.
Verum
Omittamus
ANDREA
sileri
inquit,
quam pauca
loqui.
est
nunc,
lem
esse et necessariam; quae quam verac sint et graves consideremus. Dixisti, quod mihi quidem inter loquendum ridiculum vi-
sum
quia plures
hereditatibus defunctorum. Ita et venefici raptorcsque et testamentarii proderunt, quoniam falsis testamentis,
rapinis, veneno nonnulli
i.
bono,
3.
il
De
sinipl. prael.
2.
ISIDORO,
De summo
POGGIO BRACCIOLINI
289
tutti,
e tanto
fin
Giuda apri la serie tra i discepoli tradendo per deSalvatore, e da allora in poi la voracita dell'oro ha dilagato
senza sosta fino ai nostri giorni, e a tal segno si e impadronita del
radici in essi.
naro
il
clero,
immune da
cupidigia. San-
ma
ma
il
vescovi.
quando
quando
il
mondo
era pieno della santita dei fedeli, che cosa possiamo aspettarci da questi tempi corrotti, da questa perversita di costumi, da
a questa specie di uomini fosse connaturata 1'avarizia, quanto smisurata fosse la loro cupidigia, quanto grande il loro desiderio di
lucro.
un cenno
come Tantalo
ma non
osservano
le
le
Ma
lenatori,
con
falsi
testamenti, con
veleni,
con
le rapine. I delitti
qualche
2QO
locupletentur. Scelera quandoque et privatim et publice profuerunt. Stuprum Lucreciae libertatem peperit populo seditio perma;
est beneficium, si
est
eorum bona
nisi
proverbium: "Avarus,
alicui profuere.
cum
Unde
illud
vulgatum
nihil recte
moritur,
facit".
et
faciunt gementes, aut vi coacti, aut lucro aliquo allecti; eripi, extorqueri ab eo necesse est, si quid opus fuerit; sponte nunquam
dabit; est enim tenax, pusilli animi et omni benivolentia vacui. Sue-
ipsum
deserit?
Quid extimandum
est
opem
ferri
Verissimus est
ille
ne redimerentur
est; in se
i.
sibi ipsis
manus
affcrrent
quam
in alios.
Neque
id
mirum,
POGGIO BRACCIOLINI
291
volta
morire,
ma
si
sua, ed
andava mormorando:
Onde
ma
"a chi
mai
vi lascio".
i
Non
morire".
uno
da aiuto
ai bisognosi,
soccorsi di danaro
ai
poveri.
Con
usura, do-
quelli che sembra aiutare. Nessuno ricorre all' avaro, se non contro voglia, spinto da gravissima
vresti aggiungere, e
necessita
si
con danno di
sa infatti di
non
rifugiarsi in
un porto, ma piuttosto
di
andare a battere contro uno scoglio, in cui ogni cosa andra a finire
in malora. Se poi qualche volta aiutano la citta, lo fanno lamentan-
dosi, costretti
d'animo meschino
vato.
Ma
nome
in
di
Dio immortale, a
chi
di
appoggio o
una
epistola
"L'avaro
non
da Seneca in
verso se stesso
2Q2
alios
desit.
Et Perseus rex
Macedonum
manos etiam
conventam
mam
pecuniam
cum aurum
militibus cum vasa
daret ani-
soiveret.
Tanta
erat avaricia, ut
nummis
omni
aurea pro
si vasa
pecuniam daturum
pecuniam,
auro et
regno, vivus in potestatem Pauli Aemilii devenit, ductusque captivus ante triumphantis currum.
cude abiectius
opera ut
haberent
Quid hoc non rege, sed vili pequi ut aurum teneret regnum amisit, quasi dedita
ditissimus capcretur. Credo quod Romani
gratias
quam
illi,
quod
custos extitisset.
Ampla
Novit cumulare
cum tempus
est
illius opus.
avarus cxpendit,
excnteretur, cum ab
proprium
Nunquam
hoc ridicule
sum
te
domibus? quid solitarius? Omncs quippe moromnibus atque cxccrationibus prosequuntur. Illo
desertius illorum
tales malis illos
utinam
nem
fierct saepius.
spectant,
minime negabis,
qui non alium amct, ipsum ab eo posse amari. Mutua
oportet amicorum affectio. Ut vero cognoscas nullum di-
neminem
enim
sit
POGGIO BRACCIOLINI
doni
se tuttavia e
293
abbandona
degno
potuto
quali
solo salvaguardarsi,
ma
non
il
denaro
si
spoglio
che perse
lui
il
stesso!
se"
mulare
Ma
la ricchezza,
debito. Piange e
tempo
monete
si
separano da
geme come
se lo sbudellassero,
quando
le
lui.
Quando poi hai detto che gli avari abbondano d'amici e che la
loro casa e piena di ospiti, credo tu 1'abbia buttato la perche,
dato il ridicolo di questa, tutte le altre tue affermazioni venissero
prese nello stesso mo do. Mi sono anzi meravigliato che tu stesso
ti
potessi astenere dal ridere. Infatti che cosa c'e di piu deserto
? Tutti i mortali li
perseguitano con
le piii fiere
Solo se
lui.
Ma,
la
ci
dirai,
naro. Perche
Ma
Puomo
tutti
per lasciare il resto, non potrai certo negare che nessuno pu6
amare chi non ama. L'affezione degli amici deve essere scambie-
294
ab avaro, ausculta,
vitium
teris
faciet,
mandatum
servans
aurum
nisi forte
diligit.
Qui amat
legis.
Nunquam
diliget
pecunias,
proximum, qui
diligit
inimicos,
suetudinis recordantur.
si
loqui posset,
alicui,
qui se quaestui addixit, nihil non mali secum tractabit, nihil non
perv ersum ac perniciosum evenire concupiscit, sui commodi spe
obiecta.Optabit interitum cognati, affinis, noti atque ignoti, si speret
hereditatem ad se perventuram. Imprecabitur adversam fortunam
r
vicino cuius
futurum. Laetabitur
quo puer
si
aliorum
sterilitate
damnum
ac fame,
si
dicere solitum ad id
flagitaret a
in
rem suam
frumento abundet.
tempus custodiri
tempus expectandum. Qua voce quid atrocius, quid inhumanius potest praeferri huic non homini, sed
portento immani ?
Quid aliud optes, nisi ut pereat desiderio suo ? At etiam dixisti
avarum consulere patriae; hoc tarn est
eum non
sterilitatis
esse
impossible quam
cupidum. Profecto nunquam dabit rectum consilium mens
Privatum
minui
civitatis
antevertet.
Non
dolebit
apud
periculo patriae,
si
ad
quid ex eo se
POGGIO BRACCIOLINI
vole.
E per
ascolta, se
395
non
ti
amato
al
dall'avaro,
"Chi ama
il
stesso.
suoi nemici,
il
ma
ama
come nemici
prossimo. Chi
tratta
il
danaro,
gli amici.
non
non ama
solo
solo
perdendo Tanima
afHizioni."
Ma
sua,
perche mai
ma
ti
il
sigillo
dell'autorita?
La
tutto al guadagno,
non puo
ai
si
e dato
non
indie -
un
lucro.
De-
uomo,
crepare per
Tutto quel
il
di giusto.
296
tia.
velis
quo quid
? Hoc an
est, oro tc, stabiiire, an funditus
Unus aut alter avarus, hoc est communis
urbem conturbat; quac sequetur vastitas, si
est absurdius
subvertere civitates?
omnium
expilator,
non
utilitatem.
Etenim
si
Verum cxcutiamus
qua
est
nobis ab
omnem virtutem; ergo ab co nulia utilitas emaautem immuncm ilium esse liaud clubium est. Pri-
firmissimum et publicarum
rerum
fundamcntum.
Nam
cum duo dicantur a Ci
privatarum
cerone iusticiae munera, unum ne cui noceatur, altcrum ut comet
muni serviatur utilitati, avari est et noccrc omnibus, et communem utilitatem odisse. Cum autem iusticiae officium est distribucre
suum cuique, hoc est praemio ct poena afficere, at avarus non di
stributor est scd raptor, aliorum
alterius
premio
erit remissus,
corruptus in
poenam irrogandam.
Cum
rcos
iustum dcducct, quod sibi futurum sit quaestuosum. Deinde vacuus crit gratissima virtutum, liberalitate ac munificentia. Sunt enim ab avaricia
longc diversa,
i.
il
POGGIO BRACCIOLINI
297
anche
ai
tempi
nostri, si
sono
visti
uomini che,
la patria.
corrotti dall'oro,
istituire
un
asilo
per malvagi e
ma
ma
di buoni. Platone,
bero
felici
piu sapiente dei Greci, giudico che sarebquegli stati dove i governanti fossero sapienti, o alil
meno
assurdo
si
riempiono di
puo
dire di piu
Questo significa, ti prego, istituire le repubbliche o distruggerle dalle fondamenta ? Uno o due avari, cioe comuni sfruttatori di tutti, turbano una citta; che razza di
saccheggio si avra,
se ne introdurrai molti che,
quasi schiera impetuosa, diano 1'as?
Ma
perci6 da lui
manca
del tutto
il
piu saldo fondamento delle cose pubbliche e private. Dice infatti Cicerone che due sono i doveri della
giustizia: che non si
il
nuoccia a nessuno
ma
nire
altrui,
siderera giusto ci6 che gli portera lucro. Perci6 sara privo di liberalita e munificenza, cioe delle virtu
piu gradite, che sono molto
lontane dalPavarizia
298
ac
promerendo crescunt,
alterae aufcrendo.
magnificentia ac magnanimitate.
quoque
animo dignum geret homo
Nam
Ca-
quid excelso
nomen im-
pensae ? Nunquam utetur pecuniis qui afficitur earum amore servus est enim illarum, non dominus; custos, non dispcnsator;
quas
cum cupiat augere, nunquam ad eas admovebit manus, nunquam
;
ille,
cuius
nomen
filii
reticcbo,
cum
nummulum:
"Accipe, ait; profligemus dum res suppetit; erne lactucas mihi, ut nos etiam convivemur".
Magno mihi crede animo
atque elato his usus est verbis, ut nisi vulgi cxtimuisset opinioncm
eiusmodi expensis rei familiari male consuluisset. At,
assecredo,
cum
nulla in re
modum
servct,
cum
Nam
dinem
erit
et auctor
gravis sit Sallustius.
effe-
Prudentia
rerum
iudicio, Tuus
ergo hie bonus homo desertus
omni splendore atque ornatu virtutum, non ad
conservandairx rem publicam erit utilis, sed ad
delendam, non ad
carebit recto
atque destitutus
POGGIO BRACCIOLINI
299
uomo
ficare,
grandezza d'animo;
meschino,
infatti
ristretto,
niente.
vi sembri
magnanimo nei riguardi dei
nome. Avendo costui messo insieme con
la sua avarizia
grandissime ricchezze, cenando in casa i suoi giovani figli molto splendidamente, tra musiche e canti,
lui, un uomo
che di rado aveva placato la propria fame con una mensa accurata, dopo aver sopportato in silenzio con grande dolore, una volta,
figli
un
il
alia fine,
esasperato dalle voci dei chiassosi convitati,
venne fuori
agitatissimo dalla sua cameruccia come da una prigione, e coprendosi il volto cupo e minaccioso,
guardando a mala pena le luci e
convitati
il
una monetina
di
misura, mentre
il
corpo virile?
possiamo menzionare Sallustio come testimone autorevole. Sara
inoltre privo di prudenza. Infatti chi manca delle altre virtu manca anche di questa, moderatrice di tutte. L/animo corrotto dalla
300
bonorum omnium
est avaricia,
maniores.
lutem
ullo
tamquam
Non amicitiam, non societatem, non ipsius animae samodo excogitare permittit, sed ab omnibus his amovens
saevus tyrannus quos cepit servos sibi
efficit et,
quod
guine quidem vias, luctibus vero civitates replens". His dictis per.spicuum est quae sit futura eius utilitas qui, ut cetera sileantur,
luctu et sanguine sit urbes repleturus. Qui si te delectat, advoca
ilium in tuam rem publicam. Nostra non moleste fcret so quidem
carere hoc tarn improbo architecto civitatum. Si mihi quidem licePlato e re publica, quam iustam suis libris describit, expulit quos eorum verbis et doctrina infici putaret vitam adolescentum ac civitatum mores, ita ego, si tamen hi mecum sentiunt,
ret, sicut
avaros
non
corrumpuntur.
quorum
POGGIO BRACCIOLINI
non
gerli,
a sorreggere
L'avarizia e
e
come
come
come
la giudica
al
frutto di
di pernicioso
inumani
la
il
le citta,
ma
301
a trarle dal
buon cammino,
un
fertile
campo:
uomini piu
provvedere in nessun modo
Non
di bestie feroci.
lascia
rende
gli
causa
cose,
come un
e,
ma
di-
costringe ad
amare
Ora
e chiaro
le citta
quanto sara
di lutto e di sangue.
per
Se costui
un
tieri d'esser
private di
mio
suoi
potere,
libri,
si
il
con
la dottrina,
tadini,
ma
non con
le parole,
ma
io,
mio decreto
coi fatti,
non
cit
GASPARINO BARZIZZA
GASPARINO BARZIZZA da
Branda
Castiglioni,
un
figlio
Tipografia
come
Le opere
Roma, M.
espressione esemplare di
un gusto
e di
un metodo.
A.
Furietti,
e orazioni inedite a
xm
QUODAM ARTIUM
Cum
saepe
mecum
summos
mco
rum hominum
ad
maximo consensu
me
delatam
vidistis,
ac concursu honestissimo-
co-
me
Ea
re
factum
est,
fui,
vester
animus
et
id,
me
faciendum putabam ut, antequam ad id quod institui accederem, ego pro facultate animi mei apcrirem quid nostri veteres de
cum
libcrales
earum artium, quas modo commemoravi, infmitain atque immcnsam quandam naturam animo considcro, nihil in hac re a me aptius
posse fieri iudico, quam ut omncm hanc laudem atque gloriam
vestris percensendam animis potius committam quam ut ea res,
quae nunquam satis laudari potest, percxigua a me ac iciuna oratione commendetur. Quis enim vestrum est qui non intelligat
omnes artes, quae ad humanitatem pertinent, quoddam inter se
2
habere, ut ait Cicero, commune vinculum et quasi cognatione
?
contineri
Quis non sentiat hominum vitam sine his arti
quadam
non
solum
descrtam
et destitutam, sed multis iam brutis longe
bus,
inferiorem et deteriorem esse? Cum vero animum ad earn ipsam
philosophiam retuli, quotiens ego ex vobis audivi huic uni tantum
1
omm
Nam
2.
2.
quorum nonnullos
CICERONE, Arch.,
2.
in hoc
degne d'esser
richieste. Tuttavia,
concedevate di salir
e stato concesso di venire, se la vostra sapienza e la vostra autorita non lo ritenevano degno di tal sede e di tale onore, considerai
prima di iniziare quanto mi ero proposto, dichiamie capacita che cosa pensassero i nostri antichi
e
i meriti della filosofia e delle altre arti che chiagloria
necessario,
rare secondo le
circa la
mano
liberali.
siderando
Ma
quando guardo voi, ottimi padri, e vengo conimmensa natura delle arti sopra ricordate,
1'infinita e
mi sembra
che tutte
le arti
umane hanno
tra loro,
come
non intenda
dice Cicerone,
un
vincolo
perfino
comune
quella
tanto quanto nessun'altra di quelle arti che pure soglion sembrare divine ed eccelse e degne di ogni ammirazione. Come sono
solito sentire
da uomini dottissimi ed
insigni,
308
et velut
illud
primam parentem
a vobis usurpari
intelligebam
lectantur
foris,
pernoctant nobiscum,
posse
fieri
non
plecti voluero.
dubito, totam
si,
quod a nullo
Melius ergo atque uberius illam ipsam a me lausi his, quae de summa laude eius
sacpc a vobis
datam iudicabo,
intellexi,
contentus fuero. Facilius igitur, ut spero, pro vestra sinme a vobis impetrarc paticmini
cum
sit, et
vos hi
sitis,
res
pars,
De
hac ergo a
me diccndum
iudicio,
gist ratu
meo
est ut,
cum
vcstro
i.
video.
CICERONE, Arch.,
16.
feci,
GASPARINO BARZIZZA
309
come propria
sofia
somma
gloria, se
altro
vate vostro
mo do
potrebbe ottenere
non dichiarando
di esser nata
sommo
da
lei
onore
e da lei
face-
il
pensate
unanimi
me
desidera e
lo
si
non
si
prima
mia disputa
che
si
rivolgera a considerare
gomenti
filosofici
il
somma
cura.
Benche molti
ar-
que
io parler6 in
modo
GUARINO VERONESE
GUARINO
DE'
Giovanni
di
morte avvenuta nel 1460. A Ferrara tenne prima scuola prichiamato a educare Leonello d'Este; col 1436
divenne lettore nello Studio. Ricercatore infaticabile di testi, filo-
alia
Guarino fu maestro incomparabile. II suo epistoda Remigio Sabbadini, e da lui illustrato (Venezia
Serie terza,
1915-19, tre volumi, Miscellanea di Storia veneta
tomi vui, xi, xiv), ci da un quadro complete della sua attivita e
logo insigne,
il
lario raccolto
di
mezzo
le
il
L'ampia
nese^
cl,
v.
Poggio apostolico
rim.
sum
quo
et recte valere
certior:
quibus gratuac
mcis
obvenit
verissima
et voter rima
pro
gaudcre
perinde
didici Scipionis ac
Caesaris praestantiam et differentiam ex rebus eorum gestis abs
te collectam esse et sub unum aspcctum adductam. 3 Ingenti cnim
Sic
me
enim
mea dc
longe
quantum tua
significare dclegisti.
toris,
et,
ut Caesar
me
voluisti
Quod
mox
cernes,
non
tarn ora-
in arte ostcntatoris
inter nos hie
munus
dicendum
sit
absolvisti.
Rccenscarnus
si
quam
placet quocl
cum
Aprilis I435)cfr.
4-
AULO GELLIO,
xi, ir.
5.
segretario
apostolico,
awenuto
11 ritorno
si
mi ha
fatto
porta, sia
un
per
la
singolarmente
gioia
si
trattasse di
me, data
Famore che
sua maesta;
allietato
aggiunse
la
la
Ad
rallegrato e
mi
infatti
accrescermi la
mi sono
egli
mi sono
ti
andava
ho goduto come se
un qualche
frutto dei
data
la
tremodo impegnato
tire,
presto vedrai, hai assolto il compito non tanto delForatore, che gli antichi definivano uomo dabbene e amante del vero,
come ben
ci
artificioso.
dire
convenga
mole del
:
fastidiosa la
intendere, essendo tu
316
sis
non
sit
quod
omnes
viri execrari et
Non enim
latinae linguae et
bonarum artium
extitit
par-
Indignum sane facinus, extinctum doctrinae splenorbatum divino lumine genus humanum, cuius profecto
litterarum.))
dorem
et
ingenio vel homini divinitus attributum, seu voluptatcm scu aniseu fructus amplissimos seu immortale gloriae
morum pabulum
Quodnam
baromm
Num
in
Ubinam
convenarum bar-
consuetudinem vitiosam
tudine emendat.
et
corruptam pura
et incorrupta
cum ad hanc
consue-
elcgantiam
i.
tus,
2.
ilia
oratoria
VIRGILIO, Aen.,
iv, 79.
3.
CICERONE, Bru
GUARINO VERONESE
317
contemporanei
ben poco.
Comincero da quello che hai detto
per ultimo, secondo
stume di voi, esimii nell'arte del dire. Tu concludi:
il
nome
di Cesare
tutti gli
il
co
Aggiungi che
uomini dotti dovrebbero esecrare e
non meno
della patria
che della
e un'orribile
colpa spengere la fiamma del sapere ed orbare
genere umano di questa luce divina la cui perdita non
il
potrebbe
potrebbe mai a sufficienza
accusarne Pindegna distruzione, dal momento che nulla di
piu
grande, di piu eccellente, di piu ammirabile, 1'ingegno umano ha
escogitato, o Dio ha attribuito agli uomini, sia che vogliamo prendere in considerazione e contemplare il
che ce ne
mai
essere abbastanza
deplorata, ne
cibo dell'anima, o
si
piacere
il
di gloria.
Ma
deriva,
Con
dottissimo Poggio ? Ti credi forse di fare un discorso in una riunione di barbari, che esalano un pestilenziale
puzzo di unto assai
piu che non profumi di nettare di Muse, e che ad ogni parola
latina spalancano la bocca
per la novita, e stupefatti pendono dalle
labbra delPoratore?
quanti
la parlano.
scritto a
tino
Cicerone
come
Secondo
in
fa Tullio,
le stesse
modo
il
piu elegante quasi di
testimonianze Cesare avrebbe
namenti
altri,
con
318
rorem
illicis
et tui
Ciceronem no-
est, id
non, ut Poggius
fingit, destruit.
Nonne
et
apud Tranquillum
legis
qui
et
erat aptissimus,
analogia libri Latinorum studia iuverunt ? Eos docti homines praccipua mentione minime commendassent, nisi ad testificandam Caesaris
doctrinam
et in
adiumenta
opem
pcrtinere
et ante noveras:
quanta Caesar
ornamcnta, quibus factum
torem
quod
cum
per ignorationem
undique
mcam non
intelligam, in
quonam artium
paene
infiniti
commemorari
tibi
GUARINO VERONESE
Pautorita del tuo nome.
altro
Tu
Se Cesare
Quintiliano:
si
ben
sai
come
319
sia considerate
da Fabio
tanto acume, tanto calore, che sembra parlare con lo stesso ammo
con cui ha combattuto. E tuttavia adorna tutte queste sue doti con
la
meravigHosa eleganza
studioso)), e non,
singolarmente
distruttore.
E non
leggi
porre? quale fu piu acuto nelle sentenze e piu ricco, quale piu
adorno o elegante nelle parole ? Plutarco, filosofo dottissimo, da
a Cesare
il
avrebbe ottenuto
il
primo
se si fosse dedicate
osservando che
all' eloquenza,
a cui
che del resto conoscevi anche prima: quale aiuto e quale ornamento Cesare ha recato alia lingua latina, per cui, se non preferisci essere ostinatamente ingrato, devi chiamarlo piuttosto che
una
lettera a Marcello
il
contrario
Credimi, anche
onoro gPinsegnanti
di tutte le arti,
che
io,
per
la
li
fece venire
Vorrei sapere da
te,
da ogni parte
dal
momento
genere di arti
deplori con te e in-
lo intendo, in qual
la
al
tempo
320
et
quidem
natius viguisse.
Vis de tenuioribus primum artificiis recognoscere ? Praestantissimos fuisse non negabis virosque doctos in grammaticis plurimos,
qui quanti qualesve extiterint, etsi fato nescio quo perierint, docu-
permulti.
Quid de poetis? Dicerem de Catullo, Claudiano, Ovidio, Lucano, Static, Silio Italico, cuius in lucem revocandi auctor exti-
omnes eos suo splendore dignitate admiratione unus Virobumbrasset, de quo etiam turn adulescente ab Cicerone
praeclare dictum est: magnae spes altcra Romae; et ab alio:
tisti,
nisi
gilius
quidem Maronis
laus
peratione
est,
minuatur>>; et:
cedite,
romani
non
vatus,
fidei
Ennium namque
et
qucm
adoramus,
iam non tantam habent speDe satyris non dubitandum est, Quin-
ruit.
quin
Multum
tius.
3
luvenalis
et pictores
genia et
priscis
tersior sit ac
illis
et verae gloriae,
quamvis uno
non in extremis ab
non involvere
meVolumus
libro, Persius
eruditis numeratur.
aequa potestas
Nam
summo abesset historia quamque genus hoc scripnondum satis esset latinis Httcris illustratum. Exorti sunt
eius aetate ab
tionis
Asconius, Luceius, Salustius, L. Florus, Trogus, lustinus, CurCornelius Tacitus et ut in uno cunctorum laudes amplectar
tius,
T. Livius
ille
biles fuerint.
6
gravis et lacteus. Philosophos taceo
Tamen
cum innumera-
priscis
illis, si
non
2.
GUARINO VERONESE
ebbero proprio allora un periodo di
arti
32!
piii raffinato
e mirabile
vigore.
E
piu
lievi.
numero
tra
la
piu antichi
il
un
non
Ne
silenzio
pittori, dal
dubbio
come,
si
al
lasciarono addietro
tempo
uno
solo,
filosofi
non
dico, per-
322
Idem
quabis?
nam
fere;
si
sper Olympo)).
Tullius
cum
simas
pluraeversa
quam
lumina conscripsit
ut ipse affirmat. Pulcherrimas et disertisaliorum turn Ciceronis orationes post civilia bella vi,
demus
acta vel in senatu vel in iudiciis. Quis recensere possit iurisconsultos, admirandos doctrina et orationis suavitate homines, qui
post ilia tempora supra modum eluxere ? Quot in condcndis, digerendis, interpretandis legibus divino
quodam
ingenio et ornatis-
simo scribendi genere floruerunt! Medicinam humanae saluti divinitus commonstratam, antiquis licet temporibus ortam,
post bella
civilia et ornatam et eruditam et
perfectius elimatam ipsius artis
professores egregii
non negant.
quo
tes,
pret es et
quorum
lumen,
mortalium men-
Quae cum ita sint, et ita esse inficiari ncqueas, quid studiorum,
bonarum artium, eloquentiae ruinam falso luges et intcritum?
Qua
ne
in re cave
te Caesaris
immortalitate
eum
et eloquentissimi fuerint,
Num.
Num
?
se e Musarum antris eduxerunt et
togas suecodicibus ad telorum ictus obiectis, se intra concursantes
acies immiscuerunt ? Tot urbes Italiae, tot
peregrinae studiosis
civili
periere
cincti,
VIRGILIO, Aen.
Scip., 14.
i,
374.
2.
CICERONE,
De off.,
in, 4.
3.
CICERONE, Somn.
GUARINO VERONESE
agli antichi?
lo stesso
puo
completamente
infiniti; se infatti tu
la specie.
seme
dopo
le
della fenice
ne
e di-
uomini eloquent!
gli
prima il vespro
oscurando
giorno
1'Olimpo)). Tullio, come dice
(cscrisse piu libri
la
caduta della repubblica che
dopo
concluderebbe
lui stesso,
il
Non
pretendessi enumerare
333
guerre
civili,
il
Cicerone che di
altri. Chi
potrebbe passare in rassegna i
ammirevoli per dottrina e per soavita d'espressione, che
tanto fiorirono dopo quei tempi? Quanti eccelsero
per un divino
giuristi
dei mortali, in
modo
secoli posteriori e le
tale
menti
cielo. Gl'in-
terpreti infatti delle sacre scritture e gli autori delle divine istituzioni vennero allora alia luce, dei quali che cosa vi e di
piu ricco
per facondia, di piu lieto per dolcezza, di piu adorno per forma,
di piu acuto per intelligenza, di piu ricco per varieta?
Stando cosi le cose
e che stiano cosi non puoi mettere in
dubbio
buone
qualcuno non
ti
arti
la
rovina e la morte
e dell'eloquenza?
Bada che in
modo
cio
che tu
ma
pur come
dici,
Muse,
tiratasi
su
tutti, usciti
opponendo i codici ai
avversari ? Vi erano tante
la toga,
le loro ricerche,
324
fuere.
quod tamen adhuc non concede numquid a Caesare senatus consultum factum est, quo philosophiae et ceterarum liberalium ar:
tium studiosi capite poenas luerent aut de italicis urbibus philosophos exterminavit ? Quod Catonem ilium censorium factitasse
constat. Hunc ipsum detestari et execrari dcbueras, si tanta te
studiorum tenet misericordia, quam verbis prae tc fers et quasi
filiolam luges amissam. Quis variarum doctores scientiarum undique allexit? Caesar. Quis praemiis ornavit? Caesar. Quis honore
quam
conveniat
dices:
eum
litte-
magistratus
dum
alit artes
aut
dicis,
namque
civili bello,
Si ita sentis
gloria)).
fallis
romana
res in pri-
ad verbum cxposuit:
dcm
Caesaris potcntia
comparanda haec
dum
contendo, longius latiusque romani fines imperii prorogates afnon coniectura sed scientia et corum tcstimonio qui populi
romani gesta scriptis et memoriae commendarunt Dacas sub-
firmo,
i.
CICERONE, Tusc.
disp.,
i,
4.
2.
PLUTARCO, Cae$.
2.
GUARINO VERONESE
335
Galbi, Pollioni, Paoli, uomini dottissimi, soprawissero! Ammettiamo pure, benche io non te lo
conceda, che per colpa di Cesare
sia stata distrutta la liberta
romana; forse che Cesare fece stabilire per decreto del senate che venissero
condannati a morte
gli
II
il
fa-
pianga
come
figlia.
dici a parole,
dunque
Ma,
premi
delle lettere.
mezzo
le
magistrature, fu eliminata ogni possibilita di dire la propria opinione in senate, poiche tutto era
regolato dalla volonta di un solo
;
non
v'era
piii,
secondo
la
come
inganni moltissimo.
Finita infatti la guerra civile, la lotta, dico, fra Cesare e
Pompeo,
lo stato romano a tal
punto torn6 all'ordine antico, che pressoche
dici,
ti
fun-
essa riusci degna di stima. E da essa non venne alcun atto crudele
o tirannico.
E, come puoi vedere, la cosa fu veramente cosi.
fondandomi
hanno tramandato
326
Aegyptum
partibus
Parthi,
romanum ampliatum
his in
Indi, Scythae,
in amicitiam populi romani venere obquibus Parthi vindicati signa militaria, quae
reddiderunt: quod
cum
I
Ex
cum nostrorum
olim magna
rent
imperium.
tempora
Num
Augusto imperante
sidesque obtulere?
est,
est
et timoris
herbam da-
Quas ob
res
sit
imperium lateque
consueta dignitate retentae, ut planius inferiore in loco patefaciam, bonis artibus et
liberalibus studiis materia honos et praemia non dcfuerint et ea
.
maximum
et potestates
saris opera,
et
sentio, in
num
coepit avaritia,
3
avaritia, ut inquit Crispus, fidem,
Namque
est
invalescere
atque materies,
probitatcm cetcras-
At haec animos aerugo et cura pecum semel imbuerit, speramus carmina fingi posse Hnenda
que bonas
culi
maxime cum
cedro et
artes subvertit.
servanda cupresso?
luventus potius et natu grandiores insueverint privatim et publice rapere, delubra spoliare, sacra
profanaque omnia polluere, quam ullam virtuti ac disciplinac opelevi
citius
SERVIO,
Ad
Cat., x, 4.
4.
i.
ORAZIO, Arte
2.
quam propinqua
VIRGILIO, EcL,
poet., 330.
ix, 36.
3.
adire loca
SALLUSTIO,
GUARINO VERONESE
rico, la
Dalmazia,
pero romano
1'
Africa, TEgitto.
Dopo
327
dei nostri erano state tolte a Crasso e ad Antonio; atto che significava timore, ed era dichiarazione di obbedienza, riconoscendosi
con
ci6 vinti
vato
come
e,
si
diceva,
dando
esteso, essen
come
sommo
per opera di Ce
sare, non solo Cesare non doveva essere chiamato da te parricida
della lingua latina e delle buone arti, che invece favori recando
ci6 avuto
liberali.
nome
non
in
mezzo
Ma
con
ai cigni.
torni ormai
cessivi, di cui
i
il
discorso
al
delitti degli
uomini e
ma
colpevoli
ne sono solo
mali.
L'avarizia infatti,
come
dopo
tutti
buone arti.
Quando questa ruggine, questa
una volta roso gli animi, come sperare
ancora che si possano comporre quei carmi che devono essere
Cominciacol cedro e conservati nel lieve cipresso?
1'onesta e tutte le
coperti
rono allora
giovani e
e private, a spogliare
e dotte; preferirono
fana, invece di occuparsi di opere virtuose
affrontare per guadagno i viaggi oltremare, i pericoli in terra e
nelle navigazioni, piuttosto che andare in luoghi vicini, senza alcun
328
nullo
dant.
cum discrimine, ut meliorem animum ornatioremque redNon minimum quoque detrimcntorum studiis importavit
tum
prius
quam
quorum
pala-
bonorum omnium
ipsas
At enim
ncfaria!
pestcs,
libertate extincta
Indignum
et lacrimabilc facinus,
cum
imperio pracstan-
tissimo atque pulchcrrimo sordidos atquc portcntuosos gubernatores praesiderc contigit. Quid, quod ct exeellentissimi succcsscrc
servatum
quaenam incusandi Caesaris ratio est? Erat in eius manu succesnorman praescribcrc et postcris, quae sequcrcntur,
soribus vitae
Si quis diligentis-
simus pater familias quaesitum industria, magnis laboribus, periculis patrimonium libcris suis legasset, ii vero per socordiam illud
pcrirc sinerent aut luxu et illecebris dilapidassent,
familias iustis conviciis inscctarere?
in te odia concitaris et malcdicta?
Ne
Quod
si
patrcm idcirco
fcccris,
num
iusta
Christi
non egent humana, turn quia in re tarn manifcsta testcs sunt superflui. Petri succcssorcs non omnes Petri similes esse dices aut
GUARINO VERONESE
329
pagna
industria
si
si
intorpidiscono anche i
alia va-
comincio a rivolgere
lato
arti,
se
non
calunniatore.
Tu
li
Antonino
Pio, di Adriano,
non andar
lontano, primo
te
per
sul quale
religione in terra fu Pietro,
il
a quel pastore.
propria chiesa, affidando il proprio gregge
Della sua santita e delle altre sue virtu non conviene parlare, sia
di lode umana, sia perche le testimonon hanno
fondo
la
bisogno
perch6
nianze sono superflue in una cosa cosi evidente. Ma non puoi dire
ne credere che tutti i successori di Pietro siano simili a Pietro.
330
Num. igitur ilium execraberis quia supcriori tcmporc nonnullos improbos vel avaritia vcl ncquitia insigncs cxtitisse non
ignoras? Eadem ratione et regium statum ct consularcm ct decredis.
cemviralem
crcationcm atrociter
magnarum
re rum
occasioncm
et
adiumenta
citiae iubet ea
historiarum dictata, non ad doctorum et quidem priscorum hominum sententiam, sed ad nescio quem sensum voluntatcmque profers? In quo scitum illud sequcndum abs te fuerat: ut castum iudi-
induenda. Id vcro
pitibus discutere
id
sufFerrc
Interim
dum
acies struimus
mentionem
nee lectorem
Longe
qui in altero quidem
bona, quae eximia esse non inficior, dinumcras et tollis ad sidera,
in Cacsare vero vitia si qua fuerint ita rimaris et amplificas, admifefellisses.
aliter fa cis,
i.
laudem vendicare
CICERONE,
DC
am.,
GUARINO VERONESE
Lo
331
modo
condannerai ne coprirai di contumelie quelli che crearono tali dima quanti, avendo avuto 1'occasione e la possibilita di grandi
imprese, si sono invece volti alle male arti.
gnita
uomo, dar
segui
antichi,
fuori
un tuo
fatto
ma non
benevolmente.
giudizio in cui
non
ti
Ed
mostri incerto, e
non
guire
saggio principio, che per assolvere il compito di giudice
misurato e necessario deporre il volto delPamico ed assumere
quello del magistrate. Se ci6 sia stato fatto da te, tu pacatamente
il
si discuta
parte a parte. Non ho infatti la presunzione di essere tanto forte da poter affrontare in un solo attacco
sosterrai che
un
altre coorti
esse vedranno accendersi la battaglia, con alte grida, sotto il comando e le insegne di Cesare, si precipiteranno subito contro di te.
mag-
Ben
diverso e
il
deformi, quasi che tu volessi essere ammirato piuttosto per la sotnon lodato per il rispetto della verita,
imitando
malati di scabbia
332
et
tus, qui
viri
auctorisque gra-
auditori relinque iudicium. Credo, inquis estne in re tanta coniecturis agendum, in qua de vita certatur ? Vitam enim esse non hanc
:
qua morimur
Nee animo advertis, prae cupiditate carpendi, Alexandrum macedonem fuisse non graecum; et de rebus militiae gestis, non de
virtutibus
te
dicis.
Ut
autem non
non
historias conscribimus,
quam
infinitis editis
post addit:
magis
quam
sar invideret.
i.
PLUTARCO, Alex.,
i,
2-3.
GUARINO VERONESE
333
i
luoghi gonfi di marcia che strizzano con le unvedendo
Cosi
che nel parallelo fra Cesare e Alessandro steso
ghie.
da Plutarco, uomo dottissimo e di somma autorita, si potrebbero
andar a trovare
trovare cose dannose per il prestigio di Cesare, tu vai malignandoci intorno e non esponi fedelmente quello che e stato detto
da quel
con
la
ma
lo interpret! in
massima
Io credo
giudizio dell'ascoltatore.
senso cat-
tu dici;
ma
ti
sembra
si
non
furto che
sminuire
il
di aver sottratto
confronto, tu hai
cemente uomo
un
pestello o
un
sarchiello.
Per
somma eccellenza, ma il
che
il
paragone fu
Ma
il
proemio
non
infinite stragi,
alle citta.
E non
gPindizi delle
lasciando agli
altri la
se tu
non
avresti calunniato
che non
le
334
antiquis et ab tua
rerum
facias,
aut probatis
sissimum fuisse
quaedam
Cinnam, civem amplissimum, quater consulem dictatoremque, filiam Corneliam Caesari vixdum annum sextum decimum egresso
in matrimonium collocasse, magnae cuiusdam existimationis et
praecipuae dignitatis argumentum
nihil insigne fuisse fingis.
Cui
est,
non autem
nam
in
capitales exer-
nam
Caesari multos
Ma
rios inesse)).
ingens de Caesare iam inde a puero praeconium,
si sagacissimi ad odorandum Syllae testimonio tot Marios aequabat unus. De Mario philosophus magnus ita sentit et loquitur,
mum virum
Hie
est qui
semper
obtinuit.
Quam
ob causam,
nisi
quod splendida
in adule
commovebant?
Sylla
primum quidem
pol-
SVETONIO,
vin, 249-
lul.,
e 46.
2.
PLUTARCO, Caes.,
i,
i.
3.
GIOVENALE, Sat.,
GUARINO VERONESE
335
che
si tratta
sare,
di cio e testi-
lui,
in considera-
mone
lo stesso Silla,
il
zione della sua gia grandissima importanza, un odio talmente feroce da mandare numerose spie che lo traessero dal suo rifugio
a morte, tanto era
il
Silla
un
terrore
Mario,
aveva 1'abitudine di dire
perche mai?
che
si
Uomo
il
sembra segno
di
Cim-
E non
Silla
maggiori
la sua
per
salvezza? che andassero a pregarlo con somme preghiere le vergini vestali, la cui castita e la cui dignita furono sempre in Roma
considerate
perche
come
regali?
non
crescente virtu
commovevano
crudelissimo ed empio
gli
com' era
il
tiranno
e perspi-
cace,
secondo
la
33^
edentem contempsit
fecit,
Si
et
eundem ab Cinna
ex
et nobilitatis flore
generum delectum,
si
acceptumque
sit.
hominum patrem
1
poeta diceret,
voluerunt. Hoc itaque sacerdotium
cui
et illius
cum
Nam sicut
summa
lovem
potestas
ut
flaminem praestare
tatis
est.
meruisse pro nihilo pones, aut insigne potius quod magnopere sit
laudandum et referendum? nonne ex media virtutis laude dicetur
et officio
Accipe
et
hoc,
quod
Cum
i.
Ne autem
VIRGILIO, Aen.,
vel ignavis id
x, 18, 100.
2.
praemium
GELLIO,
v, 6,
contigisse calum-
sgg.
GUARINO VERONESE
337
modo
si
non con
eredita familiari,
un cosi terribile
cittadine, e tenerlo in
domando
se
non
ti
uomo
ancora
il
coraggio di dire che tutta la giovinezza di Cesare non ha
avuto nulla degno di lode o di ricordo ? Avresti dovuto dire che
nulla ebbe che potesse riuscire gradito ed accetto a
Poggio, in-
Ma
Infatti,
a quel
il
modo
come padre
degli
uomini
e degli dei e
sommo
signore delle cose, cosi vollero che sugli altri emergesse il suo sacerdote. Aspirando a tale sacerdozio molti di somma nobilta, Ce
sare per universale consenso fu anteposto agli altri. L'aver meritato si grandi attenzioni, tanto consenso e tanto favore, ti par nulla,
sotto la guida di
di Mitilene si distinsero molti valorosi soldati,
ma
eccelse
il
va-
il
perche tu
338
nieris, illud
iis
adulescentiam nihil habuisse insigne commemoras, quod magnopere laudandum fuisse dicis. Hoc ipsum vere insigne et celebrandum vel in maioribus natu facinus si de Scipione legisses, quanto
et
quam
est,
seu in hoste
sit
patris
turus
fuisse
mentem, quod etsi forsan alius gravate latamen et patriae splendori et imperii stabilimento
negaturus non es. Regiones Asiae romano proximas imperio
sit,
insigne
gratia navigarat, in
tractis in
Asiam
traiecit
profectus,
quo studiorum
acerrimus adulescens.
Ubi con-
namque magni
cordis et optimis
imbutus
disciplinis adulescens, quod liberalium artium studio ab rebus gerendis abduci contra officium est. Praetermittendae etiam defen-
cum
cognoverat,
tardaretur aut suis ipse studiis impediretur ut eos
quos tutari deberet desertos esse pateretur. Cedis adhuc an vero
perstas et nihil
in
Caesaris
adulescentia
fuisse
insigne
contendis, quod magnopere
laudandum proferendumque
sit?
Hoc
i.
LIVIO,
Ab
Urbe
GUARINO VERONESE
calunniosamente non dica che
ti
tal
tempo avevan
salvato
un
339
cittadino e ucciso
ai
codardi,
un nemico
Cosi Ce-
di lode siano
in colui, la cui giovinezza tu dichiari non avere avuto nulla di notevole e degno di grande considerazione. Se tu avessi letto a proposito di Scipione,
di essere celebrato,
Di quelPatto
awenne come
per
dubbio
la
attri-
liberazione
schiavo ligure.
Mi
viene in mente
un
altro fatto,
che forse
altri
ma
disperse le truppe, salv6 la provincia romana, allontano il pericolo dagli alleati, consolid6 Pautorita romana presso le popolazioni incerte, rafforzo la fedelta di quelle fedeli. II giovane magna-
nimo
e ottimamente educato sapeva che e contrario al dovere laper lo studio delle arti liberaK, e si
il
dovere di tute-
lasciando che rimanessero abbandonati. Cedi dunque, o continui a sostenere che nella giovinezza di Cesare non ci fu nulla
lare,
di insigne,
cosi
lodi,
340
gno
declarans, tribunatum
Non
quod
scribere
fiierit?))
me tempore minime
destinatum confecero.
miciliumMusarumque
ccad sapientiae
Pharmacusam
nutricem imprimis
tamquam
3
enavigabat. Inter navigandum circa
insulam a maritimis praedonibus excipitur; ii nam-
mercaturam
que
et redactis
illis
dum apud
suffixit:
quod
et
tibi
non possum
tuam
adduxerit, tu
caput argutum,
i CICERONE, De off.,u, 65. 2. PLINIO, Nat. hist., vn, 91. 3. CICERONE, De off.,
in, 6. 4. SVETONIO, luL, 74; PLUTARCO, Caes., 2. 5. VIRGILIO, Georg., in, 80.
.
GUARINO VERONESE
monianza
341
di gratitudine,
tra
meriti di Cesare
il
si sia
occupato degli studi
da essere annoverato non ultimo tra i sommi
di questo 6 testimone,
versario, Cicerone:
il
solo
andare
il
resto.
dall'Italia
domicilio delle arti piu eccelse e albergo delle Muse e delPeloquenza. Mentre si trovava intorno all'isola Farmacusa fu catturato
dai pirati che infestavano allora le isole e le coste, dominando il
e con flotte potenti; essendosi riscat-
tato
e attaccata battaglia
li
disfece,
li
mise in fuga, e
catturatili
alia fine
li
la
esser
giusto estimatore della virtu, non si pu6 dubitare che debba
considerata come segno di forza e di giustizia.
Non
posso fare a
mente con
il
meno
quando leggo
te,
la
tua lettera in
cui,
riunendo tutto
come
se
non
fosse
come
testa
se,
arguta
un
dinanzi a
342
mosum,
carpas. Caesarem
locum
posuit)) et
constans ?
in
incerta turpidunis opinio et rumor inqui eius generis est, ut nulla tarn sancta integraque per
quam
sona sit, quam non suspicionibus quivis possit criminari, indignumque apud iudices graves tuique similes facinus habeatur,
suspiciones firmamenti satis habere, quas homines aut factionibus
acerbi aut natura malivoli persaepe confmgant. Cuius rei gravis-
simus
est
testis
Salustius,
Caesarem
Crassum
et
cum
per clarissimorum civium insidias et calumniam variis rationibus et causis in ea et quidem falso nominati
fuissent
scribit,
a Cicerone praestantissimo cive et amantissimo papro Caesaris integritate atque laudibus testimonio
quod
triae consule
declaratum
est.
Ceterum de
animo gestum
est,
quid
vel
rare,
cur editos magnificis apparatibus ludos venationes epulas reliquasque munificentias nee exponis nee significas, quae ad illius aetatis
gloriam pertinebant? Ea vero vel ad peri to rum iudicium vel ad imperitorum notitiam fuerant explicanda. C. quoque Caesari videris
obi cere quod ad conciliandum plebis favorem restituit
trophaea
C.
dam
i.
Qua in re cum non modo vitusumma pietatis laus Caesari sit, quoniam quae-
est
quod
intercepisti.
GUARINO VERONESE
fermassi a criticare
retti, ti
peli della
coda e
343
la criniera scarsa.
e dubitato della partedalia congiura di Catilina, cosa che del resto PluCesare
di
pazione
tarco dice incerta ed oscura ? Ben sappiamo tutte le macchinazioni
si
cosi santa e pura che chiunque non possa calunniosamente accusare. Percio e indegno di un giudice serio come te, dar senz'altro
credito al sospetto che spesso e solo una calunnia di awersari faziosi o di maligni. Di ci6 e testimone serissimo Sallustio, storico
a proposito della congiura di Catilina