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Levinas in Italia

« La laicità e il pensiero d’Israele»


Appunti per un confronto
tra Cohen e Lévinas1
Pierfrancesco Fiorato

1. La scarsa frequenza e l’estrema laconicità dei riferimenti lévinasiani


al pensiero di Hermann Cohen sono già di per sé tali da non incoraggiare
l’interprete a tentare un confronto tra i due autori. A chi voglia misurarsi
comunque con tale impresa si presenta inoltre assai presto il problema
ulteriore della distanza tra i paradigmi teorici di riferimento. Fenomeno-
logia e idealismo critico appaiono espressioni di due atteggiamenti di fon-

1
Sigle impiegate: A) Opere di E. Lévinas: TI = Totalité et Infini. Essai sur l’exteriorité,
Nijhoff, La Haye 1961; tr. it. Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità, a cura di A. Dall’Asta, Jaca
Book, Milano 1980. ADV = L’au-delà du verset. Lectures et discours talmudiques, Minuit, Paris
1982; tr. it. L’aldilà del versetto. Letture e discorsi talmudici, a cura di G. Lissa, Guida, Napoli
1986. DL = Difficile Liberté. Essais sur le judaïsme, Albin Michel, Paris 19833; tr. it. Difficile li-
bertà. Saggi sul giudaismo, a cura di S. Facioni, Jaca Book, Milano 2004. HS = Hors Sujet, Fata
Morgana, Saint-Clément-de-Rivière 1987; tr. it. Fuori dal Soggetto, a cura di F.P. Ciglia, Marietti,
Genova 1992. DMT = Dieu, la Mort et le Temps, Grasset, Paris 1993; tr. it. Dio, la morte e il tempo,
a cura di S. Petrosino, tr. di S. Petrosino e M. Odorici, Jaca Book, Milano 1996. LC = Liberté et
commandement, Fata Morgana, Saint-Clément-de-Rivière 1994; tr. it del saggio omonimo in: Etica
come filosofia prima, a cura di F. Ciaramelli, Guerini e associati, Milano 1989. IH = Les imprévus
de l’histoire, Fata Morgana, Saint-Clément-de-Rivière 1994; tr. it. del saggio La laïcité et la pensée
d’Israël in: Dall’altro all’io, a cura di A. Ponzio, tr. di J. Ponzio, Meltemi, Roma 2002. – B) Opere
di H. Cohen: LrE = Logik der reinen Erkenntnis, B. Cassirer, Berlin 19142; rist. in: Werke, hg. vom
Hermann Cohen-Archiv am Philosophischen Seminar der Universität Zürich unter der Leitung von
Helmut Holzhey, Olms, Hildesheim-Zürich-New York, 1977 ss., vol. 6. ErW = Ethik des reinen
Willens, B. Cassirer, Berlin 19072; rist. in: Werke, cit., vol. 7; tr. it. Etica della volontà pura, a cura
di G. Gigliotti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994. BR = Der Begriff der Religion im Sy-
stem der Philosophie, Töpelmann, Gießen 1915; rist. in: Werke, cit., vol. 10; tr. it. Il concetto di reli-
gione nel sistema della filosofia, a cura di G.P. Cammarota, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
1996. RV = Religion der Vernunft aus den Quellen des Judentums, Kauffmann, Frankfurt a. M.
1929; tr. it. Religione della ragione dalle fonti dell’ebraismo, a cura di A. Poma, tr. di P. Fiorato, S.
Paolo, Cinisello Balsamo 1994. JS = Jüdische Schriften, 3 voll., Schwetschke, Berlin 1924 (in corso
di ristampa, insieme agli altri scritti minori, in: KS = Kleinere Schriften, 6 voll., corrispondenti ai
voll. 12-17 dei Werke, cit.). – Nelle citazioni il primo numero dopo la sigla si riferisce alle pagine
delle edizioni originali e il secondo, tra parentesi quadre, alle relative traduzioni italiane.

TEORIA 2006/ 2
36 Pierfrancesco Fiorato

do così differenti per ispirazione e finalità, da far diffidare delle analogie


che sembrano potersi rinvenire su singoli aspetti e temi inscritti nei ri-
spettivi orizzonti.
Forse un segno di affinità tra i due pensatori può essere rintracciato
nella radicalità con cui essi, ciascuno a suo modo, forzano il paradigma
della propria impostazione, tentando pensieri che si collocano al suo limi-
te2. Al gesto lévinasiano che spinge l’analisi intenzionale fino a far emer-
gere quell’« inadeguazione per eccellenza» che il pensiero come « adegua-
zione all’oggetto» presuppone3, corrisponde in Cohen lo spingersi del pen-
siero fino a quella in-fondazione (Ungrundlegung ) in cui è racchiusa l’idea
originaria della stessa fondazione trascendentale4. Gesto che approda ad
una « trascendenza non dossica, ma para-dossale» 5 il primo, espressione di
un’« autoironizzazione della ragione» da parte del « più profondo spirito
umano» 6 il secondo, entrambi ribadiscono però, in extremis, il carattere
del pradigma al cui limite scaturiscono.
Proprio là dove Lévinas sembra volersi appropriare più direttamente di
pensieri coheniani è dunque d’obbligo la cautela. Quando, nella prima se-
zione di Totalità e infinito , egli cita con favore l’affermazione coheniana
che si possono amare soltanto idee, precisando che « la nozione dell’Idea
equivale in fin dei conti alla trasmutazione dell’altro in Altri» 7, è solamen-
te il nome – qui omesso – di Martin Buber, che con tale affermazione ave-
va invece polemizzato8, a fornire probabilmente all’interprete il filo con-
duttore adeguato per comprendere l’operazione compiuta da Lévinas. E
certo non è semplicemente per opposizioni condivise che si lascia definire
in positivo un orizzonte comune.

2
È quanto in forma diversa sostiene anche Robert Gibbs, Correlations in Rosenzweig and
Lévinas, Princeton University Press, Princeton NJ 1992, p. 176.
3
TI XV [25].
4
JS III 226: Charakteristik der Ethik Maimunis (1908). – Su questo importante saggio di
Cohen e, più in generale, sul significato della sua interpretazione di Maimonide cfr. il ricco e
stimolante commento di Almut Sh. Bruckstein in: H. Cohen, Ethics of Maimonides, translated
with commentary by Almut Sh. Bruckstein, University of Wisconsin Press, Madison 2004; qui
spec. pp. 12 s.
5
DMT 157 [190].
6
ErW 429 [310].
7
TI 68 [69].
8
Cfr. M. Buber, Die Liebe zu Gott und die Gottesidee, in Gottesfinsternis. Betrachtungen zur
Beziehung zwischen Religion und Philosophie, Manesse Verlag, Zürich 1953; rist. in Schriften zur
Philosophie, Kösel-L. Schneider, München-Heidelberg 1962, pp. 542-549; tr. it. di U. Schnabel,
L’eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia , 2. ed., Passigli, Firenze
2001, pp. 47-59, spec. p. 56. Il passo cui Buber e Lévinas fanno riferimento è RV 185 [261].
« La laicità e il pensiero d’Israele» 37

Nella lezione del 23 aprile 1976 del corso su « Dio e l’onto-teo-logia» ,


Lévinas torna a confrontarsi con Hermann Cohen:

Il segno dato ad altri è sincerità, veracità secondo la quale la gloria è glorificata.


L’Infinito non ha gloria se non attraverso l’approccio dell’altro, attraverso la mia so-
stituzione all’altro o attraverso la mia espiazione per l’altro. Il soggetto è, nel suo
stesso psichismo, ispirato dall’Infinito, e in tal modo contiene più di quanto non pos-
sa contenere9.

A queste dichiarazioni Lévinas fa seguire la conclusione perentoria:


« Non c’è quindi, come in Hermann Cohen, correlazione tra uomo e Dio» .
La chiave per comprendere la consequenzialità di tale conclusione è rac-
chiusa nella stessa nozione lévinasiana di infinito, nel suo costitutivo ec-
cedere, nella s-proporzione e dismisura che in essa si annunciano:

Dio non è nella correlazione in cui uno sguardo verrebbe a cercarlo con lo sguardo.
Illeità, è in-finito, fuori dalla struttura in cui lo sguardo assumerebbe il suo choc in-
cludendolo in un logos. Ciò che significa è irrapresentabile, il senza-inizio, l’anarchia
– un passato immemorabile, irriducibile all’oggettivazione10.

Si tratterà allora di pensare « il paradosso di un Infinito in rapporto, ma


senza correlazione, con il finito» 11, una trascendenza come relazione che
escluda anche « l’ultima e più formale co-presenza che ogni relazione ga-
rantisce ai suoi termini» 12, una trascendenza « fino all’assenza» 13.
La distanza dall’impostazione coheniana è qui anche troppo evidente
per doverla sottolineare. La correlazione è pensata da Lévinas come latrice
un’inaccettabile commensurabilità tra i termini e, benché Cohen l’avesse
introdotta già nella Logica della conoscenza pura per spezzare l’immanen-
tismo della sostanza14, in fondo è già la sua stessa inclusione in una simile
cornice ‘logica’ a costituire per Lévinas un imperdonabile peccato d’origi-
ne. Già in Totalità e infinito aveva scritto: « La correlazione non è una ca-
tegoria sufficiente per la trascendenza» 15.
La divergenza nella valutazione del logos, della sua capacità di sottrarsi
ad una costrizione inclusiva e inglobante e di preservare al proprio interno
una differenza, anzi di definirla – così Cohen – nell’unico modo che sia

9
DMT 233 [270 s.].
10
DMT 236 s. [274].
11
DMT 233 [271].
12
DMT 254 [293].
13
DMT 258 [296].
14
LrE 236.
15
TI 24 [51].
38 Pierfrancesco Fiorato

scevro di ambiguità16, appare di primo acchito tale da mettere in serio im-


barazzo chi voglia proseguire nell’impresa cui ci siamo accinti.
Se tuttavia il nostro discorso non finisce qui, ancor prima di iniziare, è
perché sia Cohen sia Lévinas appaiono animati, sia pure in forme tanto di-
verse, dalla medesima necessità di fornire alla filosofia gli strumenti per
pensare una relazione che garantisca al tempo stesso la reciproca separa-
zione e autonomia dei termini collegati.
« La relazione non lega dei termini che si completano a vicenda e che,
quindi, mancano uno all’altro, ma dei termini che bastano a se stessi» 17,
scrive Lévinas. La sua trascendenza designa pertanto
una relazione con una realtà infinitamente distante [… ], senza però che questa di-
stanza distrugga questa relazione e senza che questa relazione distrugga questa di-
stanza, come avverrebbe nelle relazioni interne al Medesimo; senza che questa rela-
zione diventi un inserimento nell’Altro e confusione con esso18.

È ad una simile « relazione tra l’essere di quaggiù e l’essere trascenden-


te che non porta ad alcuna comunità di concetto né ad alcuna totalità» che
egli riserva, come è noto, « il termine di religione» 19.
Invano cercheremmo in Cohen tracce della dicotomia lévinasiana tra
« totalità» e « infinito» . Delle ambiguità dell’infinito Cohen diffida assai più
che di quelle del logos: in polemica con la sempre risorgente tradizione
schleiermacheriana, la religione per lui, più che come sentimento dell’infi-
nito, andrebbe definita come « il sentimento del finito» 20. Contro il « dissol-
versi del finito nella totalità dell’infinito» 21, contro il rischio che l’uomo
venga « inghiottito dal tutto della divinità e [… ] annientato nella sua indivi-
dualità» , è nella preservazione di quest’ultima che egli ritiene di poter rico-
noscere l’« autentico compito della religione» : « Come Dio, così anche l’uo-
mo deve conservarsi. Questo è il senso ultimo della religione» 22. In polemi-
ca con il cristianesimo, vale quindi il principio: « La trascendenza di Dio si-
gnifica la sufficienza dell’uomo per l’affermazione della propria umanità» 23.
« Qui l’uomo, l’individuo, nel suo isolamento, e là Dio, nella sua unicità» :
16
Purché, ovviamente, la mediazione sia mantenuta nel « rigore dell’astrazione concettua-
le» : si veda la polemica contro la materializzazione e personificazione del logos in Filone e nel
cristianesimo in RV 116 s. [183 s.].
17
TI 77 [105].
18
TI 12 [39].
19
TI 53 [78].
20
BR 134 [133].
21
BR 135 [135].
22
BR 134 [133].
23
BR 66 [69].
« La laicità e il pensiero d’Israele» 39

questa, per Cohen, la « chiara articolazione» della correlazione24. Ed è qua-


si come una chiosa, per quanto iperbolica, che suona qui allora l’afferma-
zione di Lévinas:
Si può chiamare ateismo questa separazione talmente completa che l’essere sepa-
rato si mantiene assolutamente solo nell’esistenza, senza partecipare all’Essere dal
quale è separato. [… ] Si vive al di fuori di Dio, a casa propria, si è io, egoismo25.

2. L’« ateismo» che deriva dalla rottura di ogni partecipazione trova eco
e rispondenza – nel segno di quella che Lévinas, con accenti non so quan-
to consapevolmente bonhoefferiani, chiama una « religione da adulti» 26 –
nell’atesimo metodico dell’ etsi Deus non daretur che sta alla base del giu-
snaturalismo laico moderno27.
È Lévinas stesso ad istituire esplicitamente tale nesso nel saggio La laï-
cité et la pensée d’Israël, apparso per la prima volta in una raccolta di studi
sulla laicità edita dalle P.U.F. nel 1960 28. Qui, in un contesto certo teoreti-
camente meno impegnativo di quello delle opere maggiori, la terminologia
impiegata da Lévinas è sorprendentemente assai coheniana ed egli arriva
a parlare, proprio nel passo che a noi interessa, di una « vera correlazione
tra uomo e Dio» :
Spetta all’uomo salvare l’uomo: la maniera divina di salvare l’uomo consiste nel
non fare intervenire Dio. La vera correlazione tra uomo e Dio dipende da una relazio-
ne tra uomo e uomo, di cui l’uomo assume la piena responsabilità, come se non ci fos-
se un Dio su cui contare. Stato d’animo che caratterizza il laicismo, anche moderno29.

Certo, nel disegnare – come Lévinas qui si prefigge – i contorni di una


« religione che raggiunge l’ideale della laicità» 30, la guida avrebbe dovuto
essere anzitutto Franz Rosenzweig, visto che Lévinas, appena un anno pri-

24
Ibid.
25
TI 29 [56 s.].
26
DL 25-41 [27-41].
27
Come noto, il luogo classico è in proposito il § 11 dei Prolegomena al De iure belli ac pa-
cis, dove Ugo Grozio afferma che la legge di natura non verrebbe meno « etiamsi daremus non es-
se Deum, aut non curari ab eo negotia humana » .
28
A. Audibert et al., La laïcité, Univ. d’Aix-Marseille, Bibliothèque des centres d’études
supérieures specialisées: Centre de Sciences Politiques de l’Institut d’Etudes Juridiques de Ni-
ce, vol. 6, P.U.F., Paris 1960, pp. 45-58 (poi ristampato in IH 177-196). – Devo la segnalazione
di questo interessante saggio a Carmelo Meazza, che è anche autore dell’unico studio su di esso
a me noto: cfr. C. Meazza, Apertura teologica e “ laicità” in Emmanuel Lévinas, in: Id., Sulla so-
glia etica del pulchrum. Materiali per variazioni sull’attualismo , Mimesis, Milano 2005, pp. 7-18.
29
IH 183 [90].
30
IH 182 [89].
40 Pierfrancesco Fiorato

ma, aveva scritto che « nessuno più di Rosenzweig è ostile alla nozione un-
tuosa, mistica, pia, omiletica, clericale di religione e di uomo religioso» 31.
E, in effetti, è forse una memoria della diffidenza rosenzweighiana nei
confronti del termine « religione» a trasparire qui nella perplessità iniziale
che si possa applicare all’ebraismo la « categoria sociologica di religione» ,
se ad essa si accompagna l’idea di un prevalere della dimensione sacra-
mentale su quella etica32. D’altro lato, se di religione si decide invece di
voler e poter ancora parlare – ed è questa la scelta che abbiamo visto fare
a Lévinas in Totalità e infinito – allora, per una sua caratterizzazione priva
di ambigui compromessi con la sua versione clericale, potrà fornire qual-
che utile indicazione anche quella « religione della ragione» , a proposito
della quale Cohen sentiva subito il bisogno di precisare che essa « non è
un inganno di preti» 33.
Effettivamente la posizione coheniana per cui « la religione o è essa
stessa dottrina morale o non è religione» 34 appare più vicina di qualunque
altra al Lévinas che qui afferma: « la relazione etica, impossibile senza
giustizia, non prepara soltanto alla vita religiosa, non scaturisce soltanto
da tale vita, ma è questa vita stessa» 35; né è mancato, infatti, chi ha già ri-
tenuto di poter vedere nel pensiero di Cohen « il principale antecedente
della coincidenza tra etica e religione che si ritroverà poi in Lévinas» 36.
Da questo punto di vista l’affinità tra Cohen e Lévinas è certo assai più
stretta di quella tra Rosenzweig e Lévinas o tra Cohen e Rosenzweig37.
Se per quest’ultimo – come Lévinas nel saggio già citato non manca di
riferire38 – l’amore per il prossimo è soltanto la risposta dell’uomo
all’amore di Dio39, per Cohen, al contrario, è l’amore di Dio che « appare

31
DL 243 [234].
32
IH 177 s. [85].
33
RV 8 [62].
34
RV 38 [95].
35
IH 182 [89].
36
Giovanni Leghissa, Il dio mortale. Ipotesi sulla religiosità moderna , Medusa, Milano
2004, p. 169.
37
Cfr. quanto afferma Xavier Tilliette, La morale di Hermann Cohen e l’etica di Emmanuel
Lévinas, in G. Gigliotti, I. Kajon, A. Poma (a cura di), Man and God in Hermann Cohen’s Philo-
sophy , Biblioteca dell’« Archivio di Filosofia» vol. XXXII, CEDAM, Padova 2003, p. 156: « Sol-
tanto l’eterologia di Lévinas ha superato quella di Cohen nel lirismo altruista; né Rosenzweig, né
persino Buber hanno raggiunto un tal grado d’intensità» .
38
DL 248 s. [238 s.].
39
Cfr. F. Rosenzweig, Der Mensch und sein Werk. Gesammelte Schriften, vol. II: Der Stern
der Erlösung , Nijhoff, Den Haag 1976, pp. 238-240; tr. it. di G. Bonola, La stella della redenzio-
ne, Marietti, Casale Monferrato 1985, pp. 230 s.
« La laicità e il pensiero d’Israele» 41

determinato dall’amore umano» :

[Dio] deve necessariamente amare i poveri poiché l’uomo ha il dovere di amare il


suo Mitmensch che è povero40. Tutto ha inizio, l’uomo stesso ha inizio con questo amo-
re sociale, con questa pietà sociale per la povertà41. Solamente dopo che l’uomo ha
imparato ad amare l’altro uomo come Mitmensch, la nozione di amore viene riferita re-
troattivamente a Dio, [e si dice] che Dio ama l’uomo e che ama il povero con la stessa
predilezione con cui ama lo straniero42.

« Il ‘Dio ama lo straniero’ del Deuteronomio non è un’affermazione su


Dio, ma una definizione di Dio» 43, scrive Lévinas. E, addirittura: « Dire che
Dio è il Dio dei poveri o il Dio della giustizia significa pronunciarsi non sui
suoi attributi ma sulla sua essenza» 44. Qui Lévinas, chiamando in causa la
stessa essenza di Dio, appare ancora più radicale di Cohen, il quale comun-
que, fedele alla stessa tradizione talmudica e maimonidea dei tredici « attri-
buti dell’azione» , afferma che « l’essenza di Dio deve poter esser definita
esclusivamente in correlazione all’uomo» , nel senso che « gli devono essere
riconosciuti soltanto quegli attributi che fondano la moralità umana» 45.
Ci troviamo allora comunque di fronte a un’etica teologica? E in tal ca-
so, come è possibile conciliare tale prospettiva con la laicità? È mia con-
vinzione che ci si trovi qui, come proverò ad illustrare, al cospetto di un
gioco assai più radicale di quello espresso dall’alternativa appena evocata,
di un gioco che non si arresta davanti alla dimensione del divino, ma la
coinvolge, e all’interno del quale, alla fine, per ciò che siamo abituati a
chiamare « teologia» resta assai poco spazio.
Intanto, per quanto ancora una volta le diverse impostazioni filosofiche
dei due autori abbiano un peso che è difficile sopravvalutare, non mi pare
condivisibile quanto sostengono Edith Wyschogrod e Ze’ev Levy quando
affermano che il discorso lévinasiano sulla relazione con l’altro uomo deri-
verebbe esclusivamente da intuizioni fenomenologiche (l’ epifania del vol-
to), mentre la visione coheniana dell’altro uomo come Mitmensch, in quan-

40
BR 80 [82].
41
RV 170 [243].
42
RV 171 [244]. – Per un quadro più completo delle differenze tra Cohen e Rosenzweig
rinvio all’articolato lavoro di collazione testuale e di commento da me svolto in collaborazione
con Hartwig Wiedebach: Hermann Cohen im “ Stern der Erlösung” , in M. Brasser (a cura di),
Kontextuelle Kommentare zum “ Stern der Erlösung” , Niemeyer, Tübingen 2004, pp. 305-355;
qui spec. pp. 340-342.
43
IH 188 [93]; cfr. Dt 10,18.
44
IH 182 [89].
45
BR 106 [106].
42 Pierfrancesco Fiorato

to « predicata della correlazione tra uomo e Dio» , si fonderebbe su una


premessa di ordine teologico46.
Le cose non stanno probabilmente né nell’uno né nell’altro caso in termi-
ni così chiaramente definibili. Per limitarci a Cohen, egli afferma anzitutto
che « solamente sulla base del rapporto sociale [tra uomo e uomo] si erge la
correlazione di uomo e Dio» 47. In un altro passo, tuttavia, lo stesso pensiero
è ribadito con la precisazione che « la correlazione tra uomo e Dio non può
trovare attuazione se non in primo luogo nella correlazione tra uomo e uo-
mo, che essa include» 48. Per quanto, dunque, dal punto di vista dell’attua-
zione a parte hominis – e la cosa non è di poco conto, visto che Cohen altro-
ve scrive che, in forza della correlazione, « è come se l’essere di Dio divenis-
se attuale soltanto nella conoscenza dell’uomo» 49 – nulla preceda la relazio-
ne dell’uomo con l’altro uomo, da un altro punto di vista tale relazione appa-
re « inclusa» , compresa, all’interno della più fondamentale relazione tra uo-
mo e Dio, anche se questa solo in quella si esplica e, propriamente, è.
All’interno dell’impianto architettonico di Religion der Vernunft – un
impianto di cui si cercherebbe invano l’analogo negli scritti di Lévinas –
tale duplicità di prospettiva trova la sua spiegazione con riferimento alle
nozioni di creazione e di rivelazione, di cui tratta la prima sezione
dell’opera. In questo senso, anche quanto sopra riportato sull’amore uma-
no per l’altro uomo e sul suo primato rispetto a quello di Dio va integrato
con il passo dove Cohen si riferisce alla controversia tra rabbi Aqiva e ben
Azzaj su quale sia il versetto che introduce davvero l’amore per gli uomini.
Il testo del Talmud Palestinese suona:
È stato insegnato che rabbi Aqiva disse: « Devi amare il tuo altro [rea‘], egli è come
te (Lv 19,18): questo è un grande compendio della Torah» . Ben Azzaj dice: « Questo è
il libro della genealogia di Adamo [dell’uomo] (Gn 5,1): questo è un compendio più
grande di quello» 50.

Tra la motivazione di rabbi Aqiva, che « sottolinea l’eguaglianza tra uo-


mo e uomo» e « fa dunque dell’uomo il Mitmensch» , e quella di ben Azzaj,
che « fa dell’uomo l’immagine di Dio in quanto creatura di Dio» , Cohen

46
Cfr. E. Wyschogrod, The Moral Self: Emmanuel Lévinas and Hermann Cohen, in « Daat:
A Journal of Jewish Philosophy» , IV (1980), pp. 35-58, qui p. 48; cit. in Ze’ev Levy, Hermann
Cohen and Emmanuel Lévinas, in S. Moses - H. Wiedebach (a cura di), Hermann Cohen’s Philo-
sophy of Religion, Olms, Hildesheim-Zürich-New York 1997, p. 136.
47
RV 156 [228].
48
RV 133 [202] c.vo mio.
49
RV 103 [168].
50
TJ Nedarim 9.4.
« La laicità e il pensiero d’Israele» 43

sceglie la seconda: « l’amore degli uomini dipende dalla creazione divina


dell’uomo, non dal mio sentimento soggettivo» 51.
Per quanto, come già dicevo, lo stile filosofico di Lévinas non sia tale
da aiutare a distinguere in esso punti di vista e piani differenti nettamente
delineati, non mi pare molto distante da quanto appena considerato ciò
che egli scrive nel saggio del 1953 Libertà e comandamento a proposito
dell’« esperienza del volto» :
Questo senso che precede ogni Sinngebung , questa pienezza di senso anteriore a ogni
Sinngebung , ma che resta relazione intellegibile, relazione non violenta, descrive la
struttura stessa della creatura. Posso essere condotto senza violenza all’ordine dell’istitu-
zione e dei discorsi coerenti, perché gli esseri hanno un senso prima che io costituisca
con loro questo mondo razionale. La creazione è il fatto che l’intellegibilità mi è anterio-
re. Essa è assolutamente contrapposta alla nozione di Geworfenheit. E questa non è una
tesi teologica: giungiamo all’idea di creazione partendo dall’esperienza del volto52.

Ad essere qui evocate, oltre alle considerazioni sulla disputa tra rabbi
Aqiva e ben Azzaj, sono soprattutto le pagine di Religion der Vernunft sul
concetto di rivelazione, dove questa è definita come la « condizione preli-
minare» , la mera condizione preliminare, per il sorgere e l’esplicarsi della
razionalità umana53. Che la chiave per risolvere i nostri dilemmi non possa
che essere racchiusa, infine, proprio nell’interpretazione di tale concetto è
forse evidente fin dal loro primo sorgere. Ma prima di addentrarci in tale
discorso, converrà tornare ancora al saggio sulla laicità.

3. L’affermazione che « la vera correlazione tra uomo e Dio dipende da


una relazione tra uomo e uomo» non è certo l’unica dove sia avvertibile
qui un’eco coheniana. A partire dalla iniziale interpretazione della « teo-
crazia» ebraica come sottomissione degli uomini all’etica, anziché ad una
casta sacerdotale54 – « la teocrazia non è hierarchía » 55, aveva scritto
Cohen – l’intero testo lévinasiano appare costellato di richiami a temi e

51
RV 138 [208]. – Non va trascurato, tuttavia, il contesto in cui è inserito questo passo: la
motivazione di ben Azzaj, facendo riferimento alla progenie di Adamo, ha il pregio di essere ine-
quivocabilmente universale e quindi fornisce il criterio per interpretare correttamente il rea‘ di
Lv 19,18.
52
LC 45 [27].
53
RV 83 s. [146 s.].
54
IH 177 s. [85].
55
RV 300 [386]. – Per l’interpretazione coheniana della teocrazia cfr. inoltre RV 143 s.,
498 [213-215, 603 s.], nonché JS II 56 s. dove – nel saggio giovanile Der Sabbat in seiner kultur-
geschichtlichen Bedeutung (1869) – il vero carattere della teocrazia viene ricondotto spinoziana-
mente alla democrazia.
44 Pierfrancesco Fiorato

motivi niente affatto marginali in Religion der Vernunft.


Le somiglianze giungono però ad essere sorprendenti soprattutto nel pa-
ragrafo dedicato a « Le nozioni di straniero, di ‘noachide’ e di ‘giusto tra i
gentili’» 56. Qui Lévinas analizza il progressivo precisarsi e approfondirsi
della nozione biblica di gher in quelle talmudiche di ben Noach e di cha-
sid ummot ha-olam, muovendo dalla convinzione che nella nozione di
straniero si concretizzi « l’idea di una società che pone la religione tra pa-
rentesi in nome della religione stessa» 57.
Riassumo brevemente la sua ricostruzione. Già nella stessa nozione del
rispetto dovuto allo straniero – una nozione ribadita, ricorda Lévinas, più di
quaranta volte nel Pentateuco – è racchiusa l’idea che « il fondamento del
diritto di una persona sia indipendente dall’adesione di essa alla religione
dello Stato» 58. In seguito, il Talmud distingue tra lo straniero che abbraccia
l’ebraismo (gher tsedek) e lo « straniero residente» (gher toshav), che non
aderisce al culto israelita, ma al quale sono « accordati i diritti civili» ed
« estese le leggi di assistenza» 59, purché egli osservi i sette precetti noachi-
ci, che i rabbini ricavano dall’interpretazione del comandamento dato ad
Adamo (Gn 2,16) e del patto con Noè dopo il diluvio (Gn 9,4)60. Questi pre-
cetti definiscono le regole di una morale universale. Da qui la conclusione:

Il Talmud pensa a uno statuto religiosamente neutro, a un essere umano senza culto ,
che non è, in quanto tale, spiritualmente mutilato e messo al bando dalla società. In
virtù della sua conformità a una morale, egli entra a pieno diritto nella società. Non si
tratta di estendere la carità agli infedeli, come nel cristianesimo, ma di integrarli le-
galmente, in piena giustizia. « Un gentile che si dedica allo studio della Torah – che
segue cioè i sette comandamenti del noachide – è come il sommo sacerdote» 61.

56
Cfr. IH 186-188 [92-94]. – È quanto già notato anche da Pierre Bouretz, Autour du concept
de Noachide: religion et altérité selon Hermann Cohen, in « Revue de l’histoire des religions» ,
2004, n. 4: Religion et éthique dans la pensée de Hermann Cohen, pp. 391-420; qui spec. p. 417.
57
IH 186 [92]. – Non cita il saggio sulla laicità né si sofferma sulle figure talmudiche appe-
na menzionate la pur ampia meditazione sull’idea dello straniero nel pensiero di Lévinas propo-
sta da Sandro Tarter, Evento e ospitalità. Lévinas, Derrida e la questione “ straniera” , Cittadella,
Assisi 2004. – Per una riproposizione delle linee di fondo della riflessione coheniana su questi
temi cfr. invece: Andrea Poma, Somiglianza e diversità dell’altro: lo straniero. Motivi di attualità
dell’idealismo etico di Hermann Cohen, in « Annuario filosofico» , X (1994), pp. 389-400.
58
IH 186 [92].
59
IH 187 [93].
60
TB Sanhedrin 56a-59b. Si tratta, come è noto, di sei precetti negativi che comandano di
astenersi da: idolatria, blasfemia, spargimento di sangue, incesto, furto e consumo di carne pre-
levata da un animale vivo; e di un settimo, positivo, che comanda di riconoscere l’autorità di un
tribunale.
61
IH 187 [93]. Il testo talmudico citato è tratto da TB Sanhedrin 59a.
« La laicità e il pensiero d’Israele» 45

Lévinas chiude la sua rassegna accostando al concetto di noachide


quello di « giusto o pio tra i gentili» , a proposito del quale un altro testo
rabbinico da lui citato afferma: « Vi sono dei giusti, tra gli idolatri, che
avranno parte al mondo futuro» 62.
Anche Cohen cita tale passo e lo commenta affermando che:
il Talmud, con questo principio, ha tracciato una distinzione fondamentale tra
l’ebraismo e il cristianesimo in tutte le sue forme. In tutte queste, infatti, redenzione
significa redenzione per mezzo della fede in Cristo. E in qualunque modo questa fede
venga sviluppata, sia nel suo insieme, sia per mezzo di singole definizioni, in tutte le
variazioni rimane pur sempre questa fede in Cristo. Cristo rimane la condizione inelu-
dibile per la redenzione. Così, sulla base di questo vincolo, non si dà umanità autenti-
ca [wahrhaftes Menschentum]: questa riposa infatti sulla parificazione religiosa nei di-
ritti alla beatitudine. [… ] Mentre dunque nel cristianesimo si esige non soltanto la fe-
de in Dio, ma anche quella in Cristo, nell’ebraismo nemmeno la fede in Dio viene po-
sta come condizione per la beatitudine63.

Le somiglianze con il testo di Cohen, tuttavia, non sono date solo, come
sarebbe lecito attendersi, dal riferimento agli stessi passi della letteratura
rabbinica64, ma anche dai medesimi riferimenti – e con singolari coinci-
denze testuali – a John Selden e a Ugo Grozio: riferimento più circostan-
ziato il primo, accompagnato sia in Cohen sia in Lévinas dalla menzione
dell’opera De jure naturali et gentium juxta disciplinam Ebraeorum, riferi-
mento più sfumato il secondo, espresso da entrambi con un generico e
identico: « Ugo Grozio loda l’istituzione del noachide» 65.
Anche nell’enunciazione della tesi interpretativa i due testi si assomi-
gliano fino quasi a coincidere: « Il concetto di noachide fonda il diritto na-
turale. [… ] Il noachide è il precursore del diritto naturale sia per lo Stato
sia per la libertà di coscienza» 66, scriveva Cohen; « Il concetto di noachide
fonda il diritto naturale. Esso è il precursore dei diritti dell’uomo e della
libertà di coscienza» 67, gli fa eco Lévinas.
Ce n’è abbastanza, credo, per supporre con una certa verosimiglianza
che il capitolo 8 di Religion der Vernunft costituisca qui la fonte non citata
delle riflessioni lévinasiane. Tuttavia, non è anzitutto questo dato stretta-
mente filologico che a me interessa sottolineare, quanto il fatto, di certo

62
Tosefta Sanhedrin 13.2, cit. in IH 187 [93] (ma indicato come Tosefta Sanhedrin 18).
63
RV 384 [478].
64
In particolare a: TB Sanhedrin 59a: IH 187 [93], RV 142 [212]; Ketubbot 11a: IH 187
[93], RV 143 [213]; Tosefta Sanhedrin 13.2 e Sanhedrin 105a: IH 187 [93], RV 143 [214].
65
IH 188 [94]; RV 143 [214].
66
RV 142 s. [213].
67
IH 187 [93].
46 Pierfrancesco Fiorato

incontrovertibile, della presenza di un’interpretazione assai simile


dell’ebraismo nei due autori. È quanto, sia pure con una valutazione di-
versa da quella che intendo qui proporre, mette in luce anche Giovanni
Leghissa, intitolando un capitolo di un suo recente lavoro « Cohen, Lévi-
nas e una certa idea di ebraismo» 68. Leghissa rimprovera sostanzialmente
a Cohen e a Lévinas di minimizzare tutti gli « elementi peculiari, idiosin-
cratici e inassimilabili dell’ebraismo» , inteso sia come religione sia come
tradizione culturale, e di non fare i conti « fino in fondo» con la « storicità
dell’ebraismo e dei fatti religiosi e culturali in genere» 69. Personalmente,
a rischio di scoprirmi teologo mio malgrado, non sono per sacrificare tutto
sull’altare della storicità e credo pertanto che l’atteggiamento – per nulla
ingenuo – di Cohen e Lévinas a questo riguardo non meriti di essere giu-
dicato in modo così severo70. Tuttavia basta leggere le considerazioni sul
tema dell’« eternità» di Israele che si trovano sparse nei saggi di Difficile
Liberté 71 e ricordare, per di più, che il « noi siamo eterni» rosenzweighiano
da cui esse traggono ispirazione deriva originariamente da un’esclamazio-
ne di Cohen72, per convincersi che Leghissa coglie qui in effetti un aspet-

68
G. Leghissa, op. cit., pp. 179-200.
69
Ivi, pp. 166, 180. – Si aprirebbe qui l’ulteriore, complessa questione del rapporto tra i
due autori e la Wissenschaft des Judentums. Rispetto a quanto affermato da Leghissa alle pp.
190-194, mi pare vada sottolineato come l’atteggiamento esplicito di Lévinas in proposito sia ca-
ratterizzato, al contrario di quello di Cohen, da consistenti riserve. Si veda ad es. il passo di DL
43 [44], dove non mancano accenti che potrebbero addirittura ricordare le dure dichiarazioni di
Scholem (cfr. G. Scholem, Judaica 6: Die Wissenschaft vom Judentum, Suhrkamp, Frankfurt a.M.
1997; qui si veda anche l’utile Nachwort di Peter Schäfer, pp. 70-108). Per la posizione di
Cohen cfr. soprattutto Dieter Adelmann, Die “ Religion der Vernunft” im “ Grundriss der Ge-
samtwissenschaft des Judentums” , in H. Holzhey, G. Motzkin, H. Wiedebach (a cura di), “ Reli-
gion der Vernunft aus den Quellen des Judentums” . Tradition und Ursprungsdenken in Hermann
Cohens Spätwerk, Olms, Hildesheim-Zürich-New York 2000, pp. 3-35.
70
Lo sfondo delle considerazioni su Cohen e Lévinas che veniamo svolgendo è costituito,
ovviamente, dalla lettura universalistica della specificità ebraica proposta da entrambi gli autori,
ossia dal problema di ciò che Lévinas chiama qui « il particolarismo ebraico in vista dell’univer-
salità» (IH 183 [90]). Per una prima visione d’insieme di tale problematica nel pensiero cohe-
niano cfr. Peter A. Schmid, La portée universelle du judaïsme chez Hermann Cohen, in « Revue de
l’histoire des religions» , 2004, n. 4: Religion et éthique dans la pensée de Hermann Cohen, pp.
421-443. Per un’analisi sistematica del ruolo svolto all’interno di tale quadro dal concetto di na-
zionalità cfr. Hartwig Wiedebach, Die Bedeutung der Nationalität für Hermann Cohen, Olms,
Hildesheim-Zürich-New York 1997; qui, per i temi che interessano più direttamente il presente
saggio, si vedano soprattutto le pp. 239-247.
71
Cfr. DL 257 s., 273 s. [246, 262 s.].
72
Secondo la testimonianza di Rosenzweig stesso, Cohen avrebbe concluso con tali parole
(poi non comprese nel testo a stampa) la conferenza Das soziale Ideal bei Platon und den Prophe-
ten, da lui tenuta il 7 gennaio 1918 presso la Lehranstalt für die Wissenschaft des Judentums (cfr.
« La laicità e il pensiero d’Israele» 47

to non secondario dell’atteggiamento degli autori da noi considerati.


Si tratta di vedere ora più da vicino in quali forme e con quali conse-
guenze tale atteggiamento operi concretamente nel caso che stiamo esami-
nando. Tramite il concetto di noachide – questa la tesi comune ai due au-
tori come è espressa sinteticamente da Lévinas – « il monoteismo ebraico
annuncia il diritto naturale» 73. Inutile dire che la questione è, in realtà,
assai più complicata. Come ampiamente argomentato, con riferimento a
Cohen, da un esauriente saggio di Christoph Schulte74, pare plausibile
supporre piuttosto che Cohen e Lévinas, ultimi eredi in ciò di un’illustre
tradizione, altro non facciano che interpretare la figura talmudica del noa-
chide alla luce del giusnaturalismo moderno.
Un’analisi storica disincantata rivela, infatti, che il concetto di noachi-
de è menzionato solo marginalmente dai teorici moderni del diritto natura-
le, per tacere ovviamente degli antichi, e che le fonti tanto degli uni quan-
to degli altri sono piuttosto la filosofia stoica e il diritto romano. A ciò si
aggiunge, questione più delicata, ma per noi anche più interessante, che le
strategie argomentative cui tali teorici ricorrono fanno appello solitamente
al concetto di diritti innati dell’uomo, mentre la presenza di tale concetto
sia nella tradizione ebraica cui Cohen e Lévinas fanno riferimento sia nel
loro stesso pensiero è quantomeno controversa75.
Come già si è visto, Lévinas si limita ad accostare i concetti di noachide
e di « giusti tra i gentili» , ricordando come la Tosefta riservi a questi ultimi
la « partecipazione al mondo futuro» . In realtà, a collegare espressamente
tra loro tali concetti non sono i testi rabbinici stessi, ma è Maimonide e a
ciò si accompagna una vicenda assai rilevante per il problema che stiamo
discutendo.

F. Rosenzweig, Der Mensch und sein Werk. Gesammelte Schriften, vol. 3: Zweistromland. Kleinere
Schriften zu Glauben und Denken, Nijhoff, Den Haag 1984, p. 221; tr. it. di R. Bertoldi in: F. Ro-
senzweig, Il filosofo è tornato a casa. Scritti su Hermann Cohen, Diabasis, Reggio Emilia 2003,
p. 91). Su analogie e differenze che caratterizzano le posizioni di Cohen e Rosenzweig a questo
proposito cfr. P. Fiorato, H. Wiedebach, op. cit., pp. 316 s.
73
IH 186 [92].
74
Chr. Schulte, Noachidische Gebote und Naturrecht, in: H. Holzhey - G. Motzkin - H. Wie-
debach (a cura di), “ Religion der Vernunft aus den Quellen des Judentums” . Tradition und Ur-
sprungsdenken in Hermann Cohens Spätwerk, cit., pp. 245-274, qui spec. p. 263. Il saggio di
Schulte costituisce la fonte principale della ricostruzione storica da me brevemente riproposta.
75
Lévinas si confronterà in modo esplicito e articolato con la problematica dei « diritti uma-
ni» solamente nel corso degli anni Ottanta. In proposito si vedano soprattutto il saggio del 1985
Les droits de l’homme et les droits d’autrui in: HS 173-187 [121-131] e l’analisi di Howard Cay-
gill, Lévinas and the Political, Routledge, London-New York 2002, pp. 151-158. Per la posizio-
ne di Cohen cfr. infra § 4.
48 Pierfrancesco Fiorato

Nel passo in questione, infatti, Maimonide aggiunge una condizione che,


come Cohen si affretta a precisare, « non trova sostegno nel Talmud» 76. Il
passo afferma che:
chi accetta i sette comandamenti e li esegue scrupolosamente è tra i pii delle na-
zioni ed erede del mondo futuro, ma chiaramente solo se li avrà accettati ed eseguiti in
quanto Dio li ha prescritti nella Torah e ha rivelato a noi attraverso Mosè che questi
stessi comandamenti erano stati prescritti in precedenza ai figli di Noè. Se invece li
avrà eseguiti seguendo la guida della ragione, allora non sarà uno straniero residente
né sarà tra i pii bensì [solo] tra i sapienti delle nazioni77.

Cohen, commentando il passo maimonideo, sostiene che, con il ricono-


scimento dei comandamenti noachici come legge mosaica,
il residente non si impegna affatto alla fede personale sulla provenienza dei co-
mandamenti, ma solo a seguirli in tal senso. Questo senso è il senso della legislazione
statale in cui egli vuole fare il suo ingresso. Egli si impegna pertanto solamente contro
l’eventualità che la sua ragione, la sua conoscenza, possa consentirgli un giorno di de-
cidere diversamente, per esempio circa l’astensione, nello Stato ebraico, dall’idolatria
o dall’incesto. Se la sua decisione restasse affidata alla sua ragione, in qualunque mo-
do egli possa averla tratta dalla sua conoscenza, lo Stato non sarebbe tutelato contro la
sua soggettività78.

In altri termini: « lo straniero non è diventato soltanto l’ideale figlio di


Noè, ma è rimasto – in quanto straniero residente – un concetto politico»
che, in quanto tale, non può essere semplicemente identificato con quello
giusnaturalistico di « giusto delle nazioni» 79, ma deve poter trovare invece
con esso un’adeguata composizione. Si tratta dell’aspetto che anche Lévi-
nas sottolinea, richiamandosi con favore a Maimonide quale interprete vi-
goroso di esso80, quando afferma che « il Talmud riconosce situazioni che

76
RV 386 [480].
77
Mishne Torah: Hilkhot Melakhim, 8.11. – Riporto qui il testo secondo la versione fatta
propria da Cohen sulla base della lezione di alcuni importanti codici, tra cui quello della biblio-
teca Bodleiana di Oxford. Altre fonti riportano invece, per l’ultima frase, la versione: « e non sarà
tra i pii né tra i sapienti delle nazioni» . È quest’ultima la versione fatta propria da Spinoza nel
contesto di cui fra poco diremo. Sulle controversie cui l’interpretazione di questo passo ha dato
luogo cfr. infra le indicazioni bibliografiche fornite alla nota 84.
78
RV 386 [480 s.].
79
RV 385 [479].
80
IH 191 [96] – Non sono tuttavia a conoscenza di testi dove Lévinas citi o commenti espli-
citamente il controverso passo di Maimonide. Può essere comunque interessante notare come es-
so sia citato in compenso da Benny Lévy in Être juif. Étude lévinassienne, Verdier, Paris 2003,
pp. 68 s., a sostegno di un modo di concepire la relazione tra specificità ebraica e universalità
umana che l’autore si rammarica di non rinvenire nella « filosofia» dell’« ebreo moderno» Lévi-
nas. Nel medesimo contesto B. Lévy cita significativamente proprio il saggio lévinasiano sulla
« La laicità e il pensiero d’Israele» 49

non possono essere regolamentate dai principi messianici dell’avvenire» e


che « l’originalità dell’ebraismo consiste nel porre il potere politico accan-
to al potere della morale assoluta, senza tuttavia limitare il potere morale
al destino sovrannaturale dell’uomo» , come fa invece il cristianesimo81.
La rilevanza di questa discussione è data non solamente dal contenuto in
sé del passo di Maimonide, ma anche dal fatto che esso è il testo forse più
noto sui comandamenti noachici che sia presente all’interno della tradizione
filosofica occidentale, visto che è citato da Spinoza in conclusione al cap. 5
del Trattato teologico-politico, a illustrazione e sostegno della tesi polemica
per cui gli ebrei affermerebbero che « giuste opinioni e una giusta norma di
vita non giovano alla beatitudine finché le otteniamo con l’aiuto del solo lu-
me naturale e non come insegnamenti rivelati profeticamente a Mosè» 82.
Anche ammesso che Spinoza non intenda qui escludere – se non altro
in considerazione della posizione assunta prima di lui da Uriel da Costa,
che aveva lodato i comandamenti noachici come lex naturalis e che come
noachide si era definito, in polemica con l’adesione ad ogni religione rive-
lata83 – la potenziale conciliabilità tra la nozione talmudica in sé e i prin-
cipi del giusnaturalismo moderno, è bene tenere presente che egli potreb-
be essere tutt’al più disposto a riconoscerla in una prospettiva e secondo
una tradizione (di ispirazione sostanzialmente deista) che non sono certo
quelle che Cohen e Lévinas intendono fare proprie.
Della strategia argomentativa di Cohen già abbiamo detto. « Confutare
Spinoza e scagionare Maimonide» è per lui di decisiva importanza anche
per porre rimedio al fraintendimento dell’ebraismo di cui la pomenica spi-
noziana è diventata la fonte84. La severità dell’atteggiamento di Lévinas

laicità per prendere le distanze dall’idea che « il concetto di noachide fondi il diritto naturale»
(ivi, p. 70). Anche nel confronto gerosolimitano del 18 febbraio 2002 con Alain Finkielkraut de-
dicato alla « question de la laïcité» B. Lévy citava tale affermazione di Lévinas, definendola
l’espressione di un « incroyable obscurcissement» : cfr. A. Finkielkraut - B. Lévy, Le Livre et les
livres. Entretiens sur la laïcité, Verdier, Paris 2006, pp. 42 s.
81
IH 190 [95]. – Per un’analisi delle diverse dimensioni del problema politico nel pensiero
di Lévinas cfr. H. Caygill, Lévinas and the Political, cit.
82
Benedictus de Spinoza, Opera , recognoverunt J. van Vloten et J.P.N. Land, Editio tertia,
Nijhoff, Den Haag 1914, vol. II, pp. 154 s.; ed. it. a cura di R. Cantoni e F. Fergnani: Etica.
Trattato teologico-politico , UTET, Torino 1972, pp. 483 s.
83
Cfr. Chr. Schulte, op. cit., p. 260.
84
RV 385 s. [479 s.]. – Una strategia interpretativa del passo di Maimonide analoga a quel-
la riportata era stata in questo senso proposta da Cohen già nel saggio Spinoza über Staat und
Religion, Judentum und Christentum (1915): cfr. JS III 345-351 (= KS V 389-399). Sul significa-
to di tale strategia cfr. Steven Schwarzschild, Do Noachites have to believe in Revelation? (A Pas-
sage in Dispute between Maimonides, Spinoza, Mendelssohn and H. Cohen) in « The Jewish Quar-
50 Pierfrancesco Fiorato

nei confronti di Spinoza è nota. In uno dei testi più duri di Difficile Liberté
egli parla di « scandalo dell’apostasia» e si dice d’accordo con l’amico
Jakob Gordin – illustre studioso di Cohen e, prima dell’emigrazione in
Francia, attivo esponente della Hermann-Cohen-Stiftung presso la Akade-
mie für die Wissenschaft des Judentums di Berlino85 – circa il fatto che « c’è
un tradimento di Spinoza» , il quale « ha subordinato la verità dell’ebrai-
smo alla rivelazione del Nuovo Testamento» e, così facendo, « ha esercitato
un’influenza decisiva e antiebraica» 86. Merita ancora ricordare, a questo
proposito, che dieci anni dopo Lévinas tornerà sull’argomento, sofferman-
dosi soprattutto sul fatto che « come uomo del suo tempo, Spinoza ha dovu-
to ignorare il senso autentico del Talmud» :
sarebbe eccessivo pretendere da parte di una filosofia che vuole pensare sub spe-
cie aeterni che essa ammetta l’esperienza vissuta tra le condizioni che permettono a
un testo di essere giudicato correttamente, o che ammetta il relativismo storico delle
idee tra le cause della loro fecondità; sarebbe eccessivo sperare di poterle proporre il
Talmud e la letteratura rabbinica come l’opera stessa in cui le intuizioni maturano
storicamente87.

Il « maturare storico delle intuizioni» : né Cohen né Lévinas hanno mai


sostenuto – come avevano fatto Uriel da Costa e, dopo di lui, per quanto
diversamente, Moses Mendelssohn88 – che i comandamenti noachici coin-
cidano con un diritto naturale astoricamente inteso, ma hanno parlato in-
vece entrambi del noachide come di un « precursore» di tale diritto. La
differenza non è di poco conto. Ad essere chiamato qui in causa è un oriz-
zonte storico messianico (che già abbiamo visto tralucere da una citazione
di Lévinas), senza il quale si rischia di fraintendere il riferimento al diritto
naturale presente nei testi di Cohen e Lévinas e di non comprendere quel-

terly Review» , LII (1961-1962), pp. 296-308 e LIII (1962-1963), pp. 30-65 [ora riedito in: Me-
nachem Kellner (a c. di), The Pursuit of the Ideal: Jewish Writings of Steven Schwarzschild,
SUNY-Press, New York 1990, pp. 29-59] e Friedrich W. Niewöhner, Ein schwieriges Maimoni-
des-Zitat im „ Tractatus Theologico-politicus“ und Hermann Cohens Kritik an Spinoza , in « Zeit-
schrift für philosophische Forschung» , XXXI (1977), pp. 618-626.
85
Si veda l’omaggio tributatogli da Lévinas in DL 219-224 [209-213].
86
DL 144 s. [137 s.]. – Le posizioni di Cohen e di Lévinas sul « caso Spinoza» sono esami-
nate criticamente da Ivano Tonelli, La ferita non chiusa. La ricezione ebraica di Spinoza nel No-
vecento , Edizioni dell’Orso, Alessandria 2003, pp. 65-126 e 213-251.
87
DL 155 s. [148]. – Lévinas torna ad affrontare la questione del rapporto di Spinoza con il
Talmud anche in ADV 201-206 [257-262]. Tale questione è approfonditamente discussa da Mi-
no Chamla, Spinoza e il concetto della “ tradizione ebraica” , F. Angeli, Milano 1996, pp. 113-164
(qui cfr. anche le considerazioni sul rapporto di Spinoza con Maimonide alle pp. 168-170).
88
Cfr. Chr. Schulte, op. cit., pp. 265 s. e 271, dove Schulte si sofferma sulla differenza tra
Mendelssohn e Cohen.
« La laicità e il pensiero d’Israele» 51

la peculiare « ragione esegetica» che essi contrappongono al lumen natu-


rale spinoziano89.

4. Non si può non ricordare, a questo punto, che dei problemi relativi al
diritto naturale Cohen aveva già trattato piuttosto diffusamente nell’ Etica
della volontà pura . Qui la contrapposizione tradizionale di diritto naturale
e diritto positivo era stata da lui trasformata in quella di etica critica e di-
ritto positivo90 e per un diritto naturale inteso quale diritto inscritto nella
natura umana non rimaneva che il sarcasmo col quale Cohen bollava la
legge naturale come « legge delle nostre membra» 91.
Contro tale miscuglio di « metafisica acritica» e di « naturalismo» , che
porta infine a riservare l’assoluto al « commercio con la religione» 92, si
tratta di pensare invece per Cohen a un’« etica del diritto» che non rinne-
ghi « lo spirito che ha trovato espressione nell’antico termine di diritto na-
turale» 93, ma ne assuma positivamente l’eredità senza svalutare per questo
la « dimensione morale quale si esplica nella storia dell’umanità» 94, e con-
duca così infine alla « scienza del diritto positivo» 95.
Contro l’idea che « il diritto naturale produca i concetti che il diritto po-
sitivo ha il solo compito di elaborare tecnicamente» , Cohen afferma che
« il diritto naturale può sviluppare i concetti che gli sono propri solo come
etica» 96. E se « il suo contenuto sono le leggi non scritte» , è il caso di sot-
tolineare che « il diritto naturale resta eternamente non scritto» . Infatti,
« ogni volta che si è cercato di scriverlo, in esso si è solo ingenuamente
svelato, o meglio mascherato, il diritto positivo» 97.

89
Prendo in prestito il concetto di una « ragione esegetica» contrapposta al lumen naturale
da Almut Sh. Bruckstein, Die Maske des Moses. Studien zur jüdischen Hermeneutik, Philo, Berlin-
Wien 2001, p. 57; tr. it. parziale di P. Fiorato, Il testo (in-)finito: midrash a margine della filoso-
fia , in « nuova corrente» , L (2003): Il commento nel pensiero ebraico contemporaneo , pp. 297-
324; qui spec. p. 303.
90
Cfr. Peter A. Schmid, Das Naturrecht in der Rechtsethik Hermann Cohens, in « Zeitschrift
für philosophische Forschung» , XLVII (1993), pp. 408-421.
91
ErW 99 [74].
92
Ibid.
93
ErW 70 [53].
94
ErW 99 [74].
95
ErW 70 [54].
96
ErW 599 [430].
97
Ibid. – Che da questi passi dell’ Etica non si possa prescindere per una valutazione della
presa di posizione di Cohen rispetto a Hilkhot Melakhim, 8.11 è quanto già sostenuto anche da
Almut Bruckstein nel commento citato: cfr. H. Cohen, Ethics of Maimonides, translated with
commentary by Almut Sh. Bruckstein, cit., pp. 26 s.
52 Pierfrancesco Fiorato

La rilevanza di tali riflessioni per l’argomento che stiamo considerando


risulta anche più evidente se ad esse viene accostato il passo di Religion
der Vernunft dove Cohen, trattando del concetto di rivelazione, paragona
alla « legge non scritta» dei greci la « dottrina scritta» degli ebrei.
Già si è accennato come Cohen introduca il concetto di rivelazione defi-
nendo quest’ultima come la « condizione preliminare» per il sorgere e
l’esplicarsi della razionalità umana98. Nella parte conclusiva del capitolo
questa definizione viene precisata identificando la rivelazione con
quell’« universale modo di vedere» che « esige la presupposizione di un
che di eterno» 99: « Questo eterno – scrive Cohen – in quanto fondamento
della ragione per ogni contenuto della ragione, l’ebreo lo chiama rivelazio-
ne» 100. È in questo contesto che egli aggiunge: « ciò che i greci chiamava-
no legge non scritta, gli ebrei lo chiamarono dottrina scritta» 101.
Non si comprende il significato di tale analogia, se non si tiene presente
che l’attenzione di Cohen è qui volta fin dall’inizio a definire un modello
secondo il quale pensare la relazione tra dottrina scritta e dottrina orale.
Per quanto ciò possa sembrare paradossale, per Cohen gli ebrei fissarono
il passato « come dottrina scritta» – trascurando così quel « collegamento
con la ragione» da essi altrimenti sostenuto – proprio perché « il loro
sguardo e il loro interesse» erano, assai più di quelli dei greci, « volti al fu-
turo» : per nessun altro motivo, dunque, scrive Cohen, se non « per dare vi-
gore di dottrina alla dottrina orale» 102.
Lo stesso pensiero è espresso incisivamente da Lévinas, in un saggio de
L’aldilà del versetto , con le parole: « La Scrittura come scrittura comporta
un appello alla posterità» 103. L’orientamento verso il futuro, che qui si af-
faccia, costituisce lo sfondo e l’orizzonte ultimi della riflessione di entram-
bi gli autori e implica quel riferimento al messianismo o, come Cohen an-
che lo chiama, all’« idealismo pratico della messianologia» 104, secondo il
quale andrà declinata l’intera problematica da noi fin qui considerata.
La radicalità con la quale la tradizione dell’ebraismo talmudico intende

98
RV 83 s. [146 s.].
99
RV 96 [161].
100
RV 97 [162].
101
RV 97 [161].
102
Ibid.
103
ADV 203 [259]. – Per un’illustrazione del significato filosofico dell’ermeneutica talmudi-
ca nel pensiero di Lévinas cfr. gli studi di Francesco Camera: L’ermeneutica tra Heidegger e Lé-
vinas, Morcelliana, Brescia 2001, pp. 231-264 e Lévinas e la tradizione del commento , in « nuova
corrente» , L (2003): Il commento nel pensiero ebraico contemporaneo , pp. 405-426.
104
RV 505 [612].
« La laicità e il pensiero d’Israele» 53

la relazione tra le due dottrine – una radicalità espressa da Cohen nella


formula: « è la stessa dottrina scritta a diventare orale» 105 – comporta che,
come scrive Lévinas, « a partire dall’esegesi si [possa] parlare di Rivelazio-
ne continua, come si parla in teologia e in filosofia di Creazione continua» .
Lévinas prosegue facendo riferimenti a due testi haggadici assai noti:
Secondo un apologo talmudico (trattato Menachot 29b), quel che viene insegnato
alla scuola di rabbi Aqiva sarebbe incomprensibile a Mosè, ma sarebbe tuttavia l’inse-
gnamento stesso di Mosè. La Torah, secondo un altro apologo (trattato Bava Metsia
59b), non è più in Cielo ma nelle discussioni degli uomini; ostinarsi a cercarne il sen-
so originario – il senso celeste – equivale, paradossalmente, a sradicare alberi o a ro-
vesciare la corrente dei fiumi106.

Cohen, forse più radicale in questo di Lévinas, trae le conseguenze


estreme di tale impostazione, non a caso, proprio nel capitolo dedicato a
« L’idea del messia e l’umanità» , e giunge a scrivere che « questa estensio-
ne della rivelazione alla tradizione è inevitabilmente una dissoluzione del-
la rivelazione in conoscenza » 107.
La dialettica di « estensione» e « dissoluzione» che qui si annuncia ap-
pare in realtà, per quanto riguarda il destino di « ciò che è scritto» , non
meno radicale di quella « carta assorbente» di cui Walter Benjamin in un
celebre passo sentenziava:
Il mio pensiero sta alla teologia come la carta assorbente all’inchiostro. Ne è com-
pletamente imbevuto. Se dipendesse, tuttavia, dalla carta assorbente, non resterebbe
nulla di ciò che è scritto108.

Sulla base di quanto visto finora verrebbe dunque da dire che proprio in
ciò che qui appare, di primo acchito, come descrizione della secolarizzazio-
ne di un patrimonio di pensiero teologico, sopravviva invece un atteggia-
mento genuinamente ‘teologico’ tipico della tradizione del pensiero ebraico.
Non è certo un caso, d’altro lato, se le riflessioni lévinasiane sulla « lai-
cità del pensiero d’Israele» sono incorniciate da considerazioni sullo stu-
dio 109. Dove altro potrebbe risiedere, infatti, tale laicità, se non nel fatto
che la Torah « esige un pluralismo e un confronto» e che « l’originalità di

105
RV 33 [90].
106
ADV 203 s. [259 s.].
107
RV 301 [386].
108
W. Benjamin, Gesammelte Schriften, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, 7
voll., Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1972-1989, vol. 5 tomo 1, p. 588: N 7a, 7; ed. it. a cura di E.
Ganni: I « passages» di Parigi, Einaudi, Torino 2000, p. 528.
109
IH 178 s., 192 s. [86, 97].
54 Pierfrancesco Fiorato

ciascuno non compromette la verità dell’insegnamento, ma gli permette


soltanto di manifestarsi» 110? A distinguere, tuttavia, questo pluralismo da
una mera ermeneutica dell’inesauribile, rimane il duro monito messianico:
« Bisogna che l’età del messia sorga un giorno da questo ordine
temporale» 111. E, per quanto quest’ultimo e l’ordine della giustizia possa-
no distare, per Lévinas « tutta l’impresa del Talmud e l’obbligo di studiarlo
ne rappresentano l’unione» 112.
Quanto poco, secondo lui, la teologia possa essere qui d’aiuto, è proprio
un saggio su La rivelazione nella tradizione ebraica a chiarirlo:

La teologia razionale è una teologia dell’essere nella quale il razionale è equivalen-


te al Medesimo considerato nella sua identità, ed è suggerito dalla compattezza con la
quale la solidità della terra è ferma sotto il sole. Essa appartiene all’avventura ontolo-
gica che trascinò il Dio e l’uomo della Bibbia , compreso a partire dalla positività di un
mondo, verso la “ morte” di Dio e verso la fine dell’umanesimo – o dell’umanità –
dell’uomo113.

Abstract

In spite of their quite different approach, Cohen and Lévinas are both interest-
ed in defining a form of relationship which guarantees the reciprocal separation
and autonomy of related terms. Although in his main works Lévinas rejects the
concept of « correlation» to define this relationship, in La laïcité et la pensée
d’Israël (1960) he speaks of the « true correlation between man and God» . This is
not the only aspect that suggests a proximity to Cohen. Especially the chapter
about the concepts of the stranger, the Noachide and the righteous gentiles con-
tains several elements pointing that Cohen’s Religion of Reason out of the
Sources of Judaism might be the underlying source of Lévinas’s arguments. This
is the case also of the main thesis: the Noachide was the precursor of natural
right. Cohen’s and Lévinas’s universalistic interpretation of jewish particularity
expresses itself in this statement. The ethical rationalism which becomes here no-
ticeable doesn’t refer, nevertheless, to an unhistorical « lumen naturale» . On the
contrary, it summons up the messianic horizon of history, from human persua-
sions arise. In this sense, jewish laicism is founded on the concept of « continuous
revelation» inherent in rabbinic exegesis.

110
IH 179 [86].
111
IH 192 s. [97].
112
IH 192 [97].
113
ADV 179 [233].

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