PRIMO MODULO
1) Esporre i vari modi in cui viene declinata la disciplina denominata con gli
appellativi “teoria dei linguaggi” e “filosofia del linguaggio”:
La teoria dei linguaggi anche chiamata filosofia del linguaggio è una disciplina che si occupa
del linguaggio umano e dei suoi sistemi di comunicazione. Poiché indaga le relazioni tra
linguaggio, pensiero e realtà la filosofia del linguaggio si pone al confine con altre discipline quali
la psicologia, metafisica, l'epistemologia, la logica, la linguistica, la semiotica. Studia quindi il rapporto
tra segno e significato e la capacità umana di usarli nella comunicazione.
A differenza di altre filosofie , la filosofia del linguaggio non è una filosofia “del genitivo” perché ha una sua
specificità rispetto alle altre.
In entrambe le tradizioni, il linguaggio assume un ruolo centrale in quanto è ciò che da forma ad ogni
esperienza umana. In entrambe converte il tema della soggettività linguistica e del ruolo che il soggetto
parlante ha nel linguaggio. Entrambe rompono con la filosofia dell’800 che aveva il compito di esplorare la
totalità dell’esperienza umana e non solo, mentre per il filosofo del ‘900 un ruolo cosi ambizioso non è più
possibile.
La differenza principale tra le due correnti sta nel fatto che la filosofia analitica, principalmente studiata in
ambito anglofono (Gran Bretagna e Stati Uniti) è piuttosto basata su un'analisi logica che si concentra sui
dettagli in cui è centrale il tentativo di emendare il linguaggio naturale attraverso la creazione di segni
“meno imperfetti” , rivendicando una superiorità legata al rigore scientifico.
Nella filosofia continentale, appartenente ad un ambito geografico dell’Europa continentale, invece, si
critica il carattere tecnico della filosofia analitica che esclude chiunque non sia interno alla discussione. La
filosofia continentale studia teorie di portata generale, di concetti di più vasta comprensività. Il punto di
riferimento di quest’ultima è Kant e il suo pensiero critico.
L’idea del superamento della metafisica è presente in entrambe le tradizioni.Nella filosofia analitica tale
idea è connessa all’esigenza di rendere il metodo della filosofia più vicina a quelle delle scienze e della logica
.
Nella filosofia continentale essa si accompagna ad una concezione pluralistica come quella del relativismo e
del pensiero debole.
La caratteristica più evidente della svolta linguistica, la “linguistic Turn” operata da entrambe le filosofie è
rappresentata dallo spostamento della riflessione filosofica dalla dimensione soggettiva della mente o della
coscienza, che aveva costituito il principale punto di riferimento della filosofia moderna da Cartesio in poi,
all'orizzonte del linguaggio.
-Peirce (1839-1914) è considerato uno dei padri fondatori della Semiotica sebbene fosse un filosofo
interessato alla parte logico-matematica ed epistemologica di tale materia.Ciò per cui Peirce è
maggiormente conosciuto nell’ambito della Semiotica è il cosiddetto “triangolo semiotico della
significazione” che comprende ai suoi vertici il segno, l’interpretante e l’oggetto. Peirce, spiega: «Il Segno, in
generale, è il terzo membro di una triade: prima c’è una cosa in quanto tale, poi c’è una cosa in quanto
reagisce con un’altra cosa, infine c’è una cosa in quanto rappresenta un’altra cosa a una terza».
-Il segno può essere qualsiasi cosa susciti un'interpretazione: un'immagine, un rumore, una melodia, un
gesto, un sogno. Affinché un elemento funga effettivamente da segno deve essere percepito come tale ed
entrare in relazione con un oggetto producendo nella mente del soggetto una rappresentazione mentale
che stabilisce la relazione tra quel segno e quell'oggetto. Nel caso dei codici naturali, le lingue, i segni sono
le parole, le lettere, le frasi. (Se con lettere si intendono i fonemi, questi non sono considerati segni, perché
non sono portatori di un significato proprio. Affinché un'unità possa essere ritenuta come un segno essa
deve possedere sia un significante che un significato).
-Le classificazioni dei segni in Peirce sono numerose e complesse, si pensi che annova circa settantasei tipi
diversi. Ecco la triade più citata:
a) simboli: sono segni fondati su una convenzione che rende tale rapporto completamente arbitrario. Sono
simboli quelli in cui non c’è motivatezza tra ordine dell’espressione e del contenuto;
b) indici: sono segni fondati su un rapporto di casualità o contiguità. Esiste stavolta una motivatezza di
ordine naturale, un rapporto di causa-effetto che deve essere ricostruito attraverso un ragionamento;
c) icone: sono segni fondati su una similarità topologica, ovvero su rapporti di analogia che esprimono il
contenuto attraverso un’espressione rassomigliante. Il concetto di icona è predominante in Peirce.
-Con il termine "type" si intendono delle entità astratte, rappresentazioni ideali di tutto ciò che esiste (piante
animali e oggetti), mentre i "token" sono gli oggetti reali del mondo. Analizzandola nelle sue parti, il token
si compone di un senso(significato del segno) e di un’espressione(più facilmente percepibile ad es.
Visivamente o acusticamente). Ogni persona può avere un suo type personale in testa, e creare quindi
modelli a seconda della sua cultura e delle diverse esperienze fatte dalla nascita. In quanto
rappresentazioni, i modelli non comprendono tutti gli aspetti della realtà. Il type analizzato nelle sue parti si
compone di un significato (senso:dimensione cognitiva astratta) e di un significante(espressione:dimensione
materiale del segno).
6) Presentare la classificazione ascendente dei codici (dai più elementari ai più
complessi) presentata da Tullio De Mauro:
-I segni non posseggono una realtà isolata ma sono elementi di un codice ossia di un sistema che ne
determina le regole d’uso. Senza un codice a cui fare riferimento, gli utenti non avrebbero la possibilità di
interpretare e utilizzare i segni a cui vengono esposti.
-I codici possono essere soggetti a vari tipi di classificazioni a seconda dell’espressione materiale(del
significante) in tal caso si puo distinguere in codici che usano médium visivo, tattile, acustico e chimico.
-tale classificazione segue un ordine crescente e parte dai codici elementari per arrivare ai più
complessi(individuando nelle lingue storico naturali il codice che possiede il massimo grado di complessità)
-De Mauro sostiene che il primo codice elementare, costituito ad esempio dal semaforo o dalla spia della
benzina, è dato dal codice della certezza. Analizzando il primo esempio infatti il significante potrebbe essere
l’arancione lampeggiante mentre il significato è il segnale di prestare attenzione (anche se è ben diverso
l’uso del semaforo che si fa in Italia o in Germania!).
Nel secondo esempio invece, la spia della benzina è un codice ancora più semplice perché si compone di due
segni di cui uno è a significante zero (spia spenta) l’altro ha come significante il segnale luminoso e la
caratteristica di questi codici è l’assoluta mancanza di ambiguità.
Il secondo codice semplice è il codice del risparmio che è costituito da una serie di segni ordinati come ad
esempio i segni dello zodiaco che costituiscono un codice seriale. Anche qui dipende dalle culture.De Mauro
liquida lo zodiaco con un certo disprezzo e in Francia è solo un frutto di superstizioni, mentre per altri
intellettuali ha un valore conoscitivo.
Il terzo tipo di codice, un po’ più complesso è il codice codice combinatore del risparmio. Questo sfrutta il
potenziale della serialita ordinata all’interno di un sistema combinatorio.Esempi di tali codici sono i
cataloghi. Prendiamo il campionario di stoffe e mettiamo che distingua 20 tipi di tessuto(contrassegnati con
lettere in stampatello) quattro tipi di qualità e prezzo(contrassegnati con lettere minuscole) e sette colori
(contrassegnati con numeri romani). In questo codice si possono creare 560 slot per riferirsi ad un uguale
pezzi di stoffa.
Un ultimo tipo di codice della certezza ma a differenza degli altri non costituito da numeri finiti, è il Codice
dell’ infinito, che riguarda i numeri (appunto infiniti).I codici dell’infinito rientrano sempre nei codici della
certezza poiché se si pensa ad un numero c’è un solo Type che corrisponde a quel numero.Nei calcoli però
questa certezza viene a vacillare poiché operazioni come addizioni, sottrazioni etc hanno una proprietà:la
sinonimia per cui un infinito numero di operazioni diverse possono portare allo stesso risultato. (Ad es il
numero 2 può essere dato da 1+1, 8-6, 2x1, 4:2 etc). In questo caso anche se la certezza viene a mancare, la
sinonimia è assoluta perché operazioni sinonimo corrispondono sempre ad un’unica cifra.
Per concludere, anche le lingue storico naturali hanno tali caratteri di sinonimia ma l’elemento della
certezza non è presente e la sinonimia ha una forma diversa non più assoluta perché le lingue storico
naturali hanno una variabilità che gli altri codici non hanno.
Una delle caratteristiche più importanti delle lingue storico naturali è quella della sinonimia. Questa
caratteristica appartiene anche ai numeri ma con una grande differenza infatti negli ambiti matematico
analitici, la sinonimia è assoluta mentre nelle lingue si possono trovare molti sinonimi ma non possono
essere utilizzati in maniera appropriata in qualsiasi contesto. Ad es se prendiamo la tripletta sinonimica
gatto, micio, felino domestico, non hanno lo stesso identico significato e non in tutte le situazioni, utilizzare
uno qualsiasi di quei termini è appropriato. Hanno quindi la stessa denominazione ma una connotazione
diversa. Il tutto è duque legato alla creatività , altra caratteristica fondamentale delle lingue storico
naturali. La creatività va considerata da diversi punti di vista, da un lato coincide con la capacità di “fare un
uso infinito di mezzi finiti” ovvero come nei codici matematici, l’iterabilità di uno stesso segno cambia il
significato della frase (ad es dire “gli amici degli amici” non è la stessa cosa di dire “gli amici degli amici
degli amici”). Dall’altro lato invece la creatività ha a che fare con la capacità di modificare la lingua proprio
per la deformabilità delle parole, ed è in questo caso che a differenza di cio che avviene nell’iterabilità la
sinonimia non ha un carattere assoluto come invece avviene negli ambiti matematici.
Ed è a questo punto che si puo introdurre un’ulteriore caratteristica delle lingue storico naturali ovvero
quella della variabilità. Nuove parole vengono introdotte a seguito dell’evoluzione diacronica (ossia dello
sviluppo nel tempo) e diversi usi vengono fatti a seconda della professione, età, sesso provenienza
geografica etc.a seguito dell’uso sincronico. La lingua appare variegata nei suoi usi anche in sincronia
ovvero nei diversi ambiti in cui si usa. Non c’è un lessico che caratterizza ogni situazione ed è difficile creare
un linguaggio comune.
Altri aspetti della creatività e delle lingue storico naturali sono quelli della creatività vincolata e dell’
imitazione. La creatività, segue gli aspetti della lingua e si attiene alle sue regole ma dal momento che nel
nostro apprendimento non c’è solo una dimensione meccanica e passiva, l’imitazione non può essere
assoluta in quanto non si riproduce mai in modo perfetto ciò che si è ascoltato o visto etc quindi anche
nell’imitazione è presente il momento creativo. I vincoli quindi del processo dell’imitazione sono dati dalla
necessità di porsi degli interrogativi proprio per la capacità metalinguistica(capacità che ci permette una
vera e propria negoziazione del significato) che è una condizione fondamentale per non generare
fraintendimenti.
Altra prerogativa della lingua è quella della plasticità semantica in quanto le parole della lingua appaiono
deformabili e solo nel momento in cui si usano, si sperimenta quale forma puo assumere tale plasmabilità
senza conoscere esattamente a priori quali sono i limiti che per lo più sono dettati da un’esigenza etica che
impone la comprensione tra parlanti. Una caratteristica legata alla plasticità è quella dell’ onniformatività
ossia la capacità delle lingue verbali di avere al loro interno tutto il pensabile poiché tutti i suoi codici
tendono a riformulare al proprio interno i contenuti di altri codici proprio in virtù della sua deformabilità del
lessico (della plasticità semantica appunto).Alcuni studiosi hanno negato la validità della onniformatività
perché non si può esprimere tutto attraverso il linguaggio se ad es si pensa ad alcuni ambiti storici, artistici,
a determinate espressioni mimiche o a certe configurazioni ritmiche per cui mancano spesso i termini.
Altra prospettiva da cui considerare la lingua è quella del linguaggio interiore o endofasico quello che
usiamo ad es quando parliamo da soli , quando rimugininiamo o ricordiamo nella nostra testa in forma di
pensieri non espressi esteriormente. In questo caso sembra che i parlanti possano godere della massima
libertà scegliendo a piacere le loro forme linguistiche anche se bisogna considerare che il linguaggio
interiore è sempre un qualcosa che viene dal di fuori grazie a cio che abbiamo acquisito quindi anche
quando siamo soli non lo siamo mai veramente.Anche il linguaggio endofasico è quindi subordinato a quello
esofasico (esteriore)
Roberto Esposito, filosofo napoletano contemporaneo, nel 2010 scrive:”il pensiero vivente” in cui affronta le
caratterististiche specifiche della filosofia italiana.L’opera è stata tradotta in inglese con il nome “Italian
Theory” e successivamente come “Italian Thought” e ha dato luogo a molteplici scambi di idee sui
network.Nella sua teoria filosofica del pensiero italiano, Esposito include tra gli altri Dante, Leonardo Da
Vinci, Machiavelli, Bruno, Vico, Beccaria,Cuoco,Leopardi,De Sanctis,Croce, Gentile,Gramscie Pasolini.
Secondo Esposito, la caratteristica del pensiero italiano è la sua capacità di non chiudersi in se stessa come
la filosofia metafisica classica, ma piuttosto di contaminarsi con elementi molteplici della realtà. La filosofia
italiana quindi non è una filosofia specialistica e accademica (non la troviamo nelle università)Il prodotto di
questa filosofia si ritrova più in poeti, pensatori politici, scrittori o artisti. Esposito parte da Dante come il
primo filosofo italiano per poi analizzare Leonardo Da Vinci, Machiavelli, Bruno, Vico,
Beccaria,Cuoco,Leopardi,De Sanctis,Croce, Gentile,Gramscie Pasolini. Cosa accomuna tutti questi pensatori
è l’apertura. Il fatto che la filosofia appunto non si chiuda in se stessa ma è estroflessa, si confronta sempre
con l’esperienza , con cio che dice il mondo. Ad esempio Esposito ci spiega quanto fosse importante per
Machiavelli dare conto della realtà e della politica. Non c’è una filosofia che vuole creare un linguaggio
tecnico o scientifico precludendosi cosi ai non addetti ai lavori.
La filosofia italiana tenta di usare un linguaggio accessibile a tutti e di parlare la stessa lingua.
Nel caso di Dante e Vico, le caratteristiche messe in luce da Esposito, dipendono dall’avversaria messo al
centro della loro riflessione il linguaggio e le lingue , la loro origine e il loro rapporto con la società e la
storia. Il linguaggio consente da un lato di tenere insieme il corpo e la mente e dall’altro mettere in
relazione gli esseri umani e di sfuggire al dualismo metafisico e alla dimensione monologica.
Il naturalismo, il principio secondo il quale si deve agire in conformità alla natura si colloca al centro del
dibattito etico e politico dell’età ellenistica ed è caratterizzata in particolare dall’opposizione fra
l’epicureismo e lo stoicismo.Si può dire che l’epicureismo antico è una filosofia naturalista.L’esortazione
principale dell’etica epicurea, è di vivere assumendo il piacere come «principio e fine» della vita buona o
della felicità, in quanto il piacere è il nostro «bene primo e a noi congenere» Esso è poi, un bene,
«connaturale» o «proprio della nostra natura». Così,dobbiamo ricondurre ciascuna delle nostre azioni, in
ogni circostanza, «al fine della natura».
-Già nel Cratilo di Platone, avevamo trovato queste due posizioni in opposizione: quella di Ermogene e
quella di Cratilo infatti il primo,vicino alla posizione dei sofisti, difendeva una posizione convenzionalista
secondo la quale il linguaggio è per convenzione un accordo quindi non riflette alcuna caratteristica della
realtà, mentre il secondo aveva una concezione del linguaggio per natura (physei) per cui i nomi
rispecchiano la vera essenza della coseovvero esiste una particolare relazione che puo essere definita
naturale con la realtà. Dove la realtà non è solo empirica ma dell’essere.
-Anche nell’opera di Aristole De Interpretatione e nella sua formulazione del triangolo semiotico, è stata
individuato un indirizzo naturalistico. In effetti esso è stato interpretato come teoria convenzionalista ma Lo
Piparo propone un’interpretazione completamente diversa. Questo triangolo avrebbe ai suoi vertici: i segni
(grafemi o symbola) che sono diversi tra loro e i significanti(concetti o paremata ) e le cose (pragmata) che
invece sono uguali ed ecco perché appartenenti ad una teoria convenzionalista.
Secondo Lo Piparo che fa una rilettura del pensiero aristotelico, si nega che symbola voglia dire
semplicemente segno, ma parla delle articolazioni della voce umana, delle parti di un’unità come di una
tavoletta spezzata che viene ricomposta;symbolon infatti sono due parti di una stessa unità e semeya sono
segni naturali. Kata suntheke invece non avrebbe nulla a che fare con la traduzione : per convenzione
ma :”attraverso un’articolazione”.
In sostanza Lo Piparo sostiene che gli altri 2 vertici dei triangoli non sono indipendenti dai symbola ma al
contrario strettamente connessi in una visione puramente naturalista.
Secondo Lo Piparo, la lingua non è strumento ma fine e si costituisce in una modalità autopoietica :tutte le
sue dimensioni si presuppongono a vicenda e l’una include l’altra richiamandosi in una relazione circolare.
-Infine, come accennato all’inizio, la visione naturalista si incontra in Epicuro di Samo che è il fondatore
dell’Epicureismo. Nella sua opera De rerum natura si affronta l’origine del linguaggio come un qualcosa
dettato da due elementi :1) la dimensione del bisogno e della necessità (in un contesto in cui mancavano
strutture sociali ed economiche adeguate) 2) il linguaggio come dispositivo espressivo legato all’espressione
di determinati sentimenti e sensazioni psicofisiche.
In effetti l’epicureismo è una delle tradizioni filosofiche della più ampia corrente del naturalismo, per quanto
riguarda il linguaggio tale posizione è declinata individuando uno sviluppo graduale fondato su reazioni
vocali, agli stimoli esterni e dunque sull’attenzione a dispositivi corporei comuni anche ad altre specie
animali. L’epicureismo si oppone già al tempo della sua fondazione alle posizioni stoiche che affermano
invece il carattere specifico e separato della razionalità umana e dei propri prodotti mentali poiché il
linguaggio è connesso alla ragione.
10) Spiegare quali interpretazioni contrastanti sono state date della concezione
del linguaggio di Aristotele a partire dal celebre del De Interpretatione:
L’opera di Aristotele De Interpretatione e la sua formulazione del triangolo semiotico, è stato interpretato
come teoria convenzionalista ma può essere compresa anche in maniera completamente diversa, ovvero in
modo naturalistico. In effetti esso è stato interpretato come teoria convenzionalista ma ad esempio Lo
Piparo propone un’interpretazione completamente diversa. Questo dipende molto dalla traduzione che ne
facciamo dal greco dei singoli componenti di questo “triangolo”. Triangolo semiotico che secondo la teoria
convenzionalista avrebbe ai suoi vertici: i segni (grafemi o symbola) che sono diversi tra loro e i
significanti(concetti o paremata ) e le cose (pragmata) che invece sono uguali (ed ecco per quale motivo ci
riferiamo ad una teoria convenzionalista).
E ancora considerando l’analisi di un celebre passo del De Interpretatione fatta da Eco,” Aristotele delinea
un triangolo semiotico implicito ma evidente, in cui le parole sono su un lato legate ai concetti ( o alle
passioni dell’anima) e sull’altro alle cose. Aristotele dice che le parole sono “simboli “ delle passioni, dove
per simbolo si intende un artificio convenzionale ed arbitrario”
Secondo Lo Piparo che fa una rilettura del pensiero aristotelico, si nega che symbola voglia dire
semplicemente segno, ma parla delle articolazioni della voce umana, delle parti di un’unità come di una
tavoletta spezzata che viene ricomposta;symbolon infatti sono due parti di una stessa unità e semeya sono
segni naturali. Kata suntheke invece non avrebbe nulla a che fare con la traduzione : per convenzione
ma :”attraverso un’articolazione”.
In sostanza Lo Piparo sostiene che gli altri 2 vertici dei triangoli non sono indipendenti dai symbola ma al
contrario strettamente connessi in una visione puramente naturalista.
Secondo Lo Piparo, la lingua non è strumento ma fine e si costituisce in una modalità autopoietica :tutte le
sue dimensioni si presuppongono a vicenda e l’una include l’altra richiamandosi in una relazione circolare.
Nell’opera di Dante è presente un atteggiamento ambivalente nei confronti del volgare. Se da una parte è la
lingua che si è appresa naturalmente mentre si è nutriti dalla madre, infatti, sia nel Convivio che nel DVE il
volgare è considerato superiore a causa della sua naturalità, del suo rapporto con gli affetti e i bisogni
primari, dall’altra invece è criticato per la sua variabilità diatopica (ovvero la frammentazione dei dialetti)e
diacronica(variabilità nel tempo poiché le lingue naturali si modificano in fretta).
Queste caratteristiche della lingua volgare costituiscono un grande problema per Dante che consapevole
della sua grandezza temeva che la sua opera in futuro non sarebbe stata compresa e non sarebbe stata
tramandata. Il passaggio dal Conviovio e DVE alla Commedia fa si che Dante che dapprima scartava l’uso
del volgare, poiché considerato rozzo e inefficace anche se materno, arrivasse alla consapevolezza che
questo volgare non andava eliminato ma riformato in modo da assumere le caratteristiche tipiche del latino
che senza dubbio era la lingua colta, della poesia, la lingua immutabile vista l’introduzione delle regole fisse
da parte dei grammatici, ma allo stesso tempo una lingua artificiale e riservata ad una cerchia ristretta. Se il
volgare è la lingua materna, il latino è quella paterna.Nella Commedia giunge dunque alla soluzione del
plurilinguismo:prende atto della variabilità e disgregazione del volgare facendo riferimento a Babele che è
già estinta prima che cominciasse la costruzione della torre e nella terza cantica del Paradiso approda ad
una grande variegatura della lingua, facendo grande uso di termini polisemici e di un linguaggio
aperto.Dante utilizza quindi termini in latino ma anche in volgare e addirittura espressioni inventate come
“transumar” e mette tutto insieme .Già la realtà infernale è una realtà plurilinguistica per
eccellenza:”orribili favelle”, Dante infatti fa riferimento alla soggettività linguistica, immutabile condannata
a rimanere nell’eternità nello stesso stato emotivo di dolore e rabbia. La radicalità della Commedia si riflette
quindi in un naturalismo più maturo di quello individuabile nel Convio o nel DVE.Naturalismo che come ho
accennato rafforza il progetto plurilinguistico della Commedia e la nuova visione di soggetto parlante di cui
viene proposta una originalissima riflessione in forma poetica.Nel Paradiso 26, Dante mette in bocca ad
Adamo la sua concezione naturalistica della lingua che per lui era la lingua del desiderio, delle emozioni che
lo portava a privilegiare il volgare sul latino. Afferma che la varietà linguistica ha caratterizzato addirittura il
primo uomo :Adamo appunto. Dante nel Paradiso esprime un naturalismo linguistico più maturo e
complesso e il nome che da alle cose rispecchiano la realtà . Si potrebbe dire che il Naturalismo di Dante sia
vicino a quello epicureo-Lucreziano in quanto c’è una forte attenzione alla dimensione dei bisogni e del
rapporto della lingua con il corpo . Dante riconosce nella variabilità della lingua un qualcosa che non va
bene per esprimere la vera essenza delle cose in quanto in continuo mutamento,ma allo stesso tempo
riconosce anche la naturalità della stessa poiché il suo repentino mutare,risponde alle leggi naturali della
vita.
“Opera naturale è ch’uom favella;ma così o così, natura lascia poi fare a voi secondo che v’abella” (paradiso
XXVI, v130-132). In questa terzina è evidente che la corruzione delle cose non corrisponde proprio a quella
delle lingue, perché in quest’ultime, sono proprio gli uomini che a loro piacere e secondo una loro
convenzionalità (“v’abella”)sono capaci di formare lingue. Tuttavia rimane sempre all’interno di un
naturalismo (paradossalmente convenzionale) che verrà definito Naturalismo storicizzante ovvero declinato
tenendo conto della condizione naturale. Lo stesso nome di Dio è cambiato: prima si chiamava I poi EL,
quindi addirittura quando si parla del sommo bene, la lingua è in grado di cambiare il termine di
riferimento: “come gli alberi cambiano le foglie, cosi gli esseri umani si trovano a cambiare continuamente
gli idiomi” ribadendo la normalità e naturalità di questo fenomeno.
Cartesio opera come scienziato e filosofo per tutta la prima metà del 1600 e ha grande importanza non solo
in ambito filosofico e scientifico , ma pure letterario e linguistico. L’ epoca in cui vive Cartesio é stata definita
l' età del razionalismo , ossia l' età dell' indiscussa onnipotenza della ragione umana. il 1600 é l' epoca in cui
si riscopre , dopo un lungo periodo di svalutazione durato tutto il medioevo , la ragione umana. Cartesio
dunque dal canto suo ha grande fiducia nella ragione umana. Questo filosofo aveva una visione dualista: la
distinzione tra res cogitans (dimensione cognitiva e immateriale) e res extensa (dimensione corporea). Sul
piano del linguaggio, pone al centro la dimensione cognitiva e immateriale. Secondo lui la dimensione
segnica e comunicativa avevano un ruolo di secondo piano e la relazione tra piano comunicativo e cognitivo
era puramente convenzionale e successiva all’articolazione del pensiero. Per quanto riguarda gli animali,
essi possiedono sistemi comunicativi meccanici in quanto le loro manifestazioni espressive sono sintomi di
emozioni e non di idee.
La storia delle idee linguistiche si è occupata raramente di Spinoza, Vinciguerra propone un ‘interpretazione
della filosofia spinoziana che pone al centro del suo pensiero nozioni legate all’attività segnica. In
particolare esamina le nozioni di corpo, affezione e vestigia traducendo quest’ultimo termine con la parola
traccia.
In Spinoza la matrice della semiologia è il corpo. Spinoza aveva una visione monista ( non dualista come
Descartes che separava la dimensione cognitiva da quella corporea) e anche se conosciamo le 2 forme che
sono corpo e mente , la sostanza è unica eterna ed infinita e coincide con Dio. Partendo dall’analisi dei
corpi, Spinoza ne sviluppa una semiotica che non è antropocentrica in quanto per corpo non intendiamo
l’essere umano ma qualsiasi corpo in generale. Questi corpi di cui Spinoza parla sono sempre affetti e
lasciano tracce l’uno sull’altro . Sono infatti traccianti e tracciati.
Vinciguerra studiando il pensiero di Spinoza illustra la relazione tra corpi duri, fluidi e molli e afferma, in
breve, che i primi s’“imprimono” sugli ultimi grossomodo come il sigillo sulla cera , mentre i corpi fluidi
“trasmettono” l’impressione. Da tale postulato così “ovvio” Vinciguerra ricava però una nozione carica di
conseguenze: la nozione di “traccia” (vestigium).
Se ne coglie la portata se si considera un fatto fondamentale: i corpi, per Spinoza, non sono sostanze. Come
nota Vinciguerra, ciò «vuol dire allo stesso tempo sostenere che non esistono in natura corpi assolutamente
separati o isolati». I corpi sono modi, determinati dalla loro relazione con gli altri corpi e con il cosmo tutto
(la “facies totius universi”). Ciò implica che non esistono corpi assolutamente duri o molli, ma che ogni corpo
si definisce per la propria capacità a tracciare e ad essere tracciato.
La nascita della linguistica storica e del comparativismo linguistico si usa far risalire alla scoperta del
sanscrito in un articolo del 1786 in cui si metteva in luce la somiglianza tra questa lingua, il greco e il latino.
Testo cardine della linguistica storica è “studio sulla coniugazione del sanscrito” ad opera di Franz Bopp in
cui si identifica la nascita vera e propria della linguistica storica e comparativa. La prospettiva storico e
comparata della nuova disciplina linguistica si rivolge all’analisi di lingue esistite o al limite alla
ricostruzione di una proto-lingua all’origine di tutte. Alla fine dell’800, la società linguistica di Parigi
bandisce tutte le ricerche di glottogenetica sull’origine del linguaggio, al limite accetta la ricostruzione di
una proto-lingua all’origine di tutte.
Tuttavia, rimane aperto il dibattito sulla monogenesi (ovvero se c’era una sola lingua all’origine di tutto) e
sulla poligenesi (se fin dall’origine si hanno avute più lingue).
La linguistica storica infatti non è infatti interessata a ricostruire genesi ed evoluzione della facoltà
linguistica umana ma si occupa piuttosto della ricostruzione delle singole lingue e dei loro nessi genealogici.
La linguistica si presenta anche come disciplina storica infatti si confronta con i modelli delle scienze naturali
(in particolare la paleontologia).Bopp adotta l’idea del sanscrito come di una lingua da cui hanno originen le
lingue indoeuropee e propone la classificazione delle lingua a un numero limitato di famiglie. Se da una
parte la ricostruzione delle famiglie e dei tipi linguistici è un ‘indagine empirica, dall’altra si vede nella
formazione della lingua l’espressione di uno spirito unico antecedente alla pluralità delle lingue.
August Von Shlegel propone la distinzione delle lingue in Isolanti, agglutinanti e flessive. Di quest’ultime
sarebbe stat a riconosciuta la superiorità rispetto alle altre poiché in questo gruppo venivano inseriti il greco
e il latino.
Grimm invece propone un’analogia tra leggi fonetiche e leggi di evoluzione naturale.
Schleier invece stabilisce una distinzione tra il glottologo, filosofo e filologo.
Nella linguistica storica si identifica un positivismo linguistico poiché si sosteneva che è possibile individuare
leggi di trasformazioni fonetiche che hanno il carattere di leggi naturali.
Il positivismo è un movimento filosofico e culturale, nato in Francia nella prima metà dell'Ottocento e
ispirato ad alcune idee guida fondamentali riferite in genere all'esaltazione del progresso scientifico,la
forma di conoscenza che i positivisti esaltarono fu quella propria delle scienze della natura; gli idealisti
contrapposero alla scienza della natura come conoscenza del generale, la filosofia come sapere universale,
come visione globale della realtà, e la storia come scienza dell'individuale che non è riducubile agli schemi
astratti del naturalista.
Croce riprende la distinzione tra scienze della natura (nomotetiche in quanto si occupano di individuare
leggi universali) e scienze dello spirito (ideografiche, volte alla comprensione dell ́individuale).
Su questa base Croce nega che si possano studiare le lingue con metodi mutuati dalle scienze della natura
(criticando quindi i neogrammatici).
La posizione crociana mette in realtà in discussione lo studio linguistico scientifico in senso più generale e
afferma che le scienze dello spirito invece di tentare di scoprire leggi linguistiche generali, devono sforzarsi
di comprendere i singoli testi facendo riferimento alla soggettività individuale degli autori. Forma e
contenuto (significante e significato) sono elementi indissolubili (e non analizzabili) dell’espressione poetica.
Croce critica il positivismo che vuole studiare la lingua come Ergon ovvero prodotto morto, mentre la lingua
è sempre attività vivente. Per Croce, la linguistica affronta pseudoconcetti perche studia separatamente
contenuti e forma (il significante e il significato)rifacendosi alle antinomie (già incontrate in Henry).
Bodei ha sottolineato che questa impostazione consente di collocare Croce all’interno di quell’Italian
Theory/Thought che pone al di sopra di tutto il rapporto del pensiero con l’esperienza concreta, infatti Croce
ritiene che la filosofia debba parlare all’uomo comune; il pensiero non è astratto ma deve aderire alla
realtà.
Croce è un filosofo dell’estetica e per questo si da in forma esemplare nella poesia.
La stessa concezione dell’estetica di Croce e la nozione di espressione poetica è connessa a tale istanza,
infatti come ricorda Bodei: “il bello non è nient’altro che l’espressione effettuale in un’opera d’arte singola e
unica, di un’intuizione che resterebbe altrimenti indeterminata e senza contenuto nel nostro sentimento e
nel nostro spirito e della quale abbiamo piena coscienza solo perché qualcuno è stato capace di esprimerla.
Il bello è, in effetti, per Benedetto Croce, nel momento in cui scrive l’Estetica «espressione riuscita o meglio
espressione senz’altro, giacchè l’espressione, quando non è riuscita, non è espressione”
Rispetto al materialismo storico invece, Croce amò presentarsi come un correttore, cioè come storicista, sì,
ma con le dovute precauzioni; trasse argomenti per combattere l'antistoricismo, lo studio degli accadimenti
umani col metodo delle scienze naturali, proprio del positivismo.
Ludwig Wittgenstein pubblica nel 1921 il Tractatus logico-philosophicus che avrà un ́influenza importante
sul Circolo di Vienna (neopositivismo logico).Postume usciranno le Ricerche filosofiche (1953) in cui si assiste
ad un ribaltamento/evoluzione radicale del suo pensiero.
Nel Tractactus Wittgenstein presenta un ́immagine del linguaggio come ciò che è in grado di raffigurare il
mondo grazie a una forma logica comune a entrambi (isomorfismo logico). Il linguaggio nella sua
concezione include anche elementi non verbali, come modellini, disegni, diagrammi.
Le proposizioni possono essere vere o false a seconda che descrivano correttamente o no stati di cose del
mondo. Sia le immagini che gli enunciati si riferiscono frequentemente al mondo in maniera ambigua
perché possono essere viste in modo diverso a seconda dell’orientamento nello spazio; è il caso delle figure
ambigue come l’anatra- lepre o il cubo di Necker e di enunciati che contengono termini omonimi o
polisemici.In questi casi l’errore consiste nel fatto che due o più simboli differenti vengono espressi da un
unico segno che deve dunque essere disambiguato. Lo stesso che avviene per i termini omonimi: 2 simboli
diversi vengono calati nello stesso segno. La disambiguazione consiste nel separarli.
W. Elabora una vera e propria tavola delle funzioni di verità che permette di valutare e calcolare in modo
corretto queste proposizioni (valori).
Il Tractatus individua anche due tipi di proposizioni, le tautologie e le contraddizioni, che sono
rispettivamente sempre vere e sempre false, di esse dunque si può dire che sono prive di senso. Esse non
fanno che esibire la loro forma logica che non può mai essere detta, ma, appunto, solo esibita. Etica ed
estetica si occupano, secondo Wittgenstein, di tale esibizione e fanno parte del dominio del mistico. Tipi di
enunciato come quelli della metafisica sono invece insensati.
La conclusione del Tractatus sostiene la necessità di utilizzare il percorso compiuto come una scala di cui ci
si deve liberare alla fine del percorso.
L’autore sembra in tal modo ascrivere le stesse proposizioni dell’opera al dominio degli enunciati insensati
della metafisica.La frase finale del saggio “su ciò di cui non si può parlare si deve tacere” fa riferimento
all’ispirazione etica del libro di Wittgenstein, ispirazione che può solo essere esibita e mai detta.
Dopo il Tractatus Wittgenstein smette per più di dieci anni di occuparsi di filosofia.
Quando riprende a farlo utilizza la sua opera precedente come punto di partenza da criticare.
Si distacca in particolare dall’identificazione esclusiva del linguaggio con la funzione raffigurativa che aveva
caratterizzato il Tractatus. Nella sua opera uscita postuma, le Ricerche filosofiche, Wittgenstein abbraccia
una concezione del significato completamente diversa, che rompe sia con la tradizione mentalista che con
quella logicista fregeana (che fa riferimento a un regno del pensiero i cui contenuti hanno assoluta validità e
oggettività).
Nelle Ricerche filosofiche Wittgenstein trasforma profondamente la sua concezione del linguaggio umano
che non ha più solo la funzione di raffigurare il mondo, ma si compone di molteplici giochi linguistici,
connessi tra di loro attraverso una serie di somiglianze di famiglia, affinità anch ́esse molteplici e non
riducibili a un insieme fisso di elementi, come nella teoria aristotelica del concetto.
Il significato del linguaggio coincide dunque con il suo uso nelle diverse pratiche linguistiche (i giochi).
Imparare a parlare vuole dire essere sottoposti a un addestramento a tali pratiche, vuol dire dunque
diventare capaci di giocare un gioco linguistico.
Con la nozione di somiglianze di famiglia, ossia di una rete aperta di analogie, Wittgenstein presenta una
critica radicale della teoria tradizionale del concetto secondo cui condizione necessaria per essere membri di
una stessa categoria è quella che tutti i membri posseggano una o più caratteristiche comuni.
Vicerversa i membri della categoria gioco non posseggono tutti le stesse caratteristiche, ma sono connessi
da una serie di analogie che gli attraversano trasversalmente.
Il modello wittgensteiniano fondato sull’idea di somiglianze di famiglia e di una rete aperta di analogie
ispirerà, all’interno della semantica cognitiva, la teoria del prototipo di Eleanor Rosch.
All’inizio delle Ricerche filosofiche Wittgenstein critica alcuni aspetti dello scenario ontogenetico delle
Confessioni di Sant ́Agostino in cui il linguaggio è assimilato a una nomenclatura e l ́apprendimento del
bambino sembra avvenire osservando gli adulti.
L ́obiettivo della filosofia è descritto da Wittgenstein come il raggiungimento di una rappresentazione
perspicua, di una visione che consente di cogliere la grammatica non solo di fatti linguistici, ma anche di
fenomeni antropologici, artistici, estetici, matematici, geometrici. E ́ in questo contesto che il filosofo
introduce la nozione di vedere-come. Essa consente l’accesso cambiamento di aspetto (e quindi di
configurazione grammaticale) di una immagine ambigua.
19) Indicare quali sono gli aspetti fondamentali del cosiddetto cognitive turn e le
discipline che a quest’ultimo aderiscono a metà del XX secolo:
La cosiddetta svolta cognitiva a metà del XX secolo, avvenuta attraverso la critica del comportamentismo,
può essere ascritta alla corrente dello psicologismo.
Essa porta alla nascita di una ambito multidisciplinare, quello appunto delle scienze cognitive, in cui
cooperano linguisti, informatici, biologi, filosofi, psicologi.
Non si tratta dunque di un campo di ricerca unitario ma di progetti di ricerca tra loro interconnessi.
Viene espunta la dimensione dell’esecuzione cioè esterna poiché non rilevante, a favore di una teoria
internista. La posizione anticomportamentista della cognitive turn vede l’opposizione tra competenza
(dimensione cognitiva ed interna) e l’esecuzione(dimensione sociale, comunicativa ed estrena). Ciò consente
di impostare la questione della natura del pensiero umano in una prospettiva nuova rispetto a quella del
dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa che invece vedeva queste dimensioni due messe in
comunicazione (dalla ghiandola pineale).
I tratti salienti della cognitive turn sono:
• l’attenzione per le rappresentazioni mentali e il loro funzionamento;
• l’analogia tra il funzionamento della mente e quello del computer(i linguaggi naturali vengono paragonati
ai diversi software e ai linguaggi dell’informatica. L’analogia tra la mente e il computer (resa possibile
dall’invenzione del computer negli anni Trenta) si fonda sul fatto che il computer ha facoltà di
ragionamento simili a quelle umane.
• l’espulsione dal campo d’analisi della dimensione sociale a favore di una prospettiva internista;
• il rapporto con alcune questioni già introdotte dalla filosofia analitica
• La centralità delle rappresentazioni mentali implica l’assunzione di una prospettiva
anticomportamentista.
Chomsky è colui a cui si deve il cognitive turn. Scrive: “Le strutture della sintassi” (1957) in cui comincia a
elaborare una teoria generale della struttura linguistica e “Linguistica cartesiana” (1966)in cui ricostruisce
una tradizione storica affine al paradigma cognitivista, che risale all’innatismo di Descartes (di cui si critica il
dualismo).
Chomsky rifiuta la tradizione filosofica esternista e si concentra sulla prospettiva internista che coincide con
lo studio della competenza linguistica, ossia del livello di elaborazione di rappresentazioni mentali. Tale
livello viene distinto da quello dell’esecuzione ossia delle concrete enunciazioni a cui viene negata ogni
rilevanza di tipo teorico.Lo studio del linguaggio deve adottare un approccio naturalista analogo al metodo
con cui le scienze studiano diversi aspetti della realtà.Il linguista deve astrarre da una massa di fatti
linguistici e approdare a un livello di idealizzazione essenziale alla sua indagine.
Il punto di avvio dell’indagine sul linguaggio chomskiana è un’osservazione di tipo ontogenetico: Chosmky
osserva che tutti i bambini imparano a parlare pur essendo sottoposti a un input relativamente ridotto e a
un numero minimo di correzioni.Chomsky (evidenziando l’eredità ricevuta da Platone) mostra cioè che alla
base dello sviluppo linguistico dei bambini devono esistere dei meccanismi innati. Pur disponendo di dati
frammentari e incompleti i bambini imparano a parlare e formano frasi corrette che non hanno mai sentito
prima. Questa è, secondo Chomsky, la principale prova che la concezione comportamentista del linguaggio
secondo cui i bambini si limitano a sviluppare comportamenti linguististici a partire dall’imitazione e da
meccanismi di rinforzo è errata. L’imitazione non è sufficiente ma esiste una prospettiva innatista.
Tali meccanismi dipendono dal funzionamento neurocerebrale e si sono sviluppati nel corso dell’evoluzione
biologica della specie umana. Si tratta di facoltà altamente specializzate che costituiscono secondo
Chomsky un organo del linguaggio.
L’ontogenesi del linguaggio risponde dunque a un processo di maturazione neurocerebrale che è, nelle sue
varie fasi, geneticamente preordinato.
L’input esterno resta comunque necessario affinché tale sviluppo si verifichi. A input linguistici diversi
corriponde l’apprendimento di lingue diverse e l’assenza completa di input linguistico farà sì che i bambini
non possano sviluppare nessuna facoltà linguistica.
Se però la lingua è innata, come si ovvia al problema delle innumerevoli varietà linguistiche?
La componente innata del linguaggio è oggetto dell’indagine della grammatica universale che deve secondo
Chosmky con grande onestà tenta di risolvere tale questione con la teoria dei principi e dei parametri.
La grammatica universale specifica i principi che sono validi per tutte le lingue.
Tale ambito dei principi non corrisponde alla grammatica delle lingue concrete la cui descrizione necessita
che si attui un’integrazione ulteriore: ciò vuol dire che la grammatica di ogni singola lingua implica che
vengano anche determinati certi parametri.Differenze anche minime dei valori parametrici possano
rispecchiarsi a diversi livelli e spiegare dunque le differenze sistematiche tra le diverse lingue.
Il parametro del soggetto nullo ad esempio si rispecchia nella costruzione di molteplici frasi (dichiarative,
interrogative etc
• La linguistica è per Chomsky parte della psicologia individuale: essa si occupa di I-languages, ossia di
lingue internalizzate che corrispondono agli stati mentali a cui gli individui sono approdati grazie al
processo di maturazione dalla facoltà di linguaggio.
• Non si tratta però di una prospettiva che mira a indivuare i corrispondenti neurocerebrli delle
rappresentazioni mentali. Chomsky tiene di due livelli distinti e identifica la conoscenza della lingua con le
sue proprietà sintattiche.
• La linguistica generativa ha questo nome proprio perché si occupa di individuare le regole che permettono
di generare un numero infinito di frasi.
• Questo livello sintattico è autonomo secondo Chosmky dagli altri livelli (fonologico e semantico) ed è
oggetto di una descrizione specifica che può avere una duplice forma, quella delle parentesi etichettate e
quella dei diagrammi ad albero.
• Il diagrammo ad albero rappresenta in modo icastico relazioni strutturali interne a un enunciato (che
anche analisi più tradizionali erano in ogni caso in grado di portare alla luce).
•Per Chomsky questo schema corrisponde al modo in cui i parlanti rappresentano mentalmente le frasi.