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Sei libri dello stato, I pioneristiche, dubbio, va ricordato che le riflessioni generali di Morris non solo contribuirono allo

o sviluppo della semiotica elaborata da Peirce, ma ebbero un ruolo importante nella svolta semantica della filosofia analitica e di Carnap in particolare. (--.. comportamentismo; pragmatica; pragmatismo; semiotica). Sei libri dello stato, I di J. Bodin (Les six livres de la Rpublique, 1576. Trad. it. di M. lsnardi Parente e D. Quaglioni, Torino, Utet, 1964). Considerata uno dei classici del pensiero politico sul tema della natura dello stato, quest'opera tenta nei primi due libri di definire i diversi tipi di potere e che cosa si intenda per sovranit, e di analizzare le diverse forme di stato. Il terzo e il quarto libro trattano i corpi intermedi e le cause delle trasformazioni degli stati. Gli ultimi due, infine, riprendono alcuni temi trattati nei precedenti, considerando tra l'altro il rapporto tra le diverse forme di governo e la natura dei popoli per stabilire quale forma sia la migliore. Concetto centrale dell'opera quello di sovranit, che Bodin intende come assoluta, nel senso di indipendente da ogni altro potere, superiorem non recognoscens, secondo la formula di Bartolo da Sassoferrato, e tale da privare i cittadini nella loro qualit di sudditi di ogni possibilit di opposizione. Solo questa sovranit assoluta e unitaria pu garantire la salvaguardia della propriet e della famiglia, essenziale funzione dello stato. A seconda che il depositario della sovranit sia il principe, una minoranza o la maggioranza del popolo, si distinguono le tre forme costituzionali della monarchia (cui viene riconosciuta una sorta di priorit sulle altre forme di governo in quanto garantisce nel modo pi perfetto il carattere unitario della sovranit), dell'aristocrazia e della democrazia. Collegato al concetto di sovranit quello di legge, dal nomento che la funzione precipua del sovrano quella legislatrice, il condere legem. Bodin distingue tra legge di Dio, legge della natura, legge civile e leggi fondamentali dello stato; le prime due hanno lo stesso contenuto, in quanto emanate dallo stesso legislatore, cio da Dio. Creatore dell'universo, Dio ha imposto liberamente, senza alcuna costrizione, la sua legge alla natura (libro I cap. VIII). Nel successivo Colloquium Heptaplometes, Bodin chiarir come le norme che regolano la natura coincidano con la legge di Dio contenuta nella Torah. Centrale quindi la concezione della legge come comando imposto dalla volont di un superiore, che in ambito civile si traduce nella definizione della legge come comando del sovrano. Unici limiti previsti da Bodin per il potere sovrano sono, oltre a quelli derivanti dalla legge di Dio e dalla legge di natura, anche quelli fissati dalle leggi fondamentali dello stato, diversamente da Hobbes che, riprendendo la concezione bodiniana della sovranit assoluta e della legge come comando, la radica lizza non riconoscendo per essa alcun limite. La concezione della sovranit e della legge sono i temi del pensiero di Bodin che hanno avuto la pi ampia circolazione, soprattutto tra i teorici dell'assolutismo nei secco XVII e XVIII.

1400 (_ assolutismo; politica, filosofia; potere; volontarismo). Senso e denotazione di F.L.G. Frege (Uber Sinn und Bedeutung, 1892. Trad. it. in La struttura logica del linguaggio, a cura di A. Bonomi, Milano, Bompiani, 1973; Senso e significato, in Senso, funzione e concetto. Scritti filosofici 1891-1897, a cura di C. Penco e E. Picardi, Roma-Bari, Laterza,2001). Pietra miliare della tradizione analitica in filosofia del linguaggio, questo testo di Frege cerca di dar ragione del diverso valore conoscitivo posseduto dalle affermazioni a = a e a = b. Mentre la prima vale a priori, la seconda esprime un avanzamento della conoscenza perch mostra l'identit di modi diversi di riferirsi a uno stesso oggetto. Nelle espressioni linguistiche si deve infatti distinguere una denotarione (o significato) e un senso: la denotazione di un termine singolare l'oggetto che questo designa (per esempio, il particolare individuo cui si riferisce il nome Aristotele), il suo senso il modo particolare con cui lo concettualizza. Un oggetto quindi pu essere indicato in modi diversi e cio da espressioni con sensi differenti, come nel caso delle espressioni la stella della sera e la stella del mattino: esse individuano lo stesso oggetto (Venere) secondo concettualizzazioni differenti. L'affermazione della loro identit (<<lastella della sera = la stella del mattino) non una mera istanza del principio di identit ma testimonia un progresso conoscitivo: il risultato di una scoperta astronomica. Un medesimo senso pu essere espresso da segni linguistici diversi: per esempio, 5+2 e v + Il sono segni diversi aventi lo stesso senso. Il senso di un'espressione va poi distinto dalle rappresentazioni a essa connesse, ossia dalle immagini o percezioni che ogni parlante ha dell'oggetto che essa denota, perch, a differenza di queste, pu essere condiviso da pi persone: ci dimostrato dall'esistenza di un patrimonio comune di pensieri che l'umanit si trasmette di generazione in generazione. Questi rapporti tra segno, senso e denotazione valgono solo nei contesti assertivi, dove alle espressioni dotate di senso corrisponde sempre una denotazione (non cos nelle narrazioni). Nelle citazioni o nel discorso indiretto, invece, le parole non hanno la loro denotazione ordinaria ma significano ci che normalmente costituisce il loro senso. Frege analizza poi il senso e la denotazione delle proposizioni. Fondamentale in questa analisi la considerazione che per le proposizioni, come per tutte le espressioni complesse, vale il principio di composizionalit: le loro denotazioni e i loro sensi dipendono da quelli dei loro componenti c quindi variano al variare di questi. Il senso di una proposizione il pensiero che essa esprime, che cambia quando una sua parte viene sostituita da un 'altra che ha lo stesso significato ma senso diverso (come avviene quando si passa dalla propo sizione la stella del mattino un corpo illuminato dal sole alla proposizione la stella della sera i: un corpo illuminato dal sole): la sua denotazionc invece il suo valore di verit, che la stessa sosti-

1401 tuzione lascia immutato. Questo non vale nei contesti indiretti, del tipo A dice che B buono: in questo caso il valore di verit di un enunciato pu cambiare se si sostituisce la proposizione secondaria con un'altra, avente lo stesso valore di verit ma senso diverso. Le riflessioni del saggio hanno segnato una svolta nello studio della logica formale e nella filosofia del linguaggio: l'identificazione della denotazione delle proposizioni con il loro valore di verit e la conseguenza che tutte le proposizioni con lo stesso valore di verit sono logicamente equivalenti hanno aperto la strada al calcolo proposizionale; la distinzione tra senso e denotazione e il principio di composizionalit sono invece i capisaldi attorno ai quali si venuta a costituire la filosofia analitica del linguaggio (insieme al principio di contestualit, che asserisce che solo in un contesto proposizionale una parola ha significato). Pi controverso il valore dell'analisi delle proposizioni secondarie, che ha tuttavia costituito un notevole terreno di dibattito. . (-- connotazione; denotazione; proposizionale, calcolo; riferimento; senso). Sentieri interrotti di M. Heidegger tHolzwegc; 1950. Trad. it. di P. Chiodi, Firenze, La Nuova Italia, 1968; Sentieri erranti nella selva, trad il. di V. Cicero, Milano, Bompiani, 2002). Il titolo di questa raccolta di saggi, risalenti agli anni 1935-46, allude alloro essere dei tentativi che, come sentieri (Wege), si inoltrano in un bosco (Holz), interrompendosi o intrecciandosi. Fili conduttori della raccolta possono essere considerati il rapporto tra arte e verit e tra metafisica e nichilismo, e la possibilit di un'uscita dalla metafisica. Il primo saggio, L'origine dell'opera d'arte (1935), si scandisce in tre paragrafi che ne esplicitano gi nel titolo il percorso complessivo: Cosa e opera, Opera e verit, Verit e arte. L'interrogazione sull'essenza dell'arte, ovvero su ci che fa di qualcosa un' opera d'arte, non trova risposta nel mero carattere di cosa dell'opera, in quanto l'essenza dell'arte non una sorta di predicato o un connotato formale di un substrato materiale. In quanto prodotto, l'opera d'arte pi vicina al mezzo che alla cosa, poich, come il mezzo, trae il suo essere dall'attivit umana. Se ne distingue per perch, a differenza del mezzo, non vive nella stabilit e nella fidatezza quotidiana dell'uso, ovvero, in termini heideggeriani, nella conciliazione di terra e mondo, ma espone invece la loro origine, anzi ne l'origine. L'opera d'arte insomma apre un orizzonte di senso, e in questa sua dimensione scoprente Heidegger individua la sua verit (aletheia, svelamento): l'arte il porsi in opera della verit come apertura, esposizione di un mondo (orizzonte di significati e mezzi) e ritrarsi della terra (come ci che rifiuta di divenir mezzo in quanto limite del significare). Questa prospettiva che vede nell'arte non il luogo della bellezza, ma il luogo della verit, comporta allora un'interrogazione su cosa sia la verit. Essa non adaequatio, non n una qualit della cosa [...] n una qualit della proposizione, ma, in quanto apertura e svelamento, evento. La verit insom-

Sentieri interrotti ma accade, si storicizza, anzi apre la storia come lotta tra mondo e terra, esposizione e ritrarsi, svelamento e nascondimento; storiczzandosi, la verit si fa, ovvero si istituisce come e nell'opera d'arte, la quale "fissa la verit in figura. Questa comprensione dell'opera d'arte come manifestazione di un mondo tende a sottrarre l'arte alla produzione puramente soggettiva, e cio alla dimensione della rappresentazione, Il saggio L'epoca dell'immagine del mondo (1938) denuncia appunto il ridursi del mondo a immagine nell'epoca moderna a partire da Cartesio, il cui presupposto storico per la definizione platonica dell'entit dell'ente come idea (aspetto, veduta). Imrnagine del mondo non significa quindi una raffigurazione del mondo, ma il mondo concepito come immagine, carattere che distingue la modernit tanto dal medioevo, per cui l'ente ens creatum, quanto ancor pi dal mondo greco prcsocratico, in cui non l'uomo a rappresentarsi l'ente ma l'ente a manifestarsi in totale unit con la sua apprensione. Nell'epoca moderna, come conseguenza del costituirsi del mondo a immagine e dell'uomo a soggetto della realt, l'uomo intende la propria posizione nei confronti dell'ente come visione del mondo. La dimensione poietica dell'arte ripresa nel saggio Perch i poeti? (1946), in cui, partendo da un verso di Holderlin (tratto dall'elega Pane e vino), Heidegger vede nel poeta non colui che produce opere d'arte ma colui che cor-risponde al carattere eventuale dell'arte, all'accadere della verit, e cio al proprio tempo. Questo tempo il tempo della povert, ovvero quello caratterizzato dalla mancanza di Dio, in cui Dio morto, cio del nichilismo. All'analisi del nichilismo dedicato La sentenza di Nietzsche Dio morto (1936-40): l'affermazione di Nietzsche non una proposizione metafisica, ma qu alifica il destino di due millenni di storia occidentale. All'idea di Nietzsche secondo cui il nichilismo la fine di tutti i valori, e il suo oltrepassa mento si configura come volont di potenza, Heidegger contrappone la tesi per cui il vero nichilismo consiste proprio nel pensare, in generale, per valori. Di conseguenza, il capovolgimento nietzscheano di tutti i valori resterebbe ancora nella metafisica, anzi ne costituirebbe il compimento. Pensando l'essere come valore, la metafisica pone l'essere completamente in disparte, ed questa la vera uccisione cui allude il detto di Nietzsche. Il nichilismo insomma non il risultato di una volont, negativa o affermativa che sia, ma appartiene alla storia della metafisica in quanto storia dell'ente come tale, a partire dalla struttura-destino dell'essere stesso, il quale, nell'apparire dell'ente, rimane escluso, si ritrae, obliato. Al commento di due testi della storia della filosofia, la prefazione alla Fenomenologia dello spirito e l'unico frammento pervenutoci di Anassimandro, sono dedicati i saggi Il concetto hegeliano di esperienza e Il detto di Anassimandro (1946). Il primo incentrato sulla nozione hegeliana di esperienza e quindi sul senso del primo sottotitolo della Fenomenologia, "Scienza dell' esperien-

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