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Eravamo passati a presentare i principi di fondo della semiotica strutturale, che derivano dal
pensiero linguistico di Ferdinand de Saussure, ripresi da Louis Hjelmslev, che
… ma ora passiamo alla scuola di Tartu, che tornerà nella seconda fase del corso; in buona parte
nell'opera di Jurij Lotman, che si occupa del senso degli oggetti-testi.
il testo è qualsiasi oggetto che io riconosca dotato di senso; non si studiano solo i segni, ma i sistemi
e i processi di significazione. La critica all'idea di segni è stata portata avanti da Hjelmslev, che
sosteneva come gli oggetti di cui ci occupiamo non hanno tutti la stessa taglia e costruzione, motivo
per cui ci si deve occupare dei sistemi e processi di significazione.
Per Lotman la cultura è un insieme di testi, di configurazioni significanti, e lui si ocupa del modo in
cui queste configurazioni si muovono e si trasformano in questi luoghi possibili, in particolare nelle
società: in particolare per L ogni stato di società, ogni cultura può essere definita come una
Semiosfera.
Ogni cultura è definibile come un insieme coerente di testi, uno spazio in cui testi riconducibili a
diversi sistemi semiotici si muovono in un determinato modo. L ritiene di studiare le dinamiche
interne a questa semiosfera, ad esempio operando una distinzione tra centro (istituzionalizzato e
costante) e perifereria (meno formalizzata, più risemantizzante) ma in movimento continuo: alcuni
elementi meno formalizzati si muovono verso il centro, o le forme centrali si sgretolano e
scompaiono. Naturalmente esistono o sono pensabili forme e sistemi culturali più o meno
generalmente chiusi (come i regimi culturali, o culture dell'antichità fortemente strutturate).
La semiosfera non è una struttura impermeabile, chiusa: accanto ad ogni semiosfera vi sono altre
semiosfere, e il rapporto di relazione tra due semiosfere è un rapporto di traduzione; il confine è un
sistema di filtri che operano traduzioni da una sfera all'altra. Naturalmente non ci sono definizioni
fisse/quantificabili di semiosfere: può essere un intera cultura umana definita o un sistema molto
piccolo come la tipologia del vestire in una cultura.
Nel nostro racconto di viaggio, il viaggiatore è quello che esce da una data semiosfera, entra in altre
e poi riporta all'interno della propria (traducendola) quello che ha portato; non sempre vero,
metteremo in critica questa idea: L suppone sempre una omogeneità tra le forme testuali all'interno
di una semiosfera, aspetto molto problematico. Pensate al rapporto tra i confini delle lingue (talvolta
molto netti) e quello della cultura visiva: abbiamo quindi spesso aree di sovrapposizione, la
differenza di estensione e di confine forse è proprio quello che permette la traduzione. Forse
abbiamo bisogno di alcuni piani di consistenza comuni, omogenei già presenti. Il problema della
significazione non come problema di referenza al mondo, ma quello di confronto tra varie
dimensioni semantiche.
La stessa origine del lavoro di Lotman si trova in altri centri di ricerca che hanno avuto conoscenza
diffusa al tempo: pensate a Roman Jackobson, che oltre ad essere l'inventore della Fonetica, egli ha
collaborato a saggi sulla poesia e sul formalismo, e spostatosi in America sarà il medium attraverso
cui Levi Strauss percepirà lo strutturalismo Saussureano (fondamentale l'analisi di Le chat di
baudelaire, a 4 mani).
A differenza dei Formalisti, il gruppo di Praga si interesserà fondamentalmente di fenomeni di
costume popolare: a partire dall'idea (discutibile) che culturale equivalga a popolare, la semiotica
della cultura è quella che si occupa di fenomeni popolari (campo differente da chi si occupa di
fenomeni letterari); con la convinzione (per Levi Strauss) che non sia possibile spiegare allo stesso
modo fenomeni oggetto di una elaborazione collettiva non coscienze (miti) e fenomeni che sono
invece individuali e volontari: queste produzioni collettive risponderebbero a leggi che non
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necessariamente sono assunte da chi può creare liberamente. Ma il problema è, dove finisca l'uno e
inizi l'altro: se pensate al libro di Del Ninno, la confusione c'è, gli ultimi saggi sono sui fumetti,
cultura Pop ma non certo collettiva. Allora il popolare diventa, più che una motivazione soggiacente
alle forme di produzione, una questione relativa alle forme di produzione. L'ipotesi qui assunta è
che la distinzione non esista, ogni creazione individuale per quanto estrema deve entrare in rapporto
con le regole della significazione, altrimenti non significa. Il più grosso produttore di nonsense deve
comunque riferirsi, cancellandolo e negandolo, al senso di base. I fenomeni “non dotati di senso”
semplicemente non vengono colti, altrimenti sono sempre parte di una configurazione, anche se
vaga.
Denis Bertrand, discute della grammaticalità o meno a partire da Chomsky: idee verdi incolori
dormono furiosamente. Il problema è che di fronte ad un oggetto che ci sfida, che pretende di
comunicare qualcosa, difficilmente noi non mettiamo in moto meccanismi di interpretazione: sono
le intenzioni dell'autore? Non lo sono mai. A noi non interessa sapere cosa una data persona voleva
dire, ma quali forme di significazione agiscono nei testi. Sono due problemi differenti, in una
comunicazione noi vogliamo capire cosa l'altro intendesse; tralaltro
produrre libri che hanno sempre un'introduzione, strano gioco per Foucault. Se il libro è abbastanza
adulto, perché presentarlo agli altri se il libro significa quello che vuol dire? Perché noi vogliamo
sempre prendere controllo di esso, individuare una interpretazione possibile in un oggetto
autonomo.
Torniamo alla semiotica culturale/popolare: il risultato, da Levi Strauss, è quello che si può anche
parlare di testi autoriali, perché in ogni caso essi rispondono a sistemi di significazione generale. E
proprio per questo ci si è spostati da una questione di semiotica sostanziale ad una semiotica
formale; non oggetti che presentano sostanza differenti, ma forme semiotiche che “informano”
oggetti differenti.
Adesso torniamo alla nostra semiotica, che nasce dall'incontro di un critico di Teatro, (Barthes), uno
storico della lingua francese e di semantica (Greimas), uno studioso di letteratura (Genette) e un
filosofo epistemologista (Eco). Fonti differenti
Roland Barthes, negli elementi di Semiologia, crede che sia Hjelmslev a potergli spiegare quelli che
sono i problemi di quel periodo, di analisi della significazione; ma i suoi Miti d'oggi riprendono da
Levi Strauss, o almeno dai suoi libri Mitologici (il cotto e il crudo, i...)
La morfologia della fiaba, di un non-formalista, perché eserciterà un'influenza enorme negli anni in
cui si vanno formando un campo di studio di discipline nuove. Morfologia che arriva in Francia
tradotta da Levi Strauss, e scrive l'introduzione fondamentale che si chiama la struttura e la forma.
In cui viene dihiarata la distinzione tra formalismo e strutturalismo (importante, Gertz traballa su
questo problema).
Il problema è la prospettiva di poter ridurre ad una forma organizzata un insieme amplissimo di
oggetti e di fenomeni: Propp riconosce nella successione di 32 funzioni, riconducibile a 7 figure,
l'organizzazione di base di un corpus molto ampio di fiabe; operazione molto simile a quella della
linguistica con la fonetica di Jackobson, dove poche coppie di tratti segmentali riescono a rendere
conto tutti i fonemi possibili. Propp non spiega più solo un oggetto astratto, riesce a spiegare con
delle regole semplici una quantità di fenomeni molto ampi.
Propp non cercava strumenti per interpretare racconti, egli aveva un problema di ordine diverso:
abbiamo una raccolta di folclore (quella di Thompson) la cui classificazione interna non serve a
nulla, non possiamo servirci di tipologie contenutistiche ma morfologiche. É possibile immaginare
una classificazione altra?
[PAUSA] saggi, nell'ultima settimana dedichiamo lo spazio alle vostre presentazioni dei testi:
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dovete preparare un riassunto dei testi, e consegnarlo agli altri, in modo da leggere “più cose
possibili”. (objectivity di P.gallison, le temoigne oculaire e Leviathan and …) caldamente
raccomandato e consigliato.
Il 29 febbraio e il 1 marzo non ci sono; le ultime lezioni saranno il 2, 3 aprile.
Che cosa voleva fare propp? Una morfologia che servisse a spiegare la struttura interna delle fiabe,
degli oggetti folklorici che non dipendesse dall'accavallarsi delle figure; anche quando parla di
personaggi egli parla di dramatis personae (ruoli-funzione). La scoperta di P non è solo che il
corpus è spiegabile come succesione di 32 funzioni, ma che ogni fiaba fa prorie alcune di queste 32
funzioni mantenendo sempre invariato l'ordine, per cui è possibile numerarle. Lo schema è una
sorta di matrice, di cui ogni fiaba fa cancellazioni sistematiche.
Non ci interessa più sapere che quella data azione è stata compiuta da un personaggio, ma che è
stata compiuta (presentata) e quindi inserita nella fiaba. Esempi di funzioni sono Mancanza, o
Allontanamento dell'eroe, o Prova finale etc. Ricordiamo che questa morfologia risponde solo a
quel corpus, non è estendibile. Altri gruppi di fiabe devono necessariamente rispondere a un tipo
differente, altrimenti lo scopo del lavoro viene negato.
Quando questo strumento arriva in Francia, l'idea di P genera la decisione di dotarsi di uno
strumento che possa tenere conto di ogni tipo di narrazione (con differenza evidente), anche per
superare il limite quantitativo della linguistica (quello della frase). L'ipotesi di Propp, invece, ha un
principio completamente diverso, per cui gli oggetti complessi sono analizzabili, e da avvio così alla
Narratologia, con il numero 8 di Comunications.
Propp diventa in realtà un problema semiotico a partire dall'introduzione di Levi Strauss. Il primo
problema dello strumento di P, secondo LS, è insieme troppo astratto e troppo concreto; il secondo è
che P non ha spinto l'analisi abbastanza a fondo (motivo ricorrente di LS: non si perde l'oggetto per
troppa astrazione, ma per troppo poca astrazione): le funzioni seguono sempre lo stesso ordine
perché c'è una relazione tra coppie di funzioni, e dove c'è la prima c'è sempre anche l'altra:
allontanamento è in relazione semantica con ritorno, metà delle funzioni sono inversioni o
negazioni di altre funzioni; il sistema, considerando il semantico che P abbandona, poteva essere
più astratto (sintetico) e più concreto (mantenendo la semantica). Altro problema, quando finisce la
sequenza? Ogni funzione 32 può essere seguita da una 33, che sia cancellata nel tuo corpus (ma non
in altre fiabe); introdurre il semantico e il tipologico chiude il corpus, con le coppie e le relazioni.
Infine, abbandonando le figure, per LS mitologo si perde completamente il senso del mito: che sia
pipistrello o rana a portare il dono, e questo lo connota come mito celeste o terrestre.
Per far diventare lo strumento di P, come è sogno dei narratologi, strumento di analisi dei racconti
universali, occorre passare al lavoro di Greimas: lessicologo interessato ad aspetti di carattere
rituale e mitologico, influenzato da LS e da George Dumezìl, inizia a ragionare sul fatto che la
lessicografia ad un certo punto si ferma: il vocabolario non spiega il valore locale di un dato termine
(non sempre); riprende allora Hjelmslev, e riparte dal modello di P modificato sulla scorta delle
modifiche effettuate da LS.
Con tre funzioni (ognuna costituita da una coppia di attanti) possiamo creare un modello generale
che renda conto di tutti i racconti, non solo di fiabe di magia; non solo, ma unendolo al modello
frastico di Tesniére, in cui ogni frase è costituita “teatralmente”, tra rapporti di personaggi, si inizia
a interrogare il rapporto tra narrazione e frase. Sulla scorta di T, il concetto alla base di una frase è
quello di una trasformazione, di cui il verbo è operatore. Il problema non è più quello delle
narrazioni in quanto oggetti, ma di un livello di significatività che è la narratività, sotteso agli
oggetti sigificati. Dentro al semantico c'è un problema di carattere sintattico (posizioni e
trasformazioni), la narratività non è un problema di racconti, ma di qualsiasi oggetto semiotico, la
significazione è un problema di origine narrativa.
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SEMIOTICA DELLA CULTURA LS, lez. III 23/02/12
Dopo averlo annunciato, andiamo a leggere L'elogio dell'antropologia, discorso inaugurale di Levi
Strauss alla cattedra del Collège de France. In uno scritto molto successivo, parla di qualche
giornata prima dell'insediamento (logica ritualizzata, che appartiene anche all'inizio della lezione, e
viene messa in gioco e poi interrogata dall'interno).
L'articolazione di ogni spazio è una struttura significante, come quest'aula: la differenza che
istituisce delle significazioni. Ogni forma ritualizzata, vedremo, ha qualcosa a che fare con la
superstizione; l'idea che se non si continua a fare come si è fatto, capiterà qualcosa.
Levi Strauss basa il suo discorso a partire da alcune date simboliche che coincidono con la sua
accettazione alla cattedra; un “destino”, che usa come spunto per parlare delle sue figure precedenti
e soprattutto dei suoi maestri: Emile Durkeim, che ha fondato in modo moderno le scienze sociali,
facendo degli studi sociali (già praticato dalla filosofia, certo) uno studio autonomo. É anche il
primo a riconoscere il fatto sociale totale (ogni esperienza è riconducibile al fatto sociale), ma con
effetti negativi, D ha trascurato lo sviluppo interno delle discipline ad essa collegate (diritto ad
esempio) e soprattuto la formulazione di risposte sociologiche “preconfezionate” ad ogni evento.
Per LS, D predicava bene, ma praticava meno bene. E il passo successivo diventa così quello
dell'esperienza americana di LS, ovvero Marcel Mauss, il quale si rende conto del peso che viene
indotto dal riflettere su un dato fenomeno nel momento in cui lo sguardo su questo fenomeno viene
raddoppiato dallo sguardo su fenomeni simili, quindi un discorso sul vicino e sul lontano (una delle
particolarità dell'antropologia: noi e l'altro); per LS questa è l'essenza dell'antropologia, il massimo
di conoscenza della disciplina. Non si può mai incontrare l'altro (come voleva l'altro suo maestro,
Malinowski: assimilazione e identificazione il più possibile con l'altro, farsi altro) e neanche
comprendere meglio sé stesso. Il massimo che si può ottenere per LS è quello dei fatti generali,
cose che riguardano noi e l'altro, e quindi fissando una relazione con entrambi (da questo, la sua
analisi sul sistema mitologico, che ha fatto incazzare tanti classicisti: altro che forme “primitive” di
pensiero). Inciso, anche quest'anno è previsto il seminario di Hartog, a maggio.
Il contributo importante di queste figure, Mauss che rivaluta il lavoro di carattere etnografico
(mentre Durkeim, con la sua idea di fatto totale, è eccessivamente empirica, si muove in maniera
deduttiva) sgretolando l'idea di un Fatto totale completamente omogeneo, in cui tutto si tiene:
mostra come queste forme di vita, raccolte in momenti diversi e in tempi diversi, non mostrano la
coerenza di per sé. La coerenza, per M, non si coglie mai in superficie, essa va cercata laddove non
si vede diversamente. Questa è un'idea forte dell'idea di struttura di LS, che per lui non riguarda
aspetti consci, ma aspetti inconsci. Ciò a cui bisogna mirare sono categorie e strutture inconsce,
indipendenti dalla loro volontà, come per le strutture profonde del linguaggio.
La struttura va cercata dove non è evidente che ci sia, il lavoro di ricerca dei fenomeni deve
spingersi sempre più in profondità; quello che si riconosce in superficie sono sistemi di differenze e
trasformazioni, sotto noi possiamo riconoscere leggi che governano la significatività dei fenomeni,
e le regole della trasformazione. Procedere in questo modo significa abbandonare l'idea ottocentesca
per cui ci sono due modi di conoscenza separate, concetti ideografici (uomo e interpretazione) e
nomotetico (scienze naturali, esatte): i primi parlerebbero dello spirito, il secondo delle leggi di
causa-effetto. Questo non significa che le cose si possano confondere, ma che la spiegazione
causale e quella che deriva dall'interpretazione devono essere intrecciate. Come e perché causa ed
efetto sono in relazione tra di loro (passaggio molto importante, per molti critici LS è il negatore
assoluto degli approcci di tipo scientifico-naturale: no, il fatto è che non esistono fenomeni
esclusivamente fisiologici o biologici o significanti, sempre strutture che si intrecciano l'una con
l'altra).
Noi non parleremo di conscio e inconscio, parleremo di manifestazione e immanenza: giocando
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questa differenza tra M e D, LS scrive: contro il teorico, l'osservatore deve avere sempre l'ultima
parola. Contro l'osservatore, l'indigeno. Dietro le spiegazioni razionalizzate dell'indigeno, si
devono cercare le categorie inconscie, come diceva Mauss... i fenomeni sociali sono anzitutto
sociali, ma anche biologici e fisiologici, fino a raggiungere un livello in cui tutto si mescola.
D pensava di raccogliere in superficie questa connettività totale, per M e LS solo andando in
profondità poi si può riportare tutto ad una.
C'è una piccola falla: il ruolo dell'osservatore non può fare a meno delle categorie inconscie dello
stesso, esso è l'unico per Ls a non avere inconscio; e quando non lui, l'indigeno, che è sempre
condizionato dalle proprie categorie; e dopo di lui, l'inconscio. Ma anche l'inconscio è una categoria
costruita, non abbiamo un punto fermo, come invece continua a pensare LS, ad una teoria
dell'inconscio universale come categoria naturale e non costruita.
Questa sociologia ben incarnata, per Ls dovrebbe evitare il rischio di “disincarnamento”, mantiene
sempre il centro esperienziale. Qui si fa un favore ai Cultural Studies, per cui il soggetto può
appercepire la propria conoscenza in questo processo.
Tutto il lavoro di LS sui miti sudamericani parte dagli scritti degli antropologi americani, che sono
tutti antropologi e studiosi di linguistica; iniziare a parlare da lingue completamente sconosciute,
come i lavori sulel lingue agglutinanti di Boaz, Sapir e Wolf (questi due ultimi formulano l'ipotesi
del relativismo radicale: il mondo non è una cosa già fatta, viene sempre significato attraverso il
linguaggio). Questa esperienza muove il giovane Ls verso l'incontro con la linguistica, in particolare
con Roman Jakobson e i suoi studi di fonetica, e da lui a Ferdinand de Saussure.
Cosa è dunque l'antropologia sociale? Nessuno vi è stato più vicino che FDS, quando parlava di
linguistica come parte della semiologia, lo studio dei segni nel sistema sociale. E non è stato lui a
dare esempi di tutta una serie di linguaggi, come le bandiere, gli scambi...
La sua idea è che la Semiologia sia l'Antropologia sociale, nei campi lasciati dalla linguistica, al cui
interno nasceranno le nuove semiologie minori (nel campo dell'antropologia, sia chiaro). Ma con
due precisazioni:
– molti di questi fenomeni sono studiati da altre discipline, come gli studiosi di diritto.
L'antropologia semiologica deve allora prenderne in considerazione i fatti, ma in una
prospettiva vantaggiosa (da un punto di vista conoscitivo, non pratico) di poter sempre
confrontare l'esperienza locale delle leggi con quella delle leggi che viene fatta in luoghi
lontani. Ancora fatti generali e differenze di sistemi legislativi.
– Difficoltà maggiore; sembrerebbe ora che tutto ciò di cui l'antropologia si occupi siano
segni? Voi mi direte che vi occupate anche delle cose stesse, non di “cose che stanno per
qualcos'altro”: ma i “sistemi simbolici” (es. totemismo, parentele) avvengono sempre nel
momento in cui ci chiediamo “cosa significa” (1), e secondariamente anche in quello che
non crediamo abbia sistemi simbolici né è pregno (2).
La sociologia di carattere Marxiano appartiene al tempo e viene sfidata in qualche modo da LS, che
non ritiene vi sia uno strato fondamentale di carattere materiale rispetto a cui il simbolico possa
essere una sovrastruttura, ma ritiene che nel momento stesso dell'organizzazione del materiale
intervengano aspetti di significazione, di senso.
L'ascia qualcuno dirà, non è un segno, è una cosa: per LS, solo se la nostra ottica è troppo ristretta;
confrontando due oggetti per fare le stesse cose in diverse culture, gli oggetti non sono mai identici,
ogni forma è motivata e ritagliata: c'è significazione ogniqualvolta c'è una scelta, anche in ciò che
sembra non avere alternative.
Allora, anche le tecniche più semplice, in una società primitiva, assumono carattere di sistema nei
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confronti di un sistema più generale. E il sistema e gli elementi del sistema... scelte che la società si
è trovata ad operare. [citazione errata, controllare]
Ogni tipo di scelta determina e modifica il valore di tutte le altre scelte: questa è l'idea del
linguaggio di FDS, di valore negativo e struttura.
Ogni ascia ha una forma che si può ricondurre a culture particolari, ma non solo: non si produce
un'arma dal nulla, esistono ritualizzazioni della produzione/costruzione, ma anche dell'uso; così
come non tutti possono utilizzare tutto, sono tutti aspetti differenziali. Pensate alla cucina e al tipo
di operazioni per cucinare i cibi, tuttaltro che risposte immediate ai bisogni materiali.
Come abbiamo visto, Ls ritorna sul carattere Necessario di questa strutturazione in profondità: egli
accusa FDS di attribuire lo strutturale solo alla manifestazione, ma di non aver pensato che anche
l'inconscio avesse una strutturazione. Perché per LS FDS riconosce carattere strutturale solo alla
langue, e non alla parole, rigirando l'affermazione di FDS per cui la parole è quella manifesta,
perché LS ritiene che per FDS il fonetico (che equipara alla parole) non sia strutturale, mentre La
fonetica di J mostra proprio il contrario. Parallelo particolare. Ribadiamo, il simbolico fa sempre
parte di una struttura; Ls è pienamente strutturale.
Aneddoto e questione: chi viene prima, la teoria, l'osservatore, l'indigeno? Vi sono posizioni
differenti che hanno percorso l'antropologia e sono ancora caldi.
Vi cito un passo di Victor Turner, antropologo che ha parlato anche di teatro: allievo di Evans
Prichard, terreno di elezione in africa etc. cito da La foresta dei simboli.
C'è una cerimonia, il rituale dell'albero del pane, VT tenta di capire il senso di questo rituale: chiede
agli informatori locali e gli viene spiegato che il rituale, in cui viene celebrata la maggiore età delle
ragazze, celebra l'unione tra le generazioni femminili. Il che non torna affatto a Vt, che pensa
significhi la rottura dei legami familiari e la nuova formazione di legami.
Il dubbio è: gli indigeni si spiegano il fenomeno in questo modo, VT arriva da Londra e si ritrova
una spiegazione opposta. Quale è quella giusta? Cosa salta completamente? Per VT la spiegazione
giusta è la sua, perché (levistraussianamente) la spiegazione dell'indigeno è di livello conscio, egli
non ha la possibilità di vedere a livello profondo, mentre l'osservatore... dramma del dibattito
antropologico.
La spiegazione di VT è però molto interessante: le culture significano per se stesse,
indipendentemente dalle spiegazioni che ne vengono avanzate a livello cosciente, quindi è per
questo (solo) che ritiene più interessante la sua spiegazione, perché va in profondità. Quando
l'antropologia in qualche modo si ripiega su se stessa (Marc Augè) per evitare l'etnocentrismo e
l'occidentalizzazione, e sostituito da sguardi di autolettura (antropologi che interpretano solo il
proprio settore di elezione). Dibattito ancora aperto sul problema del vicino e del lontano.
Ritorneremo su questa antropologia applicata a noi stessi, e la nostra visione non conscia di fatti
culturali che ci appartengono.
Tornando a Levì Strauss, e all' analisi della proibizione dell'incesto che segue nel saggio: noi
abbiamo scoperto che il carattere universale di questa proibizione ci dice di tutt'altre cosa, è in realtà
strumento per continuare la proiezione delle figure femminili all'esterno del gruppo sociale, e il
rafforzarsi e struttuarsi dei legami sociali. Quello che Ls suggerisce di fare, è costruire sistemi via
via più complessi, creare turbolenze e sistemi sempre più instabili, e via via verificarli sul campo.
Per cui anche la forma locale più strana dovrà confrontarsi con il modello a quello stadio.
Mediante passaggi successivi tra il laboratorio e il terreno e il terreno e il laboratorio vogliamo
ridurre il gap tra due serie... in luogo di una irragiungibile verità di fatto approderemo ad una
verità di ragione.
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Ecco qua! Quasi si torna a Cartesio, questa affermazione è assolutamente all'opposto della corrente
inglese dell'antropologia. Passiamo al secondo esempio, preso da un mito tra Irochesi e Algonquin:
una ragazza subisce visite notturne …
Confrontandolo con il nostro mito dell'incesto, ovvero Edipo: in entrambi, tutto quello che viene
fatto per evitare l'incesto finisce per farlo giungere; e in entrambi c'è un problema di doppia identità,
l'uno con i sosia e l'inganno e l'altro con la doppia identità e la certezza. Un aspetto di differenza
fondamentale è la sfinge, ma Boaz dice che nei popoli americani non esistono indovinelli, identità
segrete etc.
LS dice a questo punto, se straordinariamente si trovassero esempi del genere (che poi guardacaso
finisce col trovare nelle figure dei gufi, e in un popolo detto di creatori di enigmi che vengono detti
nati da incesto). Esiste una correlazione tra le due cose? Se c'è questo pezzo, c'è un pezzo di sistema
(fondamentale in LS), sistema che si può scoprire solo permutando e commutando.
Se l'enigma è una domanda a cui non c'è risposta, il contario è una risposta a cui non ci sono
domande: sono molti fatti antropologici di risposte a cui non ci sono domande (come la Morte del
Buddha, oppure la ricerca di Parsifal del Graal). Ma cosa hanno a che fare queste figure tra di loro?
Non è il contrario, ma lo speculare: all'eroe timido (parsifal) corrisponde l'eroe astuto (Edipo). Nel
mondo americano si è pieni di questo tipo di miti.
Dunque, nei racconti edipici rispondere all'enigma annulla la minaccia dell'estate revocata. Mentre
nei racconti parsifaliani l'estate revocata è il contenuto dell'enigma, rispetto al quale l'eroe non sa
porre la domanda.
Il confronto tra miti di aree differenti può avvenire solo attraverso un mondo (quello degli indiani
d'america) che presenta entrambi quegli archetipi mitici; così, il legame tra castità e incesto, a
livello profondo, stanno tra loro nella stessa relazione in cui stanno tra loro Enigmi e Domande
mancate; entrambe …
Settimana prossima: lezione solo lunedì. Aula 401.
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Sullo stesso argomento, i capitoli del Social History of Thruth, di Steven Shapin, che viene da
Oxford in cui si pratica una teoria del linguaggio centrata sulla verità come fatto, o ente; mentre
Shapin fa, in maniera perturbante, una storia sociale a partire dal Galileo inglese, ovvero Boyde,
l'inventore del vuoto (contro la teoria Hobbesiana...) e i suoi esperimenti per “mostrare” il vuoto.
Altro problema oltre l'attestazione meccanica della verità, è quello della dimostrazione testimoniale
della verità (Hobbes: come faccio a fidarmi?), che costringe Boyd a esemplificare una teoria del
testimone perfetto, a partire dalle caratteristiche dell'identità. Discorso scientifico, ma anche
discorso giuridico.
Collegato a questo il saggio Le temoin oculaire, di Renault Dexxx, un saggio sulla storia del
testimone a partire dagli scritti di Benveniste, che parla della verità del discorso; Benveniste ha
scritto il famoso Dizionario della storia delle istituzioni europee, in cui si è occupato tra le altre cose
del ruolo della testimonianza, nei contratti e negli aspetti legali... Quali sono i meccanismi che devo
mettere in moto per farmi credere? Dipende dai meccanismi di rappresentazione, ma questi sono
sempre gli stessi? Di base, no.
Noi abbiamo vissuto il passaggio da una idea di rappresentazione dettagliata e perfetta, all'abitudine
che abbiamo di considerare vere foto e filmati fatti “male”, non patinati, non corretti, sghembi: una
idea dell'artificio come non-verità (es. Balzac, il capolavoro sconosciuto), del contrasto: problema
anche del viaggiatore, del testimone di giustizia etc. (es. I racconti di marinai in Moby Dick)
tornando al problema di Gallison: perché costruire cose che non sono “vere”?
Perché ogni racconto testimoniale non costruisce solo l'oggetto, ma anche il soggetto. Ogni racconto
testimoniale dice necessariamente “io ho visto, io c'ero”, perché racconto un pezzo della mia vita:
(es. un topos dei gialli e del noir, il testimone è il primo dei sospettati) (es. Rashomon di Kurosawa,
un capolavoro di riflessione sulla testimonianza e sulle sue leggi: l'orrore peggiore dell'uomo è un
mondo in cui non si dà la stessa versione di un fatto, che ci costringe a vivere senza fiducia).
Il creatore dell'etnometodologia, Garfinkel, consisteva nel mettere in crisi le forme di relazione
attuale per mostrare gli effetti sugli individui. L'aneddotica vuole che uno di questi giochi fosse
quello di mettere in dubbio tutto quello che veniva detto dal partner: risultato disastroso. Il fatto che
noi partiamo da una base di credenza è fondamentale, se noi mettiamo in crisi la struttura in se
stessa non arriviamo da nessuna parte.
L'ultimo dei libretti è di Philippe Descola, allievo di Levi Strauss, L'écologie des autres, sul
rapporto di natura e cultura, e del rapporto con la verità delle diverse culture umane. Come si fa a
produrre effetti di naturalizzazione? Ci si sbaglia molto spesso a pensare che LS abbia le categorie
di Natura e Cultura, per lui non esiste una natura prioritaria da cui si stacca la cultura, ma uno
“scarto culturale”, quello che ogni cultura considera come “non proprio”, non fabbricato, a cui poi
noi riconosciamo un “supplemento di verità, di esserci” proprio perché non nostri, in parte estranei.
Se non c'è altro, torniamo a LS, con un altro dei saggi in bibliografia, la dedizione delle gru. Non ho
ancora deciso se fare questo prima o dopo la semiotica di Gertz, probabilmente prima, perché è un
saggio metodologico importante: un capitoletto sintetico che illustra alcuni dei meccanismi centrali
per i suoi lavori; trovate in piccolo il lavoro fatto nei quattro volumi delle sue Mitologique. Il
sottofondo è la problematica del pensiero selvaggio, che oggi sembra una banalità: ma quando negli
anni cinquanta è stato scritto questo non era affatto banale, anzi.
“Il pensiero mitico si fonda sulla costruzione primaria di alcune logiche, che allo studioso tocca
scoprire e nominare: due procedure... deduzione empirica e deduzione trascendentale, ricorrono
spesso e questo lavoro vuole analizzarle.
“Si ha deduzione empirica quando un mito attribuisce in seguito a osservazione una proprietà a un
essere particolare, in maniera permanente. Dal punto di vista la correttezza è irrilevante.” Alcuni
semi a forma di zanna sono ritenuti curare il mal di denti o il veleno di serpente, anche se noi non
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siamo d'accordo. Ma è sempre deduzione empirica. In più, anche quando “Il mito attribuisce il
contrario di una proprietà osservata, purché la situazione totale del mito sia inversa rispetto a
quella in cui potrebbe essere fatta” Qua i critici di LS si incazzano: ma che ce lo dici a fare? Cosa ti
hanno detto? Dì prima quello.
Gli indiani dell'america latina ritengono che uomini e giaguari si nutrano delle stesse prede.
L'unica differenza sarebbe quella della cottura; ma allora nei miti prima del fuoco? I gaguari
mangiavano cotto.
Problema di ogni buona analisi semantica; le cose confrontabili devono avere almeno un tratto
semantico in comune, girandola in un senso o in un altro; se vogliamo confrontare delle cose deve
essercene almeno uno. Uomini e giaguari hanno una cosa in comune, il cibo; una differenza, il
modo di cucinarlo. Non a caso, nella media dei miti amazzonici il signore del fuoco è il giaguaro. A
partire da una osservazione empirica.
La deduzione trascendentale deriva invece della consapevolezza di una necessità logica, quella di
attribuire certe proprietà ad un essere perché la deduzione empirica aveva prima connesso questo
essere ad altri sulla base delle proprietà correlative.
La DE mi porta a correlare un essere ad un altro, ad esempio un ambiente comune; il pensiero
mitico dice, se c'è una correlazione deve esserci una differenza: l'altro elemento ha necessariamente
quella proprietà, anche se io non l'ho osservata. Ma del giaguaro avevo osservato che mangiasse
crudo, mentre il resto? La gru non ha alcuna connessione “per percussione” con la produzione del
fuoco, eppure nei miti...; il lavoro di LS è mostrare che, partendo da lontano, alla gru ci si arriva.
Altro esempio: in alcuni miti della zona la rana arboricoli crea o annuncia la pioggia, per deduzione
empirica (vive nei tronchi vuoti dove rimane l'acqua dopo la stagione delle piogge e depone); dentro
il tronco cavo non vive solo la rana, ma le api (in quelli asciutti, dove fa miele): ma allora DE tra
rana e ape, ambiente in comune ma elemento differenziale (acqua e miele): il pensiero mitico le
separa anche per la Stagione, piogge=acqua, mentre miele=secca (perché il momento in cui si...)
In altri miti, i giaguari sono i primi possessori del miele, che hanno trasmesso agli uomini; gli
indiani amazzonici credono che la rana sia la madre del giaguaro.
Se la rana è opposta all'ape, che ha miele invece che acqua, però il giaguaro è signore del fuoco,
quindi ha a che fare necessariamente con l'opposto della rana, e quindi ha un rapporto con il miele
(che era di un altro contrario della rana). Così rana e giaguaro sono in una coppia e quindi in
alcuni casi possono essere uniti (madre-figlio).
Ora, ci sono delle gerarchie imperfette, la rana si “gioca” in entrambe le posizioni: ricordiamo che
anche che il contrario mitico è un effetto che abbiamo già citato, le permutazioni tra Elementi messe
in collegamento. Ogni singola asserzione esiste solo in affermazione dell'intero. Nelle Mitologique
LS parte da un singolo mito per arrivare a tutti i miti mondiali; si parte da uno per combinarlo e
ritrovare elementi/pezzi simili in altri, e correlandosi con pezzi di miti diversi finiscono per
costituire un macrosistema mitologico in cui tutti gli elementi sono collegati. Ma cambiando
posizione rischio di trovare una inversione semantica, anzi è necessaria. Costruendo permutazioni
vedo il sistema che regge la parentela di tutti quanti i miti.
Il “problema” del sistema mitico è che è un sistematore di coerenze universale. Pausa.
Foucault, piccolo libretto. Di Hartog vi faccio le fotocopie sulla parte rilevante... potreste scegliere
tra 4, 5, 6. Goodwin, processo a Rodney King... le telecamere riprendono la scena, la difesa
acquisisce i filmati e i poliziotti sono portati in tribunale: prima sentenza condanna, seconda
sentenza, rileggendo le immagini i poliziotti sono assolti.
Eravamo all'inizio dell'esercizio, proviamo a chiarire: letto oggi emerge una certa crudezza, in
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termini di gender studies si parlerebbe di controllo maschile sul femminile, LS è un po' più crudo
Mito 1)Abbiamo un vecchio senza figlia, che si preoccupa sul fatto di non avere un genero (che si
curi di lui), e scolpisce una figlia molto bella e la propone come moglie del sole, che accetta. Solo
che manca un pezzo, e il sole non è affatto contento; l'artigiano si offende, e il sole gli fa i dispetti,
poi si rivolge ad un uccello dal grande becco che pratica l'apertura mancante; ma prima è necessario
che venga estratto un serpente che si annidava nella statua. La fanciulla rimane incinta, ma il sole
scompare verso ovest, lasciandole piume come segni del viaggio; ma il vento fa volare le foglie, e
solo il figlio dentro la pancia le da indicazioni, fino a quando non viene colpito per sbaglio e si
offende. La donna si perde, e arriva da una vecchia che in realtà è una rana, che chiede di
spidocchiarla, ma non masticando i pidocchi, che sono velenosi. La giovane muore, ma la vecchia
estrae dalla pancia i due bambini, che diventano provetti cacciatori, ma devono mangiare cibo
sempre cotto; i due scoprono che la vecchia cucinava il cibo vomitando fiamme. I due la uccidono e
da lei escono delle fiamme che attecchiscono sulle fascine con cui l'avevano legata, e da quel
momento si può creare il fuoco per frizione...
Mito 2) uguale, ma manca la parte iniziale. La giovane si perde cercando il sole, e arriva da una
vecchia che è la madre del giaguaro... la donna la nasconde, ma il giaguaro la scopre e fa uscire i
bambini... che uccidono il giaguaro e la rana per vendetta. In seguito, nuova parte, con una seconda
rana che li accoglie in cambio di lavoro (importante l'elenco dei lavori, trasformazioni stagionali)...
la uccidono... poi stessa cosa con un tapiro.
Mito 3) Il sole affida alla lucertola, poi al coccodrillo la custodia dei suoi stagni, perché ci sono
cacciatori di frodo; ma scopre che è il coccodrillo, che per salvarsi gli promette una figlia, che
fabbrica nel legno. Stessa dimenticanza, stessa ricerca del compagno che se ne è andato... vecchia
madre del giaguaro... l'uccisione del giaguaro, ma questa volta la madre è viva nella pancia. Nuovo
trasferimento da una rana, che estrae cibo dal fuoco, e rimprovera makunaima per aver mangiato la
brace. Allontanandosi, inventano la canoa, attraversano un fiume e conoscono la gru, che insegna
loro l'origine del fuoco per percussione, e a cacciare il pesce; diventano pescatori bravissimi, poi si
separano tra loro... pianto della madre che genera il temporale, e le piogge.
Nel primo mito, il destino dell'eroina ha quattro fasi: perforazione ed estrazione del serpente; poi
messa incinta dal sole, poi inghiotte parassiti, poi viene svuotata. Quindi vedete un gioco di
opposizione tra riempimenti e svuotamenti (fase 2 e 3 Riemp, mentre 1 e 4 Svuot) e un gioco
ulteriore (2 e 4 Concepimento e nascita, 1 e 3 svuotamento e ingerimento dall'alto e dal basso).
Nelle prime due fasi si prepara letteralmente quello che … STOP! passaggio dalle stagioni ad un
ciclo giornaliero.
Nel secondo mito non abbiamo più l'inizio, ma aggiunge una coda, seconda rana e tapiro, che
sembra restituire il ciclo stagionale (lavori dei gemelli) che veniva a mancare per la sottrazione
dell'inizio; inoltre abbiamo un'inversione degli stadi dell'eroina. Fase 2 diventa la fase 1, e fase 4
rimane al suo punto, ma 1 e 3 vengono scambiati: qui il mito parla di eroina contenente e contenuta.
In più, si parla delle pleiadi e di orione, che fa riferimento alla stagione delle piogge (dimostrato ne
Il crudo e il cotto). IN questo modo possiamo apssare al mito n3.
Ma tra M2 ed M3 si ha una opposizione tra pioggia notturna e diurna, che troviamo nel parallelo tra
i due miti tra fuoco per frizione e fuoco per percussione. M3 mette pure insieme degli elementi che
erano presenti nei due miti, e abbiamo una sorta di compilazione dei miti diversi, ricombinati. Ma
nei primi due il fuoco si produceva per frizione, mentre ora si produce per percussione. Forse la gru
ha a che fare con tutto questo.
Origine culturale del fuoco e origine naturale dell'acqua, che vengono messe insieme. Ma il fuoco
per percussione, c'è in altri miti? Si, e inoltre ricompare la rana. Ma mentre prima lo produceva
dalla bocca, ora lo produce dall'ano. Di nuovo alto/basso, accoppiato al sistema anteriore/posteriore.
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Ma qui manca un elemento, ovvero l'apertura posteriore in alto. Per LS l'apertura posteriore in alto è
l'orecchio (come dice ne “il crudo e il cotto”, in cui ci sono spesso dei problemi di rumore fatto
dagli eroi, e del silenzio: spesso nel legame col cibo).
Infine, la gru nei miti ha una proprietà particolare: evacua molto, di solito trasporta altri animali e
poi li riempie di escrementi. Questa focalizzazione della produzione bassa con il fuoco prodotto per
percussione. Altra caratteristica della gru, essa è l'animale per eccellenza rumoroso. Per Deduzione
trascendentale, la gru è quindi la responsabile del fuoco per percussione.
Ora, questa non è necessariamente una dimostrazione scientifico, ma è una dimostrazione di
carattere semantico: questo ci serviva per capire quale è il tipo di lavoro che LS fa sui miti. Alcuni
di voi diranno che questa è algebra fatta da un pazzo, ha capito così bene la logica dei miti che è
quella che usa lui stesso.
Non essendo studioso di miti amazzonici non mi interessa la tenuta o meno del suo lavoro, ma
l'organizzazione semantica che lui utilizza; nel paragone con il lavoro di Propp, vedete subito che
quello che Propp toglie qui è fondamentale. Anzi, è la semantica del mito che decide quali
correlazioni e quali funzioni compaiano, e mai in modo indipendentemente ma sempre legate tra di
loro. Una funzione rispetto all'altra non è per caso, è sempre una trasformazione (contrario,
opposizione) della prima.
Ci si è convinti che per LS i miti avevano un carattere di necessità differente da quello di altri
elementi (romanzi etc), mentre i semiologi pensavano che ci fosse una logica anche nel testo
individuale; l'altra cosa di cui ci si è convinti è che LS lavorasse sui singoli testi, e non sul
paradigma generale ma su un valore assoluto; ma qui abbiamo visto il contrario, non è possibile un
lavoro del genere se non è sempre contestuale, il “significato” della rana è posizionale e quindi
dipende dalle reti di relazioni che si ottengono.
Punto finale, l'idea di relazione di LS è uno strutturalismo molto forte, in cui “tutto si tiene”, nulla è
dato al caso; o dove, quello che succede ai miti succede solo a loro, nelle società primitive (culture
fredde) senza storia (mentre le culture calde) che inseriscono tutti gli eventi in uno schema...
D'altra parte LS accetta uno delle asserzioni dello strutturalismo, quello di una Struttura
Generatrice, una parte molto hegeliana dello strutturalismo; in realtà Ls fa un lavoro che oltre a lui
fa, in quegli anni e in quei tempi, fa solo Deleuze: non quello di cercare una struttura ultima, ma che
questa struttura non ci sia, e ciò che importa sia solo il rinvio costante da un piano ad un piano
diverso; le correlazioni tra piani stagionali, totemici, lavori, parentela, componenti alto/basso e cibi
tutti i piani tra di loro, nel piano continuo di rimandi che fa parte di una società.
L'ultimo aspetto della durezza di LS, che nessuno ha conservato più, l'idea che le strutture esistano,
che esse siano le strutture dei fenomeni. Il Post-strutturalismo (deleuze, foucault, greimas) lavora
sull'idea che il piano centrale non sia nelle cose, ma nella loro articolazione e differenza, che questo
dipenda dal linguaggio stesso che analizza i fenomeni: differenza tra strutturalismo ontologico e
strutturalismo metodologico; il primo ad operare questa distinzione è stato Umberto Eco nel 68???,
e difatti è stato bandito dalla Francia. (aveva offeso Lancan). La giustificazione di Ls per questo
ontologia è che le forme strutturali siano connaturate alla psiche umana, ovvero che la psiche sia di
forma strutturale. Forma di kantismo delle forme di conoscenza.
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all'interno di quello che è il suo testo metodologico programmatico (non ha scritto molto di
metodologico, i suoi scritti sono soprattutto di campo etnografico, su due aree: Marocco e Giava; e
altri in cui confronta queste sue esperienze per rispondere a questioni di diritto, arte etc)
Il saggio che apre “interpretazione di culture” ha il titolo originale di Thick description (descrizione
densa): per CG il lavoro dell'antropologo è quello di produrre queste descrizioni dense di ciò che si
trova davanti. Attenzione: per CG l'antropologo è tale in quanto scrive, dentro un genere costituito.
Ci sono una serie di luoghi comuni del dibattito …
Conoscete Bruno Latour? Un filosofo-sociologo che parte dall'osservazione uguale a quella di Cg;
per capire dal lavoro di uno studioso bisogna porre attenzione non a ciò che egli proclama di fare,
ma ciò che egli fa (principio antropologico...); tutta la sociologia della scienza contemporanea...
cosa fanno gli scienziati? Scrivono articoli. Tutto un problema di lavoro intellettuale che si cerca di
non trattare. In particolare, per Gertz, scrivendo si costruisce un determinato oggetto: la scrittura è
sempre un lavoro di costruzione.
Quando scriviamo... iniziare da un certo punto, sottolineare altre cose... sotto questo pdv il lavoro di
un antropologo non è diverso da quello di un romanziere. L'oggetto costruito avrà uno statuto
diverso, ma comune è il lavoro di costruzione: e una buona antropologia si distingue proprio dal
modo in cui un oggetto è costruito, che deve avere determinate caratteristiche.
Prima però, CG si sofferma sull'oggetto dell'antropologia: essa si occupa delle “culture”, ma già
sostenere cosa sia una cultura è ostico, citando Klatchkoon (???) pieno di definizioni...
Il concetto di cultura che esporrò... è essenzialmente un concetto semiotico: ritenendo, con Max
Weber, che l'uomo è un animale immerso in una rete di significati... comprendere queste reti:
ritengo che essa non sia una scienza sperimentale in cerca di leggi ma una scienza interpretativa in
cerca di significati.
Che differenze con LS? Fondamentalmente nessuna finora, ma allora perché l'articolo contiene
velate citazioni di contrasto? Cosa significa fare una Antropologia interpretativa?
1) Evitare gli impantanamenti di tanti campi dell'antropologia, e di cultura americana in particolare,
con l'idea che ci sia una corrispondenza tra la produzione dell'oggetto della ricerca e la raccolta dei
dati. CG è contro la teoria pragmatista e quegli indirizzi pragmatisti, che ritengono che spiegare una
cosa sia semplicemente raccogliere i dati. Il problema non è descrivere in superficie, ma il carattere
di una descrizione. Una descrizione che è solo una raccolta di dati è per lui una thin description;
potremmo dire che tutta la corrente cognitivista sia una corrente di questo tipo, una corrente di
naturalizzazione dei fatti culturali. La correlazione diretta tra strutture neuronali e mondo.
Esempio dell'ammiccamento: due ragazzi contraggono la palpebra contemporaneamente. Per uno
un tick involontario, per l'altro un ammiccamento. Una semplice osservazione non può distinguere
il primo dal secondo, né capire quale è quale, cogliere la differenza. Non è che chi ammicca faccia
due cose (contrarre e ammiccare), contrarre le palpebre in un codice pubblico è ammiccare: un
gesto non è solo una espressione somatica, esteriore, ma esso comporta un codice culturale che
permette di utilizzare quel gesto dentro una struttura comunicativa. Tra la thin description e la thick
description di questo evento sta tutta l'etnografia.
Costruire questa situazione complessa in cui tutto questo insieme di gesti ha un senso particolare,
ben preciso dentro una struttura culturale. L'esempio è naturalmente fittizio, come quello di tutti i
filosofi del linguaggio... ma si può applicare al nostro lavoro?
CG parla di una situazione egli altopiani del Marocco, furto di pecore... la descrizione di quello che
succede è differente dal senso compiuto che si ottiene... Lavoro di costruzione e ricostruzione del
significato degli eventi: il problema dell'antropologo non sta negli eventi ma nel significato degli
eventi, per questo parliamo di una disciplina a carattere semiotico. E torniamo ad un nuovo
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problema (vecchio).
Questi significati, sono significati di chi? Per LS, prima dello sguardo dell'analista, viene quello del
nativo. Ma davvero ci illudiamo di poter cogliere l'interpretazione del nativo? O meglio, siamo
sicuri che il lavoro dell'antropologo sia esattamente questo? Nuovamente per CG confondiamo
l'oggetto con lo studio dell'oggetto, una sua registrazione passiva. Io non riuscirò mai ad essere
totalmente l'altro, naturalmente perché anche solo nel racconto del nativo c'è un lavoro di
costruzione, come dicevamo prima.
La verità dove sta? Non c'è. Il lavoro è sempre quello di interpretazione delle interpretazioni: qui è
fin dove può arrivare l'antropologo. Studiare gesti come Entità dotate di significato: simboli. Ciò
con cui ha a che fare l'antropologo e l'antropologia, i simboli e la loro interpretazione.
Tutto questo contro varie teorie: contro quella del reificazionismo, la cultura come indirizzo con una
finalità e azioni di orientamento (hegelismo); contro il comportamentismo, abbiamo già detto, e
infine contro quelle teorie che vedono la cultura nella mente degli uomini, che quindi sarebbe
azione degli psicologi...
CG dice: la cultura è pubblica, i significati o sono pubblici o non sono significati... Cg si rifà a
Husserl e al secondo Wittgenstein, non si tratta di fenomeni mentali ma in strutture di significato
socialmente stabilite. Solo la mancanza di familiarità con l'universo in cui stanno i segni può
spingerci a oltrepassare queste caratteristiche...
Lo scopo dell'antropologia è quella di ampliare l'universo del discorso umano, in quanto concezione
semiotica...
[Structural objectivity]
Dopo aver fatto piazza pulita delle varie correnti culturali, egli fa un passo indietro: focalizzandosi
solo sul carattere di simboli, il rischio è di cominciare a considerarli di per sé stessi, a discapito
dell'insieme del comportamento, che ci si è occupati di trattare solo frettolosamente. Secondo
questo ragionamento la cultura è trattato solo in quanto come sistema simbolico...
benché sia un notevole miglioramento e fonte di alcune stimolanti concezioni teoriche
dell'antropologia, questo approccio ermetico separa l'analisi dalla logica formale della vita effettiva;
fa piombare tutto nello schematismo. I simboli non devono essere disarticolati e trattati
separatamente, come se costituissero un mondo a sé: soprattutto se si cerca di produrre una algebra
simbolica, che finisce col parlare solo di se stessa e non più di quello che voleva dire.
C'è una cosa strana nell'argomentazione di CG, che fa si che alla fine (imho) per quanto
interessante, alla fine non tenga: come prima sosteneva che il culturale è un concetto problematico,
similmente lo stesso trattamento è legato al simbolico: egli sostiene però che non si possono
disincagliare questi simboli dalla cultura, perché bisogna legarli ai loro usi.
Ma allora gli usi non sono di caratteri simbolici, e per capire i simboli devo comprenderne gli usi,
che allora non essendo simboli non sono più concetti culturali. CG si contraddice col suo stesso
argomento iniziale, e LS potrebbe rispondere che non è possibile mai “separare” i simboli da
alcunché, tutto è simbolico. Difatti CG in seguito sostiene...
L'impressione è che CG sia epistemologicamente d'accordo con LS, ma che non gli piace il modo in
cui LS articoli i suoi sistemi: una cosa che non gli piace affatto è il fatto che alcuni elementi di una
cultura possano essere dedotti (ricordate la “verità di ragione?” sono calcoli astratti, non osservabili:
una bestemmia per l'antropologia di Gertz), per CG il problema non è solo l'approccio di LS e dello
strutturalismo in generale, ma il fatto che il sapere antropologico possa avere una natura deduttiva e
per questo anche previsiva (uno dei punti di orgoglio di LS, se ricordate: un giorno noi potremo fare
come le scienze esatte...)
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Contro le accuse, per CG La previsione deve essere considerata come quella della “critica
letteraria”, evidenziando una serie di elementi ma senza dar loro … Gertz si limita a dire che questi
oggetti sono sistemi simbolici, e che hanno dei significati e che sono interpretabili: ma LS mette in
moto questi meccanismi, mentre Cg non ipotizza strutture di per sé, o ne descrive alcune.
Per CG l'antropologia serve a capire meglio l'altro: confronto tra l'interpretazione della mia
concezione e di quella dell'altro. Alcuni esempi dei suoi saggi, sono però confronti su concetti
“generali” come la Legge. Ma la legge non diventa così una costante (naturale...) che varia solo
nelle sue manifestazioni
Ricordate, la corrente della semiotica interpretativa, quella di umberto eco che si ispira al lavoro di
Pierce; non è forse casuale che il convegno di cui parleremo la volta prossima ha come personaggi
proprio Gertz e Umberto Eco. Che rapporto c'è tra la semiotica interpretativa e quella generativa?
Nessuna dal punto di vista fenomenologico; l'assunto della base culturale ineliminabile è comune a
tutti e due, ma mentre con Greimas discutiamo di come sono fatti i meccanismi significanti, con eco
discutiamo di quali siano i meccanismi di interpretazione nei confronti del dato oggetto: non ho
nulla che mi permetta di ragionare su come sono fatti gli oggetti. Come vedete, sono prospettive
differenti, e vedremo poi nell'articolo l'arte come sistema culturale.
Ecco quindi le tre caratteristiche della descrizione etnografica: è interpretativa (non procedurale),
l'oggetto dell'interpretazione è il flusso del discorso sociale, l'oggetto dell'interpretazione è di
preservare il detto e non la manifestazione. E una quarta, infine: essa è microscopica, lavora su
oggetti molto locali e particolari.
Dove ritrovare questo problema, in particolare negli anni novanta? Nel discorso storico. Raccontare
la storia dei grandi eventi fa sì che si crei storia attraverso documenti ufficiali; ma non permette di
capire come è organizzata la vita; a partire dagli anni 70-80 si apre la microstoria, con Il formaggio
e i vermi di Ginzburg. Documenti legati al sapere che circola ai livelli bassi... l'occhio testimoniale
non è più quello della grande storia... pensate alla storia della Shoah, che ricostruisco solo se mi
affido ai testimoni. Ma cosa significa? Pensare che il discorso storico possa essere costruito solo dal
locale, dal singolo. Ma questa storia è la stessa che costruisco a partire dai grandi eventi? Ho un
problema di coordinazione tra questi strati differenti, e naturalmente la coordinazione e
“somiglianza” può essere maggiore o minore. Il micro nel macro non sono semplicemente
differenze di scala, ho prospettive diverse che devon essere coordinate.
L'idea di Gertz è che il macro possa sempre essere ricavato dal micro: ovviamente l'obiettivo
dell'antropologia, quello di “conservare il detto”, il senso delle cose, come si collega a tutto questo?
Come le pecore del mercante possono andare a spiegare il tutto. Si può, ma NON come è stato fatto.
Uno è il tipico esempio del macro dal micro, delle comunità tipiche; CG dice che questa è la vita di
provincia, non quella dell'America. Dove allora si riesce a fare il passaggio?
L'altro esempio è quello del laboratorio sul campo, quello di rendere una comunità come un luogo
in cui i parametri del macro abbiano effetti che possano essere visti nel micro; ma come è possibile,
se io sto andando a studiare una comunità, avere già le variabili da analizzare, i parametri da
controllare? Non si può, naturalmente.
Per CG avere un atteggiamento interpretativo, senza chiedere come sono fatte le interpretazioni.
Nell'altro saggio, l'arte come sistema culturale, CG parte dall'affermazione che si parla moltissimo
di arte, e che parlarne sia spesso un chiacchiericcio inutile. Se ne parla spesso, ma senza dirne nulla.
In particolare, per uscire da questa sensazione la modernità si è inventata un modo per parlarne, che
sembra più autorevole: quella di usare un linguaggio tecnico, convincendoci/si che questo approccio
tecnico è l'unico che possa dirne qualcosa. [da cui segue una serie di esempi in cui mostra come
tutto questo non permetta di comprendere gli oggetti]
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Procedure? Pratiche? No, bisogna chiedersi quale è il senso di tutto questo. Questa è una tendenza
formalista, che viene incarnata fondamentalmente da LS e dallo strutturalismo; che per CG è quello
studio che si occupa di forme senza occuparsi di significati, e per di più è imparentato coll'inutile
tecnicismo del linguaggio tecnico. [Come vedete, è la stessa accusa che LS poneva a Propp], mentre
bisogna leggere l'arte come un sistema simbolico e di pratiche.
Per poterne dare un significato, bisogna togliersi l'idea che essa sia un aspetto peculiare della nostra
cultura; e in tutte queste altre culture ci sono persone che fanno discorsi tecnici (altra nostra non-
peculiarità) attraverso una serie di esempi (lezione prossima)
Ora affronto un primo nodo problematico: cosa significa dire che l'arte esiste in ogni cultura? Per
farlo dobbiamo avere una nozione di arte. Leggendo l'arte secondo CG sembra che essa sia “operare
con colori, suoni e parole”; ma questo non è un discorso formale? Lui stesso dice, ad esempio, che
gli storici dell'arte del medioevo tendono a non usare il termine arte, proprio perché il contesto, i
valori e gli impieghi d'uso hanno una posizione assolutamente diversa; è successo solo nel seicento
che le nostre letture hanno incorporato quei fenomeni unicamente nel loro valore formale-estetico;
contro di essi Gertz si arrabbia, sostenendo che parlare di arte primitiva sia una idiozia; difatti,
parlare di un sistema artistico-espressivo vuol dire togliere alcune oggetti dalle loro strutture di
significazione originaria per incorporarle falsamente nel mio...
A cosa gli serve parlare allora del concetto “ARTE”? Stesso problema di prima, dopo aver
dichiarato l'impossibilità di pervenire ad una esistenza dei fenomeni in sé, esse ritornano
silenziosamente come presupposto. Problema insito nella natura dell'eurocentrismo.
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come processo/verbo: “illuminare”. Loro sarebbero più einsteiniani di noi.
In sostanza, il mondo naturale diventa il luogo di esercizio di una quantità di semiotiche, insomma
una macrosemiotica: non è fatto di cose, ma di interazioni e valorizzazioni delle cose, che esistono
solo all'interno di questi processi. Pensate all'articolazione valoriale dello spazio: percorsi, soglie etc
Il mondo naturale diventa allora un luogo di esercizio della semiotica; ma se lo è, problema della
semiotica diventa anche quello di comprendere come determinati oggetti vengano tradotti tra le
semiotiche di... abbiamo a che fare con l'allestimento di forme che derivano da altre forme. I
passaggi tra mondo naturale e semiotiche costruite sono allora operazioni di traduzione, cercando di
mantenere una medesimezza, che non è semplicemente quantitativa: Goodman direbbe, contro
l'idea del “quanto in comune”, che la cosa a cui somiglia di più un quadro è un altro quadro, non
certo il referente supposto.
Inoltre, mi riferisco al lavoro di Lotman, e al suo concetto di Semiosfera: una serie di testi che
possono essere ricondotte ad un ambito culturale omogeneo; in realtà JL non si esprime mai
sull'estensione della semiosfera, e non ci aiuta a capire dove sia il fuori, e cosa ci sia. Tutti i sistemi
semiotici dentro una semiosfera sono interdipendenti tra di loro, e sono omogenei, pure nella
dinamicità e nel movimento continuo (passaggio centro-periferia etc); eppure possiamo dire che
ogni singola cultura stabilisce una propria semiosfera, e al di fuori potremmo sempre parlare di
sistemi semiotici differenti; JL a questo punto dice che il confine di ogni semiosfera è quello di una
serie di filtri di traduzione, attraverso cui gli oggetti devono passare per essere intellegibili.
Entrando deve subire una riorganizzazione in una forma linguistica che lo renda percepibile, ma
allo stesso tempo entra a far parte del patrimonio culturale della sfera che lo riceve, ponendo quindi
un piccolo cambiamento dell'intero sistema.
Di questa idea lotmaniana c'è un problema a mio avviso: ritengo faticosa l'idea che le culture
costituiscano delle semiosfere omogenee, perché i sistemi semiotici non hanno sempre la stessa
estensione. Se definiamo le culture a partire dai sistemi semiotici, esse avranno estensione diverse:
se dividiamo i confini per lingua avremo dei risultati legati grossomodo alla nazione; se li
dividessimo per ambiti figurative non potremmo più dividerli nazionalmente, ma per aree culturali
molto più ampie; se li dividessimo per prossemica, avremo gradi e numero di sistemi molto
maggiore. Questa diversa estensione dei sistemi semiotici è quello, a mio avviso, che rende
possibile o quantomeno facilita proprio i concetti di traduzione. L'identità di alcuni sistemi
semiotici dentro le culture interessate nella traduzione, mentre dove i punti in comune sono molto
pochi la traduzione è molto più complessa e “lontana”. Quanto più queste differenze aumentano,
tanto più le culture si dotano di strumenti per appropriarsi di questo altro che sta fuori.
Ed ecco un ulteriore problema: perché qualcosa dovrebbe passare dal fuori al dentro? Perché
dovremmo tradurre? Perché noi abbiamo valorizzato l'alterità, e intrapreso un processo di
appropriazione per farlo entrare all'interno della nostra cultura. Tanto più questo esterno è
sconosciuto a noi, quanto più la cultura si è affannata a portarlo all'interno. Il che ci porta al
concetto/esempio di rappresentazione del Mostruoso, o del Racconto di viaggio. Andare a cercare
qualcosa, riportarlo indietro, poterlo raccontare.
Hartog sostiene che le meraviglie che troviamo nel racconto non sono quelle del narratore, ma sono
necessità dell'ascoltatore, è la moneta che si paga per l'ascolto (dimmi qualcosa che non so). Più è
inaudito ed eccezionale, più è difficile da costruire. Ma nel momento in cui lo rendo intellegibile, lo
rendo sottomesso alle regole della cultura di riferimento. A questo punto per Hartog è possibile fare
storia della Grecia a partire dalla messa in forma dell'altro per i greci.
Mostro: come è fatto un grande mostro? Spesso Ibridazione, oppure Inversioni, oppure operazioni
di mistione tra categorie normalmente applicate ad altre classi (somma di proprietà, come
l'ingigantimento). Partiamo da King Kong.
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Per spiegare questi macchinari ho preso in prestito il termine di “apparato di cattura” per mostrare
come la traduzione mette in opera questi dispositivi (il suo rapporto con lo strutturalismo nel saggio
da che cosa si riconosce lo strutturalismo, e anche in differenza e ripetizione. Con la semiotica in
particolare, Deleuze ha uno strano rapporto, preferendo quella Pierceana in Immagine-tempo,
mentre attingendo da quella generativa in Millepiani.)
In che senso l'apparato di cattura è un modello semiotico? Deleuze ne parla in senso politico,
contestando l'idea che sia possibile rintracciare un discorso evolutivo per riscutere l'origine delle
società umane e dei poteri politici, a partire dai gruppi tribali verso forme statali. Così come non
possiamo immaginarci una evoluzione che porta l'uomo dal nomadismo al seminomadismo alla
sedentarietà; noi possiamo considerare queste diverse concezioni come coesistenti: non esiste
sedentario se non in relazione al nomade, non esiste stato se non in relazione alle tribù. Che
rapporto c'è tra queste entità? C'è un rapporto inverso di “scongiuramento” (far sì che l'opposto non
avvenga) e di “assimilazione” (rendere l'opposto se stesso).
Per far diventare statale ciò che statale non è, si opera attraverso “apparati di cattura”: macchine
semiotiche che traducono portando al loro interno; nella terminologia deleuziana esiste in più una
opposizione tra liscio e striato: il secondo è un fenomeno espresso secondo una codificazione,
mentre un fenomeno è liscia quando non ha nessuna forma di decodificazione. Ma fenomeni lisci
non esistono se non secondo operazioni di decodificazione, non esiste il liscio di per sé. L'azione di
striatura esercitata dall'apparato di cattura passa per una lisciatura; oppure operazioni più
complesse, quelle di mantenere un oggetto con le proprie striature e ristriarlo al proprio interno, e
pericolose poiché un eccesso di striature rende l'oggetto illeggibile.
In questa definizione che cerco di proporre, non voglio leggere solo il lavoro delle scienze umane, o
della traduzione letterarie: ma anche delle scienze naturali.
Cominciamo nel film con l'andare a striare qualche cosa
(Mary Douglas: purezza e pericolo. Sui sistemi di categorizzazione)
Un apparato di cattura ha due piani/livelli: una dimensione narrativa e una dimensione figurativa.
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confronti degli altri approcci possibili, alle semiotiche possibili anche. Detto questo, quale è la
differenza tra questo molto tecnico, tipico dei formalismi, e gli altri?
CG sostiene che in molti altri luoghi esistono discrosi a carattere tecnico
solo oggi in occidente pochi sono riusciti a onvincersi che il discorso tecnico sull'arte basti per una
comprensione della stessa; che tutto il potere estetico risieda... in tutti gli altri luoghi queste
riflessioni si collegano ad esse ma non ne sono sopradeterminati.
Ancora più importante: se esiste un formalismo estetico, che cerca di ricondurre la qualità estetica
dell'opera alla sua organizzazione formale pura, asignificante; esattamente il contrario dello
strutturalismo, in cui la considerazione del livello formale articola sempre un linguaggio. Non è una
“matematica estetica”, sulla bellezza delle forme.
Difatti, azioni effettuate da CG sono perfettamente condivisibili a quelle che faremmo noi: ma ora
parliamo del problema di collegare l'arte ad altre sfere sociali. Ma noi come facciamo a collegarle,
se non sappiamo cosa l'arte sia? Problema storico importantissimo
Le forme di significazione che la pittura produce sono prodotte autonomamente, o sono illustrate
ma prodotte in altri campi. Problema, tra i tanti dell'Iconologia di Panovskij: come una opera
pittorica traduce un programma di carattere letterario. L'opera pittorica produce significato ma
sussidiariamente rispetto ad un'altro significato codice. E quindi, il significato è già prodotto altrove
o è un significato originale? Qui Gertz si muove un po' a fatica, oscilla nella prima parte
nell'affermazione di un altrove di senso; dall'altra parte, tende a suggerire per Matisse che esso sia
un luogo originale di produzione di significati, ma che esso debba essere confrontato e proprio in
questo mostri la sua originalità. Tutto questo non è molto chiaro, pure nell'analisi molto bella della
linea nella scultura Joruba, che riporta.
Innanzitutto, lui contesta una concezione piuttosto ovvia, che non saprei rintracciare: è una
affermazione forte sostenere che la linea sia una cosa universale e generale. Mi viene in mente solo
Cassirer, nella Fisiologia delle forme simboliche. Non mi ricordo una affermazione del genere, ma
siamo decisamente d'accordo con lui nel principio generale. La linea è un tratto dominante della
costruzione rinascimentale, ma non è lo stesso oggetto per gli Joruba. E difatti l'analisi di Thompson
riportata ci mostra il tutto.
Thompson osserva che la linea occupa un posto centrale nelle discussioni Joruba: una delle culture
più antiche dell'umanità, si portano dietro un patrimonio di elaborazione molto ricco e molto
importante (DATARE!). Le linee per gli Joruba non riguardano solo le sculture
Gli joruba non incidono le loro linee solo sulle statue e vasi, fanno lo stesso sui loro volti: la linea
di profondità direzione e lunghezza variabile, lasciata come cicatrice, indica il lignaggio,
appartenenza tribale, status e il tipo. É strettamente legata alla civilizzazione: questo paese è
civilizzato, in Joruba significa questa terra ha linee sulla faccia.
Cosa significa questo? Che le linee della cultura Joruba indicano solo quello che c'è sul volto
umano? E che le linee del volto stanno ad indicare le linee di coltivazione dei campi? É solo questo
legame tra coltivazione, civilizzazione e lignaggio. Questo segnare marca in modo convincente il
culturale rispetto al naturale, ma è tutto qui.
Problema: la povera scultura che arriva infondo, che significato ha: niente, riproduce solo un
significato già dato. Altro problema: stiamo considerando la scultura in quanto opera d'arte? E allora
se la linea è la stessa, è semplicemente non-rilevante rispetto alla produzione generale culturale.
Come dicevamo però, d'altra parte nel volto umano ci sono alcune striature che permettono
declinazioni particolari. E la statua rispetto a questo? Appunto questo non viene detto. Avremo forse
un semplice gioco joruba al realismo? Allora non ci interessa tanto una ripresa esatta delle linee, ma
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la loro presenza. O rappresentano individui particolari attraverso linee particolari? Il lavoro di
Thompson non dice nulla su questo.
Ci ritroviamo nell'obiezione che lui citava prima: soprattutto fa problema la necessità per CG di
continuare a dire che si tratta di arte, non un lavoro di scultura particolare. Lui se la prende con gli
strutturalisti che sostengono che l'arte non esista al di fuori dell'occidente. Ma se gli strutturalisti se
la prendono solo con la forma espressiva, allora dovrebbero essere i primi a sostenere che sia arte.
CG sostiene che poiché non se ne parla allo stesso modo, essa non viene considerata tale dagli
strutturalisti.
Il problema di definizione dell'arte non è un problema strutturalista, non è certo il punto di una
semiotica, non ha mai il compito di definire un'arte. Mentre CG sta pensando a un linguaggio
dell'arte comune a tutti. E difatti sostiene:
noi non ci orientiamo con gli joruba perché la loro nozione di arte ha una funzione completamente
differente dalla loro. Problema Wittgensteiniano, dobbiamo prima accordarci sui termini. Forse
quelle opere divengono arte quando vengono acquistate dai galleristi e messe insieme ai Gaughin, ai
Van Gogh e ai Picasso primitivisti. Forse divengono arte solo in quel momento. Apparato di cattura,
abbiamo preso una cosa da fuori, inserita nel nostro sistema...
Il culto delle immagini, Hans Belting, ha detto: guardiamoci dal considerare le nostre immagini
sotto la categoria di arte. Le espressioni figurative prima del seicento non rientrano nel gioco di arte
così come le conosciamo noi, siamo noi che celebriamo il valore dopo averle inserite in una
categoria creata da noi a posteriori. Le immagini di culto sono altro: hanno una componente
estetica, ma non è dominante. Similmente le icone... altro che scarto, modello di produzione: i
criteri estetici che possono giudicarne l'accettabilità erano tutt'altri.
Quando noi troviamo una scultura joruba dentro un muse contemporaneo, abbiamo operato uno
slittamento semiotico differente; non più una attenzione alla descrizione (genealogie,
rappresentazioni) ma alla dimensione formale ed estetica.
L'oggetto della semiotica non è quello di generalizzare una forma in un criterio universale. Se
dessimo retta all'ambiguo concetto di Arte di CG rischiamo questo impasse. Non volendo
interessarsi di “come le linee fanno a significare” che è un problema semiotico più importante di
Cosa significhi quella cosa (le linee).
Secondo esempio di CG: ci propone un esempio di Anthony Forge, che ci porta tra gli Abelam della
nuova guinea, che producono una grande quantità di pitture, su foglie lavorate essiccate intrecciate;
queste pitture hanno carattere puramente rituale, dopodiché perdono ogni importanza. Ora, esistono
correnti anche da noi che producono dell'arte effimera, con oggetti destinati a durare poco nel
tempo: il valore della performance è questo, anche se sono sempre riprodotte fotograficamente
come documentazione. Ma quale è opera d'arte? L'insieme delle due cose, quella performance ha
valore per noi in quanto esiste una documentazione che lo prova. Ora, come vedete il valore/senso
all'interno rituale è quello della convocazione dello spirito, non della documentazione. Parliamo
ancora di arte? Io direi no, CG sì.
Ora, Ggertz nota che le loro opere sono combinazioni di ovali, figure che in qualche caso hanno
effetti realistici ed altri no. Ora, secondo lui tutto ciò è significativo in quanto questo ovale
rappresenta il ventre della donna, e questo sarebbe il ventre della donna, in quanto origine della
forza creatrice. Ma ora l'origine della forza creatrice se la arrogano gli uomini, secondo riti
segretissimi a cui le donne non possono partecipare, e dopo questi riti disegnano ovali. Grande
paradosso, debitori di questa forza e della nascita... ogni loro rito è una riflessione continua su di
esso.
Di nuovo problema: quale è il valore di queste opere, é quello di un testo di filosofia? Ma allora
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sono ancora arte? E soprattuto, sono tutte uguali una all'altra? Se ogni singola elaborazione non ha
nulla da aggiungere e nulla da raccontare... ditelo voi ad un artista contemporaneo. Forse il testo
non lo fa l'opera in quanto tale, ma il contesto complessivo (obiezione che Cg dimentica) del rito,
mentre CG sembra farci riflettere solo sulla cornice, e solo su un particolare formale.
Dunque, torniamo alla questione “simbolico”: lo strutturalismo non definisce il “simbolo”, ma si
occupa di processi e strutture di significazione. Gerz fa un esempio per mostrare un problema
dell'approccio semiotico.
La statua raffigura un re: dopo la sua morte viene lasciata nel tempo alle intemperie, e dopo tempo
si perde nella sua consistenza; così, se ne perde la memoria.
L'oggetto, chiede Gertz, per la semiotica quale è? La statua prima o dopo? Naturalmente, il testo
non è un oggetto, una cornice. É tutto. CG in seguito cita un'opera molto interessante:
Pittura ed esperienza sociale nell'italia del quattrocento di Buxandal(???) non si parla
volontariamente di arte. La sua idea è che un dipinto risenta in modo diretto delle capacità
interpretative delle persone a cui è destinato. Un dipinto non è l'opera di un autore, ma sempre di un
autore e di un pubblico. Quello che un autore può fare è strettamente legato alle possibilità del
pubblico. Problema come vedete opposto a quello delle avanguardie novecentesche... sfidare il
pubblico.
C'è un problema di attrezzature mentali che condiziona il modo di vedere: una parte delle
attrezzature mentali è variabile, culturalmente relativa a causa della società in cui vive.
Riguardano...
come vedete nessuna di queste caratteristiche riguarda il “significato” già presente: la capacità di
visione non è uguale per tutti, non è una capacità naturale ma un costrutto culturale. Il modo in cui
vediamo non è la fisiologia dell'occhio. Gli esempi di Buxandal sono particolari:
Perché molti rappresentavano usando ovali cubi piramidi? Come Piero della francesca? Forse
Buxandal viene “influenzato” da Cezanne? Egli sostiene invece che lo spirito dell'epoca era portato,
in quanto spirito mercantile e attento alla forma degli oggetti, non alle sue unità di misura: una
cultura capace di leggere “il volume” degli oggetti. Piero è quello che riesce a dare alle persone
quello che...
La rappresentazione pittorica non ha carattere didascalico: lo scopo dei quadri all'epoca era
quello di approfondire l'esperienza spirituale...
noi non siamo più “proprietari” di quella lingua, dobbiamo reinserirla all'interno di una struttura
esplicativa; una comprensione mediata. E la lettura “didattica” è per bux. Una riduzione, non si
tratta solo di mettere di fronte a un detto, ma di riprodurre una esperienza (spirituale). Provare a
rivivere questi effetti di presenza. Forme di organizzazione dell'esperienza già organizzate che
vengono reinserite e dialogano direttamente, come quelle della danza e del teatro, che sono a sua
volta modificate dalla pittura.
Dice Gertz che la danza rinascimentale non era la nostra danza; era una successione di Tableau
Vivantes, questi quadri che si bloccano sono la matrice dell'organizzaizone dlle forme che poi
troviamo non casualmente nel Botticelli. Dove Piero collega questa natura mercantile... l'uomo di
corte Botticelli invece attinge...
Come nei casi precedenti questa idea di forme che attraversano esperienze diverse; ma mentre l'arte
dagli joruba era una semplice produzione e riproposizione di contenuti, qui invece l'idea è una
costruzione semiotica non dipendente e conclusa; sono ambienti e situazioni culturali attraversate da
codici particolari. Forme funzionali possibili che vengono rese significanti, ma non diremmo mai
che il contenuto di tutte le loro opere sono “i sacchi” e “i balli” (mentre ai poveri Joruba sì).
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CG: Dietro e al di là a questa tendenza di concepire danza e pittura come schemi di sistemazione di
corpi si trova una tendenza più ampia a considerare i modi in cui gli uomini si raggruppavano gli
uni rispetto agli altri, i loro rapporti tra di loro, le distanze tra di loro ...
La pittura convoca semiotiche diverse e per essere compresa bisogna fare i conti con le semiotiche
che vengono convocate; semiotiche che non esistono solo entro la pittura ma anche altrove.
Esistono forme semiotiche che sono presenti dentro forme di manifestazione diversa. Le forme
semiotiche della prossemica e della gestualità sono presenti in vari momenti quotidiani ma
assumono risignificazioni nei vari momenti dei libri o dei contesti artistici.
I testi sono tutt'altro che una forma semiotica, sono concretizzazioni di più forme semiotiche che si
appoggiano una sull'altra. Non dobbiamo più ragionare sul significato dell'Arte, ma come forme
semiotiche differenti poi si concretizzino su oggetti particolari.
Un quadro antico, è un testo che bisogna imparare a leggere come bisogna imparare a leggere i
testi di una cultura diversa. Su questo siamo tutti d'accordo.
L'ultimo esempio è quello sulla poesia islamica: per capire il lavoro di un poeta marocchino, dice
CG, bisogna comprendere il valore della parola, scritta e orale; e il carattere di uno scambio verbale.
Ma proprio per questo, il suo concetto di Arte non tiene conto di quello che viene detto or ora,
perché ignora la particolarità valoriale di quell'oggetto, il suo posto in una situazione culturale.
Se vi è un elemento comune in tutto quello che abbiamo detto, ciò è che idee sono esprimibili,
visibili e “tattibili” e che culture diverse elaborino … per essere usate …
Quello che mi interessa è trovare nei personaggi centrali delle antropologie, europea e americana,
che scopo dell'antropologia sia un processo di comprensione e interpretazione.
Come è possibile articolare questi dati espressivi in forme simboliche... Il lavoro di LS al suo tempo
presenta molte lacune, come un eccesso di schematizzazione e un tentativo eccessivo di
generalizzare e allargare il campo.
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dell'espressione rispondono a regole completamente diverse; variazioni effettuati sul piano
dell'espressione inducono cambiamenti di portata maggiore o minore (relativa) sul piano del
contenuto.
Abbiamo però un altro principio, quello di commutabilità. Utilizzando lo stesso esercizio di
variazione, posso verificare se in posizioni determinate gli elementi cambiano il significato o meno
(macchia viola o rossa), parliamo allora di sostituzione, in caso contrario parliamo di
commutazione.
Altro aspetto: perché siamo passati ad E/C e non più a significante/significato? Hjelmslev sostiene
che non è possibile avere una procedura rigorosa per riconoscere i segni dai nonsegni. Sono segni
soltanto in determinate condizioni, non possiamo partire da una serie di segni già dati.
Bisogna partire dalle catene, dalle stringhe espressive (in linguistica), e analizzando questi testi
capire quali hanno una relazione autonoma e quali no.
… I sistemi semisimbolici hanno un piano dell'espressione e del contenuto composti da una singola
categoria, estremamente locali
immaginiamoci dei campi semantici come articolazione di una categoria, che è quella cosa che
sussume i suoi termini contrari
Courtes e i funerali di campagna: succede sempre la stessa cosa, iniziano in un certo modo e poi
finiscono “male”, la gente inizia a vociare il parroco si indigna...
il corteo non ha mai una forma omogenea, se notiamo davanti le persone sono ordinate e molto
vicine tra di loro; man mano che ci si allontana il corteo si allarga e le persone prendono una
maggiore distanza tra di loro (e disordine?) per arrivare verso il fondo del corteo dove il carattere
geometrico tende a perdersi (ordine – disordine)
Altro aspetto importante è quello dei colori, dove all'inizio sono tutti vestiti di nero, mentre la
seconda parte ha vari colori, indistintamente. Altro aspetto è che la parte geometrica gioca tra il
Silenzio e il pianto; mentre verso il fondo il silenzio viene sostituito dal vociare, dagli schiamazzi e
addirittura dalle risate (ricordi che riguardano il defunto).
Per Courtes è come se il corteo articolasse la distanza tra il luogo ultimo di destinazione (morte) e il
luogo di provenienza (la vita), come se fosse un collegamento e mediazione; un modo della “città”
per far si che quelli che sono molto vicini (anche troppo) alla morte; per riportarli indietro.
Concepirlo come sistema espressivo di una significazione che è investita.
Il barbecue e i ruoli di genere:
… la festa allegra del carnevale, seguendo Bachtin... ecco che il Barbecue diventa l'ennesimo luogo
in cui vengono “ribadite” le convenzioni presenti nell'altro; così il barbecue...
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all'interno di una cultura non sono coestensivi; quello che articola una nozione di figurazione può
porsi separatamente rispetto ad un'altra lingua, o i due campi possono essere intersecanti.
NOi abbiamo parole, nella nostra lingua, che stanno all'intersezione di diversi sistemi linguistici: ma
certo i sistemi non sono mai coestensivi (neanche tra una lingua e i suoi dialetti, ad es.); io vorrei
parlare di “funzione di figurazione” per sostituire il concetto di “rappresentare il mondo”; se quindi
tutti i sistemi espressivi non sono coestensivi, indipendentemente dalle grammatiche specifiche che
articolano le forme dell'espressione, quale è il meccanismo generale di cui le culture dispongono per
conoscere il mondo, per comprenderlo, convocarlo ed evocarne gli oggetti?
Naturalmente, le figure del mondo non riguardano oggetti concreti, ma tutto ciò che noi possiamo
“nominare”; passioni, concetti, astrazioni.
La funzione della figurazione è quella attraverso cui le culture esprimono la loro forma del mondo:
la domanda è quindi, dove si articola tale funzione? La semiotica strutturale pone questa funzione
come il motore della funzione del discorso, del livello discorsivo (livello del senso in cui le forme
semiotiche prendono l'aspetto delle forme del mondo) e in un'atto che si chiama atto d'enunciazione.
Con questo atto si genera un enunciato, predicando qualcosa sul mondo e corredandolo di un valore
di verità...
[SCHEMA DEL PERCORSO GENERATIVO]
questione importante, dove sta la figurazione? Discussione tra Greimas e Ricoeur, che contestava
l'appartenenza del figurativo tra Semionarrativo e Discorsivo. Il figurativo viene proiettato
attraverso le strutture discorsive dentro un testo: che è un agglomerato di senso operato attraverso
partizioni predefinite.
Riprendendo i termini di Foucault, si può dire che il livello delle strutture discorsive di un testo è
una rappresentazione locale dell'Ordine del Discorso (sistema generale della cultura).
Comprendere le condizioni di significazione, comprendere le condizioni per cui si mette in atto
queste operazioni di figurazione (in quanto parte dell'Ordine del discorso). L'ipotesi è che non si
può parlare di sistemi generali se non partendo da sistemi locali e confronti tra essi. Comprendere i
principi di un Episteme, ovvero le condizioni per cui un soggetto in un dato momento è capace di
comprendere l'Ordine del discorso.
Solo che finora abbiamo parlato di momenti di descrizione sostanzialmente statici: per rendere
conto delle trasformazioni della cultura, da una parte c'è la Storia (cambiamenti attraverso i Fatti)
dall'altra l'Ermeneutica (rapporto tra rappresentazione soggettive e verità). Ma questi costrutti non
sono più analitici, sono soggetti fenomenici e storici. Le nostre esperienze estetiche nascono come
fenomeni sensibili, producono costruzioni chiamate sensazioni e creano così forme della sensibilità.
Dobbiamo quindi tentare di collegare e mettere in circuito il “posto” che il testo offre a chi ne farà
esperienza con la “posizione” che il soggetto empirico sceglierà rispetto a questo posto: quindi
rintracciare le tracce negli oggetti
[ATTENZIONE: DISTINGUERE TESTO E OGGETTO. Vd L'invenzione del testo, di Marrone]
Per questo usiamo Monteverdi, Tasso e Poussin; persone in luoghi e arti differenti, ma che in realtà
attraverso la comunanza dei “giochi di traduzione” riescono a darci una immagine del secolo.
La passacaglia del signor Luigi: fa parte di questo genere molto popolare, che consisteva nel fatto
che aveva un basso ostinato, una forte componente ritmica che permetteva di improvvisare, ma che
soprattutto poteva durare quanto si voleva; interpretabile come forma dell'amore erotico, è stata fin
da subito catturata dalla commedia dell'arte. Il nome deriva dal fatto che veniva suonata per passare
da una scena/luogo della strada all'altra, strumenti umani. Pulsione insoddisfatta dell'amore
passionale. Altro pezzo, la Ciaccona, era invece legata a queste orgione dei pastori arcadici
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rappresentati, dalla soddisfazione raggiunta
Ai tempi di monteverdi (primo seicento) questi componimenti erano ancora molto instabili, non
avevano ancora notazione definita; solo più tardi (seconda metà circa) comparirà una serie di
formule ritmiche, non scritte secondo notazione musicale. Nasce lì, con una borghesia forte che può
comprare case strumenti in cui suonare, e termina quella aristocrazia cinquecentesca.
Monteverdi è anche all'apice della sua carriera di artista, e il suo amico Carlo Milanuzzi aveva
pubblicato una serie di scherzi delle ariose vaghezze, materiale di consumo, un bestseller di canzoni
facili da cantare accompagnandosi con uno strumento; per fare il quarto volume, questo CM chiede
se Monteverdi non si potesse cimentare un poco; a lui, a cui i soldi non facevano schifo, accetta di
scrivere questi pezzi facili e semplici. Scrive così il pezzo Sì dolce è'l tormento.
Scansione ritmica in tre; l'accento sul primo e terzo tempo di partuta(?), forma strofica del testo
poetico: fa pensare alle canzonette meliche, ma con un forte tempo di danza. Siccome vediamo
nello spartito che ci sono quattro note discendenti, potremmo dire che assomiglia, dato il tema
erotico del pezzo, che assomiglia alla passacaglia. Come vi dicevo, il problema è che il termine
passacaglia è troppo instabile per attribuirlo ad esso o altri direttamente.
Proposta alternativa: prendiamo linguistica e poetica di Roman Jakobson, che mostrava come le
ripetizioni del poetico (sintagma) assurgano poi a paradigma. Questo è la base del processo che
verrà poi assimilato dall'analisi levistraussiana (e non solo), e al lato opposto la comparazione sulle
forme dell'espressione e del contenuto adoperata da Hjelmslev. Buttiamo il testo, e prendiamo la
partitura musicale.
Due emistichi fondamentalmente equivalenti, sono la trasposizione dell'uno nell'altro nella quinta
più bassa, e incarnano quel movimento tipico della chitarilla, dellaccordo in basso con pollice …
Dopodiché inizia una seconda sezione; segue un ribattuto: se all'inizio abbiamo una consonanza
fortissima, una attenzione incoativa forte e crescendo dinamico, qui invece notiamo una particolare
dissonanza. Scandire fortemente con la dissonanza tutti i tempi della battuta, qui abbiamo un
arresto, una rottura del flusso del tempo.
Nuova scansione, se prima avevamo una scansione “da passacaglia”, adesso abbiamo una scansione
“da ciaccona”, il momento gioioso e di vitalità. Vi ricordo come finora tutte le parti
dell'accompagnamento sono fatte da tetracordi discendenti, è chiara la direzionalità del canto:
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Vita-morte: ora passiamo ai tempi verbali, abbiamo una imperfettività dei tempi presenti e dei
futuri, dopodiché abbiamo la perfettività: nel momento del vulnus, la ferita e il cambiamento
improvviso. La morte è il cambiamento che passa la malattia alla donna che non rispondeva, ora
sarà lei che soffrendo per l'impossibile legame con il (nuovo) amato.
Il carico fortissimo delle figure dell'amore, tipicamente da canto di passacaglia, viene rappresentata
nell'ultima strofe; e collegandolo al sistema tensivo precedente, possiamo vedere come:
A (imperfettività) A1 (imperfettività) B (perfettività) B1 (imperfettività)
La rappresentazione di Tancredi e Clorinda, come sapete un momento storico … Monteverdi espone
la sua teoria di una musica che espone e collabora / si oppone allo schema teatrale della scena; non
più accompagnamento, ma strutturazione tra diversi linguaggi.
Se leggete La fabbrica degli affetti di Careri, vedete come Tasso opera su un livello particolare,
costruisce i contrasti su livelli stratificati di opposizione, non su un livello “semplicemente” di
contrasto dichiarato. Monteverdi è molto interessato a tutto questo, e in contemporanea è molto
legato alle sperimentazioni di alcune forme popolari. Questo tetracordo Monteverdi lo utilizzerà in
maniera molto rara... nel 1636 quando pubblica sia il Combattimento che i Madrigali di guerrieri et
amorosi, avremo l'utilizzo canonico del tetracordo discendente, il lamento della ninfa.
La cosa interessante di Monteverdi è che, invece di rappresentare semplicemente il tetracordo
discendente, ha voluto costituire un sistema in cui quegli elementi armonici sono sviluppati
nell'intero sistema (secondo lo schema “vettoriale” disegnato prima). Abbiamo così tentato di
cercare lo schema per cui queste figure dell'amore possono avere un significato.
Andiamo a Parigi, dove Giambattista Marino chiede a un giovane di belle speranze di illustrare il
suo Adone; il giovane Nicolas Poussin accetta, e viene spinto ad un viaggio in Italia, arrivando a
Roma ad inizio 1624 (dopo un passaggio a Venezia dove vede il Tintoretto, Tiziano, il Bellini; e
scopre un nuovo modo di trattare il paesaggio, Giorgione... raccontare passioni attraverso il
paesaggio). E arrivato a Roma conosce...
Francesco Barberini, cardinale a 26 anni (poiché nipote di papa Urbano VIII), diverrà uno dei più
grandi mecenati della storia, e fa incontrare a Poussin numerosi personaggi importanti, come
Cassiano dal pozzo... che costruisce una cosa chiamata il Museo cartaceo, una collezione enorme di
immagini che ritraggono oggetti di vario tipo, come oggetti naturali, o reperti archeologici, o
animali esotici: una vera e propria enciclopedia delle culture del mondo, raccolte attraverso le
immagini. Una vera e propria cultura visuale del mondo. Primo protettore e amico, permette a
Poussin l'accesso alla sua biblioteca, contenenti numerosissimi libri che riguardano sia le tecniche
degli antichi e dei moderni che la rappresentazione delle passioni umane...
Altro personaggio è Giambattista Doni, che ricostruisce strumenti della musica greca, tra cui la
famosa lira barberina: per restituire gli effetti patemici della lirica greca è necessario riportare gli
effetti della prosodia del verso greco. Tant'è che, diversamente da quanto fatto nel madrigalismo, lui
sosteneva come i greci fossero capaci di rappresentare un affetto attraverso un intero verso.
Corrispondente di Galileo e di Mersenne (che scriverà l'armonia universale, trattato che unirà
musica e matematica nei loro effetti patemici...); anche Monteverdi non si esimerà dal scrivere
lettere al Doni, in cui parlerà della sua estetica (mai scritta, sempre promessa).
Infine Giulio degli spigliosi, che va a servizio del cardinale Antonio Barberini e scrive libretti
musicali, un grandissimo produttore di opera (quasi l'inventore dell'opera a roma) con libretti
ispirati soprattutto a tasso Ariosto e Boccaccio... Luigi rossi, organista della chiesa in cui Poussin...
Oltre all'amore per le Metamorfosi, si scopre amore per la Gerusalemme liberata, in particolare
delle scene degli amori: Poussin vuole scoprire come attivare la formazione figurativa che permette
di rappresentare le trasformazioni passionali (innamoramento); e mettere in compartecipazione
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emotiva e cognitiva l'osservatore con i quadri che produce. Altro problema, che si vede nella
raccolta di saggi di Louis Marin, è che Poussin chiedeva spesso ai committenti di imparare la storia
del racconto prima di vedere il quadro, e di imparare a “leggere” un quadro.
Il famoso quadro Rinaldo e Armida (1628) [Ger.Lib XIV, 65-67]
Poussin è convinto che siano i movimenti a poter rappresentare meglio l'atteggiamento passionale.
Confrontate con le ottave, e leggete i movimenti delle figure: prima la serpe/sonno va in agguato,
poi il sonno; e il momento decisivo, invece è bloccato a partire da un quando (blocco temporale),
carico di tensione che dura due quartine. E infine, al momento risolutivo, un effetto di moto che si
arresta sempre di più, e si placa. Un movimento in 4 fasi (quattro versi, non era necessario
nell'analisi) Osservando anche le figure foniche...
Altri quadri di Poussin, Selene e Endimione, e Il nutrimento di Bacco: una attenzione ai corpi e
alle loro posizioni; gli storici dell'arte hanno notato come il “satiro” disegnato da Poussin per
Cassiano dal Pozzo... e infine un particolare Lamento sul corpo di cristo (1628-29). Torniamo ora
a Rinaldo e Armida...
Guardate i movimenti delle braccia, come abbiamo …
Come ha attuato la leggibilità del quadro? Attraverso una serie di figure in contrapposizione tra di
loro, e indipendenti dalle parole del tasso; qualcosa che possa figurare l'azione, una trasformazione
patemica all'interno dell'opera e non …
Torniamo alla nostra questione iniziale: i sistemi semiotici non sono coestensivi. Giovanni careri mi
ha detto una volta: secondo me questo quadro suona, secondo te? Secondo voi, possiamo dire che si
tratti di una Passacaglia? Al momento, naturalmente no, non bastano quei movimenti discendenti
che si possono ravvisare nel testo...
Alcuni testi di Poussin, insieme ad alcuni scritti precedenti di Gioseffo Zarlino, Istitutioni
Armoniche, 1593 che lui legge; e nella lettera a Chantelou, nel 1647...
Stabilire le condizioni perché un quadro sia leggibile significa determinare una teoria della
rappresentazione di ciò che si stia rappresentanto: come dice Marin si passa da una diegesi ad una
deissi, da un'enunciato alle condizioni di enunciazione. Il quadro è un oggetto addormentato sul
quale lo spettatore si deve chinare, e svegliarlo con la sua capacità di vedere.
Se torniamo a Zarlino, le note del Phrigio vengono temperate dall'Eolio, e … il risultato finale ha
uno schema identico a quello della Passacaglia. Ora, io non voglio fare fantascienza...
semplicemente, mentre gli scienziati creano campi sperimentali, per spiegare in un sistema il mondo
della fisica, questi autori fanno lo stesso con il mondo delle passioni; sono interessati a costruire
all'interno di un testo l'esperienza, senza codici precostruiti, di una o più particolari passioni. Lo
fanno sperimentando, riconducendo a unità, creando e trovando simmetrie e processi...
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tra /kane/ e /hane/, mentre a noi sì (dipende: durante i vespri siciliani, si scoprivano i francesi
travestiti chiedendo loro di pronunciare ciciri. Qui la lingua è solo una parte per l'unica differenza
fondamentale...).
La lingua viene usata per convocare altri sistemi semiotici: il discorso messo in atto per allestire un
mondo, in cui succedono cose... convoca all'interno sistemi semiotici: quali sono? Lo spazio usato
per raccontare la perdita e la riacquisizione di capacità narrativa (come nei PS di Manzoni), le
semiotiche gestuali convocate... ogni singolo testo convoca alcune forme semiotiche e le fa
dialogare tra di loro...
Per capire che una cosa non significa quello che ci aspettiamo, o che siamo abituati a far loro
significare, è il fatto che una semiotica venga messa in coordinazione con altre forme semiotiche
(anticoordinazione, come nel caso della barzelletta) e le forme artistiche sono spesso famose per la
messa in discussione... Ma come sono fatte queste forme semiotiche?
Se fossero sistemi simbolici, non avremmo niente da dire. Quello che ci interessa è l'allestimento di
sistemi espressivi locali: tutte queste semiotiche locali come funzionano? Come già notava Cassirer,
le opposizioni funzionano in quanto differenze, non in quanto elementi “pieni”... Noi, dentro i testi
letterari, andiamo alla caccia dei sistemi semisimbolici, e delle loro interazioni.
Incontro tra la dimensione figurative e quella semantica... ci sono semiotiche costruite, convocate, il
cui piano dell'espressione sta sul piano del significato (linguistico); non siamo più sul piano della
materialità dell'espressione e della concettualità del significato, ma dell'organizzazione di forme già
significanti, e che vengono rese significanti ad altri livelli, di altri contenuti. Naturalmente ciò non
riguarda soltanto il testo letterario...
Questo è uno dei modi con cui lavoriamo, ma abbiamo due altri ordini di problemi, che ora andiamo
ad indicare... Quando LS contestava a Propp il significato articolato delle figure, siamo pienamente
nel campo di quanto spiegato fin ora per sistemi semisimbolici; ma il livello a cui Propp si situava
era quello di una sintassi formale dei ruoli; lavoro che sarà uno dei nuclei di partenza del Livello
Narrativo di Greimas.
Come avevamo detto, uno dei limiti dell'analisi lessicale era che i termini ottenevano significati
differenti a seconda del contesto; così si è passati, per l'analisi semantica, al contesto frasale, e alla
sua struttura interna. All'apparenza, non esistono regole di combinazione capaci di spiegare
articolazioni più complesse.
Greimas, partendo dalla concezione linguistica di Tesniere (che percepiva la frase come una
performance teatrale differente a seconda del numero degli attanti) e applicandola ad un contesto
più ampio, sostenne la formulazione di funzioni che organizzassero testi a livello più ampio di
quello frastico, passando dalla concezione formalista di Propp ad una riduzione, sulla base di
parentele logiche, e unione delle funzioni fino a un modello molto più asciutto. Attraverso lunghi
esercizi e modelli, si arrivò al modello a tre funzioni: che costituiscono l'organizzazione logica di
ogni narrazione (non solo dei racconti di fiabe).
Nella ricostruzione di Todorov, per Greimas queste funzioni hanno a che fare in primo luogo con la
circolazione dei valori tra i partecipanti (funzione di comunicazione): in questo caso comporta
almeno tre attanti (Destinante, Oggetto-valore, Destinatario); la seconda funzione collega l'oggetto-
valore a chi lo considera valore (funzione “desiderio”), coinvolgendo i due attanti: Soggetto e
Oggetto-valore, la cui esistenza è strettamente correlativa. L'altra funzione (che in seguito verrà
inclusa nelle altre) ovvero la funzione di partecipazione, quelle figure che intervengono per
facilitare o modulare la relazione tra soggetto e oggetto: aiutanti e opponenti.
Ma perché una grammatica narrativa? É narrativa perché al fondo riposa l'idea che il significato
abbia a che fare con la trasformazione; uno dei modi con cui noi abbiamo a che fare col significato
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è quello della trasformazione: il passaggio da uno stato all'altro. E se gli elementi base della nostra
grammatica sono sufficienti, dovrebbero bastare a indicare questa narrativa minima. Lo stato, per
Greimas, ha a che vedere con la trasformazione dei soggetti rispetto al valore
soggetto congiunto → disgiunto (e viceversa)
Potreste farmi due domande: a) che fine hanno fatto i destinanti/destinatari? b) dove stanno i valori,
da dove vengono?
...
[la valenza: quanto vale un valore]
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SEMIOTICA DELLA CULTURA LS, lez. XI 21/03
[Lunedì non c'è stata lezione]
Parliamo di racconti di viaggio: cosa è un racconto di viaggio? Ripartiamo dal Gordon Pymm, e dal
racconto dell'idea di produrre un racconto. Narrativamente, se dovessimo parlare della Prova, in
cosa consiste la performance, di qualcuno che scrive un racconto di viaggio? Nella scrittura di
quello che ha visto; il problema di congiunzione col valore è quello della forma, quello di avere le
competenze necessarie,
i problemi di Gordon: quello della credibilità, quello della capacità di scrivere, quello di non aver
tenuto un diario. Sintetizzando, Capacità di resa formale, Memorizzazione dell'esperienza,
Credibilità.
Ho quindi due problemi: la costituzione dell'oggetto stesso, e quello della forma per esprimere
l'oggetto (Espressione/Contenuto) in modo che il racconto risulti efficace. Ovviamente EAP sta
giocando con tutto questo e con noi, egli gioca con le modalità con cui i narratori di viaggio fanno
uso effettivo. Il che ci porta al nostro problema narrativo successivo, prima della competenza quello
della Motivazione.
Perché si scrive di viaggi? La tradizione letteraria occidentale nasce con i racconti di viaggi, già
l'Odissea come racconto di un personaggio... si raccontano viaggi per raccontare a qualcuno
qualcosa che lui non sa, un contenuto informativo nuovo. Semplificando, ogni volta che noi
raccontiamo qualcosa facciamo un contratto con il/i nostri ascoltatori; raccontare comporta delle
regole sociali, a partire dal diritto di parola (elemento tutt'altro che scontato, con regole diverse in
situazioni diverse; attribuito o guadagnato, garantito o conquistato)
Ogni volta che parliamo interagiamo nei rapporti e situazioni interpersonali: quando ci viene dato
un turno di parola, noi in cambio promettiamo un significato che possa arricchire gli altri
(quantomeno non far perdere loro tempo), uno scambio e un senso contrattuale; nel momento in cui
chiediamo attenzione per poter raccontare diamo per scontato e implicito di avere qualcosa da
raccontare (solo i bambini piccoli...); uno dei problemi dell'etnolinguistica riguarda quello dei turni
di parola, delle condizioni in cui si parla e come: gioco complesso di relazioni.
Passiamo quindi al problema di cosa sia un viaggio: sicuramente ha a che fare con uno spostamento
(generalmente nello spazio); poi torna e racconta cosa è successo. Quasi mai i racconti di viaggio
hanno come uditore qualcuno nel luogo d'arrivo, ma quasi sempre di partenza: si va, si torna e si
racconta quello che c'era là, e che si suppone l'altro non abbia visto (altrimenti il tipo di racconto
sarà differente); anzi, il viaggio vale la fatica di farlo per poter raccontare a qualcuno che lo si è
visto. La condivisione è un aspetto comune, quasi necessario: nel Gargantua e Pantagruel di
Rabelais, tutta la seconda metà è fatta di racconti di viaggio: un villaggio che vive nella bocca di un
gigante, ma tutto il resto è uguale.
Ci sono due importantissime storie di viaggi: Il Milione, o meglio il Livre de Merveilles di Marco
Polo, scritto da Rustichello da Pisa. Oggi noi lo consideriamo un racconto di viaggi, fino
all'ottocento era considerato un libro di fantasia, finzione pura; d'altra parte negli anni successivi
alla stesura, il libro veniva considerato meno veritiero del suo “rivale”, il libro dei viaggi di John
Mandeville: per poi scoprire che l'unica biografia associabile all'autore era quella di un medico che
non si era mai spostato da corte.
Ad esempio, John Mandeville sosteneva che la terra fosse rotonda, ma anche che si potesse
percorrere a piedi e in nave in pochi mesi; fino al medio oriente nessun particolare dei suoi viaggi,
poi i regni successivi sono quanto più fantasioso possibile: ma, il colto dottore, aveva incrociato le
sue letture con una serie molto alta di specola e di “enciclopedie”, herbari lapidari etc, e aveva reso
tutto questo narrativamente, proiettando in altri luoghi quello che già veniva detto in altre opere
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della cultura. Ma, rispetto a questo, lui aveva la possibilità di vedere e toccare [attenzione: i diversi
sensi hanno gerarchie particolari quando si tratta di viaggi. Il vedere e il toccare valgono più del
sentire, o del sentito dire, ad esempio] nonostante la scarsisisma coerenza geografica. Ma egli aveva
fatto conto con il sapere atteso dei suoi destinatari.
Ma se noi, quando andiamo, raccontiamo a chi è rimasto a casa, noi sappiamo quali sono le attese e
le competenze di chi ci sta ascoltando. Marco Polo cosa ha fatto? Un racconto che fino ad un certo
punto è di una piattezza totale, fino all'India circa; ma quando inizia a parlare delle isole indiane,
trova tutte le creature fantastiche dei nostri racconti, con l'accortezza di non dire quasi mai “l'ho
visto”, ma “mi hanno raccontato”; con poche eccezioni, come l'unicorno/rinoceronte.
Eccessivamente onesto come narratore, è stato per questo motivo “punito” e criticato nella sua
attendibilità.
Parlavamo qualche puntata fa dello Specchio di Erodoto di Artog; Erodoto condivide questa
posizione incerta di contafrottole con Marco Polo, già a partire dal suo successore, il “vero storico”
Tucidide: che sostiene che un vero narratore storico non deve farsi influenzare dai racconti, ma
racconta solo quello che può vedere; è insomma un testimone oculare.
D'altra parte, abbiamo appena detto che dobbiamo fare i conti con le competenze dell'altro: René
Girard parla della possibilità di farci credere quando narriamo di qualcosa di totalmente
sconosciuto, inusuale: nel momento in cui il nostro racconto fa saltare completamente gli schemi
culturali di chi riceve, è molto facile non essere creduti. Per essere creduti è necessario
l'allestimento testuale e discorsivo di una quantità di Prove, senza di esse è difficile far credere
qualcosa a cui il nostro auditore non è abituato. Abbiamo la necessità di calare quanto appena detto
nelle forme culturali già date.
Ma ora, che succede se caliamo tutta l'alterità nei nostri stampi culturali? Per render conto
dell'Altro, tanto più ci tocca ricorrere a modelli culturali definiti: dobbiamo usare degli Apparati di
cattura, per portare dentro il nostro mondo qualcosa che è fuori da esso.
Cito due autori opposti e differenti: René Girard e Paul Ricoeur, entrambi trattano la questione
dell'alterità totale, come nel caso della Violenza estrema (racconti dei campi di sterminio): PR parla
delle vittime dei campi di concentramento che non volevano raccontare: perché? Per usare Primo
Levi: per paura di non essere creduti. RG invece legge il racconto mitico, considerando che la
ripetuta violenza totale effettuata contro personaggi (che poi diventano divinità) è reale, non
figurativa. Con questo sostiene che al fondo di ogni cultura ci sia l'immolazione REALE di un capro
espiatorio; a confonderci, per lui, il fatto che le vittime sono costituite da comuni “tratti di selezione
vittimaria” che ci anestetizzano e ci abituano. E questi tratti ritornano regolarmente nella cronaca,
usati propagandisticamente per costruire l'immagine dell'immolatore e dell'immolato; come la
violenza sui bambini, o altre forme “non accettabili” che vengono applicate necessariamente al
carnefice e alla vittima.
Ma ora torniamo al problema di PL: quando queste cose succedono davvero, come si fa a raccontare
questa alterità evitando di rilegittimare la costruzione stereotipica/anestetizzante (che viene
applicato anche al non-reale?). Gli effetti di verità dipendono in gran parte da questo gioco tra le
immagini che noi proponiamo e le immagini che già conosciamo. Le seconde servono da Apparato
di Cattura per mettere in forma le cose che vogliamo raccontare.
D'altra parte, se noi ci limitiamo a usare immagini già date, queste potrebbero risultare
credibilissime, ma quale è il motivo per raccontarle se il significato si sapeva già prima? Artog si
chiede perché compaiano nei racconti di viaggio sempre meraviglie e fantasticherie: per il contratto
con il lettore, che ha bisogno di qualcosa di accattivante, di convincente.
L'attributo di verità non è complessivo della storia, ma interno nella storia stessa, con momenti più
o meno credibili, situazioni differenti: la verità è un valore sempre e comunque costruito. Non solo
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un problema del racconto, ma di tutti i campi culturali: anche in quello della Storia, di quello della
Fisica etc. C'è un testo che si chiama Il golem, di XXX, di oggetti costruiti dalle scienze esatte ce ad
un certo punto scomparvero, nascendo altri concetti migliori per spiegarli. La ricerca dell'oggetto
teorico bosone di Higgs è quella che spiegherebbe una serie di strutture... oggetto chimerico, ma
sempre oggetto ipotizzato.
Social history of truth di Shaplin, che in altri articoli parla di Boyd, che faceva fatica a farsi
credere dai filosofi del tempo... Un articolo in cui lo stesso Boyd (nel 600) ragiona sulla forma
discorsiva che gli esperimenti devono avere per trasmettere la verità, che tipo di tratti devono avere
i disegni... altro che laboratoriali, venivano disegnati i mobili inutili, le tinozze, i topi...
Altro aneddoto: il processo a Anthon Mesmer, che arriva in Francia negli anni settanta del
settecento, che sostiene di aver scoperto una forma “animale” di un fluido che assomiglia a molti
altri fluidi che in quel momento venivano scoperti, come l'elettricità o il magnetismo: e tutti i
problemi di malattia del corpo sono dovuti a ostruzioni di questo fluido lungo il corpo, che
dovrebbe invece circolare liberamente; quindi tutto viene considerato dovuto a una unica causa, e la
cura è “semplicemente” rimettere il fluido in circolazione.
Costruisce una macchina “teatrale”, un calderone fumante centrale con tanti tubi, un cerchio di
persone, luci basse e musica di fondo, e al centro il dottore e i due assistenti producevano i
toccamenti necessari senza essere visti precisamente.
Due problemi: 1) i medici dicono che è un ciarlatano, che corrompe e manipola le donne di corte; 2)
l'accesso al corpo femminile...
Il re vuole l'experimentum crucis, vuole sapere se l'esperimento funziona o meno. Chiama gli
uomini di medicina e scienza (soprattutto di fluidi), chiede loro di valutare l'operato: il presidente
della commissione è Lavoisier, lo scienziato Jussier e dall'America giunge Benjamin Franlkin.
Mesmer naturalmente si rifiuta, perché ha paura di venire fatto fuori dagli invidiosi scienziati, ma
gli assistenti lo tradiscono. Ma come si fa l'experimentum crucis? Si ricostruisce il teatro, ci si
nasconde dietro la tenda, e si vede cosa succede. Problema, se dobbiamo ripetere l'esperimento
bisognerebbe chiamare queste donne di buona famiglia e svestirle in quello che veniva considerato
come un orgasmi collettivo... Allora primo cambiamento, si convocano le donne del popolo: ma non
si capisce cosa dicono, sono intimorite dall'aristocrazia, non sanno che succede etc. Secondo
cambiamento, decidono di mettersi loro accanto al bacile. Nuovo problema, in parte bisogna
lasciarsi andare per entrare nell'esperimento, ma al contempo essere vigili per controllare. Capite il
problema di fare le due cose in contemporanea.
Escono due verbali, con alcuni a favore e altri a sfavore del medico, che intanto fugge in Inghilterra.
Ma i suoi appunti verranno ripresi dal medico Charcot, uno dei maestri di Freud, che riprende il
concetto e la pratica della scena e darà avvio all'ipnotismo.
Assumere il proprio corpo a testimonianza: conosciamo in questo aneddoto una quantità di
problemi interessanti. Già la presenza di segni sul proprio corpo è un segno forte di testimonianza, a
partire da Giacobbe e dalla lotta con l'angelo (da cui esce con una gamba rotta): perché mettere il
proprio corpo in gioco? Ogni racconto di carattere testimoniale, che ci impone di dire “io c'ero”,
racconta l'evento ma racconta il proprio sé, lì, in quel momento. Ogni testimonianza è un racconto
autobiografico, non dico solo quello che ho visto, ma che io ero lì per vedere. Il testimone è colui
che vede incrociare la sua vita con l'evento.
Ora, se il racconto di viaggio è sempre legato all'autobiografia, esso è anche un racconto della
propria vita, una delle forme che l'autobiografia prende: ecco quindi che, per quanto si voglia essere
onesti, nel momento in cui mettiamo in gioco una rappresentazione di noi stessi, questo è il secondo
problema, strettamente legato al problema di rendere l'altro. Perché se il racconto non è credibile,
sono io che vengo messo in discussione. E viceversa.
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Su questo ci fermiamo: nelle prossime puntate Darwin, e il blog di Viaggi.
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SEMIOTICA DELLA CULTURA LS, lez. XIII 26/03
[Continua l'analisi del blog della turista]
Secondo viaggio: iniziano le descrizioni figurative, sia delle sensazioni personali che descrizioni,
anche se sintetiche, del paesaggio. Idee cromatiche del colore (Blu / Freddo). Sembra Rimini,
sguardo da turista. Ma inizia a presentarsi anche un effetto di repulsione (paura corporale).
Sguardo a distanza, volontà di non mischiarsi … sacco a pelo, pizza: non una sopravvivenza in
senso stretto, ma una sopravvivenza secondo i miei standard. Tutte le affermazioni legate alla
pratica occidentale sono modi di far entrare il lettore nell'atmosfera comune, un sistema di
complicità che lo include e lo assimila al lettore.
Altra caratteristica di molti blog di viaggio: quando l'alterità entra come persona, è spesso in
maniera funzionale rispetto al nostro programma narrativo: autisti, concierge, indovini etc.
Difficilmente sono personaggi dotati di propri elementi e di propri programmi.
Gli effetti di presa diretta sono dati spesso da “stirature” delle forme espressive, come i punti
esclamativi; abbiamo questo effetto legato spesso alla dimensione della peripezia. Ora, raccontare di
un momento a posteriori naturalmente cambia la prospettiva sul racconto: gli effetti di analessi e di
prolessi sono un tipico risultato di questa competenza narrativa.
Ora, le prospettive di valorizzazione sono naturalmente legate alla prospettiva (e la durata) della
competenza (e della selezione) del narratore. Restringendo il pdv all'istante, passo passo, il racconto
predilige una serie di valorizzazioni (legate alla sensorialità paradigmatica, o allo stato d'animo) e
una paradigmaticità di effetti, scollati tra di loro e non ricondotti ad unità; mentre al contrario...
[fine del secondo viaggio] Se nel primo viaggio c'era questa dimensione interiore, energetica,
mistica e self-centered, nel secondo ci si apriva, anche se con semplicità, alle dimensioni esterne,
figurative, sensoriali. Vediamo nel terzo.
Momento importante, riconoscimento della propria alterità, dello stato di turista, sanzione...
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Raccontare l'altro è sempre necessariamente raccontare se stessi: ciò che io valorizzo lo faccio da un
punto di vista determinato. Per quanto questo blog sia una esasperazione di tutto ciò, anche in
maniere meno pervasive il presupposto dell'enunciazione è sempre valido.
[King Kong...]
L'immersione dell'altro verso i nostri confini ha a che fare col problema centrale di quanto questo
straniero sia costruito, e in questa maniera venga assimilato solo smettendo di essere straniero. C'è
una storia mai raccontata, quella dei Kuna, studiata ad inizio secolo da Nordenskiold; e mezzo
secolo dopo da LS all'interno di un saggio sull'efficacia simbolica (che riguarda il racconto
sciamanico che permette il parto: razionalizzazione narrativa di quello che succede dentro il ventre,
che permette di accettare e superare il dolore); e ancora in seguito da Carlo Severi, che pone delle
obiezioni: la lingua dello sciamano è una lingua segreta, non può raccontare alla donna cosa le
succede; in più, LS non dice che non c'è solo un racconto/canto, ma un allestimento teatrale molto
complesso. Torna tempo dopo Micheal Tossig, che racconta come il recente “rifiuto del bianco”
(missionari...) abbia modificato la loro cultura delle immagini: sono curiosissimi di riviste, le cui
immagini venivano ritagliate e bruciate ai funerali delle persone: poiché bruciando il corpo e le
immagini insieme, il fumo intrecciato col fumo avrebbe permesso al morto di ritrovarsi circondato
da quel mondo. Ma, soprattutto, le famose statuette rituali del canto di Mu, non sono affatto
divinità: sono le figure dei conquistadores, personificazione del Male bianco. Quanto distante può
essere l'antropologo?
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complessissimi per ottenere una sostanza che, alle analisi, sembra simile alla stricnina; ma da loro è
usata come elemento per l'oracolo, da somministrare al pollo, a cui si chiede di rispondere su chi ha
commesso adulterio; se il pollo muore, allora c'è adulterio. Ma ci sono due prove, la seconda è
perfettamente rovesciata, se il pollo sopravvive l'adulterio c'è stato. Se invece è contraddittorio con
la prima prova, bisogna ripeterlo in un altro luogo, momento etc...
L'altra cosa con cui sono ossessionati è la stregoneria, chi è uno stregone ha un sacco interno nel
corpo: se succede qualcosa di spiacevo,e, è sempre causata da uno stregone vicino. Se un tizio
dorme sotto un tetto semisfasciato, che cade e lo uccide, è stregoneria. Non perché non fosse già
sfasciato, ma perché sarebbe potuto crollare in qualsiasi momento, invece è crollato proprio in
quello.
[Il rapporto nella costruzione del discorso storico tra enunciati soggettivi e oggettivi è
intricatissimo; se i discorsi testimoniali sono discorsi soggettivi, la storia è composta solo da essi?
Solo tucidide lo pensava. Ma per contrastare il negazionismo, si riabilita uno sguardo testimoniale...
La storia di lungo corso, di Braudel, astraeva dallo sguardo testimoniale; nessuno vive abbastanza a
lungo da comprendere il senso di due secoli o più; il formaggio e i vermi riguarda anche questioni di
questo tipo...
Adesso passiamo a Darwin; a bordo del Beagle, che deve circumnavigare il sudamerica, porterà il
naturalista alle isole galapagos. Nel momento in cui Darwin si trova in terra del fuoco, si rende
conto di non avere i mezzi per descrivere la diversità: il riconoscimento di una alterità forte, qui CD
comincia ad usare forme di scrittura particolari. In particolare, quello di una discesa agli inferi...
[ideologia come strutture stabili di valorializzazione ...]
mi sembra interessante vedere come Darwin riesca a dare un'idea sulla e della completa diversità,
strutturando un insieme di pratiche semiotiche... per mostrare come a loro manchino proprio le
capacità di articolazione delle differenze, che corrispondono direttamente al mondo culturale (e, per
l'uomo civile del suo tempo, al mondo civile occidentale).
C'è un lavoro interessante, oltre a quello di Todorov, è quello di Michelle de Certeau, sull'alterità
nelle immagini...
Per concludere questo passaggio, vi cito un ulteriore testo in bibliografia, Lo specchio di Erodoto, di
cui mi interessa che leggiate l'introduzione e la parte sugli sciti; Hartog categorizza alcune
classificazioni di scrittura... uno è quello usato per gli sciti (come noi, loro), un altro è quello di
Darwin di negazione, l'altro è quello delle rifrazioni costanti del proprio culturale.
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Il concetto di etica: organizzare il sé scientifico ha un aspetto metafisico (si cerca di capire quale è
l'idea di self scientifico) ma ha anche un atto concreto e pratico...
[Lancioni: non è solo dal mondo che si producono immagini, noi abbiamo anche immagini
attraverso cui impariamo a leggere il mondo... pensate al paradigma Kuhniano, le immagini che
stanno dentro ma possono portare anche fuori... Gallison e Shapin lottano molto contro l'idea che la
scienza sia fatta di pure idee: egli suppone delle macchine sperimentali, terreno di traduzione e
sovrapposizione di competenze diverse...]
[pensiamo al grande paradosso fra l'annullamento del grande scienziato e una storia delle scienze
che celebra i grandi scienziati: dimensione etico-religiosa, mistica]
Capitolo 2: truth to Nature
principio impregnato di filosofia illuministica: la produzione delle immagini per gli atlanti ha la
funzione di far circolare, nella comunità scientifica del tempo, nozioni altrimenti inaccessibili.
Modello capace di esaurire in sé le caratteristiche di un genere, immagine ragionata, più fedele alla
natura di qualsiasi esemplare realmente esistente: l'essenza della natura non era visibile ad occhio
nudo. Le variabilità della natura veniva eliminata dal naturalismo illuminista, che credeva in una
teologia naturale: Dio si rivelava nella natura attraverso la regolarità.
Goethe sosteneva che l'osservazione fa sorgere in noi l'idea dell'Archetipo: idea che si ritrova, tra i
produttori di atlanti, con la sua serie di varianti:
– una è l'immagine ideale (che non è archetipica), segue spesso i casi della produzione estetica
– una è l'immagine caratteristica, con una serie di elementi che vengono giudicati
“interessanti” per mostrare le specificità di un dato oggetto.
Esiste naturalmente una sperimentazione empirica (il disegno, l'allenamento, la rappresentazione)
che però viene depurata da un canone di rappresentazione ideale. Questo concetto di bellezza
estetica viene accettata comunemente, anche quando le pratiche di idealizzazione non sono
comunemente accettate.
L'idea che l'arte perfezionasse la natura riposava sul modello culturale dell'epoca, ma nella pratica
era interessante capire come lo scienziato e l'illustratore dovesse dialogare per raggiungere e
pervenire ad un modello rappresentabile; problema acuito dalla condizione artigianale e non
artistica dell'illustratore...
la 4 eyed vision, quando lo sguardo dell'illustratore si fondeva con quello del naturalista; ma lo
sguardo del primo diveniva mero stampo del concetto del naturalista: passività, impronta, forma.
L'uguaglianza vero: bello = falso: brutto
Al comparire dell'oggettività meccanica, il paradigma della truth to nature continua a essere
presente, spesso nel campo della botanica e della classificazione...
[dietro le forme manifestate c'è una matrice più vera del vero: una forma di platonismo mentale]
[quando compare un nuovo modo di render conto della natura, il vecchio non scompare ma cambia
senso: quando compare la MO per la TN nasce la possibilità di scelta (tra archetipico/caratteristico)
Capitolo 3: mechanical objectivity
Passaggio epistemologico dalla TN alla MO, esemplificato dallo scontro tra Golgi e Caval e dalla
lotta delle immagini e delle interpretazioni delle immagini. All'affermazione dell'italiano della
necessità di filtrare i risultati della camera oscura, Caval risponde difendendo la necessità che la
natura parli per se stessa.
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Naturalmente la fotografia... quando la passività della visione, o quando l'automatismo delle
verifiche sono tanto presenti da limitare il risultato.
Le macchine permettono di effettuare il passaggio dalla libertà del pensiero alla libertà dal pensiero:
sono viste come infaticabili, continue, infallibili.
La fotografia non viene subito assunta come strumento scientifico oggettivo, perché quando è
ancora evidente il suo insieme di tecniche e invenzioni differenti (il daguerrotipo, gli studi sullo
spettro di luce); si delinea come strumento oggettivo proprio nel momento in cui è contesa tra arte e
scienza; nel 59 Baudelaire dice che non potrà mai essere arte, perché c'è il lavoro della macchina...
C'è una polarizzazione: l'arte viene collegata alla soggettività, al sentimento, mentre la scienza
all'oggettività: si è sempre consapevoli della necessità di intervento che la fotografia richiede, ma in
rapporto alla pratica del disegno è una meccanicità necessaria.
La soggettività dello scienziato inizia a vedere la macchina non proprio come mezzo, ma come
ideale: negazione della propria volontà. Al tempo stesso, lo scienziato deve vigilare sull'illustratore
per evitare che la volontà dello scienziato trapeli. Meno il tecnico sa quello che deve fare lo
scienziato, meno … addirittura alcuni scienziati eliminavano la conclusione...
Si parla di visione cieca o di macchine automatiche. La selezione non determina il risultato
dell'immagine, o almeno questo è il risultato che si vuole dare. La retorica degli atlanti scientifici
vantano spesso l'accuratezza del procedimento fotografico
Gli atlanti dei fiocchi di neve: dove a mano c'era una simmetria precisa, con le foto al microscopio
si notano le diversità e le irregolarità... si perde la simmetria.
Concetto ascetico di autosorveglianza da parte dello scienziato, virtù quasi teologica
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Nel capitolo II, figura del gentleman (spiegata nei capitoli successivi): esso è un paradigma
culturale che descrive il tipo di persona di cui possiamo fidarci, e che la cultura moderna ha spesso
riflettuto su come si possa trovare e distinguere il gentleman dagli altri. Tra gli altri, i soldi (non
corruttibile) la discendenza (il buon nome)
[Lancioni. Shapin dice due cose in questi capitoli: Credere prima di sapere, anche per le scienze.
Pure i grandi fondamenti di Epoké, da Cartesio a Husserl, mettono tutto in dubbio ma per trovare
qualcosa di cui fidarsi. Pensate alla situazione moderna rispetto a quella Medievale, dove la verità
dipende da chi ha parlato (auctoritates che dialogano tra loro); l'ideologia del mondo moderno, nel
momento in cui vengono cancellate queste auctoritates, chi la fa? Chi l'ha visto? In realtà è
cambiato davvero il problema? C'è una ripartizione dei contratti fiduciari e fondazione di nuovi
principi d'autorità. Ma viene vista come il trionfo della conoscenza empirica diretta...
Capitolo III: il gentleman.
Le capacità interne ed esterne, l'obbligo in quanto ruolo pubblico e il carattere intimo che lo pone in
questo come un dato naturale (biologico); le giustificazioni che venivano date a questa incapacità di
mentire erano tutte di natura religiosa secolare, Dio come detentore della verità etc...
Mentre la tradizione cristiana si impegna a distinguere la vera menzogna da quella “utile allo
scopo” (stampo oraziana), la tradizione secolare vede solo un campo di possibilità, vero o falso.
L'equazione tra gentility e verità persiste, ma il problema era identificare i motivi per cui fosse
“ovvio” credere a questo legame, attraverso quattro giustificazioni: solo i gentlemen erano dotati di
competenza percettiva, di abitudini di vita e origine genealogica pure e virtuose; loro potevano
godere di doni divini per il loro rapporto speciale con Dio; e infine solo i gentleman erano
socialmente distaccati dalla società più bassa, liberi da necessità e vincoli a cui la vita
ignobile/povera costringeva.
La donna era esclusa da qualsiasi nozione di …
Altro gruppo che non poteva divenire gentleman era la classe commerciale: tutti i gruppi sociali
distinguevano tipi di menzogne, quelle “reali”, quelle “poetiche”, quelle “mercantili”, con le ultime
fatte per mero vantaggio.
Sconsigliata anche la nobiltà continentale, e soprattutto i viaggi in Italia (e Francia); quest'ultima era
ritenuta degradante il livello dei gentleman inglesi, anche a causa della mentalità machiavellica, e
della necessità di Mentire per lo stato (Hobbes???)... Ma già Montaigne notava: ci sono pochi casi
in cui possiamo essere sinceri, perché ci sono pochi casi in cui non nutriamo interessi privati.
Si allargavano i casi di menzogna: segretezza, dissimulazione, simulazione. Tutti atti intenzionali
che portavano a non rivelare o nascondere (o modificare) la verità, ed il problema era spesso quello
di discutere con i propri pari (con superiori non si poteva mentire); accusare un altro di menzogna
avrebbe sicuramente portato ad un duello, segno di una rottura all'interno della società ma a ltempo
stesso qualificante allo stello livello sfidante e sfidato.
La letteratura, dal XVI al XVII secolo si è preoccupata di definire le basi della comunicazione
civile: chi è un gentleman, da cosa si riconosce, come deve comportarsi... tenere sotto controllo la
conversazione per controllare la società.
La scienza tuttavia sottostava a regole meno tolleranti della verità, e quindi si passa alla Royal
Society
Capitolo V: come costruire la conoscenza nella Royal Society
quali sono state le svolte importanti in quel contesto, una sorta di apertura ontologica riguardo alla
conoscenza della verità, operata da Francis Bacon e dagli scienziati che usano i nuovi strumenti
tecnologici (cannocchiale, microscopio) per verificare le loro scoperte.
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La lotta all'antichità, la cui auctoritas minava ancora i pregiudizi scientifici...
Eccesso di empiricismo, ogni elemento doveva essere approvato e verificato attraverso la
conoscenza; problema che per Shapin è critica, non è possibile eliminare completamente l'altro. Il
confronto con le osservazioni e i da ti forniti dagli altri sono necessari.
É stato John Locke a formalizzare i processi con cui un testimone e la sua affermazione possono
essere convalidati: innanzitutto quello della plausibilità dell'affermazione, quello della molteplicità
dei testimoni, quello della loro reputazione, quello della relazione di vicinanza con l'evento, e la
coerenza rispetto agli eventi esterni. Questi schemi formali possono essere usati o singolarmente o
collettivamente, ma secondo Shapin necessitano di un uso congiunto per dimostrarsi validi; e infine,
essi presentano delle contromassime che possono essere a loro volta valorizzate: la conoscenza del
popolo (conoscenza di molti) non essendo addestrata, poteva portare all'errore.
L'applicabilità pratica, per Shapin, è quell'implicito ben presente nella società civile, della prudenza.
Capitolo 6: trovare il punto intermedio tra la credulità e lo scetticismo.
Sono presenti una serie di esempi sul rapporto che gli studiosi hanno con i loro testimoni: esempi di
scienziati inglesi della Royal Society che devono relazionarsi con i testimoni, in particolare a partire
dai racconti di viaggio (ambigui e ambivalenti)
gli esperimenti di Boyle sul ghiaccio e sull'acqua... problemi dei resoconti e della verificabilità degli
elementi...
disputa tra due Astronomi, Havelius e Azout [???]
39
se avessero questa tendenza a situarsi ai margini della cultura maschile. Questo spunto diventa la
base per distinguere / proiettare l'asse: natura e cultura. Donna la prima, uomo la seconda. E a ciò si
aggiunge l'idea Spinoziana di Natura Naturans e Natura naturata, che serve per spiegare Dio come
causa di tutte le cose distinguendolo dall'insieme dei processi …
Descola invece nota come questo dualismo non mostri invece tutti quei casi di mediazione e
accompagnamento; solo nel 1980 in Germania si distingueranno le due scienze (naturale e
culturale).
A questo proposito si paragona Spinoza a Marx; la natura naturante assomiglia al primo Marx,
Hegeliano, per cui la natura presa singolarmente non è altro che una astrazione; la natura è
incorporata nella cultura, non ha una forma propria. Mentre gli apostoli della natura naturante
vedono il marx del materialismo storico, che considera …
Iniziano una serie di paralleli tra autori: Malinowski aveva distinto bisogni primari e bisogni
secondari...
[Descola immagina l'idea di Nature invece che di Nature, sul parallelo completo a partire dalla
transculturalità; una transculturalità, in modo che ogni cultura si appoggi ad una propria natura
particolare, non ad un concetto di Natura unico.]
Image and logic, di Peter Galison
[tutti personaggi legati a Bruno Latour]
Galison propone alcuni schemi, diagrammi etc.
La domanda iniziale è: si può parlare di Scienza al singolare? No, la scienza è essenzialmente
disunita in una molteplicità di discipline, ed è questo a costituire la sua forza e la sua flessibilità.
Essa è il frutto di una serie di tradizioni scientifiche che confluisce in quello che noi consideriamo
una unica categoria, ma che è in realtà estremamente sfaccettata, oggetto di una serie di pratiche e
beliefs:
Tempo La prima è quella del positivismo logico, che ha prodotto una immagine della
Esperienza scienza che PG rappresenta in questo modo: e che si articola in questa maniera
nella forma dei laboratori scientifici (con stanze separate per i fisici teorici,
T1 T2 T3 rispetto a quelle di laboratorio...).
[tento di concludere e terminare, a partire dall'intervento: la questione della trading zone, zona di
scambio tra pratiche: per Galison il confine non è più una linea che si oltrepassa, ma è un territorio
(avevamo visto questo aspetto nelle nostre pratiche di viaggio, i confini sono i luoghi in cui
accadono e si tramutano le cose), e qui rimando ancora Mary Douglas e ai problemi di
classificazione e purezza.
Lo scambio si gestisce a partire da cose messe in comune: almeno una pratica condivisible di
partenza (lo stesso scambio), che rendono luogo concreto un momento di passaggio.
Questi luoghi concreti possono avere forme particolari: se volete il concetto di eterotopia (termine
di Foucault e DeCerteax), concetto antropologico di pensare gli spazi; se invece di pensare lo spazio
in termini materiali (di cose che lo riempiono) lo pensiamo in quanto organizzazione e gestione di
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pratiche diverse.
L'altro problema è quello di come si fa a coordinare credenze e azioni (actions and beliefs) è stato
affrontato da Charles Goodwin, soprattutto nell'articolo vedere in profondità. L'eterotopia in questo
caso è quello di una nave oceanografica, che viene affittata insieme da comunità di scienziati
diversi.... Stabilire i punti... mettersi d'accordo col governo brasiliano... far lavorare i marinai...
Per Goodwin (che viene dalla scuola californiana di Antropologia) si è sviluppata l'idea che tra i
tratti importanti sia l'analisi del discorso: ma non alla boaz (Studiare la lingua), capire le modalità di
interazione linguistica... ma la relazione non è mai soltanto linguistica
Jacoviello lavorerà molto su forme di conoscenza situata: come forme …
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La vita è quindi un sistema dinamico di una molteplicità di semiotiche in continua traduzione tra di
loro: come vedete è una definizione abbastanza simile a quella di Lotman; noi ci siamo arrivati
partendo da De Saussure, mentre per LS, l'antropologia dovrebbe occupare quello spazio della
semiotica non linguistica, non ancora teorizzato (al tempo)...
Ora dobbiamo vedere come queste semiotiche si organizzano, abbiamo bisogno di una serie di
principi di metodo: tornerei a questo punto su Elogio dell'Antropologia, in cui riflette sui principi
del sapere Antropologico, sulle distinzioni tra questo sapere e gli altri.
Primo principio: l'empirismo. Non si possono mai teorizzare problemi di natura o di origine prima
che si siano identificati e analizzati i fenomeni, e scoperti in che natura stanno tra di loro; è altresì
impossibile determinare la storia di un oggetto senza averne approntato una organizzazione interna.
(Altrove LS dirà: si può dare solo scienza del Concreto), questo principio delle scienze umane è
assolutamente opposto a quello dell'auctoritas, ma anche all'orientamento filogenetico delle filosofie
sorte in ambito germanico e che ancora oggi emergono nelle SU; penso ad un autore molto famoso
in Inghilterra, Marius Schneider, che fa una storia del senso musicale tutta diffusionista. Interessante
notare come discipline che funzionavano sull'impianto metodologico della storia siano arrivate a
stabilire “scientificamente” l'esistenza di una razza ariana, come se si volesse dare una sostanza
all'etimologia, come se si volesse corredare l'ipotesi lessicografica con una funzione storica.
…
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c'è nelle nostre discipline un rapporto particolare tra spiegazione e descrizione, fatto di tre momenti:
un primo momento, quello della COMPRENSIONE, in cui comprendere significa inglobare,
racchiudere il fenomeno osservato nel suo orizzonte di senso (compito difficile), assimilabile
all'osservazione; a questa fase segue quella della SPIEGAZIONE, che poggia sull'analisi;
spiegazione è costruire un modello esplicativo (qui di fatto si fermano le scienze naturali: osservo la
caduta di un grave, e formulo la legge di gravità).
Ma c'è un terzo momento fondamentale, ed è un ulteriore momento di COMPRENSIONE, nel
secondo senso di comprendere, ovvero Interpretare, Valorizzare l'oggetto come dotato di senso,
percorso che genera quindi delle Ipotesi.
Fino a che punto è valida la nostra ipotesi, fino a che punto è valida la nostra lettura dell'oggetto?
Come possiamo dire che è ancora valida e sempre valida? Questa problematica è la stessa che
intercorre tra il reale e la spiegazione del reale...
LS: l'intenzione esauriente che ispira le nostre ricerche trasforma in assai larga misura l'oggetto; la
descrizione che riesce a rendere conto di un fenomeno in modo che qualsiasi altra descrizione non
sia possibile, ne avete in mente? La geometria euclidea, naturalmente nel suo pdv astratto.
Nella descrizione dei fenomeni culturali non è possibile dare una descrizione esauriente, per Ls il
tentativo porta inevitabilmente ad una descrizione esaustiva e adeguata, valida in relazione ad un
corpus sempre aperto. Abbiamo quindi tre nuovi termini:
una descrizione esaustiva è quella che, a partire da un numero limitato di salienze, prevede la
costruzione di un modello che possa descrivere le relazioni tra questi elementi che li comprenda
tutti e che escluda qualsiasi contraddizione interna; queste relazioni devono essere coerenti, affinché
il fenomeno possa essere ritenuto coeso. L'adeguatezza di questo modello prevede che tutti gli
oggetti che abbiamo raccolto debbano essere descritti da questo modello. L'insieme degli elementi
che abbiamo raccolto è naturalmente il nostro corpus, che deve rispondere positivamente ai nostri
tentativi di descrizione.
Sta di fatto che una descrizione esaustiva, nel momento in cui dobbiamo allargare il corpus, troverà
degli elementi che resistono, e che inficiano l'adeguatezza del corpus: siamo quindi costretti a
rivedere il modello di descrizione, il che porta alla trasformazione dell'oggetto, e quindi del modello
e degli strumenti di analisi.
Il modello dell'erudizione, tipico delle scienze del seicento, è la dimostrazione involontaria del
tentativo dell'esaustività... fino a Malinowski: il problema non è tanto questo, è la coscienza di
sapere che si sta trasformando l'oggetto.
Come si può affrontare questo problema? Un modo contro LS si schiera è quello del funzionalismo
americano, ricerca dei meccanismi oggettivi di funzionamento dell'oggettività;
In questo circolo analitico...
LS: Le descrizioni sono sempre ipotetiche, proiettive e predittive. Le ipotesi sono valide finché non
possono essere falsificate, e sono valide sempre tenendo conto del loro essere falsificabili; quando
si sostiene che certe scienze sociali hanno un fare assertivo, è tutto da vedere, può essere una
questione di stile e scrittura ma obbedire al principio di falsificazione.
Le ipotesi devono naturalmente obbedire non solo al cambio degli oggetti, ma anche ai
cambiamenti di prospettiva: la maniera in cui certi elementi del sistema sono stati riuniti ed altre
escluse indicano le scelte che ogni società o società in una fase del suo sviluppo si è vista indotta ad
operare. Come facciamo allora a reggere il paragone con la storia e con il tempo?
Per LS questi piani di relazione sono diffratti su una dimensione temporale su cui la sincronia
proietta la sua esistenza. La solidità della descrizione strutturale dipende anche dalla dimensione
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temporale; dobbiamo tenere conto non di una dimensione strutturale in se, ma nelle sue
trasformazioni. Ecco quindi il minimum epistemologico:
LS: nessuna scienza può considerare il proprio campo come una qualsiasi disposizione di parti
qualsiasi: solo è strutturata una scienza che risponde alla coerenza interna, e che osservi lo studio
delle trasformazioni, che possono essere rilevate attraverso lo studio della comparazione.
Vediamolo in un campo meno astratto
Noto → LABORATORIO → produce ipotesi
Ignoto → TERRENO → modello modificato
LABORATORIO → ipotesi generale
tra il laboratorio e il terreno, l'indagine cerca di colmare il terreno tra noto e ignoto; l'ipotesi
generale è la formulazione di un metalinguaggio descrittivo, capace di rendere conto attraverso un
insieme di regole coerenti e complete di una serie di fenomeni (apparentemente diversissimi); come
vedete questo costituisce i pressuposti per una teoria esplicativa del fatto sociale (Antropologia)
attraverso strumenti (Etnografia) che mi permettono di spiegare questo fatto sociale, attraverso un
linguaggio che mi permetta di far interagire queste due parti; ed è qui in mezzo che la semiotica
deve inserirsi.
In più, tra il laboratorio e il terreno chi ci sta, che qui non è menzionato? Quello che
nell'antropologia britannica contemporanea viene chiamato reflexivity: l'etnografo, l'osservatore.
Naturalmente, noi non partiamo dal nulla ma da una serie di ipotesi/esperienze già conformate in
noi, che devono subire più e più volte il ciclo … Il passaggio ciclico spiega cosa dice LS quando
dice che la sperimentazione precede l'osservazione e l'ipotesi.
LS: … In mancanza di una inaccessibile verità di fatto, raggiungeremo una verità di ragione. Tutto
questo non sarebbe accettabile, ad esempio, da molti antropologi inglesi. Ma è necessaria una presa
analitica sugli oggetti
L'ultimo principio fondamentale, per LS, è quello della buona distanza. Questo riguarda il
coinvolgimento della soggettività dell'analista, che deve trovare ottenere una profondità estrema
nelle sue analisi, e poi comunque astrarre un modello generale...
L'antropologia non è descrizione etnografica, quello è giornalismo, è un'altra cosa: il valore
universitario dell'antropologia è da ricercare nel suo statuto scientifico... altrimenti non fate
l'università, fate un'altra cosa.
Ad alcuni di voi forse tutto questo ricorderà il modello di Gadamer, in Verità e metodo: per
Gadamer il modello è diviso in tre: comprensione, spiegazione, applicazione
1) Il contatto con l'altro stabilisce un orizzonte di senso comune 2) si tenta di stabilire un modello
che abbia una logica con il nostro orizzonte di senso intersoggettivo 3) specificamente dell'atto
ermeneutico, ciò che permette di commisurare il significato di ciò che stiamo leggendo alla storia,
costruisce il significato nel preciso momento storico in cui si esercita l'atto di comprensione.
Questo saggiare il rapporto tra soggetto di esperienza e momento storico, significa saggiare la
capacità pratica data da questa applicazione: che altro ci possiamo fare, come possiamo ad applicare
tutto quello che abbiamo imparato, farlo valere. Non è più una questione di “reminiscenza”, ma di
creazione. L'applicazione costituisce il modello più alto del comprendere situato, e nell'ermeneutica
classica potrebbe essere letto come un momento di miglioramento creativo del testo. Un atto
artistico, poietico. Il capire si accompagna sempre ad un fare decisivo.
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L'atto della descrizione modifica la visione del mondo e di ciò che ci sta attorno, è per questo che è
necessario avere una attitudine epistemologica del proprio fare, una riflessione sul metodo.
Dobbiamo stare attenti, giochiamo sempre in questo confine per cui siamo ciò che osserviamo, e
l'etnografo non è un giornalista, è qualcosa in più, deve adottare un discorso scientifico e
falsificabile.
15 e 16 maggio viene a fare lezione per il dottorato (per l'ultima lezione del dottorato) Francesco
Marsciani, autore di Tracciati di Etnosemiotica, che fa due seminari sul problema di spazio e
spazialità...
dunque, siamo partiti dall'analisi passo passo del discorso di LS e i suoi principi dell'indagine
antropologica... eravamo così arrivati al “motto” sintetico di LS: in mancanza di possibilità di
giungere a verità di fatto, almeno giungiamo ad una verità di ragione. Oggi tenteremo di fare un
salto e integrare la prospettiva dell'antropologo con quella di Lotman.
Noi osserviamo soggetti in reti di relazioni, che intercorrono tra di loro legandoli e al tempo stesso
definendoli. I soggetti nascono in quanto soggetti proprio attraverso queste relazioni, e il luogo in
cui questo campo ha effetto; studiamo così anche il modo in cui questi soggetti interagiscono con il
mondo (interazione speculare soggetto/mondo): in una parola, il Fare e le loro competenze (Sapere,
Potere, Voler fare).
Non si proietta sul fenomeno sociale una griglia tassonomica precostituita, la griglia va costruita a
partire dalla descrizione “ingenua” del fatto etnografico: capacità di mettersi tra parentesi, di astrarsi
dalla propria personalità per farsi “tutto sguardo”. La griglia viene organizzata sulla base delle
salienze, organizzate a partire da criteri di pertinenza e così facendo tentiamo di obbedire al
principio di esaustività e di adeguatezza: un modello è esaustivo perché teorizza tutte le salienze, ed
è adeguato perché inserisce tutti gli elementi osservati. Abbiamo così il nostro campo relazionale.
Non dimentichiamo che queste articolazioni son sempre frutto di un pdv, e il punto di vista si
estrinseca proprio nell'articolazione relazionale; la questione è di nuovo quella della costruzione e di
articolazione della “giusta distanza” per ottenere analisi che siano efficaci. La giusta distanza, come
vedremo, è frutto di una doppia alterazione, processo di alterazione dell'altro e di noi stessi.
1) ciò che osservo ha sempre forma testuale, è sempre discorso che si manifesta, e noi
dobbiamo ricostruire la traccia del discorso in atto: l'analisi etnografica deve tracciare e
ricostruire questo campo relazionale, consentire di manifestarsi come mondo sulla scia di un
discorso possibile.
2) Ciò che si osserva non è mai predeterminato da categorie psicologiche o sociologiche, ma è
ciò che si osserva che determinerà le categorie stesse e i termini dell'osservazione.
3) Le marche figurative che andiamo a strutturare in salienza sono naturalmente legate alle
costanti o agli stereotipi culturali entro cui siamo: non dobbiamo negarli ma verificarli,
dobbiamo controllare le nostre osservazioni e organizzare tutti gli elementi che il discorso
culturale contiene, conserva e trasforma col passare del tempo. Ciò che si osserva contiene
già le marche...
Esempio: il vecchio, l'immigrato del bangladesh e i carciofini sott'olio. Risposta finale: ...erano i
nostri carciofi. Se noi fossimo andati con una idea preconfezionata di Servo/Padrone, e dei rapporti
di forza impliciti, avremmo perso questo risvolto: questo è il sistema per verificare quello che loro
vivono e pensano, e quello che non potrebbero sentire o pensare? Se voi interrogate il signore del
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Bangladesh, non sentirete mai dire che lui è servo, o che lavora per il vecchio: ma lui è ospite, lui
dona qualcosa, giudica offensivo il modello interpretativo padrone/servo che vogliamo attribuirgli.
Chi ha ragione?
4) il valore di ciò che si osserva dipende dalla relazione tra osservato e osservatore; dobbiamo
quindi anche inserire nella nostra analisi il percorso dell'osservatore, che è sempre dentro al
campo relazionale: dobbiamo studiare gli elementi di costituzione dell'osservatore, del punto
di vista. Questo controllo sulla costituzione dell'osservatore, è oggi nell'antropologia di
matrice anglosassone quello di maggiore importanza, ed ha a che vedere col principio della
reflexivity, che interessa il situarsi e il cambiare dell'antropologo durante il progetto stesso.
Due corollari: primo, l'oggetto è costruito dall'analisi; due osservazioni che partono dallo stesso
oggetto costruiscono in realtà oggetti diversi, quindi non dobbiamo operare una categorizzazione
degli oggetti precedente l'analisi, ma dobbiamo confrontare le analisi tra di loro e in tal modo gli
oggetti. Secondo, l'osservazione organizza a suo modo dati già interpretati e vissuti dalle esperienze,
(“interpretazioni di interpretazioni”, secondo Gertz).
Ritorniamo al nostro modello LABORATORIO/TERRENO/LABORATORIO. È solo nel terzo
punto (dopo una fase (1) di virtualizzazione del reale (2) di osservazione) che arriviamo alla (3)
formulazione delle ipotesi; perfettibili e falsificabili, ma sempre ipotesi. Tra il punto due e il punto
tre sta la differenza tra Etnografia e Antropologia, e il nostro lavoro (quello dell'etnosemiotica) sta
nella linea che separa queste due branche.
Ora, prima di creare un modello generale, dobbiamo chiederci quale valore di senso è possibile
attribuire a quelle pratiche di cui abbiamo fatto osservazione specifica? Ci serve qualcosa che
permetta a tutta la mole di dati di non disperdersi nel nulla, ma di costituirsi in quanto significante
(capace di significare). Dobbiamo ipotizzare una prima articolazione, e siamo ancora all'inizio del
nostro lavoro, a livello della prima astrazione (lab1); ipotizziamo una virtualità del reale e solo dopo
arriviamo al livello dei discorsi sul fenomeno (ter2), e solo in questo modo identifichiamo un Testo,
che mette in relazione un modello descrittivo (lab1) con i discorsi sul fenomeno (ter2), ovvero le
esperienze e il modo della loro manifestazione discorsiva. Possiamo quindi passare ad una serie di
discorsi e analisi sui fenomeni in gioco, confrontando il nostro testo con altri testi legati dai contorni
di pertinenza con i fenomeni del primo; dopodiché proiettarlo nell'ambito del confronto con la
“Cultura” in senso lato, o con il “Discorso” (in senso foucaultiano).
L'episteme è un elemento storico, ma ciò non nega che abbia natura strutturale. Il problema è
proprio quello di far coincidere analisi culturale sincronica e discorso sul tempo. PAUSA
LS sosteneva la necessità di comparare le due “serie”: quella del noto e quella dell'ignoto: il nostro
continuo passaggio dal terreno al laboratorio serve a costruire un metalinguaggio descrittivo: una
grammatica e una logica fondamentale che danno forma al linguaggio.
Problema: quando noi facciamo tutto questo su fenomeni distanti e ignoti, questo può sembrare “più
facile”, ogni descrizione è per noi una scoperta... oggi, con la riproduzione mediatica e la scoperta
di ogni angolo del mondo, l'antropologo si è rivolto anche alla propria cultura (Augé è capofila in
questo movimento) e si pone ancora il problema della giusta distanza.
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Io sostengo che la descrizione dell'etnografia deve essere pensata come un lavoro di acquisizione
;LS pensava che ogni processo di acquisizione necessitasse di un lavoro di traduzione tra il nostro
linguaggio come strumento di cattura e il loro essere sensato. Nell'esempio di traduzione tra le
lingue, dobbiamo stabilire che esistono delle forme grammaticali comparabili, e per passare dall'una
all'altra dobbiamo capire l'ordine dei costituenti, le marche semantiche etc
Ora, a volte le traduzioni funzionano in maniera intuibile, sono traduzioni “facili”: attese, continue,
prevedibili. Altre volte è l'esatto opposto (inattese, discontinue, imprevedibili). A livello
Lotmaniano, a cosa corrisponde tutto questo? Mentre i primi sono gli eventi Regolari, i secondi
sono elementi ESPLOSIVI, che causano la ristrutturazione di una cultura per poter fronteggiare
l'intraducibile. Ma ci sono anche altre situazioni, in cui non assistiamo a nessuno di questi
fenomeni: rispetto alla coppia atteso/inatteso, si crea un terzo elemento, del Disatteso; i fenomeni
che obbediscono a questa logica sono detti Turbolenze, e generano forme ibride.
Ora, i lavori di traduzione/acquisizione sono quelli che permettono di passare dall'altrui al proprio,
dall'io al tu: ovvero dall'identità all'alterità. Per far questo, passa attraverso il riconoscimento
dell'Identico (contraddizione: non c'è alterità) e poi risale attraverso il processo di identificazione.
Contemporaneamente, esiste qualcosa che io rifiuto, che considero Alieno (contraddizione: non c'è
proprietà). Ora, tra identità e alterità stanno quelle forme ibride di cui avevamo parlato (gestite per
compresenza, per sommatoria et et)
Ibrido
IDENTITÀ ALTERITÀ
memoria oblio
IDENTICO ALIENO
Neutro
La forma della memoria è quella che per selezione e mantenimento dell'identico, forma l'identità:
ricordate il tentativo di trasformare la Liberazione nella festa della Libertà: ecco come una
traduzione può operare una neutralizzazione, che opera per negazione e cancellazione di definizione
semantica. Di fatto possiamo immaginare tra Ibrido e Neutro una linea di confine, il confine tra il
proprio e l'altrui, e le diagonali sono le operazioni di passaggio tra l'identità e l'alterità.
Se torniamo all'etnografia, possiamo pensarla come operazione di traduzione? Si, è una ipotesi. Un
processo di traduzione in cui si tenta di trovare le categorie adeguate per fondare la descrivibilità e
l'esaustività del fenomeno. Ora, la relazione tra osservato e osservatore misura la distanza che li
separa e fissa al tempo stesso il confine da attraversare: così dicendo riusciamo quantomeno a
situare la distanza tra i due, e che è lo stesso confine a stabilire la differenza tra osservato e
osservatore, è lì che avviene la trasformazione, dal fenomeno come evento reale alla sua
descrizione.
Cosa succede sul confine? Tarcisio aveva parlato di Hartog, e vi ha parlato del ruolo del viaggiatore
e del momento in cui, durante il ritorno, le operazioni di ricostituzione della cultura altra generano
un “ritratto”, costruisce le relazioni che danno forma alla cultura altra; questa serie di relazioni,
come abbiamo detto, è la costruzione di una grammatica, che però si costruisce sulla base di una
Norma, ed è su questa base che noi strutturiamo il nostro studio. Il termine viene da Hjelmslev, che
alla bipartizione Langue / Parole di Saussure oppone la triade Schema / Uso / Norma.
L'uso, inglobando tutto ciò che riguarda l'atto, costituisce il processo linguistico, che lentamente
costituisce il sistema (quindi con verso opposto rispetto a DS), attraverso la mediazione di una
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Norma o grammatica, che permette il passaggio continuo tra terreno (uso) e laboratorio (norma), in
cui lo schema è il fine ultimo (e in parte utopico) del nostro processo. Noi ci situiamo
fondamentalmente tra uso e norma, dove quest'ultima è proprio quella regola di traduzione di cui
parlavamo.
Il processo di traduzione, in effetti, può oscillare tra due estremi: possibilità di una norma basata su
Comparazione e una norma basata su Prescrizione. Tra le due, esiste il Rovesciamento (come avete
visto in Darwin, l'alterità è il contrario di noi stessi, si rovesciano semplicemente le categorie usate
per descrivere le nostre usanze). Generalmente, per quanto la più politically correct sia la prima, si
finiscono per usare sempre tutte e tre: compito nostro capire dove siamo prescrittivi, dove descrittivi
etc...
Tornando al quadrato precedente: attenzione, se i termini del quadrato non entrano perfettamente, il
quadrato è sbagliato e vi pone nelle condizioni di fare ipotesi errate: ma la colpa è della
formulazione errata del quadrato, non del quadrato (o della semiotica).
Il nostro lavoro può essere quello di stare al cavalcione tra i confini, e di vedere cosa passa da una
parte e dall'altra; oppure (più interessante) possiamo lavorare sulla costruzione dei sistemi stessi,
come questi si trasformino, e quindi in generale sull'episteme. Se consideriamo la Cultura come
Discorso (in maniera foucaultiana) allora possiamo individuare nelle varie configurazioni le
realizzazioni locali...
Andiamo in Puglia, in Estate: avete presente le ricerche storiche dell'Antropologia (De Martino)
sulla Puglia. Andare in Estate è una configurazione differente da quella di chi va durante le
cerimonie pasquali per studiare i riti etc
Orsara: in estate c'è un festival di Jazz abbastanza conosciuto, ma intanto
… Caparezza (vieni a ballare in Puglia) non so conoscete il concept album di Caparezza, che
incrocia un discorso sul cambiamento temporale dal 68 ad oggi, e la storia di un lavoratore precario.
Ma già dalla musica possiamo notare qualcosa: Caparezza usa il Tamburello, e il ritmo ternario
della Pizzica (ritmo ternario di quattro parti); poi la fisarmonica, una chitarra battente e un hand
clap; e infine un basso, una batteria, un synth, una chitarra elettrica, e un marranzano. E i cori
femminili. Da una parte abbiamo gli strumenti del rock, dall'altra uno strumento della musica
popolare (il marranzano) incredibilmente diffuso in tutto il mondo. Forse questo strumento ha un
uso figurativo preciso (ipotesi): magari perché è connesso con la mafia, gli abusi edilizi; sta
predicando qualcosa del mondo [uso specifico figurativo: attribuzione a un attore preciso...].
Ci sono poi un'altra serie di strumenti della musica popolare, che hanno una funzione univoca,
anch'essa figurativa: parlano della Puglia, e costruiscono una identità della puglia assolutamente
musicale, una faccia della pglia che riesce a penetrare di più rispetto a tutte le strategie turistiche;
quello della taranta, dei cori femminili etc ; in realtà C sta anche utilizzanto un dispositivo
armonico: timbro, ritmo, armonico, melodia [le componenti formali del piano dell'espressione
musicale] che viene chiamata Sesta Napoletana, anch'esso usato per contribuire ad un'identità del
sud. La melodia qui non è pertinente; per i timbri, abbiamo distinto i timbri del rock (non-
rappresentativi) dai Suoni dell'identità pugliese, al discorso a solo del marranzano.
Adesso passiamo a Daniele Sepe, e al suo pezzo: innanzitutto è del genere jazzrock (progressive),
poi con forte componente balcanica, e potremmo pensare alla fusion (l'assolo di sassofono); il
sassofono suonava come un clarinetto, che insieme al gruppo di trombe fa molto balcanico; il
sassofono + invece suonato come un gaide (ciaramella?): in effetti questa è una danza bulgara, e
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avrete notato fin da subito il ritmo irregolare (5 parti, 11/8); il ritmo non è traducibile in quello della
canzone di C, e quindi possiamo inizialmente assumere una separazione che caratterizza la musica
pugliese, quella di ritmi regolari ternarie vs ritmi irregolari (soprattutto) binari.
Possiamo fin da subito dire che una musica che suona al di là dell'adriatico viene “tradotta” da una
serie di timbri di mediazione, come quelli del jazzrock: abbiamo un prodotto ibrido? Tutti gli
elementi sono sufficientemente separabili tra di loro? Io direi di no, siamo nel campo della
traduzione, gli elementi sono sufficientemente correlati tra di loro.
Piccolo problema: se chiedete ai musicisti bulgari, vi diranno che il loro tempo è un tempo regolare
in 4 battute, e non ne vorranno sapere. Come vedete il nostro sistema di descrizione (scientifico)
non deve essere universalmente accettato, ma ci serve per una descrizione iniziale.
Passiamo ora a Rumen Sira, e alla musica bulgara (opanizca: quella che sentite è stata registrata
durante il regime comunista, che normalizzava la musica bulgara: notate la coesistenza di elementi
tradizionali (tambura e caval) con un'orchestrina di archi. Di fatti questo è il tentativo di costruire
una identità nazionale moderna. Se volessimo essere un po' archeologi, dovremmo aggiungere che
suonano con due strumenti macam turchi, chiamati hajaz e gargah; ma in che modo li usano? La
grammatica è turca, ma il pezzo è decisamente non turco. Cosa ci rimane?
Possiamo solo lavorare nel nostro campo di relazioni; stiamo lavorando tra culture differenti, e tra
episteme differenti, perché la traducibilità non opera solo nello spazio, ma anche nel tempo. Tra
passato e futuro, tra est e ovest. Ma allora non ci serve dire che quelli sono macam turchi...
Per strada troviamo un Album di Matteo Salvatore, che ha riunito i cantori di Carpino... arriviamo ai
veri cantori di Carpino... in particolare Andrea Sacco, uno dei cantori su cui si è costituita la
costruzione di corpus della musica tradizionale italiana; i tre cantori erano Sacco, Maccarrone,
Piccininno (con storie molto diverse fra di loro). Questi signori detengono la competenza su questo
canto particolare, e per la loro età, la scarsa competenza estera (in parte falso) sembra essere la
“vera” musica pugliese.
Cosa abbiamo sentito? La chitarra battente, il tamburello (non la fisarmonica); e il ritmo? Sembra
quaternario, ma in realtà è strano e più complesso della chitarra battente (che riproduciamo | | ||| | | - |
| ||| | | - etc) a cui si aggiunge un basso ostinato ( che sarebbe … ) e infine il ritmo che avevamo
individuato all'inizio; infine la voce, che attacca a metà …
tutta questa forma canora, che forma metrica deve accompagnare? Un endecasillabo: donn@ che
sta'ffacciat@ a 'sta f@n@stre) chiamato o sonett. Ma come vedete, da qualche parte ritroviamo il
metro ternario; eppure, se chiedete ad Andrea Sacco, scoprirete che secondo lui il metro ternario e
una sua innovazione, il ritmo era differente; in più, gli etnomusicologi noteranno che la chitarra in
origine era accordata più bassa, mentre ora si accorda sempre più similmente alla chitarra nostrana
(francese, a sei corde). Tanti problemi.
Infine, troviamo un cd con scritto Apulian Folk Music: cosa abbiamo? Polifonia, che finora non
avevamo ascoltato; ritmo terzinato e indiavolato, due chitarre (battente e francese), il mandolino che
fa da solista, un testo in dialetto barese. Un po' difficile da definire
Arriviamo a Polignano a mare, casa natia di Domenico Modugno, autore di un pezzo interessante
[Amara terra mia]. C'è tutto un dibattito su questo pezzo e sulle relazioni tra quest'ultimo e un canto
abruzzeze [un po' come i canti medievali di siena, il cui più antico risale al 1960, ricalcato su
musica leggera] ma lasciamo stare; diciamo, canto di immigrazione e di abbandono della terra; il 62
uscirà la tarantola di Mingozzi, con testi (e voci) di Salvatore Quasimodo; come vedete un progetto
artistico che in generale rinvia a una forma-sud.
E per questa canzone? La grammatica dei suoni è di tipo tonale, musica colta che qui vuole
rappresentare qualcosa che sa di “esotismo”: elemento metabolizzato e ricacciato fuori, sotto forma
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di “altro”. Questa canzone però sta tutta nella musica leggera italiana, anche se allude e rappresenta
qualcosa di diverso (una forma-sud). Ma ora voglio farvi vedere il video Amara Terra mia,
reinterpretata dai Dervishi (con regia di Franco Battiato) del 2006
Come vedete si estende questo sud, che non riguarda più il Sud a cui la canzone di Modugno si
riferiva, ma un Sud che viene aperto e inglobato al mediterraneo orientale, al mondo egiziano etc:
l'armonia è sempre tonale, mentre timbri e melodia ricevono l'introduzione di strumenti e suoni
tipicamente … il sistema viene riconfigurato per indicare qualcos'altro; il video è di un momento in
cui la Puglia voleva configurarsi come “porta dell'Oriente” storica e presente [in realtà sappiamo
che storicamente questo non è vero etc], per cui l'identità del mediterraneo si forma e permette di
affermare, ad esempio, che i respingimenti sono ingiusti.
In questo momento, noi stiamo neutralizzando le differenze (non creando ibridi), c'è una
neutralizzazione del confine stesso, uno spostamento del confine ad un oltre considerato solo
negativamente.
Arriviamo infine a Lecce, con un pezzo di Officina Zoe (?), reputata uno dei più importanti gruppi
di musica tradizionale salentina: vedete ancora il ritmo ternario, ma qualche influsso un po' …
Andiamo anche a sentire una registrazione del reperto della storia dell'etnomusicologia, Salvatora
Amazzo registrata nel 59...
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l'antropologia è ormai uno studio delle culture umane, l'etnografia è un po' quella parte che si dedica
alla descrizione delle culture umane; l'etnosemiotica intende allora occuparsi delle differenze
comportamentali in situazioni culturalmente importanti. E in questo risponde anche al continuo
ripiegarsi dell'antropologia su se stessa, ovvero sull'analisi delle nostre pratiche, non dell'alterità.
Torna il problema della giusta distanza e del rapporto con noi stessi.
Da questo pdv, se noi riteniamo le pratiche quotidiane come oggetto di significazione, abbiamo
qualche questione da risolvere: se voi pensate alla “semiotica della cultura, altra risposta alla
semiotica del testo, è un termine che va per la maggiore. Ma cosa sono queste Culture? Il modello
lotmaniano è quello della semiosfera (sapete bene come funziona). Questa definizione sembra
molto limpida, secondo cui la cultura è definita in modo limpido; ma ecco in qualche modo in
questo modo si prefigura una situazione, si percepisce come unità, il che è un po' un problema.
Perché non sono i termini con cui si può favorire un dialogo con la semiotica.
La semiotica deve fuggire da una teoria dell'organizzare culturale che dia per presupposto cosa un
testo è: non che nella definizione lotmaniana non si possano vedere diversi livelli, ma il problema è
costitutivo. Cultura in ambito semiotico non può costituire ambito in cui collocare la propria
capacità descrittiva; cultura è prima di tutto un valore dato da costituire. Non cadiamo nella trappola
che etno-semiotica significhi spostare l'oggetto da qualche altra parte: noi poniamo un problema di
articolazione dello sguardo semiotico, che ha alcune modalità diverse da scoprire; declinare
secondo modi della visione, non scoprire altri oggetti.
Ecco il testualismo: pensare che una cultura è distinta da un'altra cultura perché i membri di quella
cultura affermano questa distinzione; in questo modo semplicemente si manifestano una serie di
tratti che tralasciano un'altro insieme di tratti che potrebbero essere attivi per riconfigurare la cultura
stessa, niente di più.
… Dipende, da come il senso è messo in condizione di significare, mi verrebbe da dire a Greimas;
quanto il corpo rispetto al mito definisce una dimensione, una taglia culturale, rispetto all'altra.
Quanto si può contare sul fatto che ci si capisca o che non ci si capisca? La stazione eretta del
nostro corpo quanto è interculturale, ma quanto poi la corporeità in sé viene definita di volta in volta
diversamente?
Altro problema: richiesta di una forma semiotica di razionalità... non è più vero. Non si chiede più.
Io penso però al picco avuto con Gertz, dopo c'è stata molta antropologia culturale “simbolica”, ma
il problema di quanto l'antropologia possa chiedere alla semiotica come incremento di capacità
descrittiva, questo è essenzialmente Gertz a farlo, sostenendo che l'oggetto antropologico ha forma
testuale; le pratiche non sono necessariamente linguistiche, ma l'oggetto antropologico si da in
forma testuale, una metafora per lui utile. Tutto questo mette in moto l'idea che il dato
antropologico sia già interpretato, il che pone il problema di cosa fare (e qui G fugge un poco).
Solo che la semiotica non è sempre stata sensibile all'idea che i testi che indaga siano a loro volta
interpretazioni, si manifestano come interpretazioni: forse questo è dovuto al periodo in cui fosse
necessario per noi stabilizzare il nostro oggetto. L'idea della cloture du text non ha senso in quanto
ipotesi sulla natura dell'oggetto, non esiste nessuna caratteristica empirica nell'oggetto, è il risultato
del nostro sguardo, che ha la necessità di individuare dei tratti esemplari.
MASSIMILIANO: ma cosa è esemplare? Deux amis di Maupassant oppure l'analisi fatta da
Greimas? Il concetto di esemplarità è problematico. MARIACRISTINA problema della semiotica:
quanto tornare alla teoria o quanto tornare a far parlare gli oggetti. MARSCIANI interessante, io
vorrei proporvi qualche soluzione ai problemi del percorso generativo; ma i vostri sono problemi di
diverse dimensioni ontologiche: una è legata alle manifestazioni, e l'altro all'aspetto immanente. Si
riecheggiano ma non si toccano. TIZIO INCOGNITO può tornare a parlare del vissuto del senso.
[il vissuto non coincide col diacronico, quanto con i sistemi dinamici]
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Una semiotica dovrebbe esprime il senso qualunque esso sia comunque si dà, mantenere al minimo
le ipotesi a priori sul suo modo di darsi... penso a tentativi di lettura energetica della trasformazione.
Altro aspetto su cui dobbiamo essere attenti è la questione dell'alterità e dell'intersoggettività (la
seconda soprattutto). Per noi l'altro è anche un problema del linguaggio e del metalinguaggio, e in
antropologia il discorso è sempre quello della proiezione di categorie: io penso che l'etnosemiotica
potrebbe permettere alla sociosemiotica di essere meno succube di categorie sociologiche etc.
Buona parte delle questioni mediatiche non sono oggetti semiotici, ma di sociologia della cultura.
Non si è messo a fuoco il tipo di oggetto che lo sguardo semiotico costituisce: l'osservazione
etnosemiotica pone la questione “cosa state guardando?” non stiamo guardando una bottiglia, ma
come alcuni tratti di questo oggetto percettivo entrano in relazione con altri tratti, e fanno testo
così... a noi non interessa come è fatto, interessa come significa. La descrizione non è mai esaustiva,
ma solo esauriente.
In questo le pratiche sono intersignificanti, non in altro: le pratiche sono ritenute significanti da più
persone e contemporaneamente. In questo senso, una analisi plastica come base di una
organizzazione discorsiva, è il vantaggio che una semiotica ha rispetto ad altre categorializzazioni.
Flosch, in una sua analisi, ha detto che l'analisi semiotica non rende riconoscibili le figure, ma
indica le condizioni strutturali di riconoscimento delle figure. In etnosemiotica, un conto è quello
che un nativo ti racconta, un conto è cosa ricostruisco io.
UN altro problema è quello del circuito dell'alterità: faccenda che si deve approfondire per rendere
atto del destino a cui l'epistemologia novecentesca ha consegnato alla semiotica. La semiotica è
quello che è perché le si è aperto un campo: il problema del senso a cui la fenomenologia era giunta
e che non poteva affrontare (e solo l'innesto di una fenomenologia strutturalista potevano risolvere),
per me il posto della semiotica nasce da questo tipo di snodo. Gli ultimitesti di Husserl e quello che
ne ha fatto Merleau-Ponty in Francia (potete leggerlo nel mio sito www.marsciani.net, la mia tesi di
dottorato su tutto questo). Nella semiotica contemporanea buona parte delle posizioni sono tutte
legate a una ripresa del progetto fenomenologico: 4-5 posizioni, Petitot Zilberberg Fontanille
Landowski e Coquet. Tutte posizioni critiche nei confronti della Semiotica Standard di Greimas, e
tutte posizioni nate con l'apertura alle strutture discorsive (in particolare quando si è pensato di
affrontare le passioni come problematica in quanto tale).
Una di queste cose era la traduzione che Petitot faceva della teoria delle catastrofi (che secondo me
è valido, una giustificazione che ci veniva fornita), ma con Thom veniva anche la nozione delle
Pregnanze e delle Salienze come articolazioni profonde della Figuratività (la figuratività trovava un
fondamento per render conto delle proprie articolazioni significative, come oggetto realizzativo).
Da qui Petitot descriveva queste connessioni secondo preinterpretazioni protobiologiche.
Seconda problematica, la semiotica tensiva, colpa di Zilberberg, il quale proponeva l'idea di forme
di categorialità discreta basate su tensioni e modulazioni tensive. Un respiro della forìa che è
nell'ordine del precategoriale (tutto il precategoriale fenomenologico si è visto uno spiraglio, perché
cercava uno sfondo soggettivo in cui trovare le ragioni d'essere delle sue articolazioni categoriali).
La questione della enunciazione in atto, della prassi enunciazionale, tutti elementi ai margini della
razionalità semiotica precedente, e legata a questa formazione delle istanze enuncianti coquettiane.
Il problema che questo tipo di posizioni pone è quello esplicativo-naturalizzante: tendono a
naturalizzare le categorie semiotiche del percorso generativo, àncorano a qualche oggetto (di natura
incarnata fondamentalmente) e schiacciano i motivi del percorso generativo, anziché allargare il
percorso: il che è una perdita di potenzialità, perché più sono interpertinenti i livelli tra di loro, più
possiamo porre domande; mentre così ci limitiamo a chiedere “perché” un testo significa. Noi
facciamo dispiegamento invece che spiegazione.
Da questo punto di vista la prospettiva etnosemiotica... secondo me il percorso generativo trarrebbe
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vantaggio di una ulteriore stratificazione: in basso ancora più astratto (ma non alla maniera di
passioni) secondo le condizioni fondamentali: differenza e inerenza, che rendono conto da una
parte del valore differenziale di saussure e dall'altra del valore fenomenologico, valore investito. Ai
quali basterebbe aggiungere un principio di concatenazione sintagmatico, su dominante/dominato
(sul modello di inscatolante/inscatolato) e avremmo forse qualcosa di simile a Landowski, che
propone delle tipologie di canoni narrativi; un modello più astratto rispetto al percorso narrativo;
invece dei modelli di formalità semiotica che …
D'altra parte, giungere vicino ai vissuti, e pensare che gli effetti di senso siano sempre
trasformazioni di senso dato, elementi che di volta in volta fanno significare delle testualità di volta
in volta giocate localmente: ma come si accede all'effetto di senso come dato, come vissuto? Forse
esiste la possibilità di parafrasarlo, seguendo le sue trasformazioni e ridicendolo. In una serie di
differenziali (immagini) che si risolvono in configurazioni. Per aderire agli effetti di senso devo
(boh)
L'etnosemiotica non parla di televisione, parla di televisori: che si ritagliano ad una famiglia, un
salotto, un orario di visione...
Il vissuto husserliano è legato al corpo proprio, intuizione di coscienza incorporata: ma
l'incorporazione è del corpo proprio, per Husserl; è una autointuizione. Sia Husserl che Merlau
Ponty passano da questa idea, ma se il mondo è intuizione di senso, e questo senso è
egodeterminato, c'è il problema dell'altro (grosso problema). Il vissuto deve essere intersoggettivo...
Stefano dice di pensare il vissuto come discorso organizzato (e realizzato), sono molto d'accordo.
L'immagine è una parafrasi di un vissuto, spiegata da tutta la configurazione di tratti (plastico-
figurativi); per me il vissuto “entrare da Trony” ha come immagine: “galleggiamento”, che mi viene
tutta spiegata dai livelli del percorso generativo. Ad esempio, una fiamma della candela convoca
immagini che sintetizzano le diverse configurazioni a seconda delle articolazioni relazionali. A me
sembra interessante inserire uno strato che “sintetizzi” tra configurazione e vissuto.
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Abbiamo avuto all'inizio il senso colto per differenze e opposizioni, in virtù di uno strutturalismo
robusto, e attraverso la querelle continuo/discontinuo, si è configurato il senso come partecipante di
grandezze in conflitto; siamo passati alla semiotica tensiva, poi al senso colto nella coalescenza, con
la proposta di una semiotica del contagio, proposto da Landowski, e oggi con l'idea di un senso
colto per propagazione, diffusione, il senso colto per elementi non discretizzabili: clima, aura. É la
prospettiva di una semiotica dell'atmosfera che cercheremo di riprendere, per metterne a fuoco i
contorni. Proposte che vogliono solo aprire le prospettive di questa vastissima problematica: ecco in
quattro parole il percorso che propongo: l'informe, la forma, l'atmosfera (in due valenze) e lo stile.
L' informe: l'atmosfera o aura che è prodotta dalle forme ci conduce verso l'al di qua delle forme; in
questo senso parliamo di informe? Ma l'esercizio attraverso l'informe può essere compreso come ciò
che ci conduce verso la forma, come condizione di presa delle forme.
L'informe è allora, per Valery, ciò che ha una esistenza di fatto nella percezione, e che opponiamo a
tutte le cose “sapute” (sue); cose solo percepite, e non sapute: esse non possono essere
immediatamente prese in carico dalla strutturazione cognitiva, come una operazione di causalità, o
di simmetrizzazione, o una operazione di orientamento, o mereologica (parte in un tutto che la
comprende) o tassonomica (collocazione in una classe); le operazioni cognitive come sappiamo
sono innumerevoli, come le operazioni affettive e passionali. In breve, gli oggetti non informi sono
quelli che liberano dall'interno una sorta di intenzione, che li presenta allo sguardo come oggetti
sottomessi a operazioni percettive istantanee; quello che percepiamo è anche la possibilità di
configurare l'insieme in un solo colpo d'occhio, è soprattutto questa impressione immanente prestata
agli oggetti che ce li rende familiari, e ci dispensa ddal guardarli veramente. Allora l'informe è una
forma su cui non posso applicare un'atto cognitivo di strutturazione, su cui non posso deporre uno
schema che la trasformi in piano di espressione per un contenuto di cui mi andrei ad appropriare.
Dire di una cosa che è informe, per Valery, vuol dire che non posso rimpiazzarla con un atto di
tracciamento netto.
Potremmo vedere in questa assenza di regole interne per l'informazione, del tutto diversamente dai
punti di non geneticità di Petitot, la manifestazione del negativo nell'informe: ma Valery immagina
la relazione dell'informe con l'atto di disegnare e dipingere, che chiama l'esercizio attraverso
l'informe. Non bisogna confondere in effetti quello che vediamo con quello che crediamo di vedere:
la visione è una costruzione che moltiplica gli schermi davanti alle cose e non permette di vederle;
noi li prevediamo, siamo dispensati dal pensare le cose nelle strette singolarità di cose. Noi
percepiamo quelle cose che abbiamo iscritto nelle nostre categorie... L'informe invece obbliga a
vedere, a trovare qualche regola segreta che assicuri la rappresentabilità della cosa. L'informe ci
prescrive un nuovo tipo di sguardo, mette lo sguardo a nudo, prescrive il vedere, dà una lezione alle
cose sapute, e invita a reimparare sbarazzandosi egli schermi cognitivi passionali che solitamente
vengono solo colti al volo.
Lo sguardo di Cezanne... La forma: conosciamo tutte le frasi famose di Cezanne sulla presa delle
forme geometriche (tutto si modella secondo la sfera il cono il cilindro) Queste dichiarazioni sono
state spesso male interpretate, perché sono ambigue... si voleva vedere la riduzione delle forme a
enti geometrici, e un annuncio riduttivo dell'avvento del cilindro: ma cono sfera cilindro hanno una
proprietà di essere convessi, vengono verso lo sguardo o la mano dell'osservatore. Si oppongono al
piano, e per Cezanne tutto è profondità e convessità. (La natura è in profondità, tutti i corpi sono
convessi)...
Comprendiamo quello che dice Rilke: come sono povere tutte le cose in Cezanne; le mele sono tutte
da cuocere.”... quello che conta non è che l'oggetto dipinto sia mela o diamante, non è l'oggetto
saputo, ma è il dialogo dei colori tra di loro che dà la forma. E a proposito del dipinto “Mme
Cezanne” dice: ogni punto del quadro ha conoscenza di tutti gli altri, e si rafforza e si diluisce con
gli altri.
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IN breve il nostro progetto è quello di indicare questa posizione percettiva tra la convessità dei
punti, tra punti di visione e punto visto, costituisce un aspetto possibile nell'atto cezanniano sulla
forma: da qui la concezione cormatica delle ombre, la relazione colore disegno e il contorno, la
concezione polemica della composizione (come bilanciamento tra parti luminose e ombreggiate).
Il modella to prende forma in virtà di una mediazione tra il soggetto che vede e quello che è visto:
l'atmosfera (-schermo), il piano che si interpone tra me e le cose viste, percorso delle cose verso il
filtro dell'atmosfera, che passa attraverso lo schermo e lo filtra. Costituisce l'intorno del dipinto,
contribuendo alla sintesi e all'armonia generale.
[parte mancante]
Ma vedrei volentieri soprattutto il concetto di atmosfera in cezanne qualcosa come un modello, un
modello molto concreto perché ancorato nella percezione e astratto, generalizzabile: un modello per
meglio comprendere il senso delle atmosfere che noi percepiamo. Queste atmosfere sono cià che
emana dalle cose, dagli esseri che lo occupano e ciò che ne restituisce il clima: come una
moltitudine di istanza che provengono dalle cose per innestarsi in istanze in attesa del soggetto
sensibile. In breve, elementi costitutivi che restano da identificare.
In conclusione... uno stile: lo Stile semiotico è stato teorizzato, e sarebbe interessante approfondire
la nozione di stile a partire dalla nozione di atmosfera, che possiamo riconoscere come uno dei
risultati di Omar Calabrese.
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Innanzitutto, come è organizzato lo spazio: costruiamo una mappa
Strada
Prensiline
Bar Bagni
Andiamo ad analizzare:
- modalità di spostamento
- modalità di orientamento
- relazione all'ambiente
- relazione alla presenza di altri soggetti
Partiamo dai limiti di pertinenza, ovvero la Strada; organizzata in corsie, attraversata da mezzi di
tipi diversi e che possiamo identificare con i guidatori; che differenzia fondamentalmente gli autisti
di tir e autobus da quelli delle auto. (identità viaggiatore in base all'autoveicolo)
Una prima differenza è il luogo da cui si guarda la strada: autisti di autobus e tir guardano la strada
“dall'alto”, mentre gli altri grossomodo a livello della strada; possiamo pensare a divisioni
categoriali anche più specifiche (familiari, fuoriserie, auto da lavoro etc) e abbinare un tipo di
comportamento ad ognuno; alcuni ibridi (come i guidatori di SUV) possono essere ipotizzati.
Già l'entrata nella stazione di servizio separa camionisti e automobilisti, abbiamo quindi già due
movimenti. Ora, se lo spazio della strada è conflittuale (Corsie e velocità differenziate, antagonismo
etc), lo spazio della stazione di servizio (SDS) è un luogo di negoziazione.
Tutti gli agenti del destinante (indirizzare, smistare etc) e altri agenti di “compravendita”: pulire
vetri, cellulari, musica etc; ma anche chi è più sospettoso riguardo la nostra posizione: noi siamo in
un Campo, e siamo soggetti alle proiezioni di identità del campo stesso (chi ci osserva per leggerci:
guidatore o polizia?); come reagiamo? Dobbiamo capire quale identità può essere positiva o
dannosa, e proiettarla su di noi. In più, stabilire un percorso di reciprocità: guardare e farsi guardare,
e stabilire un rapporto di potere. (chiameremo l'osservatore il “sovrintendente”). Possiamo anche
pensare, osservando altre stazioni, come i “ruoli” di questi personaggi siano standardizzabili e
gerarchicamente stabiliti.
Sulla base di quanto possiamo guardare, passiamo ad osservare i viaggiatori. Dopo un po' di
osservazione, possiamo organizzare in categorie e vederne la tenuta: partiamo da quella Abituale-
esperto, che ha come contrario Occasionale-Inesperto; negandoli avremo…
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SEMIOTICA DELLA CULTURA, lez. VIII B 25/05/12
Quali sono i limiti della nostra struttura testuale? Come abbiamo visto, non possiamo settare dei
limiti “fisici”; i limiti sono sempre di pertinenza...
torniamo ora al nostro quadrato
A B
esperti inesperti
abituali occasionali
continuità discontinuità
“traiettorie”
“in missione”
NB NA
non inesperti non esperto
non occasionali non abituale
non discontinui non continuo
“passeggiate”
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I “malavitosi” stanno allestendo un percorso della competenza “diverso?” Questa è la domanda che
ci dobbiamo porre: loro propongono lo stesso valore del servizio all'interno della stessa
configurazione del mondo: loro propongono una diversa strutturazione dello spazio, e lo fanno
attraverso le pratiche del Mirroring e del Mimecry: il primo consiste in un adeguamento ai
programmi del soggetto agente. In questo caso la SAI e la Camorra offrono gli stessi “servizi”, e qui
arriva la seconda strategia; il mimecring è un'adeguamento non più ai soggetti, ma agli oggetti di
valore. Innanzitutto io mi adeguo a tutto quello che può servire al viaggiatore, e di proiettare
nell'indefinito tutto il disforico: questo è l'atteggiamento del cacciatore, che si nasconde fino a
diventare attraente, con un richiamo etc.
Importante: non sta producendo una spazializzazione alternativa, lui si sta disegnando su quella che
è la mappa disegnata dai percorsi, tant'è che nel punto blu non ci va, e nel bar non entra. Anche
l'etnografo ha un rapporto di Mirroring con il malavitoso, deve però negoziare il suo poter fare...
L'unico modo di rompere questo circuito è inserire una forza coercitiva... come quella della polizia,
che però tronca ogni tipo di esperienza alternativa, anche quella della SAI (nel mondo della polizia,
le stazioni sono a distanza regolare, il tempo è regolato etc...)
A Genova: la polizia non ha effettuato repressione, che è un atto di risposta alla pressione (che non
c'era); invece è stato un atto di pressione, strutturalmente differente dalla prima. La forza del film è
nella ricostruzione del crimine, nell'atto di testimonianza necessariamente connivente con qualcun
altro.
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Ulteriore passo è quello di considerare il pdv di chi decifra, e la concezione di altro è “ciò che
cambia incessantemente”; è se ciò che consideriamo significante è o regolare o assolutamente
irripetibile, qui vediamo immediatamente l'influsso di Roman Jakobson, da cui deriva la base
epistemologica di tutto lo strutturalismo (e in particolare, sul saggio Linguistica e Poetica); da qui
deriva anche l'idea di Lotman di Linguaggio (verbale) come sistema modellizzante primario, sulla
cui base tutti sono in rapporto di secondarietà; non accostate tutto questo alla “moda” degli anni
settanta francesi, di ricondurre tutto al linguaggio; collegatele invece alle tendenze etnolinguistiche.
Gli eventi individuali/irrepetibili segnano l'entrata in campo della presenza dell'altro, e l'irrompere
nel sistema di ciò che è extrasistematico è un principio per trasformare un modello statico in
dinamico. Ma per avere una descrizione del sistema, abbiamo bisogno di ciò che è extrasistematico,
perché un sistema statico non può essere Descritto (ancora LS), ciò che è proprio è aspecifico
Sistematico vs extrasistematico
Proprio vs Altrui
… vs aspecifico
I romani, per descriversi, dovrebbero farsi barbari di se stessi; l'elemento per quanto sia
extrasistematico, è già in relazione per la formazione del sistema. “La poesia dell'altrui è la capacità
di descrivere ciò che è naturale come originale”.
Il comportamento del migrante come un tentativo di espandere e distendere la propria sfera fino al
punto massimo; l'altro per Lotman ha sempre a che vedere con lo spazio dell'Utopia, con la
creazione di un riflesso di sé che motiva il raggiungimento. Aggiungo io, stiamo cercando il
“diventare altro”; lo scambio costante di posizioni tra proprio e altrui è uno dei meccanismi
fondamentali della dinamica culturale (ma l'altrui è una costruzione della propria cultura, ad essa
appartiene)
I processi storici reali prevedono la presenza di almeno 2 sistemi culturali, l'uno l'altrui dell'altro.
Ma questi sistemi continuano ad essere continui e regolari, mentre questo non è il caso dei sistemi
esplosivi.
Continuità vs discontinuità
traduzione vs esplosione
prevedibile vs imprevedibile
durativo vs puntuale
“fatti” vs “eventi”
causalità lineare vs casualità multidimensionale
La distinzione tra fatti ed eventi: il fatto è letto linearmente, ha una causa e un effetto, mentre
l'evento è il punto di incrocio di diversi sguardi, eventi, possibilità; questa è la definizione che ne da
Foucault; mentre il fatto può essere spiegato e raccontato in maniera più o meno univoca, l'evento
deve essere testimoniato, ed ogni testimonianza convoglia spaziotempi, esperienze, pdv:
necessariamente connivente con qualcuno.
La scienza fino al secolo scorso, come le costruzioni di tribunali (il fatto non sussiste) privilegiano
l'aspetto del fatto: se è accaduto, non è nel nostro ordine epistemico, di più non si può dire. E cosa
distigue le due cose? Generalmente, è la dimensione del potere, che permette di passare da una
descrizione degli eventi come accadimenti / eventi ad una descrizione assertiva (per cui vi rimando
a tutto Foucault). Lotman, anche se non se ne occupa in questi termini.
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Se i processi sistematici riguardano l'essere, i processi esplosivi indicano le particolarità del sistema.
L'idea che il passato sia il luogo dell'esperienza, e che configuri interamente il luogo della memoria;
che non è un semplice magazzino di cose, è il luogo attraverso cui faccio esperienza nel presente.
Guardare al futuro e guardare al passato sono esattamente modi di selezione... ovvero anche gli
avvenimenti esplosivi vengono dotati di significato, di una motivazione aggiuntiva retroattiva.
Il processo esplosivo è quindi rifondatore del momento della memoria: ci sono quindi due
movimenti, uno in avanti, che guarda al futuro e decide le possibilità, ed uno indietro, che
riconfigura il passato stesso e la memoria.
L'esplosione, ricordiamo, viene da un punto che non apparteneva assolutamente alle possibilità
previste dalla semiosfera: è il linguaggio il mediatore che a posteriori esegue questa possibilità di
traduzione, solo che nel caso di sistemi esplosivi le traduzioni saranno “scorrette” o metaforico.
Domanda: cosa è una tradizione? Il tentativo di stabilire una traduzione esauriente, una traduzione
perfetta, o forse già pronta per il futuro.
Ora riassumiamo e facciamo la critica:
tutto quello che sta al centro ella semiosfera, poiché non c'è fatica traduttiva, viene ritenuto
universale e tende all'aspecifico (perché non sono stati confrontati con altri), e tutto è regolato dalle
norme grammaticali che ne permettono la traducibilità, e quindi dai principi grammaticali. Ogni
traduzione è un tentativo di riconfigurare le stesse norme nello stesso linguaggio o nello stesso
sistema. [notate che per Lotman anche la “lettura di una poesia” è una traduzione tra la nostra
memoria individuale e quella sistematica]; possiamo allora identificare un sistema culturale come
linguaggio (sistema di modellizzazione primario etc)
La traducibilità interna ai sistemi definisce anche il loro grado di stabilità (e di coesione), e
differenzia il centro rispetto alla periferia del sistema, dove le traduzioni sono più impegnative.
Ma il processo esplosivo mette in campo la presenza di una individualità, che io preferirei chiamare
soggettività: i processi esplosivi sembra che abbiano a che fare con un atto di costruzione della
coscienza di un soggetto, e che ricostruisce la memoria sulla base di una produzione selvaggia di
metafore. Proviamo ora a creare un quadrato
turbolenze
ibrido
Sistematico Extrasistematico
Proprio Altrui
Aspecifico Specifico
Identico Alieno
neutro
Lo strato delle turbolenze è quello che garantisce il passaggio dell'esotico, dell'altro non altro etc; a
noi interesserà più il livello della Neutralità, quello dei richiedenti asilo, che perdono qualcosa per
(sperare di) guadagnare qualcos'altro, o che vengono interrogati e vogliono divenire-identico (o no).
60
In più, tagliando in diagonale il quadrato, il Sistematico / Identico / Ibrido fanno parte del regno
dell'identità e memoria, mentre quello del Neutro / Alieno / Altrui fa parte del mondo dell'oblio.
Il momento esplosivo non è un momento aurorale di qualcosa, semplicemente ristruttura una
struttura in maniera forte: ma è quello che trasforma l'archivio in memoria, lo costringe a
riconfigurarsi.
Tutto questo si muove sempre tra l'individuale e collettivo: per Lotman le strutture umane … ora
rappresentiamo
Singolo Individuo
(dettaglio) esempio di unitarietà parte della collettività (frammento)
principio qualitativo principio quantitativo
principio di continuità principio di discrezione
la cultura come insieme di ritmi che si correlano, che si sovrappongono anche nelle e oltre le
sfasature: la cultura può essere stabilita come semiosfera, insieme di elementi coerenti in relazione
tra di loro quando due o più elementi soggettivi entrano in dialogo tra di loro. La semiosfera è lo
spazio del senso, e al di fuori di esso non c'è senso. Qui cominciano i paradossi
La “semiosfera” viene ripresa dalla biosfera di Bernazki, che divide lo spazio della terra in diversi
strati: la geosfera, con elementi inerti; la biosfera, l'involucro della vita, dove gli elementi chimici
sviluppano energia, e la noosfera, dove le vite si incrociano, l'ordine del fare e dell'uomo che piega
la vita alla sua volontà. A questa noosfera Lotman aggiunge la Semiosfera, il luogo di ciò che
sappiamo su ciò che abbiamo fatto.
IL saggio di Marsciani vi fa ragionare proprio su questo (quante sono le semiosfere? Quale è il
confine? Come è fatta dentro?); se noi pensiamo la semiosfera come unica, noi siamo di nuovo al
sistema-cerchio.
Prima contraddizione: se non esiste senso al di fuori della semiosfera, come fa il dialogo a generare
linguaggio? Se invece le semiosfere fossero tante, evidentemente sarebbero degli spazi di
pertinenze soggettivi, ciò che noi chiamiamo testo.
Allora esiste uno spazio intersemiosferico, e i testi sono infiniti quante le reti di pertinenza
immaginabili. Fondamentale allora diventa, sia per l'identità della semiosfera, sia per l'identità
dell'altro, il concetto di Confine. Ma soprattutto, all'interno di un sistema è sempre possibile aprire
un confine, un continuo laborìo di traduzioni e dinamismo continuo.
Tutto questo ha a che vedere con la coppia sistema/processo: da una parte qualcosa di sincronico,
stabile, definibile in un sistema unico; dall'altra, quello che interessa a lotman, storico, dinamico,
ma definibile a partire dagli elementi e dal tempo. Il suo sistema, diverso da quello dello
strutturalismo francese, può SECONDO ME caratterizzarsi come un sistema di mediazione tra due
istanze: quella della Cultura, secondo l'accezione di LS; e quello della Memoria/Identità, secondo
l'accezione di Ricoeur. Tenere assieme quindi un processo statico e un processo dinamico.
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SEMIOTICA DELLA CULTURA LS, lez. Xb 1/06/12
Shogib e xxx del bangladesh
già dal modulo c3 vediamo i problemi di traduzione di categorie culturali
DATO → EVENTO
(Prove indiziarie) (Narrazione, punto di vista)
INTERROGATORIO RAPPORTO
Casualità Causalità
A Shogib viene dato diritto alla protezione sussidiaria, non all'asilo politico. Si è adeguato quindi
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allo statuto di soggettività proposto dall'avvocato, piuttosto che ritirarsi nella sua posizione; gli
viene quindi confermato un ruolo di vittima di aggressione etnico/religiosa, non politica. É per
questo che l'ho chiamato l'ospite disatteso, viene ributtato su un nuovo confine.
Quando leggerete invece il caso di Shumon, vedrete la sua capacità (attiva) di muoversi lungo i
confini, produce le sue soggettività e fa tutto attraverso la sua voce.
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con la pelle di Marsia che il Cristo/Apollo strazia.
Infine, studiare l'immagine di Michelangelo seguendo le linee di Omar nel Sé come Altro; non mi
interessa la reale somiglianza, indimostrabile. É invece una somiglianza dovuta alla proiezione di
tratti identitari sulle figure, e in questo una serie di fonti sono “Il conflitto agostiniano” mediato dal
Petrarca; possiamo ritrovarla in Michelangelo nelle Rime, 87, 1534 ca
Michelangelo come Ebreo / Antenato / Giuseppe: adesso aggiungo un disegno satirico di Maccio
Bandinelli, che identifica Michelangelo con Giuseppe; e poi farei un parallelo con La scuola di
Atene di Raffaello, dove si riconoscono insieme il filosofo Eraclito e Michelangelo.
Si costruiscono allora una serie di polarità: l'alto e arioso Platone contro il pensieroso, saturnino e
asociale pensieroso;
il pensieroso come qualcosa che ritarda ed esiste: Michelangelo/Giuseppe impedisce la luce della
grazia, mentre Michelangelo/Eraclito è allontanato dalla luce delle idee. Per me insomma in
Raffaello ci sarebbe una questione teologica. Una lettura molto speculativa, lo concedo.
Il legame tra i due è quello del Melanconico (due anni dopo Duhrer creerà la sua famosa opera).
Mentre l'autoritratto come Giuseppe è un gioco di alterazione, di mettersi nella pelle di un altro,
nella scuola di Atene si assiste ad un processo di Incorporazione, che mantiene l'altro in quanto
altro, a costo di squilibrare la struttura dell'opera stessa. Raffaello lascia in qualche modo gli stilemi
michelangioleschi, non li traduce, anche a costo di rendere non-uniforme l'insieme.
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– rapporto tra memoria collettiva e il racconto dell'esperienza traumatica
– il confronto o l'interdizione tra l'archivio delle immagini di una tragedia e il testimone
– la possibilità di articolare una presa di posizione per lo spettatore di fronte alle immagini
il posto del cinema di guerra nel meccanismo della cultura
Da Juri Lotman, la caccia alle streghe; è noto che lo studio del socium nei suoi momenti di crisi è
uno dei metodi più adatti per far emergere la invariante “normale” della struttura del socim stesso.
Lo studio dei meccanismi semiotici che si attivano in una società in preda alla paura ci interessa non
solo in sé e per sé ma anche come strumento per rappresentare a noi stessi il meccanismo semiotico
della cultura in quanto tale.
[visione del film]
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là del principio del piacere) Laplanche e Pontalis, e infine Lacan.
L'idea delle due temporalità del trauma, è nella scena secondaria che si patisce l'evento, (come nel
sogno che ritorna nel film, quella dell'emersione dal mare di Beirut); questa doppia temporalità è
messa in scena soprattutto in questa sequenza, ripetuta per 3 volte nel film.
Il sogno nel mare di Beirut
di questo Flashback nessuno dei suoi commilitoni sa dargli conferma; questo flashback, come scena
secondaria, è sospesa tra passato e presente (vive infatti di incastri con altri racconti e reportage:
segnalo per il momento quello dei razzi)...
la sequenza termina con quella che in linguaggio cinematografico si chiama una “interpellazione”,
momento in cui qualcosa o qualcuno si rivolge allo spettatore: l'inquadratura che serve ad
agganciare direttamente l'osservatore, e crea un ponte tra ciò che stiamo vedendo e noi che
vediamo; rompe sostanzialmente la 4 a parete.
Ma il problema è che lo spettatore, con la rotazione della telecamera e l'interpellazione, non può
vedere quello che Ari vede nell'ultimo momento; non è una mera esclusione dello spettatore, ma
chiamarci in causa per offrirci (in seguito, solo nel finale) qualcosa da vedere: affinché gli spettatori
condividano lo sguardo con Ari, c'è bisogno di un passaggio intermedio. Io lo chiamerei una prima
forma di Condivisione, come preparazione e chiamata in causa. Tanto più che nella sequenza finale
avremo una soggettiva, noi guarderemo con gli occhi dello spettatore diegetico...
[Robert Fisk, un importante fotoreporter mediorientale; e Jean Genet, scrittore teatrale e teorico:
due testimonianze con cui ho confrontato il film, in particolare con le componenti cromatiche dei
traccianti che scendevano]
Fisk prende le stesse immagini girate dalla BBC, e per ricostruire l'intellegibilità degli eventi crea
una cornice politica e cronachistica; difatti le varie riprese abbandonate dalla bbc sono riprese dalla
troupe di Fisk, e inserite per dare un senso a tutto il materiale.
Immagini abbandonate dalla troupe, riprese perché potevano dare senso; le altre troupe
internazionali non riuscivano a ricostruire una cornice sensata; Fisk restituisce dignità a queste
immagini, e attua operazioni di assemblaggio e di senso, dotandole di forza performativa e potere
politico.
Anche Ron Ben Yshai, come Fisk, si aggira il giorno dopo per produrre immagini in diretta sul
massacro; la macchina da presa, che prima inquadrava i giornalisti, li supera accompagnando le
donne, fino a superare anche loro e trovare il volto di Ari in fondo al vicolo. Lo sguardo dei
sopravvissuti incontra lo sguardo del protagonista, completando l'interpellazione di prima.
Le immagini di repertorio che adesso troviamo non sono più rivolte al cameramen originale, sono
rivolte ad Ari: a quello sguardo di Ari che noi abbiamo incontrato nuovamente; costituiscono la
“soggettiva mancante”.
Guardate anche la trasformazione cromatica che c'è stata; dove nella prima c'erano effetti di realtà
molto forti, adesso il cromatismo vira al giallo, come in molte ricostruzioni. Le immagini di
repertorio rompono le le circolarità ed indicano il luogo verso il quale il punto di vista del
protagonista è diretto.
L'eredità di queste immagini diventa la posta in gioco con cui queste immagini tornano a parlare nel
presente; se esse ci riguardano, dobbiamo assumerne la responsabilità e reinserirle nell'ordine dei
discorsi sociali (il discorso sul debito con cui abbiamo aperto le lezioni). Rientrano, con una nuova
efficacia, in un racconto testimoniale, che fa della difficoltà della ricomposizione il suo tema, e solo
alla fine questa ricomposizione rimette in dialogo immagini “autentiche” che ora vengono
“autenticate”. [concetto preso da Pietro Montani ne l'immaginazione intermediale]
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