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Wittgenstein

Leggere il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein

Introduzione

Il libro di una vita e il lavoro su di sé


Il Tractatus è uno dei testi più discussi del Novecento, il quale tratta principalmente di logica, linguaggio e
significato. Tuttavia, Wittgenstein definirà il tema del suo libro come un tema etico, un tema non scrivibile o
tematizzabile, ma solo delimitabile.

L’etico del Tractatus è da intendere nel significato etimologico che ha la parola greca ethos: dimora,
abitazione, apertura di un luogo decente per l’uomo sulla terra.
La qualità etica del libro sta nel lavoro di delimitazione tra ciò che è dicibile e ciò che è indicibile, tra ciò che
può essere sensatamente espresso nel linguaggio, ciò che si può dire, e il mondo dei valori, che non è
dicibile nel linguaggio.
L’obiettivo di W, quindi, era delimitare il campo della sensatezza attraverso un libro su linguaggio e logica, e
far comprendere così anche cose fondamentali intorno ai problemi della vita, che non vengono mai sfiorati,
neanche una volta risolti i problemi scientifici. (T 6.52).

“Tracciare al pensiero un limite”

(T, prefazione) Il libro vuole, dunque, tracciare al pensiero un limite, o piuttosto – non al pensiero
stesso, ma all’espressione dei pensieri: Ché, per tracciare un limite al pensiero, noi dovremmo
poter pensare ambo i lati di questo limite (dovremmo dunque pensare quel che pensare non si
può). Il limite non potrà, dunque, venire tracciato che nel linguaggio, e ciò che è oltre il limite non
sarà che nonsenso.

Il tema della delimitazione interna (nel linguaggio) è Kantiano: come in Kant, in Wittgenstein il limite non ha
il senso negativo di barriera, ma ha piuttosto il senso di una delimitazione che apre dall’interno,
positivamente, una regione possibile di esperienza.

Il compito della filosofia


Come già detto, il libro vuole tracciare un limite all’espressione dei pensieri.
La filosofia è attività di delimitazione: ed è questo che W intende quando parla della filosofia come
attività, terapia, critica, non come insieme di tesi e contenuti.
L’accezione wittgensteiniana di critica del linguaggio non riporta soltanto a un concetto di
decostruzione degli inganni grammaticali di superficie, ma anche, kantianamente, di definire dei limiti
e delle condizioni di possibilità; di definire in altre parole, non il fatto, ma il diritto, cioè un campo di
legittimità.
In tal senso, W non pensa la terapia della filosofia astrattamente e metodologicamente, cioè come
traduzione della forma grammaticale nella forma logica corretta. La logica non è infatti descrivibile
dall’esterno, come un fatto; la logica è invece un fatto assoluto, essenziale, è l’articolazione del
linguaggio-mondo. In altre parole, il Tractatus dice il mondo a partire dall’essenza del linguaggio, in
quanto il linguaggio in sé è già logicamente ordinato; si tratta quindi non di correggere la forma, ma di
mostrarla, o di fare in modo che si mostri: non correzione, ma chiarificazione. (T, 4.112)
Il lavoro etico della filosofia viene espressa da Wittgenstein attraverso l’opposizione tra il compito
della filosofia (chiarificatore) e il compito cumulativo delle scienze: la filosofia non spiega né deduce,
non propone tesi ma si limita a metterci tutto davanti; non è tematica e cumulativa e non parla di
oggetti.

Capitolo 1
Il nesso tra dire e non dire, tra senso e nonsenso

Uno dei temi più noti del Tractatus è la questione del silenzio o “di ciò di cui non si può parlare” e tra le
altre cose Wittgenstein ne fa la cornice, cioè l’apertura e la chiusura del libro:

(T, prefazione) Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Tutto ciò che può essere
detto si può dire chiaramente; e su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.

(T, 7) Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.

È quindi importante esporre la relazione che Wittgenstein propone tra dicibile e indicibile, tra senso e
nonsenso.
Wittgenstein riprende la concezione di Frege del nonsenso come impossibilità di parlare del linguaggio e del
rapporto linguaggio-mondo dall’esterno. A differenza di Frege, Wittgenstein sostiene una concezione del
nonsenso più rigida, cioè lascia cadere l’idea, presente in Frege, di un nonsenso sostanziale e illuminante in
rapporto al senso.
Il nonsenso avrebbe in W solo la funzione terapeutica e antimetafisica di curare l’illusione che il nonsenso
significhi qualcosa, cioè, in altre parole, attraverso la chiarificazione di ciò che non è pensabile si fa luce su
quello che invece lo è.
Tuttavia, si potrebbe dire che il tema della terapia è espressa nel Tractatus attraverso il compito etico di
delimitazione, e che proprio il tema della delimitazione istituisca un nesso tra senso e non senso.
Per capire meglio tale concetto è possibile reinterpretare il rapporto tra senso e nonsenso attraverso il
nesso tra forma e limite, cioè tra la forma del linguaggio e la sua indescrivibilità.

Il Tractatus non ci parla subito del linguaggio e della forma del linguaggio, ma si apre con dei temi
ontologici. Le prime proposizioni propongono una definizione di mondo nel suo complesso, come totalità:

(T, 1) il mondo è tutto ciò che accade

(T, 1.1) Il mondo è la totalità dei fatti

Con il concetto di un mondo di fatti Wittgenstein sembra partire dall’opposizione tra universalità-necessità
(totalità) e contingenza (ciò che capita). Il mondo per W è caratterizzato dall’assoluta casualità, e sono i fatti
a determinare il caso. (T, 1.12)
Secondo questa ontologia, il mondo è un insieme di fatti fatti e oggetti si richiamano tra loro. In
seguito, capiamo che il mondo è raffigurato dal linguaggio, l’enunciato raffigura il linguaggio e gli enunciati
sono composti dai nomi.
Il libro, dunque, prende avvio da un’ontologia, ma W non si limita solo a questo:

(T, 1.13) I fatti nello spazio logico sono il mondo.

Il mondo è uno spazio logico di fatti: la prospettiva si sposta sul linguaggio, inteso come forma logica della
realtà.
Per capire l’ontologia, quindi, bisogna capire cosa sia lo spazio logico, cioè lo spazio del linguaggio, e
bisogna studiare la teoria del linguaggio come immagine, perché il linguaggio in quanto immagine è il luogo
logico dei fatti:

(T, 2.11) L’immagine presenta la situazione nello spazio logico.

Il linguaggio come immagine dei fatti del mondo, dunque è questa la risposta al problema della relazione
tra linguaggio e ontologia?
A partire da questo punto di vista si ascrive spesso al Tractatus una teoria del linguaggio come immagine o
teoria della raffigurazione; tuttavia, per W la filosofia non è teoria che abbia per oggetto il linguaggio: non
vuole offrire una teoria del linguaggio, perché la filosofia non è discorso teorico relativo a un oggetto, ma è
attività di chiarificazione, e inoltre il linguaggio non è un oggetto, come lo sono gli oggetti di cui parlano le
proposizioni delle scienze. L’oggetto del Tractatus, quindi, non è il linguaggio, ma la cosa del linguaggio,
l’essere del linguaggio, il linguaggio come essenza e non come strumento, in altre parole, l’oggetto del
Tractatus è ciò che fa del linguaggio un linguaggio, ciò che costituisce il fatto.
Ciò che fa essere il linguaggio un linguaggio è la forma logica, cioè l’insieme dei tratti essenziali del
linguaggio.
Alla forma logica W assegna il compito di raffigurare l’ontologia, la forma del mondo. Bisogna ora capire
come può l’essenza del linguaggio corrispondere all’essenza della realtà.

Fondamentale è l’idea di un linguaggio autonomo che Wittgenstein fornisce: le proprietà formali interne del
linguaggio non sono descrivibili:

Il sussistere di tali proprietà e relazioni interne non può essere asserito da proposizioni

Le proprietà sono interne perché non sono fatti contingenti, ma condizioni di sensatezza. Se potessimo
descrivere una condizione formale implicheremmo che è contingente, cioè che potrebbe anche non
realizzarsi: questa descrizione è insensata, come anche la sua negazione.

Nei Quaderni egli connette il tema dell’unicità del linguaggio con l’impossibilità di parlare del linguaggio
prendendone le distanze: poiché siamo sempre entro il linguaggio, non ne possiamo parlare dall’esterno.
Non possiamo collocarci fuori dalla logica, cioè fuori dal mondo come ci è dato: la proposizione non dice il
suo senso, cioè il suo rapporto di raffigurazione col mondo, ma lo mostra; ciò che l’immagine ha in comune
con la realtà che rappresenta, cioè la forma logica, non è rappresentabile.
La filosofia, quindi, deve essere in grado di fare vedere la forma del linguaggio, di far vedere dall’interno le
condizioni del dire, senza pretendere di assumere una posizione esterna privilegiata.

Immagine (Bild)
L'immagine all' interno del Tractatus viene introdotta da Wittgenstein nella seconda proposizione,
affermando che noi ci facciamo un'immagine dei fatti.
Innanzitutto, va chiarito cosa intenda Wittgenstein con immagine, in quanto si tratta di un’accezione
lontana dall’uso comune. Quest’accezione di immagine copre ogni tipo di rappresentazione; sarebbe,
dunque, erroneo pensare all’immagine visiva come al solo tipo di immagine cui si riferisce W.
In tedesco la nozione di immagine (bild) ha una notevole varietà di accezioni che possono essere
sostanzialmente ridotte a due.
1) Accezione rappresentazionale per cui una certa cosa è immagine di un’altra se ne conserva una
certa somiglianza. Perché si possa dire che una certa configurazione è un’immagine di qualcosa è
necessario istituire una corrispondenza tra l’immagine ed il fatto raffigurato.
2) Accezione matematica: una certa configurazione è immagine di qualcosa, esiste una funzione che
istituisca la corrispondenza.

Alla luce di ciò è facile comprendere che noi concepiamo il fatto solo mediante quell'immagine o, in altre
parole, che i fatti li afferriamo in immagini; è come se tra quella che è l'immagine e quello che,
effettivamente, è il fatto ci fosse una relazione, come se agli elementi di quelle che sono le immagini
corrispondessero quelli che sono gli oggetti di cui fa parte lo stato di cose, ovvero il fatto.
Inoltre, in W la stessa immagine è un fatto, in quanto rappresenta sempre una relazione di oggetti.
Un fatto, per potersi dire un’immagine, deve avere in comune con quello che è raffigurato la forma di
raffigurazione: se io dovessi scattare una foto, noterei che la mia immagine deve avere in comune, ad
esempio nel caso di un paesaggio, il livello cromatico, dunque colori sia nella foto scattata che nel
paesaggio stesso. (FORMA DI RAFFIGURAZIONE)
Per quanto riguarda l'immagine in sé dobbiamo dire che essa per potersi dire vero o falsa deve avere in
comune con la realtà la FORMA LOGICA, ossia il punto di mediazione e d'incontro tra l'essenza del
linguaggio e l'essenza della realtà. La forma di raffigurazione e la forma logica non possono essere
rappresentate ma possono essere mostrate o esibite perché se, come detto prima, scattassi una fotografia
posso mostrare l'immagine che ho ottenuto, ma non come la macchina fotografica sta scattando. A tal
proposito nota che l'immagine deve essere un'immagine LOGICA proprio perché ha in comune con la realtà
la forma logica.

Capitolo 2
Forma logica come raffigurazione

La forma logica nel Tractatus è la forma di raffigurazione del linguaggio, cioè l’elemento strutturale comune
a linguaggio e mondo:

(T, 2.18) Ciò che ogni immagine, di qualunque forma essa sia, deve avere in comune con la realtà, per
poterla raffigurare – correttamente o falsamente – è la forma logica, ossia la forma della realtà.

Le proposizioni del linguaggio raffigurano fatti, ma non attraverso somiglianza materiale, bensì attraverso
un’uguaglianza di relazione.

(T, 2.151) La forma di raffigurazione è la possibilità che le cose siano l’una con l’altra nella stessa relazione
che gli elementi dell’immagine.

Per spiegare l’idea wittgensteiniana di linguaggio come raffigurazione proiettiva interna al mondo è
importante considerare alcune parole-concetto del Tractatus: Darstellen e Bild – che sono parole chiave
perché ci fanno capire che i temi della rappresentazione e dell’immagine non hanno gli stessi concetti nel
linguaggio e nel suo rapporto col mondo, infatti ci permettono di capire che da una parte ciò che è
immagine è una struttura e non un’etichetta o un nome che stia per un oggetto; e dall’altra che l’immagine
rappresenta non un fatto, ma la possibilità del fatto, come è detto nella proposizione 2.202:

L’immagine rappresenta una possibile situazione nello spazio logico.

Ricorre invece più raramente Vorstellen: rappresentare nel senso di idea, riproduzione mentale dei dati dei
sensi.
Vorstellung in Kant e Schopenhauer significa il rapporto conoscitivo col mondo; con Vorstellung Kant
designa, nella critica della ragion pura, la rappresentazione cognitiva: è la sintesi categoriale del molteplice
che ha per esito la costruzione degli oggetti dell’esperienza. La parola Darstellung, tradotta con esibizione,
domina invece nella critica del giudizio, dove designa la presentazione simbolico-metaforica del giudizio
riflettente soggettivo.

In Wittgenstein Darstellung prevale su Vorstellung perché il tema della rappresentazione linguistica prevale
sulla rappresentazione cognitiva.
Il linguaggio è Darstellung, rappresentazione strutturale che raffigura i nessi formali degli oggetti; la
proposizione è un’immagine della realtà in accordo a determinate proprietà formali comuni a linguaggio e
realtà: il linguaggio è un insieme di proposizioni che sono bilder, dei modelli, cioè delle rappresentazioni di
strutture, non di oggetti. Bild non andrebbe infatti tradotto con immagine, ma piuttosto con quadro, che
allude al carattere strutturale della forma.

Da questo punto di vista, il linguaggio non è dunque una riproduzione di oggetti dati, ma un’idea di
esibizione di nessi formali e le proposizioni sono immagini di stati di cose possibili.
Ciò che accade ci è dato in uno spazio logico: il mondo non ci è dato come esistenza, ma ci è dato nel
linguaggio, in configurazioni possibili di cose.

L’accadere, in sé opaco, assume senso di mondo in quanto è configurato nello spazio logico del linguaggio.

Abbiamo così il tema del linguaggio come spazio logico del mondo: ciò che è pensabile e dicibile non è
l’esistenza contingente, ma la sua possibilità linguistica.
Ciò che possiamo dire del mondo è già nel mondo, come ci è dato nella configurazione linguistica.
Diciamo non le cose, ma il loro accadere in un nesso, in uno stato di cose.
Lo spazio logico è lo spazio della forma, di cui i vari tipi di spazio sono delle sottospecie.
Lo spazio logico va inteso dunque come sistema di riferimento, luogo della forma e della possibilità di
relazione.

Non possiamo dire nella logica: Questo e quest’altro v’è nel mondo, quello no.

Le proposizioni della logica non sono creazioni della mente umana, ma mostra il rapporto tra lingua e
mondo.
La logica è TRASCENDENTALE. Attraverso la logica non scopriamo nulla ma mostriamo le condizioni di
verità.
La logica precede l’esperienza:

(T, 5.552) per comprendere la logica non abbiamo bisogno dell’esperienza che qualcosa sta in questo o in
quel modo, ma dell’esperienza che qualcosa è: ma questa non è un’esperienza.
La logica è prima di ogni esperienza – che qualcosa è così.
Essa è prima del Come, non prima del Che cosa.

La logica non parla dei fatti contingenti del mondo, non da una conoscenza empirica del mondo, ma da la
forma, cioè la connessione linguaggio-mondo.
Capitolo 3
Nel Tractatus sembrano coesistere due prospettive semantiche tra loro confliggenti: da una parte, ci viene
detto che il significato è nel complesso, nella proposizione che raffigura stati di cose, ma dall’altra parte, le
proposizioni complesse, sono funzioni di senso delle proposizioni elementari.

Se l’immagine logica dei fatti è il pensiero, allora possiamo farci un’immagine solo di ciò che possiamo
pensare. Non possiamo, infatti, pensare niente di illogico, la logica è necessaria e non contingente.

Il segno proposizionale è il segno mediante il quale esprimiamo il pensiero: la proposizione è il segno


proposizionale nella sua relazione proiettiva col mondo, cioè la proposizione ci permette di esprimere il
pensiero, il mondo. Nella proposizione non è ancora contenuto il senso di ciò che sta proiettando, ma solo
la possibilità di esprimerlo.

Il segno, invece, è ciò che nel simbolo è percepibile con i sensi. Due simboli differenti possono avere in
comune il segno (scritto, sonoro…) e designano quindi in modo differente. Nel linguaggio comuna infatti
capita molto spesso che la stessa parola designi in modo differente, che appartenga dunque a simboli
differenti. Ad esempio, nella proposizione “Bruno è Bruno” la prima parola è un nome di persona, l’ultima
un aggettivo: queste parole hanno simboli differenti. È soltanto col suo impiego logico-sintattico che il
segno determina una forma logica.

Capitolo 4
il mondo non è un presupposto, ma ci è dato nella condizione linguistica, cioè nella regola di raffigurazione
che costituisce il linguaggio.
Questo criterio del senso è anche criterio del nonsenso, sulla cui base distinguiamo:
1) Le proposizioni significanti empiriche, che mostrano come stanno le cose, cioè il proprio senso.
2) Le tautologie e le contraddizioni, che sono proposizioni limite, non dicono nulla del mondo perché
non sono immagini: sono senza senso, cioè senza condizioni di verità, e quindi vere o false a tutte le
condizioni di verità.
3) Le proposizioni filosofiche, che sono insensate perché pretendono di dire sulla forma della
rappresentazione del mondo, che è irrappresentabile.

Quanto al nonsenso logico, la verità delle proposizioni logiche sta nella loro struttura: sono tautologie, cioè
proposizioni sempre vere per la forma, vere in tutti i possibili stati di cose. La tautologia e la contraddizione
non dicono nulla, la tautologia ammette tutte le condizioni di verità, la contraddizione le esclude tutte.
Tautologia è contraddizione son perciò senza senso, ma non insensate, non violano cioè le regole della
sintassi e della forma logica.
Le proposizioni della filosofia sono invece insensate: le proposizioni del Tractatus sono illustrazioni che
mostrano la propria insensatezza e conducono al silenzio, al non poter dire. Va notato però che in
Wittgenstein il tema dell’indicibile non ha la stessa accezione del neopositivismo: Carnap sostiene che il
metodo dell’analisi logica porta a separare le proposizioni delle scienze empiriche, che sono sensate, dalle
pseudo-proposizioni, cioè dalla successione di parole che si rivelano prive di senso.
Le pseudo-proposizioni sono classificabili in due tipi: o quando vi ricorre una parola che si crede
erroneamente avere un significato, o quando le parole hanno significato, ma sono combinate in modo
contrario alla sintassi. In Wittgenstein l’indicibile non è un insieme di pseudo-proposizioni, ma è una
funzione trascendentale: l’indicibile ha cioè un legame interno, necessario, col dicibile. Non si comprende il
dire se ad esso non si oppone l’indicibile.
Nel Tractatus Wittgenstein introduce il tema del mostrare e la distinzione dire/mostrare. (T, 4.121)
Egli sostiene che la forma, cioè la connessione linguaggio-mondo, non può essere detta, ma solo mostrata,
e parla della filosofia come attività che è investita dal compito di esibire la forma. Si tratta di un’attività a
valore epistemologico, in quanto per Wittgenstein la filosofia dovrebbe definire lo stile di una conoscenza
che non riduce il significato ad oggetto ma che mostra configurazioni di senso. Wittgenstein designa questa
attività con “mostrare”.
Questi termini significano in quanto sono in opposizione a “dire”, cioè al dire rappresentativo delle scienze
naturali, che parlano degli oggetti del mondo con verità o falsità.
Questo è il compito della filosofia, un compito di esibizione della forma e di delimitazione.
La proposizione 6.54 dice infatti che le proposizioni del Tractatus sono illustrazioni, chiarificazioni che
mostrano la forma, cioè le condizioni del dire, mostrando allo stesso tempo di non poter essere dette.

Il senso non può essere detto come un oggetto, ma solo delimitato dall’interno, mostrato.
Wittgenstein oppone dunque l’attività filosofica, intesa come attività di presentazione della forma e di
delimitazione, al dire rappresentativo delle scienze naturali.
“Mostrare” è la capacità esibitiva della forma ed è il compito della filosofia che, quindi, non riforma
metodologicamente, ma mostra la forma del linguaggio.
La filosofia non è spiegazione, ma attività, chiarificazione, non ha lo stile cumulativo delle scienze ma si
limita a metterci tutto davanti.

In sostanza, quindi, l’attività filosofica per Wittgenstein ha due funzioni principali: l’esibizione-
presentazione, cioè il mostrare, e il limite-delimitazione, la proibizione del dire rappresentativo.
Così la parte finale del Tractatus, dicendo che le proposizioni appena lette sono insensate e indicibili,
suggerisce che l’opera stessa è una presentazione che esibisce il fatto del linguaggio, mostrando allo stesso
tempo che questo fatto non è rappresentabile.

A partire da questo punto di vista Wittgenstein sviluppa il tema della figura filosofica del soggetto: il
soggetto non è un io empirico, ma è un io trascendentale, interno al mondo e al linguaggio. L’io non è una
parte del mondo, non è separabile dal linguaggio, non possiede il linguaggio come strumento, ma semmai
ne è costituito.

(T, 5.632) il soggetto non è parte, ma limite del mondo.

L’essere condizione del mondo, infatti, è una relazione necessaria, non contingente.
Per quanto già detto sul tema del dicibile e indicibile, sappiamo che nel Tractatus il silenzio ha un rapporto
essenziale col linguaggio, è cioè legato all’analisi del dire sensato.
In Wittgenstein la questione del silenzio ha valore epistemologico ed etico: non è semplice terapia contro le
illusioni metafisiche, ma è nella costituzione ontologica del linguaggio. L’indicibile è ciò che non può essere
detto se si vuole parlare sensatamente.
Il concetto di limite è in questo caso un concetto kantiano: parlare di limite della ragione non significa
chiusura e impotenza rispetto a un’altra regione inconoscibile di oggetti, ma limitazione interna,
trascendentale, che apre lo spazio della conoscenza possibile.
Etica
Nelle sezioni finali del Tractatus prende posto il concetto linguistico di «Mistico». Esso è «l’ineffabile» o
«l’inesprimibile», ovverosia ciò che non può dirsi, ma soltanto mostrarsi.

Il Mistico esiste pur non risiedendo fisicamente nei fatti; per questa ragione esso rappresenta i problemi più
vitali, ossia quelli inerenti l’esistenza del mondo nella sua totalità, e il senso della vita in generale. Secondo
Wittgenstein, in virtù della loro natura inaccessibile e misteriosa, questi problemi non possono trovare
un’espressione sensata attraverso il linguaggio; la stessa etica viene posta nella regione dell’inesprimibile e
del mistico. Già nei Quaderni, precisamente in una riflessione del 25 maggio del 1915, il filosofo austriaco
utilizzava il concetto di «mistico» per definire l’oggetto di quell’impulso e tendenza «di tutti coloro che
hanno mai cercato di scrivere o di parlare di etica o di religione». Questa naturale propensione che
accomuna molti pensatori ha, secondo Wittgenstein, origine

Dalla mancata soddisfazione dei nostri desideri da parte della scienza. Noi sentiamo che anche una volta
che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, il nostro problema non è ancora neppur
toccato. Certo non resta allora più domanda alcuna, e appunto questa è la risposta.

Il concetto di «mistico», sia nei Quaderni che nel Tractatus logico-philosophicus, fa riferimento, dunque, a
quei problemi esistenziali che non avranno mai una vera e propria risposta in quanto si pongono oltre il
dominio delle possibili domande.
L’etica, allo stesso modo, non può essere ridotta a un insieme di definizioni su ciò che è giusto o buono,
poiché trova la sua manifestazione in un atteggiamento interiore, in una «presa di posizione del soggetto
verso il mondo» e verso la vita. Il Mistico, in virtù del suo essere assoluto e ineffabile, raccoglie in sé tutti
quegli aspetti che sfuggono al linguaggio significante, tanto che il suo carattere universale verrebbe meno
se si tentasse di parlarne. Per Wittgenstein la verità etica, estetica e religiosa si manifestano in un solo
modo: nel loro essere vissute. Linguisticamente parlando, il silenzio è l’unica strada percorribile per non
precipitare nel nonsenso. Il valore, e con esso il senso del mondo, viene posto in una dimensione elevata e
fuori dal mondo stesso. Ma, come si è appena accennato, ciò che non è dicibile non è, tuttavia, anche
invivibile. Paradossalmente sono proprio questi gli aspetti che nell’esistenza di ciascuno contano davvero.
L’uomo percepisce, sente e intuisce questi valori, ma non riesce a parlarne. Si deve allora tacere.

Con il tema dell’indicibilità Wittgenstein presenta lo stile argomentativo della filosofia come attività di
chiarificazione e insieme delimitazione del linguaggio. L’attività filosofica non può parlare attraverso gli
strumenti del “dire”, pena l’insensatezza.
Quello che chiamiamo silenzio metalinguistico è rappresentato nel Tractatus dalle proposizioni finali e
dall’immagine della scala che va gettata. Le proposizioni del Tractatus sono indicibili e insensate, perché
non dicono dei fatti ma mostrano le condizioni di senso del linguaggio.

Oggetti
gli oggetti sono ciò di cui il mondo è costituito, quindi la sua sostanza.  Alla sostanza del mondo attribuiremo
i caratteri della permanenza, della fissità e dell’immutabilità. Di mutamento avrà senso parlare, solo in
rapporto alle configurazioni degli oggetti (2.027). Gli oggetti, invece, restano quello che sono. «La sostanza
è ciò che sussiste indipendentemente da ciò che accade» (2.024). E ciò che accade è il fatto.
Per lo stesso motivo gli oggetti debbono ricevere una caratterizzazione anche in rapporto alla forma  di
mondo: se sono dati gli oggetti, con ciò non è dato un  mondo, ma solo la sua possibilità. Ciò che è comune
ad ogni mondo possibile, dunque La forma di mondo, «consta di oggetti» (2.023 e 2.031).
Inoltre gli oggetti saranno semplici, se non fossero semplici sarebbero composti e dunque diventerebbero
un fatto. Tuttavia, è essenziale per gli oggetti essere parte dello stato di cose, infatti, come non possiamo
concepire oggetti spaziali fuori dallo spazio, oggetti temporali fuori dal tempo, così non possiamo concepire
nessun oggetto fuori dalla possibilità della sua combinazione con altri.
La cosa, quindi, è indipendente perché può occorrere in tutte le situazioni possibili, ma questa forma di
indipendenza è una forma di connessione con lo stato di cose.

Gli oggetti costituiscono la forma del mondo, e non possono costituire delle proprietà materiali, che sono
invece rappresentate dalla proposizione.

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