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Nasce a Stoccarda nel 1770 e muore nel 1831 a Berlino. Con Hegel l’idealismo tedesco arriva alla sua massima
espressione. Hegel possedeva la possibilità economica adeguata a poter studiare. Quando frequentava il ginnasio
aveva un diario in latino per esercitarsi nella lingua che era tipica del panorama scientifico del tempo. Si iscrisse
all’Università al seminario teologico di Tubinga. Mentre era studente condivise la stanza con un poeta e
successivamente con Schelling (più giovane di Hegel). Inizialmente c’è una grande amicizia tra questi personaggi, sia
Hegel che Schelling in realtà era soffrivano la rigorosa disciplina che gli veniva imposta e quindi a volte Hegel
marinava le lezioni. Il giudizio severo degli insegnati gli permise di reagire alla situazione negativa che stava vivendo
dimostrando le proprie qualità. Dopo aver frequentato il seminario completa la formazione e diventa magister filosofie
nel 1790 e si laurea in teologia nel 1793. Come la maggior parte degli intellettuali dell’epoca fa il precettore, in
Svizzera a Berna e a Francoforte. Morì il padre nel 1799, il quale gli cedette un’eredità cospicua, che utilizzò per
finanziarsi l’attività accademica da ricercatore. Diventa un filosofo di professione e grazie a questa attività diventa
docente nell’Università di Jena (dove era stato docente Fichte, dove già insegnava Schelling). Agli studenti non piace
questo professore, poiché utilizza un linguaggio criptico, incomprensibile. Hegel collabora con Schelling nel giornale
critico della filosofia. Nel 1807 pubblica la Fenomenologia dello spirito, criticando implicitamente l’impostazione
idealistica della filosofia di Schelling. I due litigano e non si riappacificarono mai.
Nel 1807 Napoleone conquista i territori della Prussia, Fichte scrive i discorsi alla popolazione tedesca, l’arrivo dei
francesi determina lo spostamento di Hegel a Norimberga e diventa direttore e preside dell’Università. Anni di studio
e scrittura per il filosofo, dove vi rimane dal 1808 sino al 1816. Comincia a elaborare il suo sistema filosofico, una
filosofia che ha la pretesa di spiegare la realtà in tutte le sue sfumature. Tra il 1812 e il 1816 pubblica “La scienza
della logica”, molto criptica e difficile da leggere. Nel 1816 diventa docente nell’Università Heidelberg, dove rimane
solo due anni, nel 1818 diventa insegnate nell’Università di Berlino e ricopre la cattedra che prima aveva avuto Fichte
e in questa università divenne anche il rettore intorno al 1829.
In questi anni la sua importanza accademica diventa enorme, è il professore più importante di quella università, le sue
lezioni sono seguite da tante persone. Possiede tanti allievi, anche perché è un uomo molto influente anche dal punto
di vista politico, poteva giovare ai suoi allievi in ambito pratico. Vennero pubblicati gli annali berlinesi per la critica
scientifica, che sono delle pubblicazioni attraverso le quali si diffuse soprattutto la filosofia Hegeliana. Muore nel
1831 a causa di un’epidemia di colera in maniera improvvisa durante una sessione d’esame. Durante questi anni a
Berlino scrisse tante opere.
Ad Heidelberg pubblica L’enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, nel 1821 a Berlino scrive “Lineamenti
di filosofia del diritto”. Vi sono tantissime trascrizioni delle sue lezioni fatte dagli studenti. Hegel scrive in base alla
terminologia che ha coniato.
Concreto e astratto
Possiamo distinguere due espressioni che Hegel utilizza, gli aggettivi concreto e astratto. Sono due aggettivi che
utilizza per indicare il modo di conoscere la realtà; possiamo avere una conoscenza astratta o concreta delle cose.
Quando parla di astratto si riferisce al significato latino del termine, abstrarre (tirare fuori), considerare qualcosa in
maniera isolata rispetto al resto. Concreto è esattamente l’opposto, deriva dal termine latino concrescere (crescere
insieme), mettere in relazione qualcosa con qualcos’altro.
Dal punto di vista di Hegel per arrivare a una conoscenza concreta dobbiamo passare attraverso la conoscenza astratta.
Prima isolo e studio separatamente i vari aspetti della realtà, poi però vado oltre e metto in relazione questi aspetti
della realtà, acquisendo una conoscenza concreta. La facoltà che opera la conoscenza astratta (quella che isola) è
l’intelletto. La conoscenza concreta la acquisiamo attraverso la ragione, che oltre ad essere la struttura della realtà è
anche lo strumento attraverso il quale possiamo conoscere questa realtà, nel momento in cui la esaminiamo dal punto
di vista delle relazioni.
La dialettica
Per dare un’interpretazione della realtà, che lui definisce dialettica, utilizza entrambi questi termini. La realtà si
sviluppa secondo un processo di tipo dialettico, ma siccome la realtà e la razionalità sono la stessa cosa, la dialettica
possiamo intenderla sotto due punti di vista, come due facce della stessa medaglia: la dialettica descrive il modo in cui
la realtà si sviluppa (punto di vista ontologico), ma è anche la descrizione del modo in cui il pensiero coglie questo
sviluppo (punto di vista logico). La comprensione della realtà procede attraverso queste tappe: concreto e astratto.
Passiamo innanzitutto attraverso una conoscenza astratta, un momento che chiama intellettuale-astratto, nel quale ci
limitiamo a considerare i vari aspetti della realtà in maniera isolata. Poi dobbiamo passare a una conoscenza concreta,
razionale. Questo passaggio implica non l’eliminazione di quello che l’intelletto conosce in maniera astratta, ma il suo
superamento: questa forma di conoscenza viene mantenuta in maniera razionale ma viene potenziata e migliorata. Per
spiegare questo concetto utilizza il termine tedesco aufhebung (superamento): iniziamo con una conoscenza astratta
che si limita a considerare gli aspetti della realtà in maniera isolata (momento intellettuale-astratto), poi abbiamo un
momento successivo (momento razionale-negativo). Per arrivare a una piena comprensione della realtà dobbiamo
passare attraverso il momento della negazione/contraddizione. Il primo momento lo definisce anche come tesi,
come constatazione di un dato di fatto. Un momento positivo in cui osservi qualcosa, provi a capire di cosa si tratta
analizzandola in maniera separata rispetto a tutto il resto. Questa forma di conoscenza è ancora parziale, quello che vi
è dopo è il passaggio a una forma di conoscenza razionale, che però è di tipo negativo, la chiama infatti antitesi. Passo
dalla considerazione di quell’elemento a ciò che quell’elemento non è (a vedere i suoi contrari). Riprende
un’intuizione di Spinoza secondo cui “ogni determinazione è anche una negazione”. Nella conoscenza intellettiva-
astratta in realtà implicitamente viene richiamato questo momento negativo, che però è di tipo razionale: per negare
quelle determinazioni devo mettere l’ente in relazione con gli altri enti, anche con ciò che non è e non solo con sé
stesso. L’ultimo momento in cui arriviamo alla conoscenza concreta della realtà è quello della sintesi, dove tutti questi
aspetti sono tra loro collegati in modo da avere una conoscenza profonda della realtà. È anche chiamata da Hegel la
negazione della negazione, il superamento della negazione contenuta nell’antitesi. Il momento che dà slancio allo
sviluppo della realtà è il momento negativo, senza questo passaggio non è possibile arrivare a una piena conoscenza
della realtà: bisogna passare attraverso l’opposizione. È un percorso circolare: la sintesi non è il punto di arrivo ma
diventa tesi per un nuovo percorso di sviluppo. La fine di questo processo avviene quando l’assoluto raggiunga la sua
piena libertà, quando si conosce nella maniera più concreta.
Lo scopo di Hegel è quello di darci una comprensione razionale di tutta la realtà, utilizziamo quello che abbiamo detto
a proposito della dialettica per creare uno schema generale di sviluppo della realtà. C’è una sorte di triade dialettica
nella quale possiamo racchiudere le varie tappe che esplicheranno il divenire della realtà. Invece di parlare di spirito o
assoluto, utilizza il termine idea. Nella dimensione della tesi l’idea è in sé. Rappresenta la condizione in cui la realtà
non si è realizzata, è totalmente in potenza, ma, nonostante ciò, contiene in sé tutti quegli elementi che si
manifesteranno. Questa dimensione Hegel la studia in un testo che si chiama “la scienza della logica”.
L’antitesi è l’idea che è fuori di sé, è nella dimensione nella quale non si riconosce più, come se fosse estranea a sé
stessa. Questa dimensione la chiama alienazione e la individua nella natura, nella quale l’idea è al di fuori di sé.
Nella sintesi l’idea ritorna in sé, perciò diventa a quel punto per sé. Acquisisce consapevolezza di quello che è, si
riscopre nella sua identità. Questa dimensione nella quale l’idea assume autocoscienza di sé stessa, Hegel la chiama
spirito. Nella dimensione dello spirito inserisce la descrizione del percorso dell’umanità per arrivare ad avere piena
consapevolezza di sé.
L’obiettivo di questo processo è che l’assoluto arrivi alla piena coscienza di sé stesso, che coincide con la
consapevolezza di essere ogni realtà: quella dimensione nella quale la distinzione soggetto-oggetto sparisce. Non c’è
una separazione tra ciò che è oggetto e ciò che è soggetto, perché l’oggetto è lo stesso soggetto che si realizza.
Nell’introduzione della fenomenologia dello spirito Hegel fa riferimento ad autori che l’hanno preceduto, e con questa
“sottolineatura” si sta riferente soprattutto a Schelling. Nella prospettiva di Schelling ‘assoluto è unità indifferenziata
di soggetto e oggetto. Hegel non si allontana da questa prospettiva, anche lui la pensa così. Ciò che non funziona
nell’idealismo di Schelling è il fatto che inserisce l’aggettivo indifferenziato e il fatto che ritiene che l’unità di
soggetto e oggetto sia un dato di fatto che esiste subito. Dal punto di vista di Hegel l’unità di soggetto e oggetto è una
consapevolezza che l’assoluto raggiunge alla fine del suo percorso, alla fine della sua piena realizzazione e della sua
manifestazione.
Hegel ritiene che la filosofia di Schelling non sia in grado di tener conto della pluralità dei cambiamenti che ci sono
nella realtà. Schelling non pensa in modo dialettico, gli manca questo tipo di approccio che invece vi era in Fichte.
Hegel sostiene che la filosofia di Schelling è come una notte nera in chi tutte le vacche sono nere, una notte nera in
cui tutto è indifferenziato: siccome c’è buio non si distingue nulla, ma le distinzioni nella realtà ci sono, ma vengono
completamente perse.
È stato definito un romanzo di formazione, come se il protagonista fosse lo spirito che si presenta nella forma della
coscienza (una forma inadeguata) per arrivare poi a conoscersi in maniera piena.
Le tappe che lo spirito ha seguito nel suo sviluppo generale, che lo spirito come umanità ha percorso, in qualche modo
le deve ripercorrere anche il singolo individuo. All’interno della fenomenologia vi sono delle figure, dei momenti
particolari del processo di sviluppo della realtà, esemplificati in momenti storici, personaggi o condizioni, che
diventano modelli di un percorso che la coscienza deve attraversare.
La coscienza
La coscienza indica la prima tappa del percorso, poiché è la modalità primaria con cui entriamo in rapporto con la
realtà, il modo più immediato. Lo spirito si percepisce come un soggetto che ha di fronte sé un oggetto, vuole
conoscere l’oggetto. La differenziazione tra soggetto e oggetto è una condizione implicita nella coscienza. Hegel sta
andando a descrivere come avviene la conoscenza, parte da un punto di vista gnoseologico. La prima modalità
(coscienza) implica una separazione tra sé come soggetto e la realtà come oggetto. Siccome la realtà è percepita come
un qualcosa di diverso da sé, la coscienza vuole conoscere questa realtà. Individua quali sono le modalità conoscitive.
Conosco qualcosa quando la mia conoscenza (il soggetto) si adegua all’oggetto. La forma di conoscenza che sembra
più adeguata la chiama certezza sensibile. Mi sembra di conoscere in maniera profonda e certa l’oggetto quando lo
colgo attraverso i miei sensi. Ma in realtà mi accorgo che la validità di questa conoscenza sembra fondata sul fatto che
ho conoscenza di quell’oggetto in quell’istante; perciò, proprio perché si tratta di una conoscenza dell’istante (del qui
e dell’ora) è la forma di conoscenza più povera esistente. Nel momento in cui cerco di afferrare quel contenuto
conoscitivo esso mi sfugge, poiché l’istante temporale è talmente breve che non sono in grado di definirne il
contenuto. Non so dare una qualificazione precisa di cosa sto conoscendo. Se io mi fermo alla certezza sensibile,
l’unica cosa di cui sono certo è il questo: so che di fronte a me c’è un oggetto ma non sono in grado di dire cosa sia, è
una conoscenza vuota di contenuto. Il passaggio successivo è la percezione: la conoscenza dell’oggetto non si può
limitare alla certezza sensibile, conosco l’oggetto quando ho più sensazioni che unifico, per dire che quell’insieme di
sensazioni costituisce un determinato oggetto. Sto mettendo insieme più elementi sensoriali in una percezione unitaria.
L’oggetto che io percepisco è il risultato di una mia attività di sintesi, è un qualcosa che io costruisco mettendo
insieme le percezioni. La conoscenza, come dice Kant, non dipende dall’oggetto, ma dal soggetto che unifica e
organizza le sensazioni.
Il momento successivo è l’intelletto, dove prendo consapevolezza del fatto che la percezione è il risultato di
un’attività di sintesi che il soggetto/intelletto produce. L’intelletto ci porta alla fase successiva, in cui lo spirito si
percepisce come autocoscienza.
L’autocoscienza
Quando parliamo di autocoscienza siamo in un altro momento che è suddiviso mediante un processo dialettico. Il
primo momento è chiamato signoria servitù o signore.
La tripartizione dell’autocoscienza è la seguente: tesi signoria servitù, l’antitesi stoicismo e scetticismo e coscienza
infelice sintesi. Mentre la coscienza indica una dimensione nella quale lo spirito si muove a livello di conoscenza (il
primo approccio con mondo è in termini di conoscenza), la conoscenza ci rimanda al soggetto che conosce, nel
momento in cui lo spirito si riconosce come autocoscienza, abbandona la dimensione solamente teoretica, e si coglie
in una dimensione pratica. L’autocoscienza cerca una forma di riconoscimento: cerca di affermare sé stessa rispetto al
mondo e rispetto agli altri individui che ha intorno a sé. Il fatto che lo spirito negli individui si colga come
autocoscienza, è legato a un processo di riconoscimento reciproco: l’autocoscienza di ciascuno dipende dal tipo di
riconoscimento che le altre autocoscienze ti danno. Ciascuna autocoscienza vuole affermare la propria
identità/individualità e singolarità e vuole che le altre autocoscienze riconoscano l’esistenza di questa individualità.
-Signoria e servitù
Essendo che ognuno di noi ha questa esigenza di riconoscimento, per Hegel il rapporto tra le autocoscienze non è
pacifico e finisce per strutturarsi in una modalità di relazione che descrive una dinamica che è in atto tutt’ora che
chiama: signoria e servitù.
Secondo Hegel esistono due tipi di individualità: l’autocoscienza signorile e l’autocoscienza servile.
L’autocoscienza del signore è disposta a mettere a repentaglio la propria vita pur di ottenere il riconoscimento di sé, è
il coraggio di rischiare tutto. L’autocoscienza servile è quella che per salvare sé stessa preferisce cedere la propria
libertà e sottomettersi a un’altra autocoscienza (quella del signore). Nella relazione tra servo e signore vi è
un’evoluzione, inizialmente prevale il signore che domina il servo, ma finisce per capovolgersi. L’autocoscienza del
servo dipende dal signore, ma il signore delega al servo una serie di compiti che esso non svolge più; quindi, a sua
volta necessita del servo. Il servo attraverso il lavoro che compie per il signore, acquisisce un senso di libertà, perché
grazie al lavoro per il signore diventa capace di provvedere a sé stesso.
Il lavoro è libero il servo della condizione di schiavitù.
-Stoicismo e scetticismo
Il servo ha un controllo anche sulla natura, rimane sempre dipendente da essa. Hegel pensa che lo spirito, aspira a
raggiungere una forma di indipendenza dalla natura. L’autocoscienza cerca di liberarsi dalla dipendenza nei
confronti della natura attraverso la filosofia stoica e quella dello scetticismo. Per lo stoico vi è una separazione tra ciò
che succede nel mondo e l’individuo stesso, il saggio stoico basta a sé stesso, raggiunge una forma di autarchia,
lontananza uscire dal desiderio di felicità. Lo scettico non possiede strumenti per affermare la validità o meno di una
determinata questione, mette in dubbio l’esistenza stessa, assumendo una posizione più radicale rispetto a quella dello
stoico. L’autocoscienza scettica per Hegel vive una lacerazione fortissima dentro di sé, perché lo scetticismo, per cui
nulla è vero, può diventare contraddittoria, perché se nulla è vero non è valida questa affermazione. Lo scettico si
trova in contraddizione con sé stesso.
-Coscienza infelice
Questa scissione si traduce nella figura della coscienza infelice, l’esempio è quello della religione.
Dall’esperienza scettica la coscienza risulta essere scissa in sé stessa: tenta di sostenere l’inesistenza del mondo da un
punto di vista teorico, ma questo mondo si presenta di fronte alla coscienza stessa e la stessa negazione che la
coscienza cerca di usare come elemento per rendersi indipendente dal mondo finisce per risultare contraddittoria,
perché dire che tutto è falso è già un’affermazione.
Lo scettico radicale si trova nella contraddizione di dover fare un’affermazione che non è più all’interno
dell’orizzonte dello scetticismo. L’impossibilità di avere un punto di vista definitivo, fa vivere alla coscienza scettica
una lacerazione interiore. Questa consapevolezza permette il passaggio alla coscienza infelice.
La coscienza infelice trasferisce l’esperienza della lacerazione nella separazione tra la coscienza e la realtà che viene
interpretata come il divino (quindi separazione tra individuo e Dio).
Questa esperienza esiste già prima dello scetticismo o dello stoicismo, nel mondo ebraico dove secondo Hegel c’è
una prospettiva che sintetizza la coscienza infelice. Gli ebrei fanno una separazione assoluta tra Dio e l’io, la tendenza
ebraica è quella di avvicinarsi a Dio, ma ciò rende impossibile qualsiasi tipo di relazione. La coscienza religiosa vive
questa profonda infelicità che viene colmata dal cristianesimo, dove Dio diventa un uomo, si incarna.
-Il diritto astratto indica la dimensione giuridica delle leggi positive: i sistemi giuridici che si esplicano attraverso
l’esplicazione di una serie di norme necessarie per regolare la convivenza tra individui. La sfera del diritto in questo
caso ha a che fare con il comportamento. Siamo in una dimensione comunitaria, la prima forma con la quale ci diamo
una regola di convivenza è la creazione del diritto, come un insieme di regole che devono definire il nostro
comportamento. Il diritto coglie soltanto la sfera esterna del nostro comportamento, come noi agiamo nei confronti
degli altri.
-La moralità è un’antitesi rispetto al diritto, perché ha a che fare con l’interiorità della nostra coscienza, la moralità
si muove a un livello più profondo del diritto, perché riguarda non la semplice adesione esterna alla norma, ma la
motivazione per cui io aderisco a una determinata norma, per cui io mi comporto in quel modo. Il diritto si ferma al
comportamento, quello che gli interessa è che tu agisca in quel criterio, ma non le motivazioni per cui lo fai. La
moralità invece si muove nella sfera dell’intenzione.
-L’eticità rappresenta la sintesi di queste due dimensioni: mettiamo insieme la sfera del comportamento esteriore
(diritto) e la sfera dell’intenzione (moralità).
Quando parliamo di diritto stiamo parlando in termini astratti, ogni individuo nella sfera del diritto viene considerato
astrattamente come persona giuridica, che ha una certa capacità di azione all’interno di un sistema comunitario e una
responsabilità delle sue azioni.
La persona giuridica è definita dalla sua proprietà (nel senso di capacità, competenze). La dimensione della proprietà
rappresenta la sfera esterna della mia libertà, il modo in cui la singolarità dell’individuo si presenta all’interno di un
contesto sociale.
La proprietà è esposta anche alla sua negazione, la negazione della proprietà e il furto, subire la privazione di queta
proprietà. Il fatto che l’individuo sia qualificato in base alla proprietà indica che ci sia un accordo che definisce quali
sono le proprietà di quella persona specifica in relazione agli altri,
che anche gli altri accettino che la proprietà appartiene a quella determinata persona.
Siccome il contratto può essere violato e c’è la possibilità di subire una sottrazione della nostra identità giuridica, è
necessario che in un sistema di diritto si preveda un riequilibrio di questo torto subito; perciò, abbiamo il diritto
contro il torto, una serie di norme che prevedono delle sanzioni che servono a ristabilire l’equilibrio che il furto ha
prodotto. Questo diritto si muove nella sfera del comportamento esterno. Affinché il diritto contro il torto raggiunga
pienamente il suo obiettivo, è necessario passare dalla sfera del diritto a quella della moralità, in cui siamo nella
dimensione della comprensione profonda del significato di una norma.
C’è un problema, perché la moralità si muove nella sfera dell’intenzione, ci dice come ci dovremmo comportare, ma
non come di fatto ci comportiamo. C’è lo scarto tra il dover essere della norma e il comportamento effettivo che noi
abbiamo.
L’eticità indica quella sfera in cui l’intenzione morale trova la sua concreta attuazione. L’effettiva realizzazione del
bene nella realtà si realizza nella sfera dell’eticità, che mette insieme le componenti del diritto e della moralità.
L’eticità a sua volta si sviluppa mediante un processo triadico: la tesi è la famiglia, l’antitesi è la società civile, la
sintesi è Stato.
-La famiglia
La famiglia è la prima forma di società naturale che si basa sull’affetto che si viene a creare tra i membri della
famiglia. L’aspetto che qualifica la famiglia è quello dell’unità tra i suoi membri, rappresentano un nucleo familiare.
La famiglia nasce nel momento in cui vi è un vincolo giuridico, ci deve essere poi un patrimonio e lo scopo della
famiglia è l’educazione dei figli. Hegel chiama l’educazione “una seconda nascita” è un modo attraverso il quale la
persona acquisisce una sua identità sociale e comunitaria. Vi è una nascita biologica, la prima che ci viene conferita,
ma vi è poi una nascita sociale. L’educazione ha quindi il compito di darci un’identità anche a livello sociale.
Proprio perché ha come obiettivo l’educazione dei figli dentro di sé ha anche gli elementi che portano alla sua
distruzione: i figli non appena diventano adulti se ne vanno dalla loro famiglia per crearne delle altre.
-La società civile
L’insieme di queste famiglie produce la condizione che Hegel chiama società civile, che rappresenta un’antitesi
rispetto alla famiglia, perché mentre nella famiglia l’elemento dominante è l’unità, nella società civile vige la
pluralità e la conflittualità perché le varie famiglie hanno interessi diversi ed entrano in competizione tra di loro. Le
famiglie si raggruppano sulla base del lavoro che svolgono i membri della società civile, Hegel individua tre classi.
La classe sostanziale si occupa della produzione dei beni primari (agricoltori).
La classe dei commercianti, la quale si serve del lavoro fornito dalla classe dei produttori per dar vita ad altri beni di
cui la società ha bisogno. La classe universale comprende i lavoratori pubblici, coloro che svolgono funzioni
essenziali per l’esistenza della società stessa (istruzione, giustizia).
Hegel quando parla di società civile pensa alla società borghese e capitalistica dell’epoca in cui vive, fine 700 inizio
800.
-Lo Stato
Lo Stato rappresenta la sintesi della famiglia e della società civile, in quanto riacquista l’unicità della famiglia che si
era persa nella società civile, ma questa unità mantiene dentro di sé il particolarismo che caratterizza la società civile.
Per Hegel lo Stato è la manifestazione dell’assoluto che si incarna, ne parla in termini organicistici. La posizione di
Hegel è affine alla posizione di Fichte, nella quale lo Stato viene prima della dimensione individuale. Hegel non è un
liberale, non pensa che lo Stato esista per difendere i diritti naturali degli individui, non è neanche un giusnaturalista in
quanto pensa che il diritto nascano dallo Stato. L’individuo esiste in funzione dello stato di cui fa parte.
Non è un democratico, non è la maggioranza che guida lo stato, perché all’interno di esso ogni individuo deve
adempiere al proprio compito in quanto lo Stato è un organismo.
L’identità dello Stato è rappresentata dalla costituzione, Hegel afferma che la costituzione di un popolo rappresenta lo
sviluppo spirituale del popolo stesso. Non esiste dal punto di vista Hegeliano un modello di costituzione perfetto
applicabile a ogni società, in quanto la costituzione descrive la consapevolezza spirituale raggiunta dal popolo, il
risultato del suo percorso storico. La forma migliore che Hegel individua è la monarchia costituzionale, che non può
essere applicabile in maniera astratta a qualunque tipo di contesto. Nella monarchia ideata da Hegel i poteri sono
distinti, ma non vi è una separazione netta, legandosi sempre all’idea di unità ripresa dalla famiglia.
Il monarca condivide il potere con l’assemblea dei ceti, alla quale competete il potere legislativo. Il potere giudiziario
è affidato alla classe universale, alla società civile.
Il monarca non possiede un potere politico effettivo, la sua funzione è simbolica in quanto garante di unicità. Lo Stato
è definito anche Stato di diritto, perché a governare è la legge e non il singolo. Hegel parla anche di Stato etico, perché
lo Stato è la piena realizzazione della libertà concepita nella dimensione morale, la libertà dell’individuo è realizzata
solo all’interno dello Stato allontanandosi così dalla visione liberale.
Lo spirito assoluto
Non è più né soggettivo né oggettivo, ma è entrambi, è totalità. È la sintesi tra lo spirito oggettivo e quello soggettivo.
Lo sviluppo dialettico dello spirito assoluto avviene attraverso tre attività che l’uomo realizza, che sono: arte,
religione, filosofia. Il contenuto di queste tre forme di espressione umana è lo stesso, è l’assoluto che si conosce
come tale. Cambia la forma, il modo in cui questa conoscenza viene acquisita. Sono tre modalità conoscitive che si
realizzano dentro lo Stato. Il modo in cui l’arte coglie l’assoluto è detta intuizione sensibile, nella religione si coglie
attraverso la forma della rappresentazione e nella filosofia attraverso la forma del concetto. Hegel pensa che
ciascuna di queste forme di conoscenza segua uno sviluppo dialettico.
-L’arte
È quella forma di conoscenza in cui diamo una rappresentazione materiale a un contenuto spirituale, che è l’assoluto.
È una realtà sensibile attraverso la quale cogliamo il contenuto spirituale che quell’opera d’arte esprime. L’arte è
legata alla dimensione della sensibilità, che è un limite. L’arte ha uno sviluppo cronologico che coincide con il suo
sviluppo dialettico. La prima forma d’arte è l’arte simbolica, delle popolazioni più primitive, dove utilizziamo sei
simboli, cioè delle immagini che fanno da veicolo di un certo contenuto spirituale. Il contenuto spirituale che si vuole
esprimere è ancora molto povero: non c’è un ente fisico che sia in grado di rappresentare pienamente quel contenuto
spirituale, per cui si utilizzano degli elementi simbolici che servono da tramite. Il simbolo ha perciò lo scopo di
codificare un contenuto spirituale che è ancora povero.
La seconda fase è quella dell’arte classica, quella del mondo greco-romano. Questa è la forma d’arte più riuscita: c’è
una perfetta coincidenza tra il contenuto spirituale e la forma materiale con cui questo contenuto viene espresso. Con
l’arte classica viene messa in evidenza la forma umana. Non è cronologicamente l’ultima, esiste un’altra forma d’arte,
l’arte romantica, che è la sintesi ultima dello sviluppo artistico. Il processo storico di sviluppo dell’umanità ha
portato l’uomo ad avere una concezione dello spirito più profonda. Lo spirito non è più l’uomo nella sua individualità
ma è totalità. Abbiamo un contenuto spirituale talmente ricco che non c’è più una forma d’arte in grado di tradurre
questo contenuto. L’arte, perciò, si spiritualizza: non c’è più la centralità della figura umana e non si riesce a definire
un contenuto materiale. I risultati dell’arte romantica sono inferiore a quelli dell’arte classica, perché vi è una
sproporzione tra forma e contenuto.
Per Hegel l’arte per noi contemporanei non ha più la stessa funzione conoscitiva, è un passato rispetto allo spirito. Si è
anche parlato di morte dell’arte. Il contenuto spirituale è talmente ricco da non essere più esprimibile attraverso una
forma d’arte.
-La religione
La religione è l’antitesi dell’arte. Presenta un contenuto che è lo stesso dell’arte, ovvero l’assoluto nella sua pienezza,
ma nella forma della rappresentazione. La rappresentazione è una forma di conoscenza a metà strada tra l’intuizione
sensibile e la razionalità.
Ci rendiamo conto dell’esistenza di questa duplice dimensione della rappresentazione dal modo in cui concepiamo il
divino in senso religioso. A dio vengono attribuite una serie di caratteristiche che sono una a fianco all’altra, sono
giustapposte, la religione non è in grado di spiegare come queste caratteristiche possano essere compresenti nella
dimensione del divino, che quindi mantiene una forma di mistero e di impenetrabilità per la razionalità. Dio è
onnipotente, onnisciente ed eterno, una seri di caratteristiche che gli attribuiamo non siamo in grado di
concettualizzare. Vi è uno sviluppo delle religioni. Nelle religioni più arcaiche il divino viene identificato con le forze
della natura, c’è un elemento sensibile che identifico con la dimensione del divino, come ad esempio i culti
politeistici. La fase successiva è la visione antropomorfica del divino, dove gli dèi hanno sembianze e caratteristiche
umane, come ad esempio nella religione classica.
La religione classica siccome si concentra sull’uomo è detta visione dell’individualità spirituale.
La religione di passaggio è quella in cui sono presenti elementi antropomorfici ed elementi riguardanti la dimensione
della natura, ovvero la religione egiziana.
La forma di religione ultima, la religione assoluta, è il cristianesimo. Abbiamo un unico Dio che si incarna
nell’uomo. Lo spirito si conosce in una forma inadeguata che è quella della rappresentazione, il momento della
religione deve essere superato per arrivare alla filosofia.
-La filosofia
La conoscenza che abbiamo dell’assoluto è di tipo concettuale. Anche la filosofia ha un suo sviluppo dialettico dato
dalla storia della filosofia, che è la più profonda modalità con cui l’assoluto conosce sé stesso. Quando facciamo storia
della filosofia stiamo analizzando i vari tentativi che lo spirito ha fatto nel corso della storia per arrivare a una piena
conoscenza di sé stesso.