Nacque nel 1770 a Stoccarda, studiò filosofia e teologia in un seminario a Tubinga tra 88 e 93, dove
conobbe Schelling ed Hölderlin. In quel periodo inizia anche la rivoluzione francese, e si
entusiasmarono. Nell’età Napoleonica però Hegel, che tendeva a stare dalla parte di chi comanda,
diviene un grande ammiratore di quest’ultimo, che vide una sola volta. Fichte scrive i discorsi della
nazioni tedesca invece Hegel gli ciuccia il pipozzo. Tra il 1793 ed il 1796 sì trasferisce a Berna in
Svizzera dove fa il precettore privato, nel 97 fa a Francoforte sul Meno, nel 1801 va a Iena, dove nel
1805 diventa professore. Tra 1808 e 1816 fa anche direttore del Ginnasio di Norimberga, e diventa
anche professore ad Heidelberg. Dal 1818 professore all’Università di Berlino, capitale della Prussia.
A quel punto diventa filosofo ufficiale dello stato Prussiano, che è diventata la potenza dominante in
Germania con il congresso di Vienna. Nel 1831 muore crepato rip bozo per epidemia. A quel punto
torna in aude Schelling.
Gli scritti
Gli scritti giovanili (1793~1800) sono di natura teologica. Alcuni concetti fondamentali sono
secolarizzazioni di concetti cristiani, es. In Hegel tutto è triatico; nel cristianesimo esiste lo spirito
Santo, in Hegel esiste il concetto di spirito che lo ricorda molto, anche se non ha nulla di
trascendentale (per questo secolarizzato). La prima opera non più a cavallo tra teologico e filosofico,
ma solo filosofica è “Differenza dei sistemi di filosofia di Fichte e di Schelling” (1801), dove si schiera
con Schelling. Sempre del 1801 è la dissertazione che scrive per ottenere la libera docenza: “De
orbitis planetarum”. Poi vengono le grandi opere: la prima grande opera della maturità è
“Fenomenologia dello spirito” (1807). Tra 1812 e 1816 scrive “La scienza della logica”, divisa in 2
parti. Nel 1817 pubblica un’altra opera fondamentale che ebbe delle riedizioni: “Enciclopedia delle
scienze filosofiche in compendio”. Nel 1821 scrive “I lineamenti di filosofia del diritto”. Dopo la
morte uscirono postume diverse opere, essenzialmente fatte dagli studenti e dai collaboratori
attraverso gli appunti che aveva lasciato. Queste opere tratte dai corsi a Berlino principalmente sono
“Filosofia della storia”, “Filosofia dell’arte”, “Filosofia della religione” e “Storia della filosofia”.
Per Hegel tutto ciò che esiste non è un insieme di sostanze distinte e autonome, ma è un’unica
sostanza, un unico essere. Simile a Spinoza, Panteista, in cui ciò che vediamo sono accidenti e modi.
Lo stesso è per Hegel, ma quello che vediamo come sostanze sono semplicemente proprietà e
manifestazioni dell’unica sostanza. Hegel chiama l’unica sostanza infinito. L’insieme di tutto il resto
lo chiama invece finito. L’infinito è l’assoluto, l’unica vera grande realtà da cui tutto viene. Le cose
del mondo come lo conosciamo costituiscono invece il finito. Che il finito si risolve nell’infinito
significa che il finito non ha consistenza in sé, autonoma, esiste solo come aspetto, momento o
proprietà dell’infinito (molto simile ad accidente di Aristotele). L’unica differenza da Spinoza per ora
è il linguaggio, ma tra loro due c’è stato Kant, Hegel è un’idealista. Mentre per Spinoza l’unica
sostanza si identifica con la natura immutabile, quello di Hegel è un oggetto spirituale e in continuo
divenire, è vivo/a, e culmina nell’uomo (come Schelling). Questa unica sostanza Hegel la chiama
anche in altri modi: Idea, Ragione, Assoluto, Spirito, Dio.
Le parti della filosofia dipendono dalle parti della realtà (razionalità e realtà si identificano), e sono
Idea
1. L’Idea in sé, studia la logica
2. Idea fuori di sé (o natura), studia la filosofia della natura
3. Idea in sé e per sé (o Idea che ritorna in sé, o spirito), studia la filosofia dello spirito
Anche qui Trinità, ogni cosa si dividerà poi ancora in 3 ed in 3. La filosofia studia tutta la realtà, le
branche principali sono 3, l’Idea in sé la studia la logica, l’Idea fuori di sé, o natura, la studia la
filosofia della natura, l’Idea in sé e per sé la studia la filosofia dello spirito. Questo schema (e quanto
detto fin’ora) non è da pensare come statico, è un divenire. Lo Spirito è il più perfetto tra i 3 gigini.
Lo schema che adotta Hegel non è nuovo, l’Idea di uscita e ritorno c’è già stata, questo schema è
tipicamente neoplatonico (introdotto da Proclo), e presentissimo in Tommaso d’Aquino (filosofia
cristiana), con exitus (tutto esce dal principio, Dio) e retribus (il ritorno che è la salvezza). Hegel la
riprende in modo immanente. La critica che fa Hegel a posizioni filosofiche precedenti alla sua che
ritiene significative:
Critica all’Illuminismo
Per lui è scissione tra reale è razionale, per l’illuminista la realtà è oscura e la ragione deve
illuminarla, cioè per l’illuminista il reale non è razionale e la ragione deve renderlo tale. Ciò nella
prospettiva hegeliana non ha senso ed Hegel ridicolizza questo pensiero, secondo cui la ragione può
dare lezioni alla realtà, che per lui è già come deve essere.
Hegel e Kant
Kant è all’origine dell’idealismo classico tedesco, ma quella kantiana è una filosofia del finito,
mentre quella di Hegel è dell’infinito, in Kant si cerca il limite, perché trovandolo si disegna la parte
di effettiva validità della conoscenza. L’intelletto è la facoltà che funziona, la ragione no, quando si
tenta di andare oltre si naufraga (in Kant), mentre per gli idealisti l’intelletto dà una conoscenza solo
parziale. Mentre in Hegel l’infinito è l’origine di tutto, il resto sono accidenti. La kantiana filosofia
del finito contiene in sé una contrapposizione tra essere e dover essere, chiarissima nella teoria delle
idee della ragione come ideali regolativi. Kant dice che la conoscenza dovrebbe essere unificazione
totale, prima dei fenomeni esterni (idea di mondo), poi dei fenomeni esterni (anima) e poi del tutto
(Dio), ma queste come scienze non esistono, tendiamo a queste, fingiamo che esistano per aiutarci a
studiare ed organizzare i pensieri e la conoscenza, se ne fa solo uso regolativo. La stessa dinamica
c’è nel campo morale: né la virtù (a cui dobbiamo tendere) né il sommo bene (unione di virtù e
felicità) sono raggiungibili, è sempre un tendere a qualcosa. Quindi in Kant c’è la stessa scissione
dell’illuminismo, c’è un dover essere che mai diventa essere, e il reale non diventa mai razionale
(come dovrebbe essere). Inoltre Kant ammette la cosa in sé che Hegel non può ammettere in quanto
costituirebbe un limite.
Critica al romanticismo
Sono essenzialmente due le critiche, ma c’è qualcosa che gli piace: al centro colloca l’infinito (come
gli idealisti), ma nel pensiero romantico questo infinito si raggiunge tramite sentimento, fede ed
arte, e questo per lui non può andar bene (almeno come via migliore, perché questa è razionale, la
filosofia). Un’altra cosa che non ama dei romantici è il disimpegno, l’individualismo ed il ripiegarsi in
sé: Hegel sostiene che qualsiasi cittadino deve essere impegnato nella vita civile, non può isolarsi
dalla totalità.
Hegel e Fichte
Critica Fichte per due principali motivi: Fichte fa dell’Io l’assoluto, invece per Hegel l’assoluto è
qualcosa che viene prima dell’Io, Fichte valorizza solo l’aspetto soggettivo. L’altro motivo per cui non
la gradisce è l’idea Fichtiana di infinito, che è qualcosa che si fa come infinito tendere alla libertà,
senza mai afferrarla, è un cattivo infinito. L’Io pone in sé un non-io infinito come limite da superare,
e così si realizza come libertà, ma non ci riesce mai del tutto, se ci riuscisse smetterebbe di essere in
quanto l’Io è attività. Anche qui c’è un dover essere che non diventa mai essere.
Critica a Schelling
Lo critica per come lui concepisce l’assoluto, in particolare la teoria di assoluto come identità, perché
l’assoluto come identità è come la notte, in cui tutte le vacche sono nere: se è identità, qualcosa di
indifferenziato, allora come fa ad essere molteplicità? L’assoluto Hegeliano invece esiste come
momento di unità del molteplice.
Dialettica
Per Hegel tutto è dialettico, come tutto è triadico. La dialettica è la legge che governa la ragione e la
realtà (le governa entrambe perché ideale e razionale si identificano). Dialettico è il processo con cui
la ragione prende coscienza della realtà (di sé stessa, dal momento che si identificano), ed è
dialettico anche il processo con cui si evolve la realtà. Per Kant la dialettica ha un significato negativo,
dal momento che è il processo che serve per smascherare i ragionamenti fallaci della metafisica. Con
Hegel acquisisce un significato positivo. La dialettica si divide in 3 momenti:
Il primo momento è intellettuale (prospettiva del finito), mentre gli altri due sono razionali
(prospettiva dell’infinito). Nel primo momento, la tesi, si pone qualcosa nella sua finitezza e nella
sua individualità. Nel secondo momento, l’antitesi, si pone qualcosa in contrapposizione a quello che
è già stato posto nella tesi. La tesi è qualcosa di parziale. Si va oltre la sua limitatezza con l’antitesi.
Nell’antitesi, la ragione è negativa, dal momento che si pone qualcosa come negazione della tesi. Nel
terzo momento si ha il recupero della tesi e dell’antitesi, dove vengono concepite in un livello più
alto. Il prodotto della sintesi non è la somma della tesi e dell’antitesi, ma qualcosa di più elevato.
Una possibile triade dialettica è quella composta da innocenza, vizio e virtù. Un bimbo è buono in
modo ingenuo, perché ancora non ha conosciuto il male(tesi). Successivamente lo conosce facendo
esperienza del vizio, che si contrappone all’innocenza(antitesi). Questo rompe anche l’unilateralità,
perché si viene a conoscenza di altro. Conosciuto il male decide di tornare buono e questa è la virtù
(sintesi). Si torna ad essere buono, ma in modo migliore, dal momento che si conosce anche il male.
Il processo dialettico è composto da una serie di triadi dialettiche, dove la sintesi della prima triade
diventa la tesi di quella successiva. Il divenire dell’assoluto è come una molla: quando si ritorna allo
stesso punto, quindi alla tesi, ci si trova ad un punto piu’ alto. La sintesi è come un ritorno in sé dopo
che si è usciti fuori di sé (infatti la triade della suddivisione della realtà è dialettica (idea in sé, fuori di
sé, in sé e per sé)).
La sintesi è una novità di Hegel. Lui la chiama Haufeben (andare oltre conservando). Per Hegel la
realtà è formata da opposti che si conciliano, che portano, quindi, alla sintesi. La dialettica è sia
legge del pensiero che della realtà, quindi si ha che anche l’antitesi è reale. Hegel definisce l’antitesi
come la forza propulsiva della realtà o come immane forza del negativo. Il negativo nella realtà
esiste, è concreto. È rappresentato dalle guerre, dalle rivoluzioni, da catastrofi, che mandano avanti
la storia. La dialettica è necessaria, come tutti i momenti da cui è composta.
Il principio di non contraddizione va contro questa concezione hegeliana degli opposti o, come li
chiama lui, contraddittori che si conciliano. Però il principio di non contraddizione è qualcosa di
logico, quindi è valido solo in questa sfera. Al contrario, i contraddittori di Hegel sono reali.
La prima grande opera della maturità di Hegel, La fenomenologia dello spirito. Per fenomenologia
intende manifestazione. Prima ancora però Hegel illustra la risoluzione del finito nell’infinito e
l’identità di ideale e razionale in due modi: prima mostrando la via attraverso la quale l’assoluto
giunge a questa risoluzione o identificazione. Contemporaneamente questo percorso è anche quello
compiuto da noi umani nel comprendere l’assoluto, sono due prospettive che si identificano. Il
rapporto finito-infinito è simile a quello io piccoli-io puro. L’altra prospettiva è quella di prendere in
esame la risoluzione o identificazione come già in atto nella realtà, è la prospettiva dell’enciclopedia
delle Scienze filosofiche. Non sono però così diverse, visto che in Hegel tutto diviene.
La ragione
La ragione è quel momento della storia dello spirito in cui l’autocoscienza assume la consapevolezza
di essere ogni realtà. La ragione ha questa certezza, che non va intesa come un dato di fatto
acquisito da subito, ma è il risultato di un divenire che ha delle tappe, in particolare ne delinea tre:
La logica
Na parla in Scienza della logica, opera divisa in due parti.
La logica (in generale) è la facoltà che collega proposizioni (in modo corretto), per creare nuove
conoscenze. La logica in senso ristretto (o logica minor) insegna come collegare due proposizioni. La
logica in senso più ampio (scienza del pensato in quanto pensato) studia le cose in quanto pensate,
quindi i concetti delle cose, è la scienza dei contenuti del pensiero. In Hegel la logica è tutto questo
ed altro, perché nella prospettiva Hegeliana pensiero ed essere si identificano (reale e razionale),
questo significa che la logica di Hegel, che parla di razionale, parla anche del reale, è come se la
logica hegeliana fosse somma di logica e metafisica (scienza dell’essere in quanto essere) di
Aristotele. È logica in senso aristotelico ed anche ontologia in senso aristotelico, ed è anche teologia,
perché parla dell’assoluto (Teologia è una delle definizioni della metafisica di Aristotele). Hegel,
infatti, dice che la sua logica parla di Dio come è nella sua eterna essenza, prima della creazione di
natura e spirito, infatti l’oggetto della logica è l’Idea in sé, prima che esca fuori di sé e torni in sé. Lo
logica si occupa del mondo e della realtà come è, ma nella mente di Dio. Non si deve pensare che
siccome parla di Dio la logica parli della parte più eccellente della realtà, perché nella concezione
Hegeliana tutto è a triadi dialettiche ed il momento più perfetto non è il primo ma l’ultimo.
Le suddivisioni della logica:
Logica dell’essere, la triade che la caratterizza (la più importante) è: qualità, quantità e
misura. La primissima triade di tutta la logica dell’essere (quindi anche della logica) è però
un’altra, la base delle altre triadi (in Hegel tutto è dinamico, storico, tutto inizia con la prima
triade e si evolve, è la prima che si manifesta anche cronologicamente), questa è: essere,
non essere e divenire. In questa triade Hegel intende l’essere in senso univoco (astratto)
(univoci, equivoci o multivoci, i termini univoci hanno un solo significato, equivoci hanno
significati diversi totalmente in contesti diversi, multivoci o analogici in base al contesto
possono significare cose parzialmente identiche e parzialmente diverse), nel senso che “c’è”,
un po’come per Parmenide (lo intendeva in senso univoco come puro positivo), il non essere
invece è lo stesso ma in negativo, è sempre univoco. La novità sta nella sintesi, il divenire, la
conciliazione di essere e non essere. In Aristotele il divenire è possibile in quanto passaggio
da potenza ad atto, che sono comunque entrambi “essere”, con un non essere univoco
dovrebbe essere impossibile.
Logica dell’essenza, la sua triade principale è: essenza, apparenza e realtà. L’essenza è il
perché una cosa è quella cosa e non un’altra, l’insieme dei caratteri che la identificano.
L’apparenza è il manifestarsi dell’essenza, come questa appare (o fenomeno, qui non va
inteso in contrapposizione a ciò che è, l’apparire rispecchia l’essere). La realtà è l’unione di
essenza ed esistenza (in Tommaso d’Aquino in Dio essenza ed esistenza coincidono,
l’essenza è la potenza ad esistere e l’esistenza la attua). In questa parte Hegel parla dei
grandi principi della logica, prende in esame principio di identità e di non contraddizione:
sull’identità dice che è qualcosa che comprende, sempre, in sé, le differenze, altrimenti è
un’identità astratta, per lui non va bene l’identità come qualcosa di indifferenziato (critica a
Schelling). Sulla contraddizione dice che esiste nella realtà ed è il motore/molla che spinge in
avanti tutto il processo dialettico (l’immane forza del negativo, l’antitesi), qui gli aristotelici si
cagherebbero addosso con denotabile potenza, per loro non può esistere contraddizione
nella realtà, possiamo solo pensarla per negarla. Trendellenburg, un filosofo aristotelico
tedesco gli fece notare che faceva confusione tra contraddittori (proposizioni) ed opposti
(esistono nella realtà), ma per Hegel esistono i contraddittori nella realtà, quindi suca.
Logica del concetto, in questa la triade principale è: concetto soggettivo, concetto oggettivo
e idea. L’idea è l’ultimo momento dell’ultima parte della logica (parla delle idee in sé, questa
compare alla fine, caratteristica di Hegel, l’idea è il punto di arrivo), sintesi dei concetti.
Riguardo al concetto oggettivo Hegel parla di momenti fondamentali nella logica (anche
tradizionale), di universale, particolare e singolare (per pcarlani non esistono concetti
singolari, per i nominalisti sì), il concetto soggettivo invece si articola nel giudizio (è come se
parlasse prima della prima operazione ed ora della seconda), secondo lui nel giudizio la cosa
essenziale è la copula, perché la copula esprime unità (sintesi) del singolare e dell’universale.
Quindi in qualche modo ritroviamo la risoluzione del finito nell’infinito, per pcarlani queste
sono un po’di forzature, es. Questo tavolo (singolare) è verde (universale). Infine dal giudizio
viene il ragionamento, che per lui funziona con il particolare che fa da termine medio tra
universale e singolare: l’universale animale, tramite la specie (particolare) uomo, si identifica
in Marco Romano (singolare).