Sei sulla pagina 1di 32

PRELEZIONE

A UN CORSO

DI LINGUE E LETTERATURE GERMANICHE

NELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA

letta il giorno 8 Maggio 1867

DA

BERNARDINO ZENDRINI

PADOVA

STAB . NAZIONALE DI P. PROSPERINI

1867
Dare un corso di lingue e letterature germaniche in una Uni
versità italiana , è incarico che in altri tempi avrei trovato assai
grave e per alcuna parte quasi penoso , e che ora mi riesce dei
più onorevoli e dei più geniali. E tale me lo rende l'amore che io
porto alla Germania , come a seconda patria (1) : amore che io
posso liberamente manifestare senza timore che altri oma mi fra
intenda , e me lo rechi a biasimo e a colpa . Ma se dolce conforto
all'animo mio è la natura del mio assunto : quant' esso ha d'ar
duo e di delicato m'empie di sgomento e fa che io levi timida la
voce fra voi , sapienti professori , diletti giovani , in questa vene
randa Università ove già sei secoli hanno , passando , depositato i
tesori del loro sapere.
Non è chi non veda il nuovo indirizzo e il nuovo carattere ,
esclusivamente scientifico , che le mutate condizioni d'Italia danno
all' insegnamento della lingua tedesca , oggetto principale , e il più
importante, del nostro corso. Questa lingua , oltre alla soddisfazione
e ai vantaggi che derivano dal conoscerne e ammirarne la stu
penda costruttura , porge a noi e a tutto il mondo civile uno stru
mento e un mezzo efficacissimo , e ormai indispensabile , all' ac
quisto di ogni ramo di dottrina . Studiata spontaneamente dagl' Ita
liani , gioverà essa non poco a ravvicinarli e a riconciliarli più e più
a un nobile popolo che all'Italia , e a quanto la riguarda, consa
crò e consacra tanto affetto e tanto ingegno ; mentre prima, im
posta dallo straniero e diretta a stringere più forti e più intimi
legami fra oppressi e oppressori , poteva parere offesa al sentimento
nazionale, il quale si esprime e s'infutura nella lingua nazionale . Vi
4

furono sempre fra noi pellegrini intelletti , i quali dietro l'Austria


armata ai nostri danni discernevano, incolpabile e liberale e grande,
la pensosa Germania, e all'aulico gergo della forza non ragguagliavano
la nobile lingua che Lutero aveva creata e che presso le più culte
nazioni correva banditrice dei più alti veri e dei più liberi prin
cipj ; lingua , per sentenza di Giacomo Leopardi , « liberissima, fe
I
condissima, infinitamente varia , onnipotente come la greca . » Ma il
far simili distinzioni è di pochi , e non potea farle l'intero po
polo italiano , il quale compendiando nella parola tedesco quant' egli
aveva di più cordialmente odiato , estendeva , provvidamente for
se, anche alla lingua , l'avversione verso l'oppressore che acciden
talmente la parlava. Le acerbe ironie, onde la motteggiavano alcuni
nostri poeti , devono con discretezza intendersi , e recarsi al giusto
sentimento che le dettava : la carità della patria oppressa . Il cuore
del cittadino giustifica ciò che il giudizio del letterato condanna. Da
tale disprezzo di ogni cosa che più o men davvicino riguardi la ti
rannide forestiera , il sentimento nazionale trae nuovo e potente
alimento ; e ogni opinione anche erronea che in qualsisia modo
cooperi e giovi a così santo fine, qual è il riscatto d'un popolo ,
merita scusa. Le più generose tra le passioni umane, nei più stu
pendi loro impeti , si lasciano addietro e sorvolano il freddo razio
cinio il cuore ha una sua tacita logica che non ammette replica e
non patisce contraddizioni : logica, certo, non sempre scevra d'erro
ri ; ma altri li analizzi e li derida a sua posta : voi sapete , o si
gnori , che da simili errori si fanno i miracoli della storia e dell'arte .
L'avversione alle lingue germaniche risale fra noi fino all'antichi
tà e al primo medio evo , ed è una delle più costanti espressioni del
morale antagonismo fra la razza latina e la germanica. Agli anti
chi Romani, a cui lo studio del greco aveva temperato l'orecchio
alla più squisita armonia , non potea certo tornar gradita l'asperi
las soni , come la chiamavano, del parlar dei Germani : n'era offe
so anche quel Tacito che li proponeva esempio di severi costu
mi alla corrottissima Roma. Dei nomi delle loro montagne scriveva
Pomponio Mela che a stento potrebbero pronunziarsi da bocca ro
mana. Nel primo medio evo era poco men che un miracolo il Ro
mano che non isdegnasse parlare o scrivere la lingua dei barbari
invasori ; e re Atalarico, appo Cassiodoro, grandemente encomia Ci
priano perchè lasciasse imparare il gotico ai figli . (2) È noto quan
ti ostacoli trovò Carlomagno a promuovere lo studio della lin
gua germanica, che Ottofredo e molti altri dotti gridavano barba
5

ra , incolta , indocile a ogni freno di regolare arte grammaticale .


A metterla in maggior discredito e fastidio avevano contribuito gl' in
vasori stessi, ne ' quali era nobile istinto la poca o nessuna tenacità
alla propria barbarie, e la disposizione ad accettare dai vinti Latini e
lingua e usanze e culto d'arti gentili e tutti gli elementi incorrotti
della civiltà loro . Questa facilità ad appropriarsi e quasi assimilarsi
l'altrui, e la generosa prontezza a dichiararlo, bisognando, superiore
al proprio, era allora, e rimase, carattere distintivo delle razze ger
maniche.
La dominante latinità fu una delle cagioni per cui le lingue
neo-latine si svolgessero presso che incommiste d'elementi germa
nici e sopratutto l'italiana , battezzata al primo suo nascere col
nome di volgare da quei dotti curiali che non seppero preveder
ne le splendide sorti . Ma ch'ella si formasse pura di ogni mesco
lanza cogl' idiomi del nord è opinione , che quanto gratifica all'a
mor patrio e all'orgoglio di stirpe , tanto ripugna alla retta critica
e alla irrefragabile testimonianza che la lingua reca in sè stessa . Il
sentimento italico non vegliò sempre , nè pari in tutti , a pre
servarla inviolata da voci straniere ; e a ogni modo , se an
che era vivo nei dotti , scarsissimi nel miracoloso smarrirsi di
ogni coltura , tal sentimento parlava men potente nel volgo , facile a
ritenere e a ripetere quel tanto dell'altrui linguaggio che gli sorpren
da l'orecchio e la fantasia. E il volgo, vivendo in più famigliari rapporti
col soldato straniero, imparava da esso quei nomi e vocaboli che più
frequenti e più superbi dovevano suonargli sulle labbra : i nomi , cioè ,
e i vocaboli attenenti alla guerra e alla milizia . I quali passan
do nell'italiano nascente , o s'aggiunsero alle voci latine d'iden
tico significato , o le abolirono . Agl' invasori doveva star a cuore il
tor via simili voci , che nel popolo vinto tenean viva la tremenda
memoria delle perduta onnipotenza ; e sostituirne altre, eternanti e
glorianti la lor propria conquista . Queste, introdotte allora nella no
stra lingua, durano ancor vive, monumento della grande e per gran
tempo unica superiorità che le stirpi germaniche ebbero sulle la
tine : quella della forza. Del resto, tra i due idiomi poteva esservi
accidentale mescolanza , ma non mai fusione e compenetrazione in
tima dell'uno coll'altro ; quella fusione e compenetrazione la quale,
per ragioni e cause che qui non è luogo a toccare, avvenne in In
ghilterra poco dopo la conquista normanna ; perchè ivi gli elemen
ti ostili si unirono , dice benissimo Macaulay (3) , in una mas
sa perfettamente omogenca. Il genio e l'orgoglio latino , il latin
6

sangue gentile , riluttava fra noi a tal compenetrazione e la rese


impossibile. Non si tosto la lingua nostra divenne , di volgare,
letteraria ; e sottratta all'impero dell'uso comune e all'instabile
arbitrio della pronunzia plebea , assunse forme sicure nelle ope
re dei nostri primi scrittori ; appena il Genio italiano ne fu
egli l'educatore e la modellò a propria imagine : ella crebbe
e si ampliò squisitamente italiana ; e tale ne ' grandi si manten
ne ; e con orgoglio lo storico della letteratura può , fin dai
primi secoli, rintracciare nelle belle sembianze della lingua la fisio
nomia dell' Italia ventura . Serbarle inalterate queste sembianze è
dovere di ogni Italiano ; e lo studio delle lingue germaniche non
deve certo portarci a mescere nella nostra stranieri modi che non
le siano omogenei, e non le si adattino spontanei come i natii . Per
quali arcane vie possa una lingua , già formata e già nobilitata da
gli scrittori, arricchirsi di voci e figure straniere senza imbarbarire
e snaturarsi , non v'è grammatica nè filosofia che lo insegni : il
modo dell'innesto è uno dei segreti del Genio , legislatore e arbi
tro supremo delle lingue e delle letterature. Ma che l' inne
sto sia possibile lo attesta la storia di quasi tutte le lingue e in
ispecie delle settentrionali, le quali tanto hanno accolto e vengono
accogliendo in sè di elementi latini senza perdere o alterar punto
l'indole nativa . Se la nostra potrà , alla sua volta , accrescersi di
-
geniali elementi derivati dalle lingue germaniche e ora più non
le imporranno il frasario della forza , or che hanno in sè stesse la
stupenda idealità onde son l'organo e l'espressione - è problema
che scioglierà l'avvenire, quando lo studio di esse lingue sarà tra noi
più accetto e più diffuso che non è ora. *།
I primi fra i nostri grandi poeti i quali , non paghi di risusci
tare col lungo e amoroso studio l'antica coltura , venivano creando
eglino stessi , con la onnipotenza della mente propria , una lettera
tura, un'arte, una civiltà emula dell'antica ; avevano ragione di guar
dare con pietoso disprezzo al settentrione e di stimare innaturale
che ne vincesse d'intelletto
Il furor di lassù , gente ritrosa.
E per verità i Tedeschi, ai quali accenna Petrarca , poco potevano
contrapporre ai capolavori della rinascente arte italiana . A ben poco
si riduce la loro letteratura anteriore a Lutero . Dal conserto di vecchie
leggende s'era, è vero, già formata la grande epopea nazionale dei
Nibelungi ; ed è poema che ben ritrae la ferocia di quel primo e più
che mai barbaro medio evo, che i moderni hanno, nei loro canti e
7

romanzi, troppo ingentilito. Non mancarono e non mancano in Ger


mania critici illustri i quali contrappongono quel poema all' Iliade ;
con la quale, o io m'inganno, o non ha esso altra convenienza che
il carattere schiettamente epico : l'intero nascondersi del poeta, o
dei poeti, dietro l'opera propria, così che questa sembri creazione di
un popolo intero . Ma indarno cercheremmo nel poema tedesco quel
giusto senso delle proporzioni e quella varietà d'aspetti che ammiriam
tanto in Omero ; quella mobilità di cuore e di fantasia che gli
fa alternare alle battaglie le scene e imagini più soavi. Altre anti
che leggende alemanne sono eminentemente poetiche nel concetto
fondamentale , ma, guaste da barbari versi , non ci sorridono che
nella gentil veste onde illustri moderni hanno saputo abbellirle .
Così la rozza leggenda del povero Enrico divenne stupenda poesia
pittrice tra le mani dell'americano Longfellow. Più cara ne rie
.
sce la lirica amorosa la quale , nel medio evo, mostra quasi da per
tutto le medesime sembianze. Gualtiero di Vogelweide è nobi
9
le e simpatico rimatore , e degno di porsi in ischiera coi nostri
lirici antichi . Fu uno dei pochi , e mi è dolce il dirlo , che avesse
dall'Italia omaggi e testimonianze d'affetto ; e le ebbe da un bel
cuore di principe, da un cuore alemanno naturato fra noi. Federigo
II lo investi d'un feudo e gl'invio doni . Il magnanimo Svevo, l'uo
mo di Dante, avea comune con Dante l'amore a ogni Bello , ovunque
nasca e donde venga . Egli estendeva ai lontani Alemanni il generoso
patrocinio onde beneficava poeti e dotti italiani . Nell'anima sua la
canzone tedesca di Gualtiero armonizzava con la lirica amorosa
ch'egli stesso veniva poetando nella lingua nostra nascente : simbolo
dell' intimo accordo fra le due nazioni e fra le due poesie, accordo
che l'Italia, ch'egli ideava , è chiamata ora ad avverare.
Ma se Federico II e Dante e altri pochi erano collocati si
alto da poter spingere lo sguardo di là delle Alpi ; i più degli
Italiani era giusto che lo volgessero ai portenti d'arte che nasce
vano loro dinanzi . E due secoli dopo Dante , nuovi portenti e
nuove lotte dovean renderli sordi al movimento religioso , che
preparato e iniziato da lunga mano in Italia , si compieva in Ger
mania ; movimento che esercitò la più grande influenza sui destini
е
del mondo . La gente ritrosa faceva il suo primo passo innanzi , e
mostrava di saper procedere spedita come la gente latina. Al . pe
riodo letterario che si nominò dalla Riforma può solo contrapporsi,
nella storia generale della letteratura, il secolo di Dante. A Lutero
e a Dante accrescono grandezza e importanza i loro tempi e i fatti
8

onde son gravi : alla vita dell'uno è complemento la riforma che


egli ha operata ; alla vita dell' altro, la democrazia fiorentina ond'è
figlio degne cornici a si luminose figure ! Nell ' uno e nell'altro
secolo campeggia il Genio, che da greggi negletti elementi insieme
raccozzati crea una lingua , e la porge in dono e la lascia in retag
gio alla nazione ond' egli è prototipo e guida. E nelle mani di Lu
tero, come in quelle di Dante, la lingua diventa un'arma , un'arma
a offesa e a difesa, ein' gute Wehr und Waffen. (4)
Qualunque sia la stima e il giudizio che alla progredita cri
tica convenga fare della Riforma , non può negarsi efficacia e va
lore al principio ond'è mossa : il libero esame. Per francar la plebe
e per costituire le nazioni bisognava cominciare dal redimere l'u
mano intelletto, e rivendicargli la libertà di pensare . Dal libero esa
me esce la filosofia che preparò la Rivoluzione, la filosofia de
gli enciclopedisti e di Kant ; escono i grandi scrittori onde la mo
derna Germania più s'onora ; esce tutta una plejade di poeti, gene
rosa della sua luce alla patria e, più che alla patria , al genere umano.
Della storia , delle vicende e dei destini dell' Umanità quei poeti
s'occupavano con delicata sollecitudine, come di una lor dolce fa
miglia. E da tanta serietà di speculazioni e di studi divertivano, a
quando a quando, il cuore e la mente a quanto l'arte greca ha di
più attraente e di più gentile : a lor diporto e a nostro sollievo evo
cavano, non già fantastiche larve - come canta Foscolo ――――― ma le de
funte deità greche, e le scaldavano sul proprio cuore, e infondevano
in esse il palpito della vita greca. Il mito s'avvivava ai loro occhi,
e fra le nordiche brume rideva, come per incanto, il limpido cielo
dell' Ellade . Era un'alba intellettuale, un'alba beata d'ambrosie fra
granze ; ma di queste , ma di tanta e si benefica luce ebbe l'Italia
appena un lontano sentore ; e i nostri poeti , illusi dalla distanza,
ravvisavano e pingevano in quell'alba una tetra aurora boreale, che
nella sua luce sanguigna coloriva uomini e cose e i più amabili
fantasimi dell'arte antica. Parve loro che di questa i settentrionali,
proscritte le Grazie, ritenessero le sole Erinni . S'erano fatti un lo
ro strano e mostruoso concetto di poesia settentrionale , concetto
che può rilevarsi dalle Grazie di Foscolo e dal noto sermone del
Monti sulla mitologia. In quel sermone egli lamenta il sostituirsi
le nordiche nenie alle belle favole greche, e inveisce contro i set
tentrionali che , al dir suo , empiono di spaventi il bel regno delle
muse. E Monti scriveva questo nel 1825 , proprio nell'anno in cui
il canuto Göthe , ripreso il Faust, vi aggiungeva la stupenda scena del
9

l'apparizione d'Elena che splende, nella seconda parte del dramma,


bella di tutta la sua greca bellezza (5) ; e quando il giovine Heine, nel
le sue canzoni , salutava il mare con l'entusiastico grido dei dieci
mila di Senofonte, diecimila cuori di Greci anelanti alla patria ; e
scriveva il suo Posidone ; e con bizzarra spostatura popolava di Nereidi
il tristo Baltico. Quel medesimo scrittore a cui Monti faceva nei propri
versi così sprezzante allusione, e ch'egli considerava come un mercan
te di tregende e di nordiche nenie, Gottofredo Augusto Bürger, gli
era fratello, a lui Monti , nell'amore e nel culto per Omero, di cui recò
in versi tedeschi i canti principali ; e traduceva Senofonte ; e cele
brava la deità di Venere in uno squisito inno , greco d'imagini
e di stile. (6) Ed era un grande e infelice poeta e la sua parola
profondamente è radicata nel cuore del suo popolo . 1
Dalle favole greche i poeti di Germania hanno cavato mag
gior profitto che non abbiano saputo trarne molti meridionali :
amando essi riportarle ai tempi e ai luoghi che le han fatte na
scere ; e in cambio di mescolarle a poemi di argomento moderno
(nel che ben pochi serbano, come la serbò il nostro Parini, giusta
e sobria misura) trattarle come soggetti eminentemente poetici per
sè stessi. Se v'è poesia, alla quale meno si convenga l'epiteto e
l'accusa di deicida, è la tedesca . Gli dei di Grecia godono un di
ritto di cittadinanza nel settentrione , e come darebbe il cuore ai
poeti di esiliarli dal loro canto ? Ei li ebbero nel medio evo, e li
hanno ancora , più vicini che non li abbiam noi, e sentirono e sen
tono ancora
Spirar l'ambrosia, indizio del lor nume.
Giacchè nel settentrione avevano trovato ricovero gli dei , profu
ghi dalla Grecia e dai violati loro tempj . (7) Nello stormire mi
sterioso delle foglie e dei rami il passeggero sentiva l'avvicinarsi
di Diana che discorre per le selve in continua caccia , che invisi
bile come uno spirito -- racconta un vecchio cronista - ·non requia nè
giorno nè notte . Venere abitava una montagna della Turingia , bean
do quivi di postume dolcezze i cavalieri che la loro mala stella gui
dava al temuto speco della dea , e che il fido Eckart non arrivava
o non valeva a scaltrire . Mercurio esercita ancora le sue frodi mer
cantili camuffato da mercante olandese, e nottetempo guida ancora
nel suo navicello le ombre dei trapassati ; le guida a una desolata
isola che già Procopio affermava dover essere l'Inghilterra . Giove,
al dire del danese Andersen, stenta misero la vita in una povera isola
di ghiaccio delle regioni polari . Perocchè anche a Giove, a quel
10
Giove che Omero aveva cantato e Fidia effigiato in oro e in avorio :
al Giove celeste doveva, come al Giove terreno, toccare la sua S.
Elena. Che se tali iddii spodestati , come accade a tutti gli esuli
illustri, perdono qua e là nell'esilio l'antica baldanza e la benedetta
gioventù onde li privilegiava la Grecia natia ; se nelle fiabe po
polari del medio evo ci si fanno innanzi mutati, da quel che erano, in
lemuri e streghe e bizzarramente scontraffatti : ei ritornano belli del
le antiche lor forme nei canti dei poeti moderni , che li onorano
di generoso compianto. Göthe e Schiller lamentano la loro caduta
con più delicata poesia che non abbian fatto Voltaire e Leopardi
e altri meridionali. È a proposito degli dei caduti che Schiller
dettò la mesta verità : « Ciò che deve vivere immortale nel can
to , è forza che nella vita cada. » Al poeta innamorato di ogni
Bello duole il perire di quanti v' hanno simboli gentili ; e Schiller,
così cattolico nella Maria Stuarda o nel Conte di Absburgo , è
dilicatamente greco nel Lamento di Cerere, e nell' Ero e Leandro.
Al mito pagano egli tramesce un'arcana gentilezza nazarena che ce
lo fa più caro. Attenuamento che non troviamo nella Sposa di Corin
to di Göthe e negli altri suoi componimenti di soggetto greco : Gö
the, il gran pagano, riproduce il mito come glielo pinge l'intelletto,
Schiller lo trasfigura nella luce del suo bel cuore.
L'avere i poeti del nord sentito tanto addentro nel mito gre
co, l'averlo essi risuscitato e idoleggiato in guisa che par che ci
credano, è titolo geniale alla simpatia dei meridionali, è legame d'in
tima fraternità fra la mente germanica e la mente italo-greca.
La storia letteraria attesta che i poeti del nord non empivano
e non empiono di spaventi, come cantava Monti, il bel regno delle
muse. Non v'è poesia cosi multiforme come la tedesca e l'inglese ,
e che quant' essa ritragga tutti gli aspetti della natura e della storia
e della vita. Che se gl' Italiani non hanno per tempo imparato a
stimarla ; la colpa è dei traduttori, che in cambio di pensare a ri
durre nella nostra lingua l'ottimo , voltavano il men buono di quel
la poesia . Le nocque molto , nel concetto degl' Italiani , l'esage
rato culto che , in sul principio del nostro secolo, ebbe l'Os
sian del Cesarotti. Si cominciò allora a gridare all'annebbiato , al
vago , all'indefinito dei settentrionali , e a contrapporre , a tutela e
rimedio del buon gusto, il far plastico, lo stile netto e preciso che
predicavano dote e privilegio del genio greco -latino . L'autorità di
critici gravissimi avvalorò, con dotte declamazioni , le invettive dei
poeti ; e gli uni e gli altri inacerbirono fieramente l'odio e resero
11

maggiore la morale distanza fra schiatta e schiatta . E le declamazioni


e le invettive non tacciono ancora fra noi ; e la oscurità dei poeti
del nord e la forma nebulosa dei settentrionali è ancora prediletta
tra le figure retoriche a molti appendicisti di giornali e storici della
letteratura. I quali spesso non si peritano d'attribuire tale oscurità
anco a poeti , che alla loro mirabile chiarezza e semplicità antica
di forme vanno debitori della universale popolarità onde godono .
A cosi grossi errori deve riuscire una critica la quale ragioni di
letteratura senza studiare e spesso senza degnare d'uno sguardo i
fenomeni della storia letteraria ; e che , non curante o sdegnosa o
incapace di ogni confronto e di ogni analisi, spazi e divaghi e si
perda in idee generali ereditate dagli avi. Io non nego l'utilità
di queste ; ma vorrei che la critica ben le ponderasse prima di enun
ciarle ; è voluttà mentale, ma voluttà pericolosa, il troppo abbando
narvisi. Nei lor giudizii sintetici molti poggian tant' alto da perdere di
vista i soggetti stessi delle loro speculazioni e indagini. Fatti tran
sitorj e fenomeni accidentali scambiano per leggi e necessità sto
riche, e fedeli ricorrenze nella vita di un popolo . D'un secolo d'arte
e di letteratura creano un loro ente astratto , nel quale indarno
cercheremmo le sembianze di quei due o tre valentuomini che hanno
dato al secolo il nome. A meglio precisare i caratteri di un' epoca
o di una razza trascurano e pongono nell'ombra molti e non rado
i più importanti aspetti delle grandi individualità onde quell'epoca
o quella razza si compone : aspetti che torrebbero fede alle loro
dommatiche astrazioni. Il genio individuo è trasmutabile per tutte
guise , mobilissimo , multiforme ; e filosofi e critici generalizzanti
lo costringono per forza in quella unica forma che più quadra al
loro assunto , alla idea generale che hanno dato dell'epoca o della
razza , alla quale esso genio appartiene. Nè pensano che la fisiono
mia delle varie stirpi, scolpita a netti contorni sinchè vivano esse
moralmente disgiunte, come nel fatto scema e quasi si perde, così
diventa difficilissima a raffigurarsi quando entrino in più vicino con
tatto l'una coll'altra e confondano idee e aspirazioni e studj .
Agli ammiratori d' Omero non dovevano nè potevano certo gar
bare le fantasie di Macpherson , delle quali Cesarotti aveva , recan
dole in versi italiani , ingrandite le magagne natie. Le ombre degli
avi, che vagano indefinite lungo il pendio delle patrie montagne, mal
reggono al paragone cogli eroi d' Omero, che ci si atteggiano e ci
si muovono innanzi con tanta certezza d'atti e di sembianti . Ma se
il vago e l'indefinito è carattere distintivo della poesia di Ossian
12

o, a dir più proprio, di Macpherson , e se annebbiò la mente e gli


scritti ai numerosi imitatori : non ne segue che sia difetto conna
turale a tutti gli scrittori del nord , e che leggere e tradur questi
debba disamorar noi dello scrivere dei nostri antichi, o alienarci da
esso. A madama di Staël, che consigliava gl' Italiani a tradurre mol
te poesie inglesi e tedesche, rispondeva Pietro Giordani le seguenti
parole, memorande perchè riassumono il concetto di tutta una scuo
la : « O bisogna cessare affatto d'essere Italiani, dimenticare la no
stra lingua, la nostra storia, mutare il nostro clima e la nostra fan
tasia : o ritenendo queste cose, conviene che la poesia e la lettera
tura si mantenga italiana ; ma non può mantenersi tale , frammi
schiandovi quelle idee settentrionali, che per nulla si possono con
fare alle nostre. » Nelle quali parole è abbastanza di quel vago e
di quell' indefinito ch'egli e consorti rimproverano agli scrittori set
tentrionali. La distinzione fra idee meridionali e settentrionali è pro
prio speciosa : come se Inglesi e Tedeschi sortissero altri organi in
tellettuali da quelli che la natura ha dato a noi ; anzi non appar
tenessero punto alla specie umana . Se le loro idee recassero una
impronta tutta settentrionale e fossero congenite al solo setten
trione : come potrebbero uscirne mai, come sarebbero accette e in
tese da uomini nati e cresciuti altrove ? Il fatto sta che escono, e (
quand' anche alcuni dottissimi Italiani si ostinino a ripudiarle, si pro
pagano e fruttificano ovunque più fiorisca il sapere. Idee settentrio
nali ! Confondere così la geografia e la letteratura , mettere l'uomo
a fascio coi vegetabili che in un dato luogo prosperano e altrove
intristiscono o non fanno ! Credere che l'uggia del clima debba in
fluire tristamente nei prodotti del suo pensiero ; che le nebbie che
si addensano nell' aria gli penetrino nella testa, e ch'egli non sap
pia scrivere chiaro se non gli s'incurva attorno limpidissimo il cielo !
Quanto la limpidezza del cielo irradj nelle menti , quanto la tra
sparenza dell'aere si comunichi agli scritti : lo provano molti dei
nostri filosofi e poeti meridionali ; e alcuni tra i moderni Greci, i quali
verseggiano idee e imagini ossianesche nel bel paese ove Omero e
Sofocle poetarono . E ciò perchè , negletta la loro monumentale let
teratura, presero a imitare quanto i grandi poeti settentrionali han
no di meno imitabile. Vera e certa e intima influenza esercita
nei poeti d'età culte, non già il clima , ma l'ambiente morale ove
operano e s'aggirano : la quotidiana atmosfera ove spazia, non già
la persona, ma l'anima : educazione, affetti, studj , vicende della vita
e della patria, rapporti sociali , credenze e tendenze e idee religiose,
13

politiche, letteraric. Non è dubbio alcuno che la varietà dei climi non
influisca anch'essa a modificare variamente il nostro organismo in
tellettuale ; ma influisce in modo si misterioso e recondito, che vo
ler accertare , come tentarono alcuni, i modi e i gradi di tale in
fluenza, fu e sarà sempre opera vana. Parte e influenza diretta ebbe
palesemente il clima, presso i settentrionali , nell'originare certe for
me della loro poesia primitiva e popolare , e nel dare alle me
desime carattere singolarissimo . (8) E dalla poesia popolare e pri

mitiva ( che è ancor tutta o presso che tutta popolare ) rimote e
l'una e l'altra dalle scuole e tanto più vicine alla natura, io credo
che si lascino cogliere più che altrove le somme linee della fisionomia
di una razza, quei dilicati e appena percettibili tratti di famiglia che
la distinguono dalle altre. Ma dubito assai che a un raffronto psicologi
co fra stirpe e stirpe porga appigli e docile materia lo studio dei
grandi scrittori e dei grandi artisti , in una parola , degli uomini
grandi. Molti di costoro : Omero, Mosè, Dante, Shakespeare, Voltaire ;
sono giustamente riguardati come i rappresentanti ideali , come i
prototipi dei loro singoli popoli , dei quali , suol dirsi , riassumono
in sè i difetti e le virtù. Ma è pur certo che al carattere generale
della stirpe e del popolo a cui appartengono predomina in essi
il loro carattere individuale d'uomini grandi, per cui non somigliano
che a sè medesimi. Nella loro imagine non vediam sempre, ag
grandita , l'imagine di tutti . Hanno esterne attenenze colla molti
tudine che formicola loro attorno, ma intima conformità hanno solo
coi grandi loro pari : ai quali , più che alla moltitudine , è utile
raffrontarli e comporne, come ha fatto Dante con alto intuito del
vero, una schiera particolare : da che formano eglino stessi una
propria stirpe e famiglia , la regia stirpe degli uomini grandi , la fa
miglia dei Genj . Col lor popolo dividono i grandi intenti e le ge
nerose aspirazioni , non le preoccupazioni passeggere , non gli ozj
quotidiani ; gli si affratellano in ore solenni d'entusiasmo e di con
flitto , ma per la massima parte vivono a sè e alle belle passioni
umane, che fremono loro tutte nell'anima ; vivono la vita universa on
de recano in sè stessi il palpito confuso. Amano la terra natale , ma
sentono angustiarsi fra i suoi confini ; nè monta ch ' ella sia povera di
graziosi aspetti e trista di brume : è in essi il fervido anelito, che pinge
loro e natura e cielo migliore : quell'anelito che Göthe espresse, nel
suo Guglielmo Meister, in si teneri versi, Heine in si magica prosa
nei Reisebilder ; anelito che entrambi li sospinse a visitar l'Italia,
alma parens. E quando la fortuna non conceda ai grandi poeti di
14

recarsi in persona ai luoghi ridenti , ai quali nel lor segreto sospi


rano : non può essa impedire che il loro genio vi pellegrini e le
esplori , e le pennelleggi a suo modo al mondo . Nel Mercante di
Venezia, come sapientemente è notato da Humboldt, troviamo la
blanda notte lunare della laguna ; nel Divano orientale-occidentale
di Göthe e nei poemi di Moore , la vivida Persia ; nel Guglielmo
Tell, la severa maestà delle alpi elvetiche ; e con tutto ciò nè Sha
kespeare visitò l'Italia mai, nè mai Schiller la Svizzera , nè Göthe
e Moore l'Oriente. I grandi poeti non vedono solo la natura che
hanno sott'occhio ; ei piegano attento lo sguardo a un'altra più
larga e più amabile natura che sorride nel loro intimo , ove
Iddio ha provvidamente miniata tutta una stupenda varietà di paesi
e di marine, e ove trovano i piu tersi azzurri quand'anco la nebbia
s'affolti e la neve cada loro a larghe falde dintorno. Non vivono
estranei al loro tempo ; gli devono molto, ma il loro tempo deve
infinitamente più a loro. Il tempo offre loro occasione e materia
e impulso a scrivere o a fare, porge loro lo stampo entro cui mo
dellano essi il loro proprio pensiero ; il ruvido canovaccio , ove ri
camano fila d'oro che svolgono da sè stessi e da sè soli . Ei sono
specchi, ove l'epoca loro trova e riconosce sè stessa ; ed è nelle
loro opere che l'Umanità giunge a piena coscienza di sè . A molti
piace affermare il contrario e negare ogni iniziativa e importanza
al genio individuo, per dar tutto al secolo, alla razza, alla molti
tudine, nella quale , dicono , la poesia freme confusa allo stato di
potenza e d'intuito . Benissimo : ma è là dove in maggior copia si
accoglie , e dove piglia forma e vita , che bisogna e giova cercarla .
Il mondo è ricco delle perle che possiede, e non di quelle che per
avventura riposano in fondo al mare.
Che se caratteri del genio germanico fossero veramente, come
vogliono alcuni , l'astratto nei concetti , l'incerto e il perplesso nelle
imagini , il vago e l'indefinito nello stile ; e la precisione nel dire
e il far plastico fossero, per contro, doti esclusive del genio greco
latino : bisognerebbe concludere non solo a una essenziale dissomi
glianza , ma ben anco a un'assoluta inferiorità degli scrittori del
nord verso i meridionali . E io credo che a tal conclusione giun
gerebbero volontieri gli sprezzatori sistematici dei primi, e che solo li
tenga dall' esprimerla un certo scrupolo di coscienza , un involon
tario rispetto alla fama che universalmente godono i grandi poeti te
deschi e inglesi ; o anche il timore che altri additi loro, in questi
poeti, i pregi medesimi ch'ei tengono e gridan dote esclusiva dei
15

Greci e dei Latini . Preferiscono quindi tenersi sulle generali , toc


care del genio germanico o italo -greco passando in silenzio quegli
uomini ne' quali il detto genio più brilla o accennarli di volo,
come splendide eccezioni . Ma quelle eccezioni sono appunto il Genio
per eccellenza , e senza di esse a che si riduce mai la storia delle arti
e della poesia e della civiltà intera ? Tolte le stelle che brillan di
stinte in purissimo azzurro , che mai rimane alla vôlta celeste ? La
via lattea , povera luce : non è in questa che l'astrolabio con pro
fitto s'appunta. Tolti i grandi che mai rimane a un'arte , a una
letteratura ? Rimangono i mediocri. Ma intorno i mediocri si af
fatichi e li studj chi vuole. I mediocri scrivono male e penano
a esprimersi e riescono oscuri appunto perchè sono mediocri, e non
già per appartener essi alle genti latine o alle germaniche, al nord
o al mezzogiorno . Se il numeroso stuolo dei prosatori e dei poeti
mediocri di Grecia e di Roma, e tutto il servum pecus degli imi
tatori avesse potuto varcare i secoli e ne fosse giunto il nome fino
a noi è molto verisimile che gli sprezzatori sistematici delle cose
settentrionali troverebbero da appuntare in essi la inesattezza di for
me, l'oscurità di pensiero , la perplessità di contorno nelle imagini,
che rimproverano ai grandi poeti del nord ; e che griderebbero al
vago e all' indefinito dei Greci e dei Latini. Dei quali ammiriamo
tanto il fare scultorio perchè n'è dato rilevarlo dalle opere dei som
mi, e non dai vani conati degli infimi . Simili doti le dobbiamo am
mirare anche nei grandi poeti moderni, settentrionali o meridionali ;
e quel tanto d'oscuro e d'indefinito che vi si frammischia è un
portato dei nuovi tempi e costumi , delle mutate condizioni della vita
pubblica e più che tutto , e non fu mai abbastanza avvertito , delle
nuove credenze religiose . All'impero delle quali soggiacquero , ben
chè inegualmente , settentrionali e meridionali, Germani e Latini, e
subirono da esse pari o poco diversa influenza .
Alla perfezione plastica dell'arte greca e della greca poesia
moltissimo contribuivano le condizioni politiche , necessitanti una
letteratura popolare , alla portata di tutti e intesa da tutti ; mol
to la religione , che nulla o ben poco aveva in sè di sovra
terreno e di sovrasensibile. Non dovendo l'artista greco rappre
sentare che il certo, l'umano, il distinto ; i fantasimi ch ' egli creava
erano, come direbbe l'Hegel, perfettamente identici, erano una cosa
stessa colla sua idea ; e la precisione dell'idea si comunicava alla
forma. L'artista e il poeta cristiano dee sovente rappresentare l'in
certo, il sovrumano, l'indefinito ; nè può altrimenti renderlo visibile
16

e intelligibile che mediante simboli e allegorie ; e allegorie e simboli


tengono troppo sovente della incertezza e dubbietà delle idee a cui son
veste. Dubbietà e incertezza men frequente nello statuario e nel pit
tore, che nel poeta ; perchè i primi amano rilevare il lato schiettamente
umano della religione e derivano argomenti dalla storia e dalla leggen
da di essa ; ma ella è più sensibile nel poeta il quale ne ritragga il dom
matico e il misterioso ; e a rappresentarlo non può egli disporre
delle forme della scultura e delle tinte della pittura , ma della sola
parola . Ben è vero che questa , maneggiata dal Genio, ritrae delle
une e delle altre , ma non tanto che per esattezza di contorni e
per evidenza di rilievo le pareggi. Nè anche Dante, che pur tentò
e venne a capo d'incarnare coll' intelletto le più disperanti astrat
tezze , intaglia sempre forme esatte nella nebbia della idea cri
stiana . Anch'egli è men chiaro laddove , nel poeta , parla il teo
logo ; e altri, che non hanno la greca potenza della sua parola , domi
nati da quella idea riuscirono e riescono spesso inintelligibili, vivano
essi nel sereno mezzogiorno o tra le brume del nord . Lo stesso
Petrarca, così studioso e così amoroso degli antichi esemplari, ideò
e scrisse, sotto il cielo limpidissimo di Provenza , canzoni d'amore
che i più pazienti e ingegnosi commentatori penano e non arri
vano talora a chiarire . (9)
Non poteva il genio antico perennarsi intatto, dopo che il cri
stianesimo aveva tanto modificate le forme tutte della società e della
vita umana e il modo di pensare e di sentire ; non poteva serbare il
nativo splendore nel suo necessario incontrarsi e confondersi col
genio moderno. Gli scrittori antichi non influirono direttamente nei
moderni se non quando questi ultimi cominciarono a sottrarsi all' im
pero delle nuove credenze. Il rinascimento delle lettere antiche ognun
sa come inaugurasse tra noi un periodo letterario tutt'altro che
cristiano nel fondo. Dal lungo meditare i classici greci e latini, i nostri
cinquecentisti s'imbeveano arcanamente del loro spirito , partivano,
chi più chi meno, tinti di paganesimo . E dato che da quei classici
gli scrittori italiani ritraessero la precisione nell' imaginare e la
chiarezza e maestria nel dire ; tali doti dovevano rendersi fami
gliari anche agli ingegni alemanni, appena la filologia degli uma
nisti li guidò , come aveva guidato gl'Italiani , a specchiarsi negli
antichi esemplari. E con lo studio di questi, un'altra cagione po
tente concorreva in Germania a snebbiare le menti e a bandire
il misticismo dal modo di scrivere ; ed era quella eroica lotta per
il giusto e per la luce , für Recht und Licht , la quale cominciata
17

ivi nel secolo XVI , fu poi animosamente seguitata con nobile


tradizione fino ai nostri giorni . Si trattava , allora più che mai ,
di parlar chiaro . Divenne necessità abbandonare il latino delle
scuole per coltivare e nobilitare la lingua nazionale che da tutti
era intesa necessità che il grande Ulrico di Hutten per tempo
senti. Ed egli e Lutero e Melantone e gli altri insigni, quando non
si ravvolgano in teologiche sottigliezze , ma gridino contro abusi
universalmente riconosciuti, portano nelle loro scritture la luminosa.
evidenza delle proprie convinzioni.
Innegabile e universale è l'influenza, per gran tempo tanto bene
fica , che la nuova fede esercitò nella poesia di tutta l'Europa ;
è indubitato che la teologia cristiana , nel medio evo , tendeva a
proteggere della sua mistica ombra le ignude forme greche, a
chiuderle ne' verecondi suoi veli. Ma è grande errore l'attribuir pari
o poco diversa influenza alla filosofia moderna , ai sistemi architettati
dai moderni metafisici, e credere che la poesia alemanna, la grande
poesia , pigli qualità e astrattezza da quei sistemi , e sopratutto
dal panteismo di Schelling o dal trascendentale idealismo di Fich
te. Perocchè tali sistemi operarono entro circoscritta sfera , e
la scuola poetica , a cui han dato vita , non vanta un solo no
me che meriti di figurare nella storia letteraria europea. Cade
qui ancora la eterna distinzione tra i mediocri , oscuri per impo
tenza ad esprimersi , e i grandi , perspicui per necessità di natura ;
tra i mediocri, soggetti alle minime esterne influenze, e i grandi , in
docili a ogni dittatura di setta e di scuola , sdegnosi di ogni legge
che non sia il provvido freno dell'arte. Quei filosofi riescirono a car
pire nella lor ragna i moscerini, ma non impigliarono le aquile . Le loro
dottrine non hanno tanto in sè da allettare i grandi poeti a occupar
sene ; nè l'arido gergo scolastico in cui sono svolte o , meglio , co
strette , potrebbe viziar mai le idee e lo stile di questi ultimi, per
la semplice ragione ch'eglino o non le leggono o non le intendono
o ne sentono per tempo il fastidio . I grandi poeti fanno bensì pro
prie talora le conclusioni dei grandi filosofi ; - Schiller ha tolto qual
cosa a Rousseau , Göthe a Spinoza , Heine all' Hegel ; - ma tolgo
no da essi ciò solo che gratifica alla loro natura di poeti , ammi
rano quelle pagine ove al sillogismo prevale l'affetto , ove l'astrat
tezza s'occulta dietro l'imagine , ove , in una parola , v'è poe
sia ; e abborrono invece da quelle frasi di spugna che tanti
hanno in conto d'oracoli sibillini e non sono, il più delle volte,
che aride formule dialettiche abilmente costruite. Panteista è il Göthe ;
2
18

ma le sue dottrine panteistiche e le forme ch'egli lor diede , egli


le ha desunte anzi tutto da sè stesso , dalla sua larga anima di
poeta , e non già dallo studio , ch'egli pur fece attentissimo , di Spi
noza , o dai libri, ch'egli tante volte e si cordialmente motteggiava,
di questo o quel metafisico contemporaneo . Fra il suo panteismo
poetico e il panteismo filosofico di Spinoza o di Schelling, quanto
divario ! Certo nè a Spinoza nè a Schelling può negarsi il senti
mento della natura e un certo istinto poetico ; ma tal sentimento e
tale istinto è, nei loro libri, confuso e come implicato in sè stesso,
e invoca e ben raro trova una forma ove acquetarsi ; mentr' esso ,
nei poemi di Göthe, splendidamente e nel più bel ritmo si svolge.
Ciò che nel filosofo è arida formola, diventa splendida imagine tra
le mani del poeta ; e l'una non è certo da pareggiare coll' al
tra. La farfalla, che raccoglie il volo sui fiori e ti acconsente
allo sguardo la più tenue sfumatura delle ridenti sue tinte, non ha
più cosa a fare con la crisalide ond' è uscita . Il panteismo di
Göthe non altro è , nella sua essenza , che l'antico panteismo
germanico qual esso con si stupenda varietà si rivela nella mitolo
gia scandinava : un sentire addentro e riconoscere e gloriar le
occulte forze della natura, visibili nei loro effetti ; un sorprenderne con
l'orecchio l'intimo accordo, l'unisono , den Einklang , come dice egli
nel suo Torquato Tasso ; un guardarle nel cuore , un intuirla . Questo
panteismo poetico non si tiene ai generali , ma umile discende, come
in Dante , e si delizia nella più attenta analisi ; si riposa con pari
amore sugli esseri tutti, dall'uomo all'insettuccio , dalla nebulosa
alla margheritina ; ed è dal circoscriversi nei più minuti particolari
ch'egli trae certezza e precisione di forme . Espressioni squisite di
tal panteismo di Göthe sono quelle sue canzonettine piane e soavi,
amore e delizia di tutto un popolo, e a tutto un popolo chiare ; quelle
sue canzonettine che il professore notomizza nelle scuole con dotto
entusiasmo e che la giovinetta soavemente canta cogliendo le prime
viole, o attendendo sotto il tiglio l'innamorato .
Tale panteismo , benchè nei grandi poeti del nord abbia mag
giore ampiezza e più dilicata intimità, è dote caratteristica anche ai
grandi poeti meridionali e agli orientali : lo troviamo nella maggiore
e minor Edda come nel Mahabarata : è connaturato a Göthe e allo
Shakespeare, come a Dante ; ed è ben raro che adombri , in que
sti grandi , l'imagine o l'espressione . La natura rimove il suo velo
innanzi ad essi , perchè la contemplino e la ritraggano ignuda , ed
eglino lo raccoglierebbero, il velo, a ravvolgerne studiosi la lor poe
19

sia ? È ragionevole che parlino oscuro sol coloro ai quali la na


tura passa innanzi velata , e a cui nulla non ha detto o confidato mai.
Perchè tradizioni di stirpe rannodano la nostra letteratura alla
latina, che dalla greca deriva e s'informa ; pare a molti che negli
Italiani debbano scendere per rami le belle doti che privilegiano i
Greci è i Latini ; e mostrano quasi credere che i nostri scritto
ri le respirino nell'aria, tali doti, o le abbiano nel sangue. Le tradi
zioni letterarie giovano molto a iniziare le menti a un dato modo di
sentire, di pensare , di esprimersi ; ma giovano ove sono raccolte e
avute in pregio, e non là dove giacciono neglette, o sol pochi ne
fanno tesoro. Quelle tradizioni non sono ora più esclusivamente
nostre, ma di tutto il mondo civile. E se presso i Tedeschi e gl' In
glesi lo studio della classica antichità cominciò e si sparse più tardi
che tra noi ; tutti sanno che, presentemente, la conoscenza e la pratica
del greco e del latino è in Inghilterra e in Germania maggiore
e più diffusa che non in Francia e in Italia : maggiore tra le genti
germaniche che tra le genti latine. Gl'ingegni non ricevono dalle
scuole e dai libri altro avviamento da quello che abbiam noi, lo
ricevono conforme e migliore . Come potrebbe ora esistere tanta
differenza tra scrittori settentrionali e meridionali , non dirò nelle
idee, chè arrossirei di ridirlo, ma nel modo di esporle , se gli uni
e gli altri attingono alle stesse fonti, si propongono gli stessi su
premi modelli di perfezione e contendono , e nelle lettere e nelle
arti, a giungere lo stesso ideale ? se forma antica, forma greca, suo
na, e per gli uni e per gli altri, forma perfetta ?
Oh questa forma greca è il sogno e il sospiro e l'orgoglio di
quanti scrivono ; ma la insegnano veramente le scuole, e ne addi
tano i libri il segreto e il magistero ? Facile è ritrar dagli antichi
le forme esterne : imitare i modi, appuntare gli epiteti , copiar le
imagini loro ; ma non egualmente facile è sorprendere l'intima
arte del loro stile, arte necessaria a conseguire quella evidenza ,
quella perspicuità tanto encomiata e oggetto di tante controversie.
A pensare e a scrivere come i Greci è utilissimo, ma non basta, lo
studio, anche attento e ostinato e faticoso, dei loro volumi : ci vuole
anzi tutto la disposizione , la tempra, per dir così, greca dell'animo ;
e tal tempra non la danno le scuole ma , come tutte le doti so
vrane dell'uomo, la dà la natura ; e la dà a pochissimi . Non pareggia
i Greci e non ha forma greca chi non ha greca l'anima : e per
forma non intendevano i Greci , non intendeva Aristotele appun
to l'anima , l'intima essenza , e dello stile · e delle cose ? Che
20
se , per detto di un illustre morente, l'Umanità si divide e si di
viderà sempre in due partiti , Barbari ed Elléni : tal sentenza, d'in
certa applicazione a tutto il genere umano, torna a cappello alla
specie particolare degli scrittori e, in più special modo , dei poeti :
si dividono e si divideranno sempre , settentrionali o meridionali ,
in barbari e in greci : ma il primo partito è innumerabile gregge,
il secondo si compone di così pochi che quasi si contano sulle dita.
Perocchè a rifarsi indietro venti secoli coll' intelletto e colla fantasia
e col cuore, e per rivivere nell'antichità e ridivenir greco , con
viene che l'uomo , lo scrittore moderno, si svesta prima dei panni
moderni ; è necessario che il poeta moderno rimuova da sè, come
l'angelo dantesco rimuove l'aere crasso che ha intorno , ogni neb
bia di misticismo ; nebbia che pénetra da ogni banda nell'arte e
nella vita e riempie il tutto di sè. Tale intimo trasfigurarsi dell' uo
mo moderno nell'antico, è raro e stupendo spettacolo ; più raro il
sapere, ove occorra, ripigliar la primiera veste e figura, e serenamen
te tramutarsi dall'antichità ai nuovi tempi, e viceversa, con facile e
spontanea vicenda . A ciò fare, ad armonizzare in ottimo contempe
ramento il genio greco e il genio cristiano, l'antico e il nuovo,
si ricerca un'anima quale, presso a poco, doveva averla Colombo :
si ricerca l'ineffabile istinto che trova il varco tra due mondi oppo
sti e insieme li lega e affratella. Alla musa, che scende affranta dal
Golgota, raro è che rimanga lena a risalire il Parnaso . Conviene,
come per tempo ha fatto Manzoni , scegliere tra i due mondi, tra
le due arti. Volfango Göthe, il quale idoleggiava il loro fidanzarsi
nel connubio tra il suo Faust e l'Elena omerica, è l'unico forse tra
i moderni che avveri in sè stesso il simbolo stupendo . Vago e
nebuloso, anch'esso , quando si profondi nella mistica leggenda cri
stiana ; sereno e splendido quando ravvivi idee greche. È gentile
miracolo com'egli alla sua Margherita abbia saputo dar per sorella
una Ifigenia in Tauride ! Con giustissimo pensiero il prof. Her
mann si provò a voltare in greco questo dramma, a cui veramente
non manca altro che la lingua di Sofocle , perchè valga come un
mirabile prodotto dell'arte antica. In esso, Göthe c'innamora della
greca forma quanto ce ne innamorano Ariosto e Leopardi e
Parini e tutti i grandi poeti moderni. Sono tutti, più o meno, greci ;
hanno tutti, come direbbe appunto Göthe, una certa affinità elettiva
cogli antichi : Leopardi, che studiò tanto addentro nei loro volumi,
come lo Shakespeare , che quasi li ignora . Abbiano sortito il
nascere nel settentrione o nel mezzogiorno , i grandi poeti ap
21

partengono , per nobiltà d'istinti , per serena giovinezza d'ani


mo e d'ingegno , a un'altra patria : da ogni angolo più remoto
della terra, e fin da regioni men consolate del riso di natura, il
cuor loro , come l'ago al polo , piega trepidando verso l'Ellade ,
terranativa dell'arte , patria di ogni Bello e di ogni gentilezza .
Omero e Dante , Shakespeare e Sofocle , nella regione degli spi
riti, si affratellano e perfettameute s'intendono, benchè gli uni par
lin greco, gli altri italiano o inglese. Greci d'animo e di mente
son essi tutti ; la natura dà a tutti, insieme colla poesia , il modo
di significarla ; dà a tutti l'idea e la forma , l'imagine e la parola .
Molti, a ogni modo , si ostinano e si ostineranno a non voler
trovare il bello che negli esemplari antichi . Ma se i Greci lo
hanno trovato e stupendamente espresso idealizzando i loro miti ,
i fatti della loro storia , gli aspetti della loro vita ; perchè non
potranno i moderni esprimere ciò che a loro in proprio appar
tiene, e idealizzar cose e passioni e idee dei propri tempi ? Le
arti, è vero, non hanno, come le scienze, un progresso ; o, a dir piú
proprio, non possono scapitare o impiccolire agli occhi e nel con
cetto degli uomini : ciò che parve bello a un Greco del se
colo di Pericle , par bello anche
alla pupilla e al giudizio di
un moderno ; mentre nelle scienze accade il contrario ; e il più me
schino maestro di scuola ha oggi in sua mano tanto da confondere
Teofrasto, Bacone e Galileo . Le scienze progrediscono , e nuovi veri
scoperti fanno giustamente deridere e dimenticar presto i vecchi
errori che pur furono , un tempo , verità indubitate anch' essi . La
grandezza di Michelangelo, invece, punto non detrae alla grandezza di
Fidia ; il bello di Dante non nuoce nè scema ammirazione al bello
d'Omero ; Göthe non esclude Sofocle. Rispetto al bello di Sofocle, il
bello di Göthe non è, a rigore di termine, un progresso ; ma è però
sempre un nuovo, e sovente a noi più grazioso, atteggiarsi dell'arte.
Omero, Dante , Shakespeare, Göthe, e gli altri poeti sovrani , son pari ;
la statura morale dell' uno non eccede quella dell' altro , e una
certa somiglianza di famiglia prevale in tutti ; ma, fra tale somi
glianza , quanta originalità di linee non porge la fisionomia di
ciascuno a chi attentamente la studj ! Son pari d'altezza , ma in
finitamente varii d'aspetto : come montagne sublimi le quali , in
diverse parti della terra , si elevino eguali al di sopra del livello
del mare, e aprano allo sguardo scene diverse, e tutte stupende.
Perderebbe molto chi, per avere acquistata una di tali cime , sde
gnasse o credesse inutile salire le altre.
22
______
E mi si perdoni la generosa illusione - alcune di queste al
tezze ideali : Dante, Shakespeare , Schiller ; mi sembrano ergersi al
cielo più ardite . Sovr ' esse ama riposarsi il nostro spirito ; perchè
l'orizzonte che ci schiudono innanzi è noto e famigliare, fin dall' in
fanzia ,agli occhi nostri e al nostro cuore. Il pensoso pellegrino,
fra le vette di montagna che ha tocche , predilige quella dond' egli
scerne il villaggio natale e la modesta casetta che gli chiude quan
to egli ha di più caro sulla terra. Più di tutti ci allettano i poeti
che parlano il nobile linguaggio della nostra epoca , della quale an
ch'essi son figli. L'Umanità procede e l'arte , o m'inganno , o le si
accompagna. Il progresso non è nella forma estrinseca ― forma greca
suona ancor sempre forma perfetta ― ma nelle idee e nelle cose, ma
nell'anelito, ma nell'ardito camminare verso più alto Ideale.
Che se lo studio degli antichi è utilissimo a chi voglia addentrarsi
nella loro vita e nella loro storia ; se l'amore agli antichi, come ogni
altro amor generoso, è vitale beneficio a ogni culto intelletto : l'osti
narsi sovr'essi e lo strascicar l'estro , come direbbe Giusti , sulla
loro falsariga sarebbe, non più un progresso, ma una vera miseria
e nella nostra e in ogni altra letteratura . Vera miseria , e quasi
colpa, il porre in disparte, per reverenza agli antichi, le opere più
cospicue del genio moderno ; far tacere nel nostro cuore le mille impe
riose voci dell'epoca, e cancellar dalla mente nostra le sublimi idee
che ne formano l'orgoglio e ne sono il faticoso conquisto . Il che se
avessero fatto i venerati antichi per rispetto ai propri tempi e alle
proprie passioni e idee ; se avessero ripudiato il presente per
retroguardar sempre al passato ; se si fossero tenacemente afferrati
alla tradizione senza gettarsi alla vita viva : l'Umanità non sarebbe
uscita mai dalla barbarie . Le generazioni vanno innanzi ; l'una
trasmette all'altra, come i cursori nelle pubbliche feste d'Atene , la
fiaccola accesa ; e a nessuna è lecito mai rifiutarla e richiamar for
sennata le generazioni fuggenti o già spente . A reggerla e a te
nerla alta, la fiaccola, ci vuole una mano viva .
A emulare gli antichi riuscirono e riusciranno solo i pochi i
quali vivano, com ' hanno essi vissuto, intera la vita ; e lungi dal di
mezzar l'anima e l'ingegno per compiacere alle sette e alla molti
tudine , esercitino e armonizzino in bell'accordo le lor passioni e
facoltà, e materia al proprio canto traggano anzi tutto da sè stessi e
dai propri tempi . Così soltanto l'arte svolge le sue forme più ori
ginali. La letteratura italiana, ripeton molti, è un ramo del tronco
greco -latino', laddove le altre banno tutt' altra radice. Tale è la let
23

teratura italiana giudicata dai secoli di crudizione e d'imitazione ,


dai secoli infecondi ; ma nei periodi suoi più gloriosi ella stessa è
per sè albero meraviglioso , e l'Italiano può dir con orgoglio che
egli se lo ha educato da sè, con la propria virtù e industria, senza
evocare le larve degli avi a porgergli ajuto . Dante, Petrarca, Ariosto,
Parini non furono grandi per le loro molte letture , ma per le loro
creazioni , e della loro grandezza vanno debitori al loro genio
più che al loro studio degli antichi poeti . Ogni letteratura ,
chi guardi le cose e non le parole , il principale e non l'acces
sorio, ha la sua prima e più profonda radice non già nelle scuole ,
ma nella vita ; ogni letteratura , inspirata o inspiratrice, causa od
effetto , sempre si connette con la storia , colla realtà. Il pensiero
umano, come l'Anteo della favola , trae forza e impeto dal toccar la
terra ond'è nato . Così la letteratura tedesca cresce gigante, appena
il mondo reale le schiude, nella Riforma, degno e largo campo ove
travagliarsi. Il primo canzoniere che toccò veramente il cuore ale
manno e gli si scolpi nel più profondo, è un canzoniere di libertà .
E fra gli scrittori che vennero dopo Lutero, i più riveriti furono
quelli che si misero sulle sue orme : Herder, Lessing, Giampaolo ,
Schiller ; che crearono un' arte, una letteratura, una poesia generosa
e feconda, più che alla patria alemanna, alla specie umana. La Ri
forma era compiuta , e presentirono e delinearono la Rivoluzione ;
non la rivoluzione quale tumultuò e doveva tumultuare sfrenata nella
confinante Francia, ma quale sarà, chetati i tumulti ; non la libertà
combattente, ma trionfante ; non la tempesta, ma l'azzurro sereno .
La poesia in Germania non è puramente contemplativa , ma anche
s' ispira e trae nerbo dall'azione ; e questa, alla sua volta, dalla
poesia, alto principio d'ogni alta impresa. Il Tedesco militò nelle
guerre religiose cantando gl' inni di Lutero, e sorse come un sol
uomo contro Napoleone cantando le maschie ispirazioni di Körner .
Egli nobilitò e nobilita la guerra col canto . Per esso la spada è cosa
gentile sol quando alla lira s'incroci .
9 L'ingegno operante e benefico
è il solo che la Germania vera
mente apprezzi. Noi amiamo rappresentarci come tipo dell'Alemanno
l'arido dottrinario che non vede più in là del suo scrittojo . Ma
l'uomo che tutto si seppellisca nelle biblioteche, e non interroghi
mai quell'eterno libro infallibile che è la natura e la vita ; e non
soffra e non combatta e non tenda co ' suoi connazionali a qualcosa
di grande, non commoverà mai il cuore del popolo alemanno. Nel
poeta cerca e venera anch'esso, sopra tutto, l'uomo e il cittadino .
24

Ed esprimono l' intimo suo sentimento le sdegnose parole che Faust


dice a Wagner: È forse la pergamena il sacro fonte che ci disseti?
Il nostro ristoro dee sgorgar dall' anima nostra . Più dell' ingegno la
―――
Germania apprezza il carattere ; e il carattere anche questo le ha
detto il suo Göthenon si forma che nel turbinio del mondo. Cer
to , neanche alla Germania i tempi volsero sempre propizj alla lotta,
nè gli scrittori furon sempre, dalla loro pensosa solitudine, balzati
nel tumulto della vita pubblica. Ma quando tutto in patria era quieto ,
e il più leggero vento, come motteggia l'Heine , non osava fiatare,
ei porgevano l'orecchio al lontano agitarsi d' altri popoli ; e alle
nobili loro sommosse prendean tacita parte, e ne gioivano, perchè ,
o filosofi o poeti , sapeano d'averle iniziate. Si , la Germania è la
grande iniziatrice della nuova êra , e imagine di questa è la sua
letteratura, che originò e crebbe libera da ogni patrocinio di po
tenti e di re, e non conobbe dittatura di retori e pregiudizi di setta
e odj di stirpe : larga, conciliatrice, comprensiva, benefica per tutti .
Ciò che lo Schiller canta del suo grande amico : aver esso , già
eroe in culla, strozzato la serpe che avviticchia il Genio : è lode che
conviene a Göthe come a Schiller e , cominciando da Lutero , a
tutti i grandi scrittori tedeschi . E come la dignità di scrittori, così
mantennero incontaminata la loro dignità d' uomini. Non dee falsare
il nostro giudizio il vederne alcuni dei più illustri accolti alle corti .
Nelle corti trovavano essi riposato e libero asilo, e non vi entravano
e non vi si mantenevano a prezzo d'avvilimenti ; non vi pativano
la mala servitù onde si querela l'Ariosto . I loro ospiti amavano
svestirsi innanzi ad essi del loro carattere di sovrani ; erano, non
rado , loro amici e fratelli nel canto e negli studj . Artisti e poeti
figurano tra i principi fin da tempi antichi ; e oltre i famosi , Fe
derico II e Massimiliano , altri ve ne furono : men noti, perchè la
fama di chi regna si misura meno all'ampiezza dell'animo che a
quella della giurisdizione. La tomba ove Carlo Augusto di Sas
sonia Weimar riposa fra Schiller e Göthe, fa ricordo e fede , a chi
la visita, della geniale relazione che esisteva tra il principe e i due
poeti. In vita e in morte ei si fece loro eguale , il che, come squi
sitamente avvertirebbe Manzoni, è assai più che s'egli si fosse po
sto loro al di sotto . L'omaggio al Genio non era, nei principi , altro
che pallida imagine dell'amor reverente che il popolo gli porta ; così
che tale omaggio , oltre che liberalità d'animo, può anche riguar
darsi come generosa arte di regno . Il popolo tedesco, per quanto altri
lo appunti di docile sommissione ai poteri costituiti, riconobbe e
25

riconosce nel Genio la prima e più legittima sovranità ; egli s'inchina


devoto alla morale e non alla materiale altezza . Fu il centenario di
Schiller la vera festa dell'unità germanica ; unità, più che politica,
ideale, ove il Genio esercita sicuro impero.
E Schiller ben la sentiva la sua dignità di Sovrano . Mentre
Napoleone correva , splendida meteora, l'Europa , ed era giunto al
l'apogeo di sua potenza ; e i grandi letterati gl' indirizzavano panegi
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬ -----
rici ; e i poeti men sospetti di servitù che dico ? — i figli e i poeti
stessi di quella repubblica ch'egli avea spenta , gli prodigavano de
diche e canzoni e carezze , e facean voti che il loro nome figurasse
scolpito nel piedestallo della sua statua ; mentre alla mente più
sdegnosa poteva affacciarsi il concetto di una epopea eternante il
grande uomo che empiva del suo nome i due mondi : Federico Schil
ler dettava sereno il suo Guglielmo Tell. Non era al sole d'Auster
litz ―― iperbole, appunto in quei giorni , poco men che universale —
ma al sole d'Omero, che orava il suo canto. E il nome di quell' uo
mo che ispirava reverenza fino ai nemici e a cui Göthe , frammezzo
i suoi studi di anatomia e di botanica , trovava tempo di volgere
distratto lo sguardo ; egli, il poeta, il profeta, il più nobile cittadino
della nuova êra, nè anche un'unica volta lo nomina o pone in fronte
ai suoi scritti. Io dico pensatamente , il più nobile cittadino della
nuova êra : le aspirazioni e i principj più generosi di questa ei tutti
li aveva nel suo bel cuore d'uomo che battè , fin dai primi anni, per
l'umana progenie : era egli stesso quel marchese di Posa che tutti
i popoli, e prima quelli che più hanno sofferto e soffrono, abbrac
cia in un solo amore. E a tutti dilicatamente parlò egli il linguaggio
del loro passato : Tedesco nei Masnadieri e nel Wallenstein, Fiam
mingo e Spagnuolo nel Don Carlo, Francese nella Vergine d'Orleans,
Inglese nella Maria Stuarda, Italiano nella Congiura di Fiesco, Greco
nella Semele , Svizzero nel Guglielmo Tell ; e la terra era poca a
tanto amore ; nell' Inno alla gioja egli manda un bacio all' Universo ;
e riassume in questa sublime parola tutta la sua poesia. Avventura
to il poeta che può consolar la sua vita di si celesti ispirazioni ; av
venturato il paese (qualunque sorte gli preparino gli ultimi avveni
menti) ove la corte d'un principe albergava l'uomo che la Fran
cia, la Francia repubblicana e regicida , onorava del diploma e del
titolo d'ami de l'humanité (10) ; titolo, che la posterità confermò a lui e
a tanti altri grandi , animati dal medesimo spirito e da pari amore
all' Umanità. Che se tale amore è men fervido, o men palese , nel
l'unico Göthe codesto non deriva da angustia, ma da larghezza d'ani
26

mo : dietro l'Umanità egli vede l'eterna natura, la natura ognor ver


de, come canta Leopardi : egli ha l'occhio al gran tutto ; e la mente
e il cuore e tutto l'esser suo si dilata per comprenderlo. A noi che
concentriamo tutti i nostri raggi entro picciolo foco, a noi è agevole
suscitar fiamme ; e ci par tepidezza il grande amore che , eguale e
tranquillo, si propaghi all'eterno e all' infinito .
A noi , paghi ai termini che la natura ci ha fatti, basti lo ap
passionarci per quel solo destino il quale , come canta Göthe ,
volge intorno al suo asse la terra. Accostiamoci agli amici del
l'Umanità, serriam la mano che ci tendono , interroghiamo i vo
lumi che amorosi ci porgono. Lo studio di quei volumi giove
rà , quanto e più che lo studio degli antichi , a farci migliori
e a mantenerci liberi ; perchè lo spirito che li informa , è appunto
ciò che agli antichi manca . L'ideale di questi era Roma , Atene , la
egemonia, la monarchia universale ; il nostro la libertà, la patria ,
l'Umanità. Bellissima negli antichi la forma, più bella nei moderni
l'idea ; e la bellezza dell'idea irradia nella forma più che non si
pensino molti .
Nelle opere dei grandi stranieri che vi ho nominati , ove il ge
nio moderno risplende di tutta la sua luce, potremo leggere e stu
diar con profitto e adottare ciò che hanno di bello e di buono,
senza cessare d'essere Italiani e senza dimenticare il nostro clima,
la nostra storia e la nostra fantasia. L'amor generoso ch' eglino
tutti portano all'Italia, al tempio delle Grazie e delle Muse , ci farà
lieti e più superbi di appartenerle, e ci farà amarla sempre più.
La terra ove noi viviamo non ragiona e non s'inspira a noi soli ;
preziose confidenze , le più preziose forse , ella ha fatte a stra
nieri , a quei poeti settentrionali , che a Giordani pareva avessero
idee dalle nostre tanto lontane. Nella nostra storia ei vedono spes
so più addentro e meglio la rivelano , che non fanno i nostri ; e
se io medito il Giulio Cesare di Shakespeare e lo raffronto al
Bruto Secondo di Alfieri : trovo che il primo mi sviscera quel memo
rando periodo di storia romana meglio che non ci riesca il grande Asti
giano, che pure è figlio di un' epoca così ricca di studj e così amo
rosa indagatrice dell'antichità . E come il Giulio Cesare e Giulietta e
Romeo dello Shakespeare : tanti altri poemi drammatici desunti da
gli annali della nostra storia : il Torquato Tasso, il Marino Faliero,
la Congiura di Fiesco, il Gladiatore di Ravenna di Federico Halm,
la Beatrice Cenci del delicato Shelley : non solo son belli come
lavori d'arte , ma come rivelazioni stupende d'uomini e di tem
27

pi e di costumi . La nostra storia, come la nostra patria , é libro


aperto agli occhi di tutti , e largo d'ammaestramenti agl' Italia
ni come agli stranieri che sappiano leggervi addentro . Ov'è il
poema italiano che evochi il nostro passato , che enumeri e di
stingua le nostre glorie con si nobile intelletto d'amore , come
il quarto canto del pellegrinaggio d' Aroldo ? Byron merita d'es
sere posto a lato a Dante nella eletta schiera dei nostri poeti ci
vili ; perchè nessuno collocò il nome italiano sì alto, come ha fatto
questo Inglese. Che monta la dissomiglianza delle lingue , quan
do i cuori battono all' unisono ? Il genio italo- greco egli , più che
ammirarlo , lo individuò in sè stesso ; e dopo aver vissuto in
Italia, e piante le sventure e narrate le glorie di lei, corse in Gre
cia , a fare olocausto d'ogni suo avere e di tutto sè stesso
alla grande rediviva ; a darle, com ' ei cantò presago del suo fine ,
a darle in dono la vita . (11 ) E questo è omaggio alla Grecia ben
più degno che non sia un inno a Socrate o ai trecento di Leonida ,
messo insieme a tavolino . Chi più italiano e chi nell' anima più greco
di lui ? e chi men di lui dimentico della terra natale ? Prima di
partire egli, dalla pineta di Ravenna , manda il saluto a quelle mon
tagne scozzesi che, solingo cacciatore , aveva corse fanciullo ; ne
ricorda a sè stesso con lagrime le leggende soavi ; e gli tarda ricon
ciliarsi anco a persone ch'egli nel primo tumulto giovanile aveva
flagellate della sua satira e che feroci l'attaccavano . (12) Splendida
prova che il soggiorno fra stranieri , il culto di straniere glorie
e grandezze non menoma nel letterato l'amore alla terra na
tia e a quanto la privilegia. Chè anzi lo allontanarsene , o con
la persona o anche solo col pensiero , giova a rendergliela più ca
ra peregrinando egli l'ha sempre dinanzi vestita di luce geniale,
luce che la distanza più e più le accresce. I grandi poeti esuli non
si sentono e non ci si mostrano mai così squisitamente paesani co
me nell'esiglio. Il cuore umano non batte mai si forte come quando
si volge e si guarda indietro. Dante , che pure tant' odio ostenta
verso Firenze , non può fare che, lontano da lei , non le ridivenga
amico e fra tante preoccupazioni politiche e cure private e viaggi
e studj, non le tenda le braccia ; e la carità del natio loco gli detta
quel mesto libro che è il Convito. Petrarca in quel suo inquieto
strascinarsi attorno ,
Cercando or questa ed or quell'altra parte,
mai non dimentica l'Arno in riva al quale è nato , il terren ch'ei
toccò pria. E Shakespeare che ne'suoi drammi discorre i tempi e
28

i luoghi e gli eventi più lontani , e quasi intera abbraccia nella sua
vasta mente e rivela , per sola virtù d'intuito, la storia del mondo :
si conserva , in tacto spaziare del suo genio, inglese anzi tutto ;
e se pur n'è dato sorprendere , in alcuna sua opera, i moti del suo
bel cuore, lo sentiamo palpitare con nobile violenza nell'Arrigo quinto,
fra i prodi che fiaccano , ad Azincourt , l'orgoglio francese. Il cuore
dei grandi poeti aderisce al natio terreno per mille fibre ; e
non potrebbero staccarnelo senza schianto ; non potrebbero di
menticare i luoghi ove hanno vissuto i più begli anni, e le care
impressioni soavemente raccolte nella prima età. Non v'è più pe
ricolo che Dante lasci d'essere fiorentino dopo d'avere vissuta e
narrata la Vita nuova : o che Göthe e Schiller lascino d'esser tede
schi dopo che hanno , nella prima loro giovinezza , ideato e dato alla
lor patria, l'uno i Masnadieri, l'altro il Götz. Una volta che l'albero
ha gettato profonde radici nel patrio suolo, nulla vieta, e non può
nuocergli, che i rami si dilatino fin dove li porta il naturale rigo
glio loro . E così anche a noi lo studio delle letterature straniere
non toglierà amore alle nazionali , quando queste costituiscano, e
devono costituirlo, il nocciolo e come il sustrato dei nostri studj .
Ma gridar bello tutto ciò che nasce in Italia , e tener vile quanto
non venne in luce sotto il nostro cielo : non è amor patrio code
sto, o tenerezza del nome italiano : è insensato egoismo ; è la ser
vitù della gleba, estesa all' arte e alla letteratura. In un cuore che
l'amor patrio veramente dilati , ogni nobile cosa , o nostra o fore
stiera, può e deve, quasi entro capace sacrario , trovar ricetto e al
tare . Non si tema che questo amore al Bello , che dallo stranie
ro ci viene, si esageri in culto insensato per tutto ciò che è stra
niero ; e ci guidi a quel cosmopolitismo politico che Giusti, e ogni
onesto Italiano con esso , sapientemente deride. Pregiare in ter
ra straniera il bello , il grande , il gentile che avremmo in pre
gio in patria , non ci vieta di abborrire , ovunque ci si mostri ,
il male che in patria ci offenderebbe . Il nostro è amore ai gran
di artisti, ai candidi poeti , ai generosi scrittori ; non già ai vio
lenti usciti , per caso , dal medesimo paese . Delle colpe dei se
condi non rispondono i primi . Quanto diverso giudizio faremmo
di genti straniere, se la progenie degli oppressori non ci nascon
desse la innocente famiglia dei grandi pensatori e artisti e poeti, che
dorano della benefica loro luce i secoli più selvaggi e tanto degna
mente rappresentano la patria onde son figli ! Grande ammaestramento
e diletto e sublimi emozioni ci dà la storia, nei pochi luminosi periodi
29

nei quali allo scabro fatto si sposa la poesia : quando un popolo com
batte le sante battaglie dell' indipendenza o quando è il Genio
che, come l'Omero di Dante , reca in mano la spada . Ma l'ani
mo nostro s'arretra avvilito, quando essa ci avvolga tra soldatesche
che tumultuano un istante nel mondo senza freno e senza meta ,
e non curi o sol mostri di lontano , impaziente d'arrestarsi a con
templarla, quella piccola ma sublime milizia che fatica e combatte,
non già per velleità di conquista o per ambizioni dinastiche , ma per
il bene, per il decoro e sollievo della terra natale e del genere umano.
A questa pensosa milizia i giusti e i generosi mandano un saluto
amoroso e, quand' anco scendono armati in campo contro invasori e
oppressori , mandan pegno d'alleanza e di pace .
Ciò felicemente riguarda il passato . Invasori e oppressori han
no presso che sgombro il campo ; le genti latine e le germaniche
hanno ragguagliate le loro partite o non tarderanno a ragguagliarle :
elle ora sono del pari , e combatterono , non ha molto , alleate per
la medesima causa. Ma a stringere intima e durabile alleanza non
basta la lettera morta dei trattati o l'inchinarsi l'una all'altra due
gloriose bandiere ; la distanza morale non è tolta e non decresce
sinchè la mente germanica rimanga o straniera o mal nota alla men
te latina, e l'Italia non tragga auspicj dagli scritti di Shakespeare ,
di Schiller, di Göthe, come la Germania , già è gran tempo, li trae
dalla Divina Commedia.
Poniamo giù quel tradizionale disdegno d'ogni cosa forestiera
il quale , se fu in addietro effetto e cagione di grandezza, e tornò
utile a concentrare i nostri pensieri e sforzi nella grande opera del
crearci una patria : sarebbe , or che la patria è creata , principio
di morale e materiale decadimento ; quel generoso disdegno che si
esprime nella vita e nelle opere di tanti Italiani e fin nella confi
gurazione geografica della nostra penisola. L'Italia si stende sde
gnosa in mare, quasi anelasse a tutta isolarsi ; ma la provvida na
tura l'ha congiunta al continente perchè meglio accomuni facoltà e
opere e intenti con le nazioni sorelle ; e le ha dato, nel loro mezzo ,
il posto d'onore, perchè sappia mantenervisi .
30

NOTE

(1) L'amore alla Germania mi dettò alcuni versi che indirizzai allo squisito
traduttore della mia Ghirlanda di canti per Dante, il poeta sassone Giulio Schanz . Li
riporto, a meglio esprimere il mio pensiero :

O canti, o canti miei ch'io già obliava,


Chi vi dà questa,
Che si allegri portate e non vi grava,
Straniera vesta ?

Chi questa lingua v ' apprendea, che molce


L'anima mia,
E che quasi la bea come la dolce
Lingua natia ?

Nei miei primi perduti anni gentili


lo la parlai ,
E sogni e affetti e imagini infantili
Le confidai.

E leggendovi, o canti, entro mi suona,


Ad ogni rima,
Una cara armonia che mi ragiona
Dell'età prima.

Il mio proprio pensier come alla mente


Chiaro mi reca
Questa nobile lingua, onnipotente
Come la greca !

Tra forte e dilicata, ella somiglia


A quel Lutero
Che a un popolo la diè , libera figlia
Del suo pensiero.
E la musa alemanna la educava
Con lungo amore ;
Musa che non fu mai complice o schiava
All' oppressore ;

Che negletta ingrandi, vergine anch'ella


D'ogni servaggio,
Non del raggio dei principi, ma bella
Del proprio raggio.
31
A quante noi patimmo acerbe offese
Ella è straniera ;
Nella candida man sempre che prese
Una bandiera,

Il motto vi segnò del giovin vate :


Contro i tiranni ! (*)
E intrepide fa'angi ella ha infiammate
Ai loro danni.

Dall'italica musa oprò divisa ;


Or s'è accostata;
E una cara sorella in lei ravvisa
E un'alleata.

Preludio all'amistà che stringeranno


Le due nazioni,
Le due muse la mano ecco si danno
E cambian doni.

Di due nazioni ad affrettar l'amplesso


Iddio le ha elette :
Cosi unirsi per via noi vediam spesso
Due giovinette ;

Che mentre non vorrebbero i parenti


Che salutarsi ,
Corrono innanzi a lor, corrono ardenti
Ad abbracciarsi.

(2) Pueri stirpis romanae nostra lingua loquuntur, eximie indicantes exhibere se
nobis eorum fidem, quorumjam videntur affectasse sermonem . Cassiodor. Var. Vill. ep. 21 .
(3) Hist. of Engl. I, 9.
(4) Imagine che Lutero applica al suo Dio, nel più potente e più famoso inno
ch'egli abbia scritto :
Ein feste Burg ist unser Gott,
Ein' gute Wehr und Waffen.
(5) Non è da negare però che, tolta la detta scena e poche altre, la seconda
parte del Faust non sia molto al di sotto degli altri lavori poetici di Göthe . Alla
serenità di forme , che gli era consueta, fan velo e uggia le molte allegorie. Tu
senti, leggendo , che anch' egli, l'Olimpio della letteratura moderna, invecchiava .
(6) Die Nachtfeier der Venus.
(7) Kornmann, Mons Veneris. Della mitologia greca nel nord trattò meglio di
tutti Enrico Heine nell'ultima e più splendida sua prosa. Chi non ha letto : Les dieux
en exil?
(8) Nei Mährchen, per esempio, de' quali toccai altrove. « Il Tedesco ne'suoi Mährchen
(e non sono nè le nostre fiabe, nè le nostre novelline) då vita e anima ai più insi

(*) I Masnadieri del giovine Schiller, quando uscirono stampati la prima volta nel
1781 , recavano in fronte il motto : In tirannos.
32
gnificanti oggetti che gli stanno intorno. Portato dalla inclemenza del clima e dal
l'indole tranquilla e posata a viversi il più del tempo tappato in casa
Per uscirne soltanto ai di di festa,
come dice quel pedante di Wagner nel Faust ; è naturale ch'egli chiami a confi
denti e a partecipi de' suoi pensieri contemplativi e de' suoi sogni, la scranna su cui
siede, il seggiolone degli avi che gli apre in un angolo le braccia, la tavola , il cas
sone, l'oriolo a pendolo : enti poco men che indifferenti ai meridionali , che la mite
bellezza del cielo invita all'aperto. Quando maggio ritorna, e il Tedesco lascia l'afa
delle camere e delle soffitte e corre anch'egli a deliziarsi nelle pure aure dei campi ,
egli porta, nella considerazione della natura , quell'occhio pazientemente scrutatore,
quel delicato orecchio, intento anche al silenzio, ch' egli esercitò prima nella po
vera solitudine della sua casetta ; fra le pareti della quale originò propriamente il
Mährchen. Alla genesi poetica di esso accenna l' Heine nella prima parte dei Reise
bilder ; dove, toccando dei minatori di Goslar, ci descrive la muta e pensosa nonna o
bisnonna aggomitolata dietro la stufa ; ivi ella viene lentamente ideando quelle pla
cide o tremende fantasie ch'ella poi comunicherà con aria di mistero ai nipotini ,
che questi raccoglieranno religiosamente e tramanderanno, di bocca in bocca, in
nominate ai futuri . Guai se il culto poeta, togliendoie al popolo per innestarle alle
proprie creazioni , s'arrischiasse di troppo alterarne le sembianze, e ne guastasse col
ruvido tocco la grazia natia. » (Vedi il Politecnico, fascicolo di Luglio, 1866.)
(9) Della canzone nona afferma ingenuamente lo stesso Leopardi , nel suo com
mento al Petrarca, ch'ella sembra scritta col deliberato proposito che non la si ab
bia a intendere.
(10) «A la Bibliothèque de Weimar j'ai vu des autographes curieux, - notam
ment un vieux diplome français, signé Danton et Roland, adressé au célèbre poète
Gilles, ami de l'humanité. La prononciation allemande du nom de Schiller a donné lieu,
sans doute, a cette erreur bizarre, qui n'infirme en rien, du reste, le mérite d'avoir
écrit ce brevet républicain. » Gérard de Nerval, Souvenirs de Thuringe.
(II) Non credo che la poesia eroica abbia voce più nobile e più grande di que
sto ultimo voto di Byron :
If thou regret'st thy youth, why live ?
The land of honourable death
Is here. Up to the field, and give
Away thy breath!
(12) Don Juan, canto X.

Potrebbero piacerti anche