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Proemio all'Archivio Glottologico italiano Graziadio Isaia Ascoli 1872 Un vocabolario che si viene stampando in Firenze sotto auspicj

gloriosissimi, ra ppresenta un principio, o uninnovazione, di cui gli riesce far mostra nella prima parola del suo frontispizio, poich egli si annunzia per nvo anzich nuovo, cos ripro ducendo la odierna pronuncia fiorentina, chegli trova urgente di rendere comune a tutta lItalia, siccome parte integrale dellodierno linguaggio di Firenze, il qual devessere, in tutto e per tutto, quello dellItalia intiera. La medesima pronuncia fiorentina gli suggerir, ed egli dovr accettare, sotto pena di non lieve incoeren za: mre per muore; sla per suola; fri per fuori; io nto per nuoto; io sno per suono; cco per cuoco; mini per uomini, e via discorrendo. Ora, tutti conoscono, e nessun conosce meglio de promotori del Novo Vocabolario, lintima ragione dell u che questi tenta di sbandire. L uo italiano, se per comodo de lettori qui si vuol ripetere codesta ragione, normale prodotto dello breve latino quando porti laccento, come ie prodotto normale delle breve latina accentata. Lao nde avemmo: io muovo, allato a noi movimo, nuovo, allato a rinnovare e novit, cos c ome avemmo: side, allato a sedto; pide, allato a pedta. L o lungo latino, allincontro, o l e lunga latina, quando pur sieno in accento, ci dnno sempre la vocale scempia (e chiusa); quindi, per esempio: vce, amre; sra, avre.[1] E siccome la brevit o la lunghezza della vocale latina non proviene naturalmente da un capriccio, o da una convenzione, del popolo de Quiriti, ma s un accidente ch e ha le sue ragioni organiche e ancora si vede difilatamente risalire a tale ant ichit, rispetto alla quale sono avvenimenti moderni le storie pi rimote; ne viene, che la distinzione che noi abbiamo cos perspicua e familiare, tra nuovo (NVUS), a cagion desempio, e lro (ILLRUM), dipende da variet fondamentali che rannodano, nel tempo e nello spazio, una grande e nobilissima parte del genus homo; insomma un fenomeno storico, il quale, connaturato e saldo nelluomo odierno, rivaleggia danti chit col mondo fossile. Se per ci tra coloro che si affaticano intorno alla storia delle lingue, surga qualche lamento contro il tentativo di menomare o di abolir e una tale distinzione, senza che alcun patente bisogno ci spinga a manomettere il prezioso cimelio, e anzi risulti da questo intento un danno manifesto anche n ellordine pratico della parola; se taluno di coloro, soverchiamente appassionato, trascenda a scrivere, che il tentativo gli sembri addirittura unoffesa o una sfi da al moderno sapere; abbastanza probabile, che anche prima che si aggiunga alcu naltra considerazione, possa avere facile scusa, o perdono, presso i pi, lo zelo p oco importuno di quei modesti operaj. I quali, inoltre, per effetto del loro mes tiere, vedono di continuo, che qualche scarso sviluppo, od avanzo, dell uo nel pr ovenzale, non toglie che questo particolar continuatore, o succedaneo, dallo lati no, sia veramente il distintivo pi cospicuo della romanit italiana. L uo degli scri ttori fiorentini non coincideva gi soltanto con luo di Arezzo o daltre terre circon vicine, ma ritrovava se medesimo, a tacer dellItalia meridionale, in molta parte della superiore, come pu vedersi anche dai fogli che vanno qui uniti; e cos riusci va di tanto pi facile che egli entrasse nelle scritture della penisola intiera. I l dialetto (osano dire fra di loro due degli operaj di cui si parla, illusi fors e dalle loro esperienze continue), quando diventato lingua, aveva florida questa propriet, e la mantenne o la immise in ogni altra regione italiana, s che, da pi s ecoli, quanti italiani o stranieri hanno conosciuto o creduto conoscere la lingu a della civilt italiana, hanno sempre scritto ed anche pronunciato quest uo; oggi perci la lingua, salda ed una almeno in questa parte, deve naturalmente conservar e limportante carattere pur nel nido onde uscita, se pur la favella familiare ivi paja prossima a smarrirlo. E limportanza del carattere, sempre per quegli operaj , sta anche in ci, chesso abbia la parte pi cospicua in quel movimento grammaticale , intrinsecamente italiano, che consiste nellavvicendarsi di due diverse figure v erbali secondo la sede diversa che abbia laccento; poich ognuno conosce che laltern arsi, a cagion desempio, di muov con mov, in muvo e movimo, dipende da quello stesso principio pel quale do (AUDIO) accanto a udimo, sco allato a uscimo, dvo allato a dob bimo. una movenza, una variet regolata, che passa fra i pregi della parola neolatin

a in genere, e dellitaliana in ispecie. Dovremo noi credere, che un grammatico ra gionatore pensi ad abolire, o a menomare, in nome dellunit e del popolo, una propr iet del suo linguaggio, che sta cos salda, ed esce cos spontanea dalle viscere popo lari? Senonch, il povero dialettologo, continuando per questa via, temerebbe davv ero di persuadersi delle proprie sue ragioni troppo di pi che non giovi; e meglio gli conviene il porsi a ristudiare gli scritti, in cui le dottrine o le ragioni del Novo Vocabolario sono esposte, da suoi promotori pi cospicui, con quella sicu rezza, lucida e robusta, che spossa anche le obiezioni che non vince. Ma pi che o biezioni vere e proprie, al dialettologo rispuntano sempre dei dubbj irrequieti, che versano circa il valore di certi paragoni, circa il modo di considerare le cause del male o di pensarne il rimedio, e insieme e in ispecie, com naturale, cir ca il carattere che la disputa assume nellambiente di quella cultura, dalla quale dipende, fra le minute cose, ma cosa per lui principalissima, lesistenza o la fo rtuna della propria sua officina. Questi dubbj, per, nullhanno essi medesimi in s d i peregrino o di nuovo, e ora si accompagnano a un altro e molto grave dubbio, c he dellopportunit di manifestarli per le stampe, in brevissimo numero di pagine e quasi improvvisando. Ma un discorso che anche stampato rester confidenziale, come scritto non per altro che per mantenere un impegno. Il Novo Vocabolario non gi nemico delle indagini istoriche intorno alle lingue o ai dialetti; le pi schiette lodi, glincoraggiamenti pi validi, vennero forse, tra n oi, a siffatti studj da uomini che caldeggiano i principj chegli rappresenta. Ma questi principj, e quindi lopera sua, risguardano, egli pensa, ben altro e tuttalt ro che non sia la storia o la filosofia delle lingue. Si tratta di un interesse nazionale, grande e pratico; di tal causa di utilit pubblica, dinanzi alla quale tace ogni diritto di conservazione per qualsiasi pi ammirabile monumento de tempi. Si tratta di dare allItalia una lingua, poich ancora non lha; e una lingua naziona le altro non pu e non deve essere, se non lidioma vivo di un dato municipio; deve cio per ogni parte coincidere con lidioma spontaneamente parlato dagli abitatori c ontemporanei di quel dato municipio, che per questo capo viene a farsi principe, o quasi stromento livellatore, dellintiera nazione. Ora, come il municipio livel latore Parigi per la Francia, cos devessere Firenze per lItalia; come la Francia de ve la salda ed efficacissima unit della sua lingua non ad altro che allo scrivers i e al parlarsi da tutti i Francesi la stessa lingua che si parla a un tempo e s i scrive a Parigi, cos lItalia, che pur deve a Firenze quel tanto di linguaggio ch e la fa, bene o male, esser nazione, duopo che ritorni a Firenze per rattemprarvi ci che gi ne prese, e prendervi ci che ancora le manca, ed uscirne agitando sicura il suo pensiero nella ritrovata unit della parola. Qual fatica o qual concession e pu parer soverchia per conseguire tanto fine? Ora il dialettologo non nega di certo il male, cio la mancanza dellunit di lingua f ra gli Italiani, e se ne risente, per ragioni che non monta confessare, pi di qua nto altri mai possa; n, per conseguenza, egli sa imaginare opera pi meritoria di q uella che valga a minorare questo male od a sanarlo. Ma le sue abitudini lo ferm ano naturalmente, prima che ad ogni altra cosa, alle considerazioni, che ognun s a fare, ma che a tutti forse non pajono di ugual momento, sullintima ragione del perch altri si abbiano questo gran bene della sicurezza della lingua, che allItali a manca. Perch veramente ha dunque la Francia la salda unit della sua lingua, o perch lha non meno salda, e anzi pi salda e robusta ancora, lAllemagna? Tutti sanno rispondere, con maggiore e miglior copia di parole che non si possa qui ammannire. La Francia attinge da Parigi la unit della sua favella, perch Parig i il gran crogiuolo in cui si fusa e si fonde lintelligenza della Francia intera. Dal vertiginoso movimento del municipio parigino parte ogni impulso delluniversa civilt francese; e come a quel movimento prendono attiva parte Francesi di ogni provincia che non si sentono efficaci se non quando spendano le forze loro nellun ico e maraviglioso e tirannesco laboratorio che in riva alla Senna, cos nessun co ncetto, nessunopera, nessun argomento di civilt si pu ormai diffondere per la Franc ia con altra parola che non sia la parola parigina, per la quale e con la quale surge. Nessuna citt francese, priva ancora della lingua, ha mai portato le propri e sue creazioni a Parigi, ut videret quid vocaret ea; ma viene da Parigi il nome , perch da Parigi vien la cosa. E la Francia avendo in questo municipio lunit assor

bente del suo pensiero, vi ha naturalmente pur quella dellanimo suo; e non solo s tudia e lavora, ma si commuove, e in pianto e in riso, cos come la metropoli vuol e; e quindi necessariamente dellintiera Francia lintiera favella di Parigi, con tu tta la nobilissima sua grazia e con tutti i suoi capricci gergali, con tutta lacu tissima sua limpidezza, ma pur con quel suo fare stereotipo, che pu facilmente in torpidire il pensiero e far che lo spontaneo rasenti lautomatico. Poich non bisogn a gi magnificar soverchiamente le fermissime rotaje dellunico uso; e se buono che la parola obbedisca al pensiero con facil sicurezza, vero e riconosciuto altres, che i cervelli mediocri (e qui il mediocre sempre quello che pi importa e decide, perch i grandi fanno sempre bene dappertutto, qual pur sia lo stromento che dato loro, e Paganini sonava allegramente con una corda sola) i cervelli mediocri la vorano tanto meno, quanto pi il Frasario o Vocabolario della loro nazione ci most ri lucidi e attraenti, tutti ormai belle coniati, gli spiccioli del ragionamento o del pensiero comune. Appena occorre poi toccare dellenorme influenza che tanto grande agitazione intellettuale e civile ha dovuto avere sullo sviluppo della fa vella parigina;[2] poich tutti ormai hanno istituito confronti fra la parola che hanno spontanea i Littr o i Renan, con quella di Rustebeuf o dei vernacoli borgog noni nel cui mbito stava primamente la favella dellIsle de France, come per lo s tile ognuno ha potuto paragonare la prosa casalinga di Goffredo di Villehardoin (non monta per lo stile che questi sia piuttosto della Campagna che dellisola di Francia) col romanzo o col dramma dellodierna Parigi, dove, a citare il primo ada tto esempio che il caso ci porga, una donna, non punto laureata, pu dir con piena disinvoltura: lincision chirurgicale ncessite par les besoins de lalimentation (che i n lingua alla buona un taglio da introdurvi il cibo). Se Firenze fosse potuta di ventare Parigi, tutti i culti italiani oggi avrebbero sicuramente lidentico lingu aggio dei fiorentini; ma altrettanto sicuro, che il linguaggio di siffatta capit ale dellItalia non sarebbe il fiorentino odierno, e forse non si potrebbe pur dir e un dialetto toscano. La Germania, alla sua volta, non ha mai avuto un centro monarchico o civile da p otersi pur lontanamente paragonare con Parigi; stata scissa, nellordine politico, malgrado le apparenze di unit, in modo non meno barbaro di quello che fosse lItal ia; mantenne inoltre, e in parte ancora mantiene, tal disgregamento fra i ceti d iversi della sua societ civile, che di certo lItalia non conobbe o conosce il suo uguale; sub per giunta la separazione delle chiese, alla quale lItalia ha avuto la fortuna o la sfortuna di sottrarsi; e pur possiede, malgrado linfinita variet de s uoi dialetti, la pi salda e potente unit di linguaggio che abbia mai risonato sull a terra. Contro la quale affermazione, o lopportunit di confrontare il caso della Germania con quello della Francia o dellItalia, non si pu affatto ripetere alcun a rgomento dalla disinvoltura eccessiva con che il tedesco ricorso ai vocabolarj s tranieri, o dalla sua facolt estesissima di creare nuovi composti. Tutti, oggid, p er la molto diffusa cognizione di codesto idioma, sanno ci anche fra noi; e tutti vedono, come la salda unit, di cui si parla in questo luogo, concerna in ispecie labbondantissima sicurezza di costrutti, di congiunture, di giustapposizioni, di frasi e dizioni, sempre proprie ed indigene, che rende la condizione del tedesc o non diversa da quella che altri ammira nel francese e si desidera nellitaliano. Ma nessuno, in Germania, adora o pur discerne la culla della lingua; e mentre i dotti tuttora discutono sul processo generale della sua formazione, tutti sono convinti, che sarebbe vana la ricerca del preciso angolo della patria tedesca, d al quale sbucasse primamente il rivolo, che era destinato a diventare una cos gra n fiumana nella cultura del mondo; n mai si col sentito il bisogno o il desiderio di ribattezzare le lettere ad alcuna fonte privilegiata di lingua viva; con ques to di soprassello, che il pi cospicuo, od almeno uno fra i pi cospicui centri lett erarj dellodierna Allemagna, cio Berlino, si trovi sopra un terreno, che non solo di formazione germanica tuttaltro che antica, ma spetta altres a quella sezione di alettale, cui non rivengono le variet dalle quali o fra le quali surta la lingua letteraria; il che pressappoco, trasportandoci in Italia, come se a Nizza o a Be llinzona oggi fosse il miglior fiore di una lingua, in cui si continuasse il tip o dialettale dellItalia mezzana. Il genio di Lutero, signoreggiato un idioma auli co, greggio ed instabile, ne plasm quella miracolosa versione della Bibbia, che r uppe lunit della fede e cre lunit della nazione.[3] La Riforma, rifiutata da cos gran

parte degli AltoTedeschi, di cui restaurava la lingua, imponeva per sempre questa lingua medesima alla Bassa Germania. Ma il progresso dello spirito tedesco, e p erci della lingua fattasi comune alla Germania intiera, non continua sicuro e ini nterrotto da Lutero a nostri giorni; pur dopo Leibnizio resta mal certo, e let di K lopstock e di Kant, due uomini che son morti nel secolo in cui viviamo, pu ancora vantarsi autrice della nazione, e nel pensiero e nella lingua.[4] Quindi affatt o moderna la salda unit intellettuale e civile della Germania; eppure cos profonda mente salda lunit della sua lingua. Gli che lenergia della progredita cultura, e de l ridesto sentimento nazionale, venne col ad accoppiarsi a unoperosit infinita; gli che ogni studio del vero e dellutile ha rapidamente compenetrato la nazione inti era, e determinato un tal movimento di ogni attivit civile, un tale affratellamen to in ogni industria della mente e della mano, una tanta unione dintenti e di aff etti, che nessuna distanza materiale ha pi diviso fra di loro i tedeschi, e son t utti diventati cittadini di una citt che non esiste. Dice stupendamente il Vocabo lario Novo, che il laboratorio in cui la natura fa le lingue, le raffina e le per feziona, non pu essere che unagglomerazione di uomini viventi in uno scambio conti nuo e obbligato di pensieri e di uffici. Ma lorgano dello scambio non sempre neces sario che sia la glottide; pu anche essere la penna, purch si sappia scrivere; e q uando milioni di menti agitano o hanno agitato la penna operosa, lo scambio si f a cos rapido, complesso, nobile ed efficace, la suppellettile messa in comune si allarga, si affina, si afforza cos mirabilmente, che lagglomerazione o associazion e di uomini, tra cui lo scambio avviene, pu innalzarsi di fase in fase nella regi one del pensiero (che non poi una regione artificiale), mentre altrove si disput a di glottidi privilegiate o non privilegiate. Se i pensatori sono in continuo c olloquio fra di loro per tutta la gran patria tedesca, loperajo, da pi generazioni , forse da secoli, la misura avidamente co suoi passi, pregando e cantando nella lingua della sua chiesa; e il vocabolario dellofficina, cos come quello del filoso fo, ha ormai subto il naturale o razionale suo processo di selezione e di consens o. Col poeta, fattosi interprete assiduo della fede, educatore assiduo e onnipre sente di ogni nobile affetto della nazione, la lingua ivi ricorre di continuo al le vive fonti della tradizione antica e del popolo, mentre la scienza, o meglio lenergia riflessiva e scernitrice, stampa in ogni movimento del linguaggio, anche ne pi intimi e riposti, limpronta indelebile della sua seriet divina. Nella scuola, nella stampa, nella intiera operosit sociale che tutta alimetata di culta parola , la si agita col quellintensa vita della lingua, nella quale la proposta individu ale, la creazione, la disumazione, ladesione, il rifiuto, la riforma, la diffusio ne, luso, sono avvenimenti od effetti incessanti, pei quali si continua o si ripr oduce, in nobilissima sfera, il medesimo processo di consenso creativo, onde pur surge e si assoda e si trasforma un vernacolo qualunque. Se nessunaltra nazione fabbrica tanti dizionarj di ogni lingua quanti ne produce la Germania, in nessun paese, allincontro, gli scrittori sentono minor bisogno di ricorrere al lessico per apprendervi la lingua della propria nazione. Viva nella pi ampia e viva di tu tte le culture, si ravviva quella lingua nel focolare della culta famiglia, che ormai non ha favella diversa da quella dei libri; e non c bisogno di dimenticare i difetti inerenti a codesta razza, o a codesto linguaggio, per conchiudere, che lenergia, onde prorompe la unit intellettuale dei Tedeschi, ha ormai per suo porta to una parola, la quale leffetto e lo stromento di tal facolt collettiva di pensie ro e di lavoro, cui lumanit non aveva peranco raggiunto. Che sarebbe avvenuto, in ordine alla parola italiana, se lItalia si fosse potuta mettere, molto pi risolutamente che pur non abbia fatto, per una via non disforme da quella che la Germania ha percorso? Roma, per la sua originaria attiguit dial ettale con quella regione a cui la parola italiana va debitrice di ogni suo sple ndore, e per esservi continuato, merc la Santa Sede, un moto energico, in molta e quasi inavvertita parte e come suo malgrado italiano; Roma, nella favella spont anea di quanti suoi figli non rimangano affatto rozzi, ci porge limagine o i cont orni di una lingua nazionale, e meritava, anche per questo capo, ridiventare pri ncipe dellItalia intiera. Ned necessario avvertire, che il grado di magistero, ra ggiunto da molti autori toscani e non toscani, antichi e moderni, sia per la lin gua e sia per lo stile, e sempre in ordine al concetto della vera unit nazionale, appare ben diverso allumile scrittore di queste pagine da quello che ai fiorenti

nisti non debba parere. Ma la nostra interrogazione fa parte naturale dun colloqu io imaginario che si tenga con questi, e versa intorno allipotesi di un processo di fusione intellettuale, e quindi idiomatica e civile, indefinitamente pi inoltr ato che non si sia potuto avere fra gli Italiani. Ora lassunto implicito in quell a demanda, che dimaginare singoli esempj, i quali concernano un tale processo ipo tetico od i suoi effetti, pu legittimamente parere arduo insieme e puerile; e pig liarlo nelle strettezze di un discorso cos meschino com il presente, non la minore fra le temerit di cui si danno tante prove in questi pochi fogli. Ma il bisogno d ellevidenza non permette di sfuggire questo carico; e il trattarsi di casi imagin arj, non gi di suggerimenti (che sarebbe una curiosa presunzione) o pur di concre ti desiderj, potr forse rendere meno difficile lindulgenza di chi legge. Si finge qui dunque, per un breve istante, lofficina germanica trasportata e adattata allIt alia; dove intanto sar lecito affermare, sulle generali, che la qualit della lette ratura e quindi della lingua iniziale, e la potente organizzazione della chiesa italiana, avrebbero dovuto agevolar lopera di non poco, e renderne il frutto ben pi squisito di quello doltremonte. Il tipo della lingua italiana sarebbe sempre ri masto non solo toscano, ma s propriamente fiorentino; vale a dire, per accertar le nunciato con qualche esempio, che non solo un veneziano amao per amato, o il mil anese roesa per rosa, o un condizione alla lombardesca o alla friulana come io po rtarssi, oppure un costrutto come tu haitu, secondo il genio dellAlta Italia, non v i sarebbe mai pi stato legittimo o possibile, ma neppure un gmbaro alla sanese, in luogo del gmbero di Firenze. Il tipo fonetico, il tipo morfologico e lo stampo s intattico del linguaggio di Firenze si erano indissolubilmente disposati al pens iero italiano, per la virt sovrana di Dante Alighieri. Ma tutto quanto non contra vvenisse al tipo, e fosse paesano e trovato acconcio o preferibile nella gran co nversazione delle intelligenze nazionali, datesi a unattivit sempre pi estesa e pi i ntensa e svariata, sarebbe passato per non meno o pure pi legittimo di ci che spet tava al fondo fiorentino, e a questo si sarebbe contessuto, e lavrebbe in vario m odo, e di certo non lievemente, modificato. Si sarebbe rispettata e voluta una l ibert naturale e necessaria, ugualmente rimota dalla superstizione e dalla licenz a; e non vha nessuna parte del linguaggio per domestica, o confidenziale, o volga re che sia, la quale non avesse potuto o dovuto risentirsi della schietta fusion e delle genti italiane. Poteva ben sorgere qualche lusso di voci o locuzioni equ ivalenti, ma il provvido rimedio stava unicamente nella selezione naturale, che sempre e per ogni parte il portato dellattivit prevalente, e nel caso nostro la pr edilezione che si determina dal voto del maggior numero (i voti son presto dati, se tutti scrivono), oppur dal solo voto dello scrittore di genio, quando il pub blico chegli affascina veramente la nazione. Il Fiorentino che si fosse messo a i struire per iscritto le fanciulle od i sarti, avrebbe chiamato anello quellarnese che in tante altre favelle romane si nomina col normal riflesso di un digitale o digitellario di lingua latina. Ma il giorno dopo, in unaltra scrittura consimil e, un maestro aretino avrebbe messo fuori il suo ditale, come voce pi evidente e propria; e i suoi collaboratori di Venezia, di Milano, di Palermo, avrebbero dat o subito ragione al fratello legittimo del loro dexil o did o jiditli, e luso di Fir enze cos se ne andava legittimamente sopraffatto.[5] Non facile dire, quale avess e potuto meritare la preferenza, tra il mattatojo (mactatorio) di Ancona e lamm azzatojo (admactiatorio) di Firenze, entrambi di puro e identico metallo; ma cer to si deve dire, che la scelta dipendeva da quellattivit in ordine allo studio e q uindi in ordine a distinzioni teoriche e pratiche sullarte e sullistituzione dei m acelli, che fosse lopposto di quellinerzia, la quale ha persuaso, se non costretto , un articolo dellEnciclopedia popolare italiana (nella prima edizione per lo men o) a intitolarsi piuttosto abattoir che non ammazzatojo. Nelle Marche, o in qual che parte delle Marche, dicono piovere a vento per significare che la pioggia, s pinta dal vento, cade in direzione obliqua (il friulano plovi di stravint ). Ora , nellambiente imaginario della nostra ipotesi, nessuno si sarebbe sognato dinterd ire, a priori, luso di questa locuzione cos calzante, per la ragione che andasse a spettato o il consenso o il sinonimo dei fiorentini. Se a un veneziano fosse ven uto il capriccio di scrivere che una cosa d becco alle stelle, per significare ch e squisita, nessuno di certo gli avrebbe dato retta; n pi che a lui ad un fiorenti no o ad un napoletano, che avesse voluto mettere in mostra qualche suo modo di s

imil risma. Ma nessuno avrebbe mosso rimprovero al veneziano se egli offriva all a letteratura italiana il suo mettere il cervello a segno, malgrado il pericolo che a Firenze cos non si dicesse, o ivi piuttosto mettessero il cervello a botteg a od a partito. Vero che il siciliano, per significare il medesimo, sarebbe fors e uscito col suo metter pensiero (mttiri pinsri), unione di parole che altrove pu val ere dare apprensione. Ma ognun vede, dopo il primo sgomento, che lequivoco non pu fa cilmente avvenire od anzi a dirittura impossibile; poich metter pensiero, quando po rti il significato di dare apprensione, deve reggere di necessit un dativo, che nel laltra significazione deve di necessit mancare; e il metter pensiero, locuzione pa rallela al metter radice, sostenuto da una Sicilia che emulasse in attivit civile la Sassonia, cio che mandasse al continente italiano i suoi milioni di chilogram mi di libri, avrebbe potuto fare ben legittima fortuna, poich lautorit legittima len ergia operosa. E il gusto dei forti, daltro canto, suol essere meno schizzinoso d i quello dei deboli; diguisach, rimanendo sempre nella nostra ipotesi, se per star e in apprensione lo scrittore siciliano avesse pi facilmente detto: star con pensi ero (stri cu pinsri), e il veneziano, allincontro, per limitarci a lui, pi facilment e: stare in pensiero, il divario poteva forse piuttosto allettare che non spiace re, e nessuno, ad ogni modo, ne avrebbe voluto fare un caso di stato. Si sentito , che traducono il Caro dinanzi al tribunale delluso fiorentino, perch egli scriva : trovare il pelo sulluovo, e pare che ogni buon Italiano avr obbligo di non usare se non questo modo solo: vedere il pelo nelluovo. Lautore di questi fogli non sa dire se il Caro, chera marchigiano, avesse, e prendesse con animo deliberato, que sto modo che sincrimina, da un qualche dialetto a lui familiare; ma pu dire, che a llestremit orientale delle Venezie, la balia ha a lui insegnato il preciso modo ch e il Caro adopera, e vorrebbe ancora avvertire, che si tratta probabilmente, nei due diversi modi, di due idee alquanto diverse, secondo che si alluda a chi sing egni a scoprir delle scabrosit pur dove tutto liscio (un pelo sulluovo), o a chi s i lambicchi a trovare in una data sostanza qualche elemento che le sia affatto e straneo (un pelo nella polpa delluovo[6]). Ma piuttosto si permetter di notare, ch e, data sempre la nostra ipotesi, nessuno cercherebbe o troverebbe di simili pel i. Poich, in quarantanni di lavoro, quellofficina avrebbe centuplicata la densit del sapere; e la modificazione grandissima dellapparato intellettuale della nazione, importerebbe per se medesima, e per la mutata condizione degli animi, un cos gra nde rivolgimento pur nellordine della parola, che la dicitura casalinga, o lidioti smo ed il proverbio, assumerebbero, in ogni specie di scrittura, una sembianza b en diversa da quella che altrimenti possano avere. Ci non vuoi gi dire, che lidiotismo e lingenuit della dizione vadano sbanditi perch un a moltitudine di pensatori, associati ma non livellati, abbia cresciuto energia alla parola, ne abbia sprigionato molte facolt imprima latenti, abbia creato, sub limando il genio nativo, quello strumento caratteristico delle nazioni che lo st ile. Ma vuoi dire, che se il sussiego una gran brutta cosa quand unaffettazione, pu allincontro avvenire, molto naturalmente come ognun vede, che il colloquio segua in tali condizioni, nelle quali il mancare di gravit o di sussiego o di serio col ore, costituisca egli, alla sua volta, una vera affettazione o il pi grave degli stenti. Nessuno vorrebbe di certo che un ministro dicesse in parlamento: lInghilte rra arriccia il naso; oppure: noi in queste cose di Turchia non ci si ficca il nas o; come ognun sente che fra due scienziati modo pi naturale, anche nei discorso ca salingo: vi si determina un piccolo vano, che non: ci si viene a formare un bucolin o. Nel primo caso, la solennit della conversazione che esige forme pi elette; nel s econdo, il modo pi eletto deriva, quando pur non sia necessariamente richiesto, d allabito di una mente, il cui lavoro pi complesso, e insieme pi facile e sicuro, ch e non sia di solito il lavoro mentale di chi si esprime nei modo pi pedestre; que sto daritmetica elementare, quello incomincia ad essere algebrico; e se v chi sappi a fare il prodigio di riprodurre gran parte delle operazioni dellalgebra con la p ura aritmetica, nessuno perci vorr sostenere che il prodigio sia una cosa naturale , o che una nazione si abbia a muovere a furia di miracoli. Ora imaginiamo, e vha ormai pur troppo, unintiera societ, anzi unintiera nazione, nei cui eloquio il det erminarsi un piccolo vano sia modo pi naturale o consentaneo che non sia il venir cisi a formare un bucolino, e noi vediamo facilmente, che la ragione di questa s pontaneit, e la ragione della solennit legittima, si confondono in una ragion sola

per escludere molta parte di intimit casalinga, o municipale, dalla lingua con l a quale parlano dinanzi al mondo le diverse stirpi di una medesima nazione. Qual mente si pu pensare pi aliena da ogni affettazione di quello che fosse la mente d i Guglielmo di Humboldt? Ebbene, proviamo a tradurre in istile casalingo, o flor ido didiotismi e di proverbj, una qualsivoglia delle sue scritture, o letterarie, o critiche, o filosofiche; oppure proviamoci a stabilire, dopo aver considerato lopera sua e de pari suoi, dove finisca il linguaggio delle lettere e dove incomi nci quello della scienza. O v cui possa parere pi calzante il confronto di Platone fra un pugno di liberi Ateniesi, che non sia quello di Humboldt fra i milioni di Tedeschi, quando il problema verte sul modo in cui si possa estrinsecare, con u niforme parola, il pensiero di una nazione moderna, multistirpe e centrifuga, il quale deve laboriosamente nutrirsi di un sapere infinito e per molta parte non indigeno? Di certo, gli idiotismi, i tratti popolarmente vividi, non possono e n on devono mancare ad alcuna letteratura, o lingua scritta che dir si voglia; ma parte risalgono a quel primo fondo dialettale che serv a mettere in comune il lav oro intellettivo della nazione, cio spettano allet quasi infantile, allet del cieco a ssorbimento, allet meramente mnemonica della nazione rinnovellata; parte ne inocul a pi tardi o ne infonde irresistibilmente la virt sovrana dellArte o il giovanile r ibollimento di unattivit comune; ma sempre si tratta di fenomeno come istintivo, e listinto tanto pu meno quanto pi la riflessione pu, n alcuno forse aveva prima dora m ai imaginato che un vocabolario avesse a sfidar la riflessione e a inocular listi nto. A sentire i fiorentinisti (ed una scuola dove i discepoli vanno naturalment e e subito molto pi in l che non faccia il Maestro, poich non si tratta gi del mero e solito contingente della esagerazione di un principio, ma il caso di un princi pio che non si possa distinguere dalla sua esagerazione, od anzi non pure il cas o di un principio, ma sibbene della semplice contraffazione, pi o meno felice, di una realt, spontanea insieme e necessaria, che la storia ha altrove prodotto), p are molte volte, se non sempre, che essi non vogliano pensare altre obiezioni, s e non quelle che credono derivare da pregiudizj italiani; e che al di l dei monti e dei mari, tutto ci chessi dicono debba sembrare la cosa pi naturale del mondo, p erch, ovunque si ha una lingua nazionale, sia avvenuto e dovuto avvenire che altr o mai non si facesse se non quello appunto che ora essi chiedono alla loro pervi cace nazione. Ma sarebbe un curioso esperimento istorico il metterli a discutere di qualsivoglia innovazione, da loro caldeggiata, con quel qualunque uomo del m estiere che oltremonte a lor quadrasse. E si pu dar loro facilmente un qualche es empio delle pedanterie che avrebbero a sentire da colui. Il sostantivo punto, eg li direbbe, exempli gratia, essendo venuto a funzione quasi avverbiale (non ne h o punto = non ne ho nulla; temo poco o punto), da questa pot poi passare, nelluso toscano o fiorentino, a far daggettivo (poca paura, punta paura); vicenda ideolog ica non gran fatto strana; una evoluzione delluso che ha la sua chiara storia: ma di queste due fasi storiche del valore di punto, la prima era compta quando la f avella dei toscani o dei fiorentini si rivers in quella serie di scritture che ac comun al pensiero di tutti glitaliani un medesimo tipo dialettale, e la seconda, a llincontro, non lo era, o non appare che fosse (lessere e il parere fanno, in ques to caso, lo stesso), e oggi, nellet della riflessione, nessuna ragione ideologica, nessuna necessit tecnica, nessun consenso generale di popolo, viene a raccomanda re al pensatore, o ad imporre ai letterati, la punta vista o i punti scrupoli; e questa naturalezza fiorentina, sarebbe perci unaffettazione italiana. Voi insegna te, continuerebbe quel barbassoro, che si abbia a scrivere dette anzich diede, ma diede per DDIT voce schiettamente popolare e italiana e toscana, quanto piede pe r PDE; il dittongo vi assicura, se ne fosse duopo, che essa uno dei fiori pi sponta nei e delicati della vostra terra; quanti Italiani mettessero in iscritto il lor o pensiero, da Susa a Trieste e da Trento a Palermo, non hanno mai usato, da pi s ecoli, altro che diede, e questa forma, squisitamente istorica, e invidiabilment e pratica, perch si dovr affettatamente sagrificare alla postuma prediletta di un vernacolo? Qualsiasi aberrazione dialettale (parla sempre il barbassoro) pu bens i ncogliere una lingua letteraria, per cause che inavvertitamente o indispensabilm ente si subiscono; ma se voi oggi insegnate agli Italiani, che il modo: io e te quando ci si lamenta merita e deve soppiantare questaltro: quando io e tu ci lame ntiamo, voi date pien diritto ai vostri avversarj di rispondervi, che da pedante

a pedante, meglio la grammatica che lo sgrammaticare. Quando vimaginate dimporre il fiorentino doventa agli Italiani che scrivono diventa, questi dovrebbero sape rvi rispondere, merc le fatiche nostre, che se il fenomeno sporadico di o dalle at ona latina, per effetto della labiale che sussegue, era compito e fermo nel fior entino dovere (DEBRE) in quellet di cui prima si toccato, e ritornava per questo st esso verbo in un numero infinite di altri vernacoli italiani, alcuno dei quali l o tollera eziandio nelle voci del verbo medesimo che hanno laccento sulla prima; nel caso di diventare, allincontro, bench si trattasse di sillaba sempre atona, il fenomeno non era compito e saldo nel fiorentino, n avrebbe trovato simile consen so negli altri vernacoli; e che perci il volere oggi, nellet della riflessione, che si lasci di punto in bianco il modo sempre usato da tutti glItaliani, e si turbi la norma etimologica (diventare), evidente a tutti e sentita da tutti, gli propr io un fare troppo a fidanza con la bont degli uomini. Ma se il barbassoro potesse mai sapere, che il fiorentinismo, in certi momenti, ha degli entusiasmi minacci osi, durante i quali par che lItalia non debba risorgere se non al sacro grido di Noi si doventa mini, egli direbbe, almeno fra s, che questo un bellavviamento ad e virarsi. Ma checchessia delle intemperanze altrui e delle nostre, i periodi che precedono volevan ricordare, che, nel caso della Germania, luso veramente creato o stabili to dalla letteratura comune, e nel caso della Francia stabilito o creato dalla c onversazione e dalle lettere di quel municipio, nel quale si accentra ogni movim ento civile della nazione; che perci, in entrambi i casi, la unit dellidioma in tan to si estende, in quanto lo importa la virt indefettibile della comunit del pensie ro o lazione imperativa dellintelletto nazionale, la quale sincarna nellidioma medes imo, e non incontra nessuno, che voglia o possa a lei sottrarsi; cosicch il vocab olario ivi risulta, come vuole la natura della cosa, ben piuttosto il sedimento che non la norma dellattivit civile e letteraria della parola nazionale. Dal fatto della salda unit di linguaggio, di cui si rallegra la Francia o la Germania, non pu quindi venire alcun argomento di legittimit, od alcuna speranza di facile cons eguimento, al proposito di ridurre tutta lItalia alla pretta favella di Firenze. La distanza che separa quelle realt da questo desiderio, non si limita punto alla differenza che passa tra cosa fatta e cosa da farsi; e se nessuno ha mai inteso di negare una verit cos evidente, e tutti anzi lhanno dovuta esplicitamente ricono scere, non forse affatto inutile, che qui se ne tocchi in modo ancora pi chiaro. Poich veramente, in quanto per lItalia si voglia innovare secondo i principj che i l Vocabolario Novo inculca (ed un quanto che a molti deve apparire assai elastic o, ora sentendosi che lo pseudoitaliano, di cui, nellillusione di possedere una li ngua, noi foni ci valiamo, altro non che un informe accozzamento di variopinte pa role, ed ora assicurandosi che loperazione del fiorentinismo ormai per quattro qu inti belle compiuta e nel resto si compir senza molto disturbo), si tratta di cons eguire leffetto, che ad altri invidiamo, per una via, non solo disforme, ma addir ittura opposta a quella per cui lo conseguirono le genti da noi invidiate. Tra l e quali essendosi avuto in tutto e del tutto simultaneo il moderno svolgimento d ella parola e del pensiero o dellattivit nazionale, le menti non si nutrono, n si p ossono nutrire daltro idioma, che non sia quello della nazione e di tutti i libri . Fra noi, allincontro, malgrado ogni temperamento di cui si circondi la romorosa innovazione, si riesce a dire a coloro che pensano e studiano, cio a coloro che pur hanno una culta favella mentale, con la quale ruminar le idee: smettete lo s tromento del vostro pensiero, perch ha bisogno di essere mutato o almanco modific ato per bene. Si viene a dire agli operaj della intelligenza, che sospendano, ta nto o quanto, la propria industria, e non gi per rifornire il loro apparecchio me ntale col rituffarlo in una nuova serie di libri che ancora alimentino il loro p ensiero e i loro studj (che sarebbe cosa tollerabile), ma per farsi ad imitare ( essi dicono scimieggiare) una conversazione municipale, qual sar loro offerta da un vocabolario, da una balia, oppur dal maestro elementare, che si mander (da una terra cos fertile danalfabeti) a incivilir la loro provincia. Ma i pi, o molti alm eno, fra gli odierni studiosi dellItalia nontoscana, cos come in fondo facevano mol ti dei loro maestri nelle generazioni precedenti, reputano che il male, per la m aggior sua parte, stia in ben altro che non nel quanto o nel quale degli element i di favella ormai messi in comune; essi credono, a torto o a ragione, che le me

nti loro stieno appunto lavorando, pro virili parte, a far che si consegua, per quel modo che lunico possibile e non punto diverso da quel che fu tenuto altrove, quanto ancora manca e pi importa a determinare o promuovere la saldezza, la unit, e anche la purit, della parola nazionale; e si irritano, o si sono irritati, per ci, che mentre essi tentano (ed forse una pia illusione) di portare qualche incr emento al patrimonio delle idee italiane, mentre si credono intenti a suscitar q uella larga spira di attivit civile che poi debba travolgere in ferma unit di pens iero e di parola tutte le genti dItalia, altri sparga delle dottrine, dalle quali , con facile e non evitabile eccesso, si viene al punto di bandire, che non sare mo nazione, in sino a che essi scrivano per maniera, che di certi loro modi o co strutti possa ridere per avventura un qualche fiorentino che ozia. E rida con su o danno, essi dicono, che noi senza danno rideremo di lui. Questa , suppergi, la r isposta mentale che si oppone, non tanto al Vocabolario Novo, quanto alle esager azioni che sono implicite nel suo principio, da buona parte, forse dal maggior n umero di coloro, che oggi si sentono chiamati a parlare utilmente con la penna; qui la ragion vera, e forse non illegittima, delle difficolt che egli incontra, n on in alcuna boria municipale o in qualsiasi altra causa chegli venga imaginando. Se per chiaro che lItalia non abbia lunit di lingua perch le son mancate le condizion i fra le quali sebbe altrove, e insieme chiaro che il non averla debba molto dole re aglItaliani e sia sorgente legittima della disputa eterna, si deve ancora chie dere, perch veramente sieno allItalia mancate le condizioni che altrove condussero alla unit intellettuale onde si attinse la unit di favella; o in altri termini, s emplificata la questione, perch lItalia non raggiungesse quellunit di pensiero, a cu i la Germania, malgrado gli ostacoli di cui pi sopra si toccava, pure pervenuta. Lintiera risposta per vero gi involta, pi o men distintamente, in ci che precede; ma lassunto inesorabile vuol che si arrivi in sino al fondo e sempre con esplicite parole. Questa diversa fortuna dellItalia e della Germania, pu dunque giustamente parere il prodotto complesso di un infinito numero di fattori; se ne posson dare ragioni di razza, di tempi, e dogni altra specie; ma rimane sempre, che la diffe renza dipenda da questo doppio inciampo della civilt italiana: la scarsa densit de lla cultura e leccessiva preoccupazione della forma. Nessun paese, e in nessun te mpo, supera o raggiunge la gloria civile dellItalia, se badiamo al contingente ch e spetta a ciascun popolo nella sacra falange degli uomini grandi. Ma la proporz ione fra il numero di questi e gli stuoli dei minori che li secondino con lopera assidua e diffusa, smisuratamente diversa fra lItalia ed altri paesi civili, e in ispecie fra lItalia e la Germania, e sempre in danno dellItalia. Qui vi furono e vi sono, per tutte quante le discipline, dei veri maestri; ma la greggia dei ver i discepoli sempre mancata; e il mancare la scuola doveva naturalmente stremare, per buona parte, anche limportanza assoluta dei maestri, questi cos non formando una serie continua o sistemata, ma s dei punti luminosi, che brillano isolati e s pesso fuori di riga. E dallabbondanza dei nomi giustamente vantati, potevano deri vare, e derivano non di rado, illusioni strane o dannose; lesservi i duci sembran do di necessit importare che vabbiano pur le legioni fra la propria loro gente; do vech avvenuto, con molta frequenza, che i duci italiani (e non gi sul campo, come la metafora direbbe, ma come pur sul campo fuor di metafora stato) hanno cresciu to e guidato, non legioni paesane, ma legioni straniere. LItalia par che sdegni l a mediocrit, e dica alla Storia: A me si conviene o lopera eccelsa o loziare. Ma loz io di questa terra privilegiata, non potrebbe mai essere lozio sterile delle barb are lande; lozio dellalma educatrice delle arti, assorta dolcemente nella contempl azione dei bello; non il sonno di una gente avvilita: arte ascetica. Ora, nella scarsit dei moto complessivo delle menti, che a un tempo effetto e causa del sape re concentrato nei pochi, e nelle esigenze schifiltose del delicato e instabile e irrequieto sentimento della forma, sha, per limitarci al nostro proposito, la r agione adeguata ed intiera del perch lItalia ancora non abbia una prosa o una sint assi o una lingua ferma e sicura. E a che ora si riduce, per necessaria consegue nza di predisposizioni non felici, il nobilissimo intento di rimediare al doloro so effetto? Si riduce a ribadirne le cause. questa una risposta molto audace, ch e se proviene per avventura da una sufficiente persuasione di cogliere il vero, esce bene a stento dalla penna, per quelle molte ragioni che ognuno facilmente i magina. Ma le squisite brame di quel Grande, che riuscito, con linfinita potenza

di una mano che non pare aver nervi, a estirpar dalle lettere italiane, o dal ce rvello dellItalia, lantichissimo cancro della retorica, hanno pur dovuto, per tutt o quanto concerne le rinnovate norme della parola, degenerare prontamente, fra g limitatori, in un nuovo eccesso dellArte. Le ragioni pratiche, che rincarando sull a lezione del Maestro, od ampliandola, si vennero adducendo dai seguaci, altro n on devono parere esse medesime che una scusa dellArte, intenta a coonestare i suo i arbitrj. Cos ci parlano dei gran danno che sia il mantenere i nostri figliuoli quasi bilingui, lasciando loro cio il dialetto materno e costringendoli a studiar e, al modo che si fa dun idioma estraneo, la lingua che si dice nostra, con tanto spreco, aggiungono, delle loro intelligenze, e in tanto bisogno di far tesoro d i ogni pi piccol briciolo delle facolt mentali della nazione; come se la scienza e lesperienza non dimostrassero in cento maniere, che anzi una condizione privileg iata, nellordine dellintelligenza, questa dei figliuoli bilingui, e come se in cas a nostra fosse affatto chiaro che lincremento della cultura stia in ragion dirett a della prossimit o della maggior vicinanza fra parola parlata e parola scritta, laddove il vero precisamente lopposto. Pare, alle volte, a sentir quegli esagerat ori dei Maestro, che al modo, in cui stiamo, non si possa assolutamente andar pi innanzi, poich nelle scuole non arriviamo a far distinguere tra persiana e finest ra, e al nostro ronzino corriamo rischio ogni giorno di far dare una biada per la ltra. Ma la nostra nomenclatura, domestica o tecnica, si riproduce da pi generazi oni, si potrebbe quasi dire da secoli, in un numero infinito di vocabolarj pi o m eno copiosi, dove alla voce italiana sta accanto lequivalente francese, spagnuolo o tedesco; alcuni di questi vocabolarj sono estesissimi, e litaliano vi riflette , con sobria nitidezza, voce per voce (ed anche locuzione per locuzione), lintier a suppellettile di altri ricchissimi idiomi; n mai si sentito da chi ne fa o ne f ece quotidiana esperienza o quotidiani confronti, che la mala sicurezza sia prop rio un distintivo della parola italiana. Ripetano ancora per poco le loro doglia nze quei zelatori intempestivi, e vedranno sorgere, alle nostre frontiere, offic ine attivissime di estratti di lessici, a uso degli Italiani che hanno perduto l a loro favella, coi sicuri riscontri in varie lingue, e le vignette rispettive. proprio uno zelo illusorio e nocivo; e in realt noi assistiamo ad un movimento, c he partito dalla altissima sfera in cui lArte e la Filosofia stanno congiunte e i ndivise, doveva immediatamente comunicarsi a quegli spazj, in cui lArte altro non che unestasi o un istinto, e ha bisogno di un idolo. Or vha una regione, o una ci tt, la Toscana o Firenze, in cui vive, splendida di grazie natie, una favella che mal si scerne dalla lingua dei buoni scrittori, e ha movenze di gran lunga pi be lle, pi candide, pi sicure che non abbia questa. Dinanzi al tribunale della verit i mplacabile, la candidezza fiorentina, e il lieve o incerto distacco tra il lingu aggio fiorentino e quello delle scritture italiane, potranno suonare accuse grav issime dinsufficienza di moto civile e per Firenze e per lItalia. Ma se il serbato jo toscano limpido e terso perch la cultura ha ristagnato, non men vero che la su a meravigliosa limpidezza innamori il barbaro e debba affascinar lartista. Al qua le non pu non sembrare una vera bestemmia il concetto di una civilt che avesse dov uto o debba turbare la linfa incantevole; e deve allincontro parergli ovvio e leg ittimo, che lItalia intiera essendo pur cos poco rimota da Firenze, poich scrive o parla comunque, in ogni occasione per poco solenne, un linguaggio che uscito di Firenze, abbia finalmente a varcare quella breve distanza che ancora da Firenze la sequestra, e quasi transumanarsi, s che da ogni angolo del bel paese possa fra non molto risonare la stessa favella ammaliatrice che ora sta rinchiusa in cos b reve giro. Come sottrarlo a questo ideale abbagliante? Che centra il sapere, chi osa discorrere di perfezionar la parola o di sviscerarla, quando il sommo bene s ta nel porre dolcemente il capo in grembo alla natura inesplorata e misteriosa? Si tratta di respirare unaria balsamica come Iddio lha fatta; non ci deve punto en trare il chimico od il fisico; ma arbitri esclusivi son le nari ed i polmoni deg li uomini che la scienza non ha infetto. Nessuna obiezione spontanea pu sorgere n ellanimo dellartista; nessuna obiezione altrui pu forse riuscirgli intelligibile. N ella Toscana o in Firenze, considerano altri operaj della civilt che non sien gli uomini dellArte, appunto perch ivi batte il cuore dellItalia, spicca assai pi che n on altrove il carattere distintivo della cultura italiana, che il concentrarsi d ella luce nei grandi, in mezzo allombra o alla penombra generale; si che dobbiam

patire che lo straniero noti, come la patria di Dante, di Machiavelli e di Gino Capponi, resista pertinacemente ai tentativi che mirano ad accrescervi la diffus ione del sapere; e come gli Atto Vannucci fioriscano in un ambiente, che insieme riesce cos contrario alla vegetazion dellalfabeto. Ma ci non istoglie punto lartist a dal chiedere affannosamente, e senza mai mostrare alcuna esitanza, che di Tosc ana, o da Firenze, debbano a furia farsi uscire legioni intiere di maestri eleme ntari, i quali si spargano a educar tutta lItalia; egli vuole alle Alpi un aposto lo qualunque della pronuncia e della frase fiorentina, laddove lEuropa dice, che lItalia politica e pensante debba piuttosto far calare gli Alpigiani nel circonda rio di Firenze, a diffondervi la lingua della penna. Ned certo illegittimo un qu alche sgomento che il fenomeno di questa nuova esaltazione dellArte desta per se stessa in molti pensatori italiani. Prima si aveva (e dura ancora per molti) ide ale della tersit classica; ora sorge ideale della tersit popolana; ma sempre idola tria; lo scrivere correttamente rimane sempre, malgrado la vantata sicurezza del le contrarie norme, una cosa che sa di miracolo, una cosa da perigliarvi la vita ; e gli scrittori utili ma nonartisti, che sono o dovrebbero essere i pi, e quindi i pi decisivi in ordine alluso nazionale, trascorrono, per naturale reazione, alle ccesso opposto, e ribellandosi legittimamente a una religione che scomunica, cio d del barbaro, a chi non fa miracoli, trascendono a vantarsi di non avere culto a lcuno e di barbarizzare. Prima, quando lo scrittore timorato aveva la fatalit dimb attersi in una idea, o meglio di rasentare una di quelle regioni ideali, che il pensiero italiano o il pensiero dei classici non aveva ancora conosciuto, e dove va perci usare una qualche parola che non fosse nella Crusca e tradisse un qualch e nuovo fenomeno della civilt universale, egli la accompagnava del famoso come dic ono, che significava: come direbbero quegli esseri compassionevoli che sanno quel lo che io non so, o hanno unidea per la quale a me manca la parola. Oggi, il nuov o ideale suona allincontro: scrivere e parlare per modo, che nel nostro discorso il Fiorentino non possa trovar mai nulla che sia disforme dalla sua domestica fa vella; evitare che il Fiorentino (il quale, del resto, lasciato a se medesimo, r inunzia ben facilmente allenorme autorit di cui lo vorrebbero investito) possa mai ridere della nostra imitazione imperfetta. Perci tentare, con quel maggiore sfor zo che alla nazione sia dato, di venir presto a tali condizioni, che da ogni ter ra italiana possa nascere spontanea una novella o una comedia in pretta favella fiorentina. LArte, che crede aver pronta una forma squisita, non pu di certo aspet tare, che la progredita cultura rifaccia la nazione, e poi surga un teatro, non veneziano o piemontese o fiorentino, ma di lingua parlata che sia propriamente i taliana; vuole la comedia prima della nazione; intende il linguaggio, non come u na cute che sia il portato dellintiero organismo della vita nazionale, ma come un a nuova manica da infilare (modo veneto questo, per avventura, e io non avrei di ritto di chiederne venia). Ideale del classicismo di certo non si attagliava al concetto della vera unit nazionale; ma a questo non ripugna meno, od anzi gli rip ugna ben di pi, il nuovo ideale del popolanesimo, a cagione del principio idolatr ico a cui si venuto informando. E se vero, come anzi ci mostrano di continuo, ch e nelle regioni dellArte corra un legame, pi ancora stretto che non sia altrove, f ra il pensiero e la forma, larte medesima non avr forse gran fatto a rallegrarsi d i questa infinita brama di fiorellini, placidamente raccolti sullajuola nativa ch e ora vorrebbe dire lunica ajuola fiorentina. Non mai, per avventura, lArte si sar ebbe messa in maggiore antitesi con quella virile civilt a cui pur lItalia virilme nte aspira; n mai si sarebbe pi fatalmente scambiato, sotto le apparenze di serbar puro il carattere nazionale, quel di poetico o di terso che la lunga immobilit d ei secoli pu conferirci, col genuino e sempre nuovo suggello che i popoli robusti imprimono e nella sostanza e nella forma di quella parte che a loro spetta nel comune lavoro delle genti civili. Ma sia comunque, non pu a noi parere, per le ra gioni qui addotte o accennate, che il fiorentinismo giovi in alcun modo allintent o di rinnovare od allargare lattivit mentale della nazione, ma deve anzi parerci c he addirittura vi controperi; non potremo credere cos di leggieri che egli giovi a stremare la soverchia preoccupazione della forma, ma deve anzi parerci che vie pi laccresca; e ci parrebbe finalmente un miracolo, se dei mali, che direttamente vuol curare, egli non riuscisse a liberarci a quel modo, che i dazj esagerati s oglion far del contrabbando.

Ma delle condizioni e delle tendenze, che qui si sono rapidamente ricordate, tan to pi si doveva e si deve risentire il movimento od il progresso di ciascun ramo di studj, quanto il suo subietto meno perdoni una lunga e regolata ostinazione d el lavoro di molti, e meno insieme si dilunghi dalle sfere in cui lArte dispiega lopera sua. Quindi le discipline istoriche, e le filologiche in ispecie, se ne ri sentirono molto di pi che non le matematiche o le fisiche; il che gi non vuol dire , che non si sieno avuti in ogni tempo, e quindi si abbiano pur nel presente, e da ogni parte dellItalia, uomini cos insigni nella filologia e nella storia, che t utta Europa cinvidii; ma vuol dire, secondo che pi sopra si ripetutamente indicato , che in questo gruppo di studj il numero dei buoni seguaci si dovuto fare pi sca rso che mai, e di rimbalzo pi che mai slegata la serie de maestri. Onde si spiega, come ancora si possa sentire, e sentir lodata, una moltitudine di scrittori, ch e in fondo vengono a dirci, dover la pura italianit (pura a modo loro), rassegnat a ormai a non pi entrarci nel giro delle scienze esatte, che dei cosmopoliti, pad roneggiar lei, con rinnovellata energia, tutto quanto il resto; il qual resto po i, al far dei conti, sembra determinarsi per loro in tal modo, che fra il compas so e la cetra, fra il microscopio e lArte, non ci sia pressoch nulla di sodo e pos itivo, o solo dei ruderi pi o men frammentarj, dei materiali che si ribellano a o gni studio sicuro o fecondo, intorno ai quali sudano, ed anche di soverchio, deg li eruditi pi o meno miopi, non benedetti daltra speranza che non sia quella di re nder forse pi facile al mero buon senso, ed allarte, il ridurre un giorno in pillo le letterarie, classiche o popolane, la conoscenza dellantichit o daltre cose simil i, sin dove ne possa importare agli illuminati. Non mancarono mai, per vero, voc i imparziali, maschie e paesane, e toscane in ispecie, che si alzassero tratto t ratto a dire, come quei poveri miopi, ben lungi dal muoversi allinfuori del campo che delle scienze, spaziano serenamente in questo e lo estendono, e si avanzano con metodi nuovi e sicuri, e ormai sono autori di unintiera catena di nuove disc ipline dellesperimento, possessori di un nuovo ed inaspettato tesoro di vigorose teorie, dimostratori assidui della continuit assoluta dello scibile intiero e anz i demolitori di ogni barriera che separi larte dalla scienza. Non manc mai, di cer to, chi bandisse fra noi, con autorit veramente nazionale, che quanto sono meno t raducibili in numero e misura quei subietti, intorno ai quali si esercitan prati camente le costoro discipline, quanto perci pi squisito, nellordine mentale, lorgano metodico pel quale le loro sperienze procedono, quanto pi esse contribuiscono a diffondere labitudine della dimostrazione positiva e scientifica anche al di l del regno delle cifre e delle linee, quanto pi sia ancora facile e solito che il pro fano silluda e presuma ed aberri in ordine alle cose sulle quali esse versano, e tanto maggiormente, prescindendo dallutilit intrinseca del sapere, esse giovino a rattemprare il pensiero nazionale e a procacciargli una sua propria e particolar determinazione ed importanza nel movimento universale degli studj e della civil t. Ma le splendide difese, avvalorate da splendidi esempj, non potevano di leggie ri bastare, non che a vincere, pure ad attutire quelle contrarie tendenze che in parte qui si ebbe la temerit di additare; e nella nobilissima gara per la palma del sapere istorico, lItalia ha perduto fra le nazioni il posto glorioso che a le i spettava. Pure, se pu sembrar tuttora utile o doveroso il parlar con animo aperto di simili contrasti, sarebbe affatto contrario al vero lo sconoscere, che lassiduit di colo ro, che caldeggiano le severe discipline storiche, cresce cosi visibilmente come scema la forza dellopposizione che incontra. La stessa mobilit di alcuni fautori pi o meno infedeli, ci ha giovato; poich le contraddizioni in cui essi caddero, ci rca i bisogni e i progressi degli studj storici in Italia, dovettero farli sembr are dei sonnambuli, i quali, allindomani di Solferino o di Sadova, si mettono a g ridare, che le artiglierie di Francesco Sforza sono assolutamente cose antiquate , ma altri due giorni dopo affermano, che lenergia italiana non si pu e non si dev e spiegare se non nellambiente ove campeggiano il id e Babieca. Pi di un argomento accessorio, ma molto usato, dei nostri oppositori, si inoltre venuto spuntando f ra le loro mani. Quando essi pure ammettevano che la scienza boreale avesse del buono, e qualche spruzzo di quella barbarie potesse tornarci opportuno (nel che parevano malamente riprodurre un moderno e sagace geografo cinese, il governator e Lin, il quale, ricorrendo assai largamente alla scienza europea, dice ai suoi

connazionali, come per farsi perdonare il peccato, che bisogna pur prendere qual che cognizione di quel sapere, che ha egli forse resi superiori i barbari, sotto il rispetto militare), si mostravano per sempre sgomenti del fatale ossequio, che potesse oggi invalere per tutto ci che sapeva di tedesco. Ora, quanti Italiani si eno venuti a lavorare sul campo degli studj ai quali qui si allude, hanno sempre tutti mostrato tutta quella indipendenza e tutta quella originalit, che la sana mente consentisse. Il fatale ossequio si riduce veramente a questo, che sinvidia ai Tedeschi, non gi un ingegno privilegiato, non gi una dottrina che in ogni parte sodisfaccia, ma quel felicissimo complesso di condizioni, merc il quale nessuna forza rimane inoperosa e nessuna va sprecata, perch tutti lavorano, e ognuno prof itta del lavoro di tutti, e nessuno perde il tempo a rifar male ci che gi fatto e fatto bene. Sinvidia la densit meravigliosa del sapere, per la quale assicurato, a ogni funzione intellettuale e civile, un numeroso stuolo di abilissimi operaj; s che solo il cospicuo merito potendo aver fiducia di andar segnalato, linteresse viene a confondersi, in una spinta medesima, con lo zelo del vero e del buono, e ogni lavoratore valendo di regola pi che non richiegga lufficio che gli pu essere assegnato, contribuisce in mirabil modo a quella esuberanza di pensiero e di coe sione, onde si ha la ragion sufficiente di ogni prodigio che in pace e in guerra sia da coloro operato. Sinvidiano cos le predisposizioni generali, che rendono in finitamente efficace lazione degli uomini grandi, e portano a quella oltrepotenza legittima, che non s peranco tutta mostrata, e cui doloroso vedere come uomini in signi non cessino fra noi di contrapporre o un epigramma o un sillogismo. Che se quelle condizioni sono pi specialmente invidiate dai cultori delle scienze stori che, ell tuttavolta uninvidia che non si scompagna mai dalla speranza e dalla fede di poter raggiungere, emulare, e anche superare in parte, quandochessia, la gent e che ne fatta segno; laddove gli antagonisti, proclamando, per ultima ragione, che la nostra giovent non possa reggere al lavoro quanto pu la giovent straniera, p roclamano implicitamente la inferiorit indefettibile della nostra patria, e vana e precaria larva la sua indipendenza civile. Ma la giovent italiana smentisce val orosamente loltraggioso supposto, e attinge ormai, alle nuove o rinnovate fonti d el sapere istorico, con unassiduit ostinata e geniale, che supera le pi ardite espe ttazioni. Ai numerosi frutti o tentativi, pei quali il lieto rivolgimento gi si manifesta a lla pubblica luce, viene ora ad aggiungersi lArchivio glottologico italiano, oper a collettiva e periodica, la cui principal mira sar di promuovere lesplorazione sc ientifica dei dialetti italiani ancora superstiti, sia col raccoglierne material i genuini e nuovi, sia col dar mano ad illustrarli.[7] Intorno ai quali dialetti ben furono gi spese, massime fra noi, non poche e assai nobili cure; e io spero che lArchivio, fedele in ci al primo saggio che ora se ne vede, non abbia mai a di menticare o a negligere nessuno di quei valorosi, la cui opera ha preceduto la n ostra. Ma, dallun canto, la quantit del materiale sin qui raccolto, si per le fasi dialettali che ancora durano e si per quelle che hanno loro precorso, deve dirs i molto scarsa e povera, ove si consideri la infinita quantit che ancora ne giace negletta; e dallaltro, il metodo scientifico ha ancora gran bisogno che sia aume ntato il numero de suoi proseliti, comegli medesimo ha ancora bisogno di perfezion arsi e progredire. Let dellindagine fantastica per vero omai superata anche in Ital ia, malgrado gli strascichi inevitabili che ancora la ricordano; ma nel periodo dellindagine metodica, pi o meno sicura, che a lei succeduto, si non poche volte d ovuto vedere, che alla molta dottrina dei ricercatori mancassero apponto quegli ingredienti che pi ci volevano; e causa di nuove aberrazioni si ancora fatta quel la che potrebbe dirsi lambizione storica, risorta con sembianze mutate, e megli o conformi a ragione, ma tuttavolta fallaci, la quale ora si manifesta specialme nte per questo doppio modo: cansare il latino, quando si cerca lintima ragione de lle voci o delle forme romanze, per rappiccar queste direttamente alle rimote fo nti dellAsia ariana, oppure ad una o pi duna favella dellantica Italia, che sia o sim agini disforme, o almeno affatto divergente, dalla lingua che ci sta dinanzi nel la letteratura di Roma. Quanto alla prima maniera, che si risolve nellindomania, probabile che lo scrittore di queste linee, pel quale il sanscrito il pane quoti diano vero e proprio, possa apparirne un contradditore bastantemente imparziale. Ora egli di certo non intende negare, a priori, che nei nostri vernacoli si pos

san dare delle voci, per la cui dichiarazione sia necessario, o ragionevole, il ricorrere immediatamente allantico esemplare asiatico del sistema ariano. Sarebbe r voci, di cui risultasse perduto larchetipo propriamente italico, oppur greco, o ppur celtico, e via dicendo, al quale andrebbero altrimenti raccostate. Ma bisog nerebbe imprima, con unarte che cesser per avventura di star fra le impossibili, m a impossibile ancora, aver bene appurato a qual preciso filone etnologico le voc i in questione veramente spettino; poich essendo, come ognuno pu ormai conoscere, ben disformi tra di loro i varj riflessi che dellunica parola primitiva si riverb erano nelle diverse favelle della famiglia indoeuropea, e pur nelle diverse fasi di una favella medesima, manca altrimenti ogni sicuro criterio sul modo di confr ontare o di raddurre quelle singole voci ad antiche forme ariane dellAsia. Poi, i l vocabolario sanscrito lo spoglio pericoloso di una letteratura tre volte mille nnare; e ci vuole unopera, non punto facile, di epurazione e di ricostruzione, pe r ottenerne forme di tal natura, che ci consentano ragionevoli confronti con le europee; forme, vale a dire, che rappresentino, con evidenza scientifica, il per iodo od i periodi dellunit delle genti ariane. La verit pratica finalmente, che lind agator severo ha per ora, e avr per molto tempo, troppo di meglio da fare e da sc oprire, perch gli avanzi tempo o voglia di avventurarsi, comunque vi si possa tro vare preparato, allimprobo mestiere delle soluzioni ipotetiche, le quali in s cont engano, alla lor volta, dei problemi imaginarj. Quanto allaltra maniera, che si r isolve nel paradosso di voler che la base italica della parola romanza sia affat to rimota dal latino dei soliti lessici e delle solite grammatiche, baster che si tocchi dei meno arrischiati suoi fautori; i quali, mentre esagerano e frantendo no le importanti verit che si vengono scoprendo circa le diversit simultanee, o su ccessive, che la evoluzione storica della parola latina ha seco portato, non sem brano accorgersi del fatto cardinale, per la cui virt riesce appunto, fra tantaltr o, molta parte delle accennate scoperte, e consiste nei saldissimi e diretti rap porti che la scienza ha ormai stabilito e sempre meglio rassoda, per ogni lato d ellorganismo glossico, fra il latino dei soliti lessici o delle solite grammatich e e ciascuna di quelle diverse favelle che diciamo romanze o neolatine. Il miglio re argomento pel quale raffermiamo e dimostriamo i fenomeni specifici del volgar latino, precursore immediato delle favelle romanze, sta appunto nelle divergenz e, che la scienza perspicuamente avverte e comprova nellantico fondo, frammezzo a l ragguaglio continuo e sicuro del latino classico co suoi succedanei neolatini. C hi sia affetto di codesto pregiudizio della molta distanza fondamentale fra la b ase delle lingue romanze e il latino delle lettere romane, pensi, per dir di un fatto solo, a darsi ragione, obbedendo a suoi supposti, della fedelt, gi da noi ric ordata con diverso intento in questi stessi fogli (pp. 5 sg.), per la quale un n umero infinito di favelle neolatine d un rimesso diverso della vocale classica, se condo che questa vocale fosse lunga o breve; e se il meditare intorno a questo u nico fatto non basta a convertirlo, egli si dia ad altri studj. Una tendenza, tu ttaltro che irrazionale, ma non poco inopportuna, si avverte poi anche fra coloro che studiano nei nostri dialetti col miglior metodo, e in ispecie fra i giovani ; la quale di limitare soverchiamente lindagine, o di ostinarla intorno a singole e minute difficolt, che oggi pajono insuperabili, e potranno andarsene risolte, come da s medesime, per virt di pi larghe e ben pi importanti conquiste. A tale tend enza va in parte ascritto il mancarci tuttora i primi contorni di una vera topog rafia dialettale della penisola e delle regioni circostanti, e quindi ancora il non essersi bastevolmente potuti riconoscere, pure fra i glottologi e gli etnogr afi di professione, il valore e le attrattive dellampia tela istorica per la qual e si trasforma e si travolge la parola di Roma. Scoprire, scernere e definire, a larghi ma sicuri tratti, gli idiomi e quindi i popoli, che ben soggiacquero a q uella potente parola, ma sempre reagendo sopra di lei con maggiore o minor forza , per guisa che ciascuno di loro la rifrangesse in diversa maniera, e rivivesse, in qualche modo, sotto spoglie romane; rifar la storia di queste nuove persone latine, esplorarne la genesi, glincrociamenti e le propaggini; risalir cos dalluna parte, ai fondamenti anteromani, e scendere, dallaltra, in sino a ricomporre e cor reggere la cronaca di quelle et, che possiamo ancora dir moderne; raccogliere, in questo largo e cauto lavoro, tesori infiniti per listoria generale del linguaggi o; ecco ci che pu sin dora, e deve volere, la dialettologia romanza in generale e li

taliana in ispecie. Ma se a tali concetti si ispireranno coloro, che dnno a quest i studj la miglior parte delle loro forze, non chi non vegga come sia interminab ile la serie dei lavori pi circoscritti, che devono costantemente accompagnare e seguire lopera di chi sindustria intorno a ricostruzioni di tal natura. Quindi lArc hivio non prepara a quelli men liete accoglienze che a queste, e si rallegrer di ogni contributo, per modesto che sia, quando consti di cose nuove ed accertate. N i monumenti letterarj, che abbiano qualche importanza per la storia della parol a italiana, gli potranno essere meno graditi della nuda suppellettile di voci, d i forme, di locuzioni, di motti. Ci che lArchivio deve affatto escludere, solo que lla specie di lavori, nei quali si sbizzarisce intorno a sistemi o a metodi nuov i non perch le cose ormai dimostrate non abbiano potuto convertire coloro che li compongono, ma solo perch questi si sien voluti sottrarre alla efficacia di quell e. Raccomandare inoltre, ai collaboratori dellArchivio, quella sobriet nelle compa razioni di ogni specie, senza la quale una siffatta serie di lavori si risolvere bbe per buona parte in una reiterazione continua, appar cosa affatto superflua, poich troppo naturale ed evidente, che non vi si debba addurre al confronto se no n ci che torni di unopportunit veramente specifica. N occorre ricordare con molte pa role, quali sieno, sulle generali, le aspirazioni legittime di ogni indagine ita liana. Tenere, dalluna parte, di quella lucidezza, di quella sapienza nelleconomia e nella struttura del lavoro scientifico, per le quali sono cosi grandi maestri i francesi; ma piegar, dallaltra, queste virt, sin dove occorre, a tutti quegli s pedienti, senza i quali troppo difficile, e molte volte impossibile, conseguir l a densit e la potenza del lavoro tedesco. Ma se lArchivio vuol principalmente dedicarsi a sviscerare la storia dei dialetti italiani ancora superstiti, non per egli si asterr dallaccogliere speciali studj a nche sulle varie lingue dellantica Italia e pur sulle estranee che alla loro imme diata illustrazione possan giovare. N trascurer quegli idiomi stranieri che sono a ncora parlati da popolazioni italiane, e avr confini ancora pi indeterminati per l e notizie bibliografiche chegli si propone di ammannire. Dalla latitudine del cam po, non dovr per mai derivare alcuna bizzarra mescolanza nella disposizione dei fr utti che si riesca a raccogliervi, od alcun ostacolo alla loro migliore e maggio r diffusione. Cos, a cagion desempio, si former prossimamente un volume, dedicato p er intiero a studj celtici (nel quale saranno contenute tutte le glosse ibernich e del Codice Ambrosiano); e il solerte editore ha gi dal canto suo annunziato, ch e ciascun volume, e anzi ciascun fascicolo dellArchivio, sar posto in vendita anch e separatamente. Rimane, per ora, che mi sia concesso ringraziare, dal vivo dellanimo, i valorosi amici che hanno voluto venir meco in questa impresa. Che se altri io qui lascio di nominarne, per non turbar la loro bella modestia, ed altri per non offender q uella che io dovrei avere, nessun riguardo pu trattenermi dal rendere particolari grazie a Giovanni Flechia, il quale, veramente, avrebbe egli dovuto parlare in questo luogo, siccome colui, che, a tacer di altre sue preminenze, il vero e lacc lamato antesignano di quanti siamo a studiare i dialetti dellItalia. G. I. A. Milano, 10 settembre 1872. Note

1. E come ognuno, se pur non sia dato a questa specie di studj, fac ilmente imagina, la nitida e costante distinzione tra il riflesso della vocal br eve latina e della lunga, non gi un privilegio di quel gruppo di dialetti dellItal ia centrale a cui spetta la lingua che glitaliani scrivono o vorrebbero scrivere, ma si riproduce, in modi diversi, anche in un numero in finito di altri vernaco li italiani. Cos, per esempio, lo breve latino l di Milano: nf, mf, mr, cr, rda, e ddove lo lungo latino l di Milano: v, fams, colr, patrn, sira, ecc. E similmente a estremit dellItalia, lo breve latino sempre o a Palermo: nvu, lcu, fcu, jcu, scla, ecc.; laddove lo lungo latino sempre u a Palermo: sli, amri, si ra, cda, scpa, ecc. l dittongo pu non isvilupparsi, o anche ritacere, in qualche esemplare toscano o italiano, come per esempio in rsa, ma allora si tratta di un o aperto (rsa), e qui ndi si dice, nel barbaro linguaggio della scienza, che l u e l o aperto italiano so

no i due normali succedanei dello stesso elemento latino. Ora siccome l o dellodie rno fiorentino in nvo, in mre (muore) ecc., naturalmente aperto, ed anzi pi aperto e pi lungo, secondo gli esperti inclinano a credere (DAncona, DOvidio), che non sia quelle di rsa, cos il Novo Vocabolario potrebbe forse dire, che lo fiorentino rima nendo pur sempre diverso, secondo la sua diversa radice latina, i diritti della storia non sono punto lesi dalla pronuncia chegli inculca. Al che sarebbe facile rispondere, che le due diverse pronuncie fiorentine, seconde la diversa quantit l atina (nvo, amre), sono cos rimote fra di loro, che un mero capriccio della storia il non averci dato due diversi caratteri per rappresentarle; e che lamore della p recisione, e i suggerimenti del sapere, e appunto il desiderio di diffondere la pronuncia toscana o fiorentina, oggi ben piuttosto porterebbero a distinguere co stantemente, pur nella scrittura: rsa (SA) da rsa (RSA, corrosa), che non a unortogra fia la quale confonda la sla (SLA) e la suola (SLA), scla per bene e scuola per bene : e via di questo passo. Meno male sarebbe limporci di scrivere uomo e di leggere mo. Accetterebbero i Francesi una riforma che incominciasse dal confondere nella scrittura paire e pre? Ma si deve ancora avvertire, e certo senza la minima volo nt di malignare o di mancar di riverenza a chi tanta ne merita e per tanti conti, che fra la teoria e la pratica del Novo Vocabolario pu parer che corra unassai no tevole differenza o manchino ancora assai complicate norme che a tutti non riesc e di escogitare. Poich, lasciando il suo avvertimento che molti facciano ancora s entire, in parecchi casi, l u di buono (s. buono), egli scrive novi e nuove (LXIII) , e ora bon core (220), ora buon cuore (156), e via cos discorrendo. O c qui della metafisica, o non c un uso fiorentino, o luso italiano (che non esiste) sopraff trio nfalmente anche il pi accorto Fiorentino che gli si ribelli. 2. Qui non si pu, n occorre, entrar nella composizione storica della lingua francese, n lautor di queste pagine ha alcuna presunzione di stravincere e gli parrebbe un gran che se riuscisse a mostrar legittimi i suoi dubbj. Ma non s i troveranno, comegli spera, fuori di luogo, le seguenti parole dellinsigne scritt ore, a cui lEuropa intiera riconosce la maggiore autorit in fatto di storia della lingua francese. Esse suonano precisamente lopposto di quello che il Novo Vocabol ario vorrebbe sentire. Les dialectes dune contre, la France du Nord, par exemple, s e ressemblant plus entre eux quils ne ressemblent au provenal, litalien ou lespagnol , nous donnons cette ressemblance le nom de langue franaise, ou, pour mieux dire, cette ressemblance fut de tout temps assez frappante pour que labstraction que n ous faisons ait t faite et que le nom de langue franaise se soit de trsbonne heure im pos tout ce qui scrivait soit en normand, soit en picard, soit en langage du centre . Historiquement aussi la succession est alle des dialectes une langue commune: l a centralisation progressive du gouvernement et la cration dune capitale donnrent la scendant un des dialectes, non sans de fortes et nombreuses influences de tous l es autres sur celui qui triompha. Littr, Histoire de la langue franaise, I, XLIVV. Lu it royale grandissant, la diversit provinciale diminua, et peu peu le parler de lll edeFrance, de Paris et dun rayon plus ou moins tendu, prvalut. Mais ce dialecte de la langue dol, en devenant langue gnrale, et en sexposant ainsi toutes sortes de contac ts, fit tous ses voisins des emprunts multiplis, ou plutt en reut des empreintes qu i ne sont pas daccord avec son analogie propre, et cest ce qui les rend reconnaiss ables encore aujourdhui. On observe, dans le franais moderne, des formes qui driven t du picard, du normand, du bourguignon. Pour nous, lhabitude masque ces disparat es; mais, ds quon se familiarise avec les patois ou les dialectes, et que lon en co nsidre lorigine et lhistoire, on dcouvre les amalgames qui se sont faits. Ce furent, en effet, des amalgames dus aux circonstances qui dterminaient linfluence et la p ression des provinces sur le centre; ce ne furent pas des nologismes quamenait le besoin de nouveaux mots pour de nouvelles ides. Il ny eut pas choix bien ou mal en tendu, attraction plus ou moins heureuse; il y eut fusion et, partant, confusion . Nous disons poids et peser, au lieu de dire pois et poiser comme le gens de lll edeFrancc, ou peis et peser, comme les gens de Normandie. On ne peut donc pas qual ifier denrichissement ce qui alors se passa dans la langue franaise. Puis, quand e lle fut pleinement forme, quand elle eut rejet loin delle les patois comme des pare nts humbles et loigns dont elle rougissait, il se manifesta un dgot superbe pour ce qui ntait pas de lusage restreint et raffin. Si ces scrupuleux, dit Chifflet dans la dixime dition de sa grammaire (1697), qui sont toujours aux coutes pour entendre si

un mot est moins en usage dans la bouche des dames de cette anne que lautre, cont inuent crier: ce mot commence viellir, et quon les laisse faire, dans peu de temp s notre langue se trouvera dtrousse comme un voyageur par des brigands. Ce fut en e ffet un travers de cette poque de retrancher ce qui vieillissait et ce que le cnac le lgant et spirituel nadmettait pas. Des dbris de tout cela sont conservs dans les p atois. Et ce serait une affaire de got et de tact, et, ds lors, non indigne de lAca dmie franaise et de son Dictionnaire, de reprendre ce qui peut tre repris, cestdire ce qui, se comprenant sans peine, et tant le mieux dans lanalogie de la langue actuel le, a la marque de la prcision et de llgance. Ib., II, 1013. 3. Lutero, come tutti sanno, dice egli medesimo, di non avere alcun suo proprio o particolare dialetto (keine gewisse, sonderliche, eigene sprache im deutschen), ma di parlare la lingua della cancelleria di Sassonia, alla quale tutti i principi e re di Germania si conformavano, e per la quale limperator Mas similiano e lelettore Federico avevano ridotto le lingue tedesche in una determin ata lingua (die deutschen sprachen in eine gewisse sprache gezogen). una semplic e e ben contraddetta ipotesi di alcuni filologi tedeschi, che Lutero usasse prev alentemente di un suo dialetto familiare, turingio o altosassone, cui nessuno, ad ogni modo, sa pi discernere. E circa il linguaggio delle cancellerie, il Raumer mostra con molta lucidezza (Ueber die entstehung der neuhochdeutschen schriftspr ache, nelle Gesammelte sprachwissensch. schrift., pp. 198204), come prima fosse p revalentemente alemannosvevo (Alta Germania occidentale), e poscia prevalentement e austrobavaro (Alta Germania orientale), secondo le dinastie diverse, e formando nel primo caso, ma non pi nellaltro, una diretta continuazione dellaltotedesco lett erario del periodo di mezzo (mittelhochdeutsch); come inoltre le Diete, tramezzan do fra i due poli altotedeschi, temperassero questo linguaggio aulico, giovassero a fermarlo, preparassero insomma la creta, cui Lutero doveva insufflar vita imm ortale. Pu anche vedersi Schleicher, Die deutsche sprache, in ispecie a p. 108 de lla sec. ediz. 4. Nulla potrebbe rappresentare, in modo pi pronto e vivo, lincertezz a in cui Klopstock e Kant, nati nello stesso anno (1724), ritrovavano ancora lo spirito civile e letterario de Tedeschi, di quello che faccia il frontispizio di un classico illustrato, de loro tempi, in cui si dice: che vi sono mostrati glidiot ismi latini, e tradotti, cos in modi schiettamente tedeschi, come nello stile del la moda che corre (worinnen die idiotismi latini gezeigt, und io wohl in reine t eutsche redensarten, als in den jetzigen modestylum bersetzt werden; Quinto Curzio Rufo, quarta edizione, curata da Emanuel Sincero, Augusta, 1734). Chi vuole qualc he esempio della doppia versione, anche allinfuori dei veri idiotismi, legga le l inee che ora seguono: fidem accipere, sicher geleit oder salvum conductum bekommen (p. 376); in societatem defectionis impellere aliquem, einen anreitzen, dass er m it oder neben ihm abfallen, oder in der rebellion compagnie machen solle (p. 753 ). 5. Tanto era ci naturale, che ha in fondo dovuto avvenire; poich il n ome italiano delloggetto di cui si parla, per la colta Europa: ditale, e non anel lo, e parecchi dizionarj italiani, anche degli scrupolosi, rimandavano da anello a ditale. Ma il Novo vocabolario naturalmente se ne guarda, e forma il suo paragraf o a questo modo: Anello. Arnese di metallo, dove sinfila la punta del dito, con cu i si spinge lago nel cucire. Ladoprano anche le donne per misura del seme di bachi . Un anello di seme. Il Vocabolario invita cos la massaja o il novelliere (non dic o il bacologo) di Lombardia, a smettere o a dimenticare il loro did de somnza; e li nvito tanto illegittimo, quanto legittima la speranza che rimanga frustraneo. Ma per misurare le qualit del progresso che il Vocabolario rappresenta, nulla pu gio var meglio, che il confrontare questo suo paragrafo con le osservazioni di raffa ello Lambruschini, riprodotte da Niccol Tommaso (Sinonimi, 256). 6. mil. trov el pel inde loef, venez. trovr o catr el pelo intel vvo; si l. truvri lu plu ntra lvu. 7. Gli studj glottologici ebbero ed hanno ajuti di ogni maniera da non pochi periodici letterarj italiani, tra i quali vanno specialmente ricordati : il Politecnico di Cattaneo e poi di Brioschi; la Rivista Europea ed il Crepusc olo di Tenca; lArchivio storico di Vieusseux, la Rivista Orientale e la seconda R ivista Europea del De Gubernatis. Pure lAntologia di Firenze accenna a volersene

occupare in modo efficace, e la Rivista Sicula fa, anche per questa parte, ottim a prova. N si dimenticano le benemerenze del Propugnatore, e di pi altre collezion i. in ispecie academiche, dellalta e della bassa Italia. Alcuni anni or sono, il Severini si preparava a una pubblicazione periodica per lo studio dei dialetti i taliani; e prima di lui, al congresso di Siena, aveva proposto unimpresa consimil e il prof. Corazzini, che poi si un coi prof. Gemma e Zandonella a fondare a Vero na la Rivista filologicoletteraria, larga anchessa di favori per gli studj glottol ogici, e la prima di simil fatta che attecchisse in Italia. Avr ora unemula assai poderosa nella Rivista di filologia e distruzione classica, diretta dai professor i torinesi Mller e Pezzi. Mentre scrivo queste righe, si annunzia poi da Roma una Rivista di filologia romanza, diretta da L. Manzoni, E. Monaci ed E. Stengel, di ndole affine alla Romania, che esce a Parigi, sotto la direzione di quei valoros i romanologi che son P. Meyer e G. Paris. E pi duna collezione tedesca, di simil g enere, ebbe ormai contributi italiani; fra le quali mi limiter a nominare il Jahr buch fur romanische und englische Literatur, cos sagacemente diretto dal Lemme. A nzi, per quanto la cosa possa apparire strana, io non so astenermi di qui avvert ire, come sia deplorevole, che in questo pur cos rallegrante risveglio della scuo la italiana, il favore per la filologia classica sia ben lungi dalluguagliare il favor che si concede agli studj glottologici di ogni maniera. Par quasi, che que sti debbano reagire contro di quella, o trasformarla da capo a fondo; laddove, c ome ognuno dovrebbe facilmente vedere, si tratta di due gruppi dimportanti discip line, affatto diversi tra di loro, comunque abondino i vicendevoli contatti e qu indi le occasioni che luno giovi allalto. Nulla pu spiacere maggiormente ai serj ed onesti cultori degli studj glottologici, e nulla pu giovar meno al prosperamento di questi, che lalterigia con cui certi loro amicj si mettono a trattare la filo logia vera e propria e tutto ci che par sapere di vecchio. Gli studj classici, ch e tendono a rinvigorire e ingentilire il nostro pensiero per virt di quei modelli in cui la forza e la venust del concepire e del dire hanno toccato unaltezza che n prima n poi si mai raggiunta, ben possono avere particolari sussidj dai moderni progressi della scienza e ben possono esser diretti con intenti via via pi razion ali e robusti. Ma da molti si esagera in singolar modo limportanza di quei sussid j, e si traduce in modo pi ancora singolare il giusto proposito di accrescer lutil it civile dello studio degli antichi. Di certo, un buon insegnamento di anatomia ci vuole anche nelle academie di belle arti, ma il Laocoonte e lApollo di Belvede re domandano altri interpreti che non sia il settore. N io mi permetterei di tocc ar di simili cose, se non mi paresse, che non sia sempre il mero zelo per gli st udj nuovi che faccia andar negletta la vera filologia. Se, per esempio, noi trov iamo facilmente dei professori di ogni pi peregrina materia, e allincontro non riu sciamo pi a trovare un professor di latino, dovremo noi credere che ci dipenda uni camente dalle esuberanti attrattive che hanno per noi le peregrine cose? O non c entra, in qualche parte, la facilit con cui riusciamo a brillare, e presumiamo di valere, mettendoci per le vie nuove, laddove ci occorrerebbero ben maggiori fat iche e ben maggior valore per segnalarci in quelle discipline che ci siam dati a credere pi modeste? I giovani, e coloro che ci reggono, devono andar persuasi, c he ci vuol pi senno, e pi studio, per riuscire a scriver bene una mezza pagina di latino, che non a palleggiare, sia pur correttamente, il solito numero di notizi uole glottologiche, utilissime a tutti senza dubbio, ma tali che in un pajo di s emestri ognuno se ne pu fornire.

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