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IL

PENSIERO GRECO

Voi.

i.

PLATONE
/"

IL

TIMEO
TRADOTTO
DA

GIUSEPPE FRACCAROLI

TORINO FRATELLI BOCCA, EDITORI


MILANO
-

ROMA

1906

Propriet letteraria

3 3S7,

Torino

Tipografia Vincenzo

Bona

(10123).

GIAMPIETRO CHIRONI
QUESTO PRIMO VOLUME

DELLA COLLEZIONE CH EGLI IDE

CON AFFETTO FRATERNO


IL

TRADUTTORE
D.

Jf- v/JV *Jf* Jfi </f* <Jf <Jf*

wjw wJV wjv v|v v|w

i/Jw

vjv wjv wjv wjv v$w

k/jW <Jf*

II pensiero artistico

e scientifico dell' antichit

classica, base di agni cultura

moderna,

oggi

assai poco noto

od almeno

e conosciuto

imper-

fettamente pi che generalmente non si creda.

la ragion di questa

ignoranza sta

oltre che

nel discredito

in

cui son caduti in Italia gli

studi classici, nella

mancanza di

sufficienti

mezzi

di informazione sul valore assoluto di quel pensiero e sull' interesse ch'esso


rispetto all'arte e alla vita.

ancor oggi mantiene

Per ovviare almeno in parte a questo


cose,
colte

stato di

per

offrire cio agli studiosi

ed

alle

persone
questa

un valido
raccolta.

sussidio, inprendiamo

nuova

Saranno traduzioni di opere


traduzioni di opere filoso-

d'arte e di poesia e

fiche
stotele
tres

in largo

senso (quelle di Platone ed Ariil

dovranno tenere

posto d'onore), ed al-

di libri di scienza quando conservino ancora

Vili

per noi un

notevole interesse;

saranno tradu-

zioni di testi noti ed eventualmente di documenti

da poco

scoperti.
vero, nella nostra letteratura
testi classici.

Non mancano,

buone traduzioni di

Molte di queste

pero, o perche eseguite su testi scorretti o perche

fatte in tempi in cui

sussidi e gli studi adatti


allo stato at-

facevano

difetto,

non rispondono pi

tuale della cultura. Perci, mentre cercheremo di

pubblicare opere per

le

quali

manchi ai

lettori

una buona

inte?pretazione,

non rifiuteremo

quelle

che sebben gi tradotte, possano


terpretate con risultati

esser oggi inalle esi-

pi rispondenti

genze degli studi moderni.

se tra le versioni

gi note ve ne sar

al-

cuna che possa

esser messa facilmente al


critica

cor-

rente dei risultati della

moderna
le

(e

sa-

ranno senza dubbio


dalla

eccezioni),

non
la

escluderemo

nostra

raccolta.

Poich

caratteristica

principale che deve avere la nostra collezione si e

V esattezza e la precisione; e non traduzione


testo,

solo

perche la
ac

risponda

sempre

materialmente

ma

anche perche essa si giovi di

tutte le

conquiste della critica pi recente ed usufruisca


del risultato delle altre scienze sussidiarie.
occorre aggiungere che queste

E non
ver-

non saranno

sioni interlineari
scolastico.

ne

si

proporranno

tino scopo

IX

Ogni volume sar


zione e di note, ed

arricchito

di

un'introdu-

il testo,

ove occorra, sar diil

scusso nei luoghi

controversi, affinch

lettore

possa farsi un

criterio

esatto della posizione e

dei limiti della questione.

La
dotto

raccolta si inizia col

Timeo di Platone,

tra-

dal prof. Giuseppe Fraccaroli, opera che si

pu

dire la sintesi della filosofia platonica.

Fra

volumi che speriamo di pubblicare in sguito chiamo


:

indi-

la Politica e la Retorica di Aristotele, che


illustrate, la

saranno tradotte ed
fessore Gaetano

prima dal pro-

De

Sanctis, la seconda dal prole

fessore Ettore Romagnoli, e

Leggi di Platone,

alla cui traduzione attende il pr

f Angelo Taccone.
.

Fratelli Bocca.

*>k<-

PREFAZIONE

Il Timeo fra tutti comune riconoscimento

dialoghi di Platone per


difficilissimo, se

pur non
fra

si

ha da dire anzi l'opera pi ostica e astrusa

quante ce ne restano di

tutta l'antica filosofia;


i

non
ciali

perci

meraviglia se

lettori

o superfi-

o frettolosi
si

passino oltre volontieri, quasi

che

potesse intendere veramente nelle sue rail

gioni ultime

sistema platonico senza conoscere


il

e intendere sufficentemente

Timeo, che ne
e definitiva e
la
il

insieme e

la

sintesi pi

piena

necessario complemento, sia per

parte

fisica,

oggi invecchiata bens


intuizioni geniali,
sia
il

ma
per

interessante ancora di
la

parte metafisica, la

quale pur sempre


dell' intelligibile cui

pi mirabile volo nel


si

mondo
regalo

mente umana

sia

mai poil

tuta innalzare. Parve a

me

pertanto che

pi utile, che nell'attuale rinascita delle dottrine


e tendenze
idealistiche io

potessi fare a coloro


studi,

che in

Italia

apprezzano ed amano questi

xii

Prefazione.
di

dovesse essere appunto quello


chiarire delle opere
dell'

cominciare a

del padre e fondatore primo

idealismo quella che ha pi bisogno di chia;

rimento

e se

da una parte ho da
son certo che chi

riconoscere

che fui molto ardito

nel presumere tanto delle


sia
le

mie

forze, dall'altra

giunto a
difficolt

capire quanto sono gravi e molteplici


di

una

simile

impresa, mi

vorr esser largo di

un'indulgenza ragionevole.

Del Timeo non sono molti


traduzioni. In Italiano io
bile

commenti n

le

non conosco

di leggi-

che

la

versione di Francesco Acri, prege-

vole bens per pi rispetti,

ma

oscura parecchio,
il

sia per deficenza di note, sia perch


si

traduttore

volle

obbligare

certe

rigide

preziosit di
la libert e

lingua e di stile, le quali


la

inceppano

flessibilit del

periodo, tanto necessarie a chi

vuol rendere

con

bastante precisione un testo

cos vario e difficile.

Anche

pi oscura, ancorch
la tra-

per materiale esattezza

lodevolissima,

duzione latina dello Schneider, che accompagna


l'edizione Didot,

mentre per

lo contrario quella

francese di H. Martin e quelle inglesi del Jowett


e dell' Archer-Hind,
di tutte,

quest'ultima

la

pi recente

sono, in ragione della rispettiva lingua,


eccellenti, se

anche per chiarezza

non

fosse che

spezzano e infrangono abitualmente l'architettura


del periodo greco; e
il

di necessit la

dovevano
tol-

infrangere, poich n
lera

Francese n V Inglese

una

sintassi

troppo complessa. Tutte queste

Prefazione.

xm
pure assai buona,

versioni, oltre quella tedesca,


di

H.

Miiiler,
le

ebbi cosiantemente sott'occhio, e


dovetti discutere nelle mie note,
di segnalarne le inesattezze, le

spesse volte

non per vaghezza


quali,
tieri

quando mi parvero innocue,

passai volen-

sotto silenzio,

ma

per guarentigia del lettore


della diffe-

studioso, cui

dovevo render ragione

renza del mio

modo

d'intendere, dove

o l'am-

biguit dell'originale o l'autorit di questo o di


quell' interprete

potevano lasciare nell'animo suo

qualche dubbio attendibile.


compulsato,
quelli

Dei

commenti ho
e

ma non

compilato, principalmente
e

ottimi del

Martin

dell'Archer-Hind,

quello, questa volta

men buono,
ai

dello Stallbaum,

e degli antichi

il

falso

Timeo, Proclo e Calcidio.

Del
io

resto,

non tanto

commenti

singoli e pochi

dovevo attingere

gli

schiarimenti

per

il

mio

lavoro, quanto piuttosto agli storici della filosofia


in ispecial

modo

e agli illustratori

dei principi
i

fondamentali della dottrina platonica,

nomi

dei

quali sono indicati al loro luogo, sia nei prole-

gomeni,
Questi

sia nelle
i

note.

sussidi di cui

l'esecuzione del
la

Quanto almio compito, mi sono proposto


la

ho usato.

maggior sobriet e

maggiore esattezza. Chi

volesse confrontare la mia versione col testo

pu

adoperare un'edizione qualsiasi, poich


delle

all'

infuori

questioni
c'

ortografiche

affatto

formali,

quando
il

una variante che possa


diversit,

offrire

per

senso una anche lieve

io di regola

xiv
la

Prefazione.

ricordo e

la

discuto.

Non ho

fatto

una

tra-

duzione interlineare,

ma ho

inteso
il

di fare

una

traduzione leggibile, pur seguendo


pi da vicino
la

testo

quanto

lingua

italiana

lo

potea comil

portare. Platone fuor d'ogni


fetto stilista greco,
il

dubbio
il

pi per-

che vuol dire

pi

per-

fetto stilista di quanti

mai furono,

una buona
sintat-

traduzione di Platone, anche per


tica delle

l'affinit

due

lingue,
di

dovrebbe essere insieme


stile italiano.

un buon esemplare
tanto del

mio lavoro?

No
il

affatto.

Presumo io La novit e
durezze

la difficolt

estrema delle cose che aveva da dire


filosofo a delle
altri

condusse questa volta

che sono ignote, o quasi, agli


e se la lingua greca,

suoi dialoghi;
signorile

con

tutta la sua

dovizia morfologica e sintattica, fu strumento indocile nelle


scire la

mani

dell'autore,

peggio dovea

riu-

prova
sia

alla relativa

povert di una lingua


la

moderna, e

pur questa
eulte

lingua italiana, che

di tutte le lingue
lo

attuali

senza dubbio

strumento pi acconcio a rappresentare ogni


io riu-

sfumatura di pensiero. Or non potendo


scire in tutto sufficentemente,

mi proposi innanzi
ci

a ogni cosa ottenere

almeno

che nel caso

nostro importava di pi, la chiarezza, quella chiarezza relativa,


si

intende,

che l'argomento am-

metteva. Cos ho dovuto, per esempio, fare un

uso pi

ristretto dell'anacoluto;

ho dovuto spez-

zare anch' io qualche periodo troppo lungo;

ho

dovuto pi volte invertire l'ordine delle parole,

Prefazione.

xv

sciogliere parecchi costrutti partecipiali,

adopee,

rare

neologismi di lingua e

di

stile,

forse

peggio di tutto, in servizio della chiarezza e a


scapito certo dell'eleganza,

ho aggiunto qua e

qualche

parola

di

spiegazione

o di richiamo;

queste per altro


cini,

le chiusi

di regola entro

ad un-

acci

il

lettore,

quando abbia veduto come


il

corre effettivamente
sicuro del

testo originale, e sia fatto


la

senso

possa gettar pur via


pi delle vojte

mia
altro

giunta, la quale

il

non ha

scopo che di richiamar l'attenzione o di risparmiare un commento pi lungo.

Quanto poi
nato,

alle

illustrazioni,

come ho accenDelle parti

mi

limitai al

puro necessario.
fisiche,

matematiche, astronomiche,
fisiologiche

anatomiche,

posi

quelli

schiarimenti

che a

me

non matematico, n astronomo, n


tomo, n fisiologo furono

fisico,

n ana-

bastevoli
li

farmene

una

sufficente ragione

tecnici

potranno dire
io

parte scarsi parte esuberanti,

ma

non dovevo
parte pi es-

pensare
rit

ai tecnici

di preferenza,
loro.

n avevo autola

da scriver per

per

senzialmente filosofica potevo pensare a quell'illustrazione pi


desiderio.

ampia che avrebbe esaurito ogni


tutto ci degli argomenti fonda-

Con

mentali della

speculazione ho toccato,

spero o

mi

illudo,

quanto era

duopo

nei

Prolegomeni.

noto

come

sulla interpretazione della dottrina


il

delle idee, che del sistema di Platone cipal cardine, ci sia attualmente
tra
i

prin-

dotti dis-

svi

Prefasione.

senso grande, e ci che


fa era

ancora non molti anni


ritenuto,
sulla

tradizionalmente

testimo-

nianza d'Aristotele, per sicuro ed incontestabile,


ora lo
si

impugni vigorosamente d'ogni

parte,

con maggior concordia per certo nel demolire


che
nell'edificare.
il

Ebbene, su questo punto

io

dovetti prendere
ficolt di

mio

partito, e se in tanta difio

argomenti e pr e contro

sia riu-

scito a farmi un' idea giusta e

mia

il

ad esporla

con sufficente chiarezza, questo

giudizio che
lettore

non senza ansia attendo adesso dal


nevolo.

be-

Ringrazio finalmente

miei ottimi colleghi ed

amici P. R. Trojano, Gaetano


Cipolla e G. A. Maggi, che
consigli rileggendo chi

De

Sanctis, Carlo

mi giovarono dei

loro

una
i

chi un'altra parte del-

l'opera mia,
tor

come pure
Taccone

miei bravi scolari dotdottor

Angelo

Paolo Ubaldi,

gentili

cirenei,

che portarono con

me

la

croce

della revisione delle bozze

con quella diligenza


che

amorevole
alla

ed intelligente

non

si

limita

correzione degli errori materiali di stampa.


Torino, io marzo 1906.

G. Fkaccaroli.

PROLEGOMENI

Fraccaboli,

II

Timeo di Platone.

^kk^^4^^^Hr&^Hrfe^&

CAPITOLO
Contenuto
e

I.

forma del dialogd.

Sommario:

i.

L'occasione e

i i

Valore etico del Timeo. 4. Sommario del dia 5. Il Timeo un mito le sue diverse irrazionalit. 6. Difetti dell' opera e sue caratteristiche. 7. Precedenti della teoria.
3.

2. Il falso

Timeo

personaggi del dialogo. frammenti di Filolao.


:

logo.

una Dea

giorno delle feste Bendidie (era Bendis tracia, che gli Ateniesi pare identificassero con Artemide) al Pireo, in casa di Cefalo, Platone immagina sia stato tenuto il dialogo della
1.
Il

Repubblica, riferito l'indomani da Socrate ad alcuni amici in Atene. Chi fossero questi amici nella Repubblica non detto, n intervengono in alcun modo a parlare: il discorso comincia subito con la narrazione di Socrate, e Socrate
continua a riferire
la

discussione da

lui

soste-

nuta, tutta di seguito fino alla fine per tutti i dieci libri, senza interrompersi n riposare. Ebbene, i nomi dei suoi uditori ce li dice invece
il

Timeo,

il

qual dialogo

si

finge tenuto

il

giorno

Capitolo

I.

immediatamente seguente (i). Essi erano dunque Timeo, che d il titolo al libro, Critia ateniese, Ermocrate siracusano, ed un quarto innominato, che nel Timeo non pu intervenire, poich si quattro convenuto di era ammalato. Avevano rendere a Socrate per questo giorno appunto
i

il

pronto: ne

ricambio del convito spirituale, e Socrate manca uno; vuol dire che gli altri lo

suppliranno.

Chi dovesse essere quest'uno che manca, molti ma di saperlo con tentarono di congetturare certezza ci tolto; forse Platone ci avrebbe
;

il quesito, se avesse finito il suo Critia, e anche no. Dercillide, secondo riferito da Proclo (2), credeva che fosse Platone stesso; e in tale opinione, che veramente pare la pi probabile, inclinano parecchi moderni. Glaucone e Adimanto, fratelli del nostro filosofo, sono dopo Socrate nel dialogo da costui riferito nella Repubblica gli interlocutori principali; or come mai Platone, che non aveva interloquito in quei discorsi, avrebbe dovuto fingersi assente anche alla relazione che ne fa Socrate ? Se consideriamo la sua ritrosia ad intervenire direttamente ne' propri dialoghi, o almeno ad intervenirvi col proprio nome (nelle Leggi egli l'ospite ateniese; nel Fedone non pu intervenire perch

sciolto

forse

V. nota a p. 21 (sono le pagine dell'edizione Enrico Stefano, segnate nel margine). (2) Prodi in Platonis Timaeum commentario, ed. Ern. Diehl, MI. Lipsiae, 1903-4, p. 7 B. Per il resto, non ancora uscito in questa edizione, ho usato l'ediz. dello Schneider, Prodi comm. in Tini.., Breslau, 1847. La citazione delle pagine la tradizionale dell'ediz. Basi(1)

di

leense.

Contenuto

forma

del dialogo.

ammalato)

se consideriamo

come

il

notare

la

mancanza

una persona del tutto indifferente, e di cui si pu indifferentemente fare a meno, che non ha fatto che ascoltare in silenzio, e non
di

per alcun altro


tutto

modo

riconoscibile,

sarebbe

ozioso e senza senso, inutile ingombro per l'azione,

come

ci

che

puramente accidentale,

parmi che

l'ipotesi

che qui Platone voglia appunto

indicare se stesso, acquisti

Nel Fedone
:

ammalato almeno far sospettare, l'identit della persona. Che se nel Fedone l'occasione del dialogo, del tutto storica, ed il giorno, ben certo e preciso,
lasciano credere effettivamente che la malattia di

non poca probabilit. ammalato, e qui l'assente pure l'identit della causa pu suggerire, o
egli

Platone fosse vera, senza di che non


com'egli potesse esser mancato
al

si

capirebbe

supremo con;

vegno con
nel

amici intorno al maestro scena bens rappresentata in un giorno fisso, n sull'anno potrebbe esser luogo a incertezza (1), ma di ritenere che effettivamente queste egregie persone si sieno trovate insieme quel giorno a discorrere, manca qualsiasi fondamento, e come il discorso immaginario, immaginaria pu esserne l'occasione, e ancora pi immaginaria per conseguenza la circostanza della malattia. Forse nella Repubblica, non interloquendo alcuno con Socrate, anche
gli
altri

Timeo invece

la

Platone poteva
e tacere

considerarsi presente:

ascoltare

non compromette nessuno: nel Timeo

invece e nel Critia, che ne la continuazione, dove tutti interloquiscono e si obbligano anzi ad
interloquire,

appunto perch, come detto espresla

(1)

Veggasi

nota su Ermocrate alla pag. 20 A.

Capitolo

I.

samente, ad interloquire sono adatti, non volendo egli attribuire a s pure una parte attiva, e implicitamente una lode, non foss'altro, per essere quarto fra tanto senno, con questo pretesto se

ne cans. Del resto noto che Platone il proemio della Repubblica lo corresse e ricorresse chi sa che nel correggere non abbia soppresso qualche tratto che poteva spiegare questa allusione (i). Ad ogni modo anche la menzione di questo
:

incognito uno dei tanti legami, coi quali Pla-

Timeo alla Reil composizione della pubblica, singolare tra la Repubblica e quella del Timeo deve essere corso
tone
si

sforza di

riannodare
:

un

intervallo di

dedursi,
stile,

tempo non piccolo, come pu non tanto dalle notevoli differenze di


ulteriore,

quanto dall'evoluzione
dialogo,
di

che appare

nel nostro

parecchi

concetti anche

fondamentali. Se pertanto l'un dialogo presentato

come

la

continuazione

dell'altro,

ci

non

causa occasionale, o ad associazione spontanea di idee: il nesso voluto e deliberato, e il nesso nel tempo e nelle persone

deve

attribuirsi a

(i) Il Ritter, in " Philologus LXII(a. 1903), pp. 416-18, persuaso che Platone avesse in animo di comporre una tetralogia, crede che dopo Timeo, Critia ed Ermocrate egli volesse con questo quarto personaggio riservarsi di un quarto dialogo, e che la ragione il protagonista di farlo ammalare fosse questa, che costui doveva essere un uomo tale che non avrebbe potuto fare la parte di semplice uditore davanti a Timeo. E perch l'aveva fatta allora davanti a Socrate? E Critia ed Ermocrate eran forse, al confronto, dei novellini, da attribuir loro questa parte, se per altri fosse stata disdicevole? E passi anche tutto ci come spiegazione del farlo ammalare; ma perch allora tacerne il nome? La tetralogia, se occorresse, si ha cominciando dalla Repubblica, che il Ritter a torto vuol separar dal Timeo.

Contenuto

forma

del dialogo.

evidentemente intende ribadire il nesso che categoricamente affermato per l'argomento (i). L'argomento proposto nella Repubblica per
verit era stato la giustizia
:

tale dichiarato nel


il

primo

libro, tale

confermato nei secondo; e

discorso intorno
era

allo

Stato introdotto in via

incidentale e occasionale.
stizia,
si

Che cosa
facile

sia

la giu-

osservato, pi

intenderlo

che non nei casi piccoli degli individui: dal grande si potr incaratteri minuti si ferire poi il piccolo, come
nel corpo grande della citt,
i

decifrano pi facilmente se la cosa sia stata letta prima in lettere grandi (2). Aperto per tal modo
il

passaggio dall'uno

all'altro

argomento, da

in-

cidentale, che pareva, la discussione intorno allo Stato divent il soggetto precipuo e pi vero, e

cos

avvenne che

tutto

il

dialogo

si

intitolasse

della Repubblica, e

con questo
il

ricordato e riassunto

ne venisse soggetto nelle prime patitolo

gine del

Timeo

(3).

Ed

effettivamente sulla teoria

(1)

Se,

come crede Ivo Bruns, Das

literarische

Por-

trt der Griechen, p. 275 (cfr. pure Blass, Die Interpolationen in der Odyssee, p. 6), Platone quando scriveva la Repubblica non pensava affatto ai personaggi che in-

trodusse poi nel Timeo, questa spiegazione o correzione posteriore rende il nesso tra i due dialoghi tanto pi significativo quanto pi deliberatamente, anzi forzatamente, sarebbe voluto.
(2) (3)

De
Se

Rep.

II,

p.

368 D.

nella ricapitolazione che si fa nel Timeo omesso quanto si contiene negli ultimi libri della Repubblica,
il

questo non argomento che valga per dire, che quando Timeo fu composto, la Repubblica non doveva essere scritta o non doveva esser finita (veggasi nota a p. 21 A). Negli ultimi libri non si contengono cose che
si

riferiscano propriamente ai fondamenti essenziali della costituzione dello Stato, ma piuttosto si risolvono difficolt, si confutano obiezioni e si illustrano singoli

8
della

Capitolo

1.

Repubblica Platone non mostra n pentimenti n dubbi: soltanto, fa dire da Socrate, si vorrebbe vederne la prova; si vorrebbe vedere come lo Stato cos bene immaginato saprebbe poi comportarsi e difendersi all'atto pratico nella guerra e nella pace. Si desidera insomma un romanzo sperimentale; ed il Gomperz (i) molto a proposito cita alcune frasi dello Zola, che corrispondono singolarmente a queste affermazioni di Platone. Come Platone persuaso che tradu-

cendo

la

dottrina nella pratica riuscir pi


i

effi-

cace e persuasivo, cos


rimentale

fautori del

romanzo speper esso


alla

credono

di

poter dare

scienza maggior incremento,

che non ne possa venire dalle speculazioni teoriche. Gli che Platone si ferm presto e lasci l'impresa: forse il
solo tentarla glie ne fece conoscere l'impossibilit.

Ad
i

ogni

modo

intanto egli sceglie a propotra le


:

sito

suoi

interlocutori

insieme e pratiche del


di Stato e in pari

mondo

essi

persone e dotte sono uomini

tra essi Critia

tempo cultori della filosofa. per primo disposto a com-

piacere alla richiesta; poich effettivamente, dice,

un ordinamento affatto simile a quello descritto da Socrate era stato in Atene novemila anni innanzi, giusta un racconto che il nonno suo aveva sentito da Solone, il quale l'aveva avuto dai sacerdoti di Sais, che ne conservavano la memoria nelle scritture sacre del tempio di Neith, una

punti; lo

finito col libro

dal

1.

degli ordinamenti sostanzialmente V. Del resto la dipendenza del Timeo della Repubblica chiara a p. 28 A-B: cfr. la

schema

nota relativa.
(1)

Griechische Denker,

II,

p. 604.

Contenuto

forma

del dialogo.

Dea

egizia che

si

riteneva

equivalere all'Atena

greca.

Lo

Stato ateniese, allora cos costituito e

ordinato come nella Repubblica stato descritto, avrebbe compiuto un' impresa gloriosissima, cio avrebbe respinto e debellato gli eserciti che dall'Atlantide,

immensa

isola situata fuori delle co-

lonne di Ercole, avevano invaso mezza Europa. Narrato questo per sommi capi, Critia si pro-

pone di riandarne i particolari, ma, per discorrere con miglior ordine, propone intanto che prima parli Timeo. Prima di studiare lo Stato, ragionevole
risalire agli

elementi di cui costituito,

ed alla sua origine, e dall'uomo all'universo, essendo s l'uno come l'altro opera di Dio padre e creatore. Timeo, come il pi dotto
cio all'uomo

nell'astronomia e nella
perci

fisica,

esporr dunque in-

nanzi tutto la costituzione dell'universo, e sar

Come

questo il soggetto del dialogo nostro. avviene nella Repubblica, anche qui l'arincidentale
il

gomento
sopprime,
l'altro

soverchia, e questa
il

volta
al-

principale,

quale rimandato
il

dialogo che prende

nome da

Critia,-

che rimase incompiuto.


2.
il

Timeo da Locri

quale, se

era un filosofo pitagorico dobbiamo credere a Marco Tullio (1),

conosciuto personalpure da Aristotele e da Esichio insieme con Archita; e questo quanto ne sappiamo (2). A Timeo fu attribuito per altro anche un opuscolo Siili' anima del mondo e sulla

sarebbe stato da

Platone

mente

egli

citato

natura, in dialetto dorico, che

si

conserva; e

(1)
(2)

De

Rep. I, io, 16; De Finn. V, 29, 87. Diels, Fragni, der Vorsokrat. p. 275.

io

Capitolo

I.

Proclo, che appunto lo mette innanzi

al

suo

Com-

Timeo, non ha dubbio alcuno sulla sua autenticit: che Platone lo abbia preso a modello, dice essere ammesso da tutti (i). Da contrario concordetutti i moderni per lo mente ritenuto falso e se della falsit facesse bisogno ancora la prova, ce n' una proprio l sul principio, ed questa, che vi si ammette
mentario
al
;

la

preesistenza delle idee al


pitagorica.

mondo
il

(2), la

quale,

in

questa forma, dottrina schiettamente plato-

nica e non

Non che

modello

di

Platone, questo libro una parafrasi pedestre del

suo dialogo, parafrasi per altro antica abbastanza e abbastanza chiara e genuina, e perci spesso pi utile assai delle lungagnate di Calcidio e di
Proclo.

Ma

se del plagio

da questo opuscolo
il

affatto

superfluo lo scagionare

filosofo, l'accusa in ge-

nere antica: se non ha copiato da questo opuscolo, ha copiato forse da qualche altra opera di Timeo che sia andata perduta? o ha copiato

da qualche

altro

autore

lingua maledica che era

Lo affermava quella Timone di Fliunte, in


con molte varianti

tre versi dei suoi Siili, citati

da diversi

autori (3)

pi attendibilmente da

(1) O. e, p. 3 B: iuoXoyetTai bf\ irap uvtujv, Sri toO TTuGayopiKOi) Ti|uaiou t fJifSXiov TTXxujv XaPwv, 8 irep toO Travrc; art aYKixai, tv tiv TTuectYopduiv xp-

ttov Ti)naioYpaqpeTv

trexeipriaev.
il

Lo Schneider segnava
ai)TKiTou.

virgola dopo Tpnov,


(2) p.

Diehl, meglio, dopo

93 B: t b

E|UTravTa, iav, Xav, a<j9nr v

oov Ikyovov toutujv.


(3)

Syllographorum graecorum
1.

rell.,

ed.

Wachsmuth,

pp. 130-32. Cfr. Iambl. inNicom. Arithm. Introd. p. 148;

Procl.

e,

Contenuto e forma del dialogo.

Aulo Gellio

(i):

Prese te pur, Platon, cesio d'apprendere, E per molti denari un libro piccolo Comprasti, e hai quinci appreso a Timeoscrivere.

Ora quale il libro che Platone comper ? Ce lo dice Diogene Laerzio nella vita di Filolao (2),
e poi nella vita di Pitagora
:

(3),

e poi nella vita

di Platone stesso (4) il libro era di Filolao, il quale (ci si dice anche di Empedocle) era stato

primo dei Pitagorici che pubblicasse un libro da questo libro Platone avrebbe tratto il Timeo (5). Col libro piccolo adunque Timeo da Locri non ha che fare, e la notizia che Platone attingesse ad un libro di Timeo, con buona pace di Proclo, di Giamblico e degli altri che abboccarono, non ha fondamento che in un
il

sulla natura:

equivoco: nel TijuaioYpaqpeiv di


e per trovarcela

Timone

si

volle
ci sia,

trovare maggior arguzia che in realt non


copiare

si credette potesse significare Timeo, mentre i fatti e la grammatica

insieme concorrono a dimostrare che tale signi arbitrario come aKiaypacpuj non vuol dire altro che dipinger ombre, TiuouoYpacpeuj non
ficato
:

pu voler

dir altro che scrivere

Timeo

la

facezia

(1) HI,

17, 4:
<J

koI cu, TTXotuuv, kc yp

ua0iyri'r|<;

ttGoc;

axev,

ttoXXwv ' pyvpvjv XtYnv nXXdEao (3i0Xov, 2v0v irapxuevoi; Ti^aioypacpetv idxOn^

D. L. Vili, 7. D. L. Vili, 1, (4) D. L. Ili, 1, Gell. 1. e. (5) D. L. Vili, 7


(2)
(3)

15.
9.

Cfr.

Iambl.

Vii.

Pyth. 199. Aul.

Kal vreOGev

ueTafeYpaqpvai tv T(-

jucuov.

12
si

Capitolo

I.

muta in scipitaggine: peggio per Timone. Quanto a Filolao invece, non si capisce perch si deva toglier fede a Diogene, il quale si appella alla testimonianza di Ermippo e di Satiro, che Platone si sia procurato un suo libro. Non discutiamo sui particolari, se l'abbia pagato, quanto l'abbia pagato, da chi l'abbia avuto: negare, negar sempre, negare prima di ogni altra cosa, fu un malo abito della critica, del quale ancora a stento riesce a spogliarsi si era impugnata persino l'autenticit dei frammenti di Filolao meno male che ora non ci si insiste. Ebbene, se quei frammenti trovano dei riscontri col Timeo, quei frammenti provano che a Filolao Platone attinse. Attinse, ma non copi. La dottrina infatti che nel Timeo viene esposta, fondamentalmente
: ;

pitagorica: perci

non Socrate,

ma un

pitagorico,
differente

ne
in

il

banditore.

E come

la sostanza,

altrettanto la

forma

in confronto dei dialoghi

cui Socrate protagonista:

non discussione,
;

comune ma dogmatismo non analisi ma sintesi non discorso alternato, ma continuato; non dramma, ma argomentazione.
non
ricerca
,

in

3.

Si

Ma procediamo per ordine. deve applicare la teoria alla


si

pratica,

teoria dello Stato alla pratica della vita,

e come
una
nota Pla(i) lo ri-

la

introduzione
delle

parla (e

si

finisce a

non

parlar

d'altro) della creazione del

mondo
c'?

e dell'origine

cose.

Ritorna

qui spontanea ancora

volta la

domanda: che nesso


il

Lo

tone espressamente, e bene

Gomperz

Ci)

O.

e. II,

p. 481.

Contenuto

forma

del dialogo.

13

lev: l'ordine morale coordinato all'ordine fisico. L'analogia tra 1' individuo e lo Stato a Platone

non basta
tra

deve estendersi all'analogia l'uomo e l'universo: l'etica riceve un fondapi; essa

mento cosmico.
Il

Timeo

la sintesi pi comprensiva che sia

mai

stata tentata di tutto lo scibile e delle que-

stioni

fondamentali relative all'essere del

mondo

mai mente umana ha abbracciato un campo pi vasto, n mai assurse a un simile volo. L'intelligibile e il sensibile, l'ese all'esser nostro, n

sere e

il

divenire,

la

fisica

e la
gli

metafisica

la

scienza e la religione, tutti


sparati nel

Timeo

si

elementi pi diaccordano in una unit, che

non soltanto avvicinamento di aggregati, ma coordinamento organico e razionale. Se l'essere l'uno, e se ci che diviene ha da somigliare
quanto pi possibile a ci che se nella pluralit dei fenomeni deve in qualche modo rappresentarsi l'unit dell'essenza, questa virtuale unit
;

doveva innanzi
zione prima

tutto

essere dimostrata, e nella


della
tesi.

possibilit di questa dimostrazione era la condidell'attendibilit

Ora

la

concezione del Timeo si pu dire che pienamente risponda a tale requisito il mondo intelligibile ed il sensibile sono rappresentati in rapporto costante tra di loro; nulla vi di accidentale, di sporadico, e tutto risale a un principio unico e ad una sola cagione. Cos in unit sostanziale sono composti il mondo morale ed il
:

mondo

fisico

se

Dio buono, se

egli l'au-

tore delle cose e se le cose perci devono essere buone, la bont loro deve diffondersi dal cielo
alla terra
:

l'ordine sociale dev'essere analogo al-

l'ordine degli astri.


Fraccakoli, Il Timeo di Platone.
2

14

Capitolo

I.

la

speculazione

platonica

per

questo

ri-

spetto era destituita di fondamento nei fatti. Se nelle favole antropomorfiche della mitologia si

vogliono ravvisare dei miti cosmici, ancorch non sia certo da credere che conscientemente e delibe-

ratamente quelle favole sieno state congegnate a questo scopo, in questo almeno ci potremo accordare, che se non altro esse rappresentino l'adattamento della nostra natura morale mutevole e transitoria ai tipi costanti e normali impressi nella psiche dei primi uomini dalla contemplazione dei fenomeni naturali, i quali, procedendo con leggi costanti, avvezzavano la recente umanit al senso dell'ordine, e di tal senso dell'ordine facevano fondamento della morale. Cos la morale plail
tonica ha la sua base,

non
in

in

un accidente

del-

l'umana natura, non


della psiche nostra,

in un'evoluzione progredita

non

un sentimento sfug-

gevole

all'analisi della ragione,

ma

nella sostanza

stessa delle cose e nel loro principio.


rale ordine, essa

Se la moebbe cominciamento col co-

minciamento dell'ordine, e perci fino dal principio essa informa di s il mondo dello spirito
e quello insieme della materia essa parte del mondo stesso; essa non legge limitata all'uomo,
;

pervade tutta la natura, soltanto l'uomo ne ha anche la consapevolezza e con la consapevolezza la responsabilit. Egli ne ha la consape-

ma

volezza, perch le leggi della natura

gli furono sua anima, prima di scendere mostrate quando la nel corpo, fu collocata nella sua propria stella a quest'uopo appunto che conoscesse queste leggi perch (p. 41 E); egli ne ha la responsabilit,

la

contemplazione delle cose

celesti aperta ai
gli

suoi occhi e alla sua intelligenza, e quindi

Contenuto
facile
il

forma

del dialogo.

15

riconoscere ad

ogni

momento

qual

l'esemplare a cui deve informarsi.


uno e il mondo buono, perch da artefice buono, e 1' uomo non che creato un piccolo mondo, che deve quant' meglio possibile rassomigliare al mondo grande e per mezzo di esso al creatore (p. 29 E). Uguagliarsi quanto pi possibile a Dio, questa la meta dell'uomo riconosciuta anche nei dialoghi anteriori al Timeo (1). Quanto pi pertanto la creatura si differenzia dal creatore, tanto pi essa degenere e fisicamente e moralmente. E poich nella scala degli esseri
Il

mondo

l'universo al di sopra dell'uomo


al creatore, in ci

e pi vicino

sua ragione la legge dell'imitazione dell'ordine cosmico: se le stelle sono il luogo proprio a cui l'anima deve sforzarsi di ritornare, anche per questo giusto
la

appunto ha

e ragionevole, che secondo le loro leggi essa conformi e diriga i propri movimenti (pp. 47 B, 90 D). Per tal modo l'uomo conserver la rassomiglianza con l'universo, mentre invece si far da

allontana.

esso sempre pi differente, se da quelle leggi si E allo scadimento morale sar com-

col

pagno lo scadimento anche fisico: la somiglianza cosmo andr sempre pi attenuandosi e scomle

parendo. Perci per Platone


degli animali costituiscono

diverse specie
di de-

una graduatoria

generazione
i

pi

dissimili dall' universo

sono

pi bassi anche nella scala morale: disformit

e imperfezione per Platone sono sinonimi.

Ouesta teoria della degenerazione, che assolutamente opposta alla dottrina moderna della
evoluzione, scaturiva del resto dritta dritta dalle

(1) Cfr.

Theaet. p. 176 A-B.

i6

Capitolo

I.

premesse. Se l'essere uno e immutabile, ogni ulteriore differenziazione da lui essendo un ulteriore allontanamento, la decadenza era una implicita

assoluta necessit.

Cos

la

teoria

orfica

della caduta dell'anima nel peccato spiega e cor-

robora la teoria pitagorica della metempsicosi e prepara gli animi alla dottrina cristiana del peccato originale. Non per altro una decadenza senza ritorno e senza redenzione; anzi la redenzione nel Timeo promessa: la particella divina che l'uomo porta con s, emanazione di Dio, che

buono

e senza invidia,

non pu essere sover-

chiata del tutto dalla contingenza materiale, e deve

pur riuscire ad ottenere il sopravvento, comecch per altro intorno al modo ed al tempo in cui questa redenzione avr luogo, il filosofo non ci dia ragguagli determinati (p. 42 C-D). E questo pure notevole, che mentre altrove Platone riconosce esservi alcuni peccatori assolutamente insanabili, per i quali non c' speranza di riscatto, nel Timeo a ci non accenna pi, ancorch pi che mai per insista nell'affermazione, che il male involontario e che il malvagio perci

ha bisogno non di punizione, ma di cura. Importa questo di conseguenza la negazione della libert ? La risposta va oltre a ci che richiede una interpretazione sufncente del nostro dialogo. Certo che la libert Platone non la esclude assolutamente, perch, se la escludesse in tal modo, non avrebbero affatto senso le sue
teorie sul meritare e
sul
le

e sulle

pene

secondo
la

demeritare, sui premi opere, e senza senso

pure sarebbe

sua esortazione di conformarci alle leggi dell'universo. Non bisogna, del resto, dimenticare che per Platone il male torna a danno

Contenuto

forma

del dialogo.

17

principalmente di chi lo commette, e che su questa affermazione si edifica tutta la dottrina della Repubblica. Ci posto, se l'assassino o il falsario, prima e pi che agli altri, recano danno a
s stessi, solo per errore possono essere assassini e
falsari,

e ci
(1), o,

proprio danno
.

perch nessuno pu volere per dirla con Dante,

il

Amor

perch mai non pu dalla salute del suo suggetto volger viso.
alla

Libera dunque, quanto


parte
intellettiva

dell'anima,

propria natura, la
soltanto in-

ceppata e traviata, secondo il Timeo, dal flusso della materia alla quale si lega. Essa di sua natura la dominatrice, e la libert sua Platone
la

fra

concepisce, meglio che un'alternativa di scelta il bene ed il male, come una necessaria tenal

denza

bene

(2).

Dovremo dunque

dire che seil

condo Platone l'anima libera quando sceglie

bene, non libera se sceglie il male ? E non sarebbe allora questa la pi consolante di tutte le
dottrine morali
?

Se

trattatisti

moderni

si

de-

gnassero qualche volta di leggere quello che hanno scritto gli antichi, si risparmierebbero di ripetere
stortamente ci che fu gi detto bene da oltre a due mila anni, e imparerebbero ad andar pi

adagino nel vantar

le

scoperte della conscienza


dialogo essenzialmente

moderna. Se pertanto

il

Timeo

fisico e metafisico,

non piccola n secondaria

(1)

Cfr.

(2) Cfr. la

lucci, //
"

Menon. pp. 77 B-78 B. assai pregevole Memoria di Giov. Bortodelitto e la pena nei Dialoghi di Platone, in
,

Archivio Giuridico

voi.

Ili, n. s.,

fase. 2 (Pisa, 1905).

18

Capitolo
la

I.

per altro
del

mondo

sua importanza anche nei rispetti morale, e questa parte di esso an-

cora viva, senza che il suo alto interesse pratico e speculativo sia per nulla attenuato dalle pre-

messe
4.

di falsa scienza e di

falsa critica.

discorso di Timeo, tanto

Esporre a parte a parte il contenuto del denso e sintetico e


,

non possibile utilmente, se non commentandolo: il riassunto non pu essere mai cos largo da non omettere talora anche ci
spesso intralciato

che essenziale e caratteristico, e l'ordine che vi si volesse introdurre secondo il gusto nostro, potrebbe diventare invece un disordine secondo
la

mente

di

Platone.

riassunti

poi hanno anche

spesso un altro pericolo, quello di distogliere i lettori frettolosi dal leggere davvero e meditare
l'opera.

Mi limito dunque ad una ricapitolazione, ad un indice sommario affatto, quanto basti per dare del libro un'idea complessiva e per tratteggiarne lo schema. Posta a base la distinzione fondamentale tra l'essere e il divenire (p. 27 D), quello immobile,
questo mutevole, quello
intelligibile,

questo sen-

sibile, se ne deduce una prima conseguenza, ed che ci che diviene deve avere una causa: il mondo diviene, mutevole, sensibile, dunque ha una causa, dunque fu creato. E poich Dio

creatore

buono,

il

mondo

fu creato

buono
:

e perch fosse buono, dovette esser creato su di

un esemplare eterno e immutabile (p. 29 A) che cosa sia questo esemplare, esamineremo poi a
parte.

la

creazione

fu essenzialmente ordina-

mento (p. 30 A). Ed uno essendo il creatore, ed uno F esemplare uno anche dovette essere il
,

Contenuto

forma

del dialogo.

19

mondo, un animale
gli

solo

animali sensibili,

come

comprendente in s tutti l'esemplare comprende

tutti gli

animali intelligibili (p. 31 B). E il mondo sensibile costituito di quattro elementi: fuoco,

acqua, terra, disposti tra di loro in proporzione geometrica e tutti questi elementi furono
aria,
:

consumati

creazione di questo mondo, il perci fu perfetto e non soggetto a perire quale (come siamo soggetti noi) per opera di cose ad
nella

esso estranee, che effettivamente

non

ci

possono

essere (p. 33 A). E fu fatto sferico e rivolgentesi sopra s stesso sempre nello stesso luogo, senza moto di traslazione (pp. 33 B-34 A). E fu ani-

mato, e l'anima sua fu creata prima del suo corpo, e lo pervade tutto quanto (p. 34 B-C). E l'anima
del

mondo

fu fatta

congiungendo

l'invariabile

ed

essenza, e tutto il variabile in una terza specie di complesso fu diviso secondo l'ordine della questo

doppia quaderna pitagorica


in

(1):

fu poi disposto
il

due

sfere concentriche, l'ima esterna, cio

cielo delle stelle fisse,

che ebbe

il

moto da

destra

a sinistra, proprio dell' invariabile, l'altra interna con moto da sinistra a destra e di traverso, proprio del variabile, e questa corrisponde ai cieli dei
pianeti (p. 36 B-D).
atta al

L'anima del mondo perci

doppio ufficio di apprendere tanto il variabile quanto l'invariabile (pp. 36 D-37 C). E poich il mondo fu fatto da Dio, non pu esser disfatto se non da Dio stesso e poich fu fatto
;

buono

suo autore buono, non pu egli vo dunque perenne (p. 37 C-D). E lerlo disfare perch fosse tale, Iddio cre il tempo, che immagine dell'eternit, appunto perch, quane
il
:

(1)

Veggansi

le

note a p. 35 e segg.

20

Capitolo

I.

tunque esso non sia mai, ci non pertanto diviene sempre e incessantemente. E ministri del tempo sono i corpi celesti (pp. 38 C-39 E). E dopo creato il mondo, Dio cre quattro specie di animali (corrispondenti a fuoco, aria, acqua e terra), cio che sono le stelle, gli uccelli, gli Dei del cielo le specie acquatiche, e le pedestri o terrestri. E da s direttamente cre infatti gli Dei del cielo (pp. 39 E-40 D). Quanto poi agli Dei della mitologia, sono tradizioni che sar bene accettare, ma non si possono discutere (pp. 40 D-41 A). A questo punto il creatore si rivolge agli Dei
,

da

lui creati
il

invitandoli a creare alla loro volta,

imitando

Essi, peraltro,

suo procedimento, le altre specie. essendo creati, non possono creare

che degli animali mortali: perci quella parte di essi animali che deve durare perennemente, dovr essere creata direttamente dal padre loro, dal Dio supremo ed unico, che sempre (p. 41 A-D).
Egli crea pertanto
le

anime
l

razionali e le distrifa loro

buisce nelle singole


la

stelle, e

apprendere

natura delle cose, che poi ricorderanno scendendo nei corpi e nelle vite terrene (p. 41 D-E).

quelle che vivranno rettamente

ritorneranno

poi alla loro stella, le altre passeranno in corpi di

animali

(p.

42 A-C).
e
il

Il

corpo invece creato dagli

Dei

creati,
;

elementi

fluire

viene costituito dai quattro detti e rifluire della nutrizione

causa ad esso di variazioni, e con esse di impedimento ai moti razionali dell'anima: quindi
il

bisogno di educazione (pp. 42 E-44


viene a dei particolari
;
:

C).

qui

nell'uomo la testa, il cervello il corpo non che il veicolo della testa. E nella testa principalmente sono congegnati gli organi dei sensi (pp. 44 Dsi

l'essenziale

Contenuto

forma

del dialogo.

21

45 A), che
dalla vista,

senso pi importante, poich per mezzo della vista possiamo conoscere l'ordine del mondo e il numero, che ne il fondamento, e quindi assurgere' alla contemplazione filosofica e. al nostro miglioramento morale (pp. 45 Bil

Timeo come

tenta di spiegare, a cominciare

47
(p.

C). Allo stesso

scopo serve

il

senso dell'udito

47 C-E).
qui
si
si

ritorna indietro. Nel discorrere della

creazione

era trascurato

un elemento,

l'elesi

mento

della necessit, ci in cui la creazione

riceve (pp. 47 E-48 B). la materia? lo spazio? Che sia lo spazio, sostennero
attua, ci

che

la

altri,

mi ingegner
;

di dimostrarlo in

uno spe-

per ora basti accennare che innanzi tutto, accingendosi a determinare la natura di questo terzo elemento, Timeo nega categoricamente che possa essere o una o pi o tutte
ciale capitolo
le le

quattro specie, cio fuoco, aria, acqua, terra,


quali

ma

non sono elementi n primi, n secondi, semplicemente stati della materia (pp. 48 B50 C). A queste specie fenomeniche corrispon-

dono le specie idee, fuoco, aria, acqua, terra, che sempre sono. E qui si ha una breve digressione esistono
:

le

idee veramente

(p.

B-C).

si

risponde

che s, esistono, perch esse sono l'oggetto della conoscenza, come le cose sono l'oggetto dell'opinione, ed opinione e conoscenza essendo
diverse, diverso dev'essere anche
(pp.
il

loro oggetto

51

D-52

C).

Prima del

mondo,

pertanto,

c'erano tre elementi, l'essere, la generazione e


lo spazio (p. 52 D).

Ma

nello spazio entrano dap-

prima
se

quattro

elementi e prima, logicamente,


e senza nu-

non temporalmente, senza forma

22

Capitolo

I.

mero, poi vengono ordinati (p. 53 B). Questi elementi o specie poi corrispondono a quattro dei cinque solidi regolari, e tutti si riducono al triangolo rettangolo, che di due specie, isoscele e
scaleno
(pp.

53C-56C).
note a pp.

Sulle difficolt e

sulle

questioni relative alla costruzione di questi solidi

veggansi

le

54E-55A.
la

Si

determina

quindi entro quali limiti


di posizione

trasformazione della

materia avvenga (pp. 56 C-57 D), quali mutamenti ne nascano, e di quali movimenti
questi siano
e

cause ed
le

effetti

(pp.

57D-58C);

quindi
aria,

si

enumerano

diverse qualit di fuoco,


sar

Le cose sono oggetto


dunque un soggetto

acqua, terra (pp. 58 C-61 C). di sensazioni

vi

senziente, in rapporto al quale

converr esaminarle. Esamina pertanto Timeo prima le sensazioni comuni a tutto il corpo (pp. 61 C segg.), e si indugia specialmente a discutere intorno alla gravit, determinandola nella virt che hanno terra, acqua, aria, fuoco, di attrarre a s ci che loro somiglia, virt che agisce in proporzione diretta della massa (pp. 62 C-63 E). Ma d tutte le affezioni, che il corpo patisce dalle
sensazioni, la pi notevole
lore, e perci se
il piacere e il done indagano le cagioni (pp. 64 ASi passano quindi in rassegna gli altri

65 B).
(pp. 65
i

sensi in quest'ordine,

gusto, olfatto, udito, vista

B-68 D), e se ne conchiude che questi sono mezzi di cui il creatore si serv come di cause secondarie, ma che la causa prima e vera di tutto si deve sempre riconoscere in lui, e perci anche lo studio di queste cose deve sempre avere per meta ultima la sua conoscenza (pp. 68 E-69 A). E qui torniamo un'altra volta sui nostri passi,

Contenuto
e

forma

del dialogo.
la

23

riprendiamo a considerare
:

creazione del-

l'anima dell'uomo
tale fu creata

la

parte

razionale e

immor-

testa; la
in

da Dio padre e fu collocata nella parte mortale dagli Dei inferiori, e, divisa

due

sezioni, irascibile e concupiscibile, fu col-

locata quella nel petto, questa nel ventre, al qual proposito si descrivono la costituzione e l'ufficio

del cuore, del fegato e degli

altri intestini (pp.

69 A-

72 D). Questo occasione per anche la costituzione di tutto il resto del corpo, budellame, ossa, carne, pelle, peli, unghie, la loro
origine, le loro propriet, la loro distribuzione e finalmente in un il loro ufficio (pp. 72 D-76 E)
;

rappresentare

breve capitolo si parla della creazione dei vegetali, che doveano servire al mantenimento dell'uomo (p. 77 A-C). Ed ora, dopo aver discorso delle cose singole che costituiscono il corpo, si descrive come sono

compaginate e coordinate, come furono disposti canali del corpo in servigio della irrigazione, i della digestione e della nutrizione (pp. 77 C-78 A) e principalmente si descrive l'apparato e il meccanismo della respirazione, luogo quanto mai oscuro e discusso, per il quale veggansi le note
;

79 A. Con lo stesso principio, quello ha la natura per il vuoto, si spiegano incidentalmente altri fenomeni (pp. 79 E80 C); quindi, ritornando all'argomento, si spiega la crescita dei corpi e la loro decadenza col prina pp. 78

dell'orrore che

simile

accennato dell'attrazione del simile al o decade, a seconda il corpo cresce costituito soverchiano che gli elementi di cui quelli che entrano in esso per la nutrizione o ne sono soverchiati (pp. 80D-81 E). Questo occasione per venire a parlare delle malattie e
cipio gi
:

cos

24

Capitolo

I-

a classificarle, e prima quelle del corpo (pp. 82 A86 A), poi quelle dell'anima (pp. 86 B-87 B). Venrimedi, che si riducono a quelli i che noi diremmo cure igieniche, sia rispetto all'anima, sia rispetto al corpo (pp. 87C-90D). Finalmente si tocca della produzione delle donne

gono quindi

e degli altri animali, la quale avviene per dege-

nerazione

l'anima

peccatrice nella seconda

nelle ulteriori incarnazioni passa in quella

forma

che

addice all'abito formato dalle sue colpe da ultimo si riassumono in brevi (pp. 90 E-92 B) parole le conclusioni, che sono appunto quelle che si erano proposte a dimostrare.
si
;

vede da questo riassunto, tutto il che un mito, un mito che si cerca di rendere credibile, che si dichiara essere semplicemente probabile, ma sempre un
5.
si

Come

discorso di

Timeo non

mito nella sostanza e nella forma. Il desiderio di vedere la dottrina della costituzione dello Stato in azione qui soddisfatto quanto alla dottrina della costituzione del mondo. Come il poeta antico rappresenta lo scudo di Achille mentre
tone

formato a parte a parte dall'artefice, cos Placi rappresenta l'universo mentre creato. E il Timeo pertanto opera di poesia non meno che di speculazione, e chi dimentica o

non riconosce questa sua caratteristica, o non lo intende, o non lo giudica rettamente. E per verit, due difetti in principal modo si sogliono riconoscere in questo dialogo, una scienza invecchiata e spesso falsa, e un enorme cumulo di irrazionalit. Ma quanto agli errori scientifici, se questi non si possono n si devono disconoscere, se perci una parte di questo

Contenuto e

forma

del dialogo.

25

libro per noi antiquata, essi

sono compensati

non meno abbondante delle intuizioni veramente geniali (1), che anticipano le conclusioni della scienza di oggi, e forse anche
dalla copia

domani. La percezione piena e sinche l'uomo di genio ha delle cose e dei fenomeni, coglie ci che in essi essenziale, ancorch non lo sappia razionalmente discernere,
di quella di cera,

e sale dal particolare all'universale senza bisogno

l'amante vede amata qualit e pregi che la gente spassionata non vede, e per queste qualit e pregi egli tanto pi l'ama quanto meno saprebbe dirne un motivo razionale; egli l'ama in virt di un sentimento trascendente, che tuttavia ha le
delle nella persona

prove della scienza. Cos

sue radici nella realt dei fatti e delle cose. Quanto poi alle irrazionalit di cui il Timeo
tutto ribocca, bisogna distinguere. Innanzi tutto,

alcune

si

eliminano per mezzo di una retta


Il

in-

terpretazione.

mondo

intelligibile

non pu

sempre essere accessibile a noi direttamente, e passando attraverso ai sensi non pu non contaminarsi della loro contingenza. Perci l'espressione figurata e materiale dobbiamo spesso tradurcela in un concetto puramente logico e che per questa via sola si possa giungere a interpre;

tare

il Timeo, ce lo fa intendere Platone stesso a chiare note in pi luoghi. Un'altra serie d'ir-

razionalit

nasce dalla
misteri,

natura

stessa dell'argol'essere

mento.

onde avvolto

del

(1)

Veggasi

il

in proposito sar utile consultare

commento: per maggiori illustrazioni anche Archer-Hind,


Plato,
3
,

The

Timaeus of
III

logues of Plato,

passim, e Jowett, The Diapp. 415 sgg.


3

Fkaccaroli, II Timeo di Platone.

26

Capitolo

I.

mondo

sono qui categoricae noi sappiamo pure che ogni loro soluzione ugualmente inconcepibile, ancorch una deva essere la vera. inconcepibile per noi il mondo senza un prine
l'essere

nostro,

mente formulati ed

affrontati,

cipio, e

non d'altra parte concepibile come abbia cominciato n fu certamente lo Spencer colui che scoperse questo limite dell'umana intelligenza, e pi pieni e pi chiari avrebbe trovati gli elementi della sua affermazione in Platone, e
;

molto

vi

avrebbe appreso e da aggiungere e da

correggere alle sue tesi, se non fosse stato delle lettere greche assolutamente e, diciamo pure,

vanitosamente ignorante. Di quello pertanto che di sua natura, per i limiti dell' intelligenza nostra, irrazionale e contraddittorio, assurdo voler cercare e trovare la razionalit e la congruenza, e il pericolo pi grave degli interpreti di queste
speculazioni,
di

non
nel

consiste gi nell'accontentarsi

poco,

ma

voler

chiedere e credere di

trovar molto. Se c'


dalla lettura del

un ammaestramento da trarre Timeo, questo mi pare capitanon sono da


applicarsi a

lissimo, la consapevolezza dei limiti della nostra

ragione, limiti che

due

o tre sole questioni ultime, ma che dobbiamo riconoscere nell'ultima analisi di tutte le cose,
qualora vogliamo
perch.
Il

risalire

effettivamente

al

lco

mondo inconoscibile certamente non meno del conoscibile, e la religiosit, che da ci spinge nelle sue regioni, non meno propria dell'umana natura e non meno gran parte di essa,
che siano gli altri bisogni attinenti alle contingenze della vita materiale. D'altra parte, chi esamini attentamente le argomentazioni metafisiche del Timeo, non pu non ammirare l'acume
di quello
r

Contenuto

forma

del dialogo.

27

vramente eccezionale del nostro


al

filosofo,

contro

quale
si

la critica

positiva di Aristotele d'ordi-

nario

spunta o non coglie, e prova invece che


lui,

veramente fu Platone, e non

Aristotele,

il

pi

gran genio metafisico dell'antichit classica (1). Ma oltre di queste irrazionalit inerenti alla speculazione stessa, non credo se ne deva disconoscere un'altra specie, quelle inerenti e connaturate all'opera d'arte.

La

distinzione tra arte e

pu affermare sia stata sempre rigorosamente mantenuta da Platone, ma sebbene per molti rispetti tal distinzione debba considerarsi un frutto prezioso della maturit del pensiero moderno, non per altro da credere che sempre ed in ogni caso il serbarla costituisca effettivamente un progresso. Anche la scienza ha la sua parte di irrazionalit, se non nelle conclusi

scienza non

sioni, certo nelle

poste a spiegare

premesse, e delle ipotesi prodati fondamentali delle scienze

non si pu dire che le pi razionali siano state sempre le pi feconde. Che la figura pi elementare dei corpi, se una figura devono avere, non possa essere che il triangolo, ed in ispecie
il

triangolo rettangolo, consentaneo alla nostra


e

geometria,

Platone pone questa premessa a

fondamento
tutto ci
la

mondo; con dobbiamo riconoscere che per la scienza


della sua costruzione del

di

sua affermazione fu sterile, pi sterile assai molte altre, che pur erano destituite di ogni
di verit.

fondamento

Se

tra

il

metodo

induttivo

acuta e sostanzialmente giusta re(1) Un'aspra, quisitoria contro Aristotele, che male intese e peggio rifer le dottrine del maestro, si legge nell'ultimo capitolo del libro del Natorp, Platos Ideenlehre.

ma

28
e
il

Capitolo

I.

deduttivo

si

differenza, questa
sia,

pu far constare una sostanziale mi pare possiamo asserire che

cio che l'induzione zionale della deduzione,

meno meno

strettamente racerta, anzi nelle

si gesue prime mosse dall'intuizione che dal ragionamento. nera pi Noi viviamo in mezzo al grande mistero della natura, e la certezza razionale la possediamo, se

irrazionale, in quanto

pure

la

mente hanno secondaria importanza ora


;

possediamo, solo per cose che relativachi nega

questo mistero e vuol rimanervi estraneo, non solo acconsente a ignorare per sempre ci che pi importa all'uomo di conoscere, ma rinuncia ad ogni possibilit di strappare a quel mistero alcun

ad accrescere cos il patrimonio delle conoscenze razionali, ch'egli pure afferma di esclusivamente apprezzare. Se pertanto l'irrazionale non si pu eliminare neppure dalla scienza, per l'arte esso anzi un elemento perfettamente proprio e connaturato, non solamente inevitabile, ma da
altro velo e

non

evitarsi (i); e
arte,

quando

la

scienza vuol essere

deve assoggettarsi alle sue esigenze. Quando Dante volle rappresentare artisticamente l'oltretomba, quando volle sottoporre ai sensi un
anche
concetto essenzialmente soprasensibile, dovette adattarlo alle esigenze dei sensi, ancorch questo non fosse altro che snaturarlo. L'Inferno fu creato prima della Terra, eppure collocato dentro alla
Terra.
Alla
stessa stregua,

gi

di

l,

dobbiamo

Badiamo, non dico che sia da cercarsi, come forse vorrebbe far credere ch'io dicessi: niente affatto l'irrazionale cercato e voluto non altro che scioc(i)

altri

chezza.

Contenuto e

forma

del dialogo.

29

giudicare anche del Timeo. Esso un poema,

pi essenzialmente poema, che


sofia verseggiata di

non siano

la filo-

Empedocle;

e la

Senofane, di Parmenide, di materia sua presentata, non

come
nale,

parte la Divina

quasi come rivelazione. D'altra Commedia, nella sua parte dottrinon intende certo di fondarsi su di un sidottrina,
filosofico di quello

ma

stema meno rigorosamente

che

intendesse di esporre Platone nel Timeo: se infatti Platone parecchie volte ci avverte, che la sua speculazione non presume che di essere verisimile, e riconosce esplicitamente che ii vero su

lo pu conoscere se non compiaccia per grazia sua di rivelarlo, ritiene per fermo di conoscerlo, appunto perch crede in questa rivelazione; tanto pi perci si sarebbe dovuto ritenere obbligato a non alterare questa rivelata verit. Certo che il poeta filosofo e il filosofo poeta ci non ostante si pareggiano nelle incongruenze e nelle contraddizioni il rappresentare lo spirito per mezzo dei sensi doveva condurre di necessit l'uno e l'altro a questa anomalia; e d'altra parte il rivestire la scienza delle forme dell'arte era il solo mezzo, per il quale questa anomalia potesse essere pienamente giustificata e ricondotta presso l'uno e presso l'altro alla pi legittima convenienza. La forma scelta dall'uno e dall'altro non certo la pi razionale che importa ? essa era del resto la sola che potesse permettere di coordinare in unit organica anche le speculazioni che trascendono la pi alta razionalit.

questi problemi
colui a cui

non
si

Dio Dante

6. Con ci non intendo impugnare che qualche incongruenza del Timeo non sia da ritenersi vero

30
e proprio difetto,

Capitolo

I.

come non si impugna che possa qualche irrazionalit della Divina Commedia. Quali miglioramenti o emendamenti un autore sarebbe capace di introdurre in un'ulesser
difetto

teriore e definitiva revisione dell'opera propria,

non dire impossibile, determinare anche il pi delle volte asseverare che ne avrebbe introdotti. Quando per altro io considero la forma del Timeo, dico la forma letteraria, lo stile, la sintassi, e lo raffronto con gli
difficile, per
arbitrario
:

altri

dialoghi platonici,
le differenze

non mi sento
difetti

di spiegarne

semplicemente con la diversit e la novit della materia, con la necessit di creare una nuova lingua scientifica, della quale mancava ancora qualsiasi modello, ancorch di questo pure si abbia a tenere il debito conto io credo che questa volta Platone non abbia dato all'opera sua le ultime cure. Non ostante che il

sempre

Timeo

ci si

presenti

come

la sintesi della filosofia

troviamo in esso molte parti che sono assolutamente estranee a tutto il resto della sua filosofia, e queste sono le parti fisiche e fisiologiche. Anche della dottrina astronomica acdi Platone, noi

colta in questo
egli negli ultimi

libro

effettivamente la

ci si racconta (i) essersi anni suoi ricreduto, e in parte disdisse nelle Leggi. La novit

della speculazione

pertanto pu far credere, e

per

la

parte astronomica ci attestato, che essa

fosse ancora giunta nella mente del filosofo sua pi matura evoluzione e poich vediamo anche altre parti del suo sistema filosofico essersi

non
alla

svolte a

poco a poco e a poco a poco modifipermette di supporre che qui invece


nota a
p.

cate, nulla

(i)

Cfr. la

40 B-C.

Contenuto e

forma

del dialogo.

31

tutto d'un tratto la concezione sia giunta alla


turit definitiva.

ma-

Anche

il

piano dell'opera appare esser stato


lo

mutato durante

stendersi

dell'opera

stessa.

L'introduzione sproporzionata al resto del libro, e se possiamo ancora in qualche modo riconoscere l'associazione delle idee che congiunge le

premesse all'argomento principale, dobbiamo riconoscere insieme che il nesso logico manchevole e punto chiaro: infatti che ha da fare col Timeo la ricapitolazione della Repubblica ?
L'introduzione del Timeo effettivamente introduzione adatta per il Critia (il quale, cos com', non si intende se non da chi abbia presenti le prime pagine del Timeo, alle quali spesso
richiama), e non mi pare inverosimile l'ipotesi che Platone l'abbia scritta per questo dialogo, e che strada facendo, ampliandosi il suo concetto e assurgendo ad una concezione pi grande e pi universale, abbia rimandato a poi il racconto, e, accomodando alla meglio il preambolo, abbia adoperato per il Timeo quella parte dei materiali che in qualche modo gli poteva servire. Anche la mancanza di un ordine ben determinato e proporsi

zionato,

frequenti ritorni su cose dette, le ripetiil

zioni, le correzioni, le variazioni, di cui

Timeo

continuamente ribocca, e che non si possono spiegare con alcun altro motivo plausibile, podella definitiva coordinazione.

trebbero plausibilmente attribuirsi a mancanza Il discorso di Timeo

naturale

come

discorso improvvisato, e

si

ca-

pisce che neh' improvvisare molto si dimentichi e molto si deva correggere. anche vero che Platone lo scrittore che pi somiglia al parlatore, e che la spontaneit e la naturalezza sono le

32

Capitolo I.

doti per le quali egli


artista di

si

segnala sopra ogni altro

prosa o di versi. Ci non ostante non bisogna confondere la naturalezza con la trascuratezza, n bisogna credere che la spontaneit, che pi ammiriamo in Platone, sia quella che si
ottiene di

primo acchito, mentre piuttosto


dell'arte.

l'ulsi

tima finezza
presentano

Infilare

le

idee

come

spontanee sar una buona traccia per comporre con naturalezza, ma poi bisogna correggere, modificare, rabberciare. Cos anche
dello
stile.

Scrivere

come
e

si

parla certo un'ot

tima raccomandazione,
scrittori

Platone
la sintassi

uno

degli

che pi seguono

parlata.

Ma
i

nel parlare le inflessioni della voce chiariscono


nessi dei vocaboli e dei concetti assai

pi che
:

non facciano nello scritto i punti e le virgole quando invece un periodo consegnato alla carta, e non ha pi il soccorso della voce, perde sempre o molto o poco della sua lucidezza, talora la
perde
che
affatto.

Perci lo scrittore che sa

il

fatto

suo, rileggendo a

mente calma

e riposata,

vede
di

cosa

si

pu richiedere

alla

perspicacia

chi legge e

bisogno
coluti,

che cosa no, e modifica secondo il e cos avviene che nei dialoghi pi ela-

borati di Platone,

non ostante
della

frequenti

anail

propri appunto

sintassi

parlata,

senso di regola chiaro e perspicuo alla prima mediocre riflessione. Qui invece l' aggrovigliamento qualche volta veramente eccede ogni licenza; i participi cui si sospende un lungo pedi Tucidide; le apposizioni
rilassate,
gli

riodo, e le costruzioni assolute disgradano lo stile sono spesso libere e

antecedenti dei pronomi certe volte


i

sono lontani ed oscuri. Certamente anche periodi pi contorti e difficili del Timeo, letti a dovere

Contenuto

/orina del dialogo.

33

e con le convenienti inflessioni, riescono abbastanza chiari e naturali: gli che bisogna prima

meditare e discutere un pezzo per vedere effettivamente come la voce si deve modulare, dove devono andare le pause, che cosa si deve nella pronuncia congiungere e che cosa disgiungere, senza che per far ci alcun indizio esterno soccorra, se non fosse quello del senso generale,
che, trattandosi di questioni discusse e sottili, appunto quello di cui si dubita. Or come nell'ordine dei concetti in generale, cos nell'ordine delle proposizioni e delle parole, non sarebbe
stato difficile introdurre la desiderata perspicuit,

quando

l'autore avesse adoperato

anche intorno

a quest'opera quell'ultima diligenza amorosa che sappiamo aver egli usato per altre. Cosi avviene che le caratteristiche dello stile platonico le tro-

viamo nel Timeo bens


ticolari (1).

tutte,

ma

senza misura,

esageratamente, e nelle linee generali e nei parNotevoli,


cuzioni,
di

per esempio,
cui
il

Timeo sovrabbonda,

sono certe circonloe che

pajono intese a dare al concetto quell' accezione di universalit che si sente mancare al vocabolo proprio. Frequentissima quella con assolutamente chiara e cpoic,, e molte volte
normale:
Dio,

per esempio, colloca

le

anime
cpu-

negli astri, e di l mostra loro,

non

l'universo,

ma

la

natura dell'universo,
:

tvjv

toG Travi?

Oiv (p. 41 E, cfr. p. 47 A) di ci che ad un modo e di ci che variacos,


si

dove

parla

(1) Per le particolarit stilistiche del Timeo in rapporto alla sua collocazione nella serie degli scritti platonici cfr. il terzo capitolo della magistrale opera di W. Lutoslawski, The erigili and groivth of Plato' s logie.

34
bile,

Capitolo

I.

qpucTiq (pp. 35 A, f\ TaTOu ovvero Gaipou 36 C, 37 A) circonlocuzione che pare intesa a determinar meglio il concetto. Ma da questi casi si passa poi ad altri, la ragione dei quali sempre
si viene alla mera perifrasi tou 7rapaeYuaTO<; cpuatc,(p. 39 E), cos <pu(Tt<; (p. 46 D), f\ xn? vaYKnc, opucru; r\ eucppiuv 56 C), f) toO ktuj cpuaic, aviu te XeYouvn. (p.

pi evanescente, finch

abbiamo

r\

(p.

62

C),

f|

eKivnTc,

Te Ka

ucfKivnroe,
f)

cpcris

(p.
(p.

64
42

B), ecc., e

finalmente

(pud? TUvaiK?

42 C), tou Trups (p. 63 B), 72 B), tujv veupuuv (p. 74 D), tjv iaxiuuv (p. 75 A), tou TTpoaumou (p. 75 D), TUJV axjv (p. 82 D), tuiv aioiuuv (p. 91 B), ktX., per dire semplicemente la donna, la belva, il fuoco, le anche, la faccia, le ossa, i il fegato, i nervi, genitali, ecc. ecc. Simili osservazioni si possono ripetere per analoghe parole, come ia ed eio<;,
B), Gripeio? (p.
(p.
fiTtaxo;

per
(p.

le

quali

basti

citare
Tf<;

t^

TrpuJTrj? eEeuus
alriac,

elos (p.

42 D), t

TrXavuuuvnc, eio?
(p.

48 A), t tou ouuuaTO? eloq

Ttupauio? (p. 56 B), jf\<; YXujTTriq (p. pacpuv (p. 76 A), ecc. f| 7TXeio*Tr) ia tou Geiou
(p.

53 C), t?\<; 75 A), tujv


B),

40 A), n

ia

po<; (pp.

49 C, 60

tou

TtXeuovoc, (p.

70

C), tou fiiraTOc, (p.

71 A), ecc.

Cos dicasi di ZvGiaGu; (pp. 32 C, 32 D, 72 C, 75 B, 8 1 B, ecc.), di rvo<; pp 74 B, 76 C, 85 E, ecc.), di uvaun;, di TtGoi;, ecc. Cos frequentissime sono le circonlocuzioni con Tiepi e l'articolo posto
.

a reggere un'intera

proposizione,

e,

ci
il

che

anche pi notevole, non manca perfino


di tali frasi perifrastiche,
o*xluv

cumulo

come t rrep Tf|V tlv 75 A), t nep thv tuv aioiuuv qpucfiv (p. 91 B), ue'xpt cpaeujc, tujv irep t o*Tua Huvuuv (p. 60 B), Tfjv toO o*xnuaTOc. iav (p. 58 D),
qpudv
(p.

Contenuto e
toc;

forma

del dialogo.

35

Ttepi

Tnv

nM^Tpav

rvemv

r)uioupYoT$

(p. 75 B), ecc. ecc. (1).

Tutte queste considerazioni, oltre la dichiarazione esplicita, che fa Timeo, di esporre, non gi

una dottrina accertata e


che che
gli

sicura,

ma

solamente ci

la

pare credibile e verosimile, ci persuadono prima ragionevolezza, che si deve chiedere

ad una interpretazione di questo dialogo, quella appunto di npn voler essere troppo sottile. Non

dobbiamo cercare nel Timeo quella precisione che non ci pu essere non dobbiamo per conto
;

nostro presumere di poter tutto spiegare.


7.

non solo dobbiamo

rinunziare, per la

sua impossibilit, ad una spiegazione esauriente dei principi su cui il dialogo si fonda, ma per far cosa che sia utile, bisogna che rinunciamo anche a illustrarli esaurientemente. Nessun espositore

pu avere

sufficente

competenza da

di-

scernere a fondo in

ogni ramo

dello scibile, e

nessun lettore pu averne tanta da interessarsi ugualmente di cose tanto svariate. Gli antecedenti delle teorie scientifiche, di cui

Timeo

tocca,

richiederebbero digressioni enormi per esser chiariti, e gli antecedenti della dottrina filosofica do-

vrebbero essere all'ingrosso noti a chi affronta la lettura di questo dialogo; mentre, a illustrarli minutamente, sto per dire che converrebbe ripassare tutta la storia della filosofia greca.
(1) Alcune di queste particolarit nella traduzione si dovettero trascurare per dare un italiano leggibile e non sacrificare la fedelt sostanziale alla fedelt materiale: se nel greco queste sono qualche volta contorsioni, e come tali si notano, nell'italiano sarebbero mostruosit, e la versione che le conservasse non sarebbe altro che una caricatura.

36
Il

Capitolo

I.

divenire e

il

molteplice di Eraclito, l'essere


i

e l'uno di Parmenide sono

due principi opposti

che tendevano a spiegare il perch delle cose, ma ciascuno unilateralmente: quello negava la possibilit della conoscenza, poich non si pu conoscere ci che non mai questo eliminava senza scioglierlo il problema del mondo fenome;

nico, mentre il mondo intellettuale lo riduceva ad un mero aggregato di negazioni. In sostanza il principio eracliteo, che nulla pu essere conosciuto, torna eguale al principio eleatico, che non vi nulla da conoscere (1). Pitagora trova un caposaldo i numeri e le proporzioni hanno costanza e universalit; nei numeri troviamo un ponte tra l'intelligibile ed il sensibile. Viene finalmente Anassagora, e con la Intelligenza ordi:

natrice

introduce nella filosofia


concilia per
la sofistica,

il

principio

di

non con l'uno, onde


causalit;
vit pratica.
alla

altro
la

ancora

il

pi

con

sua dottrina della


all'atti-

relativit delle cognizioni e la

sua tendenza
il

Anche Socrate
sostituendo

porta
i

suo contributo
alle

metafisica

concetti
i

cose

come oggetto della conoscenza, inteso, come semplici astrazioni. Di


sempre
chiano,
esistenti e

concetti,

ben

queste astrasi

zioni Platone fa delle entit, delle entit assolute

sempre
vi

uguali, in cui

spec-

come

nel loro modello, le pluralit tran-

sitorie dei

fenomeni e
si

trovano

la loro

ragione
en-

e la loro spiegazione.
tit?

Che cosa sono queste


il

come

devono intendere?
tentare di rispondere.

Al capitolo seguente
(1)

Archer-Hind,

o.

c.

Introd.

7.

^^$ptip^$}$^ty$}$P$p$p$p$P$!

CAPITOLO

IL

Delle idee e dell'origine del mondo.

Sommario:

2. La dottrina Questioni da trattare. e la sua evoluzione. Passaggio dalla teoria della partecipazione a quella dell'imitazione. 3. Le idee nel Timeo. 4. Dio e l'esemplare del mondo. 5. Lo Zeller nega che le idee sieno di Dio. Confutazione. 6. il mondo i pensieri
i.

delle idee

eterno?

1.

Fin

dal
i

principio

del

discorso

(p.

27 D)

Timeo pone

principi della sua speculazione di-

stinguendo ci che sempre e non ha generazione, e ci che sempre diviene e non mai, l'uno comprensibile dall'intelligenza per mezzo essendo sempre allo stesso del ragionamento
,

modo,
della

l'altro

opinabile dall'opinione con l'aiuto

sensazione irrazionale, come quello che nasce e perisce e che effettivamente non mai (1):

fi) Ci che qui Timeo dice, concorda con ci che nell'sodo (3, 14) dett di Dio: " Ego sum qui sum, et

dices filiis Israel Qui est misit me ad vos. Anzi Agostino (De civ. Dei, Vili, 11) di tal concordanza mostra
:

Fbaccaroli,

Il

Timeo di Platone.

38
l'uno

il

Capitolo

IL
idee,
l'altro
il

mondo

delle

mondo
citato,

delle cose.

Se non che, poche righe dopo


viene introdotto
agisce e adopera
il

il

luogo
,

creatore, on,uioupY<;

il

quale

come padre

e signore di tutti

e due i mondi, sensibile ed intelligibile. un simbolo ? un' allegoria ? E questo

questo

creatore,

siderata

come vogliono alcuni (i), l'anima del mondo concome logicamente distinta dal corpo deluna mitica rappresentazione del pendel
?

l'universo?

siero nell'unit, in confronto


pluralit,

pensiero nella

che sarebbe

il

creato

un Dio

per-

sonale, distinto dal


egli crea

mondo

ch'egli crea?

poich
questa

seguendo un'idea-esemplare,
separato in

esso di-

verso

qualche

modo da

idea? o esso stesso l'idea?


Il

sistema di Platone non un organismo com-

piuto e definito che l'autore abbia poi dichiarato

sistematicamente a parte a parte.


filosofia

Una

dottrina

precisa, perfetta e in ogni sua parte razionale in

cosa morta, ha

finito di esistere, la

ha com-

piuta la sua missione.

concezione platonica,

ancorch modificata negli accidenti, vive tuttora ed ancora feconda. Gli che noi, avvezzi a voler
trovare
la

ragione di tutto, a voler andare, a dritto


al

o a torto,

ad

illuderci di potervi giungere,

colo di

o se non altro corriamo periprestare questo abito nostro anche a chi

fondo

di ogni quesito,

non

lo

pu

affatto

indossare e di richiedere

al-

soggiunge esser questo il magquale sarebbe quasi disposto a convenire che Platone avesse avuto notizia della Bibbia.
la pi alta meraviglia, e

gior argomento per

il

(i)

Archer-Hind,

o. c.

Introd. 38.

Delle idee e dell'origine del

mondo.

39

l'autore antico ci ch'egli


di darci.

non ha mai promesso


gi

Nel
la

capitolo

precedente ho
sia

toccato
in

di

questo pericolo, ho gi notato


scienza

come

Platone

ancora scompagnata dall'arte i canoni della scienza a giudicare dell'opera sua, ma i canoni dell'arte
e

non

come

perci

non bastino

devano essere tenuti in conto, chi voglia Il Timeo, ho osservato, essenzialmente la narrazione di un mito, e il mito allegoria. Ora appunto a considerare l'allegoria secondo lo spirito platonico, se le cose non sono altro che immagini imperfette di tipi ideali, la allegoria essa pure immagine di conaltres

giudicarne rettamente.

cetto intelligibile, e perci necessariamente difettiva e

manchevole. Per
il

tale ragione

anche

il

rapporto tra l'allegoria ed


senta,

concetto che rappresia,

si

potr richiedere che

n
la

affatto

potr essere se non manchevole, incostante, in-

misura con ci stesso nel rapporto la perfetta razionalit, che appunto ci che si nega vi si possa trovare. Ma, rispondono, voi aprite cos le porte alla critica soggettiva. E che volete farci? Certo la critica oggettiva, quando possibile, deve avere la precedenza ci che si pu pesare, noverare, misurare, dice il Socrate dei Memorabili, si deve
determinato.
in qual

Ma

potesse

determinarsi,

misura ? Se introdurremmo

pesare,

noverare,

misurare; e fare altrimenti

stoltezza: or poich

questa critica accessibile

facilmente ad ogni grado anche molto basso di


capacit, questa anche la ragione per la quale

essa ha un valore pi generale e pi incontestato.

Vero

pure che nella

critica soggettiva

manca
la

spesso una

norma

esteriore

per distinguere

.p

Capitolo II.

speculazione del filosofo dalla aberrazione del pazzo, dalla sciocchezza del pedante. Se per altro
tale la

condizione necessaria anche della crea-

zione artistica nel suo senso pi largo, non si vede come quella della critica non debba essere
analoga.

Un metodo

che intenda ad eliminare

ogni differenza di capacit, a far del critico una macchina, non pu essere che negativo e infe-

condo. Eliminando

il

soggettivismo voi eliminate

l'ingegno, eliminate quel solo elemento che pu congiungere la psiche del critico con quella dell'artista,

eliminate

il

termine medio che pu fonquella dell'altro e

dere

l'attivit

dell'uno con

creare cos un organismo vivente.

Certo ad ogni
soggettivo
zione, e

modo

che di questo elemento

servirsi con discrecon tanto maggior discrezione quanto

consigliabile

pi

uno diffida delle sue proprie forze. Ed io, che a ragione ne devo diffidare moltissimo, questa discrezione mi propongo di usarla pi che alcun altro. Per ci, senza approvare n impugnare espressamente le dottrine pi organiche e pi complesse che furono proposte a spiegazione di questo dialogo, mi limiter, per quanto possibile,

a segnalare le principali condizioni di fatto

sulle quali le spiegazioni pi

di potersi fondare, e del resto

da

me

si

complesse credono mi ricorder ch^ pu chiedere piuttosto opera di filologo


filosofo.

che non di
2.
trina

delle

innanzi tutto una constatazione sulla dotidee. Dimmi , dice Parmenide a

Socrate nel
l'

dialogo che prende

il

nome
(ein.)

dal-

Eleate (pag. 130 B, segg.),


dici,

distingui tu, cos


tipi

come

separatamente dei

Delle idee e dell'origine del mondo.

41

separatamente le cose che ne partecipano? pare a te che vi sia la conformit (1) da s separatamente da quella conformit di cui noi
e

partecipiamo? E forse anche altre

me

s,

disse Socrate.

tali

cose, disse Parmenide,

come un

tipo del giusto per s stante, e del bello

e del buono, e cos di tutte le cose di tal fatta?

E che ? E un tipo dell'uomo seS, disse. paratamente ,da noi e da tutti quelli che sono
come
dell'

noi,

un

tipo a s dell'uomo, o del fuoco,

Io mi son trovato, disse, inacqua? certo molte volte, o Parmenide, su di ci, se si debba affermare come per quelli, o altrimenti. E forse anche per altre cose, o Socrate, le quali potrebbero parere persin ridicole, come peli, o fango, o sozzura, o qualsiasi altra cosa pi spre-

gevole e pi indifferente, sei tu incerto se convenga affermare che anche di ciascuna di queste cose esista un tipo separato, che sia altra cosa da queste che abbiamo tra mano, ovvero che

non

queste cose che


;

Punto affatto, disse Socrate ma vediamo, queste (credo) anche creder poi che ci sia un qualche tipo esistere di esse, non vorrei fosse troppo strano. Per altro qualche volta ci mi confonde, che non sia forse lo stesso per ogni cosa e quando mi fermo su questo punto, fuggo poi subito per paura di perdermi precipitando gi in un mare di ciance senza fondo . La questione tutta qui, e sebbene il discuterla, se si ha da discutere, sia certo pi a posto nell'illustrazione del Parmenide che non in quella
esista
?
;
:

(1) |uoiTr!<;, cio cetto.

il

tipo della conformit, iY suo con-

42

Capitolo II.

Timeo, qui pur necessario coordinarne almeno gli elementi. Due sono le categorie principali di idee che vengono prese in considerazione nel luogo che ho riferito, l'una quella
del

dei

predicati,

l'altra
le

quella

delle cose

stesse.
vi

Da

quale prese

mosse Platone? Non

pu

esser dubbio che dalla prima, quella dei predicati; e soltanto successivamente, assai pi tardi,

pass

alla

seconda. Ce

lo

dice

innanzi tutto lo
vi fossero

stesso luogo citato.

Infatti,

che

anche

idee delle cose, Socrate dichiara di essere stato in dubbio se affermare, mentre sui predicati egli

non ha dubbio alcuno: ora

ci che egli teneva

per certo, ragion vuole dovesse essere il fondamento della sua tesi; ci di cui dubitava, non pot entrarvi, se non quando i dubbi furono
vinti.

Del resto la dimostrazione di questo asserto dipende in gran parte da quella dell'ordine cronologico da assegnare ai diversi dialoghi di Platone, mentre poi, entro certi limiti, la questione dell'ordine cronologico pu alla sua volta essere chiarita e corretta da quella dell'ordine logico. All'una e all'altra W. Lutoslawski nell'opera gi citata rec un contributo di molta importanza, e le sue conclusioni, come quelle che si fondano
su dati
stilistici

su constatazioni di
dalla

fatti,

an-

corch
dirsi

siano
il

lontane

certezza,

possono

oramai

caposaldo d'ogni ulteriore ricerca,


la

limitando per l'avvenire


vole entro ristretti confini

discussione ragione-

(i).

col Lutoslawski

(i)

Superfluo, per esempio, torna ora

il

confutare opi-

nioni come quella del Dring, Geschichte der gricch. Philosophie, che pone la composizione del Timeo in-

Delle idee e dell'origine del mondo.

43

convengo
esempio,
locati
i

in

molti punti sostanziali

che,

per

dialoghi dialettici
la

dopo

devano essere colRepubblica, non mi pare pi lecito


:

del resto che dalla sintesi del Sofista e del Politico Platone fosse passato all'analisi dei dialoghi socratici, era un'ipotesi cos
di dubitare (1)

contraria al naturale

svolgimento del pensiero, che difficilmente si giunge ad intendere come abbia potuto formularsi e trovar poi sostenitori. Ebbene, e le osservazioni stilistiche del Lutoslawski e
si pu seconcordemente concondo ragione argomentare, fermano che la successione delle dette due categorie sia avvenuta effettivamente come il Parmenide ci
il

naturale svolgimento, che

parve indicare.

La bellezza,
si

qualit predicative

la bianchezza e le altre notano facilmente come con-

cetti universali, diversi

dalle

cose bianche

mentre

per altro dalle cose belle e la percezione delle

cose,
ci

poniamo

dei cani,

poniamo

delle tavole,

non

suggerisce di necessit un terzo concetto universale diverso dalla cosa percepita. Ora, al concetto
di

quei

primi universali Socrate,

come

torno agli anni 393-92. Vero che il Natorp, in parecchi articoli inseriti in " Archiv fur Gesch. der Philos. dal 1898 al 1900, impugna alcune conclusioni del Lutoslawski e, dopo accennate alcune correzioni da introdurre nel suo metodo, conchiude molto scetticamente sulla possibilit di ottenere risultati sicuri: ad ogni modo l'ordinamento cronologico ch'egli ammette per i dialoghi dialettici in rapporto alla Repubblica e al Timeo sostanzialmente quello stesso che le ricerche del Lutoslawski hanno affermato.
(1) Cfr. pure F. Tocco, Ricerche Platoniche (Catanzaro, 1876), p. 172 e passim; R. Hirzel, Der Dialog, I, p. 251 segg.; Ivo Bruns, Das literarische Portrdt der Griechen, pp. 271 segg.

44

Capitolo

IL

abbiamo gi accennato, era giunto, e da questi mosse anche Platone ma, mentre gli universali di Socrate erano mere concezioni del nostro spi;

rito,

Platone, per usare l'espressione dell'Archer(i),

Hind

ipostatizz

concetti socratici,

dichia-

rando che ogni tale concetto non che la nostra mentale rappresentazione di un'idea veramente esistente, eterna e immutabile: la bellezza, la bianchezza, poich certamente sono qualche cosa e non gi niente, non essendo nel mondo sensibile, di necessit dovranno essere nel mondo
intelligibile.

Ed appunto
sensibile
si

per

la necessit di

trovare

un og-

getto della conoscenza,

che esulando dal

mondo
es-

rifugiava nell'intelligibile, Platone era

indotto a questa affermazione.


sere

Se

ci

deve

riassume lo Zeller (2), ci deve essere anche di questa conoscenza un oggetto stabile e immutabile, un oggetto che esista non solo per noi e per nostro mezzo, ma da s e per s stesso . Le cose belle, bianche, ecc.,
,

una conoscenza

quali le

percepiamo nel mondo


e

sensibile,

particolari
voli e,

accidenti: esse
tali,

sono

altres

sono tutte mutees-

come

oggetto di opinione (Sa): og-

getto di conoscenza (mcfTriuri)

non possono
e
cos

sere che gli universali, gli immutabili, gli assoluti,

dunque

la

bellezza,

la

bianchezza

via.

Questa l'idea, e questa idea, secondo Platone, esiste indipendentemente dalla nostra intelligenza; questa idea sola veramente , e le cose, secondo questa prima teoria, partecipano in qualche modo dell'essere in quanto partecipano di quell'idea.

(1)
(2)

O.

e.

Introd. 16.
II, 1,

Die Philosophie der Griechen,

p.

645 (IV

ed.).

Delle idee e dell'origine del

mondo.

45

anche in fatto, che le idee che Platone prende a considerare nei dialoghi antecedenti alla Repubblica, come nel Simposio e nel Fedone, che su tale argomento capitalissimo (1), e nei primi nove libri della Repubblica stessa, sono appunto, come ho affermato, quelle che non

Ora

sta

hanno un corrispondente

reale

concreto nel
si

mondo fenomenico,
riscono alle
zioni,
in

quelle

dunque che
alle

rife-

qualit delle
al

cose o

loro rela-

una parola

predicato.
si

Ma

poi

era.

naturale che

riflettendoci

dovesse procedere

pi oltre.

abbiamo veduto, Parmenide nel dialogo omonimo, e lo troviamo, anche prima, tutto ci che si nel decimo della Repubblica sotto un nome deve corrispondere ad comprende un'idea (2). Se infatti non percepiamo coi sensi n la bellezza n la bianchezza, non percepiamo

Lo

nota,

neanche

neanche la tavola, ma soltanto il cane, dei cani e delle tavole; vi sar dunque anche il cane ideale e la tavola ideale corrispondenti ai
cani e alle tavole dei fenomeni.

non (1) Anche nel Fedro le idee prese a considerare sono diverse da quelle del Fedone e del Simposio; mentre, se accettiamo le conclusioni del Lutoslawski, Ad ogni il Fedro dovrebbe porsi dopo la Repubblica. modo, poich le idee delle cose non appariscono chiaramente nella Repubblica che nel libro X, se questo
libro,

come probabile, fu l'ultimo scritto, non ci allontaneremmo di molto dal canone citato, qualora ponessimo la composizione del Fedro prima di quella di detto libro, anzich immediatamente di seguito ad esso. Notisi del resto che la collocazione cos tarda del Fedro uno dei punti pi deboli della teoria del platonista
polacco, e fu energicamente impugnata.
(2)

X,

p.

Ti0eo9ai
po|uev.

-rrep

596 A eiboc, yap tto ti v gxaaTOV elOb0a|aev gKaaxa t iro\X, oi<; tcxtv voua mcp:

46

Capitolo

IL
dalla considerazione

Ora, a seconda
relazioni tra
le

si

muova
i

dell'una o dell'altra categoria, la spiegazione delle

idee ed

fenomeni
s

intuitiva-

mente
tecipa

diversa.
della

La

cosa bella beila, perch parl'ha in


:

bellezza,

questo un

concetto anche volgare, tanto si presenta spontaneo. Ma non si pu dire precisamente altrettanto di
bella

un cane o di una tavola. Infatti non bellezza, ma un cane cane:


il

la la

cosa cosa
la so-

bella ha la qualit di bellezza,

cane ha

stanza di cane; la cosa bella sempre sostanza di qualche altra cosa, il cane ha sempre delle qualit non esclusivamente inerenti alla natura di cane, come bellezza, grandezza, e cos via il rapporto tra l' idea e la cosa non dunque lo stesso
:

nel primo

nel secondo caso.


(|Lt6eHic;),

La

teoria della

partecipazione

(uiur|0"iq). Se c' una tavola idea, i rapporti dei cani e delle tavole fenomeniche con queste idee non possono essere che di mera rassomiglianza: quella

mulata, perci si luogo a quella dell'imitazione

che prima era stata formodifica e cade per lasciar

un cane

idea,

idea sar

il

tipo unico al quale

si

informano queste

copie molteplici.

Lo ammette

e lo riconosce So:

Parmenide Ma, o Parmenide, mi pare proprio che la sia cos, che questi tipi stieno come esemplari neUa natura, e che le altre cose somiglino a queste e sieno imitazioni e che questa sia la partecipazione delle cose alle idee, niente altro che rassomigliarsi con esse (i). Era questa una spiegazione che equivaleva a una correzione (la dotcrate stesso stretto dalle obiezioni di
,

(i)

YiYveaGai

Parm. p. 132 C-D: xa twv elowv ok \\r\

1^

|u8eSi<;
f|

-ri;

aurr\ toh; fiXXoiq eixaaefjvai axoTc.

Delle idee e dell'origine del inondo.

47

trina platonica,

come

cos

appare anche una

continua evoluzione senza contraddizioni e senza salti), e da questa correzione non consta che poi
il

filosofo nostro

mai pi

si

sia allontanato (1).

censura pertanto che gli muove Aristotele (2), che non si sia spiegato chiaro sulla natura della uGeEic, e della uiuricfic;, per lo meno esagerata. Ma se il mutamento della partecipazione nel-

La

l'

imitazione non modifica punto il principio fondamentale della reminiscenza restando sempre inteso che tanto i tipi dei predicati quanto i tipi
,

delle cose

li

avremmo

conosciuti in

una

vita an-

tecedente
tal

di

conseguenze per altro di mutamento sono molte e sono gravi. Prima esaminarle constatiamo che di fatto nei diaall'attuale, le

loghi platonici l'estendersi dell'una nell'altra ca-

tegoria delle idee accompagnato effettivamente


dalla sostituzione della

seconda teoria alla prima. Nei dialoghi anteriori alla Repubblica la teoria dell'imitazione non appare affatto. Tanto ne era Platone lontano, che nel Fedone (pp. 99 E- 100 A), non che rappresenti le cose come immagini delle idee, ammette che i discorsi possano passare per immagini delle cose. Che se della verit di questo

(1) Un'analoga correzione si potrebbe forse notare nella determinazione dei rapporti tra l'uomo e Dio. Nel Fedro infatti, p. 253 A, di quelli che sono sotto l'influsso di una data divinit era stato detto che partecipano in certo modo di essa, 9eo0 uexaoxev nel Teeteto invece, p. 176 A-B, non pi la partecipazione lo scopo delle
:

aspirazioni morali,
(2)

ma
2
:

il

conformarsi a Dio, uoiwai<;

Getp.

f uGeSiv f\ rriy u(nncriv fiTiq fiv e\r\ tjv dwv qpefav v koivCD nreW. E vero per altro che almeno da principio Platone mostrava quanto alla natura della partecipazione qualche incertezza; cfr. Phaedo, p. 100 D: etxe irapouaux ette Koivwv(a

Metaph.

I,

6,

xriv uvxoi

efre 6-irn bf] kcxI 6tuu<;

irpoaYevouvti-

.j8

Capitolo II.

rapporto mostra insieme di dubitare, e soggiunge che non del tutto d' accordo nel ritenere che colui che guarda nei discorsi vegga ci che (t vtoO pi in immagine di colui che guarda nelle cose (i), la forma stessa della frase mostra che Platone era solo ai primi sospetti della sua nuova teoria se l'avesse di gi formulata, avrebbe detto
;

tutto all'opposto. Cos


(p.

se,

nello

stesso

dialogo

73 D), dopo aver detto che la veste pu far ricordare la persona, la lira il suonatore, il ritratto

persona di Cebete, si soggiunge da ultimo (p. 73 E) che il ritratto di Simmia pu far ricordare lo stesso Simmia, io non so vedere in ci alcun passaggio alla nuova teoria. Qui non sono in questione i rapporti tra la cosa e l'idea, n come la cosa dall'idea o dipenda o ne pardi

Simmia

la

tecipi,

ma solo si cerca spiegare il fenomeno della reminiscenza per mezzo dell' associazione delle idee. Tutt' al pi neh' ultimo esempio, posto l come un'ulteriore illazione, si potrebbe vedere
appena
il

primo germe

della dottrina dell'imita-

zione rappresentata quasi come uno stadio ulteriore della partecipazione.

Un
(p.

passo verso la uiur|0*i<; lo troviamo nel Fedro 250 B): per altro le immagini (ekvec,) e gli
si

uouuuaTOt, di cui qui

uotuOuaTa di qualit o predicati:

immagini dell'idea

di

sono immagini ed le cose belle sono bellezza in senso geneparla,

|uv ov Jj eixdZw Tpnov tiv ok oikv. o auYXUjp' tv v xoTq Xyoic; OKOTTOiaevov t vtci v eKat ufiXXov axoTtev f\ tv v pYou;. La interpretazione dell' Archer-Hind, The Phaedo of Plato,
li) \a\iK,

yp

travi)

pp. 156-62 (2* ed.), mi par troppo sottile. Cfr. anche 3 R. P. Hardie, Plato s earlicr theory of ideas, in " Mind V, (1896), pp. 171-172.

Delle idee e dell'origine del


rico,

mondo.

49

non che le somiglino come un ritratto all'originale. Quanto alla Repubblica, le incertezze
sulla

composizione delle sue singole parti rendono pi difficile il determinare come la teoria durante la redazione dell'opera si sia venuta svol-

anche qui le conclusebbene dubitative, che ulteriore il libro X rappresenti un procedimento anche in confronto dei libri VI-VII, potremo no-

gendo

ma

se accettiamo

sioni del Lutoslawski (1),

tare insieme

un analogo svolgimento dalla par-

tecipazione all'imitazione. Se infatti nella parte fino al VII le idee dei metafisica che va dal libro predicati tengono ancora il posto d'onore, il mito

dell'antro al principio del libro VII concepito conforme alla seconda dottrina, e questa dottrina

chiaramente formulata nel libro X; che sulle idee delle cose materiali e sugli esemplari del letto e
della tavola costruita tutta la teorica dell'arte.

Le cose
delle

detto espressamente essere imitazioni


;

idee
il

uiuncic,, uiuniiK, uiueTaGai, ut^nTuoi

sono

verbo ed i nomi che Platone adopera a chiarire il suo concetto. E che questo non sia detto n per traslato n per figura, che non
sieno queste delle frasi occasionali e indifferenti, ma importino il pi sostanziale e consapevole mutamento della teoria, lo vedremo tra poco.

done

Certo ad ogni modo che la diversit tra il Fee la Repubblica in questo punto cos

grande, che ammettere il Fedone sia stato scritto dopo di questa (2) non pare sia pi possibile.

O. e, p. 314 e pp. 324-25. Posteriore lo ritengono il Jackson, Flato s later theory of ideas, in " Journal of Philology XV, p. 303, e il Gaye, The platonic conception of immortality and
(1)
(2)

Fiaccaroli, II Timeo di Platone.

5o

Capitolo

IL
amplifica,
si

si

Fino a qui la teoria mette finalmente in

si

modifica;

pratica.

Nel Parmenide

troviamo,

come

si

veduto, la discussione e la

ragione del cambiamento.

innanzi tutto, se le

cose singole, si opponeva, partecipano dell' idea 1' idea in e, come era stato prima supposto, esse, ne viene di necessaria conseguenza che ciascuna cosa conterr o tutta l' idea o una frazione
di essa: nel

primo caso l'idea esiste in un numero di interi separati quante sono le cose, dunque si trova nello, stesso tempo in diversi
secondo la si divide in tante frazioni quante sono le cose in cui essa entra. Neil' un caso e nell'altro essa perde quell'unit, semplicit e invariabilit, che doveva essere la sua caratteristica principale. Ebbene, Platone, senza disdirsi, si spiega meglio: le obiezioni che avete opposto, sono le conseguenze di una interpretaluoghi
;

nel

zione erronea della nostra teoria; noi non la in-

connexion ivith the theory of ideas, eh. V, con degli argomenti, che qui fuor di luogo discutere, ma che sono implicitamente confutati da quelli in contrario del Lutoslaswki, o. e, pp. 314-15 il q uale lo ritenne bens posteriore al primo libro della Repubblica, ma anteriore agli altri; cfr. specie a p. 282 l'argomento tratto dalla tripartizione dell'anima ignota al Fedone e comune alla Repubblica ed al Timeo. Anche il Windelband, Ges~h. dcr aitai P/u'los. (2* ed.) e Platon (3* ed.), abbassa di molto la data del Fedone, ma spiega la evoluzione ideila teoria delle idee in senso contrario al nostro; dalla uiun<n<; si passerebbe alla ueeEu;. Ma poich il Timeo si fonda esclusivamente sulla Miunai<;, e di porlo
its

prima del Fedone neppure il Windelband ebbe il raggio, cos dovremmo ammettere poi un ritorno

coalla

teoria prima, il che contrario a quelle norme di probabilit e di ragionevolezza che, se possono essere smentite dai fatti, non devono per altro mai trascurarsi quando si formulano delle ipotesi.

Delle idee e dell'origine del

mondo.

51

tendiamo cos, noi intendiamo che la partecipazione non sia altro che la semplice somiglianza ad un tipo. Correzione o spiegazione che voglia dirsi, egli avrebbe potuto anche aggiungere che di questa maniera d'intendere egli aveva dato gi un evidentissimo documento. La teoria dell'arte infatti, quale esposta nel decimo della Repubblica, non torna logica se non ammessa questa interpretazione. Se si dovesse intendere che le cose in qualche modo ricevono la esistenza loro dalla presenza in esse delle idee, si potrebbe subito opporre (e l'obiezione effettivamente poi sempre vera), che l'artista non copia la cosa,

ma

attinge

all'

idea che in essa traluce, e perci

non pu
terzo di

dirsi

che

sia,

come Platone

ci

afferma,

qua della verit. Solo a patto che nella cosa l'idea non ci sia e la natura fenomenica non
che imitazione, solo a questo patto
l'arte

sia altro

veramente imitazione d'imitazione, terza di

qua dalla verit. Quanto poi all'altra difficolt, toccata nel citato luogo del Parmenide, della moltiplicazione delle idee all' infinito, essa forse pi immaginaria che
Nulla c' in natura di ridicolo o di spregevole aveva osservato Parmenide a Socrate che meraviglia dunque se anche ci dovessero essere idee di pelo o di fango? Ad ogni modo la teoria dell'esemplare e dell'imitazione, in questa
reale.
,
:

nuova forma, poteva preparare una


questi
scrupoli,
e
il

risposta a

numero

delle

idee assolu-

tamente necessarie poteva essere per essa sensibilmente ridotto. Se infatti le idee sono esemplari e le cose copie, pajono pi facilmente eliminabili

innanzi tutto

le

idee di relazione e di
la

negazione, e per conseguenza

innumerevole

52

Capitolo II.

moltitudine delle varianti non sar pi del tutto necessario di ascriverla a diversit di modelli, cos da richiedersene uno per ciascuna, ma la si
potr spiegare col maggiore o minor grado di somiglianza della copia all'originale (i); la qual

somiglianza pu essere poi cos scarsa e cos mal resa da averne invece disformit e deformit (il male quindi non corrisponderebbe pi ad una
a deficenza di essa), mentre d'altra parte non pu mai essere perfetta e assoluta (2), sia perch ci che diviene non pu mai uguagliarsi dise si uguagliasse sia perch a ci che
idea,
, , ,

ma

venterebbe con esso una cosa


i

sola.

Vero

che

tipi e dove comincino le vadove finiscano rianti, nessuno l'ha saputo mai dire, n chi lo

sappia dire sperabile di trovarlo


la difficolt

(3).

Gli che

pu
oltre.

risolversi

altrimenti,

come

ve-

dremo pi
3. Per
io

quanto nell'esporre

la dottrina
i

platonica
raccolti

mi

sia prefsso di essere cauto,

fatti

dal

Lutoslawski

nell'opera citata
articoli

prima dal

Jackson in una serie di

pubblicati nel

Journal of Philology dal 1882 al 1886, ripresi poi nel 1897, sotto il titolo Plato s later theory of ideas, non ostante che impugnati dallo Zeller (4),

pajono a

me

nel loro complesso

incontestabili.

Discutibili saranno le illazioni e le

conseguenze

(1) Cfr.
(2) Cfr.

Jackson,

o. c.

X, pp. 283-84 e passim.

(3)

delle tanto alcune specie di concetti generali e altre no.


(4)

Windelband, Platon, pp. 73-74. Lo Zeller, o. e, p. 661, impugna che nel novero idee secondo Platone sieno da raccogliere solO. e, p. 764, nota
3.

Delle idee e dell'origine del mondo.

53

che da questi fatti si vollero trarre (1), e di alcune di queste dovr dire pi oltre, di una dico subito. Chi credette di dover riconoscere la necessit di rivedere e limitare la lista delle idee,

che minacciava ad un certo momento di estendersi ad abbracciare tutte le cose in modo da non dover aver pi fine n limite, trov l'opportunit
di
_

farlo,
dell'

come

si

accennato, nella

nuova
il

teoria
di

imitazione.

poich per essa


esprimerci, del
desiderio
effettiva-

centro

gravit, per

cos

mondo
di

ideale

pareva utilmente spostarsi dalla


il
i

qualit alla sostanza (2), era naturale

trovare che anche

fatti

ulteriori

mente corrispondessero a questo nuovo principio


e lo attuassero fino
alle

ultime conseguenze.

avvenne che l'Archer-Hind, sia perch avea fisso che l'ultima teoria delle idee avesse rinunciato a rispondere che cosa sia il predicato, che
cos

era stata la

domanda

capitale

della

prima, sia

perch nelle idee egli voleva trovare non soltanto le cause formali, ma altres le cause agenti delle cose, credette di poter affermare che, da

un solo caso in fuori, le idee cui si accenna nel Timeo sono tutte di esseri viventi (3), che dunque a queste soltanto aveva Platone ridotto da ultimo
la

Timeo

sua teoria delle idee. Ma effettivamente nel le cose non stanno come all'Archer-Hind

piacerebbe.

(1) Veggasi la confutazione che di alcune contro il Jackson fa il Tocco, Del Parmenide, del Sofista e del

Filebo

italiani di filologia (in " Studi pp. 391-469), pp. 402-4 e passim. (2) Cfr. Gaye, o. c, p. 129.
(3)

classica

II,

Archer-Hind, The
il

Timaeus, Introd.

33.

Si-

milmente

Lutoslawski, op. e, pp. 482, 494 e 524.

54

Capitolo II.

Certo innanzi tutto che in questo dialogo, gi accennato, della teoria della partecipazione non si pu riconoscere pi cenno al-

come ho

cuno n chiaro n dubbio. Quanto a


e

ci che entra

che esce (x eiaivTa kc eHivia) di pag. 50 C, veggasi la nota relativa; e la specie invisibile... che partecipa dell intelligibile (vporov dbc,
ti...

ueTaXauftvov tou

vc-nrc-G)

di pag.

51

non ha

che fare con

le idee.

Questo

eloc,

infatti lo

spazio (xuupa), e a nessuno pu saltare in mente di credere che Platone voglia dir che lo spazio
pigli

esistenza dall'entrare

in esso

dell'idea: la

espressione dunque non

senso volgare hanno


p.

le
la

ha senso tecnico. Cosi espressioni analoghe di


dottrina delle idee

27

e 51 E,

dove

non

Ricordiamoci poi sempre la correzione del Parmenide: la uOeHic, non revocata, non esclusa; vi si dice solo che la si ha da intendere nel senso di mera imitazione e niente pi; non basta dunque, per conchiudere che Platone si contraddica o si disdica, trovare da lui usata questa o quella parola bisogna essere sicuri che
in ballo.
;

vada intesa nel senso che vorremmo

attribuirle.

questo non certo il caso del Timeo. Infatti la teoria della partecipazione in quel primo

supposto senso, non solo in esso abbandonata, ma anzi esclusa espressamente (1): a pag. 52 C (veggansi le note a questo luogo)

(1) L'assoluta esclusione della u9eSi<; nel Timeo e Fassoluto impero della uianoii;, che da capo a fondo lo informa, bastano, se ce ne fosse bisogno, ad assicurare che esso posteriore al Parmenide, dove la sostituzione proposta solo dubitativamente e quasi fuggevolmente, come una scappatoia alle obiezioni incalzanti dell'avversario.

Delle idee e dell'origine del

mondo.

55

detto chiaro, che


l'

non

propria della cosa

neppur

idea che essa rappresenta, della quale anzi la

cosa appena un'immagine, e che perci, affinch


la

da questo

cosa possa afferrarsi all'esistenza, esclusa ormai ufficio l'idea, occorre un altro espediente, occorre il dove essa si generi, e questo

dove la xwpa o la ttoc-ox, di cui diremo pi oltre. Cos poche linee prima (p. 52 A) definendosi che cosa l'idea, tra le sue condizioni notata espressamente quella di non passare in altra cosa (1);. il che poche linee dopo confermato, ove si dice (p. 52 D) che fino a tanto che una sia una cosa e un'altra un'altra, n questa n quella potrebbe entrare nell'altra in modo da
restare la stessa e insieme diventar

due

a schiale

rimento delle quali parole veggansi pure


relative.

note
cose

Sulla

limitazione invece delle idee alle

animate proposta e sostenuta dall'Archer-Hind, le riserve da fare sono molte e sono gravi (2). Io non discuter se veramente l'esclusione delle
idee di relazione nell'ultima teoria
dal Sofista
dotti
(3),

risulti

chiara

se l'esclusione di quelle

dei prosi

dell' industria

umana

(o"Keuao"Ta)

possa
(4),

inferire

dalla

testimonianza

di

Aristotele

se l'esclusione delle idee di male, in quanto

non

sono sostanze, ma deficenze nel rapporto tra la cosa e il suo paradimma, possa desumersi dal Filebo (5); poniamo che questo si possa ammettere:
oflxe eie, aox eaex|uevov &\\o \Xo9ev oOxe auro \\o noi iv. (2) Cfr. Zeller, o. a, pp. 701-703. (3) Archer-Hind, o. c. Introd. 21. (4) Ibid. 22. (5) Ibid. 24; Jackson, 1. e. X, p. 283.
(1)

e<;

56

Capitolo li.
le

resterebbero sempre

idee di qualit, l'escluultimi dialoghi l'Archer-

sione delle quali dagli

Hind la argomenta soltanto ex silentio. E poi vero che non vi compariscano? (i). Ho pure accennato che all'esclusivismo delle idee di esseri
venti lo stesso
vi-

Archer-Hind concede nel Timeo


vediamola.

un'eccezione
a
p. 51

quella delle idee di

fuoco, aria, acqua, terra,

ammesse espressamente
il

B, e di questa difficolt
(2),

nostro autore

cerca bens di sbrigarsi

ma

con affermazioni
si

piuttosto che con ragioni, di che poi egli stesso

accorge, quando finisce a concedere che

in

questo

possa pur riconoscere una sopravvivenza dell'antica teoria. Se non che la difficolt in questo luogo
si

luogo assai pi grave che l'Archer-Hind non rilevi, e bene la apprezza soltanto chi legge il passo nel suo contesto a cominciare da p. 48 E. E un punto principalmente di questo contesto d da pensare, ed a pp. 49 E-50 A, dove, parlandosi di ci che apparisce (qpavTEeTai) in qualche cosa
e poi scomparisce,

non

ci si

limita gi alle dette

quattro specie elementari, che parrebbero poter

contare per cose, ancorch non animate,

ma

si

va
il

oltre,

oltre
il

assai,

fino a citare

come esempio

caldo ed

e derivati.

bianco e qualsiasi dei loro contrari caldo e bianco non sono pi cose,
predicazioni.

ma

qualit o

Che pi
il

p.

49 D,

t toioutov, imdichiarate qualit, e plicitamente esse pure son anche la differenza che pareva dovesse esservi col
riferendosi alle quattro specie

(1) Perla lista delle idee singole che si trovano nominate in Platone, cfr. Zeller, o.c, p. 701, n. 1, e Tocco,

Del Parm. ecc., p. 413. (2) Archer-Hind, 1. e.

33.

Delle idee e dell'origine del mondo.

57

caldo e col bianco


il caldo, anche per specie elementari

si
il

dilegua.

E vero, anche per

bianco, anche per le quattro

si

nota espressamente che nel che apparenze, che sono

mondo

nostro esse non sono che apparenze (qpave nient'altro che

TteTai) e nient' altro

immagine

immagine

delle idee

ma

da ci ad affermare che dall'ultima teoria di


le

Platone

idee di predicato siano


ci

escluse, ci

corre molto',
il

corre troppo.

ritenerle sia stata incongruenza,

Diciamolo pure;
sia criticamente

ma

io

dire che dimenticanza ? non so se dopo questo

Vogliamo

ragionevole cercar nel

Timeo

ci

che l'Archer-Hind vuol trovarvi.


4. Alla categoria di ci che

appartiene in-

nanzi tutto anche l'esemplare sul quale Dio cre


il

mondo, come Timeo soggiunge poco


:

oltre

il

principio (p. 28 C)
gli

dice infatti che due essendo

esemplari possibili, uno generato e uno eterno,

l'artefice,

essendo buono e volendo

far

cosa bel-

lissima, scelse l'eterno.

Non cade dubbio


non
sia lo stesso

che l'esemplare del mondo che l'idea del mondo: esso ,


la

appunto perch idea. Ora se

dottrina plato(1),

nica attribuisce alle idee un'esistenza separata

aveva dunque l'esemplare del mondo, cui Dio si inform nella creazione, un'esistenza a s fuori di Dio ? Gli stessi dubbi e gli stessi dissensi degli interpreti moderni ebbero gi i neoplatonici poi si decisero ad ammettere le idee
:

(1) Giova, anzi indispensabile, per questa questione tener sempre presente anche la testimonianza di Aristotele, Metaph. I, 6, II, 2, 15-16, XIII, 4, 6 e altri luoghi

che verremo citando.

58

Capitolo II.

in Dio, e in questa interpretazione

ebbero condisse
l'intel-

senzienti

e Boezio e tutti

Padri della Chiesa.

Plotino

(1),

per citare uno dei maggiori,

chiaro ri ok eSuu toO vou x vonj, che


ligibile
il

non fuori dell' intelligenza, e quindi che demiurgo ha in s l'esemplare; e Proclo, l'ultima voce del platonismo pagano, pi modesto e pi prudente, dopo aver osservato che l'esemplare vor|Ts

o voeps, cio intelligibile e dopo parecchie distinzioni e non viene a questa conclusione, la quale sottigliezze, anche tolta dal suo contesto mi pare conservi il
intelligente, e

mi

demiurgo, dice, vede l'esemlo vede rivolgendosi in s stesso, e ci vuol dire che lo ha in s; o lo vede fuori di s: ma in tal caso ne avrebbe una sensasuo valore
(2):

se

il

plare intelligibile, o

zione (cuaGnox) e
il

non

un'intellezione (vntfic.) (3),

che non pu stare. A questa conclusione egli era venuto per altra via anche alcune pagine prima (4): se il demiurgo, diceva, intelligenza (vouc,), si domanda se ci che essa fa lo fa ragionando (XoYiuevoq) o per virt del suo stesso essere rispondeva non (auto tuj eivai). Ragionando pare, perch il ragionamento importa una mutazione e presuppone gli accidenti delle facolt singole dell'anima; ma posto pure ch'egli operi in tal modo, resterebbe sempre che egli do, ,

vrebbe abbracciare preventivamente


la

in

s tutta

cosa deliberata. Che se invece, come pi consentaneo ammettere, egli delibera ed opera

(1)

(2) (3)
(4)

Plotin. Emi. V, 5; PorphYr. Vita Plot. O. e, p. 98 E. Cfr. Plotin. Emi. VI, 7, 1. O. e, p. 82 B.

18.

Delle idee e dell'origine del

mondo.

59

per virt del suo stesso essere, delibera ed opera di necessit cosa simile a s, e cos deve avere di necessit in s gli esemplari di ci che produce.

che

si

debba intendere

cos,

conchiude

Proclo
(p.

(1),

ce ne avverte Platone stesso ove dice

29 E) che Dio, essendo buono, volle che tutte cose fossero simili a lui Y^VO"0at pouXrjGrj TrapairXricria auia. Se le cose sono simili all'ele
:

semplare e insieme sono


plare

simili

a Dio, l'esem-

non pu essere
al

fuori di Dio.
di

ragionamento

Proclo

si

pu aggiunaver de-

gere qualche altra considerazione.


scritto

Dopo

sommariamente la creazione e resa ragione della forma del mondo, ap. 34 A, Timeo conchiude
Tutto questo ragionamento ragionato (XoDio che sempre , intorno a quel Dio (cio il mondo) che doveva crearsi,
cos
:

YiCjj? XoYio"0ei<;) di quel

Ora il ragionamento non altro che la ragione per la quale il mondo ebbe quella data forma l'esemplare rappresentato sotto forma logica, che
fece

un corpo
si

cos e cos.

di cui qui

parla

come

dire che

l'esemplare

il

ragionamento

rappresentato sotto forma plastica. Ragionamento

ed esemplare sono la stessa cosa, e se in Dio il ragionamento, in Dio dovr essere pur l'esemplare
(2).

argomentiamo^ pure a quest'altro modo: Le idee nostre secondo Platone 1) hanno esistenza
separata
rata
fuori
di noi,
2)

hanno esistenza sepaantecedenti


alle

fuori delle

cose, 3) sono

O. e, p. 98 F. Similmente di un \yo<; e di una bidvoia di Dio si parla a p. 38 C, a proposito della generazione del tempo di sul modello dell'eternit.
(1)
(2)

6o
cose.

Captolo li.

noi,

secondo

il

nostro

modo

di vedere,

potremmo impugnare
seconda e
la terza,

prima affermazione, la e dire invece che le idee sono


la

astrazioni create dalla nostra esperienza, e perci

posteriori alle cose.

Ma

la

questione

si

presenta

del tutto diversa se ci trasportiamo col pensiero

Le cose non sono ancora e se hanno principio, e se Dio ne il creatore, egli di conseguenza intende e sa in precedenza quello che sar la creazione. Ora questo suo cone cetto non pu essere frutto dell'esperienza quindi non pu esser neanche n temporalmente n logicamente posteriore alle cose, come abconcetti nostri. Perci biamo opposto essere la teoria platonica rispetto a Dio di necessit torna vera in queste due conclusioni i) che le idee hanno esistenza separata dalle cose, 2) che
alla creazione.
;

esse

sono antecedenti alle cose. Resta pertanto a vedere solo se sia vero, secondo Platone, rispetto a Dio anche l'altro postulato, cio che le idee abbiano esistenza separata dal soggetto che le pensa. E qui innanzi tutto da osservare che. a sostenere che le idee sieno in Dio, non si impugna, ma anzi si conferma, per tutte le altre creature intelligenti il principio enunsono fuori dell'intelligenza creata, appunto perch sono nell' intelligenza creante esse sono immutabili ed eterne, appunto perch immutabile ed eterna questa intelligenza. Questo
ciato: le idee
;

pare scaturire piano e facile dai posti principi e dai susseguenti ragionamenti.

5.

Ma

poich

la

testimonianza di Aristotele non


lo Zeller, tra

concorda con queste conclusioni, e gli altri, dopo una lunga e minuta

analisi della

Delle idee

dell'origine del

mondo.

61

teoria delle idee in Platone, le impugna, ci con-

viene indugiarci ancora un poco


le

ad esaminare
causa

ragioni avversarie.

Secondo

lo Zeller la

e la

spiegazione del
si

mondo

Platone nelle sue

ricerche scientifiche

limita a trovarla nelle idee,

e se,

dice (i),

accanto ad esse ha ancora

bisogno della Divinit, come nel Timeo, egli la introduce senza dimostrazione e senz'altra determinazione, come presupposto di fede: per sua personale convenienza e per l'uso pratico sopra
tutto egli
si

si attiene alla credenza negli Dei. Egli adopera bens di purificarla secondo lo spirito della sua filosofia, ma non indaga accuratamente il suo rapporto con la dottrina delle idee; solo si accontenta del pensiero generale, che queste e quella si riducano alla stessa cosa, che le idee siano la Divinit vera e che la idea pi

alta

corrisponda

alla

pi alta Divinit.

Le

idee

adunque per
esse stesse
sieri di

non sarebbero in Dio, ma sarebbero Dio non sarebbero i penlo Zeller


:

una

intelligenza,

ma

dotate di intelligenza

(2).

Le

sarebbero esse stesse idee per lo Zeller

pp. 716-17. recenti anche il Windelband, Platon, p. 78, e Gesch.d. alien Philos. p. 117, nega che le idee sieno i pensieri di Dio. L'Ueberweg, Grundriss der Geschiclite 9 der Philos., I p. 194, identifica il bn^ioupTq con l'idea del bene. Il Gomperz, Griechische Denker, II, pp. 484-86, d delle idee una spiegazione affatto simile alio Zeller, anzi crede che dalle concezioni popolari della Divinit Platone sia nel Timeo pi che mai lontano. Il Jackson stesso per via diversa giunge ad una conclusione anche analoga, o. e, XIII, p. 34: "Il r)Uioi>PY<; un duplicato mitico del rct-rv, precisamente come la v^Kn un duplicato mitico del Gdxepov... In fatto il n|inoupY<; del Timeo e la ama rfj<; |ai5euuq del Filebo sono, per cos dire, impalcature, che devono essere rimosse quando
(1)
e,
i

O.

(2)

Fra

Fraccaroli,

Il

Timeo di Platone.

62

Capitolo II.

sono rappresentate da Platone come cause immanenti delle cose, e l'idea del bene, somma di tutte le idee, quella che attribuisce la realt a ci che si conosce (i) e concede al conoscente la facolt di conoscere, come detto in un celebre luogo del sesto della Repubblica (p. 508 E), che avremo occasione di esaminare pi oltre. Certamente, continua lo Zeller, anche le idee
e coordinazione tra loro, e si pu pensare di esse una gradazione, ma Platone non la determin e si ferm solo al vertice, all'idea pi alta di tutte, quella del bene (2). L'idea del bene sarebbe Dio, il Dio supremo, il creatore.

hanno rapporti

compiuto. Cfr. Natorp, Platos Ideenlehre, pp. 313-15 e 340 sgg. Ritiene invece le idee come esistenti in Dio innanzi a tutti (e gli va perci restituito il merito della priorit) G. M. Bertini, Nuova interpretazione delle idee platoniche, negli " Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino voi. XI, a. 1876, pp. 997-1083, notevolissimo saggio, l'ultimo, credo, dell'insigne filosofo torinese. " Le idee, conchiude egli a " non sono pensieri divini, cio atti di Dio p. 1069, come soggetto pensante, non sono neppure oggetti dil'edifcio
stinti

individualmente

l'uno

dall'altro, stanti

assoluta-

mente da s, ma sono lo stesso essere divino pensato da Dio come comunicabile per manifestazione o per partecipazione a ci che diverso da lui. Dei recenti veg/gasi il Lutoslawski (o. e, passim, e specialmen'.e
presso PP- 303-5 3 6o 424> 433 447-48, 470-71 477 493) il quale, a pp. 25-26, note 67-69, puoi vedere anche la bibliografia di questa questione. Agli autori ivi ricordati puoi aggiungere O. Apelt citato dal Tocco, Del Parmenide, ecc., che da p. 421 in poi si sforza di confu>

tarlo (cfr. anche Ricerche Plat., p. 34), ed A. The later ontology 0/ Plato, in " Mind XI, PP- 3i-53(1)

W.

Benn,
(1902),

O. e, pp. 687-88.

Natorp, o. c, p. 329, intende per questa idea la idea dell'idea o la legge della legge (das Gesets der
(2) Il

Gesetzlichkeit selbst).

Delle idee e dell'origine del mondo.

63
,

Ci

pu veramente parere incomprensibile


egli

soggiunge

ancora (1), che il concetto del bene, non solo possa essere ipostatizzato, ma possa senz'altro essere dichiarato come la sula ragione prema forza o ragione operante
:

noi

siamo avvezzi a figurarcela soltanto nella forma della personalit, la quale non sembra si

possa accoppiare alle idee. Ma si domanda pure, se tutto questo a Platone apparve poi cos inconcepibile come a noi. Chi aveva pensato, continua, la

grandezza e la piccolezza come realt, poteva anche fare una realt a s di un rapporto di scopo, e dello scopo assoluto, ossia del bene, fare una causa assoluta e un essere assoE ci possibile certamente, ma altretluto. tanto possibile per lo meno il ragionamento contrario: se Platone nella concezione delle idee fece un passo molto ardito, doveva pensare piut-

tosto a giustificarlo, che

secondo
servito

sulla stessa china,

non a farne subito un il quale non avrebbe

che a mettere in luce quanto anche il primo fosse inconsulto. Le idee sono ci che ? Voi lo dite, gli si poteva rispondere, ma sarebbe

bene che tentaste

di dimostrarlo.

La ragione

logica,

che siano l' oggetto dell' intelligenza, 1 abbiamo sentita; ora desideriamo una ragione ontologica. Perch o come esistono? Come avviene che da
oggetto dell'intelligenza diventano ad un tratto soggetto? Anche lo Zeller riconosce che (2) noi

siamo

veramente avvezzi a distinguere tra le cause formali e le cause agenti, e non confonderemmo le idee universali con la ragione crea-

ti)

(2)

O. e, pp. 713-14O. e, p. 695.

64
trice

Capitolo li.

che il Filebo indica come cagione . E analogamente si pu rispondere domandando, se poi certo che questa confusione Platone stesso l'abbia fatta: appunto ci di cui si discute. ch'egli adduce, del Fedone (p. 100 Il luogo,
delle idee come cause formali; il luogo del Filebo (pp. 26 E-30 D) parla del creae 1' equazione tra il tore come causa agente creatore e l'idea, che qui si vorrebbe vedere, si fonda su di un'interpretazione che io credo falsa, la quale, poich questo luogo verte anche sulla questione della materia, per non ripetermi e non spezzarne la dichiarazione, esaminer nel capitolo seguente. Cos se nel Sofista (p. 248 E) a

C-D) parla

ci che interamente (tuj TTavieXuJC, vti)

si attri-

buisce anche anima e movimento, il Lutoslawski (1) nega che questo iravreXiIx; v sia l'idea; fosse

anche, non

si

capirebbe

come

poi questo movi(2).

mento

fosse comunicabile alle cose

Sta in fatto

che

le

idee ed

il

creatore,

dopo

l'accenno del Filebo, sono posti a fronte chiara-

mente ed espressamente

la

prima volta nel Timeo,


(3),

il

come
loro

lo Zeller riconosce; ma, soggiunge

rapporto

resta

non

chiaro,

il

demiurgo

O. e, p. 424. Cfr. Bertini, 1. e, pag. 1028. La questione troppo grossa per poterne trattare sufficentemente per incidenza. Cfr. per esempio Chiappelli, o. c, pp. 157 sgg. Lo Zeller, o. c., p. 696, che pur crede che alle idee si deva attribuire e movimento ed attivit, confessa che non si sa poi come immaginar ci, e riconosce che Platone non l'ha indicato. Il Tocco, Del Parm. ecc. passim, collocando il Sofista col Parmenide e col Filebo dopo il Timeo, vorrebbe veder cjui un nuovo indirizzo, al Timeo ancora ignoto. Cfr. pure del Tocco le Ricerche Platoniche, capp. I e II. (3) O. e, p. 695. Cfr. pp. 716-717, gi citate, e 765, che
(1)

(2)

pure insistono nello stesso concetto.

Delle idee e dell'origine del mondo.

65
il

stesso

una figura troppo

mitica, perch

suo

intervento possa valere


tifica

come una

soluzione scien-

della questione

sul scientifico,

. Non discutiamo troppo purch effettivamente sia una so-

luzione.

Noi introduciamo spesso delle distinzioni


trarie.
artista,

arbi-

Platone

era insieme filosofo e

teologo e

e tutte queste qualit costituivano in lui

una personalit sola. Egli risponde ai diversi quesiti secondo queste diverse disposizioni della sua anima, che noi possiamo bens idealmente distinguere per comodo della nostra analisi, ma non giudicare separatamente e indipendentemente l'una dall'altra. Dove finisca il filosofo e dove cominci
il

teologo, dove finisca

il

teologo e

gli

sottentri

potremo qualche volta bens tentar di scoprire, ma non abbiamo diritto di dire che questa parte o quella abbia minor seriet, minor importanza. Tutto deve essere preso in considerazione come ugualmente importante, secondo il diverso spirito in cui stato concepito, e tutto deve essere interpretato secondo quello spirito. Se Platone teologo crede a un Dio personale, ci non
l'artista,
ci permette di affermare che per Platone filosofo questo dovesse essere semplicemente una favola potremo dire che l dove la ragione sua era in:

sufficente, egli suppl

con

la fede,

ma non potremo
sincera della

dir

mai che

la

sua fede fosse

meno

sua ragione.

certamente con

la sostituzione della

jaijaricTKS

demiurgo era diventato anche pi evidentemente necessario. Con la teoria della partecipazione una relazione tra il mondo ideale e il mondo fenomenico c'era: non se ne vedeva chiaro il perch, ma si affermava
alla uGeic, l'intervento del

66

Capito/o li.

almeno
stacco

il fatto; con quella dell'imitazione il didivenne assoluto. Che ne facciamo di questi due mondi, che non sono pi in alcuna relazione tra loro? Ed ecco che il demiurgo colma questa lacuna. Se il mondo del divenire immagine del mondo dell'essere, questo opera

sua: solo un'intelligenza suprema ed attiva poteva operare questa meraviglia. Ed effettivamente

Platone

mostra

di

averla

intesa

cos, e

il

suo

demiurgo in realt lo troviamo intervenire soltanto quando la teoria dell'imitazione gi fissata, per la prima volta nel decimo della Repubblica, e questa ancora un po' materialmente, poi nel Filebo, poi nel Timeo, dove espressamente
la

causa prima,

la
il

causa efficente,
carattere cosi

la

causa con-

sciente. In verit

schiettamente

vuole attribuire a questa figura, io non lo so riconoscere, pi che non lo riconosca nel vovq di Anassagora. Platone qui chiaro ed esplicito (i). E concedasi pure il carattere mitomitologico, che
si

logico,
in
fatto

concedasi

il

parlar figurato, sta

sempre

che nel Timeo il demiurgo e il paradimma sono rappresentati incontestabilmente come due cose diverse e sia pure mito quanto
;

due cose diverse e volutamente diverse ne vogliamo far una, per quanto
si

vuole,

ma

se di

nell' interpretare le allegorie sia

giusto esser larghi,

tra

il

senso reale ed

il

figurato

distruggeremo
sbizzarrirci

ogni analogia, e potremo

perci
il

sostituire al pensiero dell'autore

pensiero nostro.

D'altra parte se Anassagora aveva riconosciuto che ordinatrice dell'universo doveva essere un'in-

(i) Cfr.

Bertini,

1.

e, pp. 1053-54.

Delie idee e dell'origine del mondo.

67

telligenza, e se,

come aveva

fatto Socrate,

anche

Platone accett di tutto cuore questo principio, pare assai pi logico e ragionevole il credere che all'intelligenza abbia associato l'intelligibile, di quello che del semplice intelligibile abbia fatto
di

punto

in

bianco non solo


;

l'intelligente,

ma

la

fonte dell'intelligenza
e pi

in altre parole pi

ovvio

logico dire
il

ritenere

abbia dedotto

pensato, di quello

che dal pensante che il pen(1).

sato l'abbia mutato in pensante

nulla c'

in Platone

che smentisca un

tal

ragionamento. Se nel Timeo a p. 37 C le idee sono addirittura chiamate Dei eterni, questo non vuol dire che esse sieno Dio: anche gli Dei inferiori si

che fare
luoghi
si

chiamano appunto Dei, ma non hanno col Dio padre e creatore (2). Se in altri
parla delle idee

come cause prime,

ap-

punto

cause seconde (3), ci non vuol dire se non questo, che ogni fenomeno del mondo del divenire potr bens dipendere
in

opposizione

alle

da qualche

altro

fenomeno
l'

del

mondo

stesso,

ma

ha nel suo rapporto col mondo dell'essere, il che non, importa che nel mondo dell'essere al di l della causa formale non dobbiamo riconoscere anche la causa agente. N il famoso luogo sopra accennato de Rep. VI, p. 508 D-E decisivo per questa questione. Vi si dice infatti bens che l'idea del bene
la

sua ragione vera

conferisce

la

verit

ci che

si

conosce e

la

capacit a chi ha da conoscere,

ma

vi

si

sog-

giungono delle parole

le

quali,

pur cos guaste

(1) Cfr. Bertini, 1. e, pp. (2) Cfr. la nota a questo (3)

1028-30. luogo. Cfr. Phaedo, pp. 95 E sgg.

68

Capitolo

IL
codici (i), pare sieno

come
senso

ce

le

trasmisero

intese a dichiarare entro quali limiti ed in qual

ha da intendere l'affermazione precesenso sarebbe che essa idea fa s che attuare la conoscenza della verit in si possa quanto essa stessa oggetto dell'intelligenza (2).
si

dente

il

Comunque poi questo luogo si voglia intenderlo, potremmo sempre dire che esso non rappresenta
certo
l'ultima dottrina platonica:
il

tra la

Repub-

blica ed

Timeo

ci

corsero degli anni parecchi,

non furono anni di stasi. Arroge che se per il Timeo l'idea fosse essa stessa Dio, non si capirebbe pi bene perch a
e

(1)

toOto toivuv t tv

\f|0eictv

uapxov to;

yrfvuj-

<7ko,uvoi<; KOl TUJ

YtYVlkOKOVTl

t.v va.uiv

iroiv tf\v

toO ya6o0 bav cpGi elvai, e fin qui il testo chiaro e certo ci che segue pi che dubbio, e I'Adam lo
:

cos ii<; YiYvu>(JKO|iivnv nv i voO, un<; oOffav Kal \r]Qeiac,. Questa lezione
:

amctv ' -main.converrebbe ot:

la nostra tesi, perch ammetterebbe la causa consciente sopra della causa formale conviene per riconoscere che alla lezione dei migliori codici essa fa troppa violenza. Sebbene bi voO sia la vulgata, il biavooO di A'corrisponde bene al cpd9t che precede;

timamente con

e YiYvwcKOiuvriv un del Van Heusde, come delVan Heusde l'ordine delle parole, che i codici invece leggono aTictv ... X.n9iac; \bc, YiYV-uaxoiuvrK M^v biavooO, erroneamente certo anche perch al juv manca il corrispondente.

ci basta:

A ha Yrfvu><JKOuvr|<;,

emendamento

(2) Il Bertini, 1. e, p. 1025 e passim, dice che il Bene di cui qui si tratta " pi che idea, pi che scibile infatti per to<; y i Yvujokoju6voi<; non si potrebbero in senso
:

intendere che le idee; che le idee sole sono oggetto della conoscenza ora ci che conferisce la verit alle idee deve essere qualche cosa ad esse superiore. Gli che a prendere toI(; YiY v w<JKOuvoiq in senso tecnico bisognerebbe poi prendere non pi in senso tecnico, ma volgare, tv toO YaOoO bav, appunto come rr'iv toO TtXeuovoc; lav in Tim. p. 70 C, e ti^v toO fiirato<; lav, ibid. p. 71 A, come il Bertini sostiene.
tecnico
:

Delle idee e dell'origine del

mondo.

69

si dica che il fattore ed il padre di cose universe difficile saperlo trovare, e chi lo abbia trovato impossibile che lo indichi agli altri Non pare infatti che quella difficolt sia pi tanto grave, quando accettassimo

p.

28

queste

che esso

sia l'idea stessa:

avremmo
il

in ci di gi

una
pi

risposta.

La

difficolt

non dovrebbe

allora

essere

nel dire

che cosa

creatore,

ma

nello spiegare
tiva,

come mai
le

l'idea sia diventata at-

l'intelligibile sia

diventato intelligente.

idee e Dio fossero la avrebbe ci che soggiunto a questo stesso luogo tutto di seguito ? Dice infatti: Ma questo per altro si pu viceversa indagare di lui, su quale degli esemplari chi ha

Arroge ancora: se

stessa cosa, che

senso

fabbricato

il

mondo

lo

abbia eseguito, se sopra

quello che sempre lo stesso e allo stesso

modo

o su quello che ebbe nascimento. Come? Se Platone vuol dare ad intendere che il creatore non altro che l'idea in azione, che razza di
discorso
questo,
di

domandare

se l'idea po-

trebbe diventare azione cessando di essere? Cesserebbe infatti di essere, qualora diventasse l'esemplare generato.

Non

c'

forma mitica che valga

a scusare questa assurdit.

Anche
p.

il

famoso luogo della Repubblica, X,

597 B, e tutta la teoria dell'imitazione artistica pare faccia contro lo Zeller. Afferma infatti Platone che le cose sono imitazione delle idee e le opere d'arte delle cose, e reca l'esempio del letto: c' un letto idea, ci sono dei letti cose e ci sono questi sono dei letti rappresentati in pittura dei secondi, e i secondi del primo. imitazione
:

Ora

il

letto

idea,

dice,

potremmo

dire

che

70
fatto
sia

Capitolo

IL

da Dio

(i).

subito

dopo soggiunge

che,

che questi non volesse farne pi d'uno, sia che qualche necessit ci fosse di farne uno solo, uno solo ne fece (2). Ora bens vero che questa maniera d'esprimersi impropria, il che non
isfugg
tefice

neppure
dell'idea,

agli antichi

delle idee

Dio qui detto arnon c' artefice,

n esatto dire che Dio rispetto ad esse sia tale (3). Ma ci non importa che per questa inesattezza si deva buttare a mare "tutto il contesto. Innanzi tutto si pu osservare che Platone stesso non intende di
parole

dare

qui alle

sue

un senso

preciso,

ma

soltanto approssi-

mativo: qpouuev v,
certo

wc, Y<l>uai, si

potrebbe dire in

modo, tanto per conservare la stessa gradazione degli altri due casi. Oltre di ci, da dire che il letto idea opera di Dio, ad intendere che un pensiero di Dio, il passo breve (4):

v xfj optfei oOaa, r^v qpcrtuev fiv, ux; yfyuia |uv 8ev ipfcraaBcu. Dissento assolutamente dal Tocco, Del Parm. ecc. pp. 445-46 sull'interpretazione delle parole v xr| qpucrei, per la quale " il letto fatto da Dio,
5

(1)

luai,

cio

il

prato

il

bosco, dove
sulla

ci

si

pu riposare
pi lavorata,

le
si

membra non meno che

coltrice

confonde con l'idea stessa del letto. N si potrebbe dire che questo letto uno solo, n questo potrebbe
esser mai il letto idea. outw<; uoinaev uiav uvov (2) p. 597 C
:

aTi?iv xevnv

8 gcrnv KXivn. iroinTv tP oitv Xyei (3) Procl. in Tini., p. 104 F: tv 9ev kcx nuioupYv tujv b ewv ok ?cm nmoupY<;. " Iddio crea le idee, dice il Lutoslawski, o. c, (4) " questa un'espressione p. 314 (cfr. anche p. 360); metaforica, la quale, tradotta in parole astratte, significa: le idee sono un prodotto del pensiero puro, non necessariamente degli uomini, ma di un soggetto pensante. Questo un conseguente svolgimento della teoria intorno all'idea del Bene, che era la causa finale di tutte le altre idee- Ora questa idea del bene soppiantata

Delle idee e dell'origine del

mondo.

71

il letto idea e Dio si confondano insieme, il salto terribile e mortale. O bisognerebbe in tal caso rinunciare a ritenere le idee distinte le une dalle altre e fonderle tutte

invece a intendere che

insieme nell'unit di Dio, il che Platone non ci consente (1), e ancora non si vede come

l'equazione tra una parte ed


letto-idea possa reggere;

o identificando Dio con l'idea del, bene, e ritenendo che essenza della Divinit sia, non gi l'essere il bene, ma l'essere

il

tutto,

tra

Dio e

ammettere poi tanti Dei infequante sono le altre idee singole e questa concezione non pare accettabile, non tanto perch sia politeistica, quanto perch di tal risultato ci sarebbe, a dir vero, ben poco da congratularsi con la filosofia. Socrate, abbiamo veduto, nel Parmenide non si arrischia ad affermare che vi sia un'idea di pelo, un'idea di fango cosa avrebbe detto, se gli avessero soggiunto che, quando egli avesse acconsentito ad ammetterle, avrebbe per
idea, bisognerebbe
riori
;
;

ci

ammesso

l'esistenza

di altrettante

divinit?

Sia pure

che la teoria dell' imitazione possa ridurre di molto il numero necessario delle idee,

( 0e<;). Il

da Dio, non da qualche Dio o da un Dio, ma dal Dio monoteismo apparisce chiaramente stabilito
sottintesa.

come cosa
(1)
" Il

Ayo<;, come unit complessiva di Platone non vi , e nasce per la prima volta col Giudaismo Alessandrino. Chiappelli, Sulla interpr. pani. p. 155. Il Xoyiaui; GeoO di p. 34 potrebbe per essere considerato come il germe gi fecondo di questo concetto. Se infatti questo oyict|h<; il paradimma del mondo, in questo paradimma tutte le idee devono essere comprese, e non resta che assumerle in

concetto del

tutte le idee, in

un'unit.

12
sia

Capitolo II.

pure che
il

lo

riduca
il

ai

minimi termini, e che

sia lecito

ridurlo,

politeismo inevitabile.

Ma
della

poi possibile praticamente la eliminazione

delle idee

ingombranti, per mezzo della teoria


dissomiglianza da un dato

somiglianza o

tipo?

poi possibile una


?

coordinazione attuale
r

Ce ne ha detto Platone qualche cosa Ammettiamo pure che con l'accennata teoria padelle idee

recchie difficolt sian tolte di mezzo, per esempio


quelle de Rep.
III.

p.

402 C, e V.

p.

475

e se-

guenti, ma parecchie altre ne restano sempre. Che ne facciamo dei TrapaeiYiuaTa piuuv, de Rep. X.
p. 617 D? Che ne facciamo del pio<g cteoc;, che uno degli esemplari v tl vti cmTiuv secondo il Teeteto, p. 176 E? Se la vita senza Dio espressamente un paradimma di vita, non la si pu pi spiegare come una deficenza di un altro esem-

plare. Platone parla troppo chiaro

perch

alle

sue

possa applicare quello spediente. Or come pu essere Dio, o in qualsiasi modo emanazione di Dio, la vita senza Dio ?
parole
si

la

coordinazione
In
fatti,

ci

riuscir pi facile della

eliminazione.

come una coordinazione


non ce
lo

possa ottenersi, Platone

disse. Prati-

mostr le idee coordinate in unit nel paradimma del cosmo; ma teoricamente, come abbiamo veduto, non ci indic che la prima, quella del bene, e quanto al resto ci piant in asso. Anzi c' di peggio: se non ci avesse indicato neanche quella, probabilmente noi, procedendo logicamente, verremmo a ben altra conclusione. Ogni idea ne ha sopra di s un'altra pi

camente

ci

generale, e di generalizzazione in generalizzazione giungeremmo a quella idea generalissima, che la

pi vuota di determinazioni; questa per noi sa-

Delle idee e dell'origine del mondo.

73

rebbe l'idea madre (1). Se pertanto Platone pose invece per prima l'idea del bene, rinunziando alla graduazione logica per la graduazione teleologica, o contrapponendo luna all'altra, ci lasci in un imbroglio molto pi grave che se non
avesse neppure cominciato a graduare. D'altra parte se le idee sono esse stesse ci che , e sono tali per virt propria e non per parteci-

vede come n perch possano essere, quanto all'essere, tra loro diverse. Se sono, hanno l'essere egualmente intero tutte quante, ed egualmente da s ciascuna, e questo pare in contraddizione con ogni possibile coordinazione (2), che si risolverebbe di necessit in preponderanza e subordinazione. Ma poniamo che coordinazione sia possibile; ebbene, questa non pu darsi che per effetto di una ragione superiore a loro, che tutte quante le governi, che
pazione,

non

si

appunto ci che affermiamo.

Tutte queste
le

difficolt

sono invece interamente

e facilmente eliminate,

quando riconosciamo che

idee

non siano

fuori,

ma

dentro
del loro

dell'intelli-

genza suprema. La ragione

coordina-

mento allora evidente a priori, ancorch noi non possiamo comprenderne le modalit. L'idea
del bene in tal caso non altro che il primo pensiero di Dio. Dio buono, e perci pensa il

(1) Sulla coordinazione (xoivuuvia) delle idee toccata nel Sofista in questo sensV'cfr. Tocco, Ricerche Piai. pp. 36 sgg. oot' tic,? aux etaexuevov XXo <5X(2) Cfr. p. 52 Xo6v out' de, fiXXo ttoi iv. Cfr. pure Phaedr. p. 247 E: o' fi axi uou xpa v rpiy oOaa. Vero che nel Sofista di una Koivuuvia delle idee si discorre, ma tutto sta a vedere qual senso a questa KOivwvict si possa dare.

Fraccaroli,

Il

Timeo di Platone.

74

Capitolo

IL
innanzi a tutte

bene, e questa idea egli attua


nella

quando si dice che Dio buono, non si accenna ad una sua qualit esteriore o accidentale; non si dice ci che egli ha, ma ci che egli (i): in questo senso si pu dire che egli il bene. Ma la bont di Dio
sua creazione.
inerente alla sua intelligenza, e

come

intelligenza

anzi tutto egli la causa delle cause. L'idea nel

Timeo

ripetutamente rappresentata
la

come

in(2):

clusa in questa intelligenza, in questa coscienza

Iddio dunque

con intelligenza, dice a

coscienza del bene: uei vou, p. 46 E, sono niiioupYoi

(notisi la parola) di

ogni cosa bella e buona le cause prime; e poco prima aveva detto che la intelligenza non pu appartenere che all'anima.

Questo pare sia parlar chiaro. La suprema intelligenza d'altra parte deve anche il tutto intendere e tutto conoscere male, in quanto esiste, deve essere conosciuto da lei. Sia pure il pio? Qeoc, una imperfezione del pio?, in quanto questa vita si d, imperfezione o sostanza che sia, in Dio si deve specchiare egli sa cos' il peccatore, egli ne pensa diremo cos, il concetto. Or questi concetti, negativi, sono essi idee? Certo che no, se riteniamo le idee, non come oggetti per cos dire
:

esteriori

al

soggetto divino,

ma come
si

lo stesro

soggetto pensato dal pensiero che


s stesso.

rivolge su

Ma

poich

in

se non vogliamo che sieno idee, Dio anche questi concetti si spec-

(1)
(2)

Cfr. Bertini,
p.

1.

e, p. 1050 e passim.
iiier

28 A: vorrei

Xyou uepiXr|TrTv

p.

29 A:
o.

Xyiu xai qppovnoei


P- 477-

ueptXriiTTv. Cfr.

Lutoslawski,

c,

Delle idee e dell'origine del mondo.

75

chiano,

si

ammette Platone
creato?

potranno sempre dir paradimmi. Non l'ipotesi anche di un paradimma


dei

Ammette dunque

paradimmi che non


al-

sono idee.

Ma
luoghi

se tutto ci vero,

che ne facciamo
il

lora della testimonianza di Aristotele,

quale nei

sopra
la

citati

in

altri

ancora,

combatidee,

tendo
ce
la

teoria

di

Platone

intorno
le

alle

rappresenta

come ponesse

idee sepa-

rate (xwpiOTCu)

ed

esistenti di per s?
le

Lo

Zeller

osserva giustamente (1) che, se per toniche, invece di concetti per s


volessero intendere
i

idee plasi

esistenti,

pensieri della Divinit, nella

critica di Aristotele a

mala pena

si

potrebbe

tro-

vare un argomento che non perdesse subito ogni


valore

probativo.

Ebbene, non c' ragione

di

sbigottirsi

per

la

gravit di questa conclusione,

quando

gli

errori di Aristotele nel riferire le dot-

maestro non sono n rari n piccoli, e specialmente sul Timeo, come vedremo anche pi oltre, ne ha di quelli che per noi sarebbero imperdonabili. Siamo d'accordo col Tocco che
trine del

l'affermazione di Aristotele
loquio,

(2),

essere la dottrina

platonica intorno alle idee nient' altro che

quando non

e'

chi operi

un vaniguardando ad

esse

come

a modello, sia gravissima.

Ma

poich

chi opera

guardando appunto

le idee,

c' espres-

(1) O. e, p. 670, nota 1. Cfr. Tocco, Del Parm. ecc. pp. 442-43 e A. W. Benn, 1. e. passim. (2) Metaph. I, 9, 8 (ripetuto XII, 5, 4): t Xyeiv uapcceiYuaTa aura (le idee) elvai xal uerxeiv axOv xfiXXa KevoXoyetv cm k<x uexacpopc; Xyeiv TTOinriK<i<;. t fp t pYtuevov irpq t<; lac; ttoPXtcov; cfr. XI, 6, 3 o8v Spot qpeXo; o' v oaicti; Troifiauuuev iiouq, iaitep ol x elbri, et un ti<; buvauvri vaxai .p\i] uera:

P XXeiv.

76

Capitolo

IL

samente tanto nel Filebo quanto nel Timeo, ed


anzi
il

protagonista dell'azione,

il

nuioupx<g,

posto che

anche Aristotele lo ritenesse semplicemente una figura mitica, avrebbe dovuto degnarsi di dichiararlo, come fanno i moderni, poich non ad ogni modo questa una cosa tanto piana ed evidente da passare per sottintesa. Per me non ci vedo altra uscita: o il Timeo che possediamo una falsificazione (il che stoltezza pensare), o vaniloquio in questo caso si dovr dire, non quello di Platone, ma quello del suo censore.
D'altra
delle idee
,

parte

per chi

considera

la

dottrina

indipendentemente da Dio e dalla creazione quale apparisce nel Simposio e nel Fedone, la conclusione che le idee sieno xwpicrrcu legittima: soltanto un'interpretazione monca. Le idee esistono di per s fuori di noi e fuori delle cose (1), e questo dogma non trovo che Platone l'abbia mai mutato n disdetto: ai conesse non sono cetti socratici egli non ritorn nostri pensieri. E rispetto a Dio? La domanda richiede risposta soltanto quando Dio sia posto in contestazione con esse, e il dire che esistono in Dio non distrugge, ma compie l'affermazione
:

di prima, la quale alla sua volta integra

l'affer-

mazione d'ora nel senso che Dio ed il mondo perci si hanno a intendere come due cose distinte e separate Platone non dunque un pan:

tesi

(i)"La confutazione, in Pann. p. 132 B-D, dell'ipoche le idee sieno pensieri (vonuorra), solo in rapporto alla teoria della u8ei<;, ed anzi per rispondere a questa confutazione che Socrate si riduce a dire che la uBeEiq non sia altro che un eKaoGfjvat.

Delle idee
teista.

dell'origine del

mondo.

77

possibile pertanto che la constatazione

di Aristotele sia

manchevole. Se

la

vogliamo pren-

dere come piena e definitiva, la sola illazione ammissibile che si potrebbe trarre, non sarebbe mai che le idee sieno da intendere per Dio stesso, ma che Platone, a giudizio dello Stagirita, abbia

ammesso

indipendentemente dunque, del quale resterebbe da Dio, un dualismo assolutamente indimostrata la ragione e inesplical'esistenza delle idee
bile la conciliazione.

Ma

ritorniamo alla pag. 28 C.


si

Il

dilemma che

propone, se cio Dio creasse il mondo su di un esemplare eterno e immutabile, o su di un esemplare generato, per s stesso abbastanza strano. Sta bene che la risposta abbia deciso a favore dell'eterno, perch Dio buono e doveva far cosa buona, ma la risposta sarebbe
Platone
parsa pi ovvia, se avesse detto che

secondo il corno del dilemma era impossibile, perch esemplari generati prima della generazione non ne esistevano e non ne potevano esistere. Esami-

neremo pi

oltre la questione della materia,

ma

se pur volessimo

ritenere

senz' altro la

materia
e perci

come
non

preesistente alla creazione, appunto perci


si

la

potrebbe dire

generata
se

(1),

l'esemplare generato non potrebbe mai ravvisarsi


in essa

non generata. Che

ammettiamo una
,

e questa di materia informe sensibile (p. 28 B-C), questa materia informe e disordinata, questo TtXrnuueXc,, non avrebbe potuto per sua natura esser considerato come esemplare

prima creazione

(1) Di questo non si accorse il Bertini, 1. e, p. 1056, che perci ritenne paradimma generato la materia in-

forme.

78
della creazione

Capitolo

IL

neppure in ipotesi, perch l'informe non pu essere il tipo della forma, perch essere 1' esemplare dell'oril disordine non pu dine, e la forma e l'ordine appunto sono della creazione, secondo il filosofo nostro, le caratteristiche essenziali. Non che dunque questa ipotetica

materia originaria la si potesse dire un brutto esemplare, essa non sarebbe stata, rispetto alla forma, esemplare n brutto n bello, in quanto che non aveva affatto alcuna forma. Esemplare generato prima della creazione non ce ne poteva
essere.

Dire,

come dicevano
(1),

alcuni interpreti
il

cui Proclo

accenna
sia

che Platone nel porre


al

dilemma

si

accomodato

modo

volgare di
;

non risolvere la questione n si vede come un volgar modo di concepire qui possa aver luogo. Piuttosto si pu osservare eh' egli spiega l'opera del creatore con dei motivi non soltanto occasionali, ma assoluti, ch'egli ebbe di mira non soltanto la creazione primitiva, ma la
concepire,

ogni sua possibile manifestazione, anche posteriore, la creazione in quanto creazione. Chi tenga presente la teoria dell'arte svolta nel decimo della Repubblica, e come 1' arte sia da Platone vilipesa appunto perch, secondo lui, imitazione di ci che appare e non di ci che
creazione in
,

come

1'

eccellenza della cosa egli la faccia


del

suo modello (2), trover spiegabilissimo che anche qui l'eternit


consistere neh' eccellenza
e l'assolutezza dell'esemplare sieno rappresentate

come

le

condizioni assolute e perenni della bont

O. e, p. 99 D. a confronto, le parole di p. 29 B: Itaca vYKn Tve tv kohov elxva tiv; elvai.


(1)
(2)

Notinsi,

Delle idee e dell'origine del

mondo.

79

della creazione, le condizioni assolute e sempre vere in qualsiasi momento, non un motivo occa-

sionale ed esteriore.

Intesa

come l'abbiamo

dichiarata, la dottrina

platonica della preesistenza delle idee alle cose perfettamente consentanea, e nel procedimento
della creazione l'ufficio dell'esemplare,
sia

non che
:

superfluo, anzi

del tutto necessario

chi

costruisce

avere in

una nave, di necessit deve prima mente il modello della nave. N la cosa

potrebbe essere sostanzialmente diversa per chi ammettesse del mondo una concezione puramente naturalistica. Se il feto tende a quella determinata perfezione finale passando per quei determinati gradi evolutivi, ciascun grado immediatamente seguente la meta e lo scopo del

grado immediatamente precedente, e di uno in altro si passa sempre per una tendenza di finalit che, se anche inconsciente, non perci meno determinata e meno vera. Questa finalit pertanto logicamente antecedente al suo ragessa il concetto o 1' idea che giungimento

un

precede la cosa (1). Ed ecco che la dottrina platonica delle idee


sotto

un

certo rispetto

riceve di qui
preesiste
;

un nuovo
al

rincalzo.

L'idea del

mondo

mondo

per necessit logica e ontologica e se essa in Dio, poich Dio sempre allo stesso modo, di
necessit anche
allo stesso
l'

modo

idea dovr essere in lui sempre (2), e perci sar eterna ed im-

" In omnibus (1) Cfr. Thom., S. Th. I, qu. 15, a. 1 enim, quae non a casu generantur, necesse est formam esse finem generationis cuiuscumque. Conv. Ili, 4, 11. 51 sgg. (2) Analogamente Dante, " Siccome il divino amore tutto eterno, cos conviene
:

80

Capitolo

IL
di essere si

mutabile. Di tale suo

modo

tro-

vata cos una ragione plausibile. In questo senso


il pensiero e il pentornano effettivamente una cosa sola(i): ma nell'ordine logico resta sempre che il pensante antecedente, e come tale anche la

si

potr dire che l'idea e Dio,

sante,

causa prima
C|ir|KuO<g,

delle

cose

vouc, t

ttSv kxkko-

l'intelligenza

ha ordinato l'universo, dice


chiusa dell'ultimo libro

il

nostro filosofo

nella

delle

Leggi

(2),

e sono delle ultime parole che

Platone abbia

scritte.

6. Ci posto, se

non
dere,

si

Dio sempre ad un modo, pu concepire un mutamento n nel suo

intendere, n nel suo volere.

Non

nel suo inten-

dunque egli deve aver pensato il mondo ab aeterno, donde l'eternit dell'idea; non nel suo volere, dunque ab aeterno egli deve averlo voluto. Deve egli dunque anche averlo creato ab aeterno Se il nuioupYq, argomenta Proclo(3), sempre ad un modo, non possibile ammettere che ora crei, ora cessi dalla creazione
:

se

crea sempre, sempre anche deve essere

il

creato.

perch, dopo essere stato in ozio tanto tempo, mette un bel giorno a creare ? Forse perch ora gli pare meglio cos ? E perch non gli pa egli produce reva prima ? E il Bertini (4) le
si
:

idee e

le

cose, in quanto pensa s stesso

come

sia eterno

lo suo oggetto di necessit, sicch eterne cose sieno quelle ch'Egli ama.
(1) Cfr.

Bertini,

1.

e, p. 1069.
Cfr.

(2) XII, p.
(3)
(4)

966 E. O. e, p. 88 C. O. e, p. 1069.

Lutoslawski,
111D-112.

o.

e, p. 513.

Cfr. pp.

Delle idee e dell'origine del

mondo.

81

imitabile e rivelabile e ritrae di fatto s stesso


in

qualche

modo

nella materia, e

si

rivela alle

menti: e a pensarsi rivelabile e comunicabile, e a rivelarsi e comunicarsi di fatto egli spinto,

come
bont.

ci

dice

Platone,

unicamente

dalla

sua

Or potremo noi ammettere che ci sia stato un momento in cui egli fosse pensiero che non pensava, bont che non agiva? E dovremo
allora dire chie
il

mondo

eterno al pari di

Dio ?

Timeo
cipio, p.

ci

dice

28

espressamente che ebbe prinperocch visibile e tangibile

e avente

Or non ci in contraddizione con quanto abbiamo ragionato? Si pu osservare che il mondo, a differenza della sua idea,

corpo.

non procede da Dio , ma diventa. Dio


il

ma

da lui generato,

non

l'essere

immutabile sempre;
si

mondo

il

divenire

che

muta continuaprocede

mente; quello
nel
:

sta nell'eternit, questo

tempo or male pu dirsi coeterno a Dio, che sempre , ci che tutt'al pi tende all'essere, ma effettivamente non mai e sempre diventa. L'eternit non ha principio: ma il tempo, secondo Platone, ebbe principio appunto col mondo, perch col mondo cominci il moto e i suoi periodi; e il tempo anch'esso immagine,

come

il

mondo
;

delle altre idee, cos esso della


,

la misura di Dio quello la misura delle creature, e insieme la cagione, la forza e il principio della proporzione e dell'ordine che mantiene tutte le cose (1). Perci par-

eternit

questa

lare di

senso, e

tempo anteriore alla creazione non ha non ha senso parlare di prima e di poi,

che sono appunto determinazioni di tempo.


Plut. Quaest. Piai. Vili,

(1)

4, 4.

82

Capitolo II.

In sua eternit, di

tempo

fuore,
:

dice Dante, Par.

XXIX,

16 segg.

Fuor d'ogni

altro

comprender, come

piacque,

S'aperse in novi amor l'eterno amore. N prima quasi torpente si giacque, Che n prima n poscia procedette Lo discorrer di Dio sovra quest'acque.

Altro

e Proclo (i)

dunque l'eterno, bene distingue

altro

il

perpetuo,

ci che tutto in-

sieme e ci che si distende nella totale continuit del tempo. E Boezio pi ampiamente e pi chiaramente di tutti illustra queste differenze,
e difende

Platone dall'accusa di fare

il

mondo
spiega-

coeterno a Dio (2). Possiamo noi accettare senz'altro


zione di Boezio
?

la

Il

anche un'anima, e anche quella dell'uomo,

mondo, secondo Platone, ha l'anima, non che la cosmica,


si

afferma in molti

altri

luoghi dal nostro filosofo esser sempre esistita

(3).

t xpovixv xotl fiXXo t b Tfj Xr) auve%i{q. to0 xP^vou 0uveKTeiv|uevov xal fiTretpov, kcc t \xbi v ti vOv, t v iaaTdaei, t\c, iaaTdaeux; KcnraXriktou TUYxavooriq Kai del Yifvo)avr|^ " non recte quidam qui, cura (2) Phil. Cons. V, 6: audiunt visum Platoni mundum hunc nec habuisse initium temporis nec habiturum esse defectum, hoc modo t
'

(1) O. e, p. 73 C: flXXo Y<p t dei t |av Gpuuq ttSv Sv, alii'viov

conditori conditum mundum fieri coaeternum putant. Aliud est enim per interminabilem duci vitam, quod mundo Plato tribuit, aliud interminabilis vitae totam pariter complexam esse praesentiam. E pi oltre: Itaque, si digna rebus nomina velimus imponere, Platonem sequentes Deum quidem aeternum, mundum vero dicamus esse perpetuum. Cfr. August. De civ.

Dei, XII, 16:


(3)

Thom. S.

77. I,

qu. io, a.
p.

1.

Phaedr. p. 245D; Meno, de Rep. X, p. 611 A.

86 A; Phaedo,

p.

106D;

Delle idee

dell'origine del

mondo.

83 a ci

L'anima appartiene

al

genere

intelligibile,

che . Ma 4'anima pur parte del mondo. Or se l'anima fu sempre, non vale per essa la spiegazione del principio logico in confronto del croci che , non ha principio di sorta. Eppure Timeo ci rappresenta, nonch la creazione del mondo, anche la creazione delle anime, il principio dunque dell'uno e delle altre. E tutto ci una veste mitica, come voleva Plutarco? (1) Lo Zeller, tutto bene considerato, si decide a rite-

nologico

nerla per tale

(2). E per ci che spetta all'anima, questo non offre una difficolt insuperabile. quel modo che nel famoso luogo del decimo della

Repubblica Dio rappresentato come il creatore anche delle idee, qui pu essere rappresentato

come
altro

il

creatore

dell'anima. Si

pu rispondere

bens che altro una frase irrazionale staccata,

una concezione distesa


espresse felicemente
:

e particolareggiata;

e la conclusione sar che Platone in questo luogo

non

si

gazione accettabile.

Ma

ad ogni modo la spieil corpo ? Se tutto il

fondamento
ci che ci che

di

questa speculazione consiste nella


s e
ci

distinzione tra ci che e ci che diviene, tra


per

che ha una causa, tra


e ci che ha principio,

non ha principio

quando ponessimo il mondo coeterno a Dio, non equivarrebbe questo a distruggere questo fondamento ? Basta una prima riflessione per rispondere che no, purch teniamo l'altra distinzione
affermata di sopra tra
ci

che sempre e ci

che invece sempre diviene.

Ma

essendo

il

mondo

(1)

(2)
1.

procr. 5. O. e, pp. 791 sgg.; ibid. pp. 834-35. Cfr. Bertini, e, p. 1005.

De animae

84

Capitolo li.

un composto di corpo e di anima, l'unione in un tutto di questi elementi di opposta natura


possibile? S, e a fortiori, se possibile nel-

l'uomo.

La

perennit

infatti

del

mondo

coinci-

derebbe cos con


tal

l'eternit della

sua anima. Per

modo

dal porre Platone l'anima

come sempre
sufficente

esistita, si ha,

non un

ostacolo,

ma un

argomento per ritenere eh' egli ponesse come sempre esistito anche il mondo, secondo la interpretazione che dava Senocrate alla teoria del
maestro, contro Aristotele, che
di
gli

rimproverava

aver negato

al

mondo

l'eternit.

*-

CAPITOLO
Dello spazio

III.

e della materia.

Sommario: i. Concetto dello spazio secondo il Timeo. 2. Sue caratteristiche. 3. La generazione e


gli
5.

elementi primi. 4. luogo del Filebo. materia.

La materia

originaria.

Un

6. Il

movimento

della

1.

Tutto ci che
il

visibile

generato;

mondo

o altrimenti sensibile nostro visibile e sensibile;

quindi generato. Questo afferma Timeo esplicitamente innanzi ad ogni altra cosa fin dal principio del suo discorso, p. 28 B-C. Ma poco dopo,
egli come e perch Dio mondo, quanto era possibile, buono, soggiunge che assumendo quanto v'era di visibile, che non posava ma si moveva confusamente e disordinatamente, lo condusse dal disor-

a p. 30 creasse

A, esponendo

il

dine all'ordine, reputando questo del tutto migliore di quello. La stessa cosa ripete a p. 69 B ed
;

a p. 48

parla di fuoco, acqua, aria e terra e mutazioni prima della generazione del di loro

mondo.

Come
?

si

concilia ci

con

la

prima

af-

fermazione
Fkaccakoli,

II

Timeo di Platone.

86

Capitolo III.

A p. 49 A ai due elementi prima toccati, l'esemplare e l'imitazione, se ne aggiunge un terzo, quello in cui
Ma
c' dell' altro.

della creazione

creazione o generazione, cio il prodursi dell'imitazione, ha luogo, il substrato dunque, che


la

Platone

chiama appunto Troc-xn (pp. 49 A e come nutrice, olov TiBrivri (pp. 49 A e 52 D), 5 1 A) e e pi oltre KuctYeiov (p. 5 Q, e P oi madre, unjrip (pp- 50 D e 51 A), e poi xwpa (p. 52 A), e poi(i)eEauevn (pag. 53 A), il quale elemento
espressamente dichiarato
dvpcxTOv
elbc, ti

invisibile
1

informe

ko\ duopcpov (p. 5

A).

Or pu

questo elemento, dichiarato qui espressamente invisibile, corrispondere a quello che a p. 30 A N dichiarato espressamente visibile, paxv?

la difficolt e la contraddizione

si

limitano

al vi-

sibile e all'invisibile.

Quel

visibile

che a

p.

30

A
la

preesisteva alla creazione, si moveva (cfr. p. 53 A); e nel Fedro (p. 245 C) detto (2) che l'anima
e ci che
si

muove per
si

virt

propria sono

stessa cosa, che ci che

muove per

virt propria

non cessa mai


steva

di muoversi, quindi immortale,

e per ci l'anima di sua natura immortale. Esi-

dunque un'anima immortale anche prima


?

della creazione

ci basta

quel substrato

che a
bile e

p.

50 D e a p. 5 1 A amorfo, a p. 52 D diventa irrigato e affa assolutamente invisi-

ti)

L'Hermann

e I'Archer-Hind preferiscono la forma

normale

beEajivn, sebbene di pochi codici, perch beEaiaevn in Critia p. 117 B non significa altro che cisterna. Non so convenire : beia\xevr\ sar benissimo cisterna, la parola tratta dall'ufficio che la cisterna compie di

ma

ricevere in s qualche cosa; eHauevn. perci pu essere benissimo qui una parola figurata come ufyrrip, TiGfivn.,
xiacrfetov.
(2)

Cfr.

Legg. X, pp. 895-97.

Dello spazio e della materia.

87

cato ed ha assunto le forme dell'aria e della terra, ed a vedersi svariatissimo (iravTobaTrfiv uv eiv
<paiv0"9ai),

si

muove disordinatamente
inteso,

prima di quell'atto creativo che Timeo ha impreso a descrivere. Come si dipana questa matassa ? Il concetto genuino e fondamentale di questa
tutto ci,

bene

speculazione ragionevole cercarlo non negli accenni indiretti ed occasionali,


di proposito di

ma

dove

si

parla

questo terzo elemento della creazione, cio a pag. 48 E e segg. Che cosa questo terzo elemento ? la materia? o lo spazio ?

il

io

spazio, rispondono
il

lo

Zeller,
l'

il

Jowett,
,

Chiappelli,
il

Windelband,
il

Archer-Hind

il

Natorp e altri molti: la materia originaria, rispondono l'Ueberweg (1), che ammettono inoltre il quale pur tra coloro una materia secondaria, il Gomperz (2), e altri parecchi. Infinite poi sono le questioni sul contenuto del vocabolo materia; chi la intende press'a poco nel senso nostro, chi la spoglia delle
Benn,
Lutoslawski,
sue qualit e
si

la

accosta

al

concetto di spazio, chi

ferma a un dato punto tra questi due estremi. Vediamo ci che dice Platone.
Il

mondo

del
:

e nello spazio

fenomeno del tempo

si

manifesta nel tempo


era parlato
;

si

conve-

niva ora provvedere alla seconda condizione. Eb-

bene,
sere,

il

essere un'

tempo detto espressamente (p. 37 D) immagine dell'eternit, e quindi dell'estutte le altre cose
;

analogamente a

lo spazio

invece col concetto di essere non vi era

modo

alcuno di collegarlo. Anzi mentre l'essere nel-

(1) (2)

O. e I p. 199. O. e, pp. 484 e 606.


,

88
l'eternit

Capitolo III.

il

divenire nel tempo, e

qui

c'
il

analogia, viceversa l'essere


nel nostro

non

in luogo e

divenire in luogo, e qui v' opposizione.

Ma

mondo fenomenico una cosa o in qualche luogo o non affatto bisognava dunque per il mondo del divenire ammettere questo terzo elemento in cui tutte le cose trovino luogo. E questo appunto lo spazio, il contenente (xwpa), quello che offre la sede a tutte le cose (p. 52 A), la recettrice, la nutrice delle cose, perch ap:

punto come

la nutrice che riceve il bambino tra le sue braccia, la madre infine. E dicendo madre questo elemento, non si modifica, ma si ribadisce anzi e si determina con maggior precisione il

concetto di spazio, in quanto che si ritenesse dalla scienza d'allora, che la madre nella generazione non cooperasse se non soltanto col dare
il

schile,

luogo acconcio al germogliare del seme macome appare dalle Eumenidi di Eschilo, dove appunto per questa considerazione Oreste viene assolto (1). Come la madre, cos lo spazio
prettamente
la similitudine

passivo,
della

data quella dottrina,

madre importa anzi l'esclumateria dal concetto di questo sione assoluta della elemento. Interpretando rettamente le parole e i
contesti in cui sono usate
si

vedr che veramente

Platone non merita per questo concetto quell'accusa di incoerenza e di contraddizione che molti gli appongono o sono disposti a concedere si possa
apporgli. Dal concetto di xuJpcc la materia nel

si pu (1) Che anche Platone tenesse questo per vero argomentare altres dal suo modo di esprimersi a si p. 50 D, dove il padre quello da cui (89ev) il figlio

genera, la

madre

quello in cui (v &)

si

genera.

Dello spazio

e della

materia.

89

Timeo sempre
nella xwp,

ma non

esclusa (1): essa entra poi bens fa parte del suo concetto.

questa idea, pi negativa che positiva, ancora il nostro pi oltre (pag. 51 A) dicendo che questa madre e recettrice di tutto ci che si genera di visibile e in generale di sensibile non n terra, n aria, n fuoco, n acqua, n alcuna cosa composta di queste, n
su
insiste

altra

il che, se sta da cui queste derivino bene per il concetto di spazio, vuol dire ancora
;

chiaramente e necessariamente che senso nostro qui "di materia nel affatto da eliminare. N c' da risalire ad elementi pi sottili, pi immateriali, ad elementi no, anche questi sono esclusi degli elementi categoricamente: ur|T E wv tauta yTOvev. Le e specie elementari v'entrano dentro pi tardi
altrettanto

ogni concetto

son gi. Ebbene, ivi detto a pag. 57 B-C espressamente che queste specie sono scosse per ol Tnv Tf.c, exoil movimento della recettrice, esse sono dunque il contenuto e uvric, Kivriatv la exouvn. il contenente, contenuto e contenente espressamente rappresentati come due cose
vi
:

necessariamente diverse. Se il contenuto dunque materia, materia il contenente non pu essere. N ci basta questo contenente, soggiunge ancora, una specie invisibile e amorfa, cio non
:

una forma determinata, ma assolutamente senza forma alcuna, neanche indeterminata, o indefinita, o mutevole, o confusa,
solo senza

similitudine dell'oro di p. 50 A non importa che anche la x^P a sia un sostrato materiale: vedi la nota a questo luogo, e cos 'pure quella alla parola Kuayetov di p. 50 C.
(1)

La

affatto

90

Capitolo III.
affatto,

senza

tanto senza, che non percepibile

dai sensi,

come afferma

Hind

illustra

a p. 52 A-B. L'Archerquesto luogo con un esempio molto

Prendiamo, egli dice, per esempio, una palla di bronzo. Ciascuna delle qualit che appartengono al bronzo noi sappiamo che do-

calzante.

vuta all'imitazione che informa


tanto per trovare la uttooxh
l'uno

la

TTOoxn: perastrarre

dobbiamo

che appartengono al bronzo. Quando poi questi sono eliminati, che cosa rimane ? Uno spazio sferico assolutal'altro tutti gli attributi

dopo

mente vuoto

(1).

D'altra parte

quando Timeo viene

a
lo

parlare

dell'ordine, che rappresentato

come

scopo

della creazione, quest' ordine egli

scere subito dal nulla,

il

non lo fa navuoto non viene riem-

pito dalle cose ordinate

ma

dice espressamente

che l'ordine tratto dal disordine, e anzi da un disordine visibile (p. 30 A). Ora ci che visi-

pure disordinata: non pu avente forma essere affatto quella specie invisibile e amorfa di cui si era parlato, e questo
bile,

ha forma,

sia

dunque questo

visibile

Per

la contraddizion

che noi consente.


di

Dunque

il

disordine
la

visibile

necessit

im-

amorfia di prima sia stata fecondata, importa, come vedremo, una prima geneporta che
razione.
2.

Ma

caratteristiche

consideriamo un po' pi da vicino le che Platone attribuisce a questo

(1)

Sulle deficenze di questo paragone, che I'Archeroltre. Cfr.

Hind per primo riconosce, veggasi pi


Zeller, op.
cit.,

anche

p. 743.

Dello spazio

e della

materia.

91

elemento. Esso, dice, non ammette in s corruzione, p. 52 cpOopv o Trpoaexuevov. E come potrebbe infatti perire o venire a corru-

zione lo spazio

mente

dire della materia;

trebbe dire in che uT(x\au{3vov TTO-punai


3

Questo non si potrebbe ugualn della materia si poalcun modo, mentre dello spazio s,
?

irn

ucraXuiTTaTO-v (pag. 51 A), e di

nuovo

toO votitoO kc (pag. 52 B)


visibile

U6T vaxoQr\aia<; irrv \oyio"juuj


ttio*tv (1). Infatti lo
le

rivi v0iy, uyic,

spazio

non n
le

come

un concetto pi negativo che positivo, e si pu dire in un certo senso, che quando pieno non esiste, e quando vuoto non nulla. diverso dalle idee, perch le idee non sono in luogo, perch le idee sono sostanza che veramente , mentre la socose, n intelligibile

come

idee:

stanza allo spazio negata.

diverso dalle cose,

perch le cose entrano bens nello spazio, ma poi continuamente vi periscono, mentre lo spazio resta sempre. Noi che viviamo nella illusione del mondo
sensibile, ci

immaginiamo, come

si

gi osser-

vato, che condizione necessaria dell' esistenza sia

essere in qualche luogo ma effettivamente questa condizione all'essere non conviene punto,
l'
;

anzi
le

all' opposto parvenze, non

in
le

luogo sono
essenze.

le

cose, cio

se le essenze

soltanto,

come

s' detto fin

essere oggetto del ragionamento, oggetto suo


spazio.

da principio, possono non


lo

potr essere dunque, rigorosamente parlando, lo

Ma

poich oggetto dei sensi

spazio

pu essere anche meno,


illusorio delle cose,

e d'altra parte
le

meno

perch appunto

cose pas-

(1) Cfr.

le

note a questo luogo.

92

Capitolo III. lo spazio resta

sano e
dibile,

in

quanto esso appren-

non pu essere apprendibile che dall'inmalamente s, ma pure in qualche telligenza,

modo
all'

questa sua partecipazione che minima e imperfetta, anche difficile a determinarsi ed il ragionamento, di cui esso oggetto, illegittimo ed illusorio. Vero infatti che lo spazio condizione necessaria del mondo del divenire e sotto questo rispetto se noi pensiamo che le cose non possono essere che in luogo, pensiamo rettamente. Infatti, poich nel fenomeno l'immagine delapprendibile.
intelligibile, oltre
:

l'idea

o dell'essere,
uGeEis), affinch

ma non
la

l'essere

(uiuncnc;,

non

cosa generata sia effettivamente qualche cosa, c' bisogno di qualche e che le percosa cui essa possa afferrarsi
,

metta l'esistenza, e questo lo spazio, appunto perch esso non transitorio, ma permanente. Ma lo spazio non un' idea, o non tale nel senso

scopriamo con un procedimento analogo a quello per il quale conosciamo


platonico
idee,
;

noi

lo

le

ma

idea non

Perci noi

ci

illudiamo,

crediamo di averne una conoscenza, vncric,, mentre appena ne abbiamo una persuasione, tto"ti<; esso non per sua propria natura un conoscibile vonrv ma un opinabile, o-

quando

Haaxv

(i).

L'Archer-Hind
alla palla

continua ad osservare:
vacuit.
le

poco fa citato dunque rispetto del bronzo in conclusione una sfera di Ma supponiamo ora, invece di astrarre
infatti

nel luogo

L'ttooxii

qualit del bronzo solo, di astrarre quelle del-

(i) Cfr.

ancora

la

nota a p. 52 B.

Dello spazio

e della

materia.

93
;

avremo l'universo e di tutto il suo contenuto una vacuit che si estende quanto l'universo. Ora osserviamo la differenza: della sfera vuota noi possiamo parlare come di qualche cosa, perch
essa l'intervallo chiuso tra
circostante
;

limiti

dell'aria

ma

la

vacuit universale non c' nulla

che la limiti, non c' nulla che sia in contrasto con essa in modo da differenziarla: essa vacuit indefinita. Sar dunque lo spazio nulla affatto, e semplicemente una concezione logica astratta, come l'Archer-Hind ne inferisce ? Lo spazio, continua, non pu sussistere indipenden-

temente dalle cose che contiene, come il tempo non pu sussistere senza gli eventi che lo misurano. E il ragionamento calzante; la sua conclusione per altro non credo renda il pensiero il tempo diviene sempre, lo spazio platonico rimane sempre, e questa differenza sostanziale. Pare pertanto che tra spazio e materia sia da mantenere una distinzione capitale. L'idea ci che , la materia ci che non , il mondo corporeo di mezzo tra ci che e ci che non , tende al:

l'essere,

ma non

lo

pu raggiungere

lo

spazio in propria-

vece, se vogliamo credere a Platone,

non

mente ci che non , anzi quello che offre a ci che non un punto di appoggio per tendere all'esistenza, ha una natura sua particolare, difficile
a definirsi:
al

pur sottratto

al

divenire, al passare,

mutarsi, esso serve ci

tarsi,

sede o substrato al e perci evidentemente perde ogni significato col dove non si d pi n divenire, n mutarsi, n passare (1).
Natorp,
c, p. 354.

non pertanto come di divenire, al passare, al mu-

(1)

o.

94

Capitolo III.

un'altra

osservazione

cade

in

acconcio a

questo proposito. Nel


tecipazione (i) per
le

Timeo

la teoria della par-

idee non solo abbando-

nata e sostituita da quella della imitazione,

come
la si

abbiamo veduto, ma la si adopera invece e sfrutta per un altro rapporto. Aristotele (2),
ci rettamente,

e in
i

come sinonimi

di Trooxn, usa
:

termini
6eic,

ueGeKTiKv e ueiaXriTrnKv

una u-

tra la
la

per altro che ha luogo non pi in rapporto generazione e l' idea, ma in rapporto tra
lo spazio.
Infatti a pag.

generazione e
il

49

detto che
vetfeujc,.

terzo elemento Trooxn nar\q fe la ^veCic,?

Ora che cosa

Se

la

definissimo

per l'entrare dell'immagine dell'idea nello spazio, sarebbe ci conforme alla dottrina platonica?
3.

Ma

la

questione della -fveai^ strettamente


della materia.

legata a quella

Vediamo dunque

che cosa
il

sia

la

materia.

essa l'acqua, l'aria,

non sono dell'universo, 48 B), n gli elementi primi n secondi, e non possono paragonarsi n alle i lettere e neanche alle sillabe come elementi della primi principi delle parola. Il primo principio o cose Platone dichiara che non dir quali sieno, e perch e perch sono difficili ad esprimersi egli stesso non si crede capace di arrivarci (p. 48 C); e di questa dichiarazione pur giusto tener conto, che 1' interprete di Platone ha da spiegare e non gi da addottrinare il maestro.
fuoco, la terra? Questi dice

Timeo

(p.

(1) (2)

Cfr. nota

p.

52 A.

Phys. IV,

2, 5.

Su questo luogo ritorneremo

pi

oltre.

Dello spazio e della materia.

95

rimettendo a pi oltre il il risalire agli elementi costitutivi di terra, acqua, aria, fuoco (i quali non saranno altro che forme geometriche elementari), qui intanto, senza risalire ancora a questi elementi, seguendo il discorso probabile e procedendo per analoga, si accinge a dimostrare che terra, acqua, aria e fuoco, quali noi li percepiamo, non sono ci che veramente terra, acqua, aria e fuoco, ma semplicemente stati e apparenze della materia, tanto vero che il congelamento e la fusione, l'evaporazione e la combustione fanno s che le dette specie si trasformino l'una nell'altra o ritornino eventualmente anche a quella -di prima. Dunque effettivamente e veramente terra, acqua, aria e fuoco non sono quelle cose che percepiamo in tale stato, ma quelle essenze di cui queste non sono che l'immagine transitoria, essenze in s costanti e corogni
tentare questa questione e

Ad

modo Timeo,

rispondenti

rispettivamente alla definizione di ciascuna di queste specie. Ora con questo che
si

vuol dire
nel

Nel notare

la transitoriet di questi

stati

mondo fenomenico,
(p.

addotto l'esempio

50 A), appunto come qualit analogamente transitorie nelle cose e analogamente perenni in s stesse. Ebbene, da ci
del bianco e del caldo
chiaro che Platone, distinguendo anche per le

quattro specie

il

fenomeno

dall'idea

(1),

il

par-

ticolare dall'universale, intendeva porre le dette

quattro specie elementari


tutte le altre cose,

nello stesso conto di escludendo cos che potesse

in esse vedersi alcun altro principio materiale

da

porre accanto agli

altri

elementi ch'egli aveva

(1) Cfr.

anche

p. 51 C, e

Chalc. Comment. 272.

96
gi indicati
si

Capitolo III.

come

costitutivi dell'universo, o

potesse di esse

fare scala

risalire

che ad una

materia per cos dire immateriale e primitiva.


quattro specie elementari insomma, quali noi

Le
le

percepiamo nel fenomeno, non sono


qualit, la terra ci

altro

che

che solido, l'acqua ci che liquido, e cos via, e sotto questa apparenza, non gi come sostanze speciali, Platone le
considera costantemente in questo
le

idee corrispondenti saranno

dunque

dialogo (1): in conclu-

sione la solidit, la liquidit e cos via.

Una

sola differenza da tutto ci risulta tra le

quattro specie elementari e le altre cose:


e per qual

come

mezzo

del

bianco e

del

caldo che

sono nel
il

caldo del

mondo delle idee si faccia il bianco e mondo nostro, Platone non dice;

come invece a terra, acqua, aria, fuoco idee corrispondano le rispettive specie sensibili, egli ce lo chiarisce e questo avviene, secondo lui, per mezzo di delimitazioni geometriche raffigurate in quali tutti quattro dei cinque solidi regolari i hanno origine dal triangolo. Ci, osserviamo di passaggio, non che un'applicazione particolare di quella dottrina ultima di Platone, che ammette che mediatori fra le idee e le cose siano i rapporti matematici, di che toccheremo anche pi oltre. Ebbene, questi solidi elementari sono rappresentati da Timeo come vuoti, il che parve agli interpreti una difficolt e un controsenso enorme ed insuperabile, mentre torna perfettamente consentaneo con tutto il resto di questa concezione
;

queste figure non sono altro che limitazioni dello

(1) Cfr. p.

49 D, dove riferisce

alle quattro
II,

nomeniche

il

t toioOtov- Cfr. capit.

3,

specie fepp. 56-57.

Dello spazio

e della

materia.

97

spazio, esclusa affatto la materia,

appunto perch
(1).

per Platone
Il

la

materia ci che non

ragionamento di Timeo dunque, non gi ad affermare, ma tende piuttosto a negare e impugnare ogni elemento materiale (2). Si poteva inda chi guarda all' ingrosso ritenere che fatti
,
,

mero fenomeno nel mondo sensibile fossero le altre qualit, come il bianco e il nero, il ruvido e il liscio e cos via, in quanto sono predicati,

ma

quelli

che qualche cosa di pi sostanziale fossero che comunemente si dicevano i primi elementi delle cose. Invece no, elementi primi non sono ma fossero anche, nella contingenza del
;

nostro non sono altro che fenomeni essi pure, apparenze, immagini: sono immagini che entrarono nello spazio, sono prodotti della ge-

mondo

nerazione

e che terra, acqua, aria, fuoco sieno generati e creati da Dio, detto espressamente
;

anche nel Sofista (3). E meglio del ragionamento di Timeo esclude l'esistenza della materia originaria la necessit logica. Secondo la distinzione fondamentale posta
fin

da principio, nulla pu
la

esistere se

tolo di essenza o a titolo di generazione

non a tidunque
:

materia originaria esisteva a titolo di gene-

(1) Cfr. la

(2) Cfr. Sopii, p.

nota a p. 54 E. 246 B-C, dove

si

mettono pure in

opposizione le due scuole, quella che riconosce la ooia nelle cose e quella che la nega loro per darla alle idee, e di questa detto che t b xeivtuvawiuciTC kcx1 xt\v Xeyouvnv it' citOv \f\Qe\av k<jt auiKp ia0paovxeq v to; Xyok; yveaiv vt' ouaia<; qpepouvnv Tiv irpoacrropeouaiv. i*}iLieTq uv trou Kcrt tSXXo ZOa kci il wv (3) Pag. 266 B t irecpoKT' ari, TrOp Kai Oaip cal x totuuv eXqpd, GeoO Yevvruuara irvra fauev ax TreipYaauva gxaOTa.
:

Fkaccaroli,

II

Timeo di Platone.

q8

Capitolo III.

razione, e allora ha avuto principio; o esisteva a titolo di essenza, e allora nell' ordinarsi non si

miglior,

stenza sostanziale e vera

decadde, perch a quella prima esisi sostitu questa apparente e fittizia; ci che era divenne, ci che era divenne proprio eterno si mut in temporale essa stessa, mutando natura, non gi che se ne
;

ma

facesse un'immagine,

come

nel caso delle idee;

il

che assurdo a pensarsi.

tutto ci di una materia informe come prima della creazione dell'ordine si parla pi volte da Timeo, ed ammessa senza contestazione: dice egli anche per altro, riassumendo a p. 52 D ci che avea prima esposto, che anche

4.

Con

esistente

prima che

il

mondo

fosse generato

v'erano tre

cose, l'essere, lo spazio e la generazione; v re Kd xwpav Kcd Tvecfiv eivai, ipia xpixrj, kc Ttplv opavv Tva9ai: le quali parole, se hanno da

avere un senso (1), non possono significare altro se non che anche prima che fosse generato il

in Pla(1) Il Tocco in un breve saggio Delia materia spiega tone, in " Studi ital. di filol. ci. IV, pp. 1-5 queste parole per " i'ente o l'idea, lo spazio, e la (nu,

trice o
veai<;,

io

madre di ogni) generazione intendendo fcome a p. 49 A, per Tienvn. ttoik Tevaeux;, il che non capisco come si possa dire. La nQr\vx] Timeo ci

dice essere precisamente la X^pa, e la xwpct distinta v, dalla Tveau; allo stesso modo che distinta da t cio xpia xpixr). il che esclude che si possano intendere xwpct e -(veaic, per due determinazioni di una cosa sola, come il Tocco vorrebbe, quando anche t v non pu intendersi allo stesso modo. N trovo contradictio in

intendere alla lettera Yveou; Ttplv Yva6oi, in generale, ma determinato e limitato alla generazione del cosmo, irpiv opavv Y va9ai.
adiecto
nell'

quando ytvodax non detto

Dello spazio

e della

materia.
altre cose.

99

mondo

erano state generate

La

gene-

razione infatti essendo il mezzo che d origine al divenire, e quindi essenzialmente operazione,

non pu

dirsi in

alcun

modo
il

che

sia

prima di
il

operare. Crede, vero, lo Zeller che per yvecriq

Platone intendesse

non

divenuto,

ma

dive-

nente in abstracto (1), e che secondo questo concetto il divenente potesse dirsi che era anche prima ch'esso fosse pervenuto all'effettivo divenire. Ma io non so trovar modo di spiegarmi
questa affermazione evitando
in termini.
la

contraddizione

Vogliamo
il

dire che, a quella guisa che,

per esempio,

principio volitivo precede logicail

mente

le

volizioni, cos
la

principio
:

generativo

generazione ? Sia pure ma se per generazione intendiamo la potenza di generare, che questa potenza esistesse prima dell'atto, cosa tanto ovvia, che dovea parere persin ridicolo di affermarla; se poi intendiamo che esisteva la potenza di essere generato, da questo a
precedette
dire che
il

poco

ci

corre.

mondo esisteva anche prima di esistere La contraddizione dunque non si


le

elimina

che a patto di intendere

parole di
:

Timeo
la

anche prima che fosse generato questo mondo, esisteva


nel loro senso pi piano e naturale

generazione; cio l'ordine di questo


il

mondo

non stato Troviamo


in cui lo

primo atto creativo. infatti una serie di luoghi nel Timeo spazio non rappresentato pi come
pieno di elementi materiali died anche cos fecondato

vuoto,

ma come

sordinati

e disformi,

" er unter der Y^veaiq (1) Op. cit. , p. 730, nota 1: nicht das Gewordene verstand, sondern das Werdende in abstracto.

ioo

Capitolo III.

esso pu sempre continuare a chiamarsi balia e nutrice di tutte le cose, xpoqpt; kc Ti9n.vn tou
Travi? (p. 88 D).

qui

si

noti

come
il

la

xwpa

sia
la

dunque

il

mezzo comune per


si

quale anche

prima generazione

afferra all'essere,
la

appunto

come

la

seconda.

Giusta

prima teoria delle

idee, le cose acquistavano l'esser loro dalle idee che penetravano in esse escluso adesso il pas;

saggio delle idee nelle cose, negata perci

alle

cose ogni esistenza razionale, e intesa la u9eic; nel solo senso di uiunriK;, alle cose bisognava trovare un altro punto d'appoggio, e questo fu ora di questo punto d'appoggio lo spazio (i)
:

pu giovarsi anche la materia informe, mentre non avrebbe potuto, restando informe, giovarsi
dell'idea,
in
la

forme con
in

quanto che forma non

l'idea forma, e
in partecipazione,

l'in-

ma

opposizione.

Ci posto, vediamo come lo spazio si feconda. dice Timeo continuando al luogo citato dice cio (p. 52 D) che la nutrice della generazione, irrigata e affocata e ricevendo in s anche le

Lo

forme della terra e


altre passioni

dell'aria

(cio fecondata di

tutte e quattro le specie elementari)

e tutte le

che a queste conseguono, appariva a vedersi svariatissima, e poich era piena di potenze non uguali n equilibrate, in nessuna parte di s stava in equilibrio, anzi disugualmente sobbalzando era scossa essa stessa da loro, e moven-

Windelband, Platon, p. 90, ritenendo il mondo " una mistura delle idee con lo spazio vuoto non solo identifica lo spazio col non essere (cfr. per altro ibid. pp. 108-9), ma ammette ancora il passaggio
(1) Il

corporeo

delle idee in luogo, il che in contraddizione con le esplicite dichiarazioni del nostro dialogo.

Dello spazio

della materia.

101

dosi alla sua volta le scoteva. Lo spazio dunque riceve in s la materia spazio e materia anche qui
:

sono dunque incontestabilmente due cose. L'immissione della materia nello spazio appunto la
generazione,
la

prima generazione, e nell'essenza

diversa dalla seconda. Nello spazio infatti vediamo entrare le quattro specie elementari, cornee detto espressamente; ora noi sappiamo che queste specie si riducono a deli-

sua non pu

dirsi

mitazioni matematiche: terra, acqua, aria, fuoco per entrare nel mondo nostro assumono le forme
dei quattro
noti poliedri, e del resto
sensibili
di

non sono

che immagini
eterne e
si

idee

corrispondenti

intelligibili.

questo punto mi pare non

sia

La

posta dagli interpreti attenzione sufficente. corrispondenza delle quattro specie ai quattro

poliedri data

come

assoluta, e

non

c' appiglio

per inferire che sia limitata

alle

condizioni del

nostro cosmo. Ora se detto altrettanto espressamente che la xwpa prima dell'ordine avea ricevuto

forme di queste quattro specie (p. 52 D), per quanto queste potessero essere confuse e
in s
le

disordinate, esse erano di necessit delimitazioni e determinazioni numeriche. E che altro era

questo se non un primo passo coordinato verso la generazione seconda? Ritenendo poi la fecondazione della x^pa appunto come una prima generazione, si eliminano
o

attenuano anche delle altre gravi difficolt. tutto quella del moto. Questa mad'i ora teria, di cui la x^pa si feconda, si muove
si

prima

se invece di essere generata fosse

sempre

esistita,

vorrebbe dire che si muove da s; ma ci che si muove da s l'anima; dovremo dunque inferire che oltre la materia originaria prima del

102

Capitolo III.

mondo
naria?

esistesse anche un'anima informe origiDi ci discorreremo pi oltre; qui intanto rispondiamo che, essendo essa frutto di una generazione, questa materia originaria non si muove, ma mossa. Essa infatti nel Timeo non comparisce se non quando entra nella X^pa; da s ^

sola

non

esiste;
la

e nella xwpct effetto della ge-

nerazione, e

generazione essenzialmente dicreatore Il venire, e divenire muoversi. dunque, generando la materia, le ha impresso

il

moto?

ci

si

possono fare delle gravi obiezioni

prima di vederle per altro torniamo un po' indietro a studiare la genesi di queste concezioni;
la loro

storia ci potr dar

lume ad

intenderle.

5. Nel Filebo (i)

troviamo una teoria molto


pi embrionale e

analoga a questa,
fetta.

ma
16

meno

per-

Fino da

p.

di

questo dialogo

affer-

(i) Sulla posizione di questo dialogo nella cronologia degli scritti platonici si dissente molto dai critici. Lo Zeller lo ritiene anteriore alla Repubblica; posteriore lo ritengono il Tocco [Ricerche Platoniche, e poi Del Parmenide, ecc.), il Jackson (o. c), il Gomperz (II, p. 465) fu ri il Natorp, per tacere degli altri; e la questione presa e dibattuta pi volte: io lo ritengo posteriore cfr. in proposito la nota a p. 64 C. Che poi non sia p steriore al Timeo, come vorrebbe il Tocco contro il Jackson, oltre gli argomenti addotti dal Lutoslawski, 0. e, pp. 486-88, questa nostra stessa discussione pu

giovare a provarlo: trattare a fondo questa questione qui impossibile, che l'argomento incidentale soverchierebbe il principale. Per questo cito le fonti, affinch ciascuno, cui ci interessa, si serva: cfr. anche A. W. Benn, 1. e, pp. 42-43. Non parlo poi del Dring che (o. e. I, p. 657) per restituirlo a Platone gli vorrebbe assegnare l'ultimo posto della serie.

Dello spazio

e della

materia.

103
le

mato
cose
tutte

il

principio

pitagorico (1) che in tutte


il

cii

cui parliamo (2) entrano l'uno ed

pi, e
:

fine e infinit

constano di due elementi, il npac, e l'aTreipia sono parole appropriate a tradurre questi due vocaboli, quando c'intendiamo sul contenuto da attribuir loro. Continua Socrate a
p.

specie

che dall'unione di queste due ne ha una terza, cio quella che risulta dalla mistione; e poi aggiunge ancora un cio la causa di questa miquarto elemento
23

a dire

se

stione. Passa quindi a definire

il

npctc,

e l'aireipov.

L'ireipov l'infinito e insieme l'indeterminato,

non

in

senso

di

predicato

quale

accidente di
s,

un'altra cosa,

ma

quale soggetto a

X infinit,

abbiamo

detto, e insieme l'indeterminatezza,

come

Diels, Fragm. der Vorsokratiker, p. 244, 35-39, pp. 249-50, frr. 1-2 di Filolao uepi cpaicx;. Cfr. A. Heidel, TTpaq and ireipov in the Pythapure gorean Philosophy, in " Archiv far Gesch. der Philos.
(1) Cfr.
11.

W.

XIV
(2)

(1901), pp. 384-99^

uv KO K TTOXXuJV VTUUV TUJV < \(.^0iiiC, vq uvuuv dvcu, -rtpac; Kal ireipiav v axoTt; Euuqpurov xvTuuv. Confrontando con p. 15 D, kciG' 'Kaaxov tOv XeYO|ivu)v dei, badisi a congiungere ei con XeyoM^vujv e non con elvai, che qui non ha punto significato tecnico,

perch altrimenti si corre il pericolo di intendere che qui siano indicate le idee (come fa, p. es., G. Lombardo-Radice, Studi Platonici (Arpino, 1906), p. 240); nel qual caso avrebbe detto tOv del vtwv e non tujv XeYouvcuv ecc. Aggiungi che se queste fossero le idee, sarebbe assurdo il ricercarle poi a parte o nel irpa;, o nell'iteipov, o nel miktv, o nell'airia: senza dire che, se le idee sono la somma di questi quattro elementi, non si vedrebbe cosa possa restare per le cose, o in che, sotto questo rispetto, esse possano essere diverse dalle idee. Del resto che qui si analizzino gli elementi
delle cose, e

non

delle idee, chiaro

da

tutto

il

contesto

anche

di ci

che segue.

104

Capitolo III.
(i). E pi che defiPlatone fa capire cosa intende per esso a

bene fece notare Aristotele


nirlo,
p.

24 A segg. L'rreipov quello dove abitano pi ed il meno e dove non il quanto, perch, se vi entrasse il quanto (p. 24 C), vi entrerebbe la determinatezza e cesserebbe di essere onxetpov esempi dell'cmeipov, e quindi del pi e del meno, sono il piU caldo e il pi freddo, il piano (t ipua) ed il forte (t fJqppa) (2). Ora tra gli interpreti c' abbastanza accordo nell'identificare,
il
:

o almeno nell'avvicinare,

il

concetto dell'cmeipov

a quello della xwpot fecondata, dunque alla materia caotica originaria (3). Se non che evidente

che

il

parallelo molto imperfetto: nella materia

originaria del
quantit,
la

Timeo non

solo indeterminata la

ma

altres la qualit,

mentre

nell'rreipov

qualit espressamente affermata

minazioni assai varie,


le

ed ha deterche comprendono non solo


azioni
:

cose,

ma

anche

le

alle

azioni infatti

(1) Phys. Ili, 4, 2: irdvTec; (t fineipov) d>c, pxnv xiva TiGaai tujv vtuuv, o uv, uia-rrep o TTuSaTpeioi >ccd TTXtuuv, Ka9' ax, ol>x ><; o\JH$e$}Kc Tivt xptu, \X' ooiav ax ov t direipov. Cfr. Zeller, o. c, pp. 734-35.

comparativi greci con comsi poteva fare altrimenti, ma il senso alquanto diverso: questi comparativi infatti non indicano un grado maggiore o minore di caldo o di freddo, ma " il continuo crescere o decrescere
(2)

Abbiamo

tradotto

parativi

italiani,

perch non

quantitativo delle qualit, come bene lo definisce Bonghi, Dialoghi di Plat. trad. XIII, p. 343.

il

13) Il Natorp, Platos Idecnlehre, p. 307, esclude affatto dall'Treipov ogni concetto di materia: " da es doch

vielmehr einen blossen Seinsfaktor vertreten soli, dem fur sich kein Sein zugeschrieben werden darf; denn jedes ihm zugeschriebene Sein wiirde schon eine Bestimmtheit an ihm setzen, also das irpa<; in das fiueipov schon einfuhren.

Dello spazio
si

e della

materia.

105

riferiscono

il

piano ed

il

forte

(1).

Ad

ogni

che abbiamo notato non ci deve far rinunziare al paragone, se questo si raccomanda per altre convenienze; vorr dire che, meglio che un parallelo (2), dal concetto di
la differenza

modo

arreipov a quello di

xwpa potremo constatare una


infatti
lato,
i

evoluzione o una maggiore precisazione di uno


stesso

concetto.
'in

Se

l'cmeipov

indica
di

l'in-

determinato

senso

l'assenza

forma,
affocata

numero

e misura, nella x ^P irrigata e

troveremo pi specificatamente l'indeterminatezza


sia della quantit sia

anche della

qualit, e nella

Xipa prima della fecondazione,

non solo

l'indeter-

minatezza,
resta
tolto

ma la
via

soppressione cos del quale

come
quale,

del quanto, l'indeterminatezza assoluta, ci che


il

quanto e
di

tolto

via

il

come abbiamo veduto


rispetto
;

sopra

(3).

Dal Filebo dunque al Timeo (4) c' per questo un progresso e la speculazione del Timeo quella del Filebo. C' si lascia molto addietro per altro insieme continuit. Non solo infatti sono analoghi i concetti, ma anche i loro procedimenti (5). E per vero, opposto all'oureipov il

(1) Non dunque da meravigliare se, invece che alla materia, per identificar l'fineipov si sia potuto pensare ad altro: all'anima disordinata pens Plutarco, De an. procr. 6. (2) Il concetto di tueipov e di Trepak meriterebbe un'analisi minuta, della quale qui non il luogo, e principalmente sarebbe interessante studiarne la genesi. Cfr. Zeller, o. c, pp. 722-23. (3) Cfr. anche la nota a pp. 54 E-55 A. (4) Sulle analogie e le differenze tra la dottrina del Filebo e quella del Timeo, cfr. Bertini, 1. e, pp. 1057-58. altro (5) Cfr. anche Natorp, o. c, p. 344, il quale per fra il Filebo e il Timeo vorrebbe trovare per questo rispetto piuttosto identit che analogia.

io6
irpa?,

Capitolo III.

e la introduzione del
il

Trepak

nell'aneipov

costituisce la Yvetfn;,

terzo elemento delle cose


il

che

si

prender poi ad esaminare. Ora


l'idea? (i).

npctc,

forse

Lo

credettero parecchi,

ma

non pu
duto nel

essere, se vero, ci che

abbiamo ve-

capitolo

precedente,
l'idea
il

teoria del
trare
le

Timeo

non esce

nelle

cose, e se

che secondo la di s per enrapporto tra le cose e

idee di

semplice imitazione.

passano
idee

nell'arreipov,

Le idee non come non passano nella


perch
le

XJpa, e la

domanda
tttoc;,

di Aristotele (2)
in

di Platone

non sieno

luogo, emep t

ue6eKTiKv

ha origine

dall'errore, in cui

che la x^pot, o la u\n, cadde chiama, fosse per Platone anche il come egli la substrato o la materia delle idee, al pari che delle cose (3). Se pertanto la fveaxc, essenzialmente imitazione, questa imitazione per quale
lo Stagirita, di credere

intermediario pu allora effettuarsi? Platone, come si gi accennato, negli ultimi suoi anni (non risulta infatti

apertamente dai suoi scritti, ma solo da testimonianze posteriori (4) ), tra le idee e le

(1) Con l'idea lo identificava ancora il Bertini, 1. e, pp. 1031 sgg. Esso , conchiudeva per altro a p. 1036, dei rapporti numerici considerati in s il complesso stessi, cio come idee; e questo molto vicino al e nostre conclusioni. (2) Phys. IV, 2, 5. confutazione di questo er(3) Per la constatazione e rore, cfr. Zeller, o. c, pp. 750 sgg. irap t aa8r|T (4) Aristotele, Metaph. I, 6, 3: ri Ka x etri t ua9nwcmK tujv irpaYudTUJv elvai (pr\a\. ueTaS, iacppovTa tujv uiv aio-6r|TJv tuj iia kcx Kivr|Ta evcu, tuliv b' eijv tuj t |uv irM' fixxa uoia elvai t
1

ecx; aT ev Zkcxo-cov u.vov. E ci, soggiunge poi, 4, a differenza dei pitagorici, che dicevano che i numeri sono le cose stesse: oi ' piGiuoc; elvai qpaorv^ aT T TrpaYMCiTa, ko t uaBrmaTiK ueTaE toutujv o TiOaai.

Dello spazio

e della

materia.

107

cose

pose
il

numeri:
ttocxv, nel
s

rapporti

numerici sono
proporzioni sono
alle idee.

dunque mediatori
nel Filebo

tra le idee e le cose. In breve,

Timeo

le

quelle che fanno

che

le

cose somiglino

47 A) il numero il principio dell'ordine mondano, e i triangoli elementari sono pur essi delimitazioni matematiche quantitative, sono Trpata essi pure (i)(p. 53 C), come, senza
Cos nel
(p.

Timeo

trica,

ancora giungere all'esatta determinazione geomeaveva detto il Socrate del Menone (2), quando aveva affermato quello in cui finisce il solido, questo essere la sua forma, e perci

la

forma essere

il

limite

(ire'paq)

dei

solidi.

con l'aTreipov, abbiamo veduto, risulta un terzo genere ma ce ne vuole anche un quarto, la ama, cio una causa che produca
Dall'unione del
Ttpac,
;

mistione (3). E questo quarto elemento, che pure chiamato t Travia laura nuioupYoGv, per l'analogia dell'ufficio e per l'identit del vocabolo non si vede in che possa essere diverso dal nuioupYc; del Timeo. A che si riduce infatti questo quarto elemento nel Filebo? l'idea, rispondono parecchi autorevoli interpreti moderni infatti, ammesso che l'idea non possa essere t

questa

non resta, se non questo, da collocarla (4). Ma a questo credo


Trpa^,

altro posto
si

possa

ri-

Ci) Cfr. Tocco, Piai. pp. 76-77.

Del Parm.

ecc.

pp. 464-69, e Ricerche

p. 76 A: Kcrr yp travxq axnuaxot; toOto o t axepev nepaivei. xox' evai oxf\ixa irep fiv ouXXa3)v eiTTotj.li axepsoO TTpaq axnM etvai. irpuxov |uv xoivuv meipov Xyu;, (3) P/iil. p. 27 B GUTgpov -rrpac;. Treix' ex xoxuuv |uiKxriv kciI YYevr||uvn.v oaiav xr]v xfjc; |uiEeux; axiav xa jEvaeax; xex<4pxr|v Xyuiv Spa irXrmjLieXoiriv &v ti;
(2) Xyuu,

Meno,
e!(;

'

(4) Il

Jackson,

1.

e.

X,

p. 283,

scopre

le

idee nel g-

io8

Capitolo III.

spendere che di trovare un posto all'idea nella classificazione del Filebo non c' n necessit n convenienza. L'argomento proposto non era gi di considerare gli elementi che costituiscono l'universo, ma semplicemente di riconoscere l'uno e i pi nelle cose in cui ci imbattiamo. Quando dunque la risposta esaurisca il contenuto delle cose, non c' bisogno di altro, anche se fuori di esse vi potesse essere qualche altro elemento;
e l'idea, da quanto
si

detto,

non
si
:

solo pu,

ma
che
loro

deve anzi essere fuori


se le idee
il

delle cose. D'altra parte,


irepac,,

non sono
in

il

pu
esso

dire

Trpa?

funzione di esse
si

la

rappresentazione che

una cosa diversa da

stampa nelle cose, non Se il npac; sono i numeri e la ama fossero le idee, avremmo un doppio. La alra dunque, anche qui come nel Timeo,
esse.

non la causa formale, ma la causa espressamente definita come la sapienza e l'intelligenza (2), e dal Filebo pertanto

il

demiurgo

efficente (i)

nere misto. Non posso convenire, non foss'altro perch di una yveoi<;, mentre le idee il uiktv il prodotto non sono generate, come fu gi opposto dallo Zeller e in altri luoghi ed o. e, pp. 668, n. 3, 692, n. 1, e dal

Tocco, Del Parm.

ecc.

pp. 394-96.

ttoioOvtoc; cpoi<; ov TtXfiv (1) Phil. p. 26 E: f] toO vua-n rf|q otck; icuppei. E tutto il complesso del contesto cos chiaro ed esplicito, che, per dirla con W. H. Thompson in "Journal of Philol. XI, p. 21, " difficilmente linguaggio umano avrebbe potuto esprimere pi chiaramente la proposizione che il creato e il creatore, l'universo e la sua causa prima, non sono la stessa
Cfr. capit. II, 5. P/iil.p.30 C: Kai tic; ir' aTo<; ai-ria o cpaXn ... croqpia Kal vo0<; Xeyouvn iKaiTax* fiv. Che se lo Zeller, o. e, p. 666, dice (e dice giusto) che il vo0<; paaiXiK; di Zeus, di cui si parla poco dopo, non indica che l'anima

cosa.
(2)

Dello spazio

e della

materia.
alla

iog
tesi

viene

rincalzo

non

gi

opposizione

che abbiamo sostenuto nel precedente capitolo. E rincalzo e non opposizione sulla questione della materia ci offre anche Aristotele, il quale,
se erra nei particolari, nella sostanza interpreta
il

pensiero del maestro, questa volta, rettamente. Infatti ci parla bens di una u\n, il quale voca-

bolo
se

falsamente egli attribuisce a Platone,

ma

falso nel

nome non
:

falso

nella cosa.

falso nel

nel

nome Timeo dica


(i);

infatti

egli

afferma che Platone

cosa

esser la u\n e la xwpa la stessa questo falso non solo rispetto al

Timeo,

ma

anche a

tutti

gli

altri

dialoghi

di

Platone, ed u\rj in

un senso tecnico

qualsiasi

parola a Platone ignota affatto (2); non

che

la

del mondo, e che l'intelligenza gli viene, come detto espressamente, da una cagione a lui superiore, questa cagione superiore appunto la ooqpi'a e il voc; di cui qui si parla, e aoqpia e voOq sono espressioni che bene rappresentano una causa consciente, un n.|aioupY<;, pi che non possano limitarsi a indicare una mera causa formale che diviene attiva senza che se ne veda o se ne dica il come n il perch. Cfr. Bertini, 1. e, p. 1036. Cfr. pure Phil. p. 26 E e Tini. p. 30 B, dove si dice che non si d voOq aveu (o x^pk) H^xf^- Cfr. capit. II 5.
(1) Phys. IV, 2, 2: TTXdxujv jf\v 'Xnv teet tv \dipav t aT cpnaiv elvai v tC Ttjuaiiu. L'interpretazione, che (II, p. 606) propone di questo luogo, non il Gomprz pare attendibile. Egli infatti lo spiega nel senso che la XUipot e la tfXn, lo spazio e la materia, coincidano nella loro estensione, cio non vi sia spazio senza materia. Ma se Platone di JXr| non parla mai, non si vede come n espressamente n tacitamente egli potesse di essa predicar nulla. (2)

In Tim. p. 69

e Phil. p. 54
9
,

mente e nettamente nel senso volgare


erra

usata espressadi materiale, ed

PUeberweg (Grundr. II p. 199), quando afferma che Platone paragoni la materia con questa ii\n.
Feaccaroli,
II

Timeo di Plutone.

10

no
usasse

Capitolo III.

neppure

nell'

insegnamento

orale

della

scuola, poich Aristotele stesso ci attesta che no, ed anche senza la testimonianza d'Aristotele ci sono altri indizi pi che sufficenti per inferire

che
parte

effettivamente

non

la

us mai

(i).

D'altra

non

falso nella cosa: se la parola u\r) fu

tratta poi a significare

una materia informe preesiper altro che a Platone Aristotele la attribu precisamente invece nel senso di spazio, sia quando riconosceva che alcuni la identificavano col concetto di vuoto (2), sia quando
stente, chiaro

riconosceva una

uXn.

aouuaToq

(3).

6. Ci posto, ritorniamo alla questione del

mo-

determiniamola pi esattamente. La recettrice si muove e scuote la materia che ha ricevuto? ovvero essa stessa inizialmente scossa dalla materia ? E scossa dalla materia. Ci appare chiaro dalle pp. 52 D-53, citate in parte anche di sopra al 4, che sono il luogo fondamentale per questa questione e quel moto che le si attribuisce anche altrove, pp. 57 C e 88 D, nulla vieta che lo si ritenga effetto di questo primo ad essa impresso. Se la cos, si spunta
vimento.
;

l'obiezione

che

fa

il

Gomperz

a chi intenda la

Xuupa per lo spazio, quella cio di ammettere

un
si

movimento senza una cosa mossa

(4):

se la xwpct

muove per causa

della materia,

abbiamo gi

tutto

(1) Cfr.
(2)

Zeller,
7,

o.

c, pp. 721-22, nota.


bi qpaoi

Phys. IV,
odj,uaTo<;

3:

xive^

eTvai

t kvv

tv]v

to
(3) (4)

\r|v.
"

Metaph. I, 7, 2. O. e. II, p. 484: wegtes.

eine

Bewegung ohne

ein Be-

Dello spazio

e della

materia.

in.

si richiede. Che se la distinzione tra il movente ed il mosso non pare sempre esattamente mantenuta, ricordiamoci che effettivamente la separazione tra la materia e lo spazio una

ci che

separazione del tutto ideale, e che legge naturale che ogni concezione che eccede la nostra
esperienza tenda a tornare

ogni qual volta cessi


tirarla oltre

il

alla misura normale bisogno immediato di

di essa.
si
ri-

Ho

detto di sopra che la materia primitiva


effetto della

muove per

generazione:

ma

si

sponde che questo moto dichiarato informe e disordinato, e non pu perci esserle stato impresso esteriormente dal creatore si deve dunque ritornare di necessit a riconoscerle un moto suo proprio ? Se ci che si muove di moto suo proprio anima, pare inevitabile la conseguenza che dunque anche la materia informe aveva un'anima. Ora, se la materia informe fu creata da Dio, come ci siamo sforzati di dimostrare, nulla vieterebbe poi di attribuirgli anche la creazione dell'anima
;

rispettiva
la

allo stesso modo che l'ha creata per materia ordinata, e perci in qualche maniera sotto questo punto di vista la difficolt superabile.

Ma

insuperabile invece la difficolt sotto

altri rispetti.

Poich Iddio nella generazione seil

conda cre
nella

cosmo, cio introdusse l'ordine

materia disordinata,

Timeo

ci

descrive

parte a parte com'egli creasse anche l'anima di

questo cosmo. E allora dov' andata a finire l'anima della materia primitiva? Oltre di ci pare inconcepibile come mai si possa dire da una
parte che ci che
si

muove

anima e

dall'altra

che questo movimento avviene ctXfUJC, kc uTpuuc; (pag. 52 A), mentre la ragione e la misura

II2

Capitolo III.

pajono essere con l'anima una cosa sola. Forse per altro in questa contraddizione potremmo trovare
si

la

spiegazione della

difficolt.

Il
il

parla nel

Fedro sarebbe appunto

moto moto

di cui

razioIl

nale, o almeno,

come diremmo

noi, consciente.

moto, diciamo pur noi, vita, e non diciamo molto diverso da Platone, ma vita fino a che dipende da una causa interna, causa agente per lo meno, se non consciente e chi dice che il moto vita non tiene in conto che anche l'uomo che ha per;

duto

la

vita
il

cade a
parlar

terra, e

cadendo

si

muove.

Gli che

nostro spesso

equivoco:

diciamo si muove, e dovremmo dire in questo caso che mosso; ed mosso appunto perch

non pu pi muoversi. Cos si pu dire analogamente che Platone, attribuendo un moto alla materia, non intendesse attribuirle un moto atnonch consciente n razionale ma semtivo plicemente un moto passivo. Solo il moto proporzionato e periodico, che ha forma e numero, il moto che pu essere attribuito all'intelligenza e quindi all'anima; solo il ritmo pu misurarsi ed essere misurato, perch ha un Ttpac,: la con,
,

tinuazione o la successione ininterrotta di suoni non pu. L' equilibrio ordine e proporzione
;

materia informe non pu essere in equilibrio, perch avrebbe ordine e proporzione deve per ci essere in agitazione continua, deve muoversi, ma non gi per cercare l'equilibrio, che sarebbe
la
;

principio d'ordine, e
finalit:

sarebbe tendenza ad una mossa in perpetuo disordine, appunto perch non muove s stessa, perch non ha un'anima che la muova.

Questa spiegazione molto semplice: bisogna riconoscere per altro che non esauriente. Pia-

Dello spazio

e della

materia.
la

113

tone
tica

infatti
si

ha un bel dire che

materia caoTT\r||uue\uj<;

muove

Xxwc, ko urpiuc, e

30 A), ma poi ci parla anche di un'vrfKri (p. 48 A) e, quel che pi grave, a pag. 57 C (1), ribadendo pag. 53 A, ci rappresenta la materia caotica come moventesi in una determinata direzione in quanto che le quattro
ko iKioi^ (p.
,

specie elementari (e torna fuori questa determi-

nazione delle specie), se non sieno da Dio altrimenti sforzate, tendono ad un luogo speciale e loro proprio, e continuano sempre ad attrarre a
s ci che a loro somiglia in proporzione della

dunque, malgrado le altre dichiauna forza attiva che agisce secondo certe leggi ? Essa espressamente definita come t ir\c, Tr\avuuuvr|<; eloc, ai-ria^ (p. 48 A), il che richiama ci che si muove Ti\r|)jjueXuj<; ko
loro massa.
razioni, questa vaYKn,

xdKTUJ^ di p. 30
di questo

A;

e a dir vero, la definizione

elemento per una

ama

(e

sia

pure

una causa soltanto formale e non efneente e molto meno finale) contrasta non poco col concetto di prodotto della generazione, che alla
teria

maavevamo attribuito. Vero che anche a ci si pu rispondere, che il prodotto della generazione originaria pu esser benissimo la causa
della generazione

seconda

ma

sta in fatto

che
ele-

Platone non solo

quando

definisce

questo

mento

quando lo fa agire, gli attribuisce effettivamente una forza di resistenza e, in un certo^senso, di reazione, la quale
a parole,
altres

ma

impedisce

il

raggiungimento pieno e assoluto del

bene, quale era negli intendimenti del creatore;

(1) Cfr.

pp. 58

B-C

e 68 E-69.

ii4

Capitolo III.

e perci

il

mondo

creato

non

riesce

buono

asso-

lutamente,

ma

solo naia uvauiv (p. 30 A).

Ci che noi possiamo constatare si che la speculazione platonica su questo punto non giunta nel Timeo al suo ultimo svolgimento.

Nel decimo delle Leggi


infatti

(pp. 896 E, e pp. 898 C) affermata l'esistenza di due anime cos-

miche, una buona ed una cattiva; segno evidente che anche Platone questa difficolt l'avea conosciuta e questo problema avea cercato poi o bene o male di risolverlo. Ci per non vuol dire che gi nel Timeo, o prima del Timeo, questa
soluzione
solo che
1'

avesse raggiunta
si

si

pu

forse

dir

avviasse sempre pi verso di essa. Nel Teeteto infatti bens vero che la necessit dell'esistenza del male affermata(p. 1 76 A),

pare

ma

limitata espressamente alla sola nostra vita


:

terrena

nel

Timeo

si

fa

un passo
il

di pi

non

solo la vdTKn espressamente rappresentata come

quella che impedisce e ritarda


del bene,
i

raggiungimento

ma

il

male, per necessit logica, dati

donde Platone era mosso, nel mondo creato doveva entrare. Infatti se l'essere bene, il divenire per ci appunto non pu essere bene,
principi

perch sarebbe la stessa cosa e il mondo platonico rappresenta un processo degenerativo in


;

proporzione del suo allontanarsi dall'essere. Era pertanto giocoforza riconoscere nel divenire anche un elemento non buono (qpXctupov, p. 30 A), netale,

cessario alla natura stessa del divenire perch sia ed anche per ci questo elemento detto a

proposito l'elemento della necessit, elemento del resto essenzialmente passivo, inconsciente. Ma se questo era l'elemento del male, pu l'elemento
del

male essere

stato,

come che

sia,

creato da

Dello spazio e della materia.

115
il

Dio
si

Questo

il

muro

di

bronzo contro

quale
:

infrangono tutti gli questo il quesito che ci torna innanzi insistente. Vero che lo Zeller (1) propone di ritenere

sforzi della nostra ragione

come un
zione del

tratto del tutto mitico

la

rappresenta-

caos prima del cosmo. E ne conveniamo. Resta per sempre la domanda, donde entrato il germe della degenerazione nel mondo?

Dio ? Pu

Cos' questa vYKrj che ostacola poi i disegni di l'dvdTKri identificarsi assolutamente con
la materia e Bisogna che

la
ci

materia ancora col non essere ? sforziamo di credere che questo


la vYKn, nel
:

fosse

il

pensiero di Platone.

ci

deve fare specie se

Timeo
deve

paresse gi sulla via di personificarsi


libro,

ci

ascriversi in gran parte e al carattere mitico del

e ad una tendenza dello spirito greco, e diciamo pure dello spirito umano. Del resto la

personificazione dell'vYKn, rimasta


fatto

fin

qui af-

lare

popo(documento questo della rettitudine del senso umano) la personificazione dell'afact o della uotpa, la quale pure non ebbe mai n templi, n sacerdoti, n culto (2), n miti, n figura, n fu rappresentata mai come avente n libert, n intelligenza, n affetti, e nemmeno vita n attivit. Questo
embrionale,
nella concezione
lo stadio cui
il

come

concetto del

Timeo

era arrivato

dello stadio ulteriore delle


di

Leggi lasceremo qui


di

occuparci (3). Per tutto ci io non credo fuor

ragione

il

O. e. p. 730. Culto ebbero le Motpai Griech. Myth. I4 p. 533, n. 1), la


(1)

(2)

(cfr.

Preller-Robert,
no.

uolpct

(3) Cfr.

Gomperz,

II,

pp. 486-487.

n6
ritenere

Capitolo III.

che Platone nel Timeo non fosse ancora giunto a liberarsi interamente dalla concezione popolare della materia: la degenerazione, la dissoluzione, la passivit in generale sono pure,

secondo il concepir nostro, procedimenti, e avvengono con determinate leggi, ancorch poi queste leggi possano essere considerate semplicemente come la sospensione delle leggi della Fors' anche Platone era pi conservazione. che altro preoccupato di censurare e combattere la teoria di Democrito (che egli per non nomina mai), e volea far intendere che la vxKri,

di per s soli e per gli elementi bruti, proprio impulso, non avrebbero mai potuto costituire alcun ordine, ma che piuttosto tendono a

ossia

disfarlo, e

che

la

dell'ordine,

non pu

proporzione, condizione prima darsi che per opera dell'in-

telligenza, che, per dirla

con
la

le

parole di Arturo
si
si

Graf (i), lo spirito per un fine, la materia


senza un
fine.

sostanza che
sostanza che

la

muove muove
nota

A
la

tale

uopo

infatti

egli

espressamente che

suade
la

la

vTKT

telligenza quella

domina e per48 A), che insomma la in(p. che governa la legge fisica, non
intelligenza

fisica quella che informa l'intelligenza. preoccupazioni polemiche troppe volte guastano la genuinit delle argomentazioni, e chi vuol bandire una teoria, sia pur nuova ed op-

legge
le

Ora

posta alle
alla
si

dottrine

correnti,

deve andar

dritto
;

sua meta senza voltarsi di qua e di l se indugia, rovescer bens qualche opera avan-

(1)

Per una fede,

in

"

Nuova

Antologia,

a.

40(1,6,

1905), p. 304.

Dello spazio e della male-ria.


zata,

117

ma non pianta la bandiera sulla rocca. Cos Platone qui ha bens ragione di Democrito, per altro intanto ne ammette almeno in parte i presupposti.
Gli che

poi di queste contraddizioni

di

queste

difficolt

non deve
il

essere,

ad un certo
il

punto, pi
intorno
ai

incolpato
quali la e
si

filosofo,

ma
si

soggetto

stesso ch'egli tratta.

Sono questi i mente umana

quesiti ultimi

travagliata

travaglia,

e sarebbe

sempre una bella

Sia poi la materia prima creata


difficolt

pretensione quella di trovarli in Platone risolti. o increata, la

non cresce n diminuisce. Se fu creata, non l'ha Dio ordinata subito? se era inperch creata, perch non l'ha ordinata prima? Ritenerla creata mi pare pi consentaneo alle dottrine platoniche in generale questa la mia impressione;
:

al lettore

il

vagliarla.

Del resto

io

sapeva e so bealla

nissimo di non poter aspirare se non che ebbe Critia, il quale appunto era,
ignorante tra
ranti
;

lode
igno-

come me,

potevo quindi presumere di risolvere questioni cos gravi. Bastimi di averle formulate (se pur ci sar riuscito) con sufficente chiarezza, e di aver fatto del mio meglio per invogliare
il

non

filosofi e filosofo, forse, tra gli

lettore a meditarle.

Ci che pi importa di ricordare sempre che un mito tutto quanto, e che appunto il Timeo l'essere un mito permise di disporre in successione cronologica ci che va tradotto in successione logica. Tenendo fermo ci, intenderemo sufficentemente come e perch Platone premetta
la materia caotica alla

materia ordinata,
Il

disordinato
in

al

moto

ordinato.

il moto moto concepito

s stesso disordinato, la materia concepita in

n8

Capitolo III.

s stessa caotica; concepiti l'uno e l'altra come prodotti di un'intelligenza, non possono essere

che ordinati tutti e due (i). E anche questo importa non dimenticare, che in Platone, oltre che un le parole e le frasi hanno un senso volgare, che c' senso tecnico, un senso letterale e un'allegoria, e che molte
cose
tanto
nell'uno

quanto

nell'altro

senso

bi-

sogna intenderle senza malizia. Siamo noi persuasi che Dio non pu essere nel male ? S ? allora dobbiamo anche spiegarci ragionevolmente perch Platone possa dire che la materia caotica si muove in disordine, come naturale che facciano

cose da cui Dio sia lontano (p. 53 B). (p. 269 C-270 A) detto che il mondo in un dato senso ed ora lo abbandona, di guisa che esso allora per effetto deirvYKn. reagisce e si volge altrettanto tempo in senso contrario, fino a che Dio non lo riprenda e non lo faccia di nuovo partecipe
le

Cosi nel Politico Dio ora fa girare

Questa mitica alternamordel mondo nostro perocch il moto sempre talit ad un modo non possa appartenere che a chi per sua natura sempre ad un modo, quindi a Dio, e non a ci che diviene. Ebbene, la difdella sua propria natura.

tiva nel Politico dichiarata per ispiegare la


;

ficolt dei
la

due moti nel Timeo

il

filosofo nostro
la rea-

risolse pi razionalmente,

eliminando

zione violenta dell'uno contro l'altro e contemperandoli insieme nel doppio moto dei pianeti,
e
il

rapporto tra l'essere e

il

divenire lo

mantenne

(1) Cfr. Archer-Hind, o. c, LUTOSLAWSKI, O. ., p. 477.

p. 92, in

nota a p. 30 A;

Dello spazio e della materia.

ug

costante per
dell'eternit

mezzo della distinzione tra lo stare ed il procedere del tempo, senza

le incongruenze del mito del Politico: contentiamoci dunque di questo progresso verso la razionalit, ma constatiamo ancora che, con tutto

ci,

alla veste del

mito neanche Timeo ha rinun-

ziato.

IL

TIMEO

Fraccaroli,

Il

Tinte di Flatom.

Persone del dialogo

Socrate

Timeo

Ermogene
Critici

*>->

<J^ J^i Jr> \J^

y>->

\Jr>

y>->

\J^

<J^>

<J->

iJi iJi

J)

J^ J-

Socr.

Uno,

due, tre

dov'

il

quarto

(i)

p. 17

commensale

di jeri e convitatore per oggi, caro

Timeo
Tim.

Socrate

capitata un' indisposizione, caro che di sua volont certamente non sarebbe mancato a questo convegno.
;

Gli

Socr.

Sar

allora
la

affar tuo e di costoro

il

sostenere anche

parte dell'assente.
in noi
infatti

Tim. - Senza dubbio, e per quanto sta non tralasceremo diligenza. Non sarebbe

giusto che, invitati jeri da te che ci hai trattati

ricambiassimo l'ospitalit. Socr. E vi ricordate poi ci che io vi aveva pregati di dire e su che cosa ? Tim. Ce ne ricordiamo e quello che no, ci sei tu qui per suggerircelo. Piuttosto per altro, se

con tanto garbo, siam rimasti non

alla
ti

nostra volta quanti di noi

non

ti

secca, riassumilo un'altra volta daccapo tu

in breve, affinch ci riesca

meglio fondato.

(1)

Per questo innominato veggansi


I,

Prolegomeni,

cap.

1.

124

11

Timeo.

me

Sia pure. Dei discorsi (i) detti jeri da Socr. intorno alle forme di governo, la sostanza era, quale di esse e per opera di quali uomini

mi paresse essere
Tim.

la migliore.

fu

anche discorsa, o Socrate, vera-

mente con soddisfazione di tutti. vero che abbiamo dunque innanzi Socr.
tutto in essa distinto

separatamente ci che riguarda gli agricoltori e gli altri mestieri quanti ve ne sono, in confronto della cla'sse dei difensori (2)

Tim.

S.

E secondo natura poi dando a ciasingolarmente ci che gli si adatta, un ufficio solo e un'arte sola per uno, questi che doveano fare la guerra per tutti, abbiamo detto
Socr.

scuno

che

citt,

solamente custodi della o anche di quelli di dentro, venisse per farle del male, da una parte
dovessero
se
altri

essere

di fuori

18

rendendo ed amici

giustizia

benevolmente

ai

loro governati

(3) loro naturali, dall'altra

mostrandosi

duri nelle battaglie contro qualsiasi nemico.

irep iroXi(1) x9<; itou tjv ir' uoO >n.9vT(Juv XyuJv Telaq f)v t xecpXcuov, oia re tca olu>v k. t. X. Collega Xyujv irepl TroXiTia<; (Stallbaum, Plat. Opp. VII; Martin,

tudes sur le Tim. de PI.) e non t xeqp. fjv ir. ttoX. (Mueller, Platon s sammtl. Werke, VI; Archer-Hinl-, Jowett) ; non occorreva infatti per certo ricordare che si era discorso della Repubblica, ma che, dato questo argomento, lo si era trattato cos e cos ola Te ecc. non altro che epesegesi di t KeqpdXcuov, come dicesse t
:

KecpdXcnov
(2) Cfr.

f\v

Tbe.
II,

pp. 369 E-374 E. Par. A, e non fire con qualche altro codice inferiore) qpcrei cpiXoic; outfi. Cos poche righe prima accetto la congettura del Bekker, ammessa ora dai pi, uictv KdaTiu Txvr)v, invece di dcp' icdaTOu Tf) Txvfl di A, che non ha senso.

de Rep.

(3)

Leggasi

koiI

(col cod.

Capitolo

I.

125

Tim.

Precisamente
.

Poich, mi pare, abbiamo discorso di S OCR una certa indole dell'anima dei custodi (1), come

cos.

dovesse essere insieme impetuosa e filosofica in sommo grado, affinch verso gli uni e gli altri potessero diventare a proposito e affabili e duri.

Tim.

l'allevamento (2)? Non s' detto che dovevano essere educati nella ginnastica e nella musica e in quegli altri ammaestramenti tutti

Socr.

S.

che a loro convengono ? Precisamente. Tim. E quelli che Socr.

sono

stati

allevati

in

questo modo, fu detto pure, che non dovessero riputare come loro proprio n oro, n argento,

n altro possesso veruno (3), ma come ausiliari ricevendo dai loro difesi una mercede della loro custodia, quanta a costumati sufficente, dovessero spenderla in comune e, cibandosi pure insieme,
viver
gli

uni con

gli altri nella

pratica costante (4)

II, p. 374 D sgg. de Rep. II, p. 375 -HI, p. 412 A. Poco pi oltre si interpunga: naeruaaai Te, ffa irpoariKei totok;, v finaffi Teepqrai, e non totok; v airaffi o totoioiv uaoi come propone lo Stallbaum, perch nel primo modo

(1)

Cfr. de Rep.

(2) Cfr.

v arraffi si

congiunge naturalissimamente con naBnuaffi, generale che riassume e compie le parziali della ginnastica e della musica, mentre nel secondo il totok; superfluamente pesante. S'intende poi da s che totok; si riferisce ai custodi, non gi alla ginnastica e alla musica come intende I'Archer-Hind e ammette si possa intendere il Jowett. (3) Cfr. de Rep. III, pp. 415 D '4i7 B.

ed

l'idea

IxovTac; aperse; i navT<;, tujv fiXAwv fiYovTaq ffxoXriv. Uniscasi h\. travTt; ad xovtck; e perci tengasi per chiarezza la virgola dopo
(4)'iriMeXeiav

niTrieuMTUDv

navTq.

126

II

Timeo.
liberi

della
zioni.

virt',

restando

dalle

altre

occupa-

Tim.

Fu

fatto men vero? abbiamo, anche delle donne (i), come convenisse coordinare le loro indoli analogamente a quelle degli uomini, e come in comune anche ad esse

Socr.

detto anche questo cos.

zione

si

dovessero estendere tutte le istituzioni, sia in quanto concerne la guerra, sia anche per ogni altra consuetudine di vita. Cos anche questo fu detto. Tim. E che cosa poi sulla procreazione (2) ? Socr. Forse questo per la novit delle cose dette molto facile a ricordarsi, cio che abbiamo proposto in

a tutti tutto, e nozze e figliuoli, ingegnandoci (3) di far s che nessuno abbia mai a conoscere chi sia quello che fu generato da lui particolarmente. Tutti cos si reputeranno consanguinei, sorelle per esempio e fratelli quanti siano dentro

comune

d'una data et, e quelli al di sopra di essa e pi su ancora genitori e progenitori, e quelli al
di sotto figliuoli e figliuoli dei figliuoli.

fi) Cfr. de Rep. V, pp. 451-57. L'Acri (Dia/, di Plat. volgar.) traduce " che a cotali uomini conviene sposare donne di somigliante natura , il che qui non ha che fare qui si parla solo del coordinare (Suvapuocrrov) le donne agli uomini quanto all'educazione e alle attribuzioni loro dello sposare si parla poi.
: :
:

(2)
(3)

Cfr. de Rep.

V, pp. 457 sgg. e

p. 466.

Leggasi unxaviO|aevoi con lo Stefano e parecchi codici (Stallbaum, Martin, Archer-Hind), non unxotvuu|uvou<; di A tenuto dall'HERMANN, n l'emendamento unxavuu|uvoi<;, che sono uno stento. L'Archer-Hind traducendo con " to the end that e il Jowett con " to the intent that aggiungono un concetto di finalit che

manca

qui all'espressione greca.

Captolo

I.

127

Tim.

S,
dici.

e questo facile a ricordarsi conaffinch senz'altro diventino quanto

forme tu
Socr.

Ed

possibile ottimi di loro natura (1), ci ricordiamo che abbiamo detto, come ai reggitori e alle reggitrici

convenga procurare
i

in

segreto con certi


i

sorteggi che nelle unioni maritali di qua

daploro

poco

di l

buoni sien messi insieme con

le

pari, e

non succeda per questo alcun


?

astio tra

loro, attribuendo essi alla fortuna la

cagione del

loro

congiungimento

Tim.
levare
tirli

Ce
figli

Socr.
i

Ed anche che abbiamo detto doversi

lo

ricordiamo.

al-

19

dei buoni (2), e quelli dei cattivi sparnascostamente nelle altre classi della citta-

dinanza? E stando attenti mentre crescono, quelli che se ne mostrino degni doversi richiamare nello stato di prima, e quelli che in tale stato siano indegni, alla loro volta farli passare nel luogo dei
ritornati
?

Tim.

Socr.

Abbiamo
di jeri, sia

Cos appunto.

dunque

cos ripassato tutto

l'argomento

mere per sommi caro Timeo, qualcun'altra


che
ti

per quanto si poteva riassucapi ? O desideriamo ancora, o


delle

cose

discorse,

paia

si

Tim.

No

dimenticata ? affatto: ma questo era precisa- B

mente, o Socrate, ci che fu detto.

(1)

Cfr. de

(2) Cfr.

Rep. V, p. 460 A. de Rep. Ili, p. 415 C-D; IV,

p.

423 C-D; V,

p.

460 D.

128

//

Timeo.

II.

Socr.

volete sentire ora

il

seguito a pro-

abbiamo ripassato, quale impressione me ne resta ? Mi fa proprio l'impressione come se uno, dopo aver visto
posito di questa costituzione che
dei
belli

animali

rappresentati in pittura, o
quieti, gli venisse
il

anche

vivi

davvero,

ma

desi-

derio di vederli muoversi (i) ed esercitare effet-

tivamente qualcuna delle attitudini che si crede C convengano ai corpi loro. La stessa impressione
sento io rispetto
alla citt

di cui

s'

discorso.

Udrei infatti volentieri qualcuno che ragionando descrivesse come, quelle lotte che le citt sono
costrette a sostenere, essa le sa sostenere contro
gli

altri

Stati, e

accingendosi

come

si

deve

alla

guerra, e nel guerreggiare facendo onore

all'isti-

tuzione e alla educazione ricevuta, sia nei

fatti

dove da agire, sia nei discorsi quando si ha da trattare con le singole altre citt. Su questo punto pertanto, o Critia ed Ermocrate, io stesso mi sono persuaso che non potrei mai esser capace di encomiare convenientemente n la citt n gli nomini (2). E quanto a me, non mi stupisce; ma la

(1) L'azione la prova e per cos dire il compimento della teoria: analogamente, a p. 37 C, Dio si compiace dell'opera sua, quando la vede in moto. (2) Anche nell'Apologia, p. 32 A-E, Socrate dichiara di

non aver mai preso parte alla vita politica determinato sempre ad essere onesto e a praticare la giustizia, egli riconosce che, ove di politica si fosse immischiato, non avrebbe potuto diventar vecchio, com'era diventato, n
:

lui

n alcun

altro

galantuomo.

Capitolo

IL

129

me la sono fatta anche dei poeti che furono una volta e di quelli che sono ora (1); non perch io disprezzi la famiglia dei poeti, ma
stessa opinione io

chiaro a tutti che chi

si

d all'imitazione imiper
pa-

ter facilissimamente e perfettamente le cose in

mezzo uno
role.

alle

quali cresciuto, e che ci che

fuori delle sue abitudini, gli difficile di


fatti

imitarlo coi

e anche pi difficile

con

le

classe dei sofisti (2) poi la reputo assai sperimentata in molte sorta di ragionari e in molte

La

Nella Repubblica, III, p. 392 C sgg., distingue la poeimitazione e triyncui; esposizione; ma effettivamente poi, specie nel 1. X, la condanna tutta come imitazione. Qui se ne parla come di un genere esclusivamente imitativo, ma non vi traccia di quell'asprezza di giudizio che si nota in quell'ultimo libro, anzi ammesso che l'imitazione a qualche cosa serve: una resipiscenza di Platone? Cfr. i Prolegomeni, cap. I, 1, p. 7, nota 3. (2) La parola sofista ha in italiano un senso troppo basso e cattivo per poter nel parlar comune corrispondere alla parola greca: gli che una parola esattamente corrispondente ci manca, come ci manca la cosa.
(1)

sia in uiuncn<;

aocpiarai corrispondono ai nostri i sono d'un grado pi alto; per altri si potrebbero paragonare agli eruditi, ma erano meno pedanti e pi vivaci. Volgarmente si affetta di sorricerti

Per

rispetti

conferenzieri,

ma

derne,
tici

come

di ciarlatani, e chi sfiora

dialoghi socra-

Platone accede facilmente a questa opinione; ma a giudicarne serenamente dovremo riconoscere tra di essi anche delle persone di altissimo ingegno e di molta dottrina, sebbene la meta della loro vita non fosse la ricerca del giusto e del vero. Alla verit facevano almeno l'onore di riconoscere che non ne erano essi i sacerdoti; e ci scandalizza molto coloro che 1' hanno sempre sul labbro e tanto pi la professano a parole quanto pi la calpestano coi fatti. Nel Sofista (p. 217 A) si discute se sofista, politico e filosofo possano essere una cosa sola, o due o tre; qui riassumendo detto che i sofisti non si intendono n di politica n di filodi
sofia.

130
altre belle cose,

11

Timeo.

ma temo
e

che, essendo usi a giin alcun luogo

rare di citt in citt

non avendo

dimora
politici

fissa,

non capiscano niente n


filosofi,

degli

uomini

che cosa facciano o che cosa dicano, di quante e quali in guerra e in battaglia ne fanno in realt, o conversando con questi e con quelli ne dicono in parole. Ri-

n dei

20

mane
la

pertanto la specie della vostra condizione, quale partecipa dell'una cosa e dell'altra (1) e per natura e per educazione. Infatti, per esempio, il nostro Timeo (2), che da Locri in Italia, citt benissimo ordinata, e non inferiore ad alcuno
del suo paese per sostanze e per nobilt, ha avuto in mano le pi alte cariche e i pi alti onori nella
citt sua,

sommo

in ogni

ed insieme, a mio credere, giunto al genere di filosofia. Critia (3) poi

Cio della filosofa e della politica. Ci che sappiamo di Timeo tutto qui: le altre notizie su di lui non hanno fondamento attendibile, tranne quella che fosse conosciuto personalmente da Platone. Veggansi i Prolegg. cap. I, 2. Le leggi di Locri Epizefiria erano attribuite a Zaleuco, e che in realt le lodi di Platone siano a proposito, testimonio anche Pindaro, Ol. X, v. 17. Cfr. Legg. I, p. 638 B. in Tirn. p. 22 D, ci dice di Critia (3) Proclo, Comm. che frequentava i convegni dei filosofi, e che era chiamato filosofo tra gli ignoranti e ignorante tra i filosofi TTiTero kc cpiXoaqpuuv auvouauLv xal icaXdTO idrnc
(1) (2)
5

cpnaiv.

uv v qnXoaqpon;, qnXaoqpoc; b v Iiuitcik;, \bq i ioropia Nel Carmide (p. 169 C) rappresentato come uno che tiene pi all'apparenza di sapere che alla sostanza. Com' noto, nella reazione oligarchica fu uno dei trenta tiranni e anzi fra tutti il pi ladro, il pi violento e il
)

pi sanguinario, secondo Senofonte, Meni. I, 2, 12. Questo dimostra, se ce ne fosse bisogno, quanto sia differente praticare dallo speculare, e come l'ambizione e la il passione di parte possano acciecare anche le persone che pajono serie e condurle al delitto; di che non Critia esempio unico n raro. Che avesse frequentato

Capitolo II.

131

m' immagino che tutti quanti siamo qui sappiamo bene che non nuovo per alcuno degli argomenti
di cui

discorriamo.

finalmente
(i),

dell'indole
la sia

della cultura di

Ermocrate

che

adatta a

conversazione di Socrate, ci attestato pure da Senofonte, che ricorda come Socrate per questo ne fosse diffamato; ci soggiunto per altro (ib. 18 e 24), che finch era stato 'con Socrate si era condotto saviamente. Che poi Socrate disapprovasse gli atti di Critia tiranno, ancora Senofonte a testificarlo (ib. 29-38), e ci chiaro anche dall' Apologia di Platone, p. 32 C-D, dove Socrate riconosce che, se la tirannide dei Trenta avesse durato, probabilmente sarebbe stato messo a morte lui pure. Di Critia ci rimangono parecchi frammenti poesuoni la fama, ma ci tici, pregevoli pi che non ne che lo onora di pi il conto in cui mostra di tenerlo Platone, che scriveva a mente serena molti anni dopo la trista fine di lui, ed giudice spregiudicato, non ostante la parentela che avea col tiranno. E notisi il contrasto singolare Critia, che fu tiranno, quindi il pessimo degli uomini e il rappresentante del pessimo dei
la
:

governi, secondo la tesi sostenuta da Platone stesso, qui e nel dialogo a lui omonimo deputato a descrivere lo Stato pi ben ordinato e governato. Ma forse l nella Repubblica e specie nei 11. Vili e IX, ove si rappresenta il sorgere della tirannia e la triste necessit che ha il tiranno d'esser crudele e sanguinario, anche Critia fu uno degli esempi a cui Platone pensava, e in quelle pagine si pu cercare insieme e la sua condanna e la

sua scusa.
(1) Ermocrate, figlio di Ermone Siracusano, tenne una parte principalissima e nobilissima nella difesa della sua patria contro l'invasione ateniese, e Tucidide conferma e ribadisce ampiamente l'elogio che ne fa qui Platone, dicendolo (VI, 72) uomo che non restava addietro a nessuno per intendimento, e nella guerra era e abile per dottrina e insigne per valore: vn.p kci le, TXXct Eveaiv oev<; Aeuruevot; jca xar tv TrXeuov iuTretpiq. Te Kav<; yevuevcx; xal vpetqi Tri<pavn<;- E tale appare e negli atti Ubid. VII, 73: cfr. Plut. Nic. 26) e nei consigli: tre infatti sono le orazioni che Tucidide (IV, 58 sgg.; VI, 33 sgg. e 76 sgg.) gli mette in bocca piene di pensieri e di prudenza politica, e pi volte

132

//

Timeo.

tutte queste

cose, tanti ne sono

testimoni, che

sono ricordate le sue savie considerazioni (Thuc. VI, 72; Plut. Nic. 16 e 28). Nel Timeo e nel Critia egli ha troppo piccola parte, perch possa riconoscersi anche in essa una rappresentazione della sua indole, bench non manchi qualche tratto caratteristico XX *(p 6u:

arnaav, dice egli nel Critia, p. 108 C, gente che si scoraggia non ha mai eretto trofei, e di tal verit egli aveva fatto esperienza nell'assedio di Siracusa. Ma dopo la battaglia di Cizico (marzo 410), cui presero parte alcune navi siracusane, che dovettero essere incendiate perch non cadessero in mano degli Ateniesi, Ermocrate e gli altri strateghi, che le comandavano, ricevettero la notizia che il popolo li aveva esiliati (Xen. Hell. I, 1, 27-31). Forse la sconfitta aveva dato ansa alla parte radicale capitanata da Diocle, e la moderazione di Ermocrate verso i nemici contribu alla sua rovina (Plut. 11. ce. e Diod. XIII, 63). Senofonte (1. e.) ci racconta pure il malcontento dell'armata per questo fatto, e riferisce le nobili parole di Ermocrate che si sacrifica per evitare la discordia civile. Come per altro l'armata fosse tornata egli sarebbe stato rimesso in Siracusa: questa promessa
uoOvt<; fivpei;
outtuj
"

Tp-rraiov

egli

ebbe prima

di partirsi.

Poco dopo Ermocrate and

a Sparta (Thuc. Vili, 85; Xen. Hell. I. 1. 31), quindi in Sicilia, ove trov gi distrutte Imera e Selinunte, dunque dopo il 409 o il 408, a seconda si ritenga l'una o l'altra data per la catastrofe di queste citt, e per l'anno successivo, mentre era gi entrato armata mano in Siracusa. Diodoro (XIII, 63 e 75) ne pone il ritorno sotto il 409-8, la morte sotto il 408 7. Si cercato di dimostrare con altri argomenti che la scena del dialogo della Repubblica va collocata parecchi anni dopo il disastro di Sicilia e le si assegna il 409 o il 408: orale considerazioni nostre confermano e dimostrano vera questa conclusione. Infatti l'et dei personaggi esclude le date molto anteriori e gli anni 414-10 sono pure esclusi dall'impossibilit che Ermocrate si trovasse allora in Atene. Nel Timeo egli ospite di Critia, uno dei capi conservatori, alla cui parte Ermocrate pure apparteneva: si pu creder pertanto che durante il suo esilio, appunto intorno al 409, quando and a Sparta, egli
,

abbia fatto ad Atene una visita. E questo mi pare debba por fine a qualsiasi dubbio intorno alla data che Platone immaginava per la scena di questi due dialoghi.

Capitolo II.

133

jeri

convien proprio crederlo. Queste cose (1) io anche pensando, come mi pregavate che si ripetesse ci che era stato detto intorno allo Stato, ben volontieri vi accontentai, sapendo che poi il seguito del discorso nessuno lo sbrigherebbe meglio di voi, purch lo voleste perocch soli dei moderni voi sapreste trovare una guerra adatta in cui rappre:

sentare impigliata la citt (2) e attribuire alla citt stessa tutte le condizioni che le spettano. Ebbene, con l'adempire io la parte mia, ho assegnato a voi

quel ricambio che ora vi ricordo; avete infatti acconsentito, dopo aver ponderato insieme tra voi, di ricambiarmi oggi l'obbligazione dei ragiona- C
menti, ed io sono bello e in ordine per questo, e

sono il pi disposto di chi che sia per ricevere. E per verit, come disse il nostro Erm.

Timeo, caro Socrate, non mancheremo certo di buon volere; n v' per noi alcuna scusa per non far ci che anzi anche ieri appena partiti di qui,
;

come fummo

alle

nostre stanze presso di Critia,

dove siamo alloggiati, e anche prima per la strada, abbiamo pensato precisamente a queste cose. Ed egli ci ha raccontato una storia ch'egli ha da una
antica tradizione, la quale, o Critia, digliela ora anche a lui, affinch possa giudicare lui pure, se
al

nostro assunto fa a proposito o no.

Leggasi con 1' Hermann: 8 (e non bi) kci %e^ che male potrebbe stare iavoo0(ievo<; senza un oggetto: il i nacque dalla fusione di 8 col bri che chiude il periodo precedente, e che perci manca
(1)

ycb ictvooOnevcx;,

nei codici
(2)
el<;

dopo

ixiaxeuTov.
irp-rrovra KaxaaTriaavTCt; xr)v irXtv.

tP Tr\euov

Evidentemente si ha da intendere la citt immaginata da Socrate, non quella di cui ciascuno di loro era cittadino dunque guerra ipotetica in costituzione ipotetica.
:

Fraccaroli,

Il

Timeo di Platone.

12

J34

//

Timeo. se

Crit.

Facciamo

cos,

anche

il

terzo col-

lega

Timeo d'accordo. Sono con voi. Tim.


Crit.

Sentirai dunque, o Socrate, un discorso


Egli

molto strano bens, ma per altro del tutto vero, come diceva una volta Solone, il pi savio di
era infatti nostro parente (i) e amicissimo del bisnonno Dropide, come dice an-

quei sette.

(i)

t^v

uv oOv

oxetoi; koI

otppa

cpiXoc; i'iuv

Apumibu

toO

KaGmep X^ei uoXXaxoO Kal axt; v Tfj noirioei- Proclo ci ricorda a questo luogo che col nome di oxetot si chiamavano non solo gli amici di casa, ma anche i parenti, p. 26 B: e b oteeov trXx; tv XXwva KxXnKev, o bei GauuZeiv. IXeyov fp oKeiouq o uvov to<; auvnecic;, X\ kc to<; auYYeveic. L'osservazione sarebbe superflua, perch questo nell'uso comune ma tanto della lingua, come conferma pure Esichio Proclo quanto lo scoliaste, che lo copia, la fanno intenzionalmente. Essi infatti credono con Diogene Laerzio di Solone. Ma se era (III, 1) che Dropide fosse fratello tale, perch non l'ha detto Critia senz'altro beXcpc? perch usare la parola equivoca invece di quella specifica e precisa, e proprio l ove si voleva far notare la stretta intimit dei due personggi? Oltre di ci mi pare evidente che l'mtv fuori di luogo: cosa vuol dire n-poTTTnrou q>iXo<; f|uv Apumibu toO irpoTrainrou ? O che sta per irpoTrdTnrou i^uiliv? N si pu prendere l'iiav f|utv per dativo etico. Credo pertanto che tyiv sia da trasportarsi dopo oii<efo<; (come iperbato mi parrebbe troppo strano) e valga nostro parente egli era dunque congiunto con la famiglia e in particolare intimo di Dropide. Cos nel Carmide platonico (p. 157 E) ancora Critia che parla e dice che la casa di Critia figlio di Dropide era stata cantata da Anacreonte e da Solone Kpifiou toO Apumiou Kal il te fp TraTpUja i*|uv olKia tt' 'AvaKpovToq Kal Oli lXwvoc; Kal vn fiXXuuv ttoXXiv -troinTUJv YKeKWUiaffuvn uapabborai uv: ora n la cosa in s stessa, n il modo con cui raccontata, permettono di credere che Solone fosse veramente fratello di Dropide. Sar dunque stato parente pi lontano, oppure congiunto d'affinit (Cfr. Stallbaum, Prolegg. ad Charm. pp. io4-5 2 ). Se per altro rifiutiamo la tradizione che Solone e Dropide fossero tutti e due figli di ExeirpoTTinTou,
;
: :

Capitolo

IL

135

eh* egli

stesso in

pi

luoghi dei suoi versi


il

Critia poi

nonno mio raccont (come


alla

vecchio

sua volta con noi) che grandi e furono anticamente le gesta della citt nostra, le quali erano state dimenticate per e il perire degli uomini, ma che il troppo tempo
ricordava

meravigliose

una era grandissima; e poich di essa abbiamo ora fatto menzione, potrebbe essere del
tra tutte

21

caso che
stesso
alla

ti

rendessimo cos
per
tal

il

tempo facessimo
(1),

giusto e

Dea
festa.

modo

ricambio e nello vero omaggio inneggiandola nella

sua

cestide,

abbastanza certa
infatti

la

discendenza del secondo.

Critia primo, da Critia Callescro e Glaucone primo, quello padre di Critia secondo, il nostro, questo padre di Carmide e di Perictione che alla sua volta fu madre di Platone, Glaucone secondo e Adimanto. Dei versi poi nei quali Solone ricorda Dropide ed i suoi, ne rimangono due conservatici prima da Aristotele {Rhet. I, 15; fr. 22 del Bergk) e citati poi da Proclo (p. 25 F) e dallo scoliaste a questo luogo

Da Dropide

nacque

ehryevai

Kpmn

EavOxpixi, uaxpe; xouetv


i'iyuvi.

o yp .uapxivuj Tieiaerai
(1)

Proclo

(pp. 9

e 26 E-27)

ci

dice che la festa im-

mediatamente seguente alle Bendidie era quella delle Panatenee minori; ma poich consta che ci non vero, e che tra questa festa e la prima invece l'intervallo di due mesi (A. Mommsen, Feste der Stadt Athen in Alt. p. 51), I'Hirzel {Der Dialog, I, pp. 256-7) ed il Ritter {Philol. LXII (1903), pp. 410 sgg.) precipitarono nella conclusione che dunque la scena del Timeo non continua quella della Repubblica, e che i discorsi intorno alla Repubblica, che nel Timeo si riassumono, e che pur cos esattamente convengono coi primi cinque libri di quel dialogo, sono altra cosa e si richiamano ad un'altra conversazione di Socrate non consegnata alla scrittura da Platone, una ripetizione riveduta e corretta da poter collocare dove fa comodo. Anche il Lutoslawski, 0. e,

136

//

Timeo.

Dici benissimo. Ma quale cotesta imSocr. presa che Critia descriveva, non come raccontata,

ma come
citt,

fatta

realmente

(1) in antico

da questa
?

giusta quanto aveva udito da Solone

pare inclini in un'opinione analoga a queste. per evitare una difficolt si cade in una stramberia. Le Bendidie secondo Proclo si celebravano il 19 o il 20 del mese Targelione (Maggio) (a p. 9 dice il 19, a p. 27 dice il 20); e nello stesso giorno, secondo Fozio (sub //. v.), si celebravano t KaXXuvTnpiot, alle quali feste erano strettamente congiunte t. TTXuv-rnpia. Le Plinterie, che spettavano appunto al culto d'Atena, si celebravano secondo Fozio (1. e.) il 29, secondo Plutarco (Alcib. 34) Ora lo Stengel (Griech. Kulil 25 dello stesso mese. tusalt. p. 214) ritiene con Ad. Schmidt (Handb. d. gr. Chron. p. 299) che la mobilit della data fosse in relazione con la mobilit delle Bendidie, per le quali anche Proclo ci indica due giorni diversi. Si pens anche, con qualche probabilit, che le Plinterie durassero pi giorni, e con probabilit minore perfino a uno scambio di precedenza tra Callinterie e Plinterie (Cfr. Schoe4 mann-Lipsius, Gr. Alt. II pp. 490-91), come pure che le giorno solo e le Callinterie fosPlinterie durassero un sero una parte delle Bendidie: cfr. Ad. Schmidt, 1. e; A. Mommsen, o. e, pp. 491 sgg.; Preller-Robert, Gr. M. di ci, questo certo, che non I*, p. 209. Checch sia manca subito dopo le Bendidie una festa di Atena adatta all'allusione di questo luogo, anche se non saranno le Panatee volute da Proclo.
p. 488,

Ma

XX n ttoov Ipyov toOto Kpiriaq o XeYuevov upax6v vxwq tt Tf^e xf); TTXeux; pxcnov La collocazione di o f)ir)T e ^ T0 Kar ff|v IXujvoc; Koryv Xeynevov tra uoiov e injeTTO, e la correlazione tra Xe-fuevov e -rtpaxQv mostrano che la nostra interpretazione, che anche quella del Martin e del Mueller, la sola vera. L'Acri invece: " ma quale codest'opera non mentovata e nientemeno fatta dalla nostra citt anticamente, secondo che raccont Solone? Similmente lo Schneider. Peggio Proclo col suo un irdvu \xtv Te9puXr|uvov, Yevuevov uux;, e lo Stallbaum che lo segue. L'Archer-Hind, che pure traduce " though unrecorded in history, soggiunge in nota la vera interpretazione: not a mere figment of the imagination (like the com(1)

uv. uj; o

'"

Capitolo

IH.

137

III.

racconter un discorso antico che ho udito da un uomo non pi giovane. Poich Critia era allora, come diceva egli stesso, non molto lontano dai novanta, ed io poteva avere B
Crit.
dieci anni.

Ti

Era

delle feste

la festa Cureotide, (il terzo giorno) Apaturie(i); e ci che uso che i

fanciulli facciano in tale solennit si fece

anche

genitori ci proposero delle gare di rapsodie, e furono recitate molte poesie di molti
allora
;

cio

poeti, e parecchi di noi ragazzi

cantammo anche
nuovi

dei versi di Solone,


in quel

come
che

quelli ch'erano

tempo

l.

ricordo a proposito, che


gli

uno

dei confratelli

(2),

sia

paresse veramente

monwealth described in the Republic), but a history of facts that actually occurred; e adduce a confronto e prova p. 26 E io re u^ TtXaoevxa uOGov \\' Xr|8tvv
:

Xyov dvai. Il Jowett viceversa d l' interpretazione vera nel testo, e propone anche l'altra in nota.
KoupeJTK; f|ufv 0C00 TOYXavev 'Anaroupiiuv. feste delle singole fratrie; si celebravano nel mese Pianepsione (Ottobre) e duravano per tre giorni, il terzo dei quali si chiamava Koupeumq dall'essere in esso, come dice Suida, i fanciulli e le fanciulle iscritti nei registri delle fratrie: tto to to;
(1)
f\

Le Apaturie erano

Kopouq

kciI

x<;

Kpaq rfpcpeiv

de; toc;

qppaTpicu;. Cfr.

Schol. Aristoph. Acharn. 146. Delle gare dei in questo giorno questa di Platone la pi
testimonianza.
(2) tIc;

fanciulli

esplicita

fratria.

La

uno appartenente alla nostra TiLv cppaTpuuv fratria corrisponde press'a poco alla gens

romana.


138
// Timeo.

cos, sia

per far piacere a Critia, disse che


fosse stato,
,

gli

C pareva che Solone


cose sapientissimo
tutti
i

come

nelle altre
tra

cos

anche nella poesia


(1).

poeti

il

pi nobile

E
:

il

vecchio, mi

par proprio di vederlo, molto si compiacque dell'osservazione, e disse sorridendo Se, caro Aminandro, egli non avesse trattato la poesia come

un accessorio,

ma

se

ne fosse occupato

sul serio

avesse condotto a termine quella narrazione che aveva portato dall'Egitto, e per le discordie civili e per gli altri guai che trov
gli altri, e

come

giunto qui non

fosse stato costretto

a trascualtro

rarla

a parer

mio n Omero n Esiodo n

poeta nessuno sarebbe stato pi celebrato di lui. E che cos'era cotesto racconto, disse egli ; o Critia?

Era, disse,

sull'impresa pi grande e che


la

me-

ritamente dovrebb' essere


citt,

pi famosa di quante

furono, la quale fu compiuta bens dalla nostra

ma per il tempo e il perire di quelli che l'hanno compiuta non ne dur fino a noi la memoria.

Racconta dunque dal principio, disse

XeuGe(1) boKfv ol... ZXuuvct... tiIiv iroiriTULJv TrdvTuuv pidjTdTOv. Notisi bene, non dice affatto che Solone gli

paresse un gran poeta, ma solo che gli pareva il pi nobile; e questo va. poeta infatti essenzialmente morale; e lo scopo didattico e gnomico non ammette poesia vera e grande, se pure vero ci che dice Socrate nel Fedone (p. 61 B), che la poesia non punto
Xyot;

ma n06o<;. Se dunque egli non scrisse la leggenda egiziana, dato e non concesso che del resto il racconto di Critia sia vero, ai motivi di impedimento che qui Critia
enumera, anche un altro probabilmente da aggiungere non la scrisse perch non aveva ispirazione suffi;

a questo giudizio torna quello di Plutarco che riconosce che Solone lasci di scriverla, non per mancanza di agio, ma piuttosto perch era vecchio e si era spaventato della lunghezza dell'impresa.
cente.

(Sol. 31),

Capitolo III.

139

egli,

che cosa raccontava Solone, e come, e da

chi l'aveva udita per veia.

Vi
vertice

in Egitto, disse egli, nel Delta, sul cui


si

fende

il

corso del Nilo, una provincia

denominata Saitica, e di questa provincia la maggior citt Sais, donde appunto fu anche il re Amasi. Per fondatrice della citt essi hanno una Dea, che in Egiziano ha nome Neith (1), e in Greco Atena, dicon loro; e sono molto amici degli Ateniesi e per un certo rispetto dicono di essere loro parenti. Ivi dunque andato Solone, raccont che fu tenuto in grande considerazione presso di
loro, e che,

come

interrog sui

fatti

antichi quelli 22
si

tra

sacerdoti che ne erano meglio informati,


lui

accorse che, a dirla schietta, n

alcun altro

Greco non sapeva nulla


antichit,

di tali cose.

una

volta,

(diceva), volendo tirarli in discorso intorno alle

cominci a parlare di quelle cose che da noi passano per antichissime, di quel primitivo Foroneo leggendario (2) e di Niobe, e dopo il

(1) Che la Dea venerata in Sais fosse Atena, lo asseriscono anche Cicerone, De Nat. Deor. Ili, 23, 59, e Plutarco, Is. et Osir. 9, 32 e 62 ; ma Cicerone non ne d il nome egizio, e Plutarco la agguaglia invece ad Iside. Dice poi che v' era questa epigrafe nel suo tempio yJL> eul ttcv t yeyovc, kccI v kci auevov Ka tv uv " io sono tutto ci TTTrXov obeic Trai Gvnxi; -neKkvyev che stato generato e che e che sar, e nessun mortale ha mai alzato il mio velo. Cfr. Procl. o. c,
:

p.

30 D-E.
(2)

Foroneo sarebbe vissuto prima del diluvio di Deucalione e sarebbe stato figlio di Inaco, perci re d'Argo. Clemente Alessandrino, Strom. 1, 21, p.321 (I, p. 825 Migne) dice che Platone tolse questa notizia dallo storico Acusilao, che chiama Foroneo il primo degli uomini. Pausania, pi discreto, III, 15, 5, lo dice il primo degli uomini dell' Argolide, e che Inaco suo padre non

140

//

Timeo.

diluvio ancora a favoleggiare di Deucalione e di

Pirra,

come

si

eran salvati, e a far


e

la

genealogia
quanti

dei

loro

discendenti

degli

anni loro,

mezzo dei quali diceva che s'era provato di fare il computo cronologico. Ma uno dei sacerdoti, che era ben ben vecchio (1), gli disse: O Solone, Solone, voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco vecchio non c'. E sentendo ci Giodisse egli. Come mai dici questo? anima tutti. Perocch non vani siete, rispose, di
erano, per

avete in essa per antica udita alcuna antica opi-

C ventata canuta.
volte

nione n scienza che per il lungo tempo sia diE il perch di ci questo molte
e per molti
e

uomini
altri

modi avvennero stermini di ne avverranno, per mezzo del fuoco e


i

dell'acqua
pi
di voi, che

lievi.

maggiori, e per infinite altre cause Infatti ci che si racconta presso

giogato

il

carro paterno, per

una volta Fetonte figlio del Sole, agnon esser capace di


si

guidarlo sulla strada del padre, bruciasse quanto


era in terra e perisse fulminato, questo
rac-

conta sotto forma di favola, ivi si adombra) la deviazione

ma

la

verit (che

(2) delle

cose che

era un uomo, ma un fiume. Niobe poi era figlia di Foroneo (Paus. II, 22, 5: ib. 34, 4-5), e non da confondere con la Niobe figlia di Tantalo.
(1) Plutarco ( V. Sol. 26; Is. et Osir. io) dice che questo sacerdote si chiamava Sonchis e che in Eliopoli Solone ne conobbe un altro di nome Psenophis; Proclo invece (o. e, p. 31 D) racconta che il sacerdote di Sais conosciuto da Solone si chiamava Pateneit, e quello di Eliopoli Ochaapis, e che ne conobbe un terzo, Ethemon, in Sebennito; soggiunge poi che Pateneit probabilmente quello che gli raccont la storia. (2) -nrap/\Aci<; deviazione, come nel Politico, p. 269 E, e perci perturbazione: dalla perturbazione nasce l'in-

Capitolo III.

141

circuendo la terra vanno per il cielo, e la distruper mezzo del fuoco, dopo lunghi periodi di tempo, di tutto ci che sulla terra. Allora infatti quanti vivono per i monti o in luoghi elevati o secchi periscono pi di coloro
zione

che abitano sui fiumi o sul mare noi poi il Nilo, che il salvator nostro anche nel resto, anche allora, uscendo fuori (1), ci salva da questo fran:

cendio, come bene parafrasa Calcidio :" fitenim longo intervallo mundi circumactionis exorbitatio quam vastitas
:

inflammationis consequatur necesse est. Proclo invece si mostra incerto, e domanda cosa voglia dire, p. 35 E-F: t^v anuaivuuv ol rf\q -irapaXXEeuK; E risponde -ri auuueTpiav twv iv yf) irpc; x opvia ... f\ xv tjv opaviuuv -ttoikXov axn.uaTiffuv, cio, o la sproporzione di ci che in terra con le cose celesti o l'ambigua disposizione di queste. L'interpretazione vera la prima. Nel Politico, p. 270 D, queste catastrofi avvengono quando il mondo a certi periodi di tempo, abbandonato da Dio, si muove da s in senso inverso. Nel Timeo di questo periodico abbandono non alcuna traccia: ad ogni modo anche ci che si dice qui va inteso in senso mitico, non come un fatto accertato e conosciuto razionalmente.
;
:
t'

(1) fiuv b NeXoq ... Xu|uevo<;. Proclo intende

ie

ToaiTr|<;

Tiq

Tropia<; atuei

Xu|uevo<; per XOwv, p. 37 B: XreTai *fp (ttikuk;, Sti Xei rf]c, Tropiou; f\v<; NeTXoq.

Similmente il fido Scoliaste e Suida, sub v. Xunevoc;. Ed l'interpretazione accettata anche dallo Stallbaum, dal Martin e dal Jowett, non ostante che Xuiuevo^ con essa paja inutile. L'Acri invece rende Xuuevo; con " sciogliendosi dalle ripe e inondando, come fa anche il Mueller, e I'Archer-Hind pure con " by releasing his founts, attingendo ad una interpretazione di
Porfirio (cfr. p. 142 n. 2) citata da Proclo, p. 37 A, che la rigetta: t rravivai Kdxa)9ev toOto (ai. tot) tuj AiYuttti) bnXoOv xal t odjlei Xvnevoc,, cio che adiZei Xuju. non vuol dir altro se non che l'acqua pullula su dal terreno. Tutto ben ponderato preferisco anch'io questa seconda interpretazione. Infatti bens vero che cos

semplicemente senza alcuna spiegazione precedente Xu|uevo<; pare difficilmente possa esser capito in questo

142

II

Timeo.
gli

gente. Cos

quando viceversa
la

ficare la terra

inondano
i

(i),

quelli

Dei per puriche sono


i

sui

monti

si

salvano bens,

bifolchi e

pastori,

ma

quelli che sono trascinati dai fiumi nel mare. In questo paese qui invece n allora n mai l'acqua scorre dal di

nelle citt

vostre

vengono

sopra sul suolo,


tura che
si

ma

per

lo contrario

ha

tal

na-

alza dal di sotto (2).

Ecco come

e per

senso da un lettore spregiudicato (e questo pu far credere che qualche altra parola sia caduta) bens vero del pari che ci che subito dopo soggiunto, che effettivamente in Egitto le inondazioni avvengono per l'acqua che pullula su dalla terra, e non per le piogge che scendon dal cielo, a stretto rigore logico non pare intenda a spiegare il Xuuevo<; che precede ma a interpretare Xu|ivo<; nel senso voluto da Proclo mancherebbe affatto ci che pi importava di dire, cio in qual modo il Nilo salvasse l'Egitto dalle conflagrazioni, mentre invece detto parallelamente e subito dopo in qual modo il paese sia salvo dai cataclismi. Alcuni codd. inferiori hanno ftuuevo;.
;
;

libro delle Leggi per spie(1) Nel principio del terzo gare l'origine dello Stato (determinandosi e concretandosi la tesi proposta nel principio del Timeo) si ripiglia lo stesso mito delle periodiche distruzioni del genere umano, insistendo per altro pi specialmente sui cataclismi che spazzano le citt e la civilt loro, dai quali simbolegsi salvano solo alcuni pochi rozzi montanari, giati da Omero nei Ciclopi. Lo stesso mito in forma pi fantastica raccontato anche nel Politico, pp. 269 gg. che Porfirio osservava (2) Proclo (p. 37 A) ci informa come fosse opinione antica degli egiziani che nell' inondazione del Nilo l'acqua pullulasse dalla terra, e che perci il Nilo fosse chiamato sudore della terra ( pwTct Giamxf|<; TnO- E cos, soggiunge poi (p. 37 B), anche blico sosteneva doversi intendere, invece della spiegazione, che scientificamente pi vera, d' Eratostene, che pur riferisce con queste parole: fiXXoi qpacnv, ti aoEerai Net\o<; u ufSpujv tivwv e<; cojtv cxeouvwv, toOto ouv ut, fpr|Tai iappn&riv otto 'Epcrroaevoix;. o vopXuaGaiariMOtivei T novivai vOv, t Kd-rwev ttoGev t]<; veiv, XX (t) t tiuup XXaxGev aEuevov vundpw

Capitolo III.

143

quali

cagioni

ci che qui

tramandato
Il

si

ri-

tiene sia quanto v'ha di pi antico.

fatto si

poi che in

tutti

luoghi,

dove freddo eccessivo


(1),

o calore non

lo

impedisca

dal pi al

meno

si trova sempre la razza umana; e che quante 23 cose accadono o presso di voi, o qui, o in altro luogo, delle quali abbiamo notizia, se ce n' alcuna bella o grande o per altra cagione segna-

lata,

tutte

son qui

scritte

ab antico e conser-

vate nei templi.

Le

cose vostre invece e degli

YHS X^P 6^ tujv KaxappriYvuMvtuv eie; axv r fiXXujv tttuuv: " altri dicono che il Nilo cresce per effetto di piogge che si versano in esso, come affermato esplicitamente da Eratostene; e che perci l'navivai non significherebbe che l'acqua pulluli dal di sotto, ma che essa cresciuta d'altronde si riversa sopra la terra, irrompendo nel Nilo delle correnti che vengono da altri luoghi. E pi oltre (p. 37 B-D) ci dice che " Teofrasto afferma sola cagione di tali piogge essere il condensarsi delle nuvole su certe montagne; che se presso i KaT&otmct (cateratte) non si vedono nuvole, non meraviglia, poich non sorge di l il Nilo, ma dai monti della Luna. Con tutto 'ci non pare che le parole di Platone ammettano altra interpretazione che quella di Porfirio e di Giamblico.
(1) Non si pensi ai cataclismi di cui poco sopra. Il nesso questo: in tutte le zone abitabili sono sempre stati uomini e perci azioni umane; e neanche nei pi terribili cataclismi periscono tutti: ma poich quelli che a tali distruzioni sopravvivono sono soltanto pochi, incuriosi e ignoranti, avviene che la loro memoria perisca. In Egitto invece e non ci sono quei gravi cataclismi, e la memoria dei fatti grandi, ovunque siano accaduti, si conserva religiosamente nelle sacre scritture. L'antichit interminata del genere umano sulla terra, oltre che qui e nelle Leggi, affermata da Platone anche altrove, ed espressamente la prima volta nel Teeteto, p. 175 A: " di avi e progenitori ciascuno ebbe innanzi a s miriadi innumerevoli, nelle quali per chi che sia e ricchi e poveri, e re e schiavi, e barbari e greci si succedettero infinite volte.

144
altri,

//

Timeo.

non appena

di volta in volta

sono provve-

dute di scritture e di tutte quelle istituzioni di cui le citt hanno bisogno (i), ecco che di nuovo, dopo il consueto giro di anni (2), come una malattia

viene loro addosso impetuoso

il

torrente del
illetterati (3)

cielo e

non

lascia di voi se

non

gli

e gli zotici, cos che siete


novellini, nulla

che

sia

sempre daccapo come sapendo n di noi n di voi ci avvenuto nel tempo antico.
pertanto dei
fatti

Le genealogie

vostri,

o So-

lone, che ora ci stavi facendo, differiscono poco dalle favole dei fanciulli, poich innanzi tutto voi non ricordate che un solo cataclisma della terra,

mentre ve ne furono molti altri prima; e inoltre non sapete che nel paese vostro fu la gente mi-

KaTeaxeuaa^va (1) x trap' u!v xal to<; fiXXou; fipxi xdcJTOTe TUYXvei YpaMM a i v Ka 1 fiiraaiv ttctujv itXk; ovTai, Kal irdXiv k. t. X. Lo Stallbaum spiega: " Latine dixeris: vix sunt mandata litteris atque publicis
'

monumentis, quum rursus etc; ma i pubblici monumenti mal corrispondono ad airctaiv iraujv iTXet<; ^ov" Mais chez Tdi. Meglio per questo rispetto il Martin: et chez les autres peuples l'usage des lettres et vous de tout ce qui est ncessaire un tat polic ne date iamais que d' une epoque recente male invece, per un altro rispetto, in quanto fym KCtxeaK. non si ha da
;

intendere in senso assoluto,

ma

in relazione al seguire

immediato dei cataclismi. Notisi ancora che tu imp* uW non significa gli avvenimenti, ma lo stato delle cose: " your institutions or commonwealths (Archer-Hind). lento: come si Il cammino della civilt da principio sia giunti faticosamente a conquistarla a poco a poco, essa perisce tutto ad un tratto rapidamente.
(2)

Dunque

a periodo fisso,

come

detto nel mito del

Politico.

che le acque inghiot(3) Poco prima aveva detto tivano gli abitatori del piano e della marina, e si salvavano nei monti i bifolchi e i pastori: perci dice ora
che
si

salvano solo

gli ignoranti.

Capitolo li

145

gliore e pi bella

che
la

sia

mai

stata al

mondo,

dalla

quale e tu e tutta

vostra cittadinanza d'adesso

deriva, essendosene salvato una volta un piccolo seme, ma non ve ne siete accorti, perch quelli che si eran salvati morirono per molte generazioni muti per le lettere. Perocch fu una volta, o Solone, prima della grande distruzione per mezzo delle acque, quella che ora la citt degli Ateniesi una citt prestantissima, e per la guerra e per tutte le altre cose ben ordinata pi che
alcun'altra (1), per opera della quale si dice abbiano avuto luogo le pi belle imprese e i pi
belli

ordinamenti di quanti mai sotto il cielo ci trasmessa notizia. Or come' ud queste cose Solone, disse di essersene meravigliato, e di averci messo ogni buon volere, pregando i sacerdoti che gli raccontassero ordinatamente per filo e per segno tutto
sia stata

ci che

sapevano dei suoi antichi concittadini.


gli

il

sacerdote

rispose:
;

Non

c' ragione di

e per amor tuo e della rifiutartelo, o Solone parler, e sopra tutto anche per rispetto citt tua

(1) irXit; dpiaxn irpc; vo|uuJT<Tr| iacpepvrux;.

re tv TtXeuov

kci

kot itvra e-

Lo Schneider pone
il

Travia,

a indicare che

k. irvTCt si

virgola dopo unisce ad piain (cos

anche Archer-Hind),

l'asindeto di ev. iaqp. sarebbe


:

che non credo affatto, perch durissimo: meno male sarebbe legare piain con irp<; tv TtXeuov, ed evoua>TTr| con kot Travia il te, che avrebbe dovuto andare dopo piaTn, sarebbe spostato, come se il costrutto fosse stato originariamente concepito per finire con k. Travia, senza ev. iacp. (Stallbaum). Il lieve anacoluto cos naturale e proprio del concepire platonico, che superfluo spender parole a difenderlo; ma non c' bisogno neppur di questo, e si pu intendere, e meglio, ttXk; piarr) da solo, e tutto il resto con ev., cio tt\i<; piain Ka evou. iaqp. -npc, tv ttX. Kal xaT Travia.
Fraccaroli, Il Timeo di Platone.
13

146

//

Timeo.

della

Dea che possedette,


il

nutr

ed allev e

la

citt vostra e la nostra,

anzi la vostra mille anni


di

prima, ricevendo

seme

voi dalla Terra

e
di

E da Efesto

(1),

e la nostra

posteriormente.

questa fondazione nostra nelle sacre scritture scritto il numero di ottomila anni (2). Pertanto
dei
tuoi
fa,
ti

concittadini, che

sono

stati

novemila

esporr brevemente e le leggi e delle opere loro quella che fu la pi bella; i partico24 lari poi di ogni cosa per ordine li ripasseremo pi tardi a nostro agio prendendo in mano le scritture. Quanto alle leggi pertanto, considerale
anni

paragone di quelle che abbiamo ora noi, e molti saggi di ci che c'era allora da voi ne
al

troverai

adesso qui,

innanzi

tutto la

classe

dei sacerdoti essere distinta separatamente dalle altre, e dopo di questa quella degli artefici (quanti

son quelli che

(3)

da s ciascuno

e senza

mesco-

(1) Proclo, o. c, p. 44 D: KCtT tv uOBov "HcpaiaTOi; pwv xfy; 'Aenvc; cpnice t (JTrpua d<; Ynv, xa xelGev I^Xdornae t tujv 'Aenvaiujv Yvoq. Lo Scoliasta qui attinge ad altre fonti ed aggiunge pi sconci particolari. Noi potremo ritenere soltanto che nei due Dei sieno simboleggiati i due elementi primi di Parmenide (cfr. p. 31 B), la terra e il fuoco, e lascieremo a Proclo le sue

fantastiche allegorie. (2) L'espressione irrazionale: dai documenti antichi infatti poteva risultare che la fondazione di Sais risaliva ad ottomila anni indietro, non gi che il numero 8000 fosse scritto sotto la sua fondazione. Un'altra irrazionalit, notata dal Jowett, che Platone d la stessa data di 9000 anni indietro e per la fondazione di Atene e

per

la vittoria su gli Atlantidi. KaO' cct (3) iLiex b. toOto t t)v nuioupY<l>v, 6ti forse 'KciaTov fiXXuj b ok TnuiYvi),uevov n.moupYe.

che la logica, oltre la grammatica, vuole che Ka0' ax gxaaxov si abbia da intendere per soggetto e non gi per oggetto di r||uioupYe: la distinzione infatti non si fa per i prodotti, ma per gli agenti,
superfluo notare

Capitolo III.

147

larsi

con

altri

esercitano

il

proprio mestiere) e

cos dei pastori e dei cacciatori e degli agricoltori.

del pari hai sentito dire,

m'immagino, che B
di

la classe

dei guerrieri qui separata da tutte le

altre classi, e

che ad

essi

imposto per legge

non occuparsi di alcun'altra cosa all'infuori di ci che ha attinenza alla guerra. Inoltre (c') la foggia
della loro armatura, cio

scudo e

lancia, di cui noi

popoli dell'Asia (1) ci siamo armati, quella della Dea, che ce la insegn, come prima

per primi

tra'i

in

quei luoghi

l'aveva insegnata a voi. In fatto

ed essenzialmente personale. Soltanto dubito di 'ti congiunzione, e propongo 8 ti pronome. Col pronome torna pi chiaro che ci che segue immediatamente, t
TG TUJV VOUGUJV KCl TUJV [al. KOl T Tlv] GnpGUTlJjV T TG tjv fnup-fdjv, non si ha da prendere come indicazione di altre tre classi (come vorrebbero parecchi interpreti impelagandosi in molte difficolt storiche), come parte e quasi esemplificazione di quella or nominata degli operai. Tutti questi, quanti son quelli che eserci-

ma

tano ciascuno un'arte a s, costituiscono una classe separata da quella dei sacerdoti e dei guerrieri: Sti dice che la costituiscono, ma non ne rende ragione sufti dice quali sono quelli che la costituiscono, ed un'epesegesi di tuv rnLUOupYjv, alla quale si soggiungerebbe come parte integrante t te tuv vouuuv etc. Anche nel periodo seguente, dopo nominata la classe dei guerrieri, non si continua con un causale, ma col relativo o!<;. Del resto si potrebbe pensare anche ad 6 Te.

ficente;

'

(1) ri o f\ Tri; TtXiaeujt; ... oxaic, ..., o\q l'uueTc; TrpuTOi tiDv irep ttiv 'Aoiav mMueBa ( noto che l'Egitto fu da molti antichi considerato parte dell'Asia), Tfj<; GeoO, KaOcmep v Keivoi<; tot<; tttok; Ttap' plv irpujTOK;, vbeiSauvn;. Se l'Egitto considerato Asia, all'Asia non pu riferirsi v k. to; tttok;, come crede lo Stallbaum, che direbbe invece v totoic; t. t. Le virgole, che ho

segnato nel lemma, indicano come si devono congiungere le parole. C' a notare poi un lieve anacoluto, in tf]c, TrXiaeux; o\a\<; non ha un prediquanto che cato vero e proprio, ma sta a s,' come continuasse la semplice enumerazione delle analogie tra i due Stati.
1*)

148

//

Timeo.

C poi

di saggezza, tu vedi, credo, la legge quanta cura abbia posto qui subito fin da principio, trovando, in rapporto all'ordine mondano, ogni cosa fino alla mantica e alla medicina per star sani (1),

che sono divini, (derivandole) in servigio delle cose umane, e le altre scienze, che tengono dietro a queste, tutte quante procacciando. Di tutto questo ordinamento adunque allora e di questo ornamento la Dea forni voi per primi

da questi

(principi),

quando fond
il

(la citt vostra),


stati

avendo avanti

eletto

luogo ove siete

generati, e riconoscendo

che la temperanza delle stagioni (2), di cui gode, avrebbe prodotto uomini intelligentissimi. Come quella pertanto che era amica insieme e della guerra e del sapere, quel luogo che poteva pro-

uepi re tv Kauov cnravTa luxpt juavxiKfc; kcx! hx7rp<; Yiiav, K toOtuuv eiuuv vtiwv d<; t vepdmiva veupUJv. Che aTravxa vada con veupdiy (che altrimenti rimarrebbe senza oggetto), e non con Kauov, sarebbe superfluo avvertire, se il Martin, il Mueller, I'Archer-Hind ed il Jowett non fossero caduti in errore. Piuttosto importa notare che la frase non chiara, e in ispecie delle parole irepi je tv Kauov non si pu dire con sicurezza qual sia il significato n gram(1)

Tpixfn;

maticale

ne logico. Cos com'

il

testo,

pare voglia

dire che la detta legge incominci dallo studiare l'ordinamento naturale (t 9da), e su questo studio fond le applicazioni pratiche (t v8pumiva). Le parole k totijuv
...

v8pumiva non sarebbero altro che epesegesi

di

irepi

te tv kouov... up^ yieiav.

Sulla felicit del clima dell'Attica basti citare Eur. fr. 971. L'influenza del clima sugli abitanti, qui affermata categoricamente, espressamente riconosciuta anche da Ippocrate, De aere, locis et aquis; ma Longino e Porfirio, citati da Proclo (p. 50 C), si domandavano fin d'allora a ragione, come mai, rimanendo la stessa la propriet del clima, non si ha sempre la stessa eqputa degli abitanti. E non si spiegavano questa
(2)

Med. 824 sgg. e

difficolt.

Capitolo III.

149

durre
leggi

gli

uomini pi

simili a s, quello scelse e per

primo occup.
cotali

voi lo abitavate reggendovi con

ogni virt
figli

tutti gli

anche migliori, e superando in uomini, come si capisce, essendo

e alunni di Dei.

Molte grandi opere pertanto della citt vostra qui trascritte si ammirano, ma a tutte una va di sopra e per grandezza e per valore; perocch E dice lo scritto (1) di una immensa potenza cui la vostra citt pose termine, la quale violentemente avea invaso insieme l'Europa tutta e l'Asia, ve-

nendo

di fuori dal

mare Atlantico.
si

Infatti

allora

per quel mare


voi,

l si

poteva passare; che innanzi


chiama,

a quella foce stretta che

come
(2).

dite

colonne d'Ercole, c'era un' isola

que-

nevoli. Dice che,

53 B-C) fa delle osservazioni ragionei discorsi panatenaici si usava celebrare le guerre Persiane, Platone fa pure le lodi di Atene, ma per una impresa contro l'occidente, considerando cos l'Attica come il centro, dal quale si estende woirep k Kvxpou la civilt a dominar la barbarie: t^v 'ABnvaiujv itXiv Getupnan^ t cp' Karepcc Pap^apucv
(1)

Qui Proclo

(p.

come

TKTuui; Kivouevov auucppovitoucrav.

Soggiunge pure che,

miti e nei misteri si celebravano le guerre dei Giganti e dei Titani e il valore di Atena nel combatterli, egli non volle attribuire guerre e discordie agli Dei, di che anzi aveva il giorno innanzi nel dialogo della Repubblica rimproverato i poeti, e vi sostitu con analogo significato quella contro gli tlantidi.

mentre nei

nel 1841 pot ancora arricchire il suo un'eruditissima dissertazione di 75 pagine sulla questione dell'Atlantide, se abbia esistito e dove e come, riportando le opinioni in proposito degli antichi e dei moderni, le quali potrebbero servire ottimamente per dimostrare, se non altro, la superiorit intellettuale di quelli su questi. Nel 1905 confutare certe stramberie, o anche solo ricordarle, pare superfluo, e basteranno pochi cenni. Sul fondamento del racconto di Platone la sola testimonianza di qualche valore p(2) Il

Martin
di

Timeo

150
st'isola era

//

Timeo.

pi grande della Libia e dell'Asia insieme, e da essa chi procedeva trovava allora un

trebbe essere quella di Crantore, primo commentatore del filosofo (citato da Proclo, p. 24 A-B), il quale avrebbe attestato che Platone essendo stato messo in burla per la sua Repubblica, perch vendesse come invenzione sua quella che era la costituzione degli Egiziani, per rifarsene si richiam all'autorit degli Egiziani stessi circa la guerra degli Ateniesi e degli Atlantidi forse voleva dire che ammise una certa analogia tra la propria speculazione e i costumi egizi, e ne determin i limiti. E qui continua Proclo: napTupoOcst hi. Kai Trpoqpf)Tai, qpnai,
:

tiIiv AiyuTiTUJUV v OTr|Xai<; tc<; ti aipZoiuvati; TaOxa yeYpqpGat XyovTec;, dove non chiaro se il cpncri si riferisca alla accennata opinione di Crantore, che avesse cercato i documenti della sua asserzione, e li avesse trovati nella testimonianza dei sacerdoti egizi che ne adducevano in prova delle iscrizioni sopra stele ancora esistenti, o se non piuttosto riassuma, sia pure sotto la

responsabilit di Crantore, l'affermazione di Platone stesso. Vero che il Timeo non parla di stele, ma poich lo scritto doveva conservarsi attraverso i secoli, era facilmente presumibile fosse stato consegnato a materia durevole, e perci Crantore poteva immaginare questa particolarit come la cosa pi naturale. Pi oltre lo stesso Proclo (o. e, PP.54F-55), per l'esistenza dell' Atlantide e che la fosse cos come la descrive Platone, si appella alla testimonianza di alcuni che avevano scritto intorno al mare esterno, xivq tujv iaxopouvTUjv nepi xf|<; ltu> 8aXaarj<;, e che affermavano che al tempo loro su
delle quali tre inacquella di mezzo, che era grande mille stadi (xiXiiuv OTaofuuv t uyeOcx; un'espressione molto ambigua) ed era sacra a Poseidone, conservavano la tradizione dei loro maggiori, di un'im-

quel

mare

e'

erano

dieci isole

cessibili,

e che

gli abitanti di

mensa

isola Atlantide

che sarebbe veramente

esistita

e avrebbe dominato tutte le altre. E soggiunge: TaOxa nv oOv MpxeXXo<; v xot<; A8iottikoT<; Y^Ypa^v- Or chi costui? Forse uno di quelli istoriografi di cui parla Luciano nella sua Storia Vera ? Tale egli appare infatti ove racconta dell'altezza straordinaria del monte Atlante che getta un'ombra di 15.000 stadi (Proclo,
p. 56 B). N maggior valore ha uno scolio alla Repubblica, I, p. 327 A, che dice che nelle piccole Panatenee si

portava in processione un peplo su cui era rappresentata

Capitolo III.

151
il

valico alle altre isole, e dalle isole a tutto

conl,

tinente dall'altra

parte intorno a

quel mare

25

che veramente mare. Perocch (al paragone) questo, che dentro della foce di cui parliamo, pare piuttosto un porto che abbia un ingresso stretto, mentre quello s che si potrebbe realmente dir mare e la terra che lo circonda ben si potrebbe con tutta verit chiamar continente. Ora in questa isola Atlantide era sorto un grande e mirabile impero, il quale la dominava tutta quanta con molte altre isole e alcune parti pure del continente. Ed oltre di ci anche delle regioni da questa parte nel mare interno signoreggiavano sulla Libia
fin

Or

verso l'Egitto e sull'Europa fino all'Etruria. tutta questa forza raccolta in uno tent una

volta con

un impeto solo

di

soggiogare e

luoghi

la

guerra degli Ateniesi contro gli Atlantidi, sia perch questo peplo non pot essere anteriore a Platone, che altrimenti Critia l'avrebbe conosciuto, sia perch probabilsi tratta di una papera dello scoliaste nel comProclo. Del resto che agli antichi Egiziani, per mezzo dei Fenici, potesse esser nota l'esistenza dell'America (cf. [Arist.] De mir. anse. cap. 84 (85)) non fuori del verosimile, quando conoscevano che l'Africa era isola, il che sarebbe stato impossibile neppur sospettare senza avervi girato intorno. Ora una tradizione vetusta non confortata da esperienza di commerci posteriori pu benissimo aver dato origine alla leggenda della scomparsa dell'Atlantide. Fino a qui mi par lecito di congetturare; e alla congettura si pu aggiungere il fatto, attestato da monumenti, di un antichissimo popolo del mare che, venendo dall'occidente, avrebbe invaso la Libia e l' Egitto voler indagare pi oltre fare un salto nel buio, e non ostante l' affermazione di Crantore, la probabilit maggiore che il mito dell'Atlantide sia sostanzialmente una mera invenzione del filosofo.

mente
pilar

La

lez. 8 KaXetTcu

arf)Xai,

ovvero

axr]\a? si corregge in 8 KaXelxai ... 8 Kcdevre ... ot)-\\<xc,: preferisco il secondo


...

emendamento.

152

// Timeo.

vostri

ed

nostri e quanti altri

sono

di

qua dello
uomini avendo la

stretto.

fu allora, o Solone, che la potenza della

citt vostra

divent
tutti

illustre

presso

tutti gli

e per valore e per vigoria. Perocch

preminenza su

per forza d'animo e per ogni

arte di guerra (1), parte guidando gli altri Greci, parte da sola per necessit, quando gli altri la

abbandonarono, dopo esser giunta


ricoli,

agli estremi pe-

riusc a trionfare degli invasori e

ad

innalstati

zarne trofei; e coloro che non erano ancora


soggiogati imped che
si

soggiogassero, e

gli altri,

quanti abitiamo di qua dai confini di Ercole, tutti generosamente liber. In tempi posteriori per altro, essendo succeduti terremoti e cataclismi straor-

d'un giorno e d'una brutta quanto v'era presso di voi atto a combattere, tutto in massa si sprofond sotto terra, e l' isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve. Per questo anche adesso quel mare
dinari, nel volgere
notte,
l

diventato impraticabile e inesplorabile

es(2)

sendo d' impedimento il fango dei bassi fondi che l'isola sommersa produsse.

Ci che qui riferito alla guerra degli Atlantidi nella seconda guerra persiana, e questo periodo potrebbe stare in un panegirico di fatti veri anzi che immaginari. (2) irnXoO Kpxct Ppaxoq uTroJv vto<;. La lez. f3a0o<; del Cod. A, accettata dal Martin, evidentemente da rigettarsi, ed nello stesso codice corretta in margine.
(1)

Atene fece sostanzialmente

p. 58 B-C, cita Aristotele come autorit per il fango e il mar paludoso che si troverebbe passate le colonne d'Ercole, e tenendo Ppaxoq spiega Ppaxi per gli scogli coperti dall'acqua: koc t irnXv elvai y rr) Euj QaXoar] uex t otuiov otcx; (Aristotele) iaxpnoe, Kal t xevaYwr) xv tttov xdvov irpxeiv, ujctt6 toO uriXoO KdpTa Ppaxoq {al. K<rra3paxo<; e cos il Diehl) ei anuaivei tv Tevcrfiin, 00 0auuaOTv Ppxi]

Proclo,

Capitolo IV.

153

IV.

Ci che raccont l'antico Critia per udito dir da


Solone, in breve, o Socrate,
l'hai

dunque

sentito.

per quando

jeri

ragionavi dello Stato e degli

uomini che ci hai descritti, io stupivo ricordandomi di ci che ora ho detto, e pensando come miracolosamente per non so qual fortuna non fuor di proposito t'eri incontrato nel pi del tuo dire con ci che Solone contava. Non volli per altro 26
parlar subito, poich

dopo tanto tempo non me

ne ricordavo troppo bene, e pensai che sarebbe giovato che io prima riandassi da me stesso ogni cosa quanto bastasse, e poi parlassi. Per il che ho accettato subito ci che jeri hai proposto, reputando che del punto pi difficile nelle cose di questo genere, qual l'adattarvi una narrazione che faccia all'uopo (1), saremmo venuti a capo ab-

Tp

[cfr.

il

lat.

brcvid] eri ku

vOv Xfovai
iuup.

toc; qpdXouc;
si

irrpaq

>cal

imroXf|<; xoaac;

accenna
(1)

al

mare
riva

t dei Sargassi.
Trp-rrovxa
:

Probabilmente

Xyov

rote;

|3ouXr]|uacriv

Bene Proclo, p.59 E


iev,

fijovixevoc, v ToTq

imo6a8cu. toioutok; iuTY-

uaaiv, olov ZuuKp-nr; irtctEe Kivouuvnv ftv iroXiTeiav ?pyov elvai (.lYiOTOv TrBeaiv epeiv <p' fj<; uvnaeTai t irpirov iroboOvai toic iTtTdYiuaaiv " reputando
:

soggetti, quale quello che Socrate propose, di far vedere lo Stato in azione, la cosa pi importante sia trovare una favola per mezzo della quale poter eseguire convenientemente il mandato ; il che egli fece, continua, prendendo dalla storia la guerra degli Ateniesi e degli Atlantidi, come quella che poteva rap-

che in

s fatti

presentare

il

modo
il

migliore. Male le dsirent les

vivere onde si produce lo Stato " de trouver un sujet tei que auditeurs. Peggio PAcri: di porre
di

Martin

i54

H
E
cos,

Timeo.

bastanza bene.
subito,

come ha

detto

lui (i), jeri

andando via di qua, mentre la mi riveB niva alla memoria riferii a costoro la cosa, e partitomene ripensandoci la notte ho ricuperato tutto
quanto quasi appuntino. Come vero che, ci che dice volgarmente, quel che si impara da fanciulli ha una singolare tenacia nella memoria! Infatti io ci che udii jeri, non so se sarei capace di richiamarlo tutto alla mente; questo invece che l'ho udito da cos gran tempo (2), assolutamente mi meraviglierei se me ne fosse sfuggita qualche cosa. Fu infatti ascoltato allora con molto piaC cere infantile (3), ed anche il vecchio volontieri me lo ripeteva insistendo io molte volte a ridomandarglielo; cos che mi rimasto ben fisso, come le pitture ad encausto, che non si possono pi lavar via (4). E a questi pure l'ho appunto
si
,

raccontato subito questa mattina, affinch

come

argomento che piaccia. La parola Xyoq significato di racconto, e differisce da otopia come la tradizione corrente differisce dall'indagine critica: qui pertanto scelta a proposito: in UTro9a9cti poi di nuovo l'idea di vnQeaic, nel significato di arinnanzi un

ha anche

il

gomento, soggetto.
Indicando Ermocrate. yJ Top a |uv xQc, f\KOvaa ... xaUTCX a irauTrcAuv Xpvov iaxriKoa. Nota il passato remoto di cosa prossima, il prossimo di cosa remota, perch questo dura ancora e quello no. (3) Leggasi coi pi dei codd. ueT TroXXfjc; f)ovf)<; ko -iraibiKft;, essendo inutile e fuor di luogo il iraiia^ dello Stallbaum, quando chiaro che -rraiiKfjc; aggettivo, e che si ha da congiungere TToXXfjc; kc ircuiKfjq, co(1)
(2)

strutto vulgatissimo,

come
cose e

il

ttoXX kc KaX,
e belle.

dove noi

diremmo molte

belle

non molte

(4) Sulle pitture ad encausto e sulla loro tecnica cfr. " quae Plin. H. N. 149, che pure soggiunge: pictura ... nec sole nec sale ventisque corrumpitur.

XXXV,

Capitolo IV.

155

me

fossero provvisti di ragionamenti anche loro.

Ora, per venire alla conclusione di ci che si detto, io sono pronto a discorrere, o Socrate, non
solo per

sommi

capi,

ma, come ho sentito

io,

parte a parte.
jeri
ci

quei cittadini e quella citt che

hai descritta tu

come

in

un mito, ora

la

trasporteremo nella verit (1), e la porremo qui, poich essa questa (nostra); e i cittadini, che diremo che sono quei tu divisavi nel pensiero
,

veri nostri progenitori, dei quali parlava

il

sacersto-

dote.

La corresponsione

sar perfetta, e

non

neremo dicendo che essi sono quelli che erano in quel tempo l. Dividiamoci (2) pertanto le parti, e tutti insieme di buona voglia, conforme tu ne
hai richiesti,

procuriamo
il

di

pagare

il

meglio che

per noi sia possibile

nostro debito. Bisogna per-

tanto che tu veda, o Socrate, se questo discorso

secondo

il

nostro intendimento, o se occorra

invece di esso cercarne un altro. E qual altro meglio di questo, o Critia, Socr.

'

potremmo prendere? il quale alla presente festa della Dea per la sua affinit si pu dire che convenga benissimo; e il non essere una favola inventata, ma un discorso veridico, pure una

(1) Questo proposito di applicare una teoria a dei fatti, rimasto sospeso nel Timeo e non compiuto nel Critia, ripreso in argomento affatto analogo nelle Leggi, III, pp. 683 E-684 A: ireprruxvTe<; Yp ^PYOK Yevo|uvoi<;, c, ?oiK6v,ir tv citv Xyov XnXuGafiev, djaTe o nep kevv ti Znxriaouev tv citv Xyov, XX uepl ye-fovc, xal

'\ov
(2)

X^eiav.

Socrate

aveva

trattato dello

scriver in azione,

Timeo ne racconter
:

Ermocrate
altro

alla

sua volta ne

Stato, Critia lo dele origini, ed discorrer dopo sotto un

di vista quale sia poi questo punto, non detto neanche nel Critia, e quelle di Proclo (p. 61 D-E)

punto

son ciance.

156

II

Timeo.

gran cosa. Perocch come e donde ne troveremo altri, se scartiamo questi? Non possibile; ma, alla buon'ora, adesso parlate voi, ed io in cambio
27 del discorrer di jeri

me

ne star

zitto alla

mia

volta ascoltando.

Crit.

Bada
il

intanto, o Socrate, all'ordine dei


li

nostri ricambi,

come

rocch

ci

parso che

tra di noi

abbiamo coordinati. PeTimeo, come quello che pi forte in astronomia e pi ha


la

dato opera a conoscere


gine del
e che io

natura dell'universo,
dall'ori;

debba discorrer per primo, cominciando

mondo
dopo

per

finire alla

natura dell'uomo

ricevendo da lui gli uomini gi formati nel suo ragionamento, e da B te educati, alcuni di loro, egregiamente, ed introducendoli secondo il racconto e la legge di
di lui, quasi

Solone

(1)

innanzi

al

nostro tribunale, debba

farli

essendo essi appunto quelli Ateniesi d'allora, che la parola delle sacre scritture ha sottratti alla dimenticanza; e cos in
cittadini
di

questa

citt,

seguito se ne abbia a parlare


dini e di Ateniesi.

come

di concitta-

toutou eeYluvov v8ptImou<; tj Xyw aoO hi ire-rraieuuvouc; iacpepvrux; tiIXwvcx; Xyov Te kcx vjov eacrfavc;, ara tv YvTa aTOi; k. t. X. Ottimamente Proclo (p. 62 E):
(1)
ibc,

Ttap uv

(Cfovxac,, irap

ri
ei<;

kci

ia-rpncre

TTOxe, kci

ZXtuv 'AGnvcciouc; otuj TToXiTeu00ai v)uou<; "6r]Kev, Sttuu<; eactYeoGai bel to<; irac;

t?)v TroXireiav, k. t. X. Vuol dunque a quei cittadini che saranno descritti giusta la narrazione che Solone port dall'Egitto, applicare la procedura di Solone stesso sulla iscrizione nella cittadinanza. Non poi n utile n conveniente mutare con lo Stallbaum e con I'Archer-Hind Kar b in Kax br\. Infatti, a badare alla logica, Kcnr correlativo di uop uv, poich i verbi che si corrispondono sono ebeYiuvov ed eaaYaYvTa, mentre yYovtck; e ireTraieuiuvouc; sono tutti e due dipendenti dal primo.

Capitolo

V.

157

Pieno e lauto pare proprio abbia ad ricambio che Fon per avere del convito dei discorsi. Sarebbe pertanto, pare, affar tuo, o Timeo, adesso il cominciare, dopo aver invocato,
Sogr.
essere
il

come

si

usa, gli Dei.

V.

Ma si sa, questo, o Socrate, tutti quanti, C Tim. purch abbiano fior di senno, (lo fanno e) al principio di ogni azione e piccola e grande sempre invocano Dio. Cos ora a noi, che stiamo per discorrere intorno all'universo,

come ebbe

origine,

o se pure non l'ebbe, se proprio affatto non deliriamo, d'uopo, invocandoli tutti e Dei e Dee,
supplicarli affinch
il

parlar

nostro

sia

tutto

secondo veramente piace a loro e consentaneo rispetto a noi stessi. E quanto agli Dei questa sia l'invocazione: da parte nostra poi adoperiamoci in modo che e voi possiate capire pi facilmente ed io possa mostrare intorno all'argo-

mento proposto come


Si

la

penso.

il parer mio, innanzi che cosa ci che sempre e che non ha origine (1), e che cosa

deve dunque, secondo


distinguere
cos
:

tutto

yveoii;

t v uv dei, yveaiv ok cxov. La parola adoperata in tutto il dialogo in senso tecnico, come il nostro divenire in confronto dell'essere ma il nostro divenire non comprende, come yiyvoucu e Yvecic;, anche l'aver orgine e il nascere. Perci, secondo i luoghi, yveOK; si tradurr con generazione, o origine, o mutamento, corrispondendo a tutte e tre queste nozioni
(1)

xi

Fraccaroli, II Timeo di Platone.

14

158 ci che
si

//

Timeo.

genera continuamente e che non mai.

28 L'uno comprensibile dall' intelligenza per


del

mezzo

ragionamento,
;

essendo

sempre

allo stesso

modo

l'altro

viceversa opinabile dall'opinione

con l'aiuto della sensazione irrazionale, come quello che nasce e perisce (1) e che effetti va-

cumulativamente. La distinzione tra il mondo dell'essere o intelligibile e quello del fenomeno o sensibile, che Platone spesso chiama anche visibile, tracciata gi nel sesto della Repubblica, dove, dopo aver distinto le cose dalle idee (p. es. le cose belle dal bello), soggiunge, p. 507 B, che le une possono essere vedute e non conosciute, eie altre conosciute e non vedute xcd t uv br\ pfioQai cpauev, voetaGai b' o), xq b' cai iai; voeawai uv, paoQai b' ou. E pi oltre pure distingue il visibile e il conoscibile, p. 509 D: XX'ov xev; raura itt eibn., paxv, vonrv; Leggasi anche ci che segue fino alla fine
:

del 1. VI, ove si pongono i fondamenti della dottrina della conoscenza, e si distinguono i quattro gradi: vncrt<;, bidvoict, maTxc, ed eKaaia (p. 511 D-E). Lo Zeller (o. c. p. 719) osserva giustamente che l'espressione platonica t YiYvuevov uv dei, v b obirOTe non importa che il divenire sia senz'altro un \if] v (ci ohe non ), ma basta che non sia un ovtuk; v (ci che realmente): ci che diviene tende all'essere, ma non lo raggiunge.

il

TiYvuevov ko dnoXXuuevov. Come si vedr poi, generarsi e il perire costituiscono un periodo continuo nel mondo sensibile, senza uscire mai da esso. Per ci la morte non che trasformazione della materia e quindi insieme generazione di nuove forme, e per con(1)

seguenza non che ha voluto


parti,

affatto inconciliabile
il

con

la

bont
le

mondo buono: periscono


p.

di Dio, singole

ma si salva l'integrit

del tutto. Ci dichiara

Proclo

115 C-D: f\ vooc, confi Tfl uv uepixfj qpcm kcikv, r\ Tobi t oCDua auvxav "Xaxe, Tri b \Tr)Tt tjv ouuuctujv yaOv. ebet yp ueTCtpXXeiv eq aXXo t dXXuuv Yeyov;. aionep ov Tri v i^uv cpaei t ueTCtPXXeiv tf\v Tpocpnv yoGv, et uXXoi awZeoScu t Zjov, outuj b-f] Kai Tfi udan qpcrei t qpQapf]vai t jLipo<; yccBv, et uXXoi adiZeiv t<; Xtittck; e -rrp tlv uepOv. E soggiunge che questo necessario perch il mondo si conservi, perch altrimenti per salvar le parti si consume-

con molta chiarezza a

Capitolo

V.

159

mente non

mai. Alla sua volta ogni cosa

che

nasce, di necessit nasce da qualche causa, perocch nascere senza uno da cui nascere impossibile a chi che sia.
l'artefice

effettua la

Ora quella cosa di cui (1) forma e la funzione guar-

dando sempre a
servirsene

ci che allo stesso

modo

per

come

di esemplare, necessario che

per questo riesca sempre bella: quella invece B di cui (la effettua) su ci che ebbe nascimento, usando di un esemplare generato, non sar bella. Ora il cielo tutto, o il mondo, o se gli si trova un

qualche altro

nome

appropriato, con questo no-

ei Tp il aTJv juv (cio tlv XoTf|TWv) il tutto Yvvoito t upn., uvoi yivueva, ia\v Sv uavra cnravr|uepixjv yeyoviwv. k fp ueirepacmvuiv 6eiY| tJjv Xujv auvexoOc; qpcupaeuuc; YiYvo|uvr|c; vdYKn. t aj.mav xXei-

rebbe

tteiv.

(1)

6tou

f.iv

oOv av r|u:oupY<;

irp<;

t Kcnr TaT

toiotuj tivI Trpoaxpwuevo<; TrapaeiYKaXv luaTi, tv bav ko uva)uiv otoO rcepY&iTai, il vdYKr|<; ojtux; TTOTeXeaBai Trv. Nota l'anacoluto inche riprende traducibile per l' inserzione di cxtoO e sostituisce I'Stou del principio. Questa affermazione che ci che ha un esemplare che sia bello, e ci che ne ha uno che diventa non sia bello, perfettamente in armonia con la teorica dell'arte formulata nel decimo

^Xov pxuuuv

dei,

si dice che l'arte come imitazione da rigettarsi, perch imita le cose e non le idee, ed perci terza di qua della verit, mentre la natura seconda. Dopo il libro decimo della Repubblica l'affermazione del Timeo si capisce; senza di esso avrebbe bisogno di qualche chiarimento. Proclo, che di questa dipendenza non pare accorgersi, non si accorge neanche di' contraddire a Platone quando nota che Fidia nel far il suo Zeus non guard a un modello contingente, ma giunse al concetto del Zeus omerico: ire kc XX' <J>eiici(; tv Aia rrouiacu; o TTp<; ft^ovc, irpXevjjev, eie; vvoiav npiKeTo to irap' 'Ouripuj Aio*;. Il che bens vero, ma insieme nega che l'arte sia sempre imitazione

della Repubblica. Ivi

della natura.

io

// Timeo.

miniamolo
ogni cosa
cipio
di

(i),

esso, innanzi tutto, ci


fin

bisogna esaminare intorno ad che ci vien proposto per da principio di dover esaminare,
e

(cio) se fu

sempre

non ebbe mai alcun


o
se

prin-

generazione,

da un Perocch visibile e tangibile (2) e avente corpo, e cotali cose sono tutte sensibili, e le cose sensibili, che si apprendono dalessendo
cominciato

ha avuto origine, qualche principio.

Ebbe

origine.

C l'opinione per mezzo della sensazione, abbiamo veduto che sono nate e appartengono al divenire a ci che nato poi alla sua volta abbiamo detto esser necessario un autore da cui nascere. Il fattore pertanto ed il padre (3) di queste cose uni:

(1) Pare che Platone pensasse qui ad Aesch. Agam. 170 (W.-V.): Zei;, 6axi<; ttot' axiv, el t' aTil) cpiXov

KKXr|uvLu, TOOTOi viv -rrpoaevviTuj: concorda in fatti non solo nella sostanza del pensiero, ma anche nella forma ugualmente anacolutica. Badisi alla nomenclatura: opavt;, Kaucx; e t ttv sono usati in questo dialogo assolutamente come sinonimi, ai quali in italiano possono corrispondere universo, mondo, il tutto, e solo qualche volta cielo. In ci Platone si scosta da Filolao che usava una nomenclatura differente (Diels, Fragni, der Vorsokr. 32 Philolaos, Lehre 16). e 83 B. (2) Cfr. Phaedo, pp. 79 (3) Proclo scrive su queste parole una pagina veramente eloquente, la cui sostanza che la conoscenza di Dio non pu ottenersi che mediante la contempla-

zione (xax x^v mpoXi'iv rr\v aTotTTiKrjv xa rf\v Tra<pnv to vontoO, p. 92 D) e la unione mistica con lui, non potendo essa conoscenza essere n oa<JTiKn, come chiaro, e neanche TTi(TTo,uoviKri, perocch questa cruXAcrfKJTiKn. e avGeroc;. Perci non comunicabile per eupeait; \eyo(jn.<; t)c, iyudiscorso agli altri: o yp Xn<; n>, XX nuoan.<; k. t. X. Questo misticismo per altro non rispecchia esattamente il concetto platonico, ma ne un' ulteriore evoluzione. Vero ad ogni modo ci che osserva poco pi oltre (p. 92 F), a chi obbietta che pure intorno agli Dei e al creatore e all'uno si fanno
r*)

Capitolo

V.

161

verse difficile saperlo trovare, e chi lo abbia trovato impossibile che lo indichi agli altri ma
;

questo per altro


su quale
degli

si

pu viceversa indagare

di lui,

esemplari chi ha fabbricato il abbia eseguito, se sopra quello che 29 sempre lo stesso e allo stesso modo, o su quello che ebbe nascimento (1). Se pertanto questo mondo bello e l'artefice buono, chiaro che

mondo

lo

questi ha guardato l'esemplare eterno; e se (fosse) invece ci che non permesso ad alcuno neppur quello ch'ebbe origine. Ma a di dire (2),

chiunque chiaro che guard l'eterno perocch l'uno la cosa pi bella di quante se ne ge;

nerarono

(3),

l'altro l'ottimo degli

autori.

Se

molti discorsi, cio che

irep

axujv

|uv Xifo^xev,

ax

'moxov o X-fO|uev, ragioniamo bens di queste cose, ma che cosa sia ciascuna di esse non diciamo mai.

Anche

sulla distinzione

tra

uom-rifa; e TtOTrip

fu

molto

delle varie opinioni si forse non sono altro ha in Plut. Platon. Ouaest. II; che sottigliezze. Ci" che a noi importa piuttosto il notare come il concetto di Dio padre dalla materialit

discusso, e

un buon riassunto

ma

oggettiva, sotto la quale


rici,

lit

ci si presenta nei poemi omesalga in Platone al carattere della pi alta morae prepari il concetto cristiano, comune anche ai

neoplatonici.
(1)

Su questo dilemma veggansi


II,

Prolegomeni, capi-

tolo

5,

pp. 77 sgg.

ge(2) Cio, per dire che lo fece su di un esemplare nerato bisognerebbe ritenere che Dio non fosse buono, bestemmia. Del resto cfr. poco pi il che sarebbe una
oltre, p.
(3)

29 E.
intesa
irrazionalinfatti

Anche questa espressione va

non essendo stato generato, come poi si afferma, che un mondo solo, manca ogni termine di confronto. L'Archer-Hind, interpretando che nulla v'
mente:
nell'universo che preso in s sia cos bello come l'universo intero, cambia i rapporti, che cos non sarebbero pi tra generazione e generazione, ma tra il tutto e la parte.

I2

// Timeo.

pertanto stato generato cos, fu eseguito su ci

che comprensibile dalla ragione e dal pensiero e che sempre allo stesso modo. E posto ci (i), ecco che torna assolutamente necessario che B questo nostro mondo sia immagine di qualche
cosa.

che in ogni cosa pi importa di dal principio suo naturale pertanto anche in rapporto all'immagine e al suo esemplare si ha da riconoscere questo, che i discorsi hanno ad essere affini delle cose stesse che prenci

Or

principiare

dono a dichiarare
bile e saldo e

(2).
si

Di ci dunque che
chiarisce per

sta-

che

mezzo
i

della

intelligenza stabili e immutabili e quanto possibile inconfutabili

conviene siano

discorsi

ed

immobili, e di questo non dee mancar nulla (3):

(1) questa non solo la conclusione del ragionamento, che potrebbe parere inutile (e forse perci altri qui leggeva altrimenti, come pare da Cicerone, che traduce " simulacrum aeternum esse alicuius aeterni,,); ma insieme la constatazione che il mondo un'immagine, non una realt, e ci a conferma della teoria tante volte affermata da Platone sulla relativit del mondo fenomenico. (2) Proclo, p. 103 D: oiaxe dvai raOta XXnXoic; uXoya, irpYuciTa itt, t v Kal t YevnTv, fvotv; it-

tc, vnaiv Kal Eav, Xyou<; ittoc, hoviuou; xa eiKra<;: " cos che queste cose sono simmetriche tra loro: due cose, ci che e ci che diviene due modi di conoscere, intellezione e opinione; due discorsi, sicuri e probabili. accettata (3) Seguo la piana lezione dello Stallbaum
;

anche dal Martin, perch non contiene alcun emendamento soggettivo ed guarentita a parte a parte da
,

sufficente

autorit di manoscritti: tou nv oOv uovi.uou Kal fiePaiou Kal uex voO KaracpavoOt; iuovuoui; xa ,uTatttuutouc; KCt Kct0' ficrov oiv re veXYKTOix; irpoariKei XYoix; eTvai Kal KivnTOUc;, toutou b jur)v XXemeiv. La
gli altri

vulgata non ha senso, e poco ne hanno damenti.

emen-

Capitolo

V.

163

quelli invece che

si

fanno intorno a ci che fu


L

ritratto su quel modello, e che per immagine, C saranno alla loro volta immaginari e in propor-

zione dei primi

ci che infatti in confronto della

generazione l'essenza, della credenza la verit

questo
(1).

in

confronto

Se pertanto, o Socrate, mentre intorno agli Dei e all'origine dell'universo chi parla ad un modo chi a un altro, non riuscissimo a dare delle ragioni del tutto e
consentanee a s stesse e precise, non te ne meravigliare; ma se pure non men di alcun altro ne presenteremo di probabili, convien contentarsene, ricordandoci che io che
in tutte le parti

parlo e voi che giudicate

abbiamo natura umana: D


la

cos che, accettando su queste cose

favola pi

probabile,

.sta

anche bene non andare a cercare

pi in

l.

Benissimo, o Timeo, e assolutamente bisogna accettarla nel modo che dici. Il tuo preludio ci piaciuto meravigliosamente; ebbene, ora di seguito finiscici anche la canzone.
Socr.

wc, (1) Proclo p. 105 A: TTapeiY|uai outuj iriariv irp;

\r\Baav irp^ t voiitv t^v tcvti^v ekvcc, k. t. X. Cio lo studio dell'essere ha per termine la verit, quello del divenire non passa oltre alla credenza: quella scienza, questa opinione. In Polii, p. 283 D, nata xi^v Tf\c, Yevoewc; vorfKouav ooaiav, non c' contraddizione con questo luogo, poich oaia vi adoperata in senso volgare e non tecnico.

t4

//

Timeo.

VI.

Tim.

Dicasi

dunque qual
la

fu la cagione per
(i)

la

quale costitu

generazione

e questo uni-

verso colui che lo costitu. Era buono (2), e nel buono non nasce invidia nessuna mai per nessuna cosa: essendo egli dunque lontano da questa, volle che tutte le cose si generassero quanto pi era possibile simili a lui. Questo principio della generazione e del mondo chi sulla fede di uomini assennati (3) l'accetti come il pii ben fondato, 30 l'accetterebbe a molto buon diritto. Perocch avendo Iddio deliberato che tutte le cose fossero buone e che, quant'era possibile (4), non ve ne fosse

(1) Y^veaiv Kal t -rrfiv. Per la comprensione del significato di fveaic, nei pi tardi dialoghi platonici cfr. Polit. p. 261 A, 282 D, 284 D; Soph. p. 235 E; Phileb. Legg. p. 889, ecc. p. 26 D, 27

Verso la fine del libro VI della Repubblica la causa suprema detta essere auro yaBv: questo identico col vouq, secondo Phileb. p. 22 C. Ora l'apparir qui la bont come una qualit del nuioupYt; non contraddice a quella dottrina, ed spiegato dalla forma mitica che ha assunto l'opera della creazione. Quanto all'invidia cfr. Phaedr. p. 247 A: op6vo<; tP tw Geiou xopoO laxarai. probabile, (3) trap' vpuv cppovipujv. E un discorso ma confortato anche dall'autorit dei pensatori. Diog. Laert. I, 35, dice di Talete: (peperai b irocpGe'YiuaTc
(2)
v

Yvvnrov TtpeopTarov tjv vtuuv Ge<; a-roO xdbe Tdp. KdXXiaxov Kaucx; iroinna fp GeoO. " Una parola che pesa molto e che (4) KCiT bvauiv. afferma dei limiti alla potenza divina (Gomperz, II, p. 483). La stessa espressione a p. 42 E non ha nulla

d'irrazionale, dicendosi
feriori.

non

di

Dio

ma

degli Dei in-

Capitolo VI.

165

alcuna disutile

(1),

perci egli tutto assumendo

quanto
si

vi era di visibile (2)

che non posava,

ma

moveva confusamente

e disordinatamente, lo

condusse dal disordine


del tutto migliore di

all'ordine,

reputando questo
lecito

quello.

Che

non

fu

mai n all'ottimo di fare altro fuorch il bellissimo (3). Ragionando pertanto trov che di tutte le cose secondo natura visibili nessuna che manchi B d'intelligenza, sarebbe per essere (4) mai nel suo complesso pi bella di un'altra nel suo complesso
che abbia intelligenza, e che intelligenza senza anima impossibile si trovi in alcuno (5). Quindi
per questo ragionamento collocando l'intelligenza nell'anima, e l'anima nel corpo (6), costru l'uni-

(1) Disutile, meglio che inutile, che parola troppo debole, corrisponde a qpXaOpov, mentre cattivo sarebbe troppo forte; il cpXaOpov qui evidentemente non altro che la materia disordinata, la quale perci fu adoperata tutta dal demiurgo, acci di disutile non restasse nulla e la disutilit fu cos effettivamente tolta via per mezzo dell'ordine, il quale migliore del non ordine. Come vedremo, la materia ha una natura sua propria derivata dalla vYKn, e questa pu essere persuasa, ma non distrutta: cfr. la nota a p. 47 E: in questo senso dice che Dio fece quanto era possibile. (2) Per le difficolt di questo luogo e di ci che segue cfr. i Prolegomeni, cap. III. l'eccellenza nel bello (3) Cos l'eccellenza nel bene e
:

sono rappresentate come la caratteristica della maggior perfezione rispettivamente nel mondo intelligibile e nel

mondo
(4) Il

sensibile.

futuro indica che il giudizio del creatore si riferisce al mondo che doveva crearsi, non al mondo creato, e perci in queste parole non da riconoscere

alcuna incongruenza.
l'attivit della ipuxn: non (5) Il vo0<; veramente una cosa diversa dalla vyuxri, ma una sua particolare funzione (Archer-Hind). pi oltre irrazionale e popolare (6) Espressione
:

i66

II

Timeo.

verso, affinch l'opera ch'egli avrebbe compiuta

fosse di sua natura la pi bella possibile e la pi buona. Cos pertanto secondo il ragionamento pro-

babile convien dire, essere (cio) questo

mondo

davvero un animale vivente e intelligente creato per opera della provvidenza di Dio. Ci posto, bisogna ora procedere ad esaminare C ci che vien dopo, cio, a somiglianza di quale fra gli animali l' ha costituito colui che lo costitu. A nessuno certo di quelli che per natura loro hanno carattere di parti (i) lo reputeremo (da paragonare), perocch nulla che somigli a cosa
imperfetta potrebbe mai esser bello a quello invece di cui gli altri animali singoli e le loro specie sono parti, a quello s sopra ogni cosa lo
:

riterremo somigliantissimo. Perocch quello evidentemente ha in s compresi tutti gli animali


intelligibili,

come questo mondo comprende


sono animali
visibili.

noi

Quindi e quanti altri ci per ogni rispetto compiuto di che al pi bello e

l'anima fu (p. 34 B-C) detto categoricamente che creata prima del corpo e (p. 36 D) che il corpo fu posto dentro all'anima.

l'esemplare (1) Ritorna al concetto del paradimma: pertanto il Zwov vou.tv. Come sar questo animale intelligibile esemplare del sensibile? Non somiglier a
" quae nessuno tiv v upou<; eiei uecpuKTun/, cio partis habent naturam, s. quae particulae sunt totius alicuius come bene spiega lo Stallbaum, e non gi " n avec une existence spare, come traduce il Martin. Cio non sar una specie, ma un genere, anzi quel genere, per cos dire, pi generale in cui tutti generi sono compresi. Dalla copia, che il mondo senesso dovr sibile, possiamo argomentar l'esemplare pertanto esser tale che tutto il mondo sensibile nel suo complesso e a parte a parte vi trovi il suo modello.
i
:

Capitolo

VI.

167

quelli che sono oggetto del pensiero (1) volendo Iddio farlo simile, lo costitu come un unico animale visibile avente dentro di s tutti gli altri

animali quanti per natura sua

Ma

gli sono congeniti. l'abbiamo poi noi rettamente detto un mondo 3 1 o era pi giusto dirli molti e infiniti? solo,
(2),

Uno

se ha da essere costruito

conforme

al-

che comprende tutti, quanti sono gli animali intelligibili non potrebbe esser mai secondo insieme con un altro (3). Perocch alla sua volta ci sarebbe un altro animale
l'esemplare. Infatti quello
,

che

li

comprenderebbe

tutti e

due, del quale quei

due sarebbero parti, e non pi a quei due, ma a quello che li comprende, si direbbe pi rettamente esser stato questo (universo) rassomigliato (4). Affinch pertanto anche (5) nell'essere B

voouuvuuv KctMicfTUJ. Manca un' espressione nostra che corrisponda esattamente al voouevov, e perci questa parola dovette essere trasportata di peso nelle il suo corrispondente antitetico in lingue moderne senso oggettivo il fenomeno, in senso soggettivo il sensibile, che qui, come anche altrove, sostituito all'ingrosso
(1) tujv
:

'

dal visibile.

nota molto a proposito, che al(2) L'Archer-Hind l'obiezione che anche le altre idee sono une in s eppure hanno nei fenomeni delle rappresentazioni molteplici, si pu rispondere che l'ax wov come idea v perch irav, e che perci l'paxc; kijuck; di necessit deve essere uno, altrimenti non copierebbe il vonft; kO|uo<; nella sua essenziale caratteristica della comprensione universale. (3) ue9' rpou. Erra il Chiappelli (Interpret. pani. " col diverso: p. 184) che rende qui Srepov ha il senso
volgare.
(4)

Cfr. lo stesso
si

ragionamento

in de

Rep. X, p. 597 C.
uotov
rj

(5) l'va (iv

oOv re nata

ti^v nvaiatv

k. t. X.

Credo
il

deva inserire un Kai prima del kot, perch senso se ne avvantaggia grandemente, e solo cos

torna perfettamente logico. Calcidio traduce

come

vi

i68

//

Timeo.

uno solo questo mondo fosse simile a quell'animale perfetto, per questo colui che lo fece non ne fece n due ne infiniti, ma c' questo mondo solo generato unigenito e cos anche sempre
sar
(i).

VII.

corporeo evidentemente e visibile e tangibile conviene che sia ci che vien generato. Ma separata dal fuoco nessuna cosa sarebbe visibile mai, n tangibile senza una qualche solidit, e non c' solido senza terra. Quindi di fuoco
e di terra (2) Iddio

fece

il

corpo dell'universo

quando cominci a costituirlo. Ma che due cose sole si combinino bene senza una terza, non

fosse il kcu " etiam in numero similis esset. La questione dell'unit o pluralit dei mondi ripresa a pa-

gina 55 C-D.
Te kci t' ffTCti. Perch il mondo generato pu dire che sar, mentre all'ente non conviene se non (cfr. pp. 37-38 A): perci &m qui non da prendere in senso tecnico, ma nel senso volgare. Per il con(1) IffT
si

cetto cfr. la chiusa del dialogo. del(2) Qui si parla della creazione del xaiuoc, cio
l'ordine, e perci
si

crea da una materia elementare,

la questione della eternit o non eternit di questa materia non da ci menomamente compromessa. Nel Timeo si torna pi volte su di uno stesso argomento

ma
e

gono poi integrate pi

fanno spesso delle trattazioni provvisorie, che veninnanzi. Cos sull'origine della materia elementare si discorrer pi oltre (pp. 48 E sgg., e sull'essere il mondo un animale unico si ritorner a p. 69 C. I due elementi terra e fuoco sono tolti alla dottrina di Parmenide, come attesta Aristotele, Phys.
si
I,

5> 1.

Capitolo VII.

169

possibile; poich in
sia

mezzo

alle

due conviene
Il

ci

un legame che
ne
fa

le

congiunga.

pi bello poi

dei legami quello che di s stesso e delle cose

legate

questo nel miglior

assolutamente una sola; ed a far modo appropriata la pro-

porzione (1). Perocch ogni qual volta di tre numeri, quali si vogliano, siano essi masse o potenze (2), stia il mezzo all' ultimo come il 3 2

(1) La vaXofia di cui qui si parla la proporzione; e di proporzioni se ne danno tre specie principali, cio: 4:6, dove il numero di mezzo 1) V aritmetica, 2:4 maggiore di un estremo e minore dell'altro della stessa quantit numerica [i\ tuj cituj pi8uuj tlv fixpuuv vmepxouaa xal OTrepsxo,uvn. Theonis Smyrn. Expositio rer. mathem. p. 107, ed. Hiller: cfr. p. 113; e Plut. De animae procr. in Timaeo, 15, e De Musica e. 22 210 e le note esplicative a questo luogo nell'ediz. di Weil e Reinach (Paris, 1900) pp. 88 sgg.), nell'esempio citato sempre di

4:8, ovvero 3 9 9 27, tante volte maggiore di un estremo quante volte minore dell'altro (t\ tw cxtw Xylu tujv Kpuuv k. t. X., ibid., cfr. p. 114): cos nel secondo esempio il 9 tre volte il 3 ed insieme una terza parte del 27; 3) la armonica: 6:8 8:12, dove il numero di mezzo supera un estremo di una frazione di esso estremo eguale a quella della quale esso alla sua volta superato dall'altro (^ tuj citj jupei k. t. X., ibid. e ibid.,

due; 2)
il

la

geometrica, 2:4
di

dove

numero

mezzo

cfr.

Plut.

ibid.,

che per
l'8

la

chiama anche

nevavTi'a): nel-

l'esempio

addotto

uguale a

6-f 6
le

ed insieme

uguale a 12

12.

Nel definire

proporzioni Pla-

tone

muove sempre

dal

membro

di

mezzo, perch

quello che costituisce il eaui; che qui si cerca. In altre parole il rapporto nella proporzione aritmetica di aTrjc;, nella geometrica di TaTTn<;, nella armonica di juoiTr|<; (Proclo, o. c, p. 146 A-B). Col nome poi di vaXoyiu, diceva Adrasto (presso Teone, p. 106; cfr. Procl. p. 145 C), si indica pi propriamente la proporzione geometrica: le altre sono dette genericamente mediet,

ucaTnreq. (2) irTav yp

piGuuv Tpiuv

evre

ykujv

the uvd15

Fraccaroli, Il Timeo di Platone.

170

II Timeo.

al mezzo, e di nuovo alla sua volta stia mezzo al primo come l'ultimo al mezzo, allora e l'ultimo il mezzo diventando primo ed ultimo, e due mezzi, di ed il primo diventando tutt'

primo
il

necessit in questo

modo tutto torner lo stesso, divenuto reciprocamente lo stesso, tutto tore ner una cosa sola (1). Se pertanto il corpo

ueuuv ubvtivuuvoOv fi t uoov k. t. X. Si indica qui la proporzione geometrica, la quale richiesta perch si abbia il legame perfetto di cui si parlato, e la si chiama geometrica appunto perch rappresenta rapporti di figure o piane o solide. I Greci a questo proposito distinguevano i numeri lineari (uXeupoi), i piani (-iTiTreoi), e i solidi (crrepeoi). Il numero lineare rappresenta ci che in geometria il lato; in senso stretto per altro quello che non pu formarsi moltiplicando due o pi fattori interi all'infuori dell'unit; sono dunque numero piano quello che risulta Il i numeri primi. dalla moltiplicazione di due fattori propriamente lineari, e, solo per estensione, in funzione di lineari: cos il 6 numero piano vero e proprio, perch risulta da 2 x 3. Se i due fattori sono uguali, il numero si dice quadrato, TeTpyujvoc. Il numero solido quello che risulta dalla moltiplicazione di tre fattori come sopra: se i tre fattori sono uguali, si dice cubo, Kpioc;. Ora, se la proporzione ha da essere effettivamente geometrica, evidente che di soli numeri primi una proporzione tale non si possa affatto dare; e si capisce anche che

a rigore devano essere escluse dal computo nostro tutte quelle in cui qualche termine sia un numero primo, 2 6 12, non potendo come 2:3 6:9, ovvero 3 6 e il 3 rappresentare una figura piana. Perci qui i ge-

nitivi die ykwv erre uvd|ueujv non si hanno da intendere come alternativi rispetto ad piOuObv (tre numeri

o masse o potenze),
xpiuv (tre

ma come
piani.

specificazione di piBuiv

tenze).

numeri che rappresentino sia masse sia poLe masse poi, otkoi, sono i numeri solidi; le
i

potenze, uvdueu;,
(1) p.

32 A: Tore t ucrov k. t. X. Quando si abbia una proporzione geometrica, quale indicata nelle parole precedenti, allora, poich tanto gli estremi quanto i medii moltiplicati tra loro danno lo stesso prodotto,

Capitolo

VII.

171

dell'universo avesse dovuto essere


e

non avesse dovuto avere alcuna


;

una superfice altezza, una

mediet sola sarebbe bastata a legare insieme B ora invece, poich conveniva che s e le cose fosse solido, i corpi solidi sono congiunti, non mai da una, ma sempre da due mediet (1). E

termini di mezzo possono scambiarsi di posto con gli 6:9 estremi, restando intatta la proporzione: da 4:6 9:6. Notisi che Platone non disi pu avere 6:4
i

stingue espressamente proporzione da progressione: 4:6:9, e perci usa t uoov al singolare.


e uv oOv iriitebov uv k. t. X. Ci che (1) p. 32 A-B dice qui Platone stato impugnato energicamente. Se 3 2 3 b3 b3 e b*: r, e cos a b:c anche a2 :b a:b dire che anche tra due cubi pu stare una il che vuol media sola, e questa era l'obiezione che faceva Democrito citato da Proclo (p. 149 B-C). Siano infatti le linee 2:4:8, la stessa proporzione sar tra i loro quadrati 4 16 64 e tra i loro cubi 8 64 512, con una media sola. Ma questo esempio non calza esattamente, perch i fattori della prima vera proporzione geometrica 4 16 64 non sono tutti quadrati di numeri primi. naturale pertanto che Platone, volendo risalire ai primi elementi, trascuri, anzi escluda, tutto ci che ha gi patito un'evoluzione, e prenda a considerare solo i numeri che sono veramente irriducibili, quindi per lineari i soli numeri primi, per piani e solidi i soli numeri multipli ci che composto si sciolga ; ci che
:

riducibile si riduca, e solo dopo di ci di elementi si potr parlare. Ma per vedere in generale tutti i casi possibili e quindi scegliere quelli che fanno per noi, consideriamo anche i numeri in funzione di lineari. Tra due numeri piani dice Platone che basta una media sola (non dice

gi che ci sia sempre soltanto una media); e una media sola si ha infatti sempre quando si tratti di numeri propriamente piani (cio multipli di numeri primi), ma quadrati. Sieno pertanto i quadrati 25 e 49, l'uno con in questo caso moltipliradice 5, l'altro con radice 7 cando il 5 per 7 si ha 35, che la media geometrica che 1225 infatti 25 35 si cerca 35 49, dove 35 x 35 1225. In questo esempio i due e cos pure 25 x 49
: :
:

172

//

Timeo.
il

per Iddio in mezzo tra

fuoco e

la

terra po-

nendo acqua

aria,

e disponendo queste cose

quadrati hanno per radice ciascuno un numero propriamente lineare, ma lo stesso avviene anche qualora una delle radici sia solo in funzione di lineare. Dati i quadrati 9 e 16 con radici 3 e 4, la media unica sar 12. Se invece tutte e due le radici sono in funzione di lineari, cio, come dice Proclo (p. 148 D), se radici dei rispettivi quadrati ammettono tra loro una media proporzionale geometrica (e di necessit la devono ammettere se sono quadrati esse stesse), allora si possono avere anche pi medie. Siano i quainnanzi tutto con la drati 16 e 81 con radice solita regola si ha la media 36, e questa pu bastare alla proporzione: poich per altro 4. e g, essendo essi stessi quadrati, ammettono tra loro la media 6, per mezzo di questa si possono trovare altre due medie si ha tra 16 ed 81 cio 4 X 6 24 , e 6 X 9 54 dunque: 16:24 54:81. In conclusione per legare inle

409:

sieme due superfici quadrate una mediet pu bastare, e coi quadrati dei numeri primi non se ne pu avere che una sola. Se invece prenderemo due numeri piani siano essi multipli di numeri o lineari o in funzione di lineari, ma o tutti e due o anche uno solo non quadrato, in tal caso in generale non troveremo una sola media proporzionale geometrica, ma avremo bisogno di due. Siano i parallelogrammi 15 e 77 formati rispettivamente dai numeri primi 3 x 5 e 7 x 11; le due medie si troveranno mol,

tiplicando tra loro

fattori:
:

avremo dunque 15 33 35 77. Una media sola non possibile: infatti sia x questa media'; avremo: ^ 1/15 x 77 1/1155, il qual numero non ha radice quadrata che sia costituita da un numero intero infatti gli si accosta, radice non di 1155 ma il 34, che pi numeri di 1156. Analogamente per vedere anche
:

=3

11

= 33

e 5

= 35;

due parallelogrammi 18 e 28, prodotti il primo da 3 X 6, il secondo da 4 x 7, e avremo col solito metodo le medie 21 e 24. Per altro coi numeri in funzione di lineari c' anche il caso di avere una media sola, e la si ha infatti quando
in funzione di lineari siano
i

lati di ciascuna figura sono tra loro nella stessa proporzione che quelli dell'altra: cos tra 18 e 32 nati da 3 x 6 e 4 x 8 (ciascun fattore in proporzione del doppio
i

Captolo VII.

i73

tra di loro

quanto era possibile nella stessa proporzione, di guisa che come il fuoco sta all'aria,

con

l'altro)

si

prodotto

tanto

ha una media sola, 24, perch 24 di 3 X 8 quanto di 4x6. Infatti x

il

= V18 x 32 =
Ma
per

7 24. 1 576 legare proporzionalmente dei solidi una media sola, continua Platone, non basta. Cominciamo anche qui dai cubi di numeri primi. Questi hanno di necessit due medie sempre. Proclo (p. 148 E) porta questo esempio: sieno i due cubi 8 e 27 e le radici

rispettive

remo

e similmente 9 18 27. La qual propor18 dunque 8 12 e 18 27; n pos12 18 zione contnua: 8 12 sibile tra questi estremi trovare altra media da soSe stituirsi o da aggiungersi alle due cos trovate. invece le radici cubiche non fossero numeri primi, una media sola pu bastare; ma questo caso, abbiamo detto fin da principio, va escluso dal compito platonico. Ad ogni modo esaminiamolo. I numeri pi pic-

2X9 =

2x2 = 4

203:
e

per avere
:

3X4 = 12
:

le

due medie moltipliche-

= =

3X3 =

coli
(p.

coi quali questo caso s'incontra, secondo Proclo 149 A), sono quelli dei cubi 64 e 729, l'uno cubo di 4,
i

= 216

si ha la proporzione 64:216 numeri 64 e 729, continua Proclo, oltrech cubi di 4 e di 9, sono insieme quadrati di 8 e di 27 e la media 216 si ricavata appunto trattandoli come quadrati e moltiplicando 8 per 27 e tra quadrati si sa che basta una media sola. A trattarli invece come cubi di 4 e di 9 avremo due altre medie indipendenti 324, dunda questa, cio: 4X4X9 144 e 9X9X4 que 64 144 324 729, che si risolve in proporzione continua 64 144 324 729. La media 216 144 324 si potrebbe spiegare anche analogamente a quanto abbiamo veduto di sopra per i quadrati le cui radici ammettono tra di loro una media geometrica: anche qui infatti tra le radici cubiche 4 e 9 c' pure la media 6, e il 216 infatti il cubo di questa media. Che se si tratta di numeri solidi, ma non cubici, allora coi numeri primi due mediet si hanno sempre.

l'altro di 9, tra
:

quali

729.

Ma

Siano
di

solidi

5x7x11,

e 5 7 7 moltiplicando diversamente ovvero ancora 105 147


: :
:

x x

165 medie potranno essere 3x5x11 ovvero, 245 385 2 45 dunque 105 165
le
:

105 prodotto di

3x5x7

e 385 prodotto

= 275

fattori:
:

385,

231:385, 105:175 indipendenti le

=
,

174

Tnco.

cos stesse l'aria all'acqua, e

come

l'aria

sta al-

l'acqua, cos l'acqua alla terra, colleg insieme e


costitu
il

mondo

visibile e tangibile.

in questo

C modo e di queste cose di tal natura e quattro di numero fu generato il corpo del mondo in s consenziente per mezzo della proporzione (i), e quindi ebbe in s amicizia (2), cos che co-

irne dalle

altre.

Lo

stesso

avviene anche se

fattori

non sono, o non sono tutti, numeri primi. Per conchiudere, se Platone disse che a congiungere due piani basta una sola media e che per due solidi ce ne vogliono due sempre, in primo luogo egli ebbe in mente solo i casi elementari ed irreducibili, perci solamente quelli cui fattori siano numeri primi; in secondo luogo egli determin il numero delle medie tra due numeri non in generale, ma in rapporto alla
i

loro funzione presunta di lineari, di piani o di solidi. questo, parlando a intendenti di matematica, non c'era bisogno di dirlo espressamente. Con miglior ragione si notato che avrebbe potuto aggiungere che oltre di ci tra tutte le figure piane egli intendeva considerare di preferenza solo i quadrati e solo i cubi. Questo avrebbe per altro giovato forse alla chiarezza, ma nulla aggiunto all'esattezza. Infatti quanto ai quadrati, dicendo egli che tra i piani poteva bastare una

media sola, quando questa bastasse i matematici lo sapevano bene. Quanto ai cubi, la restrizione ad essi non veramente in rapporto al numero delle medie, le quali sono due anche coi non cubi, ma in rapporto alla necessit di avere una proporzione continuata, cio aria acqua acqua terra, la quale non fuoco aria si ha che coi soli cubi.
:

(1) Come i quattro elementi possano effettivamente corrispondere alla proporzione continuata che abbiamo esaminato non detto, non si spiega, e rimane una affermazione gratuita. (2) Osserva giustamente I'Archer-Hind che Platone non si accontenta di ripetere da Empedocle la vaga asserzione che la opiXia tiene insieme l'universo, ma ne d anche la ragione. Amicizia armonia, e due o pi cose che siano tra loro proporzionate sono in armonia e in amicizia: perci il mondo si conserva: irfiv

Capitolo

VII.

175

stretto insieme in s stesso

da chiunque
collegato.

altro fuorch

divenne indissolubile da colui che lo avea


le

Quelle quattro cose poi veramente


ciascuna per intero
la

costituzione del
il

consum mondo.

Perocch di tutto quanto


stitu,

fuoco e di tutta quanta

l'acqua e l'aria e la terra lo costitu chi lo co-

non lasciando di fuori veruna parte n veruna attivit' loro, questo avendo in animo, in D primo luogo che l'intero animale fosse quanto pi possibile perfetto e di parti perfette e per 33 di pi uno, in quanto che non rimanesse di che farne un altro ed in secondo luogo che non fosse soggetto n a vecchiezza n a malattia considerando che un corpo composto (1) il
,

yp t

cpiXov,

soggiunge Proclo,

p.

155 D,

&

fi

<p(Xov,

Keivou (JoXeTCti evai ouu(Jtikv. E non potrebbe perci il mondo esser disciolto se non da colui che l'ha collegato ; questi, come vedremo a pag. 41 A, non pu voler scioglierlo, perch buono: quindi il mondo du-

ma

rer sempre.
(1) Kaxavojv tic, a EuviaTqt t crdj|uaTa. Questa la lez. comune, accettata anche dallo Stallbaum e dal Martin; ma il senso non soddisfa, perch la dissoluzione, che la morte delle cose, avviene per i corpi composti e non per gli elementi, mentre invece qui si direbbe che

caldo e il freddo qpBiveiv iroieT, fanno perire, 8 Euviaxa tg <Jib uaTa, gli elementi che compongono i corpi. Vi sono per altro molte varianti e furono proposti vari emendamenti che lungo riferire Cicerone ha " coagmentatio corporis, e Proclo doveva leggere wc, SuototiI) aiuaxi, poich spiega fp. 158 F): t auaraxv o)ua t ffvGeTv ciTi. Tale lezione accettata dalI'Hermann, dal Mueller e dall' Archer-Hind, ed ci che per il senso si cerca. Il Jowett nella sua versione intende che a HuviaTt t aduuaT sieno lo stesso caldo e freddo, e lo pone come soggetto in apposizione a Gepu Kal yuxp: ma che il caldo e il freddo uniscano
il
(

corpi non detto in alcun altro luogo, e

non

si

pu

176

//

Timeo.

caldo e

il

freddo e quanto altro esercita azioni

violente, circuendolo di fuori e irruendo intempe-

stivamente, lo disciolgono, e apportandovi morbi e

vecchiezza lo fanno perire. Per questa cagione appunto e per questo ragionamento diede opera

che esso fosse una cosa sola ed intera


tuita) dlia totalit

(1), (costi-

B mune da vecchiezza

ed imda malattie. E forma diede ad esso quella che gli era conveniente e connaturata. All'animale infatti che deve comprendere
delle cose, perfetta
e
in s
tutti
gli

animali

pare conveniente

quella

figura che

comprende

in s stessa tutte le figure

quante sono. Perci anche in forma di sfera, che dal centro agli estremi egualmente d'ogni parte
si

stende, circolarmente lo arrotond, la pi per-

fetta di tutte le

forme

(2)

e la pi

omogenea

in s

ammettere incidentalmente un'asserzione


oltre di che arbitrario.
il

cos gratuita;

senso che n'esce pare esso pure molto

(1) ?v 8Xov. Cos i codd., ed affatto inutile la correzione dello Stallbaum, vct. Proclo, p. 157 F, riporta l'asserzione di Aristotele che intero e perfetto sia solo l'universo, e tutto ci che in esso sia difettivo, essendo parti del tutto: 'ApiaToxXn^ [Metaph. IV, 16, 1) uvcuc; TXeiv <pr\ai t ttv, t v aTlb iravTa TeXr), |upr| vtcc toO TravT<;. E pi oltre, p. 158 A-B: t uv yp upr| kot xnv -rrpcx; t Xov vcupopv X^eTai xal tXeia qj' ctimv ok otiv, XX t)v uv Ouc uepuJv ?x ei t TeXeiTrjTa, t)^ o ttXk; reXeixriTt; axiv fiuoipa " le parti si considerano ttSv Kupiux; Xov axiv, cio rispetto all'intero, e da s non sono perfette, ma hanno la perfezione relativa a ci che parte, e della perfezione assoluta sono prive; mentre il tutto propria:

mente un intero. (2) Proclo qui (p. 161 E) cita e parafrasa un luogo di Aristotele (De caelo, II, 4), che dice che il mondo sferico, perch fuori di esso non vi n vuoto n luogo: se invece avesse una figura rettilinea, allora ci dovrebbe
essere fuori di esso e luogo e vuoto. Infatti nel girare

Capitolo

VII.

177

stessa,

reputando l'omogeneo infinitamente pi

bello del disuguale.

liscio

quindi di fuori tutto

intorno lo fece con ogni diligenza, per molte ragioni. Perocch n avea punto bisogno di occhi (1),

che nulla era rimasto di fuori che fosse visibile n di udito, poich neanche nulla v'era di udibile. N aveva all'intorno aria che richiedesse la respirazione (2); n ancora aveva bisogno di possedere alcun' organo per mezzo del quale ricevesse in s l'alimento o quello prima digesto espellesse, poich nulla poteva staccarsi e nulla aggiungersi ad esso donde che fosse, quando neanche nulla c'era. Perocch era stato generato a bella posta in tal modo che esso stesso a s stesso desse in nutrimento ci che di s periva, e
;

cambierebbe sempre di posto, e dove prima era corpo poi lascierebbe vuoto, e dove era vuoto porrebbe corpo, e cos di seguito. Cos Tim. Locro, p. 95 D, dice della sfera |uri Troica iroXerneiv unre AaufSvev cxMov tttov.
in cerchio la linea retta
(1) Proclo (pp. 164 B-165 C) fa su questo luogo alcune osservazioni degne di nota. Essendo il mondo un tutto, come si veduto, esso deve avere la vita che sia propria del tutto e non quella che conviene alle parti. Il mondo un animale, e perci dotato di senso noi, che abbiamo una vita uepiioi, percepiamo le cose |LteptKuJ<;, cio a parte per la vista, per l'udito, ecc.; esso, che ha una vita Xikti, le percepisce Xikjc,. Perci Platone nega al mondo uno dopo l'altro tutti i cinque sensi. Dice il Gomperz (II, p. 491) che " in questa parte del Dialogo l'antropomorfismo appoggiato sul ragionamento, il ritorno artificiale alla concezione ingenua della natura quale la concepivano gli uomini primitivi, spinto all'estremo; e ci in parte vero e in parte no, poich la soppressione dei sensi singoli leva di mezzo quella che dovrebbe essere l'analogia pi essenziale con l'uomo. (2) Questo contro i Pitagorici, che ammettevano intorno al mondo un rreipov TtveOiua respirato da esso mondo. Aristot. Phys. 111,4; IV, 6, 7.
:

178

//

Timeo.

ogni cosa in s e per se patisse e facesse avea infatti reputato colui che lo mise insieme, che in:

dipendente sarebbe per essere migliore che non se avesse bisogno di altri. Mani quindi, con le quali non c'era bisogno alcuno di pigliare o di respingere altri, non credette dovere inutilmente attaccargliene, n piedi, n in generale quanto serve 34 per camminare. Che gli attribu un moto (1) quale adatto a un tal corpo dei sette quello che pi di tutti si conf a intendimento e saggezza. Per il che appunto aggirandolo allo stesso
,

modo,
che
altri
si

nello stesso luogo e in s stesso, fece

movesse in una rotazione sei movimenti glieli tolse,


ad
essi.

circolare, e gli

lo fece fsso

rispetto

per questo girare in tondo poich di piedi non avea punto bisogno, senza di essi e senza gambe lo gener.

Vili.

Or tutto questo ragionamento ragionato di quel B Dio che sempre , intorno a quel Dio che doveva crearsi, fece un corpo liscio ed omogeneo
e da tutte le parti equidistante dal centro, e perfetto

ed intero,

(e

compaginato)

di

corpi

in-

(1) Del corpo sferico si capisce sia proprio il moto circolare: questo moto infatti sempre K<rr tot v tw aTLp Ka v aiml), come soggiunge subito dopo, e

perci pi conforme alvoOq e

allacppvn.ai<;,

come

quelle

che sono sempre ad un modo. Cfr. Legg. X, p. 898 A. Gli altri sei moti sono enumerati a p. 43 B e sono avanti, indietro, a destra, a sinistra, in basso e in alto.

Capitolo

Vili.

179

teri (1).

E postavi l'anima nel mezzo, la distese da per tutto e con questa stessa anche di fuori avvolse il corpo (2), e costitu cos un cerchio
che gira in cerchio, mondo unico, solitario, ma per sua virt capace di fecondarsi (3) da s stesso senza bisogno di alcun altro, congiunto ed amico bastevole esso stesso a s stesso. Per tutti questi modi egli gener questo Dio beato (che il

mondo). L'anima poi, bench ora imprendiamo a parlarne da ultimo, non cos anche Dio la cre pi perocch nel congiungerla col corpo non tardi avrebbe permesso che il pi anziano fosse sot:

toposto

al

pi giovane:

ma
in

noi in certo

qual
par-

modo, come viviamo molto

mezzo

all'accidente

e alla ventura (4), cos a questo

modo anche

elementi che esistevano, (1) Cio costituito di tutti gli senza che ne avanzasse nulla. Cfr. p. 32 C. ribadito a p. 36 E: (2) Questo concetto ripetuto e KUK\uj"re arv ew8ev trepiKaXiyaaa. Or com' che l'anima del mondo si ha da stendere anche intorno di esso? Non bisogna dimenticare che tutto il Timeo ha forma e carattere di mito, e che perci si ha da intendere con discrezione. Certamente qui non si vuol dire che il corpo del mondo abbia di fuori una fascia costituita dall'anima, perch l'anima e il corpo devono perfettamente corrispondersi in ogni animale: si vuol dire che alla periferia non pervengono solamente i
punti estremi delle trasmissioni del centro come tanti raggi d'un fuoco, ma che l'anima stessa, e non solo il suo impulso, si distende anche alla periferia, come quella che, non che sia contenuta dal corpo del mondo, piuttosto anzi lo contiene. Avea detto che Dio pose l'anima nel mezzo del corpo, ed era espressione impropria e inesatta; ora la corregge facendo intendere che meglio si pu dire essere il corpo dentro all'anima. comunemente qui si interpreta, e (3) 2uYYYvea9cii credo male, per accompagnarsi, conversare. koI eKir). Cfr. una frase ana(4) toO TrpocrruxvTcx; re loga in Phileb. 28 D: ti>|v toO Xyou Kal eUr) bva|aiv.

180

II Timeo.

liamo: egli invece costitu l'anima innanzi del corpo (i) e pi anziana e per nascita e per virt, come quella che doveva essere padrona e governatrice
e l'altro

da

35 cose e nella
visibile (2)

(e la costitu) delle lei governato maniera che segue. Della essenza indie che sempre allo stesso modo, e
;

(1)

Priorit logica

non temporale (Archer-Hind).

(2) tr\c, uepioxou xal el Tffc aO iiep x auuuaxa

Kox xax xouans oaicu; Ka YiYvouvnq uepiaxf|<; xpixov iE ucpov v uaiy EuveKepaaxo ooiac, elbo^, tr\c, xe xaOxoO cpaeujc, aO [irepi] Ka xf\c, Gaxpou, Ka Kax xaOxa 2uvaxnaev v uaw xo xe uepoq axuJv Ka xoO xax x aiuaxa ^.lepiaxoO. Da queste parole prende occasione e principio il commentario di Plutarco De anhnae prcreatione in Timaeo, interessante per pi rispetti, ma fortemente intinto di neoplatonismo. Noi ci limiteremo alla stretta interpretazione del testo. Si potrebbe osservare innanzi tutto che come il mondo rappresentato avente origine, cos di necessit anche la sua anima; e che sotto questo punto di vista essa non poteva rappresentarsi costituita esclusivamente di elementi pertinenti a ci che ed semplice e sempre ad un modo, perch ci che non ha origine. Ma checch sia di ci, per intendere a dovere questo luogo non facile, bisogna andar molto cauti e non lasciarsi sedurre dalla prima apparenza. Innanzi tutto non possibile che Platone dica che Dio prese una porzione di ci che e una porzione di ci che diventa, ecc. ecc. Non pu dire che prese

una porzione di ci che , perch espressamente egli chiama questo elemento x upiaxov, e non si pu prendere una parte di ci che indivisibile. S' ha da intendere che prese tutto l'indivisibile? La contraddizione non tolta, ma rimandata: poco dopo egli divide la mistura in tante porzioni, il che importa che anche l'indivisibile sia diviso. Non pu dire neanche che prese una porzione di ci che diventa, perch ci che diventa sensibile, dunque materiato, e parlare di masenza contare che, fuori di luogo essendo l'anima stata creata, come detto espressamente, prima del corpo, non vi sarebbe stato ancora d'onde prendere questa porzione. Badiamo alle parole
teria dell'anima
;
:

egli ai]q

compose xr,<; uepioxou oaict<; una terza ooia. Che cosa

xa xffc ocria? Una

M^P 1

"

delle

Capitolo Vili.

181

di quella
di

che per i corpi generata e divisibile, queste due, mescolandole insieme, fece tra di

maggiori difficolt, che si incontrano nella speculazione di ci che non cade sotto l'esperienza quotidiana dei
sensi,
il

mantenere
:

lo stesso

contenuto

ai

vocaboli o

non

lasciare equivoci sulle sue mutazioni. Altrove ovaia essenza, ci che qui semplicemente modo di essere (ed equivale a ci che subito dopo si chiama cpan;); infatti la si dice tanto dell'indivisibile quanto del divisibile. Poco pi sotto (cfr. p. 183 n. 2) la troveremo in un altro significato ancora. Vuol dire dunque semplicemente,

non gi che Dio creasse l'anima congiungendo l'idea e la materia, o una porzione di idea con una porzione di

materia, il che assurdo a pensarsi, ma che la cre partecipe del modo di essere di ci che indivisibile, e del modo di essere di ci che divisibile, i quali modi si fondono in essa in una sola unit, come dir poco dopo. Come a p. 36 C il cerchio dell'equatore ha il moto della natura che sempre ad un modo, il

che non importa che n tutta n una porzione di tale natura sia passata in esso, cos, sebbene l'indivisibile sia l'ideale e il divisibile sia il corporeo, ci non importa che le cose e le idee siano entrate a far parte dell'anima dell'universo: la sostanza del sensibile e dell'ideale, dice lo Zeller, o. c, p. 773, n. 4, qualche cosa di diverso dalle singole idee e dalle singole cose sensibili. Ma poich ha appena parlato delle proporzioni, ed ha appena detto che il modo razionale di collegare due cose disparate appunto la proporzione, bisognava trovare il termine medio tra l'indivisibile e il divisibile. Questo termine medio appunto la fusione dell' uno con l'altro, cos che abbiamo una gradazione,
cio:

a) indivisibile (unit);

b) indivisibile

e divisibile

commisti (rpirov eto<; oaia<;, o, come interpreta Timeo Locro, p. 95 D, tic, hi Kpfiua k o Touxoiv etuev); e) divisibile (molteplicit); e l'anima rappresentata non dal termine di mezzo, ma da tutta intera la progressione. Cos non dobbiamo credere affatto che Platone dimenticasse qui o disdicesse ci che aveva altre volte affermato (p. es. Phaedo, p. 78 B segg.), che l'anima non una cosa composta e che immortale appunto perch semplice. Poich abbiamo veduto che non si devono prendere alla lettera gli elementi, cos non si deve prendere alla lettera la composizione, e la distinFraccakoli,
Il

Timeo di Piatone.

16

182

//

Timeo.
di

esse
tura

una terza specie


alla

essenza
la

(i),

tra la na-

sua

volta

dell' invariabile

dell'

optra

posto

(2), e per tal

modo

pose

in

mezzo

solo concettuale e figurata, non reale. interpretazione grammaticale il senso pare corra pi liscio e piano levando, come dai pi si consente, il secondo irpi, poich omesso da Sesto Empirico tutte e due le volte che riferisce questo passo, e Cicerone, se si pu far conto della sua parafrasi, non pare l'avesse nel suo testo. Si pu anche credere che ctG irpi sia una ripetizione materiale del il secondo precedente: ad ogni modo anche a lasciarlo stare si guaster la grammatica, ma la sostanza non si modifica, e il senso resta in complesso il medesimo. Ci che pi importa avvertire si che xf<; Te totoO cpe xax toOto recti aetut; corrisponde a Tri; tuepia-rou xouan<; ooia<;, e Tfjq GotTpou corrisponde a Tfie; uepiaTf)<;. E dunque una specie di tautologia naturalissima nella sintassi parlata, un' insistenza su di un concetto su cui si vuol richiamar l'attenzione e che si cerca di determinar meglio, perch non comune e difficile. Nel periodo ci si sente lo sforzo di chi ha da esprimere un'idea nuova e vuol esprmerla chiara e non trova la formola bell'e fatta (cfr. p. 46 A-B e nota). Il genitivo t*<; iuepioTOU k. t. X. integrato e corretto da E uqpov, e perci non pu dirsi che dipenda sostanzialmente da v uaip, che sta da s; e Tfjq t tcxtoO cpaeuut; k. t. X., oltre che spiegare e integrare Tf\c, |uepi<JTou k. t. X., definisce insieme con maggior precisione e sotto un altro punto di vista il Tpitov elo<;. In questo senso il secondo ot6, che da molti soppresso, pu trovare una spiegae, zione pi che sufficente lo Zeller infatti (o. pp. 769-70) lo conserva, e gli d forse anzi maggior peso che non abbia effettivamente.

zione che

si fa

Quanto

all'

Questa traduzione letterale; il Natorp (o. e, che traduce: " brachte er (der Weltbildner) durch Mischung, als eine dritte, zwischen beiden in der Mitte stehende Art, die des Seins hervor, sostituisce alle parole platoniche il senso che a suo credere dovrebbero avere. cpaew<; rcal Tf^ Garpou. Qui e in (2) Tfy; Te tcitoO tutto il resto del Timeo Gtepov diventata una parola tecnica. L' origine prima di quest'uso si pu rintrac(1)

P-

343)i

Capitolo

Vili.

183
i

ci che indivisibile e ci che per

corpi di-

visibile. E prese esse tre cose, le mescol insieme tutte cos da farne una specie sola, adattando a

forza alla natura di ci che sempre ad un modo quella dell' opposto, che non vi si volea mescolare (1).

Ma

egli,

mescolandole insieme con

la

(detta terza specie di) essenza (2), e di tre fa-

dare in Phaedo, p. 79 E, dove l'anima detta somigliare e questo Tiii ad waaruuc; 'xovn, e il corpo tl rpiy, panni deva essere il punto di partenza per determinare
il

contenuto di questi vocaboli.


(1) Infatti la

conciliazione dell'uno (?v) coi molti (itoXXd)

sempre uno dei problemi pi ardui della filosofia. Secondo Crantore (Plut. De an. procr. 2) l'anima fu commista dell'invariabile e del variabile, dell'uno e dei pi, appunto perch essa doveva giudicare e delle cose
fu
intelligibili
(2)

e delle cose sensibili.


la

essenza (od aia) qui nominata sia quella sopra fu detta terza specie di essenza, non pare sia da porre in dubbio: ma si pu domandare per qual ragione la si chiami oaia per eccellenza. E I'rcherHind d una spiegazione che per lo meno molto acuta. " Ciascuno, egli dice, " ha 1) la facolt di pensare indipendentemente dai sensi, 2) la facolt di percepire impressioni sensibili. Ora se noi teniamo che queste due facolt siano semplici processi che si compiono nel cervello, cos che pensieri e percezioni siano semplicemente affezioni della sostanza cerebrale, e nient' altro, finito tutto, non vi alcuna oaia. Ma se consideriamo, come fa Platone, che la azione fisica del cervello, che accompagna il pensiero e la sensazione, non quella che li costituisce, ma che vi una sostanza pensante e senziente, che agisce per mezzo di questi

Che

che

di

processi
colt

cerebrali, abbiamo subito l'unit: le due fanon sono pi processi fisici indipendenti, ma diverse attivit di una sola e medesima intelligenza. Insomma quella che prima era detta terza specie di

essenza, diventa ora l'essenza per eccellenza, perch principalmente per mezzo di essa ed in essa che si attua l'opera della creazione, la nuova personalit viva e consciente. Ad ogni modo oaia si potrebbe tradurre qui per risultato, ci che si ottiene dalla combinazione

i8jl

II

Timeo.

di nuovo un intero solo, divise poi questo quante parti conveniva, ciascuna mista di ci in che ad un modo, dell'opposto, e dell'essenza (sopra detta). E cominci a dividere cos. Tolse

cendo

prima dal tutto una parte (i), e dopo di questa ne tolse una doppia di essa, e poi la terza di. misura una volta e mezzo la seconda e tre volte la prima, poi la quarta doppia della seconda, la

C quinta
36

tripla della
la

terza, la

sesta otto volte volte


la

la

prima, e

settima ventisette

prima.

Dopo

di ci riemp gli intervalli doppi e tripli (2),

degli altri due elementi;

non pu esser dubbio che

anche questo significato


vocabolo.
"

sia del tutto proprio di questo

prende originariamente

dice lo Zeller, o. c, pp. 777 sg., " comin s tutti i rapporti di numero e di misura, essa interamente numero ed armonia, e da essa hanno origine tutte le determinazioni di numero e tutta l'armonia nell'universo; infatti l'armonia musicale e il sistema dei corpi celesti valgono per il nostro filosofo, sulle orme dei pitagorici, come le pnncipalissime manifestazioni dei numeri invisibili e della loro consonanza. Stabilisce quindi Platone questi rapporti nel modo seguente. Movendo dall'unit e procedendo in ragione del duplo o del triplo abbiamo due progressioni: 1:2:4:8 e 1 3 9 27, le quali i pitagorici chiamarono rerpaK-rix; o quaderna, e fuse insieme formano la serie*: 1 2 3 4 9 8 27, dove il settimo numero uguale alla somma dei primi sei. Questa la serie di cui qui parla Platone: difatti la seconda cifra, volta e il 2, doppia della prima; la terza, il 3, una mezza il 2 e tre volte l'uno; la quarta, il 4, due volte la seconda, il 2; la quinta, il 9, tre volte la terza, il 3; la sesta, l'8, otto volte la prima; e la settima, il 27, ventisette volte la prima. Vuol dire che i pianeti distano dalla terra in queste proporzioni, cio fi Sole due volte la distanza della Luna, Venere tre, Mercurio quat(1)

L'anima,

tro, e cos via,


(2)

il che del tutto falso. Gli intervalli nella prima progressione, come chiaro, sono del doppio, nella seconda del triplo: questi

Capitolo Vili.

185

tagliando via ancora delle parti dal tutto e po-

nendole in mezzo di questi, di modo che in ciascun intervallo vi fossero due mediet, l'una superante un estremo di tanta parte di quanta
superata dall'altro, l'altra superante e superata nella stessa quantit numerica. E risultando cos

da questi legami negli

intervalli di

prima

altri

intervalli, dice,

furono rispettivamente riempiti con due mediet, delle quali la prima sta in proporzione armonica (cfr. pag. 169 nota 1), la seconda in proporzione aritmetica con gli estremi. Ora evidente che, se ci proviamo ad eseguire ci che dice Platone sull'una o
sull'altra quaderna, ci troviamo subito di fronte a delle frazioni, e di frazioni ci parla infatti Timeo subito dopo per avere numeri interi bisogna prendere per unit
:

il

384,

come

fece

Crantore e poi Eudoro (Plut.

De

animac procr.
(p.

16, 8) e

come
:

fa

il

falso

Timeo

di

Locri

96 B), e cos di seguito, di modo che 1:2:4:8 corrisponda a 384 768 1536 3072. Ora, dati i numeri 384 e 768, cerchiamo le due medie sopra indicate. E prima l'armonica. Come si trovi ce lo insegnano Eudoro presso Plutarco {De anitnae procr. 1. e. 2-3) e Teone Smirn. 0. e, p. 118, in modo alquanto diverso l'uno dall'altro, distinguendo per secondo si tratti della prima o della seconda xerpanTuc;. Una regola comune a tutte e due la seguente: si moltiplicano i termini estremi, poi si. moltiplica il prodotto per 2, cio si fa 384x768x2 294912 X2 589824 indi gli estremi si sommano e per questa somma si divide il prodotto sopra ottenuto quindi 384+768 1152, e dividendo per 1152 il 589824 si avr 512, il quale sta appunto in proporzione armonica con 384 e 768, superando il primo di 128 cio
:

=
:

di

x
: :

384,

ed essendo superato dal secondo


768.

di

256

cio di

X
:

Cos fra 768 e 1536 la media


e

armo-

nica

tra 1536 e 3072 sar 2048. Similmente per gli intervalli tripli 384 1 152 3456 10368 1 3 9 27, la media armonica fra 384 e 1152 sar 576, quella fra 1152 e 3456 sar 1728, e quella fra 3456 e ra cerchiamo la media aritmetica. 10368 sar 5184.

sar 1024,

trova facilmente sommando i due termini dati e dividendo il totale per met (cfr. Plutarco, 1. e,

Questa

si

i86
intervalli di

// Timeo.

terzo, e

una volta e mezzo, una volta e un una volta e un ottavo (i), riemp tutti

Teone Smirneo,
1:2) 2:4) 4:8)
384. 768. 1536.

o.

c, p. 116); perci la

media aritme-

tica fra

384 e 768 sar 576.


512. 1024. 2048.

Avremo dunque:
768 1536 3072

576. 1152. 2304.

e similmente:

1:3) 3:9)

3841152. 27) 3456.

5761728. 5184.

768.

2304. 6912.

1152 3456
10368.

Se poi volessimo attenerci alla xeTpaKTix; originaria e cominciar dall'uno anzich dal 384, avremmo le seguenti serie per gli intervalli del doppio:
1,

-b

2,

-f,

3,

*,

f
^
,

6,

e per quelli del triplo:

1,-1-,

2,

3,

-f

6,

9,

18, 27.

(1)

Gli intervalli risultanti nelle serie sopra ottenute

sono n^Xia, 3:2

= 1 + -^-;
nella

TiiTpiTa,

4:3
di

=i+
1

ed n-foa 9:8
1

= i-f--abbiamo

Gli intervalli

+ -|-

si

hanno

prima
visto

quaderna,

quella

del

doppio. Difatti

= 512 + 256 = 1 -+--7 Cos tra L'inter512 e 576 abbiamo 576 = 512 + 64 = 1 ha, con quello di + , nella vallo di i + Infatti 576 = seconda quaderna, quella del = 384 192 = -f -p cosi 768 = 576 + 192 = + y> cos 1152 = 768 + 384 = 1-}-, e cos via. Ora di
e che 768

=1+
3

che 512

= 384 + 128 =
5

-f- -g-.

si

triplo.

-j-

Capitolo Vili.

187

quelli di
di

ima volta e un terzo con V intervallo B una volta e un ottavo, lasciando di ciascuno

questi intervalli quelli di 1

alla

loro volta ven-

gono riempiti con

quelli

di 1 -{ -g-, e

ne contengono

quale sta il di questi oltre un avanzo numero successivo nel rapporto di 243 a 256. Riempiamo infatti l'intervallo fra 384 e 512, che '

due
col

(Xeuua),

di 1 -f-

con quelli di 1
48

+
;

-g-

un ottavo
di

di

384
ci

48, dunque 384 dunque 432 54

un

altro

+ + = 486: ma intervallo di +
1

= 432

un ottavo
perch
-f-

43 2 54

dal 486 al 512


-g- di

non

sta

-g-,

486 60,75,

e quindi la

somma

salirebbe a 546
intervallo

- Resta dunque
.

un avanzo, cio

un

pi piccolo degli

altri,
-f-

e pi precisamente, mentre neh' intervallo di 1


di

-g

8 a 9, c', com' chiaro, tra i due numeri il rapporto qui, in numeri interi c' quello di 243 a 256, che torna

ad
c'

Proseguiamo
di
1 -J- -5-,
1

nella

serie:

tra

512 e 576
:

intervallo
c'

che resta intatto


-|
,

tra

576 e

768
il

ancora quello di

che va riempito come

primo con due

intervalli di 1

+ ~y

ed un Xi^a, e

avremo:
cessivo:

576, 648, 729, 768, e cos per l'intervallo suc768, 864, 972, 1024, e cos di seguito. Nelle

serie del triplo

abbiamo

intervalli

di 1

cne

3i

riempiono
quali

allo stesso

modo,

e intervalli di 1

+ , dei

Timeo tace, forse perch, parlando a persone che evidentemente si suppongono informate di queste cose, poteva dar ci per inteso. Ora il modo di riempire gli
intervalli
Xeiuua,

di 1

-f-

inserirne due di

-f -g- ed

un

come per

gli altri
il

che abbiamo veduto, e quindi

aggiungere dopo

XeT,u|na

un

altro intervallo di 1 -j- -g :

i88
di essi

//

Timeo.

una

particella, la quale

intervallo, in rapporto di

rappresenta un numero a numero, come

fra 384

576,

dov

intervallo

di

i-f

avremo

dunque: 384, 432, 486, 512, 576.


Tutto ci ragionato in relazione all'octacordo diatonico dorico. In esso infatti il rapporto di ottava , come il nostro, di 1 a 2: perci 384 e 768 rappresentano l'accordo di ottava. Ma fra 384 e 512, abbiamo visto,
c'

rapporto
di

di

6 a 8

(1

-\

],

che corrisponde

all'ac-

cordo

quarta

(i xeaadpijuv),
),

e fra 384 e 576 c' rap(ol

porto di 6 a 9 (i-\
irvre). Il

che l'accordo di quinta


(1

rapporto poi di 8 a 9

+ -3-)

rappresenta

un tono intero (e in ci non sempre esatta la corrispondenza col nostro sistema musicale), cos che l'intervallo di quarta comprende due toni e mezzo, e l'intervallo di quinta comprende quello di quarta e per di pi un

E questi intervalli principali, osserva an. procr. 15), sono rappresentati dalla ottava, 8 12 proporzione 6 8 8 12 (cio 6:12 quinta, 6: 8 quarta), che perci appunto detta armonica. Tolgo allo Stallbaum il diagramma del primo
altro tono intero.

Plutarco (De

octacordo:
Intervalli

Capitolo Vili.

189

256
lui

in

rapporto a 243.

Ed

effettivamente la mi-

stione, dalla quale tagliava queste cose, fu cos

da

interamente consumata. Tutta questa composizione pertanto dopo averla

spaccata in due per il lungo, e accostata rispettivamente l'una met sopra l'altra in forma di X, (egli) pieg queste in cerchio allacciandole seco ciascuna e tra loro nel punto del cerchio opposto alla prima intersezione (1), e le costrinse in quel movimento che gira sempre ad un modo e sempre

come le corde di un octacordo e questo che ho esposto mi pare che basti per la intelligenza del nostro testo. Per pi minuti, pi esatti e pi copiosi particolari, veggansi lo Stallbaum, il Martin, I'Archer-Hind, con le
:

fonti antiche
(1)

a cui attinsero.
si parla sempre del mondo, e che perci escludere ogni idea di materia. Abbiamo

Giover non dimenticare che qui

della creazione dell'anima

sempre da dunque in questo luogo una concezione esclusivamente


matematica, alla quale la creazione dei corpi
si
:

applicher poi la fisica con per ora non che una serie continuata di rapporti proporzionali applicati alla doppia TTpciKTu<; pitagorica, e poich una serie continuata, Platone la raffigura in una striscia che il creatore divide per il lungo sovrapponendo poi l'uno all'altro i due pezzi in figura di X, cio in croce, ma non ad angolo retto. L'anima del mondo deve essere adatta al suo corpo, e in questo senso si parla qui della figura che essa riceve. Or fatto ci, dice, il creatore pieg in cerchio le due linee del X congiungendole insieme al punto opposto della loro prima intersezione, cos da chiudere in esse una sfera, la quale sfera alla sua volta circondata di fuori da quel movimento che sempre ad un modo. E qui si ricordi ci che detto a p. 34 B (v. la nota relativa), che l'anima del mondo lo avvolge anche di fuori, e che esso si muove di moto
circolare intorno a s stesso, o in altre parole sul proprio asse, il quale appunto il moto che sempre ad un modo e non si sposta mai. Ora i due cerchi formati dal sono, di necessit, l'uno interiore, l'altro esteriore rispettivamente l'esteriore, come chiaro da ci

190

//

Timeo.
l'

nello stesso luogo


di fuori
,

uno

dei

cerchi lo pese

l'

altro

di

dentro.

quindi

il

moto

deput ad essere della natura di e quello di ci che sempre ad un modo dentro di quella dell'opposto; quello poi ad un modo lo gir attorno verso destra secondo il lato, quello dell'opposto secondo la diagonale a sinistra (1). E diede il dominio alla circolazione
esteriore
lo
,

che segue, rappresenta l'equatore ed simbolo


cielo delle
stelle
fisse;

del

l'interiore

l'eclittica

corri-

sponde a
"

L'obliquo cerchio che

pianeti porta.

qui

piacemi riportare
"
:

le

verissime

osservazioni

che esiste e avviene nella natura materiale [secondo Platone] semplicemente il simbolo materiale di immateriale verit; l'inevitabile risultamento della regolare evoluzione dello spirito, secondo l'eterna legge della sua natura, nelle manifestazioni corporee. Platone naturalmente non vuol dire che l'essenza immateriale e indivisibile dell'anima sia composta di cerchi e distribuita in proporzioni matematiche. Il cerchio per lui un simbolo dell'attivit del pensiero, e assegnando i numeri armonici all'anima egli vuol dire che tutti i rapporti o armonie matematiche o d'altra specie, che si trovano nel mondo dello spazio e del tempo, sono la naturale espressione in termini matematici di qualche legge eterna dell'anima.
Ci

dell' Archer-Hind

due movimenti, oltre esser diversi per esser della natura sempre ad un modo, l'altro della natura di ci che mutevole, sono oltre di ci differenti per altre due guise: quello di fuori (l'equatore)
(1) I

l'uno

a destra e secondo il lato, quello di dentro (l'ea sinistra e secondo la diagonale. Che vuol dire secondo il lato e secondo la diagonale? Sia la sfera ab ed, e od sia l'equatore ed ef l'eclittica: /// ed eg siano i tropici: congiungiamo // con e ed / con g; avremo un rettangolo di cui ef sar la diagonale. Ora l'equatore essendo parallelo ai tropici, torna giusto il dire che si muove secondo il lato (/// ovv. eg) di questo rettangolo; e poich l'eclittica insieme la diaclittica)

muove

Capitolo

Vili.

191

che ad un modo e omogenea e questa lasci unica e indivisa quella di dentro invece, scin;

a-

/"1

192

//

Timeo.

dendola

sei volte in sette cerchi disuguali giusta

gli intervalli

del doppio e del triplo, tre per sorta,

alla carta, e scrivere a destra o a sinistra vuol dire scrivere alla destra o alla sinistra nostra. Cos quando diciamo che l'oriente alla destra, immaginiamo l'osservatore di fronte al mondo e quindi riin tale posizione infatti l'ovolto verso il polo artico riente a destra dello spettatore. Ma se consideriamo invece le cose secondo verit, la destra nostra corrisponde alla sinistra del mondo e viceversa. Vero che di una sfera non proprio parlare di alto o di basso, di destra o di sinistra, come si dir un po' pi oltre; ma poich di destra e di sinistra si parla, pare assai pi conveniente intendere la destra della sfera stessa, comunque immaginaria, che non quella dello spettatore, che qui sarebbe un intruso. Al momento della creazione infatti non v'erano altri spettatori che Dio, per il quale se di destra o di sinistra non ha luogo il concetto pertanto il mondo poteva avere una destra, questa doveva essere sua propria, non in relazione alla disposizione di altri corpi.

vagna o

Il cerchio esteriore, come si vedr anche per esclusione degli altri, comprende soltanto il cielo delle stelle il fisse, il quale dunque gira da oriente verso occidente cerchio interno diviso in sette concentrici, cio quello dei pianeti, se si muove in senso contrario del primo, dovr girar dunque da occidente verso oriente. Ma il moto del cielo esteriore predomina sull'altro e trascina con s anche i cerchi interiori, i quali perci hanno due movimenti contrari, l'uno impresso, l'altro proprio ; come se uno, mentre trascinato in un dato senso da un treno ferroviario, cammini sul treno stesso in direzione contraria. Ci spiegato con la maggiore evidenza da Timeo di Locri, p. 96 C-D t uv uu9ev fiyei Trvra v aTOiq [leggi aTot<;] t vTc; n vctToX<; tri atv tv Ka0' anav xivaaiv, cio il cerchio esteriore trascina ci che contiene in s nel moto generale da oriente ad occidente ; x t5<; tu) xpiu vT<; ir anepaq r ttoG' &ju uv iravaipepuev Te xal Ka0' aT
: :

xiveueva, ouuTrepibivexai Konr aufiPe^nKc; tS tcitu) opopt kptoc; xoiaq v kouuj xppov, cio " e il cerchio interno, quello che non della natura costante, gira da occidente verso oriente in quanto si muove da s, trascinato in giro per accidente (cio per causa esteriore) nel movimento di ci che ad un modo, il

ma

Capitolo

Vili.

193

ordin
gli

ai

cerchi che andassero in senso contrario


altri,

uni agli

e quanto a velocit tre ugual-

qual

movimento ha nel mondo una potenza sover

chiante.

quanto ai sette pianeti si presenta un'altra difficolt. Dice che i loro cerchi sono distanti tra di loro in ragione del doppio e del triplo, e ci si spiega con la doppia rexpaKrvc, che abbiamo visto di sopra; dice che tre hanno uguale velocit, e sono Mercurio, Venere e il Sole, che si riteneva compissero tutti e tre il loro giro in un anno (n poteva parere diversamente nel sistema geocentrico), e quattro differente; dice finalmente che si muovono in senso contrario gli uni agli altri; e la difficolt qui. La frase kot Tvav-rict XXn.Xoi<; pare abbastanza chiara, ed richiamata a p. 38 D, ove si parla di Mercurio e di Venere, e si dice che quanto a velocit compiono lo stesso giro del sole, t>iv ' vavxiccv eXn.xTa<; aT> uvauiv. E ci che prima pareva chiaro qui si intorbida. Sta in fatto che Mercurio e Venere nel nostro sistema, essendo inferiori, cio girando tra la Terra ed il Sole, compiono la loro
orbita in assai minor tempo della nostra, e perci all'osservatore che sta sulla Terra, mentre da principio, a partire dal loro perigeo, per qualche tempo pajono precedere il sole, pajono poi ritardare iGev KciTaXaiufivouai xe xa xoiTaXaiufivovTai (p. 38 D)), e dopo l'apogeo restare dietro di lui. Ci all' osservatore del sistema Tolemaico poteva dar l'impressione che girassero in senso contrario del sole. Vuol dir questo Platone? Il Martin (II, p. 69) non alieno dal crederlo, ma G. V. Schiaparelli (/ precursori di Copernico, p. 16, in " Pubblicaz. del R. Osservatorio di Brera, Milano, 1873, n. Ili) fa su questa interpretazione molte e gravi riserve, ancorch non la escluda assolutamente. notevole che nella parafrasi, qui ampia, di Timeo Locro di questa contrariet non cenno alcuno. Ad ogni modo, sia questa ipotesi vera o falsa (dico vera o

Ma

secondo la scienza antica), la difficolt maggiore ben altra: come si concilia questa interpretazione con quello che era stato detto poco prima, che cio il cerchio interno, di cui i cerchi dei pianeti non sono che frazioni concentriche, gira tutto verso sinistra? Qui invece girerebbe parte a sinistra e parte a destra: oltre di ci quella parte che gira a destra girerebbe conformemente al moto del cerchio esteriore, dal quale
falsa

Feaccaroli, Il Timeo di Platone.

17

94
gli altri

Timeo.

mente, e

quattro disugualmente tra loro e


altro

coi tre, pur

movendosi per

con date regole.

eravamo d'accordo che dovesse per sua natura


ferire.

dif-

soluzione che elimini del tutto questa difficolt si possa trovar facilmente, e forse non si trova affatto. La pi probabile, per la quale se non si toglie la difficolt assolutamente, la si attenua di molto, quella che ricorre alle sfere omocentriche di Eudosso di Cnido. Per ispiegare le anomalie apparenti nel corso dei pianeti senza contraddire alla legge del moto circolare ed uniforme dell'universo non restava ad Eudosso che dimostrare essere quel movimento, in appa-

Una

non pare

renza cos irregolare, dovuto appunto alla combinazione di pi moti regolari ed uniformi. " Eudosso immagin dunque, continuer con le parole dello Schiaparelli {Le sfere omocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotele, in " Mem. del R. Istituto Lombardo, 1877,
XIII, p. 125: un riassunto in forma pi accessibile profani diede di questo saggio lo stesso SchiapaAtene e Roma I, 2, pp. 65-79), " che ogni relli, in corpo celeste fosse portato in circolo da una sfera girevole sopra due poli e dotata di rotazione uniforme; suppose inoltre che l'astro fosse attaccato ad un punto dell'equatore di questa sfera, in modo da descrivere, durante la rotazione, un circolo massimo, posto nel piano perpendicolare all'asse di rotazione della merender conto delle variazioni di celerit dei desima. pianeti, del loro stare e retrogradare, e del loro deviare a destra ed a sinistra nel senso della latitudine, tale ipotesi non bastava, e convenne supporre che il pianeta fosse animato da pi movimenti analoghi a quel primo, i quali sovrapponendosi producessero quel movimento unico, in apparenza irregolare, che quello
voi.
ai
'
,

che si osserva. Eudosso stabil dunque che i poli della sfera portante il pianeta non stessero immobili, ma fossero portati da una sfera pi grande, concentrica alla prima, girante a sua volta con moto uniforme e con velocit sua propria intorno a due poli diversi dai primi. E siccome neppure con questa supposizione si riusciva a rappresentare le apparenze per nessuno dei sette astri erranti, Eudosso attacc i poli della seconda sfera entro una terza, concentrica alle due prime e pi grande di esse, alla quale attribu pure altri poli ed altra velocit sua propria. E dove tre sfere non basta-

Capitolo IX.

195

IX.

Ma dopo che tutta la costituzione dell'anima secondo l'intendimento di chi la costitu fu comvano, aggiunse una quarta sfera, comprendente in s prime, portante in s i due poli dlia terza, e anch'essa ruotante con propria velocit intorno a' suoi propri poli. Secondo questa ipotesi, volgarmente derisa e che lo Schiaparelli invece riconosce degna di un grande matematico, si spiega come i pianeti vengano a descrivere nel loro moto apparente una curva a forma di nodo, che Eudosso chiama ippopeda, e come perci pajano ad un certo punto ritornare in senso contrario alla via percorsa (Cfr. Teone Sm. p. 178, 11. 3 sgg.). Nonch la costruzione del Timeo, il mito del della Repubblica, ove descritto il fuso della libro Necessit con le sue spole concentriche che rappresentano la compagine dell' universo, pare che embrionalmente corrisponda a questa teoria (Schiaparelli, / prec. pp. 22-23), s i a he Platone l'abbia tolta ad Eudosso, sia che, ci che pare pi probabile, Eudosso, di tanto pi giovane, l'abbia svolta da Platone, che pure era un Si pens anche, per ispiegare il nogran matematico. stro luogo, alla teoria degli epicicli (e la preferiscono Teone, o. c, pp. 188-89, e Calcidio), secondo la quale ciascun pianeta procede bens trasportato in cerchio intorno alla terra, ma quanto a s si muove intorno ad un punto fisso della circonferenza di questo cerchio:
le tre

cerchio- grande con un dischetto un punto della sua circonferenza, e mentre il cerchio grande gira in un senso, il dischetto gira nel senso opposto (Cfr. Dante, Coiiv. II, 4, 11. 78 sgg.). Questa ipotesi, ancorch analoga a quella di Eudosso, non pare per altro sufficente a spiegare la difficolt, e non ha ragione di essere preferita. Con l'ipotesi di Eudosso i diversi moti contrarisi comporrebbero senza elidersi, e le parole di p. 38 D Tnv ' vavxiav \nxTa<; amu vauiv trovano cos una spiegazione plausibile. Se infisso

avremmo dunque un
in

fatti

interpretiamo la parola
12,-1),
f\

buvette;,

come

la

spiega
f\

Aristotele {Metaph. IV,


TdpoXfjt;

per px

Kivrjaeux;

nein-

v Tpa

f|

fj

'Tepov,

quelle parole non le

ig6

//

Timeo.

dopo di questo (i) quanto ha natura di dentro di essa fabbric e il mezzo delE corpo
piuta,

l'uno in

mezzo

dell' altra

congiungendo adatt.
intes(2),

Ed

essa dal centro fino all'estremo cielo

suta e di fuori intorno coprendolo

s in s

rivolgendo, cominci il primo cominciamento di una vita perpetua e sapiente per ogni tempo. E mentre il corpo del mondo fu creato visibile,
37 essa, l'anima, fu invisibile,

ma

partecipe di ra-

gione e di armonia, da colui che ottimo delle cose intelligibili e che sempre sono generata ottima delle cose che sono state generate (3). Come quella pertanto che commista di queste tre parti, cio di ci che connaturato sempre ad

un modo

e di ci che all'opposto, e della (detta

terza) sostanza,

ed proporzionatamente divisa

e collegata (4), e s in s rigira, quando si imbatte in qualche cosa che abbia natura divisibile, e cos pure

quando

(in altra

che l'abbia) indivi-

terpreteremo gi come indicanti moto contrario, ma solo tendenza contraria, o possibilit di procedere in senso opposto, e questo spiegherebbe la retrogradazione, senza escludere la progressione.
(1) Da non prendersi in senso temporale, ma logico (Proclo). Cos anche le frasi seguenti non devono essere intese in senso materiale. (2) Cfr. p. 34 B e nota relativa (p. 179 n. 2).. puoviac, vpux, T *v von.(3) XoyicjuoO b uexxouaa >cal tujv et xe vtuuv tt toO picnrou pia-ru. Yevouvn. tjv revvnGvTujv. Il Martin traduce congiungendo ctpjuoviai; tujv vor)Tuv ecc., ma non v'ha dubbio che puovic; sta da s, e che tjv vonTwv dipende da piarou ed simmetrico ad pitfTn twv yewnOvTUJv.

(4) uepiaSecra Kal EuvbeGeaa: il primo participio si riferisce alla distribuzione originaria dell'anima secondo i sette numeri della Texponcrix;, il secondo all' introduzione dei bcauoi', cio delle medie aritmetiche ed armo-

niche che

li

congiungono (Archer-Hind).

Capitolo IX. sibile (1), agitandosi in s stessa tutta, si

197

rende cosa sia identica e di che ragione, a che questa sia diversa, e in rapporto a che massimamente
e

dove

come

quando accada nel mondo del

divenire che una cosa sia o patisca rispetto ad


un'altra, e cosi

pure nel

mondo che

sempre ad
poi (che,

un modo

(2).

Questo ragionamento

(3)

(1)

La

ooia aKebacrrn. ci

che appare molteplice,

cio il fenomeno sensibile, la oaia uepiOTOi; t vontv, l'intelligibile. (2) Xyei ... otuj t' fiv ti tcitv vj kc "tou v Tepov, Trp<; 6 ti Te uXiOTa Kal rrn Ka ttuk; Kal tttc EuuPaivei Kcrr t YiYvf.iev Te upc; e^acn-ov VaOTa elvai Kal

t kot tot xovTa aei. L'anima costituita di elementi di natura diversa, perch diverse e correlative ad essi elementi sono le cose che deve apprendere. Questo il senso di questo periodo, nel quale, come nota il Martin ripetendo un'osservazione del Lindau, sono indicate quasi tutte le categorie annoverate da Aristotele, Top. I, 7 (8), 2. L'oscurit pi apparente che sostanziale, purch si badi bene, come avverte lo Stallbaum, che qui si tratta di un giudizio di identit o di diversit, e che perci TaTv ed repov vanno intesi nel loro senso normale e volgare. D'altra parte non vi pu esser dubbio che otuj t v kt\. e irpq 6 ti Te siano interrogazioni indirette coordinate tra loro; non gi che, come vorrebbe lo Stallbaum, tuj sia dichiarativo di un toOto come presupposto soggetto di ?uufaivei. N dubbio pu sorgere sul senso dell'ultima frase: il Te dopo kot t YiYvueva richiede un corrispondente, e questo non pu essere che irpq t KaT TaT Ixovto, e se non si ripete il KaT , come ancora osserva lo Stallbaum, perch nessuno pu sognar di dire KaT T kot TaT exovTa. Superfluo poi notare che elvai Kal rraxeiv " essere e patire non voglion dir altro che esser attivo o passivo. Il Martin e PAcri invece intendono irp<; t k. t. come simmetrico a upc; 'KaaTOv, ma oltre che il Te resterebbe campato in aria, non si capirebbe perch il giudizio dell'anima, che da principio era esteso anche alle cose non generate, qui si deva limitare alle generate soltanto. (3) Xyoq b kot TaCtTv Xr|6n.<; YiYv|uevo<; rapi Te
Trdaxeiv
Kal rtpt;

rappresentata

come

198
in

II

Timeo.

quanto partecipa di ci che ad un modo, un modo, sia intorno all'opposto), procedendo senza suono n voce entro a ci che si muove da s, quando avvenga invero, sia intorno a ci che ad

torno

al

sensibile, e

il

sendo

dritto, lo

annunzi a tutta

cerchio dell'opposto, esla parte dell'anima

k. t. X. Schxeider ed Hermann tengono v A, che per lo meno inutile, se non errato. Quattro righe prima ha detto che l'anima Xfei il XToq dunque insieme il discorso e la ragione dell'anima, Xyov Sv aT. -rrpcx; arnv n M^XH &i2pxTai neo

edrrepov Ov
di

si

come detto nel Teeteto, p. 189 E. Perci dentro all'anima (dentro a ci che si muove per virt propria) <5veu cpSrfou ko f\xf\c,. Cos nel Sofista, p. 263 E, detto che il X^ot; e la ivoia sono in sostanza la stessa cosa, tranne che la idvom il discorso che fa l'anima dentro a s stessa senza parlare: .uv vt<; Tf|q HJuxfc ^P s otv iXoyck; veu ... qpuuvrV; YiYv|aevo<;, e che il h'rfoc, propriamente t peua bi toO aruaTOc, iv uer qpBYYOu, cio questo stesso discorso che scorre dalla bocca insieme col suono. Ora questo Xyo;, in quanto ragione, appartiene a quella parte dell'anima che anche nel corpo umano, come si dir pi oltre, immortale. Esso di sua natura nata xaTv, e perci in se stesso vero, qualunque sia il suo oggetto, sia questo oggetto alla sua volta un Kar totv, ovvero un gxepov, un intelligibile o un sensibile. Ora poniamo che sia un sensibile. Del sensibile non si pu avere che bia e ttotk;, ma perch queste siano vere, bisogna che il materiale offerto al Xyoc; sia sano (si pu infatti ragionare rettamente, ma movendo da dati sbagliati) il materiale pertanto sar sano se il cerchio dell'opposto, quello cui appartiene il sensibile, proceda bene (pGc; jv codd.; Ojv Stallbaum, che migliora il testo, ma non necessario), e quindi trasmetta a quella parte dell'anima che propria di esso (la parte mortale) le sensazioni in modo regolare. Se poi l'oggetto del discorso un intelligibile, allora, perch si abbia la maxnun propria di tale oggetto, bisogner che proceda bene il cerchio kot totv se infatti questo impedito, il ragionamento o monco o non libero, o muove da presupposti mal conosciuti o male intesi.
div

aKOTrri,

muove

Capitolo X.

199

governa (1), allora nascono le opinioni e credenze sicure e veritiere: quando invece sia intorno al razionale (2), e il cerchio di ci che C ad un modo, correndo bene, lo faccia noto,
ch'egli
le

allora

si

compiono

di necessit

l'

intelligenza e

la scienza.

La

sostanza poi in cui queste

due

cose (3) si generano se altri dicesse che altra cosa fuorch l' anima, tutto direbbe fuorch la
verit.

X.

Ma come

(tutto) ci sent di gi

mosso
(4)

e dive-

nuto immagine viva degli Dei eterni che lo avea generato,


tosi di esso
lo

il

padre

ammir

e compiaciu-

pens di renderlo anche pi simile

toO GdTpou kkXoc; pQc; wv tic, -rrfiaav aroO Cos I'Hermann coi codd., ma arou non ben chiaro e fu perci proposto di mutarlo in ax (cio t aaGnTv) dallo Stallbaum, in aT (analogamente ad aT ... unvon di poco pi oltre) dall' ArcherHind. Lo Zeller (o. c, p. 787, n. 1) propone cxtv, e intende tv Xyov, assai bene, tant' vero che altrimenti aTv bisogna sottintenderlo. Per l'avversione che ho a mutare io proporrei un'alterazione lievissima, ao-roO, ma forse il mio scrupolo soverchio. (2) L'Archer-Hind fa notare come per il razionale (Xoyicjtikv) il verbo scelto sia fj, mentre per il sensibile (aaQnrv) era Tonfai. (3) L'Archer-Hind crede che queste due cose siano le ultime nominate, vo0<; mcTfi,uri re. Ci possibile, ma la conclusione del discorso mi pare si avvantaggi dall'interpretazione dello Stallbaum e del Martin, che le intendono invece per i due modi di conoscere or ora descritti. Viditque Deus cuncta quae fece(4) Cfr. Genes. I, 31 rat: et erant valde bona.' Il mondo l'fiya\|uot, l'immagine,
(1) kcx

Tfjv iyuxn v terne iXfl-

'

2oo

//

Timeo.

E poich quello un animale semanche questo universo, per quanto era possibile, egli imprese a renderlo tale. Ma quelall'esemplare.
piterno, cosi

l'animale

non

si

e ci era (i) eterno per sua natura poteva adattare del tutto a chi avea
;

avuto origine. Egli escogita pertanto di fare una immagine mobile dell'eternit (2), e mentre ordina il cielo, fa dell'eternit, che rimane sempre nell'uno, un'immagine eternale (3), che procede

un irapeiYua, esemplare. Il mondo, dunque l'immagine, detto a p. 34 B che un Dio beato, eaiuwv te<;: analogamente del TTap&eiyua si dir tra poco che un Elov diiov, animale eterno, come qui lo chiama Dio eterno, anzi al plurale, Dei eterni (twv i&iuuv Geujv).
di

N basta: Dei sono poi espressamente detti, nonch il singoli corpi celesti, e questo mondo intero, anche
i

onore finalmente si estende per concessione anche agli Dei della mitologia. Ebbene, innanzi tutto alcune di queste divinit sono espressamente ed evidentemente in sott'ordine, e il solo dubbio di una concorrenza al Dio unico padre e creatore pu affacciarsi per l'esemplare, cio per le idee, poich esso logicamente antecedente alla creazione e non generato; ma di ci ho discorso, credo, a sufficenza nel secondo capitolo dei Prolegomeni. Platone concepisce il mondo intelligibile come una realt, in opposizione al mondo sensibile, che non per lui che un'apparenza, e cos pu chiamar quello iov iiov, ancorch sia solamente pensato. Esso pensato da Dio, e il pensiero di colui che partecipa della natura del pensante: Dei perci possono chiamarsi le idee solamente per partecipazione. Questa stessa espressione al plurale, Dei eterni, pu poi servir d'argomento per sostenere che non siano appunto perch le esse stesse Dio creatore e unico
:

chiama Dei (come gli Dei in sott'ordine), non possono essere Dio, o sarebbe questa un'espressione insensata.
(1)
Il

Gaye
:

(o.

c, p.

150) spiega

questo imperfetto

rettamente
(2) Cfr.

"

abbiamo veduto che eterno.

luogo di Boezio, Pini. Cons. V, 6, riportato nei Prolegg. cap. II, 7, p. 82 n. 2. (3) alwviov eKva. L'Archer-Hind trova della difficolt in questa frase: infatti se il tempo e l'eternit
il

Capitolo X.

201

quello che noi abbiamo chiasecondo numeri, tempo. Perocch dei giorni e delle notti mato e dei mesi e degli anni, che non erano prima E che il cielo fosse generato, allora col costituirsi di esso egli produsse la generazione. E tutte queste sono parti del tempo, e Vera e il sar sono specie di esso e generate, che non ci accordi trasportare fuor di proposito alla sostanza sempiterna. Poich diciamo infatti che essa

giamo

ma ad essa, secondo il solamente l', mentre Vera 3^ parlare vero, conviene e il sar giusto si dicano della generazione che procede nel tempo. Perocch questi due sono
era, che , e che sar,

che sempre allo stesso cape il diventare n pi vecchio ne pi giovane per causa del tempo, n l'essere nato una volta, n trovarsi nato ora, n esser per essere in avvenire (i), n altra cosa af-

movimenti, mentre

in ci

modo immobilmente non

sono posti in opposizione, come avviene che anche il tempo si possa chiamare eterno? La risolve dicendo che esso eterno, non come aggregato, ma come un tutto, che l'anima universale non ha solo esistenza nella forma dell'unit, ma anche in quella della molteplicit. Similmente il Gaye, 1. e. Certo che, se l' immagine deve rappresentare il paradimma in ci che gli sostanziale, ci che nel paradimma sostanza nell'immagine sar fenomeno e qualit, ma non potr mancar mai. Il tempo che avesse a finire non sarebbe dunque pi immagine dell'eternit; dunque anche l'immagine

deve essere ctwvtoc, ma auiviot; come qualit, non come sostanza; perci ho tradotto eternale, anzich eterna. E come il tempo anche il mondo, se ha da essere immagine di ci che , continuer a divenire senza tregua e senza fine: per sua natura tender senza fine a raggiungere l'essere senza per mai raggiungerlo.
(i) oure upeof50Tpov out veuiTepov irpoariKei Yi'fvea8ai i xpvou, ob jtvoQax irox ob yejovvai vOv ob' daa06i<; aeaBai. Comunemente anche a Y^vaGcu, y^YO-

ao2
fatto di

//

Timeo.
si

quante

la

generazione confer a ci che

sono forme del tempo che imita l'eternit e si gira secondo rapporti B numerici. E cos pure quando del nato diciamo che nato (i), e di ci che nasce che nascente,
nel sensibile, e che e di ci che nascer che per nascere, e di ci

muove

nulla esattamente.

che non che ci che non , non parliamo per Ma di queste cose forse non
discorrere per minuto.

tempo opportuno adesso

XI.

E
cielo,

il

tempo pertanto ebbe


affinch insieme
se

origine insieme col

generati
il

insieme

anche
;

siati sciolti,

mai avvenga

loro dissolvimento

e (fu generato) sull'esemplare della natura eterna,

C gliantissimo ad

quanto era pi possibile somiPerocch l'esemplare continua ad essere per tutta l'eternit, e questo sino alla fine continuamente e sar generato (2).
cos
che.

fosse

esso.

ecc. si sottintende upea^uTepov e vewTepov, la quale interpretazione non si pu provar falsa; ad ogni modo con essa il primo generico yiTvea9ai sarebbe superfluo, essendo poi espressi a parte i tre tempi presente, passato e futuro. Aggiungasi che, poich poco pi sotto si nota l'uso improprio dell'elvai, qui sta bene parallelamente la censura del suo opposto liyveaQai nella sua generale accezione.

vvai

(1) Poich il mondo un continuo divenire, irrazionale l'adoperare per esso il verbo essere. (2) 'au bi tXouc; fv 'navxa xPvov -feYovujt; re kc ujv Kai au.evo<;. Intendi Yeyoviiiq come dipendente da ujv e da ?ao uevo<;, e non come ad essi correlativo: si vuol notare infatti che nel tempo si perpetua
1

Capitolo XI.

203

ragionamento pertanto e da tale consiglio alla produzione del tempo, acciocch il tempo fosse generato (1), nacquero il sole e la luna e cinque altri astri, cos detti pianeti (2), buoni a distinguere ed a conservare i nutale

Da

di Dio intorno

di ciascuno di loro, pose nelle orbite per le quali si moveva il girar dell'opposto, per sette orbite sette astri, la luna nella prima (3) intorno alla terra, il sole nella seconda al di sopra della terra; Lucifero poi e quello che detto sacro ad Ermes giro che per velocit corre (li fece) andare nel pari al giro del sole, ma con tendenza opposta ad esso (4); onde avviene che reciprocamente si rag-

meri

di

esso.
li

corpi
li

come

Iddio

ebbe

fatti,

divenire in opposizione all'eternit, nella quale perl'essere. Il Te che sovrabbonda si pu spiegare ammettendo un lieve anacoluto, che accresce l'efficacia della espressione. Che poi b' aO sia il tempo, mi par cos evidente dal senso, che non vale la pena di perder tempo a dimostrarlo. La espressione bens irrazionale per via del tv arravTa xpvov (== continuamente) che segue ; per altro assai naturale, mentre voler intendere ' ctO per opavt;, con I'Archer-Hind e col Jowett, introduce un concetto estraneo e guasta l'argoil

mane

mentazione.
(1)

parole

iva YevvrjQr xpvot;. L'Archer-Hind esclude queste come un'inutile ripetizione, ma forse a torto.
cfr. p.

Per

luogo il concetto di questo BeoO XoYio6ei<;.


(2)
(3)
eie,

34

il

Xoykjmc;

Cio erranti. tv irep yf\v

ttpjtov.

Poich prima
eie

c'
:

eie,

tc,

nepiqpopq,

aspetteremmo qui

t^jv TrpuuTnv

conviene

pertanto intendere tv ad synesin, come una specie di prolessi di tv kukXov, che segue due righe dopo appunto " lo in questo senso. Intenderlo per eie, tv TrXavriTr|v

pose come primo pianeta, come vorrebbe lo Stallbaum, non possibile e per la goffaggine del senso che ne risulta, e perch subito prima c' eie, toc; irepicpopdc, in senso evidentemente del tutto diverso.
(4) Cfr. p.

193 in nota.

20|

//

Timeo.

giungano e siano raggiunti allo stesso


quello d'Ermes e Lucifero.
e per quali cause
li

modo

il

Sole,

Quanto agli altri e dove ha collocati, se uno volesse pasil

sarle tutte in rassegna,

discorso accessorio da-

rebbe da fare di pi che non quello a proposito E del quale introdotto. Ma questo poi con nostro
agio in seguito potr forse essere dichiarato.

Intanto
gli

come

fu pervenuto a quell'orbita che

era conveniente ciascuno di quanti erano de-

putati a costituire

insieme

il

tempo, e come
vitali

loro corpi

legati

da

vincoli

diventarono

animali ed appresero ci che loro era stato ordinato, allora,

movendosi secondo
al

39 l'opposto, che gira di traverso

moto delil moto sempre


e

ad

un modo

ne dominato

(i),

girando
l'altro

l'uno di loro per

un cerchio pi grande,

per uno pi piccolo, quelli del pi piccolo

pi

rapidamente, quelli del pi grande compivano il giro loro pi lentamente. E cos per il movimento di ci che sempre ad un modo quelli che giravano velocissimamente apparivano esser
raggiunti da quelli che andavano pi lenti, mentre

invece

li

raggiungevano.
i

Perocch

trascinando
vie

(esso moto) tutti

cerchi loro in forma di spirale,

B com'essi procedevano simultaneamente per due


diverse in senso contrario, (questo) faceva
ci che
si s

che

partiva pi lentamente da esso che

velocissimo

paresse

ad esso pi prossimo

(2).

(1)

editori
(2)

Leggasi oOodv re xa KpaTouuvnv con tutti gli moderni. L'Hermann tiene la lezione di A, che
KCl

OU0O<; T6

KpOT0U)uvn<;.

Lo Schiaparelli
"

(7 precursori ecc. p. 16) traduce

questo luogo cos:

Quelli il cui circolo era pi piccolo andarono pi presto, e quelli il cui circolo era pi ide compirono pi lentamente il loro giro. E cos

Capitolo XI.

205

Ed

affinch vi fosse

loro rapporti di lentezza e di

una misura ben chiara dei velocit, secondo

nel movimento della natura del medesimo, quelli che facevano pi rapidamente la loro rivoluzione sembravano raggiunti da quelli che andavano pi lentamente, mentre succedeva il contrario. Perch, siccome quel movimento faceva percorrere a tutti una elica, e i pianeti andavano incontro ad esso, quelli che si allontanavano pi lentamente dal medesimo (che li sorpassava tutti in rapidit.) sembravano seguirlo pi dappresso che tutti gli altri. Il cielo ottavo o delle stelle fisse gira da oriente verso occidente con grandissima velocit: cieli dei pianeti quanto a s hanno un moto proprio i in senso contrario, ma obliquo al primo lungo l'eclittica. Ora poich, come abbiamo veduto, sono attratti e soverchiati dal cielo ottavo, la combinazione dei due

impulsi produce il moto elicoidale una prima applicazione del principio delle sfere omocentriche. Ma i sette cerchi dei diversi pianeti sono, come chiaro, di ampiezza differente: ora dice che i minori sono pi veloci dei maggiori, e questo confermato espressamente anche in de Rep. p. 617 A-B la luna dunque il pi veloce di tutti soggiunge per altro che l'apparenza al contrario. Infatti l'osservatore che non sa dei due moti e bada solo alle apparenze sensibili vede il cielo delle stelle fisse girare nello spazio di 24 ore e i pianeti pi lontani, poniamo Saturno, parer seguirlo molto da presso avendo su di esso moto un minimo ritardo quotidiano (t ppabTaxa rnv <p' aTnO tanto da non potersi notare da una notte all'altra un cambiamento sensibile di posizione. Cos avviene che Saturno, appunto perch poco si distanzia nel moto dal cielo velocissimo, paja il pi veloce dei pianeti. Lo stesso osservatore vede invece la luna ritardare ogni notte di circa tre quarti d'ora, e cos gli pare pi lenta. Per queste apparenze cfr. Teone Smirneo (o. c, p. 148, 11. 6 sere:.). Chi invece si rende ragione dei due movilo menti non si lascia illudere dalle apparenze, e sa che appunto perch la luna in confronto del moto diurno ritarda di pi, questo segno che ha un moto suo proprio in senso contrario pi veloce di tutti, e che meno veloce di tutti lo ha Saturno, appunto perch ritarda di meno. La velocit insomma propria dei pianeti si deve computare nel senso non del loro maggior procedere (che per effetto del moto diurno), ma del
:
;

Fbaccaroli,

II

Timeo di Platone.

18

2o6

//

Timeo.
i

cui (i) procedessero per

loro otto aggiramenti,

Iddio accese nel cerchio, che rispetto alla terra

secondo, una luce,

la

quale per noi ora ha

nome
pi

appunto

sole,

affinch facesse
il

lume quanto
gli

possibile per tutto

cielo,

animali parte

cipassero del numero, quanti

meritavano parte-

ciparne, apprendendolo dal girare di ci che

sempre lo stesso ed uguale. La notte pertanto ed il giorno nacquero cos e per questo modo, C
(e sono)
il

periodo di quell'uno e sapientissimo

In linguaggio astronomico, nota ancora lo Schiaparelli, 1. e, " i pianeti pi lenti nel loro moto proprio percorrono le eliche del moto diurno con maggior velocit, perch ritardano meno sul corso apparente delle stelle fisse. Da ci chiaro che la velocit e la lentezza qui non si intendono in senso assoluto della celerit con cui i pianeti attraversano lo spazio, ma in relazione al tempo che impiegano a compiere ciascuno il rispettivo suo giro. Il conoscere la verit di questi moti in confronto dell'apparenza riputato principio fondamentale da insegnarsi nell'educazione della giovent in Legg. VII, p. 822 A-C.
loro ritardare.
'"

(1) 'iva o' etn uTpov vapy<; Te upc; <3\\r)Xcc PpabTnTi Kal xxei, Ka x irep x<; ktij cpop; iropeoiTO, k. t. X. Certamente Ka T errato. Lo Stallbaum propose Ka
1' Hermann muta aT, che per il senso giova poco Ka in ibq e spiega: " quibus celeritatis tarditatisque rationibus octo illi orbes inter se continerentur, intendendo t -rrep ecc. come soggetto, il che importa ima ripetizione del tutto superflua. Preferisco la proposta dell' Archer-Hind, ko9' ti, da riferirsi a PpaTirn Ka Tdxei (il Mueller pure traduce mit der con lo stesso riferimento); secondo la qual lezione la menzione delle otto orbite serve a determinare la molteplicit dei rapporti tra i diversi movimenti. Macrobio {in Sonili. Scip. I, 20) riferisce questo luogo: " Plato in Timaeo, cum de octo sphaeris loqueretur, sic ait: Ut autem per ipsos octo circuitus celeritatis et tarditatis certa mensura et sit et noscatur, Deus in ambitu supra terram secundo lumen accendit, quod nunc Solem vo:

camus.

Capitolo XI.

207

moto circolare (1); e il mese quando la luna, avendo compiuto il suo cerchio, raggiunga di nuovo il sole; e l'anno quando il sole abbia compiuto il proprio cerchio. E i periodi degli altri, non badandovi gli uomini, se non pochi tra molti, non hanno dato loro un nome, n ebbero cura di misurarne i rapporti con numeri, di guisa che per cos dire non sanno che anche i giri di questi sono tempo, sebbene ne abbiano bisogno
quantit immensa (2) e siano (essi giri) mirabilmente svariati. Ci non ostante non difficile il riconoscere che il perfetto numero del
di

tempo compie
dosi

l'anno

perfetto

allora

corsi (diversi) di tutti gli otto periodi

quando compieni

insieme

rispettivamente

ritornino

a capo

misurati dal cerchio di ci che ad


e procede

un modo
il

uniformemente
ritorni,

(3).

Cos e per questo

furono generati quanti degli


cielo

astri

errando per

hanno

affinch questo (animale vi-

(1) Notisi: il giorno e la notte, dice, sono formati da quel moto del cielo che uno (axxaroq, p. 36 D) e sempre ad un modo: infatti basterebbe il girare diurno del cielo per fare il giorno e la notte, essendo anche il sole trascinato dal prevalere di questo moto. Ma col solo moto diurno si susseguirebbero giorni e notti tutte uguali senz'altro periodo. Per ci occorre il girar dei pianeti sull'eclittica, e il periodo della luna produce il mese, e quello del sole produce l'anno. (2) ok aaox xpvov vxa toc, toutujv TrXvac, irXriGei luv |ur|Xviu xpwuvaq, TT7roiKiXuva<; eauuaaTilx;. Il Mueller, il Jowett e I'Archer-Hind riferiscono TrXn6a u. a irXdvai;, ma non pu esser dubbio che debbasi riferire a xpvov. (3) Dunque dal moto diurno, che cos l'unit di misura di tutti i movimenti. Macrobio {in Somn. Scip. II, 11, 15) attribuisce a questo grande anno mondiale un periodo di 15.000 anni, e Cicerone, secondo il Dial. de orat. 16 (cfr. Serv. ad Aen. Ili, 284), di 12.954.

2o8
sibile)

//

Timeo.

fosse,

quanto all'imitazione della natura


all'animale

eternale, del tutto simile


intelligibile.

perfetto

XII.

E
del

gi tutte le altre cose fino alla generazione

tempo erano

state

eseguite a somiglianza
vi si
gli

del modello,

ma

in

quanto non
diversit.

comprenanimali, in

devano

(i) dentro generati tutti

Ora anche questo comp improntandolo alla natura dell'esemplare. Come dunque l'intelligenza vede le forme che sono contenute nell'animale che , quali vi si contengono e quante, tali e tante egli pens che anche questo dovesse avere. E sono quattro, una la specie degli Dei
tanto c'era ancora
resto di esso

(mondo)

egli lo

40 celesti, un'altra quella alata e che va per l'aria,

una terza

la

specie acquatica, e pedestre e ter-

restre la quarta (2). Della specie divina pertanto

(1) Kd t jjv fiXXct... ireipTctaro ei<; uoiTn.Ta umep TTeiKeTO, tu) uf)iruj x Travia Zwa vx<; otoO Y^Yevr)uva TrepieiXnqpvai k. t. X. La costruzione a senso

ed axoO non
ouot; sottinteso
(2)

si

riferisce ad tlmep ireucZeTO, ed equivalente a x uv aXXa.

ma

a k-

quattro specie di animali corrispondono dunque acqua e terra. Nonostante che ancora a p. 41 B si torni a proporre la creazione delle diverse specie, effettivamente non si descrive che la creazione della prima, cio quella degli Dei celesti, e pi oltre quella dell' uomo, che appartiene alla quarta, ma non la comprende tutta: il resto della specie pedestre, la volatile e la acquatica, si fanno invece derivare da degenerazione, come anche il sesso femminile, pp. 90 E e segg.
alle quattro specie elementari, fuoco, aria,

Le

Capitolo XII.

209
fosse

il

pi lo fece di
e

fuoco, affinch
bellissima.

splendi-

dissima

vedersi

figurandola

bene e la pose nelche tutti li domina (1), perch lo accompagnasse, e la distribu in giro a tutto il cielo, perch fosse ad esso ornamento verace (2) e vario in tutta la sua estensione. E a ciascuno (di questi astri) attribu due moti, l'uno in s stesso e allo stesso modo (3) in quanto
sull'universo la arrotond
l'intelligenza del cerchio

persevera seco stesso a pensar sempre

lo stesso

(1) Il mondo gi creato ed ha gi la sua anima la quale dal centro si estende fino a tutta la periferia: ora son da creare gli animali singoli, e primi di tutti le intelligenze che devono governare le singole parti dell'universo, e queste intelligenze sono gli Dei minori. Non sono dunque da confondere con l'anima del mondo, e perci non si ha da intendere " li pose per intelligenza del cerchio dominatore, ma " li pose nella in-

telligenza del cerchio, perch lo seguissero, e non gi lo dirigessero. La traduzione del Martin qui del tutto fantastica: " et lui donna une intelligence du bien, qui la fit marcher d'accord avec l'univers entier. N meglio vale quella del Mueller: " und verlieh ihr die

Kenntniss des Besten. (2) kouov XiQivv. Giuoco di parole sul significato di kojxoc,, che vale mondo, ordine e ornamento. (3) Kivnoeic; o irpoafiyev Kaxuj, t^v uv v tcituj xciT TCtT -rrepl tjv citOv dei T aura aurui iavoouuvtu k. t. X. Parla delle stelle fisse e delle intelligenze che le governano in quanto sono intelligenze a s ed intelligenze divine, quindi immutabili, e immutabili innanzi tutto intellettualmente, ciascuna di esse si muove del moto che sempre ad un modo, cio rota intorno al proprio asse: si ripete cio per ciascuna come fosse un piccolo mondo a s, ci che avviene dell'universo; e come l'universo girano ciascuna su s stessa. Ma alla loro volta questi astri sono parti dell' universo, e pi precisamente del cerchio ottavo, il quale tutto pure gira intorno a s. Hanno dunque questi astri un moto di rotazione loro proprio e individuale e uno di traslazione comune a tutta la sfera cui apparten:

2io

// Timeo.

intorno
in

alle

stesse

cose,

l'altro

in

avanti
di
;

(i),

quanto son

tratti tutti

dal girare

ci che

sempre ad un modo

omogeneo

degli altri

cinque moti poi (2) li fece immobili e stanti, affinch ciascuno di loro divenisse ottimo quanto pi era possibile. Da questa cagione pertanto ebbero nascimento quanti tra gli astri sono fissi, animali divini ed eterni, che allo stesso modo e nello stesso luogo volgendosi sempre stanno fermi:
queili poi

che sono tratti in giro (3) e vanno errando conferme s' detto gi prima, a quel modo

gono
allo

rapporto

fissi assolutamente, ma fissi in propria sfera, nella quale restano sempre stesso posto. In questo senso pu dire poco dopo
:

non sono dunque


alla

che questi astri v rctru) OTpeqpueva dei javei. Grammaticalmente pu esser dubbio se fciavoouuvuj regga
e\

Kcrr TCtT... auxuj, o solo irep tuv... auxuj, o solo x coir auTw. Poco pi oltre troviamo uniti in un solo concetto kot tot v tcitiI), perci non li seil

pareremo neppur
juvw solo

qui, e congiungeremo con iavoouresto della frase, come si intende anche

comunemente.
(1)

In avanti relativamente al

moto

sul proprio asse,

anche questo in cerchio intorno all'asse dell'universo. Questo moto non proprio veramente di ciascun astro, ma di tutta la sfera cui gli astri sono infissi, e perci poco pi oltre potr dire che essi son fermi. (2) Cfr. p. 43 B, e la nota a p. 34 A. iropeuueva axe xpo(3) t TpeiTueva, cfr. p. 39 D Trd<;. I pianeti, come s' detto prima, hanno anche un
:

ma

moto

loro proprio di traslazione nella sfera stessa cui appartengono. Non pare invece che si possa dire, come credono i pi, che Platone assegni loro il moto di rotazione intorno al proprio asse. vero che essi pure sono rappresentati come Dei visibili e, secondo alcuni, come simili alle stelle fisse (kot' xeWct yrove), e che il moto qualificato per razionale parrebbe dovesse attribuirsi anche a loro, perch appunto sono esseri razionali; ma, come osserva lo Zeller(o. c, p. 812, n. 3), ci non decisivo; anche la Terra una divinit e, come vedremo tosto, secondo Platone, non ha questo moto.

Capitolo
l (i)

XIt.

21 i

trice nostra,

ebbero origine. La terra finalmente, nuavvolta (2) intorno all'asse che si

(1) Ka6dtTrep
Il

ev

to<; -rrpaGev ppriSr),

kcxt'

xeva ytove.
'

Mueller, mentre osserva che il Lindau e lo Stallbaum non traducono kot' enerva, lo interpreta con nach

Vorbilde jener cio sul modello delle stelle fisse; e in ci ha consenziente lo Zeller (cfr. la nota precedente). N il senso grammaticale, n il senso logico pajono ammettere questa interpretazione: la nostra quella dell' Archer-Hind e del Jowett. (2) TH V , xpoqpv nv i^uerpav, eiXXouvnv k. t. X. Non ostante che ancora il Jowett (III 3 pp. 404-7) creda discutibile se Platone intendesse qui ammettere il moto della terra, pare superfluo indugiarsi molto su questa questione. Vero che la parola eiXXouvnv un po' equivoca, ma poich Platone ammette il moto diurno del cielo delle stelle fisse, come abbiamo veduto a p. 36 C, assolutamente impossibile che egli abbia ammesso anche un moto rotatorio della terra sia intorno al suo asse sia intorno ad un altro centro. Perci dobbiamo assolutamente rigettare come del tutto erronea
'
,

dem

la ripetuta asserzione di
cfr. ibid. 14, 1),
il

Aristotele {De

caelo,

II,

13, 4,

quale confutando, e a torto, l'opinione di coloro che, pur mettendo la terra al centro del mondo, la fanno rivolgersi (XXeaGcti, sceglie proprio tutt'e due le volte la parola platonica e vi aggiunge ko KivetoGai) intorno all'asse che attraversa il mondo, soggiunge, ancora pi a torto, che ci sta scritto nel Timeo wcmep tv Ti(uaiiu T^pcTt" "- Il senso troppo chiaro e troppo sicuro anche per tutto il contesto che segue, ed vano ogni empiastro di sofismi per conciliarlo con Platone
:
"

uno dei tanti svarioni nei quali solito cadere lo Stagirita quando cita e combatte il suo maestro, e disgraziatamente l'autorit di Aristotele ha tratto in errore molti interpreti e li ha fatti consumar tempo ed inchiostro intorno ad una discussione che qui non pu aver luogo affatto. La sola cosa da vedere si come l'errore di Aristotele abbia potuto nascere. E qui abbiamo una testimonianza preziosa in Plut. Quaest. Plat.

vecchio

che dice raccontare Teofrasto come Platone da si pentisse di aver dato fuor di proposito alla ueranXeiv ib<; o irpoaterra il centro dell'universo nKouaav TTovTi xf) yrj t^v uanv x^pav T0U ttcivtc;: il che ripetuto senza il nome di Teofrasto in Num. n, dove aggiunto che Platone riconobbe che il centro si
VIII, 2,
:

212

II

Timeo.

distende attraverso stode

il

mondo,

(Iddio) la fece cu-

ed artefice della notte e del giorno, la prima e la pi veneranda degli Dei quanti son

deve assegnare a qualche cosa che valga di pi della Terra: xauxa b kc TTXxujvd qpaai TrpecfJTnv yevuevov
t*)v

biavevofja9at Trepl Tf\c, yfjc; me v Tpa x^P<? KaGeariboiK, b \xar]v xal xupiujTGiTr|v xpw tiv xpeiiTOvi ixpoaria rinKouaav. L'autorit di Teofrasto ineccepibile, calzarla lo Schiaparelli (/ precursori ecc. pp. 19-20) dimostra come in Legg. VII, pp. 821-22 si accenni al sistema eliocentrico, e pi evidentemente vi si accenni

ma

in Epinoni. p. 987 B, dove pare si neghi esplicitamente il moto del cielo delle stelle fisse: 'va tv crfboov Xp Xyav, 8v uXiot' fiv tic; viu kojuov Trpoacrfopeot, 8<; vavrioc; Keivoic; Euiraai TropeeTCU, &fwv xovc, XXouq, totuuv ebaiv. ai<; ye vGpumoic; cpaivoir' v \i-(a

converr pur parlare dell'ottavo circuito, che buon diritto chiamare il mondo superno, il quale

si

pu a

si

muove

in senso contrario agli altri, e trae seco gli altri nel suo movimento, come sembra agli uomini che poco inten-

dono di queste cose. Sia poi l'Epinomide stata pubblianche interamente redatta, da Filippo d'Opunte, poco aggiunge o toglie all'autorit di esso libro, che
cata, o

sostanzialmente platonico, o del sistema platonico rappresenta la pi immediata evoluzione. Platone adunque nel Timeo e nei dialoghi precedenti, specie nella Repubblica, X, p. 617, segue il sistema geocentrico, lo abbandona nelle Leggi, cio negli ultimissimi anni della sua vita, e Aristotele, che l'aveva avuto maestro in quelli anni, confonde anche qui, come fa altrove, l'insegnamento orale, t ypaepa b-fiiara, con lo scritto, e fraintende ci ch'egli non lesse con la necessaria attenzione,' il che per il Timeo gli accade spesso anche su punti di ben maggiore importanza. Platone del resto, anche quando scrisse il Timeo, doveva conoscere il dogma pitagorico (della scuola, se non del maestro) che ammetteva che tutto l'universo, compresi la terra ed il sole, girasse intorno al fuoco centrale, perch ci era nelle opere di Filolao, che, come si veduto, Platone aveva studiato e cui nel Timeo attinge. Forse questo sistema complicato non lo persuadeva troppo, e perci si attenne dapprima all'antico; torse negli ultimi anni o egli stesso modific e corresse il sistema filolaico, o ader alla teoria del suo grande discepolo Eraclide Pontico, che spiegava

Capitolo XII.

213

generati dentro del cielo.


loro (1), e
alle
al

loro

Quanto poi alle danze accompagnarsi reciproco, e


dei loro

conversioni e

processioni

cerchi

il moto diurno apparente del cielo con un moto diurno della terra. Cfr. Schiaparelli, o. c. e Origine del sist. pian, eliocentr. presso i Greci, in " Mem. del R. Istituto Lomb. di Scienze e Lett. XVIII (1896), pp. 61 sgg.

appunto

' toutcuv axwv Kai -rcapapoXq dXXfiXwv, (1) x^peiat; Kal tTep x<; xuv kkXujv irpc; auxo<; iravaKUKXr|CFi<; Kal TTpoax UJ P loeKi 'v xe xa<; cuvdiyeaiv ttooi xwv 0eujv kot' dXXnXou<; Yiyviuevoi Kai Saot KaxavxiKp, ue8' o'axivd<; xe TriirpoaSev XXn.Xoi<; i'iiuv xe kot xpvouq oaxivaq Vacrxot KaXuirxovxai Kai irdXiv dvarpaiviuevoi qppoui; Kai anuea xuv uex xaOxa yevr]OoiJivu}v xoT<; o uva,

due pianeti sulla stessa longitudine: irapaftoXc; xq Kax nr\KOc, axiv auvxdEeu; x<; auvavaxoX<; \4.yu) ko auYKaxaaen;. Similmente secondo lo stesso autore TravaKUKXnffi<; indicherebbe il ritardo e trpoxiupriOK; (cos egli legge) la precessione di un corpo celeste in rapporto ad un altro. Comunemente per altro qui TravaKiJKXnm<; si interpreta per il ritorno dell'astro allo stesso punto del cerchio, cio il compiersi del giro, e il Trp<; eauxoOi; conforta molto questa interpretazione, ancorch per essa non si chiarisca bene n irpoax'-upnaeK; n TTpoxujpnaeic;. Del resto anche la sintassi impedita: lo Stefano propose cambiare
lo
irep xd<;

luvoic; Xoyiea6ai iruTrouffi, x Xyeiv xujv au xujv |utur|uxujv uxaioq av Proclo irapapoXri la posizione di

fiveu bityeuj<;
etri

xou-

ttvcn;.

Secondo

in

-rrepixxdc;,

che sarebbe per

meno

cancell

Mueller
tanto
il

in TroiKXa<;; I'Ast traccia nella versione del il trept, n ce n' I'Archer-Hind tra Kai e irepi inser un xd, che ;

superfluo;

lo

Stallbaum

mi pare durissimo
Ttepi

si
il

quanto

potrebbe forse meglio cancellare xdq ad ogni modo il senso da


:

questa incertezza non

oiiaxivdc; xe TTTrpoo8ev dXXriXoiq

compromesso. La frase ue0' mi pare doversi inten'

dere come brachilogica ma generica: dietro a quali coprendosi di guisa che ora questo ora quello si trovi davanti '. L'Archer-Hind, che interpreta " quando una data stella passa dietro ad una seconda e davanti una terza, mi pare introduca una determinazione troppo particolare che io non so vedere nel testo. Ottimamente invece egli spiega il xe dopo n.|uv come correlativo al Kai che innanzi a irdXiv, tiene ouaxivaq come inter-

21.).

//

Timeo.
di
tali

in se stessi, e quali

Dei nelle congiun-

zioni reciprocamente

si

avvicinino e quali stiano

in opposizione, e dietro a quali e in quali

taluni di essi a vicenda e ci

tempi nascondano e di nuovo ricomparendo mandino a chi non sappia


si

farne

calcoli

paure e segni di ci che in se-

guito deve accadere,

il

discorrere di queste

cose senza avere sott'occhio un simulacro di esse sarebbe inutile fatica. Sia qui pertanto ci sufficente, e quello che abbiamo detto a questo proposito sulla natura degli Dei visibili
e

generati

abbia qui termine.

XIII.

Degli altri numi poi (i) dire e conoscere la generazione impresa maggiore delle forze nostre,

rogativo

indiretto dopo xpvou; e col Mueller, con FHermaNN inserisce o davanti Par. A, il che accettato anche

(lo

Stallbaum propo-

neva

Schneider e con a uvauvoii; dal cod. dal Jowett: i cattivi auguri che si traggono dall'osservazione degli astri sono pregiudizi dovuti all'ignoranza delle leggi astronomiche: quelli astri si trovano in quelle posizioni per legge matematica, non per dare alcun segno di malaugurio agli uomini. Nell'ultima frase seguo la lezicae dei codici, lasciando gli emendamenti che I'ArcherIIind credette trarre da Proclo.
Tivoli,
lo

Oltre la punta di ironia, che qui evidente, e in alla rigida severit di questo discorso tanto pi notevole, importa osservare come gli Dei della mitologia non abbiano effettivamente in tutto il Timeo alcuna parte, e come perci il ricordarli qui valga piuttosto a far notare la loro inanit anzich a professare un atto di fede religiosa, secondo le credenze comuni, fede che evidentemente a questo punto Platone non
(i)

mezzo

aveva

pi.

Capitolo XIII.

215

e bisogna fidarsi di quelli che ne

hanno parlato

prima,

quali erano discendenti degli Dei,


si

come

affermavano, e dovevano conoscer bene,


i

capisce,

loro progenitori.
ai
figli

E impossibile

pertanto non cre-

sebbene parlino senza E alcuna dimostrazione n sicura n probabile ma


dere
degli Dei,
;

poich

le

riferiscono

come cose

di famiglia, ob-

bedendo alla legge (1), ci convien crederle. Sia pure pertanto la generazione di questi Dei come essi dicono, e (come tale la) si ripeta: dalla Terra e dal Cielo nacquero Teti ed Oceano e da questi Forci e Crono e Rea e quanti con loro,
;

altri

da Crono e da Rea Zeus ed Era e che sappiamo esser detti fratelli

tutti

quelli

41

loro, e poi

ancora altri discendenti di questi. Poich adunque tutti gli Dei, quanti

si

muo-

vono in giro visibilmente e quanti si mostrano in quanto voglian mostrarsi (2), ebbero il nascitutto avea generato Dei (figli) di Dei, dei quali io sono creatore e padre di opere che nate per mezzo mio sono indissolubili per mia volont (3) infatti vero che tutto ci che

mento,

colui

che

questo
:

disse loro

queste parole

(1) Sebbene Platone non paja credere alla religione popolare, egli per intende rispettarla. L'oracolo delfico citato da Socrate (Xen. Mem. IV, 3, 16), a chi domandava come si dovessero onorare gli Dei, soleva rispondere: vjuuj TTXetwc, e ci consuona anche con la massima pitagorica, che pur Proclo cita (p. 62 F) ad altro propo-

sito:
T\\xa.

GavdTouc;
Cfr.

ulv

iTpUTCt

6eou<;,
o

v|uw

><;

idneivrai,

Legg. X,

p.

904 A:

(2) I primi sono gli astri, i Dei della religione popolare.


(3)

xcn vuov vzec, 0eoi. secondi pajono essere gli

|uou yeviueva

eoi Geuv, )v yj nuioupY<; Traxfip re pywv, 8 b\ Xura uoO y' SXovroq Sebbene questo
riferito

luogo sia famoso, e come tale

da parecchi

scrit-

2i6

//

Timeo.

legato pu sciogliersi,

ma

ci che

bene con-

giunto e sta bene, volerlo disciogliere da mal-

tori

Pontano, ha dato luogo a parecchi dubbi: 6eo GeiLv fu interpretato in diversi modi strambi, che puoi vedere in Proclo, e che tedioso ripetere. Merita per altro essere ricordata l'interpretazione dell' ArcherHind, che, confrontando Aesch. Pcrs. 681 (h mora iuotujv, Soph. O. T. 465 appnT' ppnTuuv, O. C. 1237 KCtK kchc&v,
anche
I,

cristiani (insigne ia parafrasi del

Urania,

w. 925-68),

vede

in questa frase indicata la trascendente dignit degli opdvioi Geoi, e crede possibile che Platone tacitamente intendesse segnalarne la maggiore dignit in confronto dei baiuovec, divinit di grado pi basso. Ma di questi altri bm'uove*; nel Timeo non traccia, e ad ogni modo la qualifica somma non spetterebbe a questi Dei creati, ma al creatore. Analogamente intende P. De-

crilique des iraditions rclgieiises ches les " Grecs,p. 215, che spiega les dieux des dieux, c'est--dire les dieux par excellence, in confronto agli Dei della religione popolare. Io non vedo ragione di abbandonare corrente dei vocaboli, e intendo coi pi il significato " Dei figli di Dei. Se non dice " figli di Dio o " figli miei, ci non porta alcuna diversit: era questo il modo di parlar pi comune, e aveva appena ammesso, sia pure un po' ironicamente, l'esistenza degli Dei del mito, i quali effettivamente sarebbero stati figli gli uni degli altri: la frase dunque, oltre essere quella corrente, nulla comprometteva. " Vos qui Deorum satu orti estis, traduce Cicerone, che qui intese a dovere. Nelle parole seguenti, pYwv deve essere inteso come indipendente da iLv (cos anche I'Archer-Hind), una specie di apposizione epcsegetica, nella quale per altro il concetto pro-

charme, La

ceduto ad uno stadio ulteriore epT^v infatti non ripiglia esattamente il senso di il>v, ma considera la creazione sotto un altro punto di vista: wv affermava la discendenza degli Dei minori dal creatore; ?pywv abbraccia tutta la creazione per affermarne le propriet. Grammaticalmente ovvia la ripresa del nome o del pronome dimostrativo: cfr. p. es. Xen. Ah. I, 1, 2: fa ch'itv aaxpunv TToinae. xal GTpaTnjv b axv ubeiSe ttvtujv me k. t. X. Lo Stallbaum interpreta: "quorum opera opificem et parentem habent, del tutto male, non foss'altro perch qui le opere degli Dei inferiori sono ancora di l da venire, e quando verranno non saranno
:

<5\ut(x al

modo

di quelle di cui qui si parla.

Il

Martin

Capitolo XIII.

217

vagio

(1).

Per

la

qual cosa e poich siete nati,

non siete veramente immortali n del tutto indissolubili; ci non pertanto non sarete disciolti, n vi toccher il fato di morte, poich avete per voi la mia volont, che anche maggior le-

game

e pi saldo di quelli dai quali foste legati


ci che vi dico e

quando nasceste. Ora dunque


vi dichiaro, sentite.

Schiatte mortali di tre specie

rimangono ancora da generare, e pertanto, fino non sian generate, il mondo sar incompiuto: non avr infatti in s stesso tutte e pur deve averle, se ha da C le specie d'animali
a che queste
;

essere sufficentemente finito.

Ma

se

scessero e avessero

vita

per mezzo
(2).

queste namio, esse


tutto effet(3)
alla

sarebbero uguali
tivamente,

agli

Dei

Affinch pertanto

siano mortali, e questo Tutto sia

un

accingetevi

secondo natura

e il Jowett congiungono iliv pywv e intendono per o Dei, delle quali opere queste opere gli Dei stessi sono autore, ' cio, che siete opera mia ; il che uno stento. Il Mueller pende incerto tra questa interpretazione e quella dello Stallbaum. L'Acri parafrasa e lo Schneider mantiene l'equivoco. Nell'ultima frase indifferente per il senso leggere (Hermann, Archer-Hind), |uoO ye un 0\ovTO<; con Cicerone e con qualche codice. Badisi che dopo eXovrcx; non va punto fermo;
'
:

un anacoluto.

Platone anche il mondo (oltre ma perenne; cio durer sempre non per virt propria, ma per volere di Dio.
(1)

Perci secondo

questi Dei)
Cfr.

non gi eterno,

Gaye, o. c, p. 211. Questo concetto con poche modificazioni fu accolto dalla teologia cristiana ed espressamente adottato da Dante, Par. VII, 67-69 e passim. Cfr. l'Appendice, 9. (3) KCtr qpaiv. Pu esser dubbio se si deva intendere " secondo la (differente) natura vostra (Mueller,
(2)

Jowett), o " secondo le leggi di natura, cio fiXnovvec, npbc, t iiov (Archer-Hind): la seconda interpretazione peraltro pare tautologica con ci che segue.
Fiia.cca.boziI, II

imeo di Platone.

19

2i8

// Timeo.

fabbricazione
di loro

degli

animali,

mia nel generar voi.


e che

in

imitando l'attivit quanto a quella parte

che merita il nome (i) degli immortali, chiamata divina e dirige in essi (2) ci

che ha sempre la capacit di seguire giustizia e voi, questa seminer io e la provveder per somministrarvela.

Quanto
mortale,

al resto, voi,

all'immortale
gli

intessendo
e

il

apprestate
il

animali e
allevateli,

generateli, e

dando

loro

nutrimento
di

quando

periscono

riceveteli

bel

nuovo

in voi.

vu|ov

9avdT0i<; mivujaov. L'Archer-Hind vede nell'uibuna restrizione della immortalit delle anime, in quanto il loro presente modo di esistere come indi(1)

vidualit transitorio. In ogni caso io crederei prudente limitare la restrizione a questo solo, che non immortale ogni anima, ma solo l'anima razionale; se piuttosto udbv. non si ha da intendere semplicemente come " pa-

reggiata agli Dei,

prendendo

0.

per un semplice sinoci

nimo

di Qeo!<;,

come credo pi probabile anche per

che segue e che pare aggiunto per schiarimento. (2) Geov XeYuevov ^yuovov t' v aToi<; tjv del
kcx

kt)

GeXvTuuv gireaBou. Lo Stallbaum interpreta: " ut divinum appelletur et inter ea teneat principatum, quippe ex numero illorum, qui semper iustitiae atque vobis obtemperare velint: e come questo possa corrispondere al testo greco non giungo affatto ad immaginare. Il Martin invece, il Mueller, il Jowett, I'Archer-Hind intendono nel senso che la parte immortale dell'anima governi coloro che vogliono praticare la giustizia, ed interpretazione plausibile: non affermerei per altro che sia la vera, e ne preferisco un'altra, cio
(av

che l'anima immortale ha la direzione di tutta l'attivit morale dell'uomo, di ci che nell'uomo ha la capacit
risco
di intendere la giustizia e i precetti divini perci rifetOv GeXvTuuv a una parte dell'attivit umana,
:

non a una data categoria di persone. L'anima ha una egemonia sua propria e naturale, non limitata al beneplacito di chi la vuol riconoscere.

Capitolo

XIV.

219

XIV.
Cos disse, e un'altra volta nel cratere medesimo, nel quale aveva mesciuta insieme e commista l'anima dell'universo, vers ci che era

avanzato

da prima

(1),

mescolandolo sotto un

35 A, abbiamo veduto, si narra come Dio il mondo con una mistura di tre sostanze, ed a pag. 36 B detto che quella mistura la consum tutta. Qui dunque non si pu intendere che per crear l'anima umana Dio adoperasse gli avanzi di quella mistura avr dunque, dice I'Archer-Hind, adoperato gli avanzi degli elementi dei quali quella mistura fu composta. Ma questo presuppone che effettivamente a comporre quella mistura Dio abbia adoperato solo una parte degli elementi, mentre le parole di Platone non ci incoraggiano a questa ipotesi, della quale non si vede proprio il perch. Il Gaye invece (o. e, p. 158) propone una spiegazione che mi pare molto pi soddisfacente. Egli ritiene che qui non si tratti di vera e propria creazione, ma di differenziazione, e intende che l'anima del mondo per entrare in una esistenza attuale deva
(1)

A pag.

componesse

differenziarsi in

anime

individuali.

Ora

sta in fatto che,

mistura nel fare l'anima del mondo, com' detto a p. 36 B, la difficolt di trovare che cosa possano essere gli avanzi, di cui qui si tratta, con la creacomincia prima di qui; comincia a p. 40 zione dei 6eo 6eu>v di che si fanno questi Dei? Ebbene, intendendo come vuole il Gaye, gli avanzi non dovrebbero essere pi quelli della mistura originaria n dei suoi elementi, ma gli avanzi della prima differenziazione avvenuta con la creazione degli Dei. Che questa interpretazione sia molto probabile si pu argomentare anche dall' analogia di p. 42 E, dove gli Dei creati, imitando il creatore, prendono a prestito col patto di restituirli gli elementi dal mondo per fare le specie mortali, il che non altro che differenziare, e se ci si fa a imitazione del creatore, segno che egli
se Dio
tutta la

consum

pure procedeva

allo stesso

modo.

220

//

Timeo.

non per altro seconda e di terza qualit. Costituito poi che ebbe il Tutto, divise tante anime quanti astri (i) e le distribu
certo rispetto alla stessa maniera,

pi cos puro e invariabile,

ma

di

Proclo (p. 319 C), per concon ci che soggiunto poco dopo (p. 42 D) sulla seminagione delle anime (airpoc, che dei resto cosa diversa dalla vouri, di cui qui si tratta; cfr. nota a p. 42 D), le quali ivi appajono esser parecchie per ciascun astro, intende crapieuouq per in proporzione, poich l'unit proporzionata alla decina come la trinit alla trentina: ko yp v xot<; dpiGjuoic; vXoyov
(i) aapi6uou<; to!<; fiarpoi^.

ciliare

questo

xr) uv uovdi ri exdq, tt) xpidi f) TpiaKOvxdc. L' interpretazione ingegnosa, ma un po' cervellotica oltre di ci non necessaria, perch a p. 42 D, come ho accennato, si tratta d' un'altra cosa. Perci lo Zeller (o. e, p. 819) non trova difficolt a ritenere che icrapiS;

uouc; to<; OTpoxe,

dividuale

per

ciascun

significhi precisamente un'anima inastro; il che pare richiedersi

anche da ci che segue immediatamente, eveiu 0' xdornv itpc, gnaa-rov. E non si sempre ritenuto che il numero delle stelle sia innumerevole ? Ad ogni modo poich una stella per ciascun'anima pare uno spreco, si sono pensate anche altre spiegazioni. L'Archer-Hind, e non fu il primo, intende che il n,uioupY<; abbia diviso la rimasta mistura in tante parti assegnandone una a ciascuna stella. Queste parti non sarebbero ancora anime particolari, n aggregati di anime, e nemmeno le anime dei singoli astri, ma semplici divisioni della totale quantit di anima che non ancora stata differenziata in anime particolari. Questa differenziazione sarebbe la yveatc, di cui si parla subito dopo. Ammettendo ci, la conoscenza delle idee (Tf)v toO iravTi; qpffiv eiEe) sarebbe stata acquisita dall'anima prima della sua differenziazione, quando essa non esisteva ancora come anima particolare, e in questo si dovrebbe notare un'evoluzione, o meglio un' ulteriore
determinazione, della teoria deH'vduvnaic; del Fedone e del Fedro. Senonch il Gaye (o. c, pp. 213 sgg.) osserva in contrario che le espressioni usate da Platone sembrano veramente indicare anime individuali o perch, se voleva intendere altrimenti, non si spiegato? Aggiunge che ad ogni modo la differenziazione
:

finale in

anime individuali dovrebbe sempre

attribuirsi

Capitolo

XIV.
tal

221

ciascuna a ciascuno, e collocatele per come sopra di un veicolo, mostr loro

modo
natura

la

che dell'universo, e le leggi fatali disse loro, sarebbe una sola stala prima generazione (i)
bilita

per

tutti,

acci

nessuno

fosse

svantag-

giato

da

lui,

e che converrebbe che esse anime,

disseminate in ciascun organo del tempo a ciascuna opportuno (2), generassero il pi religioso

al nuioupYi;,

non apparendo essa

in alcun

modo

de-

legata

6ewv, i quali, essendo finiti, non possono causare pluralizzazioni, ma solo influire sul corso delle esistenze gi pluralizzate. Si attiene perci all' interpretazione piana della lettera. Checch sia di ci, questo giova notare, che la incarnazione delle anime
ai 6eol

secondo il Timeo dunque effetto di una legge ; il che molto diverso dal mito del Fedro (pp. 246 sgg., dove la incarnazione effetto di una colpa.
la congiun(1) Intendi per questa generazione, non zione con gli astri, come vorrebbe lo Stallbaum, ma l'incarnazione nel corpo umano. Tutte le anime si incarnano per la prima volta nel corpo di un uomo maschio, appunto perch devono esser trattate tutte ugualmente: poco pi oltre (p. 42 B) troviamo che le anime che hanno peccato, nella euxpa YveaK si incarnano in corpo di femmina: se tale pertanto la seconda generazione, la prima non pu essere che quella che si

detto.

amarci

eie, t TtpoariKOvra xdffTOK; pTava xpvwv cpOvai ukjuv t QeoaepaTCXTOv. Cicerone con " certis temporum intervallis e Calcidio con " certis temporum vicibus pare leggessero m xpvuuv, ma poich di tale concetto non si vede alcuna ragione, il parallelismo con p. 42 D ci assicura

axc; (2) fcoi hi oitctpeiacK;

esser preferibile la lezione nostra, quand'anche non si voglia mutare con I'Archer-Hind xpvuuv in xpvou per avere l'identit col citato luogo. Lo Stallbaum proponeva di inserire un uex avanti a a-napeiaac,, e il Mueller e I'Archer-Hind gli danno addosso come avesse pro-

posto una cosa inutile


testo lo fanno: cpOvai
cattivo,
il

ma

non mi par

credo che l'emendamento sia cos piano e liscio come intransitivo, e se il soggetto suo
:

io

222
42 degli animali,
e

// Timeo.

che, doppia

essendo

la

natura
il

umana

(1),

il

sesso migliore fosse quello

quale

poi chiamerebbesi virile.

E come

poi fossero di

necessit piantate nei corpi, e parte accedesse (2) parte si perdesse del corpo loro, (disse) innanzi
tutto esser necessario

che da queste violenti imin tutte connaturato, e

pressioni nascesse

un senso

quindi amore misto di piacere e di dolore, ed oltre


di

sioni

questo paura e iracondia e quante altre pastengon lor dietro, e quante viceversa son di
le quali

natura a loro contrarie:

se esse riuscissero
colui che vivesse

a soggiogare, vivrebbero nella giustizia, se ne fos-

sero soggiogate, nell'iniquit.

onestamente

il

tempo che

gli

assegnato, ritor-

nato di nuovo all'abitazione dell'astro suo affine, godrebbe con esso la solita (3) vita beata: ma chi a ci venisse meno, nella seconda gene-

possa comodamente spiesi ha da emendare, mi limiterei a mutar qpOvai in qpoai, e secondo questo senso ho tradotto. Per le altre questioni cfr. nota a p. 42 D. Nel definir poi l'uomo per l'animale pi religioso (cfr. Legg. X, p. 902 B) si palesa la differenza sostanziale tra la concezione platonica e l'aristotelica, che
r 9eoc, non
si

vede come

si

gare OTTapefoa?

ard<;.

Ad

ogni modo, se

lo definisce

l'animale politico.
X.

(1) &iTrXfj<; b ovoy}c, k. t.

Cfr.
le
irl

dove

si

dice che la

donna ha
inferiore,

de Rep. V, p. 455 E, stesse attitudini delTrficfi

l'uomo,'

ma

ih

grado

hi oQevarepov

yvvt) vbpc,irpoaioi k. t. X. Della nutrizione e del dei corpi, e delle sensazioni e delle loro conseguenze tutte parler anche pi oltre, p. es. p. 43 C, pp. 64 D-65 e p. 69 C-D.
(2) kcx

t uv

consumo

" congenial traducono il Jowett e I'Ar(3) auvr^en, cher-Hind. Intendi la vita a cui l'anima era abituata prima di incarnarsi, essendo lass la sua vera patria, e la terra per lei un esilio.

Capitolo

XIV.

223

e se

si tramuterebbe in natura di donna (1); neanche allora desistesse dal male, conforme al genere della sua perversit, si trasmuterebbe di volta in volta, a somiglianza appunto del carattere che in lui si produca (2), in qualche cotale natura ferina, e continuando di mutazione

razione

(1) Su di ci ritorna a pp. 90 E sgg. Nel margine di qualche codice ed in qualche antica edizione seguivano qui queste altre parole: xi^ 0(J tui xei ucpxepcn qpiKvo|uevai n KXnpujaiv Kal ai'peaiv toO euxpou fUou cupouvxai 8v v eXr) piov Kaxn. ev6a Kal eie enpiou piov av0p(juirivr) iyux^ quKvexcu. Le quali parole tratte dal Fedro p. 249 B, col loro cambiamento del soggetto in femminile (vux^l), mentre qui, prima e dopo, tutto il contesto lo ha maschile, dimostrano ad evidenza che non sono altro che l' intrusione di una glossa marginale.

(in " Boll, di filol. class. Vili, 6, pagine 131-35) sospetta siano state introdotte a colmare una lacuna, e che nel luogo perduto si accennasse forse anche al ritorno dell'anima alla sua antica personalit, ma non mi persuade. Le difficolt gravi invece e logicamente insormontabili di questo luogo sono ben altre. Come potevano essere gli uomini, se contemporaneamente non erano anche le donne? E d'altra parte, se le donne e gli animali non sono che degenerazioni e corruzioni dell'uomo, come si concilia questo con ci che dice a pp. 39 Ee a p. 41 B, dove gli animali sono specie a parte, 40 la cui creazione dal rjuioupxq delegata ai 0eol 0eii>v? La degenerazione pu esser creazione? Il Gaye (o. c, pp. 163-64) parla anche qui di consecuzione logica e non cronologica, ma poich ci che qui si descrive il pro-

Carlo Giambelli

dotto della fveoxc,, anzi quello della seconda Y^vectc;, siamo effettivamente nel mondo del divenire e del fenomeno, del quale propria la successione nel tempo. Aggiungasi che la degenerazione rappresentata come effetto di una colpa, e che l'interpretazione simbolica distruggerebbe tutto l'elemento morale della teoria. Del resto, poich non questa la sola irrazionalit del Timeo, n forse la pi grossa, contentiamoci di dire che Platone, preoccupato di affermare l'unit della vita nel mondo, o non si accorse o trascur queste incongruenze
del suo mito.
(2) Cfr.

Phaedo,

p. 81 E.

224
in

Timeo.

mutazione non cesserebbe mai dai travagli secondando (i) la rivoluzione di ci che ha in s stesso di sempre identico ed uguale, e per mezzo della ragione superando la molta illuvie che anche poi gli si era appiccicata e dal fuoco e dall'acqua e dall'aria e dalla terra, roba tumultuaria e irrazionale, giunger al tipo della
fintanto che,

primitiva ed ottima costituzione.

Tutte queste leggi avendo egli ad essi promulgate (2), affinch egli fosse della malvagit

TCtToO Kdl uoiou uepiw Tri v aTw EuMolti codd. hanno invece uveTtianujp.evo(;, tenuto dall'HERMANN, e la scelta pu esser dubbia. Ad ogni modo, poich la forza che deve muovere nell'anima stessa, v auxu), pare forse preferibile dire
(1) irplv Tfj veTTiaTi|uevoc'.

che uno la segua anzich ne sia trascinato, il che sarebbe pi proprio di una forza esteriore. Platone in
dialoghi ammette la totale e irremissibile perdizione dell'anima, ancorch solo in casi eccezionali per pochi veramente viaroi: veggasi in proposito il mito di Er nella chiusa della Repubblica. Come per altro uno possa redimersi, poich sia degenerato gi gi per tutta la scala animale, qui non detto (cfr. invece Fedro, pp. 248E-249); n detto come uno diventando bestia conservi l'anima razionale, che Platone presuppone non soggetta a morte n a distruzione. Calcidio {Conmi. 198) crede perci che il peccatore diventi non gi lupo, leone, ecc., ma " ad feritatem leonis ... ad proximam luporum naturae similitudinem pervenire; questa per altro non che una fantasia. Il citato mito di Er pu in qualche maniera sopperire, e- contentiamoci della favola quando la ragione incapace di soddisfarci.
altri
,,

(2)

Dopo che

il

riuioupYi;

ha spiegato

alle

anime

le

leggi della natura e ha detto come proceder alla loro Yveaiq, cio alla loro incarnazione, eseguisce ci che ha promesso e le distribuisce tra i pianeti, pronte per ricevere coi corpi anche la loro parte mortale. Non pu esser dubbio che le parole cnreipe to<; uv k. t. X. richiamino e ripetano la sostanza e la forma di p. 41 E boi hi cmapeiacu; axdq k. t. X. L si preannunzia ci che qui si eseguisce, e le anime di cui qui si parla sono

Capitolo

XIV.

225

futura di ciascuno innocente,


loro sulla terra,
altri

semin alcuni
altri

di

nella luna,

negli

altri,

quanti sono, organi del tempo.

E dopo

di tale

seminagione commise agli Dei nuovi che plasmassero i corpi mortali, e che tutto il resto, quanto v'era per anco dell'anima umana che conveniva d'aggiungere, questo e quanto a questo

consegue procurando, signoreggiassero e come per loro si poteva nel modo migliore e pi bello

quelle stesse a cui l Dio parlava. Ma l Dio parlava anime che erano gi state distribuite tra gli astri vei|u 9' Kda-rnv Trp<; xcia-rov), e prometteva (p. 41 loro una nuova distribuzione negli organi del tempo la nuova distribuzione qui avviene, e ci toglie ogni dubbio che si volesse opporre sul testo di quella promessa le distribuzioni inevitabilmente sono due, o per meglio dire una voun (p. 41 D) e uno OTrpoq (pp. 41 E e 42 D). Fra gli organi del tempo sui quali avviene questa ulteriore e definitiva seminagione espressamente nominata la terra, e ci non fa difficolt alcuna; le anime vengono in terra quando si incarnano nei corpi; ma oltre la terra si nominano espressamente la luna e gli altri organi del tempo, e questi non possono essere che o i pianeti o le stelle: ammetteva dunque Platone che anche questi fossero abitati ? Pare evidente che s, e abitati pure dal genere umano secondo pp. 41 E42 A. Questo concetto per altro non ha n svolgimento n seguito nel resto del dialogo, ed effettivamente era pi ardito assai per Platone di quello che possa essere per noi: ritenendo infatti Platone la terra immobile e gli astri invece in movimento, le condizioni di vita dovevano presupporsi anche sostanzialmente differenti tra questa e quelli. Dagli organi del tempo, come ho detto, non possono escludersi assolutamente parlando le stelle dette fisse, poich il moto apparente del cielo stellato anzi la norma ed il canone al quale si ragguagliano gli altri movimenti; ad ogni modo ritengo abbiano ragione quelli che intendono che qui si alluda solo ai pianeti (come nella prima voun alle stelle fisse), poich ai pianeti si riferisce Platone principalmente ove parla della generazione del tempo, specie a p. 39 C-D.
alle

226

//

Timeo.

continuassero a governare l'animale mortale, in

quanto non fosse


di

egli stesso

a s stesso cagione

guai.

XV.

tutte

insieme queste cose


(i),

ordinava, rimaneva

nel suo proprio stato;


i

mentre egli le conforme alla natura sua, e rimanendo egli (cos),


del

figli,

che

intesero l'ordinamento
e,

padre,

obbedivano ad esso,

preso

il

principio
il

immorpatto

tale dell'animale mortale,

imitando

loro creacol

tore toglievano a prestito dal

mondo,

di restituirle (2) poi, delle particelle di

fuoco e
in-

43 di terra e di

acqua e

di aria, e le cose tolte le

conglutinavano insieme, non con quei legami


dissolubili coi quali essi

erano

stretti,

ma

connet-

tendole con spessi chiovi per


invisibili, e fatto di tutte nei
le

la loro

piccolezza

corpi singoli un tutto,

circolazioni

dell'anima

che immortale

le-

ti)

Si richiama

al

concetto

razionale di Dio: Dio

sempre ad un modo, e perci quanto detto fin qui del suo adoperarsi va inteso figuratamente. Anche il
voriaavxec;,
di concetti:

che segue dopo, insiste sullo stesso ordine i comandi di Dio si percepiscono con l'incoi sensi.

telligenza,
(2)

non

imprestito per formare il ma sempre diviene, e perci, come ogni prestito, bisogna restituirla: quindi la necessit della morte. Ed questa un'altra conferma che anche nel mondo materiale, come nel morale, non ci pu essere variazione di quantit, e che la somma delle cose rimane sempre la stessa.

La materia presa ad

corpo

umano, che non mai,

Capitolo

XV.

227

gavano nel corpo che patisce influssi e deflussi (1). Ed esse, impigliate (come) in un fiume ingrossato, n si lasciavano soverchiare n lo soverchiavano,
e a forza erano trascinate e trascinavano; cos

che tutto l'animale mente, dove


si

si

moveva,
tutti e

ma
sei
i

disordinata-

imbattesse a procedere, e irra-

zionalmente, possedendo

movimenti

che e avanti e indietro procedeva, e ancora a destra e a sinistra, e in su e in gi, e da per


tutto errando (2)
fatti,

secondo i sei detti modi. Inancorch fosse grande il flutto affluente e defluente onde proveniva la nutrizione, anche maggior turbamento produceva ci che ciascuno pativa dagli accidenti esteriori, quando il corpo C di qualcuno s'imbattesse ad urtare in un fuoco non
suo, o fosse colto dalla solidit della terra, o dalla lubricit umida dell'acqua, o dalla procella dei venti
trasportati dall'aria, e
i

da tutte queste cose sospinti movimenti attraverso al corpo andassero a cadere sull'anima (3): i quali movimenti anche in seguito per questo (4) si chiamarono e anche ora tutti
e deflussi del corpo, che teoria 42 A. L'anima umana poi analoga all'anima del mondo, e perci si parla delle sue circola(1)

Sugli influssi

eraclitea, cfr. p.
zioni.
(2) Ka TTdvxr)

Kax

che

si

riferisce

Tr\avd)ueva ?
il

to<; li tttouc; TrXavdbueva irpoi^eiv. Non c' che Zxpov, che

l'ultimo al plurale

nome; ancorch sia un po' duro


:

ma

passaggio dal singolare di questi costrutti a

senso Platone ribocca solo emendamento possibile, se si volesse emendare, .sarebbe uXaviJb|Uvov, ma non mi pare consigliabile. (3) Cfr. p. 64 A sgg. Platone ebbe in mente una falsa (4) Perch? Forse etimologia di aa9nai<;. Proclo, p. 131, proponeva l'omeTTOTTvw (//. XVI, 468, XX, 403), che ha rico iaQvj poco che fare: meglio il Martin pens ad iaaw, che suggerito anche dalle parole che seguono.

228

II

Timeo.

insieme

chiamano sensazioni. E infatti subito anche allora producendo queste (i) moltissimo e grandissimo movimento, e insieme con quel
si

fiume, (che s' detto) che scorre incessantemente,

movendo

e scotendo violentemente le circolazioni

dell'anima, quella dell'identit del tutto incepparono, scorrendo in senso contrario ad essa, e la im-

pedirono di governare e di andare, e quella delV altra specie perturbarono, cos chele tre distanze

doppio e rispettivamente le tre del triplo e i legami dell'uno e mezzo, uno e un terzo, e uno e un ottavo (2), poich non erano interamente solubili se non dal loro legatore li contorsero in tutti i contorcimenti, e causarono
del
gli intervalli e
,

E ogni sorta di fratture e di guasti dei cerchi in tutti i modi ch'eran possibili. Per tal guisa esse circolazioni,

trattenute
bens,

a stento
si

insieme tra loro,

si

moveano

ma

moveano

irrazionalmente,

talora di contro, talora di traverso, talora supine, come quando uno, voltato di sotto in su, puntel-

lando

la testa

contro

la terra e

in aria, si stia dinanzi a

buttando i piedi qualcuno (3), che allora,

v tu) TtapvTi uXela-rnv Kal ueyi(1) xa kccI TTe a-rnv irapex nevai xivriaiv- Il soggetto che concorda con napexnevai aatnaen;, le quali aaOriffeic; non sono altro

che le Kivnoei*;. I movimenti producono le sensazioni, e le sensazioni perci non sono altro che movimenti:
l'espressione ad ogni modo imprecisa e trascurata. umana ar(2) Cfr. p. 35 C e le nostre note. L'anima monizzata analogamente all'anima del mondo. ttck; fivuu trpoapaXubv "xn irp^ tivi. Lo (3) to<; Schneider traduce: " sursum versos alicubi applicatos habeat; il Mueller: " und die Fusse nach irgend einer Richtung emporreckt"; e I'Acri del pari " e gittando in su i piedi e appoggiandoli ad alcuna cosa. Simil:

mente
no
i

il

piedi

Jowett e I'Archer-Hind. Ma che appoggino non importa; ci che importa notare l'in-

Capitolo

XV.
lo

229

in questa
le parti

condizione e di chi sta e di chi


le

vede,

destre appariscono sinistre e

sinistre

destre reciprocamente.
e d'altro di simile
le

Or quando
circolazioni

di ci

appunto

siano passive

di

fortemente, qualora accada che in qualche cosa 44 fuori s'imbattano che appartenga al genere
al

identico o

diverso

(1), allora,

chiamando questo

identico a qualche cosa, quello diverso da qualche

cosa (2), tutto al contrario del vero, diventano bugiarde e insensate, e nessuna di esse v' pi

che regga e governi. Che se poi delle sensazioni dal di fuori sospinte sopraggiungano e trascinino con s anche tutto l' invoglio dell'anima allora le circolazioni (3), mentre servono, si credono di
,

versione della destra e della sinistra in rapporto a chi nella posizione normale: irp<; rivi dunque va riferito a persona. Calcidio (Comm. 210) intese rettamente, e cos pure il Martin.
ivi l'anima del p. 37 corrotta giudica rettamente, qui l'anima dell'uomo traviata giudica erroneamente; il procedimento per altro identico qui e l. (2) Cio si perde allora l'attitudine alla dialettica, la quale consiste nel formulare rettamente un giudizio di t Kax Yvn identit o di diversit: cfr. Soph. p. 253 D iaipeaOai Kai uiVre tcxtv do<; gxepov -^r\aaaBa\ uriT 'repov v tcitv uwv o tj<; uxAeKTiKfj<; cpfi<JO|nev iria-rifiun<; etvcu; " il distinguere secondo le specie e non ritenere diversa una specie (che sia la) stessa, n la stessa una diversa, forse che non lo diremo esser proprio della scienza dialettica ? (3) t6' ciOtoi KpctTOOuevai xparev boKoOffiv. Che cosa aOrai? Poich il nome pi vicino aa0r)aei<;, lo Stallbaum lo riferisce a questo, e intende che le sensa(1)
:

Questo luogo parallelo a

mondo non

zioni,

mentre sono soggiogate, pajono invece dominare.

In questo senso lo intende anche Proclo (p. 345 E). E sta bene, evidentemente, perch si possa parlare

ma

di

questa illusione, bisogna


si

che

il

vincere e l'esser

vinto

riferiscano

allo

stesso fatto e alle stesse per20

Fraccaroli, Il Timeo di Platone.

230

//

Timeo.

appunto per tutti questi accidenti anche adesso come fin da prinB cipio l'anima diventa insipiente appena che sia legata in un corpo mortale: ma quando la cordominare.
di cui

patisce,

rente della crescita e della nutrizione

incomba
i

di

mano

in

mano

pi tenue, e di nuovo

circuiti,

ottenuta la calma, procedano per

la loro

via e

diventino col proceder del

tempo pi

regolari,

allora le orbite gi cori-ette giusta la disposizione

sone: se la sensazione soggioga la ragione, ci resta sempre vero, e non illusorio, ancorch alla sua volta essa sia soggiogata da altre potenze che del resto, all'infuori di Dio, tutte le cose di questo mondo, e non le sensazioni soltanto, sono in questa medesima condizione di dipendenza. Ma se si dovesse intendere che le sensazioni in questo caso sono soggiogate da quella potenza stessa che credono di soggiogare, allora la conclusione sarebbe precisamente l'opposta di quella a cui Platone vuol venire: che le sensazioni siano soggiogate dalla ragione cosa desiderabile, e qui, dove evidentemente si vuol notare il caso pi grave e disperato, si indicherebbe invece un avvenimento desiderabile e salutare. Perci gli interpreti pi recenti riferiscono auTdi molto ragionevolmente al soggetto principale, che irepicpopai. " En effet, " nota il Martin " aprs avoir donne entendre, par la (II, p. 155), premire phrase, que l' effet le plus ordinaire des sensations et des apptits de l'me femelle, comme il la nomme plus loin, est de distraire l'intelligence et d'en troubler toutes les fonctions, il donne entendre, dans la seconde phrase, que quelquefois une passion sensuelle trs nergique, au lieu de distraire l'me, s'em;

pare

d'elle tout entire, en exalte les facults intellectuelles et les applique avec succs au but qu' elle poursuit. Alors l'intelligence semble triomphante. C'est une fausse apparence. Elle est une esclave habile; mais
elle ne travaille pas pour elleuse ses forces au service de la passion qui la domine. Allo stesso modo intendeva Calcidio quando traduceva: " tunc Illa (anima), subjugata et serviens, pontificium aliquod potestatemque retinere falso puelle est

une esclave

mme;

elle

tatur.

,,

Capitolo

XVI.

231

dei cerchi singoli che


tura,

si

muovono secondo
i

na-

sanno

attribuire rettamente

nomi

di di-

verso e di identico, e riescono a far diventare chi pertanto assennato chi le possieda (1).

venga in ajuto, C maggior malattia, diventa integro e sano del tutto ma se non se ne d alcun pensiero, percorrendo a pie zoppo il cammino della vita, senza aver nulla compiuto n guadagnato (2) ritorna all'Ade. Questo per altro avviene da ultimo quando che sia mentre ora intorno alle cose che ci sono proposte conviene
anche una
retta disciplina di vita
costui, evitando la
; ;

esaminare pi accuratamente. E innanzi tutto (3) intorno alla produzione dei corpi membro per membro e intorno all'anima, per quali cause e
provvidenze degli Dei furono generati, attenendoci a ci che pi probabile e con tal guida procedendo, accingiamoci ad indagare (4).

XVI.

verso, che

Pertanto imitando (gli Dei) la figura dell'unirotonda, i circoli divini, due che

l'anima (1) Dunque, secondo Platone, il fanciullo ha impedita, ma per s stessa non da meno di quella dell'uomo maturo, e il progresso consiste nella liberazione
dagli impedimenti, non in un incremento positivo. come pi omo(2) vvnxoi;. Preferisco questa lezione, genea con xeXry;, all'altra vnroc; ugualmente accreditata.
(3)

r
e

posto

irp totwv appunto ci che ora prova innanzi alle questioni escatologiche, che

uOTepct TTore yiTvTai. commento di Proclo. (4) Qui finisce il

232

II

Timeo.

sono,

li collegarono in un corpo sferico, quello che ora chiamiamo testa, il quale delle cose che sono in noi ed la pi divina e tutte le domina. Al quale anche tutto il corpo concedettero in suo servigio,

poich l'ebbero messo insieme


ch'esso doveva
esser

gli

Dei, sapendo
tutti
i

partecipe di

moti

quanti fossero per essere. Pertanto affinch rotolando (il capo) sulla terra, la quale ha alture e

E profondit d'ogni
superar
le

sorta,

non

fosse impedito nel

une

e nell'uscir dalle altre, gli diedero

questo

veicolo e agevolamento. Perci appunto il corpo ebbe una lunghezza e germogli quattro membra che si possono stendere e piegare, procacciandogli il Dio questi stru-

come

menti (i), coi quali afferrando e sui quali appoggiandosi divent capace di andare per ogni 45 luogo portando di sopra di noi il tabernacolo di ci che v' di pi divino e pi sacro. Gambe dunque e mani in tal modo e per questa cagione germogliarono in tutti; e poich il dinanzi gli Dei ritennero pi degno d'onore e d'impero
che non il di dietro, in questa direzione ci diedero il modo pi frequente di camminare. Conveniva altres che il davanti dei corpo l'uomo e perci dapl'avesse ben distinto e diverso
;

prima intorno

al

vaso della testa, dopo avervi

(i) QeoO jirixavriaauvou iropeta. S'intende il Dio infela lezione rropeiav di alriore delegato dal Dio padre cuni buoni manoscritti, accettata dall'HERMANN, dall' Archer-Hind e dal Jowett, la credo dovuta a confusione col TTopeiat; che cinque righe dopo; infatti non conviene all' uso delle mani. Poco pi sotto dnrepeibuevov vale appoggiandosi, e indica l'azione delle gambe, non
:

gi

"

duce

il

repousser les objets, Martin.

come erroneamente

tra-

Capitolo

XVI.

233

la faccia, a questa colopportuni ad ogni provlegarono degli organi

da questa parte applicata

vedimento dell'anima, e partecipe del governo B


disposero che
vanti
(1).

fosse ci

che per natura da-

che carono nel seguente modo. Di quella parte del fuoco che non ha la propriet di bruciare, ma si di darci la mite luce propria del giorno (2),

di tali organi innanzi tutto costruirono quelli apportano la luce, gli occhi, e glieli appli-

ingegnarono di fare un corpo. Infatti quel fuoco genuino che dentro di noi germano di
si

questo lo

fecero

attraverso

agli

occhi

scorrer

cpuaiv TtpaGev

bierdHavTO uToxov %euovia<; toOt elvai t Kax cos Stallbaum e Martin. Invece hanno Schneider, Hermann, ArcherkciI ixaEav t ueTxov Hind, da codici diversi. Per il senso indifferente, purch si intenda sempre che ci che per natura davanti debba avere il governo, e non gi che ci che governa sia per natura la parte che davanti purch insomma non si separi il Kax qpaiv dal t upaGev, come
(1) kci
:

pajono fare I'Archer-Hind ed il Jowett. uv Kaietv ok tax e T b. irap(2) toO -nupc; Saov t Xeiv cpO<; fiuepov, okTov eterni; i^upcu;, atua ^nxavnaavTO Yifveo9ai. Fra f}uepov ed %pa<; c' un giuoco di parole intraducibile e del resto inutile. L'inciso ok. ex. f)U. era inteso comunemente come apposizione esplicativa di qpujc; njiepov, e per tale credo ancora doversi intendere. Vero che il Madvig, citato dall' ArcherHind, levando la virgola dopo f^pac, e congiungendo senso ok. k. i*|u. atua, credette aver trovato il vero di questo luogo, come trov l'approvazione e_ dell' Ar

cher-Hind stesso e del Jowett. Ma io cos ci capisco anche meno come il corpo proprio di ciascun giorno possa intendersi per la luce del giorno, io non so ve:

non

dere; e d'altra parte, poich il <pw<; f^iuepov c'era gi, si vede che cosa di diverso potrebbe essere quest'altra cosa. Qui non si tratta di creare la luce, ma di spiegare come avviene il fenomeno della visione: la luce gi data.

234
liscio e

Timeo.

condensato, constipando tutto l'occhio, (i), cos che avesse a trattenere tutto l'altro (fuoco), quanto era troppo crasso, e lasciasse filtrar puro questo solo. Quando pertanto vi sia luce diurna intorno a questa corrente della vista, allora, abbattendosi simile con simile e congiungendosi insieme se ne costituisce un corpo solo di

ma

pi la parte mediana di esso

natura

conforme

(2)

giusta

la

direzione degli

(1)

fiv

yp vrq ^uuv
tlv
:

...

irOp

...

iroirjaccv
(Liv,

(u|aaTUJv

frtv

Xeov, Kal ttukvv

Xov

ol twv (idXiOTa t

juaov EuiainXviffavTec;

jLijaTujv.

Cos interpunge lo

Stallbaum, che spiega " et totum quidem jusserunt promanare densum, ita tamen ut maxime mediani oculorum partem compingerent. Similmente il Martin: " ils firent en sorte que ce feu format travers les yeux un courant compose tout entier de parties fines et presses. E cos I'Acri, e I'Hermann similmente. Levisi invece la virgola dopo Xetov e dopo |av, e si ponga dopo ttukvv, e intendasi Xov uv t uua tuumXriaavtec;,

ludXiaTa b t uaov aToO.

Su

tale interpretazione

(Mueller, Schneider, Archer-Hind, Jowett) non pu cadere alcun dubbio. (2) v auJua oKeiw0v IvvaTX] KCtT Tnv twv uu(Stu)v euwpiav. Badisi a non congiungere oixeiujSv con kot t. t. . 00., le quali parole vanno con tuvoir]. Ottimamente per questo rispetto il Martin: " qu'en s'identifiant ils forment un corps unique sebbene en s'identifiant dica troppo pi che non oKeiiuOv: r'identificarsi renderebbe l'oggetto invisibile, secondo ci che dice a p. 6/ D: basta dunque conformarsi, o proporzionarsi. Secondo Platone dunque (cfr. anche Sofista, p. 266 C) il fenomeno della vista si spiega col congiungersi del fuoco visivo, che esce dall'occhio, con la luce o fuoco esteriore, che irradia dagli oggetti visibili questi due fuochi congiunti formano una specie di corpo nella direzione della visuale, il qual corpo per la parte del fuoco esteriore in comunicazione con l'oggetto esterno, e per la parte del fuoco interiore in comunicazione con l'anima. Questa ipotesi ha qualche analogia con quella delle itoppoai di Empedocle citata nel Menone p. 76 C-D: oti Y&p xpa iroppoi'i axnnTcuv tyei auiueTpoc; Kal al;
:

Capitolo

XVI.

235

occhi in quel punto dove quello che sopraggiunge dal di dentro s'urta con quello che gli cozza incontro dal di fuori. Ebbene, per questa conformit divenendo tutto questo in conforme disposizione, qualsiasi cosa esso tocchi o qualsiasi altra lui, i moti loro diffondendo per tutto quanto il corpo fino all'anima (1), produce questa sensazione, per la quale appunto diciamo di vedere. Ma quando alla notte il fuoco gemello se ne va, (l'altro) rimane intercluso; perocch uscendo verso ci che diverso, si cangia esso stesso e si spegne, non essendo pi connaturato all'aria vicina, in quanto questa priva di fuoco. Cessa pertanto dal vedere e diventa per di pi conciliatore

sonno. Perocch quella salvaguardia Dei apparecchiarono per la vista, le palpebre, quando si chiudono, chiudono dentro la E potenza del fuoco, ed essa (2) discioglie ed appiana gli interni movimenti, appianati i quali si ha la tranquillit: e quando la tranquillit molta, allora ci coglie il sonno dai sogni leggeri; ma se rimangono alcuni movimenti un po' forti, secondo essi sono e secondo i luoghi ove sono rimasti, al- 46 frettali e tanti fantasmi producono a lor somiglianza di dentro, che di fuori poi quando siamo svegliati ci ritornano alla memoria (3). E cos quanto alle
del

che

gli

a9r|T<;,

cio

porzionata
vista cfr.

colore emanazione delle forme proe sensibile'. Per la teoria della anche pp. 64 D, 67 C sgg.
'
:

il

alla vista

(1) Cfr. p.
(2) 1*1 Tiliv

l'i

43 C. iexxet re k. t- \. Lo Stallbaum nota: int. pXecpdpuiv <pai<;, ' e insiste su questa interpretaintendi

zione

evidentemente sbagliata;

invece

1)

toO

irupq va,ui<;, come fanno gli altri. (3) touxOtoi koI ToaaOxa irapaxovTO

qpouoiwOvTCC v-

236

II

Timeo.

immagini
dere.
e

(1)

che

si

nelle cose terse e levigate,

producono negli specchi e non difficile inten-

li

Perocch dal concorrere reciproco di tutti fuochi, interno ed esterno, dei quali di due nuovo se ne fa ciascuna volta sulla superfice levigata uno solo che in molti modi rimbalza, queste
i

cotali

cose tutte necessariamente appariscono,


in

componendosi
tente
il

uno

sulla superfice liscia e nialla faccia e quello

fuoco che intorno


(2).

che

esce dalla vista

ci che a destra appa-

Tq

Hu>
il

Te

6Yep6eoiv

Trouvnuoveu.ueva

<pavTdO|aaxa.

Tanto

Martin quanto I'cri fraintendono


:

del tutto
_

" suscitano, traduce questi, " fanquesto luogo tasmi somiglianti a cose di dentro o di fuori, e il Martin gi di l. Eppure chiaro che vT; va con

qpo|uoiuj9vTa ed etuu con iro|uvr|noveuuevci. Le immagini dei sogni sono formate dentro di noi, sono cose nostre del tutto soggettive ; svegliati le ricordiamo projettandole nel mondo esterno: questo il senso dita),

non

si
il

rebbe
(1)

ha gi ad intendere llw toO Mueller.

utcvou,

come vor-

irep Tf\v tjv KaTTiTpuuv eiujXoTrouav ... xapossibile congiungere t Kcmev, ma pi in quaiito a. naturale e ovvio intendere t b koi(2) k Top Tf]q vT<; kt<; t toO irup<; Kaxpou vuuvck; XXriXou;, vq tg aO irepi tiv XeiTn.Ta KCtaTOTe Yevouvou Ka TroXXaxri uTappu9uiaevTO<;, trdyTa t toi-

t b

TieTv.

aTC et

ucpaiveTai, toO irepl t TTpaumov ttuTnv yiv uup uepl t Xeov Kal Xcumpv =>mnayovc, YtYvouvou. Il fuoco visivo, dice, ed il fuoco esterno si incontrano e si combinano in uno sulla superfice dello specchio, la quale essendo liscia lo fa rimbalzare in diverso modo secondo piana o curva. E ci pare abbastanza chiaro: la difficolt comincia nell'ultimo membro del periodo: tou irepl t irpaumov irupc;, ecc. Che cosa t irpaumov? Il Martin (II, p. 164) l'intende per l'immagine che nello specchio, il che, se conciliabile con la teoria aristotelica che ammette nello specchio l'immagine, mi pare sia direttamente contrario alla teoria platonica, la quale assevera appunto che lo specchio non la riceve, anzi la fa,
\'{KX]c,
p<; tuj irep

Capitolo

XVI.

237

perch il contatto avviene a opposte della vista su parti opposte dello parti
risce a sinistra (1),

per la propria levigatezza, rimbalzare (cfr. Chalc. Comnt. 257) oltre di ci la parola a indicare l'immagine sarebbe molto mal scelta, mentre c'era pronta e facile (ammesso che immagine sia) la parola precisa. Lascio di dire che questa doppia combinazione di fuochi d'un, meccanismo cos complicato che nulla chiarisce di ci che vorrebbe chiarire. Io ritengo che t trpatJUTTOv sia la faccia di chi guarda lo specchio, e che quest'ultima frase non sia altro che la ripetizione pura e semplice di ci che detto nella prima, ripetizione giustificata dal bisogno di insistere sopra un concetto difficile (cfr. p. 35 A e nota, 47 C e nota)
: :

fuoco dunque irep t npaumov la luce esteriore e quello uept i\v oi^iv il raggio visivo. Notisi pure EuuttciyoOc; yiyvouvou che ripete uuTrcrf<; yeviuevov di pag. 45 C, e perci va inteso nello stesso senso. Del resto la cosa detta pure, e con parole del tutto analoghe, nel Sofista, p. 266 C: rjviK <5v pubi; oKetv xe koI XXxpiov Tiep T Xau-rrp xa Xta e<; ev SuveXGv Tfjc; guirpooQev etuGuiac; oiyeujc; vavriav aioSnffiv irapxov elboc, rrepYZjixai, " quando il fuoco nostro e l'esterno convergendo in uno sulle cose lucide e liscie produca un' immagine che dia una sensazione contraria alla vista solita; dove le ultime parole sulla trasposizione della destra con la sinistra si riferiscono agli specchi o superfici levigate piane come il caso pi comune a darsi. Del resto la frase toO itepi t irpaumov ecc. altri potrebbe anche ritenerla una glossa marginale entrata nel testo: difatti non apparisce n nella versione n nel commento di Calcidio (che invece aggiunge qualcosa sul rimbalzo dell'immagine) ; io per altro preferisco ritenerla una ripetizione legittima e spontanea, un' insistenza intesa a chiarire il concetto e a fissarlo bene nella memoria.
il

(1)

Ci avviene per

gli

specchi piani

la

parte destra

della vista percuote

la

sinistra

dello specchio e vice-

versa, e rimbalzando conserva la posizione che ha acquistato: l'immagine infatti non uguale, ma simmetrica all'oggetto. Soggiunge che ci avviene imp t Ka0eaTq !9o<; if\c, irpoffjoXf^, cio contro il solito modo
di le

vedere: le altre cose infatti si vedono come sono; immagini dello specchio invece scambiano la destra con la sinistra, e ci per effetto del rimbalzo del raggio.

238

//

Timeo.
solito del contatto vila

specchio, contro
sivo.

il

modo

Ma

viceversa la destra resta a destra e

quando nel combinarsi con quello con cui si combina il lume scambia il suo C posto. E questo avviene quando la levigatezza
sinistra a sinistra (1)

degli

specchi,
la

alzandosi dalle parti

laterali,

re-

spinga
vista di guisa

parte

destra alla parte sinistra

della

e viceversa.

Che
si

se

che

la

curva

lo specchio girato disponga secondo la lun-

ghezza del volto, allora esso fa apparire tutto rovesciato, respingendo la parte inferiore alla
parte superiore della vista e la superiore
feriore.
all'

in-

Queste cose tutte pertanto sono


concomitanti, di cui

tra

le
si

cause
serve

come

ministre Dio

per effettuare quanto possibile l'immagine dell'ottimo. Vero che si opina dai pi che non
siano concause,

ma

cause

(2)

di

tutte le cose,

queste che raffreddano e che riscaldano, che con-

(1) Nello specchio concavo semi-cilindrico in senso verticale, che qui si descrive, si vede invece la destra a destra e la sinistra a sinistra, e ci perch il fuoco che nel comporsi era caduto sullo specchio, una volta composto sulla sua superfice, non ne rimbalza pi di-

rettamente per la via stessa per la quale era caduto, ma lueTcnriTrTet, si scambia; la parete destra rialzata lo fa rimbalzare a sinistra, e viceversa. Se poi lo specchio cilindrico disposto orizzontalmente, allora l'immagine si vede rovesciata, per la stessa ragione. Se Io specchio concavo poi fosse emisferico, si avrebbero tutte e due le inversioni insieme, ma Platone non considera questo caso. (2) Questo contro Democrito, che per altro, come dicemmo, da Platone non mai nominato. " La nozione delle cause prime e seconde o cooperatrici, che originariamente appare nel Timeo, perdura ancora ai nostri giorni ed stata una grande conciliatrice tra la teologia e la scienza,, (Jowett, o. c, III, p. 417).

Capitolo

XVI.

239

densano

tali effetti;

producono altri mentre invece non sono capaci di avere ragione n intelligenza per nessuna cosa. Poich
delle cose che sono, quella sola di cui proprio

e che diffondono, e che

nima

possedere l'intelligenza, bisogna dire che l'a(1); e questa invisibile, mentre il fuoco e
l'acqua e
la terra

e l'aria sono tutti corpi


il

visibili.

Ora
alla

chi

ama

l'intelligenza e

prima

di tutto

persegua
le

le

sapere bisogna che cause che si riferiscono


si

natura intelligente, e che quelle tutte che


altre,

generano da
(le

quali

vengono mosse

e ne-

cessariamente ne

muovono
noi,

altre alla loro volta (2),

tenga) in secondo luogo.


fare

biamo
l'altra

anche

a questo

modo dobl'ima
e

considerare

separatamente quelle che con intelligenza sono artefici delle cose belle e buone, e quelle che private d'intendimento fanno ci che capita senz'alcun ordine volta per
volta.

specie di cause,

ma

Di
gli

ci pertanto che fu causa

concomitante per

occhi, acci avessero quell'attitudine che ef-

fettivamente hanno sortito, questo basti.


sia
il

Ma

qual

massimo

ufficio loro rispetto all'utilit

per che
47

Iddio ce
la vista,

li ha donati, ora resta a vedere. E invero a giudizio mio, per noi causa della mag-

giore

utilit,

perch di

tutti

ragionamenti che

(1) tujv Yp Xeicrov i(juxny-

vtujv

tjj

vouv

uvui

KtaoGai

-rrpoarKei,

Vi sono dunque delle cose che sono le quali sian prive di intelligenza? Non potrebbero essere che le idee; e, ad intenderlo alla lettera, il passo sarebbe decisivo per la questione che abbiamo trattato nel capitolo II dei Prolegomeni. Gli che twv vtujv qui pu essere interpretato, in senso non tecnico, per
le

cose in generale.
(2)

Cfr. p.

68 E.

240

// Timeo.

fanno intorno all'universo nessuno sarebbe fatto da chi non avesse visto n gli astri, n il sole, n il cielo. Ora invece il giorno giri e la notte, poich sono veduti, e i mesi e
ora
si

mai

stato

degli anni effettuarono


la

il

numero

e ci concessero

nozione del tempo e


il

la ricerca

intorno alla na-

tura dell'universo. Per

mezzo

delle quali cose ci

B procacciammo

principio della filosofia, di cui

nessun maggior bene n venne n verr mai al genere umano regalato dagli Dei. E dico appunto che questo degli occhi il vantaggio pi grande e tutti gli altri quanti ve ne sono di minori, a che
;

serve
sofo,

il

celebrarli
sia

dei quali (1) chi


si

non
si

filo-

quando

orbato e

lamenti,

lamente-

rebbe senza ragione. Ma di questo sia affermata da noi questa cagione, che appunto per ci Iddio ci ha trovato e ci ha donato la vista (2), affinch vedendo nel cielo i periodi dell' intelligenza ce ne servissimo per le circolazioni del pensiero che C in noi, le quali sono cognate di quelli, (quanto possono) cose disordinate di ordinate, e cos

(1) iLv

pifj

qnXaorpoq Tuqp\uu9e<; upuevoc; av Gpnvo


ilv

ladxnv.
(xfiXXa),

chiaro che

si riferisce

agli

altri

vantaggi

non

agli occhi,
cita
fiXXuuv

Lo Stallbaum
xuq>X<; b

come pare intendano parecchi. a confronto Xen. Symp. IV, 12:

itvxwv uXXov av esaiunV efvai non filosofo non riconoscerebbe che la perdita di questi beni secondari, e per questi soli si affliggerebbe, senza accorgersi di averne perduti di assai pi grandi upuevo<; av Gpnvo |idtxr|v l'eco d'un verso d'EuRiPiDE, Phoen. 1762: XX yp ri xaOTa 6pnvil> xal uaxnv pouai: (2) XX totou Xe^foOot irap' i>)uiIjv auTn ir TaOxa ama, 6ev V'ijuv veupev wpricraa9ai tg oijnv, iva k. t. X. Questa la variante adottata dagli editori pi recenti:
f)

xwv

Ikcivou v<; vxoq. Chi

Tauro anticipa
-rr

uuara)

iva. Altri leggono toOto ... aOT (se. rarr) (xr)) axia: il senso per sostanzial-

mente non muta.

Capitolo

XVI.
(1)

241

traendone insegnamento

e partecipando alla

rettitudine dei ragionari conformi a natura,

con
as-

l'imitare le circolazioni degli Dei, che

sono

solutamente costanti, mettessimo norma agli errori delle nostre.

voce e all'udito, di nuovo lo stesso discorso, che sono stati dati dagli Dei Peallo stesso scopo per la stessa cagione. anche la parola ordinata a questo rocch stesso effetto, e ad esso contribuisce in massima parte, e similmente quanto v' di utile a udirsi nel suono musicale ci offerto per via dell'armonia (2) l' armonia poi come quella che ha movimenti corrispondenti ai cicli dell'anima che sono in noi, a chi con senno adoperi le Muse,

Quanto poi

alla

stata data

un piacere

irrazionale,

da esse non per (soddisfazione di) secondo si crede adesso


(3),

consistere la sua utilit

ma come

alleata per

(1) Anche questa chiusa non altro che ripetizione epcsegetica della prima parte del periodo cfr. pp. 35 A, 46 A-B. Cos si afferma la legge morale aver origine dall'osservazione dell'ordine nel cosmo. Cfr. de Rep.
:

VI, p. 500 C.
(2)

ooov

t'

aO

uouoixn/;

qpujvf|<;

XPnoinov

irpt;

iconv,

vkcc puoviac; axi oGv.

La

lezione

qpwvr), di

qualche

buon codice, non pare


tratta di distinguere di notare tale,
la

ma

accettabile, perch qui non si musica vocale dalla istrumeninvece che l' utilit che si trae

musica prodotta dall'armonia, la quale proporzione e rapporto di numeri, quella proporzione appunto e quel rapporto che si sono descritti a proposito della creazione dell'anima del mondo. Pongo col Jowett Martin, Hermann e Stallla virgola dopo irpt; xonv baum la ponevano prima. ... Ttl> uer voO Trpoffxpwuvw Mouaaic; (3) r) pwovia ok qp' n.ovnv fiXoTOv, KaGirep vOv elvai ok xpifaiMO^ \X' eir ... bboxai. Questa certo la punteggiatura preferibile e attualmente accettata; altri (Hermann, Stalldalla
:

Fkaccaroli, Il Timeo di Platone.

21

2;/2

II

Timeo.
il

ridurre all'ordine ed all'accordo con s stesso

periodo dell'anima che dante. E cos il ritmo

si

fosse fatto in noi discor-

ci

dato dalle stesse allo


di

stesso scopo, quale ausiliario per la disposizione

E sproporzionata
maggior parte

mancante

garbo che nella

di noi.

XVII.
Quello che abbiamo detto fino a qui,

all'

in-

fuori di poche cose, ha servito a dichiarare ci che fu fornito dall'intelligenza; ora conviene ag-

discorso anche ci che opera della necessit (i). Perocch la generazione di questo

giungere

al

baum) pongono virgola dopo vOv, e allora oke sarebbe il verbo principale della prima parte del periodo. Per il concetto cfr. pag. 80 B.
(1) Su questo elemento della necessit, che ha dato molto da fare agli interpreti, cfr. Prolegomeni, cap. III. Qui basti notare come questa vdYKn. subito dopo sia detta t Tfjq irXavuuuvn.; dboc, cxtck; (cfr. p. 30 A), a ragione in rapporto a ci che sempre, ma contrariamente al concetto che noi ci facciamo della necessit, rispetto al quale non meno strano ci che detto prima, che cio l' intelligenza persuade la vdYKn. Ma e questa stranezza e molte altre difficolt restano eliminate, se badiamo alla differenza di contenuto tra il vocabolo greco ed il nostro: vykoi, e non v^oi, si chiamavano anche nella lingua comune le leggi fisiche, e perci vjKX], meglio che necessit assoluta (che

piuttosto nel concetto di fato), vale costrizione. Per tal modo dalla vdYKn pura e semplice escluso l'elemento morale, il quale le viene imposto solo dall' intervento
di Dio, e la soverchia: quindi la dine e del bene, non per se,

Dio,

non mente

assoluta, e la semplicemente assoluta,

legge morale dell'orin quanto deriva da v^Kn pura nel senso platonico

ma

ma

relativa,

contraria-

al

concetto volgare.

Capitolo

XVII.

243
di necessit 48

mondo

fu mista d'una
;

combinazione

e d'intelligenza

come

l'intelligenza

domin
il

la

necessit col persuaderla a guidare verso


la

massima parte
in

delle cose che

si

meglio generavano,

cos e
sit

per mezzo della necessoggiogata dalla persuasione assennata da

questo

modo

principio fu

costituito l'universo.

vuole, secondo che

Se dunque si ha avuto origine, in confor-

mit anche effettivamente discorrere, conviene mescolare (nel nostro discorso) anche la specie della cagione mutevole, secondo che per sua natura coopera (1). Bisogna dunque tornare indietro, e riprendendo di nuovo un altro cominciamento B conveniente a queste cose (2), come abbiamo fatto per quelle allora, cos ora per queste si ha da rifarsi di nuovo da capo. E bisogna appunto la na-

(1)

fj

cppeiv TrqnjKev.

Lo Stallbaum

traduce:

"

ea ra:

qua ipsius natura fert; e il Mueller similmente. Lo Schneider: " pr naturae ipsius impetu; il Martin " comme la nature des choses le comporte; FArcherHind " how it is its nature to set in motion. Il Natorp, o. e, p. 347, di questo elemento dice: " Sie ist keineswegs gesetzlos gedacht, vielmehr wird gerade ihr der Charakter der Notwendigkeit beigelegt, zwar in dem vorwaltenden Sinne des wahl- und vernunftlosen Zwanges aber zugleich in Sinne der Naiur ") Il senso pu essere un po' dubbio, ma che (fi <P cosa c'entri qui il movimento non vedo perci pretione
:

ferisco l'interpretazione dello Stallbaum e del Martin. (2) Cos si intendono in generale le parole kciI AafoOaiv axiv toutuuv TrpoariKOuaav xpav p\Y\v, e credo retta-

mente, non ostante che

il

cher-Hind invece:
ftting
'

"

and when

periodo riesca tautologico: FArwe have found a second


'
'

cause for the things aforesaid, dunque non facendo un secondo cominciamento ma considerando un secondo principio' o elemento, cio quello or ora enunciato dell' v^fKi}. Non credo: xpav pxnv cos indeterminato (senza un ty\v o un Taurnv) impedisce di torcer la frase ad un senso diverso da quello che si presenta pi spontaneo alla prima lettura.

244

Timeo.

tura del fuoco e dell'acqua e dell'aria e della terra,

quale era prima della generazione del mondo, esaminarla in s stessa e nelle sue affezioni anteriori (i). Infatti fino
la loro genesi,
il

ad ora nessuno ha esposto

ma come
li

fuoco eccetera,

si sapesse che cos' diciamo principi e ii suppo-

niamo le lettere dell'alfabeto dell'universo (2), C mentre neanche alle sillabe, per un uomo che abbia fior di senno, permesso che si abbiano ragionevolmente a paragonare. Ora pertanto ci che ne pensiamo noi eccolo qui del principio
:

di tutte le

cose,

o dei principi, o

comunque
questo

si
il

voglia esprimersi intorno a ci,

non

luogo di discorrere, non per alcun'altra cagione se non perch (3) col presente modo di esporre

(1) Cfr. p.
(2)

53 A e segg. aura TiGuevoi crxoixea toO


OToixeiov

travTc; k. t. X.

La

pa-

vuol dire elemento, e poich le lettere sono elementi primi della parola (cfr. Phileb. p. 18 B-C), anche lettera. C' qui dunque un giuoco di parole le quattro specie di terra, acqua, aria, fuoco, volgarmente si tengono essere gli elementi primi,"o le lettere dell'alfabeto dell' universo, mentre non ne sono neanche le sillabe, cio non solo non sono elementi primi, ma neanche una prima composizione di elementi primi. Resta che si potranno appena paragonare alle parole
rola
:

intere. (3) KOlt TV TTCtpVTGC TplTOV

Comm.

270:

"

Quarum

Tffc ieEOU. CaLCUIO, (cio delle idee) ad praesens

difFert examinationem, nec quaerit una ne sit archetypa species eorum quae sunt communis omnium, an innumerabiles, et pr rerum existentium numero, quarum coetu et congregatione concreverit universa moles; an vero idem unum pariter et multa sint, ut docuit in Parmenide. Quae causa declinandi fuit non laborem, sed

instituto sermoni minime conveniens tractatus admisceatur. Haec quippe naturalis, illa epoptica disputatio est. Naturalis quidem, ut imago nutans aliquatenus, et in vcrisimili quadam stabilitate contenta epoptica vero quae ex sincerissimae rerum scientiae fonte manat.

ne

Capitolo

XVIII.
il

245

le

cose

difficile chiarire

proprio concetto.
io

Non
dir-

v'aspettate
velo, (che)

dunque neanche voi che

debba

n io stesso sarei capace di persuadermi che sarebbe per me cominciar bene, ove mi assumessi cotanta impresa. Soltanto badando sempre, a ci che si detto da principio, cio alla probabilit dei ragionamenti perch abbian forza, mi ingegner di dire cose che non siano meno,

ma

anzi pi 'probabili, delle altrui,


(1),

come ho
al

fatto

prima
sieme.
dire

intorno alle cose singole ed

loro in-

Ed anche ora in sul principio del (nuovo) invocando Dio salvatore, che ci guidi sani fuor d'una trattazione strana ed insolita ad una
a ragionare.

opinione di verosimiglianza, cominciamo di nuovo E

XVIII.

principio nuovo intorno all'unida una distinzione pi ampia che non sia stata quella di prima. Perocch allora (2) distinguemmo due specie, ed ora ce ne conviene dichiarare una terza. Le due infatti erano suffi-

pertanto
si

il

verso

faccia

(1) iretpaouai \.\.\\htvc, rJTTOv eKTa, <?|inTpoa9ev tt' pxn<; Xyetv. Che le

uaXXov hi, kc parole uXXov ...


'

possano significare et mme revenant sur mes pas jusqu'au commencement ', come pare al Martin (e Mueller analogamente), a me non pare in modo alcuno. Lo Schneider, posta la virgola dopo hi (Jowett, Archer-Hind), traduce Ka ^urcpoaGev per et antequam ad Ma accedam ', di che pure si pu dubitar forte. Accetto perci la virgola, ma insieme l'emendamento proposto dallo Stallbaum di koI '\xnp. in KdT t ?uTrpo09ev. (2) Cfr. pag. 28 A.
r px*K (senza la virgola)
'

246

//

Timeo.

centi per quello che fu detto di sopra, l'una as-

sunta

come esemplare,

intelligibile e
la

49 rante allo stesso


terza allora

modo,

sempre duseconda come imita-

zione dell'esemplare, avente origine e visibile.

La

non l'abbiamo

distinta,

credendo che
l'ar-

queste due fossero sufficenti;


difficile e

ma

ora pare che

gomento ci costringa (1) anche (questa

terza) specie

oscura cercar di chiarirla col discorso.

Quale propriet dunque dovremo ad essa secondo natura attribuire ? Questa precisamente, di essere la recettrice di tutto ci che si genera, come una
balia.

Con questo
parlare

si

detto la verit;
il

ma

giova

B su

di ci

pi chiaro;

che

difficile

e per altre ragioni e anche perch, per farlo, bisogna prima proporre dei dubbi intorno al fuoco e alle altre tre specie. Perocch il dire per ciascuna di queste, quale effettivamente convenga chiamar acqua anzich fuoco, e quale qualsiasi altra cosa, sia a prenderle tutte insieme, sia anche una per una (2), (il dir ci) in modo da averne un

discorso attendibile e sicuro

difficile.

Come

po-

(1)

Per

tutto questo capitolo e


i

della materia veggansi


(2)

per la questione Prolegomeni, cap. III.

tutta

ehrev 'kckjtov, ttoIov 6vtuu<; iibivp xp^l irOp xal troov tioOv iuQXXov f\ xal Travxa kci9' (hcaOTv xe, ovtwc, diare tiv iria-nl) Ka 0cPaitu xpntfacQai Xyiu, xaXeirv. Lo Stallbaum, non a

toutwv Y&P
u&XXov
f\

Xyeiv

trova in queste parole qualche intoppo, e per rimuoverlo propone di levar la virgola dopo KctG' kckjtv Te, e porla dopo dmavra, e sottintendendo, molto duramente, e perci poco probabilmente, nell'ultimo membro un ehrev, cava da questo un senso tollerabile: " idque de quoque sic ut certa et firma ntamur oratione. Con
torto,
"

tutto ci resta sempre l'intoppo in ufiXXov f\ kcx1 fiiravia. Io credo che il secondo ufiXXov sia corruzione di fiXXo, e con questo emendamento ho tradotto: f\ Kal #TrctvTa k<x9' gKoa-rv re un leggero anacoluto per ^ k. Stt. f\
KCt6'

gKdOTOV.

Capitolo

XVIII.

247

tremo dunque ragionevolmente dire la cosa in s stessa, e in che modo (potremo dirla), e che cosa (ne diremo), quando intorno ad essa (1) permaniamo nel dubbio ? Innanzi tutto, quello che ora abbiamo chiamato acqua, quando si rapprende, C come ne appare, lo vediamo diventar sassi e terra,
fuso poi e disciolto viceversa questo stesso farsi vento ed aria, e l'aria arsa diventar fuoco, e
all'incontro
il

fuoco condensato e spento andarin

sene di
l'aria

nuovo

forma
(farsi)

di

aria,

di

nuovo

nuvola e nebbia, e da queste ancor pi condensate scorrer acqua, e da acqua terra e sassi ancora, e per tal modo un cerchio che trasmette vicendevolmente, come vediamo, la generazione (2). E quando queste cose
constipata

per tal modo non appajono mai le medesime, quale tra di esse quella che senza vergognarsi uno potrebbe sostenere che una qualche cosa e proprio quella e non altra? Non c'; e di gran

lunga pi sicuro intorno a

tali

cose

il

discor-

vorrebbe congiungere
ing

(1) cktux; tcuropr|9vT<; .v \yoi|Uv ; L'Archer-Hind " raisekTtJuc, con icmopn6vT<;


:

Cos fa anche il Mueller; e ci che segue pu giustificare questa interpretazione, e pu anche suggerirla; ma dubito forte che la frase greca, cos com', potesse affatto essere intesa a questo modo dagli antichi lettori. p. 54 B-C, correggendo questa affermazione, lo (2) scambio si dice avvenire soltanto tra fuoco, aria e acqua, e non con la terra; TArcher-Hind crede che Yc, oKoO|uev come ne appare valga a togliere la contraddizione; io pure credo che per lo meno valga ad attenuarla. Ci che vediamo ci mostra per esperienza che la materia trasformabile: una pi diligente osservazione ci potr far correggere il concetto volgare di terra, acqua, ecc., e determinare entro quali limiti la trasformazione avvenga.

what reasonable

question.

'

'

248
rere,

//

Timeo.
cos, cio,

quando

si

stabilisca

che quella

cosa che vediamo sempre diventare diversa, per esempio il fuoco, non essa si abbia a chiamare
fuoco,

ma

quella che costantemente sia tale

(1),

(1) del
jui

KaGopuuev

fiXXoTe

<3iXXr)

yiYvuevov,

ihc,

uOp,

toOto XX t toioOtov xaTOTe Trpoaafopeueiv irOp, k. t. X. Questo luogo, con tutta la pagina che segue, io credo sia stato frainteso o in tutto o in parte da tutti i commentatori, a cominciare da Calcidio fino allo Stallbaum (o. e. Prolegg. p. 19), al Martin, al Mueller, all' Acri, al Jowett, all' Archer-Hind. Nel periodo qui riportato t toioOto vKGTOTe (parole che vanno congiunte insieme) sono soggetto, e non, come si crede, predicato
di irpoaaYopeueiv, e toioOtov qui ha il significato solito, non un'accezione tecnica. Ci che Timeo vuol notare non gi che la parvenza variabile che noi denominiamo di volta in volta fuoco, acqua, ecc., non sia veramente e per s fuoco, acqua, ecc., ed abbia solo la qualit di fuoco, ecc., che questo era detto gi prima;
egli

nota invece che

il

appunto questa

qualit,

vero fuoco, l'acqua, ecc. sono che costantemente si trova nei

casi singoli (t toioOtov i<ao"TOTe, t toioOtov ei) e in tutti del Trepiqpepuevov, e che appunto perci questo solo il fuoco, l'acqua, ecc., cui sarebbe appropriato il Te, questo e niente altro, e precisamente niente di tutto

che crediamo indicare quando usiamo il Toe e diciamo questa cosa, quest'altra, essendo noi allora abbagliati da un' illusione, in quanto crediamo di indicare effettivamente qualche cosa ben determinata, mentre indichiamo solo un'apparenza .transitoria. In altre parole anche la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco fenomenici non sono altro che qualit, come il caldo e il bianro, e le realt vere sono terra, acqua, aria e fuoco idee; e come il bianco non la bianchezza, cos il fuoco che percepiamo uno stato della materia e non il fuoco ideale. Ora viceversa, poich nelle cose non vi l'idea, ma solo la sua immagine, per questo rispetto alle cose non si potrebbe applicare il Te. Per applicare alle cose il Te occorre sia in esse qualcosa di permanente, e poich questo non la loro parvenza, neanche sotto la forma delle specie elementari, il Te nelle cose non ci sarebbe, se non ci fosse il substrato o la recettrice
ci

delle dette specie, ci


si

insomma in cui le dette specie manifestano. Nell'esempio, che soggiunto, dell'oro

Capitolo

XVIII.

249

n dir acqua questa (che vediamo), ma quella che sempre tale, n similmente alcun'altra cosa mai, quasi che avesse qualche stabilit, di quelle E che indichiamo usando della parola questo e coperocch (cotali testo e crediamo di dir giusto cose) sfuggono e si sottraggono alla denominazione di questo o di cotesto o di in questo modo, e a qualsiasi altra che le indichi come permanenti. Non si chiamino quindi cos queste cose singole ma ci che sempre tale e passa costantemente (d'una in altra restando) uguale
:

sia rispetto alle

cose singole sia a tutte insieme,

venga chiamato a questo mdo, e per conseguenza fuoco quello che sempre tale;
questo
s

e cos dicasi di ogni cosa di


divenire.

cui sia proprio


via

il

ciascuna di queste cose generandosi prende apparenza, e di


cos ci in cui

via

si perde, soltanto ci alla sua volta 50 ha da chiamare col vocabolo questo e cotesto, e l'altro, checch esso sia, o caldo o bianco (1) o qualsiasi pure dei contrari e tutto ci che nasce di loro, niente di tutto questo si ha da chiamare
si

nuovo quinci

in tal

modo.
intorno a ci bisogna daccapo ingegnarci
in

Ma

ancora pi chiaro. Infatti se uno, plaoro ogni specie di figure, non cessasse di riplasmarle facendole passare ciascuna per tutte le forme, ove altri ne indicasse una e domandasse che cosa molto pi sicuro
di parlare

smando

plasmato successivamente

in varie
il

pu applicarsi che
l'oro
(1)
il

all'oro,

tale

forme, il questo non alle forme, perch


si

substrato costante e le forme


i

mutano.

Su questo luogo veggansi


II,

Prolegomeni, capi-

tolo

3,

pp. 56-57.

250

II

Timeo.

il dire che oro, quante altre figure in esso formaronsi, non dire di queste che sono, quando mentre appunto l'artefice le forma si trasformano, e se appena possano con una certa

rispetto

alla

verit

sarebbe

il

triangolo (poniamo), e

sicurezza ammettere

il

tale (1),

accontentarsene.
si

Lo

stesso discorso effettivamente

pu

ripetere

anche per quell'elemento della natura che riceve in s tutti i corpi; e lo si deve riconoscere sempre per la stessa cosa, poich non esce punto mai della sua propria natura (2). Infatti riceve in s C sempre tutte le cose, e non ha mai preso in nessun caso per nessun modo nessuna forma che somigli ad alcuna delle cose che entrano in lui. Poich proposto a tutta la natura come cera da impronta (3), la quale mossa e disposta da

(1) Cio se si priet o qualit.


(2)
"

pu dire che abbiano una data pro-

Cos abbiamo due fissit immutabili, le idee e la la massa fluttuante delle apparenze sensibili (Archer-Hind). Badisi poi che la similitudine dell'oro deve essere intesa con discernimento.
irooxti, tra le quali

dice lo Zeller, o. c, p. 734, nota, riferisce solo a questo, che in tutti e due i casi il substrato, non ostante la variet e la mutabilit delle sue forme, rimane lo stesso; ci per altro non esclude che questo substrato nell'un caso sia quello dal (aus) quale, nell'altro quello nel quale le cose diventano. Sopra tutto questa similitudine non deve far credere

"

Questa similitudine,

" si

che anche la x^P a deva essere un substrato malcriale perch substrato materiale l'oro, come pare creda il
c, p. 97. Ho tradotto con cera da impronta, ma avverto che in questa figura c' un concetto materiale, che non si pu affermare sia nella parola greca. Dante pure usa spesso la parola cera in senso molto analogo, non per identico {Par. Vili, 128, XIII, 67), in luoghi che direttamente o indirettamente dipendono dalla'teoria del Timeo.
o.
(3)

Chiappelli,

Kiuayetov.

Capitolo

XVIII.
e

251

ci

che riceve (in

s),

appare per

esso ora a un

modo

ora a un altro.

Or

causa di ci che

entra e che esce (1) sempre imitazione delle cose che sono, improntato ad esse in un certo modo meraviglioso e diffcile a spiegarsi, che poi pi
oltre

Intanto
neri, ci

indagheremo (2). dunque conviene riconoscere

tre ge-

che generato, ci in cui generato, e ci a cui imitazione il generato si genera. E appunto ci che riceve (la generazione) conviene paragonarlo alla madre, ci donde (viene
la

generazione)
al

al

padre, e ci che di
e

mezzo

pensare che, dovendo l'impronta essere a vedersi svariata di ogni variet, in nessun altro modo quello in cui la si ha da imprimere potrebbe dirsi preparato acconciaa queste
figliuolo,

mente, se non sia del tutto privo di tutte quelle forme che per ricevere donde che sia. Perocch, quando fosse simile ad alcuna delle cose che ri- E ceve, quelle di natura opposta o del tutto dile riceverebbe male versa, quando capitassero
,

Ci che entra nello spazio e che ne esce non sono per le quali a p. 52 affermato espressamente che non entrano in alcun'altra cosa; e notisi la differenza col Fedone, dove a p. 102 D-E ci che entra e ci che esce (nelle cose per altro, non nello spazio) sono appunto le idee. Ci che entra nello spazio detto qui espressamente essere le immagini (twv vtuuv dei ui,uiYuaxa): si pu solo dubitare se per queste immagini dobbiamo intendere esclusivamente le forme, od anche la materia di cui constano. Ma se pensiamo che Platone riduce le quattro specie elementari precisamente a forme geometriche, dovremo riconoscere che forma e materia, sotto questo rispetto, vengono a confondersi in una cosa sola. Cfr. Proleg., Ili, 3, e la nota a p. 55 A. (2) In questo dialogo su di ci non si torna che brevemente a pag. 52 C.
(1)

le idee,

252 e le

//

Timeo.

dovrebbe mal rappresentare, lasciando apil

parire insieme

suo proprio aspetto. Perci

51

anche necessario che sia fuori di qualsiasi forma ci che le deve ricevere in s tutte, a quel modo che per gli unguenti odorosi innanzi tutto si ingegnano con arte di ottenere questo, (cio) rendono per quanto possibile inodori i liquidi che devono ricevere i profumi e cos quelli che imprendono a stampare delle figure in qualche materia molle, assolutamente procurano che non ci sia o appaia in essa alcuna forma, e bene prima spianandola la rendono pi liscia che sia possibile. Del pari adunque anche a quella cosa che deve ricevere molte volte in tutta se stessa le immagini di tutte le sostanze che sempre sono (1), le conviene di sua natura essere fuori di tutte
:

questa madre e recettrice di genera di visibile e in generale di sensibile, non diciamola n terra, n aria, n fuoco, n acqua, n altra cosa che nasca da queste o da cui queste nascano; ma (se la diremo piuttosto) una specie invisibile e amorfa, capace di qualsiasi contenuto, e che partecipa in un certo B povero modo dell'intelligibile (2), e che difhle

forme. Perci
si

tutto ci che

OUV KC TUJ T T)V TTCtVTlUV dei T 6vTUJV auToO tToXXKic; cpouoiuiuaTa koXik; ueXXovTi xeaGcu K- t. X. Lo Stallbaum propone correggere dei re in dei ti, che non riesco a capire. Egli spiega: tl uXXovTi iroXX(Ki<; xeaGm xen irv auToO tjv irdvTWv
(i)

TOITV
ttv

kot

dei ti vtiuv, dove manca fpouoiuO.uoiTa, rimasto, pare, nella penna. Ma le idee sono del vtci semplicemente, e non dei ti vto, che pare ammettere la possibilit di una mutazione: irdvTc dei Te vrot non importa in greco alcuna distinzione, pi che non ne importi per es. troXX Kal KaXd. Cfr. p. 154, n. 3. (2) Veggansi i Prolegomeni, cap. Ili, 1-2.

Capitolo
cile

XVIII.

253

a concepirsi, dicendola (cos)

non c'ingan-

quanto da ci che si detto possibile arrivare a capire la sua natura, con maggior verit si potrebbe dire in questo modo, cio che fuoco appare di volta in volta la parte ignita di essa, e acqua la parte liquida, e cos terra ed aria in quanto riceve immagini di queste cose (1). Ma su di ci conviene indagare determinando meglio la questione nel modo seguente. C' forse un fuoco che sia fuoco di per s solo ? e (cos) C * le altre cose tutte, che chiamiamo con questi nomi, (esistono esse) di per s ciascuna ? (2) O le cose

neremo.

in

Platone non poteva dire pi chiaramente di cos, che del resto consta anche da altri luoghi, che le quattro specie di fuoco, aria, acqua e terra, non sono elementi nel senso che diamo noi a questa parola, ma stati della materia, cio solido, liquido, aeriforme e di combustione. Essi non sono che immagini di toO 8 anv rip, toO o cari uOp, ecc. (2) 3p' ?cJTi ti TtOp ax cp' auToO, xa irvxa irep div del Xyoiaev o'xuj<; ax kcx9' ax i<aaxa vxa ...; Tutti gli interpreti intendono ad un modo, cio, giusta la traduzione del Martin " Y a-t-il quelque feu existant en lui-mme; et de mme pour les autres objets desquels nous disons toujours qu'ils ont chacun leur existence Ma non mi pare torni giusto, e, per intender part? cos, bisognerebbe che invece di oxum; ci fosse ihc,. Vuol dire che noi nominiamo il fuoco, l'acqua ecc., e con lo stesso nominarli implicitamente pare intendiamo che esistano di per s. Ora, domanda Timeo, esistono davvero di per s a parte queste cose? il nostro modo di parlare corrisponde esso alla verit? Leghisi dunque ktX., e non gi XYouev ax otp* ?<JTt ax xaO' aura Ka9' ax kx\., che anticiperebbe la risposta al quesito, dato pure che fosse vero che l'affermazione espli(1)

ci

,,

o sottintesa dell'esistenza a parte del fuoco ecc. nelle abitudini mentali dell'uomo, o almeno fosse in quelle degli antichi, da poterla addurre come un
cita

sia

fatto

frequente su

cui

fondare delle osservazioni.


22

La

Feaccakoli, Il Timeo di Platone.

254

Timeo.

che anche vediamo, e quante altre ne percepiamo per mezzo del corpo, sono le sole che possiedano tale verit, ed altre non ve ne sono fuori di queste in nessun luo^o e in nessun modo, e vanamente tutte le volte diciamo esserci di ciascuna cosa

una forma intelligibile, mentre essa non niente se non parole? (i). Non veramente giusto, lasciando andare questa questione senza esame e
senza giudizio, impuntarsi a dire che la cos, e nemmeno in un discorso gi lungo conviene

inserirne
se
si

un

altro

pur lungo per accessorio.

Ma

trovasse in brevi termini una grande linea di separazione ben definita, questo sarebbe di gran lunga il pi a proposito. Ecco pertanto quale se intelligenza e opinione vera il parer mio
:

sono due cose diverse, allora queste specie, per noi non sensibili ma soltanto pensabili, sono
anche assolutamente esistenti di per s se invece, come pare ad alcuni, la opinione vera non diffe;

risce affatto

dall'intelligenza, allora viceversa la

pi grande certezza deve attribuirsi alle cose tutte, quante percepiamo per mezzo del corpo (2). Ma ef-

collocazione poi dell'avverbio oituj<; toglie di mezzo ogni dubbio. Quanto ai filosofi che sostengono resistenza effettiva delle cose, anzi soltanto delle cose, cfr. Sofista
p.

246 A-B.
(1) TtXiV Xyoc;.
"

per

L'Archer-Hind interpreta qui Xyoc, e vuole che la concetto mentale o universale, questione sia tra Socratismo e Platonismo; io credo si deva intendere pi bonariamente. (2) Cio: se l'attivit intellettiva deve avere un oggetto diverso da quello dell'attivit sensitiva, come oggetto di questa sono le cose sensibili, oggetto di quella saranno le intelligibili; dunque le cose intelligibili devono esistere se invece l'opinare, cio il risultato dell'attivit sensitiva, non differisce dal sapere, cio dal
,,

Capitolo

XVIII.

255

fettivamente bisogna dire che quelle sono due cose diverse, perch sono nate separatamente e sono in rapporto di disuguaglianza: che l'una per

mezzo

della dottrina, l'altra per effetto della cre-

denza si genera in noi; e l'una ha compagno sempre il ragionamento verace, l'altra irrazionale; e l'una immobile incontro alla persuasione (1), l'altra pu mutar di parere; e dell'una bisogna convenire che tutti gli uomini sono partecipi,

ma

dell' intelligenza gli


il

Dei, e in qualche

piccola parte

genere umano (2). Cos stando queste cose, bisogna convenire che una la specie che sempre allo stesso modo, non generata e che 52 non pu perire e che in s non riceve altra cosa

della facolt intellettiva, ossia se attribuiamo all'opinione lo stesso grado di certezza che ha la ragione, allora ha ragione l'oppositore; allora le percezioni dei sensi saranno tutto ci che di pi accertato potremo riconoscere. Ma, soggiunge subito, il primo corno del dilemma il solo vero, dunque le cose intelligibili esistono. Prosegue poi a dimostrare come e perch non pu esser vero che solo quel corno. Badisi che per Platone il noto principio " nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, dal quale noi siam sorisultato
liti

di muovere, non regge affatto, anzi in opposizione con la sua dottrina. Cfr. un'argomentazione del tutto analoga in de Rep. V, p. 477 B, e l'ottima e chiara illustrazione di questa questione in Zeller, 1. e, pp. 643-45.
la persuasione irrazio(1) KivnTOv -rreiGo. Questa nale, la suggestione, quella a cui tendono gli avvocati e a cui si attengono i giudici, come detto nel Teeteto, p. 201 A-C, dove si discute della stessa differenza tra
TriffTri]uri

e Ea Xn6ri<;.
'

vGpuCmwv ^voc, Ppax ti. Si interpreta generalmente e una piccola parte del genere umano '; ma questa sarebbe un'asserzione non consentanea alla teoria stessa di questo dialogo: perci intendo Ppaxu per av(2)

verbio.

256
di fuori,

II Timeo.

n essa passa mai in altra (1), ed innon percepibile da alcun altro senso; quella appunto cui l'intelligenza ebbe in sorte di che uguale di nome (2) e socontemplare migliante ad essa una seconda, sensibile, generata, agitata continuamente, che ha origine in qualche luogo, e che di l di nuovo perisce, afvisibile e

ferrabile dall'opinione per

dello

mezzo della sensazione; che finalmente c' una terza specie, quella spazio, costante sempre, che non soggetta
le

a distruzione, e offre sede a tutte

cose quante

vengono generate, e mentre attingibile non dai sensi ma da un certo argomentare illegittimo (3),
a stento oggetto di persuasione (non di cono-

scenza) (4); in

rapporto

alla

quale

veramente

(1)

Queste parole dimostrano che Platone esclude qui

affatto~a teoria della jaGeHi? quale appare nel Fedone, cio nel senso di immanenza dell'idea nel fenomeno, o, in altre parole, nel senso che il fenomeno partecipi dell'idea corrispondente a quella particolar qualit predica di esso. Qui accettata la correzione o
lo

schiarimento suggerito nel Parmenide (cfr. meni, cap. II, p. 46), cio che la partecipazione non sia altro che imitazione: la uBec; cos diventa pi propriamente uiunoi<; il fenomeno non partecipa dell'idea, ma ne un'imitazione. Cfr. per altro Gaye, o. e. cap. VII e passim. concetto Phikb. (2) t V ud)vuuov x. t. X. Cfr. per il p. 54 A. XoyicJuuJ rivi v0uj. Tim. Locr. p. 94 B: Xo(3) 6tttv Yiauuj vGw, tuj uriiruj wi euuupiav vof)a6ai XX kot' vaXoyiav. questa forse la analogia aristotelica? Cfr.
:

che si meglio Prolego-

o. c, p. 96. uyu; iricrrv. Lo Stallbaum interpreta " cui vix possit fides haberi ulla. E il Martin " elle est peine connue d'une manire certaine. E lo Zeller (o. c. " es sei schwer zu erfassen. Le quali parole p. 742): non pajono avere altro senso se non che la cosa di cui qui si tratta molto dubbia. Io intendo diversamente. Si appena parlato della bibaxn e della Trei0dj come frutto
(4)
:

Chiappelu,

Capitolo

XVIII.

257

anche sogniamo (1) e diciamo essere necessario che tutto ci che sia in qualche luogo e tenga un qualche posto (2), e che ci che non n in terra n in cielo non niente. Queste cose

l'una del voOq, l'altra della bSct, dopo di che Platone classifica i tre elementi della creazione, e primo l'idea che l'oggetto della conoscenza (8 t vnai<; ei'Xnxev mdKOTreTv), in secondo luogo il fenomeno o la cosa, che l'oggetto dell' opinione (Sn |ueT' aaQi\anuc, -rrepi\r|tttv), in terzo lo spazio (t Tf|<; xwpacj, il quale l'oggetto non della conoscenza, ma appena della ma-xiq, la qual ttotk; per altro la parte migliore della Ect, e vai meglio della eKoaict dunque uyi<; incnrv vuol dire
:

che appena qualcosa di pi che eKaa-rv. In de Rep. VI, p. 511, ove appunto si distinguono i diversi gradi di conoscenza, detto che il primo grado quello a cui giunge la ragione con la facolt dialettica: ou aTc; Xyo<; fiTTT6Tai if\ toO ioXTeaGai buvnei: ora qui invece l'oggetto irrv XoyuJMMJ tivi vGiu, e perci non pu essere vonrv, ma uyh; itigtv. Cfr. pure p. 29 C e la nota (p. 163). Ad ogni modo bene osserva lo Zeller al " 1. e. in che cosa poi questo pensare illegittimo pi precisamente consista, Platone certamente non V avrebbe saputo dire.
Cio quando noi considele cose nel mondo fenomenico non possono essere che nello spazio, abbiamo l'impressione fallace che questa sia una legge universale. Non gi che noi vediamo lo spazio quasi in sogno, come fu erroneamente interpretato. Cfr. Chiappelli,
(1) trpi;

f)

...

pXTTOvTeq.

riamo

lo spazio, e

vediamo che

o.

e, p. 98.
(2)

Secondo

il

nostro

modo

di concepire,

una

cosa,

per ssere, bisogna che sia in qualche luogo, e se non in nessun luogo, non affatto. Ora Platone dice che questa un'illusione, e afferma con ci asseverantemente che ci che , cio Dio e le idee, non in luogo, (Phys. Ili, 4, 2. il che egli non persuase ad Aristotele IV, 2, 5), il quale domanda perch non ammetta Platone che anche le idee e i numeri siano in luogo, etirep t ueGexTiKv tttcx;, non accorgendosi che nel Timeo la |u9eti<; non ammessa pi per le idee, ma solo per la Yvecn<;. Lo persuase invece a Dante, Conv. II, 4 e Par. XXII, 67.

258

// Timeo.

tutte e altre sorelle di

quella natura che

non dorme

queste anche intorno a (1) e che sussiste

veramente, per causa di questa sonnolenza, non siamo capaci di distinguerle ridestandoci e di dire il vero, cio che all'immagine (poich non suo neanche quello per rappresentare il quale essa nata, ed essa stessa non che una larva di qualche altra cosa) (2) conviene per questo

(1)

Platone rassomiglia
:

la bota

zioni all'impressione di chi sogna, che

la verit se pertanto il dei sogni, quello della intelligenza

dere

prodotta dalle sensapur crede di Vemondo dei sensi il mondo


il

mondo

della

verit.

Il

perch
(2)
Il

le

senso dunque d'impaccio all'intelligenza, impedisce di prescindere dalle condizioni di


di spazio.

tempo e

nemep o'

cct
"

Martin traduce:

toOto cp' il) yrovev laquelle (image)

tavriic,

emv.

cela

mme

dans quoi elle est ne n'appartient pas. E questo vorrebbe dire che lo spazio o la x^po. in cui l'immagine si genera, non cosa sua, di essa immagine. E inutile dilungarsi a dimostrare che cos non pu essere logicamente, quando non pu essere grammaticalmente, poich non dice v ip, ma cp' ili. N capisco I'ArcherHind, che interpreta che l'immagine non il paradimma " since in its very di s stessa; n la nota del Jowett intention it is not self-existent, che per altro egli pure
riconosce essere oscura. Con tutta precisione spiega invece lo Zeller (o. c, p. 720) " das Wesen, zu dessen Darstellung sie dient, e similmente il Mueller e il Jowett nella versione. dunque l' idea. L' immagine dunque non riceve l'esistenza dall'idea che essa rappresenta, non ne ha la u6ei<;, ma soltanto sua parvenza, una semplice ui|unm<;, e rimane perci un non essere. Per avere un principio o una possibilit di esistenza bisogna si riattacchi a qualche altra cosa, e questa altra cosa la X^pc Nelle parole che seguono, ooick; uuKJYiuu*; vTexouvnv, si intenda oaia<; nel senso di esistenza in generale; il che perfettamente legittimo, in quanto che quella della x^P potr in certo senso dirsi esistenza, ma non essenza. Tutto ci del resto non altro che la spiegazione del perch le cose siano in luogo e le idee no: le cose sono imma:

Capitolo

XVIII.

259

l'

ingenerarsi in qualche altra cosa, afferrandosi

essa cos in
trimenti

qualche maniera all'esistenza, o


affatto

al-

mentre a ci che effettivamente (1), la ragione vera ed esatta soccorritrice (a dimostrare) che, fino a tanto che una sia una cosa e un'altra un'altra, n questa n quella potrebbe entrare nell'altra in modo da restare la stessa e insieme diventar due.
nulla;

non essere

e negata loro la partecipazione all'idea, bisognava trovar per esse qualche altro appoggio. Le idee invece, per presupposto, esistono da s, e perci non hanno bisogno di altro. Per Aristotele, che non aveva ben letto questa pagina, cfr. p. 257 nota 2.
gini,
(1) Cio all'idea. S' detto or ora che l'idea non immanente neh' immagine dunque idea e immagine sono due cose ben distinte e diverse. Se invece nell'immagine si dovesse ammettere la presenza dell'idea, com'era nella prima teoria della u9eEi<;, essa sarebbe immagine e idea nello stesso tempo, il che distruggerebbe la distinzione. Sta bene pertanto che l'immagine, non avendo esistenza sua propria, deva perci afferrarsi a qualche altra cosa ma l'idea invece esiste da s, e perci non pu passare in altra cosa senza rom;
;

pere questa esistenza, senza diventare insieme originale e copia, il che assurdo a pensarsi. Si potrebbe osservare che questa esistenza separata dell'idea in certo modo implicitamente presupposta in questo ragionamento, il quale non si ha da richiedere sia del tutto esauriente, quando fin da principio stato detto che non doveva essere se non una traccia a grandi tratti per non lasciare senza risposta una grossa questione incidentale. Badisi ad ogni modo che questa affermazione dell' esistenza separata delle idee fuori delle cose non porta di conseguenza l'esistenza loro fuori di Dio le idee sono essenza, e sono fuori delle cose, appunto perch le cose non sono essenza; ma poich Iddio invece essenza, questo piuttosto un buon argomento per dimostrare che sono in lui.
:

2<5o

11 Timeo.

XIX.
Questo pertanto il discorso ragionato (i) che posso dare sommariamente del mio pensiero, cio che vi era l'essere, il luogo e la generazione, tre cose tripartitamente, anche prima che fosse il mondo (2); e che la nutrice della generazione,
affocata e ricevendo in s anche le forme della terra e dell'aria e tutte le altre passioni che a queste conseguono, appariva a veirrigata e

dersi svariatissima, e poich era piena di potenze n omogenee n equilibrate, in nessuna parte di s stava in equilibrio, anzi disugualmente sobbalzando era scossa essa stessa da loro, e movendosi alla sua volta le scoteva le cose mosse poi altre di qua altre di l separandosi continuamente venivano trasportate, come nella mondatura del grano, quando, scosse e ventilate dal crivello e dagli altri strumenti, le parti dense e 53 gravi da una banda, e le rare e leggere vanno ad accumularsi in un altro posto (3). Cos avve:

(1) XoyiaOdt;... Xyo<;: (2) Cfr.

cfr.

p.

Prolegomeni, cap.

Ili,

34

A
4,

Xoyi<Ju<H
p. 98.

XoYiodeu;.

disordine, perch sono (3) Le cose si muovono in abbandonate da Dio; per altro il loro movimento non senza un fine: l'esempio stesso del ventilabro scelto a indicare questa tendenza; poi detto espressamente che le parti simili tendevano ad unirsi alle loro simili,

quindi le singole specie a separarsi.

questo ap-

punto stare Xyujq


siste
l'isolarsi inutilmente,

kcxI

urpiui;

perch l'ordine con-

non nel separarsi,

ma nel congiungersi, non nelma nell'associarsi ad uno scopo:


Democrito e
gli

questo

notato

contro

atomisti.

Questo movimento del

resto, o piuttosto

scotimento, e

Capitolo

XIX.

261

niva allora di quelle quattro specie scosse dalla recettrice, mentre si moveva essa stessa come

uno stromento
disuguali
le
si

scotitore, che cio le

parti pi

separavano tra
si

di loro moltissimo, e
il

pi simili

stipavano insieme, per

che oc-

cupavano un luogo le une diverso dalle altre fin da prima che si generasse di esse l'universo ordinato. Ed effettivamente prima di questo tutte
le

misura;
e
s,

cose stavano tra di loro fuor di ragione e di ma quando (Dio) cominci ad ordinare

l'universo,

l'acqua, che

ma

fuoco dapprima e la terra e l'aria avevano bens qualche orma di erano per altro in quella condizione in
il

cui naturale

si

abbia a trovare qualsiasi cosa

ove manchi Dio, queste cose, (dicevo), che erano allora in tale stato, egli dapprima le fregi di forme e di numeri. Che poi Iddio abbia costituito queste cose nel

modo

pi bello e migliore

che fosse possibile da ben diverse che erano, anche questo sopra ogni cosa si tenga sempre per sottinteso nei nostri ragionari. Ed ora bisogna ch'io mi provi di dichiararvi con un discorso C non usuale la disposizione di ciascuna di queste cose e la loro generazione. Ma poich voi conoscete anche i metodi scientifici, per mezzo dei quali necessario dimostrare ci che si dice, mi
seguirete
(1).

che esso produce, sono parte dell'vaYKn., in cui come vele quattro specie infatti Dio pose ordine dremo pi oltre, conservano ancora la tendenza ad accumularsi ciascuna da s separatamente dalle altre, qualora la nuova legge divina le lasci libere. Cfr. p. 57 B
l'effetto
:

e nota.
(1)

Qui finiscono

la

traduzione e

il

commento

di Cal-

adio.

22

II

Timeo.

XX.

Innanzi tutto, che fuoco, terra, acqua e aria


siano corpi
sia.

Ma

noto presumibilmente a chi che ogni forma di corpo deve avere anche
,

solidit (i),

il

solido alla sua volta affatto ne-

cessario che sia limitato da superfici

piane

(2).

(1) In senso geometrico, s'intende; cio deve avere anche una terza dimensione, P9oc. termi(2) Come pu dire Platone che il solido nato da piani? E se la sua superfce curva? O bisogna ammettere col Martin (II, p. 235) che la curva in tal caso si consideri come un poliedro di un numero infinito di faccie o s'ha a ritenere che il filosofo pensi subito alla figura pi elementare che si pu immaginare, e poich in ogni figura curvilinea si pu immaginare iscritta una figura rettilinea, cos la figura pi elementare rettilinea di necessit. L'una e l'altra spiegazione, con altre ancora, sono accennate da Plutarco {Pat. quaest.5), ma che la seconda sia preferibile si pu argomentare da ci che si nota a p. 55 A, cio che il tetraedro regolare il primo solido che divida in parti uguali la superfce della sfera in cui sia inscritto, cio il pi semplice ed il pi piccolo che le si possa inscrivere; la quale osservazione avrebbe cos una ragione di essere, che verrebbe a mancare altrimenti. Continua a dire che ogni superfce piana si pu dividere in triangoli, e ogni triangolo in due altri triangoli rettangoli, e cos via di seguito, di modo che il triangolo rettangolo sia l'elemento primo della figura. Si procederebbe dunque sempre verso l'elemento primo; dalla figura curva alla piana inscritta, dalle superfici ai triangoli di cui sono costituite, da
;

questi triangoli

qualsiasi

ai

triangoli rettangoli che

li

compongono. E procede ancora a specificare. Questi triangoli rettangoli possono essere o isosceli o scaleni: se sono isosceli, hanno perci i due angoli acuti uguali fra loro (cio, come dice, il secondo retto diviso met da una parte met dall'altra), come uguali sono cateti che limitano detti angoli; se sono scaleni, hanno gli acuti
i i

Capitolo

XX.

263

Ora
altri

la

superfce piana e rettilinea costituita di

triangoli,

aventi

ed ogni triangolo ha principio da due un angolo retto e due acuti eia-

scuno: di questi poi alcuni, (gli isosceli), hanno da ciascuna parte una porzione uguale di angolo
retto circoscritta da lati uguali, altri, (gli scaleni), hanno porzioni disuguali divise per mezzo di lati disuguali. Questo pertanto poniamo che sia
il

principio del fuoco e degli

altri

corpi, proce-

dendo necessariamente

col discorso probabile (1);

tra di loro differenti. Sia golo in gli angoli in B e dice Timeo, i cateti AB,

ABC
AC

triangolo isoscele rettaneguali, ossia,

C sono

come

dividono in due parti eguali gli altri 90 gradi occorrenti a fare i 180 di cui consta il triangolo, ed essi cateti, per ipotesi, sono uguali
A.

fra di loro. Sia invece il triangolo scaleno a b e rettangolo in a: gli angoli in b e in e sono disuguali tra di loro, come disuguali sono i cateti ab, a e. Badisi a non intendere,

come grammaticalmente si potrebbe, che i due triangoli rettangoli costitutivi del triangolo comune siano sempre l'uno isoscele, l'altro scaleno, che non sarebbe vero dice solo che ve ne sono di due specie, di cui ciascuna ha le tali e tali propriet.
:

kot tv ^ex' vdfKnt; cura Xyov Ttopeu|Lievoi. " secondo quella ragion verisimile, la quale possa stare insieme con necessit ; e gli altri a un di presso. Ma non capisco, e o ci un controsenso (il necessario infatti rende superfluo il verisimile), o iuet' vYKnq peggio che inutile. Io preferisco legare luer" vdyKr)<; con ktcc, e intendo secondo quel discorso per il quale necessario accontentarsi della probabilit, ovvero che di necessit non pu essere che probabile.
(1)

Acri:

264

II

Timeo.
principi
li

che

principi poi di questi

sa Iddio

amico di lui. Ebbene, biE sogna dire ora quali sono quei bellissimi corpi che ne potrebbero derivare, quei quattro cio,
e degli

uomini chi

sia

dissimili bens tra di loro,

ma

capaci, alcuni

(1),

di nascere gli uni dagli altri nel dissolversi. In-

riusciamo a questo, abbiamo la verit intorno alla produzione della terra e del fuoco e di ci che conforme a proporzione in mezzo a loro. Poich questo (2) non concederemo ad
fatti,

se

alcuno, che vi siano affatto corpi visibili pi belli


di questi, ciascuno nel

suo genere. Convien dunque

metterci di

buona

voglia, e le quattro specie di

corpi di differente bellezza (3) coordinarle, e poi dire che ne abbiamo adeguatamente compreso
la natura.

54

Delle due specie di triangoli l'isoscele ha una


sola natura, lo scaleno infinite. Delle infinite alla

sua volta conviene preferire gliamo cominciare come va.


pi bella
corpi,

la

pi bella, se voOve pertanto qualdi

cuno ne abbia da scegliere e da indicare un'altra


ancora per
la

costituzione
egli

questi
(4):

nemico no,

ma

amico

vincendo

Alcuni, non tutti, perch ne esclusa la terra; pag. 49 B-C (p. 247 e note) e pag. 54 B-C. (2) Leggasi xe con I'Hermann, col Mueller e con I'Archer-Hind, invece della vulgata tote accettata dallo Stallbaum, che si adatta meno al filo del discorso.
(1) cfr.

(3)

ictfpdpovTa KdXXei ....ouvapuaaoSai

di differente
;

perch la differenza che bisogna coordinare non gi insigni per bellezza, come intendono tutti gli interpreti: vero che essi intendono ouvap|uoao0ai nel senso di costruire, secondo me, a torto. Ci che segue
bellezza,
infatti tratta piuttosto dei

rapporti fra le quattro specie,

che non delle propriet di ciascuna a parte. Kpaxe. Lo Stall(4) Kvo<; ok x0p; Ov \\ cpiXoc, baum vede in queste parole l'apparenza d'un proverbio

Capitolo

XX.

265

intanto per altro noi dei molti triangoli ne pro-

poniamo uno come pi


altri,

bello,

trascurando

gli

cio quello che ripetuto costituisce

un terzo B

triangolo, (e questo) equilatero (1): perch poi sia in tal guisa, il discorso lungo, ma a chi sa-

pesse ci confutare e trovare che non cos, daremmo in premio la nostra amicizia (2). I due
triangoli pertanto, coi quali stato fabbricato
il

corpo

del

fuoco e quello degli

altri

elementi,

siano scelti l'uno isoscele, e l'altro che abbia il maggior cateto triplo in potenza del minore (3).

pare di trovarvi piuttosto le membra disgregate a di un trimetro giambico, che si potrebbe forse ricostruire cos: ok xOp<; ujv xzivoc,, \K' puJv xpaxe.

me

triangoli rettangoli (1) Due giunti insieme sul cateto mag-

scaleni

ed uguali con-

giore generano un triangolo equilatero quando il cateto

minore
dell'

sia

uguale

ipotenusa.

alla met Riassumo

dallo Stallbaum la seguente dimostrazione: Siano i due


triangoli

rettangoli

scaleni

ed uguali

pi recenti invece accettano la volgata qpiXta ; ma esfiGXa parola tecnica, dubito ci possano essere 39Act amichevoli e non amichevoli: la quXia questa volta il premio della gara, conforme detto poco prima cpiXot; xpciTe!. La frase del tutto regolare cfr. Xenoph. Anab. I, 2, io: T S9Xa fjaav cnXe.-'ryibtc, xpucfat. (3) lo stesso triangolo scaleno rettangolo col cateto minore uguale alla met dell'ipotenusa. In questo triangolo il quadrato costruito sul cateto maggiore tre volte il quadrato costruito sul minore: cio, come dice, triplo in potenza. Infatti prendiamo il triangolo
i

met dell'ipotenusa AB, e " AB AC. cos DC met di AC. Perci BD -f DC (2) (piXictT c9Xa. Cos Stallbaum ed Hermann con A;

giunti per il sia il cateto

ABD, ACD concateto AD, e

BD

eguale alla

sendo fa

Fraccaroli,

II

Timeo di Platone.

23

266

II

Timeo.

Ma ci che prima (i) fu detto non chiaramente, ora conviene definirlo meglio. Perocch le quattro specie c'era parso allora che tutte vicendevolmente si trasformassero le une nelle
C
altre,

e non era parvenza retta. Nascono infatti bens dai triangoli, che abbiamo prescelto, quattro specie, tre delle quali da quell'uno che ha i lati
disuguali,

ma una

sola, la quarta, costituita dal

triangolo isoscele.

Non sono dunque atte tutte, une nelle altre, a diventare da sciogliendosi le molte piccole poche grandi e viceversa; ma le tre prime s. Perocch, essendo nate tutte da un
(triangolo)

solo, sciolti i complessi maggiori, molti piccoli se ne formeranno, e riceveranno le forme che loro convengono, e cos, quando i molti piccoli alla loro volta siano disgregati nei
triangoli elementari, se d'un fascio se

ne faccia

un'unit,

se

grande

(2).

ne potrebbe avere un'altra specie E questo sia detto sul trasformarsi

ADB

(figura
il

precedente):

se

AB
.

(AB) 2 sar

quadruplo di (BD)2 2 (BD) 2 (AB) 2 di Pitagora (AD) 2 triplo di (BD)

Ma

doppio di BD, per il teorema dunque (AD) 2 il


il

(1) Cfr.

pag. 49 C.
vo; ykou bastasse il
uyci noTeXcriev

(2) Yeviaevoq 1; tpiOuc; v &Xko eboc, 'v. Se non

senso, la stessa collocazione delle parole dimostra che vo; oykou va unito con piGu;. Dice che l'acqua, l'aria e il fuoco, constando tutti elementarmente degli stessi triangoli scaleni, possono tramutarsi a vicenda in questo modo, che cio quella specie che consta di elementi maggiori, poniamo l'acqua, che rappresentata dall'icosaedro come si vedr poco pi oltre, pu sciogliersi in quelle dagli elementi minori, dunque l'acqua in aria, che rappresentata dall'ottaedro, fino a che si viene alla dissoluzione nei triangoli elementari, i quali poi si possono ricostituire in nuove unit, e quando questa nuova

Capitolo

XX.

267

d'una specie in
specie che
di quali
si

un'altr?..

Ma

quale sia ciascuna

ottiene di loro, e dal concorrere


si

numeri

ottenga, sarebbe conseguente

ora dire. E andr appunto innanzi la specie prima e la pi minutamente costituita. Elemento di essa
il triangolo che ha l'ipotenusa doppia in lunghezza del cateto minore: ora, combinando cotali triangoli a due a due per la diagonale, e ripetuta questa combinazione tre volte, convergendo le diagonali e i cateti minori in uno stesso punto come in un centro, si ha un triangolo equilatero, di sei di numero che erano (1). Congiungendo

unit sia costituita in un complesso, allora si ha la nuova specie; cio i triangoli, che prima costituivano l'acqua, potranno ora costituire il fuoco, e quelli del fuoco l'acqua, e cos via. Comunemente invece si congiunge do<; ev vq oykou e si intende che fanno un corpo di un'altra

forma.
(1) questa un'altra propriet del suddetto triangolo rettangolo scaleno. Siano i due triangoli rettangoli scaleni uguali abg e afg con-

giunti

per
del

l'

ipotenusa

ad:

doppia

cateto

minore

diagonale del quadrilatero abgf: per questo si parla di congiungere i triangoli per la diagonale (iueTpoO anzi che per
questa diventa la
altre due triangoli abbiai quadrilateri cbgd, edgf, i quali, congiunti insieme sui cateti minori dei singoli triangoli

l'ipotenusa.

Con

coppie di

tali

mo

che

li

compongono,

triangolo equilatero ace. Questo pertanto risulta di sei triangoli rettangoli scaleni ciascuno con l' ipotenusa doppia del cateto minore. La dimostrazione si pu fare anche in senso inverso, prendere cio il triangolo equilatero ace, calare dal vertice di ciascun angolo la perpendicolare sul lato opposto, e dimostrare che se ne hanno sei triangoli rettangoli ecc. uguali fra loro.

generano

il

2 68

II Timeo.

poi quattro triangoli


di tre angoli piani

equilateri, ciascun
solido,

gruppo
il

d un angolo

quale

55 viene per ordine subito

dopo dell'angolo piano

pi ottuso
si

e di

tali

forma

cos la

(gruppi) essendovene quattro, prima specie solida (i) che ha

propriet di dividere in parti uguali e uniformi iscrivono comune a tutti i poliedri regolari. Questo il primo, quello cicc che ha minor numero d faccie, il tetraedro regolare, una piramide la cui base e i cui lati sono triangoli equilateri uguali tra loro. L'angolo piano pi ottuso quello che pi si accosta ai due retti: l'angolo solido qui descritto somma invece a due retti esatti. I triangoli infatti, di cui consta il tetraedro in questione, hanno tutti gli angoli eguali; perci tre di questi angoli comunque presi equivalgono
(i)

La

la sfera in cui si

cos i tre che costituiscono un triangolo, Questa che costituiscono un angolo solido. concezione presenta delle grandi difficolt. Fino a qui si era parlato di superfici; ora le superfici si collegano insieme e fanno dei solidi. Questi solidi sono essi pieni o vuoti? Pieni di che? Di materia informe, risponde il Gomperz (o. e, pag. 491); e qui intanto si pu opporre subito che non sarebbe pi informe questa materia se ha gi ricevuto le forme matematiche dei poliedri. Diremo che sono vuoti ? Si oppone che Platone pi oltre nega l'esistenza del vuoto; e a ci si pu rispondere ch'egli veramente a p. 58 A-B non nega il vuoto assolutamente, nega solo che duri; dice anzi che talora nei corpi si fa un vuoto grandissimo e talora uno piccolissimo, che sempre

a due

retti,

come

tre

subito si riempie; e sta bene, ma se si riempie, intr.ito vuol dire che il vuoto c'era. Anche a ritenerli solidi vuoti per altro, di questo vuoto che contengono non si capisce il perch, pi che non lo si capisca del pieno. Gli che cosi la questione mal posta. Platone nel determinare le forme originarie non pensa alla materia, ma allo spazio. Egli introduce il Trpcu; nell'firreipov, e questo, com' detto nel Filebo, il numero e la misura: le forme geometriche sono appunto numero e misura. Le sue superfici pertanto non sono superfici

semplici delimitazioni matematiche (cfr. non sono contenenti, ma misure, e i solidi geometrici che esse circoscrivono non sono solidi materiali, ma corrispondono a quei numeri che
materiate,

ma

Zeller,

1.

e, p. 736),

Capitolo

XX.
in parti

269

la

propriet
tutta

di
la

dividere
poi

uguali
in

e uni-

formi
iscritta.

superfice della
si

sfera

cui

La seconda

ha pure dagli

stessi

triangoli elementari, triangoli

ma

congiunti insieme in otto

solido che
sei di

fare un angolo ha quattro angoli piani; ed ottenutine questi, anche il secondo corpo cos comequilateri in

modo da

piuto (1). La terza specie poi consta di cento venti elementi uniti insieme, e di dodici angoli solidi chiusi ciascuno da cinque triangoli equilateri piani,

ed ha venti basi (o.faccie)

in

forma

abbiamo veduto essere come mediatori tra le idee e Se le cose sono immagini delle idee e se le idee sono forme, il tcrtium comparationis^ non pu trovarsi nella materia, ma deve di necessit consistere nella forma. E dell' introduzione della forma nel substrato qui si occupa Platone, e dalla materia prescinde. l'acqua, la terra ideali e che sempre Il fuoco, l'aria, sono, di cui ha parlato a p. 51 B-C, possono essere
le cose.

imitate nel mondo del divenire per mezzo di quei rapporti matematici che abbiamo veduto questo ci che Platone vuol dire, e in questo senso ci che egli dice ha senso. Cfr. nota a p. 56 (pp. 274-275). Egli pertanto non intento propriamente a cercare i primi elementi della materia, gli atomi, gli indivisibili, ma i primi elementi delle forme. E il primo elemento delle forme il triangolo rettangolo, n altra forma pi semplice di questo triangolo si d; e perci quando ha ridotto le figure a questo elemento gli basta, perch questo, quanto a forma, effettivamente il primo, o in altre parole la pi semplice applicazione del upaq: n si cura di cercare il pi piccolo, perch di necessit il pi piccolo procede
:

in

infinito e
ci

Non
goli
siste

per noi non pu essere che un dhreipov. deve perci far meraviglia se di questi trianelementari ne ammette poi di pi grandine di pi
diversa consistenza e qualit; il upaq connell'essenza di questa figura, non nei suoi acci-

piccoli, di

denti.
(x)

l'ottaedro,

il

quale ha otto facce


dell'aria.

triangolari e

sei angoli.

la

forma

270

//

Timeo.

di triangolo equilatero (1).

l'uno degli elementi

esaurito

con

tutta

questa generazione.

Ma

il

triangolo isoscele gener la natura della quarta


specie,
retto
si

unendosene quattro di modo che l'angolo congiunga al centro e ne nasca un tetali

tragono equilatero (2). Sei di sieme fanno otto angoli solidi,


di tre angoli
retti piani, e la

collegati in-

costituiti

ciascuno

che se ne compone basi (o faccie) piane quadrate (3). Ma essendovi ancora una quinta combinazione, Iddio se ne serv per decorare il disegno dell'universo (4).

forma del corpo diventa cubica ed ha sei

(1) l'icosaedro, la forma dell'acqua; ha venti faccie, ciascuna, come si veduto di sopra, composta di sei triangoli rettangoli scaleni elementari consta dunque di centoventi elementi. Per la stessa ragione l' ottaedro consta di quarantotto, e il tetraedro di ventiquattro. (2) Siano i quattro triangoli rettangoli isosceli acb, bec, ced, dea uniti in modo che l'angolo retto di ciascuno sia nel centro; se ne ha il quadrato abcd. La stessa dimostrazione si fa anche in senso inverso, cio che ogni quadrato per mezzo delle diagonali pu essere diviso in quattro triangoli rettangoli isosceli; e in vista di
:

questa dimostrazione Platone afil quadrato composto di quattro triangoli isosceli, mentre effettivamente a comporlo bastano due. Osserva infatti molto a proposito I'Archer-Hind che, se avesse fatto comporre il quadrato di due isosceli, e di due scaleni pure il triangolo equilatero, nel caso di dissoluzione nel si sarebbe incerti dove segnare la linea di frattura nostro quadrato per esempio se dovesse segnarsi lungo ac o lungo bd. (3) Il cubo la forma elementare della terra. (4) Qui accenna al dodecaedro, il quinto solido regolare esistente in natura. NelPEpinomide si dice che esso e la forma dell'etere ma questa non pu essere affatto

ferma essere

Capitolo

XXI.

271

XXI.
Queste cose tutte ponderando con precisione, ove uno poi fosse incerto se si deva dire che mondi siano infiniti o finiti di numero, quella i che siano infiniti la potrebbe ritenere veramente l'opinione di tale che non ha finito (1) di impama quanto a dire rare ci che conviene sapere che ne siano stati veramente generati uno o cinque (2), chi si fermasse su questo punto, po;

trebbe dubitare a miglior ragione

(3).

Il

parer

p. 58D l'etere detto essere che la parte pi pura dell'aria. Questa dell'etere pare fosse invece la dottrina di Filolao, da cui Platone attinse le altre quattro forme di solidi, allontanandosene qui forse perch^ il dodecaedro non si adattava alla novit da esso introdotta in questa teoria, di ridurre tutte le forme al triangolo rettangolo. Erra infatti Plutarco (Ouaest. Plat. 5, 1) ritenendo che le sue faccie constino ciascuna di cinque

la dottrina

del

Timeo, dove a

esplicitamente non

triangoli

equilateri.

Evidentemente

il

dodecaedro non

rappresenta secondo Platone alcun elemento, ma serve solo di decorazione, e corrisponde, come del resto pur vide anche Plutarco (1. e), ai dodici segni dello zodiaco.

Ttdpou tivcx; (1) t uv ntipovc, n/fridair' fiv ovtux; dvai Yua itiv guTtapov \pewv elvai- Ho cercato di tradurre il giuoco di parole sul doppio significato di cittc-ipo;, che vale infinito e inesperto; ma impresa che riesce sempre male. Lo stesso giuoco nel Filebo, p. 17 E. Che i mondi fossero infiniti J era opinione di Democrito. (2) Forse perch in natura vi sono cinque poliedri
regolari.
arac, ekTuuq tctTropncrcu. (3) uaXXov v TauTU zione pi comune ojc, di molto preferibile a

La
irete;

le-

di

qualche codice, accettato dallo Stallbaum.

Infatti

ircq

272

11

Timeo.

nostro pertanto dice che secondo ogni ragione plausibile ne fu prodotto uno solo (1); ma altri, badando ad altre considerazioni, opiner forse altrimenti.

Ma
il

buiamo
aria.

questo lasciamolo andare, e intanto distrile specie, che abbiamo ottenuto secondo
alla terra

nostro ragionamento, in fuoco, terra, acqua e

diamo

la

forma cubica, perocch

delle quattro specie la


i

meno mobile

e di tutti
sia

corpi la pi plasmabile.
le

tale

bisogna che
i

quello che ha
goli

basi pi salde; che fra

trian-

che abbiamo assunti da principio men vacillante per sua natura la base di quelli che hanno (due) lati uguali che non sia quella di
quelli

che

li

hanno

disuguali, e delle

superflci

che si compongono dell'uno e dell'altro, il tetragono equilatero in confronto del triangolo


equilatero
(2)
,

rispetto

alle

parti

e rispetto

un riempitivo inutile, o, se si intende rigorosamente, in contraddizione con tutto il resto, poich subito dopo Timeo si mostra convinto che il mondo sia uno solo: egli ammette dunque che se ne possa dubitare, non gi che ne dubitino tutti. Ma il Martin, che tiene otc, non interpreta rettamente con " on pourrait ...
rester dans l'incertitude.
(1)

t uv ouv
-rreflpUKTa

bf]

irap' f\ix(hv

va aTv nata xv cuora

Xyov

unvei. Il cod. dopo pnvei aggiunge Geq, lezione che fu accettata da qualche editore, come dallo Schneider. Ci rende pi normale la costruzione del verbo unvui, ma dopo una tale asserzione non si

capirebbe bene come si potesse pi soggiungere che per altri potrebbe pensare altrimenti. Perci credo che Geo; sia stato aggiunto da chi riteneva necessario un soggetto, non parendogli tale t trap .uujv. (2) TeTpdYiwvov TpiYiijvou ... araaiutuTpiu*; ... (3pnKe. Qui per tetragono si intende il quadrato. Come nella filosofia, il tetragono fu simbolo di solidit e costanza anche nella poesia. Sim. fr. 3 (II.) v. 2: xcpoiv re kc
1

Capitolo

XXI.

273
il

all'

intero, di

necessit

riesce pi stabile. Per

che, attribuendo questo alla terra, conserviamo la probabilit del discorso; all'acqua poi (da- 56

remo)

la

forma che

delle rimanenti

pi
al

diffi-

cile a muoversi, la pi mobile di tutte

fuoco,

e quella di

mezzo
il

all'aria;

e cos

il

corpo
al
il

pi

piccolo
di

al

fuoco,

pi grande all'acqua, e quello


il

mezzo

all'aria; e

pi acuto ancora

fuoco,
terzo

e quello
all'acqua.
il

che

gli

vien

dopo? all'

aria,

Di
il

tutti

quanti pertanto quello che ha


di basi (1) necessario sia di

minor numero
il

sua natura
le parti

pi mobile, perch di tutti da tutte pi agile, constando esso del


degli
stessi

pi tagliente e iljpi acuto, e insieme


il

( necessario sia)

pi piccolo

numero

elementi

cos

quello che viene secondo (bisogna che) abbia le stesse caratteristiche in un grado inferiore, e il terzo in un terzo. Dunque, conforme al discorso retto e insieme conforme al probabile, quel corpo solido che ha assunto la figura della piramide (2)
sia

l'elemento
e

il

seme

del

fuoco, e

il

se-

condo

in ordine di
il

dell'aria,

generazione diciamolo quello terzo dell'acqua (3). Tutte queste

ttooI kc vlu TexpdYujvov, onde Dante, Par. XVII, 24 (attraverso ad Aristot. Eth. Nic. I, io, 11):
"

Ben tetragono

a'

colpi di ventura.

(1) t uv l\ov ArfitfTCtc; &oe\c,. Lo Stallbaum dall'errata lezione Xyck; rc, preferisce trarre \rfoaT<;. Per il senso si pu dire sia indifferente; certo ad ogni modo il significato che qui si richiede, ed pochissime e non gi piccolissime. Ora poich due righe pi sotto troviamo XiyicrTwv nell'identico senso, non probabile che qui si sia usata una parola inutilmente diversa. (2) Come si visto, il tetraedro. (3) Cfr. p. 55 A-B e note (pp. 268-69).

274

II

Timeo.

cose pertanto bisogna concepirle cos piccole che

C ciascuna di ciascuna specie da se sola per la piccolezza non sia affatto visibile per noi, e solamente quando ve ne siano molte raccolte insieme se ne veda il complesso. E quanto alle proporzioni circa le quantit e movimenti e le
i

potenze tutte, (bisogna pensare) che Dio, in quanto la natura della necessit spontanea e persuasa gli cedette, in tanto, dopo averle in ogni parte esattamente compiute, le abbia coordinate
altre

razionalmente.

XXII.

Ora da

tutto

ci che

abbiamo premesso

in-

torno a queste specie, ecco

forse essere

secondo

la

potrebbe probabilit. La terra imla

come

battendosi nel fuoco e disciolta dall'acutezza di esso andrebbe dispersa, o che si disgreghi nel

fuoco stesso o
fino

nella,

massa

dell'aria o dell'acqua,
le

a che,

riconnettendosi tra di loro


terra. in

parti

sue cui accadesse di trovarsi insieme dove che


sia,

Perocch certo non specie. L'acqua invece disgregata dal fuoco, o anche dall'aria, ammissibile che diventi, ricomponendosi (i),
si rifaccia ancora potrebbe mai passare

altra

(i) yxuupe

yiTveaBai

EucTtvra

Stallbaum correggono Suatvra


chiaro
il

k. t. X. L'Ast e lo varv, che rende pi

senso e pi regolare il costrutto, sebbene l'esia assolutamente necessario, potendo plurale riferirsi ai tre corpi che vengono formati il dalle particelle disgregate dell'acqua. Ricordisi che all'acqua e assegnato l'icosaedro, e che ogni icosaedro

mendamento non

Captolo

XXII.

275
al
si

un corpo

di

frazionarsi dell'aria,

fuoco e due di aria; e quanto d'una parte di essa che

dissolva potrebbero nascere due corpi di fuoco. Viceversa quando del fuoco rinchiuso da aria o

da acqua o da della terra, queste

in

copia ed

e vinto esso poco, trascinato dal loro due corpi di fuoco si nella lotta, sia infranto,

movimento

possono comporre insieme


ridotta in briciole, di

in

una sola forma

di
sia

aria; e cos 'quando l'aria sia soverchiata e

due interi e mezzo di essa combiner un intero di acqua. Infatti, consideriamo queste cose anche a quest'altro modo: quando una specie delle altre chiusa nel fuoco 57 sia tagliata da esso con l'acutezza degli angoli e
si

dei

lati,

cessa

dall' esser

riducendosi questa alla natura di quello, pi divisa. Perocch ciascuna

specie che sia uguale, anzi la stessa di s stessa, non capace n di introdurre alcun cambiamento n di patirlo da cosa che sia uguale ad essa e
allo stesso

modo

di essa (1):

il

disciogliersi in-

contiene due ottaedri (che rappresentano l'aria) e un tetraedro (che rappresenta il fuoco). Cos subito dopo detto che di ogni parte d'aria possono prodursi due di fuoco, appunto perch ogni ottaedro contiene due tetraedri. Quando si dice per altro che un ottaedro contiene due tetraedri e cos via, non si ha da intendere affatto che i due tetraedri, o rispettivamente i due
ottaedri, si ottengano sezionando meccanicamente la fivuol gura in questione, il che non sarebbe vero; dire semplicemente che con le otto faccie dell'ottaedro possono costituirsi due tetraedri, e cos via; il che conforta l'interpretazione che abbiamo dato della costitu-

ma

zione di questi solidi nella nota a p. 55 A (pp. 268-69) se le superfici ivi descritte non sono altro che limiti, esse potranno sempre disporsi in tutte quelle combinazioni nelle quali possano essere tutte esaurite.
:

(1) Dimostrato che fuoco, aria e acqua possono passare l'ima specie nell'altra componendosi e disgregan-

276
fatti

//

Timeo.

dura solo

fin

nell'altra specie,

tanto che l'ima scontrandosi essendo da meno, combatta con

quella che la soverchia; (dopo,

non

pi). Simil-

mente ogni qual

volta le specie pi piccole (i)

B dentro

poche chiuse intorno da spengano, come vogliono ricongiungersi nella specie di chi le ha soverchiate, cessano dallo spegnersi, e di fuoco si fa aria, e d'aria acqua. Che se invece si muovano ad assalirla (2), e qualcuna delle altre specie concordelle maggiori,
si

molte, infrante

ne viene di conseguenza che, quando la disgregazione compiuta, cessi tra esse la lotta. L'aria, come siasi disciolta in fuoco, non combatte pi col fuoco, perch nessuno pu combattere s stesso: essa si assimila all'elemento vincitore. Ci contro la teoria di Democrito, per la quale veggasi Aristotele, De gai. et
dosi,

corr.
(1)

I,

7, 2.

sia

Sembra a prima una gran quantit di


"

vista che in questo capitolo ci ripetizioni; non c' effet-

ma

tiva tautologia. Platone r) spiega come a) le forme pi grandi siano disciolte dalle pi piccole, 3) le pi piccole siano disciolte dalle pi grandi; 2) dichiara che a) una piccola massa delle forme pi grandi chiusa tra una grande massa delle pi piccole, P) una piccola massa delle pi piccole chiusa tra una grande massa delle pi grandi, pu riacquistare una forma determinata diventando simile all'elemento vittorioso (Archer-Hind). ' e<; aura tu. ned tuv XXuiv ti uviv y^vcx; (2) v u-xn.Tai. Le interpretazioni che si davano di questo luogo sono aggrovigliate e confuse, mentre esso chiarissimo: v b correlativo del precedente* IvvicnaoQai
ILiv, e continua il ragionamento di prima. Cos press'a poco intende anche I'Archer-Hind. Se dunque le specie pi piccole e pi poche si acconciano a cedere al pi forte, prendono la sua natura, ed finita la lotta e la trasformazione; se invece fanno resistenza..., e come potreb-

bero far resistenza? Quando trovassero alleati di fuori. Ebbene, allora la lotta continua, fino a che il vinto sia
del tutto assomigliato al vincitore, o se ne parta. La lezione d; ot tt] fu attinta dal Bekker al cod. A, ed universalmente accettata: la vulgata tciOtcc f\ potrebbe

Capitolo

XXII.

277

rendo insieme combatta, non cessano dall' esser sciolte, fino a che o del tutto respinte e disgregate
si

rifugino nella specie della loro natura, o,

una cosa sola uguale al ad abitare con esso. Ed effettivamente appunto secondo questi accidenti ciascuna di queste specie muta luogo (1). Perocch di ciascuna specie la massa principale si va a porre a luogo suo proprio in virt del movimento della recettrice, e ci che di volta in volta si disuguaglia da s stesso e si uguaglia ad altri vien trasportato dallo scotimento verso il luogo
vinte e diventate di molte
vincitore, restino
di quello a cui siasi uguagliato.

(tutti)

Quanti sono pertanto i corpi semplici e primi, per mezzo di queste cause si produssero: del comprendersi poi nelle specie loro altre sottospecie da ascriverne la causa alla costituzione di ciascuno dei due elementi (2), in quanto per

pensare anche a eie at 1r\ ] kg twv aXAuuv k. t. X., che risolverebbe l'ipotesi in due alternative, forse pi razionalmente, perch specifica meglio i casi possibili.
far
(1) Dopo aver detto come le quattro specie si trasformino passa a dire del loro luogo. E qui si torna a parlare di quel movimento della recettrice di cui si era detto a pp. 52 E-53, e anche qui si ripete che ciascuna speci tende a riunirsi in s stessa (cfr. p. 63 B) separandosi dalle altre. dunque il movimento dell' vdyKn quello che qui si rappresenta, prima che Dio introducesse nel mondo l'ordine, conseguente per altro a quella prima Y^veOK;, dalla quale la x^pa fu fecondata. V. Prolegomeni, cap. Ili, 6. (2) Questi due elementi sono lo scaleno e l'isoscele.

Notisi qui

come si ammetta variet non solo di figura anche di grandezza nei corpi elementari, il che pure costituisce una nuova difficolt. vero che qui si parla non propriamente dei triangoli elementari, ma di quelli che sono costituiti dagli elementari, ma non si vede come da quantit egualmente minime potrebbero

ma

Fraccakoli,

II

Timeo di Platone.

24

278

//

Timeo.
si

ciascuna (costituzione) non

produsse da prin-

cipio

il

triangolo di

grandi e pi piccoli,

una grandezza sola, ma e pi e tanti di numero quante pos-

sono essere le sottospecie nelle specie. Per tal modo mescolate queste cose con se stesse e tra di della quale loro se ne hanno infinite per variet; conviene si facciano osservatori quanti vogliono intorno alla natura adoperare un ragionamento

plausibile.

XXIII.

Ma
qual
ci
si

sul

movimento per

altro e sulla quiete, in


si

modo

e per quali cause

generino, se non

metta d'accordo prima, ci potrebbero essere molti impedimenti per il ragionamento che dee
venir poi. detto
;

In

parte pertanto su

di

ci

si

gi

da aggiungere che nella uniformit movimento non pu mai darsi che avvenga. Perocch una cosa che si abbia a muovere senza un motore, o un motore senza una cosa da muovere, difficile o piuttosto impossibile che si dia. Ora non c' movimento quando manoltre di quello

ma

chino queste (due) cose, e che esse siano uniformi


tra loro affatto impossibile (1); quindi eviden-

aversi somme differenti. E allora si pu osservare che, se i triangoli costituenti sono e pi grandi e pi piccoli, grandi non sono elementari, perch si potranno i pi dividere ciascuno in due, e che il grande e il piccolo non pajono concetti che possano stare nella definizione degli elementi. Io mi conlesso incapace di risolvere in alcun modo plausibile questa iropia.
(1)

Aveva

detto a pag. 57

che tra simile e simile

non pu essere n azione n passione.

Capitolo

XXIII.

279

temente porremo la quiete nell'uniformit, il movimento nella disformit. La disuguaglianza poi 58


causa della disformit; e della disuguaglianza

abbiamo esaminato la genesi (1): ma come mai non (succeda che) queste cose si separino secondo la loro specie ciascuna e cessino perci dal muoversi e dall'essere trasportate le une attraverso le altre (2), non l'abbiamo detto. Ora
pertanto
ci

rifaremo a parlarne.

Il

giro dell'uni-

verso, poich ebbe comprese in s le dette specie, essendo di forma circolare e tendendo per sua

natura a rientrare in s
cose
(3) e
(4).

stesso, stringe tutte le

non permette che rimanga alcuno spazio


Per ci
il

vuoto

fuoco sopra tutto

si

insinua

in tutte le cose, e l'aria in

secondo luogo, come B


pure

seconda per

sottigliezza, e le altre specie

(1)

Cio quando

si

teria e si

esaminarono

tratt della costituzione della male diverse forme dei triangoli

elementari e delle figure che se ne componevano. 'Kaora (2) m<; o Trote o kot ^vr\ oiaxtupio0vTa
TtTtauTcu
Tfjs i' XXnXuuv Kiviqaeuut; k. t. X. Lindau e Stallbaum intendono come mai le specie, ancorch separate, non cessino dal moto; Martin, Mueller e Jowett come mai, quando si separano ecc.; Archer-Hind come mai non si separino e (perci) non cessino di muoversi; e questo mi pare renda meglio tanto il senso
: : :

logico quanto
si

il grammaticale. Il pericolo appunto che separino xcn- fvr\ (cfr. Aristotele, De gen. et corr. II, io, 9), il resto ne la conseguenza. 185 (Karsten): (3) Cfr. Empedocle, fr. 38 (Diels) Ttrv r\b' aiSi'ip aqpiYYwv irep kkXov airavra. Iq. XeirceaSai. Che xwpa (4) kc Kevr)v xwpav oeyiav qui non deva esser preso in senso tecnico evidentissimo. Il Gomperz (II, p. 484), per impugnare che la xwpa sia lo spazio, nota che Platone esclude il vuoto dal suo sistema. Si pu rispondere 1) che i concetti di x^P a e di xevv non sono identici, poich la x^P a corrisponde alFfiimpov e il xevv si pu concepire, e qui infatti si concepisce, come limitato intorno dalla materia, 2) che

280

// Timeo.

a questo

modo. Perocch

parti assai grandi, assai

quelle che sono fatte di grande vacuit lasciano

nella loro costituzione, e le pi piccole brevissima:

ond' che

l'urtarsi della

piccole negli

interstizi

condensazione sospinge le delle grandi (i). Ponen-

dosi pertanto le piccole presso le grandi, e le piccole separando le grandi, e le grandi comprimendo le piccole, tutte sono trasportate alla
rinfusa verso

tando

il loro proprio posto. Perocch, mugrandezza, ciascuna muta anche il luogo dove ha da stare. Cosi adunque e per tali ra-

la

gioni perpetuandosi la produzione della disformit, (questa) produce cose,


il
il

moto continuo

di queste

quale e sar ininterrottamente.

Platone non ha mai dichiarato di ammettere l'esistenza attuale della xwpct di per s nel mondo fenomenico, 3) che egli non nega assolutamente neanche l'esistenza iniziale del vuoto, come vedremo anche nella nota seguente.
(1)
il vuoto, cio nega che il vuoto duri, formi, come abbiamo visto nella nota

Platone nega
si

non nega che

a pag. 55 (p. 268). E ci che abbiamo osservato l qui riceve rincalzo (cfr. pure nota a p. 79 C). Infatti, essendo le quattro specie composte di solidi geometrici, quando le une entrano nelle altre, di necessit lasciano

non aderendo tra loro esattapeniamo, e gli icosaedri. Dei v.ioti pertanto si formano, ma dei vuoti precari; e appunto per la necessit di riempire questi vuoti ha luogo il movimento. Infatti Leucippo (Arist. P/iys. IV, 6, 3-4) aveva osservato che, se tutto pieno, allora un corpo che si muove entra in un altro corpo, quindi pi corpi occuperebbero lo stesso posto ecc. Ma Platone risponde, continuer col Martin (II, pagg. 256-57) " tout corpuscule qui se meut pousse devant lui un autre corpuscule qui en pousse un autre et ainsi de suite; tous ces corps pousss forment une chane circulaire, dont le premier et le dernier anneau se touchent, de sorte que chaque place se trouve remplie l'instant mme
degli
interstizi

vuoti,

mente

le piramidi,

Capitolo

XXIV.

281

XXIV.
sono danno, come la fiamma, e ci che emana (1) dalla fiamma e che non brucia ma d luce agli occhi, e ci che ne resta nei corpi

Dopo

di ci poi bisogna pensare che molte


si

le

specie di fuoco che

infocati

dopo che

la

fiamma

spenta.

allo

stesso

modo

nell'aria (v') la parte pi

limpida

che si chiama col nome di etere, e la pi torbida, nebbia e tenebra, e altre specie senza nome, le quali tutte son generate dalla disuguaglianza dei triangoli. E quanto all'acqua la si distingue
in

due

fin

da principio,
(2).

la

specie liquida

e la

specie fondibile

La

liquida pertanto, perch

elle deviendrait vide, et ainsi le vide n'existe jamais. Telle est la thorie platonique de l' impulsion circulaire, Trepitjuat<;, reproduite par Aristote sous le nom

vTmepiOTaan; et par les Sto'iciens sous celui de -rreNous verrons quel parti Platon en tire pour expliquer la respiration, les effets des ventouses, et les accords l'attraction lectrique et magntique musicaux. Ce principe de l' impulsion circulaire, celui de l'attraction des semblables, celui qui assigne quatre rgions distinctes la masse principale de chacune des quatres espces de corps lmentaires, enfln la loi des transformations des corpuscules, tels sont les grands
d'

piOTaaic;.

principes de la physique de Platon.


(1)

e il cod. Fior. X, lezione generalmente accettata: la vulgata tttv, bench data anche da A, non d senso soddisfacente.
tto
xi)c,

(pXo-fc;

ttiv.

Cos

Galeno

(2) Anche di qui si pare evidentemente che i quattro elementi non sono per Platone che quattro stati della materia, e che la materia si ascrive all'uno o all'altro di questi stati secondo che capace di ridursi ad esso. Per tal modo anche i metalli si riducono alla seconda

282

// Timeo.

d'acqua pi piccole e pur disuguali, mobile e di per s stessa e per opera d'altri a cagione della disformit e delle caratteristiche della sua figura. L'altra invece, che nasce E d'elementi grandi e conformi, pi stabile di questa e grave, compatta per effetto della uniformiti!, ma sotto l'azione del fuoco, che la penetra e la
costituita delle specie

perdendo l'uniformit, acquista pi di movimento, e divenuta sempre pi mobile, spinta


discioglie,

dall'aria vicina e distesa sulla terra,

fondersi

il

sua massa e fluire lo scorrere sopra la terra ebbero rispettivamente nome appropriato (1). E di nuovo quando esca indi il 59 fuoco, poich non esce nel vuoto, l'aria vicina sospinta da esso sospingendo alla sua volta la
demolirsi
della

massa liquida ancora mobile verso gli spazi lasciati da esso fuoco, la comprime in s stessa essa poi compressa riacquistando l'uniformit, in quanto se ne ito il fuoco che della disformit era l'autore, di nuovo restituita all'identit con s stessa. E il partirsi del fuoco fu nominato raffredda:

mento, e

il

condensarsi, partito quello, fu detto

solidificarsi.

specie dell'acqua, perch ad alta temperatura si possono fondere, mentre alla prima appartengono quei corpi che sono liquidi alla temperatura normale. Questi stati poi non sono in sostanza altro che qualit, come abbiamo visto di sopra.
(1) Il

Martin a questo proposito

si

domanda

se Pla-

tone ammetteva

che il fuoco potesse dilatare i triangoli elementari, e I'Archer-Hind a ragione risponde che no, e che egli vuol dire -soltanto che le particelle del fuoco, frapponendosi tra quelle dell'acqua, quelle pi piccole, queste pi grandi, distruggono la omogeneit della massa. Ad ogni modo questa pur sempre un'ipotesi intesa a spiegare la dilatabilit dei corpi per
effetto del calorico.

Capitolo

XXIV.

283

Or
acque

di tutte queste,
fondibili, quella

quante abbiamo chiamate che per constare di mi- B


la

nutissime e conformissime parti

pi densa,

specie semplice, in cui si uniscono il color splendido e il biondo (1), ricchezza preziosissima, l'oro,

che

si

fa solido

dopo

filtrato

attraverso la pietra.

germoglio dell'oro (2), che per la densit sua durissimo e tinto in nero, fu chiamato adamante. E quello che si accosta alle parti dell'oro, ma ha pi d'una specie, e quanto a densit anche pi denso dell'oro, e si compone pure di una piccola
il

e sottile particella di terra (3), cos

da essere pi C

(1) Notisi

che Platone

confonde nei colori

la tinta e

ductt; KXnGn. Questo XP" ff0 nodus, che si dice pure b\xa<;, non affatto il diamante, che si chiam con questo nome solo dopo Aristotele, e non fondibile n pu essere l'acciajo, perch non corrisponde alle caratteristiche qui indicate, e che sono ripetute anche nel Politico, p. 303 D, ove, dopo aver detto di quelli che purgano l'oro dalle scorie, si soggiunge che dopo restano ancora commiste all'oro delle sostanze preziose congenite ad esso e tali che non si possono levar via se non col fuoco, cio rame, argento e talvolta anche b\xac, uex b. raOra Aererai Suuueurfuva x EuYYevn. toO xpucoO Tiuia xai irupl uvov
o2o<;

la lucentezza. (2) xpvaoQ b loc,

= altri

qpaipsT, xaXKt; kc apyupoc, ?<m ' 8re kci uac; k. t. X. citato da Stallbaum e da Martin, lo ria ritenerlo^ tale ostetiene un misto d'oro e di rame rebbe il colore nero. Pare piuttosto una specie di ferrodurissimo; e il Lewis, citato dall' Archer-Hind, crede di

Lo Schneider,

poter identificarlo con l'ematite. dell'oro, e (3) Non vero che il rame sia pi denso Platone fu indotto in errore dal falso presupposto che la densit fosse in ragione diretta della durezza. Del resto, dopo detto che pi denso, si soggiunge che pi leggero, perch ha in s grandi intervalli, il che pare disdica la prima affermazione. Si ha, credo, da intendere che le particelle proprie del rame (non gi la massa) sono bens in s pi dense, ma che quelle di terra che contiene, non adattandosi bene con esse,

284

//

Timeo.
interstizi

duro,

ma

per avere dentro di s grandi

pi leggero, (questa) pure una specie delle acque


lucenti e compresse, e solidificata

forma

il

rame.

La

parte poi di terra che mista ad esso,


si

invecchiati tutti e due

quando separino novamente tra


sta

di loro, fatta manifesta

come

da

sola, si dice

Cos sulle altre cose di cotal genere non punto intricato il discorrerne ancora, chi segua il tipo dei ragionamenti probabili, per
ruggine.

(quando uno per suo riposo ci che sempre, e, attendendo ai probabili su ci che diviene, gusti un piacere che non gli dovr poi rincrescere) dato all'uomo di procurarsi un passatempo moderato e serio per la vita (1). E per questa via anche noi quinc' innanzi lasciandoci andare (2), espor-

mezzo

dei

quali

lasci

discorsi

di

remo ora su queste cose bilit come segue.

stesse le altre proba-

perch
di

scaleni),

quali
(1)

forma elementare differente (isosceli invece producono di necessit degli interstizi, sono cagione della maggiore leggerezza.
di
i

difettoso, non gi perch nel anacolutico, ma perch tautologico. Nella traduzione si dovuto mantenere la disposizione medesima del testo per conservare con essa l'apparenza del ragionamento, e ne nata perci una durezza che non abbastanza attenuata dalla parentesi che si introdotta. Cosi si perduta la spontaneit e la naturalezza, che ha la sua ragione, non gi in difetto di riflessione, ma nel precorrere del pensiero al di l della misura del procedere logico, come abbiamo notato avveLo nire in Pindaro, pi che in altri, moltissime volte. studio della fisica per Platone dunque un lodevole

Questo periodo
sia

testo

passatempo
(2) Il

cfr. pp. 68 E-69 A. senso richiede si legga qpvtet; con la maggior parte degli editori moderni, non ostante che A abbia
:

dtqpvTec;.

Capitolo

XXIV.

28

Acqua mescolata a fuoco, quanta sottile e liquida (e per il movimento e il corso che prende
devolvendosi sopra la terra si dice appunto liquida (1)) e molle insieme, perch le sue basi, come meno stabili di quelle della terra, sono cedequesta (acqua), allorch separata dal fuoco voli, e dall'aria sia rimasta sola, diviene pi uniforme, E

e per l'uscire di quelli sospinta in s stessa e


cos

condensata,

quella a cui

ci

sommo

grado al di sopra della terra, grandine, e quella a cui sulla terra, ghiaccio,
e quella a cui (accada) in

accada in si chiama

grado minore
al

coagulata a met, questa, se

(2) e resti di sopra della

terra, si chiama neve, e se condensata sulla terra, e nasce dalla rugiada, si dice brina. Cos
le

numerose
di

qualit d'acqua che sono e filtrate

commiste

tra

loro

attraverso

le

piante della

prese tutte quante insieme, sono quelli che 60 dicono succhi. E per le mistioni essendo ciascuno diverso dagli altri, i pi costituirono delle specie anonime, ma quattro, che tante sono quelle
terra,
si

KuXivouevov it ff\c, ypv XyeTat. Si parla dell'acqua vera e propria nel senso nostro, e si spiega la formazione della grandine e del ghiaccio (coagulazione intera), della neve e della brina (coagulazione a met). Nella prima parte di questo periodo gli emendamenti proposti dallo Stallbaum non sono n necessari, n utili, n degni di nota; e la frase i\v KuXivouevov m -jf\c, uypv Xyetai probabilmente conypv == tiene, come not gi il Lindau, un'etimologia
(1) fjv

qui

irp

ff\c,

pov.

(2) t uv Ttp YH<; udXurra ttccGv Tara xXaa, t riffov ... Cio t o fjxTov Tra0v, ed errano del quando le parti tutto il Martin e I'Acri, che intendono sono pi piccole '. Anche lo Stallbaum col suo quod autem minus est ' non pare abbia capito per il suo verso questo luogo, che pur cos facile.
'

'

286

// Timeo.

che contengono del fuoco, come erano pi in ricevettero dei nomi quella che atta a
;

vista,

scal-

dare l'anima insieme col corpo, fu

il

vino

quella

ch' lubrica e atta a discettare la vista, e perci e lustra a vedere e ha l'apparenza di cosa nitida e
grassa, fu la specie oleosa, cio la pece,
ricino, e l'olio stesso, e
il

sugo del

quante
la

altre

cose vi sono

della stessa natura. Quella specie poi che dif-

fusiva quanto rato della

lo

comporta
(i),

natura dell'appa-

bocca

e per questa propriet pro-

(i)

aov b taxuTiKv

juxpi cpaeux; tjv irep


il

t aTua
citano

Euvujv.

Tanto

v TaT<; Koivuivian; a confronto p. toc, uep tv OTiuaToc; a?a9r|CFiv (vedi la nota a suo " subluogo), ma mentre il secondo traduce Evooi per " la stances unies pour former un aliment , e in nota combinaison de plusieurs substances pour former un mets agrable la bouche, interpretazione ardita e poco attendibile; il primo col suo " usque ad naturales circa os coitiones ne d un'altra che si capisce anche meno del testo. Pi attendibile certo l'interpretazione

Stallbaum quanto 60 D: t ' edpu.oaTOv


lo

Martin

del Jowett e dell' Archer-Hind che intendono ciax' che espandono i pori tujv tt. t. or. uv. |Lixpi cpuaeuuc; (A.-H.), o le parti contratte (J.) della bocca fino al loro stato naturale'. Dubito per altro di nxpi cpaeujc, che mal corrisponde ad e<; qpuaiv mv di p. 64 D, che si cita a confronto, mancando qui il verbo a chiarire il senso, mentre corrisponde piuttosto ad altre frasi pla-

toniche in tutt' altro senso, e basti citare p. 67 E n^XPi TJv uun-wv, p. 45 D: iaiv uxpi Tffc w^X% e analogamente p. 67 B. Io penso pertanto che tpvoic, tjv Euvujv valga poco pi che ai Svoboi, come in moltissimi altri luoghi di questo dialogo la circonlocuzione con cpaic, analoga del resto a tante altre con eloq, iba, SuaTaffi^, TiQoc,, va,ui<;, ecc., che abbiamo notato nei Prolegomeni, cap. I, 6, pp. 33-3S cio posto, la frase ai Evoboi toO OTuaTC<;, meglio che non dei pori, la intenderei piuttosto del convergere del senso del gusto nella bocca, o del comprimere di essa per gustare:
:

cio gli umori, di cui si parla, sono dissolubili quanto


lo
"

comporta
das uni den

la

degustazione.

11

Mueller, traducendo

Mund

sich Vereinigendc

e interpretando

Capitolo

XXV.
il

287

duce

la

dolcezza, ebbe pi in generale

nome

di miele; e finalmente quella che discioglie col suo ardore le carni e fa schiuma, (specie) ben

distinta

da
(1).

tutti

gli altri

succhi, fu

nominata

fer-

mento

XXV.
Quanto poi
nel

alle
1'

colata attraverso

specie della terra, quella che acqua diventa corpo petroso

seguente. L'acqua che le commista, quando nella commistione si sminuzzi, si cambia nella forma dell'aria, e diventata aria corre su al

modo

luogo suo ma poich intorno non e' era alcun vuoto, sospinge dunque l'aria vicina, e questa, poich pesante, sospinta e diffusa intorno alla
;

tra parentesi " die verschiedene Geschmacksorgane, pare non andasse molto lontano dal nostro modo d'in-

tendere.
(1)

Tfy; aapKc; icxXutikv Tip Keiv

cppwec; i-

voc... trq iTUJvo|uda0r|.

Lo Stallbaum

lo

crede

il

succo

del aiXqnov, il Martin lo traduce opiuni. Il Ritter (Platons Dial. hiialtsdarst. p. 122) lo rende per Fiebersaft e lo crede, come pure lo Zeller (o. c, p. 807, n. 3), un umore di pianta buono come medicina o come veleno: crede possibile anche intenderlo per Milchsaft. Egli si accosta pi al vero, perch innanzi tutto bisogna trovar cosa che abbia le caratteristiche qui attribuite alPui; da Platone: ir<; il sugo che cola dalle piante per effetto di un'incisione, in ispecie quello del fico, che serviva di caglio, e il caglio in generale; mi pare perci che la parola meno lontana dall'cm*; di questo luogo sia fermento. Pu essere dubbio se tuj xdeiv vada congiunto con qppiec; ftvoc, (Martin), o invece con iaXutikv (Jowett, Archer-Hind) preferisco questo secondo
:

senso.

288

//

Timeo.

massa

della terra, la

stipa nei luoghi

preme fortemente e la condonde era uscita l'aria recente (i).

Compressa poi dall'aria la terra insieme all'acqua che non se ne pu pi disciogliere (2) diventa pietra, pi bella quella che formata di parti
uguali e uniformi diafana, pi brutta l'opposta.

Quella invece che dalla rapidit del fuoco sia stata spogliata di ogni umidit e si condensi in un corpo pi friabile (3) della prima, diventa ci che si comprende sotto il nome di ceramica. Si

d anche che, rimastavi dell'umidit, la terra, poich si fusa per il fuoco, quando si raffreddi, divenga pietra di color nero (4). Di quelle due

di (1) Cio quella che di recente divenuta aria, acqua che era. liaxi yn tvviararax (2) Euvuucreslaa b vn poc, XuTuuq TTTpa. Non tutti intendono allo stesso modo: i pi cons che l'acqua non la possa giungono Xotuk; oociti sciogliere' (Schneider, Mueller, Acri, Archer-Hind); " terra ab aere cum aqua ita compressa, ut solvi ab ea non possit (Stallbaum), congiungendo oc-ceri, oltre che con XOtuk;, anche con EuvujoOeaa. Il Martin (e cos assai meglio, congiunge lic-cm con Euvujil Jowett), oQeoa soltanto ed osserva che qui si distingue quella terra ond' evaporata totalmente ogni umidit, ed la ceramica, e quella che contiene ancora dell'acqua che non ha potuto evaporare, e sono le pietre preziose, di cui qui si parla. Bisognava dunque notare che in queste la terra indissolubilmente congiunta con l'acqua, per istabilire la differenza con la ceramica; mentre il dire che sono indissolubili per opera dell'acqua (e per quella del fuoco ?) non si vede che cosa abbia che fare. varianti, e (3) Timeo Locro, p. 99 C-D, qui ha delle nel genere friabile enumera lo zolfo, l'asfalto, il nitro,

'

l'allume e le pietre di simil genere. Y^yov t u.Xav XP^M a ^'X uuv Xi8o<;. L' %xov delle vecchie edizioni un mero sproposito 1' Hermann lo corregge sostituendo elc-cx; a Xi'0oc, ma non persuade, perch doq parola generica che non dice niente. Se c' errore nella tradizione dei codici, non pertanto nell'ex wv, ma nel t, che non potendosi congiungere che
i

sali,

(4)

Capitolo

XXV.

289

gliate di

poi (1) che a questo stesso modo vengono spouna grande quantit di acqua che loro

era commista e

constano di parti di terra pi

tenui e sono salse,

quando siano a mezza coagulazione e solubili ancora dall'acqua, se ne fa


da una parte
il

che serve a nettare dalquella cosa che tanto bene si adatta nei condimenti per il senso della bocca, il corpo dei sali, che cos caro agli Dei, giusta il conto che ne tiene la legge (2). Ma quei
nitro,
l'olio e dalla terra, dall'altra

con per

\xi\av
X10o<;

w&\\a, torna peggio che superfluo. Chi crede


chi
il

sia la lava,

basalto,

(quando non volessimo


riera
k.

una pietra
' (1) tu)

non
t. X.

l'omissione dell'articolo inserirlo) indica che determinata.

ma

Questa serie di dativi fu dallo Schneider sostituita con una serie di duali, approvante I'Archer-Hind forse l'emendamento non necessario, ma poich il senso si fa per esso pi chiaro, lo seguo
aO
:

nella traduzione.
* edp|uo<JTOv v toTc; koivumoik; xa; Trepl tr\v toO (2) t otucitck; ato6n<Jiv, k. t. X. Il Martin traduce: " ce corps qu'il est si utile de mler avec les substances runies

pour

flatter le palais. Egli

intende Kivuuvia

(v. la

nota

286)) come un piatto di cucina, un piatto composto, un pasticcio insomma; e questo mi pare vada al di l del possibile contenuto del vocabolo, che ad ogni modo qui sarebbe molto mal scelto. Anche gli altri interpreti vanno un po' a tentoni; ma se koivuivoi

a p. 60

(p.

vale cosa messa in comune, adoperata scambievolmente (non volgarmente, usualmente), le Koivuuvicti pertanto, che devono essere gustate dal senso della bocca, pare a me debbano essere non i cibi, ma [ci |che comune ai cibi, cio i condimenti: dire dunque che il sale sta bene nei condimenti equivale a dire che non c' condimento che sia buono senza sale, che il sale il primo dei condimenti. Dice poi che il sale caro agli Dei, perch era usato nei sacrifici. Le parole kcct Xyov vuou potrebbero intendersi anche in senso materiale 'giusta le parole della legge'; ma poich d'una legge speciale su di ci non ci consta, preferbile intendere in senso morale Xyoq come conto e vuoc; come co-

stume osservato.
Fraccaroli,
II

Timeo di Piatene.

25

290

//

Timeo.

composti delle due specie (terra ed acqua) che non sono solubili e dal fuoco s, sono compaginati a questo modo per la ragione che segue (1). Masse di terra (2) fuoco n aria non fonde; perocch, constando questi di parti per lor
dall'acqua

natura pi piccole degli interstizi della sua compagine e passando senza sforzo attraverso a tanta
larghezza, la lasciano
indisciolta, e

per non

la

fondono;
maggiori,
61

ma
si

gli

elementi dell'acqua, poich sono

procacciano a forza l'uscita e scio-

gliendola la fondono. Pertanto la terra non compatta l'acqua sola pu per tal modo scioglierla a
forza,

ma

se compatta, tranne

il

fuoco niente

poich penetrarvi non dato ad altri che al fuoco. E cos pure la condensazione dell'acqua, quando pi violenta (3) il fuoco solo,
altro la scioglie;

quando
la

pi

debole tutt'e due,


triangoli

il

fuoco e
i

l'aria,

disfanno, questa entrando fra


i

vuoti,
Fie'

quello anche fra

elementari

(4).

nalmente cosa che

l'

aria

fortemente condensata non


se

la

sciolga

non

fosse nei suoi ele-

(1)

b...

tfaxi uv

o Xux,

rrupi

b, bi

t xoivbe
al
:

oltuj EunirnYvuTai, cio

sono cos duri, cos resistenti

subito delle premesse la spiealle parole t b bri gazione diretta ripresa a p. 61 tOv Euuuktuiv. 11 Martin, che non bad a questo, leva

dissolvimento.

Seguono

la virgola
(2)

dopo -rrupl b per metterla dopo t roivbe. S'intende quando la terra sia nella condizione normale, cio non compressa a forza, perch in tal caso pu essere sciolta dal fuoco, come dir poco pi oltre, p. 61 B. (3) Nel caso dei metalli, che abbiamo veduto. (4) Vuol dire che l'aria scioglie il ghiaccio, la neve, ecc. fondendoli, e che il fuoco non solo fa ci, ma, fa evaporare anche l'acqua, cio la cambia in aria. E superfluo osservare che anche il ghiaccio effettivamente evapora.

Capitolo

XXV.
la

291
il

menti, e se non forzata,

fonde

fuoco sol-

tanto (1). Quanto poi a: corpi misti di terra e di acqua, fino a che l'acqua ivi occupi gli interstizi

della terra

constipata

a forza

(2),

le

parti
tro-

dell'acqua che la assalissero dal di fuori,

non

vando ingresso e scorrendo intorno a


massa,
la

tutta la

lasciano indisciolta;
interstizi

ma quelle
acque
,

del fuoco,

entrando negli

delle

come

fa
(3),

l'acqua alla terra cos facendo (esse all'acqua)

sono esse sole cagione

al

corpo

misto di fon-

fi)

Pict

XeTov, fJiaarov

pa HuaTdvTct ov Xuei Td\v kut t otoi6 KararriKei |uvov up. Il Lindau, cui

tennero dietro I'Ast e lo Stallbaum (non lo Schneider, n I'Hermann), aveva proposto di mutare uXfiv in irdXiv, a torto, come nota il Martin. " Le feu, dice egli, o. e. II, quant l'air condense, p. 267, " dilate l'air ordinaire le feu ne peut le dilater, et n'a d'autre manire d'agir sur lui que de le transformer en feu. E dice giustissimamente. Infatti poco sopra stata ammessa la. trasformazione delle tre specie acqua, aria e fuoco, senza eccezione; n si vede affatto perch qui questa eccezione la si dovrebbe introdurre: Xetv xar t axoiXeov vuol dire dividere l'uno dall'altro i triangoli elementari, cio trasformare un elemento in un altro. Il Martin si domanda se quest'aria condensata non sia quella delle nuvole, e se la folgore, secondo Platone, non sia la trasformazione in fuoco di quest'aria condensata. L'r)p piaciTOs poi l'aria allo stato normale. superfluo osservare che molte di queste osservazioni non reggono pi dinanzi alla nostra scienza. (2) Infatti se la terra non fosse compressa, l'acqua, come stato detto or ora, la scioglierebbe, e non si avrebbe pi il corpo composto. (3) x irupcx; etq t tjv tuv iKeva daivTa, Srcep ouup Y'iv, toOto -rcepYaueva k. t. X. L'ArcherHind corresse ottimamente questo testo espungendo TrOp pa, che tutti i codd. e gli editori hanno dopo toOto, e che guastava il senso e la grammatica, restando
;

fuor d'ogni costrutto


ueva. Sospetta

non

solo irOp,

ma anche

TrepraZ-

uwp

egli poi che la vera TtepYa]iieva : certo questo il

lezione sia to09' vero senso.

292

II

Timeo.

dersi e diventar iluido.

di questi corpi se
di

ne
di

danno alcuni che hanno meno


terra, e
;

acqua che

sono tutta la specie dei vetri e tutte le C pietre che si chiamano fondibili e altri viceversa che hanno pi di acqua, e sono tutti i corpi somiglianti alla cera e quelli buoni per profumare.

XXVI.
le variet dei tipi che nascono dalle forme (i), dai congiungimenti e dagli (diverse) scambi reciproci sono sufficentemente dimostrate ora conviene tentar di chiarire le impressioni che di loro si hanno, per quali cause si producano. Innanzi tutto, a qualsiasi cosa di cui si parli ha fin

qui

da corrispondere sempre una sensazione

(2).

Ma

x uv bf\ axniaaai Koivuuviais xe kc ueTcXXaYaic; fiXXnXa TreTroiKi\|uva etri axebv meiKTai. Lo Stallbaum invece di a\r\\x.o.a\ ha ax^ara, della qual variante, insinuatasi in parecchie edizioni posteriori, non d alcuna giustificazione, e non si vede come possa stare
(1) kci
eie;

in concorrenza con l'efori che segue. L'Archer-Hind richiama il testo tradizionale, che del tutto sano, crtaGntfiv e xolq \efop.(2) -rrpuJTOv |uv ouv Trdpxeiv voiq ei. Per il senso di xotq Xey. dei cfr. Prolegomeni, cap. Ili, 5 (p.103 n. 2): errano il Jowett e I'Archer-Hind, che lo intendono per le cose di cui si discorso t e\ Xe^uevci frase ben scelta in contrapposizione con x e vtcx. Vuol dire che tutte le cose devono considerarsi in rapporto alle sensazioni nostre. Ricordiamoci che qui siamo sempre nei ragionamenti probabili, e non assoluti: la materia l'oggetto del senso, dunque bisogna considerarla non astrattamente
:

da

s,

nostro

come si modo di

fatto di sopra, ma in relazione al percepirla, come detto chiaramente

subito dopo.

Capitolo

XXVI.

293

della

generazione della

carne e di ci che alla

carne appartiene, n dell' anima in quanto mortale (1)

non abbiamo ancora discorso; eppure

sensibili,

cose separatamente dalle impressioni ne di quelle senza di queste possibile discorrere convenientemente e trattarne insieme forse impossibile. Bisogna dunque proporci prima le une, e sulle altre, proposte dopo, ci
di queste
;

to-neremo sopra pi avanti


delle impressioni delle
sia
le

(2).

Affinch pertanto
subito

discorso

dopo che

producono), cominciamo innanzi tutto da quelle che si riferiscono al corpo e all'anima insieme (3). E prima vediamo dunque in qual senso si dica che il fuoco caldo, esaminando la quespecie

(che

stione nel modo che segue, cio riflettendo alla separazione e divisione che per esso avviene nel corpo nostro. Infatti che questa impressione sia

qualcosa d'acuto,

si

pu

dire che tutti lo sentiamo.

(1) Cfr.

(2)

pag. 69 C. imoGexov ri irpxepov Gdxepa, x


aOi<;.

'

uffxepa rroxe-

Qvxa irviuev

Hind omettono il a mio credere, con danno del senso: il Jowett, per esempio, traduce dobbiamo assumere prima l'una o
'
:

Jowett e I'Archervulgato uaxepa che manca in A, ma,


L'Hermann,
il

e poi esaminare la natura della nostra ipotesi '. Ma edxepct accenna a due cose, e della seconda che ne facciamo? Se una parola superflua, piuttosto ttoi'altra,

xeOvxa. ovtcc, (3) otuj rrpxepa fiutv x irep aGua ko hiux^v cio x TraBnuaxa, come giustamente osserva il Martin dopo si parla, non in gene(II, p. 269), perch subito rale di ci che concerne il corpo e l'anima, ma delle impressioni che concernono insieme il corpo e l'anima, cio delle impressioni sensibili, del Tenua che in-

sieme

afa0nai<;. Il

Jowett traduce
'

'
:

presupponiamo

l'e-

sistenza del corpo e dell'anima, altera molto il senso del testo.

il

che evidentemente

2Q4

//

Timeo.
in

bisogna che teniamo

conto

la

sottigliezza

degli spigoli e l'acutezza degli

angoli e la pic-

colezza delle parti e la velocit del movimento,

per

le

quali cose tutte


tagliente,

essendo esso violento e

acutamente

taglia

sempre

ci

in

cui

62 s'imbatta, ricordandoci la

genesi

della sua for-

ma, come
altra,

appunto

questa
i

natura,

non
in

quella

che, dividendo

corpi nostri e

piccole parti sminuzzandoli, produce questa im-

pressione, che
a proposito
il

ora

diciamo

calore, e insieme
(1).

nome

corrispondente

La im-

pressione contraria a questa bens chiara; ad

senza renderne ragione. che compongono l'umidit che intorno al corpo ; entrando in esso e cacciandone le pi piccole, come non possono quelle B penetrare nelle sedi di queste, comprimono insieme l'umore che in noi e, di disforme ed
ogni
la si lasci

modo non

Infatti le parti grosse,

agitato che era, per la uniformit e la compressione lo riducono immobile e rappreso; esso poi constretto contro natura combatte secondo natura,

esso stesso respingendo s stesso in senso contrario (2).

a tale battaglia e a tale scotimento fu

(1) toOto 8 vOv Bepuv XYO|uev. Come 0ep|uv sia nome corrispondente al irOnua che produce, noi non vediamo Platone allude certo ad una etimologia erronea della parola, che secondo lo Stallbaum sarebbe 6uu, e secondo il Martin e I'Archer-Hind consisterebbe nell'affinit di suono con j<ep|iaTw, onde un immaginario
:

Kepuv.

t bk irap qpaiv Huvayuevov uxeTai Kax cpcriv tovovtiov fraiGov. Il Martin rende et<; erroneamente le ultime parole " et fait effort pour reagir contre son adversaire. L'avversario, appunto per ci che detto prima, dentro allo stesso combattente, e perci dice bene Timeo dicendo che combatte s stesso. Notisi poi che t b non ci che con(2)

auro am

Capitolo

XXVI.

295

posto nome tremito e brivido, e tutta insieme questa impressione e ci che la produce si chiam freddo. Duro poi (si chiam) ogni corpo a cui la nostra

carne ceda, e molle quello che cede alla carne, e cos reciprocamente tra di loro (1). Cedono poi quelli che stanno su basi piccole e perci quello
;

che consta di basi quadrangolari, essendo ben C


piantato, la specie pi resistente e quella che,

ove giunga
Il

alla

maggior compressione, pu diven-

tare resistentissima.

spiegare

pesante poi e il leggero (2) si potrebbero chiarissimamente esaminandoli in rapporto a ci che si chiama basso e alto. Che, per

vero, che vi siano in natura quasi due luoghi opposti, i quali si dividano tra di loro in due parti
l'universo, l'uno in basso, a cui

tendano

tutte le

cose che abbiano qualche volume in alto, a cui tutto ci che va vada suo malgrado,

di corpo, e l'altro

questo non pu essere in alcun modo giusto di ritenere. Perocch, essendo il mondo intero di forma sferica, le cose che distando egualmente dal mezzo sono poste all'estremit, bisogna per
necessit di natura che siano all'estremit tutte allo stesso modo; ed il mezzo, distando della
stessa misura dagli estremi,
si

ha da considerarlo
le

come

in

opposizione a tutte

cose.

Or questa

stipato contro natura in


interpreti,

generale, come intendono gli l'umore (t voxepv) che in noi e di cui perci prima di t b non va punto fermo, si parlato come ha I'Archer-Hind, ma punto in alto.

ma
:

(1)

Cio

quello

dei

due corpi che cede

all'altro

si

e viceversa. (2) La teoria dell'attrazione e della gravitazione esposta qui cos chiaramente (ancorch Aristotele non l'abbia ben capita) che superfluo qualsiasi commento.

chiama

in suo confronto molle,

296

//

Timeo.

essendo la natura del mondo, quale mai sar delle cose dette quella che uno potrebbe pensare come alta o come bassa, senza parere di appiopparle conviene menomail nome che in verit non le che di esso mondo mente ? Infatti il luogo nel centro, non giusto si dica abbia natura n di basso n di alto, ma questa precisamente, che
in

mezzo

(1);

e quello che alla periferia evi-

dentemente non di s stesso che


di
stia

un'altra

col
in

mezzo, n ha alcuna parte rapporto differente in mezzo o con checchessia che


in
sia
(2).

ad essa

opposizione

E quando

una

(1) Timeo Locro, p. 100 D-E, contraddice pi nella forma che nella sostanza, quando dice che basso (ktu)) e mezzo (uaov) sono la stessa cosa, e che il centro della sfera il basso, e ci che sopra di questo fino alla

periferia l'alto (fivm) ; soltanto meno esatto di Platone. Corrisponde invece a ci che qui dice Platone un frammento delle Bacchai di Filolao conservatoci da Stobeo (Diels, Fragm. der Vorsokr. p. 256): cm t fivw toO uaou mevavrujuc; Keiueva Tot; ktuj. xoTq yp xctTUJTTUJ t uaa ariv aicnrep r vwTVrui xal x fiXXa t uaov xar tot ariv Kxepa, ibaaxujq. irp<;

fp

aa

un.

uexevnveKTai.

v iqpopov axoO (2) -rrpiS ouxe fi uaoc; out' ?x^ upoq ?Tepov Garpou uXXov up<; t uaov fj ti tjv koTavTiKp. Essendo il mondo sferico, si detto, non ci pu essere una parte di esso alta e una bassa; il centro innanzi tutto non n alto n basso, poich tutto converge ad esso, ed esso si pu dire sia rimpetto ad ogni cosa, cio nello stesso rapporto con tutte le cose
in giro.
si

pu dire neppur esso n

Cos reciprocamente ci che alla periferia non alto n basso, poich cia-

della periferia ugualmente distante dal centro; quindi il zenit come il nadir. Ma dubito forte che tutti gli interpreti si ingannino nel senso grammaticale dell'ultima parte di questo costrutto. Essi prendono n per una particella comparativa e la fanno dipendere da utXXov, intendendo che la periferia (user le parole del Martin) " n'a d'aucun cot aucune partie qui soit spcialement dans la direction du milieu plutt

scun punto

Capitolo

XXVI.

297

cosa di sua natura per ogni dove uniforme, come si potrebbero imporle dei nomi contrari e credere di parlar bene? Perocch, se vi fosse nel
centro dell'universo un corpo solido equilibrato, 63 esso non potrebbe portarsi mai verso alcuna
delle estremit,
le parti

per ci che esse sono da tutte

intorno
volte

Ma se uno anche camminasse ad esso in cerchio, fermandosi spesse antipodicamente (1), dovrebbe chiamare
uniformi.

basso e alto di volta in volta lo stesso luogo:

qu'une partie situe du cot oppose. Lasciando di dire che irpq t uaov non significa nella direzione del centro, ma si ha da legare iqpopov irp<; t uaov ufiXXov Gaxpou, cio ciascuna parte della periferia biaqppei irpcx; t uaov, sta in rapporto col centro allo stesso modo, e non una parte a un modo e un'altra a un altro, noto che t kotovtikpi) poche linee prima non che una parafrasi per indicare ancora il centro, quasi una epesegesi che ne indichi le propriet; mentre qui secondo gli interpreti dovrebbe invece indicare una parte della periferia: noto inoltre che utXXov ha il suo complemento di comparazione in GctTpou, e che perci male si potrebbe dargliene un altro identico in quali parole sarebbero del tutto suti ti k. t. X., le perflue e ingombranti (e il cancellarle potrebbe essere forse un espediente migliore), tanto pi che varrebbero a restringere il concetto generale ed esatto di Gcnrpou in quello del solo punto opposto, che non si sa perch di preferenza dovesse essere preso in considerazione. Il modo di scrivere di Platone, e specialmente lo stile di questo dialogo, non esclude certo assolutamente anche l'interpretazione comune; dico soltanto che non la mi pare probabile.

punto (1) otck; dvTiuou?, fermandosi ora su un dato della sfera, ora su un altro agli antipodi col primo: ho fabbricato l'avverbio antipodicamente, che mi pare atto anche a significare il ripetersi dell'azione. Se no, bisogna fare un intero periodo e dire per esempio con I'Acri " avendo molte fiate le piante volte l contro ove le avea dinanzi.

298
che,

//

Timeo.

essendo il tutto, come gi ora si detto, di forma sferica, dire che un luogo di esso sta in basso e uno in alto non da uomo sensato. Ma donde siano venuti questi nomi e a quali cose
applicandoli
ci

siamo quindi avvezzi a dividere


e a parlarne

anche tutto

il

mondo analogamente

questo modo, su questo bisogna intenderci movendo dai seguenti principi. Se alcuno in quel
a

luogo dell'universo che la natura del fuoco ebbe sopra tutti per suo proprio, dove anche ci dovrebbe essere raccolta la pi gran massa di esso, alla quale ogni altro fuoco tende, (se alcuno, dico), salito in quel luogo e avendo potere da ci, pigliasse via delle parti di detto fuoco e
postele sulle bilancie
e tirasse
le

pesasse,
il

come

alzasse

il

fuoco verso l'aria ad giogo esso disforme, chiaro che la porzione pi piccola cederebbe alla forza pi facilmente della C pi grande (1). Perocch, quando due cose sono
a forza

(1) La gravit qui spiegata con la tendenza che ogni simile ha verso il suo simile, anzi che con quella della forza centripeta. Cos avviene che il fuoco tenda al fuoco, come la terra alla terra. Noi abitiamo nella regione dell'acqua e della terra, e perci, se poniamo acqua o terra sulla bilancia, le vediamo gravare in gi, perch tendono a congiungersi con la loro massa: lo stesso succederebbe del fuoco, se potessimo fare una analoga esperienza nella sua regione. Se, dice, uno potesse

salire

sulla

sfera del fuoco,

e ponesse sui due piatti

d'una bilancia una differente porzione del fuoco stesso, e ne alzasse verso l'aria il giogo per pesare, a quel modo che, analogamente, facciamo noi, la porzione pi piccola cederebbe alla forza pi della pi grande, cio nell'aria allontanandosi il piatto di quella si alzerebbe dalla massa ignea, e quello della porzione grossa resisterebbe di pi a questa violenza. Si vedrebbe dunque lass un fenomeno d'attrazione analogo al nostro, ma non verso la terra, bens verso la sfera del fuoco, il

Capitolo

XXVI.

299

sospese insieme da una forza sola, necessario che la pi piccola di pi e la pi grande, resistendo, ceda di meno alla violenza, e che il molto si
dica grave e che scende in gi, e
e
il

poco

leg-

che va in su. Ora questa stessa vegero rit la coglieremo anche operando su questo luogo nostro. Infatti, stando noi sopra la terra, quando su diversa lance pesiamo (1) sostanze
terree, o

anche talvolta della terra vera,


e

le

tiriamo

a forza

contro

natura verso
cos

l'aria

che ne
quella (2)

disforme, mentre

questa
le

come

tende ad afferrarsi a ci che allora la cosa pi piccola pi facilmente della pi grande cede a chi la violenta e va verso il
e il la chiamiamo pertanto leggera disforme: luogo verso cui la sforziamo lo diciamo in su, e l'accidente contrario grave ed in gi. Che queste cose adunque stiano in diverso rapporto tra loro avviene di necessit, per ci che la massa principale di ciascuna specie tenga un
,

somiglia: ebbene,

luogo diverso e contrario di quello delle altre. Infatti ci che in un dato luogo leggero in rapporto a ci che leggero in un luogo opposto,

che vale a dimostrare l'errore dei concetti volgari di alto e di basso. Veggasi anche ci che segue poco pi
oltre.

voi

uaTuevoi. Tutti traducono uaTduecon separare, il che non corrisponde n al senso che si richiede n all'uqpTepa che segue poco dopo. Se 'ia-rrim vuol dire pesare, iiarnui vorr dire pesare separatamente, di qua e di l, sui due piatti della bilancia. E cos il senso chiarissimo: si dimostra infatti avvenir sulla terra ci che si era supposto avve(1) yed)br\ yvr)

nire nella sfera del fuoco. (2) Cio tanto la terra che su quella che sull'altro.

un

piatto

quanto

300

//

Timeo.

e il grave in rapporto al grave, e al basso il basso, e all'alto l'alto, tutte queste cose si dovr ben riconoscere che e avvengono e stanno tra di loro in senso opposto ed obliquo e del tutto diffe(i). Questa pertanto una cosa che bisogna ben riconoscere intorno a tutto ci, che cio la tendenza che ha ciascuno verso il proprio simile fa (chiamar) grave il corpo che ne trasportato,

rente

luogo verso di cui questo cotale si trasporta, e ci che sta in rapporto contrario,
e basso
il

all'altro

modo. Ed intorno a
le

questi

accidenti

queste sian Dell'impressione poi del liscio e dell'aspro

cagioni che proponiamo.

(2)

chiunque, a badarci solo, pu essere in grado di dirne ad altri la causa (questo) infatti lo produce 64 durezza congiunta a disformit, l'altro uniformit congiunta a densit.
;

i leg(1) Se fosse vero che i gravi vanno al basso, geri all'alto, secondo la concezione volgare di alto e basso, tutti i gravi andrebbero in una direzione, tutti i leggeri nella direzione opposta. La dottrina platonica dell'attrazione delle masse riconosce invece insieme e spiega come il moto dei gravi, e cos rispettivamente quello dei leggeri, prenda varie direzioni. Infatti la caduta di un corpo (ci che grave) segue il rispettivo raggio terrestre, e il fuoco (ci che leggero) sale al cielo da diversi luoghi della nostra sfera e perci in direzioni diverse rispettivamente l'una dall'altra, direzioni opposte, se i due luoghi sono agli antipodi, oblique negli altri casi. Questa opposizione e questa obliquit dimostrano quanto sono erronei i concetti volgari di e 112 C-E. basso e di alto. Cfr. anche Fedone, pp. 109

Nota giustamente il Martin che qui evidentemente intendere i corpi suscettibili d'essere levisi devono gati, poich la costituzione di un corpo non cambia perch lo si levighi o lo si lasci rozzo.
(2)

Capitolo

XXVII.

301

XXVII.

Ma
tutto

una cosa importantissima


delle
il

ci

resta

ancora

a vedere a proposito

affezioni

comuni a

corpo, cio
e
in

la

causa del piacere e del


di

dolore

quelle

(affezioni)

cui

parlato e in quante ve ne sono che,

sensazioni nelle singole

membra
esame

(1),

abbiamo producendo portano con

s anche conseguenti dolori e piaceri

dunque per

tal

modo

in

le

(2). Pigliamo cause relative

ad ogni affezione sensibile o non sensibile (3), ricordandoci ci che abbiamo distinto prima sulla natura che facile e su quella che difficile a B muoversi perocch questa la via per la quale bisogna che diamo la caccia a qualsiasi cosa che ci proponiamo di pigliare. Infatti ci che per natura facile a muoversi quando una anche lieve
; ,

affezione lo colpisca, la

tramanda

in cerchio, le

(1) Delle affezioni in generale si parla in questo stesso capitolo, di quelle speciali a singole parti del corpo nel capitolo seguente.

(2)

Dopo aver

considerato le sensazioni

come impres-

sioni derivanti dalla natura dei corpi esterni, le considera ora in rapporto al soggetto, e perci al piacere e al dolore che producono in esso. E distingue innanzi tutto, tra le impressioni che producono sensazioni,

quelle che sono accompagnate da piacere o da dolore, da quelle che sono indifferenti. Questa teoria della percezione poco differisce da quella della scienza moderna. L'argomento del piacere e del dolore ripreso a p. 86 B quanto agli effetti loro sull'anima e sui morbi che vi producono. (3) Non ogni affezione (irGruua) anche sensazione
(a\oQy]G\c,y

Fbaccaroli,

Il

Timeo di Platone.

26

302

//

Timeo.

singole parti successivamente riproducendola (i), fino a che, giunte alla conscienza, annuncino ad
essa la potenza dell'agente.
soltanto
Il suo contrario invece, perch stabile e non procede per nessun cerchio,

riceve

l'impressione,

ma non muove

alcuna altra cosa vicina, cosi che, non trasmetC tendo altre parti ad altre la impressione prima, che in esse resta immobile (e non si propaga)

per tutto l'animale, chi passivo di essa non per questo la sente. E ci avviene per le ossa e per i capelli e per quante altre particelle abbiamo in noi composte principalmente di terra; mentre ci che s' detto prima vale per la vista
e per l'udito sopratutto, per ci che in essi sia potenza grandissima di fuoco e di aria. Ed ecco

intorno

al

piacere

al

dolore

come conviene

pensarla: un'impressione contro natura e violenta che ci colpisca tutta d'un tratto dolorosa, ed

una che viceversa


e a

ritorni

tutta

d'un

tratto alla

natura piacevole, mentre quella che viene piano

poco a poco non


(2).

sentita, e le

opposte a
si

queste all'opposto

tutte quelle che

hanno

(1) iabiuuai kkXuj, japia crepa Tpotq tcitv nepYalueva. Non v'ha dubbio che upia k. t. X. deva intendersi con I'Archer-Hind come una specie d'apposizione, e non come oggetto di iaiuiai. Egli cita a confronto Sofocle Antig. 259 Xyoi ' v XXn.Aoi<; ppGouv
:

xfxwv cpAcoca, ed Erodoto, II, 133. Per iaibvriuv uopiuw uoil senso cfr. poche righe sotto pioi<; fiXXwv fiXXon; t trpuJTOv TidGoc;. (2) Riassume qui ed in parte modifica la tesi toccata nella Repubblica, IX, p. 583 C sgg., e discussa nel Filebo intorno al piacere e al dolore. Confronta innanzi tutto le impressioni subitanee e forti con le lente e leggere: la subitanea dolorosa nel venire, piacevole nell'andarsene la lenta non si sente ne quando viene n quando va l' ultima frase t ' vavriov totok;
koiko, cpXa
:

Capitolo

XXVII.

303

sono bens sensibili quanto mai, ma fare n col dolore n col piacere, come appunto sono le impressioni della vista (1),

con

facilit

non hanno che


la

corpo
sioni

quale di giorno, fu detto di sopra, diventa un affine a noi (2). Alla vista infatti le incie
le

arsioni,

quante
dolori,

altre

impressioni

riceve,
ceri

non producono quando essa ritorna

n viceversa pia-

nella condizione di prima,

ma
in

bens grandissime sensazioni e chiarissime, e

quanto

sia affetta essa, e in

quanto essa stessa

vctvTi'u*;

va intesa

in

tutti

casi. Cfr. Phtleb. p.

senso generale per raccogliere 43 C ubi; ai uv netXai luexa: (

PoXai Xuirac; xe ko j^bov^ TioioOaiv n.utv, ai ' a\5 nrptai xe Ka autKpai t uapnav orepa toutuuv. Il consenso maggiore del Timeo col Filebo che non con la Repubblica anch'esso argomento per ritenere la Repubblica anteriore al Filebo: cfr. Jackson in " Journal of Philol. voi. (1897), pp. 78-80.

XXV

(i) Qui si modifica ci che era stato detto nel Filebo, ed pure argomento che dimostra l'anteriorit di quel dialogo. Dice infatti che le impressioni della vista non hanno che fare col piacere e col dolore, mentre in Phil. p. 51 B mette insieme le sensazioni della vista con

quelle dell'olfatto e dell'udito, e le comprende nella categoria di quelle la cui mancanza inavvertita, mentre il loro soddisfacimento sensibile e piacevole e senza dolore: xq irXnp'OeK; aff9r|T<; al t'iei'ac;, KaGapq Xuttujv, irapabibuiaiv. Nel Filebo il piacere e il dolore sono considerati in generale e nel senso pi ampio, nel Timeo sono invece in relazione all'organo del senso in cos la vista di un bel quadro procui hanno radice cura un piacere bens, ma un piacere psichico e che non arietta piacevolmente l'organo della vista, come farebbe per esempio la sensazione del caldo al corpo preso dal freddo, o anche (per escludere il caso del bisogno e del desiderio) come affetta piacevolmente le papille del naso il profumo di un fiore. Questa distinzione tra il senso della vista (e dell'udito) ed i sensi inferiori pu essere presa come canone per la determinazione del bello estetico.
:

(2)

Cfr. p. 45

(p.

234 nota

2).

304
si

11

Timeo.

a raggiungere altre cose (1): infatti non punto violenza n nella discettazione (della vista) n nella contrazione. I corpi invece che constano di parti maggiori, cedendo a stento all'agente e trasmettendo a tutto l'intero i movic'

muova

65 menti, hanno e piaceri e dolori, dolori si diversificano, piaceri quando di nuovo

quando
si resti-

tuiscono nello stato di prima. Quelli per altro che

subiscono
a poco e

le

sottrazioni loro e le votature a

poco

empiture tutte in una sola volta e copiose, della votatura essendo insensibili e dell'empitura sensibili, dolori non ne producono alla
le

parte mortale dell'anima,


dissimi
:

ma
si

bens piaceri granrispetto


ai

questo
Cosi
e

chiaro

buoni

odori
a

(2).

quelli

che

diversificano tutto

un

tratto,

restituiscono di

stessi,

poco a poco ed a stento si nuovo allo stesso modo con s producono ogni cosa al contrario di quei
a
e

primi

questo

chiaro

alla

sua volta nelle

bruciature e nelle ferite del corpo.


un'espressione affatto simile. nella Repubblica, p. 584 B sgg., si parla di questi piaceri dell'olfatto, e nel Filebo analogamente, p. 51 E, se ne nota questa particolarit, che l'olfatto vai bens meno degli altri sensi, ma ha il vantaggio di non mescolar dolore ai piaceri che produce: t b irepl tck; auc; rjxTov uv toutujv 6tov -fvoi; n.fcovwv" t ui>) auuueutyOm v ara'ic, vaYKCuoui; Ximac; ... toOt' xeivou; Ti9nui vTiaTponpov fircav. Ma e gli odori cattivi? La conclusione , come osserva il Martin (II, pp. 282-83),
(1)

Cfr.

itici,

(2)

Anche

che, perch l' impressione sia seguita da sensazione, bisogna che sia ricevuta da un organo capace di trasmetterla fino all'anima; perch poi sia o dolorosa o piacevole occorre inoltre i) che sia o contraria alla natura dell'organo che la riceve, o atta a restituirlo nel suo stato normale, 2 ) che le parti di detto organo offrano una resistenza maggiore o minore, 3 ) che, se la sensazione ha da esser viva, anche l' impressione venga istantanea e non a poco a poco.

Capitolo

XXVIII.

305

XXVIII.

comuni a tutto il corpo, nomi che vengon dati alle cose che le producono, crediamo aver detto abbastanza. Ora quelle che avvengono nelle singole parti di noi,
delle impressioni
e dei
sia
le

impressioni, sia

le

cause che

le

produ-

cono, bisogna provarci a dichiararle, se pur ne saremo capaci. Innanzi tutto bisogner mettere in C chiaro, quanto possibile, ci che di sopra

discorrendo dei succhi abbiamo tralasciato (1), cio le affezioni che sono proprie della lingua.

anche queste si vede che avvengono, come pure la maggior parte (delle altre); per mezzo di certe contrazioni e distrazioni, e che oltre di ci vi hanno luogo, pi che in alcuna delle altre, le asprezze e le levigatezze. Perocch tutte le parti terrose, che entrano ove son le venuzze, che come pruove della lingua si distendono fino
al

cuore

(2),

abbattendosi sulle parti umide e

molli della carne e sciogliendosi, contraggono le

60 A-B. dei nervi Platone lo cole venuzze, il cui centro sarebbe


(1)

Cfr. p.

(2) L'ufficio

fa esercitare
il

da

pic-

dell'anima mortale. Egli ritiene abbia la sensazione del gusto, sia necessario che il corpo che entra in bocca si disciolga, il che avviene

fegato, come sede altres che, perch si

per mezzo dell'umidit della saliva: un corpo affatto insolubile non ha sapore. [Plut.] De plac. phil. IV, 18 attribuisce ad Alcmeone l'asserto che l'umidit e il calore della saliva ammollisca e disciolga i succhi 'A\KUCUUUV Tll) Ypt KCl TW x^ ia P ? T $ ^ v T fl Y^wTTrj upq
: l )

Tfj

uaXciKTnTi iatcpiveacu to<; x"uoq.

30

//

Timeo.

dette venuzze e le disseccano, e quelle che sono

pi scabre pajono acerbe e le meno scabre aspre. quelle tra esse che sono astersive e puliscono

tutto l'apparato della lingua,


oltre

quando fanno

ci

misura e

vi si

attaccano tanto da corroderne


l'azione del nitro, tutte
:

la stessa carne,

come

E queste allora si chiamano amare quelle poi che sono da meno della forza del nitro, ed esercitano
la detersione moderatamente, ci pajono salse senza amarezza troppo forte e ci sono pi gradite. Cos quelle cui si comunica il calore della bocca (i) e vengono da esso levigate, come sono incese e alla loro volta incendono quello che le ha riscaldate, e dalla leggerezza sono portate in su verso

qualsiasi cosa in imbattano, tutte queste per queste loro 66 propriet si chiamano acri (2). D'altra parte quelle
i

sensi della testa, e tagliano


si

cui

che gi sono attenuate

dall' infrollirsi (3),

e che

toO aTuaToq GepjuxriTi Koivcuvriaavra- Lo quae vero cum oris calore calorem habent communem; e similmente PArcher-Hind: il Martin invece " celles qui, chauffes et amollies par la temperature de la bouche, e quest'ultima la interpretazione vera, come chiaro da tutto il contesto e specie da dvTiKdovta t iaGepuivav. (2) piua uvTa roiaTa Xx6n.- Il Martin traduce piquantes, e intende delle cose spiritose che bruciano il palato e irritano il cervello e gli organi dell'odorato e della vista. O forse s'ha ad intender, per esempio, della senape (Archer-Hind) o del rafano? questo s pare che salga al cervello. Il principio del periodo seguente pare per altro dar ragione al Martin, perch parla di queste sostanze che imputridiscono, cio diventano acide, il che conviene alle bevande spiritose.
(1)

ffj

Stallbaum rende
:

''

tjv aTiiv TrpoXeAeiTTUouviJuv uv tto aniTevcx;, t<; cnrevc; cpXftaq vuouvwv, Ka toI; vooiv at9i upeai yeibbeai xai aa poq Suauerpiav 'xovra, aiaxe Kiv^aavra irep fiXXnXa ttouv KUKaai, KUKiiiueva TrepiTinTeiv xe xal el? erepa vuueva crepa KoTXa Trepyde(3)
el<;

Capitolo
si

XXVIII.

307

strette, trovandosi con con le aeree, che sono ivi, in proporzione tale da agitarle le une attorno alle altre e farle mescolare, e mescolate incontrarsi ed insinuarsi le une nelle altre da produrre altre cavit avvolgenti intorno quelle che entrano, le quali, appunto per il distendersi intorno all'aria B della umidit concava, talora terrosa e talora anche pura, si fanno vasi liquidi di aria o acque
le

insinuano nelle vene

parti terrose e

oQa\ TTepixeivueva
koXtjc;

xoT<;

dcnoOcn,
X.

6t

61^

voxio;

xrep

pa
di-

rrepixaGeianc k. t.

Luogo grammaticalmente

sperato.

L'Hermann

lo

Hind, pur dubitando (e il Mueller lo segue nella sua versione) proponeva mutare 'xovxa in xvruiv per concordarlo coi genitivi precedenti. Il Martin ammette che iq x<; qoXe3aq e xot<; voOcn sieno retti da vuouvuuv ad ugual titolo, e allora con xovtcx andrebbe sottinteso un ax, e oa... xovx oxi sarebbe parallelo a to<; ... fe\bbeai. Lo Schneider ha x au t)v irpoX. ... vc-uouvwv xa xo<; voOaiv ... poq, Suuuexpiav xovra, e traduce: " Rursus quae attenuata ante per putredinem angustis venis sese induentia ad partes inibi terreas aeriasque convenienter se habent, la quale versione omette anche il xcxl davanti a xo<; voOaiv, molto a proposito per il senso ed il nesso grammaticale. E questa lezione seguo nel tradurre, anche per farmi in qualche modo capire, pur riconoscendo che la lezione dei codici possa forse esser la vera. Lo Schneider poi, ponendo virgola dopo -nep^ZeoQai, lega -irepixeivueva con x b au del principio, e con ci ha il vantaggio di attenuare moltissimo l'anacoluto: pi naturale per altro, anche per il senso, pare il riferire irepixeivueva a KoiXa. La lunga parentesi et n k. x. X. fa poi s che x au resti in sospeso, e si riassuma il concetto pi oltre con x xoxuuv aixiov. Anche la parentesi (intesa a spiegare, un po' tautologicamente, l'ultima frase) accresce la difficolt, perch essa pure aggrovigliata e confusa, specie per i suoi verbi tutti all'infinito, per attrazione di quelli del periodo principale. Tutto ci non si giustifica se non con la libert della sintassi parlata, nella quale l'inflessione della voce ed il gesto aggiungono ci che manca della grammatica.

tale e quale, e cos I'Archerdella sua integrit. Lo Stallbaum

308

//

Timeo.

cave e rotonde,
e

e quelle della pura sono diafane


di ampolle, e quelle della tersi

hanno

il

nome

rosa agitata insieme ed effervescente


bolle e bogliori,
zioni
si

chiamano

ci che causa di queste affe-

tutto

dice acido. L'impressione contraria poi insieme ci che si detto di queste,


;

C nasce da un motivo contrario ed ogni qual


le

volta

cose che

entrano in bocca,
al

fuse

nella
di

sua

umidit, essendo connaturate

modo

essere

della lingua, appianino lubrificando ci che era

e di ci che contro natura o diffuso questo costringano e quello rilassino, e ogni cosa quanto pi possibile ogni cotal riristabiliscano conforme a natura, medio piacevole e a tutti gradito, che allora si

diventato

scabro,

s'era

contratto

ha delle impressioni violente,

si

chiama dolce.

XXIX.

su di ci basti questo.
narici,

Quanto poi

all'uf-

possono distinguere ficio delle specie. Infatti tutti gli odori sono come cose di natura dimezzata, e nessuna specie proporzionata in modo che debba avere un quache odore (i). Le nostre vene in questa parte sono

non

si

(i) etei

abbia

il

obevl k. t. X. Sebbene una riga prima eloc; significato generico, qui non dubbio che lo si
tec-

ha da intendere nell'accezione pi propria e pi


nica, quella

cio delle quattro specie elementari. Non inaudita questa tacita variazione del contenuto di un vocabolo, e ad ogni modo ogni cosa in ultima analisi si risolve in queste specie prime. Nessuno, dice infatti

Capitolo

XXIX.

309

costruite troppo strette per le specie della terra

e dell'acqua e troppo larghe per quelle del fuoco e dell'aria: perci di

nessuna
che

di

queste specie

nessuno mai
gli

si

accorse di alcun odore,


di cose
si

ma sempre

immollano, o che infracidiscono, o che si squagliano, o che svaporano. Perocch, mutandosi l'acqua in aria e l'aria in acqua, gli odori si formano durante la trasformazione, e sono tutti o fumo o nebbia (1). E di questi quello che da aria passa in acqua nebbia, e quello che d'acqua in aria fumo: ond' che tutti quanti gli odori sono pi sottili dell'acqua e pi grossi dell'aria; il che evidente quando, essendovi un'ostruzione nelle vie
odori
si

hanno

respiratorie

(2),

uno

tiri

a forza a s

il

fiato

mai di queste specie alcun odore, ha quando l'acqua si muta in aria, eccetera. E perch? Le quattro specie, avea detto prima, fino a che restano nel loro stato normale non danno odore, appunto perch non sono in quella proporzione che sarebbe necessaria con gli organi dell' olfatto acci
oltre, sent
si

poco pi

ma

l'odore

questi potessero percepirlo (contrariamente alle specie visibili, che sono, come dice poco dopo, vyei Eo|u|ueTpci); infatti le vene dell'odorato, soggiunge ora, sono troppo strette per le specie della terra e dell'acqua, troppo larghe per quelle del fuoco e dell'aria. La spiegazione dunque essenzialmente relativa al soggetto senziente, non alla natura della cosa.

qui un'obiezione gravissima: nebbia e fumo ? Forme dell'aria e dell'acqua? Dunque composti odi ottaedri o d'icosaedri? Non vi sono in natura altri poliedri regolari oltre i cinque che abbiamo veduto. Se sono materia in istato di transizione, cio n ottaedri n icosaedri, non possono dunque essere che materia informe dunque la materia informe esisterebbe ancora nel tempo. Cfr. per altro p. 73 B, dove un'analoga indeterminatezza. (2) Vuol dire semplicemente che quando uno intasato non sente gli odori, ancorch l'aria sia da lui ti(1)

L'Archer-Hind

fa

che cosa sono

iuixXn

kcutvc;,

3T.o

11

Timeo.
si

con esso, ed segue allo sforzo. Per questo dunque (i) le variet degli odori sono 67 anonime, non constando esse di molte specie n di
poich allora nessun odore
il

filtra

fiato

da

solo, privo di odori,

specie singole,

ma

in

due modi
cio

soli si
il

chiamano

gradevole e il disaggradevole, l'uno che violenta e rende scabra tutta la cavit quanta di mezzo tra il cocuzzolo
senz'altro semplicemente,

rata con forza e perci debba passare. Non vale la pena di confutare l' interpretazione macchinosa del
ch'egli deriva da Galeno: n I'Archer-Hind, che parla di respirare forte attraverso ad un fazzoletto, pare che abbia inteso meglio questo luogo.

Martin,

vgv,

i'ouv TauTa dvubvuua t toutuuv uoiKiXuaTa 'ifie ttoXXjv o' irXdn/ etOv ovra, XX bixf| t 0' t^ kc t Xuirnpv aTOt uvuu uxcpavfj Xyeaeov k. t. X. Cos le edizioni antiche, seguite dall' Hermann e dallo Schneider, come pure dal Jowett e dall' Archer-Hind. Lo Stallbaum, invece, il Martin ed il Mueller teno-ono il b' ouv dei codici, ma, per quanto io sia tenace della tradizione manoscritta, non trovo modo di cavarne un senso possibile. Vero che il Martin, segnando virgola dopo TaOxa, intende vibvuua tt. ttoik. yeTovev come una proposizione incidente quasi tra parentesi (costrutto campato in aria, al quale non saprei trovare
(1)

ok

il

compagno in Platone), e per tal modo il senso che ne cava ragionevole; le due specie sarebbero l'i^ e il XuTinpv, e anonime sarebbero le loro variet. Ma senza questa virgola intrusa assai arditamente, non si capisce come si possano dire anonime le due variet, quando si dice che esse si chiamano f\b<3 e Xvmripv. Con bx la cosa diversa: le specie degli odori, in quanto non corrispondono a singole specie elementari, non sono classificate, non hanno nomi loro propri, ma si aggruppano sotto i due nomi generici di piacevole e disgustoso. Quanto all'inciso ok K ... vtcx, che spiega appunto perch non si classifichino, ritengo ittXjv come attratto al plurale da ttoXXiv, cio che gli odori non sono propri n di una delle quattro specie elementari n della combinazione di due o pi di esse.

Capitolo

XXIX.
la

n
di
la

e l'umbilico

(i),

l'altro

che

ammollisce e

nuovo

nel suo stato naturale

amorevolmente

restituisce.

Per esaminar poi una terza sorta di sensazioni che possediamo, quelle dell'udito, dobbiamo dire da quali cause nascano le affezioni relative. B Per dirla in breve pertanto riteniamo che il suono sia l'urto che attraverso le orecchie per opera dell'aria, del cervello e del sangue (2) si trasmette fino all'anima, e che il movimento che nasce dall'urto, e comincia dal capo e finisce alla sede del fegato, sia la sensazione auditiva, e acuto sia quel suono che veloce, pi grave quello che pi lento (3), e piano e molle quello uniforme,

niaca, che non solo ferisce l'odorato, ma il cervello, gli occhi, la laringe, i bronchi, ecc. YxeqpdXou t Kctl ai'uaTtx; uxpi (2) bi jtojv un' po; impossibile congiungere v|> u X*te itXrppPiv iaiouvriv. bi Ojtujv yKecpXou re, come fa, tra gli altri, il Martin.

(1)

Il

Martin

cita

per esempio l'odore

dell'

ammo-

Meglio

lo

Schneider e I'Archer-Hind legano

irXriYfiv

YKecpd\ou T noti cxiuoitoc;. Per altro il uxpi vyuxns mi fa preferire col Mueller di congiungere utt' po<; Yxeqp. xe Ka m'u. in una serie sola l'aria percote il cervello, la percussione al sangue, e cos il cervello trasmette questo all'anima. (3 Questa affermazione erronea. I suoni acuti e gravi giungono all'orecchio contemporaneamente, non successivamente solamente le vibrazioni del suono pi acuto si succedono pi rapidamente; e l'accordo non altro che proporzione di numeri interi tra le diverse vibrazioni: cos in quello di ottava la nota pi acuta nella stessa unit di tempo compie il doppio delle vibrazioni della pi grave; e il rapporto perci di uno a due. Invece secondo Platone (e questa teoria confermata chiaramente a pag. 80 -B) i suoni acuti giungono prima, i gravi dopo, e sopraggiungono ai primi quando i movimenti prodotti da questi diminuiscono e perci tendono a conformarsi a quelli dei suoni pi lenti, cos che il succedersi di questi non li disturba,
: :

312

//

Timeo.

e aspro il contrario, e forte quando grande, e tenue quando no. Quanto poi agli accordi loro,

bisogner parlarne nel seguito di questo discorso.

XXX.

Ma

ci

resta ancora
il

sensibili

un quarto genere di cose quale bisogna specificare, possedendo


colori, (e

esso in s numerose variet,

abbiamo chiamato

emana

che tutte insieme sono) fiamma che dai corpi singoli avente particelle propor-

zionate alla visione in

della visione poi

che la questo pare pi probabile, e sarebbe a proposito disserirne in un conveniente discorso (2), che

modo da essere sentite: abbiamo detto di sopra le cause producono (i). Intorno ai colori pertanto

teoria della succesdi Platone e prima e dopo di lui fino ad Aristotele, il quale per nel suo trattato speciale sull'acustica ha affermato esattamente la vera teoria. Per pi precise indicazioni cfr.
li

ma

in certo

modo

continua.

La
al

sione

dei

suoni

era diffusa e

tempo

Martin,

o. e.

I,

pp. 389-95, e

II,

p. 339.

(1) Per la teoria della visione veggasi p. 45 B e segg. e le note relative. Qui poi si specifica come avvenga la sensazione del colore: se il fuoco dell'oggetto identico al fuoco della vista, non c' sensazione, perch non si avverte differenza; se maggiore o minore, allora la differenza produce la sensazione. Aristotele invece [De sensu, cap. 3) attribuisce l'armonia dei colori a rapporti di numeri, il che arieggia a origine pitagorica. (2) Leggasi irpiroi t' fiv meiKe Xyw ieEeXGev. Lo Schneider e I'Hermann con leggono prcoi t' fiv tv " et probabili TTieiKfi Xyw b-, e lo Schneider traduce doctori conveniens videtur explanatio; mentre I'Hermann, meno male, vorrebbe mutare Ayiy in Xyov, se-

Capitolo

XXX.
altre

313

cio
e

le

particelle

che emanano dalle

cose

cadono

sulla vista (1)

sono alcune pi piccole,


alcune uguali
alle parti

alcune
tire,

pi

grandi,

ed

della vista stessa: le uguali

non

si

e le diciamo appunto diafane,


quelle atte

le

possono senmaggiori poi


queste
a
il

e le minori,

a contrarre,
la

discettare la vista,

sono come per

carne

caldo ed
e

il

freddo, e

come per

la lingua l'acerbo

quanto per essere caloroso abbiamo chiamato acre (2) e cos il bianco ed il nero sono pure le stesse impressioni di queste cose, se non che avvengono in un altro genere, e ci appaiono differenti per le cagioni che si sono dette (3). Cos pertanto bisogna porre i nomi, ci che discetta la vista dirlo bianco, e il contrario suo nero. Se
;

guto in ci dal Mueller e dall' Archer-Hind. Tenendo Xyw, non interpreto per altro come il Martin "et ce qu'il est temps maintenant d'exposer: l'ottativo mi indica un'ipotesi, cio: questa la spiegazione probabile, e sarebbe bene poterne discorrere con la debita estensione.
rriiK6
:

note a pag. 45 C (p. 234). pp. 65 D-66 A. (3) t Te Xeux Ka t uXava, xeiviuv TraGruuaxa yyovto v XXw yvei t aT k. t. X. notevole questa dottrina, che le impressioni dei diversi sensi derivino tutte da una stessa cagione che affetta diversamente i diversi organi le cose dunque per questo rispetto avrebbero una certa stabilit di sostanza, bench noi le
(1)

Cfr. le

(2) Cfr.

percepiamo
titudine

in

modi

dei

nostri

sensi.

differenti secondo la differente atNotisi ancora l'opposizione

affermata da Platone tra il bianco e il nero, mentre non sarebbero che modificazioni o gradi intermedi tra questi opposti. L'Archer-Hind vorrebbe congiungere T aT KEtvujv affezioni identiche a quelle di prima'; ma in tal caso forse avrebbe detto t aT xeiyou;, congiungendo la regolarit grammaticale e la chiarezza: perci preferisco intendere Kei'vu>v
gli altri colori

'

come

genitivo oggettivo.
11

Fkccaroli,

Timeo di Platone.

27

3i

//

Timeo.

poi un impeto pi rapido di un fuoco di genere diverso s'imbatta nel fuoco visivo e lo di-

68 scetti fino sugli occhi, a forza sgominandone e

fuoco che chiamiamo lagrime, essendo pur esso (impeto) fuoco, e venendo di contro (mentre l'un fuoco salta fuori come da folgore, e l'altro entra e per l'umidore si spegne), nascendone in questa confusione ogni sorta di colori, questa impressione la diciamo
sciogliendone
e
i

meati, da versarne fuori


(i)

quell'acqua in copia

abbarbaglio, e quello che

la

produce ha per noi

Quello poi che in mezzo a questi, () quel genere di fuoco degli occhi e si il quale viene fino all'umidore mesce con esso, ma non corruscante ed a
di brillante e corruscante (2).
;

nome

(questo) raggio del fuoco che

si

mesce attraverso
corruscante
poi

l'umidore, poich produce un colore sanguigno,

diamo

il

nome

di rosso (3).

Il

(1) Preferisco la vulgata uOp uv xal iiuip Gpov alla lezione di A, tenuta dai moderni, irOp uv 9pov xal uaip: le lagrime infatti fanno intuitivamente supporre maggior quantit di acqua che di fuoco. (2)

Questo periodo

alla

prima

ci

pare

difficile,

perch

noi siamo avvezzi a elaborare l'idea e ad esporla, non come ci si presenta naturalmente, ma come ci risulta dopo una matura riflessione: noi diremmo cos: l'abbarbaglio (l'clot, Martin) nasce dall'urtarsi violento sulla pupilla del fuoco che viene dall'oggetto esterno e di quello che esce dal di dentro, il quale urto produce le lagrime ecc. L'aver cominciato con t^v Euxpav qpopv ... irupc; rende poi necessaria la spiegazione at^v b ouoav nGp, il che non sarebbe logicamente esatto, ma era inevitabile quando l'attenzione vuol essere fissata, non pi sul modo (cpopd), ma sulla cosa (irOp). (3) t b ToTiDv av nexaiv (cio tra il bianco e il corruscante) nvpc, y^voc;, irp; pv t tjv iuutudv ypv qpiKvouuevov xal xepavvuevov aTip, axiXftov b ou, xr) b ol Tf\c, votoc; avfi} toO -rrupi; urfvuuevn xp&u a vaiuov Ttapaaxouvr) ToCvo)ua puGpv Ayouev. un periodo

Capitolo

XXX.

315

al rosso ed al bianco d il giallo; ma in che misura siano ciascuno, neanche per chi lo sapesse ha senso il discorrerne, quando nessuno poi sarebbe capace di dirne sufficentemente alcuna legge e neanche alcuna ragione probabile.

misto

Cos
il

il

rosso mischiato
e
il

al

nero ed

porporino,

colore fosco
si

al bianco d quando a questi e

mescolati e bruciati
il

aggiunga

dell'altro

nero

(1):

rancio poi (2) nasce da mistura di giallo e di

variamente tormentato e variamente interpretato: per me chiaro, solo che nel primo membro si sottintenda ari dopo uexaS, e si pare dalla traduzione che ne ho dato. Lo Stallbaum emenda xoO uupq uiYvuuvou, invece che uiyvuuvri, il che aggiunge la spiegazione del fenomeno, per altro superflua. L'Archer-Hind inoltre

muta

irapaaxouvri in Trapaaxuevov, e ritenendo

corre-

lativi Trp<;

uv e

rr)

he,

cava un senso perfettamente

regolare: bisogno.

gli

che

di

emendamenti non

c'

proprio

Kau9eto{ re uXXov auy(1) Stciv TOOTOtc ueurfuvoii; xpaef uXav. Si congiunga ufiXXov con auYKpaGr) uXav, non con Kau6dai, come fa invece il Martin: I'ArcherHind lo congiunge con tutti e due, forse per distra-

zione.
cfr.

Y<ip

Questo fosco pare dovesse aver fondo violaceo: Aristotele, De coloribus cap. II, 9: vTeivueva XTTOvo<; Tiuuq Tip<; t qpilx; Xoupyi; exei t XP^ua

xoO cpiUTc; irpoapXXovTOc; ocpepv 8 KaXoOaiv pcpviov. di tutti questi colori (2) iruppv. L' identificazione tutt'altro che certa. L'Archer-Hind traduce uuppv per

castagno, il Jowett per rosso acceso, il Martin per fonee. Considerando che subito dopo il nuppv si congiunge all' azzurro per fare il verde, e che effettivamente il verde si fa di azzurro e di giallo, ho tradotto rruppv per rancio. " L'elaborata distinzione di colori tracciata in questo capitolo certamente non tende a sostenere la teoria, che stata messa fuori, che i Greci fossero deficenti nel senso del colore (Archer-Hind). Vero che Olimpiodoro {Vita Plat. 2) ci afferma aver Platone frequentato le botteghe dei pittori: Icpoirnae
koX trap YP aQP 6UCTl ' ^P* *& v wq>eXn0r| ti'iv |ui5iv t&v appunto la citazione XPiuutujv, uiv v Tiuaii|i uuvrixai: del Timeo e il notarsi che ne apprese ci che nel Timeo

ma

316
bigio, e
il

//

Timeo.
il

bigio di bianco e di nero, e


Il

color

d'ocra di bianco misto col giallo.

bianco poi,

la corruscanza e impigliandosi nero carico, d per risultato il color turchino (i), e il turchino misto al bianco d il cilestre, e il rancio misto al nero d il verde tenero. Quanto agli altri, per questi esempi si pu dire che chiaro a quali mistioni si possano

combinandosi con

nel

ragguagliare conservando
scorso.

la

probabilit

del di-

Ma

se qualcuno di
realt,

queste
fare
della

cose, esami-

nandole nella dimostrerebbe


natura
lare

volesse

esperienza,

si

ignorante
la

diversit tra

la

umana

e la divina, cio

scienza e insieme

che Dio ha la potenza sufficenti a mescodall'uno

molte

cose in uno, e di nuovo

a scioglierle in molte,

ma

degli uomini ora

non

ce n' alcuno che valga a fare n l'una cosa n

n in avvenire mai ci sar (2). Queste cose tutte, cosi naturate di necessit, l'artefice di ci che bellissimo ed ottimo le adoper allora nelle cose che nascevano (3),
l'altra,

mostra appunto di conoscere, cio l'impasto dei colori, d alla notizia tutta l'aria d'una congettura del biografo, o di qualche sua fonte, derivata esclusivamente da questo luogo.
(1)

kucxvoOv xp>M a

= turchino;

propriamente

il

lapis-

lazzuli.
(2) Il Gomperz (II, 481, cfr. Jowett, o. e. Ili, p. 418) rileva da queste parole l'antipatia di Platone per il metodo sperimentale: ma se l'asserzione qui chiara, dubito assai che si possa generalizzarla. All'esperienza come prova dei fatti ricorre anche Platone persino in questo dialogo stesso, e a p. 63 B ne troviamo proposta una, impossibile per altro ad eseguirsi. Perci qui forse non vuol dir altro se non che la sua teoria dei colori

non
(3)

si

pu controllarla sperimentalmente. Taxa i'i uvTa tt6 Tarn irecpuKTa


kci

it vyKX]<;

toO KotUiarou t

piarou

bnf-iioupYc; v to; yrfvo-

Capitolo

XXX.
e

317
perfettis-

quando gener
simo,
siliarie,

il

Dio indipendente
di

servendosi

esse

come

di

cause

au-

bene in tutto ci che si produceva lo recava ad effetto egli stesso da s. Per il che bisogna precisamente distinguere due specie
mentre
il

di cause, l'una necessaria, l'altra divina, e la divina

cercarla in tutte le cose

per poter viver

felici

quanto la natura nostra concede, e la necessaria 69 a cagione di quella, riconoscendo che senza di questa non possibile neppure quella, alla quale

agognamo, scorger da
glierla,

sola, n tanto meno coo in altra maniera alcuna parteciparne (1).

uvou; irapeXupavev.
(la

Congiungansi ireqpUKTa

S v(YKn<;

necessit uno degli elementi della creazione) e non


vdYKr)<;

TrapeXctu(tavev:

similmente trapeXd|upavEV tv

Yrfvouvou;, e non con I'Archer-Hind KaXXiaxou v x. YiTv-, che allora direbbe invece tujv yiYvouvwv.^ Il a TrapeXdutte poi non va congiunto a ireqpuKTCt,
-rene;

ma

fiavev,
Il

ed correlativo dell'invoca che segue subito dopo. Dio generato di cui qui si parla, si capisce, il

mondo.
la necessit cfr.

Sulle concause o cause seconde e sulla parte che ha e la nota; pag. 76 D; pag. 46 C; pag. 48 e Politico, pag. 281 D. Che la contemplazione delle cose divine non dispensi dallo studio delle leggi naturali, ma lo richieda anzi come opportuno e necessario ajuto, sanissimo principio che concilia la religione e la scienza, e lo possiamo tutti accettare, ancorch di(1)

sgraziatamente sia stato dimenticato per tanti secoli. E il problema posto esattamente il mondo governato da leggi certe, e queste sono oggetto della scienza; ma la ragione ultima di queste leggi stesse l'oggetto
:

della religione; la scienza mezzo, la religione fine ; ma solo attraverso alla considerazione di ci che di-

viene potremo assurgere alla conoscenza di ci che . A p. 59 C aveva considerato lo studio 'delle leggi fisiche come un buon passatempo; qui lo si tiene in conto migliore e pi giusto.

318

//

Timeo.

XXXI.
Poich adunque, come a fabbri il materiale (i), ci stanno innanzi le due specie di cause ben definite (2), dalle quali si ha da contessere il resto del discorso, ritorniamo di nuovo per la pi corta da principio e, andando rapidamente a quel punto stesso donde siam mossi per venir qui, proviamoci di porre al discorso un capo e

accordino con ci che precede. anche da principio si detto, in queste cose, che erano prima disordinate (3), Iddio pose delle proporzioni in ciascuna e con s stessa e con le altre, quante e dove era possibile che si corrispondessero e proporzionassero. Perocch allora con proporzioni e misure non c'era cosa che avesse che fare, se non per caso, n affatto v'era nulla che meritasse il nome delle cose che ora questo nome hanno, come fuoco C e acqua, eccetera ma tutte queste cose da principio egli ordin, e poi da queste costitu questo universo, animale unico (4) che comprende in s gli animali tutti mortali e immortali. E mentre

una chiusa che

si

Come

pertanto

delle cose divine egli stesso

si

fece artefice

^5),

(1) Cfr. la

stessa

immagine

in Phl. p.

59 D-E.

e la vYKn. Ripiglia il discorso interrotto a p. 47 E. Cfr. i Prolegomeni, cap. III. (3) toOtcc <t<ktuu<; xovtcc ... veuoinaev. La sintassi irregolare, ma il senso cos evidente che chi non grammatico non rileva l'anomalia. (4) Ztov 2v. Cfr. pp. 30 C-31 B. (5) Questa dottrina accettata integralmente anche da Dante. Cfr. l'Appendice, 6.
(2)

Cio

la 8eia

a-ricc

Capitolo

XXXI.
la

319
affid alle

la

generazione delle mortali

sue

creature acci la producessero.

Ed

essi imitan-

dolo, ricevuto
dell'anima,

immortale ad essa un corpo mortale, e tutto questo corpo le diedero come veicolo (1), e un'altra specie di anima vi fabbricaron per giunta, la specie mortale, la quale Ha in s terribili e non evitabili passioni, prima il piacere, grandissima esca del male, poi i dolori, onde ogni bene si fuga, e

da

lui

il

principio

dopo

di

ci ritondarono intorno

oltre di ci l'audacia e

il

timore, consiglieri dis-

sennati
sigli,

(2), e la collera, che male ascolta i cone la speranza, che si lascia facilmente tra-

viare dalla

sensazione irrazionale e dall'amore che tutto osa (3). E mescolando ci insieme per opera della necessit, composero la schiatta
mortale.

(1) Cfr.
(2) Cfr.
(3)
"

pp. 44

E
I,

e 87 D.
p.

Legg.

644 C.

9eov e 6vr|Tv evidentemente la stessa di quella tra XoyicmKv ed Xoyov della Repubblica, e la suddivisione dello Gvnxv corrisponde alla suddivisione dell'ciXoYOv in quel dialogo tra Guuoeit; ed in8u|uritikv, come pure al cavallo nobile e al cattivo del Fedro.

La divisione fra

(Archer-Hind). La parte mortale dell'anima ha in s ed altre passioni Xiria x' enapYurfov aaGnaei re XyuJ SuyKepaad.uevoi t' aT vcrfKal TtixeipnTrj iravrq gpum kcuk; t SvnTv y^voc; EuvQeaav. Cos leggono lo Stallbaum e il Martin; invece I'Hermann, lo Schneider, il Jowett e I'Archer-Hind, leggendo con parecchi codici aloBnaei b, e poi TaOxa invece dell'emendamento r' auro, pongono interpunzione prima di ato6naei e la levano dopo pum, cos che il senso sarebbe: " e mescolando queste cose con la sensazione irrazionale ecc. Ma questo senso pare poco logico non si capisce infatti come l'^bovn e la XOirn, il Ouu<; e l'Xui<; si mescolino con la sensazione, quasi ingredienti prima indipendenti gli uni dagli altri e da essa; mentre la sensazione, appunto per la sua irrazionalit, la causa di tutti questi
:

320

//

Timeo.

evidentemente avendo rispetto il divino, se non in quanto fosse assolutamente necessario, separatamente da E esso domiciliarono il mortale in un'altra stanza del corpo, costruendo un istmo e un confine tra la testa ed il petto, col porvi in mezzo il collo, affinch ne fosse separato. Pertanto nel petto e in quello che si dice torace legarono la specie mortale dell'anima: e poich parte di essa era
per questo
di

non contaminare

di

sua natura migliore e parte peggiore, in mezzo


torace eressero una chiusura, di-

alla cavit del

videndolo come si fa per l'abitazione delle donne 70 da quella degli uomini, col porvi per tramezzo
il

diaframma

(1).

La

parte

dell'anima

pertanto

altri

turbamenti: cfr. p. 77B: aaenaeox; bk rjdc; kcx ueT TnSuuiiv. Le cose che si mescolano vaYKaiw; sono invece la parte mortale e la parte immortale dell'anima: di questi due elementi si forma l'uomo. Cfr. p. 35 A, dove pure la natura dell''opposto ouikto<;, cio ricalcitra a mescolarsi con quella allo stesso modo, cos che anche l occorre la forza. Intendi perci t 0vr|Tv jvoc, per il genere umano, non per la parte mortale dell'anima, come fanno altri.
XTeivf|<;

(1) t<; qppvou;

icppaTua

eli;

\.ioov

axuJv TiGvrec.

Poich

iaeppctTua,

che in greco parola generica, in


il

italiano diventata parola tecnica, cos nella traduzione

essa ha dovuto scambiare

suo posto con

qppvet;.

La

pluralit delle anime non una invenzione di Platone, risale ai Pitagorici. Noi a

ma

Che un'anima

quell'error che crede sovr'altra in noi s'accenda


.
.

sostituiremmo le diverse facolt dell'anima unica: ad ogni modo la distinzione di Platone non esattamente corrispondente alla nostra, e per persuadercene basta pensare per esempio alla volont, e si vedr come questa va frazionata un po' per ciascuna delle tre anime
di

Platone.

giustificazione

dell'ipotesi

platonica

si

pu dire che

la si

riduce

in

buona parte a questione

Capitolo

XXXI.

qai

che partecipa del coraggio e della collera, come


quella che litigiosa, la domiciliarono pi vicino
alla testa tra il diaframma ed il collo, affinch, potendo sentire la voce della ragione, insieme con essa reprimesse a forza la famiglia delle cupidit, qualora non volesse acconciarsi ad obbedire di buona- voglia alle parole e ai comandi della cittadella. Il cuore poi, nodo (i) delle vene e fonte del sangue che circola impetuosamente B per tutte le membra, lo collocarono nel corpo

di guardia, affinch,

quando
che

la

forza della collera

ribollisse all'annunciare

fa la

ragione

come

avvenga qualche opera ingiusta in rapporto ad esse membra o di fuori, o anche da parte delle
cupidigie di dentro, (affinch, dico,) allora rapi-

damente, attraverso tutti gli angusti canali, tutto quanto nel corpo v' che riceve le sensazioni si accorga delle esortazioni e delle minaccie, vi

di parole l'anima immortale anche per lui una sola, e questa sola pi propriamente partecipe dell'essere, e le altre no. Anche cos per altro delle difficolt gravissime ne restano sempre, e basti accennare a quella della metempsicosi quando 1' anima dell' uomo passa nel corpo di un animale, che se ne fa dell'anima razionale? dove la si colloca? o gli animali differiscono dall' uomo solo perch hanno un corpo pi imperfetto,
: :

che impedisce
(i) tr^v b bf\

movimenti dell'anima?
xapiav
fi.uua tjv qpXePOv xa Trny'iv
k. t. X.

toO Cos i pi con A. Lo Stallbaum invece con qualche altro codice: t. b. b. xccpiav pxv fi^a twv (pXeftv k. t. X. La differenza per il senso poca; preferisco ad ogni modo la prima lezione perch l'altra mi pare riduca l'espressione ad una tautologia, con questo di peggio, che pxnv fijua pare voglia invece indicare anzi una diversit che dovrebbe correre tra la pxn e la irnYn. Platone attribuisce alle vene le funzioni dei nervi, organi della sensibilit (Martin, II, pag. 302).
tiepiqpepouvou aiucnrcx;

322

//

Timeo.

badi, le assecondi interamente, e lasci cos che


la

parte

migliore

C verno

(i).

di tutte quante abbia il goNel balzare poi del cuore all'aspettaal destarsi

zione dei pericoli e

della collera

co-

noscendo

che tutta questa gonfiezza degli iracondi doveva nascere dal fuoco (2), per trovarle un soccorso, vi piantarono dentro il polessi

mone, che innanzi tutto molle ed esangue, ed inoltre ha dentro delle caverne scavate come quelle di una spugna, affinch, ricevendo il fiato
e la

bevanda, rinfrescando
li

procacci

respiro
i

sollievo in tanto ardore. Perci


della trachea

appunto

canali

inserirono sul
al

polmone
esso

e questo
(3),

posero intorno
affinch
al

cuore

come un cuscino
in

quando

la collera

cuore fosse

refrigerio,

colmo, balzando su cosa cedevole e avendone con minor fatica potesse meglio adol'ira

perar

in servizio della ragione.

(1) kc
C.

t pXTiarov otok; v cxtoii; itaiv i^ef-iovev Si intende bene che Ttaiv non va congiunto ad

v)Y|aovev,
(2) Trj

ma

ad
i)

v ccTOq.
xf)<;

r]

trr|r)aei

KCtptac;

...

TTpoYiYvd>aKOVT<;
otrjaic;

ori bi
k. t. X.

Trup<;

TOiarri Traa

efxeWev
:

fi^veoQa\

traduzione del Martin " prvoyant les tressaillements du cceur ecc. cos lontana dal testo che si potrebbe dire che lo fraintenda. Leggasi ofncu; con la maggior parte degli editori, invece di oiKrjffi^ della maggior parte dei codici, e per conseguenza i -rrupc, rigettando l'emendamento ictTrupcx;. Superfluo notare che il polmone non senza sangue e che ci che si beve non passa per il polmone. (3) Sopra tutto per comodo della versione accetto dal-

La

I'Hermann olov |idXaYM a secondo la citazione di Longino (cfr. Alcin. Isag. 23), che per altro aggiunge M"Xokv, che pare superfluo. I codd. di Platone hanno in
>

generale
dai pi
:

fi\|aa |uaXciKv,
"

un
Il
il

salto molle,

rimbalzare.

lezione possibile e perci tenuta cio una cosa molle su cui senso dunque non dubbio. Altri pro<5ym-

pose

fi|UM a >

Martin

Capitolo

XXXII.

323

XXXII.
Quella parte dell'anima poi,
cibi

e le

bevande e quanto

necessario

che appetisce per


collocarono

la

natura stessa del corpo,

questa

in

mezzo tra il diaframma e il confine dell'umbi- E lieo, congegnando in tutto questo luogo come una greppia per il nutrimento del corpo. E qui la legarono come una bestia selvaggia, che era
pur necessario mantenere, essendo da noi inseparabile, se pure il genere mortale doveva esistere. Affinch pertanto sempre pascendosi alla
abitando quanto pi possibile lontano dalla parte che ragiona, desse minor noja e turbamento, e lasciasse che quella che pi vale deliberasse tranquillamente intorno a ci che giova a tutte (le parti) insieme, per questo

mangiatoja

71

le fissarono

il

che essa
tesa,

la

ragione

posto in cotal luogo. E conoscendo non l'avrebbe neppure in-

e che, se

anche

in

qualche

modo

fosse parnella

tecipe di qualche sensazione

(1),

non era

sua natura

il

curarsi del loro perch, e che anzi


il

e di notte e durante
lettare sopra tutto

giorno

si

lascerebbe

al-

da immagini e parvenze, per provvedere appunto a questo gli Dei (2) com'i r irn kcx ueTaXa,u0voi tiv<; au tujv aaQ-qoewv. variante tivi; aTiiiv aia0>iaeuj<; di qualche buon codice, seguita dai pi dei moderni, d un senso molto diverso; ad ogni modo bisognerebbe intendere a-rwy come prolessi del Xywv della proposizione seguente, il che non senza durezza. io per altro ho tra(2) eltet; ... Qec,, ad synesin dotto gli Dei anche per non far confusione con Dio

(1)

La

padre

e"

creatore.

324

11

Timeo.

B posero

il

fegato e glielo posero nella sua stanza.


(1) in

lo

confezionarono

modo

che fosse denso

e levigato e lucido e dolce e avesse anche dell'amarezza, affinch la forza dei pensieri che

muove
in

dall'intelligenza, scendendo in esso come uno specchio che riceve le forme e concede
le

di

immagini, potesse incuter paura alla (il che avviene) ogni qual volta, servendosi dell'amarezza sua affine (2), (la detta forza) irruendo grave e minacciosa (3), e mescolandola rapidamente per tutto il fegato, vi faccia apparire i colori della bile, e compri-

vedere

detta parte (dell'anima),

C mendolo

lo

renda tutto rugoso e scabro, mentre

piegando dal dritto il lobo e contraendolo, e ostruendo e chiudendo i serbatoi e le porte,

yXuk xa TtiKpTnxa (1) ttukvv kci Xetov xa Xa.uTipv xa queste parole ho spez^Xov |urixctvri<j6|aevo(;, iva k. t. X. zato il periodo greco cominciandone uno nuovo, che di necessit riuscito ancora eccessivamente lungo e aggrovigliato, per quanto abbia cercato di chiarirle segnandone i nessi. Il senso questo: il fegato ha tutte

queste diverse propriet per poter rispondere al suo doppio e diverso ufficio: esso come uno specchio, nel quale si riflette il pensiero dell'anima intelligente, e, secondo i casi, o lo conturba per mezzo dell'amarezza (travaso di bile), o lo rasserena per mezzo della dolcezza, che pur contiene, in modo da disporlo alla divinazione durante il sonno, la qual divinazione supplisce in questa parte dell'anima la conscienza e la ragione che le mancano. Cos il fegato ha secondo Platone un ufficio quasi morale, subordinato per altro all'intelligenza, poich la forza dell'intelligenza quella che agisce su di esso o nell'un senso o nell'altro. (2) Al fegato? o alla forza dei pensieri gravi e paurosi? Cfr. p. 325 nota 2. Non si prenda ireiXrj (3) xaXem'i upoaevex9etoa TreiXfi. per verbo, quando tutti gli altri sono ottativi: ad ogni modo, se fosse verbo, dovrebbe esser seguito da un kci. prenderlo come nome si potrebbe per pensare a un

emendamento:

x^Xeitr).

Capitolo

XXXII.
;

325
(affinch)

produce dolori
versa,

nausee

vice-

quando un'ispirazione di mansuetudine pur movendo dalla mente vi dipinga le immagini


opposte
col
,

lasciandolo

riposare

dall'

amaritudine

non muovere n voler toccare la natura a se contraria (1), e adoperando invece verso di
esso la dolcezza che pure vi innata ducendovi ogni cosa dritta e libera e
(2),

liscia,

ri-

(affinch, dico,) potesse (questa ispirazione) ren-

anima che che nella notte abbia una disposizione adeguata da usufruire della divinazione durante il sonno, poich di ragione e di conscienza non partecipa. Si ricordavano infatti dell'ordine del padre coloro che ci formarono, quando ordin che il genere umano fosse fatto ttimo quanto era possibile, e perci, correggendo anche la parte cattiva di noi, af- E finch in qualche modo potesse attingere la verit, posero in questa la divinazione. E c' un indizio sufficente per dire che Iddio concesse all'imbecillit umana, ed che la divinazione nessuno che sia in s attinge mai una divinazione ispirata e veritiera, ma o nel sonno, quando ha inceppata la forza della conscienza, o quando esce di s per malattia o per qualche furore dider serena e mansueta
il

la

parte dell'

abita presso

fegato, di

modo

' la natura a s confi) xfj<; vavTa<; auTfj qpuaeux; traria ', cio l'amarezza, contraria alla irpaTnxq tu; k iavoiac iriirvoia. Il Martin in questo luogo fraintende il testo.

(2)

Y^ UK "^ Tr Tl te
l

Trj

kcit'

kvo

Euuqpofiy

irpc;

auto

xpiuuvn-

Come mai I'Archer-Hind

dolcezza all'Turcvoia, quando dice che non so capire. Perci credo che al fegato si deva rire anche l'amarezza di cui sopra, p. 71 B.
Pragcaroli,
II

riferire la innata kcit' txeivo,


rife-

possa

Timeo di Platone.

2S

326
vino.

//

Timeo.

riflettervi,

in

Dell'uomo in senno invece proprio il ripensando le cose dette o in sogno o veglia dalla natura divinatrice ed entusiastica,

72 e quante

immagini furono

viste, tutte nel ragio-

namento

sceverare, sotto qual rispetto e per chi

significhino qualche cosa di

male o

di

bene

fu-

turo o passato o presente. Che l'invasato, finch perdura in questa condizione, non possibile

le

che giudichi da s stesso n le sue .visioni n sue parole, ma da un pezzo si dice, e si dice bene, che fare e conoscere le cose proprie e s
stesso proprio

solo
il

del saggio.
di

di qui,

si

vede,

venuto

costume

porre

giudici
i

delle divinazioni ispirate gli indovini (1),

quali
si

sono detti pure profeti da alcuni che


essi

non

ac-

sono solamente intercorgono affatto che voci e di visioni enigmatiche e profeti preti di punto, e perci giustissimamente potrebbero dirsi
interpreti delle cose profetate.

Per questo dunque


stituita in
tal

la

modo
il

e nel

natura del fegato coluogo che abbiamo

detto, cio in grazia delia divinazione.

fintanto

che
denti

uno
(2),

vivo,

fegato ha

segni pi evi-

ma quando
le

diventa cieco, e

privato della vita, (esso) divinazioni son troppo deboli

per poter indicare qualche cosa chiaramente.

X. Anche (1) 69ev bf] Kdi t tiv -rrpoqpriTuJv yvoc; k. t. qui le parole greche trasportandosi in italiano hanno cambiato significato, e perci upocpnTrK non pu pi tradursi per profeta, ma per interprete o indovino: il profeta vero uvtic.

(2) Vuol dire che l'aruspicina una cosa del tutto incerta e dubbiosa, e previene la sentenza di Catone che si meravigliava " quod non rideret haruspex haruspicem cum vidisset (Cic. De Div. II, 24, 51).

Capitolo

XXXIII.

327

La formazione
vicino

poi e la sede del viscere


sinistra

suo C

and

per servire

al

fegato,

sempre nitido e puro, come una spugna pronta sempre e per uno specchio preparata (1). Per la qual cosa anche quando
cio per mantenerlo
al fegato, per malattie del corpo, qualche impurit, la rarezza della milza le spazza via tutte ricevendole in s, come quella che ha un tessuto cavo e privo di sangue; per il che riempita di spazzature cresce grande e suppurosa,

nasca intorno

nuovo, quando abbassandosi risiede


e di

il

corpo

sia

stato purgato,

in s stessa.

XXXIII.

tale e

Intorno all'anima pertanto, quanto ha di morquanto di divino, e dove e in qual comla

pagnia e per quali modi siano queste parti l'una


dall'altra segregate,

verit,

come

si

detto,

quando
allora

Iddio

ne

convenisse con noi, soltanto


conoscerla.

per altro

potremmo sostenere di abbiamo detto cose

Che
ci
ri-

probabili, pi
di poter

pensiamo anche ora e pi sentiamo

' cui toO ytovcx; citu) lvaxaa\.c, kci pa cmXaYfa) il Xvou Y^TOvev r kl picrrepat; xapiv neivou, toO irapxeiv auro Xa.uirpv e\ xcd KaGapv, oiov KaTnxpiu -rrapeaKeuaaiavov Ka exoiuov dei napaKeiuevov x|uaYeov. Questo viscere la milza. Forse equivocando sul senso di KuetYeov, per l'uso che se ne fa a p. 50 C, il Martin traduce: " c'est pour rendre le foie toujours brillant et propre, conime un miroir prpar, comme une matire toujours prte recevoir les empreintes. strano che il senso non l'abbia fatto accorto dell'errore: oiov kcittttpuj k. t. X. si lega a iraptaKeua0U6vov, non a KoGapv.

328

//

Timeo.

E cos anche che viene in seguito a questo allo stesso modo bisogna indagarlo ed sul rimanente del corpo (i), in che modo fu fatto: ebbene, che sia stato messo insieme giusta il ragionamento seguente, potrebbe convenirgli meglio di tutto. Coloro che composero il genere nostro conoschiare d'affermarlo, e sia affermato.
ci
:

scevano l'intemperanza delle bevande e dei cibi che in noi sarebbe stata, e come per la gola ne avremmo usato in copia maggiore del conveniente

non succeuna repentina distruzione e il genere umano non perisse subito prima di aver rage del necessario. Affinch pertanto

desse con
73 giunto

le

malattie

il

suo

fine,

nere

il

superfluo della bevanda

questo prevedendo, a contee del cibo ne

fecero serbatojo quello


ventre, e avvolsero in
il

che
giri
il

si

chiama il basso budellame, affinch

nutrimento passando fuori presto non costrinancora presto delil corpo a richiederne l'altro, e facendolo insaziabile, non rendesse l'umanit tutta, per causa della voracit, incapace
gesse
di scienze e di arti e indocile alla parte pi di-

vina che sia in noi.

B che

Circa alle ossa poi e alle carni e a tutto ci di simile natura, avvenne cos a tutte
:

queste cose fu principio


dollo
(2).

Perocch

l'anima avvinta

al

generazione del milegami della vita, per i quali corpo, essendo annodati apla

(1) Si riferisce
(2)

a p. 61 C.

Questa teoria ammessa anche da Dante: cfr. Appendice, 11. Platone molto pi vicino al vero che non Aristotele, il quale diceva che midollo e cervello sono due sostanze essenzialmente diverse, e che la funzione del cervello semplicemente quella di rinfrescare la regione del cuore De parfibus anim. II, 7.
:

Capitolo

XXXIII.

329

punto nel midollo, sono come le radici del genere umano: il midollo poi quanto a s ha origine

da

altre cose. Infatti fra

triangoli quanti v'erano

elementari non (1), atti a produrre precisione fuoco, acqua, aria e terra, con maggior con questi Iddio, separandoli a parte dalla loro
torti e lisci

rispettiva specie e mescolandoli tra di loro in (una certa) proporzione, per procacciare il comun C seme occorrente a tutto il genere umano, fece di essi il midollo, e dopo di ci piant nel mi-

dollo le tre specie dell'anima e ve le annod, e secondo il numero e la qualit delle figure

che ciascuna

di esse specie

dovea avere

(2),

in

singolare questa dichia(1) Cfr. pag. 53 C e segg. E razione che dei triangoli elementari ve ne siano di pi perfetti e di meno perfetti, la quale scuote le basi stesse dell'ipotesi, in quanto che paja evidente che, quando due cose sono diverse e pur simili, possano ridursi all'uguaglianza eliminando le differenze e quindi risalendo a un tipo comune e pi semplice. Il Martin alquanto inesatto nella sua traduzione, per esempio
" mla enurfv<; b' dXXf|Xoi<; SuuueTpct lo rende per semble ces triangles de grandeurs proportionnes, mentre il EuueTpa, oltre la grandezza, comprende anche il numero. xe bau ?ueX(2) Kaxi&ei t tujv tjjux&v Yvn, axnucrrwv

Xev aO axnffeiv ol Te KaG' exacrra efn, tv uueXv aTv xoaaOTa Ka toioOto uipelxo axwaiu k. t. X. Stallbaum: "ipsamque... in tot talesque distribuit fguras quot et quales habiturae essent singulae species, dove le 'singulae species' dal contesto pajono essere le quattro specie elementari, poich quelle dell'anima le
" et quot qualesque secundum singulas species habitura [cio mednlld\ esset fguras, in tot et tales medullam ipsam statim in prima distributione dividebat; e similmente " et comme la molle devait recevoir beauil Martin: coup de fgures et de varits distinctes les unes des autres, il la divisa aussitt en autant de formes qu'il tait ncessaire: il che affatto tautologico, e male il

avea dette genera. Lo Schneider traduce:

330
altrettante e

// Timeo.

altrettali

figure

divise

il

midollo

medesimo

subito

nella

distribuzione

primitiva.

E
D

quella parte di esso che dovea ricevere in s,


fa
il

come

campo,

d'ogni intorno rotonda


cervello (o di

divino, plasmandola chiam col nome di encefalo), poich, quando ciascun


il

seme
la

animale fosse compiuto, il vaso che conterrebbe questa parte sarebbe stato la testa (i). Quella poi viceversa che dovea contenere la parte rimanente e mortale dell'anima, la divise in forme insieme tornite ed oblunghe, e le disse tutte midollo, e da queste come da ancore gettando
i

legami quindi tutto il corpo nostro, dopo aver prima costruito per il midollo tutto intorn una coperdi

tutta

l'anima, intorno

ci

comp

tura ossea

(2).

Martin cerca

di

giustificarlo

getto di ueXXe axnoeiv x

precedente, cos che si etr) axnudTiuv x xwv iy. f. Ka0' ^oiaxa ueXXe axfaeiv, xoaaOxa k. t. X. Che se non si volesse separare kc<0' exciaxa dn., converrebbe sempre intendere questa espressione come equivalente di x xiwv ipuxujv ivr\. Cos intendono anche Jowett ed Archer-Hind. Ad ogni modo la sostanza del senso varia poco.

No il sogyvn della linea pu costruire: xa 8acc old xe


nelle note.
ijjuxujv
:

xwv

= testa
vello
(2)

(x)

Qui un giuoco ed yKcpaXov

sferico

= quello
la

di

parole intraducibile tra


che

KeqpaXrj
Il
:

nella testa.

cercfr.

come

forma

dell'

universo

pag. 44 D.

oxYaaua uv

axivov.

cono

il

Martin

axtl) irpuxov EuuTrnjv<; rcep SXoy axCp sia uueXc; e non t oujua, lo diirpujxov, il uv e il senso comune. Inesatto il nel rendere " une couverture entirement os-

Che

seuse, mentre xtep 8Xov non si ha da congiungere con axivov, ma da riferire al uueXq. L'emendamento uepiPoXov, proposto dal Valckenaer e accettato dall' Hermann e dall'ARCHER-HiND, inutile, e ripete a-rfaa^a. L'esserci rcepipXiu poche righe dopo nella stessa accezione un argomento a doppio taglio.

Capitolo

XXXIII.

33i

la

parte ossea la

compose

cos. Stacci della

terra pura e fina, la impast

midollo, e

dopo
(1);

ci la

inumid col pose nel fuoco, quindi la


e
la

tuff nell'acqua, e di

nuovo

nel fuoco, e di

nuovo
molte

nell'acqua

e facendola

passare

cos

volte in quello ed in questa, la rese tale

da non

poter essere disciolta n

Servendosi pertanto
intorno
lasci
al

di

n dall'altra. questa materia ne ritond


dall'uno
sfera ossea, e in questa

cervello

una

un piccolo passaggio.

intorno

al

midollo 74
la

della cervice e della schiena

plasmando con
le

materia medesima delle vertebre,

infil

sotto

cominciando dalla testa, per tutto perch volea conservare il seme genitale, per questo lo asserragli in un recinto petroso, facendovi delle articolazioni, adoperando l'azione del variabile per ottenere tra di esse col mezzo suo e movimento e flessione (2). Reputando poi che il modo di essere della natura ossea fosse troppo pi fragile che non converrebbe e pi rigido e che col vicendevole

come
il

cardini,

torso.

(1)

"

quello della tempera dei metalli

Questo processo evidentemente suggerito da (Archer-Hind).

vi(2) xr) Baxpou Trpoaxpw|uevoc; v afoTq wc, ucr) pag. 35 CTCtiavr) uv|uei, Kivriaeuu; xal Kd|ui|jeujq 'vCKa.

distinto la natura totoO quella costante, questa variabile.

aveva

e la natura

Garpou,

Qui dunque

si

adopera

propriet del variabile per porla in mezzo tra un'articolazione e l'altra: perch? Dice, per ottenerne moto e flessibilit. Or questo moto non n circolare n sempre ad un modo, dunque non pu poi molteplice quante essere della natura tcxtoO sono le articolazioni, e la natura Barpou rappresenta appunto i pi in confronto dell'uno. Il Martin (II, pp. 312-13) crede che qui si parli dell'umore detto sinovia, ma io non ce lo so n trovare n tirare. Qui non si parla di umori n di materia (come credeva anche lo Stallbaum), ma di potenza.

una cosa che ha

le

332

//

Timeo.

affocarsi e raffreddarsi (i) cariandosi avesse pre-

stamente a guastare il seme genitale in s contenuto, per questo acconci nervi (2) e la carne in modo che, con quelli legando insieme tutte le membra, a seconda che si tendono o si allentano intorno alle vertebre (3), desse agio al corpo di piegarsi e di distendersi, e la carne fosse propugnacolo contro calori eccessivi e difesa non solo dai freddi, ma anche dalle cadute, come la roba imbottita, poich molleC mente e facilmente cedevole agli altri corpi e ha dentro di s un umor caldo, che d'estate trasuda e umettando il di fuori duo offrire a tutto il corpo un naturale rinfresco, mentre d'inverno viceversa con questo suo stesso fuoco si pu difendere sufficentemente contro il rigore che la assalisse o la avviluppasse di fuori. Questo pensando il nostro plasticatore, componendo(la) e conglutinando(la) (4) di acqua e fuoco e terra, e mettendo insieme un lievito tra acido (5) e D salso, riun l'ima cosa e l'altra e form cos la carne succosa e molle. I nervi poi li compose d'una mischianza di ossa e di carne senza lievito,
i i

Nei cambiamenti di temperatura. t tujv vepuuv. Tradurre tendini tanto inesatto quanto tradurre nervi. Platone non distingueva tra gli
(1)

(2)

firravra t uXn Suvnaaq iriTeivouvip Kol (ivieu^vai irep to<; aTpq?iTT a<i KaunTpevov t aiLpa xai Kteivuevov Trapxoi. Forse superfluo avvertire
Til>j'|uv
tiI strumentale di vvbr\aa<; e perci non va congiunto con Tnxeivop^vuj ecc., che, attratto al dativo da tl, invece modale di Ttctpxoi. (4) Cio la carne, cui si accennato prima, e che si

uni e gli (3) iva

altri.

che

nomina anche poco dopo. (5) E loc, xai a\uupoO. Martin sale: ma loc, non eo<; n

"

de vinaigre

et d'eau

ouq.

Capitolo

XXXIII.

333

natura media tra quelle e questa, e vi adoper inoltre il color giallo: perci i nervi ebbero una natura pi consistente e pi tenace delle carni, ma pi molle delle ossa e pi flessibile. Con

queste cose
e
il

(i)

midollo,

le

poich Iddio ebbe avvolte le ossa leg reciprocamente per mezzo


il

dei nervi, e coperse quindi

tutto

con

le carni.

Quelle ossa pertanto che racchiudono maggior parte di anima, le rinserr in pochissime carni,
e quelle che dentro ne

han meno,

in moltissime

e molto dense

(2).

parimenti anche nelle giun-

dove la ragione non facesse vedere qualche necessit perch ci dovessero essere carni, ne pose poche, affinch essendo di
ture delle ossa,

non rendessero che sarebbero divenuti difficili a muoversi, ovvero, quando fossero molte e assai dense e constipate le une nelle altre, per la durezza producendo insensibilit (3), non rendessero pi smemorate e pi stupide le attivit dell'intelligenza. Perci la regione delle cosce 75
impedimento
nella
flessione
i

corpi impacciati,

come

quelli

(1) oi<; tuuTrepi\ctf5jv k. t. X. La parola immediatamente precedente bens veOpcc, ma il vepou; che segue mostra che qui per ole, si deve intendere altro: oi<; si riferisce dunque a t tujv vepuuv kciI t rf\c, aapK<; yvoc,, di cui si cominciato a discorrere a p. 74 B; poi procede a determinare; cio coi nervi insieme e con la carne avvolse le ossa e il midollo, i nervi per legare, la carne per coprire. (2) Essendo il midollo la sede dell'anima, la quantit di midollo corrisponde alla quantit di anima; ben inteso per altro che queste espressioni non si hanno a prendere in senso materiale. chiaro poi da questo e da ci che segue, che Platone distingueva bene tra la

sostanza del midollo spinale e quella delle altre ossa, e in ci era nel vero. (3) Cfr. pag. 64 B,

331

11

Timeo.

e degli stinchi e quante altre


di

tutta

quella

che

circonda

le

anche, e le ossa del braccio e dell'avambraccio,

ne abbiamo

inarticolate, e

quante
midollo

dentro per

scarsezza di anima

nel

sono vuote di conscienza, queste tutte sono abbondantemente fornite di carni; e quante chiudono in s conscienza ne hanno meno, fuorch l dove per avventura (Iddio) costitu appositamente qualche pezzo di carne che stia da s a scopo di sensazioni, come appunto l'organo della lingua. Ma per lo pi le cose sono a quel modo: perocch l'organismo che nasce e si mantiene secondo le leggi della necessit (i), non B ammette osso duro e carne molta e insieme con
essi acutezza di sensazioni.
siasi altro

Infatti

pi

di

qual-

membro
il

l'avrebbe avuta la compagine

stare insieme, e

due cose avessero voluto genere umano con una testa carnosa sopra di s e nerboruta e gagliarda si sarebbe acquistato una vita doppia, anzi a molt doppi, e pi sana e men triste di quella d'ora Ora invece gli artefici della nostra generazione
della testa, se queste

C pi duratura

ragionando se dovessero produrre una schiatta e peggiore ovvero migliore e d vita pi corta, furon d'accordo che ad ogni modo la vita pi breve e migliore fosse ass Altamente preferibile alla pi lunga ma peggiore;

(i)

l'i

Yp

vrfKr|(; YiY v OMvn koi

Euvtpecpouvn

qpOai<;

da intendere in quel significato perifrastico che ha ad ogni passo in questo dialogo


k. t. X.

Anche

qui

cpuai<;

6 ti cperai YiY v uevov il dtvaYKn<;,

dunque

la

nostra co-

stituzione materiale. Notisi l' intervento della necessit, che anche qui pare una disposizione che hanno le cose
in se

indipendentemente da un ordinamento provvidenpp. 47

ziale. Cfr.

sgg.

Capitolo

XXXIII.

335

e perci effettivamente, ancorch

gero,

non per

sero la testa,

con un osso legcon carni n con nervi copercome quella che non dovea avere
altro

neanche

articolazioni.

Conforme

tutte

queste

cagioni pertanto la testa fu pi sensibile bens e

ma molto pi debole del resto dell'uomo al cui corpo fu aggiunta. E perci nervi similmente Iddio circondandoli al basso
pi assennata,
i

della testa tutto in giro

intorno
(i),

al

collo,

ve

li

appiccic uniformemente
chiavi delle

e leg con essi le


la

mandibole sotto
le

faccia

gli

altri

poi

li

distribu in tutte

altre

membra,

colle-

gando articolazione ad

articolazione.

Similmente l'apparato della nostra bocca coi


denti, la lingua e le labbra lo fornirono, coloro

che

lo fornirono,

come

ora disposto, e per causa

della necessit e per

causa

del

miglior

bene

e ne disposero l'ingresso per causa della necessita,

e per causa del miglior

bene

l'uscita;

pe-

rocch necessario tutto ci che entra a dar nutrimento al corpo, ma la sorgente dei discorsi che sgorga fuori in servizio della saggezza la
pi bella e la pi

La

testa poi

solo ossea e

buona di tutte le sorgenti. non era possibile n lasciarla nuda per l'eccesso delle stagioni

(i)

K\\r\aev uoiTnri

"

aequaliter

(Schneider),

iuoiux;

(Stallbaum)

non capisco invece Y

avec simi-

litude

Martin e " per virt di lor somiglianza dell' Acri. Lo Stallbaum cita De Rep. Vili, p. 555 A:
del
iuoixnTi tv cpeiuuXv re xa ys>r\\L<xr\Gi\v TCTxQcu, e se l'identit dei due luoghi, d'altra parte la sua traduzione, " and cemented them

I'Archer-Hind non riconosce

with uniformity non vedo a che sostanziale differenza possa ridursi. Pi esplicito il Jowett: " and glued them together by the principle of likeness; il che non vedo che cosa qui possa aver che fare.

336
nell'uri

II

Timeo.

senso e nell'altro, n permettere che coperta diventasse stupida ed insensibile per l'ingombro delle carni. Ora, quando la carne si dis76 secca (1), se ne suol separare intorno una buccia eccedente (la carne stessa), quella che ora si
dice pelle
il

e questa per l'umidit che circonda cervello crescendo in giro e ricongiungendosi


:

s stessa (2) rivest intorno tutta la testa; l'umidit poi usc di sotto alle suture a irrigarla
in

e la chiuse al

sommo

del

capo raccogliendola

come
delle

un nodo. Le specie poi svariatissime suture si hanno per l'azione dei periodi
in

(dell'anima) (3) e per quella della nutrizione, in

(1)

xf|<;

crapKoeiboCK

qpaeux;

KaTanpaivouyn.<;

Xmua ueftov TrepvftYvuevov xuupiZeTO. Cos, con l'o, i codd. e gli editori, tranne Schneider ed Archer-Hind, che lo escludono, e bene a ragione, se queste parole hanno da avere un senso corrispondente alla realt delle cose. Aristotele, De gener. anim. II, 6, verso la met, t pua Enpcuvo|uvr|c; Tffc aapKi; yiveTcn, evidentemente non lesse l'o. Accetto quindi l'emendamento. Non deve poi dar noja l'imperfetto xwpiZe-ro, che solo per maggior evidenza ho tradotto come iterativo Platone si riferisce alla prima formazione dell'uomo, e la espone anche qui, come spesso, in forma di narrazione
:

mitica.

pXaaTvov kkXui. Nel (2) Euviv auro irpcx; ax xa tradurre ho invertito questi due concetti per ridurli a quell'ordine pi logico che piace a noi. Le parole che seguono, f\ b. vot<; ecc., rendono ragione del come l'umidit, che intorno al cervello, ma sotto il cranio, possa irrigare e quindi fecondare la pelle che sopra di esso; l'umidit passa per le suture. La pelle si estende dalla carne del corpo fino sul cranio che non ha carne, e per questo si era notato che essa era eccedente (ueftov) della carne, eccedenza per altro iniziale che viene accresciuta dalla irrigazione e fecondazione di cui qui si parla. (3) ol Tt"iv tjv TTepiuiv vauiv k. t. X. Lo Stall\i dice che " nepioooi videntur esse circuitus car-

Capitolo

XXXIII.

337

maggior copia quando queste sono pi discordi, B in minore quando meno. Ebbene, tutta questa
punzecchi in giro col come l'umore ne usciva fuoco, e bucata che quello liquido e caldo, in quanto era indi fuori,
pelle la Divinit
(i)
la

fu,

puro, se ne andava, e quello misto degli elementi di cui anche la pelle era fatta, spinto in

su dal suo proprio impulso, si distendeva di fuori lungo lungo avendo una sottigliezza uguale alla puntura; perla sua lentezza poi essendo respinto
dall'aria circostante esteriormente, di

nuovo av-

volto di dentro prendeva radice sotto la pelle. Secondo tali affezioni ebbero origine sulla pelle C
i

capelli, affini

ad

coreggiuolo,
capello sub
pelle.

ma

quanto tengono del pi duri e pi fitti a causa della


essa, in

condensazione prodotta dal freddo, la quale ciascun


Per
tal

raffreddandosi nel dilungarsi dalla modo villosa ci fece la testa colui

che ce

la fece,

servendosi delle

dette cause

pensando che questo, invece della carne, intorno

nosae materiae.
siano
i

affatto, n che cosa materia carnosa saprei dire. Il Martin intende invece i cerchi dell'anima, di cui si parlato distesamente nella prima parte del discorso di Timeo, ed nel vero. Gi a pag. 43 B-D si parlato dell'onda della nutrizione che turba il libero movimento
circuiti
Io della

non credo

di questi periodi.

il

t Beov. L'Archer-Hind intende sia il cervello, quale la sede di t 9e!ov, ma evidente ch'egli erra tutto il discorso non altro che un' esposizione del come la Divinit fabbrica il corpo dell'uomo, e non qui si introdurrebbe un altro agente si vede perch secondario senza un'espressa ragione, e peggio perch lo si fosse indicato in maniera cos equivoca. Poco pi oltre detto che chi ci fece la testa ce la fece
(1)
:

villosa:

dunque anche

capelli

sono opera di Dio, non

evoluzione secondaria del cervello.


Fraccaroli,
Il

Timeo di Platone.

29

338
al

//

Timeo.
il

cervello dovesse esserne

coperchio per sua

sicurezza leggero, e d'estate e d'inverno atto a

dare
stato

ombra
mai
di

e protezione, e tale che

non sarebbe
sincerit

alcun

impedimento

alla

della sensazione.

Quell'intreccio poi di nervo, pelle e osso che

intorno

alle

dita

(i),

mistione
di

di

tre

cose,

come
sola,

fu disseccato divenne

una

pelle

una cosa dura, lavorata bens per mezzo


tante

ma prodotta dalla causa suprema, la provvidenza, a cagione di ci che sarebbe stato poi (2). Infatti coloro che ci composero conoscevano che un giorno dagli uomini E sarebbero derivate le donne e le altre bestie, e sapevano quindi che molti animali avrebbero avuto bisogno di adoperare le unghie in molti laonde anche le unghie le plasmarono casi subito come prima nacquero gli uomini. Per queste ragioni ed a questo effetto pelle, capelli ed unghie li fecero nascere sulle estremit delle
di queste

cause seconde,

membra.

KCiTcnTXoKf) toO (1) t v xf) uep to<; cxktXouc; veupou Ka toO pjuarot; atoO re k. t. X. Il Martin: " dans cet entrelacement des nerfs avec la peau et les os qui constitue les doigts ecc. No affatto non si tratta qui delle dita, ma delle unghie; perci irep xoq baktOXoui; ha da intendersi in senso proprio e materiale, non, come fanno i pi, perifrastico. (2) L'Archer-Hind nota in questa affermazione una curiosa approssimazione al darvinismo le unghie nella razza umana appariscono solo in uno stato rudimentale, che si svolge poi fino agli artigli del leone e dell'aquila.
: :

Capitolo

XXXIV.

339

XXXIV.

Ma

congiunte

poich furono tutte insieme naturalmente e le membra dell'animale le parti

mortale, e la vita necessariamente conveniva ei 77 l'avesse dall'aria e dal fuoco, e per ci d'altra
parte disciolto ed estenuato da questi egli avrebbe dovuto perire, gli Dei gli procurarono un soccorso. Infatti mescolandola con altre forme e sensazioni produssero una natura affine alla natura

umana,
manti
le

cos che
i

si

ebbe un

altro

genere di ani-

(1),

quali sono gli alberi ora coltivati e

i semi educati dall'agricoltura, che divennero per noi domestici, mentre prima vi erano solo le specie selvatiche, pi antiche delle eulte. Perocch ogni cosa che partecipi del vi- B

piante e

le piante, e in ispecie le piante coltivate; e loro creazione possa essere d'ajuto alla conservazione del genere umano, detto poco dopo (p. 77 C): esse vennero create per nostro nutrimento. Notisi che del cibarsi di carni d'animali non si parla, forse per non contraddire aperto alla dottrina pitagorica, che Timeo in qualche modo doveva in sostanza rappresentare, e per non approvarla senza debitamente vagliarla. Le piante dunque non sono prodotti della degenerazione, come gli animali. Pi notevole ancora ci che soggiunto, che prima v'erano solo le specie selvatiche. Prima? Quando ? Certamente prima della comparsa dell'uomo, cui doveano servire di nutrimento. Ammettiamo pure che il prima e il poi siano soltanto logici, come si accorda questo col concetto dell'unit della vita affermato poco dopo ? Ogni graduazione va a soqquadro, e le spiegazioni che d il Gaye (o. e. pp. 169-70)
(1)

Cio
la

come

non riescono a persuadermi.

340
vere, a ragione
si

// Timeo.

pu

dire benissimo animante (i):

e questo del quale ora parliamo partecipa appunto della terza specie di anima, quella che

ragion disse essere collocata tra


l'umbilico, la quale

namento n
s

di

il diaframma e n di opinione n di ragiointelligenza ha parte affatto, ma

di sensazione piacevole e dolorosa coi (conse(2),

guenti) desideri. Esso infatti sempre passivo

(1) 8 ti irep fiv (aerdaxr) toO lf\v aov uv fiv Iv kt) XyoiTO. Ho usato la parola animante per conservare o

non guastar troppo la esattezza del testo: pi semplice pareva dire che ci che partecipa della vita, perci vivente; per dire che una pianta vivente non c' bisogno di giustificazione: viceversa dire che una pianta animale per noi pi forte che dire che un Iujov, quando ujov deriva appunto da Zrjv. Questa differenza

ma

etimologica ad ogni
esatta dell'originale.

modo rende
Il

la

traduzione

meno

concetto di anima non in greco ancora ben separato da quello di vita, della quale Platone ammette qui implicitamente l'unit, cos che le vite singole ne sarebbero singole manifestazioni. L'anima delle piante in un certo senso ammessa anche dalla
filosofia scolastica:

concede
scienza.
auf)
b'

Dante, Par. VII, 139. Platone dunque alle piante l'anima sensitiva; nega loro la coicrreXe

(2) -rraxov yp irep auT,

t^v uv

irvra, axpaqpvTi b' a-riL Iv EuuGcv irujaauvu) Kvn.aiv, Tfj

o(Kia xpr\oanvvJ, tujv citoO ti XoYiaaaai KcmvTi qpaiv o TrapauuKev )*i lveoic,. Si suole intendere

(Stallbaum, Martin, Mueller, Jowett, Archer-Hind) che le piante si rivolgono bens su s stesse e in s stesse (circolazione dei succhi) e respingono il moto che venisse dal di fuori, per altro non possono conoscere
la loro

propria natura. Io dissento totalmente, e innanzi

perch poste le premesse non si vede come se ne derivi questa conseguenza. Che se il Martin la spiega nel senso che le piante non potendo cambiar posto non hanno bisogno dell'intelligenza, che sarebbe necessaria per dirigersi, pi vero parrebbe il dire che secondo Platone le piante, appunto perch non hanno questa intellitutto

genza, furono piantate immobili. Ad ogni modo io ritengo che OTpaqpvTi ... auT non possa avere altro significato

Capitolo

XXXV.
non
gli

341

e la sua formazione stessa

ha concesso,

rivolgendosi in s stesso e su s stesso, respingendo il moto esteriore e usando solo del suo
proprio,
di

ragionare

d'alcuna delle cose

sue

conoscendone la natura. Perci esso vive bens e non diverso da un animale, ma piantato fermo e radicato appunto perch privo della facolt di muoversi da s stesso.

XXXV.
Or poich ebbero prodotto
essi superiori

tutte queste specie

per nutrimento di noi inferiori, il corpo nostro stesso provvidero di canali, scavandoli

come

si fa

negli orti, affinch fosse irrigato

come

da principio scavarono due canali nascosti sotto a dove la pelle aderisce con la carne, cio le due vene dorsali (1), come
dal fluire d'una sorgente.

che quello solito del moto ad un modo, e che del resto tutta la frase debba intendersi negativamente al pari di kcitivti, col quale anche axpacpvTt ktX. sintatticamente coordinato: in forma analitica equivale dunque a dire che la stessa generazione delle piante, cio il modo con cui furon create, non concesse loro di rivolgersi in s stesse e di avere coscienza di s; esse non

respingono il moto esteriore, ma lo subiscono: e ci confermato anche da ci che segue. La interpretazione che ho accolto quella data pure dallo Zeller (o. c, p. 865, n. 5). La variante qpffei per qpaiv, sebbene data dal codice pi autorevole e adottata da qualche editore, da rigettarsi perch sarebbe tautologica con fveav;. preferibile poi far dipendere qpffiv da KctTibvn, che altrimenti resterebbe campato in aria, anzich da uapa5

LUKEV.
(1) bvo qpXPcu; reuov. Platone non conosceva la teoria della circolazione del sangue, e perci bisogna badare

342

//

Timeo.

sinistre.

doppio era il corpo, che ha parti destre e parti Queste vene essi le diressero lungo la

spina

comprendendo
e

in

mezzo

il

midollo genitale,

affinch

questo fosse

quanto pi possibile
d' alto in basso, ren-

vigoroso, e l'inaffiamento delle altre cose, quinci

avvenendo facilmente perch


desse

omogenea

l'irrigazione (i).

Dopo

di

ci

dividendo queste vene intorno


ciandole tra di loro,
quelle che
le

alla testa e intrec-

diressero in senso contrario,


la

vengono da destra piegandole verso

sinistra del corpo, e quelle dalla sinistra alla destra,

affinch ci fosse oltre della pelle


tra
il

corpo e

la testa,

un altro legame non essendo questa avvolta


sopra
(2),

di nervi in giro

per

di

e affinch del

pari l'impressione dei sensi potesse e dall'una e


dall'altra parte essere

trasmessa a tutto

il

corpo.

Quindi disposero

la irrigazione (3) press' a

poco

egli non distingue le vene dalle chiama invece i canali della respirazione: ora se per questi potremo sostituire per chiarezza altri nomi tecnici, non possiamo regalare al filosofo delle distinzioni ch'egli non conosce, e poich qui dice due vene, due vene diremo anche noi, sebbene una sia un'arteria.

a non

fraintendere:

arterie, e arterie

(1) S' ha da intendere, come del resto chiaro, che l'inaffiamento del corpo avviene per mezzo di queste vene, e non per mezzo del midollo genitale, come ha inteso qualcuno. Che poi questo inaffiamento avvenga solo dall'alto al basso, non affermazione che la scienza

nostra possa riconoscere per esatta. (2) Per noi chiaro che queste vene per legare la testa al corpo non possono servire, e pi chiaro ancora che non esse ma i nervi sono quelli che trasmettono le sensazioni. Sostituiamo i nervi alle vene, e la teoria platonica diventa un'intuizione della verit. (3) Tf]v bpayujYictv. Alla prima parrebbe si dovesse intendere di nuovi canali in varie direzioni, ma ci che segue dimostra che si tratta invece del modo di im-

mettere

il

liquido nei canali descritti.

Capitolo

XXXV.

343

nel seguente

facilmente, se prima
altro punto, (cio)

modo, che potremo esaminare pi ci saremo accordati su questo


che tutte
le

78

cose che constano

di elementi pi piccoli trattengono le maggiori,

che constano di pi grandi non possono il fuoco di tutte le specie la pi minuta, onde avviene che passi attraverso
e quelle
le

minori, e che

all'acqua e alla terra e all'aria e

a tutte quelle

cose che di loro


nerlo.

si

fanno, e nulla possa tratte-

bisogna pensare anche del i cibi e le bevande, quando cadono in esso, li trattiene, ma l'aria ed il fuoco, B che son fatti di parti pi piccole che non sia la sua compagine, non pu. Di queste (due specie) pertanto si serv Iddio per incanalare gli umori
lo stesso

Ora

nostro ventre, cio che

dal ventre nelle vene, cio contessendo

un paavente

niere d'aria e di fuoco,

come

le

nasse

(1),

(1) irXY.ua li po? xa -rrupt; oiov ot Kupxoi Euvuqpr)vuevoq, oittX Kax xi>iv ei'aobov ^Kprta 'xov, iltv exepov au TrXiv trrXeEe ixpouv al rr xwv YKupxiuuv br\ iexeivaxo oiov oxoivouq kkXuj i Travxq Trp<; x axaxa toO TtXYuaxo<;. x uv ouv "vov ex Ttupq auveaxnaaxo xoO TtXoKvou rravxa, x ' YKpxia ko x kuxoc; epoeior, Kal XafSwv ax Trepiaxrio-e xuj TrXaaGvxi Sujlu xpttov xoive. x juv xujv yKupxiuuv eie; x axua ue9f)K ittXoO o vxoc axoO Kax uv xq pxn.piai; d<; xv TtXeiaova KaGrjKe waxepov, x ' eli; xi>)v KoiXiav irap x;; pxnpiaq. x b" 'xepov oxiaaq x upo<; Kxepov Kax xoq xexoc; xf|<; piv<; dqpf|K koivv, uiaB' xe un Kax axua I01 waxepov, Ik xoxou Ttvxa Ka x Ket'vou peuuaxa vaTrXr)po0a8ai. x ' XXo kxo<; xoO Kpxou -rrep x a)|ua aov koXov i*)|uujv -rrepicpuae, Kai -rrv bf\ xoOxo xox uv de, x fKpxi Suppev uaXaKx;, are pa vxa, Ttoinoe, xox vappev uv x fKupxia, x TrXyua, uX vxo<; xoO aiiu.uaxoc, uavoO, eaOai eiatu i' axoO Kal TrXiv eEuj k. x. X. questo uno dei luoghi pi difficili di tutto il Timeo, sebbene la lezione del testo sia certa e se ne abbia un esteso commento di Galeno, del quale era conosciuta soltanto una traduzione latina fino a che nel 1848 fu scoperto dal Daremberg il testo greco. Questo

314
alla

//

Timeo.
di questi

bocca un doppio sacco e l'uno

(sacchi) alla sua volta biforcato.

Da

questi sacchi

testo non l'ho potuto vedere, ma poich sul suo senso gl'interpreti non hanno dubbi, spero bene che questa mancanza non mi sar cagione di alcun errore. Galeno stesso adunque riconosce che sono cose uavnr Te kci &apnxa ed anche per ci la spiegazione sua non da accettarsi a occhi chiusi. Secondo questa interpretazione, accettata in
:

sostanza anche dal Martin, dal Jowett e dall' ArcherHind, il kto<;, cio la parte esteriore del iiXrua, di cui qui si parla, e che detta epoeif, sarebbe lo strato d'aria in contatto con tutta la superfice esteriore del corpo umano; e in questo senso si direbbe che il creatore Xc$d)v auro irepiarncfe Tip irXaaGvTi Zibuj, che in quel rcepiaTriae sta il fondamento pi saldo dell' interpretazione galeniana. Ma tale interpretazione affatto inattendibile, sia perch di questo strato d'aria manca ogni possibile delimitazione, essendo esso della forma che riceve affatto passivo, e l'aria esteriore come vaso del corpo inconcepibile; sia perch o le parole t ' fiXXo kto<; toO Kupxou Trepl t oifoua Saov koUov i^ulv irepiqpuae indicano che questo vaso dentro del corpo (irepiqftjae, come TrepiOTuoe, significa solo disposizione intorno, e nulla vieta che questa sia interna anzich esterna), o le parole aov koTXov non hanno senso comune. Per qual ragione infatti l'aria dovrebbe essere intorno al torso del corpo e non intorno a tutto il corpo?

Peggio: non solo il kto<; epoeic;, ma anche t yKup-na. Ora, comunque questi YKpTta si vogliano intendere (e li intendono per le cavit toracica e addominale), avremmo la assurdit di un apparato di cui una parte sarebbe reale, t yKupTia, e un'altra meramente e malamente immaginaria. N molto pi attendibile la spiegazione che danno del fuoco che costituisce t vbov toO TtXoxdvou #TTavTa, intendendolo per " il calore vitale contenuto nel sangue e pervadente tutta la sostanza del corpo tra la pelle e la cavit interna (Archer-Hind). Se il ktcn; l'aria esterna, il corpo t vov, e su ci non pu esser questione ma domando io se si pu credere che Platone pensasse essere il corpo, e specialmente le sue pareti esteriori, composto di fuoco. Pi oltre, parlandosi della respirazione, detto che non solo il fuoco, ma anche l'aria entra ed esce attraverso il corpo (bla |uavwv tujv aapkujv, p. 79 C iK vTOq toO auO|uaTO<; uavoO), e di sopra
:

Capitolo

XXXV.
La

345

distese poi
tutto
fino

come

dei giunchi in cerchio dapperdella

all'estremit

nassa.

parte

abbiamo
passare

visto che un tessuto di altri elementi lascia uno di fuoco non lascia passare fuoco, gli altri elementi; del ventre anzi detto (p. 78 A) che
il

ma

pu contenere bens
e
il

l'aria

non potrebbe attraversarle. Pi attendibili pajono perci le interpretazioni che riferiscono l'apparato qui descritto all'interno del corpo nostro tale quella dello Stallbaum, e tale pure quella succinta del Ritter, Platons Dialogo, Inhaltsdarstellungen, I, pp. i34~35Questo irXTua infatti, secondo lo Stallbaum, non altro che tutto l'apparato dei polmoni stessi con l'esofago e la trachea: esso nel suo complesso raffigurato come
:

i cibi e le bevande, ma non l'aria fuoco o.uiKpoueptfTepa VTOt T H<; aTfK Suoxdoeuj?: dunque se le pareti esteriori del corpo fossero di fuoco,

una nassa (Kupxoq) con due imbuti, YKpria: Galeno intende invece per nasse anche questi: uoiov ^v tj M6TdXuj, uixpv , e possiamo in ci acconsentire. Questi
imbuti pertanto o sacchi, come preferisce Galeno, sarebbero appunto, secondo lo Stallbaum, l'esofago e la trachea, e quello di essi che biforcato sarebbe la trachea, che si divide appunto in due bronchi: i giunchi poi (oxovoi) che si stendono fino all'estremit dell'apparato sarebbero le ramificazioni dei bronchi intese a distribuire l'aria per tutto il polmone. Ma anche questa spiegazione incontra delle difficolt poco dopo, quando si dice in che modo questo apparato fu applicato all'uomo: t |iv tjv YKupriwv etq t o"tuci ne8fKe non pu significare se non " l'uno dei sacchi, e non gi perifrasi per x YKUpna, come lo Stallbaum vorrebbe, o per tutto il complesso del TtXKavov, come credeva Galeno, sia perch le forme grammaticali hanno un senso naturale che non si pu alterare senza una ragione di evidenza, sia perch a questo corrisponde t b' gxepov tre linee dopo, e se quest'ultimo il secondo sacco, nel primo membro non possono essere compresi tutti e due. Questi due sacchi o imbuti, secondo appare chiaro qui dove vengono adattati all'uomo, mettono capo l'uno
nella bocca, l'altro, diviso (oxioac,

i-TrXeEe

(Kpouv), nei

due canali del naso, il che non torna con la spiegazione dello Stallbaum, che parla dei bronchi, i quali
tutt'al infatti

pi potranno

corrispondere agli ax* v01

Timeo

soggiunge che quello della bocca doppio e l'una parte scende per la trachea nel polmone, l'altra

346

// Timeo.

interiore pertanto di questo intessuto la costitu

tutta di fuoco,

sacchi poi ed

il

vaso di sostanza

lungo la trachea, cio per l'esofago, nel ventre; l'esofago quindi e la trachea, secondo la lettera del testo, sarebbero, non i due imbuti dello Stallbaum, ma due sezioni parallele dello stesso imbuto o sacco, il quale perci detto ittXoOv, mentre l'altro, quello del naso, soltanto ixpouv. Quindi Platone descrive la respirazione: aveva detto prima che la parte interiore di questo complesso era fatta di fuoco e quella esteriore di aria: l'aria dunque ora fluisce ora rifluisce per gli imbuti nei polmoni, il fuoco interno segue esso pure suo movimento, e tutto l'apparato respiratorio ora il scende ora sale entro il nostro corpo, essendo questo cedevole: la frase u<; vtoi; toO awiuaToi; uavoO si ha da riferire quindi col Martin al corpo nostro, e non con lo Stallbaum a quello del TrXyua, sia perch il senso logico
preferisce la t TtXYiia,
altro

prima interpretazione,
tb<;

vtoc;

toO

ou[)|ucito<;

sia perch dire uavoO, invece che

semplicemente t b irXYua 6v uavv, non potrebbe avere scopo che quello di non voler farsi intendere. E notisi che veramente non si parla mai di questo irXfua come cu' un auJua, e che, se lo dovessimo prendere veramente e realmente per qualche cosa di materiale, non si potrebbero eliminare delle gravissime incongruenze. Infatti dove si parla del modo con cui questo apparato fu applicato al corpo, i due termini non restano sempre ben distinti: dice che Iddio fece discendere una parte di questo apparato per la trachea ed un'altra per l'esofago; mentre l'esofago e la trachea sarebbero essi stessi parte dell'apparato che si descrive. Le difficolt di questo luogo sarebbero dunque per questo rispetto insuperabili, ed io non trovo che ana sola via per uscire da questo intrico. Platone, io credo, non intende parlare qui dell'apparato polmonare e dei

ma solo degli elementi di aria e di fuoco che animano questo apparecchio e che da esso prendono forma. E a creder ci mi persuadono alcune espressioni, che non possono essere poste a caso. Che la parte interna di esso consti di fuoco (>c m)p<;) e i sacchi e il vaso siano di aria (E po<;, e poi epoeif), e poi fix pot 6vto) detto pi insistentemente che non convenga a indicare la semplice costituzione elementare d'una cosa effettivamente solida. Oltre di ci in nessun luogo questo apparato o alcuna parte di esso viene idensuoi accessori,

Capitolo

XXXV.

347

aerea; quindi prendendo tutto questo apparato lo


applic all'animale gi bello e plasmato, nel

modo

con alcun organo del corpo, ma ciascuna parte la applicare invece, come abbiamo visto, agli organi del corpo ch'essa dovrebbe rappresentare. Qualche frase poi non la si. pu assolutamente n spiegare n intendere se non a questo modo, come quella dove si parla del doppio imbuto per il naso, la ragione del quale si asserisce esser questa espressamente, che, quando l'altro non passi per la bocca (un. kotc atua \o\ Odrepov), possa supplirvi questo. Se qui si fosse trattato di un vero canale, si sarebbe previsto il caso che fosse ostruito: si prevede invece quello che non passi per la bocca; non si tratta dunque di un organo corporeo, ma di una corrente, un fluido, qualcosa insomma che ha da passare per un organo. C' di pi. Questo apparato detto espressamente che entra nel nostro corpo wc, vto<; toO owuaroc; |uavoO. E per non equivocare nell'intendere questa frase, ritornisi un po' indietro (p. 78 A), ove detto a che scopo questo apparato fu fatto da Dio. Il ventre, dice, non pu trattenere (o arerei) n aria n fuoco, che sono pur necessari per la concozione dei cibi e per farne nutrimento del corpo: bisognava dunque provvedere quest'aria e questo fuoco e provvederli in modo che si rinnovassero costantemente, poich nel ventre non si potevano fissare, e questo fu fatto per mezzo della respirazione, che come dire per mezzo di questo apparato. L'aria e il fuoco si insinuano dunque nel ventre (i ir\^ KoiXiac, p. 78 E), e aria e fuoco, detto espressamente, sono il tt\Yua in
tircata
si fa

discorso.

E questa spiegazione consentanea anche con ci che segue poi, ove ancor pi analizzato il fenomeno della respirazione: l'alito uscendo sospinge l'aria esterna, questa alla sua volta dell'altra e via via in giro fino a riempire il luogo lasciato vuoto dall'espirazione una ruota: ma quale secondo Platone la sua posizione iniziale? Aristotele {De respir. cap. V a met) censura questa teoria appunto perch per essa bisogna ammettere la KTtvon anteriore alla e^Ttvori, e questa volta ben chiaro che Aristotele non fraintende. Platone muove dal presupposto che originariamente l'aria e il fuoco che danno occasione a questo fenomeno siano nel corpo dell'uomo, quindi parte del suo essere: cfr. p. 79 D. La
:

3|8

// Timeo.

seguente.

Uno

dei sacchi l'introdusse nella bocca,

ed essendo esso doppio, fece scendere l'una parte per la trachea nel polmone e l'altra lungo la trachea stessa nel ventre; il secondo sacco poi, dopo averlo diviso, ne fece passare l'una e l'altra parte per i canali del naso, in comunicazione col primo, cos che quando quello non andasse per la bocca, si potessero compiere attraverso di questo anche tutti flussi dell'altro. L'altro grosso della nassa poi lo applic alla parte cava del nostro
i

corpo,
fatti di

e tutto questo (apparato) talora lo fece


i

confluire verso
aria,

sacchi mollemente, poich sono


i

e talora
il

sacchi rifluire; e cos

il

paniere, essendo

nostro corpo cedevole, talora

scender dentro di esso, e talora di nuovo salir fuori, e i raggi del fuoco interno che gli son collegati seguirlo secondo l'aria va in un senso

o nell'altro, e questo non cessar mai di ripetersi che l'animale mortale stia insieme. Ora a questa cosa colui che pose i nomi diede quello di
fino a

inspirazione ed espirazione; e tutta questa funzione attiva e passiva nel nostro corpo si esercita
eh' esso ne sia irrigato e rinfrescato e possa nutrirsi e vivere. Perocch ogni quindi qual volta, entrando e uscendo il respiro, anche
in

modo

concezione popolare che la vita consista nel respiro, che nella morte l'anima esca dalla bocca
(vbpc,
b.

ijjux^I
-rre

ou6' Xexn,

irdXiv XGev ouxe Xe'iOTt p kv duellerai ?pKO<; vtoiv),


1

pur viva ancora, in questa respirazione comincia per il movimento del fuoco e dell'aria interna e propria dell'uomo, si capisce meglio che cosa possa essere questo
riappare
teoria.

modificata,

ma

Se pertanto

la

TTXyua.

Capitolo

XXXVI.

349

il

fuoco che dentro

gli

collegato lo segua, e

continuo alzarsi ed abbassarsi entri per il ventre e venga a contatto dei cibi e delle be- 79 vande, li squaglia, e dividendoli in briciole li
nel

conduce attraverso le uscite per le quali esso passa, come da fonte in canali riversandoli nelle vene, e fa scorrere come si fa per un burrato i fiumi delle vene attraverso al corpo.

XXXVI.

Ma
tale

zione, per

consideriamo di nuovo il fatto della respiramezzo di quali cause sia esso divenuto quale ora . (Avvenne) dunque cos. Poich

non esiste alcun vuoto da potervi mai entrare al- B cuna delle cose che sono in movimento, e l'alito pur da noi spinto fuori, chiara a chiunque la conseguenza, che (cio esso) non (esce) nel vuoto,
caccia di posto l'aria vicina, e questa urtata ne caccia dell'altra e via di seguito, e cos necessariamente sospinta in giro tutta fino di nuovo al posto d'onde l'alito uscito, entra ivi e lo riempie tenendo dietro subito all'espirazione; il che avviene tutto insieme come di una ruota che mossa in giro, appunto perch vuoto non ce n'. Per la qual cosa l'apparato del petto e del C polmone, quando lascia uscir fuori l'alito, di nuovo
riempito dall'aria che circonda
il

ma

corpo

(1)

ed

(1) Questa espressione, e analogamente altre parecchie, dimostra come intorno al corpo non c' bisogno di presupporre alcuna aria speciale, o immaginaria veste di aria, che non sarebbe che un inutile ingombro, bastando a tale ufficio l'aria solita.

F baccaeoli,

II

Timeo di Platone.

30

350 ->

//

Timeo.

entra e si insinua attraverso la rarit delle carni (i); viceversa poi, ritirandosi l'aria e uscendo fuori traverso al corpo, spinge dentro il respiro per il

passaggio della bocca e delle narici. E la causa perch questo cominciasse da ammettere sia la seguente. Ogni animale ha il suo proprio interno

presso
vi

sangue e alle vene caldissimo, come fosse una sorgente di fuoco, ed ci che abal

biamo rassomigliato
dicendo che tutta
la

all'intreccio

di

una nassa,
quanto

parte che se ne stende in

mezzo
sta

contesta di fuoco,
fuori,

mentre

il

resto,

di

di

aria.

Ora

il

calore secondo

(i)

Posto

il

principio

che

il

veva escludersi

l'alternativa

di

vuoto non c' mai, dopieno e di vuoto nel

nostro corpo; e Timeo Locro, p. 101 E, dell'escluderla adduce anche una ragione, che Platone non d, cio che se il vuoto ci fosse, il corpo nostro non starebbe insieme, perch il vuoto lo dividerebbe. Ma se si ammetteva che l'aria vi entri e ne esca solo per mezzo della respirazione, ne veniva che il corpo sarebbe stato a intervalli pieno di essa e a intervalli vuoto. Perci Platone ammette anche una specie di respirazione cutanea, cos che, quando avviene l' inspirazione per i polmoni, contemporaneamente l'aria esca attraverso le pareti del corpo, e quando avviene l'espirazione, essa vi entri per le stesse vie, cos che nel corpo l'aria vi sia costantemente nella stessa misura. Spiega poi come ci possa aver luogo nel corpo umano calore, perch c' fuoco, il fuoco tende per sua natura a salire
:

"

L dove

pi in sua materia dura,

quindi esce per la respirazione o per i pori, e quando esce da una porta, per l'impulso circolare di cui si detto, l'aria spinta dentro dall'altra. Allora, mentre uscendo il fuoco nell'aria esterna si raffredda, l'aria entrando nel fuoco interno si riscalda ; e cos per questo riscaldamento il fuoco interno, come simile a simile, si volge da quest'altra parte e ne esce, producendo insieme l'impulsione dell'aria dalla parte di prima, e cos sempre di seguito.

Capitolo

XXXVII.

351

natura bisogna ammettere che esce fuori verso


propria sede e l'altro calore suo simile: ma essendovi due uscite, l'una per corpo, l'altra per la bocca e le narici, ogni qual volta (questo
la
i-I

calore) irrompa verso


ci che
dall'altra,

una

parte, sospinge insieme

nel fuoco

cadendo mentre ci che esce si raffredda. Viceversa, come il calore cambia di posto
e questo sospinto
si

riscalda,

la

regione vicina
di

all'

altra

uscita

divien
di

pi pi

calda,

nuovo

il

calore,

propendendo
la

da quella come

tirato

verso

propria

natura,

sospinge ci che dalla parte opposta. E questo patendo e ricambiando alla sua volta continua-

mente del

pari,

fa cos

nascere un cerchio che


(le

va avanti e indietro, prodotto da ambedue


spinte, cio
fa

nascere) l'inspirazione e l'espi-

razione

(1).

XXXVII.
Ora a questo

stesso

modo

si

possono indagare

le

cagioni dell'azione delle coppette mediche e quelle 80 della deglutizione, e quelle del moto dei corpi lanciati, sia di quelli

che sono spinti

in aria, sia di quelli

che vengono

rotolati sulla terra (2),

come pure

" La ruota non si muove in una rivoluzione con(1) tinua, alternatamente descrive prima un semicerchio in avanti, poi un semicerchio indietro usque ad infini-

ma

tuii
(2)

(Archer-Hind).

la teoria dell'impossibilit del vuoto e quella conseguente dell'impulsione circolare (irepiiuaic;) Platone spiega una serie di fenomeni diversi ch'egli enumera. Plutarco {Quaest. Plat. VII) ci d il miglior commento di questo luogo, mostrandoci in qual maniera fatti cos

Con

352

//

Timeo.
quelli

che ci appariscono che acuti o gravi, i quali talora vengono in dissonanza per la disformit del movimento che fanno nascere in noi, e talora in accordo per l' uniformit. Perocch ai movi-

quanto ai suoni veloci o lenti, e

(i), e

quelli

diversi possano derivare da una causa sola. Anche il falso Timeo di Locri, pag. 102 A, ne accenna due, le coppette e l'ambra, e vi aggiunge qualche dilucidazione. Ci ha per noi in gran parte soltanto interesse di curiosit; notevole per altro la negazione dell'attrazione nel caso dell'ambra e del magnete, tanto pi notevole in quanto l'attrazione pure uno dei presupposti della cosmogonia platonica, ancorch limitata a quella del simile al simile. Del resto l'azione delle coppette la spiegano cos l'aria sotto la coppetta si riscalda, si diper la Trepidai!; gli lata ed esce per i pori del metallo umori sono attratti nel vuoto che rimane. E la deglutizione a questo modo: dato il primo impulso a inghiottire, l'aria sospinta in gi dal boccone sfugge per i pori, e per la tTepiioon; torna a premerlo di sopra ed ajuta la spinta di prima. La spiegazione del corpo scagliato ammessa anche da Aristotele {Phys. Vili, io, 5) con poche varianti, ed questa: un oggetto lanciato continua nella direzione presa, perch l'aria che esso fende si piega dietro di esso e lo continua a spingere: nel vuoto invece esso cadrebbe subito vertical: :

mente.
(1) Qui si ribadisce l'erronea teoria sulla propagazione del suono accennata a pag. 67 B (cfr. pag. 311, nota 3"). Quanto al principio della -rreptujai<;, questa applicazione per un certo rispetto meno lontana dal vero che non sia quella degli esempi citati: il suono infatti si propaga per l'aria per efftto del propagarsi successivo dell' impulso da un'onda all'altra, e non gi perch le particelle dell'aria che prime lo ricevono si trasportino attraverso alle altre nella direzione dell'impulso ricevuto Non si vede per altro che c'entri il moto ritornante in s, che chiaro negli altri casi, e la spiegazione, che d Plutarco (1. e), del suono rapido che giunto prima si rigira e torna a raggiungere il pi lento, troppo campata in aria, e pare anzi contraddire ci che qui dice Platone,

Capitolo

XXXVII.

353

menti dei suoni pi veloci e che arrivano prima suoni pi tardi sopraggiungono mentre quei i movimenti stanno per cessare e per convenire

oramai in uniformit appunto con quelli onde essi B suoni che vengon dopo li agitano; e (per tal modo) sopraggiungendo non li turbano con l'aggiungervi un movimento diverso, ma, adattando un principio di

moto pi

lento su quello del pi veloce,

che pur finisce col farsi ad esso uniforme, compongono dell' acuto e del grave un' impressione unica, onde procurano dilettazione a chi non

ma ai pensatori un godimento intellettuale per l'imitazione che della divina armonia (i) si
pensa,
ottiene

nei

quanto allo alla caduta dei fulmini, e alle meraviglie dell'ambra e del magnete nell'attrazione (2), in nessuna di queste cose mai c' potenza di attrarre: invece a chiunque ricerchi metodicamente ap-

movimenti mortali. scorrere delle acque

cos

tutte, e

anche ancora C

(1) la dottrina pitagorica del rapporto tra l'armonia musicale, quella delle sfere celesti e quella dell'anima. Cfr. pag. 35 sgg. e le note relative. Cfr. pure l'ultimo mito della Repubblica, X, pag. 617, ove si parla del fuso dell"AvYKr) e dei suoi otto giri concentrici, i quali sono gli otto cieli, e si dice che su ciascuno siede una Sirena che canta in un sol tono, e di tutte le otto cantakkXujv axoO tti b twv trici si fa un concento solo fivuuGev qp' KaaTou f5ePn vai leipfjva aujLnrepi(ppo|uvnv, * uaaujv b ktj oawv <pwvi>)v |uiav ietoav, 'va tvov
:

|uiav p|uovav SuucpuuveW.

(2)

Lo

scorrer delle acque dovuto secondo Platone

alla spinta dell'aria,

scagliare delle pietre. L'ambra, secondo Plutarco (1. e), contiene in s qualcosa come aria o fuoco, che quando

a pag. 58 E.

come lo sciogliersi dei metalli La caduta dei fulmini analoga allo

fusi

l'ambra si sfrega esce fuori: l'aria sospinta per la iiepiwai<; sospinge gli oggetti leggeri che incontra. Analogamente per il magnete.

354

// Timeo.

parir che (in


di

primo luogo)

il

non

esservi nulla

vuoto e il sospingersi reciproco delle cose, e (in secondo luogo) l'andar tutte divise e riunite scambievolmente ciascuna al suo proprio posto,

con

l'

intrecciarsi tra di loro di tutti questi acci-

denti, produssero queste meraviglie.

XXXVIII.

D
il

Or dunque
prima,
(cio)
in

la respirazione,
la si

donde prese

le

mosse

nostro discorso,

ottenne,

come

stato detto

questo modo (i) e con questi mezzi, fuoco sminuzza gli alimenti e nel tener dietro al respiro, che di dentro si eleva (2), per questo suo accompagnarsi all'elevazione su dal ventre riempie le vene col travasarvi di l gli
il

alimenti

tritati

per

tal

modo

le

sorgenti della
gli

nutrizione

irrigar tutto

animali ad fluiscono (3) in corpo. Questo tritume poi finch il


tutti

(1)
(2)

Leggasi kot TaOxa e non KctT rai. tuvovtcn; uv x atrio toO rnjpc;, ahupouuvip
Tip
TTveu(aaTi

bk

Suveirouvou. La tradizione m?noscritta ha <xtujpou|uvou, ed aiupouuviu emendamento dell'HERMANN, accolto dall' Archer-Hind e dal Mueller nella sua versione: l'emendamento accettabile perch lievissimo, toglie la confusione che nasce dai due participi genitivi aiuupouuvou e Euveirouvou, e si accorda
vxt;

meglio con
l'elevazione
tuvaujOpriaiq.
(3)

ci

del

che segue immediatamente dopo, dove fuoco non chiamata atdbpnaic, ma

Strippino Yyove. Il cod. ha yefovvax, tenuto dallo y^Tove, accettato dall'HERMANN e dalI'Archer-Hind, bench meno accreditato dai manoscritti, giova meglio al senso.

Stallbaum;

ma

Capitolo

XXXVIII.

355

fresco ed ha

la

natura delle
sia

sostanze da cui
,

deriva

sia

delle frutta

dell'erba

le

quali

Iddio piant per questo appunto, che ci dovessero servire di nutrimento, (questo tritume, dico,) conserva dei colori per causa della commistione svariatissimi,

ma
il

copia

si

rosso, caratteristica che

quello che vi diffuso in maggior si pro-

dotta dall'incisione del fuoco e dall'impressione (che ha lasciato) nel liquido (i) di qui il colore
:

corpo ebbe l'aspetto che E questo chiamiamo sangue, abbiamo descritto. pastura delle carni e di tutto quanto il corpo, dal 81 quale tutte le membra attingendo riempiono i
di ci

che scorre per

il

luoghi che rimangono vuoti.


pirsi e del vuotarsi

avviene
cosa

Il modo poi del riemcome avviene il movi-

mento
il

di ogni altra cosa nell'universo,

secondo
quella

quale

ciascuna

portata verso

Perocch le cose che ne circondano di fuori continuano a consumarci e a distribuire (ci che ne tolgono) rimandando alle singole specie quanto a loro conforme; e cos alla lor volta dentro di noi le parti sanguigne che sono sbriciolate e circondate dalla struttura di ciascun animale, come noi siamo B dal cielo, sono costrette ad imitare la tendenza dell'universo. Cos che, movendosi verso il suo simile ciascuna delle cose che entro sono sminuzzate, ci che si vuotato si riempie di nuovo; e quindi ogni qualvolta ci che se ne va sia di
della

sua

stessa natura.

pi di quello

che

soprarriva,

tutto

perisce, e

(i) tt<;

toO uupoO

TO|un<;

Te

KCti

SoupSewc;

v
il

oypuj

ebriiuioupYnf-'vri

qpuair,.

Anche

pag.68 B

raggio

del fuoco che si mescola all' umidit dell'occhio color rosso, 'che detto pur l XP*M vaiuov.

il

356

// Timeo.

quando quando

di meno, tutto cresce (i). Pertanto complesso dell'animale sia tutto nuovo triangoli freschi come appena e abbia ancora
sia
il
i

venuti dal
allora

cantiere delle specie

esso possiede

un grande vigore di connessione delle singole parti tra loro, mentre tutta la massa pur molle, come nata recentemente dal midollo e
nutrita nel latte (2) e cos quei triangoli che (esso complesso) in s riceve e gli vengono dal di
;

fuori,

dai quali

cibi e le

sono per avventura costituiti i bevande, essendo pi vecchi dei trianli

goli suoi propri e perci pi deboli, esso

so-

verchia tagliandoli coi suoi nuovi, e rende grande l'animale (3) nutrendolo di molti elementi somi-

(1)

Le cose esterne
:

ci

consumano sottraendo da noi

ci che loro somiglia per la legge dell'attrazione dei e analogamente avviene di dentro. Noi siamo simili
tanti

microcosmi, e seguiamo leggi analoghe a quelle del cosmo grande: quindi ci che per il corpo nostro il cielo (cio le cose esteriori), alla sua volta il corpo nostro rispetto agli elementi che vanno a costituire il nostro sangue: il corpo attrae a s questi elementi, cio se ne nutre. Ma se ne nutre, come dice subito dopo, finch ha la forza di attrarli; e perci fino a che l'acquisto supera o compensa la perdita. Per non equivocare nell'intendere questo luogo bisogna tener sempre fermo che il soggetto logico e principale il corpo nostro, e che perci, quando si dice che le cose sbriciolate (noi diremmo digeste) di dentro a noi vanno rrpcx; t EuYTevc;, si intende il EuYYv<; che nel corpo, e quando si ragguaglia questo incremento a ci che se ne va, si intende sempre ci che se ne va dal corpo per il consumo prodotto dalle cose esteriori, di cui ha
detto da principio.
(2)

Insieme con

la nutrizione

spiega anche

il

crescere

dell'animale.
(3) Kal uya irepT alerai t Zujov. Chi bada che il soggetto grammaticale sempre EOoTaau; toO ttavrc; ibou non pu non notare l' irrazionalit di questo concetto che rientra in s stesso: ma chi legge senza fisime e

Capitolo

XXXVIII.
la stirpe (2)

357

di quei trianmolte lotte che in molto tempo contro molte cose ha avuto a lottare, ecco che non possono pi tagliare quelli della nutrzione che entrano, in modo da conformarli a s stessi; essi stessi anzi da quelli che sopraggiungono di fuori facilmente sono divisi. Deperisce
glianti (i).

Ma quando
le

goli

deperisce per

allora tutto l'animale soverchiato in tal

modo,

questo

accidente
poi,
i

si
i

mente
sieme

quando

chiama vecchiezza. Finallegami che connettono in-

triangoli del midollo, rilassati dalla fatica,

non resistano pi, fanno rallentare alla loro volta i legami dell'anima, ed essa, ottenuta la sua naturale liberazione (3), se ne vola via con piacere.

lascia trasportare dalle alterazioni e modificazioni che quel primo concetto ha subito nel suo svoigersi, nulla trova a ridire e vi sostituisce tacitamente il soggetto pi vero, che la somma di tutte le dette mosi

dificazioni.

suo simile, perci la nutrizione di elementi simili all'organo che si nutre: ci ricorda la omeomeria di Anassagora, e inteso in senso molto largo non dissente troppo dalle dottrine della scienza moderna. " la (2) n. iu Tiiv xprfiijvuuv xa\. Il Martin traduce: pointe de ces triangles s'mousse, ma non credo si possa difendere: I'Archer-Hind intende la struttura fondamentale dei triangoli, il loro contorno, i loro lati ed angoli, che si frustano col lungo uso. Io col Mueller, che traduce " die ursprunglichen Dreiecke, credo si devano intendere semplicemente i triangoli originari dell'individuo. {>ila esattamente stirpe, e qui come dire i triangoli di quella razza, cio quelli propri della natura umana. " renfe \u6e!aa Kccr cpaiv. Il Martin traduce (3) due sa libert naturelle, ma s'inganna. Ci che segue non permette di dubitare che qui si parli dello scioglimento naturale dell'anima dal corpo, poich si aggiunge che, appunto perch naturale, non doloroso.
(1) Il

simile cerca

il

non pu avvenire che

J )

358

11 Timeo.

Perocch tutto ci che contro natura doloroso, ma ci che avviene secondo natura piacevole. E allo stesso modo della morte; quella che capita per malattie o per ferite dolorosa e violenta, ma quella che con la vecchiezza va
al

termine conforme a natura,

la

men

travapia-

gliosa delle morti e piuttosto la

accompagna

cere che non dolore.

XXXIX.
formino pu essendo

Quanto

alle

malattie,

donde
sia.
il

si

esser chiaro

a chi

che

Perocch,
aria,

82 quattro le specie delle quali


ginato, terra, fuoco,

corpo compal'abbondanza o la scarsezza di queste cose contro natura o il cambiamento di luogo che avvenga dal loro proprio ad uno loro mal confacente, o ancora

acqua ed

il

ricevere che faccia

uno

in s (1)

una qualit

re au xa tuv xpuuv, irein Yvn irXeiova vra TU-fxva, t \x\ Trpoaf|xov gxaaTOv auTuJ irpoaXaufldveiv, xa Trave" aa ToiaOra, axaac, xa vaou; irapxei. Durissimo ed impossibile il costrutto dello Stallbaum (seguito dal Mueller nella versione): " twpxei (UaTe) ^kootov irpoffXaiupaveiv au-nl) t ui>i irpoatKov xal -rrve' aa ToiaOra (rrapxei), quibus explicationis causa subjunctum oxotic, xal vaou;. Infatti anche il te che segue a Ttupt; indica che qui continua la serie delle cause di malattia che era cominciata con totuuv
(1) irupi;
v<;
l'i

irap

cpuoiv

TrXeoveSia. le

Male anche
les

il

Martin:

"

et

autres ont chacun plus d'une espce, les changements par lesquels ils prennent une qualit qui ne leur convient pas, ecc.: dove si
aussi,

puisque

feu

et

introducono les changements di cui il testo non parla, cos che si dovrebbe intendere che il fuoco si possa

Capitolo

XXXIX.
sia di

359

che non

gli si

convenga,

fuoco

sia di altra

specie (poich di ogni specie vi sono pi qualit), queste e altre tali (sono le cause che) producono

turbamenti e malattie. Infatti quando si produce o si trasporta una di queste cose contrariamente a natura, (avviene che) si scalda ci che prima
e ci che era secco diventa in seera freddo guito umido, e cos dicasi del leggero e del grave, e in ogni senso hanno luogo ogni specie di tramu,

tamenti. Affermiamo infatti che solamente quando la stessa cosa alla stessa cosa nello stesso senso
e nello stesso modo e in proporzione acceda e se ne levi, (solamente allora) lascer che la cosa sia ancora la stessa rispetto a s stessa e integra e sana
(i).

Ma ci

condizioni sia

uscendo fuori

che discordasse punto da queste sia accedendo, pro-

cambiare in un'altra qualit di fuoco che non gli con" assurdo, poich la convenienza o la il che sconvenienza nella mutazione possono essere solo rispetto a una terza cosa. Poniamo infatti un calore di 36 che si cambi in un calore di 40 potremo dire che il primo conviene al nostro corpo e il secondo no, ma non gi che al calore di 40 per s disconvenga avere 40 L'Archer-Hind alla sua volta, e con lui si accorda il Jowett, non solo cade nell'errore del Martin, ma anche leva la virgola dopo -rpwv e congiunge Yvn. irup<; -re koI tuv xpuuv, ma non mi persuade, sia perch irein verrebbe cos posposto a sei parole da esso dipendenti, senza che di ci si veda una ragione, sia perch non sapremmo pi che fare di v<;. Il costrutto : Kal t irpooXanpdveiv t \l1\ irpoafjKOv rcups, che se nel testo manca
viene,
;
.

il

t a TtpoaXci|uf3veiv, questo non costituisce difficolt a chi legge in buona fede; n d'altra parte si saprebbe dove inserirlo, se non fosse goffamente davanti all'altro t. poi di -npoaXauPveiv non n questo n Il soggetto l'uomo in generale, il paziente. quell'elemento,

ma
si

(1)

Cio quando

e la nutrizione, e nei modi.

la perdita e il guadagno, il consumo pareggino nella sostanza, nella misura

360

// Timeo.

durra diversificazioni svariatissime e morbi e mali


infiniti.

E
C

ulteriori

poich secondo natura si sono costituite delle composizioni (1), chi voglia badarvi dovr

procedere ad un ulteriore riconoscimento di malattie. Perocch, essendo il midollo, l'osso, la carne ed il nervo costituiti dalle specie prime, e cos pure il sangue, sebbene in modo diverso, la maggior parte delle malattie

avvengono come
tali

si

detto prima,

ma

le

pi gravi diventano

nel

che segue. Quando la produzione di queste (composizioni secondarie) avviene alla rovescia, allora esse si corrompono. Perocch secondo natura le carni ed i nervi si formano dal sangue esso) per somiglianza di il nervo dalle fibre (di natura, le carni dal resto che si coagula, e si

modo

coagula
pari
ci

come

separato

dalle

fibre

(2).

Del

che esce dai nervi e dalla carne, un


e grasso (3), serve a incollare la

umore viscoso

(1) beuTpiuv b (Stallbaum, vulg. bf\) Sutrrdoeujv k. t. X. Vuol dire che nel corpo umano il guasto pu essere non solo negli elementi primi, cio nei triangoli che co-

stituiscono le quattro specie, ma altres nelle parti che alla loro volta sono composte di questi elementi, cio nelle singole parti del corpo, come il sangue, la carne, il midollo, e cos via; come chiaro da ci che segue. In altre parole il morbo potrebbe dipendere o dalla

corruzione degli elementi primi, o dalla corruzione di ci che composto di questi elementi, cio dalla corruzione o del midollo o delle ossa o della carne o dei nervi o del sangue. Segue a dichiarare come tutte queste cose si producano regolarmente e come il modo della loro produzione possa corrompersi. (2) Questo si intende del sangue vivo e caldo nel corpo vivo: differente il caso del sangue morto e freddo, di cui parla a pag. 85 D. (3) t b rr t)v veOptuv xai aapKOv mv aO ~f\ioXpov kcx Xmapv fi)ua fiv t\v opica xoXXqt irpq Tr]v t)v cjtjv cpaiv, ax re t irepl tv uueXv cjtoOv

Capitolo

XXXIX.

361

carne sull'apparato
far crescere la

osseo e insieme a nutrire e stessa parte ossea che riveste il


filtra

midollo

finalmente ci che

attraverso la

densit delle ossa, (ed ) la specie dei triangoli pi pura, pi liscia e pi pingue, colando e stil-

lando

dalle

ossa (stesse), irriga

il

midollo.

E E

quando
pi

tutto avviene in questa maniera, per lo

si ha la salute; le malattie invece, quando all'opposto. Infatti ogni qual volta la carne cor-

rompendosi mandi

fuori

all'

incontrario

la

sua

tabe nelle vene, allora insieme con l'aria (1) c' nelle vene sangue abbondante e d'ogni specie, vario di colori (2) e di amaritudini e ancora di

acidezze e di salsedini, pieno di bili e di sieri e di ogni sorta di pituite. Perocch, andando tutte
le

cose a rovescio e corrompendosi, guastano innanzi tutto lo stesso sangue, e mentre non danno 83 pi al corpo alcun nutrimento, vengono trasportate da per tutto per le vene senza serbar pi
l'ordine della circolazione naturale (3), in guerra

Tp<pov aOSeV t b" aO ol rr\v TTUKvTr|Ta tujv otjv tn0oO|uevov k. t. X. L'Archer-Hind crede che correlativo di au.a |uv sia t b' au, il che impossibile, perch con t 6' a\> muta il dato che dovea esser comune, cio la provenienza dai nervi e dalla carne. L'umore qui descritto pare il fluido sinoviale che si condenserebbe nel periosteo.

nelle vene (1) Dunque non v'ha dubbio che Platone ammetta esservi, oltre il sangue, anche aria. Cfr. p. 84 D, dove l'eccesso dell'aria nelle vene produce morbi gravissimi.

La vulgata aveva xpwuacn ko iruKvTnai -rroiKjXXoiueerroneamente ci che segue non lascia dubbio sulla lezione iriKpTnai adottata da tutti gli editori moderni. conoscesse la circolazione (3) Sebbene Platone non del sangue, naturale che egli credesse che il suo fluire per le vene fosse pur soggetto a determinate leggi: cfr.
(2)

vov,

p.

70 B.
Fkaccaroli,
Il

Timeo di Platone.

31

362

II

Timeo.

con s stesse per non poter pi trar di s stesse alcun utile, nemiche e distruggitrici e dissolvitrici di quanto nel corpo ancora consistente e
suo posto. Quando pertanto si corrompa della carne che sia molto vecchia, essendo questa difficile a macerarsi, diventa nera per il durare dell'arsione e, fatta amara per essere da ogni parte
al

B corrosa, contamina gravemente quanto del corpo non sia ancora guasto. E qualche volta questo color nero anzich amaro acerbo, quando cio
l'amarezza alquanto attenuata; qualche altra poi l'amarezza intinta nel sangue piglia un colore ten-

dente
si

al rosso, e

se vi

si
il

mesce anche
color giallo
si

del nero,

pu pur fa verde (1): mischiare con l'amarezza, quando la carne che si corrompe per il fuoco dell'infiammazione sia
anche
nuova.
il

tutti

questi

umori ebbero

in

comune

dato loro da qualche C medico, o anche da altri che fosse capace di porre attenzione a molte cose diverse e vedere
di bile, o sia stato

nome

che
di

in esse v' una caratteristica (comune) degna un nome comprensivo per tutte le variet poi
;

della bile, quante ve ne sono,

secondo

il

colore

ebbero anche ciascuna un appellativo speciale. Quanto poi al siero, la secrezione acquosa del sangue mite, quella invece della bile nera ed
acerba selvatica, ove per
il

calore
si

si

mescoli a
pi-

una disposizione

salsa, e questa

chiama

ti) toO uXctvcx; totijj SuYKepavvuuvou x^oibeq. pag. 68 C detto che il rosso misto al nero d il irpaiov, che il color verde porro: questo basta per preferire qui la lezione x^owe<;, data da alcuni manoscritti, alla vulgata x^we<; (Stallbaum), tanto pi che, come bene osserva il Martin, dire che una data specie di bile color della bile, dir niente.

Capitolo

XXXIX.

363

tuita acida.

Ci

che poi viceversa per l'azione

dell'aria si squaglia (1) da carne novella e tenera, fatto gonfio di vento e chiuso intorno dall'umidit, come si formano per queste condizioni

delle bolle, ciascuna di per se invisibile per

la

piccolezza,
visibile,

ma

assumenti tutte insieme una massa

e per il prodursi della schiuma colorate bianco, tutta questa corruzione di carne tenera mescolata con aria diciamo che la pituita bianca. Della pituita poi che si formata di fresco sono secrezione il sudore e le lagrime e quante E
di

cose s fatte giorni purgandosi.


altre

casioni di

corpo versa fuori tutti sono ocmalattie, quando il sangue non abbondi
il
i

tutte queste cose

(1)

b'

aO |aex ^poq TnKuevov ex


b.

vac,

cai

naXfjc;

veuw6vT0<; ica HuuTTepiXn<p6vT0<; tto TaTnv Ttaav irrpTTyros, xal TtouapoXuYwv EuaTaotv Trixeva ... XeuKv elvai cpXYua cpauv. H costrutto anacolutico non offre difficolt, se non fosse che all'anacoaapKq, totou
luzia t b

grammaticale pare aggiungersene una logica. Il parrebbe riferirsi a cpXYMci, l'ultima parola usata per indicar la pituita, e cos intendono il Martin e I'Archer-Hind; ma toutou b a che si riferisce? non ad poq, perch po<; ve|uuj0vTo<; non ha senso dunque a t b e a cpxyna. Ma se si capisce il cpXYua veuwev che produce delle bolle, non si capisce pi il cpXdYMa
;

nel formarsi delle bolle ci che circondato dall'umidit l'aria, precisamente come a pag. 66 A-B. Non resta pertanto che intendere il t come articolo di |uex poi; tukuevov in senso generico, senza riferirlo a cpXYua, e il totou come ripresa di questo concetto comprensivo; e secondo questo senso traducono il Mueller e il Jo-

pu essere che

SuuTrepiXnqpOv tt YpTnTo;, quando la stesso, mentre il cpXYua

YPTn<;

non

wett per tal modo il participio ve|uwevTo<; riguarda l'elemento contenuto nel Tn.K|iivov, e il EuuTrepiXnqaGvto<; quello del uex pot;, con progressione naturale; infatti prima nella putrefazione entra l'aria, poi si formano le bolle, nelle quali la parte acquosa di fuori e l'aria di dentro.
:

3|

//

Timeo.

naturalmente per opera dei cibi e delle bevande, ma riceva il proprio incremento tutto al contrario
in

onta

alle leggi della natura.

Pertanto, sebbene

siano disciolte dalle malattie le singole parti della


carne, se ne

rimangano

intatte le radici, la vio-

lenza del male

ridotta

ancora
84

la possibilit di

rifarsi

met: resta infatti agevolmente. Ma

quando ammali
ci

ci che lega le carni alle ossa(i),

e secernendosi dalle fibre (2) insieme e dai nervi

non

diventi pi nutrimento per l'osso n le-

game
dieta,

dell'osso alla carne,

ma

di

pingue e
la

liscio

e vischioso che

era, inselvatichito per

mala
che

divenga aspro e

salso, allora tutto ci


si

affetto in tal

modo
si

consuma da
radici

s sotto le
;

carni ed

nervi, e

distacca dalle ossa


loro

le
i

carni

poi cascando

dalle

lasciano

nervi

nudi e pieni di salsedine, e ricadendo nella corrente del sangue accrescono i morbi predetti. Ma

essendo pur gravi queste affezioni del corpo, ce ne sono ancora di maggiori che le precedono (3),

(1) Cfr.
(2)
kcx

pag. 82D.
mikti

dur

S tvujv

ajuct

Ka vepaiv iroxwpi-

Zuevov k. t. X. La lezione Sua invece di aTua fu proposta dal Lindau, non accolta dagli editori successivi, ed accettata invece dall' Archer-Hind e dal Jowett: ax poi, per au x, dell' Archer-Hind, accettato dal Jowett. Credo che questi emendamenti siano sicuri: infatti ci che si secerne dalle fibre e dai nervi non punto il sangue. Ad ogni modo queste fibre evidentemente non sono pi quelle del sangue, ma quelle della
carne.
(3)

Precedenza non

ripetizione,

ma

derata
lattie

come

di gravit, che sarebbe una oziosa di origine; sia perch la carne consianteriore al sangue; sia perch le ma-

che avea enumerato derivavano da un vizio della nutrizione, e quelle che dir ora piuttosto da un vizio organico. Sono per sempre di quelle beuTpaq Euoxaaeux;.

Capitolo

XL.

365

qualora l'osso, per

la

densit della

carne non
dalla

avendo

sufficente

respirazione,

riscaldato
il

carie, sgretolandosi

non assorba pi

nutrimento,

ma

stesso, e

cada invece nel nutrimento esso nutrimento riversandosi nelle carni e C la carne nel sangue, rendano le malattie tutte pi maligne di quelle dette prima (1). Il peggio di tutto poi quando la natura stessa del misbriciolato
il

dollo per qualche insufficenza o sovrabbondanza

ammali, e questo produce le malattie pessime pi proprie a dar morte, poich allora tutta la natura del corpo che di necessit va a
si

e le

ritroso.

XL.

poi una terza specie di malattie che bisogna considerare come avente tre origini diverse, l'una dall'aria che si respira, l'altra dalla pituita, la terza dalla bile. Perocch ogni qual
volta
il

dispensiere
offra
(2),
i

polmone, non da altri flussi


trare

dell'aria al corpo, (cio) il meati puri, essendo ostruito

quinci non potendo l'aria en-

entrando in maggior copia che non convenga, fa marcire ci che non riceve il refrigerio, e penetrando a forza nelle vene e cone

quindi

torcendole discioglie

il

corpo e resta interclusa

(1) Questa chiusa tautologica col principio del periodo, che anche per altri rispetti sovrabbondante.
(2)

La

tisi

polmonare? Poco pi

oltre

pare voglia

in-

dicare le pleuriti.

3<36

//

Timeo.
sul

in

mezzo
tali

di esso

premendo

diaframma

(i)

E da

cause produconsi

(2) infinite

malattie do-

lorose accompagnate da abbondanza di sudore. Spesse volte ancora quando la carne nel corpo si separi, l'aria, che ne nasce dentro e non pu trovare uscita, produce gli stessi dolori che possono produrre le cause esterne (3), i quali poi sono grandissimi ogni qual volta essa, circondando i nervi e le venuzze che ivi sono e gonfiando i

muscoli delle spalle e

nervi corrispondenti, pro-

duca una tensione all' indietro: le quali malattie appunto dal fatto della tensione si chiamarono tetani ed opistotoni. E di queste la cura difficile; infatti (solo) le febbri sopraggiungendo possono meglio di tutto por loro un termine. 85 Cos la pituita bianca per l'aria delle bolle maligna quando interclusa, e se abbia dei respiri fuori del corpo pi mite, ma rende il corpo screziato ingenerandovi empetigini e vitiligini e altre
tali
si

malattie.

Che

se mescolata di bile nera e

riversi sulle circolazioni del capo,

che sono

le

pi divine, e le conturbi, ove assalga nel sonno pi mite, ma quando insidi nella veglia pi

(1) eie, t utfov axoO iaqpp<rfua t' toxov IvcmoXajiPvexoi. Il Martin, traducendo " o est le diaphragme, pare riferisca foxov a t uaov, mentre si ha da riferire

a irveOuct. N il Mueller n I'Acri traducono l'taxov, ma si limitano a parafrasare vcmoXauPveTai.


(2) Il

cod. Par.

A prima di

ireipTOOTai
:

ha un

ttoXXkk;

che fu accettato dallo Stallbaum evidentemente superfluo e ingombrante, ed una svista dell'amanuense che salt al ttoXXkk; che segue e comincia il nuovo
periodo.

munemente

Cointende dell'aria che entra, ma il plurale evidentemente comprende anche le altre cause esteriori.
(3)

tck; atc; Toq ireiaeXnXuScnv iblva; irapaxe.


si

Capitolo

XL.
tal

367

difficile

di liberarsene.

malattia essendo di

natura sacra, molto giustamente fu detta morbo sacro (1). La pituita poi acre e salsa sorgente di tutte le malattie di genere catarrale; e poich
scarica sono diversissimi, riQuanto alle infiamnomi. ceve anche diversi mazioni del corpo, che si chiaman cos (appunto) dall'essere esso arso e infiammato, nascono tutte
i

luoghi nei quali

si

dalla bile. Infatti


di fuori,
fignoli
;

quando essa trova un

respiro
di

fa pullulare

ribollendo ogni specie

ma

se costretta a star dentro, vi prola

duce molte malattie infiammatorie, e


ne disperda
le quali

pi grave

qualora (essa bile), mescolatasi col sangue puro,


fuori della loro propria sede le fibre, erano seminate nel sangue, affinch fosse proporzionato in sottigliezza e crassezza, e per

troppo caldo non scorresse come fluido fuori del corpo rarefatto (2), n viceversa per troppa densit reso diffcile a muoversi circolasse a stento nelle vene. Questa convenienza infatti conseril

vata dalle fibre


naturale: che

per

la

loro

stessa
le

costituzione

quando alcuno

raccolga insieme

togliendole sia pure da sangue morto e conge-

qui si adduce del chiamarsi l'esacro, data la teora sovra esposta, pi che sufficente: colpisce infatti r<; iTepibout; v xf)
di:)

La ragione che
morbo

pilessia

KecpaXr) eeioTOtTou;

morbo sacro per

ma
ad
tf\c,

anche p. 44 D. Il nome di le fu dato per questa ragione, perch il suo carattere strano la faceva attribuire l'autore del libro trep opera divina o demonica \pf\c, voaou, raccolto tra le opere ippocratee, comouaaq
:

cfr.

altro

non

batte apertamente questa superstizione. Ci che pi notevole in questo nostro luogo l'osservazione sull'epilessia durante il sonno e come questa sia pi mite. (2) La fluidit del sangue e la rarefazione del corpo sono tutti e due effetti del calore.

3<58

//

Timeo.
si

lato,
si

tutto
,

il

resto del sangue

disf

ma

se vi

freddo circostante lo coagulano. Or avendo le fibre questa potenza sul sangue, la bile, che per sua natura
lascino

subito con V ajuto dei

che di nuovo dalle carni ed poco, per l'azione umida e da principio a poco a E delle fibre si coagula, e coagulata e spenta a forza produce di dentro intemperie e tremore. Quando poi vi irrompa in maggior copia e soverchi col
era sangue vecchio
(i), e

ritorna a disciogliersi in esso, versandovisi calda

suo calore,

bollendo turba

le

fibre

e le disor-

dina; e se bastante a vincere sino all'ultimo, penetrando nella sostanza del midollo scioglie di l

ardendole
di

le

gomene

dell'anima

(2),

come

si

fa

andar libera; qualora invece sia pi debole e il corpo resista alla dissoluzione, allora essa vinta, e o se ne fugge per tutte le vie del corpo, o sospinta attraverso le vene nel basso o nell'alto ventre, fuggendo dal corpo

una nave, e

la lascia

(stesso)

come un bandito da una

citt sollevata (3),


altri

86 produce diarree e dissenterie e tutti gli


lanni di cotal genere.

ma-

Quando

poi

il

corpo malato sopra tutto per

carne, e la de(1) Cfr. pag. 83 A. Il sangue forma la generazione della carne forma la bile di natura morbosa. (2) Cfr. pag. 73 D. f\ kcut ttv t gujuci tireaev, f\ (3) axri Kparneetaa bi tiv qp\eP)v etq ti?]v k<tuu uvuuc9e!aa f\ t^v dvuj koiXiav, otov qpuY<; >c ttXuj<; a-raa\aaar\c, K toO oibua-rot; Kiri-rr-roucta, k. t. X. L'uso ripetuto del verbo KimrTw dimostra che la differenza tra l'un caso e l'altro non nel nella sostanza della soluzione, ma solo nel modo primo il male esce (non bene il Martin: " elle succombe ) da tutto il corpo, nel secondo esce solo per determinati canali, quasi nascostamente, e perci di questo propria la similitudine del bandito.
;

Capitolo

XLL

369

eccesso di fuoco, ne nascono ardori e febbri continue, quando per eccesso di aria quotidiane (1), terzane se di acqua, per essere l'acqua pi lenta
del fuoco e dell'aria
;

se

poi

di terra,

essendo

questa lentissima in quarto luogo e purgandosi in periodi quadrupli di tempo, produconsi le febbri
quartane, e a fatica poi se ne vanno
(2).

XLi.

malattie del corpo cos accade che si prducano, quelle poi dell'anima hanno origine dalla

le

disposizione del corpo (3), nel modo seguente. Che la malattia dell'anima sia la dissennatezza

siamo tutti d'accordo; ma di dissennatezza vi sono due specie, la pazzia e l'ignoranza (4). Ogni

Cio rinnovantisi ogni ventiquattr'ore. febbri giustamente da Platone sono classificate a parte dalle altre malattie; n potrebbero del resto ascriversi a nessuna delle tre classi gi esaminate, se non forse per un certo rispetto alla prima. Esse possono essere malattie esse stesse o sintomi delle malattie qui pare si debba intendere delle prime. (3) t irep vpuxnv bi aif-iaTOc; 2Eiv Ttje. Alcuni, come il Mueller, e, pare, lo Stallbaum, intendono che qui si alluda a quelle malattie psichiche che hanno origine dal corpo, sottintendendo che ve ne siano altre ma le parole stesse e tutto il condi origine diversa testo impediscono di credere che Platone ne ammet(1)
(2)

Le

tesse alcun' altra specie oltre quelle qui indicate. I piaceri e i dolori eccessivi infatti, di cui poi si parla, si attribuiscono a condizioni fisiche. una distinzione analoga, ma (4) Cfr. in Soph. p. 228 non identica. Timeo Locro, p. 102 D-E, ha pure intorno alle malattie psichiche delle varianti notevoli, distinguendole secondo le facolt cui si riferiscono ; e, secondo

370

// Timeo.

qualunque affezione
dire che malattia.
sivi
i

(i)

pertanto della quale chi


si

affetto accolga in s o questa o quella,

dovr

piaceri e

dolori ecces-

bisogna ammettere che sono per l'anima tra morbi pi gravi (2). Perocch l'uomo che

troppo allegro o che per tristezza nello stato contrario avendo fretta o di pigliare qualche cosa fuori di tempo o di fuggirne qualche altra,
,

non pu pi n vedere n udire nulla rettamente, ma infuria, e non pi capace di partecipare


allora della ragione.

colui

cui nel midollo

si

generi sperma copioso ed impetuoso, e sia come un albero pi fruttifero della giusta misura, costui

provando a parte a parte

(3)

e nei desideri

o la memoria, o la volont, o o la ragione, sono disestesia, dimenticanza, anoressia ed indolenza, passioni bestiali e furori, ignoranza e demenza H> u X a vcroi v-r ttoXXci, ctXXai ' <5XXuuv uvauuuv vTi, aa9r|TiKa<; uv uaaia6n.aia, uvauovucfic; Xd9a, punriKc; vopeSia Ka TrpoTreTia, -notry TiKfic; typia iraQed re Ka Xaaax oorpibbeec,, XoyiKat; uaOia Ka Kqppoava.

toccano o

la sensibilit,

l'affettivit,

<;

(1) La mancanza in italiano di un nome e di un verbo che corrispondano precisamente a ttGo? e irdaxuj parecchie volte impediscono al traduttore di essere insieme esatto e chiaro. Qui potremmo parafrasando dire che quel qualunque stato o condizione, nel quale trovandosi uno sia di necessit insieme o pazzo o ignorante, uno stato morboso cio la dissennatezza e nell'una e nell'altra manifestazione effetto di uno stato morboso dell'individuo. (2) Questo rincara quanto detto nel Fedone, pagina 83 B sgg.
:

(3) ttoXXcu; uv Ka6' ?Kaarov iLWac;. Il Martin traduce: des douleurs trs grandes chacune en particulier; ma per intender cos bisognerebbe ci fosse kcxO' Ka-rr\v I'Archer-Hind " from time to time, che non vedo cosa abbia da fare; il Mueller: " in jeder Beziehung, intendendo tanto per l'anima quanto per il corpo; e
"
:

Capitolo

XLl.

371

negli effetti loro

molte doglie e molti

piaceri

reso forsennato la maggior parte della vita ap-

punto per questi grandissimi piaceri e dolori mentre ha l'anima ammalata e stolta per causa del corpo, non viene considerato come ammalato, ma a torto come volontariamente malvagio. Ma la verit che la intemperanza nei piaceri ve,

nerei diventata (in lui)


in

una malattia dell'anima

gran parte per le condizioni di una specie sola (1), la quale per la radit delle ossa fluisce nel corpo e lo inumidisce. E cos tutto in generale quanto si chiama intemperanza nei piaceri
e
(si

appone
(tali)

a)

vergogna,

come
(2),

se

perversi fossi

sero

volontariamente

non

appone a

non mi persuade. Meglio


mina:
"

lo

Schneider che non deter-

in singulis. Io intendo che in ciascuna cosa trova occasione di dolore o di piacere.


(1) bi t>iv v<; yvou<; 'Eiv imo uavTr)TO<; otlv bt jSuujn Kai uYpaivouaav. Il Martin traduce le
"

odiMcm
"

prime parole:
dalla

PAcri una cotale specie di umore PArcher-Hind: " la condizione di un elemento, se. tcO poco diversamente il Mueller e il Jowett ; MueXoO ma nessuna di queste versioni rende v<;. Che cosa v<; yvout;? Se una sola delle specie elementari, quale ? Non detto e non si capisce. Una (qualunque) tra le dette specie? Non si vede una sufficente ragione tra gli effetti e questa causa. O perch il midollo sarebbe 'v yvcx;? Questo vt; mi un po' sospetto gra-

par un certain genre de fluide;

qualit di

ficamente potrebbe essere la ripetizione di fvovq, che avrebbe cacciato di posto la parola adatta. (2) uaa i^ovujv tcpTeia Kai (Zeller, o. c, p. 853, propone dubitativamente kot', forse a ragione) veio<; k; KvTtuv XyeTai tujv kcikujv. Lo Schneider traduce: " quasi voluntariorum dici solent malorum, ed il Martin " qu'on reproche comme des maux volontaires. Ma senza dire che kiJuv non Kot>0io<;, il tujv impe" come disce del tutto questo senso. Bene I'Acri se malvagi egli fossero di volont loro similmente PArCHER-HlND.
: : ;

372

//

Timeo.

proposito. Perocch nessuno cattivo di sua vo-

lont (i),

ma per qualche mala disposizione del corpo o per rozza educazione il cattivo diventa cattivo; e queste son disgrazie per tutti, e avvengono anche a chi non le vuole (2). E viceversa anche
quanto
ai

dolori allo stesso

modo

l'anima riceve

molti guasti per mezzo del corpo (3). Perocch dove delle pituite acri e delle salate, e quanti i succhi

ve ne sono amari e biliosi, errando per il corpo non trovino un respiro al di fuori, ma rialtri

volgendosi dentro si confondano mescolando le 87 loro proprie evaporazioni al movimento dell'anima, producono ogni specie di malattie psichiche, ora pi ora meno, ora minori ora maggiori. E traspor-

p. 731 C: -nc, <5&iko<; ox Kv yp lueYiaTuuv kcxkiv oec; oaiaoO ov Kibv KKTr|TO dv iroxe, k. t. X- ibd. pag. 734 B. ibid. IX, pag. 860 D segg.: j<; cri koko irdvre.; eie; irvra eav <5kovt<; kcxko. Cfr. pure Gorg. pp. 466-68 Protag. p. 345 D-E; Merton, pp. 77 B-78D ; Sophist. p. 228 C, p. 230 A, ecc. Questa dottrina cos chiara, esplicita e costante in Platone come poche altre, e si pu dire che la scienza moderna gliel'ha rubata senza nulla aggiungervi di essenziale. Il fondamento di essa secondo Platone si che l'anima intelligente per sua natura buona, come quella che creata direttamente da Dio che ha fatto tutte le cose buone; e che tutta la cura noftra deve essere perci di ridurla a questo suo stato naturale e alla sua somiglianza con le circolazioni dell'universo (cfr. pag. 90 D), liberandola dagli impedimenti che le si oppongono per parte dell'anima sensitiva e delle cose esteriori. Cfr. Prolegg. cap. I, 3. (2) Travx b rctOra x9p kciI ckovti TrpoaYiYverai. Cos ko quasi tutti i codici invece gli editori in generale kcxkv ti, che lo Stallbaum mal si ingegna di difendere. morbi (3) Prima aveva detto (p. 86 B) che causa dei dell'anima sono le Roveti e le X-rrai, poi (p. 86 D) aveva parlato di quelli prodotti dai piaceri, ora passa a quelli
ti)

Cfr.

Legg. V,

dbiKO<;- t)v

prodotti dai dolori.

Capitolo
tati

XLI.

373

(questi morbi) (i) alle tre sedi dell'anima, l


di-

dove ciascuno va a cadere produce molteplici e


di

verse variet di scontentezza e di tristezza e altre

audacia e di

vilt e

ancora

di

dimenticanza

insieme e di storditaggine.
di

Ed

oltre di ci

quando

gente cos male compaginata (si formino) cattive citt, e in queste citt e privatamente e pubblicamente si tengano discorsi (2), e inoltre non si B apprendano dai giovani insegnamenti che rimedino a questi mali, ecco in che modo tutti

tali, per due caDi che da dare sempre la colpa ai genitori pi che non ai figli, e agli educatori pi che agli educati (4). Insomma bisogna aver cura, secondo che ciascuno

diventiamo

cattivi,

quanti siamo
(3).

gioni affatto involontarie

(1)

vexOvTd, cio voovuuaTa:

male e contro

la

gram-

matica il Martin lo riferisce a x u Moi: " ces humeurs, se portant ecc. Similmente pare intendano Mueller, Jowett ed Archer-Hind. Intendi poi che la scontentezza si produce ove la malattia cada nella regione degli appetiti, dunque sotto al diaframma, l'audacia se cade nella regione dell' irascibile, cio sopra al diaframma, la storditaggine se tocca la regione dell'intelligenza. Per il concetto cfr. Senofonte, Mem. Ili, 12, 6. (2) Tdv otu) xaKx; ircrfvTuiv -rroXiTelai kokoI kc Xyoi kot -rtXeiq xbiq re xal nuoaia Xx8ujarv. Qui c' uno zeugma, e XexQiJcriv, che regge propriamente soltanto Xfoi, sostituisce anche il verbo che dovrebbe reggere TToXiTekn Kaxai. Quale questo verbo? Comunemente si intende quando si aggiunga un cattivo governo ', ed interpretazione che pu reggere: a me per il genitivo KctKN; iraTvTujv ha fatto ritenere pi probabile un
'

altro senso.
(3) Cio la ignoranza e la pazzia. (4) oiv aTiarov uv ... uaXXov ... toc;

xpcpovra;

rpecpouvuuv. Trpo9uunxov
J

jurjv k.

t.

X.

Dopo

tujv Tpeqpo|uvuuv

non v ha dubbio che vada punto fermo, sebbene tutti gli editori pongano soltanto virgola. Se si vuol tenere la virgola, bisognerebbe mutare TTpoGuunTov \xi\v in -rrpoGunnTtov
.

Fraccakot.t, Il Timeo di Platone.

3^

374

Timeo.

pu, per mezzo dell'educazione, delle istituzioni e degli insegnamenti, di fuggire il male e prendere
il

contrario.

Ma questo

un

altro

genere

di discorsi.

XLII.

Ci poi che
cio quello che
delle menti,

fa riscontro a
si

quanto
si

si

detto,

riferisce alla cura dei corpi e

possano conserappunto per riscontro si esponga: infatti pi giusto che il discorso si trattenga di preferenza sul bene che non sul male (i). Tutto ci che buono bello, e il bello non senza proporzione (2); anche l'animale pertanto che ha da esser tale, dobbiamo supporlo proporzionato. Ora delle proporzioni percepiamo le piccole e le misuriamo, ma le pi importanti e le pi grandi non abbiamo in conto
vare, ora naturale e conveniente che

con quali mezzi

razionale.
lattie,

Infatti

rispetto

alla salute

e alle

ma-

alle

virt e ai vizi,

nessuna proporzione o

sproporzione maggiore di quella dell'anima in

(1)

iKcutepov
"

fp t)v taGwv

irpi

uXXov

r\

tujv

KciKuJv iaxtv Xyov.

Lo Stallbaum
"

yov per rationern habere; ma pi conto dei beni che dei mali non

interpreta toxeiv Xperch si deva tener


si

vede

affatto:

defigere. Io per altro preferisco intendere \a\^\v per intransitivo e Xyov per soggetto; ad ogni modo il senso in sostanza lo stesso, che meglio parlare di cose allegre. E, si capisce, non tanto perch faccia pi piacere, quanto perch il mondo essendo stato creato buono, il male non ha in esso che una parte secondaria ed accidentale. (2) Cfr. Filebo, p. 64 E.

meglio

lo

Schneider

sermonem

Capitolo

XLII.

375

proprio corpo (i). Di che noi accorgiamo, e non pensiamo che quando un'anima robusta e grande in ogni sua parte sia portata (2) da un corpo pi debole e minore, o quando ancora queste due cose siano combinate

rapporto del suo


ci

non

al

modo

inverso, l'animale intero

non

bello,

perocch sproporzionato nelle proporzioni pi essenziali; e che ci che sta all'opposto di cos il pi bello e il pi attraente spettacolo, per chi lo sappia contemplare. Quale pertanto un corpo E con le gambe troppo lunghe, o che abbia qualche altra sproporzionata sovrabbondanza con s stesso, non solo brutto, ma anche nella comunanza delle fatiche (3) dando luogo a molta stanchezza, a molti stiramenti, e per il suo traballare a molte cadute, causa a s stesso d'infiniti mali; parimente bisogna pensare di quella doppia compagine che chiamiamo l'animale; cio che quando l'anima che in esso, per essere da pi del corpo, sia in grande concitazione scotendolo dentro 88 tutto, lo riempie di malattie, e quando ella si abbandoni intensamente a certi studi e questioni, lo consuma, e quando pure tenga insegnamenti e battaglie di discorsi pubblicamente e privatamente,

oe^ia EuuueTpia Kat ueTpia uei&uv i} ifux>K aTfjc; auua a-r. L'aggiunta di aTf|<; e di auro indica che la proporzione cui si accenna non quella in generale tra anima e corpo, che non ha che fare, ma tra ciascun'anima col suo proprio corpo e tra ciascun corpo con la sua propria anima, come chiaro da ci che segue. (2) Il corpo il veicolo (xnMa) dell'anima; cfr. p. 69 C e prima p. 44 E.
(1)
-rrpcx;

(3) v rr| Koivujv{(jt tiv itvujv

"

dans tous

les tra-

vaux que doivent supporter tous les membres (Martin); " bei gemeinsamen Anstrengungen (Mueller).

376

// Timeo.

facendolo,

per

le

diatribe e

litigi

scono, tutto infiammare, lo scioglie

(i),

che ne nae produ-

maggior parte dei male tutt' altra causa. Cos viceversa quando un corpo grande e pi generoso (2) si trovi compaginato con una piccola e debole intelligenza, essendovi B da natura due specie di desideri nell'uomo, quello
la

cendo dei reumi inganna

cos detti medici, e fa che assegnino al

della

nutrizione per

conto del corpo, e quello


forte

della saviezza per conto di ci che in noi pi

divino,

movimenti del pi
crescere
la

soverchiando
,

e facendo

parte
e
la

loro

mentre rendel-

mauna sola salvezza per l'uno e per l'altro malanno, non esercitare l'anima senza del corpo, n il corpo senza delpi grande delle
lattie,

dono stupida e tarda l'anima, vi producono

smemorata quella

l'ignoranza. C' pertanto

l'anima, affinch, difendendosi l'un dall'altro, equilibrino e siano sani. Conviene dunque che

si
il

C matematico

(3)

o chi lavora assai con

la

mente

Giustamente I'Archer-Hind osserva che da ci ha da inferire n punto n poco che Platone intendesse di porre dei limiti all'educazione dell'anima, acci non soverchi il corpo soltanto vuol dire che il corpo deve essere educato in modo da corrispondere alle esigenze dell'anima.
(1)

non

si

(2) aiud Te rav aO yiya Ka Onpijjuxov. Se intendiamo mpvyuxov alla lettera, si avrebbe una prolessi che renderebbe ozioso il predicato; la parola comune che qui cadeva in acconcio era impGuucx;, l'argomento

stesso sugger la modificazione insolita. (3) tv uaGnua-riKv. Sebbene lo Stallbaum si diverta a ridere di quelli che intendono questa parola in senso tecnico e ristretto, anzi che in quello di studioso in generale, credo che proprio sia il senso ristretto quello che qui conviene. La matematica, con tutte le sue applicazioni, era per Platone la scienza delle scienze, e forse la sola che nell'antichit meritasse il nome di

Capitolo

XLII.

377

intorno ad altra scienza, paghi anche al corpo il suo dovuto esercizio, facendo amicizia con la ginnastica,

cura

il

e che, viceversa, colui che coltiva con corpo, ripaghi il cambio coi movimenti

della sua anima, servendosi della


filosofia d'ogni specie, se

musica e della con ragione egli ha da


e

essere chiamato

bello

insieme

buono ve-

ramente.

conforme a questi

stessi principi

rare anche le singole

membra, imitando

avviene nell'universo. Infatti, ci che gli entra dentro e acceso e raffreddato, e


ficato,

bisogna cuci che essendo il corpo da

viceversa dalle cose di fuori disseccato e molli-

impressioni conseguenti a queste per opera di questo e di quel movimento,


e

ricevendo

quando alcuno abbandoni in balia di questi movimenti il corpo mentre in riposo, soverchiato
da loro esso perisce che se invece imiti quella che abbiamo detto nutrice e balia dell'universo (i),
;

scienza, e perci del tutto naturale che venga indicata in primo luogo. Le parole che seguono, f\ riva \\r\v aqpbpa neXrriv iavoia xotTepYaZuevov, confermano questa interpretazione la spiegazione dello Stallbaum " oder
:

wer andere Kopfarbeiten


troppo

hat

moderno. Fatica

intellettuale

mi pare un concetto atta a produrre

quella che noi diciamo neurastenia, e che allora si sarebbe detta piuttosto ueXorrxoXia, all'infuori della vita speculativa non so se gli antichi ne abbiano riconosciuto o ne abbiano osservato.
teoria esposta da pag. 50 B in poi, specie sgg. e Prolegg. cap. III. La Tpocpq k<xI Ti6f|vr|, secondo la detta teoria, la x^pa, ma qui la x^P gi fecondata e in moto, un moto congenito ad essa, per il quale le specie elementari vanno ciascuna al proprio posto. La imitazione che qui si richiede limitata allo scotimento: la X&pa, scotendo, ancorch senza intelligenza, ci che riceve in s, ne segrega le parti e per
(i) Cfr. la

52

378

//

Timeo.

corpo sia mai assolutamente muova, e imprimendovi di continuo in tutto il complesso certi scotimenti, lo diE fenda conforme a natura dai movimenti interiori ed esteriori, e con questa moderata scossa metta in ordine secondo affinit al loro posto reciproco
e
lasci

non

che

il

in quiete,

ma

lo

le

impressioni erranti del corpo e


il

le

sue parti
di

giusta

discorso che

abbiamo tenuto
;

sopra

a proposito dell'universo (1) (chi far questo), non collocher nemico accanto a nemico, n la-

scer che esso ingeneri dentro


e malattie,

al

corpo battaglie

amico posto vicino ad amico vi produca la sanit. Ora dei movimenti 89 quello che avviene in s stesso e da s stesso il migliore, perocch affine al movimento delfar che

ma

l'intelligenza e a quello dell'universo (2),

e quello

cos dire prepara la materia per l'ordine che avr da ricevere cos il corpo, scotendo allo stesso modo le cose che entrano in lui, le manda al loro posto, il simile presso al simile, l'amico presso all'amico. E qui si parla di scotimento, e lo si paragona a quello irrazionale della xwpa, perch il corpo, in quanto corpo, non ha intelligenza. Poi si procede ad un'altra osservazione, ed che il moto che nasce nella cosa per virt sua propria la conserva, quello che le viene di fuori la pu distruggere (pag. 33 A). Ma poich nulla fuori del mondo, tranne il suo creatore, cos nessuna cosa pu distruggere il mondo, se non lo distrugge il creatore stesso: viceversa fuori dell'uomo sono molte cose che lo possono distruggere, e da queste bisogna che egli si difenda. Se pertanto il corpo si abbandona inerte all'urto delle cose esteriori, esso corre il maggior pe:

ricolo.
(1)

kot tv TTpaBev

Xyov 8v rap

irctVT<;

X^ouev.

Sebbene grammaticalmente

sia indifferente,

non dubito

per il nesso logico di congiungere questa frase con ci che precede, anzich con ci che segue. (2) uXicrra yp Tri iavon.TiKr) Kal xr) toO iravrc; Kivf|oe\ SuYYevfn;. La ripetizione di rrj indica che due movimenti sono considerati come distinti.
i

Capitolo

XLII.

379

che avviene per opera


poi quello che,
gli

altrui
il

quando

impresso da

altri

peggiore pessimo corpo giace e sta quieto, nelle singole sue parti.
;

Perci appunto delle


del corpo quella che
si

purgazioni e ricostituzioni

procaccia per mezzo della


in.

ginnastica la migliore, viene in secondo luogo


quella dei dondolamenti, sia in barca, sia
siasi

qual;

genere di veicoli che non stanchino ma un terzo genere di movimenti utile quando vi si sia assolutamente costretti, e in nessun altro B caso si deve ammettere da chi abbia senno, (ed ) quello che avviene per mezzo di una purgazione farmaceutica a scopo di cura medica. Perocch le malattie, quando non portino grandi pericoli, non bisogna stuzzicarle coi farmachi. Ogni decorso di malattia infatti in certo qual modo somiglia alla natura degli animali. E per vero anche la costituzione di questi porta con s dalla nascita un periodo di vita determinato per le singole specie (i), e del pari ciascun animale preso a s ha da natura un tempo fatale per vivere, all' infuori degli accidenti inevitabili. Perocch i C
altro

(i) kciI yP A totuuv voo<; Ix ouoa TTaY|uvou<; toO Piou fiYveTai xpvou<; toO te fvovc, Eiairavroc; Kal kot' auro t tpov duapuvov ?Kaarov Ixov tv fKov qpueTcti, Xwpc; TuJv vYKjy; na0n|u(TU)v. L'Archer-Hind crede che qui Platone accenni alla estinzione delle singole specie, e anche il Jowett nella sua traduzione rende a questo modo. Questo darvinismo in Platone sarebbe

veramente notevole, ma non so poi se sarebbe altrettanto consentaneo alla sua teoria, e le ragioni che adduce il Gaye (o. c, p. 208) per trovarne la conciliazione, cio che l'idea corrispondente alle specie estinte pu essere rappresentata da altre specie, ancorch ingegnosa, non mi persuade. Le parole del testo nostro non ci forzano affatto a questa interpretazione; e per me non significano altro se non che ciascuna specie ha un

380

//

Timeo.

triangoli subito fin dal principio di ciascun indi-

viduo sono costituiti con una determinata potenza e capaci di durare fino ad un certo tempo, al di l del quale nessuno potrebbe serbarsi pi in vita.

cos

dello

stesso

carattere

la

costituzione

delle malattie, la quale se alcuno fuori del

tempo
al-

destinato la guasti coi medicamenti, sogliono


lora venirne

da piccoli grandi

da pochi molti

morbi. Perci tutte queste cose conviene educarle piuttosto coi regimi di vita, in quanto se ne abbia
l'agio (1), e

diventare

il

non titillarle coi farmachi male pi intrattabile.

e far cos

XLIII.

intorno all'animale nel suo complesso e alla

sua parte corporea, in che

modo uno

dirigendola

e lasciandosene dirigere (2) possa vivere pi con-

termine medio e un termine massimo di vita, e che ciascun individuo entro questi termini ne ha uno suo proprio; fatto per durar tanto; e se questo termine si sposta, per causa di II vYKn,<; TraGnuara.
(1)

Perch

si

intende che la cura dell'anima deve an-

dare innanzi.
uv toO koivoO Iujou koi toO kot t awua tic; 3v Ka iaTrataYWYWv xal iaTiaiaYUJTouuevoq qp' axoO uriXiax' Qv kot Xyov Zibn, toOtt] XeXxSuu. Se c' emendamento che possa dirsi sicuro, quello di ocp' aroO in tt' axoO proposto dallo Stallbaum ed accettato dal Cousin, sebbene respinto dagli altri editori e da alcuni anche in malo modo. Che l'anima deva governare il corpo, Platone lo dice e siamo d'accordo, ma non il caso qui qui si riassume ci che si appena terminato di dire, cio della parte che ha il corpo nell'animale, e si era detto che il corpo bisogna bens
(2) Ka irepl

ctoO upouq,

rj

Capitolo XLIII.

381

forme a ragione, basti ci che si detto. Ma pi questo e prima di questo quella parte che deve governare l'animale stesso si ha, per quanto possibile, da predisporla in modo che sia per tale ufficio bellissima ed ottima. Discorrer pertanto particolarmente di ci sarebbe impresa sufficente cui attendere da sola ma chi ne tocchi per incidenza, analogamente a ci che si detto prima, non fuor di proposito potrebbe venirne a capo col ragionamento considerando le cose come
di
:

che abbiamo detto sono domiciliate tripartitamente tre specie di anima, e che ciascuna ha i suoi movimenti, cos allo stesso modo anche ora pi brevemente che sia possibile dobbiamo dire che quella di loro che vive in ozio e che dai movimenti suoi posa sempre, di necessit diviene
segue.
a

Conforme

quello
in noi

molte volte, cio che

governarlo, ma che non si deve forzarlo, ma secondare la sua natura, e questo appunto il iaucucrfujYeiv e il ionraicxYurfetffGai. tenere qp' aroO non si vede come l'essere governato da s stesso abbia che fare con la parte corporea, o che riferimento abbia con ci che precede e, peggio, con ci che segue, dove l'educatore (t iaircnaYurfiitfov) non il complesso del soggetto, un aTi;, ma una parte di esso, cio la parte intellet-

tuale: senza dire che, dovendosi a icmcuaYUJYuJv sottintendere aT, cio il corpo, il cambiamento dell'oggetto logico rompe quella simmetria in grazia della quale furono coordinati i due participi, e che in sostanza iaTTaiaYuJYouuevcK; cp' axoO non verrebbe a dire cosa molto diversa da icnraibaYUJYujv auto governarsi da s stesso infatti non vorrebbe dir altro se non far s che la ragione sia nostra guida, e che il senso ubbidisca; in altre parole icnraiaYujYeaeai dalla ragione torna identico a ionraiaYuuYeiv il corpo. N d'altra parte nel dire che l'uomo deve adattarsi alle condizioni del proprio corpo e regolarsi in conformit ci vedo nulla di men che ragionevole, o men che serio, o men che degno del nostro filosofo.
#
:

382

//

Timeo.

debolissima, e quella che sta in esercizio, vigoro90 sissima

perci si ha da curare che tra loro abmovimenti proporzionati. Quanto poi alla specie di anima che in noi sovrana, bisogna pensar questo, cio che Iddio ce la diede a ciascuno come un genio divino, lei che diciamo che abita nella sommit del nostro corpo e che
:

biano

dalla terra ci innalza verso la (nostra) cognazione

nel cielo, e diciamo verissimo,

come

piante, che
la Divila

siamo, non terrene,


nit, di l

ma

celesti.

Perocch

donde l'anima ebbe primamente

sua

tenendo sospesa con la testa la nostra radice (1), mantiene eretto l'intero corpo nostro. In colui pertanto che si affanna intorno ai piaorigine
ceri e alle contenzioni, e in queste
si

affatica ec-

producano se non opinioni mortali, e che ad ogni modo, per quanto possibile ad uno di esser mortale, nulla gliene manchi poich solo la parte mortale ha
si
,

cessivamente, necessario non

nutricata.

Colui

invece che
ai

si

tutto dato aldella verit,


e

l'amor del sapere e


tato,

pensieri

queste (facolt) di s stesso ha sopra tutte eserci-

C raggiungere
di

assolutamente necessario che, ov'egli possa il vero, pensi cose immortali e di-

sia capace nessuna parte gliene faccia difetto, e, come quello che alla Divinit sempre serve e mantiene bene ordinato il genio che in lui risiede, sia anche segnala-

vine, e che, in

quanto
dell'

la

natura

umana

partecipare

immortalit,

ci)

Sulla testa

come

radice del corpo

cfr.

Arist.

De

7: wc, r] KeqpaXi'i tuv ^luluv oiTUjq ai >iZai tojv cpuTiv. Cfr. pure Plut. De orac. Pyth. 12. Sulla dispo-

an.

II, 4,

sizione eretta del corpo


I,

umano

cfr.

Senofonte, Meni.

4,

sgg.

Capitolo XLIII.

383
tutti

tamente
trizione e

felice (1).

la

cura per
appropriati.

la

una
nu-

sola in ogni caso,


i

dare a ciascuna parte


in

movimenti
risiede

Divinit che
fini
i

Ora della noi sono movimenti af- D

pensamenti dell'universo e le sue circolazioni. A queste dunque ossequente conviene movimenti che che ciascuno, raddrizzando per il (nostro) nascere si guastarono nella testa nostra, con l'imparare le armonie dell'universo e i suoi circoli, renda uguale secondo la natura originaria il pensante al pensato (2), e, uguagliatili, abbia cos compimento quell'ottima vita che fu dagli Dei proposta agli uomini per il tempo
i

presente e per l'avvenire

(3).

0epatreovTa t GeTov ^xovx xe arv eu tv aiuova EvoiKov v aTw iaqpepvxux; eaiuova etvai. Tutti intendono ad un modo, e in sostanza convengo anch'io, cio che chi cura la parte divina e tiene bene in ordine il genio divino che ha in se stesso (cfr. p. 90 A), deve esser felice. D impaccio
(1)

are

dei

KKOO|ur||uvov

per altro quell'aTv, che sarebbe superfluo, e non si sia stato collocato cos lontano da tv aiinova, qualora tv bai]uova dovesse essere sua apposizione. Per tenere il senso accettato comunemente io credo che otv dovrebbe essere eliminato altrimenti, a volerlo conservare, non vedo altra via che di emendarlo in citv, e viceversa v citw in v aTw, facendo concordare tv &at|Liova con eepcnreovTa come soggetto di eaiuova evai, cio il genio che abita nell'uomo servendo la Divinit e mantenendosi ordinato sarebbe felice: t Geiov allora non sarebbe pi qui la parte divina

vede perch

dell'anima, ma la Divinit. N farei caso del baiuiuv eaiuuiv quanto piuttosto della inversione del costrutto, che sarebbe dura, e di ci che segue due linee dopo, che conferma il primo senso.
(2) L'anima intellettiva dell' uomo deve cercare di tornar simile all'anima del mondo, dalla quale si era allontanata per la sua unione con gli organi corporali e con l'anima sensitiva. (3) Cfr. pag. 42 B (p. 222, nota 3).

384

// Timeo.

XLIV.
E

Ed ecco che ci che da principio ci era stato proposto di discorrere intorno all'universo fino alla generazione dell'uomo, si pu dire sia giunto al termine. Infatti quanto agli altri animali in che
modo
alla loro volta sian nati (i),

ne faremo men-

zione brevemente, senza dilungarci pi che


sia necessario,

non

e cos

potremo credere

di aver

misura su questo soggetto. modo. Degli uomini che furono generati, quanti si mostraron dappoco e trascorsero la vita iniquamente, a sentire il discorso probabile (2), nella seconda generazione si tra91 mutarono in donne. E perci intorno a quel tempo gli Dei inventarono l' amore della copula, costituendo un animale vivo dentro di noi, e un altro nelle donne, e creando l'uno e l'altro a questo modo. Il canale della bevanda, col dove questa, venendo per il polmone sotto i reni, ricevuta nella vescica per essere sospinta fuori dalla pressione dell'aria, (questo canale) essi lo posero in comunicazione col midollo che dalla testa per la cervice compaginato lungo la spina, e che B nei discorsi di sopra abbiamo chiamato seme genitale. Questo (midollo) poi, essendo animato (3) e
conservato
la giusta

Diremo pertanto

a questo

(1) Cfr.
(2)

pp. 39 E-40

A (p. 208, n. 2):

cfr.

pure pag. 41 B.

Timeo Locro (p. 104 C sgg.), scostandosi qui interamente da Platone, dice che queste sono fiabe, utili per altro a far rinsavire la gente che non si arrende alle buone ragioni.
(3) &t' uyvxoc, uiv ned Acifiibv varrvoi^v toO0' rJTrep vTTveuae, Tfi<; export Zlutik^v niGuuiav ,inroiriffa<; atw

Capitolo

XLIV.
produce
di
il

385
desi-

avendo trovato un

respiro, gli

derio vitale dell'emissione

per

qui

appunto

donde pu
nerare.
fatto

respirare, e fa nascere l'amore del ge-

perci negli uomini l'apparato genitale

disobbediente e prepotente, come bestia che non sente ragione, vorrebbe soverchiare tutto coi
suoi appetiti furiosi
tutto ci che
si
:

e analogamente nelle
sotto
i

donne

comprende

nomi

di matrici e

per queste stesse cagioni, poich un C animale desideroso di figliare che han dentro, quando resti senza dar frutti molto tempo pi in l della sua stagione, impazientandosi lo sopporta male, ed errando per ogni dove nel corpo, ostruendo i passaggi dell'aria, e non permettendo conduce in angosce estreme e la respirazione produce altre malattie di ogni specie. (E questo avviene) fintanto che il desiderio e l'amore reci-

vagine

proco, appajandoli

(1),

come

chi coglie

un

frutto

b Il testo dubbio nominato per to06' lo Stallbaum propose un Taxn, che avvantaggia molto il senso; resterebbe aTil), che non ha riferimento, ma si potrebbe genericamente intendere dell'uomo. Ad ogni modo credo si deva porre virgola dopo va-rrvoriv e congiungere in una frase sola Tctxri ... |UTroiriaaq. Il Martin poi traduce le dsir vif '; ma qui chiaro che ZwZuut. m9. per

toO fevvv
certo
il

epuiTCt ireTeXeae.

uueXi; test

'

tikhv significa pertinente alla vita.


(1) uxpmep ccv Kccxpujv f\ mOuiaia Kal Zpwc, .Za.yaYvxec; olov dir bvbpiuv Kap-rrv x5xa piyavxei;, wc, de, fipoupav... Karaaireipavret; k. t. X. Cos do Stallbaum e
il

Martin, ma ScrfctYvxec;, come pure Huv&iayaTvTec; A, sono pi che sospetti, e il senso ne zoppica. L'Hermann propose SuvudEovreq, ed il Jowett e TArcherdi

Hind
T<;

lo accettarono, scrivendo, si capisce, KaTop^/avnon k$tcx pipavreq. Or poich Euv&uZovTeq sup-

plisce proprio il concetto che qui pare principalmente da cercare, l'ho accolto nel tradurre; con tutto ci e dell'emendamento in s, quanto alle probabilit grafiche,
Fraccaroli,
Il

Timeo di Platone.

33

386

//

Timeo.

dagli alberi, seminino la matrice, quasi un campo arato, di esseri viventi (1) invisibili per la lor piccolezza e non ancora plasmati, indi li secer-

nano

li

nutrichino dentro a (conveniente) granalla

dezza, e dopo ci traendoli piano la generazione.

luce

ne com-

pertanto e tutto il genere femmiquesta origine. La razza poi degli nino ebbero uccelli (2) si deriv per trasformazione, invece di

Le donne

peli (3)

mettendo piume, da uomini non

cattivi

ma
E

leggeri, e che ragionano bens di

cose ce-

lesti,

ma credono per loro sciocchezza di trovarne per mezzo della vista (4) le dimostrazioni pi sicure. La specie poi pedestre e selvaggia nacque
da coloro che non si occupano di filosofia e nulla contemplano della natura del cielo, perch non

sono poco persuaso, e ad ogni modo non credo che questo luogo sia per esso in ogni sua parte sanato. Cogliere il frutto dall'albero una metafora abbastanza frequente nell'argomento di cui qui si tratta, ma come similitudine qui mi pare che calzi poco, e con HuvudZovrec forse peggio che con EaYayvxeq, e tanto meno calza quando dopo la figura dell'albero segue subito quella del campo per dire la stessissima cosa. Dubito quindi che nel testo nostro si celi qualche altro guasto.
" Egli parla degli spermatozoi, che pare abbia (1) divinato molti secoli prima della loro attuale scoperta (Lutoslawski, o. e, pag. 484). Fedone, (2) Per le seguenti trasformazioni cfr. anche pp. 81 E-82 B. Acri traducono ca(3) vTt Tpixiv.. Schneider ed pelli; mi pare preferibile intendere peli col Martin. " Quae videntur tem(4) Cio coi sensi in generale. poralia sunt, quae autem non videntur aeterna, dice anche S. Paolo, II Cor. 4, 18. Cfr.de Rep. VII, p. 529 A-B. Secondo il Martin, i filosofi cui qui si allude, e che vogliono spiegar tutto coi sensi, sono quelli della scuola

jonica.

Forse

ci si

potrebbe comprendere anche

un'al-

lusione a Democrito.

Capitolo

XLIV.

387

adoperano

le

circolazioni della testa,

ma

pren-

guida soltanto le parti dell'anima che son nel torace. Per queste abitudini infatti figa

dono

gono
ivi

in terra le

membra

anteriori e le teste tratte


i

dalla affinit, e

di tutte le

hanno capi oblunghi (1) e forme a seconda che le loro circola-

zioni furono differentemente dall'ozio compresse.

Con
fu

quattro o pi piedi pertanto la specie loro 92 generata per questo motivo, cio che Iddio

diede maggior numero di basi a quelli che sono


pi deficenti di intelligenza, affinch fossero pi
attratti

verso

la terra.

Quelli poi tra di essi che


alla

senza intelligenza sono affatto e distendono


terra interamente tutto
il

corpo, non avendo essi

pi in che servirsi dei piedi, senza piedi affatto

generarono e striscianti sul suolo. Il quarto genere poi, l'acquatico, nacque da quelli che sono assolutamente insensati e ignoranti, i quali da coloro che li trasformarono non furono stimati degni
li

neppure di una respirazione genuina, come quelli B che per ogni sorta di eccessi avevano l'anima impura, ma invece della sottile e genuina respirazione
e
dell' aria
li

cacciarono in quella torbida


qui ebbe origine la faquella dei crostacei tutti, e

bassa

dell'

acqua. Di
e

miglia dei

pesci

quanti

altri

acquatici vi sono, e in ricambio del-

l'estrema ignoranza ebbero essi l'ultima abitazione (2). E conforme a questo modo e allora e

adesso

gli

animali passano l'uno

nell'altro (3),

(1)

Quindi

dissimili dalla

forma dell'universo, che

sferica.
(2) Ultima non rispetto al luogo, in cui l'anima entra. (3) Dunque non nelle piante. Non

ma

rispetto al corpo
la de-

pare poi che

cadenza

si

deva intendere progressiva. E se

ci

non

388

//

Timeo.

tramutandosi conforme acquistano o perdono di intelligenza o follia.

Ed

ora possiamo dire di essere

giunti gi al

termine del discorso sull'universo. Perocch cos fu generato questo mondo, il quale, ricevendo in s gli animali mortali e gli immortali ed essendone pieno, per tal modo un animale visibile com-

prendente

le

telligibile (1),

bellissimo e

immagine dell' invisibili Dio sensibile massimo ed ottimo, perfettissimo, questo mondo uno e
cose
,

unigenito.

e se possibile un ritorno a una vita migliore, ammetteva dunque Platone anche nella vita bestiale la possibilit di meritare? Qui il mito conturba la dottrina ed impossibile trarne una spiegazione letterale
,

soddisfacente. notevole del resto la diversit col mito del Fedro. Qui gli animali appariscono tutti come anime umane in peccato; nel Fedro invece pare che solo alcuni individui siano tali e altri no cfr. pag. 249 B kcj
: :

ie

Gripiou,

Se;

Trote

fivSpumoc;
(\\iv\f\)

fjv,

ird\iv

(qpiKverrai)

eie;

v9pumov. o fp r\ ye. eie; xe fijEei t o"xfuua.


(1) Il

nn-rroxe o aa

xnv X^Gaav che

cod.

invece
(o.
c.

di

votttoO

ha qui

TroinToO,

preferisce a torto. Che il mondo somigli al suo creatore non c' dubbio, ed detto chiaro a pag. 29 E; ma da questo a dedurne che sia tutt'uno con lui (" the onnioupYq and the auro Ziov are one and the same \ non vedo come si pesa venire, se piuttosto non si deva anzi riconoscere in ci la dichiarazione che sono due cose diverse. Perci la lezione iroinroO non giova a niente, non chiave di nessun enigma, e serve solo a far confusione presentandosi alla prima come genitivo non di Troinrn<; ma di TTOinxc;. Atteniamoci dunque a vonToO, che corrisponde precisamente a ci che era stato detto a pp. 30 C-31 B.

I'Archer-Hind

Introd.

41)

->*<-

APPENDICE

DANTE E

IL

TIMEO

Of* J jV

<Jf*

JJV

ijf* ijf Jfi

Jf Jf* JjV ^(V JjV JJW

w^jv

Vf WJW

J}V) wfjV

Jjw JjC

DANTE E

IL

TIMEO

Sommario
tratto

da

i.

La

citazione del Timeo.

2. Argomento

Par. VI, 64.


4.

Le

3.

Il

suggetto degli ele-

menti.
idee.
9.

Citazioni di seconda

mano.
8.

5.

Ana-

logie sostanziali.

6.

intelligenze celesti e le

7.

Il

moto

circolare.

Creazione immediata e mediata. io. Le influenze degli astri e la libert. 11. Altri consensi

Differenze.

generali e particolari.

12.

Conclusione.

1. Della conoscenza che Dante potesse aver avuto del Timeo, attraverso, si intende bene, alla versione e forse al commento di Calcidio (1),

(1) Sull'autore e sulle fonti di questo commento cfr. principalmente B. W. Switalski, Des Chalcidius Commentar su Platos Timaeus (Miinchen, 1902), e per la diffusione che e traduzione e commento avrebbero avuto nel medio evo veggasi la prefazione del Wrobel alla edizione critica di detto autore (Platonis Timacits interprete Chalcidio cum ejusdem commentario, Lipsiae, 1876), specie pp. xii sgg. Di tal diffusione documento anche
il

diagramma
il

del

mondo

dipinto nella

cattedrale di

quale corrisponde precisamente a ci che Calcidio dice, come dimostr P. Toesca, Gli affreschi della Cattedrale di Anagni, in " Le Gallerie Nazionali italiane, voi. V (Roma, 1902), pp. 117 sgg.

Anagni,

392

Appendice.
trattare gi
il

ebbe a

Moore

nel primo

volume
(1).

dei suoi Studies in Dante, alle pagg. 156-64

aggiungere qualche altra osservazione ripetendo il meno che sia possibile ci che ha gi detto il benemerito dantista indi
,

Mi ingegner

glese
Il

(2).

luogo pi appariscente per attribuire a Dante


di

la

conoscenza
23-24

questo libro
il

del quarto del Paradiso, ove


ai vv.
:

quello famoso dubbio proposto

Parer tornarsi l'anime alle stelle Secondo la sentenza di Platone,

risolto

ai vv.

49-60:

Quel che Timeo dell'anime argomenta,

con ci che segue,


luogo
trova

che a

tutti

noto;

il

qual

pure in Conv. IV, 21, 11. 17 segg., e II, 14,11. 28 segg. Ebbene, se dei passi del Convivio si pu dubitare che siano citazioni di seconda mano, questo dubbio non pare possibile per quello del Paradiso. Dante non solo sa che l'autore Platone, sa che l'opera in cui
riscontro
esposta questa dottrina il Timeo, che Timeo colui che argomenta.

ma

sa altres

su questo

(1)

Nel

'

Giornale Dantesco

',

II

(1895), PP- 47~77

L.

Mario Capelli

Dante, lavoro giungeva alla conclusione che Dante il Timeo non lo conobbe. (2) Oltre il commentario di Calcidio, nel secolo XII

in un articolo // frettoloso e inesatto,

Timeo

nell'opera di

composto un commentario latino al Timeo di Caladio stesso, di cui pubblic qualche frammento V. Cousin in Fragments philosophiques pour servir l'histoire de la philosophie ', Paris, 1865, pp. 357 sgg. Fu veduto questo da Dante?
fu
'

Dante
punto, poich

e il

Timeo.

393

abbastanza, il Moore ne ha detto aggiunger solo due brevi postille, e passer oltre. L'una per dire che anche il commento di Calcidio ( 196, 199) afferma il ritorno dell'anima alle stelle con la parola precisa che nel Timeo

manca. L'altra per notare che, a legittimare il dubbio proposto sul senso delle parole platoniche, Dante, se pur non ricord o se non vide l'affermazione di Calcidio sull'oscurit del Timeo, con la quale comincia appunto il suo commentario, aveva un'autorit per lui somma da poter addurre, e che
certo conobbe, cio Cicerone,

De finn.

II,

5,

15:

aut

cum rerum
.

obscuritas,
oratio
;

ut

non

intelligatur

non verborum, facit qualis est in Timaeo

Platonis

2.

Ma

c' un
la

altro luogo,

Par. VII, 64 segg.,

nostra questione , a mio credere, anche pi decisivo. Parlando della creazione ivi

che per
detto

divina bont, che da s speme livore, ardendo in s sfavilla S che dispiega le bellezze eterne.

La

Ogni

Questo concetto deriva senza dubbio dal Timeo, pag. 29 E. Che l'invidia non possa essere in Dio, affermazione che non troviamo solo nel citato luogo di Platone, ma, per tacere di altri, anche
presso Aristotele (1): un'affermazione intesa a combattere un pregiudizio che non era solamente

popolare

ma assai

diffuso nella

comune credenza

\\' oOte t Beov qpGovepv vb(1) Metaph. I, 2, io: -rroXX tpeuovXexai eTvou, SXX xa kot xf|v irapoinictv rai oioi.

39t

Appendice.

anche delle classi colte della Grecia; pregiudizio che un cristiano fortunatamente non aveva pi bisogno di combattere, poich nel campo cristiano non attecch affatto neppure come superstizione,
tanto era contrario
ai

principi stessi del cristiane-

simo. Nel cristianesimo questo concetto per altro

non

l'invidia di

sopprime del tutto, ma si trasforma: non Dio la cagione dei nostri mali, ma per altro l'invidia di potenze superiori, ancorch decadute alle quali, poich sono potenze perverse, parve consentaneo attribuire anche ogni pi bassa passione. L'invidia in Dio per un cristiano inconcepibile e anche per Dante non dunque altro che una reminiscenza erudita. Ora eh' egli l'abbia tratta dal citato luogo del Timeo, e non da altri, lo provo con due ragioni: i) che nello stesso contesto 2) che in Dante fuori di pro^aQq posito. Timeo infatti dice del creatore
si
; , ;
:

fjv,

crfaOqj

oues

Trep

oevc,

orcoTe

if-

YiTvetai 90vo?, e appunto per questo, continua,

che il creato fosse simile a lui. Tanto Dante dunque quanto Platone attribuiscono la bont della creazione alla bont dei creatore, e questa bont la affermano con la stessa formula e allo stesso proposito (1). Ma in Platone la causa e l' effetto sono esattamente correlativi se Dio buono deve essere buono anche il mondo e correlativi sono anche in un altro luogo di Dante, Par. XIX, 86, dove
egli volle
;

(1) Cfr. pure August. De civ. Dei XI, ai; e Thom. Sutnnt. Th. P. I, qu. 6, a. 4, che risolve affermativamente " utrum omnia sint bona il quesito bonitate divina, citando bens espressamente Platone, ma per l'intermediario dello Stagirita, e non toccando punto del Timeo.

Dante
dalla bont di

e il

Timeo.

395
la giustizia delle

Dio

si

argomenta

sue leggi:

La prima

Da

s,

che
la

volont, ch' per s buona, sommo ben, mai non si mosse.

Qui invce

correlazione fa difetto.

Infatti la bont, divina qui

non

allegata pro-

priamente quale ragione della bont delle cose (com' nel Timeo), ma quale ragione del diverso grado in cui stanno le creature in rapporto a Dio, come pu vedere chi legga ci che tien
dietro al luogo citato: e se in generale l'attribuire

quest'ordine alla bont

di

Dio perfettamente
'

ragionevole, del pari chiaro che la frase scelta

che da s speme ogni livore, esce di misura, e resta un'affermazione non collegata necessariamente col contesto. Forse che, se Dio fosse stato invidioso, non avrebbe posto ordine nelle cose ? Ci equivarrebbe a dire che non avrebbe creato il cosmo: poich lo cre, un ordine era del tutto inevitabile: la bont divina pertanto ha rapporto diretto con la bont del mondo, e con l'ordine invece soltanto in quanto
per insistervi,
'

quest'ordine buono.

Ora che Dante

testi

da
la

lui

usati

li

inten-

che secondo lo spirito, non credo che alcuno vorr impugnarlo, sebbene dai critici, intenti piuttosto a combattersi tra di loro che non a interpretar Dante, questa
desse piuttosto secondo
lettera

caratteristica della psiche del poeta nostro


stata

non

sia

ancora abbastanza notata. Artista


e
il

sommo
Bibbia
:

e originalissimo nella poesia, nella critica dei testi

era

un credente,

metodo usato per


anche

la

egli lo trasportava

senz' altro

ai classici

egli si riferisce all'autorit loro

come

a dogmi,

396

Appendice.

come

autorit

dogmatiche

li

riferisce.
le

Ebbene,

Calcidio (1) con le sue varianti e fu occasione a Dante di questo


Calcidio infatti traduce cos:

sue giunte

spostamento.

erat: ab optimo porro longe relegata est invidia. Itaque consequenter cuncta sui similia, prout cujusque natura capax beatitudinis esse poterat, effici voluit. E questo torna esattamente con la frase

Optimus

il

concetto di Dante.

sulla frase

non

insisto
prout...

pi oltre; insisto sul concetto.

Le

parole

poterat

non hanno alcun corrispondente

nel testo

sono una mera aggiunta del traduttore ,una restrizione che gli parve ragionevole di notare, e che ad ogni modo dovrebbe essere sempre sottintesa: ebbene, questa restrizione trasse Dante a soggiungere la graduatoria delle somiglianze con Dio, che in quel luogo l di Platone non aveva ragione di ssere, e che non conseguiva diretta dalla premessa principale. Che dunque Dante conoscesse la versione di Calcidio, mi pare, per questi argomenti, sicuro. N da Aristotele, n da Cicerone, n da Agostino, n da Boezio, n da Tommaso egli poteva
greco
,

attingere

una

tale precisione

di particolari

an-

corch di

Timeo possa constare ch'egli le attinse a queste fonti. Vero che di commentatori (p. es. il Moore questo luogo
altre allusioni al
i

stesso, lo Scartazzini,

il

Casini) preferiscono dar


Ili,

come

fonte Boezio, Phil. Cons.


fa,

9,

che della

prima parte del Timeo

senza
i

citarlo,

un

rias-

sunto, e di cui giover riferire

primi versi:

(1)

alla lettera, e perci

Cicerone, che spesso traduce a vanvera, qui rende non pot essere la fonte di Dante.

Dante

il

Timeo.
ratione gubernas

397

qui perpetua

mundum

Terrarum caelique

sator, qui

Ire jubes, stabilisque

tempus ab aevo manens das cuncta moveri,

externae pepulerunt fingere causae Materiae fluitantis opus, verum insita summi Forma boni livore carens, tu cuncta superno Ducis ab exemplo: pulchrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens similique in imagine formans Perfectasque jubes perfectum absolvere partes.

Quem non

Ora

vero che questo luogo di


citato, anzi tradotto,

samente esclude ap2, 11. 146 segg., ma la citazione sua punto ci che per il caso nostro essenziale,
livore carens: traduce infatti: Tutte le cose produci dal superno esemplo, Tu bellissimo, bello mondo nella mente portante. Ad ogni modo
il

Boezio espresda Dante in Conv. Ili,

la

forma summi boni che Boezio


e alla quale,
si

dice insita in

Dio

Boezio trasporta l'assenza dell'invidia, non altro che l'esemplare, l'idea del mondo, e Dante questo l'intese bene;
noti,

tutt'altro ordine di concetti da quello su cui verte Par. VII, 64 segg. Tra Boezio e Dante

ma

nel Paradiso

comune una
il

parola; tra Dante

e Calcidio tutto

contesto. Aggiungasi

che

la

parola
se

comune

a Dante e a Boezio, Dante con


:

Calcidio la lascia l dove l'aveva messa Platone avesse attinto a Boezio, l'avrebbe spostata

come Boezio
Anche
in

la

sposta.

3.

di

un

altro

luogo mi pare che

la

derivazione diretta dal

Timeo

sia probabilissima.

Conv. II, 1, 11. 79 segg., e dice: perocch in ciascuna cosa naturale e artificiale impossibile procedere alla forma, senza prima essere disposto il suggetto, sopra che la forma dee stare.

Fbaccakoli,

Il

Timeo di Platone.

34

398

Appendice.

Siccome impossibile
se la materia, cio
il

la

forma dell'oro venire,


:

suo suggetto, non prima ed apparecchiata e la forma dell' arca digesta venire, se la materia, cio lo legno, non prima disposta ed apparecchiata. Ora si capisce cosa sia la materia dell'arca, anche se non dicesse che il legno ma che cosa sia la materia dell'oro non
;

si

capisce affatto, e per questo,

non

gi per l'arca,

avrebbe Dante dovuto chiarirci. Ebbene, nel Timeo, a pag. 50 A, parlandosi della xwpa o ttoboxn, che precisamente il suggetto a cui si applica la forma, c' appunto l'esempio dell'oro (che Calcidio traduce per auri materia), il quale piglia diverse forme, con quel che segue. Ora ben vero che ho sostenuto e sostengo che per la Xuupa Platone non intendesse altro che lo spazio Dante per altro possiamo tenere per certo che l'ha interpretata diversamente. Il caos della Genesi gliela deve aver fatta agguagliare alla materia disordinata, e a questo senso deve aver riferita la similitudine dell' oro, che perci non intese bene. Ad affermare questo riferimento mi con;

forta

un luogo
N

del Par.

XXIX, 49

segg.:

giugneriesi numerando al venti come degli angeli parte Turb il suggetto dei vostri elementi

S tosto,

cio

il

si

ribell e

cadde dal

cielo.

Ora che cosa

suggetto degli elementi? Io dico che ci che nel citato luogo del Convivio. I commentatori in generale invece intendono la terra, che
dei quattro elementi quello che soggetto agli
altri,

come soggiunge

il

Casini, per citarne

uno

solo
lare

ma

io

non

credo. Innanzi tutto questo par-

per indovinelli non mi pare sia da ammet-

Dante
tere se

e il

Timeo.

399
fare a

non quando non

se ne

pu

meno

oltre di ci la soluzione

non

soddisfacente, e

dire che la terra il soggetto degli elementi perch sta di sotto, non certamente parlar filosofico, e

nemmeno

parlar giusto secondo


di peggio.

il

senso
notata

volgare.

C' anche

stata

pi volte l'irrazionalit tra l'affermare che prima dell' Inferno non fur cose create se non eterne,
e il collocarlo dentro alla terra, che non punto eterna e fu creata dopo. Questa irrazionalit era inevitabile, data la concezione plastica del poema e la credenza popolare che la giustifica; ma ho pure fatto osservare nel mio libro

sopra 'l'irrazionale nella letteratura' che, cesl'occasione dell'irrazionalit, regola che riprendano il loro posto la ragione e la norma
sata

generale. Qui pertanto, dove


degli angeli,

si

parla in forma

teologica e con precisione dottrinale del peccato

perch dovrebbe l' error popolare nessuna necessitane convenienza? Perch il suggetto degli elementi non potrebbe invece essere per Dante quella materia informe, e per cos dire immateriale, che fa da substrato agli elementi materiali e determinati, la materia non ancora uscita dal caos primitivo, non ancora ordinata? Con questa interpretazione questo verso acquista un senso preciso e cessa di essere un indovinello. Tutto ben considerato, anche questo passo mi pare sia un buon argomento per la
ripetersi senza

nostra

tesi.

4.
al

Quando dico per altro che Dante attinse Timeo direttamente, non voglio dire con ci

n che l'abbia studiato a dovere, n, molto meno, che l'abbia capito. Non deve pertanto far me-

4<x>

Appendice.

raviglia se

troveremo che

di alcuni luoghi,
il

che
15,

col
la
11.

Timeo pure concordano,


:

Timeo non

punto
II,

fonte diretta. Dice, per esempio, Conv.

Perch da sapere che di quella Galassia li filosofi hanno avuto diverse opinioni. Che li Pittagorici dissero che il sole alcuna fiata err nella sua via, e, passando per altre parti non corrispondenti al suo fervore, arse il luogo

45 segg.

per
di

il

quale pass, e rimasevi quell'apparenza

credo che si mossero dalla favola ancorch ci corrisponda Ora molto da vicino a Tini. p. 22 C-D, invece la
dell'arsura.

Fetonte.

parafrasi di Aristotele, Meteorol.

I,

8, 2.

Simil-

139 segg. detto che li cio maprincipi! delle cose naturali sono tre teria privazione e forma' e si presenta intuitivo il confronto con v, \\hpa kc Yvetftc, di Tini. p. 52 D; e invece no, e anche questo luogo la traduzione letterale di Aristot. Metaph. XI, 4, 5

mente

in Conv.

II,

14,

11.

'

pxai eicn xpeT?, x eio? kc fi cTTpn.cri<; kc fj u\fl. Del pari in Conv. IV, 28, 11. 26 segg. leggiamo: in essa [cio nella vecchiezza] cotale morte non
dolore

n alcuna

acerbit...

Onde

Aristotele in
'

senza quello di Gioventute e Senettute dice che morte che nella vecchiezza'. E tristizia la
se

non

ci

fosse

la

citazione di Aristotele, po-

tremmo credere
Tini. p. 81 E,

di aver dinanzi la traduzione di

Calcidio

che Dante certo non vide, perch Similmente ancora non giunge sin l.

in Conv. Ili, 5,

45 segg. scritto: Platone fu poi d'altra opinione e scrisse in un suo libro che si chiama Timeo che la terra col mare era bene il mezzo di tutto, ma che il suo tondo tutto
11.

si

girava attorno

al

suo centro.

non ostante

la citazione,

neppur questo

attinto alla fonte,

Dante

e il

Timeo.

4 01

ma con la citazione insieme tolto da Aristotele, De cesio, II, 13,4, che male interpreta Tim. p. 40 B,
al

qual proposito cfr. sopra, p. 211, nota 2. Ci che il seguendo poi segue nel luogo dantesco primo movimento del cielo; ma tarda molto per la sua grossa materia, e per la massima distanza

da quello, n nel Timeo

ha riscontro n in Aristotele ai luoghi citati, sebbene si possa facilmente inferire dai principi che Timeo pone, e stentatamente invece da ci che soggiunge lo
Stagirita in

non

De

vit della terra.


la citazione di

Cosi

caio, IV, 4, a proposito della grasul fenomeno della vista

segg.

Platone che in Conv. Ili, 9, 11. 99 non pu dirsi tratta da Timeo p. 45 B-C, quando si trova anche in Aristotele De sensu et sens. cap. 2, che Dante pur cita nello stesso contesto.

cos via.

Ci posto, senza moltiplicare gli esempi, questi bastino a dimostrare come, ancorch il
5.

confronto spesse volte sia appariscente, non sia mai troppa la cautela da consigliarsi nelle conclusioni.

Perci, quanto alla derivazione

imme-

diata dal Timeo, sono convinto che ai documenti che ho addotto non se ne troveranno molti da

aggiungere, che abbiano almeno un certo buon grado di probabilit. Dante giura nel verbo di
Aristotele; questi
rit
il

maestro, questi l'auto;

somma
la

a cui far capo


si

questi

il

canone

misura, e Dante non si fa pregare a dargli espressamente ragione anche in confronto di Platone, ogni qual volta l'opinione dell'uno viene in conflitto con quella dell'altro. Non vi pu esser dubbio per altro che con lo spirito del cristianesimo e con lo spirito di Dante,
a cui

ragione

402

Appendice.

eminentemente
di Platone

religioso e cristiano

la

filosofa

convenisse assai pi che non quella dello Stagirita. Se il platonismo fu soverchiato dall'aristotelismo nella dottrina della Chiesa medievale,
la

non
Se

intrinseca

da credere che la cagione fosse bont e ortodossia della seconda


aristotelica, la patri-

dottrina.

la scolastica

stica era platonica, e quali siano state le cagioni

d'un
ora.

tal

pi diligentemente che

cambiamento da cercare ancora forse non si sia fatto fino ad


l'

impulso dato dagli Arabi agli studi aristotelici c'entr per qualche cosa; forse l'essere stata la dottrina platonica, appunto per la sua pro-

Forse

fonda religiosit, addotta, volente o nolente, in appoggio del morente paganesimo, tanto da farne un contraltare alla religione cristiana, aveva lasciato un'erronea impressione

come

di dottrina

pericolosa per l'integrit della Fede.

Ora, checch dicesse Aristotele, checch Dante


stesso s'ingegnasse di argomentare, lo spirito es-

senzialmente e sinceramente religioso e metafisico di Platone non poteva essere disconosciuto dal poeta, non poteva non essere da lui simpa-

ticamente sentito, ancorch egli


tal

per

certo

di

simpatia non

sapesse formularsi una chiara

Boezio e Agostino gli erano due buoni mallevadori della ortodossia dei
ragione.

Ad

ogni

modo

principi ch'egli

si

appropriava.
dello spirito platonico sia en-

Quanto pertanto
diretta,

trato nel sistema di

Dante per

via diretta o in-

questo

sarebbe

utile

interessante

maggiore determinatezza possibile, ma non impresa n facile n breve. La teoria dell'amore, per esempio, nei due pensatori affatto analoga, e solamente il notare di questa
far constare

con

la

Dante
i

e il

Timeo.
il il

403

caratteri, le affinit, le differenze,

segnalarne
seguirne lo

contatti, l'indagarne le origini,


il

elementi conformatori o perturbatori, pu consumare per molti anni l'attivit di uno studioso. Lo stesso dicasi di molti
svolgimento,
cercarne
gli
altri

capitoli.

Io pertanto, pi a guisa di spunto

che di saggio, .noter solo alcune delle principali conclusioni del Timeo che passarono in Dante, e lascer d' indagare per quale via vi passassero.

6.

Secondo

il

Timeo

Iddio, oltre l'anima e

il

corpo dell'universo, cre da s le intelligenze celesti e l'anima immortale dell'uomo; le intelligenze celesti poi crearono il corpo dell'uomo e le sue Dante, tranne ci che si rifedue anime mortali.

risce all'anima del

mondo

e alle

anime mortali
Per Dante

"dell'uomo, accetta sostanzialmente questa teoria;


e
l'accetta

anche in molti

particolari.

infatti,

Par.

XXIX,

16 segg.,

In sua eternit, di

tempo

fuore,

Fuor d'ogni
S'aperse in

comprender, come i piacque, novi amor l'eterno amore.


altro

queste sono

le

intelligenze
II,

che
11.

muovono
4 segg.
li
:

cieli,

come

dice in Conv.

5,

adunque da sapere primamente che


di quello [cio del terzo cielo]

movitori
quali la

sono sustanze se-

parate da materia, cio Intelligenze, le

volgare gente chiama Angeli. E come Platone chiama Dei anche queste intelligenze (1), Dei le chiama talora anche Dante: cos in Par. XXVIII,

(1)

Cfr.

Thom.

S. Th.

I,

qu. 50, a. 5; ibid. qu. 63, a.

7.

404

Appendice.

121-23 dice appunto, parlando della seconda gerarchia angelica, che


In essa gerarchia son le tre

Dee

(1)

Prima Dominazioni e poi Virtudi;


L'ordine terzo di Podestadi e.

Cos in Inf. VII, 86-87 detto della Fortuna che


Ella provvede, giudica, e

persegue

Suo regno, come

il

loro gli altri Dei.

Dove da notare che Calcidio al 188 del suo commento tra le intelligenze che governano
il

anche la Fortuna mondo annovera ministras vero potestates Naturam, Fortunam,

appunto

Casum

et

Daemones

inspectores speculatoresque

meritorum.

(2).

qui

si

affaccia

relazione secondo

genze con le bisognerebbe averne

una questione difficile. Che Dante avevano queste intelliidee ? Prima della quale questione
risolto un' altra
:

che

rela-

(1)

in

In Purg. XXXII, 8 l'accezione alquanto diversa; Par. V, 123 analoga.

(2) Il Moore (o. e, pp. 285-86) come fonte della digressione sulla Fortuna cita giustamente Boezio, Phil. Cons. II, metr. I e pros. II; ma se e come la Fortuna possa essere ritenuta un' intelligenza celeste, Boezio non dice n qui n nella prosa precedente. Non si pu dubitare del resto che anche da Aristotele Dante abbia attinto qualche tratto, poich della Fortuna egli parla spesso. Bastimi citare Phys. II, 4, 9, dove accenna alla sua natura demonica: elol xive<; ole; boK. eTvcu a-da |iv n, Txn> dbnXoc; vGpumivr) biavoiqt, w<; 6etv ti oOaa Kai aiuoviubrepov ed Eth. Nic. IV, 1, 21, dove riconosce che a torto la fortuna accusata di distribuire le ricchezze iniquamente: i Kal yKaXetTai Tf TX13 8ti
:

(udXiaxa fiSioi vt(; r\K\ara ttXoutoOchv, auufJaivei 'ok Xfax; toOto k. t. X.


oi

Dante
zione corre tra
le
?

e il

Timeo. e
le

405

intelligenze

idee

nella

Se anche adesso se ne dinessuna meraviglia che neppur Dante ci sputa,


dottrina platonica

vedesse chiaro. In Conv. biamo un passo capitale


:

II,

5,

11.

21 segg. ab-

Altri furono,

siccome

puosono non solamente tante Intelligenze quanti sono li moviPlato,

uomo

eccellentissimo, che

menti del
delle cose

cielo,
:

ma eziandio quante sono le spezie siccome una spezie di tutti gli uo-

mini, e un'altra tutto l'oro, e un'altra tutte le ricchezze, e cos di tutto: e vollero che siccome
le Intelligenze de' cieli

sono generatrici di

quelli,

ciascuna del suo, cos queste fossero generatrici dell'altre cose, ed esempli ciascuna della sua
spezie; e chiamale Plato idee, che tanto a dire, quanto forme e nature universali. Li Gentili le

chiamavano Dei e Dee, avvegnach non cos


losoficamente intendessero quelle

fi-

come

Plato: e
loro

adoravano

le

loro

immagini, e facevano

grandissimi templi, siccome a Giuno, la quale dissero Dea di potenza; siccome, a Vulcano, lo quale dissero Dio del fuoco siccome a Pallade
;

ovvero Minerva, la quale dissero Dea di sapienza; ed a Cerere, la quale dissero Dea delle biade. Il Moore (op. cit. pag. 343) cita a conprobabili
e 69 C, e come fonti fronto Tim. pp. 39 E, 40 {ib. pp. 163-64) Cicerone, Ora/or, e. 3, e

Agostino,

De

civ.

Dei, VII, 28. Probabilmente la

lista delle citazioni

potrebbe

arricchirsi (1),

ma

ad

o kokx; TT\d(1) Cfr. Aristot. Metaphys. XI, 3-4 : tujv &pn ti eir) cr-rlv iraa qpaei, emep axv etn d.\\a toOtiuv, oiov uOp, aapS, KecpaXf]. La fonte immediata di Dante per altro pi probabilmente Thom. S. Th. I, qu. 84, a. 1: " Plato ... posuit praeter ista corporalia aliud

.(o6

Appendice.

modo della conoscenza diretta del Timeo luogo addotto non aggiunge alcuna prova, ancorch ci che vi detto delle idee, pur cos inesatto com', somigli piuttosto all'ultima teoria di esse che non alla prima.
ogni
il

Altrettanto dubbia la fonte prima di un'altra


citazione di questa stessa teoria.

questa in

Plato vuole che tutti 55 segg. gli uomini da una sola idea dipendano e non da
11.
:

Conv. IV, 15,

pi: che

dar

loro

quale

il

Moore accenna

scontro vago, in

un solo principio; della a un riscontro, un riAristotele, Eth. I, 6, 5 dove


,

Platone non espressamente citato, e il contesto non diretto ad approvare, ma ad impugnare


la

dottrina platonica.

Ma
tare

abbia pur Dante tratto queste affermazioni


in che

solo da autori cristiani, ci che pi importa nosi

modo

egli

abbia ricostruito
lui

la

dottrina di Platone e in quale misura o senso la

abbia accettata. Platone secondo

avrebbe ami

messo
che
si

1)

tante intelligenze quanti sono


2) tante

cieli

quante sono le specie delle cose. Che queste idee Dante le abbia
idee
intese anch'esse

muovono;

come

intelligenze, chiaro dal

senso grammaticale delle sue parole, e del resto


in ritener ci

non faceva che


in
6".

ripetere l'opinione

di

Tommaso, che
ai Platonici

Th.

I,

qu. 84,

a.

attri-

buisce

l'affermazione per se vitam

genus entium a materia et motu separatum, quod nominabat species sive ideas, per quarum partecipationem

unumquodque istorum singularium


vel

homo, vel equus, vel

ibid. ibid. a. 5, che ibid. qu. 6, a. 4; qu. 65, a. 5, ecc.

aliquid huiusmodi riferiremo pi avanti.

et sensibilium dicitur, ecc. Cfr.

Cfr.

pure

Dante

e il

Timeo.

407

quasdam substantias Quanto veramente questa asserzione esorbiti dalla schietta dottrina del filosofo, non perderemo parole a dimostrare; ma solo con questa interpretazione era possibile a Dante soggiungere ci che abbiamo veduto. Soggiunge infatti che la gente che non si intendeva di preciaut per se sapientiani esse
creatrices.

sione filosofica, di queste idee

fece addirittura

delle divinit, il che non sarebbe stato possibile se nelle idee non si fosse supposta l'intelligenza: cos dell'idea di potenza fecero Giunone, di quella di fuoco Vulcano, e via via. E questo deve essere anche di Par. IV, 61, ove analogamente il senso
si

lo si

nota come la teoria di Platone fu fraintesa, e nota con gli stessi esempi
:

Questo principio male inteso torse Gi tutto il mondo quasi, s che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse.

se vogliamo dire
la

il

vero,

dovremo riconoscere
campata in aria. cose sub specie

che

spiegazione che Dante ammette della refanciullo concepisce


le

ligione popolare tutt'altro che

Come
la

il

aetemitatis, cos

doveva

fare l'umanit primitiva;

gente grossa i particolari si riassumevano per in un concetto generale cui la fantasia prestava la personalit, mentre dall' altra parte la speculazione filosofica, pur risalendo dai particolari agli

accontentava di attribuire a questi esclusivamente intelligibile: erano due svolgimenti diversi di una sola concezione fondamentale. Ebbene, Dante, rifiutata l'interpretazione voluniversali,
si

universali

un' esistenza

gare e antifilosofica,

alla teoria delle

idee di Plastesso

tone

si

accosta

assai

pi

eh' egli

non

408

Appendice.

la loro esistenza

creda: egli accetta l'a priori delle idee, ma non separata da Dio. N fa questo
di sua autorit.

Tommaso

nel citato luogo (i)


di

ri-

Agostino alla platonica delle idee, secondo la quale dottrina questi avrebbe negato l'esistenza separata delie idee, e invece avrebbe ammesso esistere nella
ferisce

una presunta correzione

mente divina
la

le

ragioni di tutte le cose: ora se

interpretazione che del


nei
nostri

paradimma abbiamo

Prolegomeni vera, se questo paradimma non che il pensiero di Dio, quella che pareva una correzione non altro che un'indato
terpretazione pi retta.

sui tipi esemplari

insiste infatti

Dante

di

quello dell'uomo tocca in Conv. IV, 15,

come

ab-

Et ideo Augustinus, qui 5 imbutus fuerat, si qua invenit fidei accommoda in eorum dictis, assumpsit; quae vero invenit fidei nostrae adversa, in melius commutavit. Posuit autem Plato ... formas rerum per se subsisLere a materia separatas, quas ideas vocabat, per quarum partecipationem dicebat intellectum nostrum omnia cognoscere... Sed quia videtur esse alienum a fide, quod tbrmae rerum extra res per se subsistant absque materia, ... ideo Augustinus in lib. 83 QQ. posuit loco harum idearum, quas Plato ponebat, rationes omnium creaturarum in mente divina existere, secundum quas omnia formantur, et secundum quas etiam anima humana omnia cognoscit. Altrove Tommaso accetta sen" necesse z'altro questa dottrina S. Th. I, qu. 15, a. 1 est ponere in mente divina ideas. E pi oltre " necesse est quod in mente divina sit forma ad similitu(1) S. Th. I, qu. 84, doctrinis Platonicorum
a.
'" : : : :

factus. E pi oltre ancora: est aliud quam Dei essentia. Cfr. ibid. qu. 44, a. 3. Pi esplicito ancora il falso Dionigi Areopagita, De divinis nominibus, V, 8 TrapabeiyinaTct b <pauv elvcu to<; v 0e> vtujv oaiOTroioe; xal

dinem cuius mundus est " unde idea in Deo nihil

viaiw<;

TTpouqpe<JTtI>Ta<;

XoYiaiacx; Xoyicf0<; di

modo

la

Xyout;. Cfr. in Tim. p. 34 A il Dio che crea il mondo. Allo stesso intende Boezio nel passo sopra riferito.

Dante

e il

Timeo.

409
in

biamo veduto,
il

e di quello del

mondo

Conv. 111,2,

qual luogo pure abbiamo di sopra riferito. E pi chiaro e pi esplicito ancora in Conv. Ili, 6, E se essa umana forma, esemplata 11. 57 segg.
:

e individuata,

non

perfetta,

non

manco

del

detto esemplo,
vidua. Per
la

ma

della materia, la quale indi:

quando dico Ogni mira, non voglio altro dire

Intelletto

di lass
ch'ella

se

non

cos fatta, come l'esemplo intenzionale che della umana essenza nella divina Mente (1). Dove si vede come anche Dante riconosca che la mag-

giore
nel

loro somigliare

minore perfezione delle cose consista pi o meno al paradimma.


dell'imperfezione non dunque nelappunto come vuole Pla-

La causa
l'

idea,

tone.

ma nella materia, E ci chiaro in

Par. XIII, 67 segg.


la

La cera di costoro e chi Non sta d'un modo, e per


Ideale poi pi e

duce
il

sotto

segno

men

traluce.

Secondo

E
E
(cio

Ond'egli avvien che un medesimo legno, specie, meglio e peggio frutta; voi nascete con diverso ingegno. Se fosse a punto la cera dedutta, fosse il cielo in sua virt suprema,

come quando Dio opera senza


La
luce del suggel parrebbe tutta
la

intermediari)
:

Ma

natura la d sempre scema,

Similemente operando all'artista, ha l'abito dell'arte e man che trema.

C
E
i

qui la teoria platonica tirata a spiegare anche


misteri della

Fede
il

amor la chiara vista Per se Della prima virt dispone e segna,


caldo

(1) Clr.

Par.

Il,

130-32.
35

Feaccaroli,

II

Timeo di Platone.

4 io

Appendice.

(cio se

Dio opera direttamente)

Tutta la perfezion quivi s'acquista. Cos fu fatta gi la terra degna Di tutta l'animai perfezione, Cos fu fatta la Vergine pregna.

Se pertanto gli esemplari delle cose sono in Dio e se le intelligenze celesti e gli eletti sono
beati della sua contemplazione, dritta e legittima

conseguenza che essi vedono in Dio come in uno specchio tutte le cose. E questo pure affermato e ripetuto da Dante tante volte, che tedioso ed inutile sarebbe annoverarle una per una.
7.

Ammesse adunque
Dante
in

le

idee in Dio e

le

in-

telligenze celesti fuori

di Dio, di queste ultime


affatto

parla

modo

che per i l'uno e per l'altro intelligenza e


inferiori

suoi Dei

analogo a quello usa Platone. Per

moto

si

equi-

valgono:
Voi che intendendo
il

terzo ciel movete,

aveva
Cos
oltre,
l'

scritto

Dante

nella canzone; e

cio collo
II, 7,
1.

intelletto solo

commenta
la

poi nel Conv.

9.

operazione di queste intelligenze


11.

poco pi
Ili,

44-45,

spiega
di

cio la vostra cir-

colazione.
12,
1.

83

in Conv. che suo girare suo intendere.


il

Anche

Dio detto

Ed

anche nel Timeo


zione sensibile

movimento

la manifesta-

dell' intelligenza.

il

movimento

circolare; e perch sia cir-

colare dichiarato nel

Timeo

come

sia co-

stantemente circolare ripetuto a ogni passo nel Paradiso. Non pure Dio rappresentato in figura circolare (Par. XXXIII, 116), e gira s sopra sua

Dante
imitate (Par.
II,

e il

Timeo.
i

411
cieli si

138);

non pure

vono
Dio;

in cerchio intorno alla terra;

muonon pure le

gerarchie angeliche ruotano in cerchio intorno a

ma

le stesse

anime dei
letizia

beati manifestano

la loro

beatitudine (Par. Vili, 20-21) e la loro

maggiore o minore

girando sopra s stesse

come

spere sopra

fissi

poli (Par.

XXIV,

1),

come

mole (Par. XII, 3, XXI, 81), come palei (Par. XVIII, 42), anzi in forma di spere luminose appunto appariscono
al

poeta (Par. XII, 23), e lungo sarebbe


altre citazioni.

accumulare
8.

analogie sono degne di nota Per Dante gli astri sono corpi governati da intelligenze ab extra; per Platone sono corpi governati da intelligenze ab intra. In questo Dante aristotelico; n bisogna sottilizzare sulle parole, n trar conseguenze precipitate da espressioni come queste, Par. II, 139 segg.

Ma

accanto

alle

anche

le differenze.

Virt diversa fa diversa lega Col prezioso corpo ch'ella avviva, Nel qual, s come vita in voi, si lega.

Per Dante

gli

angeli sono

motori; essi muo-

vono gli astri, ma muovono anche s separatamente e diversamente dagli astri, e l'intelligenza e l'astro restano per lui sempre due cose separate (1); per Platone invece gli astri si muovono di vita propria, sono corpi vivi, animali, per

usare

la

sua parola, e

le

loro

anime costituiscono

un'unit coi corpi rispettivi.

Ad

ogni

modo

gli

(1) Thom. S. Th. I, qu. 51, hanno " corpora naturaliter l'anima del mondo.

a. 1

sibi unita,

dice che gli angeli non e nega quindi'

4i2
astri tanto

Appendice.

quanto per Platone sono quanto per l'altro, notevolmente diversi e, quasi direi, meno materiali dei nostri. Che siano corpi per Dante chiaro non tanto perch con questo nome di corpi egli li chiama, Par. Vili, 99 (che molto bonariamente altrove chiama corpi anche le ombre, Purg. Ili, 22), e perch parla della loro materia, Par. II, 75, quanto perch egli nota espressamente che contro le leggi della nostra fisica egli corpo era entrato nel corpo loro, Par. II, 34-39. Sono corpi dunque, ma penetrabili da altri corpi; sono
corpi, e corpi, tanto per l'uno
sfere,

per Dante

ma

abitate internamente,

come

le

peschiere

non alla superfice non pu esser dubbio come la terra nostra. Cos che siano corpi anche per Platone, non fosse per
dai

pesci (Par. V, 100-103),

altro,
lui

perch sono

visibili

corpi diversi dalla terra

sono per anche per (1). Dice infatti a pa-

che Dio li fece principalmente di fuoco, gina 40 segg., mentre spiega la gravitae poi a pag. 63 zione per la forza d'attrazione che ha la maggior massa della materia sulla minore, ammette im-

che acqua e terra siano in massa maggiore nella Terra, e il fuoco per lo contrario nel cielo, dove perci anche il fuoco nostro
plicitamente
tratto a salire.

9. Sulle analogie e sulle differenze tra Platone

Dante

nella disposizione dei

cieli,

pi differenze

del resto che analogie,


noto

che

la

non mi fermer, quando fonte astronomica cui Dante at-

(1) Per le questioni sulla natura di questi corpi cfr. Proclo, Cotnm. in Tini. pag. 152, che Dante certamente non vide.

Dante
tinse fu l'Alfragano,
il

e il

Timeo.

413

quale lontano dal

Timeo

tanto di et quanto di principi; e passo ad un'altra


analogia, analogia veramente sostanziale, perch

non

negli

accidenti,

ma

nel concetto fonda-

mentale della teoria.

innanzi tutto cos in Platone


e invariabile
il

come

in

Dante

resta fisso

principio della crea-

che parte immediata e parte mediata, con la sua necessaria conseguenza che ci che Dio ha creato direttamente da s non pu morire, e che ci che ha creato per mezzo delle
zione,

In quel luogo del intelligenze finisce. Par. VII, 64 segg., che abbiamo citato per prova
altre

conoscenza che Dante ebbe del Timeo, questa affermazione, che puoi confrontare con
della

Tim.

p.

41 C:
Ci che da
lei

senza mezzo

distilla,

cio dalla divina bont,

Non ha La sua

poi fine, perch non imprenta, quand'ella

si

muove
:

sigilla

(1)

dove, per ci che si detto dell'esemplare, X imprenta va intesa in un senso pi proprio che alla prima forse non parrebbe. Ebbene, fra le cose che direttamente derivano da Dio detto chiaro subito dopo esser l'uomo, vv. 76-77. E questo il poeta afferma come dottrina sicura; e per non

(1)

Cfr Par. XIII, 52

Non
Che

Ci che non muore e che non pu morire se non splendor di quell'idea


partorisce,

amando,

il

nostro sire.

414
lasciar

Appendice.

dubbi

ci

torna sopra e

la

ribadisce alla

fine del canto, vv.


:

I24segg.

Tu dici 'Io veggio l'acqua, io veggio il foco, L'aer e la terra e tutte lor misture (i) Venire a corruzione e durar poco E queste cose pur fur creature Perch, se ci ch'ho detto stato vero, Esser dovrian da corruzion sicure.
:

'

Gli angeli, frate, e

il

Nel qual tu
S

sei,

dir si

paese sincero posson creati,


(2)

sono, in loro essere intero; elementi che tu hai nomati E quelle cose che di lor si fanno, (3) Da creata virt sono informati.

come

Ma

gli

Creata fu la materia ch'egli hanno, Creata fu la virt informante In queste stelle che intorno a lor vanno.

non

questo dalla mera e schietta dottrina platonica differisce se non in questo, che alle intelli-

creare,

genze non attribuisce propriamente la virt di che Tommaso non concede loro (4), ma
quella soltanto
di

informare.

dottrina plato:

nica ci che segue, vv. 141 segg.

Ma

La somma

vostra vita senza beninanza.

mezzo

spira

Va

poi oltre la dottrina platonica,


principi,

sempre dai suoi


lario
:

ma dipende anche l'ultimo corol-

E quinci puoi argomentare ancora Vostra resurrezion, se tu ripensi Come l'umana carne fssi allora Che li primi parenti intrambo fensi.
Per
la frase cfr.

(1)

(2) Cfr.
(3)
(4)

Cfr. S. Th.

Tim. p. 51 A. 69 C. ancora Tim. p. 51 A.


Tini. p.
I,

qu. 65,

a. 3.

Dante

e il

Timeo.

415

Se si ammette infatti con la Genesi che il corpo primo uomo sia stato creato da Dio direttamente, e se si ammette con Platone che ci che opera diretta di Dio non possa perire
del

anche

la

carne dell'uomo sapr sottrarsi

alla dila

struzione. Soltanto

da notare che per


dottrina cristiana

carne

abbiamo secondo

un solo atto direttamente creativo al principio, come un solo atto creativo al principio abbiamo per le anime secondo Platone, mentre per queste Dante con la Chiesa ammette che Dio intervenga a
la

crearle di volta in volta che al feto


L'articolar del cerebro perfetto,
1

come

dichiara a parte a parte in Purg.

XVI, 85

segg., e

XXV,

67 segg.

Cfr. Par.

I,

73-74.

mai immaginato che dagli astri cooperano

10. D' altra parte Platone non avrebbe forse i suoi Dei secondari, che

alla creazione, avrebbero avuto tanta fortuna nella filosofia e nella credenza posteriore da diventare elementi forse pi per-

turbatori che cooperatori.

Le
lui

stelle,

secondo Dante

l'inventore di questa teoria,

esercitano sugli
(cfr.

non

fu

punto

ingegni, sui caratteri e sulla fortuna degli individui un'efficacia cos

enorme

per esempio
il

Purg.

XXX,

109-11) da sentir egli stesso

bi-

sogno di dimostrare che con tutto ci questa efficacia non impedisce la libert dell'arbitrio (1).

Lo

cielo

vostri

movimenti

inizia,

dice infatti in Purg.

XVI, 73

segg.,

(1)

Cfr.

Thom.

S. Th.

I,

qu. 115,

a. 6.

416

Appendice.

Non

dico tutti; ma, posto ch'io

il

dica,

Lume v' dato a bene ed a malizia, libero voler, che, se fatica


Poi vince
Nelle prime battaglie col ciel dura, tutto, se ben si nutrica. maggior forza ed a miglior natura Liberi soggiacete, e quella cria La mente in voi, che il ciel non ha in sua cura.

la

maggior forza

Dio

creatore, e la
la

mente non
sta

l'anima, o per meglio dire


soggetta alle influenze

parte razionale

dell'anima, la quale sta libera al governo, e


degli astri.

ci

che da Platone a speculazione abbia fatto un proDante questa gresso. Platone assai pi ragionevolmente ascrive
bene,
si

ma non

pu dire

le

perturbazioni e
alla

le

deviazioni
al

dalla

vita

ra-

zionale

materia,

fiume della nutrizione

che entra a perturbare i circoli divini dell'anima {Tim. pp. 43 A -44 C). Egli scagiona cos gli Dei di ogni mala influenza: essi hanno imitato il padre loro quanto potevano coi mezzi di cui potevano disporre. Anch'egli per altro cozza, e pi violentemente che Dante, contro il problema
della libert: se le perturbazioni

avvengono non

per causa dello spirito, ma per causa della materia, ci torna a dire che nessuno malvagio di propria elezione, e che il malvagio non altro che un malato. Ebbene, Dante e Platone a questo

punto tornano ad incontrarsi, e concordi conchiudono che pertanto bisogna provvedere a trovar dei motivi che siano suffcenti a tener l'uomo sulla via dritta. E Dante vuol leggi e governo, Pitrg. XVI, 94 segg.
:

Onde convenne legge per fren porre; Convenne rege aver, che discernesse Della vera cittade almen la torre
:

Dante

e il

Timeo.

417

e nel traviamento politico riconosce la colpa del traviamento morale del tempo suo. E Platone

vuole che innanzi tutto si provveda ad una sana educazione della giovent, dei traviamenti della quale (e son parole e verit sacrosante) chiama
responsabili

non

giovani,

ma

genitori e gli

educatori {Tim. pp. 86 D-87 B). Queste cose Dante non lesse certo nel Timeo, perch fino a qui non giunge Calcidio, ma analogamente le

dedusse a rigor di logica da analoga premessa.


11. Sul sistema filosofico di Dante e sulle sue congerie di ricerche spesso inutili

fonti, in tanta

o di mera curiosit, pare a me non sia stato ancora indagato con quella seriet di propositi che a tal materia si converrebbe, n certamente io
qui v TTapepyuj presumo di sopperire a questa mancanza, neanche solo per ci che concerne
sarei contento se questo breve e incompiuto spunto potesse servire di occasione a qualche altro volonteroso per trattare a fondo l'argomento. Finiamola una buona volta col pie fermo e col disdegno di Guido ', e pensiamo a qualche cosa di serio: io ho preparato dei materiali; ad altri lascio il lavorarli. Ed intanto mi affretto a conchiudere. Anche altri principi fondamentali di Platone ritroviamo pure essere principi fondamentali di Dante. Dio per Platone il sommo bene, e per Dante oltre che il sommo bene {Par. XXVI, 31-33) il sommo amore {ibid. 38-39). E l'amore perci il cardine su cui si volge tutto il mondo e della materia e dello spirito; dall'amore procedono e
'
'

Platone. Io solamente

'

la

conservazione della specie e

la

conservazione

della morale.

Consente Dante con Platone

418

Appendice.

l'altro

anche nel modo della creazione; e per l'uno e per Dio procede ad essa
In sua eternit, di

tempo

fuore.

Consentono

tutti

due nell'affermare che


I,

l'uni-

verso somigli a Dio, Par.

Consentono ancora nel


sia in luogo, e

103-5 e Tini. p. 29 E. ritenere che la materia

che Iddio invece e la sfera che non siano in luogo Par. XXII, 65 segg. In quella sfera propria di Dio, dice,
pi sua propria
:

Perch non

ogni parte l dove sempre era; in loco, e non s'impola.

in Conv.

II, 11.
il

33 segg., dello stesso cielo dice:

sovrano edifcio del mondo, nel quale tutto il mondo si inchiude e di fuori del quale nulla : ed esso non in luogo, ma formato solo nella prima Mente. E Par. XXVII,
Chiesto

109 segg.:

E questo cielo non ha altro dove Che la mente divina, in che s'accende L'amor che il volge e la virt ch'ei piove.
Al qual proposito superfluo del Timeo citar passi, quando appunto uno dei principi fondamentali di esso che proprio di ci che , non essere in luogo, mentre condizione necessaria per la esistenza del mondo fenomenico appunto la xwpa o TTOoxt'l, che lo deve reggere, la quale Xupa, come si detto, non poi altro che lo spazio. E se anche su questo punto il concetto platonico pi razionale del dantesco, bisogna pensare che Dante scriveva un'opera che era essenzialmente opera d'arte, e che arte senza forme e senza co-

Dante
lori

e il

Timeo.

419
(1)

non

si

d. Perci

il

suo empireo
,
si

non
creato,

in

luogo,

ma

intanto intorno al
:

mondo

e questa

39,

il

ciel

una determinazione esso ch' pura luce; che se vi

Par.

XXX,

soggiunge

subito

Luce
per

intellettual

piena d'amore,

dai sensi

sempre rappresentata come luce percepibile (2). E come avrebbe potuto Dante fare
?
l'

altrimenti

Anche
cinava
la

altro principio con cui Platone avvidottrina eleatica all'eraclitea, cio che

il mondo fenomenico della pluralit non che una manifestazione del mondo intellettuale dell'unit, accolto da Dante e posto a base del suo

sistema.
.

Non
. .

solo {Par.
l'

II,

136-38)

intelligenza sua bontate

Multiplicata per le stelle spiega Girando s sopra sua unitate;

non solo

in

Dio

si

vede {Par. XXXIII, 86-87)

Legato con amore in un volume Ci che per l'universo si squaderna,

ma

di

Dio detto espressamente {Par. XXIX,


che
tanti

143-45)
Speculi
fatti s'

ha, in che
in s,

Uno manendo

spezza, come davanti


si

(3).

(1)

Sul concetto dell'empireo e sulle sue


66, a. 3. I, q. 67, a. 2, dice

origini cfr.

che lai luce non corpo; e questo serva a giustificazione di Dante. (3) Cfr. Tim. p. 42 E: al uv bf\ itravra raOra 5iatcuok; 2(nevv v tuj autoO Kctt xprrov fj9ei. Poich per

Thom. S. Th. I, qu. (2) Thom. S. Th.

.j2o

Appendice.
si

Altre analogie ancora

potrebbero raccogliere,

quali di principi generali, quali di luogl i singoli. In Purg. XXV, 37 segg. si d una teoria della ge-

nerazione che diversa da quella che d


nella parte
si

il

Timeo,

non

veduta certo da

Dante

ma quando

giunge alla congiunzione dell'anima col corpo, troviamo delle frasi che hanno riscontro con qualcuna della parte da lui. conosciuta: confrontisi
vv. 74-75
:

Che vive

e fassi un'alma sola e sente e s in s rigira,

con

Tini. p.

detto
cidio
:

36 E, dove dell'anima del mondo appunto a-rr) v aTrj ffTpecpouevn (CalSimil ipsaque in semet convertens ).

mente che
in

la materia proporzione della sua massa principio comune a Platone e a Dante, che lo afferma specialmente ove dice che il fuoco nato a salire

sia attratta dalla materia

{Purg. XVIII, 30)

L dove

pi in sua materia dura.

Cos dicasi di osservazioni anche pi speciali e occasionali. Che il midollo spinale sia la radice detto in Tim. pag. 73 B ed in dell' uomo
Inf.

XXVIII, 140- Impartito porto


il

mio cerebro, lasso

Dal suo principio, ch' in questo troncone.

Cos quando leggiamo in Conv. I, 7, 11. 15 segg., che: Ciascuna cosa che da perverso ordine pro-

altro Calcidio traduce

'

cum

in proposito

rerum creator

maneret', anche questa analogia dovr porsi nel novero delle casuali: analoghi principi conducono ad analoghe conseguenze.


Dante
Timeo.

il

421

cede laboriosa, e per conseguente amara e non dolce, ripensiamo alla dottrina del Timeo che il dolore e il piacere fisico corrispondono al
partirsi e al ritornare

degli organi del senso al


p.
es.,

loro stato naturale:

cfr.,

Tim.

p.

66 C.

Cos quando leggiamo in Purg. XIV, 148:


Chiamavi il cielo e intorno vi si gira Mostrandovi le sue bellezze eterne,

della sua morale

ricordiamo appunto che Timeo pone a principio dover l'uomo conformare le il

circolazioni del suo spirito alle circolazioni celesti,

e afferma che la vista fu data all'uomo principalCos nel frequente trasmente a questo scopo.

lato della

cera, per dire

il

substrato su cui

si

imprime l'immagine dell'idea, si potrebbe vedere un riflesso dell' Kuorreiov di cui parla Timeo a p. 50 C; cos persino nell'immagine del convito che Platone adopera fino dalle prime linee del Timeo (p. 17 A), e su cui insiste anche pi oltre (p. 27 B), si potrebbe vedere, se non l'ispirazione, almeno un conforto a intitolare Convivio la sua maggior opera di prosa; per tacere ci che fu gi notato da altri, che l'ideazione del Purgatorio nell'emisfero australe e la leggenda dell'ultimo
viaggio d'Ulisse (Inf. XXVI) potrebbero avere pure avuto occasione dal proemio del nostro dia-

logo

(1).

(1) In

particolare

vv. 107-8 del detto canto:

Quando venimmo a
Ov'Ercole segn
li

quella foce stretta, suoi riguardi,

parrebbero
pp. 24 E-25

in

vf|(Tov

qualche yp

modo consonare con


irp

Tim.

toO aTuctrcx;

elx ev > 8 kcc-

Fkaccaroli,

II

Timeo di Fiatone.

36

422

Appendice.

12. Potrei continuare,


il

ma

poich ad ogni

modo
ri-

risultato

sar sempre pi di impressione che

di dimostrazione, ci

che ho detto per questo

sultato mi pare che basti. E riassumendo conchiudo, che mentre da una parte sembra certo aver Dante veduta la traduzione di Calcidio, se non forse anche il commento, non si pu dall'altra affermare che questo fosse uno dei testi
ch'egli pi studiasse e intendesse, e tanto
ch'egli possedesse.
cile,

meno

difficilissimo

del

medio evo,

Se il Timeo per noi diffidoveva essere per gli uomini mal si capisce come si imma-

ginassero d'intenderlo. Agostino, Boezio,

Tom-

maso citavano troppe volte il Timeo, perch Dante non dovesse sentir desiderio di attingervi direttamente, ma che fosse difficile e oscuro lo sapeva gi da Cicerone, e ci che veramente volesse dire anche nei punti che a Dante parevano pi capitali, egli,

come

dichiara,

non

si

riteneva ben certo

sua fede in Aristotele del resto lo dispensava di andare al fondo di un'opera che e perci probabilpoteva essere eterodossa,
di aver capito.

La

mente non

ci

torn sopra, e dalla lettura fatta


si

e dalle citazioni che la illustravano

lasci piut-

tosto suggestionare che persuadere.

Se per

altro

non se ne giov molto per le sue argomentazioni, se ne assimil lo spirito profondamente meta-

Xelrai, di<; qpate |i<;, 'HpaxXous axrjXai (a p. 151 in nota per lapsus detto preferirsi altra lezione) Tde )uv ydp, cm vTi; toO ar.uaTos ou Xyo|Liev, qpaiverai XijLiif*iv arevv riva ?xwv elcnrXouv. Anche poco pi oltre lo stretto chiamato aj\xa, e la parola conservata da Calcidio che ha: " quod os a vobis Herculis censentur columnae ... quippe hoc intra os, sive Herculeas columnas,... e lascio il resto, che sono spropositi.

Dante
fisico,

e il

Timeo.

423

e nella concezione del soprannaturale ga-

reggi col suo modello e lo vinse.


Il

Timeo e

la

pi vaste concezioni e nello stesso

Divina Commedia sono le due tempo le due

pi grandi sintesi dei problemi fondamentali della natura e dell'umanit; la coscienza ellenica nell'uno, la coscienza cristiana nell'altro

sono raploro

presentate nel pi alto

rigoglio

della

pi

perfetta evoluzione. Pi appassionato e pi sicuro Dante nei suoi presupposti dall' uomo risale a
,

Dio, e fa perci opera pi interessante; pi rigoroso logico Platone e pi indipendente nelle sue speculazioni, da Dio scende all'uomo, e fa perci

opera pi dottrinaria. Dante muove dall'esperienza, Platone dalla teoria Dante dal fenomeno assurge all'idea, Platone dall'idea deduce il fenomeno; Dante dalla terra sale al cielo; Platone
;

dal cielo scende sulla terra

vanno

tutti e
;

due

in cerca della verit per strade opposte

ma Dante,

perch comincia dall'uomo, trova pi largo consenso nelle anime dei suoi lettori Platone, perch comincia da Dio, di necessit parla a pochi, e la parte umana che doveva trattarsi nel racconto di Critia disgraziatamente rimase incompiuta. Ad
;

ogni

modo

tutti e

da un principio
anzi pi

aprioristico, e la fede di

due sostanzialmente muovono Dante


assai

aprioristica

della

speculazione

scientifica di Platone: gli che la fede di Dante, appunto per il suo carattere soprarazionale e per consenso che trovava nelle anime cristiane, il

consenso di sentimento e consenso di aspirazioni, penetrava pi assai nei misteri della vita ed avea sull'uomo un'efficacia assai pi pratica che non potesse avere il pensiero di Platone, per quanto alto e per quanto puro, il quale, appunto

424

Appendice.

perch alto e perch puro, era di necessit incomunicabile alle masse. Questa stessa analogia d' argomento pu pertanto aver di per s prodotto molte analogie anche nei particolari, senza
bisogno di vederci sempre imitazione consciente
e diretta.

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INDICE

Nota degli Editori


Prefazione

pag.

vii

xi
i

Prolegomeni
Capitolo

I.

Contenuto e forma del dialogo


Delle idee e dell'origine del

3
37

IL
III.

mondo
. .

Il

Dello spazio e della materia

85
121

Timeo
il

Appendice. Dante e

Timeo

389

-><

B 387

Plato
II Timeo

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