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PENSIERO GRECO
Voi.
i.
PLATONE
/"
IL
TIMEO
TRADOTTO
DA
GIUSEPPE FRACCAROLI
ROMA
1906
Propriet letteraria
3 3S7,
Torino
Tipografia Vincenzo
Bona
(10123).
GIAMPIETRO CHIRONI
QUESTO PRIMO VOLUME
TRADUTTORE
D.
i/Jw
k/jW <Jf*
II pensiero artistico
moderna,
oggi
od almeno
e conosciuto
imper-
la ragion di questa
ignoranza sta
oltre che
nel discredito
in
mancanza di
sufficienti
mezzi
stato di
per
ed
alle
persone
questa
un valido
raccolta.
sussidio, inprendiamo
nuova
d'arte e di poesia e
fiche
stotele
tres
in largo
dovranno tenere
Vili
per noi un
notevole interesse;
saranno tradu-
da poco
scoperti.
vero, nella nostra letteratura
testi classici.
Non mancano,
buone traduzioni di
Molte di queste
facevano
difetto,
non rispondono pi
le
quali
manchi ai
lettori
una buona
inte?pretazione,
non rifiuteremo
quelle
pi rispondenti
se tra le versioni
gi note ve ne sar
al-
cor-
moderna
le
(e
sa-
eccezioni),
non
la
escluderemo
nostra
raccolta.
Poich
caratteristica
solo
perche la
ac
risponda
sempre
materialmente
ma
tutte le
E non
ver-
non saranno
sioni interlineari
scolastico.
ne
si
proporranno
tino scopo
IX
arricchito
di
un'introdu-
il testo,
controversi, affinch
lettore
possa farsi un
criterio
La
dotto
Timeo di Platone,
tra-
pu
Fra
indi-
saranno tradotte ed
fessore Gaetano
De
Leggi di Platone,
f Angelo Taccone.
.
Fratelli Bocca.
*>k<-
PREFAZIONE
pur non
fra
si
quante ce ne restano di
non
ciali
perci
meraviglia se
lettori
o superfi-
o frettolosi
si
che
gioni ultime
e intendere sufficentemente
Timeo, che ne
e definitiva e
la
il
insieme e
la
sintesi pi
piena
parte
fisica,
ma
per
interessante ancora di
la
parte metafisica, la
mondo
regalo
mente umana
sia
mai poil
me
pertanto che
che in
Italia
xii
Prefazione.
di
cominciare a
rimento
e se
da una parte ho da
son certo che chi
riconoscere
mie
forze, dall'altra
giunto a
difficolt
una
simile
impresa, mi
un'indulgenza ragionevole.
commenti n
le
non conosco
di leggi-
che
la
ma
oscura parecchio,
il
traduttore
volle
obbligare
certe
rigide
preziosit di
la libert e
inceppano
flessibilit del
vuol rendere
con
Anche
pi oscura, ancorch
la tra-
lodevolissima,
mentre per
lo contrario quella
quest'ultima
la
pi recente
non
fosse che
di necessit la
dovevano
tol-
infrangere, poich n
lera
Francese n V Inglese
una
sintassi
Prefazione.
xm
pure assai buona,
H.
Miiiler,
le
spesse volte
passai volen-
sotto silenzio,
ma
studioso, cui
modo
d'intendere, dove
o l'am-
Dei
commenti ho
e
ma non
compilato, principalmente
e
ottimi del
Martin
dell'Archer-Hind,
men buono,
ai
dello Stallbaum,
e degli antichi
il
falso
Del
io
resto,
non tanto
commenti
singoli e pochi
dovevo attingere
gli
schiarimenti
per
il
mio
modo
e agli illustratori
dei principi
i
nomi
dei
gomeni,
Questi
sia nelle
i
note.
sussidi di cui
l'esecuzione del
la
ho usato.
maggior sobriet e
pu
all'
infuori
questioni
c'
ortografiche
affatto
formali,
quando
il
offrire
per
io di regola
xiv
la
Prefazione.
ricordo e
la
discuto.
Non ho
fatto
una
tra-
duzione interlineare,
ma ho
inteso
il
di fare
una
testo
quanto
lingua
italiana
lo
potea comil
dubbio
il
pi per-
pi
per-
mai furono,
una buona
sintat-
l'affinit
due
lingue,
di
un buon esemplare
tanto del
mio lavoro?
No
il
affatto.
Presumo io La novit e
durezze
la difficolt
suoi dialoghi;
signorile
con
tutta la sua
mani
dell'autore,
peggio dovea
riu-
prova
sia
alla relativa
moderna, e
pur questa
eulte
di tutte le lingue
lo
attuali
senza dubbio
mi proposi innanzi
ci
almeno
intende,
uso pi
ristretto dell'anacoluto;
ho dovuto spez-
ho
Prefazione.
xv
adopee,
rare
neologismi di lingua e
di
stile,
forse
ho aggiunto qua e
qualche
parola
di
spiegazione
o di richiamo;
le chiusi
di regola entro
ad un-
acci
il
lettore,
corre effettivamente
sicuro del
senso
mia
altro
giunta, la quale
il
non ha
Quanto poi
nato,
alle
illustrazioni,
mi
limitai al
puro necessario.
fisiche,
matematiche, astronomiche,
fisiologiche
anatomiche,
posi
quelli
schiarimenti
che a
me
fisico,
n ana-
bastevoli
li
farmene
una
sufficente ragione
tecnici
potranno dire
io
ma
non dovevo
parte pi es-
pensare
rit
ai tecnici
di preferenza,
loro.
n avevo autola
da scriver per
per
Con
mentali della
speculazione ho toccato,
spero o
mi
illudo,
quanto era
duopo
nei
Prolegomeni.
noto
come
delle idee, che del sistema di Platone cipal cardine, ci sia attualmente
tra
i
prin-
dotti dis-
svi
Prefasione.
tradizionalmente
testimo-
parte,
io
dovetti prendere
ficolt di
mio
argomenti e pr e contro
sia riu-
mia
il
ad esporla
giudizio che
lettore
be-
Ringrazio finalmente
De
Sanctis, Carlo
mi giovarono dei
loro
una
i
l'opera mia,
tor
come pure
Taccone
Angelo
Paolo Ubaldi,
gentili
cirenei,
me
la
croce
amorevole
alla
ed intelligente
non
si
limita
G. Fkaccaroli.
PROLEGOMENI
Fraccaboli,
II
Timeo di Platone.
^kk^^4^^^Hr&^Hrfe^&
CAPITOLO
Contenuto
e
I.
Sommario:
i.
L'occasione e
i i
Valore etico del Timeo. 4. Sommario del dia 5. Il Timeo un mito le sue diverse irrazionalit. 6. Difetti dell' opera e sue caratteristiche. 7. Precedenti della teoria.
3.
2. Il falso
Timeo
logo.
una Dea
giorno delle feste Bendidie (era Bendis tracia, che gli Ateniesi pare identificassero con Artemide) al Pireo, in casa di Cefalo, Platone immagina sia stato tenuto il dialogo della
1.
Il
Repubblica, riferito l'indomani da Socrate ad alcuni amici in Atene. Chi fossero questi amici nella Repubblica non detto, n intervengono in alcun modo a parlare: il discorso comincia subito con la narrazione di Socrate, e Socrate
continua a riferire
la
discussione da
lui
soste-
nuta, tutta di seguito fino alla fine per tutti i dieci libri, senza interrompersi n riposare. Ebbene, i nomi dei suoi uditori ce li dice invece
il
Timeo,
il
qual dialogo
si
finge tenuto
il
giorno
Capitolo
I.
immediatamente seguente (i). Essi erano dunque Timeo, che d il titolo al libro, Critia ateniese, Ermocrate siracusano, ed un quarto innominato, che nel Timeo non pu intervenire, poich si quattro convenuto di era ammalato. Avevano rendere a Socrate per questo giorno appunto
i
il
pronto: ne
ricambio del convito spirituale, e Socrate manca uno; vuol dire che gli altri lo
suppliranno.
Chi dovesse essere quest'uno che manca, molti ma di saperlo con tentarono di congetturare certezza ci tolto; forse Platone ci avrebbe
;
il quesito, se avesse finito il suo Critia, e anche no. Dercillide, secondo riferito da Proclo (2), credeva che fosse Platone stesso; e in tale opinione, che veramente pare la pi probabile, inclinano parecchi moderni. Glaucone e Adimanto, fratelli del nostro filosofo, sono dopo Socrate nel dialogo da costui riferito nella Repubblica gli interlocutori principali; or come mai Platone, che non aveva interloquito in quei discorsi, avrebbe dovuto fingersi assente anche alla relazione che ne fa Socrate ? Se consideriamo la sua ritrosia ad intervenire direttamente ne' propri dialoghi, o almeno ad intervenirvi col proprio nome (nelle Leggi egli l'ospite ateniese; nel Fedone non pu intervenire perch
sciolto
forse
V. nota a p. 21 (sono le pagine dell'edizione Enrico Stefano, segnate nel margine). (2) Prodi in Platonis Timaeum commentario, ed. Ern. Diehl, MI. Lipsiae, 1903-4, p. 7 B. Per il resto, non ancora uscito in questa edizione, ho usato l'ediz. dello Schneider, Prodi comm. in Tini.., Breslau, 1847. La citazione delle pagine la tradizionale dell'ediz. Basi(1)
di
leense.
Contenuto
forma
del dialogo.
ammalato)
se consideriamo
come
il
notare
la
mancanza
una persona del tutto indifferente, e di cui si pu indifferentemente fare a meno, che non ha fatto che ascoltare in silenzio, e non
di
modo
riconoscibile,
sarebbe
come
ci
che
puramente accidentale,
parmi che
l'ipotesi
Nel Fedone
:
ammalato almeno far sospettare, l'identit della persona. Che se nel Fedone l'occasione del dialogo, del tutto storica, ed il giorno, ben certo e preciso,
lasciano credere effettivamente che la malattia di
non poca probabilit. ammalato, e qui l'assente pure l'identit della causa pu suggerire, o
egli
si
capirebbe
supremo con;
vegno con
nel
amici intorno al maestro scena bens rappresentata in un giorno fisso, n sull'anno potrebbe esser luogo a incertezza (1), ma di ritenere che effettivamente queste egregie persone si sieno trovate insieme quel giorno a discorrere, manca qualsiasi fondamento, e come il discorso immaginario, immaginaria pu esserne l'occasione, e ancora pi immaginaria per conseguenza la circostanza della malattia. Forse nella Repubblica, non interloquendo alcuno con Socrate, anche
gli
altri
Timeo invece
la
Platone poteva
e tacere
considerarsi presente:
ascoltare
invece e nel Critia, che ne la continuazione, dove tutti interloquiscono e si obbligano anzi ad
interloquire,
(1)
Veggasi
Capitolo
I.
samente, ad interloquire sono adatti, non volendo egli attribuire a s pure una parte attiva, e implicitamente una lode, non foss'altro, per essere quarto fra tanto senno, con questo pretesto se
ne cans. Del resto noto che Platone il proemio della Repubblica lo corresse e ricorresse chi sa che nel correggere non abbia soppresso qualche tratto che poteva spiegare questa allusione (i). Ad ogni modo anche la menzione di questo
:
Timeo alla Reil composizione della pubblica, singolare tra la Repubblica e quella del Timeo deve essere corso
tone
si
sforza di
riannodare
:
un
intervallo di
dedursi,
stile,
quanto dall'evoluzione
dialogo,
di
che appare
nel nostro
parecchi
concetti anche
come
la
continuazione
dell'altro,
ci
non
causa occasionale, o ad associazione spontanea di idee: il nesso voluto e deliberato, e il nesso nel tempo e nelle persone
deve
attribuirsi a
(i) Il Ritter, in " Philologus LXII(a. 1903), pp. 416-18, persuaso che Platone avesse in animo di comporre una tetralogia, crede che dopo Timeo, Critia ed Ermocrate egli volesse con questo quarto personaggio riservarsi di un quarto dialogo, e che la ragione il protagonista di farlo ammalare fosse questa, che costui doveva essere un uomo tale che non avrebbe potuto fare la parte di semplice uditore davanti a Timeo. E perch l'aveva fatta allora davanti a Socrate? E Critia ed Ermocrate eran forse, al confronto, dei novellini, da attribuir loro questa parte, se per altri fosse stata disdicevole? E passi anche tutto ci come spiegazione del farlo ammalare; ma perch allora tacerne il nome? La tetralogia, se occorresse, si ha cominciando dalla Repubblica, che il Ritter a torto vuol separar dal Timeo.
Contenuto
forma
del dialogo.
evidentemente intende ribadire il nesso che categoricamente affermato per l'argomento (i). L'argomento proposto nella Repubblica per
verit era stato la giustizia
:
primo
libro, tale
discorso intorno
era
allo
incidentale e occasionale.
stizia,
si
Che cosa
facile
sia
la giu-
osservato, pi
intenderlo
che non nei casi piccoli degli individui: dal grande si potr incaratteri minuti si ferire poi il piccolo, come
nel corpo grande della citt,
i
decifrano pi facilmente se la cosa sia stata letta prima in lettere grandi (2). Aperto per tal modo
il
passaggio dall'uno
all'altro
argomento, da
in-
cidentale, che pareva, la discussione intorno allo Stato divent il soggetto precipuo e pi vero, e
cos
avvenne che
tutto
il
dialogo
si
intitolasse
della Repubblica, e
con questo
il
ricordato e riassunto
gine del
Timeo
(3).
Ed
(1)
Se,
literarische
Por-
trt der Griechen, p. 275 (cfr. pure Blass, Die Interpolationen in der Odyssee, p. 6), Platone quando scriveva la Repubblica non pensava affatto ai personaggi che in-
trodusse poi nel Timeo, questa spiegazione o correzione posteriore rende il nesso tra i due dialoghi tanto pi significativo quanto pi deliberatamente, anzi forzatamente, sarebbe voluto.
(2) (3)
De
Se
Rep.
II,
p.
368 D.
nella ricapitolazione che si fa nel Timeo omesso quanto si contiene negli ultimi libri della Repubblica,
il
questo non argomento che valga per dire, che quando Timeo fu composto, la Repubblica non doveva essere scritta o non doveva esser finita (veggasi nota a p. 21 A). Negli ultimi libri non si contengono cose che
si
riferiscano propriamente ai fondamenti essenziali della costituzione dello Stato, ma piuttosto si risolvono difficolt, si confutano obiezioni e si illustrano singoli
8
della
Capitolo
1.
Repubblica Platone non mostra n pentimenti n dubbi: soltanto, fa dire da Socrate, si vorrebbe vederne la prova; si vorrebbe vedere come lo Stato cos bene immaginato saprebbe poi comportarsi e difendersi all'atto pratico nella guerra e nella pace. Si desidera insomma un romanzo sperimentale; ed il Gomperz (i) molto a proposito cita alcune frasi dello Zola, che corrispondono singolarmente a queste affermazioni di Platone. Come Platone persuaso che tradu-
cendo
la
effi-
fautori del
credono
di
poter dare
che non ne possa venire dalle speculazioni teoriche. Gli che Platone si ferm presto e lasci l'impresa: forse il
solo tentarla glie ne fece conoscere l'impossibilit.
Ad
i
ogni
modo
sito
suoi
interlocutori
mondo
essi
un ordinamento affatto simile a quello descritto da Socrate era stato in Atene novemila anni innanzi, giusta un racconto che il nonno suo aveva sentito da Solone, il quale l'aveva avuto dai sacerdoti di Sais, che ne conservavano la memoria nelle scritture sacre del tempio di Neith, una
punti; lo
dal
1.
degli ordinamenti sostanzialmente V. Del resto la dipendenza del Timeo della Repubblica chiara a p. 28 A-B: cfr. la
schema
nota relativa.
(1)
Griechische Denker,
II,
p. 604.
Contenuto
forma
del dialogo.
Dea
egizia che
si
riteneva
equivalere all'Atena
greca.
Lo
ordinato come nella Repubblica stato descritto, avrebbe compiuto un' impresa gloriosissima, cio avrebbe respinto e debellato gli eserciti che dall'Atlantide,
immensa
lonne di Ercole, avevano invaso mezza Europa. Narrato questo per sommi capi, Critia si pro-
pone di riandarne i particolari, ma, per discorrere con miglior ordine, propone intanto che prima parli Timeo. Prima di studiare lo Stato, ragionevole
risalire agli
ed alla sua origine, e dall'uomo all'universo, essendo s l'uno come l'altro opera di Dio padre e creatore. Timeo, come il pi dotto
cio all'uomo
nell'astronomia e nella
perci
fisica,
Come
questo il soggetto del dialogo nostro. avviene nella Repubblica, anche qui l'arincidentale
il
gomento
sopprime,
l'altro
soverchia, e questa
il
volta
al-
principale,
quale rimandato
il
nome da
Critia,-
Timeo da Locri
quale, se
conosciuto personalpure da Aristotele e da Esichio insieme con Archita; e questo quanto ne sappiamo (2). A Timeo fu attribuito per altro anche un opuscolo Siili' anima del mondo e sulla
sarebbe stato da
Platone
mente
egli
citato
si
conserva; e
(1)
(2)
De
Rep. I, io, 16; De Finn. V, 29, 87. Diels, Fragni, der Vorsokrat. p. 275.
io
Capitolo
I.
al
suo
Com-
Timeo, non ha dubbio alcuno sulla sua autenticit: che Platone lo abbia preso a modello, dice essere ammesso da tutti (i). Da contrario concordetutti i moderni per lo mente ritenuto falso e se della falsit facesse bisogno ancora la prova, ce n' una proprio l sul principio, ed questa, che vi si ammette
mentario
al
;
la
mondo
il
(2), la
quale,
in
nica e non
Non che
modello
di
suo dialogo, parafrasi per altro antica abbastanza e abbastanza chiara e genuina, e perci spesso pi utile assai delle lungagnate di Calcidio e di
Proclo.
Ma
se del plagio
da questo opuscolo
il
affatto
superfluo lo scagionare
nere antica: se non ha copiato da questo opuscolo, ha copiato forse da qualche altra opera di Timeo che sia andata perduta? o ha copiato
da qualche
altro
autore
da diversi
autori (3)
pi attendibilmente da
(1) O. e, p. 3 B: iuoXoyetTai bf\ irap uvtujv, Sri toO TTuGayopiKOi) Ti|uaiou t fJifSXiov TTXxujv XaPwv, 8 irep toO Travrc; art aYKixai, tv tiv TTuectYopduiv xp-
ttov Ti)naioYpaqpeTv
trexeipriaev.
il
Lo Schneider segnava
ai)TKiTou.
93 B: t b
Syllographorum graecorum
1.
rell.,
ed.
Wachsmuth,
Procl.
e,
Aulo Gellio
(i):
Prese te pur, Platon, cesio d'apprendere, E per molti denari un libro piccolo Comprasti, e hai quinci appreso a Timeoscrivere.
Ora quale il libro che Platone comper ? Ce lo dice Diogene Laerzio nella vita di Filolao (2),
e poi nella vita di Pitagora
:
(3),
di Platone stesso (4) il libro era di Filolao, il quale (ci si dice anche di Empedocle) era stato
primo dei Pitagorici che pubblicasse un libro da questo libro Platone avrebbe tratto il Timeo (5). Col libro piccolo adunque Timeo da Locri non ha che fare, e la notizia che Platone attingesse ad un libro di Timeo, con buona pace di Proclo, di Giamblico e degli altri che abboccarono, non ha fondamento che in un
il
sulla natura:
Timone
si
volle
ci sia,
insieme concorrono a dimostrare che tale signi arbitrario come aKiaypacpuj non vuol dire altro che dipinger ombre, TiuouoYpacpeuj non
ficato
:
pu voler
Timeo
la
facezia
(1) HI,
17, 4:
<J
ua0iyri'r|<;
ttGoc;
axev,
ttoXXwv ' pyvpvjv XtYnv nXXdEao (3i0Xov, 2v0v irapxuevoi; Ti^aioypacpetv idxOn^
15.
9.
Cfr.
Iambl.
Vii.
Kal vreOGev
ueTafeYpaqpvai tv T(-
jucuov.
12
si
Capitolo
I.
muta in scipitaggine: peggio per Timone. Quanto a Filolao invece, non si capisce perch si deva toglier fede a Diogene, il quale si appella alla testimonianza di Ermippo e di Satiro, che Platone si sia procurato un suo libro. Non discutiamo sui particolari, se l'abbia pagato, quanto l'abbia pagato, da chi l'abbia avuto: negare, negar sempre, negare prima di ogni altra cosa, fu un malo abito della critica, del quale ancora a stento riesce a spogliarsi si era impugnata persino l'autenticit dei frammenti di Filolao meno male che ora non ci si insiste. Ebbene, se quei frammenti trovano dei riscontri col Timeo, quei frammenti provano che a Filolao Platone attinse. Attinse, ma non copi. La dottrina infatti che nel Timeo viene esposta, fondamentalmente
: ;
pitagorica: perci
non Socrate,
ma un
pitagorico,
differente
ne
in
il
banditore.
E come
la sostanza,
altrettanto la
forma
non discussione,
;
comune ma dogmatismo non analisi ma sintesi non discorso alternato, ma continuato; non dramma, ma argomentazione.
non
ricerca
,
in
3.
Si
pratica,
e come
una
nota Pla(i) lo ri-
la
introduzione
delle
parla (e
si
finisce a
non
parlar
mondo
c'?
e dell'origine
cose.
Ritorna
volta la
Lo
Gomperz
Ci)
O.
e. II,
p. 481.
Contenuto
forma
del dialogo.
13
lev: l'ordine morale coordinato all'ordine fisico. L'analogia tra 1' individuo e lo Stato a Platone
non basta
tra
mento cosmico.
Il
Timeo
mai
stioni
mondo
mai mente umana ha abbracciato un campo pi vasto, n mai assurse a un simile volo. L'intelligibile e il sensibile, l'ese all'esser nostro, n
sere e
il
divenire,
la
fisica
e la
gli
metafisica
la
Timeo
si
non soltanto avvicinamento di aggregati, ma coordinamento organico e razionale. Se l'essere l'uno, e se ci che diviene ha da somigliare
quanto pi possibile a ci che se nella pluralit dei fenomeni deve in qualche modo rappresentarsi l'unit dell'essenza, questa virtuale unit
;
doveva innanzi
zione prima
tutto
Ora
la
concezione del Timeo si pu dire che pienamente risponda a tale requisito il mondo intelligibile ed il sensibile sono rappresentati in rapporto costante tra di loro; nulla vi di accidentale, di sporadico, e tutto risale a un principio unico e ad una sola cagione. Cos in unit sostanziale sono composti il mondo morale ed il
:
mondo
fisico
se
Dio buono, se
egli l'au-
tore delle cose e se le cose perci devono essere buone, la bont loro deve diffondersi dal cielo
alla terra
:
14
Capitolo
I.
la
speculazione
platonica
per
questo
ri-
spetto era destituita di fondamento nei fatti. Se nelle favole antropomorfiche della mitologia si
vogliono ravvisare dei miti cosmici, ancorch non sia certo da credere che conscientemente e delibe-
ratamente quelle favole sieno state congegnate a questo scopo, in questo almeno ci potremo accordare, che se non altro esse rappresentino l'adattamento della nostra natura morale mutevole e transitoria ai tipi costanti e normali impressi nella psiche dei primi uomini dalla contemplazione dei fenomeni naturali, i quali, procedendo con leggi costanti, avvezzavano la recente umanit al senso dell'ordine, e di tal senso dell'ordine facevano fondamento della morale. Cos la morale plail
tonica ha la sua base,
non
in
in
un accidente
del-
in un'evoluzione progredita
non
un sentimento sfug-
gevole
ma
nella sostanza
minciamento dell'ordine, e perci fino dal principio essa informa di s il mondo dello spirito
e quello insieme della materia essa parte del mondo stesso; essa non legge limitata all'uomo,
;
pervade tutta la natura, soltanto l'uomo ne ha anche la consapevolezza e con la consapevolezza la responsabilit. Egli ne ha la consape-
ma
gli furono sua anima, prima di scendere mostrate quando la nel corpo, fu collocata nella sua propria stella a quest'uopo appunto che conoscesse queste leggi perch (p. 41 E); egli ne ha la responsabilit,
la
celesti aperta ai
gli
Contenuto
facile
il
forma
del dialogo.
15
riconoscere ad
ogni
momento
qual
mondo
e pi vicino
sua ragione la legge dell'imitazione dell'ordine cosmico: se le stelle sono il luogo proprio a cui l'anima deve sforzarsi di ritornare, anche per questo giusto
la
appunto ha
e ragionevole, che secondo le loro leggi essa conformi e diriga i propri movimenti (pp. 47 B, 90 D). Per tal modo l'uomo conserver la rassomiglianza con l'universo, mentre invece si far da
allontana.
esso sempre pi differente, se da quelle leggi si E allo scadimento morale sar com-
col
pagno lo scadimento anche fisico: la somiglianza cosmo andr sempre pi attenuandosi e scomle
diverse specie
di de-
una graduatoria
generazione
i
pi
sono
Ouesta teoria della degenerazione, che assolutamente opposta alla dottrina moderna della
evoluzione, scaturiva del resto dritta dritta dalle
(1) Cfr.
i6
Capitolo
I.
premesse. Se l'essere uno e immutabile, ogni ulteriore differenziazione da lui essendo un ulteriore allontanamento, la decadenza era una implicita
assoluta necessit.
Cos
la
teoria
orfica
robora la teoria pitagorica della metempsicosi e prepara gli animi alla dottrina cristiana del peccato originale. Non per altro una decadenza senza ritorno e senza redenzione; anzi la redenzione nel Timeo promessa: la particella divina che l'uomo porta con s, emanazione di Dio, che
buono
e senza invidia,
pur riuscire ad ottenere il sopravvento, comecch per altro intorno al modo ed al tempo in cui questa redenzione avr luogo, il filosofo non ci dia ragguagli determinati (p. 42 C-D). E questo pure notevole, che mentre altrove Platone riconosce esservi alcuni peccatori assolutamente insanabili, per i quali non c' speranza di riscatto, nel Timeo a ci non accenna pi, ancorch pi che mai per insista nell'affermazione, che il male involontario e che il malvagio perci
ha bisogno non di punizione, ma di cura. Importa questo di conseguenza la negazione della libert ? La risposta va oltre a ci che richiede una interpretazione sufncente del nostro dialogo. Certo che la libert Platone non la esclude assolutamente, perch, se la escludesse in tal modo, non avrebbero affatto senso le sue
teorie sul meritare e
sul
le
e sulle
pene
secondo
la
pure sarebbe
sua esortazione di conformarci alle leggi dell'universo. Non bisogna, del resto, dimenticare che per Platone il male torna a danno
Contenuto
forma
del dialogo.
17
principalmente di chi lo commette, e che su questa affermazione si edifica tutta la dottrina della Repubblica. Ci posto, se l'assassino o il falsario, prima e pi che agli altri, recano danno a
s stessi, solo per errore possono essere assassini e
falsari,
e ci
(1), o,
proprio danno
.
il
Amor
perch mai non pu dalla salute del suo suggetto volger viso.
alla
dell'anima,
propria natura, la
soltanto in-
ceppata e traviata, secondo il Timeo, dal flusso della materia alla quale si lega. Essa di sua natura la dominatrice, e la libert sua Platone
la
fra
concepisce, meglio che un'alternativa di scelta il bene ed il male, come una necessaria tenal
denza
bene
(2).
Dovremo dunque
bene, non libera se sceglie il male ? E non sarebbe allora questa la pi consolante di tutte le
dottrine morali
?
Se
trattatisti
moderni
si
de-
gnassero qualche volta di leggere quello che hanno scritto gli antichi, si risparmierebbero di ripetere
stortamente ci che fu gi detto bene da oltre a due mila anni, e imparerebbero ad andar pi
le
moderna. Se pertanto
il
Timeo
fisico e metafisico,
(1)
Cfr.
(2) Cfr. la
lucci, //
"
Menon. pp. 77 B-78 B. assai pregevole Memoria di Giov. Bortodelitto e la pena nei Dialoghi di Platone, in
,
Archivio Giuridico
voi.
Ili, n. s.,
18
Capitolo
la
I.
per altro
del
mondo
sua importanza anche nei rispetti morale, e questa parte di esso an-
cora viva, senza che il suo alto interesse pratico e speculativo sia per nulla attenuato dalle pre-
messe
4.
di falsa scienza e di
falsa critica.
non possibile utilmente, se non commentandolo: il riassunto non pu essere mai cos largo da non omettere talora anche ci
spesso intralciato
che essenziale e caratteristico, e l'ordine che vi si volesse introdurre secondo il gusto nostro, potrebbe diventare invece un disordine secondo
la
mente
di
Platone.
riassunti
spesso un altro pericolo, quello di distogliere i lettori frettolosi dal leggere davvero e meditare
l'opera.
Mi limito dunque ad una ricapitolazione, ad un indice sommario affatto, quanto basti per dare del libro un'idea complessiva e per tratteggiarne lo schema. Posta a base la distinzione fondamentale tra l'essere e il divenire (p. 27 D), quello immobile,
questo mutevole, quello
intelligibile,
questo sen-
sibile, se ne deduce una prima conseguenza, ed che ci che diviene deve avere una causa: il mondo diviene, mutevole, sensibile, dunque ha una causa, dunque fu creato. E poich Dio
creatore
buono,
il
mondo
fu creato
buono
:
un esemplare eterno e immutabile (p. 29 A) che cosa sia questo esemplare, esamineremo poi a
parte.
la
creazione
fu essenzialmente ordina-
mento (p. 30 A). Ed uno essendo il creatore, ed uno F esemplare uno anche dovette essere il
,
Contenuto
forma
del dialogo.
19
mondo, un animale
gli
solo
animali sensibili,
come
tutti gli
animali intelligibili (p. 31 B). E il mondo sensibile costituito di quattro elementi: fuoco,
acqua, terra, disposti tra di loro in proporzione geometrica e tutti questi elementi furono
aria,
:
consumati
creazione di questo mondo, il perci fu perfetto e non soggetto a perire quale (come siamo soggetti noi) per opera di cose ad
nella
non
ci
possono
essere (p. 33 A). E fu fatto sferico e rivolgentesi sopra s stesso sempre nello stesso luogo, senza moto di traslazione (pp. 33 B-34 A). E fu ani-
mato, e l'anima sua fu creata prima del suo corpo, e lo pervade tutto quanto (p. 34 B-C). E l'anima
del
mondo
fu fatta
congiungendo
l'invariabile
ed
essenza, e tutto il variabile in una terza specie di complesso fu diviso secondo l'ordine della questo
(1):
fu poi disposto
il
due
che ebbe
il
moto da
destra
a sinistra, proprio dell' invariabile, l'altra interna con moto da sinistra a destra e di traverso, proprio del variabile, e questa corrisponde ai cieli dei
pianeti (p. 36 B-D).
atta al
doppio ufficio di apprendere tanto il variabile quanto l'invariabile (pp. 36 D-37 C). E poich il mondo fu fatto da Dio, non pu esser disfatto se non da Dio stesso e poich fu fatto
;
buono
suo autore buono, non pu egli vo dunque perenne (p. 37 C-D). E lerlo disfare perch fosse tale, Iddio cre il tempo, che immagine dell'eternit, appunto perch, quane
il
:
(1)
Veggansi
le
note a p. 35 e segg.
20
Capitolo
I.
tunque esso non sia mai, ci non pertanto diviene sempre e incessantemente. E ministri del tempo sono i corpi celesti (pp. 38 C-39 E). E dopo creato il mondo, Dio cre quattro specie di animali (corrispondenti a fuoco, aria, acqua e terra), cio che sono le stelle, gli uccelli, gli Dei del cielo le specie acquatiche, e le pedestri o terrestri. E da s direttamente cre infatti gli Dei del cielo (pp. 39 E-40 D). Quanto poi agli Dei della mitologia, sono tradizioni che sar bene accettare, ma non si possono discutere (pp. 40 D-41 A). A questo punto il creatore si rivolge agli Dei
,
da
lui creati
il
imitando
Essi, peraltro,
che degli animali mortali: perci quella parte di essi animali che deve durare perennemente, dovr essere creata direttamente dal padre loro, dal Dio supremo ed unico, che sempre (p. 41 A-D).
Egli crea pertanto
le
anime
l
stelle, e
apprendere
natura delle cose, che poi ricorderanno scendendo nei corpi e nelle vite terrene (p. 41 D-E).
ritorneranno
animali
(p.
42 A-C).
e
il
Il
Dei
creati,
;
elementi
fluire
causa ad esso di variazioni, e con esse di impedimento ai moti razionali dell'anima: quindi
il
C).
qui
nell'uomo la testa, il cervello il corpo non che il veicolo della testa. E nella testa principalmente sono congegnati gli organi dei sensi (pp. 44 Dsi
l'essenziale
Contenuto
forma
del dialogo.
21
45 A), che
dalla vista,
senso pi importante, poich per mezzo della vista possiamo conoscere l'ordine del mondo e il numero, che ne il fondamento, e quindi assurgere' alla contemplazione filosofica e. al nostro miglioramento morale (pp. 45 Bil
Timeo come
47
(p.
scopo serve
il
senso dell'udito
47 C-E).
qui
si
si
creazione
era trascurato
un elemento,
l'elesi
mento
riceve (pp. 47 E-48 B). la materia? lo spazio? Che sia lo spazio, sostennero
attua, ci
che
la
altri,
mi ingegner
;
di dimostrarlo in
uno spe-
per ora basti accennare che innanzi tutto, accingendosi a determinare la natura di questo terzo elemento, Timeo nega categoricamente che possa essere o una o pi o tutte
ciale capitolo
le le
ma
non sono elementi n primi, n secondi, semplicemente stati della materia (pp. 48 B50 C). A queste specie fenomeniche corrispon-
dono le specie idee, fuoco, aria, acqua, terra, che sempre sono. E qui si ha una breve digressione esistono
:
le
idee veramente
(p.
B-C).
si
risponde
che s, esistono, perch esse sono l'oggetto della conoscenza, come le cose sono l'oggetto dell'opinione, ed opinione e conoscenza essendo
diverse, diverso dev'essere anche
(pp.
il
loro oggetto
51
D-52
C).
Prima del
mondo,
pertanto,
Ma
prima
se
quattro
22
Capitolo
I.
mero, poi vengono ordinati (p. 53 B). Questi elementi o specie poi corrispondono a quattro dei cinque solidi regolari, e tutti si riducono al triangolo rettangolo, che di due specie, isoscele e
scaleno
(pp.
53C-56C).
note a pp.
Sulle difficolt e
sulle
veggansi
le
54E-55A.
la
Si
determina
trasformazione della
materia avvenga (pp. 56 C-57 D), quali mutamenti ne nascano, e di quali movimenti
questi siano
e
cause ed
le
effetti
(pp.
57D-58C);
quindi
aria,
si
enumerano
vi
converr esaminarle. Esamina pertanto Timeo prima le sensazioni comuni a tutto il corpo (pp. 61 C segg.), e si indugia specialmente a discutere intorno alla gravit, determinandola nella virt che hanno terra, acqua, aria, fuoco, di attrarre a s ci che loro somiglia, virt che agisce in proporzione diretta della massa (pp. 62 C-63 E). Ma d tutte le affezioni, che il corpo patisce dalle
sensazioni, la pi notevole
lore, e perci se
il piacere e il done indagano le cagioni (pp. 64 ASi passano quindi in rassegna gli altri
65 B).
(pp. 65
i
sensi in quest'ordine,
B-68 D), e se ne conchiude che questi sono mezzi di cui il creatore si serv come di cause secondarie, ma che la causa prima e vera di tutto si deve sempre riconoscere in lui, e perci anche lo studio di queste cose deve sempre avere per meta ultima la sua conoscenza (pp. 68 E-69 A). E qui torniamo un'altra volta sui nostri passi,
Contenuto
e
forma
del dialogo.
la
23
riprendiamo a considerare
:
creazione del-
l'anima dell'uomo
tale fu creata
la
parte
razionale e
immor-
testa; la
in
da Dio padre e fu collocata nella parte mortale dagli Dei inferiori, e, divisa
due
locata quella nel petto, questa nel ventre, al qual proposito si descrivono la costituzione e l'ufficio
69 A-
72 D). Questo occasione per anche la costituzione di tutto il resto del corpo, budellame, ossa, carne, pelle, peli, unghie, la loro
origine, le loro propriet, la loro distribuzione e finalmente in un il loro ufficio (pp. 72 D-76 E)
;
rappresentare
breve capitolo si parla della creazione dei vegetali, che doveano servire al mantenimento dell'uomo (p. 77 A-C). Ed ora, dopo aver discorso delle cose singole che costituiscono il corpo, si descrive come sono
compaginate e coordinate, come furono disposti canali del corpo in servigio della irrigazione, i della digestione e della nutrizione (pp. 77 C-78 A) e principalmente si descrive l'apparato e il meccanismo della respirazione, luogo quanto mai oscuro e discusso, per il quale veggansi le note
;
79 A. Con lo stesso principio, quello ha la natura per il vuoto, si spiegano incidentalmente altri fenomeni (pp. 79 E80 C); quindi, ritornando all'argomento, si spiega la crescita dei corpi e la loro decadenza col prina pp. 78
dell'orrore che
simile
accennato dell'attrazione del simile al o decade, a seconda il corpo cresce costituito soverchiano che gli elementi di cui quelli che entrano in esso per la nutrizione o ne sono soverchiati (pp. 80D-81 E). Questo occasione per venire a parlare delle malattie e
cipio gi
:
cos
24
Capitolo
I-
a classificarle, e prima quelle del corpo (pp. 82 A86 A), poi quelle dell'anima (pp. 86 B-87 B). Venrimedi, che si riducono a quelli i che noi diremmo cure igieniche, sia rispetto all'anima, sia rispetto al corpo (pp. 87C-90D). Finalmente si tocca della produzione delle donne
gono quindi
nerazione
l'anima
forma
che
addice all'abito formato dalle sue colpe da ultimo si riassumono in brevi (pp. 90 E-92 B) parole le conclusioni, che sono appunto quelle che si erano proposte a dimostrare.
si
;
vede da questo riassunto, tutto il che un mito, un mito che si cerca di rendere credibile, che si dichiara essere semplicemente probabile, ma sempre un
5.
si
Come
discorso di
Timeo non
mito nella sostanza e nella forma. Il desiderio di vedere la dottrina della costituzione dello Stato in azione qui soddisfatto quanto alla dottrina della costituzione del mondo. Come il poeta antico rappresenta lo scudo di Achille mentre
tone
formato a parte a parte dall'artefice, cos Placi rappresenta l'universo mentre creato. E il Timeo pertanto opera di poesia non meno che di speculazione, e chi dimentica o
non riconosce questa sua caratteristica, o non lo intende, o non lo giudica rettamente. E per verit, due difetti in principal modo si sogliono riconoscere in questo dialogo, una scienza invecchiata e spesso falsa, e un enorme cumulo di irrazionalit. Ma quanto agli errori scientifici, se questi non si possono n si devono disconoscere, se perci una parte di questo
Contenuto e
forma
del dialogo.
25
sono compensati
non meno abbondante delle intuizioni veramente geniali (1), che anticipano le conclusioni della scienza di oggi, e forse anche
dalla copia
domani. La percezione piena e sinche l'uomo di genio ha delle cose e dei fenomeni, coglie ci che in essi essenziale, ancorch non lo sappia razionalmente discernere,
di quella di cera,
l'amante vede amata qualit e pregi che la gente spassionata non vede, e per queste qualit e pregi egli tanto pi l'ama quanto meno saprebbe dirne un motivo razionale; egli l'ama in virt di un sentimento trascendente, che tuttavia ha le
delle nella persona
sue radici nella realt dei fatti e delle cose. Quanto poi alle irrazionalit di cui il Timeo
tutto ribocca, bisogna distinguere. Innanzi tutto,
alcune
si
in-
terpretazione.
mondo
intelligibile
non pu
sempre essere accessibile a noi direttamente, e passando attraverso ai sensi non pu non contaminarsi della loro contingenza. Perci l'espressione figurata e materiale dobbiamo spesso tradurcela in un concetto puramente logico e che per questa via sola si possa giungere a interpre;
tare
il Timeo, ce lo fa intendere Platone stesso a chiare note in pi luoghi. Un'altra serie d'ir-
razionalit
nasce dalla
misteri,
natura
stessa dell'argol'essere
mento.
onde avvolto
del
(1)
Veggasi
il
The
Timaeus of
III
logues of Plato,
26
Capitolo
I.
mondo
sono qui categoricae noi sappiamo pure che ogni loro soluzione ugualmente inconcepibile, ancorch una deva essere la vera. inconcepibile per noi il mondo senza un prine
l'essere
nostro,
mente formulati ed
affrontati,
cipio, e
non d'altra parte concepibile come abbia cominciato n fu certamente lo Spencer colui che scoperse questo limite dell'umana intelligenza, e pi pieni e pi chiari avrebbe trovati gli elementi della sua affermazione in Platone, e
;
molto
vi
correggere alle sue tesi, se non fosse stato delle lettere greche assolutamente e, diciamo pure,
vanitosamente ignorante. Di quello pertanto che di sua natura, per i limiti dell' intelligenza nostra, irrazionale e contraddittorio, assurdo voler cercare e trovare la razionalit e la congruenza, e il pericolo pi grave degli interpreti di queste
speculazioni,
di
non
nel
consiste gi nell'accontentarsi
poco,
ma
voler
chiedere e credere di
due
o tre sole questioni ultime, ma che dobbiamo riconoscere nell'ultima analisi di tutte le cose,
qualora vogliamo
perch.
Il
risalire
effettivamente
al
lco
mondo inconoscibile certamente non meno del conoscibile, e la religiosit, che da ci spinge nelle sue regioni, non meno propria dell'umana natura e non meno gran parte di essa,
che siano gli altri bisogni attinenti alle contingenze della vita materiale. D'altra parte, chi esamini attentamente le argomentazioni metafisiche del Timeo, non pu non ammirare l'acume
di quello
r
Contenuto
forma
del dialogo.
27
filosofo,
contro
quale
si
la critica
nario
Aristotele,
il
pi
gran genio metafisico dell'antichit classica (1). Ma oltre di queste irrazionalit inerenti alla speculazione stessa, non credo se ne deva disconoscere un'altra specie, quelle inerenti e connaturate all'opera d'arte.
La
pu affermare sia stata sempre rigorosamente mantenuta da Platone, ma sebbene per molti rispetti tal distinzione debba considerarsi un frutto prezioso della maturit del pensiero moderno, non per altro da credere che sempre ed in ogni caso il serbarla costituisca effettivamente un progresso. Anche la scienza ha la sua parte di irrazionalit, se non nelle conclusi
scienza non
poste a spiegare
non si pu dire che le pi razionali siano state sempre le pi feconde. Che la figura pi elementare dei corpi, se una figura devono avere, non possa essere che il triangolo, ed in ispecie
il
geometria,
fondamento
tutto ci
la
di
sua affermazione fu sterile, pi sterile assai molte altre, che pur erano destituite di ogni
di verit.
fondamento
Se
tra
il
metodo
induttivo
acuta e sostanzialmente giusta re(1) Un'aspra, quisitoria contro Aristotele, che male intese e peggio rifer le dottrine del maestro, si legge nell'ultimo capitolo del libro del Natorp, Platos Ideenlehre.
ma
28
e
il
Capitolo
I.
deduttivo
si
differenza, questa
sia,
meno meno
si gesue prime mosse dall'intuizione che dal ragionamento. nera pi Noi viviamo in mezzo al grande mistero della natura, e la certezza razionale la possediamo, se
irrazionale, in quanto
pure
la
questo mistero e vuol rimanervi estraneo, non solo acconsente a ignorare per sempre ci che pi importa all'uomo di conoscere, ma rinuncia ad ogni possibilit di strappare a quel mistero alcun
ad accrescere cos il patrimonio delle conoscenze razionali, ch'egli pure afferma di esclusivamente apprezzare. Se pertanto l'irrazionale non si pu eliminare neppure dalla scienza, per l'arte esso anzi un elemento perfettamente proprio e connaturato, non solamente inevitabile, ma da
altro velo e
non
evitarsi (i); e
arte,
quando
la
deve assoggettarsi alle sue esigenze. Quando Dante volle rappresentare artisticamente l'oltretomba, quando volle sottoporre ai sensi un
anche
concetto essenzialmente soprasensibile, dovette adattarlo alle esigenze dei sensi, ancorch questo non fosse altro che snaturarlo. L'Inferno fu creato prima della Terra, eppure collocato dentro alla
Terra.
Alla
stessa stregua,
gi
di
l,
dobbiamo
Badiamo, non dico che sia da cercarsi, come forse vorrebbe far credere ch'io dicessi: niente affatto l'irrazionale cercato e voluto non altro che scioc(i)
altri
chezza.
Contenuto e
forma
del dialogo.
29
non siano
la filo-
Empedocle;
e la
come
nale,
parte la Divina
quasi come rivelazione. D'altra Commedia, nella sua parte dottrinon intende certo di fondarsi su di un sidottrina,
filosofico di quello
ma
che
intendesse di esporre Platone nel Timeo: se infatti Platone parecchie volte ci avverte, che la sua speculazione non presume che di essere verisimile, e riconosce esplicitamente che ii vero su
lo pu conoscere se non compiaccia per grazia sua di rivelarlo, ritiene per fermo di conoscerlo, appunto perch crede in questa rivelazione; tanto pi perci si sarebbe dovuto ritenere obbligato a non alterare questa rivelata verit. Certo che il poeta filosofo e il filosofo poeta ci non ostante si pareggiano nelle incongruenze e nelle contraddizioni il rappresentare lo spirito per mezzo dei sensi doveva condurre di necessit l'uno e l'altro a questa anomalia; e d'altra parte il rivestire la scienza delle forme dell'arte era il solo mezzo, per il quale questa anomalia potesse essere pienamente giustificata e ricondotta presso l'uno e presso l'altro alla pi legittima convenienza. La forma scelta dall'uno e dall'altro non certo la pi razionale che importa ? essa era del resto la sola che potesse permettere di coordinare in unit organica anche le speculazioni che trascendono la pi alta razionalit.
questi problemi
colui a cui
non
si
Dio Dante
6. Con ci non intendo impugnare che qualche incongruenza del Timeo non sia da ritenersi vero
30
e proprio difetto,
Capitolo
I.
come non si impugna che possa qualche irrazionalit della Divina Commedia. Quali miglioramenti o emendamenti un autore sarebbe capace di introdurre in un'ulesser
difetto
non dire impossibile, determinare anche il pi delle volte asseverare che ne avrebbe introdotti. Quando per altro io considero la forma del Timeo, dico la forma letteraria, lo stile, la sintassi, e lo raffronto con gli
difficile, per
arbitrario
:
altri
dialoghi platonici,
le differenze
non mi sento
difetti
di spiegarne
semplicemente con la diversit e la novit della materia, con la necessit di creare una nuova lingua scientifica, della quale mancava ancora qualsiasi modello, ancorch di questo pure si abbia a tenere il debito conto io credo che questa volta Platone non abbia dato all'opera sua le ultime cure. Non ostante che il
sempre
Timeo
ci si
presenti
come
troviamo in esso molte parti che sono assolutamente estranee a tutto il resto della sua filosofia, e queste sono le parti fisiche e fisiologiche. Anche della dottrina astronomica acdi Platone, noi
colta in questo
egli negli ultimi
libro
effettivamente la
ci si racconta (i) essersi anni suoi ricreduto, e in parte disdisse nelle Leggi. La novit
della speculazione
per
la
fosse ancora giunta nella mente del filosofo sua pi matura evoluzione e poich vediamo anche altre parti del suo sistema filosofico essersi
non
alla
svolte a
cate, nulla
(i)
Cfr. la
40 B-C.
Contenuto e
forma
del dialogo.
31
ma-
Anche
il
mutato durante
stendersi
dell'opera
stessa.
L'introduzione sproporzionata al resto del libro, e se possiamo ancora in qualche modo riconoscere l'associazione delle idee che congiunge le
premesse all'argomento principale, dobbiamo riconoscere insieme che il nesso logico manchevole e punto chiaro: infatti che ha da fare col Timeo la ricapitolazione della Repubblica ?
L'introduzione del Timeo effettivamente introduzione adatta per il Critia (il quale, cos com', non si intende se non da chi abbia presenti le prime pagine del Timeo, alle quali spesso
richiama), e non mi pare inverosimile l'ipotesi che Platone l'abbia scritta per questo dialogo, e che strada facendo, ampliandosi il suo concetto e assurgendo ad una concezione pi grande e pi universale, abbia rimandato a poi il racconto, e, accomodando alla meglio il preambolo, abbia adoperato per il Timeo quella parte dei materiali che in qualche modo gli poteva servire. Anche la mancanza di un ordine ben determinato e proporsi
zionato,
Timeo
continuamente ribocca, e che non si possono spiegare con alcun altro motivo plausibile, podella definitiva coordinazione.
naturale
come
discorso improvvisato, e
si
ca-
pisce che neh' improvvisare molto si dimentichi e molto si deva correggere. anche vero che Platone lo scrittore che pi somiglia al parlatore, e che la spontaneit e la naturalezza sono le
32
Capitolo I.
si
prosa o di versi. Ci non ostante non bisogna confondere la naturalezza con la trascuratezza, n bisogna credere che la spontaneit, che pi ammiriamo in Platone, sia quella che si
ottiene di
l'ulsi
tima finezza
presentano
Infilare
le
idee
come
spontanee sar una buona traccia per comporre con naturalezza, ma poi bisogna correggere, modificare, rabberciare. Cos anche
dello
stile.
Scrivere
come
e
si
tima raccomandazione,
scrittori
Platone
la sintassi
uno
degli
che pi seguono
parlata.
Ma
i
pi che
:
non facciano nello scritto i punti e le virgole quando invece un periodo consegnato alla carta, e non ha pi il soccorso della voce, perde sempre o molto o poco della sua lucidezza, talora la
perde
che
affatto.
il
fatto
suo, rileggendo a
mente calma
e riposata,
vede
di
cosa
si
pu richiedere
alla
perspicacia
chi legge e
bisogno
coluti,
che cosa no, e modifica secondo il e cos avviene che nei dialoghi pi ela-
borati di Platone,
non ostante
della
frequenti
anail
propri appunto
sintassi
parlata,
senso di regola chiaro e perspicuo alla prima mediocre riflessione. Qui invece l' aggrovigliamento qualche volta veramente eccede ogni licenza; i participi cui si sospende un lungo pedi Tucidide; le apposizioni
rilassate,
gli
sono lontani ed oscuri. Certamente anche periodi pi contorti e difficili del Timeo, letti a dovere
Contenuto
33
e con le convenienti inflessioni, riescono abbastanza chiari e naturali: gli che bisogna prima
meditare e discutere un pezzo per vedere effettivamente come la voce si deve modulare, dove devono andare le pause, che cosa si deve nella pronuncia congiungere e che cosa disgiungere, senza che per far ci alcun indizio esterno soccorra, se non fosse quello del senso generale,
che, trattandosi di questioni discusse e sottili, appunto quello di cui si dubita. Or come nell'ordine dei concetti in generale, cos nell'ordine delle proposizioni e delle parole, non sarebbe
stato difficile introdurre la desiderata perspicuit,
quando
anche intorno
a quest'opera quell'ultima diligenza amorosa che sappiamo aver egli usato per altre. Cosi avviene che le caratteristiche dello stile platonico le tro-
tutte,
ma
senza misura,
per esempio,
cui
il
Timeo sovrabbonda,
pajono intese a dare al concetto quell' accezione di universalit che si sente mancare al vocabolo proprio. Frequentissima quella con assolutamente chiara e cpoic,, e molte volte
normale:
Dio,
le
anime
cpu-
non
l'universo,
ma
la
natura dell'universo,
:
tvjv
toG Travi?
dove
parla
(1) Per le particolarit stilistiche del Timeo in rapporto alla sua collocazione nella serie degli scritti platonici cfr. il terzo capitolo della magistrale opera di W. Lutoslawski, The erigili and groivth of Plato' s logie.
34
bile,
Capitolo
I.
qpucTiq (pp. 35 A, f\ TaTOu ovvero Gaipou 36 C, 37 A) circonlocuzione che pare intesa a determinar meglio il concetto. Ma da questi casi si passa poi ad altri, la ragione dei quali sempre
si viene alla mera perifrasi tou 7rapaeYuaTO<; cpuatc,(p. 39 E), cos <pu(Tt<; (p. 46 D), f\ xn? vaYKnc, opucru; r\ eucppiuv 56 C), f) toO ktuj cpuaic, aviu te XeYouvn. (p.
pi evanescente, finch
abbiamo
r\
(p.
62
C),
f|
eKivnTc,
Te Ka
ucfKivnroe,
f)
cpcris
(p.
(p.
64
42
B), ecc., e
finalmente
(pud? TUvaiK?
42 C), tou Trups (p. 63 B), 72 B), tujv veupuuv (p. 74 D), tjv iaxiuuv (p. 75 A), tou TTpoaumou (p. 75 D), TUJV axjv (p. 82 D), tuiv aioiuuv (p. 91 B), ktX., per dire semplicemente la donna, la belva, il fuoco, le anche, la faccia, le ossa, i il fegato, i nervi, genitali, ecc. ecc. Simili osservazioni si possono ripetere per analoghe parole, come ia ed eio<;,
B), Gripeio? (p.
(p.
fiTtaxo;
per
(p.
le
quali
basti
citare
Tf<;
t^
TrpuJTrj? eEeuus
alriac,
elos (p.
42 D), t
TrXavuuuvnc, eio?
(p.
Ttupauio? (p. 56 B), jf\<; YXujTTriq (p. pacpuv (p. 76 A), ecc. f| 7TXeio*Tr) ia tou Geiou
(p.
40 A), n
ia
po<; (pp.
49 C, 60
tou
TtXeuovoc, (p.
70
71 A), ecc.
Cos dicasi di ZvGiaGu; (pp. 32 C, 32 D, 72 C, 75 B, 8 1 B, ecc.), di rvo<; pp 74 B, 76 C, 85 E, ecc.), di uvaun;, di TtGoi;, ecc. Cos frequentissime sono le circonlocuzioni con Tiepi e l'articolo posto
.
a reggere un'intera
proposizione,
e,
ci
il
che
cumulo
come t rrep Tf|V tlv 75 A), t nep thv tuv aioiuuv qpucfiv (p. 91 B), ue'xpt cpaeujc, tujv irep t o*Tua Huvuuv (p. 60 B), Tfjv toO o*xnuaTOc. iav (p. 58 D),
qpudv
(p.
Contenuto e
toc;
forma
del dialogo.
35
Ttepi
Tnv
nM^Tpav
rvemv
r)uioupYoT$
Tutte queste considerazioni, oltre la dichiarazione esplicita, che fa Timeo, di esporre, non gi
sicura,
ma
solamente ci
la
ad una interpretazione di questo dialogo, quella appunto di npn voler essere troppo sottile. Non
dobbiamo cercare nel Timeo quella precisione che non ci pu essere non dobbiamo per conto
;
rinunziare, per la
sua impossibilit, ad una spiegazione esauriente dei principi su cui il dialogo si fonda, ma per far cosa che sia utile, bisogna che rinunciamo anche a illustrarli esaurientemente. Nessun espositore
pu avere
sufficente
competenza da
di-
scernere a fondo in
ogni ramo
dello scibile, e
nessun lettore pu averne tanta da interessarsi ugualmente di cose tanto svariate. Gli antecedenti delle teorie scientifiche, di cui
Timeo
tocca,
richiederebbero digressioni enormi per esser chiariti, e gli antecedenti della dottrina filosofica do-
vrebbero essere all'ingrosso noti a chi affronta la lettura di questo dialogo; mentre, a illustrarli minutamente, sto per dire che converrebbe ripassare tutta la storia della filosofia greca.
(1) Alcune di queste particolarit nella traduzione si dovettero trascurare per dare un italiano leggibile e non sacrificare la fedelt sostanziale alla fedelt materiale: se nel greco queste sono qualche volta contorsioni, e come tali si notano, nell'italiano sarebbero mostruosit, e la versione che le conservasse non sarebbe altro che una caricatura.
36
Il
Capitolo
I.
divenire e
il
che tendevano a spiegare il perch delle cose, ma ciascuno unilateralmente: quello negava la possibilit della conoscenza, poich non si pu conoscere ci che non mai questo eliminava senza scioglierlo il problema del mondo fenome;
nico, mentre il mondo intellettuale lo riduceva ad un mero aggregato di negazioni. In sostanza il principio eracliteo, che nulla pu essere conosciuto, torna eguale al principio eleatico, che non vi nulla da conoscere (1). Pitagora trova un caposaldo i numeri e le proporzioni hanno costanza e universalit; nei numeri troviamo un ponte tra l'intelligibile ed il sensibile. Viene finalmente Anassagora, e con la Intelligenza ordi:
natrice
il
principio
di
altro
la
ancora
il
pi
con
sua tendenza
il
Anche Socrate
sostituendo
porta
i
suo contributo
alle
metafisica
concetti
i
cose
concetti,
ben
queste astrasi
sempre
vi
uguali, in cui
spec-
come
sitorie dei
fenomeni e
si
trovano
la loro
ragione
en-
e la loro spiegazione.
tit?
come
devono intendere?
tentare di rispondere.
Al capitolo seguente
(1)
Archer-Hind,
o.
c.
Introd.
7.
^^$ptip^$}$^ty$}$P$p$p$p$P$!
CAPITOLO
IL
Sommario:
2. La dottrina Questioni da trattare. e la sua evoluzione. Passaggio dalla teoria della partecipazione a quella dell'imitazione. 3. Le idee nel Timeo. 4. Dio e l'esemplare del mondo. 5. Lo Zeller nega che le idee sieno di Dio. Confutazione. 6. il mondo i pensieri
i.
delle idee
eterno?
1.
Fin
dal
i
principio
del
discorso
(p.
27 D)
Timeo pone
stinguendo ci che sempre e non ha generazione, e ci che sempre diviene e non mai, l'uno comprensibile dall'intelligenza per mezzo essendo sempre allo stesso del ragionamento
,
modo,
della
l'altro
sensazione irrazionale, come quello che nasce e perisce e che effettivamente non mai (1):
fi) Ci che qui Timeo dice, concorda con ci che nell'sodo (3, 14) dett di Dio: " Ego sum qui sum, et
dices filiis Israel Qui est misit me ad vos. Anzi Agostino (De civ. Dei, Vili, 11) di tal concordanza mostra
:
Fbaccaroli,
Il
Timeo di Platone.
38
l'uno
il
Capitolo
IL
idee,
l'altro
il
mondo
delle
mondo
citato,
delle cose.
il
luogo
,
creatore, on,uioupY<;
il
quale
come padre
e signore di tutti
questo
creatore,
siderata
come vogliono alcuni (i), l'anima del mondo concome logicamente distinta dal corpo deluna mitica rappresentazione del pendel
?
l'universo?
pensiero nella
che sarebbe
il
creato
un Dio
per-
mondo
ch'egli crea?
poich
questa
seguendo un'idea-esemplare,
separato in
esso di-
verso
qualche
modo da
Una
dottrina
cosa morta, ha
finito di esistere, la
ha com-
concezione platonica,
ancorch modificata negli accidenti, vive tuttora ed ancora feconda. Gli che noi, avvezzi a voler
trovare
la
o a torto,
ad
colo di
fondo
di ogni quesito,
non
lo
pu
affatto
indossare e di richiedere
al-
soggiunge esser questo il magquale sarebbe quasi disposto a convenire che Platone avesse avuto notizia della Bibbia.
la pi alta meraviglia, e
il
(i)
Archer-Hind,
o. c.
Introd. 38.
mondo.
39
Nel
la
capitolo
precedente ho
sia
toccato
in
di
come
Platone
ancora scompagnata dall'arte i canoni della scienza a giudicare dell'opera sua, ma i canoni dell'arte
e
non
come
perci
non bastino
devano essere tenuti in conto, chi voglia Il Timeo, ho osservato, essenzialmente la narrazione di un mito, e il mito allegoria. Ora appunto a considerare l'allegoria secondo lo spirito platonico, se le cose non sono altro che immagini imperfette di tipi ideali, la allegoria essa pure immagine di conaltres
giudicarne rettamente.
manchevole. Per
il
tale ragione
anche
il
si
n
la
affatto
misura con ci stesso nel rapporto la perfetta razionalit, che appunto ci che si nega vi si possa trovare. Ma, rispondono, voi aprite cos le porte alla critica soggettiva. E che volete farci? Certo la critica oggettiva, quando possibile, deve avere la precedenza ci che si pu pesare, noverare, misurare, dice il Socrate dei Memorabili, si deve
determinato.
in qual
Ma
potesse
determinarsi,
misura ? Se introdurremmo
pesare,
noverare,
stoltezza: or poich
Vero
critica soggettiva
manca
la
spesso una
norma
esteriore
per distinguere
.p
Capitolo II.
speculazione del filosofo dalla aberrazione del pazzo, dalla sciocchezza del pedante. Se per altro
tale la
zione artistica nel suo senso pi largo, non si vede come quella della critica non debba essere
analoga.
Un metodo
ogni differenza di capacit, a far del critico una macchina, non pu essere che negativo e infe-
condo. Eliminando
il
l'ingegno, eliminate quel solo elemento che pu congiungere la psiche del critico con quella dell'artista,
eliminate
il
dere
l'attivit
dell'uno con
Certo ad ogni
soggettivo
zione, e
modo
consigliabile
pi
uno diffida delle sue proprie forze. Ed io, che a ragione ne devo diffidare moltissimo, questa discrezione mi propongo di usarla pi che alcun altro. Per ci, senza approvare n impugnare espressamente le dottrine pi organiche e pi complesse che furono proposte a spiegazione di questo dialogo, mi limiter, per quanto possibile,
da
me
si
che non di
2.
trina
delle
Socrate nel
l'
il
nome
(ein.)
dal-
come
separatamente dei
41
separatamente le cose che ne partecipano? pare a te che vi sia la conformit (1) da s separatamente da quella conformit di cui noi
e
me
s,
disse Socrate.
tali
come un
E che ? E un tipo dell'uomo seS, disse. paratamente ,da noi e da tutti quelli che sono
come
dell'
noi,
un
Io mi son trovato, disse, inacqua? certo molte volte, o Parmenide, su di ci, se si debba affermare come per quelli, o altrimenti. E forse anche per altre cose, o Socrate, le quali potrebbero parere persin ridicole, come peli, o fango, o sozzura, o qualsiasi altra cosa pi spre-
gevole e pi indifferente, sei tu incerto se convenga affermare che anche di ciascuna di queste cose esista un tipo separato, che sia altra cosa da queste che abbiamo tra mano, ovvero che
non
Punto affatto, disse Socrate ma vediamo, queste (credo) anche creder poi che ci sia un qualche tipo esistere di esse, non vorrei fosse troppo strano. Per altro qualche volta ci mi confonde, che non sia forse lo stesso per ogni cosa e quando mi fermo su questo punto, fuggo poi subito per paura di perdermi precipitando gi in un mare di ciance senza fondo . La questione tutta qui, e sebbene il discuterla, se si ha da discutere, sia certo pi a posto nell'illustrazione del Parmenide che non in quella
esista
?
;
:
il
42
Capitolo II.
Timeo, qui pur necessario coordinarne almeno gli elementi. Due sono le categorie principali di idee che vengono prese in considerazione nel luogo che ho riferito, l'una quella
del
dei
predicati,
l'altra
le
quella
delle cose
stesse.
vi
Da
quale prese
pu
esser dubbio che dalla prima, quella dei predicati; e soltanto successivamente, assai pi tardi,
pass
alla
seconda. Ce
lo
dice
innanzi tutto lo
vi fossero
Infatti,
che
anche
idee delle cose, Socrate dichiara di essere stato in dubbio se affermare, mentre sui predicati egli
per certo, ragion vuole dovesse essere il fondamento della sua tesi; ci di cui dubitava, non pot entrarvi, se non quando i dubbi furono
vinti.
Del resto la dimostrazione di questo asserto dipende in gran parte da quella dell'ordine cronologico da assegnare ai diversi dialoghi di Platone, mentre poi, entro certi limiti, la questione dell'ordine cronologico pu alla sua volta essere chiarita e corretta da quella dell'ordine logico. All'una e all'altra W. Lutoslawski nell'opera gi citata rec un contributo di molta importanza, e le sue conclusioni, come quelle che si fondano
su dati
stilistici
su constatazioni di
dalla
fatti,
an-
corch
dirsi
siano
il
lontane
certezza,
possono
oramai
discussione ragione-
(i).
col Lutoslawski
(i)
il
confutare opi-
nioni come quella del Dring, Geschichte der gricch. Philosophie, che pone la composizione del Timeo in-
43
convengo
esempio,
locati
i
in
che,
per
dialoghi dialettici
la
dopo
del resto che dalla sintesi del Sofista e del Politico Platone fosse passato all'analisi dei dialoghi socratici, era un'ipotesi cos
di dubitare (1)
contraria al naturale
svolgimento del pensiero, che difficilmente si giunge ad intendere come abbia potuto formularsi e trovar poi sostenitori. Ebbene, e le osservazioni stilistiche del Lutoslawski e
si pu seconcordemente concondo ragione argomentare, fermano che la successione delle dette due categorie sia avvenuta effettivamente come il Parmenide ci
il
parve indicare.
La bellezza,
si
qualit predicative
dalle
cose bianche
mentre
cose,
ci
poniamo
dei cani,
poniamo
delle tavole,
non
suggerisce di necessit un terzo concetto universale diverso dalla cosa percepita. Ora, al concetto
di
quei
come
torno agli anni 393-92. Vero che il Natorp, in parecchi articoli inseriti in " Archiv fur Gesch. der Philos. dal 1898 al 1900, impugna alcune conclusioni del Lutoslawski e, dopo accennate alcune correzioni da introdurre nel suo metodo, conchiude molto scetticamente sulla possibilit di ottenere risultati sicuri: ad ogni modo l'ordinamento cronologico ch'egli ammette per i dialoghi dialettici in rapporto alla Repubblica e al Timeo sostanzialmente quello stesso che le ricerche del Lutoslawski hanno affermato.
(1) Cfr. pure F. Tocco, Ricerche Platoniche (Catanzaro, 1876), p. 172 e passim; R. Hirzel, Der Dialog, I, p. 251 segg.; Ivo Bruns, Das literarische Portrdt der Griechen, pp. 271 segg.
44
Capitolo
IL
abbiamo gi accennato, era giunto, e da questi mosse anche Platone ma, mentre gli universali di Socrate erano mere concezioni del nostro spi;
rito,
Hind
ipostatizz
concetti socratici,
dichia-
rando che ogni tale concetto non che la nostra mentale rappresentazione di un'idea veramente esistente, eterna e immutabile: la bellezza, la bianchezza, poich certamente sono qualche cosa e non gi niente, non essendo nel mondo sensibile, di necessit dovranno essere nel mondo
intelligibile.
Ed appunto
sensibile
si
per
la necessit di
trovare
un og-
mondo
es-
Se
ci
deve
riassume lo Zeller (2), ci deve essere anche di questa conoscenza un oggetto stabile e immutabile, un oggetto che esista non solo per noi e per nostro mezzo, ma da s e per s stesso . Le cose belle, bianche, ecc.,
,
una conoscenza
quali le
sensibile,
particolari
voli e,
accidenti: esse
tali,
sono
altres
come
non possono
e
cos
dunque
la
bellezza,
la
bianchezza
via.
Questa l'idea, e questa idea, secondo Platone, esiste indipendentemente dalla nostra intelligenza; questa idea sola veramente , e le cose, secondo questa prima teoria, partecipano in qualche modo dell'essere in quanto partecipano di quell'idea.
(1)
(2)
O.
e.
Introd. 16.
II, 1,
p.
645 (IV
ed.).
mondo.
45
anche in fatto, che le idee che Platone prende a considerare nei dialoghi antecedenti alla Repubblica, come nel Simposio e nel Fedone, che su tale argomento capitalissimo (1), e nei primi nove libri della Repubblica stessa, sono appunto, come ho affermato, quelle che non
Ora
sta
hanno un corrispondente
reale
concreto nel
si
mondo fenomenico,
riscono alle
zioni,
in
quelle
dunque che
alle
rife-
qualit delle
al
cose o
loro rela-
una parola
predicato.
si
Ma
poi
era.
naturale che
riflettendoci
dovesse procedere
pi oltre.
abbiamo veduto, Parmenide nel dialogo omonimo, e lo troviamo, anche prima, tutto ci che si nel decimo della Repubblica sotto un nome deve corrispondere ad comprende un'idea (2). Se infatti non percepiamo coi sensi n la bellezza n la bianchezza, non percepiamo
Lo
nota,
neanche
neanche la tavola, ma soltanto il cane, dei cani e delle tavole; vi sar dunque anche il cane ideale e la tavola ideale corrispondenti ai
cani e alle tavole dei fenomeni.
non (1) Anche nel Fedro le idee prese a considerare sono diverse da quelle del Fedone e del Simposio; mentre, se accettiamo le conclusioni del Lutoslawski, Ad ogni il Fedro dovrebbe porsi dopo la Repubblica. modo, poich le idee delle cose non appariscono chiaramente nella Repubblica che nel libro X, se questo
libro,
come probabile, fu l'ultimo scritto, non ci allontaneremmo di molto dal canone citato, qualora ponessimo la composizione del Fedro prima di quella di detto libro, anzich immediatamente di seguito ad esso. Notisi del resto che la collocazione cos tarda del Fedro uno dei punti pi deboli della teoria del platonista
polacco, e fu energicamente impugnata.
(2)
X,
p.
Ti0eo9ai
po|uev.
-rrep
596 A eiboc, yap tto ti v gxaaTOV elOb0a|aev gKaaxa t iro\X, oi<; tcxtv voua mcp:
46
Capitolo
IL
dalla considerazione
Ora, a seconda
relazioni tra
le
si
muova
i
idee ed
fenomeni
s
intuitiva-
mente
tecipa
diversa.
della
La
bellezza,
questo un
concetto anche volgare, tanto si presenta spontaneo. Ma non si pu dire precisamente altrettanto di
bella
la la
cosa cosa
la so-
cane ha
stanza di cane; la cosa bella sempre sostanza di qualche altra cosa, il cane ha sempre delle qualit non esclusivamente inerenti alla natura di cane, come bellezza, grandezza, e cos via il rapporto tra l' idea e la cosa non dunque lo stesso
:
nel primo
La
teoria della
partecipazione
(uiur|0"iq). Se c' una tavola idea, i rapporti dei cani e delle tavole fenomeniche con queste idee non possono essere che di mera rassomiglianza: quella
un cane
idea,
idea sar
il
si
informano queste
copie molteplici.
Lo ammette
e lo riconosce So:
Parmenide Ma, o Parmenide, mi pare proprio che la sia cos, che questi tipi stieno come esemplari neUa natura, e che le altre cose somiglino a queste e sieno imitazioni e che questa sia la partecipazione delle cose alle idee, niente altro che rassomigliarsi con esse (i). Era questa una spiegazione che equivaleva a una correzione (la dotcrate stesso stretto dalle obiezioni di
,
(i)
YiYveaGai
1^
|u8eSi<;
f|
-ri;
47
trina platonica,
come
cos
continua evoluzione senza contraddizioni e senza salti), e da questa correzione non consta che poi
il
filosofo nostro
mai pi
si
censura pertanto che gli muove Aristotele (2), che non si sia spiegato chiaro sulla natura della uGeEic, e della uiuricfic;, per lo meno esagerata. Ma se il mutamento della partecipazione nel-
La
l'
imitazione non modifica punto il principio fondamentale della reminiscenza restando sempre inteso che tanto i tipi dei predicati quanto i tipi
,
delle cose
li
avremmo
conosciuti in
una
vita an-
tecedente
tal
di
conseguenze per altro di mutamento sono molte e sono gravi. Prima esaminarle constatiamo che di fatto nei diaall'attuale, le
seconda teoria alla prima. Nei dialoghi anteriori alla Repubblica la teoria dell'imitazione non appare affatto. Tanto ne era Platone lontano, che nel Fedone (pp. 99 E- 100 A), non che rappresenti le cose come immagini delle idee, ammette che i discorsi possano passare per immagini delle cose. Che se della verit di questo
(1) Un'analoga correzione si potrebbe forse notare nella determinazione dei rapporti tra l'uomo e Dio. Nel Fedro infatti, p. 253 A, di quelli che sono sotto l'influsso di una data divinit era stato detto che partecipano in certo modo di essa, 9eo0 uexaoxev nel Teeteto invece, p. 176 A-B, non pi la partecipazione lo scopo delle
:
aspirazioni morali,
(2)
ma
2
:
il
Getp.
f uGeSiv f\ rriy u(nncriv fiTiq fiv e\r\ tjv dwv qpefav v koivCD nreW. E vero per altro che almeno da principio Platone mostrava quanto alla natura della partecipazione qualche incertezza; cfr. Phaedo, p. 100 D: etxe irapouaux ette Koivwv(a
Metaph.
I,
6,
xriv uvxoi
irpoaYevouvti-
.j8
Capitolo II.
rapporto mostra insieme di dubitare, e soggiunge che non del tutto d' accordo nel ritenere che colui che guarda nei discorsi vegga ci che (t vtoO pi in immagine di colui che guarda nelle cose (i), la forma stessa della frase mostra che Platone era solo ai primi sospetti della sua nuova teoria se l'avesse di gi formulata, avrebbe detto
;
se,
nello
stesso
dialogo
73 D), dopo aver detto che la veste pu far ricordare la persona, la lira il suonatore, il ritratto
persona di Cebete, si soggiunge da ultimo (p. 73 E) che il ritratto di Simmia pu far ricordare lo stesso Simmia, io non so vedere in ci alcun passaggio alla nuova teoria. Qui non sono in questione i rapporti tra la cosa e l'idea, n come la cosa dall'idea o dipenda o ne pardi
Simmia
la
tecipi,
ma solo si cerca spiegare il fenomeno della reminiscenza per mezzo dell' associazione delle idee. Tutt' al pi neh' ultimo esempio, posto l come un'ulteriore illazione, si potrebbe vedere
appena
il
primo germe
Un
(p.
passo verso la uiur|0*i<; lo troviamo nel Fedro 250 B): per altro le immagini (ekvec,) e gli
si
immagini dell'idea
di
|uv ov Jj eixdZw Tpnov tiv ok oikv. o auYXUjp' tv v xoTq Xyoic; OKOTTOiaevov t vtci v eKat ufiXXov axoTtev f\ tv v pYou;. La interpretazione dell' Archer-Hind, The Phaedo of Plato,
li) \a\iK,
yp
travi)
pp. 156-62 (2* ed.), mi par troppo sottile. Cfr. anche 3 R. P. Hardie, Plato s earlicr theory of ideas, in " Mind V, (1896), pp. 171-172.
mondo.
49
non che le somiglino come un ritratto all'originale. Quanto alla Repubblica, le incertezze
sulla
composizione delle sue singole parti rendono pi difficile il determinare come la teoria durante la redazione dell'opera si sia venuta svol-
anche qui le conclusebbene dubitative, che ulteriore il libro X rappresenti un procedimento anche in confronto dei libri VI-VII, potremo no-
gendo
ma
se accettiamo
tare insieme
tecipazione all'imitazione. Se infatti nella parte fino al VII le idee dei metafisica che va dal libro predicati tengono ancora il posto d'onore, il mito
dell'antro al principio del libro VII concepito conforme alla seconda dottrina, e questa dottrina
chiaramente formulata nel libro X; che sulle idee delle cose materiali e sugli esemplari del letto e
della tavola costruita tutta la teorica dell'arte.
Le cose
delle
idee
il
sono
verbo ed i nomi che Platone adopera a chiarire il suo concetto. E che questo non sia detto n per traslato n per figura, che non
sieno queste delle frasi occasionali e indifferenti, ma importino il pi sostanziale e consapevole mutamento della teoria, lo vedremo tra poco.
done
Certo ad ogni modo che la diversit tra il Fee la Repubblica in questo punto cos
grande, che ammettere il Fedone sia stato scritto dopo di questa (2) non pare sia pi possibile.
O. e, p. 314 e pp. 324-25. Posteriore lo ritengono il Jackson, Flato s later theory of ideas, in " Journal of Philology XV, p. 303, e il Gaye, The platonic conception of immortality and
(1)
(2)
5o
Capitolo
IL
amplifica,
si
si
si
modifica;
pratica.
Nel Parmenide
troviamo,
come
si
veduto, la discussione e la
innanzi tutto, se le
cose singole, si opponeva, partecipano dell' idea 1' idea in e, come era stato prima supposto, esse, ne viene di necessaria conseguenza che ciascuna cosa conterr o tutta l' idea o una frazione
di essa: nel
primo caso l'idea esiste in un numero di interi separati quante sono le cose, dunque si trova nello, stesso tempo in diversi
secondo la si divide in tante frazioni quante sono le cose in cui essa entra. Neil' un caso e nell'altro essa perde quell'unit, semplicit e invariabilit, che doveva essere la sua caratteristica principale. Ebbene, Platone, senza disdirsi, si spiega meglio: le obiezioni che avete opposto, sono le conseguenze di una interpretaluoghi
;
nel
connexion ivith the theory of ideas, eh. V, con degli argomenti, che qui fuor di luogo discutere, ma che sono implicitamente confutati da quelli in contrario del Lutoslaswki, o. e, pp. 314-15 il q uale lo ritenne bens posteriore al primo libro della Repubblica, ma anteriore agli altri; cfr. specie a p. 282 l'argomento tratto dalla tripartizione dell'anima ignota al Fedone e comune alla Repubblica ed al Timeo. Anche il Windelband, Ges~h. dcr aitai P/u'los. (2* ed.) e Platon (3* ed.), abbassa di molto la data del Fedone, ma spiega la evoluzione ideila teoria delle idee in senso contrario al nostro; dalla uiun<n<; si passerebbe alla ueeEu;. Ma poich il Timeo si fonda esclusivamente sulla Miunai<;, e di porlo
its
prima del Fedone neppure il Windelband ebbe il raggio, cos dovremmo ammettere poi un ritorno
coalla
teoria prima, il che contrario a quelle norme di probabilit e di ragionevolezza che, se possono essere smentite dai fatti, non devono per altro mai trascurarsi quando si formulano delle ipotesi.
mondo.
51
tendiamo cos, noi intendiamo che la partecipazione non sia altro che la semplice somiglianza ad un tipo. Correzione o spiegazione che voglia dirsi, egli avrebbe potuto anche aggiungere che di questa maniera d'intendere egli aveva dato gi un evidentissimo documento. La teoria dell'arte infatti, quale esposta nel decimo della Repubblica, non torna logica se non ammessa questa interpretazione. Se si dovesse intendere che le cose in qualche modo ricevono la esistenza loro dalla presenza in esse delle idee, si potrebbe subito opporre (e l'obiezione effettivamente poi sempre vera), che l'artista non copia la cosa,
ma
attinge
all'
non pu
terzo di
dirsi
che
sia,
come Platone
ci
afferma,
qua della verit. Solo a patto che nella cosa l'idea non ci sia e la natura fenomenica non
che imitazione, solo a questo patto
l'arte
sia altro
qua dalla verit. Quanto poi all'altra difficolt, toccata nel citato luogo del Parmenide, della moltiplicazione delle idee all' infinito, essa forse pi immaginaria che
Nulla c' in natura di ridicolo o di spregevole aveva osservato Parmenide a Socrate che meraviglia dunque se anche ci dovessero essere idee di pelo o di fango? Ad ogni modo la teoria dell'esemplare e dell'imitazione, in questa
reale.
,
:
risposta a
numero
delle
idee assolu-
tamente necessarie poteva essere per essa sensibilmente ridotto. Se infatti le idee sono esemplari e le cose copie, pajono pi facilmente eliminabili
innanzi tutto
le
idee di relazione e di
la
innumerevole
52
Capitolo II.
moltitudine delle varianti non sar pi del tutto necessario di ascriverla a diversit di modelli, cos da richiedersene uno per ciascuna, ma la si
potr spiegare col maggiore o minor grado di somiglianza della copia all'originale (i); la qual
somiglianza pu essere poi cos scarsa e cos mal resa da averne invece disformit e deformit (il male quindi non corrisponderebbe pi ad una
a deficenza di essa), mentre d'altra parte non pu mai essere perfetta e assoluta (2), sia perch ci che diviene non pu mai uguagliarsi dise si uguagliasse sia perch a ci che
idea,
, , ,
ma
sola.
Vero
che
tipi e dove comincino le vadove finiscano rianti, nessuno l'ha saputo mai dire, n chi lo
(3).
Gli che
pu
oltre.
risolversi
altrimenti,
come
ve-
dremo pi
3. Per
io
quanto nell'esporre
la dottrina
i
platonica
raccolti
mi
fatti
dal
Lutoslawski
nell'opera citata
articoli
prima dal
pubblicati nel
Journal of Philology dal 1882 al 1886, ripresi poi nel 1897, sotto il titolo Plato s later theory of ideas, non ostante che impugnati dallo Zeller (4),
pajono a
me
incontestabili.
conseguenze
(1) Cfr.
(2) Cfr.
Jackson,
o. c.
(3)
Windelband, Platon, pp. 73-74. Lo Zeller, o. e, p. 661, impugna che nel novero idee secondo Platone sieno da raccogliere solO. e, p. 764, nota
3.
53
che da questi fatti si vollero trarre (1), e di alcune di queste dovr dire pi oltre, di una dico subito. Chi credette di dover riconoscere la necessit di rivedere e limitare la lista delle idee,
che minacciava ad un certo momento di estendersi ad abbracciare tutte le cose in modo da non dover aver pi fine n limite, trov l'opportunit
di
_
farlo,
dell'
come
si
accennato, nella
nuova
il
teoria
di
imitazione.
centro
gravit, per
cos
mondo
di
ideale
fatti
ulteriori
ultime conseguenze.
avvenne che l'Archer-Hind, sia perch avea fisso che l'ultima teoria delle idee avesse rinunciato a rispondere che cosa sia il predicato, che
cos
era stata la
domanda
capitale
della
prima, sia
perch nelle idee egli voleva trovare non soltanto le cause formali, ma altres le cause agenti delle cose, credette di poter affermare che, da
un solo caso in fuori, le idee cui si accenna nel Timeo sono tutte di esseri viventi (3), che dunque a queste soltanto aveva Platone ridotto da ultimo
la
Timeo
sua teoria delle idee. Ma effettivamente nel le cose non stanno come all'Archer-Hind
piacerebbe.
(1) Veggasi la confutazione che di alcune contro il Jackson fa il Tocco, Del Parmenide, del Sofista e del
Filebo
italiani di filologia (in " Studi pp. 391-469), pp. 402-4 e passim. (2) Cfr. Gaye, o. c, p. 129.
(3)
classica
II,
Archer-Hind, The
il
Timaeus, Introd.
33.
Si-
milmente
54
Capitolo II.
Certo innanzi tutto che in questo dialogo, gi accennato, della teoria della partecipazione non si pu riconoscere pi cenno al-
come ho
ci che entra
che esce (x eiaivTa kc eHivia) di pag. 50 C, veggasi la nota relativa; e la specie invisibile... che partecipa dell intelligibile (vporov dbc,
ti...
ueTaXauftvov tou
vc-nrc-G)
di pag.
51
non ha
le idee.
Questo
eloc,
infatti lo
spazio (xuupa), e a nessuno pu saltare in mente di credere che Platone voglia dir che lo spazio
pigli
esistenza dall'entrare
in esso
dell'idea: la
le
la
27
e 51 E,
dove
non
Ricordiamoci poi sempre la correzione del Parmenide: la uOeHic, non revocata, non esclusa; vi si dice solo che la si ha da intendere nel senso di mera imitazione e niente pi; non basta dunque, per conchiudere che Platone si contraddica o si disdica, trovare da lui usata questa o quella parola bisogna essere sicuri che
in ballo.
;
attribuirle.
questo non certo il caso del Timeo. Infatti la teoria della partecipazione in quel primo
supposto senso, non solo in esso abbandonata, ma anzi esclusa espressamente (1): a pag. 52 C (veggansi le note a questo luogo)
(1) L'assoluta esclusione della u9eSi<; nel Timeo e Fassoluto impero della uianoii;, che da capo a fondo lo informa, bastano, se ce ne fosse bisogno, ad assicurare che esso posteriore al Parmenide, dove la sostituzione proposta solo dubitativamente e quasi fuggevolmente, come una scappatoia alle obiezioni incalzanti dell'avversario.
mondo.
55
non
neppur
da questo
cosa possa afferrarsi all'esistenza, esclusa ormai ufficio l'idea, occorre un altro espediente, occorre il dove essa si generi, e questo
dove la xwpa o la ttoc-ox, di cui diremo pi oltre. Cos poche linee prima (p. 52 A) definendosi che cosa l'idea, tra le sue condizioni notata espressamente quella di non passare in altra cosa (1);. il che poche linee dopo confermato, ove si dice (p. 52 D) che fino a tanto che una sia una cosa e un'altra un'altra, n questa n quella potrebbe entrare nell'altra in modo da
restare la stessa e insieme diventar
due
a schiale
note
cose
Sulla
animate proposta e sostenuta dall'Archer-Hind, le riserve da fare sono molte e sono gravi (2). Io non discuter se veramente l'esclusione delle
idee di relazione nell'ultima teoria
dal Sofista
dotti
(3),
risulti
chiara
se l'esclusione di quelle
dei prosi
dell' industria
umana
(o"Keuao"Ta)
possa
(4),
inferire
dalla
testimonianza
di
Aristotele
non
sono sostanze, ma deficenze nel rapporto tra la cosa e il suo paradimma, possa desumersi dal Filebo (5); poniamo che questo si possa ammettere:
oflxe eie, aox eaex|uevov &\\o \Xo9ev oOxe auro \\o noi iv. (2) Cfr. Zeller, o. a, pp. 701-703. (3) Archer-Hind, o. c. Introd. 21. (4) Ibid. 22. (5) Ibid. 24; Jackson, 1. e. X, p. 283.
(1)
e<;
56
Capitolo li.
le
resterebbero sempre
Hind la argomenta soltanto ex silentio. E poi vero che non vi compariscano? (i). Ho pure accennato che all'esclusivismo delle idee di esseri
venti lo stesso
vi-
un'eccezione
a
p. 51
ammesse espressamente
il
B, e di questa difficolt
(2),
nostro autore
ma
con affermazioni
si
in
questo
possa pur riconoscere una sopravvivenza dell'antica teoria. Se non che la difficolt in questo luogo
si
luogo assai pi grave che l'Archer-Hind non rilevi, e bene la apprezza soltanto chi legge il passo nel suo contesto a cominciare da p. 48 E. E un punto principalmente di questo contesto d da pensare, ed a pp. 49 E-50 A, dove, parlandosi di ci che apparisce (qpavTEeTai) in qualche cosa
e poi scomparisce,
non
ci si
ma
si
va
il
oltre,
oltre
il
assai,
fino a citare
come esempio
caldo ed
e derivati.
bianco e qualsiasi dei loro contrari caldo e bianco non sono pi cose,
predicazioni.
ma
qualit o
Che pi
il
p.
49 D,
t toioutov, imdichiarate qualit, e plicitamente esse pure son anche la differenza che pareva dovesse esservi col
riferendosi alle quattro specie
(1) Perla lista delle idee singole che si trovano nominate in Platone, cfr. Zeller, o.c, p. 701, n. 1, e Tocco,
33.
57
si
il
dilegua.
si
mondo
immagine
immagine
delle idee
ma
Platone
escluse, ci
corre molto',
il
corre troppo.
Diciamolo pure;
sia criticamente
ma
io
Vogliamo
Timeo
ci
appartiene in-
oltre
il
principio (p. 28 C)
gli
l'artefice,
far
cosa bel-
dottrina plato(1),
aveva dunque l'esemplare del mondo, cui Dio si inform nella creazione, un'esistenza a s fuori di Dio ? Gli stessi dubbi e gli stessi dissensi degli interpreti moderni ebbero gi i neoplatonici poi si decisero ad ammettere le idee
:
(1) Giova, anzi indispensabile, per questa questione tener sempre presente anche la testimonianza di Aristotele, Metaph. I, 6, II, 2, 15-16, XIII, 4, 6 e altri luoghi
58
Capitolo II.
ebbero condisse
l'intel-
senzienti
e Boezio e tutti
Plotino
(1),
non fuori dell' intelligenza, e quindi che demiurgo ha in s l'esemplare; e Proclo, l'ultima voce del platonismo pagano, pi modesto e pi prudente, dopo aver osservato che l'esemplare vor|Ts
o voeps, cio intelligibile e dopo parecchie distinzioni e non viene a questa conclusione, la quale sottigliezze, anche tolta dal suo contesto mi pare conservi il
intelligente, e
mi
demiurgo, dice, vede l'esemlo vede rivolgendosi in s stesso, e ci vuol dire che lo ha in s; o lo vede fuori di s: ma in tal caso ne avrebbe una sensasuo valore
(2):
se
il
plare intelligibile, o
zione (cuaGnox) e
il
non
che non pu stare. A questa conclusione egli era venuto per altra via anche alcune pagine prima (4): se il demiurgo, diceva, intelligenza (vouc,), si domanda se ci che essa fa lo fa ragionando (XoYiuevoq) o per virt del suo stesso essere rispondeva non (auto tuj eivai). Ragionando pare, perch il ragionamento importa una mutazione e presuppone gli accidenti delle facolt singole dell'anima; ma posto pure ch'egli operi in tal modo, resterebbe sempre che egli do, ,
in
s tutta
cosa deliberata. Che se invece, come pi consentaneo ammettere, egli delibera ed opera
(1)
(2) (3)
(4)
18.
mondo.
59
per virt del suo stesso essere, delibera ed opera di necessit cosa simile a s, e cos deve avere di necessit in s gli esemplari di ci che produce.
che
si
debba intendere
cos,
conchiude
Proclo
(p.
(1),
29 E) che Dio, essendo buono, volle che tutte cose fossero simili a lui Y^VO"0at pouXrjGrj TrapairXricria auia. Se le cose sono simili all'ele
:
simili
a Dio, l'esem-
non pu essere
al
fuori di Dio.
di
ragionamento
Proclo
si
pu aggiunaver de-
Dopo
sommariamente la creazione e resa ragione della forma del mondo, ap. 34 A, Timeo conchiude
Tutto questo ragionamento ragionato (XoDio che sempre , intorno a quel Dio (cio il mondo) che doveva crearsi,
cos
:
Ora il ragionamento non altro che la ragione per la quale il mondo ebbe quella data forma l'esemplare rappresentato sotto forma logica, che
fece
un corpo
si
cos e cos.
di cui qui
parla
come
dire che
l'esemplare
il
ragionamento
ed esemplare sono la stessa cosa, e se in Dio il ragionamento, in Dio dovr essere pur l'esemplare
(2).
argomentiamo^ pure a quest'altro modo: Le idee nostre secondo Platone 1) hanno esistenza
separata
rata
fuori
di noi,
2)
fuori delle
cose, 3) sono
O. e, p. 98 F. Similmente di un \yo<; e di una bidvoia di Dio si parla a p. 38 C, a proposito della generazione del tempo di sul modello dell'eternit.
(1)
(2)
6o
cose.
Captolo li.
noi,
secondo
il
nostro
modo
di vedere,
potremmo impugnare
seconda e
la terza,
Ma
la
questione
si
presenta
Le cose non sono ancora e se hanno principio, e se Dio ne il creatore, egli di conseguenza intende e sa in precedenza quello che sar la creazione. Ora questo suo cone cetto non pu essere frutto dell'esperienza quindi non pu esser neanche n temporalmente n logicamente posteriore alle cose, come abconcetti nostri. Perci biamo opposto essere la teoria platonica rispetto a Dio di necessit torna vera in queste due conclusioni i) che le idee hanno esistenza separata dalle cose, 2) che
alla creazione.
;
esse
sono antecedenti alle cose. Resta pertanto a vedere solo se sia vero, secondo Platone, rispetto a Dio anche l'altro postulato, cio che le idee abbiano esistenza separata dal soggetto che le pensa. E qui innanzi tutto da osservare che. a sostenere che le idee sieno in Dio, non si impugna, ma anzi si conferma, per tutte le altre creature intelligenti il principio enunsono fuori dell'intelligenza creata, appunto perch sono nell' intelligenza creante esse sono immutabili ed eterne, appunto perch immutabile ed eterna questa intelligenza. Questo
ciato: le idee
;
pare scaturire piano e facile dai posti principi e dai susseguenti ragionamenti.
5.
Ma
poich
la
concorda con queste conclusioni, e gli altri, dopo una lunga e minuta
analisi della
Delle idee
dell'origine del
mondo.
61
ad esaminare
causa
ragioni avversarie.
Secondo
lo Zeller la
e la
spiegazione del
si
mondo
ricerche scientifiche
e se,
dice (i),
bisogno della Divinit, come nel Timeo, egli la introduce senza dimostrazione e senz'altra determinazione, come presupposto di fede: per sua personale convenienza e per l'uso pratico sopra
tutto egli
si
si attiene alla credenza negli Dei. Egli adopera bens di purificarla secondo lo spirito della sua filosofia, ma non indaga accuratamente il suo rapporto con la dottrina delle idee; solo si accontenta del pensiero generale, che queste e quella si riducano alla stessa cosa, che le idee siano la Divinit vera e che la idea pi
alta
corrisponda
alla
pi alta Divinit.
Le
idee
adunque per
esse stesse
sieri di
una
intelligenza,
ma
dotate di intelligenza
(2).
Le
pp. 716-17. recenti anche il Windelband, Platon, p. 78, e Gesch.d. alien Philos. p. 117, nega che le idee sieno i pensieri di Dio. L'Ueberweg, Grundriss der Geschiclite 9 der Philos., I p. 194, identifica il bn^ioupTq con l'idea del bene. Il Gomperz, Griechische Denker, II, pp. 484-86, d delle idee una spiegazione affatto simile alio Zeller, anzi crede che dalle concezioni popolari della Divinit Platone sia nel Timeo pi che mai lontano. Il Jackson stesso per via diversa giunge ad una conclusione anche analoga, o. e, XIII, p. 34: "Il r)Uioi>PY<; un duplicato mitico del rct-rv, precisamente come la v^Kn un duplicato mitico del Gdxepov... In fatto il n|inoupY<; del Timeo e la ama rfj<; |ai5euuq del Filebo sono, per cos dire, impalcature, che devono essere rimosse quando
(1)
e,
i
O.
(2)
Fra
Fraccaroli,
Il
Timeo di Platone.
62
Capitolo II.
sono rappresentate da Platone come cause immanenti delle cose, e l'idea del bene, somma di tutte le idee, quella che attribuisce la realt a ci che si conosce (i) e concede al conoscente la facolt di conoscere, come detto in un celebre luogo del sesto della Repubblica (p. 508 E), che avremo occasione di esaminare pi oltre. Certamente, continua lo Zeller, anche le idee
e coordinazione tra loro, e si pu pensare di esse una gradazione, ma Platone non la determin e si ferm solo al vertice, all'idea pi alta di tutte, quella del bene (2). L'idea del bene sarebbe Dio, il Dio supremo, il creatore.
hanno rapporti
compiuto. Cfr. Natorp, Platos Ideenlehre, pp. 313-15 e 340 sgg. Ritiene invece le idee come esistenti in Dio innanzi a tutti (e gli va perci restituito il merito della priorit) G. M. Bertini, Nuova interpretazione delle idee platoniche, negli " Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino voi. XI, a. 1876, pp. 997-1083, notevolissimo saggio, l'ultimo, credo, dell'insigne filosofo torinese. " Le idee, conchiude egli a " non sono pensieri divini, cio atti di Dio p. 1069, come soggetto pensante, non sono neppure oggetti dil'edifcio
stinti
individualmente
l'uno
dall'altro, stanti
assoluta-
mente da s, ma sono lo stesso essere divino pensato da Dio come comunicabile per manifestazione o per partecipazione a ci che diverso da lui. Dei recenti veg/gasi il Lutoslawski (o. e, passim, e specialmen'.e
presso PP- 303-5 3 6o 424> 433 447-48, 470-71 477 493) il quale, a pp. 25-26, note 67-69, puoi vedere anche la bibliografia di questa questione. Agli autori ivi ricordati puoi aggiungere O. Apelt citato dal Tocco, Del Parmenide, ecc., che da p. 421 in poi si sforza di confu>
tarlo (cfr. anche Ricerche Plat., p. 34), ed A. The later ontology 0/ Plato, in " Mind XI, PP- 3i-53(1)
W.
Benn,
(1902),
O. e, pp. 687-88.
Natorp, o. c, p. 329, intende per questa idea la idea dell'idea o la legge della legge (das Gesets der
(2) Il
Gesetzlichkeit selbst).
63
,
Ci
soggiunge
ancora (1), che il concetto del bene, non solo possa essere ipostatizzato, ma possa senz'altro essere dichiarato come la sula ragione prema forza o ragione operante
:
noi
siamo avvezzi a figurarcela soltanto nella forma della personalit, la quale non sembra si
possa accoppiare alle idee. Ma si domanda pure, se tutto questo a Platone apparve poi cos inconcepibile come a noi. Chi aveva pensato, continua, la
grandezza e la piccolezza come realt, poteva anche fare una realt a s di un rapporto di scopo, e dello scopo assoluto, ossia del bene, fare una causa assoluta e un essere assoE ci possibile certamente, ma altretluto. tanto possibile per lo meno il ragionamento contrario: se Platone nella concezione delle idee fece un passo molto ardito, doveva pensare piut-
secondo
servito
che a mettere in luce quanto anche il primo fosse inconsulto. Le idee sono ci che ? Voi lo dite, gli si poteva rispondere, ma sarebbe
di dimostrarlo.
La ragione
logica,
che siano l' oggetto dell' intelligenza, 1 abbiamo sentita; ora desideriamo una ragione ontologica. Perch o come esistono? Come avviene che da
oggetto dell'intelligenza diventano ad un tratto soggetto? Anche lo Zeller riconosce che (2) noi
siamo
veramente avvezzi a distinguere tra le cause formali e le cause agenti, e non confonderemmo le idee universali con la ragione crea-
ti)
(2)
64
trice
Capitolo li.
che il Filebo indica come cagione . E analogamente si pu rispondere domandando, se poi certo che questa confusione Platone stesso l'abbia fatta: appunto ci di cui si discute. ch'egli adduce, del Fedone (p. 100 Il luogo,
delle idee come cause formali; il luogo del Filebo (pp. 26 E-30 D) parla del creae 1' equazione tra il tore come causa agente creatore e l'idea, che qui si vorrebbe vedere, si fonda su di un'interpretazione che io credo falsa, la quale, poich questo luogo verte anche sulla questione della materia, per non ripetermi e non spezzarne la dichiarazione, esaminer nel capitolo seguente. Cos se nel Sofista (p. 248 E) a
C-D) parla
si attri-
buisce anche anima e movimento, il Lutoslawski (1) nega che questo iravreXiIx; v sia l'idea; fosse
anche, non
si
capirebbe
come
mento
Sta in fatto
che
le
idee ed
il
creatore,
dopo
mente ed espressamente
la
il
come
loro
rapporto
resta
non
chiaro,
il
demiurgo
O. e, p. 424. Cfr. Bertini, 1. e, pag. 1028. La questione troppo grossa per poterne trattare sufficentemente per incidenza. Cfr. per esempio Chiappelli, o. c, pp. 157 sgg. Lo Zeller, o. c., p. 696, che pur crede che alle idee si deva attribuire e movimento ed attivit, confessa che non si sa poi come immaginar ci, e riconosce che Platone non l'ha indicato. Il Tocco, Del Parm. ecc. passim, collocando il Sofista col Parmenide e col Filebo dopo il Timeo, vorrebbe veder cjui un nuovo indirizzo, al Timeo ancora ignoto. Cfr. pure del Tocco le Ricerche Platoniche, capp. I e II. (3) O. e, p. 695. Cfr. pp. 716-717, gi citate, e 765, che
(1)
(2)
65
il
stesso
mitica, perch
suo
come una
soluzione scien-
della questione
sul scientifico,
luzione.
arbi-
Platone
teologo e
una personalit sola. Egli risponde ai diversi quesiti secondo queste diverse disposizioni della sua anima, che noi possiamo bens idealmente distinguere per comodo della nostra analisi, ma non giudicare separatamente e indipendentemente l'una dall'altra. Dove finisca il filosofo e dove cominci
il
il
teologo e
gli
sottentri
potremo qualche volta bens tentar di scoprire, ma non abbiamo diritto di dire che questa parte o quella abbia minor seriet, minor importanza. Tutto deve essere preso in considerazione come ugualmente importante, secondo il diverso spirito in cui stato concepito, e tutto deve essere interpretato secondo quello spirito. Se Platone teologo crede a un Dio personale, ci non
l'artista,
ci permette di affermare che per Platone filosofo questo dovesse essere semplicemente una favola potremo dire che l dove la ragione sua era in:
con
la fede,
ma non potremo
sincera della
dir
mai che
la
meno
sua ragione.
certamente con
la sostituzione della
jaijaricTKS
demiurgo era diventato anche pi evidentemente necessario. Con la teoria della partecipazione una relazione tra il mondo ideale e il mondo fenomenico c'era: non se ne vedeva chiaro il perch, ma si affermava
alla uGeic, l'intervento del
66
Capito/o li.
almeno
stacco
il fatto; con quella dell'imitazione il didivenne assoluto. Che ne facciamo di questi due mondi, che non sono pi in alcuna relazione tra loro? Ed ecco che il demiurgo colma questa lacuna. Se il mondo del divenire immagine del mondo dell'essere, questo opera
sua: solo un'intelligenza suprema ed attiva poteva operare questa meraviglia. Ed effettivamente
Platone
mostra
di
averla
intesa
cos, e
il
suo
demiurgo in realt lo troviamo intervenire soltanto quando la teoria dell'imitazione gi fissata, per la prima volta nel decimo della Repubblica, e questa ancora un po' materialmente, poi nel Filebo, poi nel Timeo, dove espressamente
la
causa prima,
la
il
causa efficente,
carattere cosi
la
causa con-
sciente. In verit
schiettamente
vuole attribuire a questa figura, io non lo so riconoscere, pi che non lo riconosca nel vovq di Anassagora. Platone qui chiaro ed esplicito (i). E concedasi pure il carattere mitomitologico, che
si
logico,
in
fatto
concedasi
il
sempre
che nel Timeo il demiurgo e il paradimma sono rappresentati incontestabilmente come due cose diverse e sia pure mito quanto
;
due cose diverse e volutamente diverse ne vogliamo far una, per quanto
si
vuole,
ma
se di
tra
il
senso reale ed
il
figurato
distruggeremo
sbizzarrirci
perci
il
pensiero nostro.
D'altra parte se Anassagora aveva riconosciuto che ordinatrice dell'universo doveva essere un'in-
(i) Cfr.
Bertini,
1.
e, pp. 1053-54.
67
telligenza, e se,
come aveva
fatto Socrate,
anche
Platone accett di tutto cuore questo principio, pare assai pi logico e ragionevole il credere che all'intelligenza abbia associato l'intelligibile, di quello che del semplice intelligibile abbia fatto
di
punto
in
l'intelligente,
ma
la
fonte dell'intelligenza
e pi
in altre parole pi
ovvio
logico dire
il
ritenere
abbia dedotto
pensato, di quello
nulla c'
in Platone
che smentisca un
tal
ragionamento. Se nel Timeo a p. 37 C le idee sono addirittura chiamate Dei eterni, questo non vuol dire che esse sieno Dio: anche gli Dei inferiori si
che fare
luoghi
si
chiamano appunto Dei, ma non hanno col Dio padre e creatore (2). Se in altri
parla delle idee
ap-
punto
cause seconde (3), ci non vuol dire se non questo, che ogni fenomeno del mondo del divenire potr bens dipendere
in
opposizione
alle
da qualche
altro
fenomeno
l'
del
mondo
stesso,
ma
ha nel suo rapporto col mondo dell'essere, il che non, importa che nel mondo dell'essere al di l della causa formale non dobbiamo riconoscere anche la causa agente. N il famoso luogo sopra accennato de Rep. VI, p. 508 D-E decisivo per questa questione. Vi si dice infatti bens che l'idea del bene
la
conferisce
la
verit
ci che
si
conosce e
la
ma
vi
si
sog-
le
quali,
68
Capitolo
IL
codici (i), pare sieno
come
senso
ce
le
trasmisero
ha da intendere l'affermazione precesenso sarebbe che essa idea fa s che attuare la conoscenza della verit in si possa quanto essa stessa oggetto dell'intelligenza (2).
si
dente
il
Comunque poi questo luogo si voglia intenderlo, potremmo sempre dire che esso non rappresenta
certo
l'ultima dottrina platonica:
il
tra la
Repub-
blica ed
Timeo
ci
non furono anni di stasi. Arroge che se per il Timeo l'idea fosse essa stessa Dio, non si capirebbe pi bene perch a
e
(1)
toOto toivuv t tv
\f|0eictv
uapxov to;
yrfvuj-
YtYVlkOKOVTl
t.v va.uiv
iroiv tf\v
toO ya6o0 bav cpGi elvai, e fin qui il testo chiaro e certo ci che segue pi che dubbio, e I'Adam lo
:
cos ii<; YiYvu>(JKO|iivnv nv i voO, un<; oOffav Kal \r]Qeiac,. Questa lezione
:
la nostra tesi, perch ammetterebbe la causa consciente sopra della causa formale conviene per riconoscere che alla lezione dei migliori codici essa fa troppa violenza. Sebbene bi voO sia la vulgata, il biavooO di A'corrisponde bene al cpd9t che precede;
timamente con
e YiYvwcKOiuvriv un del Van Heusde, come delVan Heusde l'ordine delle parole, che i codici invece leggono aTictv ... X.n9iac; \bc, YiYV-uaxoiuvrK M^v biavooO, erroneamente certo anche perch al juv manca il corrispondente.
ci basta:
A ha Yrfvu><JKOuvr|<;,
emendamento
(2) Il Bertini, 1. e, p. 1025 e passim, dice che il Bene di cui qui si tratta " pi che idea, pi che scibile infatti per to<; y i Yvujokoju6voi<; non si potrebbero in senso
:
intendere che le idee; che le idee sole sono oggetto della conoscenza ora ci che conferisce la verit alle idee deve essere qualche cosa ad esse superiore. Gli che a prendere toI(; YiY v w<JKOuvoiq in senso tecnico bisognerebbe poi prendere non pi in senso tecnico, ma volgare, tv toO YaOoO bav, appunto come rr'iv toO TtXeuovoc; lav in Tim. p. 70 C, e ti^v toO fiirato<; lav, ibid. p. 71 A, come il Bertini sostiene.
tecnico
:
mondo.
69
si dica che il fattore ed il padre di cose universe difficile saperlo trovare, e chi lo abbia trovato impossibile che lo indichi agli altri Non pare infatti che quella difficolt sia pi tanto grave, quando accettassimo
p.
28
queste
che esso
avremmo
il
in ci di gi
una
pi
risposta.
La
difficolt
non dovrebbe
allora
essere
nel dire
che cosa
creatore,
ma
nello spiegare
tiva,
come mai
le
l'intelligibile sia
diventato intelligente.
idee e Dio fossero la avrebbe ci che soggiunto a questo stesso luogo tutto di seguito ? Dice infatti: Ma questo per altro si pu viceversa indagare di lui, su quale degli esemplari chi ha
Arroge ancora: se
senso
fabbricato
il
mondo
lo
modo
o su quello che ebbe nascimento. Come? Se Platone vuol dare ad intendere che il creatore non altro che l'idea in azione, che razza di
discorso
questo,
di
domandare
se l'idea po-
trebbe diventare azione cessando di essere? Cesserebbe infatti di essere, qualora diventasse l'esemplare generato.
Non
c'
Anche
p.
il
597 B, e tutta la teoria dell'imitazione artistica pare faccia contro lo Zeller. Afferma infatti Platone che le cose sono imitazione delle idee e le opere d'arte delle cose, e reca l'esempio del letto: c' un letto idea, ci sono dei letti cose e ci sono questi sono dei letti rappresentati in pittura dei secondi, e i secondi del primo. imitazione
:
Ora
il
letto
idea,
dice,
potremmo
dire
che
70
fatto
sia
Capitolo
IL
da Dio
(i).
subito
dopo soggiunge
che,
che questi non volesse farne pi d'uno, sia che qualche necessit ci fosse di farne uno solo, uno solo ne fece (2). Ora bens vero che questa maniera d'esprimersi impropria, il che non
isfugg
tefice
neppure
dell'idea,
agli antichi
delle idee
n esatto dire che Dio rispetto ad esse sia tale (3). Ma ci non importa che per questa inesattezza si deva buttare a mare "tutto il contesto. Innanzi tutto si pu osservare che Platone stesso non intende di
parole
dare
qui alle
sue
un senso
preciso,
ma
soltanto approssi-
mativo: qpouuev v,
certo
wc, Y<l>uai, si
potrebbe dire in
modo, tanto per conservare la stessa gradazione degli altri due casi. Oltre di ci, da dire che il letto idea opera di Dio, ad intendere che un pensiero di Dio, il passo breve (4):
v xfj optfei oOaa, r^v qpcrtuev fiv, ux; yfyuia |uv 8ev ipfcraaBcu. Dissento assolutamente dal Tocco, Del Parm. ecc. pp. 445-46 sull'interpretazione delle parole v xr| qpucrei, per la quale " il letto fatto da Dio,
5
(1)
luai,
cio
il
prato
il
bosco, dove
sulla
ci
si
pu riposare
pi lavorata,
le
si
coltrice
confonde con l'idea stessa del letto. N si potrebbe dire che questo letto uno solo, n questo potrebbe
esser mai il letto idea. outw<; uoinaev uiav uvov (2) p. 597 C
:
aTi?iv xevnv
8 gcrnv KXivn. iroinTv tP oitv Xyei (3) Procl. in Tini., p. 104 F: tv 9ev kcx nuioupYv tujv b ewv ok ?cm nmoupY<;. " Iddio crea le idee, dice il Lutoslawski, o. c, (4) " questa un'espressione p. 314 (cfr. anche p. 360); metaforica, la quale, tradotta in parole astratte, significa: le idee sono un prodotto del pensiero puro, non necessariamente degli uomini, ma di un soggetto pensante. Questo un conseguente svolgimento della teoria intorno all'idea del Bene, che era la causa finale di tutte le altre idee- Ora questa idea del bene soppiantata
mondo.
71
il letto idea e Dio si confondano insieme, il salto terribile e mortale. O bisognerebbe in tal caso rinunciare a ritenere le idee distinte le une dalle altre e fonderle tutte
insieme nell'unit di Dio, il che Platone non ci consente (1), e ancora non si vede come
o identificando Dio con l'idea del, bene, e ritenendo che essenza della Divinit sia, non gi l'essere il bene, ma l'essere
il
tutto,
tra
Dio e
ammettere poi tanti Dei infequante sono le altre idee singole e questa concezione non pare accettabile, non tanto perch sia politeistica, quanto perch di tal risultato ci sarebbe, a dir vero, ben poco da congratularsi con la filosofia. Socrate, abbiamo veduto, nel Parmenide non si arrischia ad affermare che vi sia un'idea di pelo, un'idea di fango cosa avrebbe detto, se gli avessero soggiunto che, quando egli avesse acconsentito ad ammetterle, avrebbe per
idea, bisognerebbe
riori
;
;
ci
ammesso
l'esistenza
di altrettante
divinit?
Sia pure
che la teoria dell' imitazione possa ridurre di molto il numero necessario delle idee,
( 0e<;). Il
da Dio, non da qualche Dio o da un Dio, ma dal Dio monoteismo apparisce chiaramente stabilito
sottintesa.
come cosa
(1)
" Il
Ayo<;, come unit complessiva di Platone non vi , e nasce per la prima volta col Giudaismo Alessandrino. Chiappelli, Sulla interpr. pani. p. 155. Il Xoyiaui; GeoO di p. 34 potrebbe per essere considerato come il germe gi fecondo di questo concetto. Se infatti questo oyict|h<; il paradimma del mondo, in questo paradimma tutte le idee devono essere comprese, e non resta che assumerle in
concetto del
tutte le idee, in
un'unit.
12
sia
Capitolo II.
pure che
il
lo
riduca
il
ai
sia lecito
ridurlo,
politeismo inevitabile.
Ma
della
delle idee
somiglianza o
tipo?
coordinazione attuale
r
Ce ne ha detto Platone qualche cosa Ammettiamo pure che con l'accennata teoria padelle idee
p.
402 C, e V.
p.
475
e se-
guenti, ma parecchie altre ne restano sempre. Che ne facciamo dei TrapaeiYiuaTa piuuv, de Rep. X.
p. 617 D? Che ne facciamo del pio<g cteoc;, che uno degli esemplari v tl vti cmTiuv secondo il Teeteto, p. 176 E? Se la vita senza Dio espressamente un paradimma di vita, non la si pu pi spiegare come una deficenza di un altro esem-
perch
alle
sue
possa applicare quello spediente. Or come pu essere Dio, o in qualsiasi modo emanazione di Dio, la vita senza Dio ?
parole
si
la
coordinazione
In
fatti,
ci
eliminazione.
disse. Prati-
mostr le idee coordinate in unit nel paradimma del cosmo; ma teoricamente, come abbiamo veduto, non ci indic che la prima, quella del bene, e quanto al resto ci piant in asso. Anzi c' di peggio: se non ci avesse indicato neanche quella, probabilmente noi, procedendo logicamente, verremmo a ben altra conclusione. Ogni idea ne ha sopra di s un'altra pi
camente
ci
73
rebbe l'idea madre (1). Se pertanto Platone pose invece per prima l'idea del bene, rinunziando alla graduazione logica per la graduazione teleologica, o contrapponendo luna all'altra, ci lasci in un imbroglio molto pi grave che se non
avesse neppure cominciato a graduare. D'altra parte se le idee sono esse stesse ci che , e sono tali per virt propria e non per parteci-
vede come n perch possano essere, quanto all'essere, tra loro diverse. Se sono, hanno l'essere egualmente intero tutte quante, ed egualmente da s ciascuna, e questo pare in contraddizione con ogni possibile coordinazione (2), che si risolverebbe di necessit in preponderanza e subordinazione. Ma poniamo che coordinazione sia possibile; ebbene, questa non pu darsi che per effetto di una ragione superiore a loro, che tutte quante le governi, che
pazione,
non
si
Tutte queste
le
difficolt
e facilmente eliminate,
idee
non siano
fuori,
ma
dentro
del loro
dell'intelli-
coordina-
mento allora evidente a priori, ancorch noi non possiamo comprenderne le modalit. L'idea
del bene in tal caso non altro che il primo pensiero di Dio. Dio buono, e perci pensa il
(1) Sulla coordinazione (xoivuuvia) delle idee toccata nel Sofista in questo sensV'cfr. Tocco, Ricerche Piai. pp. 36 sgg. oot' tic,? aux etaexuevov XXo <5X(2) Cfr. p. 52 Xo6v out' de, fiXXo ttoi iv. Cfr. pure Phaedr. p. 247 E: o' fi axi uou xpa v rpiy oOaa. Vero che nel Sofista di una Koivuuvia delle idee si discorre, ma tutto sta a vedere qual senso a questa KOivwvict si possa dare.
Fraccaroli,
Il
Timeo di Platone.
74
Capitolo
IL
innanzi a tutte
quando si dice che Dio buono, non si accenna ad una sua qualit esteriore o accidentale; non si dice ci che egli ha, ma ci che egli (i): in questo senso si pu dire che egli il bene. Ma la bont di Dio
sua creazione.
inerente alla sua intelligenza, e
come
intelligenza
Timeo
ripetutamente rappresentata
la
come
in(2):
Iddio dunque
(notisi la parola) di
ogni cosa bella e buona le cause prime; e poco prima aveva detto che la intelligenza non pu appartenere che all'anima.
Questo pare sia parlar chiaro. La suprema intelligenza d'altra parte deve anche il tutto intendere e tutto conoscere male, in quanto esiste, deve essere conosciuto da lei. Sia pure il pio? Qeoc, una imperfezione del pio?, in quanto questa vita si d, imperfezione o sostanza che sia, in Dio si deve specchiare egli sa cos' il peccatore, egli ne pensa diremo cos, il concetto. Or questi concetti, negativi, sono essi idee? Certo che no, se riteniamo le idee, non come oggetti per cos dire
:
esteriori
al
soggetto divino,
ma come
si
lo stesro
rivolge su
Ma
poich
in
se non vogliamo che sieno idee, Dio anche questi concetti si spec-
(1)
(2)
Cfr. Bertini,
p.
1.
e, p. 1050 e passim.
iiier
28 A: vorrei
Xyou uepiXr|TrTv
p.
29 A:
o.
ueptXriiTTv. Cfr.
Lutoslawski,
c,
75
chiano,
si
ammette Platone
creato?
Ammette dunque
sono idee.
Ma
luoghi
se tutto ci vero,
che ne facciamo
il
quale nei
sopra
la
citati
in
altri
ancora,
combatidee,
tendo
ce
la
teoria
di
Platone
intorno
le
alle
rappresenta
come ponesse
idee sepa-
rate (xwpiOTCu)
ed
esistenti di per s?
le
Lo
Zeller
idee plasi
esistenti,
critica di Aristotele a
mala pena
si
potrebbe
tro-
probativo.
di
sbigottirsi
per
la
quando
gli
maestro non sono n rari n piccoli, e specialmente sul Timeo, come vedremo anche pi oltre, ne ha di quelli che per noi sarebbero imperdonabili. Siamo d'accordo col Tocco che
trine del
l'affermazione di Aristotele
loquio,
(2),
essere la dottrina
quando non
e'
chi operi
un vaniguardando ad
esse
come
Ma
poich
chi opera
guardando appunto
le idee,
c' espres-
(1) O. e, p. 670, nota 1. Cfr. Tocco, Del Parm. ecc. pp. 442-43 e A. W. Benn, 1. e. passim. (2) Metaph. I, 9, 8 (ripetuto XII, 5, 4): t Xyeiv uapcceiYuaTa aura (le idee) elvai xal uerxeiv axOv xfiXXa KevoXoyetv cm k<x uexacpopc; Xyeiv TTOinriK<i<;. t fp t pYtuevov irpq t<; lac; ttoPXtcov; cfr. XI, 6, 3 o8v Spot qpeXo; o' v oaicti; Troifiauuuev iiouq, iaitep ol x elbri, et un ti<; buvauvri vaxai .p\i] uera:
P XXeiv.
76
Capitolo
IL
protagonista dell'azione,
il
nuioupx<g,
posto che
anche Aristotele lo ritenesse semplicemente una figura mitica, avrebbe dovuto degnarsi di dichiararlo, come fanno i moderni, poich non ad ogni modo questa una cosa tanto piana ed evidente da passare per sottintesa. Per me non ci vedo altra uscita: o il Timeo che possediamo una falsificazione (il che stoltezza pensare), o vaniloquio in questo caso si dovr dire, non quello di Platone, ma quello del suo censore.
D'altra
delle idee
,
parte
per chi
considera
la
dottrina
indipendentemente da Dio e dalla creazione quale apparisce nel Simposio e nel Fedone, la conclusione che le idee sieno xwpicrrcu legittima: soltanto un'interpretazione monca. Le idee esistono di per s fuori di noi e fuori delle cose (1), e questo dogma non trovo che Platone l'abbia mai mutato n disdetto: ai conesse non sono cetti socratici egli non ritorn nostri pensieri. E rispetto a Dio? La domanda richiede risposta soltanto quando Dio sia posto in contestazione con esse, e il dire che esistono in Dio non distrugge, ma compie l'affermazione
:
l'affer-
mazione d'ora nel senso che Dio ed il mondo perci si hanno a intendere come due cose distinte e separate Platone non dunque un pan:
tesi
(i)"La confutazione, in Pann. p. 132 B-D, dell'ipoche le idee sieno pensieri (vonuorra), solo in rapporto alla teoria della u8ei<;, ed anzi per rispondere a questa confutazione che Socrate si riduce a dire che la uBeEiq non sia altro che un eKaoGfjvat.
Delle idee
teista.
dell'origine del
mondo.
77
di Aristotele sia
manchevole. Se
la
vogliamo pren-
dere come piena e definitiva, la sola illazione ammissibile che si potrebbe trarre, non sarebbe mai che le idee sieno da intendere per Dio stesso, ma che Platone, a giudizio dello Stagirita, abbia
ammesso
indipendentemente dunque, del quale resterebbe da Dio, un dualismo assolutamente indimostrata la ragione e inesplical'esistenza delle idee
bile la conciliazione.
Ma
Il
dilemma che
propone, se cio Dio creasse il mondo su di un esemplare eterno e immutabile, o su di un esemplare generato, per s stesso abbastanza strano. Sta bene che la risposta abbia deciso a favore dell'eterno, perch Dio buono e doveva far cosa buona, ma la risposta sarebbe
Platone
parsa pi ovvia, se avesse detto che
secondo il corno del dilemma era impossibile, perch esemplari generati prima della generazione non ne esistevano e non ne potevano esistere. Esami-
neremo pi
ma
se pur volessimo
ritenere
senz' altro la
materia
e perci
come
non
la
potrebbe dire
generata
se
(1),
ammettiamo una
,
e questa di materia informe sensibile (p. 28 B-C), questa materia informe e disordinata, questo TtXrnuueXc,, non avrebbe potuto per sua natura esser considerato come esemplare
prima creazione
(1) Di questo non si accorse il Bertini, 1. e, p. 1056, che perci ritenne paradimma generato la materia in-
forme.
78
della creazione
Capitolo
IL
neppure in ipotesi, perch l'informe non pu essere il tipo della forma, perch essere 1' esemplare dell'oril disordine non pu dine, e la forma e l'ordine appunto sono della creazione, secondo il filosofo nostro, le caratteristiche essenziali. Non che dunque questa ipotetica
materia originaria la si potesse dire un brutto esemplare, essa non sarebbe stata, rispetto alla forma, esemplare n brutto n bello, in quanto che non aveva affatto alcuna forma. Esemplare generato prima della creazione non ce ne poteva
essere.
Dire,
come dicevano
(1),
alcuni interpreti
il
cui Proclo
accenna
sia
dilemma
si
accomodato
modo
volgare di
;
non risolvere la questione n si vede come un volgar modo di concepire qui possa aver luogo. Piuttosto si pu osservare eh' egli spiega l'opera del creatore con dei motivi non soltanto occasionali, ma assoluti, ch'egli ebbe di mira non soltanto la creazione primitiva, ma la
concepire,
ogni sua possibile manifestazione, anche posteriore, la creazione in quanto creazione. Chi tenga presente la teoria dell'arte svolta nel decimo della Repubblica, e come 1' arte sia da Platone vilipesa appunto perch, secondo lui, imitazione di ci che appare e non di ci che
creazione in
,
come
1'
come
le
Notinsi,
mondo.
79
della creazione, le condizioni assolute e sempre vere in qualsiasi momento, non un motivo occa-
sionale ed esteriore.
Intesa
come l'abbiamo
dichiarata, la dottrina
platonica della preesistenza delle idee alle cose perfettamente consentanea, e nel procedimento
della creazione l'ufficio dell'esemplare,
sia
non che
:
superfluo, anzi
chi
costruisce
avere in
una nave, di necessit deve prima mente il modello della nave. N la cosa
potrebbe essere sostanzialmente diversa per chi ammettesse del mondo una concezione puramente naturalistica. Se il feto tende a quella determinata perfezione finale passando per quei determinati gradi evolutivi, ciascun grado immediatamente seguente la meta e lo scopo del
grado immediatamente precedente, e di uno in altro si passa sempre per una tendenza di finalit che, se anche inconsciente, non perci meno determinata e meno vera. Questa finalit pertanto logicamente antecedente al suo ragessa il concetto o 1' idea che giungimento
un
un
certo rispetto
riceve di qui
preesiste
;
un nuovo
al
rincalzo.
L'idea del
mondo
mondo
per necessit logica e ontologica e se essa in Dio, poich Dio sempre allo stesso modo, di
necessit anche
allo stesso
l'
modo
idea dovr essere in lui sempre (2), e perci sar eterna ed im-
" In omnibus (1) Cfr. Thom., S. Th. I, qu. 15, a. 1 enim, quae non a casu generantur, necesse est formam esse finem generationis cuiuscumque. Conv. Ili, 4, 11. 51 sgg. (2) Analogamente Dante, " Siccome il divino amore tutto eterno, cos conviene
:
80
Capitolo
IL
di essere si
modo
tro-
si
sante,
causa prima
C|ir|KuO<g,
delle
cose
vouc, t
ttSv kxkko-
l'intelligenza
il
nostro filosofo
nella
delle
Leggi
(2),
Platone abbia
scritte.
6. Ci posto, se
non
dere,
si
Non
dunque egli deve aver pensato il mondo ab aeterno, donde l'eternit dell'idea; non nel suo volere, dunque ab aeterno egli deve averlo voluto. Deve egli dunque anche averlo creato ab aeterno Se il nuioupYq, argomenta Proclo(3), sempre ad un modo, non possibile ammettere che ora crei, ora cessi dalla creazione
:
se
il
creato.
perch, dopo essere stato in ozio tanto tempo, mette un bel giorno a creare ? Forse perch ora gli pare meglio cos ? E perch non gli pa egli produce reva prima ? E il Bertini (4) le
si
:
idee e
le
come
sia eterno
lo suo oggetto di necessit, sicch eterne cose sieno quelle ch'Egli ama.
(1) Cfr.
Bertini,
1.
e, p. 1069.
Cfr.
(2) XII, p.
(3)
(4)
966 E. O. e, p. 88 C. O. e, p. 1069.
Lutoslawski,
111D-112.
o.
e, p. 513.
Cfr. pp.
mondo.
81
qualche
modo
nella materia, e
si
rivela alle
come
bont.
ci
dice
Platone,
unicamente
dalla
sua
Or potremo noi ammettere che ci sia stato un momento in cui egli fosse pensiero che non pensava, bont che non agiva? E dovremo
allora dire chie
il
mondo
eterno al pari di
Dio ?
Timeo
cipio, p.
ci
dice
28
e avente
Or non ci in contraddizione con quanto abbiamo ragionato? Si pu osservare che il mondo, a differenza della sua idea,
corpo.
ma
da lui generato,
non
l'essere
immutabile sempre;
si
mondo
il
divenire
che
muta continuaprocede
mente; quello
nel
:
tempo or male pu dirsi coeterno a Dio, che sempre , ci che tutt'al pi tende all'essere, ma effettivamente non mai e sempre diventa. L'eternit non ha principio: ma il tempo, secondo Platone, ebbe principio appunto col mondo, perch col mondo cominci il moto e i suoi periodi; e il tempo anch'esso immagine,
come
il
mondo
;
la misura di Dio quello la misura delle creature, e insieme la cagione, la forza e il principio della proporzione e dell'ordine che mantiene tutte le cose (1). Perci par-
eternit
questa
lare di
senso, e
tempo anteriore alla creazione non ha non ha senso parlare di prima e di poi,
(1)
4, 4.
82
Capitolo II.
In sua eternit, di
tempo
fuore,
:
XXIX,
16 segg.
Fuor d'ogni
altro
comprender, come
piacque,
S'aperse in novi amor l'eterno amore. N prima quasi torpente si giacque, Che n prima n poscia procedette Lo discorrer di Dio sovra quest'acque.
Altro
e Proclo (i)
altro
il
perpetuo,
sieme e ci che si distende nella totale continuit del tempo. E Boezio pi ampiamente e pi chiaramente di tutti illustra queste differenze,
e difende
il
mondo
spiega-
la
Il
afferma in molti
altri
(3).
t xpovixv xotl fiXXo t b Tfj Xr) auve%i{q. to0 xP^vou 0uveKTeiv|uevov xal fiTretpov, kcc t \xbi v ti vOv, t v iaaTdaei, t\c, iaaTdaeux; KcnraXriktou TUYxavooriq Kai del Yifvo)avr|^ " non recte quidam qui, cura (2) Phil. Cons. V, 6: audiunt visum Platoni mundum hunc nec habuisse initium temporis nec habiturum esse defectum, hoc modo t
'
conditori conditum mundum fieri coaeternum putant. Aliud est enim per interminabilem duci vitam, quod mundo Plato tribuit, aliud interminabilis vitae totam pariter complexam esse praesentiam. E pi oltre: Itaque, si digna rebus nomina velimus imponere, Platonem sequentes Deum quidem aeternum, mundum vero dicamus esse perpetuum. Cfr. August. De civ.
Thom. S.
77. I,
qu. io, a.
p.
1.
86 A; Phaedo,
p.
106D;
Delle idee
dell'origine del
mondo.
83 a ci
L'anima appartiene
al
genere
intelligibile,
che . Ma 4'anima pur parte del mondo. Or se l'anima fu sempre, non vale per essa la spiegazione del principio logico in confronto del croci che , non ha principio di sorta. Eppure Timeo ci rappresenta, nonch la creazione del mondo, anche la creazione delle anime, il principio dunque dell'uno e delle altre. E tutto ci una veste mitica, come voleva Plutarco? (1) Lo Zeller, tutto bene considerato, si decide a rite-
nologico
(2). E per ci che spetta all'anima, questo non offre una difficolt insuperabile. quel modo che nel famoso luogo del decimo della
Repubblica Dio rappresentato come il creatore anche delle idee, qui pu essere rappresentato
come
altro
il
creatore
dell'anima. Si
pu rispondere
e particolareggiata;
non
si
gazione accettabile.
Ma
fondamento
ci che ci che
di
non ha principio
quando ponessimo il mondo coeterno a Dio, non equivarrebbe questo a distruggere questo fondamento ? Basta una prima riflessione per rispondere che no, purch teniamo l'altra distinzione
affermata di sopra tra
ci
che sempre e ci
Ma
essendo
il
mondo
(1)
(2)
1.
procr. 5. O. e, pp. 791 sgg.; ibid. pp. 834-35. Cfr. Bertini, e, p. 1005.
De animae
84
Capitolo li.
l'uomo.
La
perennit
infatti
del
mondo
coinci-
l'eternit della
modo
come sempre
sufficente
esistita, si ha,
non un
ostacolo,
ma un
argomento per ritenere eh' egli ponesse come sempre esistito anche il mondo, secondo la interpretazione che dava Senocrate alla teoria del
maestro, contro Aristotele, che
di
gli
rimproverava
aver negato
al
mondo
l'eternit.
*-
CAPITOLO
Dello spazio
III.
e della materia.
La materia
originaria.
Un
6. Il
movimento
della
1.
Tutto ci che
il
visibile
generato;
mondo
quindi generato. Questo afferma Timeo esplicitamente innanzi ad ogni altra cosa fin dal principio del suo discorso, p. 28 B-C. Ma poco dopo,
egli come e perch Dio mondo, quanto era possibile, buono, soggiunge che assumendo quanto v'era di visibile, che non posava ma si moveva confusamente e disordinatamente, lo condusse dal disor-
a p. 30 creasse
A, esponendo
il
dine all'ordine, reputando questo del tutto migliore di quello. La stessa cosa ripete a p. 69 B ed
;
a p. 48
parla di fuoco, acqua, aria e terra e mutazioni prima della generazione del di loro
mondo.
Come
?
si
concilia ci
con
la
prima
af-
fermazione
Fkaccakoli,
II
Timeo di Platone.
86
Capitolo III.
A p. 49 A ai due elementi prima toccati, l'esemplare e l'imitazione, se ne aggiunge un terzo, quello in cui
Ma
c' dell' altro.
della creazione
Platone
chiama appunto Troc-xn (pp. 49 A e come nutrice, olov TiBrivri (pp. 49 A e 52 D), 5 1 A) e e pi oltre KuctYeiov (p. 5 Q, e P oi madre, unjrip (pp- 50 D e 51 A), e poi xwpa (p. 52 A), e poi(i)eEauevn (pag. 53 A), il quale elemento
espressamente dichiarato
dvpcxTOv
elbc, ti
invisibile
1
informe
A).
Or pu
questo elemento, dichiarato qui espressamente invisibile, corrispondere a quello che a p. 30 A N dichiarato espressamente visibile, paxv?
la difficolt e la contraddizione
si
limitano
al vi-
sibile e all'invisibile.
Quel
visibile
che a
p.
30
A
la
preesisteva alla creazione, si moveva (cfr. p. 53 A); e nel Fedro (p. 245 C) detto (2) che l'anima
e ci che
si
muove per
si
virt
propria sono
muove per
virt propria
della creazione
ci basta
quel substrato
che a
bile e
p.
ti)
L'Hermann
normale
beEajivn, sebbene di pochi codici, perch beEaiaevn in Critia p. 117 B non significa altro che cisterna. Non so convenire : beia\xevr\ sar benissimo cisterna, la parola tratta dall'ufficio che la cisterna compie di
ma
ricevere in s qualche cosa; eHauevn. perci pu essere benissimo qui una parola figurata come ufyrrip, TiGfivn.,
xiacrfetov.
(2)
Cfr.
87
cato ed ha assunto le forme dell'aria e della terra, ed a vedersi svariatissimo (iravTobaTrfiv uv eiv
<paiv0"9ai),
si
muove disordinatamente
inteso,
prima di quell'atto creativo che Timeo ha impreso a descrivere. Come si dipana questa matassa ? Il concetto genuino e fondamentale di questa
tutto ci,
bene
ma
dove
si
parla
questo terzo elemento della creazione, cio a pag. 48 E e segg. Che cosa questo terzo elemento ? la materia? o lo spazio ?
il
io
spazio, rispondono
il
lo
Zeller,
l'
il
Jowett,
,
Chiappelli,
il
Windelband,
il
Archer-Hind
il
Natorp e altri molti: la materia originaria, rispondono l'Ueberweg (1), che ammettono inoltre il quale pur tra coloro una materia secondaria, il Gomperz (2), e altri parecchi. Infinite poi sono le questioni sul contenuto del vocabolo materia; chi la intende press'a poco nel senso nostro, chi la spoglia delle
Benn,
Lutoslawski,
sue qualit e
si
la
accosta
al
ferma a un dato punto tra questi due estremi. Vediamo ci che dice Platone.
Il
mondo
del
:
e nello spazio
si
si
conve-
bene,
sere,
il
essere un'
tempo detto espressamente (p. 37 D) immagine dell'eternit, e quindi dell'estutte le altre cose
;
analogamente a
lo spazio
modo
(1) (2)
88
l'eternit
Capitolo III.
il
qui
c'
il
non
in luogo e
Ma
mondo fenomenico una cosa o in qualche luogo o non affatto bisognava dunque per il mondo del divenire ammettere questo terzo elemento in cui tutte le cose trovino luogo. E questo appunto lo spazio, il contenente (xwpa), quello che offre la sede a tutte le cose (p. 52 A), la recettrice, la nutrice delle cose, perch ap:
punto come
la nutrice che riceve il bambino tra le sue braccia, la madre infine. E dicendo madre questo elemento, non si modifica, ma si ribadisce anzi e si determina con maggior precisione il
concetto di spazio, in quanto che si ritenesse dalla scienza d'allora, che la madre nella generazione non cooperasse se non soltanto col dare
il
schile,
luogo acconcio al germogliare del seme macome appare dalle Eumenidi di Eschilo, dove appunto per questa considerazione Oreste viene assolto (1). Come la madre, cos lo spazio
prettamente
la similitudine
passivo,
della
madre importa anzi l'esclumateria dal concetto di questo sione assoluta della elemento. Interpretando rettamente le parole e i
contesti in cui sono usate
si
Platone non merita per questo concetto quell'accusa di incoerenza e di contraddizione che molti gli appongono o sono disposti a concedere si possa
apporgli. Dal concetto di xuJpcc la materia nel
si pu (1) Che anche Platone tenesse questo per vero argomentare altres dal suo modo di esprimersi a si p. 50 D, dove il padre quello da cui (89ev) il figlio
genera, la
madre
si
genera.
Dello spazio
e della
materia.
89
Timeo sempre
nella xwp,
ma non
esclusa (1): essa entra poi bens fa parte del suo concetto.
questa idea, pi negativa che positiva, ancora il nostro pi oltre (pag. 51 A) dicendo che questa madre e recettrice di tutto ci che si genera di visibile e in generale di sensibile non n terra, n aria, n fuoco, n acqua, n alcuna cosa composta di queste, n
su
insiste
altra
il che, se sta da cui queste derivino bene per il concetto di spazio, vuol dire ancora
;
chiaramente e necessariamente che senso nostro qui "di materia nel affatto da eliminare. N c' da risalire ad elementi pi sottili, pi immateriali, ad elementi no, anche questi sono esclusi degli elementi categoricamente: ur|T E wv tauta yTOvev. Le e specie elementari v'entrano dentro pi tardi
altrettanto
ogni concetto
son gi. Ebbene, ivi detto a pag. 57 B-C espressamente che queste specie sono scosse per ol Tnv Tf.c, exoil movimento della recettrice, esse sono dunque il contenuto e uvric, Kivriatv la exouvn. il contenente, contenuto e contenente espressamente rappresentati come due cose
vi
:
necessariamente diverse. Se il contenuto dunque materia, materia il contenente non pu essere. N ci basta questo contenente, soggiunge ancora, una specie invisibile e amorfa, cio non
:
una forma determinata, ma assolutamente senza forma alcuna, neanche indeterminata, o indefinita, o mutevole, o confusa,
solo senza
similitudine dell'oro di p. 50 A non importa che anche la x^P a sia un sostrato materiale: vedi la nota a questo luogo, e cos 'pure quella alla parola Kuayetov di p. 50 C.
(1)
La
affatto
90
Capitolo III.
affatto,
senza
dai sensi,
come afferma
Hind
illustra
Prendiamo, egli dice, per esempio, una palla di bronzo. Ciascuna delle qualit che appartengono al bronzo noi sappiamo che do-
calzante.
la
TTOoxn: perastrarre
dobbiamo
che appartengono al bronzo. Quando poi questi sono eliminati, che cosa rimane ? Uno spazio sferico assolutal'altro tutti gli attributi
dopo
mente vuoto
(1).
D'altra parte
a
lo
parlare
come
scopo
il
ma
dice espressamente
che l'ordine tratto dal disordine, e anzi da un disordine visibile (p. 30 A). Ora ci che visi-
pure disordinata: non pu avente forma essere affatto quella specie invisibile e amorfa di cui si era parlato, e questo
bile,
ha forma,
sia
dunque questo
visibile
Per
la contraddizion
Dunque
il
disordine
la
visibile
necessit
im-
amorfia di prima sia stata fecondata, importa, come vedremo, una prima geneporta che
razione.
2.
Ma
caratteristiche
(1)
anche
p. 743.
Dello spazio
e della
materia.
91
elemento. Esso, dice, non ammette in s corruzione, p. 52 cpOopv o Trpoaexuevov. E come potrebbe infatti perire o venire a corru-
zione lo spazio
mente
Questo non si potrebbe ugualn della materia si poalcun modo, mentre dello spazio s,
?
irn
nuovo
spazio
non n
le
come
un concetto pi negativo che positivo, e si pu dire in un certo senso, che quando pieno non esiste, e quando vuoto non nulla. diverso dalle idee, perch le idee non sono in luogo, perch le idee sono sostanza che veramente , mentre la socose, n intelligibile
come
idee:
perch le cose entrano bens nello spazio, ma poi continuamente vi periscono, mentre lo spazio resta sempre. Noi che viviamo nella illusione del mondo
sensibile, ci
immaginiamo, come
si
gi osser-
essere in qualche luogo ma effettivamente questa condizione all'essere non conviene punto,
l'
;
anzi
le
in
le
luogo sono
essenze.
le
cose, cio
se le essenze
soltanto,
come
Ma
spazio
e d'altra parte
le
meno
perch appunto
cose pas-
(1) Cfr.
le
92
sano e
dibile,
in
modo
all'
questa sua partecipazione che minima e imperfetta, anche difficile a determinarsi ed il ragionamento, di cui esso oggetto, illegittimo ed illusorio. Vero infatti che lo spazio condizione necessaria del mondo del divenire e sotto questo rispetto se noi pensiamo che le cose non possono essere che in luogo, pensiamo rettamente. Infatti, poich nel fenomeno l'immagine delapprendibile.
intelligibile, oltre
:
l'idea
o dell'essere,
uGeEis), affinch
ma non
la
l'essere
(uiuncnc;,
non
cosa generata sia effettivamente qualche cosa, c' bisogno di qualche e che le percosa cui essa possa afferrarsi
,
metta l'esistenza, e questo lo spazio, appunto perch esso non transitorio, ma permanente. Ma lo spazio non un' idea, o non tale nel senso
noi
lo
le
ma
idea non
Perci noi
ci
illudiamo,
crediamo di averne una conoscenza, vncric,, mentre appena ne abbiamo una persuasione, tto"ti<; esso non per sua propria natura un conoscibile vonrv ma un opinabile, o-
quando
Haaxv
(i).
L'Archer-Hind
alla palla
continua ad osservare:
vacuit.
le
poco fa citato dunque rispetto del bronzo in conclusione una sfera di Ma supponiamo ora, invece di astrarre
infatti
nel luogo
L'ttooxii
(i) Cfr.
ancora
la
nota a p. 52 B.
Dello spazio
e della
materia.
93
;
avremo l'universo e di tutto il suo contenuto una vacuit che si estende quanto l'universo. Ora osserviamo la differenza: della sfera vuota noi possiamo parlare come di qualche cosa, perch
essa l'intervallo chiuso tra
circostante
;
limiti
dell'aria
ma
la
che la limiti, non c' nulla che sia in contrasto con essa in modo da differenziarla: essa vacuit indefinita. Sar dunque lo spazio nulla affatto, e semplicemente una concezione logica astratta, come l'Archer-Hind ne inferisce ? Lo spazio, continua, non pu sussistere indipenden-
temente dalle cose che contiene, come il tempo non pu sussistere senza gli eventi che lo misurano. E il ragionamento calzante; la sua conclusione per altro non credo renda il pensiero il tempo diviene sempre, lo spazio platonico rimane sempre, e questa differenza sostanziale. Pare pertanto che tra spazio e materia sia da mantenere una distinzione capitale. L'idea ci che , la materia ci che non , il mondo corporeo di mezzo tra ci che e ci che non , tende al:
l'essere,
ma non
lo
pu raggiungere
lo
spazio in propria-
non
mente ci che non , anzi quello che offre a ci che non un punto di appoggio per tendere all'esistenza, ha una natura sua particolare, difficile
a definirsi:
al
pur sottratto
al
divenire, al passare,
tarsi,
sede o substrato al e perci evidentemente perde ogni significato col dove non si d pi n divenire, n mutarsi, n passare (1).
Natorp,
c, p. 354.
(1)
o.
94
Capitolo III.
un'altra
osservazione
cade
in
acconcio a
Timeo
come
la si
abbiamo veduto, ma la si adopera invece e sfrutta per un altro rapporto. Aristotele (2),
ci rettamente,
e in
i
come sinonimi
di Trooxn, usa
:
termini
6eic,
ueGeKTiKv e ueiaXriTrnKv
una u-
tra la
la
per altro che ha luogo non pi in rapporto generazione e l' idea, ma in rapporto tra
lo spazio.
Infatti a pag.
generazione e
il
49
detto che
vetfeujc,.
Se
la
definissimo
per l'entrare dell'immagine dell'idea nello spazio, sarebbe ci conforme alla dottrina platonica?
3.
Ma
la
legata a quella
Vediamo dunque
che cosa
il
sia
la
materia.
non sono dell'universo, 48 B), n gli elementi primi n secondi, e non possono paragonarsi n alle i lettere e neanche alle sillabe come elementi della primi principi delle parola. Il primo principio o cose Platone dichiara che non dir quali sieno, e perch e perch sono difficili ad esprimersi egli stesso non si crede capace di arrivarci (p. 48 C); e di questa dichiarazione pur giusto tener conto, che 1' interprete di Platone ha da spiegare e non gi da addottrinare il maestro.
fuoco, la terra? Questi dice
Timeo
(p.
(1) (2)
Cfr. nota
p.
52 A.
Phys. IV,
2, 5.
pi
oltre.
95
rimettendo a pi oltre il il risalire agli elementi costitutivi di terra, acqua, aria, fuoco (i quali non saranno altro che forme geometriche elementari), qui intanto, senza risalire ancora a questi elementi, seguendo il discorso probabile e procedendo per analoga, si accinge a dimostrare che terra, acqua, aria e fuoco, quali noi li percepiamo, non sono ci che veramente terra, acqua, aria e fuoco, ma semplicemente stati e apparenze della materia, tanto vero che il congelamento e la fusione, l'evaporazione e la combustione fanno s che le dette specie si trasformino l'una nell'altra o ritornino eventualmente anche a quella -di prima. Dunque effettivamente e veramente terra, acqua, aria e fuoco non sono quelle cose che percepiamo in tale stato, ma quelle essenze di cui queste non sono che l'immagine transitoria, essenze in s costanti e corogni
tentare questa questione e
Ad
modo Timeo,
rispondenti
rispettivamente alla definizione di ciascuna di queste specie. Ora con questo che
si
vuol dire
nel
Nel notare
la transitoriet di questi
stati
mondo fenomenico,
(p.
addotto l'esempio
50 A), appunto come qualit analogamente transitorie nelle cose e analogamente perenni in s stesse. Ebbene, da ci
del bianco e del caldo
chiaro che Platone, distinguendo anche per le
quattro specie
il
fenomeno
dall'idea
(1),
il
par-
da
altri
(1) Cfr.
anche
p. 51 C, e
96
gi indicati
si
Capitolo III.
come
costitutivi dell'universo, o
potesse di esse
fare scala
risalire
che ad una
Le
le
altro
che
che solido, l'acqua ci che liquido, e cos via, e sotto questa apparenza, non gi come sostanze speciali, Platone le
considera costantemente in questo
le
dunque
Una
come
mezzo
del
bianco e
del
caldo che
sono nel
il
caldo del
mondo delle idee si faccia il bianco e mondo nostro, Platone non dice;
come invece a terra, acqua, aria, fuoco idee corrispondano le rispettive specie sensibili, egli ce lo chiarisce e questo avviene, secondo lui, per mezzo di delimitazioni geometriche raffigurate in quali tutti quattro dei cinque solidi regolari i hanno origine dal triangolo. Ci, osserviamo di passaggio, non che un'applicazione particolare di quella dottrina ultima di Platone, che ammette che mediatori fra le idee e le cose siano i rapporti matematici, di che toccheremo anche pi oltre. Ebbene, questi solidi elementari sono rappresentati da Timeo come vuoti, il che parve agli interpreti una difficolt e un controsenso enorme ed insuperabile, mentre torna perfettamente consentaneo con tutto il resto di questa concezione
;
(1) Cfr. p.
49 D, dove riferisce
alle quattro
II,
nomeniche
il
3,
Dello spazio
e della
materia.
97
appunto perch
(1).
per Platone
Il
la
ragionamento di Timeo dunque, non gi ad affermare, ma tende piuttosto a negare e impugnare ogni elemento materiale (2). Si poteva inda chi guarda all' ingrosso ritenere che fatti
,
,
mero fenomeno nel mondo sensibile fossero le altre qualit, come il bianco e il nero, il ruvido e il liscio e cos via, in quanto sono predicati,
ma
quelli
che qualche cosa di pi sostanziale fossero che comunemente si dicevano i primi elementi delle cose. Invece no, elementi primi non sono ma fossero anche, nella contingenza del
;
nostro non sono altro che fenomeni essi pure, apparenze, immagini: sono immagini che entrarono nello spazio, sono prodotti della ge-
mondo
nerazione
e che terra, acqua, aria, fuoco sieno generati e creati da Dio, detto espressamente
;
anche nel Sofista (3). E meglio del ragionamento di Timeo esclude l'esistenza della materia originaria la necessit logica. Secondo la distinzione fondamentale posta
fin
da principio, nulla pu
la
esistere se
non a tidunque
:
(1) Cfr. la
si
mettono pure in
opposizione le due scuole, quella che riconosce la ooia nelle cose e quella che la nega loro per darla alle idee, e di questa detto che t b xeivtuvawiuciTC kcx1 xt\v Xeyouvnv it' citOv \f\Qe\av k<jt auiKp ia0paovxeq v to; Xyok; yveaiv vt' ouaia<; qpepouvnv Tiv irpoacrropeouaiv. i*}iLieTq uv trou Kcrt tSXXo ZOa kci il wv (3) Pag. 266 B t irecpoKT' ari, TrOp Kai Oaip cal x totuuv eXqpd, GeoO Yevvruuara irvra fauev ax TreipYaauva gxaOTa.
:
Fkaccaroli,
II
Timeo di Platone.
q8
Capitolo III.
razione, e allora ha avuto principio; o esisteva a titolo di essenza, e allora nell' ordinarsi non si
miglior,
decadde, perch a quella prima esisi sostitu questa apparente e fittizia; ci che era divenne, ci che era divenne proprio eterno si mut in temporale essa stessa, mutando natura, non gi che se ne
;
ma
facesse un'immagine,
come
il
tutto ci di una materia informe come prima della creazione dell'ordine si parla pi volte da Timeo, ed ammessa senza contestazione: dice egli anche per altro, riassumendo a p. 52 D ci che avea prima esposto, che anche
4.
Con
esistente
prima che
il
mondo
fosse generato
v'erano tre
cose, l'essere, lo spazio e la generazione; v re Kd xwpav Kcd Tvecfiv eivai, ipia xpixrj, kc Ttplv opavv Tva9ai: le quali parole, se hanno da
avere un senso (1), non possono significare altro se non che anche prima che fosse generato il
in Pla(1) Il Tocco in un breve saggio Delia materia spiega tone, in " Studi ital. di filol. ci. IV, pp. 1-5 queste parole per " i'ente o l'idea, lo spazio, e la (nu,
trice o
veai<;,
io
madre di ogni) generazione intendendo fcome a p. 49 A, per Tienvn. ttoik Tevaeux;, il che non capisco come si possa dire. La nQr\vx] Timeo ci
dice essere precisamente la X^pa, e la xwpct distinta v, dalla Tveau; allo stesso modo che distinta da t cio xpia xpixr). il che esclude che si possano intendere xwpct e -(veaic, per due determinazioni di una cosa sola, come il Tocco vorrebbe, quando anche t v non pu intendersi allo stesso modo. N trovo contradictio in
intendere alla lettera Yveou; Ttplv Yva6oi, in generale, ma determinato e limitato alla generazione del cosmo, irpiv opavv Y va9ai.
adiecto
nell'
Dello spazio
e della
materia.
altre cose.
99
mondo
La
gene-
razione infatti essendo il mezzo che d origine al divenire, e quindi essenzialmente operazione,
non pu
dirsi in
alcun
modo
il
che
sia
prima di
il
Platone intendesse
non
divenuto,
ma
dive-
nente in abstracto (1), e che secondo questo concetto il divenente potesse dirsi che era anche prima ch'esso fosse pervenuto all'effettivo divenire. Ma io non so trovar modo di spiegarmi
questa affermazione evitando
in termini.
la
contraddizione
Vogliamo
il
per esempio,
mente
le
volizioni, cos
la
principio
:
generativo
generazione ? Sia pure ma se per generazione intendiamo la potenza di generare, che questa potenza esistesse prima dell'atto, cosa tanto ovvia, che dovea parere persin ridicolo di affermarla; se poi intendiamo che esisteva la potenza di essere generato, da questo a
precedette
dire che
il
poco
ci
corre.
elimina
parole di
:
Timeo
la
mondo
primo atto creativo. infatti una serie di luoghi nel Timeo spazio non rappresentato pi come
pieno di elementi materiali died anche cos fecondato
vuoto,
ma come
sordinati
e disformi,
" er unter der Y^veaiq (1) Op. cit. , p. 730, nota 1: nicht das Gewordene verstand, sondern das Werdende in abstracto.
ioo
Capitolo III.
esso pu sempre continuare a chiamarsi balia e nutrice di tutte le cose, xpoqpt; kc Ti9n.vn tou
Travi? (p. 88 D).
qui
si
noti
come
il
la
xwpa
sia
la
dunque
il
quale anche
prima generazione
afferra all'essere,
la
appunto
come
la
seconda.
Giusta
idee, le cose acquistavano l'esser loro dalle idee che penetravano in esse escluso adesso il pas;
alle
cose ogni esistenza razionale, e intesa la u9eic; nel solo senso di uiunriK;, alle cose bisognava trovare un altro punto d'appoggio, e questo fu ora di questo punto d'appoggio lo spazio (i)
:
pu giovarsi anche la materia informe, mentre non avrebbe potuto, restando informe, giovarsi
dell'idea,
in
la
forme con
in
l'idea forma, e
in partecipazione,
l'in-
ma
opposizione.
Ci posto, vediamo come lo spazio si feconda. dice Timeo continuando al luogo citato dice cio (p. 52 D) che la nutrice della generazione, irrigata e affocata e ricevendo in s anche le
Lo
dell'aria
(cio fecondata di
e tutte le
che a queste conseguono, appariva a vedersi svariatissima, e poich era piena di potenze non uguali n equilibrate, in nessuna parte di s stava in equilibrio, anzi disugualmente sobbalzando era scossa essa stessa da loro, e moven-
Windelband, Platon, p. 90, ritenendo il mondo " una mistura delle idee con lo spazio vuoto non solo identifica lo spazio col non essere (cfr. per altro ibid. pp. 108-9), ma ammette ancora il passaggio
(1) Il
corporeo
delle idee in luogo, il che in contraddizione con le esplicite dichiarazioni del nostro dialogo.
Dello spazio
della materia.
101
dosi alla sua volta le scoteva. Lo spazio dunque riceve in s la materia spazio e materia anche qui
:
sono dunque incontestabilmente due cose. L'immissione della materia nello spazio appunto la
generazione,
la
diversa dalla seconda. Nello spazio infatti vediamo entrare le quattro specie elementari, cornee detto espressamente; ora noi sappiamo che queste specie si riducono a deli-
sua non pu
dirsi
mitazioni matematiche: terra, acqua, aria, fuoco per entrare nel mondo nostro assumono le forme
dei quattro
noti poliedri, e del resto
sensibili
di
non sono
che immagini
eterne e
si
idee
corrispondenti
intelligibili.
sia
La
posta dagli interpreti attenzione sufficente. corrispondenza delle quattro specie ai quattro
poliedri data
come
assoluta, e
non
c' appiglio
alle
condizioni del
nostro cosmo. Ora se detto altrettanto espressamente che la xwpa prima dell'ordine avea ricevuto
forme di queste quattro specie (p. 52 D), per quanto queste potessero essere confuse e
in s
le
disordinate, esse erano di necessit delimitazioni e determinazioni numeriche. E che altro era
questo se non un primo passo coordinato verso la generazione seconda? Ritenendo poi la fecondazione della x^pa appunto come una prima generazione, si eliminano
o
attenuano anche delle altre gravi difficolt. tutto quella del moto. Questa mad'i ora teria, di cui la x^pa si feconda, si muove
si
prima
sempre
esistita,
vorrebbe dire che si muove da s; ma ci che si muove da s l'anima; dovremo dunque inferire che oltre la materia originaria prima del
102
Capitolo III.
mondo
naria?
esistesse anche un'anima informe origiDi ci discorreremo pi oltre; qui intanto rispondiamo che, essendo essa frutto di una generazione, questa materia originaria non si muove, ma mossa. Essa infatti nel Timeo non comparisce se non quando entra nella X^pa; da s ^
sola
non
esiste;
la
nerazione, e
generazione essenzialmente dicreatore Il venire, e divenire muoversi. dunque, generando la materia, le ha impresso
il
moto?
ci
si
prima di vederle per altro torniamo un po' indietro a studiare la genesi di queste concezioni;
la loro
lume ad
intenderle.
analoga a questa,
fetta.
ma
16
meno
per-
Fino da
p.
di
questo dialogo
affer-
(i) Sulla posizione di questo dialogo nella cronologia degli scritti platonici si dissente molto dai critici. Lo Zeller lo ritiene anteriore alla Repubblica; posteriore lo ritengono il Tocco [Ricerche Platoniche, e poi Del Parmenide, ecc.), il Jackson (o. c), il Gomperz (II, p. 465) fu ri il Natorp, per tacere degli altri; e la questione presa e dibattuta pi volte: io lo ritengo posteriore cfr. in proposito la nota a p. 64 C. Che poi non sia p steriore al Timeo, come vorrebbe il Tocco contro il Jackson, oltre gli argomenti addotti dal Lutoslawski, 0. e, pp. 486-88, questa nostra stessa discussione pu
giovare a provarlo: trattare a fondo questa questione qui impossibile, che l'argomento incidentale soverchierebbe il principale. Per questo cito le fonti, affinch ciascuno, cui ci interessa, si serva: cfr. anche A. W. Benn, 1. e, pp. 42-43. Non parlo poi del Dring che (o. e. I, p. 657) per restituirlo a Platone gli vorrebbe assegnare l'ultimo posto della serie.
Dello spazio
e della
materia.
103
le
mato
cose
tutte
il
principio
cii
pi, e
:
fine e infinit
constano di due elementi, il npac, e l'aTreipia sono parole appropriate a tradurre questi due vocaboli, quando c'intendiamo sul contenuto da attribuir loro. Continua Socrate a
p.
specie
che dall'unione di queste due ne ha una terza, cio quella che risulta dalla mistione; e poi aggiunge ancora un cio la causa di questa miquarto elemento
23
a dire
se
il
npctc,
e l'aireipov.
non
in
senso
di
predicato
quale
accidente di
s,
un'altra cosa,
ma
quale soggetto a
X infinit,
abbiamo
come
Diels, Fragm. der Vorsokratiker, p. 244, 35-39, pp. 249-50, frr. 1-2 di Filolao uepi cpaicx;. Cfr. A. Heidel, TTpaq and ireipov in the Pythapure gorean Philosophy, in " Archiv far Gesch. der Philos.
(1) Cfr.
11.
W.
XIV
(2)
uv KO K TTOXXuJV VTUUV TUJV < \(.^0iiiC, vq uvuuv dvcu, -rtpac; Kal ireipiav v axoTt; Euuqpurov xvTuuv. Confrontando con p. 15 D, kciG' 'Kaaxov tOv XeYO|ivu)v dei, badisi a congiungere ei con XeyoM^vujv e non con elvai, che qui non ha punto significato tecnico,
perch altrimenti si corre il pericolo di intendere che qui siano indicate le idee (come fa, p. es., G. Lombardo-Radice, Studi Platonici (Arpino, 1906), p. 240); nel qual caso avrebbe detto tOv del vtwv e non tujv XeYouvcuv ecc. Aggiungi che se queste fossero le idee, sarebbe assurdo il ricercarle poi a parte o nel irpa;, o nell'iteipov, o nel miktv, o nell'airia: senza dire che, se le idee sono la somma di questi quattro elementi, non si vedrebbe cosa possa restare per le cose, o in che, sotto questo rispetto, esse possano essere diverse dalle idee. Del resto che qui si analizzino gli elementi
delle cose, e
non
da
tutto
il
contesto
anche
di ci
che segue.
104
Capitolo III.
(i). E pi che defiPlatone fa capire cosa intende per esso a
24 A segg. L'rreipov quello dove abitano pi ed il meno e dove non il quanto, perch, se vi entrasse il quanto (p. 24 C), vi entrerebbe la determinatezza e cesserebbe di essere onxetpov esempi dell'cmeipov, e quindi del pi e del meno, sono il piU caldo e il pi freddo, il piano (t ipua) ed il forte (t fJqppa) (2). Ora tra gli interpreti c' abbastanza accordo nell'identificare,
il
:
o almeno nell'avvicinare,
il
concetto dell'cmeipov
a quello della xwpot fecondata, dunque alla materia caotica originaria (3). Se non che evidente
che
il
originaria del
quantit,
la
Timeo non
solo indeterminata la
ma
altres la qualit,
mentre
nell'rreipov
cose,
ma
anche
le
alle
azioni infatti
(1) Phys. Ili, 4, 2: irdvTec; (t fineipov) d>c, pxnv xiva TiGaai tujv vtuuv, o uv, uia-rrep o TTuSaTpeioi >ccd TTXtuuv, Ka9' ax, ol>x ><; o\JH$e$}Kc Tivt xptu, \X' ooiav ax ov t direipov. Cfr. Zeller, o. c, pp. 734-35.
comparativi greci con comsi poteva fare altrimenti, ma il senso alquanto diverso: questi comparativi infatti non indicano un grado maggiore o minore di caldo o di freddo, ma " il continuo crescere o decrescere
(2)
Abbiamo
tradotto
parativi
italiani,
perch non
quantitativo delle qualit, come bene lo definisce Bonghi, Dialoghi di Plat. trad. XIII, p. 343.
il
13) Il Natorp, Platos Idecnlehre, p. 307, esclude affatto dall'Treipov ogni concetto di materia: " da es doch
vielmehr einen blossen Seinsfaktor vertreten soli, dem fur sich kein Sein zugeschrieben werden darf; denn jedes ihm zugeschriebene Sein wiirde schon eine Bestimmtheit an ihm setzen, also das irpa<; in das fiueipov schon einfuhren.
Dello spazio
si
e della
materia.
105
riferiscono
il
piano ed
il
forte
(1).
Ad
ogni
che abbiamo notato non ci deve far rinunziare al paragone, se questo si raccomanda per altre convenienze; vorr dire che, meglio che un parallelo (2), dal concetto di
la differenza
modo
arreipov a quello di
concetto.
'in
Se
l'cmeipov
indica
di
l'in-
determinato
senso
l'assenza
forma,
affocata
numero
anche della
qualit, e nella
non solo
l'indeter-
minatezza,
resta
tolto
ma la
via
come
quale,
quanto e
di
tolto
via
il
sopra
(3).
Dal Filebo dunque al Timeo (4) c' per questo un progresso e la speculazione del Timeo quella del Filebo. C' si lascia molto addietro per altro insieme continuit. Non solo infatti sono analoghi i concetti, ma anche i loro procedimenti (5). E per vero, opposto all'oureipov il
(1) Non dunque da meravigliare se, invece che alla materia, per identificar l'fineipov si sia potuto pensare ad altro: all'anima disordinata pens Plutarco, De an. procr. 6. (2) Il concetto di tueipov e di Trepak meriterebbe un'analisi minuta, della quale qui non il luogo, e principalmente sarebbe interessante studiarne la genesi. Cfr. Zeller, o. c, pp. 722-23. (3) Cfr. anche la nota a pp. 54 E-55 A. (4) Sulle analogie e le differenze tra la dottrina del Filebo e quella del Timeo, cfr. Bertini, 1. e, pp. 1057-58. altro (5) Cfr. anche Natorp, o. c, p. 344, il quale per fra il Filebo e il Timeo vorrebbe trovare per questo rispetto piuttosto identit che analogia.
io6
irpa?,
Capitolo III.
e la introduzione del
il
Trepak
nell'aneipov
costituisce la Yvetfn;,
che
si
npctc,
forse
Lo
credettero parecchi,
ma
non pu
duto nel
abbiamo ve-
capitolo
precedente,
l'idea
il
teoria del
trare
le
Timeo
non esce
nelle
cose, e se
idee di
semplice imitazione.
passano
idee
nell'arreipov,
XJpa, e la
domanda
tttoc;,
di Aristotele (2)
in
di Platone
non sieno
luogo, emep t
ue6eKTiKv
ha origine
dall'errore, in cui
che la x^pot, o la u\n, cadde chiama, fosse per Platone anche il come egli la substrato o la materia delle idee, al pari che delle cose (3). Se pertanto la fveaxc, essenzialmente imitazione, questa imitazione per quale
lo Stagirita, di credere
intermediario pu allora effettuarsi? Platone, come si gi accennato, negli ultimi suoi anni (non risulta infatti
apertamente dai suoi scritti, ma solo da testimonianze posteriori (4) ), tra le idee e le
(1) Con l'idea lo identificava ancora il Bertini, 1. e, pp. 1031 sgg. Esso , conchiudeva per altro a p. 1036, dei rapporti numerici considerati in s il complesso stessi, cio come idee; e questo molto vicino al e nostre conclusioni. (2) Phys. IV, 2, 5. confutazione di questo er(3) Per la constatazione e rore, cfr. Zeller, o. c, pp. 750 sgg. irap t aa8r|T (4) Aristotele, Metaph. I, 6, 3: ri Ka x etri t ua9nwcmK tujv irpaYudTUJv elvai (pr\a\. ueTaS, iacppovTa tujv uiv aio-6r|TJv tuj iia kcx Kivr|Ta evcu, tuliv b' eijv tuj t |uv irM' fixxa uoia elvai t
1
ecx; aT ev Zkcxo-cov u.vov. E ci, soggiunge poi, 4, a differenza dei pitagorici, che dicevano che i numeri sono le cose stesse: oi ' piGiuoc; elvai qpaorv^ aT T TrpaYMCiTa, ko t uaBrmaTiK ueTaE toutujv o TiOaai.
Dello spazio
e della
materia.
107
cose
pose
il
numeri:
ttocxv, nel
s
rapporti
numerici sono
proporzioni sono
alle idee.
dunque mediatori
nel Filebo
Timeo
le
che
le
cose somiglino
47 A) il numero il principio dell'ordine mondano, e i triangoli elementari sono pur essi delimitazioni matematiche quantitative, sono Trpata essi pure (i)(p. 53 C), come, senza
Cos nel
(p.
Timeo
trica,
ancora giungere all'esatta determinazione geomeaveva detto il Socrate del Menone (2), quando aveva affermato quello in cui finisce il solido, questo essere la sua forma, e perci
la
forma essere
il
limite
(ire'paq)
dei
solidi.
con l'aTreipov, abbiamo veduto, risulta un terzo genere ma ce ne vuole anche un quarto, la ama, cio una causa che produca
Dall'unione del
Ttpac,
;
mistione (3). E questo quarto elemento, che pure chiamato t Travia laura nuioupYoGv, per l'analogia dell'ufficio e per l'identit del vocabolo non si vede in che possa essere diverso dal nuioupYc; del Timeo. A che si riduce infatti questo quarto elemento nel Filebo? l'idea, rispondono parecchi autorevoli interpreti moderni infatti, ammesso che l'idea non possa essere t
questa
altro posto
si
possa
ri-
Del Parm.
ecc.
p. 76 A: Kcrr yp travxq axnuaxot; toOto o t axepev nepaivei. xox' evai oxf\ixa irep fiv ouXXa3)v eiTTotj.li axepsoO TTpaq axnM etvai. irpuxov |uv xoivuv meipov Xyu;, (3) P/iil. p. 27 B GUTgpov -rrpac;. Treix' ex xoxuuv |uiKxriv kciI YYevr||uvn.v oaiav xr]v xfjc; |uiEeux; axiav xa jEvaeax; xex<4pxr|v Xyuiv Spa irXrmjLieXoiriv &v ti;
(2) Xyuu,
Meno,
e!(;
'
(4) Il
Jackson,
1.
e.
X,
p. 283,
scopre
le
idee nel g-
io8
Capitolo III.
spendere che di trovare un posto all'idea nella classificazione del Filebo non c' n necessit n convenienza. L'argomento proposto non era gi di considerare gli elementi che costituiscono l'universo, ma semplicemente di riconoscere l'uno e i pi nelle cose in cui ci imbattiamo. Quando dunque la risposta esaurisca il contenuto delle cose, non c' bisogno di altro, anche se fuori di esse vi potesse essere qualche altro elemento;
e l'idea, da quanto
si
detto,
non
si
:
solo pu,
ma
che
loro
non sono
in
il
pu
esso
dire
Trpa?
funzione di esse
si
la
rappresentazione che
stampa nelle cose, non Se il npac; sono i numeri e la ama fossero le idee, avremmo un doppio. La alra dunque, anche qui come nel Timeo,
esse.
non la causa formale, ma la causa espressamente definita come la sapienza e l'intelligenza (2), e dal Filebo pertanto
il
demiurgo
efficente (i)
nere misto. Non posso convenire, non foss'altro perch di una yveoi<;, mentre le idee il uiktv il prodotto non sono generate, come fu gi opposto dallo Zeller e in altri luoghi ed o. e, pp. 668, n. 3, 692, n. 1, e dal
ecc.
pp. 394-96.
ttoioOvtoc; cpoi<; ov TtXfiv (1) Phil. p. 26 E: f] toO vua-n rf|q otck; icuppei. E tutto il complesso del contesto cos chiaro ed esplicito, che, per dirla con W. H. Thompson in "Journal of Philol. XI, p. 21, " difficilmente linguaggio umano avrebbe potuto esprimere pi chiaramente la proposizione che il creato e il creatore, l'universo e la sua causa prima, non sono la stessa
Cfr. capit. II, 5. P/iil.p.30 C: Kai tic; ir' aTo<; ai-ria o cpaXn ... croqpia Kal vo0<; Xeyouvn iKaiTax* fiv. Che se lo Zeller, o. e, p. 666, dice (e dice giusto) che il vo0<; paaiXiK; di Zeus, di cui si parla poco dopo, non indica che l'anima
cosa.
(2)
Dello spazio
e della
materia.
alla
iog
tesi
viene
rincalzo
non
gi
opposizione
che abbiamo sostenuto nel precedente capitolo. E rincalzo e non opposizione sulla questione della materia ci offre anche Aristotele, il quale,
se erra nei particolari, nella sostanza interpreta
il
pensiero del maestro, questa volta, rettamente. Infatti ci parla bens di una u\n, il quale voca-
bolo
se
ma
falso nel
nome non
:
falso
nella cosa.
falso nel
nel
infatti
egli
cosa
Timeo,
ma
anche a
tutti
gli
altri
dialoghi
di
Platone, ed u\rj in
un senso tecnico
qualsiasi
che
la
del mondo, e che l'intelligenza gli viene, come detto espressamente, da una cagione a lui superiore, questa cagione superiore appunto la ooqpi'a e il voc; di cui qui si parla, e aoqpia e voOq sono espressioni che bene rappresentano una causa consciente, un n.|aioupY<;, pi che non possano limitarsi a indicare una mera causa formale che diviene attiva senza che se ne veda o se ne dica il come n il perch. Cfr. Bertini, 1. e, p. 1036. Cfr. pure Phil. p. 26 E e Tini. p. 30 B, dove si dice che non si d voOq aveu (o x^pk) H^xf^- Cfr. capit. II 5.
(1) Phys. IV, 2, 2: TTXdxujv jf\v 'Xnv teet tv \dipav t aT cpnaiv elvai v tC Ttjuaiiu. L'interpretazione, che (II, p. 606) propone di questo luogo, non il Gomprz pare attendibile. Egli infatti lo spiega nel senso che la XUipot e la tfXn, lo spazio e la materia, coincidano nella loro estensione, cio non vi sia spazio senza materia. Ma se Platone di JXr| non parla mai, non si vede come n espressamente n tacitamente egli potesse di essa predicar nulla. (2)
In Tim. p. 69
e Phil. p. 54
9
,
PUeberweg (Grundr. II p. 199), quando afferma che Platone paragoni la materia con questa ii\n.
Feaccaroli,
II
Timeo di Plutone.
10
no
usasse
Capitolo III.
neppure
nell'
insegnamento
orale
della
scuola, poich Aristotele stesso ci attesta che no, ed anche senza la testimonianza d'Aristotele ci sono altri indizi pi che sufficenti per inferire
che
parte
effettivamente
non
la
us mai
(i).
D'altra
non
una materia informe preesiper altro che a Platone Aristotele la attribu precisamente invece nel senso di spazio, sia quando riconosceva che alcuni la identificavano col concetto di vuoto (2), sia quando
stente, chiaro
riconosceva una
uXn.
aouuaToq
(3).
mo-
determiniamola pi esattamente. La recettrice si muove e scuote la materia che ha ricevuto? ovvero essa stessa inizialmente scossa dalla materia ? E scossa dalla materia. Ci appare chiaro dalle pp. 52 D-53, citate in parte anche di sopra al 4, che sono il luogo fondamentale per questa questione e quel moto che le si attribuisce anche altrove, pp. 57 C e 88 D, nulla vieta che lo si ritenga effetto di questo primo ad essa impresso. Se la cos, si spunta
vimento.
;
l'obiezione
che
fa
il
Gomperz
a chi intenda la
un
si
(4):
se la xwpct
della materia,
abbiamo gi
tutto
(1) Cfr.
(2)
Zeller,
7,
o.
Phys. IV,
odj,uaTo<;
3:
xive^
eTvai
t kvv
tv]v
to
(3) (4)
\r|v.
"
eine
Bewegung ohne
ein Be-
Dello spazio
e della
materia.
in.
si richiede. Che se la distinzione tra il movente ed il mosso non pare sempre esattamente mantenuta, ricordiamoci che effettivamente la separazione tra la materia e lo spazio una
ci che
separazione del tutto ideale, e che legge naturale che ogni concezione che eccede la nostra
esperienza tenda a tornare
il
di essa.
si
ri-
Ho
muove per
generazione:
ma
si
sponde che questo moto dichiarato informe e disordinato, e non pu perci esserle stato impresso esteriormente dal creatore si deve dunque ritornare di necessit a riconoscerle un moto suo proprio ? Se ci che si muove di moto suo proprio anima, pare inevitabile la conseguenza che dunque anche la materia informe aveva un'anima. Ora, se la materia informe fu creata da Dio, come ci siamo sforzati di dimostrare, nulla vieterebbe poi di attribuirgli anche la creazione dell'anima
;
rispettiva
la
allo stesso modo che l'ha creata per materia ordinata, e perci in qualche maniera sotto questo punto di vista la difficolt superabile.
Ma
altri rispetti.
conda cre
nella
materia disordinata,
Timeo
ci
descrive
questo cosmo. E allora dov' andata a finire l'anima della materia primitiva? Oltre di ci pare inconcepibile come mai si possa dire da una
parte che ci che
si
muove
anima e
dall'altra
che questo movimento avviene ctXfUJC, kc uTpuuc; (pag. 52 A), mentre la ragione e la misura
II2
Capitolo III.
pajono essere con l'anima una cosa sola. Forse per altro in questa contraddizione potremmo trovare
si
la
spiegazione della
difficolt.
Il
il
parla nel
moto moto
di cui
razioIl
nale, o almeno,
come diremmo
noi, consciente.
moto, diciamo pur noi, vita, e non diciamo molto diverso da Platone, ma vita fino a che dipende da una causa interna, causa agente per lo meno, se non consciente e chi dice che il moto vita non tiene in conto che anche l'uomo che ha per;
duto
la
vita
il
cade a
parlar
terra, e
cadendo
si
muove.
Gli che
nostro spesso
equivoco:
diciamo si muove, e dovremmo dire in questo caso che mosso; ed mosso appunto perch
non pu pi muoversi. Cos si pu dire analogamente che Platone, attribuendo un moto alla materia, non intendesse attribuirle un moto atnonch consciente n razionale ma semtivo plicemente un moto passivo. Solo il moto proporzionato e periodico, che ha forma e numero, il moto che pu essere attribuito all'intelligenza e quindi all'anima; solo il ritmo pu misurarsi ed essere misurato, perch ha un Ttpac,: la con,
,
tinuazione o la successione ininterrotta di suoni non pu. L' equilibrio ordine e proporzione
;
materia informe non pu essere in equilibrio, perch avrebbe ordine e proporzione deve per ci essere in agitazione continua, deve muoversi, ma non gi per cercare l'equilibrio, che sarebbe
la
;
principio d'ordine, e
finalit:
sarebbe tendenza ad una mossa in perpetuo disordine, appunto perch non muove s stessa, perch non ha un'anima che la muova.
Questa spiegazione molto semplice: bisogna riconoscere per altro che non esauriente. Pia-
Dello spazio
e della
materia.
la
113
tone
tica
infatti
si
materia caoTT\r||uue\uj<;
muove
Xxwc, ko urpiuc, e
30 A), ma poi ci parla anche di un'vrfKri (p. 48 A) e, quel che pi grave, a pag. 57 C (1), ribadendo pag. 53 A, ci rappresenta la materia caotica come moventesi in una determinata direzione in quanto che le quattro
ko iKioi^ (p.
,
nazione delle specie), se non sieno da Dio altrimenti sforzate, tendono ad un luogo speciale e loro proprio, e continuano sempre ad attrarre a
s ci che a loro somiglia in proporzione della
dunque, malgrado le altre dichiauna forza attiva che agisce secondo certe leggi ? Essa espressamente definita come t ir\c, Tr\avuuuvr|<; eloc, ai-ria^ (p. 48 A), il che richiama ci che si muove Ti\r|)jjueXuj<; ko
loro massa.
razioni, questa vaYKn,
xdKTUJ^ di p. 30
di questo
A;
ama
(e
sia
pure
una causa soltanto formale e non efneente e molto meno finale) contrasta non poco col concetto di prodotto della generazione, che alla
teria
maavevamo attribuito. Vero che anche a ci si pu rispondere, che il prodotto della generazione originaria pu esser benissimo la causa
della generazione
seconda
ma
sta in fatto
che
ele-
quando
definisce
questo
mento
quando lo fa agire, gli attribuisce effettivamente una forza di resistenza e, in un certo^senso, di reazione, la quale
a parole,
altres
ma
impedisce
il
(1) Cfr.
pp. 58
B-C
e 68 E-69.
ii4
Capitolo III.
e perci
il
mondo
creato
non
riesce
buono
asso-
lutamente,
ma
Ci che noi possiamo constatare si che la speculazione platonica su questo punto non giunta nel Timeo al suo ultimo svolgimento.
miche, una buona ed una cattiva; segno evidente che anche Platone questa difficolt l'avea conosciuta e questo problema avea cercato poi o bene o male di risolverlo. Ci per non vuol dire che gi nel Timeo, o prima del Timeo, questa
soluzione
solo che
1'
avesse raggiunta
si
si
pu
forse
dir
avviasse sempre pi verso di essa. Nel Teeteto infatti bens vero che la necessit dell'esistenza del male affermata(p. 1 76 A),
pare
ma
terrena
nel
Timeo
si
fa
un passo
il
di pi
non
raggiungimento
ma
il
donde Platone era mosso, nel mondo creato doveva entrare. Infatti se l'essere bene, il divenire per ci appunto non pu essere bene,
principi
proporzione del suo allontanarsi dall'essere. Era pertanto giocoforza riconoscere nel divenire anche un elemento non buono (qpXctupov, p. 30 A), netale,
cessario alla natura stessa del divenire perch sia ed anche per ci questo elemento detto a
proposito l'elemento della necessit, elemento del resto essenzialmente passivo, inconsciente. Ma se questo era l'elemento del male, pu l'elemento
del
male essere
stato,
come che
sia,
creato da
115
il
Dio
si
Questo
il
muro
di
bronzo contro
quale
:
infrangono tutti gli questo il quesito che ci torna innanzi insistente. Vero che lo Zeller (1) propone di ritenere
come un
zione del
la
rappresenta-
caos prima del cosmo. E ne conveniamo. Resta per sempre la domanda, donde entrato il germe della degenerazione nel mondo?
Dio ? Pu
Cos' questa vYKrj che ostacola poi i disegni di l'dvdTKri identificarsi assolutamente con
la materia e Bisogna che
la
ci
fosse
il
pensiero di Platone.
ci
Timeo
deve
ci
e ad una tendenza dello spirito greco, e diciamo pure dello spirito umano. Del resto la
fin
qui af-
lare
popo(documento questo della rettitudine del senso umano) la personificazione dell'afact o della uotpa, la quale pure non ebbe mai n templi, n sacerdoti, n culto (2), n miti, n figura, n fu rappresentata mai come avente n libert, n intelligenza, n affetti, e nemmeno vita n attivit. Questo
embrionale,
nella concezione
lo stadio cui
il
come
concetto del
Timeo
era arrivato
ragione
il
(2)
(cfr.
Preller-Robert,
no.
uolpct
(3) Cfr.
Gomperz,
II,
pp. 486-487.
n6
ritenere
Capitolo III.
che Platone nel Timeo non fosse ancora giunto a liberarsi interamente dalla concezione popolare della materia: la degenerazione, la dissoluzione, la passivit in generale sono pure,
secondo il concepir nostro, procedimenti, e avvengono con determinate leggi, ancorch poi queste leggi possano essere considerate semplicemente come la sospensione delle leggi della Fors' anche Platone era pi conservazione. che altro preoccupato di censurare e combattere la teoria di Democrito (che egli per non nomina mai), e volea far intendere che la vxKri,
di per s soli e per gli elementi bruti, proprio impulso, non avrebbero mai potuto costituire alcun ordine, ma che piuttosto tendono a
ossia
disfarlo, e
che
la
dell'ordine,
non pu
con
la
le
parole di Arturo
si
si
sostanza che
sostanza che
la
muove muove
nota
A
la
tale
uopo
infatti
egli
espressamente che
suade
la
la
vTKT
telligenza quella
domina e per48 A), che insomma la in(p. che governa la legge fisica, non
intelligenza
fisica quella che informa l'intelligenza. preoccupazioni polemiche troppe volte guastano la genuinit delle argomentazioni, e chi vuol bandire una teoria, sia pur nuova ed op-
legge
le
Ora
posta alle
alla
si
dottrine
correnti,
deve andar
dritto
;
sua meta senza voltarsi di qua e di l se indugia, rovescer bens qualche opera avan-
(1)
in
"
Nuova
Antologia,
a.
40(1,6,
1905), p. 304.
117
ma non pianta la bandiera sulla rocca. Cos Platone qui ha bens ragione di Democrito, per altro intanto ne ammette almeno in parte i presupposti.
Gli che
di
queste
difficolt
non deve
il
essere,
ad un certo
il
punto, pi
intorno
ai
incolpato
quali la e
si
filosofo,
ma
si
soggetto
quesiti ultimi
travagliata
travaglia,
e sarebbe
non cresce n diminuisce. Se fu creata, non l'ha Dio ordinata subito? se era inperch creata, perch non l'ha ordinata prima? Ritenerla creata mi pare pi consentaneo alle dottrine platoniche in generale questa la mia impressione;
:
al lettore
il
vagliarla.
Del resto
io
sapeva e so bealla
nissimo di non poter aspirare se non che ebbe Critia, il quale appunto era,
ignorante tra
ranti
;
lode
igno-
come me,
potevo quindi presumere di risolvere questioni cos gravi. Bastimi di averle formulate (se pur ci sar riuscito) con sufficente chiarezza, e di aver fatto del mio meglio per invogliare
il
non
lettore a meditarle.
Ci che pi importa di ricordare sempre che un mito tutto quanto, e che appunto il Timeo l'essere un mito permise di disporre in successione cronologica ci che va tradotto in successione logica. Tenendo fermo ci, intenderemo sufficentemente come e perch Platone premetta
la materia caotica alla
materia ordinata,
Il
disordinato
in
al
moto
ordinato.
n8
Capitolo III.
s stessa caotica; concepiti l'uno e l'altra come prodotti di un'intelligenza, non possono essere
che ordinati tutti e due (i). E anche questo importa non dimenticare, che in Platone, oltre che un le parole e le frasi hanno un senso volgare, che c' senso tecnico, un senso letterale e un'allegoria, e che molte
cose
tanto
nell'uno
quanto
nell'altro
senso
bi-
sogna intenderle senza malizia. Siamo noi persuasi che Dio non pu essere nel male ? S ? allora dobbiamo anche spiegarci ragionevolmente perch Platone possa dire che la materia caotica si muove in disordine, come naturale che facciano
cose da cui Dio sia lontano (p. 53 B). (p. 269 C-270 A) detto che il mondo in un dato senso ed ora lo abbandona, di guisa che esso allora per effetto deirvYKn. reagisce e si volge altrettanto tempo in senso contrario, fino a che Dio non lo riprenda e non lo faccia di nuovo partecipe
le
Questa mitica alternamordel mondo nostro perocch il moto sempre talit ad un modo non possa appartenere che a chi per sua natura sempre ad un modo, quindi a Dio, e non a ci che diviene. Ebbene, la difdella sua propria natura.
ficolt dei
la
il
filosofo nostro
la rea-
risolse pi razionalmente,
eliminando
zione violenta dell'uno contro l'altro e contemperandoli insieme nel doppio moto dei pianeti,
e
il
il
divenire lo
mantenne
p. 92, in
nota a p. 30 A;
ug
costante per
dell'eternit
le incongruenze del mito del Politico: contentiamoci dunque di questo progresso verso la razionalit, ma constatiamo ancora che, con tutto
ci,
ziato.
IL
TIMEO
Fraccaroli,
Il
Tinte di Flatom.
Socrate
Timeo
Ermogene
Critici
*>->
y>->
\Jr>
y>->
\J^
<J^>
<J->
iJi iJi
J)
J^ J-
Socr.
Uno,
due, tre
dov'
il
quarto
(i)
p. 17
commensale
Timeo
Tim.
Socrate
capitata un' indisposizione, caro che di sua volont certamente non sarebbe mancato a questo convegno.
;
Gli
Socr.
Sar
allora
la
il
sostenere anche
parte dell'assente.
in noi
infatti
Tim. - Senza dubbio, e per quanto sta non tralasceremo diligenza. Non sarebbe
ricambiassimo l'ospitalit. Socr. E vi ricordate poi ci che io vi aveva pregati di dire e su che cosa ? Tim. Ce ne ricordiamo e quello che no, ci sei tu qui per suggerircelo. Piuttosto per altro, se
alla
ti
non
ti
meglio fondato.
(1)
Prolegomeni,
cap.
1.
124
11
Timeo.
me
Sia pure. Dei discorsi (i) detti jeri da Socr. intorno alle forme di governo, la sostanza era, quale di esse e per opera di quali uomini
mi paresse essere
Tim.
la migliore.
fu
mente con soddisfazione di tutti. vero che abbiamo dunque innanzi Socr.
tutto in essa distinto
separatamente ci che riguarda gli agricoltori e gli altri mestieri quanti ve ne sono, in confronto della cla'sse dei difensori (2)
Tim.
S.
E secondo natura poi dando a ciasingolarmente ci che gli si adatta, un ufficio solo e un'arte sola per uno, questi che doveano fare la guerra per tutti, abbiamo detto
Socr.
scuno
che
citt,
solamente custodi della o anche di quelli di dentro, venisse per farle del male, da una parte
dovessero
se
altri
essere
di fuori
18
rendendo ed amici
giustizia
benevolmente
ai
loro governati
mostrandosi
irep iroXi(1) x9<; itou tjv ir' uoO >n.9vT(Juv XyuJv Telaq f)v t xecpXcuov, oia re tca olu>v k. t. X. Collega Xyujv irepl TroXiTia<; (Stallbaum, Plat. Opp. VII; Martin,
tudes sur le Tim. de PI.) e non t xeqp. fjv ir. ttoX. (Mueller, Platon s sammtl. Werke, VI; Archer-Hinl-, Jowett) ; non occorreva infatti per certo ricordare che si era discorso della Repubblica, ma che, dato questo argomento, lo si era trattato cos e cos ola Te ecc. non altro che epesegesi di t KeqpdXcuov, come dicesse t
:
KecpdXcnov
(2) Cfr.
f\v
Tbe.
II,
pp. 369 E-374 E. Par. A, e non fire con qualche altro codice inferiore) qpcrei cpiXoic; outfi. Cos poche righe prima accetto la congettura del Bekker, ammessa ora dai pi, uictv KdaTiu Txvr)v, invece di dcp' icdaTOu Tf) Txvfl di A, che non ha senso.
de Rep.
(3)
Leggasi
koiI
(col cod.
Capitolo
I.
125
Tim.
Precisamente
.
Poich, mi pare, abbiamo discorso di S OCR una certa indole dell'anima dei custodi (1), come
cos.
dovesse essere insieme impetuosa e filosofica in sommo grado, affinch verso gli uni e gli altri potessero diventare a proposito e affabili e duri.
Tim.
l'allevamento (2)? Non s' detto che dovevano essere educati nella ginnastica e nella musica e in quegli altri ammaestramenti tutti
Socr.
S.
sono
stati
allevati
in
questo modo, fu detto pure, che non dovessero riputare come loro proprio n oro, n argento,
n altro possesso veruno (3), ma come ausiliari ricevendo dai loro difesi una mercede della loro custodia, quanta a costumati sufficente, dovessero spenderla in comune e, cibandosi pure insieme,
viver
gli
uni con
II, p. 374 D sgg. de Rep. II, p. 375 -HI, p. 412 A. Poco pi oltre si interpunga: naeruaaai Te, ffa irpoariKei totok;, v finaffi Teepqrai, e non totok; v airaffi o totoioiv uaoi come propone lo Stallbaum, perch nel primo modo
(1)
Cfr. de Rep.
(2) Cfr.
v arraffi si
congiunge naturalissimamente con naBnuaffi, generale che riassume e compie le parziali della ginnastica e della musica, mentre nel secondo il totok; superfluamente pesante. S'intende poi da s che totok; si riferisce ai custodi, non gi alla ginnastica e alla musica come intende I'Archer-Hind e ammette si possa intendere il Jowett. (3) Cfr. de Rep. III, pp. 415 D '4i7 B.
ed
l'idea
IxovTac; aperse; i navT<;, tujv fiXAwv fiYovTaq ffxoXriv. Uniscasi h\. travTt; ad xovtck; e perci tengasi per chiarezza la virgola dopo
(4)'iriMeXeiav
niTrieuMTUDv
navTq.
126
II
Timeo.
liberi
della
zioni.
virt',
restando
dalle
altre
occupa-
Tim.
Fu
fatto men vero? abbiamo, anche delle donne (i), come convenisse coordinare le loro indoli analogamente a quelle degli uomini, e come in comune anche ad esse
Socr.
zione
si
dovessero estendere tutte le istituzioni, sia in quanto concerne la guerra, sia anche per ogni altra consuetudine di vita. Cos anche questo fu detto. Tim. E che cosa poi sulla procreazione (2) ? Socr. Forse questo per la novit delle cose dette molto facile a ricordarsi, cio che abbiamo proposto in
a tutti tutto, e nozze e figliuoli, ingegnandoci (3) di far s che nessuno abbia mai a conoscere chi sia quello che fu generato da lui particolarmente. Tutti cos si reputeranno consanguinei, sorelle per esempio e fratelli quanti siano dentro
comune
d'una data et, e quelli al di sopra di essa e pi su ancora genitori e progenitori, e quelli al
di sotto figliuoli e figliuoli dei figliuoli.
fi) Cfr. de Rep. V, pp. 451-57. L'Acri (Dia/, di Plat. volgar.) traduce " che a cotali uomini conviene sposare donne di somigliante natura , il che qui non ha che fare qui si parla solo del coordinare (Suvapuocrrov) le donne agli uomini quanto all'educazione e alle attribuzioni loro dello sposare si parla poi.
: :
:
(2)
(3)
Cfr. de Rep.
p. 466.
Leggasi unxaviO|aevoi con lo Stefano e parecchi codici (Stallbaum, Martin, Archer-Hind), non unxotvuu|uvou<; di A tenuto dall'HERMANN, n l'emendamento unxavuu|uvoi<;, che sono uno stento. L'Archer-Hind traducendo con " to the end that e il Jowett con " to the intent that aggiungono un concetto di finalit che
manca
Captolo
I.
127
Tim.
S,
dici.
forme tu
Socr.
Ed
possibile ottimi di loro natura (1), ci ricordiamo che abbiamo detto, come ai reggitori e alle reggitrici
convenga procurare
i
in
daploro
poco
di l
le
pari, e
astio tra
cagione del
loro
congiungimento
Tim.
levare
tirli
Ce
figli
Socr.
i
lo
ricordiamo.
al-
19
dei buoni (2), e quelli dei cattivi sparnascostamente nelle altre classi della citta-
dinanza? E stando attenti mentre crescono, quelli che se ne mostrino degni doversi richiamare nello stato di prima, e quelli che in tale stato siano indegni, alla loro volta farli passare nel luogo dei
ritornati
?
Tim.
Socr.
Abbiamo
di jeri, sia
Cos appunto.
dunque
l'argomento
cose
discorse,
paia
si
Tim.
No
(1)
Cfr. de
(2) Cfr.
p.
423 C-D; V,
p.
460 D.
128
//
Timeo.
II.
Socr.
il
seguito a pro-
abbiamo ripassato, quale impressione me ne resta ? Mi fa proprio l'impressione come se uno, dopo aver visto
posito di questa costituzione che
dei
belli
animali
rappresentati in pittura, o
quieti, gli venisse
il
anche
vivi
davvero,
ma
desi-
tivamente qualcuna delle attitudini che si crede C convengano ai corpi loro. La stessa impressione
sento io rispetto
alla citt
di cui
s'
discorso.
Udrei infatti volentieri qualcuno che ragionando descrivesse come, quelle lotte che le citt sono
costrette a sostenere, essa le sa sostenere contro
gli
altri
Stati, e
accingendosi
come
si
deve
alla
all'isti-
fatti
dove da agire, sia nei discorsi quando si ha da trattare con le singole altre citt. Su questo punto pertanto, o Critia ed Ermocrate, io stesso mi sono persuaso che non potrei mai esser capace di encomiare convenientemente n la citt n gli nomini (2). E quanto a me, non mi stupisce; ma la
(1) L'azione la prova e per cos dire il compimento della teoria: analogamente, a p. 37 C, Dio si compiace dell'opera sua, quando la vede in moto. (2) Anche nell'Apologia, p. 32 A-E, Socrate dichiara di
non aver mai preso parte alla vita politica determinato sempre ad essere onesto e a praticare la giustizia, egli riconosce che, ove di politica si fosse immischiato, non avrebbe potuto diventar vecchio, com'era diventato, n
:
lui
n alcun
altro
galantuomo.
Capitolo
IL
129
me la sono fatta anche dei poeti che furono una volta e di quelli che sono ora (1); non perch io disprezzi la famiglia dei poeti, ma
stessa opinione io
si
d all'imitazione imiper
pa-
mezzo uno
role.
alle
imitarlo coi
e anche pi difficile
con
le
classe dei sofisti (2) poi la reputo assai sperimentata in molte sorta di ragionari e in molte
La
Nella Repubblica, III, p. 392 C sgg., distingue la poeimitazione e triyncui; esposizione; ma effettivamente poi, specie nel 1. X, la condanna tutta come imitazione. Qui se ne parla come di un genere esclusivamente imitativo, ma non vi traccia di quell'asprezza di giudizio che si nota in quell'ultimo libro, anzi ammesso che l'imitazione a qualche cosa serve: una resipiscenza di Platone? Cfr. i Prolegomeni, cap. I, 1, p. 7, nota 3. (2) La parola sofista ha in italiano un senso troppo basso e cattivo per poter nel parlar comune corrispondere alla parola greca: gli che una parola esattamente corrispondente ci manca, come ci manca la cosa.
(1)
sia in uiuncn<;
aocpiarai corrispondono ai nostri i sono d'un grado pi alto; per altri si potrebbero paragonare agli eruditi, ma erano meno pedanti e pi vivaci. Volgarmente si affetta di sorricerti
Per
rispetti
conferenzieri,
ma
derne,
tici
come
dialoghi socra-
Platone accede facilmente a questa opinione; ma a giudicarne serenamente dovremo riconoscere tra di essi anche delle persone di altissimo ingegno e di molta dottrina, sebbene la meta della loro vita non fosse la ricerca del giusto e del vero. Alla verit facevano almeno l'onore di riconoscere che non ne erano essi i sacerdoti; e ci scandalizza molto coloro che 1' hanno sempre sul labbro e tanto pi la professano a parole quanto pi la calpestano coi fatti. Nel Sofista (p. 217 A) si discute se sofista, politico e filosofo possano essere una cosa sola, o due o tre; qui riassumendo detto che i sofisti non si intendono n di politica n di filodi
sofia.
130
altre belle cose,
11
Timeo.
ma temo
e
non avendo
dimora
politici
fissa,
degli
uomini
che cosa facciano o che cosa dicano, di quante e quali in guerra e in battaglia ne fanno in realt, o conversando con questi e con quelli ne dicono in parole. Ri-
n dei
20
mane
la
pertanto la specie della vostra condizione, quale partecipa dell'una cosa e dell'altra (1) e per natura e per educazione. Infatti, per esempio, il nostro Timeo (2), che da Locri in Italia, citt benissimo ordinata, e non inferiore ad alcuno
del suo paese per sostanze e per nobilt, ha avuto in mano le pi alte cariche e i pi alti onori nella
citt sua,
sommo
in ogni
Cio della filosofa e della politica. Ci che sappiamo di Timeo tutto qui: le altre notizie su di lui non hanno fondamento attendibile, tranne quella che fosse conosciuto personalmente da Platone. Veggansi i Prolegg. cap. I, 2. Le leggi di Locri Epizefiria erano attribuite a Zaleuco, e che in realt le lodi di Platone siano a proposito, testimonio anche Pindaro, Ol. X, v. 17. Cfr. Legg. I, p. 638 B. in Tirn. p. 22 D, ci dice di Critia (3) Proclo, Comm. che frequentava i convegni dei filosofi, e che era chiamato filosofo tra gli ignoranti e ignorante tra i filosofi TTiTero kc cpiXoaqpuuv auvouauLv xal icaXdTO idrnc
(1) (2)
5
cpnaiv.
uv v qnXoaqpon;, qnXaoqpoc; b v Iiuitcik;, \bq i ioropia Nel Carmide (p. 169 C) rappresentato come uno che tiene pi all'apparenza di sapere che alla sostanza. Com' noto, nella reazione oligarchica fu uno dei trenta tiranni e anzi fra tutti il pi ladro, il pi violento e il
)
pi sanguinario, secondo Senofonte, Meni. I, 2, 12. Questo dimostra, se ce ne fosse bisogno, quanto sia differente praticare dallo speculare, e come l'ambizione e la il passione di parte possano acciecare anche le persone che pajono serie e condurle al delitto; di che non Critia esempio unico n raro. Che avesse frequentato
Capitolo II.
131
m' immagino che tutti quanti siamo qui sappiamo bene che non nuovo per alcuno degli argomenti
di cui
discorriamo.
finalmente
(i),
dell'indole
la sia
della cultura di
Ermocrate
che
adatta a
conversazione di Socrate, ci attestato pure da Senofonte, che ricorda come Socrate per questo ne fosse diffamato; ci soggiunto per altro (ib. 18 e 24), che finch era stato 'con Socrate si era condotto saviamente. Che poi Socrate disapprovasse gli atti di Critia tiranno, ancora Senofonte a testificarlo (ib. 29-38), e ci chiaro anche dall' Apologia di Platone, p. 32 C-D, dove Socrate riconosce che, se la tirannide dei Trenta avesse durato, probabilmente sarebbe stato messo a morte lui pure. Di Critia ci rimangono parecchi frammenti poesuoni la fama, ma ci tici, pregevoli pi che non ne che lo onora di pi il conto in cui mostra di tenerlo Platone, che scriveva a mente serena molti anni dopo la trista fine di lui, ed giudice spregiudicato, non ostante la parentela che avea col tiranno. E notisi il contrasto singolare Critia, che fu tiranno, quindi il pessimo degli uomini e il rappresentante del pessimo dei
la
:
governi, secondo la tesi sostenuta da Platone stesso, qui e nel dialogo a lui omonimo deputato a descrivere lo Stato pi ben ordinato e governato. Ma forse l nella Repubblica e specie nei 11. Vili e IX, ove si rappresenta il sorgere della tirannia e la triste necessit che ha il tiranno d'esser crudele e sanguinario, anche Critia fu uno degli esempi a cui Platone pensava, e in quelle pagine si pu cercare insieme e la sua condanna e la
sua scusa.
(1) Ermocrate, figlio di Ermone Siracusano, tenne una parte principalissima e nobilissima nella difesa della sua patria contro l'invasione ateniese, e Tucidide conferma e ribadisce ampiamente l'elogio che ne fa qui Platone, dicendolo (VI, 72) uomo che non restava addietro a nessuno per intendimento, e nella guerra era e abile per dottrina e insigne per valore: vn.p kci le, TXXct Eveaiv oev<; Aeuruevot; jca xar tv TrXeuov iuTretpiq. Te Kav<; yevuevcx; xal vpetqi Tri<pavn<;- E tale appare e negli atti Ubid. VII, 73: cfr. Plut. Nic. 26) e nei consigli: tre infatti sono le orazioni che Tucidide (IV, 58 sgg.; VI, 33 sgg. e 76 sgg.) gli mette in bocca piene di pensieri e di prudenza politica, e pi volte
132
//
Timeo.
tutte queste
testimoni, che
sono ricordate le sue savie considerazioni (Thuc. VI, 72; Plut. Nic. 16 e 28). Nel Timeo e nel Critia egli ha troppo piccola parte, perch possa riconoscersi anche in essa una rappresentazione della sua indole, bench non manchi qualche tratto caratteristico XX *(p 6u:
arnaav, dice egli nel Critia, p. 108 C, gente che si scoraggia non ha mai eretto trofei, e di tal verit egli aveva fatto esperienza nell'assedio di Siracusa. Ma dopo la battaglia di Cizico (marzo 410), cui presero parte alcune navi siracusane, che dovettero essere incendiate perch non cadessero in mano degli Ateniesi, Ermocrate e gli altri strateghi, che le comandavano, ricevettero la notizia che il popolo li aveva esiliati (Xen. Hell. I, 1, 27-31). Forse la sconfitta aveva dato ansa alla parte radicale capitanata da Diocle, e la moderazione di Ermocrate verso i nemici contribu alla sua rovina (Plut. 11. ce. e Diod. XIII, 63). Senofonte (1. e.) ci racconta pure il malcontento dell'armata per questo fatto, e riferisce le nobili parole di Ermocrate che si sacrifica per evitare la discordia civile. Come per altro l'armata fosse tornata egli sarebbe stato rimesso in Siracusa: questa promessa
uoOvt<; fivpei;
outtuj
"
Tp-rraiov
egli
ebbe prima
di partirsi.
a Sparta (Thuc. Vili, 85; Xen. Hell. I. 1. 31), quindi in Sicilia, ove trov gi distrutte Imera e Selinunte, dunque dopo il 409 o il 408, a seconda si ritenga l'una o l'altra data per la catastrofe di queste citt, e per l'anno successivo, mentre era gi entrato armata mano in Siracusa. Diodoro (XIII, 63 e 75) ne pone il ritorno sotto il 409-8, la morte sotto il 408 7. Si cercato di dimostrare con altri argomenti che la scena del dialogo della Repubblica va collocata parecchi anni dopo il disastro di Sicilia e le si assegna il 409 o il 408: orale considerazioni nostre confermano e dimostrano vera questa conclusione. Infatti l'et dei personaggi esclude le date molto anteriori e gli anni 414-10 sono pure esclusi dall'impossibilit che Ermocrate si trovasse allora in Atene. Nel Timeo egli ospite di Critia, uno dei capi conservatori, alla cui parte Ermocrate pure apparteneva: si pu creder pertanto che durante il suo esilio, appunto intorno al 409, quando and a Sparta, egli
,
abbia fatto ad Atene una visita. E questo mi pare debba por fine a qualsiasi dubbio intorno alla data che Platone immaginava per la scena di questi due dialoghi.
Capitolo II.
133
jeri
convien proprio crederlo. Queste cose (1) io anche pensando, come mi pregavate che si ripetesse ci che era stato detto intorno allo Stato, ben volontieri vi accontentai, sapendo che poi il seguito del discorso nessuno lo sbrigherebbe meglio di voi, purch lo voleste perocch soli dei moderni voi sapreste trovare una guerra adatta in cui rappre:
sentare impigliata la citt (2) e attribuire alla citt stessa tutte le condizioni che le spettano. Ebbene, con l'adempire io la parte mia, ho assegnato a voi
quel ricambio che ora vi ricordo; avete infatti acconsentito, dopo aver ponderato insieme tra voi, di ricambiarmi oggi l'obbligazione dei ragiona- C
menti, ed io sono bello e in ordine per questo, e
sono il pi disposto di chi che sia per ricevere. E per verit, come disse il nostro Erm.
Timeo, caro Socrate, non mancheremo certo di buon volere; n v' per noi alcuna scusa per non far ci che anzi anche ieri appena partiti di qui,
;
come fummo
alle
dove siamo alloggiati, e anche prima per la strada, abbiamo pensato precisamente a queste cose. Ed egli ci ha raccontato una storia ch'egli ha da una
antica tradizione, la quale, o Critia, digliela ora anche a lui, affinch possa giudicare lui pure, se
al
Leggasi con 1' Hermann: 8 (e non bi) kci %e^ che male potrebbe stare iavoo0(ievo<; senza un oggetto: il i nacque dalla fusione di 8 col bri che chiude il periodo precedente, e che perci manca
(1)
ycb ictvooOnevcx;,
nei codici
(2)
el<;
dopo
ixiaxeuTov.
irp-rrovra KaxaaTriaavTCt; xr)v irXtv.
tP Tr\euov
Evidentemente si ha da intendere la citt immaginata da Socrate, non quella di cui ciascuno di loro era cittadino dunque guerra ipotetica in costituzione ipotetica.
:
Fraccaroli,
Il
Timeo di Platone.
12
J34
//
Timeo. se
Crit.
Facciamo
cos,
anche
il
terzo col-
lega
molto strano bens, ma per altro del tutto vero, come diceva una volta Solone, il pi savio di
era infatti nostro parente (i) e amicissimo del bisnonno Dropide, come dice an-
quei sette.
(i)
t^v
uv oOv
oxetoi; koI
otppa
cpiXoc; i'iuv
Apumibu
toO
KaGmep X^ei uoXXaxoO Kal axt; v Tfj noirioei- Proclo ci ricorda a questo luogo che col nome di oxetot si chiamavano non solo gli amici di casa, ma anche i parenti, p. 26 B: e b oteeov trXx; tv XXwva KxXnKev, o bei GauuZeiv. IXeyov fp oKeiouq o uvov to<; auvnecic;, X\ kc to<; auYYeveic. L'osservazione sarebbe superflua, perch questo nell'uso comune ma tanto della lingua, come conferma pure Esichio Proclo quanto lo scoliaste, che lo copia, la fanno intenzionalmente. Essi infatti credono con Diogene Laerzio di Solone. Ma se era (III, 1) che Dropide fosse fratello tale, perch non l'ha detto Critia senz'altro beXcpc? perch usare la parola equivoca invece di quella specifica e precisa, e proprio l ove si voleva far notare la stretta intimit dei due personggi? Oltre di ci mi pare evidente che l'mtv fuori di luogo: cosa vuol dire n-poTTTnrou q>iXo<; f|uv Apumibu toO irpoTrainrou ? O che sta per irpoTrdTnrou i^uiliv? N si pu prendere l'iiav f|utv per dativo etico. Credo pertanto che tyiv sia da trasportarsi dopo oii<efo<; (come iperbato mi parrebbe troppo strano) e valga nostro parente egli era dunque congiunto con la famiglia e in particolare intimo di Dropide. Cos nel Carmide platonico (p. 157 E) ancora Critia che parla e dice che la casa di Critia figlio di Dropide era stata cantata da Anacreonte e da Solone Kpifiou toO Apumiou Kal il te fp TraTpUja i*|uv olKia tt' 'AvaKpovToq Kal Oli lXwvoc; Kal vn fiXXuuv ttoXXiv -troinTUJv YKeKWUiaffuvn uapabborai uv: ora n la cosa in s stessa, n il modo con cui raccontata, permettono di credere che Solone fosse veramente fratello di Dropide. Sar dunque stato parente pi lontano, oppure congiunto d'affinit (Cfr. Stallbaum, Prolegg. ad Charm. pp. io4-5 2 ). Se per altro rifiutiamo la tradizione che Solone e Dropide fossero tutti e due figli di ExeirpoTTinTou,
;
: :
Capitolo
IL
135
eh* egli
stesso in
pi
Critia poi
vecchio
sua volta con noi) che grandi e furono anticamente le gesta della citt nostra, le quali erano state dimenticate per e il perire degli uomini, ma che il troppo tempo
ricordava
meravigliose
una era grandissima; e poich di essa abbiamo ora fatto menzione, potrebbe essere del
tra tutte
21
caso che
stesso
alla
ti
rendessimo cos
per
tal
il
tempo facessimo
(1),
giusto e
Dea
festa.
modo
sua
cestide,
abbastanza certa
infatti
la
Critia primo, da Critia Callescro e Glaucone primo, quello padre di Critia secondo, il nostro, questo padre di Carmide e di Perictione che alla sua volta fu madre di Platone, Glaucone secondo e Adimanto. Dei versi poi nei quali Solone ricorda Dropide ed i suoi, ne rimangono due conservatici prima da Aristotele {Rhet. I, 15; fr. 22 del Bergk) e citati poi da Proclo (p. 25 F) e dallo scoliaste a questo luogo
Da Dropide
nacque
ehryevai
Kpmn
o yp .uapxivuj Tieiaerai
(1)
Proclo
(pp. 9
e 26 E-27)
ci
mediatamente seguente alle Bendidie era quella delle Panatenee minori; ma poich consta che ci non vero, e che tra questa festa e la prima invece l'intervallo di due mesi (A. Mommsen, Feste der Stadt Athen in Alt. p. 51), I'Hirzel {Der Dialog, I, pp. 256-7) ed il Ritter {Philol. LXII (1903), pp. 410 sgg.) precipitarono nella conclusione che dunque la scena del Timeo non continua quella della Repubblica, e che i discorsi intorno alla Repubblica, che nel Timeo si riassumono, e che pur cos esattamente convengono coi primi cinque libri di quel dialogo, sono altra cosa e si richiamano ad un'altra conversazione di Socrate non consegnata alla scrittura da Platone, una ripetizione riveduta e corretta da poter collocare dove fa comodo. Anche il Lutoslawski, 0. e,
136
//
Timeo.
Dici benissimo. Ma quale cotesta imSocr. presa che Critia descriveva, non come raccontata,
ma come
citt,
fatta
realmente
(1) in antico
da questa
?
pare inclini in un'opinione analoga a queste. per evitare una difficolt si cade in una stramberia. Le Bendidie secondo Proclo si celebravano il 19 o il 20 del mese Targelione (Maggio) (a p. 9 dice il 19, a p. 27 dice il 20); e nello stesso giorno, secondo Fozio (sub //. v.), si celebravano t KaXXuvTnpiot, alle quali feste erano strettamente congiunte t. TTXuv-rnpia. Le Plinterie, che spettavano appunto al culto d'Atena, si celebravano secondo Fozio (1. e.) il 29, secondo Plutarco (Alcib. 34) Ora lo Stengel (Griech. Kulil 25 dello stesso mese. tusalt. p. 214) ritiene con Ad. Schmidt (Handb. d. gr. Chron. p. 299) che la mobilit della data fosse in relazione con la mobilit delle Bendidie, per le quali anche Proclo ci indica due giorni diversi. Si pens anche, con qualche probabilit, che le Plinterie durassero pi giorni, e con probabilit minore perfino a uno scambio di precedenza tra Callinterie e Plinterie (Cfr. Schoe4 mann-Lipsius, Gr. Alt. II pp. 490-91), come pure che le giorno solo e le Callinterie fosPlinterie durassero un sero una parte delle Bendidie: cfr. Ad. Schmidt, 1. e; A. Mommsen, o. e, pp. 491 sgg.; Preller-Robert, Gr. M. di ci, questo certo, che non I*, p. 209. Checch sia manca subito dopo le Bendidie una festa di Atena adatta all'allusione di questo luogo, anche se non saranno le Panatee volute da Proclo.
p. 488,
Ma
XX n ttoov Ipyov toOto Kpiriaq o XeYuevov upax6v vxwq tt Tf^e xf); TTXeux; pxcnov La collocazione di o f)ir)T e ^ T0 Kar ff|v IXujvoc; Koryv Xeynevov tra uoiov e injeTTO, e la correlazione tra Xe-fuevov e -rtpaxQv mostrano che la nostra interpretazione, che anche quella del Martin e del Mueller, la sola vera. L'Acri invece: " ma quale codest'opera non mentovata e nientemeno fatta dalla nostra citt anticamente, secondo che raccont Solone? Similmente lo Schneider. Peggio Proclo col suo un irdvu \xtv Te9puXr|uvov, Yevuevov uux;, e lo Stallbaum che lo segue. L'Archer-Hind, che pure traduce " though unrecorded in history, soggiunge in nota la vera interpretazione: not a mere figment of the imagination (like the com(1)
uv. uj; o
'"
Capitolo
IH.
137
III.
racconter un discorso antico che ho udito da un uomo non pi giovane. Poich Critia era allora, come diceva egli stesso, non molto lontano dai novanta, ed io poteva avere B
Crit.
dieci anni.
Ti
Era
delle feste
anche
genitori ci proposero delle gare di rapsodie, e furono recitate molte poesie di molti
allora
;
cio
cantammo anche
nuovi
come
che
quelli ch'erano
tempo
l.
uno
dei confratelli
(2),
sia
paresse veramente
monwealth described in the Republic), but a history of facts that actually occurred; e adduce a confronto e prova p. 26 E io re u^ TtXaoevxa uOGov \\' Xr|8tvv
:
Xyov dvai. Il Jowett viceversa d l' interpretazione vera nel testo, e propone anche l'altra in nota.
KoupeJTK; f|ufv 0C00 TOYXavev 'Anaroupiiuv. feste delle singole fratrie; si celebravano nel mese Pianepsione (Ottobre) e duravano per tre giorni, il terzo dei quali si chiamava Koupeumq dall'essere in esso, come dice Suida, i fanciulli e le fanciulle iscritti nei registri delle fratrie: tto to to;
(1)
f\
Le Apaturie erano
Kopouq
kciI
x<;
Kpaq rfpcpeiv
de; toc;
qppaTpicu;. Cfr.
Schol. Aristoph. Acharn. 146. Delle gare dei in questo giorno questa di Platone la pi
testimonianza.
(2) tIc;
fanciulli
esplicita
fratria.
La
uno appartenente alla nostra TiLv cppaTpuuv fratria corrisponde press'a poco alla gens
romana.
138
// Timeo.
cos, sia
gli
come
nelle altre
tra
cos
poeti
il
pi nobile
E
:
il
vecchio, mi
par proprio di vederlo, molto si compiacque dell'osservazione, e disse sorridendo Se, caro Aminandro, egli non avesse trattato la poesia come
un accessorio,
ma
se
ne fosse occupato
sul serio
avesse condotto a termine quella narrazione che aveva portato dall'Egitto, e per le discordie civili e per gli altri guai che trov
gli altri, e
come
a trascualtro
rarla
a parer
poeta nessuno sarebbe stato pi celebrato di lui. E che cos'era cotesto racconto, disse egli ; o Critia?
Era, disse,
me-
pi famosa di quante
ma per il tempo e il perire di quelli che l'hanno compiuta non ne dur fino a noi la memoria.
XeuGe(1) boKfv ol... ZXuuvct... tiIiv iroiriTULJv TrdvTuuv pidjTdTOv. Notisi bene, non dice affatto che Solone gli
paresse un gran poeta, ma solo che gli pareva il pi nobile; e questo va. poeta infatti essenzialmente morale; e lo scopo didattico e gnomico non ammette poesia vera e grande, se pure vero ci che dice Socrate nel Fedone (p. 61 B), che la poesia non punto
Xyot;
ma n06o<;. Se dunque egli non scrisse la leggenda egiziana, dato e non concesso che del resto il racconto di Critia sia vero, ai motivi di impedimento che qui Critia
enumera, anche un altro probabilmente da aggiungere non la scrisse perch non aveva ispirazione suffi;
a questo giudizio torna quello di Plutarco che riconosce che Solone lasci di scriverla, non per mancanza di agio, ma piuttosto perch era vecchio e si era spaventato della lunghezza dell'impresa.
cente.
(Sol. 31),
Capitolo III.
139
egli,
Vi
vertice
fende
il
denominata Saitica, e di questa provincia la maggior citt Sais, donde appunto fu anche il re Amasi. Per fondatrice della citt essi hanno una Dea, che in Egiziano ha nome Neith (1), e in Greco Atena, dicon loro; e sono molto amici degli Ateniesi e per un certo rispetto dicono di essere loro parenti. Ivi dunque andato Solone, raccont che fu tenuto in grande considerazione presso di
loro, e che,
come
interrog sui
fatti
antichi quelli 22
si
tra
alcun altro
di tali cose.
una
volta,
cominci a parlare di quelle cose che da noi passano per antichissime, di quel primitivo Foroneo leggendario (2) e di Niobe, e dopo il
(1) Che la Dea venerata in Sais fosse Atena, lo asseriscono anche Cicerone, De Nat. Deor. Ili, 23, 59, e Plutarco, Is. et Osir. 9, 32 e 62 ; ma Cicerone non ne d il nome egizio, e Plutarco la agguaglia invece ad Iside. Dice poi che v' era questa epigrafe nel suo tempio yJL> eul ttcv t yeyovc, kccI v kci auevov Ka tv uv " io sono tutto ci TTTrXov obeic Trai Gvnxi; -neKkvyev che stato generato e che e che sar, e nessun mortale ha mai alzato il mio velo. Cfr. Procl. o. c,
:
p.
30 D-E.
(2)
Foroneo sarebbe vissuto prima del diluvio di Deucalione e sarebbe stato figlio di Inaco, perci re d'Argo. Clemente Alessandrino, Strom. 1, 21, p.321 (I, p. 825 Migne) dice che Platone tolse questa notizia dallo storico Acusilao, che chiama Foroneo il primo degli uomini. Pausania, pi discreto, III, 15, 5, lo dice il primo degli uomini dell' Argolide, e che Inaco suo padre non
140
//
Timeo.
Pirra,
come
si
la
genealogia
quanti
dei
loro
discendenti
degli
anni loro,
mezzo dei quali diceva che s'era provato di fare il computo cronologico. Ma uno dei sacerdoti, che era ben ben vecchio (1), gli disse: O Solone, Solone, voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco vecchio non c'. E sentendo ci Giodisse egli. Come mai dici questo? anima tutti. Perocch non vani siete, rispose, di
erano, per
C ventata canuta.
volte
nione n scienza che per il lungo tempo sia diE il perch di ci questo molte
e per molti
e
uomini
altri
dell'acqua
pi
di voi, che
lievi.
giogato
il
ma
la
verit (che
(2) delle
cose che
era un uomo, ma un fiume. Niobe poi era figlia di Foroneo (Paus. II, 22, 5: ib. 34, 4-5), e non da confondere con la Niobe figlia di Tantalo.
(1) Plutarco ( V. Sol. 26; Is. et Osir. io) dice che questo sacerdote si chiamava Sonchis e che in Eliopoli Solone ne conobbe un altro di nome Psenophis; Proclo invece (o. e, p. 31 D) racconta che il sacerdote di Sais conosciuto da Solone si chiamava Pateneit, e quello di Eliopoli Ochaapis, e che ne conobbe un terzo, Ethemon, in Sebennito; soggiunge poi che Pateneit probabilmente quello che gli raccont la storia. (2) -nrap/\Aci<; deviazione, come nel Politico, p. 269 E, e perci perturbazione: dalla perturbazione nasce l'in-
Capitolo III.
141
circuendo la terra vanno per il cielo, e la distruper mezzo del fuoco, dopo lunghi periodi di tempo, di tutto ci che sulla terra. Allora infatti quanti vivono per i monti o in luoghi elevati o secchi periscono pi di coloro
zione
che abitano sui fiumi o sul mare noi poi il Nilo, che il salvator nostro anche nel resto, anche allora, uscendo fuori (1), ci salva da questo fran:
cendio, come bene parafrasa Calcidio :" fitenim longo intervallo mundi circumactionis exorbitatio quam vastitas
:
inflammationis consequatur necesse est. Proclo invece si mostra incerto, e domanda cosa voglia dire, p. 35 E-F: t^v anuaivuuv ol rf\q -irapaXXEeuK; E risponde -ri auuueTpiav twv iv yf) irpc; x opvia ... f\ xv tjv opaviuuv -ttoikXov axn.uaTiffuv, cio, o la sproporzione di ci che in terra con le cose celesti o l'ambigua disposizione di queste. L'interpretazione vera la prima. Nel Politico, p. 270 D, queste catastrofi avvengono quando il mondo a certi periodi di tempo, abbandonato da Dio, si muove da s in senso inverso. Nel Timeo di questo periodico abbandono non alcuna traccia: ad ogni modo anche ci che si dice qui va inteso in senso mitico, non come un fatto accertato e conosciuto razionalmente.
;
:
t'
ie
ToaiTr|<;
Tiq
Tropia<; atuei
Xu|uevo<; per XOwv, p. 37 B: XreTai *fp (ttikuk;, Sti Xei rf]c, Tropiou; f\v<; NeTXoq.
Similmente il fido Scoliaste e Suida, sub v. Xunevoc;. Ed l'interpretazione accettata anche dallo Stallbaum, dal Martin e dal Jowett, non ostante che Xuiuevo^ con essa paja inutile. L'Acri invece rende Xuuevo; con " sciogliendosi dalle ripe e inondando, come fa anche il Mueller, e I'Archer-Hind pure con " by releasing his founts, attingendo ad una interpretazione di
Porfirio (cfr. p. 142 n. 2) citata da Proclo, p. 37 A, che la rigetta: t rravivai Kdxa)9ev toOto (ai. tot) tuj AiYuttti) bnXoOv xal t odjlei Xvnevoc,, cio che adiZei Xuju. non vuol dir altro se non che l'acqua pullula su dal terreno. Tutto ben ponderato preferisco anch'io questa seconda interpretazione. Infatti bens vero che cos
semplicemente senza alcuna spiegazione precedente Xu|uevo<; pare difficilmente possa esser capito in questo
142
II
Timeo.
gli
gente. Cos
quando viceversa
la
ficare la terra
inondano
i
(i),
quelli
sui
monti
si
salvano bens,
bifolchi e
pastori,
ma
quelli che sono trascinati dai fiumi nel mare. In questo paese qui invece n allora n mai l'acqua scorre dal di
nelle citt
vostre
vengono
ma
per
lo contrario
ha
tal
na-
Ecco come
e per
senso da un lettore spregiudicato (e questo pu far credere che qualche altra parola sia caduta) bens vero del pari che ci che subito dopo soggiunto, che effettivamente in Egitto le inondazioni avvengono per l'acqua che pullula su dalla terra, e non per le piogge che scendon dal cielo, a stretto rigore logico non pare intenda a spiegare il Xuuevo<; che precede ma a interpretare Xu|ivo<; nel senso voluto da Proclo mancherebbe affatto ci che pi importava di dire, cio in qual modo il Nilo salvasse l'Egitto dalle conflagrazioni, mentre invece detto parallelamente e subito dopo in qual modo il paese sia salvo dai cataclismi. Alcuni codd. inferiori hanno ftuuevo;.
;
;
libro delle Leggi per spie(1) Nel principio del terzo gare l'origine dello Stato (determinandosi e concretandosi la tesi proposta nel principio del Timeo) si ripiglia lo stesso mito delle periodiche distruzioni del genere umano, insistendo per altro pi specialmente sui cataclismi che spazzano le citt e la civilt loro, dai quali simbolegsi salvano solo alcuni pochi rozzi montanari, giati da Omero nei Ciclopi. Lo stesso mito in forma pi fantastica raccontato anche nel Politico, pp. 269 gg. che Porfirio osservava (2) Proclo (p. 37 A) ci informa come fosse opinione antica degli egiziani che nell' inondazione del Nilo l'acqua pullulasse dalla terra, e che perci il Nilo fosse chiamato sudore della terra ( pwTct Giamxf|<; TnO- E cos, soggiunge poi (p. 37 B), anche blico sosteneva doversi intendere, invece della spiegazione, che scientificamente pi vera, d' Eratostene, che pur riferisce con queste parole: fiXXoi qpacnv, ti aoEerai Net\o<; u ufSpujv tivwv e<; cojtv cxeouvwv, toOto ouv ut, fpr|Tai iappn&riv otto 'Epcrroaevoix;. o vopXuaGaiariMOtivei T novivai vOv, t Kd-rwev ttoGev t]<; veiv, XX (t) t tiuup XXaxGev aEuevov vundpw
Capitolo III.
143
quali
cagioni
ci che qui
tramandato
Il
si
ri-
fatto si
poi che in
tutti
luoghi,
o calore non
lo
impedisca
dal pi al
meno
si trova sempre la razza umana; e che quante 23 cose accadono o presso di voi, o qui, o in altro luogo, delle quali abbiamo notizia, se ce n' alcuna bella o grande o per altra cagione segna-
lata,
tutte
son qui
scritte
ab antico e conser-
Le
YHS X^P 6^ tujv KaxappriYvuMvtuv eie; axv r fiXXujv tttuuv: " altri dicono che il Nilo cresce per effetto di piogge che si versano in esso, come affermato esplicitamente da Eratostene; e che perci l'navivai non significherebbe che l'acqua pulluli dal di sotto, ma che essa cresciuta d'altronde si riversa sopra la terra, irrompendo nel Nilo delle correnti che vengono da altri luoghi. E pi oltre (p. 37 B-D) ci dice che " Teofrasto afferma sola cagione di tali piogge essere il condensarsi delle nuvole su certe montagne; che se presso i KaT&otmct (cateratte) non si vedono nuvole, non meraviglia, poich non sorge di l il Nilo, ma dai monti della Luna. Con tutto 'ci non pare che le parole di Platone ammettano altra interpretazione che quella di Porfirio e di Giamblico.
(1) Non si pensi ai cataclismi di cui poco sopra. Il nesso questo: in tutte le zone abitabili sono sempre stati uomini e perci azioni umane; e neanche nei pi terribili cataclismi periscono tutti: ma poich quelli che a tali distruzioni sopravvivono sono soltanto pochi, incuriosi e ignoranti, avviene che la loro memoria perisca. In Egitto invece e non ci sono quei gravi cataclismi, e la memoria dei fatti grandi, ovunque siano accaduti, si conserva religiosamente nelle sacre scritture. L'antichit interminata del genere umano sulla terra, oltre che qui e nelle Leggi, affermata da Platone anche altrove, ed espressamente la prima volta nel Teeteto, p. 175 A: " di avi e progenitori ciascuno ebbe innanzi a s miriadi innumerevoli, nelle quali per chi che sia e ricchi e poveri, e re e schiavi, e barbari e greci si succedettero infinite volte.
144
altri,
//
Timeo.
non appena
di volta in volta
sono provve-
dute di scritture e di tutte quelle istituzioni di cui le citt hanno bisogno (i), ecco che di nuovo, dopo il consueto giro di anni (2), come una malattia
il
torrente del
illetterati (3)
cielo e
non
lascia di voi se
non
gli
che
sia
sempre daccapo come sapendo n di noi n di voi ci avvenuto nel tempo antico.
pertanto dei
fatti
Le genealogie
vostri,
o So-
lone, che ora ci stavi facendo, differiscono poco dalle favole dei fanciulli, poich innanzi tutto voi non ricordate che un solo cataclisma della terra,
mentre ve ne furono molti altri prima; e inoltre non sapete che nel paese vostro fu la gente mi-
KaTeaxeuaa^va (1) x trap' u!v xal to<; fiXXou; fipxi xdcJTOTe TUYXvei YpaMM a i v Ka 1 fiiraaiv ttctujv itXk; ovTai, Kal irdXiv k. t. X. Lo Stallbaum spiega: " Latine dixeris: vix sunt mandata litteris atque publicis
'
monumentis, quum rursus etc; ma i pubblici monumenti mal corrispondono ad airctaiv iraujv iTXet<; ^ov" Mais chez Tdi. Meglio per questo rispetto il Martin: et chez les autres peuples l'usage des lettres et vous de tout ce qui est ncessaire un tat polic ne date iamais que d' une epoque recente male invece, per un altro rispetto, in quanto fym KCtxeaK. non si ha da
;
ma
in relazione al seguire
immediato dei cataclismi. Notisi ancora che tu imp* uW non significa gli avvenimenti, ma lo stato delle cose: " your institutions or commonwealths (Archer-Hind). lento: come si Il cammino della civilt da principio sia giunti faticosamente a conquistarla a poco a poco, essa perisce tutto ad un tratto rapidamente.
(2)
Dunque
a periodo fisso,
come
Politico.
che le acque inghiot(3) Poco prima aveva detto tivano gli abitatori del piano e della marina, e si salvavano nei monti i bifolchi e i pastori: perci dice ora
che
si
salvano solo
gli ignoranti.
Capitolo li
145
gliore e pi bella
che
la
sia
mai
stata al
mondo,
dalla
quale e tu e tutta
deriva, essendosene salvato una volta un piccolo seme, ma non ve ne siete accorti, perch quelli che si eran salvati morirono per molte generazioni muti per le lettere. Perocch fu una volta, o Solone, prima della grande distruzione per mezzo delle acque, quella che ora la citt degli Ateniesi una citt prestantissima, e per la guerra e per tutte le altre cose ben ordinata pi che
alcun'altra (1), per opera della quale si dice abbiano avuto luogo le pi belle imprese e i pi
belli
ordinamenti di quanti mai sotto il cielo ci trasmessa notizia. Or come' ud queste cose Solone, disse di essersene meravigliato, e di averci messo ogni buon volere, pregando i sacerdoti che gli raccontassero ordinatamente per filo e per segno tutto
sia stata
ci che
il
sacerdote
rispose:
;
Non
c' ragione di
e per amor tuo e della rifiutartelo, o Solone parler, e sopra tutto anche per rispetto citt tua
re tv TtXeuov
kci
kot itvra e-
Lo Schneider pone
il
Travia,
a indicare che
k. irvTCt si
anche Archer-Hind),
che non credo affatto, perch durissimo: meno male sarebbe legare piain con irp<; tv TtXeuov, ed evoua>TTr| con kot Travia il te, che avrebbe dovuto andare dopo piaTn, sarebbe spostato, come se il costrutto fosse stato originariamente concepito per finire con k. Travia, senza ev. iacp. (Stallbaum). Il lieve anacoluto cos naturale e proprio del concepire platonico, che superfluo spender parole a difenderlo; ma non c' bisogno neppur di questo, e si pu intendere, e meglio, ttXk; piarr) da solo, e tutto il resto con ev., cio tt\i<; piain Ka evou. iaqp. -npc, tv ttX. Kal xaT Travia.
Fraccaroli, Il Timeo di Platone.
13
146
//
Timeo.
della
nutr
ed allev e
la
prima, ricevendo
seme
e
di
E da Efesto
(1),
e la nostra
posteriormente.
questa fondazione nostra nelle sacre scritture scritto il numero di ottomila anni (2). Pertanto
dei
tuoi
fa,
ti
concittadini, che
sono
stati
novemila
esporr brevemente e le leggi e delle opere loro quella che fu la pi bella; i partico24 lari poi di ogni cosa per ordine li ripasseremo pi tardi a nostro agio prendendo in mano le scritture. Quanto alle leggi pertanto, considerale
anni
paragone di quelle che abbiamo ora noi, e molti saggi di ci che c'era allora da voi ne
al
troverai
adesso qui,
innanzi
tutto la
classe
dei sacerdoti essere distinta separatamente dalle altre, e dopo di questa quella degli artefici (quanti
(3)
da s ciascuno
e senza
mesco-
(1) Proclo, o. c, p. 44 D: KCtT tv uOBov "HcpaiaTOi; pwv xfy; 'Aenvc; cpnice t (JTrpua d<; Ynv, xa xelGev I^Xdornae t tujv 'Aenvaiujv Yvoq. Lo Scoliasta qui attinge ad altre fonti ed aggiunge pi sconci particolari. Noi potremo ritenere soltanto che nei due Dei sieno simboleggiati i due elementi primi di Parmenide (cfr. p. 31 B), la terra e il fuoco, e lascieremo a Proclo le sue
fantastiche allegorie. (2) L'espressione irrazionale: dai documenti antichi infatti poteva risultare che la fondazione di Sais risaliva ad ottomila anni indietro, non gi che il numero 8000 fosse scritto sotto la sua fondazione. Un'altra irrazionalit, notata dal Jowett, che Platone d la stessa data di 9000 anni indietro e per la fondazione di Atene e
per
la vittoria su gli Atlantidi. KaO' cct (3) iLiex b. toOto t t)v nuioupY<l>v, 6ti forse 'KciaTov fiXXuj b ok TnuiYvi),uevov n.moupYe.
che la logica, oltre la grammatica, vuole che Ka0' ax gxaaxov si abbia da intendere per soggetto e non gi per oggetto di r||uioupYe: la distinzione infatti non si fa per i prodotti, ma per gli agenti,
superfluo notare
Capitolo III.
147
larsi
con
altri
esercitano
il
proprio mestiere) e
m'immagino, che B
di
la classe
altre classi, e
che ad
essi
non occuparsi di alcun'altra cosa all'infuori di ci che ha attinenza alla guerra. Inoltre (c') la foggia
della loro armatura, cio
scudo e
popoli dell'Asia (1) ci siamo armati, quella della Dea, che ce la insegn, come prima
per primi
tra'i
in
quei luoghi
ed essenzialmente personale. Soltanto dubito di 'ti congiunzione, e propongo 8 ti pronome. Col pronome torna pi chiaro che ci che segue immediatamente, t
TG TUJV VOUGUJV KCl TUJV [al. KOl T Tlv] GnpGUTlJjV T TG tjv fnup-fdjv, non si ha da prendere come indicazione di altre tre classi (come vorrebbero parecchi interpreti impelagandosi in molte difficolt storiche), come parte e quasi esemplificazione di quella or nominata degli operai. Tutti questi, quanti son quelli che eserci-
ma
tano ciascuno un'arte a s, costituiscono una classe separata da quella dei sacerdoti e dei guerrieri: Sti dice che la costituiscono, ma non ne rende ragione sufti dice quali sono quelli che la costituiscono, ed un'epesegesi di tuv rnLUOupYjv, alla quale si soggiungerebbe come parte integrante t te tuv vouuuv etc. Anche nel periodo seguente, dopo nominata la classe dei guerrieri, non si continua con un causale, ma col relativo o!<;. Del resto si potrebbe pensare anche ad 6 Te.
ficente;
'
(1) ri o f\ Tri; TtXiaeujt; ... oxaic, ..., o\q l'uueTc; TrpuTOi tiDv irep ttiv 'Aoiav mMueBa ( noto che l'Egitto fu da molti antichi considerato parte dell'Asia), Tfj<; GeoO, KaOcmep v Keivoi<; tot<; tttok; Ttap' plv irpujTOK;, vbeiSauvn;. Se l'Egitto considerato Asia, all'Asia non pu riferirsi v k. to; tttok;, come crede lo Stallbaum, che direbbe invece v totoic; t. t. Le virgole, che ho
segnato nel lemma, indicano come si devono congiungere le parole. C' a notare poi un lieve anacoluto, in tf]c, TrXiaeux; o\a\<; non ha un prediquanto che cato vero e proprio, ma sta a s,' come continuasse la semplice enumerazione delle analogie tra i due Stati.
1*)
148
//
Timeo.
C poi
di saggezza, tu vedi, credo, la legge quanta cura abbia posto qui subito fin da principio, trovando, in rapporto all'ordine mondano, ogni cosa fino alla mantica e alla medicina per star sani (1),
che sono divini, (derivandole) in servigio delle cose umane, e le altre scienze, che tengono dietro a queste, tutte quante procacciando. Di tutto questo ordinamento adunque allora e di questo ornamento la Dea forni voi per primi
da questi
(principi),
quando fond
il
avendo avanti
eletto
generati, e riconoscendo
che la temperanza delle stagioni (2), di cui gode, avrebbe prodotto uomini intelligentissimi. Come quella pertanto che era amica insieme e della guerra e del sapere, quel luogo che poteva pro-
uepi re tv Kauov cnravTa luxpt juavxiKfc; kcx! hx7rp<; Yiiav, K toOtuuv eiuuv vtiwv d<; t vepdmiva veupUJv. Che aTravxa vada con veupdiy (che altrimenti rimarrebbe senza oggetto), e non con Kauov, sarebbe superfluo avvertire, se il Martin, il Mueller, I'Archer-Hind ed il Jowett non fossero caduti in errore. Piuttosto importa notare che la frase non chiara, e in ispecie delle parole irepi je tv Kauov non si pu dire con sicurezza qual sia il significato n gram(1)
Tpixfn;
maticale
il
testo,
pare voglia
dire che la detta legge incominci dallo studiare l'ordinamento naturale (t 9da), e su questo studio fond le applicazioni pratiche (t v8pumiva). Le parole k totijuv
...
di
irepi
Sulla felicit del clima dell'Attica basti citare Eur. fr. 971. L'influenza del clima sugli abitanti, qui affermata categoricamente, espressamente riconosciuta anche da Ippocrate, De aere, locis et aquis; ma Longino e Porfirio, citati da Proclo (p. 50 C), si domandavano fin d'allora a ragione, come mai, rimanendo la stessa la propriet del clima, non si ha sempre la stessa eqputa degli abitanti. E non si spiegavano questa
(2)
difficolt.
Capitolo III.
149
durre
leggi
gli
uomini pi
primo occup.
cotali
ogni virt
figli
tutti gli
e alunni di Dei.
Molte grandi opere pertanto della citt vostra qui trascritte si ammirano, ma a tutte una va di sopra e per grandezza e per valore; perocch E dice lo scritto (1) di una immensa potenza cui la vostra citt pose termine, la quale violentemente avea invaso insieme l'Europa tutta e l'Asia, ve-
nendo
di fuori dal
mare Atlantico.
si
Infatti
allora
l si
come
(2).
dite
que-
53 B-C) fa delle osservazioni ragionei discorsi panatenaici si usava celebrare le guerre Persiane, Platone fa pure le lodi di Atene, ma per una impresa contro l'occidente, considerando cos l'Attica come il centro, dal quale si estende woirep k Kvxpou la civilt a dominar la barbarie: t^v 'ABnvaiujv itXiv Getupnan^ t cp' Karepcc Pap^apucv
(1)
Qui Proclo
(p.
come
miti e nei misteri si celebravano le guerre dei Giganti e dei Titani e il valore di Atena nel combatterli, egli non volle attribuire guerre e discordie agli Dei, di che anzi aveva il giorno innanzi nel dialogo della Repubblica rimproverato i poeti, e vi sostitu con analogo significato quella contro gli tlantidi.
mentre nei
nel 1841 pot ancora arricchire il suo un'eruditissima dissertazione di 75 pagine sulla questione dell'Atlantide, se abbia esistito e dove e come, riportando le opinioni in proposito degli antichi e dei moderni, le quali potrebbero servire ottimamente per dimostrare, se non altro, la superiorit intellettuale di quelli su questi. Nel 1905 confutare certe stramberie, o anche solo ricordarle, pare superfluo, e basteranno pochi cenni. Sul fondamento del racconto di Platone la sola testimonianza di qualche valore p(2) Il
Martin
di
Timeo
150
st'isola era
//
Timeo.
pi grande della Libia e dell'Asia insieme, e da essa chi procedeva trovava allora un
trebbe essere quella di Crantore, primo commentatore del filosofo (citato da Proclo, p. 24 A-B), il quale avrebbe attestato che Platone essendo stato messo in burla per la sua Repubblica, perch vendesse come invenzione sua quella che era la costituzione degli Egiziani, per rifarsene si richiam all'autorit degli Egiziani stessi circa la guerra degli Ateniesi e degli Atlantidi forse voleva dire che ammise una certa analogia tra la propria speculazione e i costumi egizi, e ne determin i limiti. E qui continua Proclo: napTupoOcst hi. Kai Trpoqpf)Tai, qpnai,
:
tiIiv AiyuTiTUJUV v OTr|Xai<; tc<; ti aipZoiuvati; TaOxa yeYpqpGat XyovTec;, dove non chiaro se il cpncri si riferisca alla accennata opinione di Crantore, che avesse cercato i documenti della sua asserzione, e li avesse trovati nella testimonianza dei sacerdoti egizi che ne adducevano in prova delle iscrizioni sopra stele ancora esistenti, o se non piuttosto riassuma, sia pure sotto la
responsabilit di Crantore, l'affermazione di Platone stesso. Vero che il Timeo non parla di stele, ma poich lo scritto doveva conservarsi attraverso i secoli, era facilmente presumibile fosse stato consegnato a materia durevole, e perci Crantore poteva immaginare questa particolarit come la cosa pi naturale. Pi oltre lo stesso Proclo (o. e, PP.54F-55), per l'esistenza dell' Atlantide e che la fosse cos come la descrive Platone, si appella alla testimonianza di alcuni che avevano scritto intorno al mare esterno, xivq tujv iaxopouvTUjv nepi xf|<; ltu> 8aXaarj<;, e che affermavano che al tempo loro su
delle quali tre inacquella di mezzo, che era grande mille stadi (xiXiiuv OTaofuuv t uyeOcx; un'espressione molto ambigua) ed era sacra a Poseidone, conservavano la tradizione dei loro maggiori, di un'im-
quel
mare
e'
erano
dieci isole
cessibili,
e che
gli abitanti di
mensa
isola Atlantide
esistita
e avrebbe dominato tutte le altre. E soggiunge: TaOxa nv oOv MpxeXXo<; v xot<; A8iottikoT<; Y^Ypa^v- Or chi costui? Forse uno di quelli istoriografi di cui parla Luciano nella sua Storia Vera ? Tale egli appare infatti ove racconta dell'altezza straordinaria del monte Atlante che getta un'ombra di 15.000 stadi (Proclo,
p. 56 B). N maggior valore ha uno scolio alla Repubblica, I, p. 327 A, che dice che nelle piccole Panatenee si
Capitolo III.
151
il
conl,
tinente dall'altra
parte intorno a
quel mare
25
che veramente mare. Perocch (al paragone) questo, che dentro della foce di cui parliamo, pare piuttosto un porto che abbia un ingresso stretto, mentre quello s che si potrebbe realmente dir mare e la terra che lo circonda ben si potrebbe con tutta verit chiamar continente. Ora in questa isola Atlantide era sorto un grande e mirabile impero, il quale la dominava tutta quanta con molte altre isole e alcune parti pure del continente. Ed oltre di ci anche delle regioni da questa parte nel mare interno signoreggiavano sulla Libia
fin
Or
verso l'Egitto e sull'Europa fino all'Etruria. tutta questa forza raccolta in uno tent una
volta con
un impeto solo
di
soggiogare e
luoghi
la
guerra degli Ateniesi contro gli Atlantidi, sia perch questo peplo non pot essere anteriore a Platone, che altrimenti Critia l'avrebbe conosciuto, sia perch probabilsi tratta di una papera dello scoliaste nel comProclo. Del resto che agli antichi Egiziani, per mezzo dei Fenici, potesse esser nota l'esistenza dell'America (cf. [Arist.] De mir. anse. cap. 84 (85)) non fuori del verosimile, quando conoscevano che l'Africa era isola, il che sarebbe stato impossibile neppur sospettare senza avervi girato intorno. Ora una tradizione vetusta non confortata da esperienza di commerci posteriori pu benissimo aver dato origine alla leggenda della scomparsa dell'Atlantide. Fino a qui mi par lecito di congetturare; e alla congettura si pu aggiungere il fatto, attestato da monumenti, di un antichissimo popolo del mare che, venendo dall'occidente, avrebbe invaso la Libia e l' Egitto voler indagare pi oltre fare un salto nel buio, e non ostante l' affermazione di Crantore, la probabilit maggiore che il mito dell'Atlantide sia sostanzialmente una mera invenzione del filosofo.
mente
pilar
La
lez. 8 KaXetTcu
arf)Xai,
ovvero
emendamento.
152
// Timeo.
vostri
ed
sono
di
qua dello
uomini avendo la
stretto.
citt vostra
divent
tutti
illustre
presso
tutti gli
preminenza su
arte di guerra (1), parte guidando gli altri Greci, parte da sola per necessit, quando gli altri la
ad
innalstati
soggiogassero, e
gli altri,
quanti abitiamo di qua dai confini di Ercole, tutti generosamente liber. In tempi posteriori per altro, essendo succeduti terremoti e cataclismi straor-
d'un giorno e d'una brutta quanto v'era presso di voi atto a combattere, tutto in massa si sprofond sotto terra, e l' isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve. Per questo anche adesso quel mare
dinari, nel volgere
notte,
l
es(2)
sendo d' impedimento il fango dei bassi fondi che l'isola sommersa produsse.
Ci che qui riferito alla guerra degli Atlantidi nella seconda guerra persiana, e questo periodo potrebbe stare in un panegirico di fatti veri anzi che immaginari. (2) irnXoO Kpxct Ppaxoq uTroJv vto<;. La lez. f3a0o<; del Cod. A, accettata dal Martin, evidentemente da rigettarsi, ed nello stesso codice corretta in margine.
(1)
p. 58 B-C, cita Aristotele come autorit per il fango e il mar paludoso che si troverebbe passate le colonne d'Ercole, e tenendo Ppaxoq spiega Ppaxi per gli scogli coperti dall'acqua: koc t irnXv elvai y rr) Euj QaXoar] uex t otuiov otcx; (Aristotele) iaxpnoe, Kal t xevaYwr) xv tttov xdvov irpxeiv, ujctt6 toO uriXoO KdpTa Ppaxoq {al. K<rra3paxo<; e cos il Diehl) ei anuaivei tv Tevcrfiin, 00 0auuaOTv Ppxi]
Proclo,
Capitolo IV.
153
IV.
dunque
sentito.
per quando
jeri
uomini che ci hai descritti, io stupivo ricordandomi di ci che ora ho detto, e pensando come miracolosamente per non so qual fortuna non fuor di proposito t'eri incontrato nel pi del tuo dire con ci che Solone contava. Non volli per altro 26
parlar subito, poich
ne ricordavo troppo bene, e pensai che sarebbe giovato che io prima riandassi da me stesso ogni cosa quanto bastasse, e poi parlassi. Per il che ho accettato subito ci che jeri hai proposto, reputando che del punto pi difficile nelle cose di questo genere, qual l'adattarvi una narrazione che faccia all'uopo (1), saremmo venuti a capo ab-
Tp
[cfr.
il
lat.
brcvid] eri ku
vOv Xfovai
iuup.
toc; qpdXouc;
si
irrpaq
>cal
imroXf|<; xoaac;
accenna
(1)
al
mare
riva
t dei Sargassi.
Trp-rrovxa
:
Probabilmente
Xyov
rote;
|3ouXr]|uacriv
fijovixevoc, v ToTq
uaaiv, olov ZuuKp-nr; irtctEe Kivouuvnv ftv iroXiTeiav ?pyov elvai (.lYiOTOv TrBeaiv epeiv <p' fj<; uvnaeTai t irpirov iroboOvai toic iTtTdYiuaaiv " reputando
:
soggetti, quale quello che Socrate propose, di far vedere lo Stato in azione, la cosa pi importante sia trovare una favola per mezzo della quale poter eseguire convenientemente il mandato ; il che egli fece, continua, prendendo dalla storia la guerra degli Ateniesi e degli Atlantidi, come quella che poteva rap-
che in
s fatti
presentare
il
modo
il
vivere onde si produce lo Stato " de trouver un sujet tei que auditeurs. Peggio PAcri: di porre
di
Martin
i54
H
E
cos,
Timeo.
bastanza bene.
subito,
come ha
detto
andando via di qua, mentre la mi riveB niva alla memoria riferii a costoro la cosa, e partitomene ripensandoci la notte ho ricuperato tutto
quanto quasi appuntino. Come vero che, ci che dice volgarmente, quel che si impara da fanciulli ha una singolare tenacia nella memoria! Infatti io ci che udii jeri, non so se sarei capace di richiamarlo tutto alla mente; questo invece che l'ho udito da cos gran tempo (2), assolutamente mi meraviglierei se me ne fosse sfuggita qualche cosa. Fu infatti ascoltato allora con molto piaC cere infantile (3), ed anche il vecchio volontieri me lo ripeteva insistendo io molte volte a ridomandarglielo; cos che mi rimasto ben fisso, come le pitture ad encausto, che non si possono pi lavar via (4). E a questi pure l'ho appunto
si
,
come
argomento che piaccia. La parola Xyoq significato di racconto, e differisce da otopia come la tradizione corrente differisce dall'indagine critica: qui pertanto scelta a proposito: in UTro9a9cti poi di nuovo l'idea di vnQeaic, nel significato di arinnanzi un
ha anche
il
gomento, soggetto.
Indicando Ermocrate. yJ Top a |uv xQc, f\KOvaa ... xaUTCX a irauTrcAuv Xpvov iaxriKoa. Nota il passato remoto di cosa prossima, il prossimo di cosa remota, perch questo dura ancora e quello no. (3) Leggasi coi pi dei codd. ueT TroXXfjc; f)ovf)<; ko -iraibiKft;, essendo inutile e fuor di luogo il iraiia^ dello Stallbaum, quando chiaro che -rraiiKfjc; aggettivo, e che si ha da congiungere TToXXfjc; kc ircuiKfjq, co(1)
(2)
strutto vulgatissimo,
come
cose e
il
ttoXX kc KaX,
e belle.
dove noi
diremmo molte
belle
non molte
(4) Sulle pitture ad encausto e sulla loro tecnica cfr. " quae Plin. H. N. 149, che pure soggiunge: pictura ... nec sole nec sale ventisque corrumpitur.
XXXV,
Capitolo IV.
155
me
Ora, per venire alla conclusione di ci che si detto, io sono pronto a discorrere, o Socrate, non
solo per
sommi
capi,
io,
parte a parte.
jeri
ci
hai descritta tu
come
in
un mito, ora
la
trasporteremo nella verit (1), e la porremo qui, poich essa questa (nostra); e i cittadini, che diremo che sono quei tu divisavi nel pensiero
,
il
sacersto-
dote.
La corresponsione
sar perfetta, e
non
neremo dicendo che essi sono quelli che erano in quel tempo l. Dividiamoci (2) pertanto le parti, e tutti insieme di buona voglia, conforme tu ne
hai richiesti,
procuriamo
il
di
pagare
il
meglio che
secondo
il
invece di esso cercarne un altro. E qual altro meglio di questo, o Critia, Socr.
'
potremmo prendere? il quale alla presente festa della Dea per la sua affinit si pu dire che convenga benissimo; e il non essere una favola inventata, ma un discorso veridico, pure una
(1) Questo proposito di applicare una teoria a dei fatti, rimasto sospeso nel Timeo e non compiuto nel Critia, ripreso in argomento affatto analogo nelle Leggi, III, pp. 683 E-684 A: ireprruxvTe<; Yp ^PYOK Yevo|uvoi<;, c, ?oiK6v,ir tv citv Xyov XnXuGafiev, djaTe o nep kevv ti Znxriaouev tv citv Xyov, XX uepl ye-fovc, xal
'\ov
(2)
X^eiav.
Socrate
aveva
trattato dello
scriver in azione,
Timeo ne racconter
:
Ermocrate
altro
alla
sua volta ne
di vista quale sia poi questo punto, non detto neanche nel Critia, e quelle di Proclo (p. 61 D-E)
punto
son ciance.
156
II
Timeo.
gran cosa. Perocch come e donde ne troveremo altri, se scartiamo questi? Non possibile; ma, alla buon'ora, adesso parlate voi, ed io in cambio
27 del discorrer di jeri
me
ne star
zitto alla
mia
volta ascoltando.
Crit.
Bada
il
nostri ricambi,
come
rocch
ci
parso che
tra di noi
natura dell'universo,
dall'ori;
mondo
dopo
per
finire alla
natura dell'uomo
ricevendo da lui gli uomini gi formati nel suo ragionamento, e da B te educati, alcuni di loro, egregiamente, ed introducendoli secondo il racconto e la legge di
di lui, quasi
Solone
(1)
innanzi
al
farli
essendo essi appunto quelli Ateniesi d'allora, che la parola delle sacre scritture ha sottratti alla dimenticanza; e cos in
cittadini
di
questa
citt,
come
di concitta-
toutou eeYluvov v8ptImou<; tj Xyw aoO hi ire-rraieuuvouc; iacpepvrux; tiIXwvcx; Xyov Te kcx vjov eacrfavc;, ara tv YvTa aTOi; k. t. X. Ottimamente Proclo (p. 62 E):
(1)
ibc,
Ttap uv
(Cfovxac,, irap
ri
ei<;
kci
ia-rpncre
TTOxe, kci
ZXtuv 'AGnvcciouc; otuj TToXiTeu00ai v)uou<; "6r]Kev, Sttuu<; eactYeoGai bel to<; irac;
t?)v TroXireiav, k. t. X. Vuol dunque a quei cittadini che saranno descritti giusta la narrazione che Solone port dall'Egitto, applicare la procedura di Solone stesso sulla iscrizione nella cittadinanza. Non poi n utile n conveniente mutare con lo Stallbaum e con I'Archer-Hind Kar b in Kax br\. Infatti, a badare alla logica, Kcnr correlativo di uop uv, poich i verbi che si corrispondono sono ebeYiuvov ed eaaYaYvTa, mentre yYovtck; e ireTraieuiuvouc; sono tutti e due dipendenti dal primo.
Capitolo
V.
157
Pieno e lauto pare proprio abbia ad ricambio che Fon per avere del convito dei discorsi. Sarebbe pertanto, pare, affar tuo, o Timeo, adesso il cominciare, dopo aver invocato,
Sogr.
essere
il
come
si
V.
Ma si sa, questo, o Socrate, tutti quanti, C Tim. purch abbiano fior di senno, (lo fanno e) al principio di ogni azione e piccola e grande sempre invocano Dio. Cos ora a noi, che stiamo per discorrere intorno all'universo,
come ebbe
origine,
o se pure non l'ebbe, se proprio affatto non deliriamo, d'uopo, invocandoli tutti e Dei e Dee,
supplicarli affinch
il
parlar
nostro
sia
tutto
secondo veramente piace a loro e consentaneo rispetto a noi stessi. E quanto agli Dei questa sia l'invocazione: da parte nostra poi adoperiamoci in modo che e voi possiate capire pi facilmente ed io possa mostrare intorno all'argo-
la
penso.
il parer mio, innanzi che cosa ci che sempre e che non ha origine (1), e che cosa
tutto
yveoii;
t v uv dei, yveaiv ok cxov. La parola adoperata in tutto il dialogo in senso tecnico, come il nostro divenire in confronto dell'essere ma il nostro divenire non comprende, come yiyvoucu e Yvecic;, anche l'aver orgine e il nascere. Perci, secondo i luoghi, yveOK; si tradurr con generazione, o origine, o mutamento, corrispondendo a tutte e tre queste nozioni
(1)
xi
14
158 ci che
si
//
Timeo.
mezzo
ragionamento,
;
essendo
sempre
allo stesso
modo
l'altro
con l'aiuto della sensazione irrazionale, come quello che nasce e perisce (1) e che effetti va-
cumulativamente. La distinzione tra il mondo dell'essere o intelligibile e quello del fenomeno o sensibile, che Platone spesso chiama anche visibile, tracciata gi nel sesto della Repubblica, dove, dopo aver distinto le cose dalle idee (p. es. le cose belle dal bello), soggiunge, p. 507 B, che le une possono essere vedute e non conosciute, eie altre conosciute e non vedute xcd t uv br\ pfioQai cpauev, voetaGai b' o), xq b' cai iai; voeawai uv, paoQai b' ou. E pi oltre pure distingue il visibile e il conoscibile, p. 509 D: XX'ov xev; raura itt eibn., paxv, vonrv; Leggasi anche ci che segue fino alla fine
:
del 1. VI, ove si pongono i fondamenti della dottrina della conoscenza, e si distinguono i quattro gradi: vncrt<;, bidvoict, maTxc, ed eKaaia (p. 511 D-E). Lo Zeller (o. c. p. 719) osserva giustamente che l'espressione platonica t YiYvuevov uv dei, v b obirOTe non importa che il divenire sia senz'altro un \if] v (ci ohe non ), ma basta che non sia un ovtuk; v (ci che realmente): ci che diviene tende all'essere, ma non lo raggiunge.
il
TiYvuevov ko dnoXXuuevov. Come si vedr poi, generarsi e il perire costituiscono un periodo continuo nel mondo sensibile, senza uscire mai da esso. Per ci la morte non che trasformazione della materia e quindi insieme generazione di nuove forme, e per con(1)
affatto inconciliabile
il
con
la
bont
le
di Dio, singole
ma si salva l'integrit
Proclo
115 C-D: f\ vooc, confi Tfl uv uepixfj qpcm kcikv, r\ Tobi t oCDua auvxav "Xaxe, Tri b \Tr)Tt tjv ouuuctujv yaOv. ebet yp ueTCtpXXeiv eq aXXo t dXXuuv Yeyov;. aionep ov Tri v i^uv cpaei t ueTCtPXXeiv tf\v Tpocpnv yoGv, et uXXoi awZeoScu t Zjov, outuj b-f] Kai Tfi udan qpcrei t qpQapf]vai t jLipo<; yccBv, et uXXoi adiZeiv t<; Xtittck; e -rrp tlv uepOv. E soggiunge che questo necessario perch il mondo si conservi, perch altrimenti per salvar le parti si consume-
Capitolo
V.
159
mente non
che
nasce, di necessit nasce da qualche causa, perocch nascere senza uno da cui nascere impossibile a chi che sia.
l'artefice
effettua la
dando sempre a
servirsene
modo
per
come
per questo riesca sempre bella: quella invece B di cui (la effettua) su ci che ebbe nascimento, usando di un esemplare generato, non sar bella. Ora il cielo tutto, o il mondo, o se gli si trova un
qualche altro
nome
ei Tp il aTJv juv (cio tlv XoTf|TWv) il tutto Yvvoito t upn., uvoi yivueva, ia\v Sv uavra cnravr|uepixjv yeyoviwv. k fp ueirepacmvuiv 6eiY| tJjv Xujv auvexoOc; qpcupaeuuc; YiYvo|uvr|c; vdYKn. t aj.mav xXei-
rebbe
tteiv.
(1)
6tou
f.iv
oOv av r|u:oupY<;
irp<;
t Kcnr TaT
toiotuj tivI Trpoaxpwuevo<; TrapaeiYKaXv luaTi, tv bav ko uva)uiv otoO rcepY&iTai, il vdYKr|<; ojtux; TTOTeXeaBai Trv. Nota l'anacoluto inche riprende traducibile per l' inserzione di cxtoO e sostituisce I'Stou del principio. Questa affermazione che ci che ha un esemplare che sia bello, e ci che ne ha uno che diventa non sia bello, perfettamente in armonia con la teorica dell'arte formulata nel decimo
^Xov pxuuuv
dei,
si dice che l'arte come imitazione da rigettarsi, perch imita le cose e non le idee, ed perci terza di qua della verit, mentre la natura seconda. Dopo il libro decimo della Repubblica l'affermazione del Timeo si capisce; senza di esso avrebbe bisogno di qualche chiarimento. Proclo, che di questa dipendenza non pare accorgersi, non si accorge neanche di' contraddire a Platone quando nota che Fidia nel far il suo Zeus non guard a un modello contingente, ma giunse al concetto del Zeus omerico: ire kc XX' <J>eiici(; tv Aia rrouiacu; o TTp<; ft^ovc, irpXevjjev, eie; vvoiav npiKeTo to irap' 'Ouripuj Aio*;. Il che bens vero, ma insieme nega che l'arte sia sempre imitazione
della natura.
io
// Timeo.
miniamolo
ogni cosa
cipio
di
(i),
bisogna esaminare intorno ad che ci vien proposto per da principio di dover esaminare,
e
(cio) se fu
sempre
prin-
generazione,
da un Perocch visibile e tangibile (2) e avente corpo, e cotali cose sono tutte sensibili, e le cose sensibili, che si apprendono dalessendo
cominciato
Ebbe
origine.
C l'opinione per mezzo della sensazione, abbiamo veduto che sono nate e appartengono al divenire a ci che nato poi alla sua volta abbiamo detto esser necessario un autore da cui nascere. Il fattore pertanto ed il padre (3) di queste cose uni:
(1) Pare che Platone pensasse qui ad Aesch. Agam. 170 (W.-V.): Zei;, 6axi<; ttot' axiv, el t' aTil) cpiXov
KKXr|uvLu, TOOTOi viv -rrpoaevviTuj: concorda in fatti non solo nella sostanza del pensiero, ma anche nella forma ugualmente anacolutica. Badisi alla nomenclatura: opavt;, Kaucx; e t ttv sono usati in questo dialogo assolutamente come sinonimi, ai quali in italiano possono corrispondere universo, mondo, il tutto, e solo qualche volta cielo. In ci Platone si scosta da Filolao che usava una nomenclatura differente (Diels, Fragni, der Vorsokr. 32 Philolaos, Lehre 16). e 83 B. (2) Cfr. Phaedo, pp. 79 (3) Proclo scrive su queste parole una pagina veramente eloquente, la cui sostanza che la conoscenza di Dio non pu ottenersi che mediante la contempla-
zione (xax x^v mpoXi'iv rr\v aTotTTiKrjv xa rf\v Tra<pnv to vontoO, p. 92 D) e la unione mistica con lui, non potendo essa conoscenza essere n oa<JTiKn, come chiaro, e neanche TTi(TTo,uoviKri, perocch questa cruXAcrfKJTiKn. e avGeroc;. Perci non comunicabile per eupeait; \eyo(jn.<; t)c, iyudiscorso agli altri: o yp Xn<; n>, XX nuoan.<; k. t. X. Questo misticismo per altro non rispecchia esattamente il concetto platonico, ma ne un' ulteriore evoluzione. Vero ad ogni modo ci che osserva poco pi oltre (p. 92 F), a chi obbietta che pure intorno agli Dei e al creatore e all'uno si fanno
r*)
Capitolo
V.
161
verse difficile saperlo trovare, e chi lo abbia trovato impossibile che lo indichi agli altri ma
;
si
pu viceversa indagare
di lui,
esemplari chi ha fabbricato il abbia eseguito, se sopra quello che 29 sempre lo stesso e allo stesso modo, o su quello che ebbe nascimento (1). Se pertanto questo mondo bello e l'artefice buono, chiaro che
mondo
lo
questi ha guardato l'esemplare eterno; e se (fosse) invece ci che non permesso ad alcuno neppur quello ch'ebbe origine. Ma a di dire (2),
chiunque chiaro che guard l'eterno perocch l'uno la cosa pi bella di quante se ne ge;
nerarono
(3),
autori.
Se
irep
axujv
|uv Xifo^xev,
ax
'moxov o X-fO|uev, ragioniamo bens di queste cose, ma che cosa sia ciascuna di esse non diciamo mai.
Anche
sulla distinzione
tra
uom-rifa; e TtOTrip
fu
molto
delle varie opinioni si forse non sono altro ha in Plut. Platon. Ouaest. II; che sottigliezze. Ci" che a noi importa piuttosto il notare come il concetto di Dio padre dalla materialit
discusso, e
un buon riassunto
ma
lit
ci si presenta nei poemi omesalga in Platone al carattere della pi alta morae prepari il concetto cristiano, comune anche ai
neoplatonici.
(1)
Prolegomeni, capi-
tolo
5,
pp. 77 sgg.
ge(2) Cio, per dire che lo fece su di un esemplare nerato bisognerebbe ritenere che Dio non fosse buono, bestemmia. Del resto cfr. poco pi il che sarebbe una
oltre, p.
(3)
29 E.
intesa
irrazionalinfatti
non essendo stato generato, come poi si afferma, che un mondo solo, manca ogni termine di confronto. L'Archer-Hind, interpretando che nulla v'
mente:
nell'universo che preso in s sia cos bello come l'universo intero, cambia i rapporti, che cos non sarebbero pi tra generazione e generazione, ma tra il tutto e la parte.
I2
// Timeo.
che comprensibile dalla ragione e dal pensiero e che sempre allo stesso modo. E posto ci (i), ecco che torna assolutamente necessario che B questo nostro mondo sia immagine di qualche
cosa.
che in ogni cosa pi importa di dal principio suo naturale pertanto anche in rapporto all'immagine e al suo esemplare si ha da riconoscere questo, che i discorsi hanno ad essere affini delle cose stesse che prenci
Or
principiare
dono a dichiarare
bile e saldo e
(2).
si
Di ci dunque che
chiarisce per
sta-
che
mezzo
i
della
conviene siano
discorsi
ed
(1) questa non solo la conclusione del ragionamento, che potrebbe parere inutile (e forse perci altri qui leggeva altrimenti, come pare da Cicerone, che traduce " simulacrum aeternum esse alicuius aeterni,,); ma insieme la constatazione che il mondo un'immagine, non una realt, e ci a conferma della teoria tante volte affermata da Platone sulla relativit del mondo fenomenico. (2) Proclo, p. 103 D: oiaxe dvai raOta XXnXoic; uXoya, irpYuciTa itt, t v Kal t YevnTv, fvotv; it-
tc, vnaiv Kal Eav, Xyou<; ittoc, hoviuou; xa eiKra<;: " cos che queste cose sono simmetriche tra loro: due cose, ci che e ci che diviene due modi di conoscere, intellezione e opinione; due discorsi, sicuri e probabili. accettata (3) Seguo la piana lezione dello Stallbaum
;
anche dal Martin, perch non contiene alcun emendamento soggettivo ed guarentita a parte a parte da
,
sufficente
autorit di manoscritti: tou nv oOv uovi.uou Kal fiePaiou Kal uex voO KaracpavoOt; iuovuoui; xa ,uTatttuutouc; KCt Kct0' ficrov oiv re veXYKTOix; irpoariKei XYoix; eTvai Kal KivnTOUc;, toutou b jur)v XXemeiv. La
gli altri
emen-
Capitolo
V.
163
si
ritratto su quel modello, e che per immagine, C saranno alla loro volta immaginari e in propor-
questo
(1).
in
confronto
Se pertanto, o Socrate, mentre intorno agli Dei e all'origine dell'universo chi parla ad un modo chi a un altro, non riuscissimo a dare delle ragioni del tutto e
consentanee a s stesse e precise, non te ne meravigliare; ma se pure non men di alcun altro ne presenteremo di probabili, convien contentarsene, ricordandoci che io che
in tutte le parti
favola pi
probabile,
.sta
pi in
l.
Benissimo, o Timeo, e assolutamente bisogna accettarla nel modo che dici. Il tuo preludio ci piaciuto meravigliosamente; ebbene, ora di seguito finiscici anche la canzone.
Socr.
\r\Baav irp^ t voiitv t^v tcvti^v ekvcc, k. t. X. Cio lo studio dell'essere ha per termine la verit, quello del divenire non passa oltre alla credenza: quella scienza, questa opinione. In Polii, p. 283 D, nata xi^v Tf\c, Yevoewc; vorfKouav ooaiav, non c' contraddizione con questo luogo, poich oaia vi adoperata in senso volgare e non tecnico.
t4
//
Timeo.
VI.
Tim.
Dicasi
dunque qual
la
fu la cagione per
(i)
la
quale costitu
generazione
e questo uni-
verso colui che lo costitu. Era buono (2), e nel buono non nasce invidia nessuna mai per nessuna cosa: essendo egli dunque lontano da questa, volle che tutte le cose si generassero quanto pi era possibile simili a lui. Questo principio della generazione e del mondo chi sulla fede di uomini assennati (3) l'accetti come il pii ben fondato, 30 l'accetterebbe a molto buon diritto. Perocch avendo Iddio deliberato che tutte le cose fossero buone e che, quant'era possibile (4), non ve ne fosse
(1) Y^veaiv Kal t -rrfiv. Per la comprensione del significato di fveaic, nei pi tardi dialoghi platonici cfr. Polit. p. 261 A, 282 D, 284 D; Soph. p. 235 E; Phileb. Legg. p. 889, ecc. p. 26 D, 27
Verso la fine del libro VI della Repubblica la causa suprema detta essere auro yaBv: questo identico col vouq, secondo Phileb. p. 22 C. Ora l'apparir qui la bont come una qualit del nuioupYt; non contraddice a quella dottrina, ed spiegato dalla forma mitica che ha assunto l'opera della creazione. Quanto all'invidia cfr. Phaedr. p. 247 A: op6vo<; tP tw Geiou xopoO laxarai. probabile, (3) trap' vpuv cppovipujv. E un discorso ma confortato anche dall'autorit dei pensatori. Diog. Laert. I, 35, dice di Talete: (peperai b irocpGe'YiuaTc
(2)
v
Yvvnrov TtpeopTarov tjv vtuuv Ge<; a-roO xdbe Tdp. KdXXiaxov Kaucx; iroinna fp GeoO. " Una parola che pesa molto e che (4) KCiT bvauiv. afferma dei limiti alla potenza divina (Gomperz, II, p. 483). La stessa espressione a p. 42 E non ha nulla
d'irrazionale, dicendosi
feriori.
non
di
Dio
ma
Capitolo VI.
165
alcuna disutile
(1),
quanto
si
ma
moveva confusamente
e disordinatamente, lo
all'ordine,
reputando questo
lecito
quello.
Che
non
fu
mai n all'ottimo di fare altro fuorch il bellissimo (3). Ragionando pertanto trov che di tutte le cose secondo natura visibili nessuna che manchi B d'intelligenza, sarebbe per essere (4) mai nel suo complesso pi bella di un'altra nel suo complesso
che abbia intelligenza, e che intelligenza senza anima impossibile si trovi in alcuno (5). Quindi
per questo ragionamento collocando l'intelligenza nell'anima, e l'anima nel corpo (6), costru l'uni-
(1) Disutile, meglio che inutile, che parola troppo debole, corrisponde a qpXaOpov, mentre cattivo sarebbe troppo forte; il cpXaOpov qui evidentemente non altro che la materia disordinata, la quale perci fu adoperata tutta dal demiurgo, acci di disutile non restasse nulla e la disutilit fu cos effettivamente tolta via per mezzo dell'ordine, il quale migliore del non ordine. Come vedremo, la materia ha una natura sua propria derivata dalla vYKn, e questa pu essere persuasa, ma non distrutta: cfr. la nota a p. 47 E: in questo senso dice che Dio fece quanto era possibile. (2) Per le difficolt di questo luogo e di ci che segue cfr. i Prolegomeni, cap. III. l'eccellenza nel bello (3) Cos l'eccellenza nel bene e
:
sono rappresentate come la caratteristica della maggior perfezione rispettivamente nel mondo intelligibile e nel
mondo
(4) Il
sensibile.
futuro indica che il giudizio del creatore si riferisce al mondo che doveva crearsi, non al mondo creato, e perci in queste parole non da riconoscere
alcuna incongruenza.
l'attivit della ipuxn: non (5) Il vo0<; veramente una cosa diversa dalla vyuxri, ma una sua particolare funzione (Archer-Hind). pi oltre irrazionale e popolare (6) Espressione
:
i66
II
Timeo.
fosse di sua natura la pi bella possibile e la pi buona. Cos pertanto secondo il ragionamento pro-
mondo
davvero un animale vivente e intelligente creato per opera della provvidenza di Dio. Ci posto, bisogna ora procedere ad esaminare C ci che vien dopo, cio, a somiglianza di quale fra gli animali l' ha costituito colui che lo costitu. A nessuno certo di quelli che per natura loro hanno carattere di parti (i) lo reputeremo (da paragonare), perocch nulla che somigli a cosa
imperfetta potrebbe mai esser bello a quello invece di cui gli altri animali singoli e le loro specie sono parti, a quello s sopra ogni cosa lo
:
noi
l'anima fu (p. 34 B-C) detto categoricamente che creata prima del corpo e (p. 36 D) che il corpo fu posto dentro all'anima.
l'esemplare (1) Ritorna al concetto del paradimma: pertanto il Zwov vou.tv. Come sar questo animale intelligibile esemplare del sensibile? Non somiglier a
" quae nessuno tiv v upou<; eiei uecpuKTun/, cio partis habent naturam, s. quae particulae sunt totius alicuius come bene spiega lo Stallbaum, e non gi " n avec une existence spare, come traduce il Martin. Cio non sar una specie, ma un genere, anzi quel genere, per cos dire, pi generale in cui tutti generi sono compresi. Dalla copia, che il mondo senesso dovr sibile, possiamo argomentar l'esemplare pertanto esser tale che tutto il mondo sensibile nel suo complesso e a parte a parte vi trovi il suo modello.
i
:
Capitolo
VI.
167
quelli che sono oggetto del pensiero (1) volendo Iddio farlo simile, lo costitu come un unico animale visibile avente dentro di s tutti gli altri
Ma
gli sono congeniti. l'abbiamo poi noi rettamente detto un mondo 3 1 o era pi giusto dirli molti e infiniti? solo,
(2),
Uno
se ha da essere costruito
conforme
al-
che comprende tutti, quanti sono gli animali intelligibili non potrebbe esser mai secondo insieme con un altro (3). Perocch alla sua volta ci sarebbe un altro animale
l'esemplare. Infatti quello
,
che
li
comprenderebbe
tutti e
due sarebbero parti, e non pi a quei due, ma a quello che li comprende, si direbbe pi rettamente esser stato questo (universo) rassomigliato (4). Affinch pertanto anche (5) nell'essere B
voouuvuuv KctMicfTUJ. Manca un' espressione nostra che corrisponda esattamente al voouevov, e perci questa parola dovette essere trasportata di peso nelle il suo corrispondente antitetico in lingue moderne senso oggettivo il fenomeno, in senso soggettivo il sensibile, che qui, come anche altrove, sostituito all'ingrosso
(1) tujv
:
'
dal visibile.
nota molto a proposito, che al(2) L'Archer-Hind l'obiezione che anche le altre idee sono une in s eppure hanno nei fenomeni delle rappresentazioni molteplici, si pu rispondere che l'ax wov come idea v perch irav, e che perci l'paxc; kijuck; di necessit deve essere uno, altrimenti non copierebbe il vonft; kO|uo<; nella sua essenziale caratteristica della comprensione universale. (3) ue9' rpou. Erra il Chiappelli (Interpret. pani. " col diverso: p. 184) che rende qui Srepov ha il senso
volgare.
(4)
Cfr. lo stesso
si
ragionamento
in de
Rep. X, p. 597 C.
uotov
rj
oOv re nata
ti^v nvaiatv
k. t. X.
Credo
il
deva inserire un Kai prima del kot, perch senso se ne avvantaggia grandemente, e solo cos
come
vi
i68
//
Timeo.
uno solo questo mondo fosse simile a quell'animale perfetto, per questo colui che lo fece non ne fece n due ne infiniti, ma c' questo mondo solo generato unigenito e cos anche sempre
sar
(i).
VII.
corporeo evidentemente e visibile e tangibile conviene che sia ci che vien generato. Ma separata dal fuoco nessuna cosa sarebbe visibile mai, n tangibile senza una qualche solidit, e non c' solido senza terra. Quindi di fuoco
e di terra (2) Iddio
fece
il
corpo dell'universo
quando cominci a costituirlo. Ma che due cose sole si combinino bene senza una terza, non
fosse il kcu " etiam in numero similis esset. La questione dell'unit o pluralit dei mondi ripresa a pa-
gina 55 C-D.
Te kci t' ffTCti. Perch il mondo generato pu dire che sar, mentre all'ente non conviene se non (cfr. pp. 37-38 A): perci &m qui non da prendere in senso tecnico, ma nel senso volgare. Per il con(1) IffT
si
cetto cfr. la chiusa del dialogo. del(2) Qui si parla della creazione del xaiuoc, cio
l'ordine, e perci
si
la questione della eternit o non eternit di questa materia non da ci menomamente compromessa. Nel Timeo si torna pi volte su di uno stesso argomento
ma
e
fanno spesso delle trattazioni provvisorie, che veninnanzi. Cos sull'origine della materia elementare si discorrer pi oltre (pp. 48 E sgg., e sull'essere il mondo un animale unico si ritorner a p. 69 C. I due elementi terra e fuoco sono tolti alla dottrina di Parmenide, come attesta Aristotele, Phys.
si
I,
5> 1.
Capitolo VII.
169
possibile; poich in
sia
mezzo
alle
due conviene
Il
ci
un legame che
ne
fa
le
congiunga.
pi bello poi
legate
porzione (1). Perocch ogni qual volta di tre numeri, quali si vogliano, siano essi masse o potenze (2), stia il mezzo all' ultimo come il 3 2
(1) La vaXofia di cui qui si parla la proporzione; e di proporzioni se ne danno tre specie principali, cio: 4:6, dove il numero di mezzo 1) V aritmetica, 2:4 maggiore di un estremo e minore dell'altro della stessa quantit numerica [i\ tuj cituj pi8uuj tlv fixpuuv vmepxouaa xal OTrepsxo,uvn. Theonis Smyrn. Expositio rer. mathem. p. 107, ed. Hiller: cfr. p. 113; e Plut. De animae procr. in Timaeo, 15, e De Musica e. 22 210 e le note esplicative a questo luogo nell'ediz. di Weil e Reinach (Paris, 1900) pp. 88 sgg.), nell'esempio citato sempre di
4:8, ovvero 3 9 9 27, tante volte maggiore di un estremo quante volte minore dell'altro (t\ tw cxtw Xylu tujv Kpuuv k. t. X., ibid., cfr. p. 114): cos nel secondo esempio il 9 tre volte il 3 ed insieme una terza parte del 27; 3) la armonica: 6:8 8:12, dove il numero di mezzo supera un estremo di una frazione di esso estremo eguale a quella della quale esso alla sua volta superato dall'altro (^ tuj citj jupei k. t. X., ibid. e ibid.,
due; 2)
il
la
geometrica, 2:4
di
dove
numero
mezzo
cfr.
Plut.
ibid.,
che per
l'8
la
chiama anche
nevavTi'a): nel-
l'esempio
addotto
uguale a
6-f 6
le
ed insieme
uguale a 12
12.
Nel definire
proporzioni Pla-
tone
muove sempre
dal
membro
di
mezzo, perch
quello che costituisce il eaui; che qui si cerca. In altre parole il rapporto nella proporzione aritmetica di aTrjc;, nella geometrica di TaTTn<;, nella armonica di juoiTr|<; (Proclo, o. c, p. 146 A-B). Col nome poi di vaXoyiu, diceva Adrasto (presso Teone, p. 106; cfr. Procl. p. 145 C), si indica pi propriamente la proporzione geometrica: le altre sono dette genericamente mediet,
piGuuv Tpiuv
evre
ykujv
the uvd15
170
II Timeo.
al mezzo, e di nuovo alla sua volta stia mezzo al primo come l'ultimo al mezzo, allora e l'ultimo il mezzo diventando primo ed ultimo, e due mezzi, di ed il primo diventando tutt'
primo
il
necessit in questo
modo tutto torner lo stesso, divenuto reciprocamente lo stesso, tutto tore ner una cosa sola (1). Se pertanto il corpo
ueuuv ubvtivuuvoOv fi t uoov k. t. X. Si indica qui la proporzione geometrica, la quale richiesta perch si abbia il legame perfetto di cui si parlato, e la si chiama geometrica appunto perch rappresenta rapporti di figure o piane o solide. I Greci a questo proposito distinguevano i numeri lineari (uXeupoi), i piani (-iTiTreoi), e i solidi (crrepeoi). Il numero lineare rappresenta ci che in geometria il lato; in senso stretto per altro quello che non pu formarsi moltiplicando due o pi fattori interi all'infuori dell'unit; sono dunque numero piano quello che risulta Il i numeri primi. dalla moltiplicazione di due fattori propriamente lineari, e, solo per estensione, in funzione di lineari: cos il 6 numero piano vero e proprio, perch risulta da 2 x 3. Se i due fattori sono uguali, il numero si dice quadrato, TeTpyujvoc. Il numero solido quello che risulta dalla moltiplicazione di tre fattori come sopra: se i tre fattori sono uguali, si dice cubo, Kpioc;. Ora, se la proporzione ha da essere effettivamente geometrica, evidente che di soli numeri primi una proporzione tale non si possa affatto dare; e si capisce anche che
a rigore devano essere escluse dal computo nostro tutte quelle in cui qualche termine sia un numero primo, 2 6 12, non potendo come 2:3 6:9, ovvero 3 6 e il 3 rappresentare una figura piana. Perci qui i ge-
nitivi die ykwv erre uvd|ueujv non si hanno da intendere come alternativi rispetto ad piOuObv (tre numeri
o masse o potenze),
xpiuv (tre
ma come
piani.
specificazione di piBuiv
tenze).
numeri che rappresentino sia masse sia poLe masse poi, otkoi, sono i numeri solidi; le
i
potenze, uvdueu;,
(1) p.
32 A: Tore t ucrov k. t. X. Quando si abbia una proporzione geometrica, quale indicata nelle parole precedenti, allora, poich tanto gli estremi quanto i medii moltiplicati tra loro danno lo stesso prodotto,
Capitolo
VII.
171
mediet sola sarebbe bastata a legare insieme B ora invece, poich conveniva che s e le cose fosse solido, i corpi solidi sono congiunti, non mai da una, ma sempre da due mediet (1). E
termini di mezzo possono scambiarsi di posto con gli 6:9 estremi, restando intatta la proporzione: da 4:6 9:6. Notisi che Platone non disi pu avere 6:4
i
riducibile si riduca, e solo dopo di ci di elementi si potr parlare. Ma per vedere in generale tutti i casi possibili e quindi scegliere quelli che fanno per noi, consideriamo anche i numeri in funzione di lineari. Tra due numeri piani dice Platone che basta una media sola (non dice
gi che ci sia sempre soltanto una media); e una media sola si ha infatti sempre quando si tratti di numeri propriamente piani (cio multipli di numeri primi), ma quadrati. Sieno pertanto i quadrati 25 e 49, l'uno con in questo caso moltipliradice 5, l'altro con radice 7 cando il 5 per 7 si ha 35, che la media geometrica che 1225 infatti 25 35 si cerca 35 49, dove 35 x 35 1225. In questo esempio i due e cos pure 25 x 49
: :
:
172
//
Timeo.
il
fuoco e
la
terra po-
nendo acqua
aria,
quadrati hanno per radice ciascuno un numero propriamente lineare, ma lo stesso avviene anche qualora una delle radici sia solo in funzione di lineare. Dati i quadrati 9 e 16 con radici 3 e 4, la media unica sar 12. Se invece tutte e due le radici sono in funzione di lineari, cio, come dice Proclo (p. 148 D), se radici dei rispettivi quadrati ammettono tra loro una media proporzionale geometrica (e di necessit la devono ammettere se sono quadrati esse stesse), allora si possono avere anche pi medie. Siano i quainnanzi tutto con la drati 16 e 81 con radice solita regola si ha la media 36, e questa pu bastare alla proporzione: poich per altro 4. e g, essendo essi stessi quadrati, ammettono tra loro la media 6, per mezzo di questa si possono trovare altre due medie si ha tra 16 ed 81 cio 4 X 6 24 , e 6 X 9 54 dunque: 16:24 54:81. In conclusione per legare inle
409:
sieme due superfici quadrate una mediet pu bastare, e coi quadrati dei numeri primi non se ne pu avere che una sola. Se invece prenderemo due numeri piani siano essi multipli di numeri o lineari o in funzione di lineari, ma o tutti e due o anche uno solo non quadrato, in tal caso in generale non troveremo una sola media proporzionale geometrica, ma avremo bisogno di due. Siano i parallelogrammi 15 e 77 formati rispettivamente dai numeri primi 3 x 5 e 7 x 11; le due medie si troveranno mol,
fattori:
:
avremo dunque 15 33 35 77. Una media sola non possibile: infatti sia x questa media'; avremo: ^ 1/15 x 77 1/1155, il qual numero non ha radice quadrata che sia costituita da un numero intero infatti gli si accosta, radice non di 1155 ma il 34, che pi numeri di 1156. Analogamente per vedere anche
:
=3
11
= 33
e 5
= 35;
due parallelogrammi 18 e 28, prodotti il primo da 3 X 6, il secondo da 4 x 7, e avremo col solito metodo le medie 21 e 24. Per altro coi numeri in funzione di lineari c' anche il caso di avere una media sola, e la si ha infatti quando
in funzione di lineari siano
i
lati di ciascuna figura sono tra loro nella stessa proporzione che quelli dell'altra: cos tra 18 e 32 nati da 3 x 6 e 4 x 8 (ciascun fattore in proporzione del doppio
i
Captolo VII.
i73
tra di loro
quanto era possibile nella stessa proporzione, di guisa che come il fuoco sta all'aria,
con
l'altro)
si
prodotto
tanto
il
= V18 x 32 =
Ma
per
7 24. 1 576 legare proporzionalmente dei solidi una media sola, continua Platone, non basta. Cominciamo anche qui dai cubi di numeri primi. Questi hanno di necessit due medie sempre. Proclo (p. 148 E) porta questo esempio: sieno i due cubi 8 e 27 e le radici
rispettive
remo
e similmente 9 18 27. La qual propor18 dunque 8 12 e 18 27; n pos12 18 zione contnua: 8 12 sibile tra questi estremi trovare altra media da soSe stituirsi o da aggiungersi alle due cos trovate. invece le radici cubiche non fossero numeri primi, una media sola pu bastare; ma questo caso, abbiamo detto fin da principio, va escluso dal compito platonico. Ad ogni modo esaminiamolo. I numeri pi pic-
2X9 =
2x2 = 4
203:
e
per avere
:
3X4 = 12
:
le
= =
3X3 =
coli
(p.
coi quali questo caso s'incontra, secondo Proclo 149 A), sono quelli dei cubi 64 e 729, l'uno cubo di 4,
i
= 216
si ha la proporzione 64:216 numeri 64 e 729, continua Proclo, oltrech cubi di 4 e di 9, sono insieme quadrati di 8 e di 27 e la media 216 si ricavata appunto trattandoli come quadrati e moltiplicando 8 per 27 e tra quadrati si sa che basta una media sola. A trattarli invece come cubi di 4 e di 9 avremo due altre medie indipendenti 324, dunda questa, cio: 4X4X9 144 e 9X9X4 que 64 144 324 729, che si risolve in proporzione continua 64 144 324 729. La media 216 144 324 si potrebbe spiegare anche analogamente a quanto abbiamo veduto di sopra per i quadrati le cui radici ammettono tra di loro una media geometrica: anche qui infatti tra le radici cubiche 4 e 9 c' pure la media 6, e il 216 infatti il cubo di questa media. Che se si tratta di numeri solidi, ma non cubici, allora coi numeri primi due mediet si hanno sempre.
l'altro di 9, tra
:
quali
729.
Ma
Siano
di
solidi
5x7x11,
x x
165 medie potranno essere 3x5x11 ovvero, 245 385 2 45 dunque 105 165
le
:
105 prodotto di
3x5x7
e 385 prodotto
= 275
fattori:
:
385,
=
,
174
Tnco.
come
l'aria
sta al-
mondo
visibile e tangibile.
in questo
C modo e di queste cose di tal natura e quattro di numero fu generato il corpo del mondo in s consenziente per mezzo della proporzione (i), e quindi ebbe in s amicizia (2), cos che co-
irne dalle
altre.
Lo
stesso
avviene anche se
fattori
non sono, o non sono tutti, numeri primi. Per conchiudere, se Platone disse che a congiungere due piani basta una sola media e che per due solidi ce ne vogliono due sempre, in primo luogo egli ebbe in mente solo i casi elementari ed irreducibili, perci solamente quelli cui fattori siano numeri primi; in secondo luogo egli determin il numero delle medie tra due numeri non in generale, ma in rapporto alla
i
loro funzione presunta di lineari, di piani o di solidi. questo, parlando a intendenti di matematica, non c'era bisogno di dirlo espressamente. Con miglior ragione si notato che avrebbe potuto aggiungere che oltre di ci tra tutte le figure piane egli intendeva considerare di preferenza solo i quadrati e solo i cubi. Questo avrebbe per altro giovato forse alla chiarezza, ma nulla aggiunto all'esattezza. Infatti quanto ai quadrati, dicendo egli che tra i piani poteva bastare una
media sola, quando questa bastasse i matematici lo sapevano bene. Quanto ai cubi, la restrizione ad essi non veramente in rapporto al numero delle medie, le quali sono due anche coi non cubi, ma in rapporto alla necessit di avere una proporzione continuata, cio aria acqua acqua terra, la quale non fuoco aria si ha che coi soli cubi.
:
(1) Come i quattro elementi possano effettivamente corrispondere alla proporzione continuata che abbiamo esaminato non detto, non si spiega, e rimane una affermazione gratuita. (2) Osserva giustamente I'Archer-Hind che Platone non si accontenta di ripetere da Empedocle la vaga asserzione che la opiXia tiene insieme l'universo, ma ne d anche la ragione. Amicizia armonia, e due o pi cose che siano tra loro proporzionate sono in armonia e in amicizia: perci il mondo si conserva: irfiv
Capitolo
VII.
175
da chiunque
collegato.
altro fuorch
costituzione del
il
consum mondo.
non lasciando di fuori veruna parte n veruna attivit' loro, questo avendo in animo, in D primo luogo che l'intero animale fosse quanto pi possibile perfetto e di parti perfette e per 33 di pi uno, in quanto che non rimanesse di che farne un altro ed in secondo luogo che non fosse soggetto n a vecchiezza n a malattia considerando che un corpo composto (1) il
,
yp t
cpiXov,
soggiunge Proclo,
p.
155 D,
&
fi
<p(Xov,
Keivou (JoXeTCti evai ouu(Jtikv. E non potrebbe perci il mondo esser disciolto se non da colui che l'ha collegato ; questi, come vedremo a pag. 41 A, non pu voler scioglierlo, perch buono: quindi il mondo du-
ma
rer sempre.
(1) Kaxavojv tic, a EuviaTqt t crdj|uaTa. Questa la lez. comune, accettata anche dallo Stallbaum e dal Martin; ma il senso non soddisfa, perch la dissoluzione, che la morte delle cose, avviene per i corpi composti e non per gli elementi, mentre invece qui si direbbe che
caldo e il freddo qpBiveiv iroieT, fanno perire, 8 Euviaxa tg <Jib uaTa, gli elementi che compongono i corpi. Vi sono per altro molte varianti e furono proposti vari emendamenti che lungo riferire Cicerone ha " coagmentatio corporis, e Proclo doveva leggere wc, SuototiI) aiuaxi, poich spiega fp. 158 F): t auaraxv o)ua t ffvGeTv ciTi. Tale lezione accettata dalI'Hermann, dal Mueller e dall' Archer-Hind, ed ci che per il senso si cerca. Il Jowett nella sua versione intende che a HuviaTt t aduuaT sieno lo stesso caldo e freddo, e lo pone come soggetto in apposizione a Gepu Kal yuxp: ma che il caldo e il freddo uniscano
il
(
non
si
pu
176
//
Timeo.
caldo e
il
vecchiezza lo fanno perire. Per questa cagione appunto e per questo ragionamento diede opera
(1), (costi-
B mune da vecchiezza
ed imda malattie. E forma diede ad esso quella che gli era conveniente e connaturata. All'animale infatti che deve comprendere
delle cose, perfetta
e
in s
tutti
gli
animali
pare conveniente
quella
figura che
comprende
quante sono. Perci anche in forma di sfera, che dal centro agli estremi egualmente d'ogni parte
si
fetta di tutte le
forme
(2)
e la pi
omogenea
in s
cos gratuita;
(1) ?v 8Xov. Cos i codd., ed affatto inutile la correzione dello Stallbaum, vct. Proclo, p. 157 F, riporta l'asserzione di Aristotele che intero e perfetto sia solo l'universo, e tutto ci che in esso sia difettivo, essendo parti del tutto: 'ApiaToxXn^ [Metaph. IV, 16, 1) uvcuc; TXeiv <pr\ai t ttv, t v aTlb iravTa TeXr), |upr| vtcc toO TravT<;. E pi oltre, p. 158 A-B: t uv yp upr| kot xnv -rrpcx; t Xov vcupopv X^eTai xal tXeia qj' ctimv ok otiv, XX t)v uv Ouc uepuJv ?x ei t TeXeiTrjTa, t)^ o ttXk; reXeixriTt; axiv fiuoipa " le parti si considerano ttSv Kupiux; Xov axiv, cio rispetto all'intero, e da s non sono perfette, ma hanno la perfezione relativa a ci che parte, e della perfezione assoluta sono prive; mentre il tutto propria:
mente un intero. (2) Proclo qui (p. 161 E) cita e parafrasa un luogo di Aristotele (De caelo, II, 4), che dice che il mondo sferico, perch fuori di esso non vi n vuoto n luogo: se invece avesse una figura rettilinea, allora ci dovrebbe
essere fuori di esso e luogo e vuoto. Infatti nel girare
Capitolo
VII.
177
stessa,
liscio
intorno lo fece con ogni diligenza, per molte ragioni. Perocch n avea punto bisogno di occhi (1),
che nulla era rimasto di fuori che fosse visibile n di udito, poich neanche nulla v'era di udibile. N aveva all'intorno aria che richiedesse la respirazione (2); n ancora aveva bisogno di possedere alcun' organo per mezzo del quale ricevesse in s l'alimento o quello prima digesto espellesse, poich nulla poteva staccarsi e nulla aggiungersi ad esso donde che fosse, quando neanche nulla c'era. Perocch era stato generato a bella posta in tal modo che esso stesso a s stesso desse in nutrimento ci che di s periva, e
;
cambierebbe sempre di posto, e dove prima era corpo poi lascierebbe vuoto, e dove era vuoto porrebbe corpo, e cos di seguito. Cos Tim. Locro, p. 95 D, dice della sfera |uri Troica iroXerneiv unre AaufSvev cxMov tttov.
in cerchio la linea retta
(1) Proclo (pp. 164 B-165 C) fa su questo luogo alcune osservazioni degne di nota. Essendo il mondo un tutto, come si veduto, esso deve avere la vita che sia propria del tutto e non quella che conviene alle parti. Il mondo un animale, e perci dotato di senso noi, che abbiamo una vita uepiioi, percepiamo le cose |LteptKuJ<;, cio a parte per la vista, per l'udito, ecc.; esso, che ha una vita Xikti, le percepisce Xikjc,. Perci Platone nega al mondo uno dopo l'altro tutti i cinque sensi. Dice il Gomperz (II, p. 491) che " in questa parte del Dialogo l'antropomorfismo appoggiato sul ragionamento, il ritorno artificiale alla concezione ingenua della natura quale la concepivano gli uomini primitivi, spinto all'estremo; e ci in parte vero e in parte no, poich la soppressione dei sensi singoli leva di mezzo quella che dovrebbe essere l'analogia pi essenziale con l'uomo. (2) Questo contro i Pitagorici, che ammettevano intorno al mondo un rreipov TtveOiua respirato da esso mondo. Aristot. Phys. 111,4; IV, 6, 7.
:
178
//
Timeo.
ogni cosa in s e per se patisse e facesse avea infatti reputato colui che lo mise insieme, che in:
dipendente sarebbe per essere migliore che non se avesse bisogno di altri. Mani quindi, con le quali non c'era bisogno alcuno di pigliare o di respingere altri, non credette dovere inutilmente attaccargliene, n piedi, n in generale quanto serve 34 per camminare. Che gli attribu un moto (1) quale adatto a un tal corpo dei sette quello che pi di tutti si conf a intendimento e saggezza. Per il che appunto aggirandolo allo stesso
,
modo,
che
altri
si
circolare, e gli
lo fece fsso
rispetto
per questo girare in tondo poich di piedi non avea punto bisogno, senza di essi e senza gambe lo gener.
Vili.
Or tutto questo ragionamento ragionato di quel B Dio che sempre , intorno a quel Dio che doveva crearsi, fece un corpo liscio ed omogeneo
e da tutte le parti equidistante dal centro, e perfetto
ed intero,
(e
compaginato)
di
corpi
in-
(1) Del corpo sferico si capisce sia proprio il moto circolare: questo moto infatti sempre K<rr tot v tw aTLp Ka v aiml), come soggiunge subito dopo, e
allacppvn.ai<;,
come
quelle
che sono sempre ad un modo. Cfr. Legg. X, p. 898 A. Gli altri sei moti sono enumerati a p. 43 B e sono avanti, indietro, a destra, a sinistra, in basso e in alto.
Capitolo
Vili.
179
teri (1).
E postavi l'anima nel mezzo, la distese da per tutto e con questa stessa anche di fuori avvolse il corpo (2), e costitu cos un cerchio
che gira in cerchio, mondo unico, solitario, ma per sua virt capace di fecondarsi (3) da s stesso senza bisogno di alcun altro, congiunto ed amico bastevole esso stesso a s stesso. Per tutti questi modi egli gener questo Dio beato (che il
mondo). L'anima poi, bench ora imprendiamo a parlarne da ultimo, non cos anche Dio la cre pi perocch nel congiungerla col corpo non tardi avrebbe permesso che il pi anziano fosse sot:
toposto
al
pi giovane:
ma
in
noi in certo
qual
par-
mezzo
all'accidente
modo anche
elementi che esistevano, (1) Cio costituito di tutti gli senza che ne avanzasse nulla. Cfr. p. 32 C. ribadito a p. 36 E: (2) Questo concetto ripetuto e KUK\uj"re arv ew8ev trepiKaXiyaaa. Or com' che l'anima del mondo si ha da stendere anche intorno di esso? Non bisogna dimenticare che tutto il Timeo ha forma e carattere di mito, e che perci si ha da intendere con discrezione. Certamente qui non si vuol dire che il corpo del mondo abbia di fuori una fascia costituita dall'anima, perch l'anima e il corpo devono perfettamente corrispondersi in ogni animale: si vuol dire che alla periferia non pervengono solamente i
punti estremi delle trasmissioni del centro come tanti raggi d'un fuoco, ma che l'anima stessa, e non solo il suo impulso, si distende anche alla periferia, come quella che, non che sia contenuta dal corpo del mondo, piuttosto anzi lo contiene. Avea detto che Dio pose l'anima nel mezzo del corpo, ed era espressione impropria e inesatta; ora la corregge facendo intendere che meglio si pu dire essere il corpo dentro all'anima. comunemente qui si interpreta, e (3) 2uYYYvea9cii credo male, per accompagnarsi, conversare. koI eKir). Cfr. una frase ana(4) toO TrpocrruxvTcx; re loga in Phileb. 28 D: ti>|v toO Xyou Kal eUr) bva|aiv.
180
II Timeo.
liamo: egli invece costitu l'anima innanzi del corpo (i) e pi anziana e per nascita e per virt, come quella che doveva essere padrona e governatrice
e l'altro
da
35 cose e nella
visibile (2)
(e la costitu) delle lei governato maniera che segue. Della essenza indie che sempre allo stesso modo, e
;
(1)
Priorit logica
Kox xax xouans oaicu; Ka YiYvouvnq uepiaxf|<; xpixov iE ucpov v uaiy EuveKepaaxo ooiac, elbo^, tr\c, xe xaOxoO cpaeujc, aO [irepi] Ka xf\c, Gaxpou, Ka Kax xaOxa 2uvaxnaev v uaw xo xe uepoq axuJv Ka xoO xax x aiuaxa ^.lepiaxoO. Da queste parole prende occasione e principio il commentario di Plutarco De anhnae prcreatione in Timaeo, interessante per pi rispetti, ma fortemente intinto di neoplatonismo. Noi ci limiteremo alla stretta interpretazione del testo. Si potrebbe osservare innanzi tutto che come il mondo rappresentato avente origine, cos di necessit anche la sua anima; e che sotto questo punto di vista essa non poteva rappresentarsi costituita esclusivamente di elementi pertinenti a ci che ed semplice e sempre ad un modo, perch ci che non ha origine. Ma checch sia di ci, per intendere a dovere questo luogo non facile, bisogna andar molto cauti e non lasciarsi sedurre dalla prima apparenza. Innanzi tutto non possibile che Platone dica che Dio prese una porzione di ci che e una porzione di ci che diventa, ecc. ecc. Non pu dire che prese
una porzione di ci che , perch espressamente egli chiama questo elemento x upiaxov, e non si pu prendere una parte di ci che indivisibile. S' ha da intendere che prese tutto l'indivisibile? La contraddizione non tolta, ma rimandata: poco dopo egli divide la mistura in tante porzioni, il che importa che anche l'indivisibile sia diviso. Non pu dire neanche che prese una porzione di ci che diventa, perch ci che diventa sensibile, dunque materiato, e parlare di masenza contare che, fuori di luogo essendo l'anima stata creata, come detto espressamente, prima del corpo, non vi sarebbe stato ancora d'onde prendere questa porzione. Badiamo alle parole
teria dell'anima
;
:
egli ai]q
M^P 1
"
delle
Capitolo Vili.
181
di quella
di
che per i corpi generata e divisibile, queste due, mescolandole insieme, fece tra di
maggiori difficolt, che si incontrano nella speculazione di ci che non cade sotto l'esperienza quotidiana dei
sensi,
il
mantenere
:
lo stesso
contenuto
ai
vocaboli o
non
lasciare equivoci sulle sue mutazioni. Altrove ovaia essenza, ci che qui semplicemente modo di essere (ed equivale a ci che subito dopo si chiama cpan;); infatti la si dice tanto dell'indivisibile quanto del divisibile. Poco pi sotto (cfr. p. 183 n. 2) la troveremo in un altro significato ancora. Vuol dire dunque semplicemente,
non gi che Dio creasse l'anima congiungendo l'idea e la materia, o una porzione di idea con una porzione di
materia, il che assurdo a pensarsi, ma che la cre partecipe del modo di essere di ci che indivisibile, e del modo di essere di ci che divisibile, i quali modi si fondono in essa in una sola unit, come dir poco dopo. Come a p. 36 C il cerchio dell'equatore ha il moto della natura che sempre ad un modo, il
che non importa che n tutta n una porzione di tale natura sia passata in esso, cos, sebbene l'indivisibile sia l'ideale e il divisibile sia il corporeo, ci non importa che le cose e le idee siano entrate a far parte dell'anima dell'universo: la sostanza del sensibile e dell'ideale, dice lo Zeller, o. c, p. 773, n. 4, qualche cosa di diverso dalle singole idee e dalle singole cose sensibili. Ma poich ha appena parlato delle proporzioni, ed ha appena detto che il modo razionale di collegare due cose disparate appunto la proporzione, bisognava trovare il termine medio tra l'indivisibile e il divisibile. Questo termine medio appunto la fusione dell' uno con l'altro, cos che abbiamo una gradazione,
cio:
a) indivisibile (unit);
b) indivisibile
e divisibile
commisti (rpirov eto<; oaia<;, o, come interpreta Timeo Locro, p. 95 D, tic, hi Kpfiua k o Touxoiv etuev); e) divisibile (molteplicit); e l'anima rappresentata non dal termine di mezzo, ma da tutta intera la progressione. Cos non dobbiamo credere affatto che Platone dimenticasse qui o disdicesse ci che aveva altre volte affermato (p. es. Phaedo, p. 78 B segg.), che l'anima non una cosa composta e che immortale appunto perch semplice. Poich abbiamo veduto che non si devono prendere alla lettera gli elementi, cos non si deve prendere alla lettera la composizione, e la distinFraccakoli,
Il
Timeo di Piatone.
16
182
//
Timeo.
di
esse
tura
essenza
la
(i),
tra la na-
sua
volta
dell' invariabile
dell'
optra
posto
modo
pose
in
mezzo
solo concettuale e figurata, non reale. interpretazione grammaticale il senso pare corra pi liscio e piano levando, come dai pi si consente, il secondo irpi, poich omesso da Sesto Empirico tutte e due le volte che riferisce questo passo, e Cicerone, se si pu far conto della sua parafrasi, non pare l'avesse nel suo testo. Si pu anche credere che ctG irpi sia una ripetizione materiale del il secondo precedente: ad ogni modo anche a lasciarlo stare si guaster la grammatica, ma la sostanza non si modifica, e il senso resta in complesso il medesimo. Ci che pi importa avvertire si che xf<; Te totoO cpe xax toOto recti aetut; corrisponde a Tri; tuepia-rou xouan<; ooia<;, e Tfjq GotTpou corrisponde a Tfie; uepiaTf)<;. E dunque una specie di tautologia naturalissima nella sintassi parlata, un' insistenza su di un concetto su cui si vuol richiamar l'attenzione e che si cerca di determinar meglio, perch non comune e difficile. Nel periodo ci si sente lo sforzo di chi ha da esprimere un'idea nuova e vuol esprmerla chiara e non trova la formola bell'e fatta (cfr. p. 46 A-B e nota). Il genitivo t*<; iuepioTOU k. t. X. integrato e corretto da E uqpov, e perci non pu dirsi che dipenda sostanzialmente da v uaip, che sta da s; e Tfjq t tcxtoO cpaeuut; k. t. X., oltre che spiegare e integrare Tf\c, |uepi<JTou k. t. X., definisce insieme con maggior precisione e sotto un altro punto di vista il Tpitov elo<;. In questo senso il secondo ot6, che da molti soppresso, pu trovare una spiegae, zione pi che sufficente lo Zeller infatti (o. pp. 769-70) lo conserva, e gli d forse anzi maggior peso che non abbia effettivamente.
zione che
si fa
Quanto
all'
Questa traduzione letterale; il Natorp (o. e, che traduce: " brachte er (der Weltbildner) durch Mischung, als eine dritte, zwischen beiden in der Mitte stehende Art, die des Seins hervor, sostituisce alle parole platoniche il senso che a suo credere dovrebbero avere. cpaew<; rcal Tf^ Garpou. Qui e in (2) Tfy; Te tcitoO tutto il resto del Timeo Gtepov diventata una parola tecnica. L' origine prima di quest'uso si pu rintrac(1)
P-
343)i
Capitolo
Vili.
183
i
corpi di-
visibile. E prese esse tre cose, le mescol insieme tutte cos da farne una specie sola, adattando a
forza alla natura di ci che sempre ad un modo quella dell' opposto, che non vi si volea mescolare (1).
Ma
egli,
la
dare in Phaedo, p. 79 E, dove l'anima detta somigliare e questo Tiii ad waaruuc; 'xovn, e il corpo tl rpiy, panni deva essere il punto di partenza per determinare
il
sempre uno dei problemi pi ardui della filosofia. Secondo Crantore (Plut. De an. procr. 2) l'anima fu commista dell'invariabile e del variabile, dell'uno e dei pi, appunto perch essa doveva giudicare e delle cose
fu
intelligibili
(2)
essenza (od aia) qui nominata sia quella sopra fu detta terza specie di essenza, non pare sia da porre in dubbio: ma si pu domandare per qual ragione la si chiami oaia per eccellenza. E I'rcherHind d una spiegazione che per lo meno molto acuta. " Ciascuno, egli dice, " ha 1) la facolt di pensare indipendentemente dai sensi, 2) la facolt di percepire impressioni sensibili. Ora se noi teniamo che queste due facolt siano semplici processi che si compiono nel cervello, cos che pensieri e percezioni siano semplicemente affezioni della sostanza cerebrale, e nient' altro, finito tutto, non vi alcuna oaia. Ma se consideriamo, come fa Platone, che la azione fisica del cervello, che accompagna il pensiero e la sensazione, non quella che li costituisce, ma che vi una sostanza pensante e senziente, che agisce per mezzo di questi
Che
che
di
processi
colt
cerebrali, abbiamo subito l'unit: le due fanon sono pi processi fisici indipendenti, ma diverse attivit di una sola e medesima intelligenza. Insomma quella che prima era detta terza specie di
essenza, diventa ora l'essenza per eccellenza, perch principalmente per mezzo di essa ed in essa che si attua l'opera della creazione, la nuova personalit viva e consciente. Ad ogni modo oaia si potrebbe tradurre qui per risultato, ci che si ottiene dalla combinazione
i8jl
II
Timeo.
di nuovo un intero solo, divise poi questo quante parti conveniva, ciascuna mista di ci in che ad un modo, dell'opposto, e dell'essenza (sopra detta). E cominci a dividere cos. Tolse
cendo
prima dal tutto una parte (i), e dopo di questa ne tolse una doppia di essa, e poi la terza di. misura una volta e mezzo la seconda e tre volte la prima, poi la quarta doppia della seconda, la
C quinta
36
tripla della
la
terza, la
la
prima, e
settima ventisette
prima.
Dopo
prende originariamente
dice lo Zeller, o. c, pp. 777 sg., " comin s tutti i rapporti di numero e di misura, essa interamente numero ed armonia, e da essa hanno origine tutte le determinazioni di numero e tutta l'armonia nell'universo; infatti l'armonia musicale e il sistema dei corpi celesti valgono per il nostro filosofo, sulle orme dei pitagorici, come le pnncipalissime manifestazioni dei numeri invisibili e della loro consonanza. Stabilisce quindi Platone questi rapporti nel modo seguente. Movendo dall'unit e procedendo in ragione del duplo o del triplo abbiamo due progressioni: 1:2:4:8 e 1 3 9 27, le quali i pitagorici chiamarono rerpaK-rix; o quaderna, e fuse insieme formano la serie*: 1 2 3 4 9 8 27, dove il settimo numero uguale alla somma dei primi sei. Questa la serie di cui qui parla Platone: difatti la seconda cifra, volta e il 2, doppia della prima; la terza, il 3, una mezza il 2 e tre volte l'uno; la quarta, il 4, due volte la seconda, il 2; la quinta, il 9, tre volte la terza, il 3; la sesta, l'8, otto volte la prima; e la settima, il 27, ventisette volte la prima. Vuol dire che i pianeti distano dalla terra in queste proporzioni, cio fi Sole due volte la distanza della Luna, Venere tre, Mercurio quat(1)
L'anima,
il che del tutto falso. Gli intervalli nella prima progressione, come chiaro, sono del doppio, nella seconda del triplo: questi
Capitolo Vili.
185
nendole in mezzo di questi, di modo che in ciascun intervallo vi fossero due mediet, l'una superante un estremo di tanta parte di quanta
superata dall'altro, l'altra superante e superata nella stessa quantit numerica. E risultando cos
intervalli di
prima
altri
intervalli, dice,
furono rispettivamente riempiti con due mediet, delle quali la prima sta in proporzione armonica (cfr. pag. 169 nota 1), la seconda in proporzione aritmetica con gli estremi. Ora evidente che, se ci proviamo ad eseguire ci che dice Platone sull'una o
sull'altra quaderna, ci troviamo subito di fronte a delle frazioni, e di frazioni ci parla infatti Timeo subito dopo per avere numeri interi bisogna prendere per unit
:
il
384,
come
fece
De
animac procr.
(p.
16, 8) e
come
:
fa
il
falso
Timeo
di
Locri
96 B), e cos di seguito, di modo che 1:2:4:8 corrisponda a 384 768 1536 3072. Ora, dati i numeri 384 e 768, cerchiamo le due medie sopra indicate. E prima l'armonica. Come si trovi ce lo insegnano Eudoro presso Plutarco {De anitnae procr. 1. e. 2-3) e Teone Smirn. 0. e, p. 118, in modo alquanto diverso l'uno dall'altro, distinguendo per secondo si tratti della prima o della seconda xerpanTuc;. Una regola comune a tutte e due la seguente: si moltiplicano i termini estremi, poi si. moltiplica il prodotto per 2, cio si fa 384x768x2 294912 X2 589824 indi gli estremi si sommano e per questa somma si divide il prodotto sopra ottenuto quindi 384+768 1152, e dividendo per 1152 il 589824 si avr 512, il quale sta appunto in proporzione armonica con 384 e 768, superando il primo di 128 cio
:
=
:
di
x
: :
384,
di
256
cio di
X
:
armo-
nica
tra 1536 e 3072 sar 2048. Similmente per gli intervalli tripli 384 1 152 3456 10368 1 3 9 27, la media armonica fra 384 e 1152 sar 576, quella fra 1152 e 3456 sar 1728, e quella fra 3456 e ra cerchiamo la media aritmetica. 10368 sar 5184.
sar 1024,
trova facilmente sommando i due termini dati e dividendo il totale per met (cfr. Plutarco, 1. e,
Questa
si
i86
intervalli di
// Timeo.
terzo, e
una volta e mezzo, una volta e un una volta e un ottavo (i), riemp tutti
Teone Smirneo,
1:2) 2:4) 4:8)
384. 768. 1536.
o.
c, p. 116); perci la
media aritme-
tica fra
Avremo dunque:
768 1536 3072
e similmente:
1:3) 3:9)
5761728. 5184.
768.
2304. 6912.
1152 3456
10368.
Se poi volessimo attenerci alla xeTpaKTix; originaria e cominciar dall'uno anzich dal 384, avremmo le seguenti serie per gli intervalli del doppio:
1,
-b
2,
-f,
3,
*,
f
^
,
6,
1,-1-,
2,
3,
-f
6,
9,
18, 27.
(1)
= 1 + -^-;
nella
TiiTpiTa,
4:3
di
=i+
1
ed n-foa 9:8
1
= i-f--abbiamo
Gli intervalli
+ -|-
si
hanno
prima
visto
quaderna,
quella
del
doppio. Difatti
= 512 + 256 = 1 -+--7 Cos tra L'inter512 e 576 abbiamo 576 = 512 + 64 = 1 ha, con quello di + , nella vallo di i + Infatti 576 = seconda quaderna, quella del = 384 192 = -f -p cosi 768 = 576 + 192 = + y> cos 1152 = 768 + 384 = 1-}-, e cos via. Ora di
e che 768
=1+
3
che 512
= 384 + 128 =
5
-f- -g-.
si
triplo.
-j-
Capitolo Vili.
187
quelli di
di
ima volta e un terzo con V intervallo B una volta e un ottavo, lasciando di ciascuno
alla
quelli
di 1 -{ -g-, e
ne contengono
quale sta il di questi oltre un avanzo numero successivo nel rapporto di 243 a 256. Riempiamo infatti l'intervallo fra 384 e 512, che '
due
col
(Xeuua),
di 1 -f-
con quelli di 1
48
+
;
-g-
un ottavo
di
di
384
ci
un
altro
+ + = 486: ma intervallo di +
1
= 432
un ottavo
perch
-f-
43 2 54
non
sta
-g-,
486 60,75,
e quindi la
somma
salirebbe a 546
intervallo
- Resta dunque
.
un avanzo, cio
un
pi piccolo degli
altri,
-f-
-g
8 a 9, c', com' chiaro, tra i due numeri il rapporto qui, in numeri interi c' quello di 243 a 256, che torna
ad
c'
Proseguiamo
di
1 -J- -5-,
1
nella
serie:
tra
512 e 576
:
intervallo
c'
tra
576 e
768
il
ancora quello di
intervalli di 1
+ ~y
ed un Xi^a, e
avremo:
cessivo:
576, 648, 729, 768, e cos per l'intervallo suc768, 864, 972, 1024, e cos di seguito. Nelle
abbiamo
intervalli
di 1
cne
3i
riempiono
quali
allo stesso
modo,
e intervalli di 1
+ , dei
Timeo tace, forse perch, parlando a persone che evidentemente si suppongono informate di queste cose, poteva dar ci per inteso. Ora il modo di riempire gli
intervalli
Xeiuua,
di 1
-f-
inserirne due di
-f -g- ed
un
come per
gli altri
il
aggiungere dopo
XeT,u|na
un
i88
di essi
//
Timeo.
una
particella, la quale
intervallo, in rapporto di
fra 384
576,
dov
intervallo
di
i-f
avremo
rapporto
di
di
6 a 8
(1
-\
],
che corrisponde
all'ac-
cordo
quarta
(i xeaadpijuv),
),
porto di 6 a 9 (i-\
irvre). Il
rapporto poi di 8 a 9
+ -3-)
rappresenta
un tono intero (e in ci non sempre esatta la corrispondenza col nostro sistema musicale), cos che l'intervallo di quarta comprende due toni e mezzo, e l'intervallo di quinta comprende quello di quarta e per di pi un
E questi intervalli principali, osserva an. procr. 15), sono rappresentati dalla ottava, 8 12 proporzione 6 8 8 12 (cio 6:12 quinta, 6: 8 quarta), che perci appunto detta armonica. Tolgo allo Stallbaum il diagramma del primo
altro tono intero.
Plutarco (De
octacordo:
Intervalli
Capitolo Vili.
189
256
lui
in
rapporto a 243.
Ed
effettivamente la mi-
da
spaccata in due per il lungo, e accostata rispettivamente l'una met sopra l'altra in forma di X, (egli) pieg queste in cerchio allacciandole seco ciascuna e tra loro nel punto del cerchio opposto alla prima intersezione (1), e le costrinse in quel movimento che gira sempre ad un modo e sempre
come le corde di un octacordo e questo che ho esposto mi pare che basti per la intelligenza del nostro testo. Per pi minuti, pi esatti e pi copiosi particolari, veggansi lo Stallbaum, il Martin, I'Archer-Hind, con le
:
fonti antiche
(1)
a cui attinsero.
si parla sempre del mondo, e che perci escludere ogni idea di materia. Abbiamo
applicher poi la fisica con per ora non che una serie continuata di rapporti proporzionali applicati alla doppia TTpciKTu<; pitagorica, e poich una serie continuata, Platone la raffigura in una striscia che il creatore divide per il lungo sovrapponendo poi l'uno all'altro i due pezzi in figura di X, cio in croce, ma non ad angolo retto. L'anima del mondo deve essere adatta al suo corpo, e in questo senso si parla qui della figura che essa riceve. Or fatto ci, dice, il creatore pieg in cerchio le due linee del X congiungendole insieme al punto opposto della loro prima intersezione, cos da chiudere in esse una sfera, la quale sfera alla sua volta circondata di fuori da quel movimento che sempre ad un modo. E qui si ricordi ci che detto a p. 34 B (v. la nota relativa), che l'anima del mondo lo avvolge anche di fuori, e che esso si muove di moto
circolare intorno a s stesso, o in altre parole sul proprio asse, il quale appunto il moto che sempre ad un modo e non si sposta mai. Ora i due cerchi formati dal sono, di necessit, l'uno interiore, l'altro esteriore rispettivamente l'esteriore, come chiaro da ci
190
//
Timeo.
l'
uno
dei
cerchi lo pese
l'
altro
di
dentro.
quindi
il
moto
deput ad essere della natura di e quello di ci che sempre ad un modo dentro di quella dell'opposto; quello poi ad un modo lo gir attorno verso destra secondo il lato, quello dell'opposto secondo la diagonale a sinistra (1). E diede il dominio alla circolazione
esteriore
lo
,
del
l'interiore
l'eclittica
corri-
sponde a
"
pianeti porta.
qui
piacemi riportare
"
:
le
verissime
osservazioni
che esiste e avviene nella natura materiale [secondo Platone] semplicemente il simbolo materiale di immateriale verit; l'inevitabile risultamento della regolare evoluzione dello spirito, secondo l'eterna legge della sua natura, nelle manifestazioni corporee. Platone naturalmente non vuol dire che l'essenza immateriale e indivisibile dell'anima sia composta di cerchi e distribuita in proporzioni matematiche. Il cerchio per lui un simbolo dell'attivit del pensiero, e assegnando i numeri armonici all'anima egli vuol dire che tutti i rapporti o armonie matematiche o d'altra specie, che si trovano nel mondo dello spazio e del tempo, sono la naturale espressione in termini matematici di qualche legge eterna dell'anima.
Ci
dell' Archer-Hind
due movimenti, oltre esser diversi per esser della natura sempre ad un modo, l'altro della natura di ci che mutevole, sono oltre di ci differenti per altre due guise: quello di fuori (l'equatore)
(1) I
l'uno
a destra e secondo il lato, quello di dentro (l'ea sinistra e secondo la diagonale. Che vuol dire secondo il lato e secondo la diagonale? Sia la sfera ab ed, e od sia l'equatore ed ef l'eclittica: /// ed eg siano i tropici: congiungiamo // con e ed / con g; avremo un rettangolo di cui ef sar la diagonale. Ora l'equatore essendo parallelo ai tropici, torna giusto il dire che si muove secondo il lato (/// ovv. eg) di questo rettangolo; e poich l'eclittica insieme la diaclittica)
muove
Capitolo
Vili.
191
che ad un modo e omogenea e questa lasci unica e indivisa quella di dentro invece, scin;
a-
/"1
192
//
Timeo.
dendola
gli intervalli
alla carta, e scrivere a destra o a sinistra vuol dire scrivere alla destra o alla sinistra nostra. Cos quando diciamo che l'oriente alla destra, immaginiamo l'osservatore di fronte al mondo e quindi riin tale posizione infatti l'ovolto verso il polo artico riente a destra dello spettatore. Ma se consideriamo invece le cose secondo verit, la destra nostra corrisponde alla sinistra del mondo e viceversa. Vero che di una sfera non proprio parlare di alto o di basso, di destra o di sinistra, come si dir un po' pi oltre; ma poich di destra e di sinistra si parla, pare assai pi conveniente intendere la destra della sfera stessa, comunque immaginaria, che non quella dello spettatore, che qui sarebbe un intruso. Al momento della creazione infatti non v'erano altri spettatori che Dio, per il quale se di destra o di sinistra non ha luogo il concetto pertanto il mondo poteva avere una destra, questa doveva essere sua propria, non in relazione alla disposizione di altri corpi.
vagna o
Il cerchio esteriore, come si vedr anche per esclusione degli altri, comprende soltanto il cielo delle stelle il fisse, il quale dunque gira da oriente verso occidente cerchio interno diviso in sette concentrici, cio quello dei pianeti, se si muove in senso contrario del primo, dovr girar dunque da occidente verso oriente. Ma il moto del cielo esteriore predomina sull'altro e trascina con s anche i cerchi interiori, i quali perci hanno due movimenti contrari, l'uno impresso, l'altro proprio ; come se uno, mentre trascinato in un dato senso da un treno ferroviario, cammini sul treno stesso in direzione contraria. Ci spiegato con la maggiore evidenza da Timeo di Locri, p. 96 C-D t uv uu9ev fiyei Trvra v aTOiq [leggi aTot<;] t vTc; n vctToX<; tri atv tv Ka0' anav xivaaiv, cio il cerchio esteriore trascina ci che contiene in s nel moto generale da oriente ad occidente ; x t5<; tu) xpiu vT<; ir anepaq r ttoG' &ju uv iravaipepuev Te xal Ka0' aT
: :
xiveueva, ouuTrepibivexai Konr aufiPe^nKc; tS tcitu) opopt kptoc; xoiaq v kouuj xppov, cio " e il cerchio interno, quello che non della natura costante, gira da occidente verso oriente in quanto si muove da s, trascinato in giro per accidente (cio per causa esteriore) nel movimento di ci che ad un modo, il
ma
Capitolo
Vili.
193
ordin
gli
ai
uni agli
qual
chiante.
quanto ai sette pianeti si presenta un'altra difficolt. Dice che i loro cerchi sono distanti tra di loro in ragione del doppio e del triplo, e ci si spiega con la doppia rexpaKrvc, che abbiamo visto di sopra; dice che tre hanno uguale velocit, e sono Mercurio, Venere e il Sole, che si riteneva compissero tutti e tre il loro giro in un anno (n poteva parere diversamente nel sistema geocentrico), e quattro differente; dice finalmente che si muovono in senso contrario gli uni agli altri; e la difficolt qui. La frase kot Tvav-rict XXn.Xoi<; pare abbastanza chiara, ed richiamata a p. 38 D, ove si parla di Mercurio e di Venere, e si dice che quanto a velocit compiono lo stesso giro del sole, t>iv ' vavxiccv eXn.xTa<; aT> uvauiv. E ci che prima pareva chiaro qui si intorbida. Sta in fatto che Mercurio e Venere nel nostro sistema, essendo inferiori, cio girando tra la Terra ed il Sole, compiono la loro
orbita in assai minor tempo della nostra, e perci all'osservatore che sta sulla Terra, mentre da principio, a partire dal loro perigeo, per qualche tempo pajono precedere il sole, pajono poi ritardare iGev KciTaXaiufivouai xe xa xoiTaXaiufivovTai (p. 38 D)), e dopo l'apogeo restare dietro di lui. Ci all' osservatore del sistema Tolemaico poteva dar l'impressione che girassero in senso contrario del sole. Vuol dir questo Platone? Il Martin (II, p. 69) non alieno dal crederlo, ma G. V. Schiaparelli (/ precursori di Copernico, p. 16, in " Pubblicaz. del R. Osservatorio di Brera, Milano, 1873, n. Ili) fa su questa interpretazione molte e gravi riserve, ancorch non la escluda assolutamente. notevole che nella parafrasi, qui ampia, di Timeo Locro di questa contrariet non cenno alcuno. Ad ogni modo, sia questa ipotesi vera o falsa (dico vera o
Ma
secondo la scienza antica), la difficolt maggiore ben altra: come si concilia questa interpretazione con quello che era stato detto poco prima, che cio il cerchio interno, di cui i cerchi dei pianeti non sono che frazioni concentriche, gira tutto verso sinistra? Qui invece girerebbe parte a sinistra e parte a destra: oltre di ci quella parte che gira a destra girerebbe conformemente al moto del cerchio esteriore, dal quale
falsa
17
94
gli altri
Timeo.
mente, e
movendosi per
dif-
soluzione che elimini del tutto questa difficolt si possa trovar facilmente, e forse non si trova affatto. La pi probabile, per la quale se non si toglie la difficolt assolutamente, la si attenua di molto, quella che ricorre alle sfere omocentriche di Eudosso di Cnido. Per ispiegare le anomalie apparenti nel corso dei pianeti senza contraddire alla legge del moto circolare ed uniforme dell'universo non restava ad Eudosso che dimostrare essere quel movimento, in appa-
Una
non pare
renza cos irregolare, dovuto appunto alla combinazione di pi moti regolari ed uniformi. " Eudosso immagin dunque, continuer con le parole dello Schiaparelli {Le sfere omocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotele, in " Mem. del R. Istituto Lombardo, 1877,
XIII, p. 125: un riassunto in forma pi accessibile profani diede di questo saggio lo stesso SchiapaAtene e Roma I, 2, pp. 65-79), " che ogni relli, in corpo celeste fosse portato in circolo da una sfera girevole sopra due poli e dotata di rotazione uniforme; suppose inoltre che l'astro fosse attaccato ad un punto dell'equatore di questa sfera, in modo da descrivere, durante la rotazione, un circolo massimo, posto nel piano perpendicolare all'asse di rotazione della merender conto delle variazioni di celerit dei desima. pianeti, del loro stare e retrogradare, e del loro deviare a destra ed a sinistra nel senso della latitudine, tale ipotesi non bastava, e convenne supporre che il pianeta fosse animato da pi movimenti analoghi a quel primo, i quali sovrapponendosi producessero quel movimento unico, in apparenza irregolare, che quello
voi.
ai
'
,
che si osserva. Eudosso stabil dunque che i poli della sfera portante il pianeta non stessero immobili, ma fossero portati da una sfera pi grande, concentrica alla prima, girante a sua volta con moto uniforme e con velocit sua propria intorno a due poli diversi dai primi. E siccome neppure con questa supposizione si riusciva a rappresentare le apparenze per nessuno dei sette astri erranti, Eudosso attacc i poli della seconda sfera entro una terza, concentrica alle due prime e pi grande di esse, alla quale attribu pure altri poli ed altra velocit sua propria. E dove tre sfere non basta-
Capitolo IX.
195
IX.
Ma dopo che tutta la costituzione dell'anima secondo l'intendimento di chi la costitu fu comvano, aggiunse una quarta sfera, comprendente in s prime, portante in s i due poli dlia terza, e anch'essa ruotante con propria velocit intorno a' suoi propri poli. Secondo questa ipotesi, volgarmente derisa e che lo Schiaparelli invece riconosce degna di un grande matematico, si spiega come i pianeti vengano a descrivere nel loro moto apparente una curva a forma di nodo, che Eudosso chiama ippopeda, e come perci pajano ad un certo punto ritornare in senso contrario alla via percorsa (Cfr. Teone Sm. p. 178, 11. 3 sgg.). Nonch la costruzione del Timeo, il mito del della Repubblica, ove descritto il fuso della libro Necessit con le sue spole concentriche che rappresentano la compagine dell' universo, pare che embrionalmente corrisponda a questa teoria (Schiaparelli, / prec. pp. 22-23), s i a he Platone l'abbia tolta ad Eudosso, sia che, ci che pare pi probabile, Eudosso, di tanto pi giovane, l'abbia svolta da Platone, che pure era un Si pens anche, per ispiegare il nogran matematico. stro luogo, alla teoria degli epicicli (e la preferiscono Teone, o. c, pp. 188-89, e Calcidio), secondo la quale ciascun pianeta procede bens trasportato in cerchio intorno alla terra, ma quanto a s si muove intorno ad un punto fisso della circonferenza di questo cerchio:
le tre
cerchio- grande con un dischetto un punto della sua circonferenza, e mentre il cerchio grande gira in un senso, il dischetto gira nel senso opposto (Cfr. Dante, Coiiv. II, 4, 11. 78 sgg.). Questa ipotesi, ancorch analoga a quella di Eudosso, non pare per altro sufficente a spiegare la difficolt, e non ha ragione di essere preferita. Con l'ipotesi di Eudosso i diversi moti contrarisi comporrebbero senza elidersi, e le parole di p. 38 D Tnv ' vavxiav \nxTa<; amu vauiv trovano cos una spiegazione plausibile. Se infisso
avremmo dunque un
in
fatti
interpretiamo la parola
12,-1),
f\
buvette;,
come
la
spiega
f\
per px
Kivrjaeux;
nein-
v Tpa
f|
fj
'Tepov,
ig6
//
Timeo.
dopo di questo (i) quanto ha natura di dentro di essa fabbric e il mezzo delE corpo
piuta,
l'uno in
mezzo
dell' altra
congiungendo adatt.
intes(2),
Ed
s in s
rivolgendo, cominci il primo cominciamento di una vita perpetua e sapiente per ogni tempo. E mentre il corpo del mondo fu creato visibile,
37 essa, l'anima, fu invisibile,
ma
partecipe di ra-
gione e di armonia, da colui che ottimo delle cose intelligibili e che sempre sono generata ottima delle cose che sono state generate (3). Come quella pertanto che commista di queste tre parti, cio di ci che connaturato sempre ad
un modo
terza) sostanza,
ed proporzionatamente divisa
e collegata (4), e s in s rigira, quando si imbatte in qualche cosa che abbia natura divisibile, e cos pure
quando
(in altra
terpreteremo gi come indicanti moto contrario, ma solo tendenza contraria, o possibilit di procedere in senso opposto, e questo spiegherebbe la retrogradazione, senza escludere la progressione.
(1) Da non prendersi in senso temporale, ma logico (Proclo). Cos anche le frasi seguenti non devono essere intese in senso materiale. (2) Cfr. p. 34 B e nota relativa (p. 179 n. 2).. puoviac, vpux, T *v von.(3) XoyicjuoO b uexxouaa >cal tujv et xe vtuuv tt toO picnrou pia-ru. Yevouvn. tjv revvnGvTujv. Il Martin traduce congiungendo ctpjuoviai; tujv vor)Tuv ecc., ma non v'ha dubbio che puovic; sta da s, e che tjv vonTwv dipende da piarou ed simmetrico ad pitfTn twv yewnOvTUJv.
(4) uepiaSecra Kal EuvbeGeaa: il primo participio si riferisce alla distribuzione originaria dell'anima secondo i sette numeri della Texponcrix;, il secondo all' introduzione dei bcauoi', cio delle medie aritmetiche ed armo-
niche che
li
congiungono (Archer-Hind).
197
rende cosa sia identica e di che ragione, a che questa sia diversa, e in rapporto a che massimamente
e
dove
come
pure nel
mondo che
sempre ad
poi (che,
un modo
(2).
Questo ragionamento
(3)
(1)
La
ooia aKebacrrn. ci
cio il fenomeno sensibile, la oaia uepiOTOi; t vontv, l'intelligibile. (2) Xyei ... otuj t' fiv ti tcitv vj kc "tou v Tepov, Trp<; 6 ti Te uXiOTa Kal rrn Ka ttuk; Kal tttc EuuPaivei Kcrr t YiYvf.iev Te upc; e^acn-ov VaOTa elvai Kal
t kot tot xovTa aei. L'anima costituita di elementi di natura diversa, perch diverse e correlative ad essi elementi sono le cose che deve apprendere. Questo il senso di questo periodo, nel quale, come nota il Martin ripetendo un'osservazione del Lindau, sono indicate quasi tutte le categorie annoverate da Aristotele, Top. I, 7 (8), 2. L'oscurit pi apparente che sostanziale, purch si badi bene, come avverte lo Stallbaum, che qui si tratta di un giudizio di identit o di diversit, e che perci TaTv ed repov vanno intesi nel loro senso normale e volgare. D'altra parte non vi pu esser dubbio che otuj t v kt\. e irpq 6 ti Te siano interrogazioni indirette coordinate tra loro; non gi che, come vorrebbe lo Stallbaum, tuj sia dichiarativo di un toOto come presupposto soggetto di ?uufaivei. N dubbio pu sorgere sul senso dell'ultima frase: il Te dopo kot t YiYvueva richiede un corrispondente, e questo non pu essere che irpq t KaT TaT Ixovto, e se non si ripete il KaT , come ancora osserva lo Stallbaum, perch nessuno pu sognar di dire KaT T kot TaT exovTa. Superfluo poi notare che elvai Kal rraxeiv " essere e patire non voglion dir altro che esser attivo o passivo. Il Martin e PAcri invece intendono irp<; t k. t. come simmetrico a upc; 'KaaTOv, ma oltre che il Te resterebbe campato in aria, non si capirebbe perch il giudizio dell'anima, che da principio era esteso anche alle cose non generate, qui si deva limitare alle generate soltanto. (3) Xyoq b kot TaCtTv Xr|6n.<; YiYv|uevo<; rapi Te
Trdaxeiv
Kal rtpt;
rappresentata
come
198
in
II
Timeo.
quanto partecipa di ci che ad un modo, un modo, sia intorno all'opposto), procedendo senza suono n voce entro a ci che si muove da s, quando avvenga invero, sia intorno a ci che ad
torno
al
sensibile, e
il
sendo
dritto, lo
annunzi a tutta
k. t. X. Schxeider ed Hermann tengono v A, che per lo meno inutile, se non errato. Quattro righe prima ha detto che l'anima Xfei il XToq dunque insieme il discorso e la ragione dell'anima, Xyov Sv aT. -rrpcx; arnv n M^XH &i2pxTai neo
edrrepov Ov
di
si
come detto nel Teeteto, p. 189 E. Perci dentro all'anima (dentro a ci che si muove per virt propria) <5veu cpSrfou ko f\xf\c,. Cos nel Sofista, p. 263 E, detto che il X^ot; e la ivoia sono in sostanza la stessa cosa, tranne che la idvom il discorso che fa l'anima dentro a s stessa senza parlare: .uv vt<; Tf|q HJuxfc ^P s otv iXoyck; veu ... qpuuvrV; YiYv|aevo<;, e che il h'rfoc, propriamente t peua bi toO aruaTOc, iv uer qpBYYOu, cio questo stesso discorso che scorre dalla bocca insieme col suono. Ora questo Xyo;, in quanto ragione, appartiene a quella parte dell'anima che anche nel corpo umano, come si dir pi oltre, immortale. Esso di sua natura nata xaTv, e perci in se stesso vero, qualunque sia il suo oggetto, sia questo oggetto alla sua volta un Kar totv, ovvero un gxepov, un intelligibile o un sensibile. Ora poniamo che sia un sensibile. Del sensibile non si pu avere che bia e ttotk;, ma perch queste siano vere, bisogna che il materiale offerto al Xyoc; sia sano (si pu infatti ragionare rettamente, ma movendo da dati sbagliati) il materiale pertanto sar sano se il cerchio dell'opposto, quello cui appartiene il sensibile, proceda bene (pGc; jv codd.; Ojv Stallbaum, che migliora il testo, ma non necessario), e quindi trasmetta a quella parte dell'anima che propria di esso (la parte mortale) le sensazioni in modo regolare. Se poi l'oggetto del discorso un intelligibile, allora, perch si abbia la maxnun propria di tale oggetto, bisogner che proceda bene il cerchio kot totv se infatti questo impedito, il ragionamento o monco o non libero, o muove da presupposti mal conosciuti o male intesi.
div
aKOTrri,
muove
Capitolo X.
199
governa (1), allora nascono le opinioni e credenze sicure e veritiere: quando invece sia intorno al razionale (2), e il cerchio di ci che C ad un modo, correndo bene, lo faccia noto,
ch'egli
le
allora
si
compiono
di necessit
l'
intelligenza e
la scienza.
La
due
cose (3) si generano se altri dicesse che altra cosa fuorch l' anima, tutto direbbe fuorch la
verit.
X.
Ma come
(tutto) ci sent di gi
mosso
(4)
e dive-
il
padre
ammir
e compiaciu-
toO GdTpou kkXoc; pQc; wv tic, -rrfiaav aroO Cos I'Hermann coi codd., ma arou non ben chiaro e fu perci proposto di mutarlo in ax (cio t aaGnTv) dallo Stallbaum, in aT (analogamente ad aT ... unvon di poco pi oltre) dall' ArcherHind. Lo Zeller (o. c, p. 787, n. 1) propone cxtv, e intende tv Xyov, assai bene, tant' vero che altrimenti aTv bisogna sottintenderlo. Per l'avversione che ho a mutare io proporrei un'alterazione lievissima, ao-roO, ma forse il mio scrupolo soverchio. (2) L'Archer-Hind fa notare come per il razionale (Xoyicjtikv) il verbo scelto sia fj, mentre per il sensibile (aaQnrv) era Tonfai. (3) L'Archer-Hind crede che queste due cose siano le ultime nominate, vo0<; mcTfi,uri re. Ci possibile, ma la conclusione del discorso mi pare si avvantaggi dall'interpretazione dello Stallbaum e del Martin, che le intendono invece per i due modi di conoscere or ora descritti. Viditque Deus cuncta quae fece(4) Cfr. Genes. I, 31 rat: et erant valde bona.' Il mondo l'fiya\|uot, l'immagine,
(1) kcx
'
2oo
//
Timeo.
E poich quello un animale semanche questo universo, per quanto era possibile, egli imprese a renderlo tale. Ma quelall'esemplare.
piterno, cosi
l'animale
non
si
e ci era (i) eterno per sua natura poteva adattare del tutto a chi avea
;
avuto origine. Egli escogita pertanto di fare una immagine mobile dell'eternit (2), e mentre ordina il cielo, fa dell'eternit, che rimane sempre nell'uno, un'immagine eternale (3), che procede
un irapeiYua, esemplare. Il mondo, dunque l'immagine, detto a p. 34 B che un Dio beato, eaiuwv te<;: analogamente del TTap&eiyua si dir tra poco che un Elov diiov, animale eterno, come qui lo chiama Dio eterno, anzi al plurale, Dei eterni (twv i&iuuv Geujv).
di
N basta: Dei sono poi espressamente detti, nonch il singoli corpi celesti, e questo mondo intero, anche
i
onore finalmente si estende per concessione anche agli Dei della mitologia. Ebbene, innanzi tutto alcune di queste divinit sono espressamente ed evidentemente in sott'ordine, e il solo dubbio di una concorrenza al Dio unico padre e creatore pu affacciarsi per l'esemplare, cio per le idee, poich esso logicamente antecedente alla creazione e non generato; ma di ci ho discorso, credo, a sufficenza nel secondo capitolo dei Prolegomeni. Platone concepisce il mondo intelligibile come una realt, in opposizione al mondo sensibile, che non per lui che un'apparenza, e cos pu chiamar quello iov iiov, ancorch sia solamente pensato. Esso pensato da Dio, e il pensiero di colui che partecipa della natura del pensante: Dei perci possono chiamarsi le idee solamente per partecipazione. Questa stessa espressione al plurale, Dei eterni, pu poi servir d'argomento per sostenere che non siano appunto perch le esse stesse Dio creatore e unico
:
chiama Dei (come gli Dei in sott'ordine), non possono essere Dio, o sarebbe questa un'espressione insensata.
(1)
Il
Gaye
:
(o.
c, p.
150) spiega
questo imperfetto
rettamente
(2) Cfr.
"
luogo di Boezio, Pini. Cons. V, 6, riportato nei Prolegg. cap. II, 7, p. 82 n. 2. (3) alwviov eKva. L'Archer-Hind trova della difficolt in questa frase: infatti se il tempo e l'eternit
il
Capitolo X.
201
quello che noi abbiamo chiasecondo numeri, tempo. Perocch dei giorni e delle notti mato e dei mesi e degli anni, che non erano prima E che il cielo fosse generato, allora col costituirsi di esso egli produsse la generazione. E tutte queste sono parti del tempo, e Vera e il sar sono specie di esso e generate, che non ci accordi trasportare fuor di proposito alla sostanza sempiterna. Poich diciamo infatti che essa
giamo
ma ad essa, secondo il solamente l', mentre Vera 3^ parlare vero, conviene e il sar giusto si dicano della generazione che procede nel tempo. Perocch questi due sono
era, che , e che sar,
che sempre allo stesso cape il diventare n pi vecchio ne pi giovane per causa del tempo, n l'essere nato una volta, n trovarsi nato ora, n esser per essere in avvenire (i), n altra cosa af-
movimenti, mentre
in ci
sono posti in opposizione, come avviene che anche il tempo si possa chiamare eterno? La risolve dicendo che esso eterno, non come aggregato, ma come un tutto, che l'anima universale non ha solo esistenza nella forma dell'unit, ma anche in quella della molteplicit. Similmente il Gaye, 1. e. Certo che, se l' immagine deve rappresentare il paradimma in ci che gli sostanziale, ci che nel paradimma sostanza nell'immagine sar fenomeno e qualit, ma non potr mancar mai. Il tempo che avesse a finire non sarebbe dunque pi immagine dell'eternit; dunque anche l'immagine
deve essere ctwvtoc, ma auiviot; come qualit, non come sostanza; perci ho tradotto eternale, anzich eterna. E come il tempo anche il mondo, se ha da essere immagine di ci che , continuer a divenire senza tregua e senza fine: per sua natura tender senza fine a raggiungere l'essere senza per mai raggiungerlo.
(i) oure upeof50Tpov out veuiTepov irpoariKei Yi'fvea8ai i xpvou, ob jtvoQax irox ob yejovvai vOv ob' daa06i<; aeaBai. Comunemente anche a Y^vaGcu, y^YO-
ao2
fatto di
//
Timeo.
si
quante
la
sono forme del tempo che imita l'eternit e si gira secondo rapporti B numerici. E cos pure quando del nato diciamo che nato (i), e di ci che nasce che nascente,
nel sensibile, e che e di ci che nascer che per nascere, e di ci
muove
nulla esattamente.
che non che ci che non , non parliamo per Ma di queste cose forse non
discorrere per minuto.
XI.
E
cielo,
il
generati
il
insieme
anche
;
siati sciolti,
mai avvenga
loro dissolvimento
C gliantissimo ad
quanto era pi possibile somiPerocch l'esemplare continua ad essere per tutta l'eternit, e questo sino alla fine continuamente e sar generato (2).
cos
che.
fosse
esso.
ecc. si sottintende upea^uTepov e vewTepov, la quale interpretazione non si pu provar falsa; ad ogni modo con essa il primo generico yiTvea9ai sarebbe superfluo, essendo poi espressi a parte i tre tempi presente, passato e futuro. Aggiungasi che, poich poco pi sotto si nota l'uso improprio dell'elvai, qui sta bene parallelamente la censura del suo opposto liyveaQai nella sua generale accezione.
vvai
(1) Poich il mondo un continuo divenire, irrazionale l'adoperare per esso il verbo essere. (2) 'au bi tXouc; fv 'navxa xPvov -feYovujt; re kc ujv Kai au.evo<;. Intendi Yeyoviiiq come dipendente da ujv e da ?ao uevo<;, e non come ad essi correlativo: si vuol notare infatti che nel tempo si perpetua
1
Capitolo XI.
203
ragionamento pertanto e da tale consiglio alla produzione del tempo, acciocch il tempo fosse generato (1), nacquero il sole e la luna e cinque altri astri, cos detti pianeti (2), buoni a distinguere ed a conservare i nutale
Da
di Dio intorno
di ciascuno di loro, pose nelle orbite per le quali si moveva il girar dell'opposto, per sette orbite sette astri, la luna nella prima (3) intorno alla terra, il sole nella seconda al di sopra della terra; Lucifero poi e quello che detto sacro ad Ermes giro che per velocit corre (li fece) andare nel pari al giro del sole, ma con tendenza opposta ad esso (4); onde avviene che reciprocamente si rag-
meri
di
esso.
li
corpi
li
come
Iddio
ebbe
fatti,
divenire in opposizione all'eternit, nella quale perl'essere. Il Te che sovrabbonda si pu spiegare ammettendo un lieve anacoluto, che accresce l'efficacia della espressione. Che poi b' aO sia il tempo, mi par cos evidente dal senso, che non vale la pena di perder tempo a dimostrarlo. La espressione bens irrazionale per via del tv arravTa xpvov (== continuamente) che segue ; per altro assai naturale, mentre voler intendere ' ctO per opavt;, con I'Archer-Hind e col Jowett, introduce un concetto estraneo e guasta l'argoil
mane
mentazione.
(1)
parole
iva YevvrjQr xpvot;. L'Archer-Hind esclude queste come un'inutile ripetizione, ma forse a torto.
cfr. p.
Per
34
il
Xoykjmc;
ttpjtov.
Poich prima
eie
c'
:
eie,
tc,
nepiqpopq,
aspetteremmo qui
t^jv TrpuuTnv
conviene
pertanto intendere tv ad synesin, come una specie di prolessi di tv kukXov, che segue due righe dopo appunto " lo in questo senso. Intenderlo per eie, tv TrXavriTr|v
pose come primo pianeta, come vorrebbe lo Stallbaum, non possibile e per la goffaggine del senso che ne risulta, e perch subito prima c' eie, toc; irepicpopdc, in senso evidentemente del tutto diverso.
(4) Cfr. p.
193 in nota.
20|
//
Timeo.
modo
il
Sole,
rebbe da fare di pi che non quello a proposito E del quale introdotto. Ma questo poi con nostro
agio in seguito potr forse essere dichiarato.
Intanto
gli
come
putati a costituire
insieme
il
tempo, e come
vitali
loro corpi
legati
da
vincoli
diventarono
movendosi secondo
al
ad
un modo
ne dominato
(i),
girando
l'altro
un cerchio pi grande,
pi
rapidamente, quelli del pi grande compivano il giro loro pi lentamente. E cos per il movimento di ci che sempre ad un modo quelli che giravano velocissimamente apparivano esser
raggiunti da quelli che andavano pi lenti, mentre
invece
li
raggiungevano.
i
Perocch
trascinando
vie
che
velocissimo
paresse
ad esso pi prossimo
(2).
(1)
editori
(2)
Leggasi oOodv re xa KpaTouuvnv con tutti gli moderni. L'Hermann tiene la lezione di A, che
KCl
OU0O<; T6
KpOT0U)uvn<;.
Lo Schiaparelli
"
Quelli il cui circolo era pi piccolo andarono pi presto, e quelli il cui circolo era pi ide compirono pi lentamente il loro giro. E cos
Capitolo XI.
205
Ed
affinch vi fosse
nel movimento della natura del medesimo, quelli che facevano pi rapidamente la loro rivoluzione sembravano raggiunti da quelli che andavano pi lentamente, mentre succedeva il contrario. Perch, siccome quel movimento faceva percorrere a tutti una elica, e i pianeti andavano incontro ad esso, quelli che si allontanavano pi lentamente dal medesimo (che li sorpassava tutti in rapidit.) sembravano seguirlo pi dappresso che tutti gli altri. Il cielo ottavo o delle stelle fisse gira da oriente verso occidente con grandissima velocit: cieli dei pianeti quanto a s hanno un moto proprio i in senso contrario, ma obliquo al primo lungo l'eclittica. Ora poich, come abbiamo veduto, sono attratti e soverchiati dal cielo ottavo, la combinazione dei due
impulsi produce il moto elicoidale una prima applicazione del principio delle sfere omocentriche. Ma i sette cerchi dei diversi pianeti sono, come chiaro, di ampiezza differente: ora dice che i minori sono pi veloci dei maggiori, e questo confermato espressamente anche in de Rep. p. 617 A-B la luna dunque il pi veloce di tutti soggiunge per altro che l'apparenza al contrario. Infatti l'osservatore che non sa dei due moti e bada solo alle apparenze sensibili vede il cielo delle stelle fisse girare nello spazio di 24 ore e i pianeti pi lontani, poniamo Saturno, parer seguirlo molto da presso avendo su di esso moto un minimo ritardo quotidiano (t ppabTaxa rnv <p' aTnO tanto da non potersi notare da una notte all'altra un cambiamento sensibile di posizione. Cos avviene che Saturno, appunto perch poco si distanzia nel moto dal cielo velocissimo, paja il pi veloce dei pianeti. Lo stesso osservatore vede invece la luna ritardare ogni notte di circa tre quarti d'ora, e cos gli pare pi lenta. Per queste apparenze cfr. Teone Smirneo (o. c, p. 148, 11. 6 sere:.). Chi invece si rende ragione dei due movilo menti non si lascia illudere dalle apparenze, e sa che appunto perch la luna in confronto del moto diurno ritarda di pi, questo segno che ha un moto suo proprio in senso contrario pi veloce di tutti, e che meno veloce di tutti lo ha Saturno, appunto perch ritarda di meno. La velocit insomma propria dei pianeti si deve computare nel senso non del loro maggior procedere (che per effetto del moto diurno), ma del
:
;
Fbaccaroli,
II
Timeo di Platone.
18
2o6
//
Timeo.
i
la
nome
pi
appunto
sole,
affinch facesse
il
lume quanto
gli
cielo,
animali parte
meritavano parte-
sempre lo stesso ed uguale. La notte pertanto ed il giorno nacquero cos e per questo modo, C
(e sono)
il
In linguaggio astronomico, nota ancora lo Schiaparelli, 1. e, " i pianeti pi lenti nel loro moto proprio percorrono le eliche del moto diurno con maggior velocit, perch ritardano meno sul corso apparente delle stelle fisse. Da ci chiaro che la velocit e la lentezza qui non si intendono in senso assoluto della celerit con cui i pianeti attraversano lo spazio, ma in relazione al tempo che impiegano a compiere ciascuno il rispettivo suo giro. Il conoscere la verit di questi moti in confronto dell'apparenza riputato principio fondamentale da insegnarsi nell'educazione della giovent in Legg. VII, p. 822 A-C.
loro ritardare.
'"
(1) 'iva o' etn uTpov vapy<; Te upc; <3\\r)Xcc PpabTnTi Kal xxei, Ka x irep x<; ktij cpop; iropeoiTO, k. t. X. Certamente Ka T errato. Lo Stallbaum propose Ka
1' Hermann muta aT, che per il senso giova poco Ka in ibq e spiega: " quibus celeritatis tarditatisque rationibus octo illi orbes inter se continerentur, intendendo t -rrep ecc. come soggetto, il che importa ima ripetizione del tutto superflua. Preferisco la proposta dell' Archer-Hind, ko9' ti, da riferirsi a PpaTirn Ka Tdxei (il Mueller pure traduce mit der con lo stesso riferimento); secondo la qual lezione la menzione delle otto orbite serve a determinare la molteplicit dei rapporti tra i diversi movimenti. Macrobio {in Sonili. Scip. I, 20) riferisce questo luogo: " Plato in Timaeo, cum de octo sphaeris loqueretur, sic ait: Ut autem per ipsos octo circuitus celeritatis et tarditatis certa mensura et sit et noscatur, Deus in ambitu supra terram secundo lumen accendit, quod nunc Solem vo:
camus.
Capitolo XI.
207
moto circolare (1); e il mese quando la luna, avendo compiuto il suo cerchio, raggiunga di nuovo il sole; e l'anno quando il sole abbia compiuto il proprio cerchio. E i periodi degli altri, non badandovi gli uomini, se non pochi tra molti, non hanno dato loro un nome, n ebbero cura di misurarne i rapporti con numeri, di guisa che per cos dire non sanno che anche i giri di questi sono tempo, sebbene ne abbiano bisogno
quantit immensa (2) e siano (essi giri) mirabilmente svariati. Ci non ostante non difficile il riconoscere che il perfetto numero del
di
tempo compie
dosi
l'anno
perfetto
allora
quando compieni
insieme
rispettivamente
ritornino
a capo
un modo
il
uniformemente
ritorni,
(3).
astri
errando per
hanno
(1) Notisi: il giorno e la notte, dice, sono formati da quel moto del cielo che uno (axxaroq, p. 36 D) e sempre ad un modo: infatti basterebbe il girare diurno del cielo per fare il giorno e la notte, essendo anche il sole trascinato dal prevalere di questo moto. Ma col solo moto diurno si susseguirebbero giorni e notti tutte uguali senz'altro periodo. Per ci occorre il girar dei pianeti sull'eclittica, e il periodo della luna produce il mese, e quello del sole produce l'anno. (2) ok aaox xpvov vxa toc, toutujv TrXvac, irXriGei luv |ur|Xviu xpwuvaq, TT7roiKiXuva<; eauuaaTilx;. Il Mueller, il Jowett e I'Archer-Hind riferiscono TrXn6a u. a irXdvai;, ma non pu esser dubbio che debbasi riferire a xpvov. (3) Dunque dal moto diurno, che cos l'unit di misura di tutti i movimenti. Macrobio {in Somn. Scip. II, 11, 15) attribuisce a questo grande anno mondiale un periodo di 15.000 anni, e Cicerone, secondo il Dial. de orat. 16 (cfr. Serv. ad Aen. Ili, 284), di 12.954.
2o8
sibile)
//
Timeo.
fosse,
perfetto
XII.
E
del
tempo erano
state
eseguite a somiglianza
vi si
gli
del modello,
ma
in
quanto non
diversit.
comprenanimali, in
devano
Ora anche questo comp improntandolo alla natura dell'esemplare. Come dunque l'intelligenza vede le forme che sono contenute nell'animale che , quali vi si contengono e quante, tali e tante egli pens che anche questo dovesse avere. E sono quattro, una la specie degli Dei
tanto c'era ancora
resto di esso
(mondo)
egli lo
una terza
la
(1) Kd t jjv fiXXct... ireipTctaro ei<; uoiTn.Ta umep TTeiKeTO, tu) uf)iruj x Travia Zwa vx<; otoO Y^Yevr)uva TrepieiXnqpvai k. t. X. La costruzione a senso
ed axoO non
ouot; sottinteso
(2)
si
ma
a k-
quattro specie di animali corrispondono dunque acqua e terra. Nonostante che ancora a p. 41 B si torni a proporre la creazione delle diverse specie, effettivamente non si descrive che la creazione della prima, cio quella degli Dei celesti, e pi oltre quella dell' uomo, che appartiene alla quarta, ma non la comprende tutta: il resto della specie pedestre, la volatile e la acquatica, si fanno invece derivare da degenerazione, come anche il sesso femminile, pp. 90 E e segg.
alle quattro specie elementari, fuoco, aria,
Le
Capitolo XII.
209
fosse
il
pi lo fece di
e
fuoco, affinch
bellissima.
splendi-
dissima
vedersi
figurandola
bene e la pose nelche tutti li domina (1), perch lo accompagnasse, e la distribu in giro a tutto il cielo, perch fosse ad esso ornamento verace (2) e vario in tutta la sua estensione. E a ciascuno (di questi astri) attribu due moti, l'uno in s stesso e allo stesso modo (3) in quanto
sull'universo la arrotond
l'intelligenza del cerchio
lo stesso
(1) Il mondo gi creato ed ha gi la sua anima la quale dal centro si estende fino a tutta la periferia: ora son da creare gli animali singoli, e primi di tutti le intelligenze che devono governare le singole parti dell'universo, e queste intelligenze sono gli Dei minori. Non sono dunque da confondere con l'anima del mondo, e perci non si ha da intendere " li pose per intelligenza del cerchio dominatore, ma " li pose nella in-
telligenza del cerchio, perch lo seguissero, e non gi lo dirigessero. La traduzione del Martin qui del tutto fantastica: " et lui donna une intelligence du bien, qui la fit marcher d'accord avec l'univers entier. N meglio vale quella del Mueller: " und verlieh ihr die
Kenntniss des Besten. (2) kouov XiQivv. Giuoco di parole sul significato di kojxoc,, che vale mondo, ordine e ornamento. (3) Kivnoeic; o irpoafiyev Kaxuj, t^v uv v tcituj xciT TCtT -rrepl tjv citOv dei T aura aurui iavoouuvtu k. t. X. Parla delle stelle fisse e delle intelligenze che le governano in quanto sono intelligenze a s ed intelligenze divine, quindi immutabili, e immutabili innanzi tutto intellettualmente, ciascuna di esse si muove del moto che sempre ad un modo, cio rota intorno al proprio asse: si ripete cio per ciascuna come fosse un piccolo mondo a s, ci che avviene dell'universo; e come l'universo girano ciascuna su s stessa. Ma alla loro volta questi astri sono parti dell' universo, e pi precisamente del cerchio ottavo, il quale tutto pure gira intorno a s. Hanno dunque questi astri un moto di rotazione loro proprio e individuale e uno di traslazione comune a tutta la sfera cui apparten:
2io
// Timeo.
intorno
in
alle
stesse
cose,
l'altro
in
avanti
di
;
(i),
quanto son
tratti tutti
dal girare
ci che
sempre ad un modo
omogeneo
degli altri
cinque moti poi (2) li fece immobili e stanti, affinch ciascuno di loro divenisse ottimo quanto pi era possibile. Da questa cagione pertanto ebbero nascimento quanti tra gli astri sono fissi, animali divini ed eterni, che allo stesso modo e nello stesso luogo volgendosi sempre stanno fermi:
queili poi
che sono tratti in giro (3) e vanno errando conferme s' detto gi prima, a quel modo
gono
allo
rapporto
fissi assolutamente, ma fissi in propria sfera, nella quale restano sempre stesso posto. In questo senso pu dire poco dopo
:
che questi astri v rctru) OTpeqpueva dei javei. Grammaticalmente pu esser dubbio se fciavoouuvuj regga
e\
Kcrr TCtT... auxuj, o solo irep tuv... auxuj, o solo x coir auTw. Poco pi oltre troviamo uniti in un solo concetto kot tot v tcitiI), perci non li seil
pareremo neppur
juvw solo
comunemente.
(1)
In avanti relativamente al
moto
anche questo in cerchio intorno all'asse dell'universo. Questo moto non proprio veramente di ciascun astro, ma di tutta la sfera cui gli astri sono infissi, e perci poco pi oltre potr dire che essi son fermi. (2) Cfr. p. 43 B, e la nota a p. 34 A. iropeuueva axe xpo(3) t TpeiTueva, cfr. p. 39 D Trd<;. I pianeti, come s' detto prima, hanno anche un
:
ma
moto
loro proprio di traslazione nella sfera stessa cui appartengono. Non pare invece che si possa dire, come credono i pi, che Platone assegni loro il moto di rotazione intorno al proprio asse. vero che essi pure sono rappresentati come Dei visibili e, secondo alcuni, come simili alle stelle fisse (kot' xeWct yrove), e che il moto qualificato per razionale parrebbe dovesse attribuirsi anche a loro, perch appunto sono esseri razionali; ma, come osserva lo Zeller(o. c, p. 812, n. 3), ci non decisivo; anche la Terra una divinit e, come vedremo tosto, secondo Platone, non ha questo moto.
Capitolo
l (i)
XIt.
21 i
trice nostra,
(1) Ka6dtTrep
Il
ev
kcxt'
xeva ytove.
'
Mueller, mentre osserva che il Lindau e lo Stallbaum non traducono kot' enerva, lo interpreta con nach
Vorbilde jener cio sul modello delle stelle fisse; e in ci ha consenziente lo Zeller (cfr. la nota precedente). N il senso grammaticale, n il senso logico pajono ammettere questa interpretazione: la nostra quella dell' Archer-Hind e del Jowett. (2) TH V , xpoqpv nv i^uerpav, eiXXouvnv k. t. X. Non ostante che ancora il Jowett (III 3 pp. 404-7) creda discutibile se Platone intendesse qui ammettere il moto della terra, pare superfluo indugiarsi molto su questa questione. Vero che la parola eiXXouvnv un po' equivoca, ma poich Platone ammette il moto diurno del cielo delle stelle fisse, come abbiamo veduto a p. 36 C, assolutamente impossibile che egli abbia ammesso anche un moto rotatorio della terra sia intorno al suo asse sia intorno ad un altro centro. Perci dobbiamo assolutamente rigettare come del tutto erronea
'
,
dem
la ripetuta asserzione di
cfr. ibid. 14, 1),
il
Aristotele {De
caelo,
II,
13, 4,
quale confutando, e a torto, l'opinione di coloro che, pur mettendo la terra al centro del mondo, la fanno rivolgersi (XXeaGcti, sceglie proprio tutt'e due le volte la parola platonica e vi aggiunge ko KivetoGai) intorno all'asse che attraversa il mondo, soggiunge, ancora pi a torto, che ci sta scritto nel Timeo wcmep tv Ti(uaiiu T^pcTt" "- Il senso troppo chiaro e troppo sicuro anche per tutto il contesto che segue, ed vano ogni empiastro di sofismi per conciliarlo con Platone
:
"
uno dei tanti svarioni nei quali solito cadere lo Stagirita quando cita e combatte il suo maestro, e disgraziatamente l'autorit di Aristotele ha tratto in errore molti interpreti e li ha fatti consumar tempo ed inchiostro intorno ad una discussione che qui non pu aver luogo affatto. La sola cosa da vedere si come l'errore di Aristotele abbia potuto nascere. E qui abbiamo una testimonianza preziosa in Plut. Quaest. Plat.
vecchio
che dice raccontare Teofrasto come Platone da si pentisse di aver dato fuor di proposito alla ueranXeiv ib<; o irpoaterra il centro dell'universo nKouaav TTovTi xf) yrj t^v uanv x^pav T0U ttcivtc;: il che ripetuto senza il nome di Teofrasto in Num. n, dove aggiunto che Platone riconobbe che il centro si
VIII, 2,
:
212
II
Timeo.
il
mondo,
ed artefice della notte e del giorno, la prima e la pi veneranda degli Dei quanti son
deve assegnare a qualche cosa che valga di pi della Terra: xauxa b kc TTXxujvd qpaai TrpecfJTnv yevuevov
t*)v
biavevofja9at Trepl Tf\c, yfjc; me v Tpa x^P<? KaGeariboiK, b \xar]v xal xupiujTGiTr|v xpw tiv xpeiiTOvi ixpoaria rinKouaav. L'autorit di Teofrasto ineccepibile, calzarla lo Schiaparelli (/ precursori ecc. pp. 19-20) dimostra come in Legg. VII, pp. 821-22 si accenni al sistema eliocentrico, e pi evidentemente vi si accenni
ma
in Epinoni. p. 987 B, dove pare si neghi esplicitamente il moto del cielo delle stelle fisse: 'va tv crfboov Xp Xyav, 8v uXiot' fiv tic; viu kojuov Trpoacrfopeot, 8<; vavrioc; Keivoic; Euiraai TropeeTCU, &fwv xovc, XXouq, totuuv ebaiv. ai<; ye vGpumoic; cpaivoir' v \i-(a
converr pur parlare dell'ottavo circuito, che buon diritto chiamare il mondo superno, il quale
si
pu a
si
muove
in senso contrario agli altri, e trae seco gli altri nel suo movimento, come sembra agli uomini che poco inten-
dono di queste cose. Sia poi l'Epinomide stata pubblianche interamente redatta, da Filippo d'Opunte, poco aggiunge o toglie all'autorit di esso libro, che
cata, o
sostanzialmente platonico, o del sistema platonico rappresenta la pi immediata evoluzione. Platone adunque nel Timeo e nei dialoghi precedenti, specie nella Repubblica, X, p. 617, segue il sistema geocentrico, lo abbandona nelle Leggi, cio negli ultimissimi anni della sua vita, e Aristotele, che l'aveva avuto maestro in quelli anni, confonde anche qui, come fa altrove, l'insegnamento orale, t ypaepa b-fiiara, con lo scritto, e fraintende ci ch'egli non lesse con la necessaria attenzione,' il che per il Timeo gli accade spesso anche su punti di ben maggiore importanza. Platone del resto, anche quando scrisse il Timeo, doveva conoscere il dogma pitagorico (della scuola, se non del maestro) che ammetteva che tutto l'universo, compresi la terra ed il sole, girasse intorno al fuoco centrale, perch ci era nelle opere di Filolao, che, come si veduto, Platone aveva studiato e cui nel Timeo attinge. Forse questo sistema complicato non lo persuadeva troppo, e perci si attenne dapprima all'antico; torse negli ultimi anni o egli stesso modific e corresse il sistema filolaico, o ader alla teoria del suo grande discepolo Eraclide Pontico, che spiegava
Capitolo XII.
213
loro
conversioni e
processioni
cerchi
il moto diurno apparente del cielo con un moto diurno della terra. Cfr. Schiaparelli, o. c. e Origine del sist. pian, eliocentr. presso i Greci, in " Mem. del R. Istituto Lomb. di Scienze e Lett. XVIII (1896), pp. 61 sgg.
appunto
' toutcuv axwv Kai -rcapapoXq dXXfiXwv, (1) x^peiat; Kal tTep x<; xuv kkXujv irpc; auxo<; iravaKUKXr|CFi<; Kal TTpoax UJ P loeKi 'v xe xa<; cuvdiyeaiv ttooi xwv 0eujv kot' dXXnXou<; Yiyviuevoi Kai Saot KaxavxiKp, ue8' o'axivd<; xe TriirpoaSev XXn.Xoi<; i'iiuv xe kot xpvouq oaxivaq Vacrxot KaXuirxovxai Kai irdXiv dvarpaiviuevoi qppoui; Kai anuea xuv uex xaOxa yevr]OoiJivu}v xoT<; o uva,
due pianeti sulla stessa longitudine: irapaftoXc; xq Kax nr\KOc, axiv auvxdEeu; x<; auvavaxoX<; \4.yu) ko auYKaxaaen;. Similmente secondo lo stesso autore TravaKUKXnffi<; indicherebbe il ritardo e trpoxiupriOK; (cos egli legge) la precessione di un corpo celeste in rapporto ad un altro. Comunemente per altro qui TravaKiJKXnm<; si interpreta per il ritorno dell'astro allo stesso punto del cerchio, cio il compiersi del giro, e il Trp<; eauxoOi; conforta molto questa interpretazione, ancorch per essa non si chiarisca bene n irpoax'-upnaeK; n TTpoxujpnaeic;. Del resto anche la sintassi impedita: lo Stefano propose cambiare
lo
irep xd<;
luvoic; Xoyiea6ai iruTrouffi, x Xyeiv xujv au xujv |utur|uxujv uxaioq av Proclo irapapoXri la posizione di
fiveu bityeuj<;
etri
xou-
ttvcn;.
Secondo
in
-rrepixxdc;,
meno
cancell
Mueller
tanto
il
in TroiKXa<;; I'Ast traccia nella versione del il trept, n ce n' I'Archer-Hind tra Kai e irepi inser un xd, che ;
superfluo;
lo
Stallbaum
mi pare durissimo
Ttepi
si
il
quanto
dere come brachilogica ma generica: dietro a quali coprendosi di guisa che ora questo ora quello si trovi davanti '. L'Archer-Hind, che interpreta " quando una data stella passa dietro ad una seconda e davanti una terza, mi pare introduca una determinazione troppo particolare che io non so vedere nel testo. Ottimamente invece egli spiega il xe dopo n.|uv come correlativo al Kai che innanzi a irdXiv, tiene ouaxivaq come inter-
21.).
//
Timeo.
di
tali
in se stessi, e quali
zioni reciprocamente
si
farne
calcoli
il
discorrere di queste
cose senza avere sott'occhio un simulacro di esse sarebbe inutile fatica. Sia qui pertanto ci sufficente, e quello che abbiamo detto a questo proposito sulla natura degli Dei visibili
e
generati
XIII.
Degli altri numi poi (i) dire e conoscere la generazione impresa maggiore delle forze nostre,
rogativo
indiretto dopo xpvou; e col Mueller, con FHermaNN inserisce o davanti Par. A, il che accettato anche
(lo
Stallbaum propo-
neva
Schneider e con a uvauvoii; dal cod. dal Jowett: i cattivi auguri che si traggono dall'osservazione degli astri sono pregiudizi dovuti all'ignoranza delle leggi astronomiche: quelli astri si trovano in quelle posizioni per legge matematica, non per dare alcun segno di malaugurio agli uomini. Nell'ultima frase seguo la lezicae dei codici, lasciando gli emendamenti che I'ArcherIIind credette trarre da Proclo.
Tivoli,
lo
Oltre la punta di ironia, che qui evidente, e in alla rigida severit di questo discorso tanto pi notevole, importa osservare come gli Dei della mitologia non abbiano effettivamente in tutto il Timeo alcuna parte, e come perci il ricordarli qui valga piuttosto a far notare la loro inanit anzich a professare un atto di fede religiosa, secondo le credenze comuni, fede che evidentemente a questo punto Platone non
(i)
mezzo
aveva
pi.
Capitolo XIII.
215
hanno parlato
prima,
come
capisce,
loro progenitori.
ai
figli
E impossibile
poich
le
riferiscono
come cose
di famiglia, ob-
bedendo alla legge (1), ci convien crederle. Sia pure pertanto la generazione di questi Dei come essi dicono, e (come tale la) si ripeta: dalla Terra e dal Cielo nacquero Teti ed Oceano e da questi Forci e Crono e Rea e quanti con loro,
;
altri
tutti
quelli
41
loro, e poi
ancora altri discendenti di questi. Poich adunque tutti gli Dei, quanti
si
muo-
vono in giro visibilmente e quanti si mostrano in quanto voglian mostrarsi (2), ebbero il nascitutto avea generato Dei (figli) di Dei, dei quali io sono creatore e padre di opere che nate per mezzo mio sono indissolubili per mia volont (3) infatti vero che tutto ci che
mento,
colui
che
questo
:
disse loro
queste parole
(1) Sebbene Platone non paja credere alla religione popolare, egli per intende rispettarla. L'oracolo delfico citato da Socrate (Xen. Mem. IV, 3, 16), a chi domandava come si dovessero onorare gli Dei, soleva rispondere: vjuuj TTXetwc, e ci consuona anche con la massima pitagorica, che pur Proclo cita (p. 62 F) ad altro propo-
sito:
T\\xa.
GavdTouc;
Cfr.
ulv
iTpUTCt
6eou<;,
o
v|uw
><;
idneivrai,
Legg. X,
p.
904 A:
|uou yeviueva
eoi Geuv, )v yj nuioupY<; Traxfip re pywv, 8 b\ Xura uoO y' SXovroq Sebbene questo
riferito
da parecchi
scrit-
2i6
//
Timeo.
legato pu sciogliersi,
ma
ci che
bene con-
tori
Pontano, ha dato luogo a parecchi dubbi: 6eo GeiLv fu interpretato in diversi modi strambi, che puoi vedere in Proclo, e che tedioso ripetere. Merita per altro essere ricordata l'interpretazione dell' ArcherHind, che, confrontando Aesch. Pcrs. 681 (h mora iuotujv, Soph. O. T. 465 appnT' ppnTuuv, O. C. 1237 KCtK kchc&v,
anche
I,
Urania,
w. 925-68),
vede
in questa frase indicata la trascendente dignit degli opdvioi Geoi, e crede possibile che Platone tacitamente intendesse segnalarne la maggiore dignit in confronto dei baiuovec, divinit di grado pi basso. Ma di questi altri bm'uove*; nel Timeo non traccia, e ad ogni modo la qualifica somma non spetterebbe a questi Dei creati, ma al creatore. Analogamente intende P. De-
crilique des iraditions rclgieiises ches les " Grecs,p. 215, che spiega les dieux des dieux, c'est--dire les dieux par excellence, in confronto agli Dei della religione popolare. Io non vedo ragione di abbandonare corrente dei vocaboli, e intendo coi pi il significato " Dei figli di Dei. Se non dice " figli di Dio o " figli miei, ci non porta alcuna diversit: era questo il modo di parlar pi comune, e aveva appena ammesso, sia pure un po' ironicamente, l'esistenza degli Dei del mito, i quali effettivamente sarebbero stati figli gli uni degli altri: la frase dunque, oltre essere quella corrente, nulla comprometteva. " Vos qui Deorum satu orti estis, traduce Cicerone, che qui intese a dovere. Nelle parole seguenti, pYwv deve essere inteso come indipendente da iLv (cos anche I'Archer-Hind), una specie di apposizione epcsegetica, nella quale per altro il concetto pro-
charme, La
ceduto ad uno stadio ulteriore epT^v infatti non ripiglia esattamente il senso di il>v, ma considera la creazione sotto un altro punto di vista: wv affermava la discendenza degli Dei minori dal creatore; ?pywv abbraccia tutta la creazione per affermarne le propriet. Grammaticalmente ovvia la ripresa del nome o del pronome dimostrativo: cfr. p. es. Xen. Ah. I, 1, 2: fa ch'itv aaxpunv TToinae. xal GTpaTnjv b axv ubeiSe ttvtujv me k. t. X. Lo Stallbaum interpreta: "quorum opera opificem et parentem habent, del tutto male, non foss'altro perch qui le opere degli Dei inferiori sono ancora di l da venire, e quando verranno non saranno
:
<5\ut(x al
modo
Il
Martin
Capitolo XIII.
217
vagio
(1).
Per
la
non siete veramente immortali n del tutto indissolubili; ci non pertanto non sarete disciolti, n vi toccher il fato di morte, poich avete per voi la mia volont, che anche maggior le-
game
rimangono ancora da generare, e pertanto, fino non sian generate, il mondo sar incompiuto: non avr infatti in s stesso tutte e pur deve averle, se ha da C le specie d'animali
a che queste
;
Ma
se
scessero e avessero
vita
per mezzo
(2).
sarebbero uguali
tivamente,
agli
Dei
Affinch pertanto
un
accingetevi
secondo natura
e il Jowett congiungono iliv pywv e intendono per o Dei, delle quali opere queste opere gli Dei stessi sono autore, ' cio, che siete opera mia ; il che uno stento. Il Mueller pende incerto tra questa interpretazione e quella dello Stallbaum. L'Acri parafrasa e lo Schneider mantiene l'equivoco. Nell'ultima frase indifferente per il senso leggere (Hermann, Archer-Hind), |uoO ye un 0\ovTO<; con Cicerone e con qualche codice. Badisi che dopo eXovrcx; non va punto fermo;
'
:
un anacoluto.
Platone anche il mondo (oltre ma perenne; cio durer sempre non per virt propria, ma per volere di Dio.
(1)
Perci secondo
questi Dei)
Cfr.
non gi eterno,
Gaye, o. c, p. 211. Questo concetto con poche modificazioni fu accolto dalla teologia cristiana ed espressamente adottato da Dante, Par. VII, 67-69 e passim. Cfr. l'Appendice, 9. (3) KCtr qpaiv. Pu esser dubbio se si deva intendere " secondo la (differente) natura vostra (Mueller,
(2)
Jowett), o " secondo le leggi di natura, cio fiXnovvec, npbc, t iiov (Archer-Hind): la seconda interpretazione peraltro pare tautologica con ci che segue.
Fiia.cca.boziI, II
imeo di Platone.
19
2i8
// Timeo.
fabbricazione
di loro
degli
animali,
in
che merita il nome (i) degli immortali, chiamata divina e dirige in essi (2) ci
che ha sempre la capacit di seguire giustizia e voi, questa seminer io e la provveder per somministrarvela.
Quanto
mortale,
al resto, voi,
all'immortale
gli
intessendo
e
il
apprestate
il
animali e
allevateli,
generateli, e
dando
loro
nutrimento
di
quando
periscono
riceveteli
bel
nuovo
in voi.
vu|ov
9avdT0i<; mivujaov. L'Archer-Hind vede nell'uibuna restrizione della immortalit delle anime, in quanto il loro presente modo di esistere come indi(1)
vidualit transitorio. In ogni caso io crederei prudente limitare la restrizione a questo solo, che non immortale ogni anima, ma solo l'anima razionale; se piuttosto udbv. non si ha da intendere semplicemente come " pa-
prendendo
0.
nimo
di Qeo!<;,
che segue e che pare aggiunto per schiarimento. (2) Geov XeYuevov ^yuovov t' v aToi<; tjv del
kcx
kt)
GeXvTuuv gireaBou. Lo Stallbaum interpreta: " ut divinum appelletur et inter ea teneat principatum, quippe ex numero illorum, qui semper iustitiae atque vobis obtemperare velint: e come questo possa corrispondere al testo greco non giungo affatto ad immaginare. Il Martin invece, il Mueller, il Jowett, I'Archer-Hind intendono nel senso che la parte immortale dell'anima governi coloro che vogliono praticare la giustizia, ed interpretazione plausibile: non affermerei per altro che sia la vera, e ne preferisco un'altra, cio
(av
che l'anima immortale ha la direzione di tutta l'attivit morale dell'uomo, di ci che nell'uomo ha la capacit
risco
di intendere la giustizia e i precetti divini perci rifetOv GeXvTuuv a una parte dell'attivit umana,
:
non a una data categoria di persone. L'anima ha una egemonia sua propria e naturale, non limitata al beneplacito di chi la vuol riconoscere.
Capitolo
XIV.
219
XIV.
Cos disse, e un'altra volta nel cratere medesimo, nel quale aveva mesciuta insieme e commista l'anima dell'universo, vers ci che era
avanzato
da prima
(1),
mescolandolo sotto un
35 A, abbiamo veduto, si narra come Dio il mondo con una mistura di tre sostanze, ed a pag. 36 B detto che quella mistura la consum tutta. Qui dunque non si pu intendere che per crear l'anima umana Dio adoperasse gli avanzi di quella mistura avr dunque, dice I'Archer-Hind, adoperato gli avanzi degli elementi dei quali quella mistura fu composta. Ma questo presuppone che effettivamente a comporre quella mistura Dio abbia adoperato solo una parte degli elementi, mentre le parole di Platone non ci incoraggiano a questa ipotesi, della quale non si vede proprio il perch. Il Gaye invece (o. e, p. 158) propone una spiegazione che mi pare molto pi soddisfacente. Egli ritiene che qui non si tratti di vera e propria creazione, ma di differenziazione, e intende che l'anima del mondo per entrare in una esistenza attuale deva
(1)
A pag.
componesse
differenziarsi in
anime
individuali.
Ora
mistura nel fare l'anima del mondo, com' detto a p. 36 B, la difficolt di trovare che cosa possano essere gli avanzi, di cui qui si tratta, con la creacomincia prima di qui; comincia a p. 40 zione dei 6eo 6eu>v di che si fanno questi Dei? Ebbene, intendendo come vuole il Gaye, gli avanzi non dovrebbero essere pi quelli della mistura originaria n dei suoi elementi, ma gli avanzi della prima differenziazione avvenuta con la creazione degli Dei. Che questa interpretazione sia molto probabile si pu argomentare anche dall' analogia di p. 42 E, dove gli Dei creati, imitando il creatore, prendono a prestito col patto di restituirli gli elementi dal mondo per fare le specie mortali, il che non altro che differenziare, e se ci si fa a imitazione del creatore, segno che egli
se Dio
tutta la
consum
pure procedeva
allo stesso
modo.
220
//
Timeo.
non per altro seconda e di terza qualit. Costituito poi che ebbe il Tutto, divise tante anime quanti astri (i) e le distribu
certo rispetto alla stessa maniera,
ma
di
Proclo (p. 319 C), per concon ci che soggiunto poco dopo (p. 42 D) sulla seminagione delle anime (airpoc, che dei resto cosa diversa dalla vouri, di cui qui si tratta; cfr. nota a p. 42 D), le quali ivi appajono esser parecchie per ciascun astro, intende crapieuouq per in proporzione, poich l'unit proporzionata alla decina come la trinit alla trentina: ko yp v xot<; dpiGjuoic; vXoyov
(i) aapi6uou<; to!<; fiarpoi^.
ciliare
questo
xr) uv uovdi ri exdq, tt) xpidi f) TpiaKOvxdc. L' interpretazione ingegnosa, ma un po' cervellotica oltre di ci non necessaria, perch a p. 42 D, come ho accennato, si tratta d' un'altra cosa. Perci lo Zeller (o. e, p. 819) non trova difficolt a ritenere che icrapiS;
dividuale
per
ciascun
anche da ci che segue immediatamente, eveiu 0' xdornv itpc, gnaa-rov. E non si sempre ritenuto che il numero delle stelle sia innumerevole ? Ad ogni modo poich una stella per ciascun'anima pare uno spreco, si sono pensate anche altre spiegazioni. L'Archer-Hind, e non fu il primo, intende che il n,uioupY<; abbia diviso la rimasta mistura in tante parti assegnandone una a ciascuna stella. Queste parti non sarebbero ancora anime particolari, n aggregati di anime, e nemmeno le anime dei singoli astri, ma semplici divisioni della totale quantit di anima che non ancora stata differenziata in anime particolari. Questa differenziazione sarebbe la yveatc, di cui si parla subito dopo. Ammettendo ci, la conoscenza delle idee (Tf)v toO iravTi; qpffiv eiEe) sarebbe stata acquisita dall'anima prima della sua differenziazione, quando essa non esisteva ancora come anima particolare, e in questo si dovrebbe notare un'evoluzione, o meglio un' ulteriore
determinazione, della teoria deH'vduvnaic; del Fedone e del Fedro. Senonch il Gaye (o. c, pp. 213 sgg.) osserva in contrario che le espressioni usate da Platone sembrano veramente indicare anime individuali o perch, se voleva intendere altrimenti, non si spiegato? Aggiunge che ad ogni modo la differenziazione
:
finale in
attribuirsi
Capitolo
XIV.
tal
221
modo
natura
la
che dell'universo, e le leggi fatali disse loro, sarebbe una sola stala prima generazione (i)
bilita
per
tutti,
acci
nessuno
fosse
svantag-
giato
da
lui,
disseminate in ciascun organo del tempo a ciascuna opportuno (2), generassero il pi religioso
al nuioupYi;,
in alcun
modo
de-
legata
6ewv, i quali, essendo finiti, non possono causare pluralizzazioni, ma solo influire sul corso delle esistenze gi pluralizzate. Si attiene perci all' interpretazione piana della lettera. Checch sia di ci, questo giova notare, che la incarnazione delle anime
ai 6eol
secondo il Timeo dunque effetto di una legge ; il che molto diverso dal mito del Fedro (pp. 246 sgg., dove la incarnazione effetto di una colpa.
la congiun(1) Intendi per questa generazione, non zione con gli astri, come vorrebbe lo Stallbaum, ma l'incarnazione nel corpo umano. Tutte le anime si incarnano per la prima volta nel corpo di un uomo maschio, appunto perch devono esser trattate tutte ugualmente: poco pi oltre (p. 42 B) troviamo che le anime che hanno peccato, nella euxpa YveaK si incarnano in corpo di femmina: se tale pertanto la seconda generazione, la prima non pu essere che quella che si
detto.
amarci
eie, t TtpoariKOvra xdffTOK; pTava xpvwv cpOvai ukjuv t QeoaepaTCXTOv. Cicerone con " certis temporum intervallis e Calcidio con " certis temporum vicibus pare leggessero m xpvuuv, ma poich di tale concetto non si vede alcuna ragione, il parallelismo con p. 42 D ci assicura
esser preferibile la lezione nostra, quand'anche non si voglia mutare con I'Archer-Hind xpvuuv in xpvou per avere l'identit col citato luogo. Lo Stallbaum proponeva di inserire un uex avanti a a-napeiaac,, e il Mueller e I'Archer-Hind gli danno addosso come avesse pro-
ma
non mi par
credo che l'emendamento sia cos piano e liscio come intransitivo, e se il soggetto suo
:
io
222
42 degli animali,
e
// Timeo.
che, doppia
essendo
la
natura
il
umana
(1),
il
quale
E come
poi fossero di
necessit piantate nei corpi, e parte accedesse (2) parte si perdesse del corpo loro, (disse) innanzi
tutto esser necessario
pressioni nascesse
un senso
sioni
questo paura e iracondia e quante altre pastengon lor dietro, e quante viceversa son di
le quali
se esse riuscissero
colui che vivesse
onestamente
il
tempo che
gli
assegnato, ritor-
nato di nuovo all'abitazione dell'astro suo affine, godrebbe con esso la solita (3) vita beata: ma chi a ci venisse meno, nella seconda gene-
possa comodamente spiesi ha da emendare, mi limiterei a mutar qpOvai in qpoai, e secondo questo senso ho tradotto. Per le altre questioni cfr. nota a p. 42 D. Nel definir poi l'uomo per l'animale pi religioso (cfr. Legg. X, p. 902 B) si palesa la differenza sostanziale tra la concezione platonica e l'aristotelica, che
r 9eoc, non
si
vede come
si
gare OTTapefoa?
ard<;.
Ad
ogni modo, se
lo definisce
l'animale politico.
X.
Cfr.
le
irl
dove
si
dice che la
donna ha
inferiore,
l'uomo,'
ma
ih
grado
hi oQevarepov
yvvt) vbpc,irpoaioi k. t. X. Della nutrizione e del dei corpi, e delle sensazioni e delle loro conseguenze tutte parler anche pi oltre, p. es. p. 43 C, pp. 64 D-65 e p. 69 C-D.
(2) kcx
t uv
consumo
" congenial traducono il Jowett e I'Ar(3) auvr^en, cher-Hind. Intendi la vita a cui l'anima era abituata prima di incarnarsi, essendo lass la sua vera patria, e la terra per lei un esilio.
Capitolo
XIV.
223
e se
si tramuterebbe in natura di donna (1); neanche allora desistesse dal male, conforme al genere della sua perversit, si trasmuterebbe di volta in volta, a somiglianza appunto del carattere che in lui si produca (2), in qualche cotale natura ferina, e continuando di mutazione
razione
(1) Su di ci ritorna a pp. 90 E sgg. Nel margine di qualche codice ed in qualche antica edizione seguivano qui queste altre parole: xi^ 0(J tui xei ucpxepcn qpiKvo|uevai n KXnpujaiv Kal ai'peaiv toO euxpou fUou cupouvxai 8v v eXr) piov Kaxn. ev6a Kal eie enpiou piov av0p(juirivr) iyux^ quKvexcu. Le quali parole tratte dal Fedro p. 249 B, col loro cambiamento del soggetto in femminile (vux^l), mentre qui, prima e dopo, tutto il contesto lo ha maschile, dimostrano ad evidenza che non sono altro che l' intrusione di una glossa marginale.
(in " Boll, di filol. class. Vili, 6, pagine 131-35) sospetta siano state introdotte a colmare una lacuna, e che nel luogo perduto si accennasse forse anche al ritorno dell'anima alla sua antica personalit, ma non mi persuade. Le difficolt gravi invece e logicamente insormontabili di questo luogo sono ben altre. Come potevano essere gli uomini, se contemporaneamente non erano anche le donne? E d'altra parte, se le donne e gli animali non sono che degenerazioni e corruzioni dell'uomo, come si concilia questo con ci che dice a pp. 39 Ee a p. 41 B, dove gli animali sono specie a parte, 40 la cui creazione dal rjuioupxq delegata ai 0eol 0eii>v? La degenerazione pu esser creazione? Il Gaye (o. c, pp. 163-64) parla anche qui di consecuzione logica e non cronologica, ma poich ci che qui si descrive il pro-
Carlo Giambelli
dotto della fveoxc,, anzi quello della seconda Y^vectc;, siamo effettivamente nel mondo del divenire e del fenomeno, del quale propria la successione nel tempo. Aggiungasi che la degenerazione rappresentata come effetto di una colpa, e che l'interpretazione simbolica distruggerebbe tutto l'elemento morale della teoria. Del resto, poich non questa la sola irrazionalit del Timeo, n forse la pi grossa, contentiamoci di dire che Platone, preoccupato di affermare l'unit della vita nel mondo, o non si accorse o trascur queste incongruenze
del suo mito.
(2) Cfr.
Phaedo,
p. 81 E.
224
in
Timeo.
mutazione non cesserebbe mai dai travagli secondando (i) la rivoluzione di ci che ha in s stesso di sempre identico ed uguale, e per mezzo della ragione superando la molta illuvie che anche poi gli si era appiccicata e dal fuoco e dall'acqua e dall'aria e dalla terra, roba tumultuaria e irrazionale, giunger al tipo della
fintanto che,
Tutte queste leggi avendo egli ad essi promulgate (2), affinch egli fosse della malvagit
TCtToO Kdl uoiou uepiw Tri v aTw EuMolti codd. hanno invece uveTtianujp.evo(;, tenuto dall'HERMANN, e la scelta pu esser dubbia. Ad ogni modo, poich la forza che deve muovere nell'anima stessa, v auxu), pare forse preferibile dire
(1) irplv Tfj veTTiaTi|uevoc'.
che uno la segua anzich ne sia trascinato, il che sarebbe pi proprio di una forza esteriore. Platone in
dialoghi ammette la totale e irremissibile perdizione dell'anima, ancorch solo in casi eccezionali per pochi veramente viaroi: veggasi in proposito il mito di Er nella chiusa della Repubblica. Come per altro uno possa redimersi, poich sia degenerato gi gi per tutta la scala animale, qui non detto (cfr. invece Fedro, pp. 248E-249); n detto come uno diventando bestia conservi l'anima razionale, che Platone presuppone non soggetta a morte n a distruzione. Calcidio {Conmi. 198) crede perci che il peccatore diventi non gi lupo, leone, ecc., ma " ad feritatem leonis ... ad proximam luporum naturae similitudinem pervenire; questa per altro non che una fantasia. Il citato mito di Er pu in qualche maniera sopperire, e- contentiamoci della favola quando la ragione incapace di soddisfarci.
altri
,,
(2)
Dopo che
il
riuioupYi;
ha spiegato
alle
anime
le
leggi della natura e ha detto come proceder alla loro Yveaiq, cio alla loro incarnazione, eseguisce ci che ha promesso e le distribuisce tra i pianeti, pronte per ricevere coi corpi anche la loro parte mortale. Non pu esser dubbio che le parole cnreipe to<; uv k. t. X. richiamino e ripetano la sostanza e la forma di p. 41 E boi hi cmapeiacu; axdq k. t. X. L si preannunzia ci che qui si eseguisce, e le anime di cui qui si parla sono
Capitolo
XIV.
225
semin alcuni
altri
di
nella luna,
negli
altri,
E dopo
di tale
seminagione commise agli Dei nuovi che plasmassero i corpi mortali, e che tutto il resto, quanto v'era per anco dell'anima umana che conveniva d'aggiungere, questo e quanto a questo
consegue procurando, signoreggiassero e come per loro si poteva nel modo migliore e pi bello
quelle stesse a cui l Dio parlava. Ma l Dio parlava anime che erano gi state distribuite tra gli astri vei|u 9' Kda-rnv Trp<; xcia-rov), e prometteva (p. 41 loro una nuova distribuzione negli organi del tempo la nuova distribuzione qui avviene, e ci toglie ogni dubbio che si volesse opporre sul testo di quella promessa le distribuzioni inevitabilmente sono due, o per meglio dire una voun (p. 41 D) e uno OTrpoq (pp. 41 E e 42 D). Fra gli organi del tempo sui quali avviene questa ulteriore e definitiva seminagione espressamente nominata la terra, e ci non fa difficolt alcuna; le anime vengono in terra quando si incarnano nei corpi; ma oltre la terra si nominano espressamente la luna e gli altri organi del tempo, e questi non possono essere che o i pianeti o le stelle: ammetteva dunque Platone che anche questi fossero abitati ? Pare evidente che s, e abitati pure dal genere umano secondo pp. 41 E42 A. Questo concetto per altro non ha n svolgimento n seguito nel resto del dialogo, ed effettivamente era pi ardito assai per Platone di quello che possa essere per noi: ritenendo infatti Platone la terra immobile e gli astri invece in movimento, le condizioni di vita dovevano presupporsi anche sostanzialmente differenti tra questa e quelli. Dagli organi del tempo, come ho detto, non possono escludersi assolutamente parlando le stelle dette fisse, poich il moto apparente del cielo stellato anzi la norma ed il canone al quale si ragguagliano gli altri movimenti; ad ogni modo ritengo abbiano ragione quelli che intendono che qui si alluda solo ai pianeti (come nella prima voun alle stelle fisse), poich ai pianeti si riferisce Platone principalmente ove parla della generazione del tempo, specie a p. 39 C-D.
alle
226
//
Timeo.
egli stesso
a s stesso cagione
guai.
XV.
tutte
ordinava, rimaneva
figli,
che
intesero l'ordinamento
e,
padre,
obbedivano ad esso,
preso
il
principio
il
immorpatto
imitando
loro creacol
mondo,
fuoco e
in-
43 di terra e di
acqua e
erano
stretti,
ma
connet-
la loro
piccolezza
circolazioni
dell'anima
che immortale
le-
ti)
Si richiama
al
concetto
sempre ad un modo, e perci quanto detto fin qui del suo adoperarsi va inteso figuratamente. Anche il
voriaavxec;,
di concetti:
che segue dopo, insiste sullo stesso ordine i comandi di Dio si percepiscono con l'incoi sensi.
telligenza,
(2)
non
imprestito per formare il ma sempre diviene, e perci, come ogni prestito, bisogna restituirla: quindi la necessit della morte. Ed questa un'altra conferma che anche nel mondo materiale, come nel morale, non ci pu essere variazione di quantit, e che la somma delle cose rimane sempre la stessa.
La materia presa ad
corpo
Capitolo
XV.
227
gavano nel corpo che patisce influssi e deflussi (1). Ed esse, impigliate (come) in un fiume ingrossato, n si lasciavano soverchiare n lo soverchiavano,
e a forza erano trascinate e trascinavano; cos
si
moveva,
tutti e
ma
sei
i
disordinata-
zionalmente, possedendo
movimenti
secondo i sei detti modi. Inancorch fosse grande il flutto affluente e defluente onde proveniva la nutrizione, anche maggior turbamento produceva ci che ciascuno pativa dagli accidenti esteriori, quando il corpo C di qualcuno s'imbattesse ad urtare in un fuoco non
suo, o fosse colto dalla solidit della terra, o dalla lubricit umida dell'acqua, o dalla procella dei venti
trasportati dall'aria, e
i
da tutte queste cose sospinti movimenti attraverso al corpo andassero a cadere sull'anima (3): i quali movimenti anche in seguito per questo (4) si chiamarono e anche ora tutti
e deflussi del corpo, che teoria 42 A. L'anima umana poi analoga all'anima del mondo, e perci si parla delle sue circola(1)
Sugli influssi
eraclitea, cfr. p.
zioni.
(2) Ka TTdvxr)
Kax
che
si
riferisce
Tr\avd)ueva ?
il
l'ultimo al plurale
ma
senso Platone ribocca solo emendamento possibile, se si volesse emendare, .sarebbe uXaviJb|Uvov, ma non mi pare consigliabile. (3) Cfr. p. 64 A sgg. Platone ebbe in mente una falsa (4) Perch? Forse etimologia di aa9nai<;. Proclo, p. 131, proponeva l'omeTTOTTvw (//. XVI, 468, XX, 403), che ha rico iaQvj poco che fare: meglio il Martin pens ad iaaw, che suggerito anche dalle parole che seguono.
228
II
Timeo.
insieme
chiamano sensazioni. E infatti subito anche allora producendo queste (i) moltissimo e grandissimo movimento, e insieme con quel
si
movendo
dell'anima, quella dell'identit del tutto incepparono, scorrendo in senso contrario ad essa, e la im-
pedirono di governare e di andare, e quella delV altra specie perturbarono, cos chele tre distanze
doppio e rispettivamente le tre del triplo e i legami dell'uno e mezzo, uno e un terzo, e uno e un ottavo (2), poich non erano interamente solubili se non dal loro legatore li contorsero in tutti i contorcimenti, e causarono
del
gli intervalli e
,
E ogni sorta di fratture e di guasti dei cerchi in tutti i modi ch'eran possibili. Per tal guisa esse circolazioni,
trattenute
bens,
a stento
si
si
moveano
ma
moveano
irrazionalmente,
talora di contro, talora di traverso, talora supine, come quando uno, voltato di sotto in su, puntel-
lando
la testa
contro
la terra e
v tu) TtapvTi uXela-rnv Kal ueyi(1) xa kccI TTe a-rnv irapex nevai xivriaiv- Il soggetto che concorda con napexnevai aatnaen;, le quali aaOriffeic; non sono altro
che le Kivnoei*;. I movimenti producono le sensazioni, e le sensazioni perci non sono altro che movimenti:
l'espressione ad ogni modo imprecisa e trascurata. umana ar(2) Cfr. p. 35 C e le nostre note. L'anima monizzata analogamente all'anima del mondo. ttck; fivuu trpoapaXubv "xn irp^ tivi. Lo (3) to<; Schneider traduce: " sursum versos alicubi applicatos habeat; il Mueller: " und die Fusse nach irgend einer Richtung emporreckt"; e I'Acri del pari " e gittando in su i piedi e appoggiandoli ad alcuna cosa. Simil:
mente
no
i
il
piedi
Jowett e I'Archer-Hind. Ma che appoggino non importa; ci che importa notare l'in-
Capitolo
XV.
lo
229
in questa
le parti
vede,
sinistre
destre reciprocamente.
e d'altro di simile
le
Or quando
circolazioni
di ci
appunto
siano passive
di
fortemente, qualora accada che in qualche cosa 44 fuori s'imbattano che appartenga al genere
al
identico o
diverso
(1), allora,
chiamando questo
cosa (2), tutto al contrario del vero, diventano bugiarde e insensate, e nessuna di esse v' pi
che regga e governi. Che se poi delle sensazioni dal di fuori sospinte sopraggiungano e trascinino con s anche tutto l' invoglio dell'anima allora le circolazioni (3), mentre servono, si credono di
,
versione della destra e della sinistra in rapporto a chi nella posizione normale: irp<; rivi dunque va riferito a persona. Calcidio (Comm. 210) intese rettamente, e cos pure il Martin.
ivi l'anima del p. 37 corrotta giudica rettamente, qui l'anima dell'uomo traviata giudica erroneamente; il procedimento per altro identico qui e l. (2) Cio si perde allora l'attitudine alla dialettica, la quale consiste nel formulare rettamente un giudizio di t Kax Yvn identit o di diversit: cfr. Soph. p. 253 D iaipeaOai Kai uiVre tcxtv do<; gxepov -^r\aaaBa\ uriT 'repov v tcitv uwv o tj<; uxAeKTiKfj<; cpfi<JO|nev iria-rifiun<; etvcu; " il distinguere secondo le specie e non ritenere diversa una specie (che sia la) stessa, n la stessa una diversa, forse che non lo diremo esser proprio della scienza dialettica ? (3) t6' ciOtoi KpctTOOuevai xparev boKoOffiv. Che cosa aOrai? Poich il nome pi vicino aa0r)aei<;, lo Stallbaum lo riferisce a questo, e intende che le sensa(1)
:
mondo non
zioni,
In questo senso lo intende anche Proclo (p. 345 E). E sta bene, evidentemente, perch si possa parlare
ma
di
che
il
vincere e l'esser
vinto
riferiscano
allo
230
//
Timeo.
appunto per tutti questi accidenti anche adesso come fin da prinB cipio l'anima diventa insipiente appena che sia legata in un corpo mortale: ma quando la cordominare.
di cui
patisce,
incomba
i
di
mano
in
mano
pi tenue, e di nuovo
circuiti,
la loro
via e
tempo pi
regolari,
sone: se la sensazione soggioga la ragione, ci resta sempre vero, e non illusorio, ancorch alla sua volta essa sia soggiogata da altre potenze che del resto, all'infuori di Dio, tutte le cose di questo mondo, e non le sensazioni soltanto, sono in questa medesima condizione di dipendenza. Ma se si dovesse intendere che le sensazioni in questo caso sono soggiogate da quella potenza stessa che credono di soggiogare, allora la conclusione sarebbe precisamente l'opposta di quella a cui Platone vuol venire: che le sensazioni siano soggiogate dalla ragione cosa desiderabile, e qui, dove evidentemente si vuol notare il caso pi grave e disperato, si indicherebbe invece un avvenimento desiderabile e salutare. Perci gli interpreti pi recenti riferiscono auTdi molto ragionevolmente al soggetto principale, che irepicpopai. " En effet, " nota il Martin " aprs avoir donne entendre, par la (II, p. 155), premire phrase, que l' effet le plus ordinaire des sensations et des apptits de l'me femelle, comme il la nomme plus loin, est de distraire l'intelligence et d'en troubler toutes les fonctions, il donne entendre, dans la seconde phrase, que quelquefois une passion sensuelle trs nergique, au lieu de distraire l'me, s'em;
pare
d'elle tout entire, en exalte les facults intellectuelles et les applique avec succs au but qu' elle poursuit. Alors l'intelligence semble triomphante. C'est une fausse apparence. Elle est une esclave habile; mais
elle ne travaille pas pour elleuse ses forces au service de la passion qui la domine. Allo stesso modo intendeva Calcidio quando traduceva: " tunc Illa (anima), subjugata et serviens, pontificium aliquod potestatemque retinere falso puelle est
une esclave
mme;
elle
tatur.
,,
Capitolo
XVI.
231
si
muovono secondo
i
na-
sanno
attribuire rettamente
nomi
di di-
verso e di identico, e riescono a far diventare chi pertanto assennato chi le possieda (1).
venga in ajuto, C maggior malattia, diventa integro e sano del tutto ma se non se ne d alcun pensiero, percorrendo a pie zoppo il cammino della vita, senza aver nulla compiuto n guadagnato (2) ritorna all'Ade. Questo per altro avviene da ultimo quando che sia mentre ora intorno alle cose che ci sono proposte conviene
anche una
retta disciplina di vita
costui, evitando la
; ;
esaminare pi accuratamente. E innanzi tutto (3) intorno alla produzione dei corpi membro per membro e intorno all'anima, per quali cause e
provvidenze degli Dei furono generati, attenendoci a ci che pi probabile e con tal guida procedendo, accingiamoci ad indagare (4).
XVI.
verso, che
Pertanto imitando (gli Dei) la figura dell'unirotonda, i circoli divini, due che
l'anima (1) Dunque, secondo Platone, il fanciullo ha impedita, ma per s stessa non da meno di quella dell'uomo maturo, e il progresso consiste nella liberazione
dagli impedimenti, non in un incremento positivo. come pi omo(2) vvnxoi;. Preferisco questa lezione, genea con xeXry;, all'altra vnroc; ugualmente accreditata.
(3)
r
e
posto
irp totwv appunto ci che ora prova innanzi alle questioni escatologiche, che
232
II
Timeo.
sono,
li collegarono in un corpo sferico, quello che ora chiamiamo testa, il quale delle cose che sono in noi ed la pi divina e tutte le domina. Al quale anche tutto il corpo concedettero in suo servigio,
gli
Dei, sapendo
tutti
i
partecipe di
moti
quanti fossero per essere. Pertanto affinch rotolando (il capo) sulla terra, la quale ha alture e
E profondit d'ogni
superar
le
sorta,
non
une
questo
veicolo e agevolamento. Perci appunto il corpo ebbe una lunghezza e germogli quattro membra che si possono stendere e piegare, procacciandogli il Dio questi stru-
come
menti (i), coi quali afferrando e sui quali appoggiandosi divent capace di andare per ogni 45 luogo portando di sopra di noi il tabernacolo di ci che v' di pi divino e pi sacro. Gambe dunque e mani in tal modo e per questa cagione germogliarono in tutti; e poich il dinanzi gli Dei ritennero pi degno d'onore e d'impero
che non il di dietro, in questa direzione ci diedero il modo pi frequente di camminare. Conveniva altres che il davanti dei corpo l'uomo e perci dapl'avesse ben distinto e diverso
;
prima intorno
al
(i) QeoO jirixavriaauvou iropeta. S'intende il Dio infela lezione rropeiav di alriore delegato dal Dio padre cuni buoni manoscritti, accettata dall'HERMANN, dall' Archer-Hind e dal Jowett, la credo dovuta a confusione col TTopeiat; che cinque righe dopo; infatti non conviene all' uso delle mani. Poco pi sotto dnrepeibuevov vale appoggiandosi, e indica l'azione delle gambe, non
:
gi
"
duce
il
come erroneamente
tra-
Capitolo
XVI.
233
fosse ci
che carono nel seguente modo. Di quella parte del fuoco che non ha la propriet di bruciare, ma si di darci la mite luce propria del giorno (2),
di tali organi innanzi tutto costruirono quelli apportano la luce, gli occhi, e glieli appli-
ingegnarono di fare un corpo. Infatti quel fuoco genuino che dentro di noi germano di
si
questo lo
fecero
attraverso
agli
occhi
scorrer
cpuaiv TtpaGev
bierdHavTO uToxov %euovia<; toOt elvai t Kax cos Stallbaum e Martin. Invece hanno Schneider, Hermann, ArcherkciI ixaEav t ueTxov Hind, da codici diversi. Per il senso indifferente, purch si intenda sempre che ci che per natura davanti debba avere il governo, e non gi che ci che governa sia per natura la parte che davanti purch insomma non si separi il Kax qpaiv dal t upaGev, come
(1) kci
:
pajono fare I'Archer-Hind ed il Jowett. uv Kaietv ok tax e T b. irap(2) toO -nupc; Saov t Xeiv cpO<; fiuepov, okTov eterni; i^upcu;, atua ^nxavnaavTO Yifveo9ai. Fra f}uepov ed %pa<; c' un giuoco di parole intraducibile e del resto inutile. L'inciso ok. ex. f)U. era inteso comunemente come apposizione esplicativa di qpujc; njiepov, e per tale credo ancora doversi intendere. Vero che il Madvig, citato dall' ArcherHind, levando la virgola dopo f^pac, e congiungendo senso ok. k. i*|u. atua, credette aver trovato il vero di questo luogo, come trov l'approvazione e_ dell' Ar
cher-Hind stesso e del Jowett. Ma io cos ci capisco anche meno come il corpo proprio di ciascun giorno possa intendersi per la luce del giorno, io non so ve:
non
dere; e d'altra parte, poich il <pw<; f^iuepov c'era gi, si vede che cosa di diverso potrebbe essere quest'altra cosa. Qui non si tratta di creare la luce, ma di spiegare come avviene il fenomeno della visione: la luce gi data.
234
liscio e
Timeo.
condensato, constipando tutto l'occhio, (i), cos che avesse a trattenere tutto l'altro (fuoco), quanto era troppo crasso, e lasciasse filtrar puro questo solo. Quando pertanto vi sia luce diurna intorno a questa corrente della vista, allora, abbattendosi simile con simile e congiungendosi insieme se ne costituisce un corpo solo di
ma
natura
conforme
(2)
giusta
la
direzione degli
(1)
fiv
yp vrq ^uuv
tlv
:
...
irOp
...
iroirjaccv
(Liv,
(u|aaTUJv
frtv
Xov
ol twv (idXiOTa t
juaov EuiainXviffavTec;
jLijaTujv.
Cos interpunge lo
Stallbaum, che spiega " et totum quidem jusserunt promanare densum, ita tamen ut maxime mediani oculorum partem compingerent. Similmente il Martin: " ils firent en sorte que ce feu format travers les yeux un courant compose tout entier de parties fines et presses. E cos I'Acri, e I'Hermann similmente. Levisi invece la virgola dopo Xetov e dopo |av, e si ponga dopo ttukvv, e intendasi Xov uv t uua tuumXriaavtec;,
Su
tale interpretazione
(Mueller, Schneider, Archer-Hind, Jowett) non pu cadere alcun dubbio. (2) v auJua oKeiw0v IvvaTX] KCtT Tnv twv uu(Stu)v euwpiav. Badisi a non congiungere oixeiujSv con kot t. t. . 00., le quali parole vanno con tuvoir]. Ottimamente per questo rispetto il Martin: " qu'en s'identifiant ils forment un corps unique sebbene en s'identifiant dica troppo pi che non oKeiiuOv: r'identificarsi renderebbe l'oggetto invisibile, secondo ci che dice a p. 6/ D: basta dunque conformarsi, o proporzionarsi. Secondo Platone dunque (cfr. anche Sofista, p. 266 C) il fenomeno della vista si spiega col congiungersi del fuoco visivo, che esce dall'occhio, con la luce o fuoco esteriore, che irradia dagli oggetti visibili questi due fuochi congiunti formano una specie di corpo nella direzione della visuale, il qual corpo per la parte del fuoco esteriore in comunicazione con l'oggetto esterno, e per la parte del fuoco interiore in comunicazione con l'anima. Questa ipotesi ha qualche analogia con quella delle itoppoai di Empedocle citata nel Menone p. 76 C-D: oti Y&p xpa iroppoi'i axnnTcuv tyei auiueTpoc; Kal al;
:
Capitolo
XVI.
235
occhi in quel punto dove quello che sopraggiunge dal di dentro s'urta con quello che gli cozza incontro dal di fuori. Ebbene, per questa conformit divenendo tutto questo in conforme disposizione, qualsiasi cosa esso tocchi o qualsiasi altra lui, i moti loro diffondendo per tutto quanto il corpo fino all'anima (1), produce questa sensazione, per la quale appunto diciamo di vedere. Ma quando alla notte il fuoco gemello se ne va, (l'altro) rimane intercluso; perocch uscendo verso ci che diverso, si cangia esso stesso e si spegne, non essendo pi connaturato all'aria vicina, in quanto questa priva di fuoco. Cessa pertanto dal vedere e diventa per di pi conciliatore
sonno. Perocch quella salvaguardia Dei apparecchiarono per la vista, le palpebre, quando si chiudono, chiudono dentro la E potenza del fuoco, ed essa (2) discioglie ed appiana gli interni movimenti, appianati i quali si ha la tranquillit: e quando la tranquillit molta, allora ci coglie il sonno dai sogni leggeri; ma se rimangono alcuni movimenti un po' forti, secondo essi sono e secondo i luoghi ove sono rimasti, al- 46 frettali e tanti fantasmi producono a lor somiglianza di dentro, che di fuori poi quando siamo svegliati ci ritornano alla memoria (3). E cos quanto alle
del
che
gli
a9r|T<;,
cio
porzionata
vista cfr.
colore emanazione delle forme proe sensibile'. Per la teoria della anche pp. 64 D, 67 C sgg.
'
:
il
alla vista
(1) Cfr. p.
(2) 1*1 Tiliv
l'i
43 C. iexxet re k. t- \. Lo Stallbaum nota: int. pXecpdpuiv <pai<;, ' e insiste su questa interpretaintendi
zione
evidentemente sbagliata;
invece
1)
toO
irupq va,ui<;, come fanno gli altri. (3) touxOtoi koI ToaaOxa irapaxovTO
qpouoiwOvTCC v-
236
II
Timeo.
immagini
dere.
e
(1)
che
si
li
Perocch dal concorrere reciproco di tutti fuochi, interno ed esterno, dei quali di due nuovo se ne fa ciascuna volta sulla superfice levigata uno solo che in molti modi rimbalza, queste
i
cotali
componendosi
tente
il
uno
che
Tq
Hu>
il
Te
6Yep6eoiv
Trouvnuoveu.ueva
<pavTdO|aaxa.
Tanto
del tutto
_
" suscitano, traduce questi, " fanquesto luogo tasmi somiglianti a cose di dentro o di fuori, e il Martin gi di l. Eppure chiaro che vT; va con
qpo|uoiuj9vTa ed etuu con iro|uvr|noveuuevci. Le immagini dei sogni sono formate dentro di noi, sono cose nostre del tutto soggettive ; svegliati le ricordiamo projettandole nel mondo esterno: questo il senso dita),
non
si
il
rebbe
(1)
utcvou,
come vor-
irep Tf\v tjv KaTTiTpuuv eiujXoTrouav ... xapossibile congiungere t Kcmev, ma pi in quaiito a. naturale e ovvio intendere t b koi(2) k Top Tf]q vT<; kt<; t toO irup<; Kaxpou vuuvck; XXriXou;, vq tg aO irepi tiv XeiTn.Ta KCtaTOTe Yevouvou Ka TroXXaxri uTappu9uiaevTO<;, trdyTa t toi-
t b
TieTv.
aTC et
ucpaiveTai, toO irepl t TTpaumov ttuTnv yiv uup uepl t Xeov Kal Xcumpv =>mnayovc, YtYvouvou. Il fuoco visivo, dice, ed il fuoco esterno si incontrano e si combinano in uno sulla superfice dello specchio, la quale essendo liscia lo fa rimbalzare in diverso modo secondo piana o curva. E ci pare abbastanza chiaro: la difficolt comincia nell'ultimo membro del periodo: tou irepl t irpaumov irupc;, ecc. Che cosa t irpaumov? Il Martin (II, p. 164) l'intende per l'immagine che nello specchio, il che, se conciliabile con la teoria aristotelica che ammette nello specchio l'immagine, mi pare sia direttamente contrario alla teoria platonica, la quale assevera appunto che lo specchio non la riceve, anzi la fa,
\'{KX]c,
p<; tuj irep
Capitolo
XVI.
237
perch il contatto avviene a opposte della vista su parti opposte dello parti
risce a sinistra (1),
per la propria levigatezza, rimbalzare (cfr. Chalc. Comnt. 257) oltre di ci la parola a indicare l'immagine sarebbe molto mal scelta, mentre c'era pronta e facile (ammesso che immagine sia) la parola precisa. Lascio di dire che questa doppia combinazione di fuochi d'un, meccanismo cos complicato che nulla chiarisce di ci che vorrebbe chiarire. Io ritengo che t trpatJUTTOv sia la faccia di chi guarda lo specchio, e che quest'ultima frase non sia altro che la ripetizione pura e semplice di ci che detto nella prima, ripetizione giustificata dal bisogno di insistere sopra un concetto difficile (cfr. p. 35 A e nota, 47 C e nota)
: :
fuoco dunque irep t npaumov la luce esteriore e quello uept i\v oi^iv il raggio visivo. Notisi pure EuuttciyoOc; yiyvouvou che ripete uuTrcrf<; yeviuevov di pag. 45 C, e perci va inteso nello stesso senso. Del resto la cosa detta pure, e con parole del tutto analoghe, nel Sofista, p. 266 C: rjviK <5v pubi; oKetv xe koI XXxpiov Tiep T Xau-rrp xa Xta e<; ev SuveXGv Tfjc; guirpooQev etuGuiac; oiyeujc; vavriav aioSnffiv irapxov elboc, rrepYZjixai, " quando il fuoco nostro e l'esterno convergendo in uno sulle cose lucide e liscie produca un' immagine che dia una sensazione contraria alla vista solita; dove le ultime parole sulla trasposizione della destra con la sinistra si riferiscono agli specchi o superfici levigate piane come il caso pi comune a darsi. Del resto la frase toO itepi t irpaumov ecc. altri potrebbe anche ritenerla una glossa marginale entrata nel testo: difatti non apparisce n nella versione n nel commento di Calcidio (che invece aggiunge qualcosa sul rimbalzo dell'immagine) ; io per altro preferisco ritenerla una ripetizione legittima e spontanea, un' insistenza intesa a chiarire il concetto e a fissarlo bene nella memoria.
il
(1)
Ci avviene per
gli
specchi piani
la
parte destra
la
sinistra
versa, e rimbalzando conserva la posizione che ha acquistato: l'immagine infatti non uguale, ma simmetrica all'oggetto. Soggiunge che ci avviene imp t Ka0eaTq !9o<; if\c, irpoffjoXf^, cio contro il solito modo
di le
vedere: le altre cose infatti si vedono come sono; immagini dello specchio invece scambiano la destra con la sinistra, e ci per effetto del rimbalzo del raggio.
238
//
Timeo.
solito del contatto vila
specchio, contro
sivo.
il
modo
Ma
quando nel combinarsi con quello con cui si combina il lume scambia il suo C posto. E questo avviene quando la levigatezza
sinistra a sinistra (1)
degli
specchi,
la
laterali,
re-
spinga
vista di guisa
parte
della
e viceversa.
Che
si
se
che
la
curva
ghezza del volto, allora esso fa apparire tutto rovesciato, respingendo la parte inferiore alla
parte superiore della vista e la superiore
feriore.
all'
in-
tra
le
si
cause
serve
come
ministre Dio
per effettuare quanto possibile l'immagine dell'ottimo. Vero che si opina dai pi che non
siano concause,
ma
cause
(2)
di
tutte le cose,
(1) Nello specchio concavo semi-cilindrico in senso verticale, che qui si descrive, si vede invece la destra a destra e la sinistra a sinistra, e ci perch il fuoco che nel comporsi era caduto sullo specchio, una volta composto sulla sua superfice, non ne rimbalza pi di-
rettamente per la via stessa per la quale era caduto, ma lueTcnriTrTet, si scambia; la parete destra rialzata lo fa rimbalzare a sinistra, e viceversa. Se poi lo specchio cilindrico disposto orizzontalmente, allora l'immagine si vede rovesciata, per la stessa ragione. Se Io specchio concavo poi fosse emisferico, si avrebbero tutte e due le inversioni insieme, ma Platone non considera questo caso. (2) Questo contro Democrito, che per altro, come dicemmo, da Platone non mai nominato. " La nozione delle cause prime e seconde o cooperatrici, che originariamente appare nel Timeo, perdura ancora ai nostri giorni ed stata una grande conciliatrice tra la teologia e la scienza,, (Jowett, o. c, III, p. 417).
Capitolo
XVI.
239
densano
tali effetti;
producono altri mentre invece non sono capaci di avere ragione n intelligenza per nessuna cosa. Poich
delle cose che sono, quella sola di cui proprio
nima
possedere l'intelligenza, bisogna dire che l'a(1); e questa invisibile, mentre il fuoco e
l'acqua e
la terra
visibili.
Ora
alla
chi
ama
l'intelligenza e
prima
di tutto
persegua
le
le
generano da
(le
quali
vengono mosse
e ne-
cessariamente ne
muovono
noi,
biamo
l'altra
anche
a questo
modo dobl'ima
e
considerare
separatamente quelle che con intelligenza sono artefici delle cose belle e buone, e quelle che private d'intendimento fanno ci che capita senz'alcun ordine volta per
volta.
specie di cause,
ma
Di
gli
concomitante per
Ma
qual
massimo
per che
47
Iddio ce
la vista,
li ha donati, ora resta a vedere. E invero a giudizio mio, per noi causa della mag-
giore
utilit,
perch di
tutti
ragionamenti che
vtujv
tjj
vouv
uvui
KtaoGai
-rrpoarKei,
Vi sono dunque delle cose che sono le quali sian prive di intelligenza? Non potrebbero essere che le idee; e, ad intenderlo alla lettera, il passo sarebbe decisivo per la questione che abbiamo trattato nel capitolo II dei Prolegomeni. Gli che twv vtujv qui pu essere interpretato, in senso non tecnico, per
le
cose in generale.
(2)
Cfr. p.
68 E.
240
// Timeo.
fanno intorno all'universo nessuno sarebbe fatto da chi non avesse visto n gli astri, n il sole, n il cielo. Ora invece il giorno giri e la notte, poich sono veduti, e i mesi e
ora
si
mai
stato
il
numero
e ci concessero
la ricerca
mezzo
B procacciammo
nessun maggior bene n venne n verr mai al genere umano regalato dagli Dei. E dico appunto che questo degli occhi il vantaggio pi grande e tutti gli altri quanti ve ne sono di minori, a che
;
serve
sofo,
il
celebrarli
sia
non
si
filo-
quando
orbato e
lamenti,
lamente-
rebbe senza ragione. Ma di questo sia affermata da noi questa cagione, che appunto per ci Iddio ci ha trovato e ci ha donato la vista (2), affinch vedendo nel cielo i periodi dell' intelligenza ce ne servissimo per le circolazioni del pensiero che C in noi, le quali sono cognate di quelli, (quanto possono) cose disordinate di ordinate, e cos
(1) iLv
pifj
ladxnv.
(xfiXXa),
chiaro che
si riferisce
agli
altri
vantaggi
non
agli occhi,
cita
fiXXuuv
Lo Stallbaum
xuq>X<; b
itvxwv uXXov av esaiunV efvai non filosofo non riconoscerebbe che la perdita di questi beni secondari, e per questi soli si affliggerebbe, senza accorgersi di averne perduti di assai pi grandi upuevo<; av Gpnvo |idtxr|v l'eco d'un verso d'EuRiPiDE, Phoen. 1762: XX yp ri xaOTa 6pnvil> xal uaxnv pouai: (2) XX totou Xe^foOot irap' i>)uiIjv auTn ir TaOxa ama, 6ev V'ijuv veupev wpricraa9ai tg oijnv, iva k. t. X. Questa la variante adottata dagli editori pi recenti:
f)
xwv
Tauro anticipa
-rr
uuara)
iva. Altri leggono toOto ... aOT (se. rarr) (xr)) axia: il senso per sostanzial-
Capitolo
XVI.
(1)
241
traendone insegnamento
e partecipando alla
con
as-
sono
voce e all'udito, di nuovo lo stesso discorso, che sono stati dati dagli Dei Peallo stesso scopo per la stessa cagione. anche la parola ordinata a questo rocch stesso effetto, e ad esso contribuisce in massima parte, e similmente quanto v' di utile a udirsi nel suono musicale ci offerto per via dell'armonia (2) l' armonia poi come quella che ha movimenti corrispondenti ai cicli dell'anima che sono in noi, a chi con senno adoperi le Muse,
Quanto poi
alla
stata data
un piacere
irrazionale,
ma come
alleata per
(1) Anche questa chiusa non altro che ripetizione epcsegetica della prima parte del periodo cfr. pp. 35 A, 46 A-B. Cos si afferma la legge morale aver origine dall'osservazione dell'ordine nel cosmo. Cfr. de Rep.
:
VI, p. 500 C.
(2)
ooov
t'
aO
uouoixn/;
qpujvf|<;
XPnoinov
irpt;
iconv,
La
lezione
qpwvr), di
qualche
ma
accettabile, perch qui non si musica vocale dalla istrumeninvece che l' utilit che si trae
musica prodotta dall'armonia, la quale proporzione e rapporto di numeri, quella proporzione appunto e quel rapporto che si sono descritti a proposito della creazione dell'anima del mondo. Pongo col Jowett Martin, Hermann e Stallla virgola dopo irpt; xonv baum la ponevano prima. ... Ttl> uer voO Trpoffxpwuvw Mouaaic; (3) r) pwovia ok qp' n.ovnv fiXoTOv, KaGirep vOv elvai ok xpifaiMO^ \X' eir ... bboxai. Questa certo la punteggiatura preferibile e attualmente accettata; altri (Hermann, Stalldalla
:
21
2;/2
II
Timeo.
il
si
ci
E sproporzionata
maggior parte
mancante
di noi.
XVII.
Quello che abbiamo detto fino a qui,
all'
in-
fuori di poche cose, ha servito a dichiarare ci che fu fornito dall'intelligenza; ora conviene ag-
discorso anche ci che opera della necessit (i). Perocch la generazione di questo
giungere
al
baum) pongono virgola dopo vOv, e allora oke sarebbe il verbo principale della prima parte del periodo. Per il concetto cfr. pag. 80 B.
(1) Su questo elemento della necessit, che ha dato molto da fare agli interpreti, cfr. Prolegomeni, cap. III. Qui basti notare come questa vdYKn. subito dopo sia detta t Tfjq irXavuuuvn.; dboc, cxtck; (cfr. p. 30 A), a ragione in rapporto a ci che sempre, ma contrariamente al concetto che noi ci facciamo della necessit, rispetto al quale non meno strano ci che detto prima, che cio l' intelligenza persuade la vdYKn. Ma e questa stranezza e molte altre difficolt restano eliminate, se badiamo alla differenza di contenuto tra il vocabolo greco ed il nostro: vykoi, e non v^oi, si chiamavano anche nella lingua comune le leggi fisiche, e perci vjKX], meglio che necessit assoluta (che
piuttosto nel concetto di fato), vale costrizione. Per tal modo dalla vdYKn pura e semplice escluso l'elemento morale, il quale le viene imposto solo dall' intervento
di Dio, e la soverchia: quindi la dine e del bene, non per se,
Dio,
non mente
legge morale dell'orin quanto deriva da v^Kn pura nel senso platonico
ma
ma
relativa,
contraria-
al
concetto volgare.
Capitolo
XVII.
243
di necessit 48
mondo
fu mista d'una
;
combinazione
e d'intelligenza
come
l'intelligenza
domin
il
la
massima parte
in
si
meglio generavano,
cos e
sit
questo
modo
principio fu
costituito l'universo.
mit anche effettivamente discorrere, conviene mescolare (nel nostro discorso) anche la specie della cagione mutevole, secondo che per sua natura coopera (1). Bisogna dunque tornare indietro, e riprendendo di nuovo un altro cominciamento B conveniente a queste cose (2), come abbiamo fatto per quelle allora, cos ora per queste si ha da rifarsi di nuovo da capo. E bisogna appunto la na-
(1)
fj
cppeiv TrqnjKev.
Lo Stallbaum
traduce:
"
ea ra:
qua ipsius natura fert; e il Mueller similmente. Lo Schneider: " pr naturae ipsius impetu; il Martin " comme la nature des choses le comporte; FArcherHind " how it is its nature to set in motion. Il Natorp, o. e, p. 347, di questo elemento dice: " Sie ist keineswegs gesetzlos gedacht, vielmehr wird gerade ihr der Charakter der Notwendigkeit beigelegt, zwar in dem vorwaltenden Sinne des wahl- und vernunftlosen Zwanges aber zugleich in Sinne der Naiur ") Il senso pu essere un po' dubbio, ma che (fi <P cosa c'entri qui il movimento non vedo perci pretione
:
ferisco l'interpretazione dello Stallbaum e del Martin. (2) Cos si intendono in generale le parole kciI AafoOaiv axiv toutuuv TrpoariKOuaav xpav p\Y\v, e credo retta-
il
cher-Hind invece:
ftting
'
"
and when
cause for the things aforesaid, dunque non facendo un secondo cominciamento ma considerando un secondo principio' o elemento, cio quello or ora enunciato dell' v^fKi}. Non credo: xpav pxnv cos indeterminato (senza un ty\v o un Taurnv) impedisce di torcer la frase ad un senso diverso da quello che si presenta pi spontaneo alla prima lettura.
244
Timeo.
quale era prima della generazione del mondo, esaminarla in s stessa e nelle sue affezioni anteriori (i). Infatti fino
la loro genesi,
il
ma come
li
fuoco eccetera,
niamo le lettere dell'alfabeto dell'universo (2), C mentre neanche alle sillabe, per un uomo che abbia fior di senno, permesso che si abbiano ragionevolmente a paragonare. Ora pertanto ci che ne pensiamo noi eccolo qui del principio
:
di tutte le
cose,
o dei principi, o
comunque
questo
si
il
non
luogo di discorrere, non per alcun'altra cagione se non perch (3) col presente modo di esporre
(1) Cfr. p.
(2)
travTc; k. t. X.
La
pa-
vuol dire elemento, e poich le lettere sono elementi primi della parola (cfr. Phileb. p. 18 B-C), anche lettera. C' qui dunque un giuoco di parole le quattro specie di terra, acqua, aria, fuoco, volgarmente si tengono essere gli elementi primi,"o le lettere dell'alfabeto dell' universo, mentre non ne sono neanche le sillabe, cio non solo non sono elementi primi, ma neanche una prima composizione di elementi primi. Resta che si potranno appena paragonare alle parole
rola
:
Comm.
270:
"
Quarum
difFert examinationem, nec quaerit una ne sit archetypa species eorum quae sunt communis omnium, an innumerabiles, et pr rerum existentium numero, quarum coetu et congregatione concreverit universa moles; an vero idem unum pariter et multa sint, ut docuit in Parmenide. Quae causa declinandi fuit non laborem, sed
instituto sermoni minime conveniens tractatus admisceatur. Haec quippe naturalis, illa epoptica disputatio est. Naturalis quidem, ut imago nutans aliquatenus, et in vcrisimili quadam stabilitate contenta epoptica vero quae ex sincerissimae rerum scientiae fonte manat.
ne
Capitolo
XVIII.
il
245
le
cose
difficile chiarire
proprio concetto.
io
Non
dir-
v'aspettate
velo, (che)
debba
n io stesso sarei capace di persuadermi che sarebbe per me cominciar bene, ove mi assumessi cotanta impresa. Soltanto badando sempre, a ci che si detto da principio, cio alla probabilit dei ragionamenti perch abbian forza, mi ingegner di dire cose che non siano meno,
ma
come ho
al
fatto
prima
sieme.
dire
loro in-
Ed anche ora in sul principio del (nuovo) invocando Dio salvatore, che ci guidi sani fuor d'una trattazione strana ed insolita ad una
a ragionare.
XVIII.
principio nuovo intorno all'unida una distinzione pi ampia che non sia stata quella di prima. Perocch allora (2) distinguemmo due specie, ed ora ce ne conviene dichiarare una terza. Le due infatti erano suffi-
pertanto
si
il
verso
faccia
(1) iretpaouai \.\.\\htvc, rJTTOv eKTa, <?|inTpoa9ev tt' pxn<; Xyetv. Che le
possano significare et mme revenant sur mes pas jusqu'au commencement ', come pare al Martin (e Mueller analogamente), a me non pare in modo alcuno. Lo Schneider, posta la virgola dopo hi (Jowett, Archer-Hind), traduce Ka ^urcpoaGev per et antequam ad Ma accedam ', di che pure si pu dubitar forte. Accetto perci la virgola, ma insieme l'emendamento proposto dallo Stallbaum di koI '\xnp. in KdT t ?uTrpo09ev. (2) Cfr. pag. 28 A.
r px*K (senza la virgola)
'
246
//
Timeo.
sunta
come esemplare,
intelligibile e
la
modo,
La
non l'abbiamo
distinta,
credendo che
l'ar-
ma
terza) specie
Quale propriet dunque dovremo ad essa secondo natura attribuire ? Questa precisamente, di essere la recettrice di tutto ci che si genera, come una
balia.
Con questo
parlare
si
detto la verit;
il
ma
giova
B su
di ci
pi chiaro;
che
difficile
e per altre ragioni e anche perch, per farlo, bisogna prima proporre dei dubbi intorno al fuoco e alle altre tre specie. Perocch il dire per ciascuna di queste, quale effettivamente convenga chiamar acqua anzich fuoco, e quale qualsiasi altra cosa, sia a prenderle tutte insieme, sia anche una per una (2), (il dir ci) in modo da averne un
difficile.
Come
po-
(1)
Per
tutta
ehrev 'kckjtov, ttoIov 6vtuu<; iibivp xp^l irOp xal troov tioOv iuQXXov f\ xal Travxa kci9' (hcaOTv xe, ovtwc, diare tiv iria-nl) Ka 0cPaitu xpntfacQai Xyiu, xaXeirv. Lo Stallbaum, non a
toutwv Y&P
u&XXov
f\
Xyeiv
trova in queste parole qualche intoppo, e per rimuoverlo propone di levar la virgola dopo KctG' kckjtv Te, e porla dopo dmavra, e sottintendendo, molto duramente, e perci poco probabilmente, nell'ultimo membro un ehrev, cava da questo un senso tollerabile: " idque de quoque sic ut certa et firma ntamur oratione. Con
torto,
"
tutto ci resta sempre l'intoppo in ufiXXov f\ kcx1 fiiravia. Io credo che il secondo ufiXXov sia corruzione di fiXXo, e con questo emendamento ho tradotto: f\ Kal #TrctvTa k<x9' gKoa-rv re un leggero anacoluto per ^ k. Stt. f\
KCt6'
gKdOTOV.
Capitolo
XVIII.
247
tremo dunque ragionevolmente dire la cosa in s stessa, e in che modo (potremo dirla), e che cosa (ne diremo), quando intorno ad essa (1) permaniamo nel dubbio ? Innanzi tutto, quello che ora abbiamo chiamato acqua, quando si rapprende, C come ne appare, lo vediamo diventar sassi e terra,
fuso poi e disciolto viceversa questo stesso farsi vento ed aria, e l'aria arsa diventar fuoco, e
all'incontro
il
sene di
l'aria
nuovo
forma
(farsi)
di
aria,
di
nuovo
nuvola e nebbia, e da queste ancor pi condensate scorrer acqua, e da acqua terra e sassi ancora, e per tal modo un cerchio che trasmette vicendevolmente, come vediamo, la generazione (2). E quando queste cose
constipata
per tal modo non appajono mai le medesime, quale tra di esse quella che senza vergognarsi uno potrebbe sostenere che una qualche cosa e proprio quella e non altra? Non c'; e di gran
tali
cose
il
discor-
vorrebbe congiungere
ing
Cos fa anche il Mueller; e ci che segue pu giustificare questa interpretazione, e pu anche suggerirla; ma dubito forte che la frase greca, cos com', potesse affatto essere intesa a questo modo dagli antichi lettori. p. 54 B-C, correggendo questa affermazione, lo (2) scambio si dice avvenire soltanto tra fuoco, aria e acqua, e non con la terra; TArcher-Hind crede che Yc, oKoO|uev come ne appare valga a togliere la contraddizione; io pure credo che per lo meno valga ad attenuarla. Ci che vediamo ci mostra per esperienza che la materia trasformabile: una pi diligente osservazione ci potr far correggere il concetto volgare di terra, acqua, ecc., e determinare entro quali limiti la trasformazione avvenga.
what reasonable
question.
'
'
248
rere,
//
Timeo.
cos, cio,
quando
si
stabilisca
che quella
cosa che vediamo sempre diventare diversa, per esempio il fuoco, non essa si abbia a chiamare
fuoco,
ma
(1),
(1) del
jui
KaGopuuev
fiXXoTe
<3iXXr)
yiYvuevov,
ihc,
uOp,
toOto XX t toioOtov xaTOTe Trpoaafopeueiv irOp, k. t. X. Questo luogo, con tutta la pagina che segue, io credo sia stato frainteso o in tutto o in parte da tutti i commentatori, a cominciare da Calcidio fino allo Stallbaum (o. e. Prolegg. p. 19), al Martin, al Mueller, all' Acri, al Jowett, all' Archer-Hind. Nel periodo qui riportato t toioOto vKGTOTe (parole che vanno congiunte insieme) sono soggetto, e non, come si crede, predicato
di irpoaaYopeueiv, e toioOtov qui ha il significato solito, non un'accezione tecnica. Ci che Timeo vuol notare non gi che la parvenza variabile che noi denominiamo di volta in volta fuoco, acqua, ecc., non sia veramente e per s fuoco, acqua, ecc., ed abbia solo la qualit di fuoco, ecc., che questo era detto gi prima;
egli
il
appunto questa
qualit,
casi singoli (t toioOtov i<ao"TOTe, t toioOtov ei) e in tutti del Trepiqpepuevov, e che appunto perci questo solo il fuoco, l'acqua, ecc., cui sarebbe appropriato il Te, questo e niente altro, e precisamente niente di tutto
che crediamo indicare quando usiamo il Toe e diciamo questa cosa, quest'altra, essendo noi allora abbagliati da un' illusione, in quanto crediamo di indicare effettivamente qualche cosa ben determinata, mentre indichiamo solo un'apparenza .transitoria. In altre parole anche la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco fenomenici non sono altro che qualit, come il caldo e il bianro, e le realt vere sono terra, acqua, aria e fuoco idee; e come il bianco non la bianchezza, cos il fuoco che percepiamo uno stato della materia e non il fuoco ideale. Ora viceversa, poich nelle cose non vi l'idea, ma solo la sua immagine, per questo rispetto alle cose non si potrebbe applicare il Te. Per applicare alle cose il Te occorre sia in esse qualcosa di permanente, e poich questo non la loro parvenza, neanche sotto la forma delle specie elementari, il Te nelle cose non ci sarebbe, se non ci fosse il substrato o la recettrice
ci
Capitolo
XVIII.
249
n dir acqua questa (che vediamo), ma quella che sempre tale, n similmente alcun'altra cosa mai, quasi che avesse qualche stabilit, di quelle E che indichiamo usando della parola questo e coperocch (cotali testo e crediamo di dir giusto cose) sfuggono e si sottraggono alla denominazione di questo o di cotesto o di in questo modo, e a qualsiasi altra che le indichi come permanenti. Non si chiamino quindi cos queste cose singole ma ci che sempre tale e passa costantemente (d'una in altra restando) uguale
:
venga chiamato a questo mdo, e per conseguenza fuoco quello che sempre tale;
questo
s
il
via
si perde, soltanto ci alla sua volta 50 ha da chiamare col vocabolo questo e cotesto, e l'altro, checch esso sia, o caldo o bianco (1) o qualsiasi pure dei contrari e tutto ci che nasce di loro, niente di tutto questo si ha da chiamare
si
nuovo quinci
in tal
modo.
intorno a ci bisogna daccapo ingegnarci
in
Ma
ancora pi chiaro. Infatti se uno, plaoro ogni specie di figure, non cessasse di riplasmarle facendole passare ciascuna per tutte le forme, ove altri ne indicasse una e domandasse che cosa molto pi sicuro
di parlare
smando
plasmato successivamente
in varie
il
pu applicarsi che
l'oro
(1)
il
all'oro,
tale
mutano.
Prolegomeni, capi-
tolo
3,
pp. 56-57.
250
II
Timeo.
il dire che oro, quante altre figure in esso formaronsi, non dire di queste che sono, quando mentre appunto l'artefice le forma si trasformano, e se appena possano con una certa
rispetto
alla
verit
sarebbe
il
triangolo (poniamo), e
sicurezza ammettere
il
tale (1),
accontentarsene.
si
Lo
pu
ripetere
anche per quell'elemento della natura che riceve in s tutti i corpi; e lo si deve riconoscere sempre per la stessa cosa, poich non esce punto mai della sua propria natura (2). Infatti riceve in s C sempre tutte le cose, e non ha mai preso in nessun caso per nessun modo nessuna forma che somigli ad alcuna delle cose che entrano in lui. Poich proposto a tutta la natura come cera da impronta (3), la quale mossa e disposta da
Cos abbiamo due fissit immutabili, le idee e la la massa fluttuante delle apparenze sensibili (Archer-Hind). Badisi poi che la similitudine dell'oro deve essere intesa con discernimento.
irooxti, tra le quali
dice lo Zeller, o. c, p. 734, nota, riferisce solo a questo, che in tutti e due i casi il substrato, non ostante la variet e la mutabilit delle sue forme, rimane lo stesso; ci per altro non esclude che questo substrato nell'un caso sia quello dal (aus) quale, nell'altro quello nel quale le cose diventano. Sopra tutto questa similitudine non deve far credere
"
Questa similitudine,
" si
che anche la x^P a deva essere un substrato malcriale perch substrato materiale l'oro, come pare creda il
c, p. 97. Ho tradotto con cera da impronta, ma avverto che in questa figura c' un concetto materiale, che non si pu affermare sia nella parola greca. Dante pure usa spesso la parola cera in senso molto analogo, non per identico {Par. Vili, 128, XIII, 67), in luoghi che direttamente o indirettamente dipendono dalla'teoria del Timeo.
o.
(3)
Chiappelli,
Kiuayetov.
Capitolo
XVIII.
e
251
ci
s),
appare per
esso ora a un
modo
ora a un altro.
Or
causa di ci che
entra e che esce (1) sempre imitazione delle cose che sono, improntato ad esse in un certo modo meraviglioso e diffcile a spiegarsi, che poi pi
oltre
Intanto
neri, ci
tre ge-
che generato, ci in cui generato, e ci a cui imitazione il generato si genera. E appunto ci che riceve (la generazione) conviene paragonarlo alla madre, ci donde (viene
la
generazione)
al
al
padre, e ci che di
e
mezzo
pensare che, dovendo l'impronta essere a vedersi svariata di ogni variet, in nessun altro modo quello in cui la si ha da imprimere potrebbe dirsi preparato acconciaa queste
figliuolo,
mente, se non sia del tutto privo di tutte quelle forme che per ricevere donde che sia. Perocch, quando fosse simile ad alcuna delle cose che ri- E ceve, quelle di natura opposta o del tutto dile riceverebbe male versa, quando capitassero
,
Ci che entra nello spazio e che ne esce non sono per le quali a p. 52 affermato espressamente che non entrano in alcun'altra cosa; e notisi la differenza col Fedone, dove a p. 102 D-E ci che entra e ci che esce (nelle cose per altro, non nello spazio) sono appunto le idee. Ci che entra nello spazio detto qui espressamente essere le immagini (twv vtuuv dei ui,uiYuaxa): si pu solo dubitare se per queste immagini dobbiamo intendere esclusivamente le forme, od anche la materia di cui constano. Ma se pensiamo che Platone riduce le quattro specie elementari precisamente a forme geometriche, dovremo riconoscere che forma e materia, sotto questo rispetto, vengono a confondersi in una cosa sola. Cfr. Proleg., Ili, 3, e la nota a p. 55 A. (2) In questo dialogo su di ci non si torna che brevemente a pag. 52 C.
(1)
le idee,
252 e le
//
Timeo.
parire insieme
51
anche necessario che sia fuori di qualsiasi forma ci che le deve ricevere in s tutte, a quel modo che per gli unguenti odorosi innanzi tutto si ingegnano con arte di ottenere questo, (cio) rendono per quanto possibile inodori i liquidi che devono ricevere i profumi e cos quelli che imprendono a stampare delle figure in qualche materia molle, assolutamente procurano che non ci sia o appaia in essa alcuna forma, e bene prima spianandola la rendono pi liscia che sia possibile. Del pari adunque anche a quella cosa che deve ricevere molte volte in tutta se stessa le immagini di tutte le sostanze che sempre sono (1), le conviene di sua natura essere fuori di tutte
:
questa madre e recettrice di genera di visibile e in generale di sensibile, non diciamola n terra, n aria, n fuoco, n acqua, n altra cosa che nasca da queste o da cui queste nascano; ma (se la diremo piuttosto) una specie invisibile e amorfa, capace di qualsiasi contenuto, e che partecipa in un certo B povero modo dell'intelligibile (2), e che difhle
forme. Perci
si
tutto ci che
OUV KC TUJ T T)V TTCtVTlUV dei T 6vTUJV auToO tToXXKic; cpouoiuiuaTa koXik; ueXXovTi xeaGcu K- t. X. Lo Stallbaum propone correggere dei re in dei ti, che non riesco a capire. Egli spiega: tl uXXovTi iroXX(Ki<; xeaGm xen irv auToO tjv irdvTWv
(i)
TOITV
ttv
kot
dei ti vtiuv, dove manca fpouoiuO.uoiTa, rimasto, pare, nella penna. Ma le idee sono del vtci semplicemente, e non dei ti vto, che pare ammettere la possibilit di una mutazione: irdvTc dei Te vrot non importa in greco alcuna distinzione, pi che non ne importi per es. troXX Kal KaXd. Cfr. p. 154, n. 3. (2) Veggansi i Prolegomeni, cap. Ili, 1-2.
Capitolo
cile
XVIII.
253
non c'ingan-
quanto da ci che si detto possibile arrivare a capire la sua natura, con maggior verit si potrebbe dire in questo modo, cio che fuoco appare di volta in volta la parte ignita di essa, e acqua la parte liquida, e cos terra ed aria in quanto riceve immagini di queste cose (1). Ma su di ci conviene indagare determinando meglio la questione nel modo seguente. C' forse un fuoco che sia fuoco di per s solo ? e (cos) C * le altre cose tutte, che chiamiamo con questi nomi, (esistono esse) di per s ciascuna ? (2) O le cose
neremo.
in
Platone non poteva dire pi chiaramente di cos, che del resto consta anche da altri luoghi, che le quattro specie di fuoco, aria, acqua e terra, non sono elementi nel senso che diamo noi a questa parola, ma stati della materia, cio solido, liquido, aeriforme e di combustione. Essi non sono che immagini di toO 8 anv rip, toO o cari uOp, ecc. (2) 3p' ?cJTi ti TtOp ax cp' auToO, xa irvxa irep div del Xyoiaev o'xuj<; ax kcx9' ax i<aaxa vxa ...; Tutti gli interpreti intendono ad un modo, cio, giusta la traduzione del Martin " Y a-t-il quelque feu existant en lui-mme; et de mme pour les autres objets desquels nous disons toujours qu'ils ont chacun leur existence Ma non mi pare torni giusto, e, per intender part? cos, bisognerebbe che invece di oxum; ci fosse ihc,. Vuol dire che noi nominiamo il fuoco, l'acqua ecc., e con lo stesso nominarli implicitamente pare intendiamo che esistano di per s. Ora, domanda Timeo, esistono davvero di per s a parte queste cose? il nostro modo di parlare corrisponde esso alla verit? Leghisi dunque ktX., e non gi XYouev ax otp* ?<JTt ax xaO' aura Ka9' ax kx\., che anticiperebbe la risposta al quesito, dato pure che fosse vero che l'affermazione espli(1)
ci
,,
o sottintesa dell'esistenza a parte del fuoco ecc. nelle abitudini mentali dell'uomo, o almeno fosse in quelle degli antichi, da poterla addurre come un
cita
sia
fatto
frequente su
cui
La
254
Timeo.
che anche vediamo, e quante altre ne percepiamo per mezzo del corpo, sono le sole che possiedano tale verit, ed altre non ve ne sono fuori di queste in nessun luo^o e in nessun modo, e vanamente tutte le volte diciamo esserci di ciascuna cosa
una forma intelligibile, mentre essa non niente se non parole? (i). Non veramente giusto, lasciando andare questa questione senza esame e
senza giudizio, impuntarsi a dire che la cos, e nemmeno in un discorso gi lungo conviene
inserirne
se
si
un
altro
Ma
trovasse in brevi termini una grande linea di separazione ben definita, questo sarebbe di gran lunga il pi a proposito. Ecco pertanto quale se intelligenza e opinione vera il parer mio
:
sono due cose diverse, allora queste specie, per noi non sensibili ma soltanto pensabili, sono
anche assolutamente esistenti di per s se invece, come pare ad alcuni, la opinione vera non diffe;
risce affatto
pi grande certezza deve attribuirsi alle cose tutte, quante percepiamo per mezzo del corpo (2). Ma ef-
collocazione poi dell'avverbio oituj<; toglie di mezzo ogni dubbio. Quanto ai filosofi che sostengono resistenza effettiva delle cose, anzi soltanto delle cose, cfr. Sofista
p.
246 A-B.
(1) TtXiV Xyoc;.
"
per
L'Archer-Hind interpreta qui Xyoc, e vuole che la concetto mentale o universale, questione sia tra Socratismo e Platonismo; io credo si deva intendere pi bonariamente. (2) Cio: se l'attivit intellettiva deve avere un oggetto diverso da quello dell'attivit sensitiva, come oggetto di questa sono le cose sensibili, oggetto di quella saranno le intelligibili; dunque le cose intelligibili devono esistere se invece l'opinare, cio il risultato dell'attivit sensitiva, non differisce dal sapere, cio dal
,,
Capitolo
XVIII.
255
fettivamente bisogna dire che quelle sono due cose diverse, perch sono nate separatamente e sono in rapporto di disuguaglianza: che l'una per
mezzo
denza si genera in noi; e l'una ha compagno sempre il ragionamento verace, l'altra irrazionale; e l'una immobile incontro alla persuasione (1), l'altra pu mutar di parere; e dell'una bisogna convenire che tutti gli uomini sono partecipi,
ma
Dei, e in qualche
piccola parte
genere umano (2). Cos stando queste cose, bisogna convenire che una la specie che sempre allo stesso modo, non generata e che 52 non pu perire e che in s non riceve altra cosa
della facolt intellettiva, ossia se attribuiamo all'opinione lo stesso grado di certezza che ha la ragione, allora ha ragione l'oppositore; allora le percezioni dei sensi saranno tutto ci che di pi accertato potremo riconoscere. Ma, soggiunge subito, il primo corno del dilemma il solo vero, dunque le cose intelligibili esistono. Prosegue poi a dimostrare come e perch non pu esser vero che solo quel corno. Badisi che per Platone il noto principio " nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, dal quale noi siam sorisultato
liti
di muovere, non regge affatto, anzi in opposizione con la sua dottrina. Cfr. un'argomentazione del tutto analoga in de Rep. V, p. 477 B, e l'ottima e chiara illustrazione di questa questione in Zeller, 1. e, pp. 643-45.
la persuasione irrazio(1) KivnTOv -rreiGo. Questa nale, la suggestione, quella a cui tendono gli avvocati e a cui si attengono i giudici, come detto nel Teeteto, p. 201 A-C, dove si discute della stessa differenza tra
TriffTri]uri
e Ea Xn6ri<;.
'
vGpuCmwv ^voc, Ppax ti. Si interpreta generalmente e una piccola parte del genere umano '; ma questa sarebbe un'asserzione non consentanea alla teoria stessa di questo dialogo: perci intendo Ppaxu per av(2)
verbio.
256
di fuori,
II Timeo.
n essa passa mai in altra (1), ed innon percepibile da alcun altro senso; quella appunto cui l'intelligenza ebbe in sorte di che uguale di nome (2) e socontemplare migliante ad essa una seconda, sensibile, generata, agitata continuamente, che ha origine in qualche luogo, e che di l di nuovo perisce, afvisibile e
dello
mezzo della sensazione; che finalmente c' una terza specie, quella spazio, costante sempre, che non soggetta
le
cose quante
vengono generate, e mentre attingibile non dai sensi ma da un certo argomentare illegittimo (3),
a stento oggetto di persuasione (non di cono-
scenza) (4); in
rapporto
alla
quale
veramente
(1)
affatto~a teoria della jaGeHi? quale appare nel Fedone, cio nel senso di immanenza dell'idea nel fenomeno, o, in altre parole, nel senso che il fenomeno partecipi dell'idea corrispondente a quella particolar qualit predica di esso. Qui accettata la correzione o
lo
schiarimento suggerito nel Parmenide (cfr. meni, cap. II, p. 46), cio che la partecipazione non sia altro che imitazione: la uBec; cos diventa pi propriamente uiunoi<; il fenomeno non partecipa dell'idea, ma ne un'imitazione. Cfr. per altro Gaye, o. e. cap. VII e passim. concetto Phikb. (2) t V ud)vuuov x. t. X. Cfr. per il p. 54 A. XoyicJuuJ rivi v0uj. Tim. Locr. p. 94 B: Xo(3) 6tttv Yiauuj vGw, tuj uriiruj wi euuupiav vof)a6ai XX kot' vaXoyiav. questa forse la analogia aristotelica? Cfr.
:
o. c, p. 96. uyu; iricrrv. Lo Stallbaum interpreta " cui vix possit fides haberi ulla. E il Martin " elle est peine connue d'une manire certaine. E lo Zeller (o. c. " es sei schwer zu erfassen. Le quali parole p. 742): non pajono avere altro senso se non che la cosa di cui qui si tratta molto dubbia. Io intendo diversamente. Si appena parlato della bibaxn e della Trei0dj come frutto
(4)
:
Chiappelu,
Capitolo
XVIII.
257
anche sogniamo (1) e diciamo essere necessario che tutto ci che sia in qualche luogo e tenga un qualche posto (2), e che ci che non n in terra n in cielo non niente. Queste cose
l'una del voOq, l'altra della bSct, dopo di che Platone classifica i tre elementi della creazione, e primo l'idea che l'oggetto della conoscenza (8 t vnai<; ei'Xnxev mdKOTreTv), in secondo luogo il fenomeno o la cosa, che l'oggetto dell' opinione (Sn |ueT' aaQi\anuc, -rrepi\r|tttv), in terzo lo spazio (t Tf|<; xwpacj, il quale l'oggetto non della conoscenza, ma appena della ma-xiq, la qual ttotk; per altro la parte migliore della Ect, e vai meglio della eKoaict dunque uyi<; incnrv vuol dire
:
che appena qualcosa di pi che eKaa-rv. In de Rep. VI, p. 511, ove appunto si distinguono i diversi gradi di conoscenza, detto che il primo grado quello a cui giunge la ragione con la facolt dialettica: ou aTc; Xyo<; fiTTT6Tai if\ toO ioXTeaGai buvnei: ora qui invece l'oggetto irrv XoyuJMMJ tivi vGiu, e perci non pu essere vonrv, ma uyh; itigtv. Cfr. pure p. 29 C e la nota (p. 163). Ad ogni modo bene osserva lo Zeller al " 1. e. in che cosa poi questo pensare illegittimo pi precisamente consista, Platone certamente non V avrebbe saputo dire.
Cio quando noi considele cose nel mondo fenomenico non possono essere che nello spazio, abbiamo l'impressione fallace che questa sia una legge universale. Non gi che noi vediamo lo spazio quasi in sogno, come fu erroneamente interpretato. Cfr. Chiappelli,
(1) trpi;
f)
...
pXTTOvTeq.
riamo
lo spazio, e
vediamo che
o.
e, p. 98.
(2)
Secondo
il
nostro
modo
di concepire,
una
cosa,
per ssere, bisogna che sia in qualche luogo, e se non in nessun luogo, non affatto. Ora Platone dice che questa un'illusione, e afferma con ci asseverantemente che ci che , cio Dio e le idee, non in luogo, (Phys. Ili, 4, 2. il che egli non persuase ad Aristotele IV, 2, 5), il quale domanda perch non ammetta Platone che anche le idee e i numeri siano in luogo, etirep t ueGexTiKv tttcx;, non accorgendosi che nel Timeo la |u9eti<; non ammessa pi per le idee, ma solo per la Yvecn<;. Lo persuase invece a Dante, Conv. II, 4 e Par. XXII, 67.
258
// Timeo.
non dorme
veramente, per causa di questa sonnolenza, non siamo capaci di distinguerle ridestandoci e di dire il vero, cio che all'immagine (poich non suo neanche quello per rappresentare il quale essa nata, ed essa stessa non che una larva di qualche altra cosa) (2) conviene per questo
(1)
Platone rassomiglia
:
la bota
dere
mondo
della
verit.
Il
perch
(2)
Il
le
tempo e
nemep o'
cct
"
Martin traduce:
tavriic,
emv.
cela
mme
dans quoi elle est ne n'appartient pas. E questo vorrebbe dire che lo spazio o la x^po. in cui l'immagine si genera, non cosa sua, di essa immagine. E inutile dilungarsi a dimostrare che cos non pu essere logicamente, quando non pu essere grammaticalmente, poich non dice v ip, ma cp' ili. N capisco I'ArcherHind, che interpreta che l'immagine non il paradimma " since in its very di s stessa; n la nota del Jowett intention it is not self-existent, che per altro egli pure
riconosce essere oscura. Con tutta precisione spiega invece lo Zeller (o. c, p. 720) " das Wesen, zu dessen Darstellung sie dient, e similmente il Mueller e il Jowett nella versione. dunque l' idea. L' immagine dunque non riceve l'esistenza dall'idea che essa rappresenta, non ne ha la u6ei<;, ma soltanto sua parvenza, una semplice ui|unm<;, e rimane perci un non essere. Per avere un principio o una possibilit di esistenza bisogna si riattacchi a qualche altra cosa, e questa altra cosa la X^pc Nelle parole che seguono, ooick; uuKJYiuu*; vTexouvnv, si intenda oaia<; nel senso di esistenza in generale; il che perfettamente legittimo, in quanto che quella della x^P potr in certo senso dirsi esistenza, ma non essenza. Tutto ci del resto non altro che la spiegazione del perch le cose siano in luogo e le idee no: le cose sono imma:
Capitolo
XVIII.
259
l'
essa cos in
trimenti
al-
mentre a ci che effettivamente (1), la ragione vera ed esatta soccorritrice (a dimostrare) che, fino a tanto che una sia una cosa e un'altra un'altra, n questa n quella potrebbe entrare nell'altra in modo da restare la stessa e insieme diventar due.
nulla;
non essere
e negata loro la partecipazione all'idea, bisognava trovar per esse qualche altro appoggio. Le idee invece, per presupposto, esistono da s, e perci non hanno bisogno di altro. Per Aristotele, che non aveva ben letto questa pagina, cfr. p. 257 nota 2.
gini,
(1) Cio all'idea. S' detto or ora che l'idea non immanente neh' immagine dunque idea e immagine sono due cose ben distinte e diverse. Se invece nell'immagine si dovesse ammettere la presenza dell'idea, com'era nella prima teoria della u9eEi<;, essa sarebbe immagine e idea nello stesso tempo, il che distruggerebbe la distinzione. Sta bene pertanto che l'immagine, non avendo esistenza sua propria, deva perci afferrarsi a qualche altra cosa ma l'idea invece esiste da s, e perci non pu passare in altra cosa senza rom;
;
pere questa esistenza, senza diventare insieme originale e copia, il che assurdo a pensarsi. Si potrebbe osservare che questa esistenza separata dell'idea in certo modo implicitamente presupposta in questo ragionamento, il quale non si ha da richiedere sia del tutto esauriente, quando fin da principio stato detto che non doveva essere se non una traccia a grandi tratti per non lasciare senza risposta una grossa questione incidentale. Badisi ad ogni modo che questa affermazione dell' esistenza separata delle idee fuori delle cose non porta di conseguenza l'esistenza loro fuori di Dio le idee sono essenza, e sono fuori delle cose, appunto perch le cose non sono essenza; ma poich Iddio invece essenza, questo piuttosto un buon argomento per dimostrare che sono in lui.
:
2<5o
11 Timeo.
XIX.
Questo pertanto il discorso ragionato (i) che posso dare sommariamente del mio pensiero, cio che vi era l'essere, il luogo e la generazione, tre cose tripartitamente, anche prima che fosse il mondo (2); e che la nutrice della generazione,
affocata e ricevendo in s anche le forme della terra e dell'aria e tutte le altre passioni che a queste conseguono, appariva a veirrigata e
dersi svariatissima, e poich era piena di potenze n omogenee n equilibrate, in nessuna parte di s stava in equilibrio, anzi disugualmente sobbalzando era scossa essa stessa da loro, e movendosi alla sua volta le scoteva le cose mosse poi altre di qua altre di l separandosi continuamente venivano trasportate, come nella mondatura del grano, quando, scosse e ventilate dal crivello e dagli altri strumenti, le parti dense e 53 gravi da una banda, e le rare e leggere vanno ad accumularsi in un altro posto (3). Cos avve:
cfr.
p.
Prolegomeni, cap.
Ili,
34
A
4,
Xoyi<Ju<H
p. 98.
XoYiodeu;.
disordine, perch sono (3) Le cose si muovono in abbandonate da Dio; per altro il loro movimento non senza un fine: l'esempio stesso del ventilabro scelto a indicare questa tendenza; poi detto espressamente che le parti simili tendevano ad unirsi alle loro simili,
questo ap-
kcxI
urpiui;
questo
notato
contro
atomisti.
resto, o piuttosto
scotimento, e
Capitolo
XIX.
261
niva allora di quelle quattro specie scosse dalla recettrice, mentre si moveva essa stessa come
uno stromento
disuguali
le
si
parti pi
separavano tra
si
di loro moltissimo, e
il
pi simili
che oc-
cupavano un luogo le une diverso dalle altre fin da prima che si generasse di esse l'universo ordinato. Ed effettivamente prima di questo tutte
le
misura;
e
s,
cose stavano tra di loro fuor di ragione e di ma quando (Dio) cominci ad ordinare
l'universo,
l'acqua, che
ma
fuoco dapprima e la terra e l'aria avevano bens qualche orma di erano per altro in quella condizione in
il
cui naturale
si
ove manchi Dio, queste cose, (dicevo), che erano allora in tale stato, egli dapprima le fregi di forme e di numeri. Che poi Iddio abbia costituito queste cose nel
modo
pi bello e migliore
che fosse possibile da ben diverse che erano, anche questo sopra ogni cosa si tenga sempre per sottinteso nei nostri ragionari. Ed ora bisogna ch'io mi provi di dichiararvi con un discorso C non usuale la disposizione di ciascuna di queste cose e la loro generazione. Ma poich voi conoscete anche i metodi scientifici, per mezzo dei quali necessario dimostrare ci che si dice, mi
seguirete
(1).
che esso produce, sono parte dell'vaYKn., in cui come vele quattro specie infatti Dio pose ordine dremo pi oltre, conservano ancora la tendenza ad accumularsi ciascuna da s separatamente dalle altre, qualora la nuova legge divina le lasci libere. Cfr. p. 57 B
l'effetto
:
e nota.
(1)
Qui finiscono
la
traduzione e
il
commento
di Cal-
adio.
22
II
Timeo.
XX.
Ma
noto presumibilmente a chi che ogni forma di corpo deve avere anche
,
solidit (i),
il
piane
(2).
(1) In senso geometrico, s'intende; cio deve avere anche una terza dimensione, P9oc. termi(2) Come pu dire Platone che il solido nato da piani? E se la sua superfce curva? O bisogna ammettere col Martin (II, p. 235) che la curva in tal caso si consideri come un poliedro di un numero infinito di faccie o s'ha a ritenere che il filosofo pensi subito alla figura pi elementare che si pu immaginare, e poich in ogni figura curvilinea si pu immaginare iscritta una figura rettilinea, cos la figura pi elementare rettilinea di necessit. L'una e l'altra spiegazione, con altre ancora, sono accennate da Plutarco {Pat. quaest.5), ma che la seconda sia preferibile si pu argomentare da ci che si nota a p. 55 A, cio che il tetraedro regolare il primo solido che divida in parti uguali la superfce della sfera in cui sia inscritto, cio il pi semplice ed il pi piccolo che le si possa inscrivere; la quale osservazione avrebbe cos una ragione di essere, che verrebbe a mancare altrimenti. Continua a dire che ogni superfce piana si pu dividere in triangoli, e ogni triangolo in due altri triangoli rettangoli, e cos via di seguito, di modo che il triangolo rettangolo sia l'elemento primo della figura. Si procederebbe dunque sempre verso l'elemento primo; dalla figura curva alla piana inscritta, dalle superfici ai triangoli di cui sono costituite, da
;
questi triangoli
qualsiasi
ai
li
compongono. E procede ancora a specificare. Questi triangoli rettangoli possono essere o isosceli o scaleni: se sono isosceli, hanno perci i due angoli acuti uguali fra loro (cio, come dice, il secondo retto diviso met da una parte met dall'altra), come uguali sono cateti che limitano detti angoli; se sono scaleni, hanno gli acuti
i i
Capitolo
XX.
263
Ora
altri
la
triangoli,
aventi
scuno: di questi poi alcuni, (gli isosceli), hanno da ciascuna parte una porzione uguale di angolo
retto circoscritta da lati uguali, altri, (gli scaleni), hanno porzioni disuguali divise per mezzo di lati disuguali. Questo pertanto poniamo che sia
il
altri
corpi, proce-
dendo necessariamente
tra di loro differenti. Sia golo in gli angoli in B e dice Timeo, i cateti AB,
ABC
AC
C sono
come
dividono in due parti eguali gli altri 90 gradi occorrenti a fare i 180 di cui consta il triangolo, ed essi cateti, per ipotesi, sono uguali
A.
fra di loro. Sia invece il triangolo scaleno a b e rettangolo in a: gli angoli in b e in e sono disuguali tra di loro, come disuguali sono i cateti ab, a e. Badisi a non intendere,
come grammaticalmente si potrebbe, che i due triangoli rettangoli costitutivi del triangolo comune siano sempre l'uno isoscele, l'altro scaleno, che non sarebbe vero dice solo che ve ne sono di due specie, di cui ciascuna ha le tali e tali propriet.
:
kot tv ^ex' vdfKnt; cura Xyov Ttopeu|Lievoi. " secondo quella ragion verisimile, la quale possa stare insieme con necessit ; e gli altri a un di presso. Ma non capisco, e o ci un controsenso (il necessario infatti rende superfluo il verisimile), o iuet' vYKnq peggio che inutile. Io preferisco legare luer" vdyKr)<; con ktcc, e intendo secondo quel discorso per il quale necessario accontentarsi della probabilit, ovvero che di necessit non pu essere che probabile.
(1)
Acri:
264
II
Timeo.
principi
li
che
sa Iddio
amico di lui. Ebbene, biE sogna dire ora quali sono quei bellissimi corpi che ne potrebbero derivare, quei quattro cio,
e degli
uomini chi
sia
ma
capaci, alcuni
(1),
riusciamo a questo, abbiamo la verit intorno alla produzione della terra e del fuoco e di ci che conforme a proporzione in mezzo a loro. Poich questo (2) non concederemo ad
fatti,
se
metterci di
buona
corpi di differente bellezza (3) coordinarle, e poi dire che ne abbiamo adeguatamente compreso
la natura.
54
la
costituzione
egli
questi
(4):
nemico no,
ma
amico
vincendo
Alcuni, non tutti, perch ne esclusa la terra; pag. 49 B-C (p. 247 e note) e pag. 54 B-C. (2) Leggasi xe con I'Hermann, col Mueller e con I'Archer-Hind, invece della vulgata tote accettata dallo Stallbaum, che si adatta meno al filo del discorso.
(1) cfr.
(3)
di differente
;
perch la differenza che bisogna coordinare non gi insigni per bellezza, come intendono tutti gli interpreti: vero che essi intendono ouvap|uoao0ai nel senso di costruire, secondo me, a torto. Ci che segue
bellezza,
infatti tratta piuttosto dei
che non delle propriet di ciascuna a parte. Kpaxe. Lo Stall(4) Kvo<; ok x0p; Ov \\ cpiXoc, baum vede in queste parole l'apparenza d'un proverbio
Capitolo
XX.
265
bello,
trascurando
gli
un terzo B
triangolo, (e questo) equilatero (1): perch poi sia in tal guisa, il discorso lungo, ma a chi sa-
pesse ci confutare e trovare che non cos, daremmo in premio la nostra amicizia (2). I due
triangoli pertanto, coi quali stato fabbricato
il
corpo
del
altri
elementi,
siano scelti l'uno isoscele, e l'altro che abbia il maggior cateto triplo in potenza del minore (3).
pare di trovarvi piuttosto le membra disgregate a di un trimetro giambico, che si potrebbe forse ricostruire cos: ok xOp<; ujv xzivoc,, \K' puJv xpaxe.
me
scaleni
ed uguali con-
minore
dell'
sia
uguale
ipotenusa.
rettangoli
scaleni
ed uguali
pi recenti invece accettano la volgata qpiXta ; ma esfiGXa parola tecnica, dubito ci possano essere 39Act amichevoli e non amichevoli: la quXia questa volta il premio della gara, conforme detto poco prima cpiXot; xpciTe!. La frase del tutto regolare cfr. Xenoph. Anab. I, 2, io: T S9Xa fjaav cnXe.-'ryibtc, xpucfat. (3) lo stesso triangolo scaleno rettangolo col cateto minore uguale alla met dell'ipotenusa. In questo triangolo il quadrato costruito sul cateto maggiore tre volte il quadrato costruito sul minore: cio, come dice, triplo in potenza. Infatti prendiamo il triangolo
i
met dell'ipotenusa AB, e " AB AC. cos DC met di AC. Perci BD -f DC (2) (piXictT c9Xa. Cos Stallbaum ed Hermann con A;
BD
eguale alla
sendo fa
Fraccaroli,
II
Timeo di Platone.
23
266
II
Timeo.
Ma ci che prima (i) fu detto non chiaramente, ora conviene definirlo meglio. Perocch le quattro specie c'era parso allora che tutte vicendevolmente si trasformassero le une nelle
C
altre,
e non era parvenza retta. Nascono infatti bens dai triangoli, che abbiamo prescelto, quattro specie, tre delle quali da quell'uno che ha i lati
disuguali,
ma una
triangolo isoscele.
Non sono dunque atte tutte, une nelle altre, a diventare da sciogliendosi le molte piccole poche grandi e viceversa; ma le tre prime s. Perocch, essendo nate tutte da un
(triangolo)
solo, sciolti i complessi maggiori, molti piccoli se ne formeranno, e riceveranno le forme che loro convengono, e cos, quando i molti piccoli alla loro volta siano disgregati nei
triangoli elementari, se d'un fascio se
ne faccia
un'unit,
se
grande
(2).
ADB
(figura
il
precedente):
se
AB
.
(AB) 2 sar
Ma
(1) Cfr.
pag. 49 C.
vo; ykou bastasse il
uyci noTeXcriev
senso, la stessa collocazione delle parole dimostra che vo; oykou va unito con piGu;. Dice che l'acqua, l'aria e il fuoco, constando tutti elementarmente degli stessi triangoli scaleni, possono tramutarsi a vicenda in questo modo, che cio quella specie che consta di elementi maggiori, poniamo l'acqua, che rappresentata dall'icosaedro come si vedr poco pi oltre, pu sciogliersi in quelle dagli elementi minori, dunque l'acqua in aria, che rappresentata dall'ottaedro, fino a che si viene alla dissoluzione nei triangoli elementari, i quali poi si possono ricostituire in nuove unit, e quando questa nuova
Capitolo
XX.
267
d'una specie in
specie che
di quali
si
un'altr?..
Ma
numeri
ora dire. E andr appunto innanzi la specie prima e la pi minutamente costituita. Elemento di essa
il triangolo che ha l'ipotenusa doppia in lunghezza del cateto minore: ora, combinando cotali triangoli a due a due per la diagonale, e ripetuta questa combinazione tre volte, convergendo le diagonali e i cateti minori in uno stesso punto come in un centro, si ha un triangolo equilatero, di sei di numero che erano (1). Congiungendo
unit sia costituita in un complesso, allora si ha la nuova specie; cio i triangoli, che prima costituivano l'acqua, potranno ora costituire il fuoco, e quelli del fuoco l'acqua, e cos via. Comunemente invece si congiunge do<; ev vq oykou e si intende che fanno un corpo di un'altra
forma.
(1) questa un'altra propriet del suddetto triangolo rettangolo scaleno. Siano i due triangoli rettangoli scaleni uguali abg e afg con-
giunti
per
del
l'
ipotenusa
ad:
doppia
cateto
minore
diagonale del quadrilatero abgf: per questo si parla di congiungere i triangoli per la diagonale (iueTpoO anzi che per
questa diventa la
altre due triangoli abbiai quadrilateri cbgd, edgf, i quali, congiunti insieme sui cateti minori dei singoli triangoli
l'ipotenusa.
Con
coppie di
tali
mo
che
li
compongono,
triangolo equilatero ace. Questo pertanto risulta di sei triangoli rettangoli scaleni ciascuno con l' ipotenusa doppia del cateto minore. La dimostrazione si pu fare anche in senso inverso, prendere cio il triangolo equilatero ace, calare dal vertice di ciascun angolo la perpendicolare sul lato opposto, e dimostrare che se ne hanno sei triangoli rettangoli ecc. uguali fra loro.
generano
il
2 68
II Timeo.
equilateri, ciascun
solido,
gruppo
il
d un angolo
quale
pi ottuso
si
e di
tali
forma
cos la
propriet di dividere in parti uguali e uniformi iscrivono comune a tutti i poliedri regolari. Questo il primo, quello cicc che ha minor numero d faccie, il tetraedro regolare, una piramide la cui base e i cui lati sono triangoli equilateri uguali tra loro. L'angolo piano pi ottuso quello che pi si accosta ai due retti: l'angolo solido qui descritto somma invece a due retti esatti. I triangoli infatti, di cui consta il tetraedro in questione, hanno tutti gli angoli eguali; perci tre di questi angoli comunque presi equivalgono
(i)
La
la sfera in cui si
cos i tre che costituiscono un triangolo, Questa che costituiscono un angolo solido. concezione presenta delle grandi difficolt. Fino a qui si era parlato di superfici; ora le superfici si collegano insieme e fanno dei solidi. Questi solidi sono essi pieni o vuoti? Pieni di che? Di materia informe, risponde il Gomperz (o. e, pag. 491); e qui intanto si pu opporre subito che non sarebbe pi informe questa materia se ha gi ricevuto le forme matematiche dei poliedri. Diremo che sono vuoti ? Si oppone che Platone pi oltre nega l'esistenza del vuoto; e a ci si pu rispondere ch'egli veramente a p. 58 A-B non nega il vuoto assolutamente, nega solo che duri; dice anzi che talora nei corpi si fa un vuoto grandissimo e talora uno piccolissimo, che sempre
a due
retti,
come
tre
subito si riempie; e sta bene, ma se si riempie, intr.ito vuol dire che il vuoto c'era. Anche a ritenerli solidi vuoti per altro, di questo vuoto che contengono non si capisce il perch, pi che non lo si capisca del pieno. Gli che cosi la questione mal posta. Platone nel determinare le forme originarie non pensa alla materia, ma allo spazio. Egli introduce il Trpcu; nell'firreipov, e questo, com' detto nel Filebo, il numero e la misura: le forme geometriche sono appunto numero e misura. Le sue superfici pertanto non sono superfici
semplici delimitazioni matematiche (cfr. non sono contenenti, ma misure, e i solidi geometrici che esse circoscrivono non sono solidi materiali, ma corrispondono a quei numeri che
materiate,
ma
Zeller,
1.
e, p. 736),
Capitolo
XX.
in parti
269
la
propriet
tutta
di
la
dividere
poi
uguali
in
e uni-
formi
iscritta.
superfice della
si
sfera
cui
La seconda
ha pure dagli
stessi
ma
solido che
sei di
fare un angolo ha quattro angoli piani; ed ottenutine questi, anche il secondo corpo cos comequilateri in
modo da
piuto (1). La terza specie poi consta di cento venti elementi uniti insieme, e di dodici angoli solidi chiusi ciascuno da cinque triangoli equilateri piani,
in
forma
abbiamo veduto essere come mediatori tra le idee e Se le cose sono immagini delle idee e se le idee sono forme, il tcrtium comparationis^ non pu trovarsi nella materia, ma deve di necessit consistere nella forma. E dell' introduzione della forma nel substrato qui si occupa Platone, e dalla materia prescinde. l'acqua, la terra ideali e che sempre Il fuoco, l'aria, sono, di cui ha parlato a p. 51 B-C, possono essere
le cose.
imitate nel mondo del divenire per mezzo di quei rapporti matematici che abbiamo veduto questo ci che Platone vuol dire, e in questo senso ci che egli dice ha senso. Cfr. nota a p. 56 (pp. 274-275). Egli pertanto non intento propriamente a cercare i primi elementi della materia, gli atomi, gli indivisibili, ma i primi elementi delle forme. E il primo elemento delle forme il triangolo rettangolo, n altra forma pi semplice di questo triangolo si d; e perci quando ha ridotto le figure a questo elemento gli basta, perch questo, quanto a forma, effettivamente il primo, o in altre parole la pi semplice applicazione del upaq: n si cura di cercare il pi piccolo, perch di necessit il pi piccolo procede
:
in
infinito e
ci
Non
goli
siste
per noi non pu essere che un dhreipov. deve perci far meraviglia se di questi trianelementari ne ammette poi di pi grandine di pi
diversa consistenza e qualit; il upaq connell'essenza di questa figura, non nei suoi acci-
piccoli, di
denti.
(x)
l'ottaedro,
il
triangolari e
sei angoli.
la
forma
270
//
Timeo.
esaurito
con
tutta
questa generazione.
Ma
il
collegati in-
costituiti
ciascuno
che se ne compone basi (o faccie) piane quadrate (3). Ma essendovi ancora una quinta combinazione, Iddio se ne serv per decorare il disegno dell'universo (4).
(1) l'icosaedro, la forma dell'acqua; ha venti faccie, ciascuna, come si veduto di sopra, composta di sei triangoli rettangoli scaleni elementari consta dunque di centoventi elementi. Per la stessa ragione l' ottaedro consta di quarantotto, e il tetraedro di ventiquattro. (2) Siano i quattro triangoli rettangoli isosceli acb, bec, ced, dea uniti in modo che l'angolo retto di ciascuno sia nel centro; se ne ha il quadrato abcd. La stessa dimostrazione si fa anche in senso inverso, cio che ogni quadrato per mezzo delle diagonali pu essere diviso in quattro triangoli rettangoli isosceli; e in vista di
:
questa dimostrazione Platone afil quadrato composto di quattro triangoli isosceli, mentre effettivamente a comporlo bastano due. Osserva infatti molto a proposito I'Archer-Hind che, se avesse fatto comporre il quadrato di due isosceli, e di due scaleni pure il triangolo equilatero, nel caso di dissoluzione nel si sarebbe incerti dove segnare la linea di frattura nostro quadrato per esempio se dovesse segnarsi lungo ac o lungo bd. (3) Il cubo la forma elementare della terra. (4) Qui accenna al dodecaedro, il quinto solido regolare esistente in natura. NelPEpinomide si dice che esso e la forma dell'etere ma questa non pu essere affatto
ferma essere
Capitolo
XXI.
271
XXI.
Queste cose tutte ponderando con precisione, ove uno poi fosse incerto se si deva dire che mondi siano infiniti o finiti di numero, quella i che siano infiniti la potrebbe ritenere veramente l'opinione di tale che non ha finito (1) di impama quanto a dire rare ci che conviene sapere che ne siano stati veramente generati uno o cinque (2), chi si fermasse su questo punto, po;
(3).
Il
parer
p. 58D l'etere detto essere che la parte pi pura dell'aria. Questa dell'etere pare fosse invece la dottrina di Filolao, da cui Platone attinse le altre quattro forme di solidi, allontanandosene qui forse perch^ il dodecaedro non si adattava alla novit da esso introdotta in questa teoria, di ridurre tutte le forme al triangolo rettangolo. Erra infatti Plutarco (Ouaest. Plat. 5, 1) ritenendo che le sue faccie constino ciascuna di cinque
la dottrina
del
Timeo, dove a
esplicitamente non
triangoli
equilateri.
Evidentemente
il
dodecaedro non
rappresenta secondo Platone alcun elemento, ma serve solo di decorazione, e corrisponde, come del resto pur vide anche Plutarco (1. e), ai dodici segni dello zodiaco.
Ttdpou tivcx; (1) t uv ntipovc, n/fridair' fiv ovtux; dvai Yua itiv guTtapov \pewv elvai- Ho cercato di tradurre il giuoco di parole sul doppio significato di cittc-ipo;, che vale infinito e inesperto; ma impresa che riesce sempre male. Lo stesso giuoco nel Filebo, p. 17 E. Che i mondi fossero infiniti J era opinione di Democrito. (2) Forse perch in natura vi sono cinque poliedri
regolari.
arac, ekTuuq tctTropncrcu. (3) uaXXov v TauTU zione pi comune ojc, di molto preferibile a
La
irete;
le-
di
Infatti
ircq
272
11
Timeo.
nostro pertanto dice che secondo ogni ragione plausibile ne fu prodotto uno solo (1); ma altri, badando ad altre considerazioni, opiner forse altrimenti.
Ma
il
buiamo
aria.
questo lasciamolo andare, e intanto distrile specie, che abbiamo ottenuto secondo
alla terra
diamo
la
meno mobile
e di tutti
sia
corpi la pi plasmabile.
le
tale
bisogna che
i
quello che ha
goli
trian-
che abbiamo assunti da principio men vacillante per sua natura la base di quelli che hanno (due) lati uguali che non sia quella di
quelli
che
li
hanno
disuguali, e delle
superflci
rispetto
alle
parti
e rispetto
un riempitivo inutile, o, se si intende rigorosamente, in contraddizione con tutto il resto, poich subito dopo Timeo si mostra convinto che il mondo sia uno solo: egli ammette dunque che se ne possa dubitare, non gi che ne dubitino tutti. Ma il Martin, che tiene otc, non interpreta rettamente con " on pourrait ...
rester dans l'incertitude.
(1)
t uv ouv
-rreflpUKTa
bf]
irap' f\ix(hv
Xyov
unvei. Il cod. dopo pnvei aggiunge Geq, lezione che fu accettata da qualche editore, come dallo Schneider. Ci rende pi normale la costruzione del verbo unvui, ma dopo una tale asserzione non si
capirebbe bene come si potesse pi soggiungere che per altri potrebbe pensare altrimenti. Perci credo che Geo; sia stato aggiunto da chi riteneva necessario un soggetto, non parendogli tale t trap .uujv. (2) TeTpdYiwvov TpiYiijvou ... araaiutuTpiu*; ... (3pnKe. Qui per tetragono si intende il quadrato. Come nella filosofia, il tetragono fu simbolo di solidit e costanza anche nella poesia. Sim. fr. 3 (II.) v. 2: xcpoiv re kc
1
Capitolo
XXI.
273
il
all'
intero, di
necessit
che, attribuendo questo alla terra, conserviamo la probabilit del discorso; all'acqua poi (da- 56
remo)
la
forma che
delle rimanenti
pi
al
diffi-
fuoco,
e quella di
mezzo
il
all'aria;
e cos
il
corpo
al
il
pi
piccolo
di
al
fuoco,
mezzo
all'aria; e
pi acuto ancora
fuoco,
terzo
e quello
all'acqua.
il
che
gli
vien
dopo? all'
aria,
Di
il
tutti
minor numero
il
sua natura
le parti
( necessario sia)
pi piccolo
numero
elementi
cos
quello che viene secondo (bisogna che) abbia le stesse caratteristiche in un grado inferiore, e il terzo in un terzo. Dunque, conforme al discorso retto e insieme conforme al probabile, quel corpo solido che ha assunto la figura della piramide (2)
sia
l'elemento
e
il
seme
del
fuoco, e
il
se-
condo
in ordine di
il
dell'aria,
ttooI kc vlu TexpdYujvov, onde Dante, Par. XVII, 24 (attraverso ad Aristot. Eth. Nic. I, io, 11):
"
Ben tetragono
a'
colpi di ventura.
(1) t uv l\ov ArfitfTCtc; &oe\c,. Lo Stallbaum dall'errata lezione Xyck; rc, preferisce trarre \rfoaT<;. Per il senso si pu dire sia indifferente; certo ad ogni modo il significato che qui si richiede, ed pochissime e non gi piccolissime. Ora poich due righe pi sotto troviamo XiyicrTwv nell'identico senso, non probabile che qui si sia usata una parola inutilmente diversa. (2) Come si visto, il tetraedro. (3) Cfr. p. 55 A-B e note (pp. 268-69).
274
II
Timeo.
C ciascuna di ciascuna specie da se sola per la piccolezza non sia affatto visibile per noi, e solamente quando ve ne siano molte raccolte insieme se ne veda il complesso. E quanto alle proporzioni circa le quantit e movimenti e le
i
potenze tutte, (bisogna pensare) che Dio, in quanto la natura della necessit spontanea e persuasa gli cedette, in tanto, dopo averle in ogni parte esattamente compiute, le abbia coordinate
altre
razionalmente.
XXII.
Ora da
tutto
ci che
abbiamo premesso
in-
forse essere
secondo
la
come
battendosi nel fuoco e disciolta dall'acutezza di esso andrebbe dispersa, o che si disgreghi nel
fuoco stesso o
fino
nella,
massa
dell'aria o dell'acqua,
le
a che,
parti
Perocch certo non specie. L'acqua invece disgregata dal fuoco, o anche dall'aria, ammissibile che diventi, ricomponendosi (i),
si rifaccia ancora potrebbe mai passare
altra
(i) yxuupe
yiTveaBai
EucTtvra
senso e pi regolare il costrutto, sebbene l'esia assolutamente necessario, potendo plurale riferirsi ai tre corpi che vengono formati il dalle particelle disgregate dell'acqua. Ricordisi che all'acqua e assegnato l'icosaedro, e che ogni icosaedro
mendamento non
Captolo
XXII.
275
al
si
un corpo
di
frazionarsi dell'aria,
dissolva potrebbero nascere due corpi di fuoco. Viceversa quando del fuoco rinchiuso da aria o
in
copia ed
e vinto esso poco, trascinato dal loro due corpi di fuoco si nella lotta, sia infranto,
movimento
in
di
sia
due interi e mezzo di essa combiner un intero di acqua. Infatti, consideriamo queste cose anche a quest'altro modo: quando una specie delle altre chiusa nel fuoco 57 sia tagliata da esso con l'acutezza degli angoli e
si
dei
lati,
cessa
dall' esser
specie che sia uguale, anzi la stessa di s stessa, non capace n di introdurre alcun cambiamento n di patirlo da cosa che sia uguale ad essa e
allo stesso
modo
di essa (1):
il
disciogliersi in-
contiene due ottaedri (che rappresentano l'aria) e un tetraedro (che rappresenta il fuoco). Cos subito dopo detto che di ogni parte d'aria possono prodursi due di fuoco, appunto perch ogni ottaedro contiene due tetraedri. Quando si dice per altro che un ottaedro contiene due tetraedri e cos via, non si ha da intendere affatto che i due tetraedri, o rispettivamente i due
ottaedri, si ottengano sezionando meccanicamente la fivuol gura in questione, il che non sarebbe vero; dire semplicemente che con le otto faccie dell'ottaedro possono costituirsi due tetraedri, e cos via; il che conforta l'interpretazione che abbiamo dato della costitu-
ma
zione di questi solidi nella nota a p. 55 A (pp. 268-69) se le superfici ivi descritte non sono altro che limiti, esse potranno sempre disporsi in tutte quelle combinazioni nelle quali possano essere tutte esaurite.
:
(1) Dimostrato che fuoco, aria e acqua possono passare l'ima specie nell'altra componendosi e disgregan-
276
fatti
//
Timeo.
dura solo
fin
nell'altra specie,
non
pi). Simil-
B dentro
poche chiuse intorno da spengano, come vogliono ricongiungersi nella specie di chi le ha soverchiate, cessano dallo spegnersi, e di fuoco si fa aria, e d'aria acqua. Che se invece si muovano ad assalirla (2), e qualcuna delle altre specie concordelle maggiori,
si
molte, infrante
ne viene di conseguenza che, quando la disgregazione compiuta, cessi tra esse la lotta. L'aria, come siasi disciolta in fuoco, non combatte pi col fuoco, perch nessuno pu combattere s stesso: essa si assimila all'elemento vincitore. Ci contro la teoria di Democrito, per la quale veggasi Aristotele, De gai. et
dosi,
corr.
(1)
I,
7, 2.
sia
ma
tiva tautologia. Platone r) spiega come a) le forme pi grandi siano disciolte dalle pi piccole, 3) le pi piccole siano disciolte dalle pi grandi; 2) dichiara che a) una piccola massa delle forme pi grandi chiusa tra una grande massa delle pi piccole, P) una piccola massa delle pi piccole chiusa tra una grande massa delle pi grandi, pu riacquistare una forma determinata diventando simile all'elemento vittorioso (Archer-Hind). ' e<; aura tu. ned tuv XXuiv ti uviv y^vcx; (2) v u-xn.Tai. Le interpretazioni che si davano di questo luogo sono aggrovigliate e confuse, mentre esso chiarissimo: v b correlativo del precedente* IvvicnaoQai
ILiv, e continua il ragionamento di prima. Cos press'a poco intende anche I'Archer-Hind. Se dunque le specie pi piccole e pi poche si acconciano a cedere al pi forte, prendono la sua natura, ed finita la lotta e la trasformazione; se invece fanno resistenza..., e come potreb-
bero far resistenza? Quando trovassero alleati di fuori. Ebbene, allora la lotta continua, fino a che il vinto sia
del tutto assomigliato al vincitore, o se ne parta. La lezione d; ot tt] fu attinta dal Bekker al cod. A, ed universalmente accettata: la vulgata tciOtcc f\ potrebbe
Capitolo
XXII.
277
rendo insieme combatta, non cessano dall' esser sciolte, fino a che o del tutto respinte e disgregate
si
una cosa sola uguale al ad abitare con esso. Ed effettivamente appunto secondo questi accidenti ciascuna di queste specie muta luogo (1). Perocch di ciascuna specie la massa principale si va a porre a luogo suo proprio in virt del movimento della recettrice, e ci che di volta in volta si disuguaglia da s stesso e si uguaglia ad altri vien trasportato dallo scotimento verso il luogo
vinte e diventate di molte
vincitore, restino
di quello a cui siasi uguagliato.
(tutti)
Quanti sono pertanto i corpi semplici e primi, per mezzo di queste cause si produssero: del comprendersi poi nelle specie loro altre sottospecie da ascriverne la causa alla costituzione di ciascuno dei due elementi (2), in quanto per
pensare anche a eie at 1r\ ] kg twv aXAuuv k. t. X., che risolverebbe l'ipotesi in due alternative, forse pi razionalmente, perch specifica meglio i casi possibili.
far
(1) Dopo aver detto come le quattro specie si trasformino passa a dire del loro luogo. E qui si torna a parlare di quel movimento della recettrice di cui si era detto a pp. 52 E-53, e anche qui si ripete che ciascuna speci tende a riunirsi in s stessa (cfr. p. 63 B) separandosi dalle altre. dunque il movimento dell' vdyKn quello che qui si rappresenta, prima che Dio introducesse nel mondo l'ordine, conseguente per altro a quella prima Y^veOK;, dalla quale la x^pa fu fecondata. V. Prolegomeni, cap. Ili, 6. (2) Questi due elementi sono lo scaleno e l'isoscele.
Notisi qui
come si ammetta variet non solo di figura anche di grandezza nei corpi elementari, il che pure costituisce una nuova difficolt. vero che qui si parla non propriamente dei triangoli elementari, ma di quelli che sono costituiti dagli elementari, ma non si vede come da quantit egualmente minime potrebbero
ma
Fraccakoli,
II
Timeo di Platone.
24
278
//
Timeo.
si
produsse da prin-
cipio
il
triangolo di
grandi e pi piccoli,
sono essere le sottospecie nelle specie. Per tal modo mescolate queste cose con se stesse e tra di della quale loro se ne hanno infinite per variet; conviene si facciano osservatori quanti vogliono intorno alla natura adoperare un ragionamento
plausibile.
XXIII.
Ma
qual
ci
si
sul
movimento per
modo
generino, se non
metta d'accordo prima, ci potrebbero essere molti impedimenti per il ragionamento che dee
venir poi. detto
;
In
parte pertanto su
di
ci
si
gi
da aggiungere che nella uniformit movimento non pu mai darsi che avvenga. Perocch una cosa che si abbia a muovere senza un motore, o un motore senza una cosa da muovere, difficile o piuttosto impossibile che si dia. Ora non c' movimento quando manoltre di quello
ma
aversi somme differenti. E allora si pu osservare che, se i triangoli costituenti sono e pi grandi e pi piccoli, grandi non sono elementari, perch si potranno i pi dividere ciascuno in due, e che il grande e il piccolo non pajono concetti che possano stare nella definizione degli elementi. Io mi conlesso incapace di risolvere in alcun modo plausibile questa iropia.
(1)
Aveva
detto a pag. 57
Capitolo
XXIII.
279
abbiamo esaminato la genesi (1): ma come mai non (succeda che) queste cose si separino secondo la loro specie ciascuna e cessino perci dal muoversi e dall'essere trasportate le une attraverso le altre (2), non l'abbiamo detto. Ora
pertanto
ci
rifaremo a parlarne.
Il
giro dell'uni-
verso, poich ebbe comprese in s le dette specie, essendo di forma circolare e tendendo per sua
natura a rientrare in s
cose
(3) e
(4).
vuoto
si
insinua
seconda per
(1)
Cio quando
si
teria e si
esaminarono
elementari e delle figure che se ne componevano. 'Kaora (2) m<; o Trote o kot ^vr\ oiaxtupio0vTa
TtTtauTcu
Tfjs i' XXnXuuv Kiviqaeuut; k. t. X. Lindau e Stallbaum intendono come mai le specie, ancorch separate, non cessino dal moto; Martin, Mueller e Jowett come mai, quando si separano ecc.; Archer-Hind come mai non si separino e (perci) non cessino di muoversi; e questo mi pare renda meglio tanto il senso
: : :
logico quanto
si
il grammaticale. Il pericolo appunto che separino xcn- fvr\ (cfr. Aristotele, De gen. et corr. II, io, 9), il resto ne la conseguenza. 185 (Karsten): (3) Cfr. Empedocle, fr. 38 (Diels) Ttrv r\b' aiSi'ip aqpiYYwv irep kkXov airavra. Iq. XeirceaSai. Che xwpa (4) kc Kevr)v xwpav oeyiav qui non deva esser preso in senso tecnico evidentissimo. Il Gomperz (II, p. 484), per impugnare che la xwpa sia lo spazio, nota che Platone esclude il vuoto dal suo sistema. Si pu rispondere 1) che i concetti di x^P a e di xevv non sono identici, poich la x^P a corrisponde alFfiimpov e il xevv si pu concepire, e qui infatti si concepisce, come limitato intorno dalla materia, 2) che
280
// Timeo.
a questo
modo. Perocch
ond' che
l'urtarsi della
piccole negli
interstizi
dosi pertanto le piccole presso le grandi, e le piccole separando le grandi, e le grandi comprimendo le piccole, tutte sono trasportate alla
rinfusa verso
tando
il loro proprio posto. Perocch, mugrandezza, ciascuna muta anche il luogo dove ha da stare. Cosi adunque e per tali ra-
la
moto continuo
di queste
Platone non ha mai dichiarato di ammettere l'esistenza attuale della xwpct di per s nel mondo fenomenico, 3) che egli non nega assolutamente neanche l'esistenza iniziale del vuoto, come vedremo anche nella nota seguente.
(1)
il vuoto, cio nega che il vuoto duri, formi, come abbiamo visto nella nota
Platone nega
si
a pag. 55 (p. 268). E ci che abbiamo osservato l qui riceve rincalzo (cfr. pure nota a p. 79 C). Infatti, essendo le quattro specie composte di solidi geometrici, quando le une entrano nelle altre, di necessit lasciano
non aderendo tra loro esattapeniamo, e gli icosaedri. Dei v.ioti pertanto si formano, ma dei vuoti precari; e appunto per la necessit di riempire questi vuoti ha luogo il movimento. Infatti Leucippo (Arist. P/iys. IV, 6, 3-4) aveva osservato che, se tutto pieno, allora un corpo che si muove entra in un altro corpo, quindi pi corpi occuperebbero lo stesso posto ecc. Ma Platone risponde, continuer col Martin (II, pagg. 256-57) " tout corpuscule qui se meut pousse devant lui un autre corpuscule qui en pousse un autre et ainsi de suite; tous ces corps pousss forment une chane circulaire, dont le premier et le dernier anneau se touchent, de sorte que chaque place se trouve remplie l'instant mme
degli
interstizi
vuoti,
mente
le piramidi,
Capitolo
XXIV.
281
XXIV.
sono danno, come la fiamma, e ci che emana (1) dalla fiamma e che non brucia ma d luce agli occhi, e ci che ne resta nei corpi
Dopo
le
infocati
dopo che
la
fiamma
spenta.
allo
stesso
modo
limpida
che si chiama col nome di etere, e la pi torbida, nebbia e tenebra, e altre specie senza nome, le quali tutte son generate dalla disuguaglianza dei triangoli. E quanto all'acqua la si distingue
in
due
fin
da principio,
(2).
la
specie liquida
e la
specie fondibile
La
elle deviendrait vide, et ainsi le vide n'existe jamais. Telle est la thorie platonique de l' impulsion circulaire, Trepitjuat<;, reproduite par Aristote sous le nom
vTmepiOTaan; et par les Sto'iciens sous celui de -rreNous verrons quel parti Platon en tire pour expliquer la respiration, les effets des ventouses, et les accords l'attraction lectrique et magntique musicaux. Ce principe de l' impulsion circulaire, celui de l'attraction des semblables, celui qui assigne quatre rgions distinctes la masse principale de chacune des quatres espces de corps lmentaires, enfln la loi des transformations des corpuscules, tels sont les grands
d'
piOTaaic;.
e il cod. Fior. X, lezione generalmente accettata: la vulgata tttv, bench data anche da A, non d senso soddisfacente.
tto
xi)c,
(pXo-fc;
ttiv.
Cos
Galeno
(2) Anche di qui si pare evidentemente che i quattro elementi non sono per Platone che quattro stati della materia, e che la materia si ascrive all'uno o all'altro di questi stati secondo che capace di ridursi ad esso. Per tal modo anche i metalli si riducono alla seconda
282
// Timeo.
d'acqua pi piccole e pur disuguali, mobile e di per s stessa e per opera d'altri a cagione della disformit e delle caratteristiche della sua figura. L'altra invece, che nasce E d'elementi grandi e conformi, pi stabile di questa e grave, compatta per effetto della uniformiti!, ma sotto l'azione del fuoco, che la penetra e la
costituita delle specie
fondersi
il
sua massa e fluire lo scorrere sopra la terra ebbero rispettivamente nome appropriato (1). E di nuovo quando esca indi il 59 fuoco, poich non esce nel vuoto, l'aria vicina sospinta da esso sospingendo alla sua volta la
demolirsi
della
massa liquida ancora mobile verso gli spazi lasciati da esso fuoco, la comprime in s stessa essa poi compressa riacquistando l'uniformit, in quanto se ne ito il fuoco che della disformit era l'autore, di nuovo restituita all'identit con s stessa. E il partirsi del fuoco fu nominato raffredda:
mento, e
il
solidificarsi.
specie dell'acqua, perch ad alta temperatura si possono fondere, mentre alla prima appartengono quei corpi che sono liquidi alla temperatura normale. Questi stati poi non sono in sostanza altro che qualit, come abbiamo visto di sopra.
(1) Il
si
domanda
se Pla-
tone ammetteva
che il fuoco potesse dilatare i triangoli elementari, e I'Archer-Hind a ragione risponde che no, e che egli vuol dire -soltanto che le particelle del fuoco, frapponendosi tra quelle dell'acqua, quelle pi piccole, queste pi grandi, distruggono la omogeneit della massa. Ad ogni modo questa pur sempre un'ipotesi intesa a spiegare la dilatabilit dei corpi per
effetto del calorico.
Capitolo
XXIV.
283
Or
acque
di tutte queste,
fondibili, quella
pi densa,
specie semplice, in cui si uniscono il color splendido e il biondo (1), ricchezza preziosissima, l'oro,
che
si
fa solido
dopo
filtrato
attraverso la pietra.
germoglio dell'oro (2), che per la densit sua durissimo e tinto in nero, fu chiamato adamante. E quello che si accosta alle parti dell'oro, ma ha pi d'una specie, e quanto a densit anche pi denso dell'oro, e si compone pure di una piccola
il
da essere pi C
(1) Notisi
che Platone
la tinta e
ductt; KXnGn. Questo XP" ff0 nodus, che si dice pure b\xa<;, non affatto il diamante, che si chiam con questo nome solo dopo Aristotele, e non fondibile n pu essere l'acciajo, perch non corrisponde alle caratteristiche qui indicate, e che sono ripetute anche nel Politico, p. 303 D, ove, dopo aver detto di quelli che purgano l'oro dalle scorie, si soggiunge che dopo restano ancora commiste all'oro delle sostanze preziose congenite ad esso e tali che non si possono levar via se non col fuoco, cio rame, argento e talvolta anche b\xac, uex b. raOra Aererai Suuueurfuva x EuYYevn. toO xpucoO Tiuia xai irupl uvov
o2o<;
= altri
qpaipsT, xaXKt; kc apyupoc, ?<m ' 8re kci uac; k. t. X. citato da Stallbaum e da Martin, lo ria ritenerlo^ tale ostetiene un misto d'oro e di rame rebbe il colore nero. Pare piuttosto una specie di ferrodurissimo; e il Lewis, citato dall' Archer-Hind, crede di
Lo Schneider,
poter identificarlo con l'ematite. dell'oro, e (3) Non vero che il rame sia pi denso Platone fu indotto in errore dal falso presupposto che la densit fosse in ragione diretta della durezza. Del resto, dopo detto che pi denso, si soggiunge che pi leggero, perch ha in s grandi intervalli, il che pare disdica la prima affermazione. Si ha, credo, da intendere che le particelle proprie del rame (non gi la massa) sono bens in s pi dense, ma che quelle di terra che contiene, non adattandosi bene con esse,
284
//
Timeo.
interstizi
duro,
ma
forma
il
rame.
La
come
da
sola, si dice
Cos sulle altre cose di cotal genere non punto intricato il discorrerne ancora, chi segua il tipo dei ragionamenti probabili, per
ruggine.
(quando uno per suo riposo ci che sempre, e, attendendo ai probabili su ci che diviene, gusti un piacere che non gli dovr poi rincrescere) dato all'uomo di procurarsi un passatempo moderato e serio per la vita (1). E per questa via anche noi quinc' innanzi lasciandoci andare (2), espor-
mezzo
dei
quali
lasci
discorsi
di
perch
di
scaleni),
quali
(1)
forma elementare differente (isosceli invece producono di necessit degli interstizi, sono cagione della maggiore leggerezza.
di
i
difettoso, non gi perch nel anacolutico, ma perch tautologico. Nella traduzione si dovuto mantenere la disposizione medesima del testo per conservare con essa l'apparenza del ragionamento, e ne nata perci una durezza che non abbastanza attenuata dalla parentesi che si introdotta. Cosi si perduta la spontaneit e la naturalezza, che ha la sua ragione, non gi in difetto di riflessione, ma nel precorrere del pensiero al di l della misura del procedere logico, come abbiamo notato avveLo nire in Pindaro, pi che in altri, moltissime volte. studio della fisica per Platone dunque un lodevole
Questo periodo
sia
testo
passatempo
(2) Il
cfr. pp. 68 E-69 A. senso richiede si legga qpvtet; con la maggior parte degli editori moderni, non ostante che A abbia
:
dtqpvTec;.
Capitolo
XXIV.
28
Acqua mescolata a fuoco, quanta sottile e liquida (e per il movimento e il corso che prende
devolvendosi sopra la terra si dice appunto liquida (1)) e molle insieme, perch le sue basi, come meno stabili di quelle della terra, sono cedequesta (acqua), allorch separata dal fuoco voli, e dall'aria sia rimasta sola, diviene pi uniforme, E
condensata,
quella a cui
ci
sommo
grado al di sopra della terra, grandine, e quella a cui sulla terra, ghiaccio,
e quella a cui (accada) in
accada in si chiama
grado minore
al
terra, si chiama neve, e se condensata sulla terra, e nasce dalla rugiada, si dice brina. Cos
le
numerose
di
commiste
tra
loro
attraverso
le
piante della
prese tutte quante insieme, sono quelli che 60 dicono succhi. E per le mistioni essendo ciascuno diverso dagli altri, i pi costituirono delle specie anonime, ma quattro, che tante sono quelle
terra,
si
KuXivouevov it ff\c, ypv XyeTat. Si parla dell'acqua vera e propria nel senso nostro, e si spiega la formazione della grandine e del ghiaccio (coagulazione intera), della neve e della brina (coagulazione a met). Nella prima parte di questo periodo gli emendamenti proposti dallo Stallbaum non sono n necessari, n utili, n degni di nota; e la frase i\v KuXivouevov m -jf\c, uypv Xyetai probabilmente conypv == tiene, come not gi il Lindau, un'etimologia
(1) fjv
qui
irp
ff\c,
pov.
(2) t uv Ttp YH<; udXurra ttccGv Tara xXaa, t riffov ... Cio t o fjxTov Tra0v, ed errano del quando le parti tutto il Martin e I'Acri, che intendono sono pi piccole '. Anche lo Stallbaum col suo quod autem minus est ' non pare abbia capito per il suo verso questo luogo, che pur cos facile.
'
'
286
// Timeo.
che contengono del fuoco, come erano pi in ricevettero dei nomi quella che atta a
;
vista,
scal-
il
vino
quella
ch' lubrica e atta a discettare la vista, e perci e lustra a vedere e ha l'apparenza di cosa nitida e
grassa, fu la specie oleosa, cio la pece,
ricino, e l'olio stesso, e
il
sugo del
quante
la
altre
cose vi sono
lo
comporta
(i),
natura dell'appa-
bocca
(i)
aov b taxuTiKv
t aTua
citano
Euvujv.
Tanto
v TaT<; Koivuivian; a confronto p. toc, uep tv OTiuaToc; a?a9r|CFiv (vedi la nota a suo " subluogo), ma mentre il secondo traduce Evooi per " la stances unies pour former un aliment , e in nota combinaison de plusieurs substances pour former un mets agrable la bouche, interpretazione ardita e poco attendibile; il primo col suo " usque ad naturales circa os coitiones ne d un'altra che si capisce anche meno del testo. Pi attendibile certo l'interpretazione
Martin
del Jowett e dell' Archer-Hind che intendono ciax' che espandono i pori tujv tt. t. or. uv. |Lixpi cpuaeuuc; (A.-H.), o le parti contratte (J.) della bocca fino al loro stato naturale'. Dubito per altro di nxpi cpaeujc, che mal corrisponde ad e<; qpuaiv mv di p. 64 D, che si cita a confronto, mancando qui il verbo a chiarire il senso, mentre corrisponde piuttosto ad altre frasi pla-
toniche in tutt' altro senso, e basti citare p. 67 E n^XPi TJv uun-wv, p. 45 D: iaiv uxpi Tffc w^X% e analogamente p. 67 B. Io penso pertanto che tpvoic, tjv Euvujv valga poco pi che ai Svoboi, come in moltissimi altri luoghi di questo dialogo la circonlocuzione con cpaic, analoga del resto a tante altre con eloq, iba, SuaTaffi^, TiQoc,, va,ui<;, ecc., che abbiamo notato nei Prolegomeni, cap. I, 6, pp. 33-3S cio posto, la frase ai Evoboi toO OTuaTC<;, meglio che non dei pori, la intenderei piuttosto del convergere del senso del gusto nella bocca, o del comprimere di essa per gustare:
:
comporta
das uni den
la
degustazione.
11
Mueller, traducendo
Mund
sich Vereinigendc
e interpretando
Capitolo
XXV.
il
287
duce
la
nome
di miele; e finalmente quella che discioglie col suo ardore le carni e fa schiuma, (specie) ben
distinta
da
(1).
tutti
gli altri
succhi, fu
nominata
fer-
mento
XXV.
Quanto poi
nel
alle
1'
colata attraverso
seguente. L'acqua che le commista, quando nella commistione si sminuzzi, si cambia nella forma dell'aria, e diventata aria corre su al
modo
luogo suo ma poich intorno non e' era alcun vuoto, sospinge dunque l'aria vicina, e questa, poich pesante, sospinta e diffusa intorno alla
;
tra parentesi " die verschiedene Geschmacksorgane, pare non andasse molto lontano dal nostro modo d'in-
tendere.
(1)
cppwec; i-
Lo Stallbaum
lo
crede
il
succo
del aiXqnov, il Martin lo traduce opiuni. Il Ritter (Platons Dial. hiialtsdarst. p. 122) lo rende per Fiebersaft e lo crede, come pure lo Zeller (o. c, p. 807, n. 3), un umore di pianta buono come medicina o come veleno: crede possibile anche intenderlo per Milchsaft. Egli si accosta pi al vero, perch innanzi tutto bisogna trovar cosa che abbia le caratteristiche qui attribuite alPui; da Platone: ir<; il sugo che cola dalle piante per effetto di un'incisione, in ispecie quello del fico, che serviva di caglio, e il caglio in generale; mi pare perci che la parola meno lontana dall'cm*; di questo luogo sia fermento. Pu essere dubbio se tuj xdeiv vada congiunto con qppiec; ftvoc, (Martin), o invece con iaXutikv (Jowett, Archer-Hind) preferisco questo secondo
:
senso.
288
//
Timeo.
massa
della terra, la
Compressa poi dall'aria la terra insieme all'acqua che non se ne pu pi disciogliere (2) diventa pietra, pi bella quella che formata di parti
uguali e uniformi diafana, pi brutta l'opposta.
Quella invece che dalla rapidit del fuoco sia stata spogliata di ogni umidit e si condensi in un corpo pi friabile (3) della prima, diventa ci che si comprende sotto il nome di ceramica. Si
d anche che, rimastavi dell'umidit, la terra, poich si fusa per il fuoco, quando si raffreddi, divenga pietra di color nero (4). Di quelle due
di (1) Cio quella che di recente divenuta aria, acqua che era. liaxi yn tvviararax (2) Euvuucreslaa b vn poc, XuTuuq TTTpa. Non tutti intendono allo stesso modo: i pi cons che l'acqua non la possa giungono Xotuk; oociti sciogliere' (Schneider, Mueller, Acri, Archer-Hind); " terra ab aere cum aqua ita compressa, ut solvi ab ea non possit (Stallbaum), congiungendo oc-ceri, oltre che con XOtuk;, anche con EuvujoOeaa. Il Martin (e cos assai meglio, congiunge lic-cm con Euvujil Jowett), oQeoa soltanto ed osserva che qui si distingue quella terra ond' evaporata totalmente ogni umidit, ed la ceramica, e quella che contiene ancora dell'acqua che non ha potuto evaporare, e sono le pietre preziose, di cui qui si parla. Bisognava dunque notare che in queste la terra indissolubilmente congiunta con l'acqua, per istabilire la differenza con la ceramica; mentre il dire che sono indissolubili per opera dell'acqua (e per quella del fuoco ?) non si vede che cosa abbia che fare. varianti, e (3) Timeo Locro, p. 99 C-D, qui ha delle nel genere friabile enumera lo zolfo, l'asfalto, il nitro,
'
l'allume e le pietre di simil genere. Y^yov t u.Xav XP^M a ^'X uuv Xi8o<;. L' %xov delle vecchie edizioni un mero sproposito 1' Hermann lo corregge sostituendo elc-cx; a Xi'0oc, ma non persuade, perch doq parola generica che non dice niente. Se c' errore nella tradizione dei codici, non pertanto nell'ex wv, ma nel t, che non potendosi congiungere che
i
sali,
(4)
Capitolo
XXV.
289
gliate di
poi (1) che a questo stesso modo vengono spouna grande quantit di acqua che loro
era commista e
che serve a nettare dalquella cosa che tanto bene si adatta nei condimenti per il senso della bocca, il corpo dei sali, che cos caro agli Dei, giusta il conto che ne tiene la legge (2). Ma quei
nitro,
l'olio e dalla terra, dall'altra
con per
\xi\av
X10o<;
sia la lava,
basalto,
una pietra
' (1) tu)
non
t. X.
ma
Questa serie di dativi fu dallo Schneider sostituita con una serie di duali, approvante I'Archer-Hind forse l'emendamento non necessario, ma poich il senso si fa per esso pi chiaro, lo seguo
aO
:
nella traduzione.
* edp|uo<JTOv v toTc; koivumoik; xa; Trepl tr\v toO (2) t otucitck; ato6n<Jiv, k. t. X. Il Martin traduce: " ce corps qu'il est si utile de mler avec les substances runies
pour
intende Kivuuvia
(v. la
nota
286)) come un piatto di cucina, un piatto composto, un pasticcio insomma; e questo mi pare vada al di l del possibile contenuto del vocabolo, che ad ogni modo qui sarebbe molto mal scelto. Anche gli altri interpreti vanno un po' a tentoni; ma se koivuivoi
a p. 60
(p.
vale cosa messa in comune, adoperata scambievolmente (non volgarmente, usualmente), le Koivuuvicti pertanto, che devono essere gustate dal senso della bocca, pare a me debbano essere non i cibi, ma [ci |che comune ai cibi, cio i condimenti: dire dunque che il sale sta bene nei condimenti equivale a dire che non c' condimento che sia buono senza sale, che il sale il primo dei condimenti. Dice poi che il sale caro agli Dei, perch era usato nei sacrifici. Le parole kcct Xyov vuou potrebbero intendersi anche in senso materiale 'giusta le parole della legge'; ma poich d'una legge speciale su di ci non ci consta, preferbile intendere in senso morale Xyoq come conto e vuoc; come co-
stume osservato.
Fraccaroli,
II
Timeo di Piatene.
25
290
//
Timeo.
composti delle due specie (terra ed acqua) che non sono solubili e dal fuoco s, sono compaginati a questo modo per la ragione che segue (1). Masse di terra (2) fuoco n aria non fonde; perocch, constando questi di parti per lor
dall'acqua
natura pi piccole degli interstizi della sua compagine e passando senza sforzo attraverso a tanta
larghezza, la lasciano
indisciolta, e
per non
la
fondono;
maggiori,
61
ma
si
gli
gliendola la fondono. Pertanto la terra non compatta l'acqua sola pu per tal modo scioglierla a
forza,
ma
se compatta, tranne
il
fuoco niente
poich penetrarvi non dato ad altri che al fuoco. E cos pure la condensazione dell'acqua, quando pi violenta (3) il fuoco solo,
altro la scioglie;
quando
la
pi
il
fuoco e
i
l'aria,
vuoti,
Fie'
elementari
(4).
l'
aria
la
sciolga
non
(1)
b...
tfaxi uv
o Xux,
rrupi
b, bi
t xoivbe
al
:
subito delle premesse la spiealle parole t b bri gazione diretta ripresa a p. 61 tOv Euuuktuiv. 11 Martin, che non bad a questo, leva
dissolvimento.
Seguono
la virgola
(2)
dopo -rrupl b per metterla dopo t roivbe. S'intende quando la terra sia nella condizione normale, cio non compressa a forza, perch in tal caso pu essere sciolta dal fuoco, come dir poco pi oltre, p. 61 B. (3) Nel caso dei metalli, che abbiamo veduto. (4) Vuol dire che l'aria scioglie il ghiaccio, la neve, ecc. fondendoli, e che il fuoco non solo fa ci, ma, fa evaporare anche l'acqua, cio la cambia in aria. E superfluo osservare che anche il ghiaccio effettivamente evapora.
Capitolo
XXV.
la
291
il
fonde
fuoco sol-
tanto (1). Quanto poi a: corpi misti di terra e di acqua, fino a che l'acqua ivi occupi gli interstizi
della terra
constipata
a forza
(2),
le
parti
tro-
non
tutta la
lasciano indisciolta;
interstizi
ma quelle
acque
,
del fuoco,
entrando negli
delle
come
fa
(3),
al
corpo
misto di fon-
fi)
Pict
XeTov, fJiaarov
pa HuaTdvTct ov Xuei Td\v kut t otoi6 KararriKei |uvov up. Il Lindau, cui
tennero dietro I'Ast e lo Stallbaum (non lo Schneider, n I'Hermann), aveva proposto di mutare uXfiv in irdXiv, a torto, come nota il Martin. " Le feu, dice egli, o. e. II, quant l'air condense, p. 267, " dilate l'air ordinaire le feu ne peut le dilater, et n'a d'autre manire d'agir sur lui que de le transformer en feu. E dice giustissimamente. Infatti poco sopra stata ammessa la. trasformazione delle tre specie acqua, aria e fuoco, senza eccezione; n si vede affatto perch qui questa eccezione la si dovrebbe introdurre: Xetv xar t axoiXeov vuol dire dividere l'uno dall'altro i triangoli elementari, cio trasformare un elemento in un altro. Il Martin si domanda se quest'aria condensata non sia quella delle nuvole, e se la folgore, secondo Platone, non sia la trasformazione in fuoco di quest'aria condensata. L'r)p piaciTOs poi l'aria allo stato normale. superfluo osservare che molte di queste osservazioni non reggono pi dinanzi alla nostra scienza. (2) Infatti se la terra non fosse compressa, l'acqua, come stato detto or ora, la scioglierebbe, e non si avrebbe pi il corpo composto. (3) x irupcx; etq t tjv tuv iKeva daivTa, Srcep ouup Y'iv, toOto -rcepYaueva k. t. X. L'ArcherHind corresse ottimamente questo testo espungendo TrOp pa, che tutti i codd. e gli editori hanno dopo toOto, e che guastava il senso e la grammatica, restando
;
non
solo irOp,
ma anche
TrepraZ-
uwp
292
II
Timeo.
di questi corpi se
di
ne
di
acqua che
sono tutta la specie dei vetri e tutte le C pietre che si chiamano fondibili e altri viceversa che hanno pi di acqua, e sono tutti i corpi somiglianti alla cera e quelli buoni per profumare.
XXVI.
le variet dei tipi che nascono dalle forme (i), dai congiungimenti e dagli (diverse) scambi reciproci sono sufficentemente dimostrate ora conviene tentar di chiarire le impressioni che di loro si hanno, per quali cause si producano. Innanzi tutto, a qualsiasi cosa di cui si parli ha fin
qui
(2).
Ma
x uv bf\ axniaaai Koivuuviais xe kc ueTcXXaYaic; fiXXnXa TreTroiKi\|uva etri axebv meiKTai. Lo Stallbaum invece di a\r\\x.o.a\ ha ax^ara, della qual variante, insinuatasi in parecchie edizioni posteriori, non d alcuna giustificazione, e non si vede come possa stare
(1) kci
eie;
in concorrenza con l'efori che segue. L'Archer-Hind richiama il testo tradizionale, che del tutto sano, crtaGntfiv e xolq \efop.(2) -rrpuJTOv |uv ouv Trdpxeiv voiq ei. Per il senso di xotq Xey. dei cfr. Prolegomeni, cap. Ili, 5 (p.103 n. 2): errano il Jowett e I'Archer-Hind, che lo intendono per le cose di cui si discorso t e\ Xe^uevci frase ben scelta in contrapposizione con x e vtcx. Vuol dire che tutte le cose devono considerarsi in rapporto alle sensazioni nostre. Ricordiamoci che qui siamo sempre nei ragionamenti probabili, e non assoluti: la materia l'oggetto del senso, dunque bisogna considerarla non astrattamente
:
da
s,
nostro
come si modo di
subito dopo.
Capitolo
XXVI.
293
della
generazione della
sensibili,
cose separatamente dalle impressioni ne di quelle senza di queste possibile discorrere convenientemente e trattarne insieme forse impossibile. Bisogna dunque proporci prima le une, e sulle altre, proposte dopo, ci
di queste
;
(2).
Affinch pertanto
subito
discorso
dopo che
producono), cominciamo innanzi tutto da quelle che si riferiscono al corpo e all'anima insieme (3). E prima vediamo dunque in qual senso si dica che il fuoco caldo, esaminando la quespecie
(che
stione nel modo che segue, cio riflettendo alla separazione e divisione che per esso avviene nel corpo nostro. Infatti che questa impressione sia
qualcosa d'acuto,
si
pu
(1) Cfr.
(2)
'
uffxepa rroxe-
Qvxa irviuev
Hind omettono il a mio credere, con danno del senso: il Jowett, per esempio, traduce dobbiamo assumere prima l'una o
'
:
e poi esaminare la natura della nostra ipotesi '. Ma edxepct accenna a due cose, e della seconda che ne facciamo? Se una parola superflua, piuttosto ttoi'altra,
xeOvxa. ovtcc, (3) otuj rrpxepa fiutv x irep aGua ko hiux^v cio x TraBnuaxa, come giustamente osserva il Martin dopo si parla, non in gene(II, p. 269), perch subito rale di ci che concerne il corpo e l'anima, ma delle impressioni che concernono insieme il corpo e l'anima, cio delle impressioni sensibili, del Tenua che in-
sieme
afa0nai<;. Il
Jowett traduce
'
'
:
presupponiamo
l'e-
il
che evidentemente
2Q4
//
Timeo.
in
conto
la
sottigliezza
angoli e la pic-
per
le
acutamente
taglia
sempre
ci
in
cui
62 s'imbatta, ricordandoci la
genesi
ma, come
altra,
appunto
questa
i
natura,
non
in
quella
che, dividendo
corpi nostri e
pressione, che
a proposito
il
ora
diciamo
calore, e insieme
(1).
nome
corrispondente
La im-
senza renderne ragione. che compongono l'umidit che intorno al corpo ; entrando in esso e cacciandone le pi piccole, come non possono quelle B penetrare nelle sedi di queste, comprimono insieme l'umore che in noi e, di disforme ed
ogni
la si lasci
modo non
agitato che era, per la uniformit e la compressione lo riducono immobile e rappreso; esso poi constretto contro natura combatte secondo natura,
(1) toOto 8 vOv Bepuv XYO|uev. Come 0ep|uv sia nome corrispondente al irOnua che produce, noi non vediamo Platone allude certo ad una etimologia erronea della parola, che secondo lo Stallbaum sarebbe 6uu, e secondo il Martin e I'Archer-Hind consisterebbe nell'affinit di suono con j<ep|iaTw, onde un immaginario
:
Kepuv.
t bk irap qpaiv Huvayuevov uxeTai Kax cpcriv tovovtiov fraiGov. Il Martin rende et<; erroneamente le ultime parole " et fait effort pour reagir contre son adversaire. L'avversario, appunto per ci che detto prima, dentro allo stesso combattente, e perci dice bene Timeo dicendo che combatte s stesso. Notisi poi che t b non ci che con(2)
auro am
Capitolo
XXVI.
295
posto nome tremito e brivido, e tutta insieme questa impressione e ci che la produce si chiam freddo. Duro poi (si chiam) ogni corpo a cui la nostra
carne ceda, e molle quello che cede alla carne, e cos reciprocamente tra di loro (1). Cedono poi quelli che stanno su basi piccole e perci quello
;
ove giunga
Il
alla
tare resistentissima.
spiegare
pesante poi e il leggero (2) si potrebbero chiarissimamente esaminandoli in rapporto a ci che si chiama basso e alto. Che, per
vero, che vi siano in natura quasi due luoghi opposti, i quali si dividano tra di loro in due parti
l'universo, l'uno in basso, a cui
tendano
tutte le
cose che abbiano qualche volume in alto, a cui tutto ci che va vada suo malgrado,
di corpo, e l'altro
questo non pu essere in alcun modo giusto di ritenere. Perocch, essendo il mondo intero di forma sferica, le cose che distando egualmente dal mezzo sono poste all'estremit, bisogna per
necessit di natura che siano all'estremit tutte allo stesso modo; ed il mezzo, distando della
stessa misura dagli estremi,
si
ha da considerarlo
le
come
in
opposizione a tutte
cose.
Or questa
generale, come intendono gli l'umore (t voxepv) che in noi e di cui perci prima di t b non va punto fermo, si parlato come ha I'Archer-Hind, ma punto in alto.
ma
:
(1)
Cio
quello
dei
all'altro
si
e viceversa. (2) La teoria dell'attrazione e della gravitazione esposta qui cos chiaramente (ancorch Aristotele non l'abbia ben capita) che superfluo qualsiasi commento.
chiama
296
//
Timeo.
essendo la natura del mondo, quale mai sar delle cose dette quella che uno potrebbe pensare come alta o come bassa, senza parere di appiopparle conviene menomail nome che in verit non le che di esso mondo mente ? Infatti il luogo nel centro, non giusto si dica abbia natura n di basso n di alto, ma questa precisamente, che
in
mezzo
(1);
un'altra
col
in
ad essa
opposizione
E quando
una
(1) Timeo Locro, p. 100 D-E, contraddice pi nella forma che nella sostanza, quando dice che basso (ktu)) e mezzo (uaov) sono la stessa cosa, e che il centro della sfera il basso, e ci che sopra di questo fino alla
periferia l'alto (fivm) ; soltanto meno esatto di Platone. Corrisponde invece a ci che qui dice Platone un frammento delle Bacchai di Filolao conservatoci da Stobeo (Diels, Fragm. der Vorsokr. p. 256): cm t fivw toO uaou mevavrujuc; Keiueva Tot; ktuj. xoTq yp xctTUJTTUJ t uaa ariv aicnrep r vwTVrui xal x fiXXa t uaov xar tot ariv Kxepa, ibaaxujq. irp<;
fp
aa
un.
uexevnveKTai.
v iqpopov axoO (2) -rrpiS ouxe fi uaoc; out' ?x^ upoq ?Tepov Garpou uXXov up<; t uaov fj ti tjv koTavTiKp. Essendo il mondo sferico, si detto, non ci pu essere una parte di esso alta e una bassa; il centro innanzi tutto non n alto n basso, poich tutto converge ad esso, ed esso si pu dire sia rimpetto ad ogni cosa, cio nello stesso rapporto con tutte le cose
in giro.
si
Cos reciprocamente ci che alla periferia non alto n basso, poich cia-
della periferia ugualmente distante dal centro; quindi il zenit come il nadir. Ma dubito forte che tutti gli interpreti si ingannino nel senso grammaticale dell'ultima parte di questo costrutto. Essi prendono n per una particella comparativa e la fanno dipendere da utXXov, intendendo che la periferia (user le parole del Martin) " n'a d'aucun cot aucune partie qui soit spcialement dans la direction du milieu plutt
scun punto
Capitolo
XXVI.
297
cosa di sua natura per ogni dove uniforme, come si potrebbero imporle dei nomi contrari e credere di parlar bene? Perocch, se vi fosse nel
centro dell'universo un corpo solido equilibrato, 63 esso non potrebbe portarsi mai verso alcuna
delle estremit,
le parti
intorno
volte
Ma se uno anche camminasse ad esso in cerchio, fermandosi spesse antipodicamente (1), dovrebbe chiamare
uniformi.
qu'une partie situe du cot oppose. Lasciando di dire che irpq t uaov non significa nella direzione del centro, ma si ha da legare iqpopov irp<; t uaov ufiXXov Gaxpou, cio ciascuna parte della periferia biaqppei irpcx; t uaov, sta in rapporto col centro allo stesso modo, e non una parte a un modo e un'altra a un altro, noto che t kotovtikpi) poche linee prima non che una parafrasi per indicare ancora il centro, quasi una epesegesi che ne indichi le propriet; mentre qui secondo gli interpreti dovrebbe invece indicare una parte della periferia: noto inoltre che utXXov ha il suo complemento di comparazione in GctTpou, e che perci male si potrebbe dargliene un altro identico in quali parole sarebbero del tutto suti ti k. t. X., le perflue e ingombranti (e il cancellarle potrebbe essere forse un espediente migliore), tanto pi che varrebbero a restringere il concetto generale ed esatto di Gcnrpou in quello del solo punto opposto, che non si sa perch di preferenza dovesse essere preso in considerazione. Il modo di scrivere di Platone, e specialmente lo stile di questo dialogo, non esclude certo assolutamente anche l'interpretazione comune; dico soltanto che non la mi pare probabile.
punto (1) otck; dvTiuou?, fermandosi ora su un dato della sfera, ora su un altro agli antipodi col primo: ho fabbricato l'avverbio antipodicamente, che mi pare atto anche a significare il ripetersi dell'azione. Se no, bisogna fare un intero periodo e dire per esempio con I'Acri " avendo molte fiate le piante volte l contro ove le avea dinanzi.
298
che,
//
Timeo.
essendo il tutto, come gi ora si detto, di forma sferica, dire che un luogo di esso sta in basso e uno in alto non da uomo sensato. Ma donde siano venuti questi nomi e a quali cose
applicandoli
ci
anche tutto
il
mondo analogamente
questo modo, su questo bisogna intenderci movendo dai seguenti principi. Se alcuno in quel
a
luogo dell'universo che la natura del fuoco ebbe sopra tutti per suo proprio, dove anche ci dovrebbe essere raccolta la pi gran massa di esso, alla quale ogni altro fuoco tende, (se alcuno, dico), salito in quel luogo e avendo potere da ci, pigliasse via delle parti di detto fuoco e
postele sulle bilancie
e tirasse
le
pesasse,
il
come
alzasse
il
fuoco verso l'aria ad giogo esso disforme, chiaro che la porzione pi piccola cederebbe alla forza pi facilmente della C pi grande (1). Perocch, quando due cose sono
a forza
(1) La gravit qui spiegata con la tendenza che ogni simile ha verso il suo simile, anzi che con quella della forza centripeta. Cos avviene che il fuoco tenda al fuoco, come la terra alla terra. Noi abitiamo nella regione dell'acqua e della terra, e perci, se poniamo acqua o terra sulla bilancia, le vediamo gravare in gi, perch tendono a congiungersi con la loro massa: lo stesso succederebbe del fuoco, se potessimo fare una analoga esperienza nella sua regione. Se, dice, uno potesse
salire
sulla
d'una bilancia una differente porzione del fuoco stesso, e ne alzasse verso l'aria il giogo per pesare, a quel modo che, analogamente, facciamo noi, la porzione pi piccola cederebbe alla forza pi della pi grande, cio nell'aria allontanandosi il piatto di quella si alzerebbe dalla massa ignea, e quello della porzione grossa resisterebbe di pi a questa violenza. Si vedrebbe dunque lass un fenomeno d'attrazione analogo al nostro, ma non verso la terra, bens verso la sfera del fuoco, il
Capitolo
XXVI.
299
sospese insieme da una forza sola, necessario che la pi piccola di pi e la pi grande, resistendo, ceda di meno alla violenza, e che il molto si
dica grave e che scende in gi, e
e
il
poco
leg-
che va in su. Ora questa stessa vegero rit la coglieremo anche operando su questo luogo nostro. Infatti, stando noi sopra la terra, quando su diversa lance pesiamo (1) sostanze
terree, o
le
tiriamo
a forza
contro
natura verso
cos
l'aria
che ne
quella (2)
disforme, mentre
questa
le
come
tende ad afferrarsi a ci che allora la cosa pi piccola pi facilmente della pi grande cede a chi la violenta e va verso il
e il la chiamiamo pertanto leggera disforme: luogo verso cui la sforziamo lo diciamo in su, e l'accidente contrario grave ed in gi. Che queste cose adunque stiano in diverso rapporto tra loro avviene di necessit, per ci che la massa principale di ciascuna specie tenga un
,
somiglia: ebbene,
luogo diverso e contrario di quello delle altre. Infatti ci che in un dato luogo leggero in rapporto a ci che leggero in un luogo opposto,
che vale a dimostrare l'errore dei concetti volgari di alto e di basso. Veggasi anche ci che segue poco pi
oltre.
voi
uaTuevoi. Tutti traducono uaTduecon separare, il che non corrisponde n al senso che si richiede n all'uqpTepa che segue poco dopo. Se 'ia-rrim vuol dire pesare, iiarnui vorr dire pesare separatamente, di qua e di l, sui due piatti della bilancia. E cos il senso chiarissimo: si dimostra infatti avvenir sulla terra ci che si era supposto avve(1) yed)br\ yvr)
nire nella sfera del fuoco. (2) Cio tanto la terra che su quella che sull'altro.
un
piatto
quanto
300
//
Timeo.
e il grave in rapporto al grave, e al basso il basso, e all'alto l'alto, tutte queste cose si dovr ben riconoscere che e avvengono e stanno tra di loro in senso opposto ed obliquo e del tutto diffe(i). Questa pertanto una cosa che bisogna ben riconoscere intorno a tutto ci, che cio la tendenza che ha ciascuno verso il proprio simile fa (chiamar) grave il corpo che ne trasportato,
rente
luogo verso di cui questo cotale si trasporta, e ci che sta in rapporto contrario,
e basso
il
all'altro
modo. Ed intorno a
le
questi
accidenti
(2)
chiunque, a badarci solo, pu essere in grado di dirne ad altri la causa (questo) infatti lo produce 64 durezza congiunta a disformit, l'altro uniformit congiunta a densit.
;
i leg(1) Se fosse vero che i gravi vanno al basso, geri all'alto, secondo la concezione volgare di alto e basso, tutti i gravi andrebbero in una direzione, tutti i leggeri nella direzione opposta. La dottrina platonica dell'attrazione delle masse riconosce invece insieme e spiega come il moto dei gravi, e cos rispettivamente quello dei leggeri, prenda varie direzioni. Infatti la caduta di un corpo (ci che grave) segue il rispettivo raggio terrestre, e il fuoco (ci che leggero) sale al cielo da diversi luoghi della nostra sfera e perci in direzioni diverse rispettivamente l'una dall'altra, direzioni opposte, se i due luoghi sono agli antipodi, oblique negli altri casi. Questa opposizione e questa obliquit dimostrano quanto sono erronei i concetti volgari di e 112 C-E. basso e di alto. Cfr. anche Fedone, pp. 109
Nota giustamente il Martin che qui evidentemente intendere i corpi suscettibili d'essere levisi devono gati, poich la costituzione di un corpo non cambia perch lo si levighi o lo si lasci rozzo.
(2)
Capitolo
XXVII.
301
XXVII.
Ma
tutto
ci
resta
ancora
a vedere a proposito
affezioni
comuni a
corpo, cio
e
in
la
dolore
quelle
(affezioni)
cui
membra
esame
(1),
dunque per
tal
modo
in
le
ad ogni affezione sensibile o non sensibile (3), ricordandoci ci che abbiamo distinto prima sulla natura che facile e su quella che difficile a B muoversi perocch questa la via per la quale bisogna che diamo la caccia a qualsiasi cosa che ci proponiamo di pigliare. Infatti ci che per natura facile a muoversi quando una anche lieve
; ,
affezione lo colpisca, la
tramanda
in cerchio, le
(1) Delle affezioni in generale si parla in questo stesso capitolo, di quelle speciali a singole parti del corpo nel capitolo seguente.
(2)
Dopo aver
considerato le sensazioni
come impres-
sioni derivanti dalla natura dei corpi esterni, le considera ora in rapporto al soggetto, e perci al piacere e al dolore che producono in esso. E distingue innanzi tutto, tra le impressioni che producono sensazioni,
quelle che sono accompagnate da piacere o da dolore, da quelle che sono indifferenti. Questa teoria della percezione poco differisce da quella della scienza moderna. L'argomento del piacere e del dolore ripreso a p. 86 B quanto agli effetti loro sull'anima e sui morbi che vi producono. (3) Non ogni affezione (irGruua) anche sensazione
(a\oQy]G\c,y
Fbaccaroli,
Il
Timeo di Platone.
26
302
//
Timeo.
singole parti successivamente riproducendola (i), fino a che, giunte alla conscienza, annuncino ad
essa la potenza dell'agente.
soltanto
Il suo contrario invece, perch stabile e non procede per nessun cerchio,
riceve
l'impressione,
ma non muove
alcuna altra cosa vicina, cosi che, non trasmetC tendo altre parti ad altre la impressione prima, che in esse resta immobile (e non si propaga)
per tutto l'animale, chi passivo di essa non per questo la sente. E ci avviene per le ossa e per i capelli e per quante altre particelle abbiamo in noi composte principalmente di terra; mentre ci che s' detto prima vale per la vista
e per l'udito sopratutto, per ci che in essi sia potenza grandissima di fuoco e di aria. Ed ecco
intorno
al
piacere
al
dolore
come conviene
pensarla: un'impressione contro natura e violenta che ci colpisca tutta d'un tratto dolorosa, ed
ritorni
tutta
d'un
tratto alla
sentita, e le
opposte a
si
queste all'opposto
hanno
(1) iabiuuai kkXuj, japia crepa Tpotq tcitv nepYalueva. Non v'ha dubbio che upia k. t. X. deva intendersi con I'Archer-Hind come una specie d'apposizione, e non come oggetto di iaiuiai. Egli cita a confronto Sofocle Antig. 259 Xyoi ' v XXn.Aoi<; ppGouv
:
xfxwv cpAcoca, ed Erodoto, II, 133. Per iaibvriuv uopiuw uoil senso cfr. poche righe sotto pioi<; fiXXwv fiXXon; t trpuJTOv TidGoc;. (2) Riassume qui ed in parte modifica la tesi toccata nella Repubblica, IX, p. 583 C sgg., e discussa nel Filebo intorno al piacere e al dolore. Confronta innanzi tutto le impressioni subitanee e forti con le lente e leggere: la subitanea dolorosa nel venire, piacevole nell'andarsene la lenta non si sente ne quando viene n quando va l' ultima frase t ' vavriov totok;
koiko, cpXa
:
Capitolo
XXVII.
303
sono bens sensibili quanto mai, ma fare n col dolore n col piacere, come appunto sono le impressioni della vista (1),
con
facilit
corpo
sioni
quale di giorno, fu detto di sopra, diventa un affine a noi (2). Alla vista infatti le incie
le
arsioni,
quante
dolori,
altre
impressioni
riceve,
ceri
n viceversa pia-
ma
in
quanto
vctvTi'u*;
va intesa
in
tutti
PoXai Xuirac; xe ko j^bov^ TioioOaiv n.utv, ai ' a\5 nrptai xe Ka autKpai t uapnav orepa toutuuv. Il consenso maggiore del Timeo col Filebo che non con la Repubblica anch'esso argomento per ritenere la Repubblica anteriore al Filebo: cfr. Jackson in " Journal of Philol. voi. (1897), pp. 78-80.
XXV
(i) Qui si modifica ci che era stato detto nel Filebo, ed pure argomento che dimostra l'anteriorit di quel dialogo. Dice infatti che le impressioni della vista non hanno che fare col piacere e col dolore, mentre in Phil. p. 51 B mette insieme le sensazioni della vista con
quelle dell'olfatto e dell'udito, e le comprende nella categoria di quelle la cui mancanza inavvertita, mentre il loro soddisfacimento sensibile e piacevole e senza dolore: xq irXnp'OeK; aff9r|T<; al t'iei'ac;, KaGapq Xuttujv, irapabibuiaiv. Nel Filebo il piacere e il dolore sono considerati in generale e nel senso pi ampio, nel Timeo sono invece in relazione all'organo del senso in cos la vista di un bel quadro procui hanno radice cura un piacere bens, ma un piacere psichico e che non arietta piacevolmente l'organo della vista, come farebbe per esempio la sensazione del caldo al corpo preso dal freddo, o anche (per escludere il caso del bisogno e del desiderio) come affetta piacevolmente le papille del naso il profumo di un fiore. Questa distinzione tra il senso della vista (e dell'udito) ed i sensi inferiori pu essere presa come canone per la determinazione del bello estetico.
:
(2)
Cfr. p. 45
(p.
234 nota
2).
304
si
11
Timeo.
a raggiungere altre cose (1): infatti non punto violenza n nella discettazione (della vista) n nella contrazione. I corpi invece che constano di parti maggiori, cedendo a stento all'agente e trasmettendo a tutto l'intero i movic'
muova
quando
si resti-
subiscono
a poco e
le
poco
empiture tutte in una sola volta e copiose, della votatura essendo insensibili e dell'empitura sensibili, dolori non ne producono alla
le
ma
si
questo
Cosi
e
chiaro
buoni
odori
a
(2).
quelli
che
diversificano tutto
un
tratto,
restituiscono di
stessi,
poco a poco ed a stento si nuovo allo stesso modo con s producono ogni cosa al contrario di quei
a
e
primi
questo
chiaro
alla
Cfr.
itici,
(2)
Anche
che, perch l' impressione sia seguita da sensazione, bisogna che sia ricevuta da un organo capace di trasmetterla fino all'anima; perch poi sia o dolorosa o piacevole occorre inoltre i) che sia o contraria alla natura dell'organo che la riceve, o atta a restituirlo nel suo stato normale, 2 ) che le parti di detto organo offrano una resistenza maggiore o minore, 3 ) che, se la sensazione ha da esser viva, anche l' impressione venga istantanea e non a poco a poco.
Capitolo
XXVIII.
305
XXVIII.
comuni a tutto il corpo, nomi che vengon dati alle cose che le producono, crediamo aver detto abbastanza. Ora quelle che avvengono nelle singole parti di noi,
delle impressioni
e dei
sia
le
impressioni, sia
le
cause che
le
produ-
cono, bisogna provarci a dichiararle, se pur ne saremo capaci. Innanzi tutto bisogner mettere in C chiaro, quanto possibile, ci che di sopra
discorrendo dei succhi abbiamo tralasciato (1), cio le affezioni che sono proprie della lingua.
anche queste si vede che avvengono, come pure la maggior parte (delle altre); per mezzo di certe contrazioni e distrazioni, e che oltre di ci vi hanno luogo, pi che in alcuna delle altre, le asprezze e le levigatezze. Perocch tutte le parti terrose, che entrano ove son le venuzze, che come pruove della lingua si distendono fino
al
cuore
(2),
Cfr. p.
(2) L'ufficio
fa esercitare
il
da
pic-
dell'anima mortale. Egli ritiene abbia la sensazione del gusto, sia necessario che il corpo che entra in bocca si disciolga, il che avviene
per mezzo dell'umidit della saliva: un corpo affatto insolubile non ha sapore. [Plut.] De plac. phil. IV, 18 attribuisce ad Alcmeone l'asserto che l'umidit e il calore della saliva ammollisca e disciolga i succhi 'A\KUCUUUV Tll) Ypt KCl TW x^ ia P ? T $ ^ v T fl Y^wTTrj upq
: l )
Tfj
30
//
Timeo.
pi scabre pajono acerbe e le meno scabre aspre. quelle tra esse che sono astersive e puliscono
quando fanno
ci
misura e
vi si
la stessa carne,
come
E queste allora si chiamano amare quelle poi che sono da meno della forza del nitro, ed esercitano
la detersione moderatamente, ci pajono salse senza amarezza troppo forte e ci sono pi gradite. Cos quelle cui si comunica il calore della bocca (i) e vengono da esso levigate, come sono incese e alla loro volta incendono quello che le ha riscaldate, e dalla leggerezza sono portate in su verso
qualsiasi cosa in imbattano, tutte queste per queste loro 66 propriet si chiamano acri (2). D'altra parte quelle
i
cui
e che
toO aTuaToq GepjuxriTi Koivcuvriaavra- Lo quae vero cum oris calore calorem habent communem; e similmente PArcher-Hind: il Martin invece " celles qui, chauffes et amollies par la temperature de la bouche, e quest'ultima la interpretazione vera, come chiaro da tutto il contesto e specie da dvTiKdovta t iaGepuivav. (2) piua uvTa roiaTa Xx6n.- Il Martin traduce piquantes, e intende delle cose spiritose che bruciano il palato e irritano il cervello e gli organi dell'odorato e della vista. O forse s'ha ad intender, per esempio, della senape (Archer-Hind) o del rafano? questo s pare che salga al cervello. Il principio del periodo seguente pare per altro dar ragione al Martin, perch parla di queste sostanze che imputridiscono, cio diventano acide, il che conviene alle bevande spiritose.
(1)
ffj
Stallbaum rende
:
''
tjv aTiiv TrpoXeAeiTTUouviJuv uv tto aniTevcx;, t<; cnrevc; cpXftaq vuouvwv, Ka toI; vooiv at9i upeai yeibbeai xai aa poq Suauerpiav 'xovra, aiaxe Kiv^aavra irep fiXXnXa ttouv KUKaai, KUKiiiueva TrepiTinTeiv xe xal el? erepa vuueva crepa KoTXa Trepyde(3)
el<;
Capitolo
si
XXVIII.
307
strette, trovandosi con con le aeree, che sono ivi, in proporzione tale da agitarle le une attorno alle altre e farle mescolare, e mescolate incontrarsi ed insinuarsi le une nelle altre da produrre altre cavit avvolgenti intorno quelle che entrano, le quali, appunto per il distendersi intorno all'aria B della umidit concava, talora terrosa e talora anche pura, si fanno vasi liquidi di aria o acque
le
parti terrose e
oQa\ TTepixeivueva
koXtjc;
xoT<;
dcnoOcn,
X.
6t
61^
voxio;
xrep
pa
di-
rrepixaGeianc k. t.
Luogo grammaticalmente
sperato.
L'Hermann
lo
Hind, pur dubitando (e il Mueller lo segue nella sua versione) proponeva mutare 'xovxa in xvruiv per concordarlo coi genitivi precedenti. Il Martin ammette che iq x<; qoXe3aq e xot<; voOcn sieno retti da vuouvuuv ad ugual titolo, e allora con xovtcx andrebbe sottinteso un ax, e oa... xovx oxi sarebbe parallelo a to<; ... fe\bbeai. Lo Schneider ha x au t)v irpoX. ... vc-uouvwv xa xo<; voOaiv ... poq, Suuuexpiav xovra, e traduce: " Rursus quae attenuata ante per putredinem angustis venis sese induentia ad partes inibi terreas aeriasque convenienter se habent, la quale versione omette anche il xcxl davanti a xo<; voOaiv, molto a proposito per il senso ed il nesso grammaticale. E questa lezione seguo nel tradurre, anche per farmi in qualche modo capire, pur riconoscendo che la lezione dei codici possa forse esser la vera. Lo Schneider poi, ponendo virgola dopo -nep^ZeoQai, lega -irepixeivueva con x b au del principio, e con ci ha il vantaggio di attenuare moltissimo l'anacoluto: pi naturale per altro, anche per il senso, pare il riferire irepixeivueva a KoiXa. La lunga parentesi et n k. x. X. fa poi s che x au resti in sospeso, e si riassuma il concetto pi oltre con x xoxuuv aixiov. Anche la parentesi (intesa a spiegare, un po' tautologicamente, l'ultima frase) accresce la difficolt, perch essa pure aggrovigliata e confusa, specie per i suoi verbi tutti all'infinito, per attrazione di quelli del periodo principale. Tutto ci non si giustifica se non con la libert della sintassi parlata, nella quale l'inflessione della voce ed il gesto aggiungono ci che manca della grammatica.
308
//
Timeo.
cave e rotonde,
e
hanno
il
nome
chiamano
tutto
volta
cose che
entrano in bocca,
al
fuse
nella
di
sua
modo
essere
e di ci che contro natura o diffuso questo costringano e quello rilassino, e ogni cosa quanto pi possibile ogni cotal riristabiliscano conforme a natura, medio piacevole e a tutti gradito, che allora si
diventato
scabro,
s'era
contratto
si
chiama dolce.
XXIX.
su di ci basti questo.
narici,
Quanto poi
all'uf-
possono distinguere ficio delle specie. Infatti tutti gli odori sono come cose di natura dimezzata, e nessuna specie proporzionata in modo che debba avere un quache odore (i). Le nostre vene in questa parte sono
non
si
(i) etei
abbia
il
obevl k. t. X. Sebbene una riga prima eloc; significato generico, qui non dubbio che lo si
tec-
cio delle quattro specie elementari. Non inaudita questa tacita variazione del contenuto di un vocabolo, e ad ogni modo ogni cosa in ultima analisi si risolve in queste specie prime. Nessuno, dice infatti
Capitolo
XXIX.
309
nessuna
che
di
queste specie
nessuno mai
gli
si
ma sempre
immollano, o che infracidiscono, o che si squagliano, o che svaporano. Perocch, mutandosi l'acqua in aria e l'aria in acqua, gli odori si formano durante la trasformazione, e sono tutti o fumo o nebbia (1). E di questi quello che da aria passa in acqua nebbia, e quello che d'acqua in aria fumo: ond' che tutti quanti gli odori sono pi sottili dell'acqua e pi grossi dell'aria; il che evidente quando, essendovi un'ostruzione nelle vie
odori
si
hanno
respiratorie
(2),
uno
tiri
a forza a s
il
fiato
mai di queste specie alcun odore, ha quando l'acqua si muta in aria, eccetera. E perch? Le quattro specie, avea detto prima, fino a che restano nel loro stato normale non danno odore, appunto perch non sono in quella proporzione che sarebbe necessaria con gli organi dell' olfatto acci
oltre, sent
si
poco pi
ma
l'odore
questi potessero percepirlo (contrariamente alle specie visibili, che sono, come dice poco dopo, vyei Eo|u|ueTpci); infatti le vene dell'odorato, soggiunge ora, sono troppo strette per le specie della terra e dell'acqua, troppo larghe per quelle del fuoco e dell'aria. La spiegazione dunque essenzialmente relativa al soggetto senziente, non alla natura della cosa.
qui un'obiezione gravissima: nebbia e fumo ? Forme dell'aria e dell'acqua? Dunque composti odi ottaedri o d'icosaedri? Non vi sono in natura altri poliedri regolari oltre i cinque che abbiamo veduto. Se sono materia in istato di transizione, cio n ottaedri n icosaedri, non possono dunque essere che materia informe dunque la materia informe esisterebbe ancora nel tempo. Cfr. per altro p. 73 B, dove un'analoga indeterminatezza. (2) Vuol dire semplicemente che quando uno intasato non sente gli odori, ancorch l'aria sia da lui ti(1)
L'Archer-Hind
fa
iuixXn
kcutvc;,
3T.o
11
Timeo.
si
con esso, ed segue allo sforzo. Per questo dunque (i) le variet degli odori sono 67 anonime, non constando esse di molte specie n di
poich allora nessun odore
il
filtra
fiato
da
specie singole,
ma
in
due modi
cio
soli si
il
chiamano
gradevole e il disaggradevole, l'uno che violenta e rende scabra tutta la cavit quanta di mezzo tra il cocuzzolo
senz'altro semplicemente,
rata con forza e perci debba passare. Non vale la pena di confutare l' interpretazione macchinosa del
ch'egli deriva da Galeno: n I'Archer-Hind, che parla di respirare forte attraverso ad un fazzoletto, pare che abbia inteso meglio questo luogo.
Martin,
vgv,
i'ouv TauTa dvubvuua t toutuuv uoiKiXuaTa 'ifie ttoXXjv o' irXdn/ etOv ovra, XX bixf| t 0' t^ kc t Xuirnpv aTOt uvuu uxcpavfj Xyeaeov k. t. X. Cos le edizioni antiche, seguite dall' Hermann e dallo Schneider, come pure dal Jowett e dall' Archer-Hind. Lo Stallbaum, invece, il Martin ed il Mueller teno-ono il b' ouv dei codici, ma, per quanto io sia tenace della tradizione manoscritta, non trovo modo di cavarne un senso possibile. Vero che il Martin, segnando virgola dopo TaOxa, intende vibvuua tt. ttoik. yeTovev come una proposizione incidente quasi tra parentesi (costrutto campato in aria, al quale non saprei trovare
(1)
ok
il
compagno in Platone), e per tal modo il senso che ne cava ragionevole; le due specie sarebbero l'i^ e il XuTinpv, e anonime sarebbero le loro variet. Ma senza questa virgola intrusa assai arditamente, non si capisce come si possano dire anonime le due variet, quando si dice che esse si chiamano f\b<3 e Xvmripv. Con bx la cosa diversa: le specie degli odori, in quanto non corrispondono a singole specie elementari, non sono classificate, non hanno nomi loro propri, ma si aggruppano sotto i due nomi generici di piacevole e disgustoso. Quanto all'inciso ok K ... vtcx, che spiega appunto perch non si classifichino, ritengo ittXjv come attratto al plurale da ttoXXiv, cio che gli odori non sono propri n di una delle quattro specie elementari n della combinazione di due o pi di esse.
Capitolo
XXIX.
la
n
di
la
e l'umbilico
(i),
l'altro
che
ammollisce e
nuovo
amorevolmente
restituisce.
Per esaminar poi una terza sorta di sensazioni che possediamo, quelle dell'udito, dobbiamo dire da quali cause nascano le affezioni relative. B Per dirla in breve pertanto riteniamo che il suono sia l'urto che attraverso le orecchie per opera dell'aria, del cervello e del sangue (2) si trasmette fino all'anima, e che il movimento che nasce dall'urto, e comincia dal capo e finisce alla sede del fegato, sia la sensazione auditiva, e acuto sia quel suono che veloce, pi grave quello che pi lento (3), e piano e molle quello uniforme,
niaca, che non solo ferisce l'odorato, ma il cervello, gli occhi, la laringe, i bronchi, ecc. YxeqpdXou t Kctl ai'uaTtx; uxpi (2) bi jtojv un' po; impossibile congiungere v|> u X*te itXrppPiv iaiouvriv. bi Ojtujv yKecpXou re, come fa, tra gli altri, il Martin.
(1)
Il
Martin
cita
dell'
ammo-
Meglio
lo
irXriYfiv
YKecpd\ou T noti cxiuoitoc;. Per altro il uxpi vyuxns mi fa preferire col Mueller di congiungere utt' po<; Yxeqp. xe Ka m'u. in una serie sola l'aria percote il cervello, la percussione al sangue, e cos il cervello trasmette questo all'anima. (3 Questa affermazione erronea. I suoni acuti e gravi giungono all'orecchio contemporaneamente, non successivamente solamente le vibrazioni del suono pi acuto si succedono pi rapidamente; e l'accordo non altro che proporzione di numeri interi tra le diverse vibrazioni: cos in quello di ottava la nota pi acuta nella stessa unit di tempo compie il doppio delle vibrazioni della pi grave; e il rapporto perci di uno a due. Invece secondo Platone (e questa teoria confermata chiaramente a pag. 80 -B) i suoni acuti giungono prima, i gravi dopo, e sopraggiungono ai primi quando i movimenti prodotti da questi diminuiscono e perci tendono a conformarsi a quelli dei suoni pi lenti, cos che il succedersi di questi non li disturba,
: :
312
//
Timeo.
e aspro il contrario, e forte quando grande, e tenue quando no. Quanto poi agli accordi loro,
XXX.
Ma
ci
resta ancora
il
sensibili
abbiamo chiamato
emana
che tutte insieme sono) fiamma che dai corpi singoli avente particelle propor-
che la questo pare pi probabile, e sarebbe a proposito disserirne in un conveniente discorso (2), che
modo da essere sentite: abbiamo detto di sopra le cause producono (i). Intorno ai colori pertanto
teoria della succesdi Platone e prima e dopo di lui fino ad Aristotele, il quale per nel suo trattato speciale sull'acustica ha affermato esattamente la vera teoria. Per pi precise indicazioni cfr.
li
ma
in certo
modo
continua.
La
al
sione
dei
suoni
era diffusa e
tempo
Martin,
o. e.
I,
pp. 389-95, e
II,
p. 339.
(1) Per la teoria della visione veggasi p. 45 B e segg. e le note relative. Qui poi si specifica come avvenga la sensazione del colore: se il fuoco dell'oggetto identico al fuoco della vista, non c' sensazione, perch non si avverte differenza; se maggiore o minore, allora la differenza produce la sensazione. Aristotele invece [De sensu, cap. 3) attribuisce l'armonia dei colori a rapporti di numeri, il che arieggia a origine pitagorica. (2) Leggasi irpiroi t' fiv meiKe Xyw ieEeXGev. Lo Schneider e I'Hermann con leggono prcoi t' fiv tv " et probabili TTieiKfi Xyw b-, e lo Schneider traduce doctori conveniens videtur explanatio; mentre I'Hermann, meno male, vorrebbe mutare Ayiy in Xyov, se-
Capitolo
XXX.
altre
313
cio
e
le
particelle
cose
cadono
alcune
tire,
pi
grandi,
ed
non
si
le
e le minori,
a contrarre,
la
discettare la vista,
carne
caldo ed
e
il
freddo, e
come per
la lingua l'acerbo
quanto per essere caloroso abbiamo chiamato acre (2) e cos il bianco ed il nero sono pure le stesse impressioni di queste cose, se non che avvengono in un altro genere, e ci appaiono differenti per le cagioni che si sono dette (3). Cos pertanto bisogna porre i nomi, ci che discetta la vista dirlo bianco, e il contrario suo nero. Se
;
guto in ci dal Mueller e dall' Archer-Hind. Tenendo Xyw, non interpreto per altro come il Martin "et ce qu'il est temps maintenant d'exposer: l'ottativo mi indica un'ipotesi, cio: questa la spiegazione probabile, e sarebbe bene poterne discorrere con la debita estensione.
rriiK6
:
note a pag. 45 C (p. 234). pp. 65 D-66 A. (3) t Te Xeux Ka t uXava, xeiviuv TraGruuaxa yyovto v XXw yvei t aT k. t. X. notevole questa dottrina, che le impressioni dei diversi sensi derivino tutte da una stessa cagione che affetta diversamente i diversi organi le cose dunque per questo rispetto avrebbero una certa stabilit di sostanza, bench noi le
(1)
Cfr. le
(2) Cfr.
percepiamo
titudine
in
modi
dei
nostri
sensi.
affermata da Platone tra il bianco e il nero, mentre non sarebbero che modificazioni o gradi intermedi tra questi opposti. L'Archer-Hind vorrebbe congiungere T aT KEtvujv affezioni identiche a quelle di prima'; ma in tal caso forse avrebbe detto t aT xeiyou;, congiungendo la regolarit grammaticale e la chiarezza: perci preferisco intendere Kei'vu>v
gli altri colori
'
come
genitivo oggettivo.
11
Fkccaroli,
Timeo di Platone.
27
3i
//
Timeo.
poi un impeto pi rapido di un fuoco di genere diverso s'imbatta nel fuoco visivo e lo di-
fuoco che chiamiamo lagrime, essendo pur esso (impeto) fuoco, e venendo di contro (mentre l'un fuoco salta fuori come da folgore, e l'altro entra e per l'umidore si spegne), nascendone in questa confusione ogni sorta di colori, questa impressione la diciamo
sciogliendone
e
i
quell'acqua in copia
la
Quello poi che in mezzo a questi, () quel genere di fuoco degli occhi e si il quale viene fino all'umidore mesce con esso, ma non corruscante ed a
di brillante e corruscante (2).
;
nome
si
mesce attraverso
corruscante
poi
diamo
il
nome
di rosso (3).
Il
(1) Preferisco la vulgata uOp uv xal iiuip Gpov alla lezione di A, tenuta dai moderni, irOp uv 9pov xal uaip: le lagrime infatti fanno intuitivamente supporre maggior quantit di acqua che di fuoco. (2)
Questo periodo
alla
prima
ci
pare
difficile,
perch
noi siamo avvezzi a elaborare l'idea e ad esporla, non come ci si presenta naturalmente, ma come ci risulta dopo una matura riflessione: noi diremmo cos: l'abbarbaglio (l'clot, Martin) nasce dall'urtarsi violento sulla pupilla del fuoco che viene dall'oggetto esterno e di quello che esce dal di dentro, il quale urto produce le lagrime ecc. L'aver cominciato con t^v Euxpav qpopv ... irupc; rende poi necessaria la spiegazione at^v b ouoav nGp, il che non sarebbe logicamente esatto, ma era inevitabile quando l'attenzione vuol essere fissata, non pi sul modo (cpopd), ma sulla cosa (irOp). (3) t b ToTiDv av nexaiv (cio tra il bianco e il corruscante) nvpc, y^voc;, irp; pv t tjv iuutudv ypv qpiKvouuevov xal xepavvuevov aTip, axiXftov b ou, xr) b ol Tf\c, votoc; avfi} toO -rrupi; urfvuuevn xp&u a vaiuov Ttapaaxouvr) ToCvo)ua puGpv Ayouev. un periodo
Capitolo
XXX.
315
al rosso ed al bianco d il giallo; ma in che misura siano ciascuno, neanche per chi lo sapesse ha senso il discorrerne, quando nessuno poi sarebbe capace di dirne sufficentemente alcuna legge e neanche alcuna ragione probabile.
misto
Cos
il
il
rosso mischiato
e
il
al
nero ed
porporino,
colore fosco
si
mescolati e bruciati
il
aggiunga
dell'altro
nero
(1):
variamente tormentato e variamente interpretato: per me chiaro, solo che nel primo membro si sottintenda ari dopo uexaS, e si pare dalla traduzione che ne ho dato. Lo Stallbaum emenda xoO uupq uiYvuuvou, invece che uiyvuuvri, il che aggiunge la spiegazione del fenomeno, per altro superflua. L'Archer-Hind inoltre
muta
corre-
lativi Trp<;
uv e
rr)
he,
regolare: bisogno.
gli
che
di
emendamenti non
c'
proprio
Kau9eto{ re uXXov auy(1) Stciv TOOTOtc ueurfuvoii; xpaef uXav. Si congiunga ufiXXov con auYKpaGr) uXav, non con Kau6dai, come fa invece il Martin: I'ArcherHind lo congiunge con tutti e due, forse per distra-
zione.
cfr.
Y<ip
Questo fosco pare dovesse aver fondo violaceo: Aristotele, De coloribus cap. II, 9: vTeivueva XTTOvo<; Tiuuq Tip<; t qpilx; Xoupyi; exei t XP^ua
xoO cpiUTc; irpoapXXovTOc; ocpepv 8 KaXoOaiv pcpviov. di tutti questi colori (2) iruppv. L' identificazione tutt'altro che certa. L'Archer-Hind traduce uuppv per
castagno, il Jowett per rosso acceso, il Martin per fonee. Considerando che subito dopo il nuppv si congiunge all' azzurro per fare il verde, e che effettivamente il verde si fa di azzurro e di giallo, ho tradotto rruppv per rancio. " L'elaborata distinzione di colori tracciata in questo capitolo certamente non tende a sostenere la teoria, che stata messa fuori, che i Greci fossero deficenti nel senso del colore (Archer-Hind). Vero che Olimpiodoro {Vita Plat. 2) ci afferma aver Platone frequentato le botteghe dei pittori: Icpoirnae
koX trap YP aQP 6UCTl ' ^P* *& v wq>eXn0r| ti'iv |ui5iv t&v appunto la citazione XPiuutujv, uiv v Tiuaii|i uuvrixai: del Timeo e il notarsi che ne apprese ci che nel Timeo
ma
316
bigio, e
il
//
Timeo.
il
color
bianco poi,
la corruscanza e impigliandosi nero carico, d per risultato il color turchino (i), e il turchino misto al bianco d il cilestre, e il rancio misto al nero d il verde tenero. Quanto agli altri, per questi esempi si pu dire che chiaro a quali mistioni si possano
combinandosi con
nel
ragguagliare conservando
scorso.
la
probabilit
del di-
Ma
se qualcuno di
realt,
queste
fare
della
cose, esami-
volesse
esperienza,
si
ignorante
la
diversit tra
la
umana
e la divina, cio
scienza e insieme
molte
a scioglierle in molte,
ma
non
n in avvenire mai ci sar (2). Queste cose tutte, cosi naturate di necessit, l'artefice di ci che bellissimo ed ottimo le adoper allora nelle cose che nascevano (3),
l'altra,
mostra appunto di conoscere, cio l'impasto dei colori, d alla notizia tutta l'aria d'una congettura del biografo, o di qualche sua fonte, derivata esclusivamente da questo luogo.
(1)
kucxvoOv xp>M a
= turchino;
propriamente
il
lapis-
lazzuli.
(2) Il Gomperz (II, 481, cfr. Jowett, o. e. Ili, p. 418) rileva da queste parole l'antipatia di Platone per il metodo sperimentale: ma se l'asserzione qui chiara, dubito assai che si possa generalizzarla. All'esperienza come prova dei fatti ricorre anche Platone persino in questo dialogo stesso, e a p. 63 B ne troviamo proposta una, impossibile per altro ad eseguirsi. Perci qui forse non vuol dir altro se non che la sua teoria dei colori
non
(3)
si
it vyKX]<;
toO KotUiarou t
piarou
Capitolo
XXX.
e
317
perfettis-
quando gener
simo,
siliarie,
il
Dio indipendente
di
servendosi
esse
come
di
cause
au-
bene in tutto ci che si produceva lo recava ad effetto egli stesso da s. Per il che bisogna precisamente distinguere due specie
mentre
il
felici
quanto la natura nostra concede, e la necessaria 69 a cagione di quella, riconoscendo che senza di questa non possibile neppure quella, alla quale
agognamo, scorger da
glierla,
uvou; irapeXupavev.
(la
Congiungansi ireqpUKTa
S v(YKn<;
TrapeXctu(tavev:
similmente trapeXd|upavEV tv
Yrfvouvou;, e non con I'Archer-Hind KaXXiaxou v x. YiTv-, che allora direbbe invece tujv yiYvouvwv.^ Il a TrapeXdutte poi non va congiunto a ireqpuKTCt,
-rene;
ma
fiavev,
Il
ed correlativo dell'invoca che segue subito dopo. Dio generato di cui qui si parla, si capisce, il
mondo.
la necessit cfr.
Sulle concause o cause seconde e sulla parte che ha e la nota; pag. 76 D; pag. 46 C; pag. 48 e Politico, pag. 281 D. Che la contemplazione delle cose divine non dispensi dallo studio delle leggi naturali, ma lo richieda anzi come opportuno e necessario ajuto, sanissimo principio che concilia la religione e la scienza, e lo possiamo tutti accettare, ancorch di(1)
sgraziatamente sia stato dimenticato per tanti secoli. E il problema posto esattamente il mondo governato da leggi certe, e queste sono oggetto della scienza; ma la ragione ultima di queste leggi stesse l'oggetto
:
della religione; la scienza mezzo, la religione fine ; ma solo attraverso alla considerazione di ci che di-
viene potremo assurgere alla conoscenza di ci che . A p. 59 C aveva considerato lo studio 'delle leggi fisiche come un buon passatempo; qui lo si tiene in conto migliore e pi giusto.
318
//
Timeo.
XXXI.
Poich adunque, come a fabbri il materiale (i), ci stanno innanzi le due specie di cause ben definite (2), dalle quali si ha da contessere il resto del discorso, ritorniamo di nuovo per la pi corta da principio e, andando rapidamente a quel punto stesso donde siam mossi per venir qui, proviamoci di porre al discorso un capo e
accordino con ci che precede. anche da principio si detto, in queste cose, che erano prima disordinate (3), Iddio pose delle proporzioni in ciascuna e con s stessa e con le altre, quante e dove era possibile che si corrispondessero e proporzionassero. Perocch allora con proporzioni e misure non c'era cosa che avesse che fare, se non per caso, n affatto v'era nulla che meritasse il nome delle cose che ora questo nome hanno, come fuoco C e acqua, eccetera ma tutte queste cose da principio egli ordin, e poi da queste costitu questo universo, animale unico (4) che comprende in s gli animali tutti mortali e immortali. E mentre
si
Come
pertanto
si
fece artefice
^5),
(1) Cfr. la
stessa
immagine
in Phl. p.
59 D-E.
e la vYKn. Ripiglia il discorso interrotto a p. 47 E. Cfr. i Prolegomeni, cap. III. (3) toOtcc <t<ktuu<; xovtcc ... veuoinaev. La sintassi irregolare, ma il senso cos evidente che chi non grammatico non rileva l'anomalia. (4) Ztov 2v. Cfr. pp. 30 C-31 B. (5) Questa dottrina accettata integralmente anche da Dante. Cfr. l'Appendice, 6.
(2)
Cio
la 8eia
a-ricc
Capitolo
XXXI.
la
319
affid alle
la
sue
Ed
essi imitan-
dolo, ricevuto
dell'anima,
immortale ad essa un corpo mortale, e tutto questo corpo le diedero come veicolo (1), e un'altra specie di anima vi fabbricaron per giunta, la specie mortale, la quale Ha in s terribili e non evitabili passioni, prima il piacere, grandissima esca del male, poi i dolori, onde ogni bene si fuga, e
da
lui
il
principio
dopo
di
ci ritondarono intorno
oltre di ci l'audacia e
il
sennati
sigli,
(2), e la collera, che male ascolta i cone la speranza, che si lascia facilmente tra-
viare dalla
sensazione irrazionale e dall'amore che tutto osa (3). E mescolando ci insieme per opera della necessit, composero la schiatta
mortale.
(1) Cfr.
(2) Cfr.
(3)
"
pp. 44
E
I,
e 87 D.
p.
Legg.
644 C.
9eov e 6vr|Tv evidentemente la stessa di quella tra XoyicmKv ed Xoyov della Repubblica, e la suddivisione dello Gvnxv corrisponde alla suddivisione dell'ciXoYOv in quel dialogo tra Guuoeit; ed in8u|uritikv, come pure al cavallo nobile e al cattivo del Fedro.
La divisione fra
(Archer-Hind). La parte mortale dell'anima ha in s ed altre passioni Xiria x' enapYurfov aaGnaei re XyuJ SuyKepaad.uevoi t' aT vcrfKal TtixeipnTrj iravrq gpum kcuk; t SvnTv y^voc; EuvQeaav. Cos leggono lo Stallbaum e il Martin; invece I'Hermann, lo Schneider, il Jowett e I'Archer-Hind, leggendo con parecchi codici aloBnaei b, e poi TaOxa invece dell'emendamento r' auro, pongono interpunzione prima di ato6naei e la levano dopo pum, cos che il senso sarebbe: " e mescolando queste cose con la sensazione irrazionale ecc. Ma questo senso pare poco logico non si capisce infatti come l'^bovn e la XOirn, il Ouu<; e l'Xui<; si mescolino con la sensazione, quasi ingredienti prima indipendenti gli uni dagli altri e da essa; mentre la sensazione, appunto per la sua irrazionalit, la causa di tutti questi
:
320
//
Timeo.
evidentemente avendo rispetto il divino, se non in quanto fosse assolutamente necessario, separatamente da E esso domiciliarono il mortale in un'altra stanza del corpo, costruendo un istmo e un confine tra la testa ed il petto, col porvi in mezzo il collo, affinch ne fosse separato. Pertanto nel petto e in quello che si dice torace legarono la specie mortale dell'anima: e poich parte di essa era
per questo
di
non contaminare
di
videndolo come si fa per l'abitazione delle donne 70 da quella degli uomini, col porvi per tramezzo
il
diaframma
(1).
La
parte
dell'anima
pertanto
altri
turbamenti: cfr. p. 77B: aaenaeox; bk rjdc; kcx ueT TnSuuiiv. Le cose che si mescolano vaYKaiw; sono invece la parte mortale e la parte immortale dell'anima: di questi due elementi si forma l'uomo. Cfr. p. 35 A, dove pure la natura dell''opposto ouikto<;, cio ricalcitra a mescolarsi con quella allo stesso modo, cos che anche l occorre la forza. Intendi perci t 0vr|Tv jvoc, per il genere umano, non per la parte mortale dell'anima, come fanno altri.
XTeivf|<;
icppaTua
eli;
\.ioov
axuJv TiGvrec.
Poich
iaeppctTua,
qppvet;.
La
pluralit delle anime non una invenzione di Platone, risale ai Pitagorici. Noi a
ma
Che un'anima
sostituiremmo le diverse facolt dell'anima unica: ad ogni modo la distinzione di Platone non esattamente corrispondente alla nostra, e per persuadercene basta pensare per esempio alla volont, e si vedr come questa va frazionata un po' per ciascuna delle tre anime
di
Platone.
giustificazione
dell'ipotesi
platonica
si
pu dire che
la si
riduce
in
Capitolo
XXXI.
qai
di guardia, affinch,
quando
che
la
ribollisse all'annunciare
fa la
ragione
come
avvenga qualche opera ingiusta in rapporto ad esse membra o di fuori, o anche da parte delle
cupidigie di dentro, (affinch, dico,) allora rapi-
damente, attraverso tutti gli angusti canali, tutto quanto nel corpo v' che riceve le sensazioni si accorga delle esortazioni e delle minaccie, vi
di parole l'anima immortale anche per lui una sola, e questa sola pi propriamente partecipe dell'essere, e le altre no. Anche cos per altro delle difficolt gravissime ne restano sempre, e basti accennare a quella della metempsicosi quando 1' anima dell' uomo passa nel corpo di un animale, che se ne fa dell'anima razionale? dove la si colloca? o gli animali differiscono dall' uomo solo perch hanno un corpo pi imperfetto,
: :
che impedisce
(i) tr^v b bf\
movimenti dell'anima?
xapiav
fi.uua tjv qpXePOv xa Trny'iv
k. t. X.
toO Cos i pi con A. Lo Stallbaum invece con qualche altro codice: t. b. b. xccpiav pxv fi^a twv (pXeftv k. t. X. La differenza per il senso poca; preferisco ad ogni modo la prima lezione perch l'altra mi pare riduca l'espressione ad una tautologia, con questo di peggio, che pxnv fijua pare voglia invece indicare anzi una diversit che dovrebbe correre tra la pxn e la irnYn. Platone attribuisce alle vene le funzioni dei nervi, organi della sensibilit (Martin, II, pag. 302).
tiepiqpepouvou aiucnrcx;
322
//
Timeo.
parte
migliore
C verno
(i).
di tutte quante abbia il goNel balzare poi del cuore all'aspettaal destarsi
della collera
co-
noscendo
che tutta questa gonfiezza degli iracondi doveva nascere dal fuoco (2), per trovarle un soccorso, vi piantarono dentro il polessi
mone, che innanzi tutto molle ed esangue, ed inoltre ha dentro delle caverne scavate come quelle di una spugna, affinch, ricevendo il fiato
e la
bevanda, rinfrescando
li
procacci
respiro
i
appunto
canali
inserirono sul
al
polmone
esso
e questo
(3),
posero intorno
affinch
al
cuore
come un cuscino
in
quando
la collera
cuore fosse
refrigerio,
colmo, balzando su cosa cedevole e avendone con minor fatica potesse meglio adol'ira
perar
(1) kc
C.
t pXTiarov otok; v cxtoii; itaiv i^ef-iovev Si intende bene che Ttaiv non va congiunto ad
v)Y|aovev,
(2) Trj
ma
ad
i)
v ccTOq.
xf)<;
r]
trr|r)aei
KCtptac;
...
TTpoYiYvd>aKOVT<;
otrjaic;
ori bi
k. t. X.
Trup<;
TOiarri Traa
efxeWev
:
fi^veoQa\
traduzione del Martin " prvoyant les tressaillements du cceur ecc. cos lontana dal testo che si potrebbe dire che lo fraintenda. Leggasi ofncu; con la maggior parte degli editori, invece di oiKrjffi^ della maggior parte dei codici, e per conseguenza i -rrupc, rigettando l'emendamento ictTrupcx;. Superfluo notare che il polmone non senza sangue e che ci che si beve non passa per il polmone. (3) Sopra tutto per comodo della versione accetto dal-
La
I'Hermann olov |idXaYM a secondo la citazione di Longino (cfr. Alcin. Isag. 23), che per altro aggiunge M"Xokv, che pare superfluo. I codd. di Platone hanno in
>
generale
dai pi
:
fi\|aa |uaXciKv,
"
un
Il
il
salto molle,
rimbalzare.
lezione possibile e perci tenuta cio una cosa molle su cui senso dunque non dubbio. Altri pro<5ym-
pose
fi|UM a >
Martin
Capitolo
XXXII.
323
XXXII.
Quella parte dell'anima poi,
cibi
e le
bevande e quanto
necessario
la
questa
in
mezzo tra il diaframma e il confine dell'umbi- E lieo, congegnando in tutto questo luogo come una greppia per il nutrimento del corpo. E qui la legarono come una bestia selvaggia, che era
pur necessario mantenere, essendo da noi inseparabile, se pure il genere mortale doveva esistere. Affinch pertanto sempre pascendosi alla
abitando quanto pi possibile lontano dalla parte che ragiona, desse minor noja e turbamento, e lasciasse che quella che pi vale deliberasse tranquillamente intorno a ci che giova a tutte (le parti) insieme, per questo
mangiatoja
71
le fissarono
il
che essa
tesa,
la
ragione
e che, se
anche
in
qualche
modo
fosse parnella
(1),
non era
sua natura
il
e di notte e durante
lettare sopra tutto
giorno
si
lascerebbe
al-
da immagini e parvenze, per provvedere appunto a questo gli Dei (2) com'i r irn kcx ueTaXa,u0voi tiv<; au tujv aaQ-qoewv. variante tivi; aTiiiv aia0>iaeuj<; di qualche buon codice, seguita dai pi dei moderni, d un senso molto diverso; ad ogni modo bisognerebbe intendere a-rwy come prolessi del Xywv della proposizione seguente, il che non senza durezza. io per altro ho tra(2) eltet; ... Qec,, ad synesin dotto gli Dei anche per non far confusione con Dio
(1)
La
padre
e"
creatore.
324
11
Timeo.
B posero
il
lo
confezionarono
modo
e levigato e lucido e dolce e avesse anche dell'amarezza, affinch la forza dei pensieri che
muove
in
dall'intelligenza, scendendo in esso come uno specchio che riceve le forme e concede
le
di
immagini, potesse incuter paura alla (il che avviene) ogni qual volta, servendosi dell'amarezza sua affine (2), (la detta forza) irruendo grave e minacciosa (3), e mescolandola rapidamente per tutto il fegato, vi faccia apparire i colori della bile, e compri-
vedere
C mendolo
lo
yXuk xa TtiKpTnxa (1) ttukvv kci Xetov xa Xa.uTipv xa queste parole ho spez^Xov |urixctvri<j6|aevo(;, iva k. t. X. zato il periodo greco cominciandone uno nuovo, che di necessit riuscito ancora eccessivamente lungo e aggrovigliato, per quanto abbia cercato di chiarirle segnandone i nessi. Il senso questo: il fegato ha tutte
queste diverse propriet per poter rispondere al suo doppio e diverso ufficio: esso come uno specchio, nel quale si riflette il pensiero dell'anima intelligente, e, secondo i casi, o lo conturba per mezzo dell'amarezza (travaso di bile), o lo rasserena per mezzo della dolcezza, che pur contiene, in modo da disporlo alla divinazione durante il sonno, la qual divinazione supplisce in questa parte dell'anima la conscienza e la ragione che le mancano. Cos il fegato ha secondo Platone un ufficio quasi morale, subordinato per altro all'intelligenza, poich la forza dell'intelligenza quella che agisce su di esso o nell'un senso o nell'altro. (2) Al fegato? o alla forza dei pensieri gravi e paurosi? Cfr. p. 325 nota 2. Non si prenda ireiXrj (3) xaXem'i upoaevex9etoa TreiXfi. per verbo, quando tutti gli altri sono ottativi: ad ogni modo, se fosse verbo, dovrebbe esser seguito da un kci. prenderlo come nome si potrebbe per pensare a un
emendamento:
x^Xeitr).
Capitolo
XXXII.
;
325
(affinch)
produce dolori
versa,
nausee
vice-
lasciandolo
riposare
dall'
amaritudine
non muovere n voler toccare la natura a se contraria (1), e adoperando invece verso di
esso la dolcezza che pure vi innata ducendovi ogni cosa dritta e libera e
(2),
liscia,
ri-
anima che che nella notte abbia una disposizione adeguata da usufruire della divinazione durante il sonno, poich di ragione e di conscienza non partecipa. Si ricordavano infatti dell'ordine del padre coloro che ci formarono, quando ordin che il genere umano fosse fatto ttimo quanto era possibile, e perci, correggendo anche la parte cattiva di noi, af- E finch in qualche modo potesse attingere la verit, posero in questa la divinazione. E c' un indizio sufficente per dire che Iddio concesse all'imbecillit umana, ed che la divinazione nessuno che sia in s attinge mai una divinazione ispirata e veritiera, ma o nel sonno, quando ha inceppata la forza della conscienza, o quando esce di s per malattia o per qualche furore dider serena e mansueta
il
la
parte dell'
abita presso
fegato, di
modo
' la natura a s confi) xfj<; vavTa<; auTfj qpuaeux; traria ', cio l'amarezza, contraria alla irpaTnxq tu; k iavoiac iriirvoia. Il Martin in questo luogo fraintende il testo.
(2)
Y^ UK "^ Tr Tl te
l
Trj
kcit'
kvo
Euuqpofiy
irpc;
auto
xpiuuvn-
dolcezza all'Turcvoia, quando dice che non so capire. Perci credo che al fegato si deva rire anche l'amarezza di cui sopra, p. 71 B.
Pragcaroli,
II
possa
Timeo di Platone.
2S
326
vino.
//
Timeo.
riflettervi,
in
Dell'uomo in senno invece proprio il ripensando le cose dette o in sogno o veglia dalla natura divinatrice ed entusiastica,
72 e quante
immagini furono
namento
male o
di
bene
fu-
turo o passato o presente. Che l'invasato, finch perdura in questa condizione, non possibile
le
che giudichi da s stesso n le sue .visioni n sue parole, ma da un pezzo si dice, e si dice bene, che fare e conoscere le cose proprie e s
stesso proprio
solo
il
del saggio.
di
di qui,
si
vede,
venuto
costume
porre
giudici
i
quali
si
non
ac-
sono solamente intercorgono affatto che voci e di visioni enigmatiche e profeti preti di punto, e perci giustissimamente potrebbero dirsi
interpreti delle cose profetate.
la
modo
il
e nel
fintanto
che
denti
uno
(2),
vivo,
fegato ha
segni pi evi-
ma quando
le
diventa cieco, e
X. Anche (1) 69ev bf] Kdi t tiv -rrpoqpriTuJv yvoc; k. t. qui le parole greche trasportandosi in italiano hanno cambiato significato, e perci upocpnTrK non pu pi tradursi per profeta, ma per interprete o indovino: il profeta vero uvtic.
(2) Vuol dire che l'aruspicina una cosa del tutto incerta e dubbiosa, e previene la sentenza di Catone che si meravigliava " quod non rideret haruspex haruspicem cum vidisset (Cic. De Div. II, 24, 51).
Capitolo
XXXIII.
327
La formazione
vicino
suo C
and
per servire
al
fegato,
sempre nitido e puro, come una spugna pronta sempre e per uno specchio preparata (1). Per la qual cosa anche quando
cio per mantenerlo
al fegato, per malattie del corpo, qualche impurit, la rarezza della milza le spazza via tutte ricevendole in s, come quella che ha un tessuto cavo e privo di sangue; per il che riempita di spazzature cresce grande e suppurosa,
nasca intorno
il
corpo
sia
stato purgato,
in s stessa.
XXXIII.
tale e
verit,
come
si
detto,
quando
allora
Iddio
ne
per altro
Che
ci
ri-
probabili, pi
di poter
' cui toO ytovcx; citu) lvaxaa\.c, kci pa cmXaYfa) il Xvou Y^TOvev r kl picrrepat; xapiv neivou, toO irapxeiv auro Xa.uirpv e\ xcd KaGapv, oiov KaTnxpiu -rrapeaKeuaaiavov Ka exoiuov dei napaKeiuevov x|uaYeov. Questo viscere la milza. Forse equivocando sul senso di KuetYeov, per l'uso che se ne fa a p. 50 C, il Martin traduce: " c'est pour rendre le foie toujours brillant et propre, conime un miroir prpar, comme une matire toujours prte recevoir les empreintes. strano che il senso non l'abbia fatto accorto dell'errore: oiov kcittttpuj k. t. X. si lega a iraptaKeua0U6vov, non a KoGapv.
328
//
Timeo.
E cos anche che viene in seguito a questo allo stesso modo bisogna indagarlo ed sul rimanente del corpo (i), in che modo fu fatto: ebbene, che sia stato messo insieme giusta il ragionamento seguente, potrebbe convenirgli meglio di tutto. Coloro che composero il genere nostro conoschiare d'affermarlo, e sia affermato.
ci
:
scevano l'intemperanza delle bevande e dei cibi che in noi sarebbe stata, e come per la gola ne avremmo usato in copia maggiore del conveniente
non succeuna repentina distruzione e il genere umano non perisse subito prima di aver rage del necessario. Affinch pertanto
desse con
73 giunto
le
malattie
il
suo
fine,
nere
il
che
giri
il
si
nutrimento passando fuori presto non costrinancora presto delil corpo a richiederne l'altro, e facendolo insaziabile, non rendesse l'umanit tutta, per causa della voracit, incapace
gesse
di scienze e di arti e indocile alla parte pi di-
B che
Circa alle ossa poi e alle carni e a tutto ci di simile natura, avvenne cos a tutte
:
Perocch
l'anima avvinta
al
generazione del milegami della vita, per i quali corpo, essendo annodati apla
(1) Si riferisce
(2)
a p. 61 C.
Questa teoria ammessa anche da Dante: cfr. Appendice, 11. Platone molto pi vicino al vero che non Aristotele, il quale diceva che midollo e cervello sono due sostanze essenzialmente diverse, e che la funzione del cervello semplicemente quella di rinfrescare la regione del cuore De parfibus anim. II, 7.
:
Capitolo
XXXIII.
329
punto nel midollo, sono come le radici del genere umano: il midollo poi quanto a s ha origine
da
elementari non (1), atti a produrre precisione fuoco, acqua, aria e terra, con maggior con questi Iddio, separandoli a parte dalla loro
torti e lisci
rispettiva specie e mescolandoli tra di loro in (una certa) proporzione, per procacciare il comun C seme occorrente a tutto il genere umano, fece di essi il midollo, e dopo di ci piant nel mi-
dollo le tre specie dell'anima e ve le annod, e secondo il numero e la qualit delle figure
che ciascuna
di esse specie
dovea avere
(2),
in
singolare questa dichia(1) Cfr. pag. 53 C e segg. E razione che dei triangoli elementari ve ne siano di pi perfetti e di meno perfetti, la quale scuote le basi stesse dell'ipotesi, in quanto che paja evidente che, quando due cose sono diverse e pur simili, possano ridursi all'uguaglianza eliminando le differenze e quindi risalendo a un tipo comune e pi semplice. Il Martin alquanto inesatto nella sua traduzione, per esempio
" mla enurfv<; b' dXXf|Xoi<; SuuueTpct lo rende per semble ces triangles de grandeurs proportionnes, mentre il EuueTpa, oltre la grandezza, comprende anche il numero. xe bau ?ueX(2) Kaxi&ei t tujv tjjux&v Yvn, axnucrrwv
Xev aO axnffeiv ol Te KaG' exacrra efn, tv uueXv aTv xoaaOTa Ka toioOto uipelxo axwaiu k. t. X. Stallbaum: "ipsamque... in tot talesque distribuit fguras quot et quales habiturae essent singulae species, dove le 'singulae species' dal contesto pajono essere le quattro specie elementari, poich quelle dell'anima le
" et quot qualesque secundum singulas species habitura [cio mednlld\ esset fguras, in tot et tales medullam ipsam statim in prima distributione dividebat; e similmente " et comme la molle devait recevoir beauil Martin: coup de fgures et de varits distinctes les unes des autres, il la divisa aussitt en autant de formes qu'il tait ncessaire: il che affatto tautologico, e male il
330
altrettante e
// Timeo.
altrettali
figure
divise
il
midollo
medesimo
subito
nella
distribuzione
primitiva.
E
D
come
campo,
seme
la
animale fosse compiuto, il vaso che conterrebbe questa parte sarebbe stato la testa (i). Quella poi viceversa che dovea contenere la parte rimanente e mortale dell'anima, la divise in forme insieme tornite ed oblunghe, e le disse tutte midollo, e da queste come da ancore gettando
i
legami quindi tutto il corpo nostro, dopo aver prima costruito per il midollo tutto intorn una coperdi
tutta
l'anima, intorno
ci
comp
tura ossea
(2).
Martin cerca
di
giustificarlo
precedente, cos che si etr) axnudTiuv x xwv iy. f. Ka0' ^oiaxa ueXXe axfaeiv, xoaaOxa k. t. X. Che se non si volesse separare kc<0' exciaxa dn., converrebbe sempre intendere questa espressione come equivalente di x xiwv ipuxujv ivr\. Cos intendono anche Jowett ed Archer-Hind. Ad ogni modo la sostanza del senso varia poco.
xwv
= testa
vello
(2)
(x)
sferico
= quello
la
di
KeqpaXrj
Il
:
nella testa.
cercfr.
come
forma
dell'
universo
pag. 44 D.
oxYaaua uv
axivov.
cono
il
Martin
axtl) irpuxov EuuTrnjv<; rcep SXoy axCp sia uueXc; e non t oujua, lo diirpujxov, il uv e il senso comune. Inesatto il nel rendere " une couverture entirement os-
Che
seuse, mentre xtep 8Xov non si ha da congiungere con axivov, ma da riferire al uueXq. L'emendamento uepiPoXov, proposto dal Valckenaer e accettato dall' Hermann e dall'ARCHER-HiND, inutile, e ripete a-rfaa^a. L'esserci rcepipXiu poche righe dopo nella stessa accezione un argomento a doppio taglio.
Capitolo
XXXIII.
33i
la
parte ossea la
compose
midollo, e
dopo
(1);
ci la
tuff nell'acqua, e di
nuovo
nel fuoco, e di
nuovo
molte
nell'acqua
e facendola
passare
cos
da non
Servendosi pertanto
intorno
lasci
al
di
cervello
una
un piccolo passaggio.
intorno
al
midollo 74
la
plasmando con
le
infil
sotto
cominciando dalla testa, per tutto perch volea conservare il seme genitale, per questo lo asserragli in un recinto petroso, facendovi delle articolazioni, adoperando l'azione del variabile per ottenere tra di esse col mezzo suo e movimento e flessione (2). Reputando poi che il modo di essere della natura ossea fosse troppo pi fragile che non converrebbe e pi rigido e che col vicendevole
come
il
cardini,
torso.
(1)
"
vi(2) xr) Baxpou Trpoaxpw|uevoc; v afoTq wc, ucr) pag. 35 CTCtiavr) uv|uei, Kivriaeuu; xal Kd|ui|jeujq 'vCKa.
aveva
e la natura
Garpou,
Qui dunque
si
adopera
propriet del variabile per porla in mezzo tra un'articolazione e l'altra: perch? Dice, per ottenerne moto e flessibilit. Or questo moto non n circolare n sempre ad un modo, dunque non pu poi molteplice quante essere della natura tcxtoO sono le articolazioni, e la natura Barpou rappresenta appunto i pi in confronto dell'uno. Il Martin (II, pp. 312-13) crede che qui si parli dell'umore detto sinovia, ma io non ce lo so n trovare n tirare. Qui non si parla di umori n di materia (come credeva anche lo Stallbaum), ma di potenza.
le
332
//
Timeo.
stamente a guastare il seme genitale in s contenuto, per questo acconci nervi (2) e la carne in modo che, con quelli legando insieme tutte le membra, a seconda che si tendono o si allentano intorno alle vertebre (3), desse agio al corpo di piegarsi e di distendersi, e la carne fosse propugnacolo contro calori eccessivi e difesa non solo dai freddi, ma anche dalle cadute, come la roba imbottita, poich molleC mente e facilmente cedevole agli altri corpi e ha dentro di s un umor caldo, che d'estate trasuda e umettando il di fuori duo offrire a tutto il corpo un naturale rinfresco, mentre d'inverno viceversa con questo suo stesso fuoco si pu difendere sufficentemente contro il rigore che la assalisse o la avviluppasse di fuori. Questo pensando il nostro plasticatore, componendo(la) e conglutinando(la) (4) di acqua e fuoco e terra, e mettendo insieme un lievito tra acido (5) e D salso, riun l'ima cosa e l'altra e form cos la carne succosa e molle. I nervi poi li compose d'una mischianza di ossa e di carne senza lievito,
i i
Nei cambiamenti di temperatura. t tujv vepuuv. Tradurre tendini tanto inesatto quanto tradurre nervi. Platone non distingueva tra gli
(1)
(2)
firravra t uXn Suvnaaq iriTeivouvip Kol (ivieu^vai irep to<; aTpq?iTT a<i KaunTpevov t aiLpa xai Kteivuevov Trapxoi. Forse superfluo avvertire
Til>j'|uv
tiI strumentale di vvbr\aa<; e perci non va congiunto con Tnxeivop^vuj ecc., che, attratto al dativo da tl, invece modale di Ttctpxoi. (4) Cio la carne, cui si accennato prima, e che si
altri.
che
nomina anche poco dopo. (5) E loc, xai a\uupoO. Martin sale: ma loc, non eo<; n
"
de vinaigre
et d'eau
ouq.
Capitolo
XXXIII.
333
natura media tra quelle e questa, e vi adoper inoltre il color giallo: perci i nervi ebbero una natura pi consistente e pi tenace delle carni, ma pi molle delle ossa e pi flessibile. Con
queste cose
e
il
(i)
midollo,
le
tutto
con
le carni.
Quelle ossa pertanto che racchiudono maggior parte di anima, le rinserr in pochissime carni,
e quelle che dentro ne
han meno,
in moltissime
e molto dense
(2).
dove la ragione non facesse vedere qualche necessit perch ci dovessero essere carni, ne pose poche, affinch essendo di
ture delle ossa,
non rendessero che sarebbero divenuti difficili a muoversi, ovvero, quando fossero molte e assai dense e constipate le une nelle altre, per la durezza producendo insensibilit (3), non rendessero pi smemorate e pi stupide le attivit dell'intelligenza. Perci la regione delle cosce 75
impedimento
nella
flessione
i
corpi impacciati,
come
quelli
(1) oi<; tuuTrepi\ctf5jv k. t. X. La parola immediatamente precedente bens veOpcc, ma il vepou; che segue mostra che qui per ole, si deve intendere altro: oi<; si riferisce dunque a t tujv vepuuv kciI t rf\c, aapK<; yvoc,, di cui si cominciato a discorrere a p. 74 B; poi procede a determinare; cio coi nervi insieme e con la carne avvolse le ossa e il midollo, i nervi per legare, la carne per coprire. (2) Essendo il midollo la sede dell'anima, la quantit di midollo corrisponde alla quantit di anima; ben inteso per altro che queste espressioni non si hanno a prendere in senso materiale. chiaro poi da questo e da ci che segue, che Platone distingueva bene tra la
sostanza del midollo spinale e quella delle altre ossa, e in ci era nel vero. (3) Cfr. pag. 64 B,
331
11
Timeo.
tutta
quella
che
circonda
le
ne abbiamo
inarticolate, e
quante
midollo
dentro per
scarsezza di anima
nel
sono vuote di conscienza, queste tutte sono abbondantemente fornite di carni; e quante chiudono in s conscienza ne hanno meno, fuorch l dove per avventura (Iddio) costitu appositamente qualche pezzo di carne che stia da s a scopo di sensazioni, come appunto l'organo della lingua. Ma per lo pi le cose sono a quel modo: perocch l'organismo che nasce e si mantiene secondo le leggi della necessit (i), non B ammette osso duro e carne molta e insieme con
essi acutezza di sensazioni.
siasi altro
Infatti
pi
di
qual-
membro
il
stare insieme, e
due cose avessero voluto genere umano con una testa carnosa sopra di s e nerboruta e gagliarda si sarebbe acquistato una vita doppia, anzi a molt doppi, e pi sana e men triste di quella d'ora Ora invece gli artefici della nostra generazione
della testa, se queste
C pi duratura
ragionando se dovessero produrre una schiatta e peggiore ovvero migliore e d vita pi corta, furon d'accordo che ad ogni modo la vita pi breve e migliore fosse ass Altamente preferibile alla pi lunga ma peggiore;
(i)
l'i
Yp
Euvtpecpouvn
qpOai<;
Anche
qui
cpuai<;
dunque
la
nostra co-
stituzione materiale. Notisi l' intervento della necessit, che anche qui pare una disposizione che hanno le cose
in se
ziale. Cfr.
sgg.
Capitolo
XXXIII.
335
gero,
non per
sero la testa,
con un osso legcon carni n con nervi copercome quella che non dovea avere
altro
neanche
articolazioni.
Conforme
tutte
queste
ma molto pi debole del resto dell'uomo al cui corpo fu aggiunta. E perci nervi similmente Iddio circondandoli al basso
pi assennata,
i
intorno
(i),
al
collo,
ve
li
appiccic uniformemente
chiavi delle
mandibole sotto
le
faccia
gli
altri
poi
li
distribu in tutte
altre
membra,
colle-
gando articolazione ad
articolazione.
che
lo fornirono,
come
causa
del
miglior
bene
bene
l'uscita;
pe-
rocch necessario tutto ci che entra a dar nutrimento al corpo, ma la sorgente dei discorsi che sgorga fuori in servizio della saggezza la
pi bella e la pi
La
testa poi
solo ossea e
buona di tutte le sorgenti. non era possibile n lasciarla nuda per l'eccesso delle stagioni
(i)
K\\r\aev uoiTnri
"
aequaliter
(Schneider),
iuoiux;
(Stallbaum)
avec simi-
litude
Martin e " per virt di lor somiglianza dell' Acri. Lo Stallbaum cita De Rep. Vili, p. 555 A:
del
iuoixnTi tv cpeiuuXv re xa ys>r\\L<xr\Gi\v TCTxQcu, e se l'identit dei due luoghi, d'altra parte la sua traduzione, " and cemented them
with uniformity non vedo a che sostanziale differenza possa ridursi. Pi esplicito il Jowett: " and glued them together by the principle of likeness; il che non vedo che cosa qui possa aver che fare.
336
nell'uri
II
Timeo.
senso e nell'altro, n permettere che coperta diventasse stupida ed insensibile per l'ingombro delle carni. Ora, quando la carne si dis76 secca (1), se ne suol separare intorno una buccia eccedente (la carne stessa), quella che ora si
dice pelle
il
s stessa (2) rivest intorno tutta la testa; l'umidit poi usc di sotto alle suture a irrigarla
in
e la chiuse al
sommo
del
capo raccogliendola
come
delle
un nodo. Le specie poi svariatissime suture si hanno per l'azione dei periodi
in
(1)
xf|<;
crapKoeiboCK
qpaeux;
KaTanpaivouyn.<;
Xmua ueftov TrepvftYvuevov xuupiZeTO. Cos, con l'o, i codd. e gli editori, tranne Schneider ed Archer-Hind, che lo escludono, e bene a ragione, se queste parole hanno da avere un senso corrispondente alla realt delle cose. Aristotele, De gener. anim. II, 6, verso la met, t pua Enpcuvo|uvr|c; Tffc aapKi; yiveTcn, evidentemente non lesse l'o. Accetto quindi l'emendamento. Non deve poi dar noja l'imperfetto xwpiZe-ro, che solo per maggior evidenza ho tradotto come iterativo Platone si riferisce alla prima formazione dell'uomo, e la espone anche qui, come spesso, in forma di narrazione
:
mitica.
pXaaTvov kkXui. Nel (2) Euviv auro irpcx; ax xa tradurre ho invertito questi due concetti per ridurli a quell'ordine pi logico che piace a noi. Le parole che seguono, f\ b. vot<; ecc., rendono ragione del come l'umidit, che intorno al cervello, ma sotto il cranio, possa irrigare e quindi fecondare la pelle che sopra di esso; l'umidit passa per le suture. La pelle si estende dalla carne del corpo fino sul cranio che non ha carne, e per questo si era notato che essa era eccedente (ueftov) della carne, eccedenza per altro iniziale che viene accresciuta dalla irrigazione e fecondazione di cui qui si parla. (3) ol Tt"iv tjv TTepiuiv vauiv k. t. X. Lo Stall\i dice che " nepioooi videntur esse circuitus car-
Capitolo
XXXIII.
337
maggior copia quando queste sono pi discordi, B in minore quando meno. Ebbene, tutta questa
punzecchi in giro col come l'umore ne usciva fuoco, e bucata che quello liquido e caldo, in quanto era indi fuori,
pelle la Divinit
(i)
la
fu,
puro, se ne andava, e quello misto degli elementi di cui anche la pelle era fatta, spinto in
su dal suo proprio impulso, si distendeva di fuori lungo lungo avendo una sottigliezza uguale alla puntura; perla sua lentezza poi essendo respinto
dall'aria circostante esteriormente, di
nuovo av-
volto di dentro prendeva radice sotto la pelle. Secondo tali affezioni ebbero origine sulla pelle C
i
capelli, affini
ad
coreggiuolo,
capello sub
pelle.
ma
che ce
la fece,
servendosi delle
dette cause
nosae materiae.
siano
i
affatto, n che cosa materia carnosa saprei dire. Il Martin intende invece i cerchi dell'anima, di cui si parlato distesamente nella prima parte del discorso di Timeo, ed nel vero. Gi a pag. 43 B-D si parlato dell'onda della nutrizione che turba il libero movimento
circuiti
Io della
non credo
di questi periodi.
il
t Beov. L'Archer-Hind intende sia il cervello, quale la sede di t 9e!ov, ma evidente ch'egli erra tutto il discorso non altro che un' esposizione del come la Divinit fabbrica il corpo dell'uomo, e non qui si introdurrebbe un altro agente si vede perch secondario senza un'espressa ragione, e peggio perch lo si fosse indicato in maniera cos equivoca. Poco pi oltre detto che chi ci fece la testa ce la fece
(1)
:
villosa:
dunque anche
capelli
Timeo di Platone.
29
338
al
//
Timeo.
il
dare
stato
ombra
mai
di
non sarebbe
sincerit
alcun
impedimento
alla
della sensazione.
intorno
alle
dita
(i),
mistione
di
di
tre
cose,
come
sola,
fu disseccato divenne
una
pelle
ma prodotta dalla causa suprema, la provvidenza, a cagione di ci che sarebbe stato poi (2). Infatti coloro che ci composero conoscevano che un giorno dagli uomini E sarebbero derivate le donne e le altre bestie, e sapevano quindi che molti animali avrebbero avuto bisogno di adoperare le unghie in molti laonde anche le unghie le plasmarono casi subito come prima nacquero gli uomini. Per queste ragioni ed a questo effetto pelle, capelli ed unghie li fecero nascere sulle estremit delle
di queste
cause seconde,
membra.
KCiTcnTXoKf) toO (1) t v xf) uep to<; cxktXouc; veupou Ka toO pjuarot; atoO re k. t. X. Il Martin: " dans cet entrelacement des nerfs avec la peau et les os qui constitue les doigts ecc. No affatto non si tratta qui delle dita, ma delle unghie; perci irep xoq baktOXoui; ha da intendersi in senso proprio e materiale, non, come fanno i pi, perifrastico. (2) L'Archer-Hind nota in questa affermazione una curiosa approssimazione al darvinismo le unghie nella razza umana appariscono solo in uno stato rudimentale, che si svolge poi fino agli artigli del leone e dell'aquila.
: :
Capitolo
XXXIV.
339
XXXIV.
Ma
congiunte
mortale, e la vita necessariamente conveniva ei 77 l'avesse dall'aria e dal fuoco, e per ci d'altra
parte disciolto ed estenuato da questi egli avrebbe dovuto perire, gli Dei gli procurarono un soccorso. Infatti mescolandola con altre forme e sensazioni produssero una natura affine alla natura
umana,
manti
le
cos che
i
si
ebbe un
altro
genere di ani-
(1),
i semi educati dall'agricoltura, che divennero per noi domestici, mentre prima vi erano solo le specie selvatiche, pi antiche delle eulte. Perocch ogni cosa che partecipi del vi- B
piante e
le piante, e in ispecie le piante coltivate; e loro creazione possa essere d'ajuto alla conservazione del genere umano, detto poco dopo (p. 77 C): esse vennero create per nostro nutrimento. Notisi che del cibarsi di carni d'animali non si parla, forse per non contraddire aperto alla dottrina pitagorica, che Timeo in qualche modo doveva in sostanza rappresentare, e per non approvarla senza debitamente vagliarla. Le piante dunque non sono prodotti della degenerazione, come gli animali. Pi notevole ancora ci che soggiunto, che prima v'erano solo le specie selvatiche. Prima? Quando ? Certamente prima della comparsa dell'uomo, cui doveano servire di nutrimento. Ammettiamo pure che il prima e il poi siano soltanto logici, come si accorda questo col concetto dell'unit della vita affermato poco dopo ? Ogni graduazione va a soqquadro, e le spiegazioni che d il Gaye (o. e. pp. 169-70)
(1)
Cio
la
come
340
vere, a ragione
si
// Timeo.
pu
e questo del quale ora parliamo partecipa appunto della terza specie di anima, quella che
namento n
s
di
(1) 8 ti irep fiv (aerdaxr) toO lf\v aov uv fiv Iv kt) XyoiTO. Ho usato la parola animante per conservare o
non guastar troppo la esattezza del testo: pi semplice pareva dire che ci che partecipa della vita, perci vivente; per dire che una pianta vivente non c' bisogno di giustificazione: viceversa dire che una pianta animale per noi pi forte che dire che un Iujov, quando ujov deriva appunto da Zrjv. Questa differenza
ma
etimologica ad ogni
esatta dell'originale.
modo rende
Il
la
traduzione
meno
concetto di anima non in greco ancora ben separato da quello di vita, della quale Platone ammette qui implicitamente l'unit, cos che le vite singole ne sarebbero singole manifestazioni. L'anima delle piante in un certo senso ammessa anche dalla
filosofia scolastica:
concede
scienza.
auf)
b'
Dante, Par. VII, 139. Platone dunque alle piante l'anima sensitiva; nega loro la coicrreXe
t^v uv
o(Kia xpr\oanvvJ, tujv citoO ti XoYiaaaai KcmvTi qpaiv o TrapauuKev )*i lveoic,. Si suole intendere
(Stallbaum, Martin, Mueller, Jowett, Archer-Hind) che le piante si rivolgono bens su s stesse e in s stesse (circolazione dei succhi) e respingono il moto che venisse dal di fuori, per altro non possono conoscere
la loro
perch poste le premesse non si vede come se ne derivi questa conseguenza. Che se il Martin la spiega nel senso che le piante non potendo cambiar posto non hanno bisogno dell'intelligenza, che sarebbe necessaria per dirigersi, pi vero parrebbe il dire che secondo Platone le piante, appunto perch non hanno questa intellitutto
genza, furono piantate immobili. Ad ogni modo io ritengo che OTpaqpvTi ... auT non possa avere altro significato
Capitolo
XXXV.
non
gli
341
ha concesso,
rivolgendosi in s stesso e su s stesso, respingendo il moto esteriore e usando solo del suo
proprio,
di
ragionare
sue
conoscendone la natura. Perci esso vive bens e non diverso da un animale, ma piantato fermo e radicato appunto perch privo della facolt di muoversi da s stesso.
XXXV.
Or poich ebbero prodotto
essi superiori
per nutrimento di noi inferiori, il corpo nostro stesso provvidero di canali, scavandoli
come
si fa
come
da principio scavarono due canali nascosti sotto a dove la pelle aderisce con la carne, cio le due vene dorsali (1), come
dal fluire d'una sorgente.
che quello solito del moto ad un modo, e che del resto tutta la frase debba intendersi negativamente al pari di kcitivti, col quale anche axpacpvTt ktX. sintatticamente coordinato: in forma analitica equivale dunque a dire che la stessa generazione delle piante, cio il modo con cui furon create, non concesse loro di rivolgersi in s stesse e di avere coscienza di s; esse non
respingono il moto esteriore, ma lo subiscono: e ci confermato anche da ci che segue. La interpretazione che ho accolto quella data pure dallo Zeller (o. c, p. 865, n. 5). La variante qpffei per qpaiv, sebbene data dal codice pi autorevole e adottata da qualche editore, da rigettarsi perch sarebbe tautologica con fveav;. preferibile poi far dipendere qpffiv da KctTibvn, che altrimenti resterebbe campato in aria, anzich da uapa5
LUKEV.
(1) bvo qpXPcu; reuov. Platone non conosceva la teoria della circolazione del sangue, e perci bisogna badare
342
//
Timeo.
sinistre.
doppio era il corpo, che ha parti destre e parti Queste vene essi le diressero lungo la
spina
comprendendo
e
in
mezzo
il
midollo genitale,
affinch
questo fosse
quanto pi possibile
d' alto in basso, ren-
omogenea
l'irrigazione (i).
Dopo
di
ci
corpo e
la testa,
di nervi in giro
per
di
e affinch del
trasmessa a tutto
il
corpo.
Quindi disposero
poco
egli non distingue le vene dalle chiama invece i canali della respirazione: ora se per questi potremo sostituire per chiarezza altri nomi tecnici, non possiamo regalare al filosofo delle distinzioni ch'egli non conosce, e poich qui dice due vene, due vene diremo anche noi, sebbene una sia un'arteria.
a non
fraintendere:
arterie, e arterie
(1) S' ha da intendere, come del resto chiaro, che l'inaffiamento del corpo avviene per mezzo di queste vene, e non per mezzo del midollo genitale, come ha inteso qualcuno. Che poi questo inaffiamento avvenga solo dall'alto al basso, non affermazione che la scienza
nostra possa riconoscere per esatta. (2) Per noi chiaro che queste vene per legare la testa al corpo non possono servire, e pi chiaro ancora che non esse ma i nervi sono quelli che trasmettono le sensazioni. Sostituiamo i nervi alle vene, e la teoria platonica diventa un'intuizione della verit. (3) Tf]v bpayujYictv. Alla prima parrebbe si dovesse intendere di nuovi canali in varie direzioni, ma ci che segue dimostra che si tratta invece del modo di im-
mettere
il
Capitolo
XXXV.
343
nel seguente
facilmente, se prima
altro punto, (cio)
78
che constano di pi grandi non possono il fuoco di tutte le specie la pi minuta, onde avviene che passi attraverso
e quelle
le
minori, e che
a tutte quelle
si
bisogna pensare anche del i cibi e le bevande, quando cadono in esso, li trattiene, ma l'aria ed il fuoco, B che son fatti di parti pi piccole che non sia la sua compagine, non pu. Di queste (due specie) pertanto si serv Iddio per incanalare gli umori
lo stesso
Ora
un paavente
come
le
nasse
(1),
(1) irXY.ua li po? xa -rrupt; oiov ot Kupxoi Euvuqpr)vuevoq, oittX Kax xi>iv ei'aobov ^Kprta 'xov, iltv exepov au TrXiv trrXeEe ixpouv al rr xwv YKupxiuuv br\ iexeivaxo oiov oxoivouq kkXuj i Travxq Trp<; x axaxa toO TtXYuaxo<;. x uv ouv "vov ex Ttupq auveaxnaaxo xoO TtXoKvou rravxa, x ' YKpxia ko x kuxoc; epoeior, Kal XafSwv ax Trepiaxrio-e xuj TrXaaGvxi Sujlu xpttov xoive. x juv xujv yKupxiuuv eie; x axua ue9f)K ittXoO o vxoc axoO Kax uv xq pxn.piai; d<; xv TtXeiaova KaGrjKe waxepov, x ' eli; xi>)v KoiXiav irap x;; pxnpiaq. x b" 'xepov oxiaaq x upo<; Kxepov Kax xoq xexoc; xf|<; piv<; dqpf|K koivv, uiaB' xe un Kax axua I01 waxepov, Ik xoxou Ttvxa Ka x Ket'vou peuuaxa vaTrXr)po0a8ai. x ' XXo kxo<; xoO Kpxou -rrep x a)|ua aov koXov i*)|uujv -rrepicpuae, Kai -rrv bf\ xoOxo xox uv de, x fKpxi Suppev uaXaKx;, are pa vxa, Ttoinoe, xox vappev uv x fKupxia, x TrXyua, uX vxo<; xoO aiiu.uaxoc, uavoO, eaOai eiatu i' axoO Kal TrXiv eEuj k. x. X. questo uno dei luoghi pi difficili di tutto il Timeo, sebbene la lezione del testo sia certa e se ne abbia un esteso commento di Galeno, del quale era conosciuta soltanto una traduzione latina fino a che nel 1848 fu scoperto dal Daremberg il testo greco. Questo
314
alla
//
Timeo.
di questi
Da
questi sacchi
testo non l'ho potuto vedere, ma poich sul suo senso gl'interpreti non hanno dubbi, spero bene che questa mancanza non mi sar cagione di alcun errore. Galeno stesso adunque riconosce che sono cose uavnr Te kci &apnxa ed anche per ci la spiegazione sua non da accettarsi a occhi chiusi. Secondo questa interpretazione, accettata in
:
sostanza anche dal Martin, dal Jowett e dall' ArcherHind, il kto<;, cio la parte esteriore del iiXrua, di cui qui si parla, e che detta epoeif, sarebbe lo strato d'aria in contatto con tutta la superfice esteriore del corpo umano; e in questo senso si direbbe che il creatore Xc$d)v auro irepiarncfe Tip irXaaGvTi Zibuj, che in quel rcepiaTriae sta il fondamento pi saldo dell' interpretazione galeniana. Ma tale interpretazione affatto inattendibile, sia perch di questo strato d'aria manca ogni possibile delimitazione, essendo esso della forma che riceve affatto passivo, e l'aria esteriore come vaso del corpo inconcepibile; sia perch o le parole t ' fiXXo kto<; toO Kupxou Trepl t oifoua Saov koUov i^ulv irepiqpuae indicano che questo vaso dentro del corpo (irepiqftjae, come TrepiOTuoe, significa solo disposizione intorno, e nulla vieta che questa sia interna anzich esterna), o le parole aov koTXov non hanno senso comune. Per qual ragione infatti l'aria dovrebbe essere intorno al torso del corpo e non intorno a tutto il corpo?
Peggio: non solo il kto<; epoeic;, ma anche t yKup-na. Ora, comunque questi YKpTta si vogliano intendere (e li intendono per le cavit toracica e addominale), avremmo la assurdit di un apparato di cui una parte sarebbe reale, t yKupTia, e un'altra meramente e malamente immaginaria. N molto pi attendibile la spiegazione che danno del fuoco che costituisce t vbov toO TtXoxdvou #TTavTa, intendendolo per " il calore vitale contenuto nel sangue e pervadente tutta la sostanza del corpo tra la pelle e la cavit interna (Archer-Hind). Se il ktcn; l'aria esterna, il corpo t vov, e su ci non pu esser questione ma domando io se si pu credere che Platone pensasse essere il corpo, e specialmente le sue pareti esteriori, composto di fuoco. Pi oltre, parlandosi della respirazione, detto che non solo il fuoco, ma anche l'aria entra ed esce attraverso il corpo (bla |uavwv tujv aapkujv, p. 79 C iK vTOq toO auO|uaTO<; uavoO), e di sopra
:
Capitolo
XXXV.
La
345
distese poi
tutto
fino
come
all'estremit
nassa.
parte
abbiamo
passare
visto che un tessuto di altri elementi lascia uno di fuoco non lascia passare fuoco, gli altri elementi; del ventre anzi detto (p. 78 A) che
il
ma
pu contenere bens
e
il
l'aria
non potrebbe attraversarle. Pi attendibili pajono perci le interpretazioni che riferiscono l'apparato qui descritto all'interno del corpo nostro tale quella dello Stallbaum, e tale pure quella succinta del Ritter, Platons Dialogo, Inhaltsdarstellungen, I, pp. i34~35Questo irXTua infatti, secondo lo Stallbaum, non altro che tutto l'apparato dei polmoni stessi con l'esofago e la trachea: esso nel suo complesso raffigurato come
:
i cibi e le bevande, ma non l'aria fuoco o.uiKpoueptfTepa VTOt T H<; aTfK Suoxdoeuj?: dunque se le pareti esteriori del corpo fossero di fuoco,
una nassa (Kupxoq) con due imbuti, YKpria: Galeno intende invece per nasse anche questi: uoiov ^v tj M6TdXuj, uixpv , e possiamo in ci acconsentire. Questi
imbuti pertanto o sacchi, come preferisce Galeno, sarebbero appunto, secondo lo Stallbaum, l'esofago e la trachea, e quello di essi che biforcato sarebbe la trachea, che si divide appunto in due bronchi: i giunchi poi (oxovoi) che si stendono fino all'estremit dell'apparato sarebbero le ramificazioni dei bronchi intese a distribuire l'aria per tutto il polmone. Ma anche questa spiegazione incontra delle difficolt poco dopo, quando si dice in che modo questo apparato fu applicato all'uomo: t |iv tjv YKupriwv etq t o"tuci ne8fKe non pu significare se non " l'uno dei sacchi, e non gi perifrasi per x YKUpna, come lo Stallbaum vorrebbe, o per tutto il complesso del TtXKavov, come credeva Galeno, sia perch le forme grammaticali hanno un senso naturale che non si pu alterare senza una ragione di evidenza, sia perch a questo corrisponde t b' gxepov tre linee dopo, e se quest'ultimo il secondo sacco, nel primo membro non possono essere compresi tutti e due. Questi due sacchi o imbuti, secondo appare chiaro qui dove vengono adattati all'uomo, mettono capo l'uno
nella bocca, l'altro, diviso (oxioac,
i-TrXeEe
(Kpouv), nei
due canali del naso, il che non torna con la spiegazione dello Stallbaum, che parla dei bronchi, i quali
tutt'al infatti
pi potranno
Timeo
soggiunge che quello della bocca doppio e l'una parte scende per la trachea nel polmone, l'altra
346
// Timeo.
tutta di fuoco,
sacchi poi ed
il
vaso di sostanza
lungo la trachea, cio per l'esofago, nel ventre; l'esofago quindi e la trachea, secondo la lettera del testo, sarebbero, non i due imbuti dello Stallbaum, ma due sezioni parallele dello stesso imbuto o sacco, il quale perci detto ittXoOv, mentre l'altro, quello del naso, soltanto ixpouv. Quindi Platone descrive la respirazione: aveva detto prima che la parte interiore di questo complesso era fatta di fuoco e quella esteriore di aria: l'aria dunque ora fluisce ora rifluisce per gli imbuti nei polmoni, il fuoco interno segue esso pure suo movimento, e tutto l'apparato respiratorio ora il scende ora sale entro il nostro corpo, essendo questo cedevole: la frase u<; vtoi; toO awiuaToi; uavoO si ha da riferire quindi col Martin al corpo nostro, e non con lo Stallbaum a quello del TrXyua, sia perch il senso logico
preferisce la t TtXYiia,
altro
prima interpretazione,
tb<;
vtoc;
toO
ou[)|ucito<;
semplicemente t b irXYua 6v uavv, non potrebbe avere scopo che quello di non voler farsi intendere. E notisi che veramente non si parla mai di questo irXfua come cu' un auJua, e che, se lo dovessimo prendere veramente e realmente per qualche cosa di materiale, non si potrebbero eliminare delle gravissime incongruenze. Infatti dove si parla del modo con cui questo apparato fu applicato al corpo, i due termini non restano sempre ben distinti: dice che Iddio fece discendere una parte di questo apparato per la trachea ed un'altra per l'esofago; mentre l'esofago e la trachea sarebbero essi stessi parte dell'apparato che si descrive. Le difficolt di questo luogo sarebbero dunque per questo rispetto insuperabili, ed io non trovo che ana sola via per uscire da questo intrico. Platone, io credo, non intende parlare qui dell'apparato polmonare e dei
ma solo degli elementi di aria e di fuoco che animano questo apparecchio e che da esso prendono forma. E a creder ci mi persuadono alcune espressioni, che non possono essere poste a caso. Che la parte interna di esso consti di fuoco (>c m)p<;) e i sacchi e il vaso siano di aria (E po<;, e poi epoeif), e poi fix pot 6vto) detto pi insistentemente che non convenga a indicare la semplice costituzione elementare d'una cosa effettivamente solida. Oltre di ci in nessun luogo questo apparato o alcuna parte di esso viene idensuoi accessori,
Capitolo
XXXV.
347
modo
con alcun organo del corpo, ma ciascuna parte la applicare invece, come abbiamo visto, agli organi del corpo ch'essa dovrebbe rappresentare. Qualche frase poi non la si. pu assolutamente n spiegare n intendere se non a questo modo, come quella dove si parla del doppio imbuto per il naso, la ragione del quale si asserisce esser questa espressamente, che, quando l'altro non passi per la bocca (un. kotc atua \o\ Odrepov), possa supplirvi questo. Se qui si fosse trattato di un vero canale, si sarebbe previsto il caso che fosse ostruito: si prevede invece quello che non passi per la bocca; non si tratta dunque di un organo corporeo, ma di una corrente, un fluido, qualcosa insomma che ha da passare per un organo. C' di pi. Questo apparato detto espressamente che entra nel nostro corpo wc, vto<; toO owuaroc; |uavoO. E per non equivocare nell'intendere questa frase, ritornisi un po' indietro (p. 78 A), ove detto a che scopo questo apparato fu fatto da Dio. Il ventre, dice, non pu trattenere (o arerei) n aria n fuoco, che sono pur necessari per la concozione dei cibi e per farne nutrimento del corpo: bisognava dunque provvedere quest'aria e questo fuoco e provvederli in modo che si rinnovassero costantemente, poich nel ventre non si potevano fissare, e questo fu fatto per mezzo della respirazione, che come dire per mezzo di questo apparato. L'aria e il fuoco si insinuano dunque nel ventre (i ir\^ KoiXiac, p. 78 E), e aria e fuoco, detto espressamente, sono il tt\Yua in
tircata
si fa
discorso.
E questa spiegazione consentanea anche con ci che segue poi, ove ancor pi analizzato il fenomeno della respirazione: l'alito uscendo sospinge l'aria esterna, questa alla sua volta dell'altra e via via in giro fino a riempire il luogo lasciato vuoto dall'espirazione una ruota: ma quale secondo Platone la sua posizione iniziale? Aristotele {De respir. cap. V a met) censura questa teoria appunto perch per essa bisogna ammettere la KTtvon anteriore alla e^Ttvori, e questa volta ben chiaro che Aristotele non fraintende. Platone muove dal presupposto che originariamente l'aria e il fuoco che danno occasione a questo fenomeno siano nel corpo dell'uomo, quindi parte del suo essere: cfr. p. 79 D. La
:
3|8
// Timeo.
seguente.
Uno
ed essendo esso doppio, fece scendere l'una parte per la trachea nel polmone e l'altra lungo la trachea stessa nel ventre; il secondo sacco poi, dopo averlo diviso, ne fece passare l'una e l'altra parte per i canali del naso, in comunicazione col primo, cos che quando quello non andasse per la bocca, si potessero compiere attraverso di questo anche tutti flussi dell'altro. L'altro grosso della nassa poi lo applic alla parte cava del nostro
i
corpo,
fatti di
confluire verso
aria,
e talora
il
il
paniere, essendo
scender dentro di esso, e talora di nuovo salir fuori, e i raggi del fuoco interno che gli son collegati seguirlo secondo l'aria va in un senso
o nell'altro, e questo non cessar mai di ripetersi che l'animale mortale stia insieme. Ora a questa cosa colui che pose i nomi diede quello di
fino a
inspirazione ed espirazione; e tutta questa funzione attiva e passiva nel nostro corpo si esercita
eh' esso ne sia irrigato e rinfrescato e possa nutrirsi e vivere. Perocch ogni quindi qual volta, entrando e uscendo il respiro, anche
in
modo
concezione popolare che la vita consista nel respiro, che nella morte l'anima esca dalla bocca
(vbpc,
b.
ijjux^I
-rre
ou6' Xexn,
pur viva ancora, in questa respirazione comincia per il movimento del fuoco e dell'aria interna e propria dell'uomo, si capisce meglio che cosa possa essere questo
riappare
teoria.
modificata,
ma
Se pertanto
la
TTXyua.
Capitolo
XXXVI.
349
il
gli
collegato lo segua, e
continuo alzarsi ed abbassarsi entri per il ventre e venga a contatto dei cibi e delle be- 79 vande, li squaglia, e dividendoli in briciole li
nel
conduce attraverso le uscite per le quali esso passa, come da fonte in canali riversandoli nelle vene, e fa scorrere come si fa per un burrato i fiumi delle vene attraverso al corpo.
XXXVI.
Ma
tale
zione, per
consideriamo di nuovo il fatto della respiramezzo di quali cause sia esso divenuto quale ora . (Avvenne) dunque cos. Poich
non esiste alcun vuoto da potervi mai entrare al- B cuna delle cose che sono in movimento, e l'alito pur da noi spinto fuori, chiara a chiunque la conseguenza, che (cio esso) non (esce) nel vuoto,
caccia di posto l'aria vicina, e questa urtata ne caccia dell'altra e via di seguito, e cos necessariamente sospinta in giro tutta fino di nuovo al posto d'onde l'alito uscito, entra ivi e lo riempie tenendo dietro subito all'espirazione; il che avviene tutto insieme come di una ruota che mossa in giro, appunto perch vuoto non ce n'. Per la qual cosa l'apparato del petto e del C polmone, quando lascia uscir fuori l'alito, di nuovo
riempito dall'aria che circonda
il
ma
corpo
(1)
ed
(1) Questa espressione, e analogamente altre parecchie, dimostra come intorno al corpo non c' bisogno di presupporre alcuna aria speciale, o immaginaria veste di aria, che non sarebbe che un inutile ingombro, bastando a tale ufficio l'aria solita.
F baccaeoli,
II
Timeo di Platone.
30
350 ->
//
Timeo.
entra e si insinua attraverso la rarit delle carni (i); viceversa poi, ritirandosi l'aria e uscendo fuori traverso al corpo, spinge dentro il respiro per il
passaggio della bocca e delle narici. E la causa perch questo cominciasse da ammettere sia la seguente. Ogni animale ha il suo proprio interno
presso
vi
sangue e alle vene caldissimo, come fosse una sorgente di fuoco, ed ci che abal
biamo rassomigliato
dicendo che tutta
la
all'intreccio
di
una nassa,
quanto
mezzo
sta
contesta di fuoco,
fuori,
mentre
il
resto,
di
di
aria.
Ora
il
calore secondo
(i)
Posto
il
principio
che
il
veva escludersi
l'alternativa
di
nostro corpo; e Timeo Locro, p. 101 E, dell'escluderla adduce anche una ragione, che Platone non d, cio che se il vuoto ci fosse, il corpo nostro non starebbe insieme, perch il vuoto lo dividerebbe. Ma se si ammetteva che l'aria vi entri e ne esca solo per mezzo della respirazione, ne veniva che il corpo sarebbe stato a intervalli pieno di essa e a intervalli vuoto. Perci Platone ammette anche una specie di respirazione cutanea, cos che, quando avviene l' inspirazione per i polmoni, contemporaneamente l'aria esca attraverso le pareti del corpo, e quando avviene l'espirazione, essa vi entri per le stesse vie, cos che nel corpo l'aria vi sia costantemente nella stessa misura. Spiega poi come ci possa aver luogo nel corpo umano calore, perch c' fuoco, il fuoco tende per sua natura a salire
:
"
L dove
quindi esce per la respirazione o per i pori, e quando esce da una porta, per l'impulso circolare di cui si detto, l'aria spinta dentro dall'altra. Allora, mentre uscendo il fuoco nell'aria esterna si raffredda, l'aria entrando nel fuoco interno si riscalda ; e cos per questo riscaldamento il fuoco interno, come simile a simile, si volge da quest'altra parte e ne esce, producendo insieme l'impulsione dell'aria dalla parte di prima, e cos sempre di seguito.
Capitolo
XXXVII.
351
una
nel fuoco
cadendo mentre ci che esce si raffredda. Viceversa, come il calore cambia di posto
e questo sospinto
si
riscalda,
la
regione vicina
di
all'
altra
uscita
divien
di
pi pi
calda,
nuovo
il
calore,
propendendo
la
da quella come
tirato
verso
propria
natura,
sospinge ci che dalla parte opposta. E questo patendo e ricambiando alla sua volta continua-
mente del
pari,
fa cos
razione
(1).
XXXVII.
Ora a questo
stesso
modo
si
possono indagare
le
cagioni dell'azione delle coppette mediche e quelle 80 della deglutizione, e quelle del moto dei corpi lanciati, sia di quelli
che vengono
come pure
" La ruota non si muove in una rivoluzione con(1) tinua, alternatamente descrive prima un semicerchio in avanti, poi un semicerchio indietro usque ad infini-
ma
tuii
(2)
(Archer-Hind).
la teoria dell'impossibilit del vuoto e quella conseguente dell'impulsione circolare (irepiiuaic;) Platone spiega una serie di fenomeni diversi ch'egli enumera. Plutarco {Quaest. Plat. VII) ci d il miglior commento di questo luogo, mostrandoci in qual maniera fatti cos
Con
352
//
Timeo.
quelli
che ci appariscono che acuti o gravi, i quali talora vengono in dissonanza per la disformit del movimento che fanno nascere in noi, e talora in accordo per l' uniformit. Perocch ai movi-
(i), e
quelli
diversi possano derivare da una causa sola. Anche il falso Timeo di Locri, pag. 102 A, ne accenna due, le coppette e l'ambra, e vi aggiunge qualche dilucidazione. Ci ha per noi in gran parte soltanto interesse di curiosit; notevole per altro la negazione dell'attrazione nel caso dell'ambra e del magnete, tanto pi notevole in quanto l'attrazione pure uno dei presupposti della cosmogonia platonica, ancorch limitata a quella del simile al simile. Del resto l'azione delle coppette la spiegano cos l'aria sotto la coppetta si riscalda, si diper la Trepidai!; gli lata ed esce per i pori del metallo umori sono attratti nel vuoto che rimane. E la deglutizione a questo modo: dato il primo impulso a inghiottire, l'aria sospinta in gi dal boccone sfugge per i pori, e per la tTepiioon; torna a premerlo di sopra ed ajuta la spinta di prima. La spiegazione del corpo scagliato ammessa anche da Aristotele {Phys. Vili, io, 5) con poche varianti, ed questa: un oggetto lanciato continua nella direzione presa, perch l'aria che esso fende si piega dietro di esso e lo continua a spingere: nel vuoto invece esso cadrebbe subito vertical: :
mente.
(1) Qui si ribadisce l'erronea teoria sulla propagazione del suono accennata a pag. 67 B (cfr. pag. 311, nota 3"). Quanto al principio della -rreptujai<;, questa applicazione per un certo rispetto meno lontana dal vero che non sia quella degli esempi citati: il suono infatti si propaga per l'aria per efftto del propagarsi successivo dell' impulso da un'onda all'altra, e non gi perch le particelle dell'aria che prime lo ricevono si trasportino attraverso alle altre nella direzione dell'impulso ricevuto Non si vede per altro che c'entri il moto ritornante in s, che chiaro negli altri casi, e la spiegazione, che d Plutarco (1. e), del suono rapido che giunto prima si rigira e torna a raggiungere il pi lento, troppo campata in aria, e pare anzi contraddire ci che qui dice Platone,
Capitolo
XXXVII.
353
menti dei suoni pi veloci e che arrivano prima suoni pi tardi sopraggiungono mentre quei i movimenti stanno per cessare e per convenire
oramai in uniformit appunto con quelli onde essi B suoni che vengon dopo li agitano; e (per tal modo) sopraggiungendo non li turbano con l'aggiungervi un movimento diverso, ma, adattando un principio di
moto pi
che pur finisce col farsi ad esso uniforme, compongono dell' acuto e del grave un' impressione unica, onde procurano dilettazione a chi non
ma ai pensatori un godimento intellettuale per l'imitazione che della divina armonia (i) si
pensa,
ottiene
nei
quanto allo alla caduta dei fulmini, e alle meraviglie dell'ambra e del magnete nell'attrazione (2), in nessuna di queste cose mai c' potenza di attrarre: invece a chiunque ricerchi metodicamente ap-
cos
tutte, e
anche ancora C
(1) la dottrina pitagorica del rapporto tra l'armonia musicale, quella delle sfere celesti e quella dell'anima. Cfr. pag. 35 sgg. e le note relative. Cfr. pure l'ultimo mito della Repubblica, X, pag. 617, ove si parla del fuso dell"AvYKr) e dei suoi otto giri concentrici, i quali sono gli otto cieli, e si dice che su ciascuno siede una Sirena che canta in un sol tono, e di tutte le otto cantakkXujv axoO tti b twv trici si fa un concento solo fivuuGev qp' KaaTou f5ePn vai leipfjva aujLnrepi(ppo|uvnv, * uaaujv b ktj oawv <pwvi>)v |uiav ietoav, 'va tvov
:
(2)
Lo
scagliare delle pietre. L'ambra, secondo Plutarco (1. e), contiene in s qualcosa come aria o fuoco, che quando
a pag. 58 E.
fusi
l'ambra si sfrega esce fuori: l'aria sospinta per la iiepiwai<; sospinge gli oggetti leggeri che incontra. Analogamente per il magnete.
354
// Timeo.
primo luogo)
il
non
esservi nulla
vuoto e il sospingersi reciproco delle cose, e (in secondo luogo) l'andar tutte divise e riunite scambievolmente ciascuna al suo proprio posto,
con
l'
XXXVIII.
D
il
Or dunque
prima,
(cio)
in
la respirazione,
la si
donde prese
le
mosse
nostro discorso,
ottenne,
come
stato detto
questo modo (i) e con questi mezzi, fuoco sminuzza gli alimenti e nel tener dietro al respiro, che di dentro si eleva (2), per questo suo accompagnarsi all'elevazione su dal ventre riempie le vene col travasarvi di l gli
il
alimenti
tritati
per
tal
modo
le
sorgenti della
gli
nutrizione
irrigar tutto
(1)
(2)
Leggasi kot TaOxa e non KctT rai. tuvovtcn; uv x atrio toO rnjpc;, ahupouuvip
Tip
TTveu(aaTi
bk
Suveirouvou. La tradizione m?noscritta ha <xtujpou|uvou, ed aiupouuviu emendamento dell'HERMANN, accolto dall' Archer-Hind e dal Mueller nella sua versione: l'emendamento accettabile perch lievissimo, toglie la confusione che nasce dai due participi genitivi aiuupouuvou e Euveirouvou, e si accorda
vxt;
meglio con
l'elevazione
tuvaujOpriaiq.
(3)
ci
del
Strippino Yyove. Il cod. ha yefovvax, tenuto dallo y^Tove, accettato dall'HERMANN e dalI'Archer-Hind, bench meno accreditato dai manoscritti, giova meglio al senso.
Stallbaum;
ma
Capitolo
XXXVIII.
355
fresco ed ha
la
natura delle
sia
sostanze da cui
,
deriva
sia
delle frutta
dell'erba
le
quali
Iddio piant per questo appunto, che ci dovessero servire di nutrimento, (questo tritume, dico,) conserva dei colori per causa della commistione svariatissimi,
ma
il
copia
si
dotta dall'incisione del fuoco e dall'impressione (che ha lasciato) nel liquido (i) di qui il colore
:
corpo ebbe l'aspetto che E questo chiamiamo sangue, abbiamo descritto. pastura delle carni e di tutto quanto il corpo, dal 81 quale tutte le membra attingendo riempiono i
di ci
il
avviene
cosa
mento
il
secondo
quella
quale
ciascuna
portata verso
Perocch le cose che ne circondano di fuori continuano a consumarci e a distribuire (ci che ne tolgono) rimandando alle singole specie quanto a loro conforme; e cos alla lor volta dentro di noi le parti sanguigne che sono sbriciolate e circondate dalla struttura di ciascun animale, come noi siamo B dal cielo, sono costrette ad imitare la tendenza dell'universo. Cos che, movendosi verso il suo simile ciascuna delle cose che entro sono sminuzzate, ci che si vuotato si riempie di nuovo; e quindi ogni qualvolta ci che se ne va sia di
della
sua
stessa natura.
pi di quello
che
soprarriva,
tutto
perisce, e
(i) tt<;
toO uupoO
TO|un<;
Te
KCti
SoupSewc;
v
il
oypuj
ebriiuioupYnf-'vri
qpuair,.
Anche
pag.68 B
raggio
del fuoco che si mescola all' umidit dell'occhio color rosso, 'che detto pur l XP*M vaiuov.
il
356
// Timeo.
quando quando
di meno, tutto cresce (i). Pertanto complesso dell'animale sia tutto nuovo triangoli freschi come appena e abbia ancora
sia
il
i
venuti dal
allora
esso possiede
un grande vigore di connessione delle singole parti tra loro, mentre tutta la massa pur molle, come nata recentemente dal midollo e
nutrita nel latte (2) e cos quei triangoli che (esso complesso) in s riceve e gli vengono dal di
;
fuori,
dai quali
cibi e le
so-
verchia tagliandoli coi suoi nuovi, e rende grande l'animale (3) nutrendolo di molti elementi somi-
(1)
Le cose esterne
:
ci
ci che loro somiglia per la legge dell'attrazione dei e analogamente avviene di dentro. Noi siamo simili
tanti
microcosmi, e seguiamo leggi analoghe a quelle del cosmo grande: quindi ci che per il corpo nostro il cielo (cio le cose esteriori), alla sua volta il corpo nostro rispetto agli elementi che vanno a costituire il nostro sangue: il corpo attrae a s questi elementi, cio se ne nutre. Ma se ne nutre, come dice subito dopo, finch ha la forza di attrarli; e perci fino a che l'acquisto supera o compensa la perdita. Per non equivocare nell'intendere questo luogo bisogna tener sempre fermo che il soggetto logico e principale il corpo nostro, e che perci, quando si dice che le cose sbriciolate (noi diremmo digeste) di dentro a noi vanno rrpcx; t EuYTevc;, si intende il EuYYv<; che nel corpo, e quando si ragguaglia questo incremento a ci che se ne va, si intende sempre ci che se ne va dal corpo per il consumo prodotto dalle cose esteriori, di cui ha
detto da principio.
(2)
Insieme con
la nutrizione
spiega anche
il
crescere
dell'animale.
(3) Kal uya irepT alerai t Zujov. Chi bada che il soggetto grammaticale sempre EOoTaau; toO ttavrc; ibou non pu non notare l' irrazionalit di questo concetto che rientra in s stesso: ma chi legge senza fisime e
Capitolo
XXXVIII.
la stirpe (2)
357
di quei trianmolte lotte che in molto tempo contro molte cose ha avuto a lottare, ecco che non possono pi tagliare quelli della nutrzione che entrano, in modo da conformarli a s stessi; essi stessi anzi da quelli che sopraggiungono di fuori facilmente sono divisi. Deperisce
glianti (i).
Ma quando
le
goli
deperisce per
modo,
questo
accidente
poi,
i
si
i
mente
sieme
quando
non resistano pi, fanno rallentare alla loro volta i legami dell'anima, ed essa, ottenuta la sua naturale liberazione (3), se ne vola via con piacere.
lascia trasportare dalle alterazioni e modificazioni che quel primo concetto ha subito nel suo svoigersi, nulla trova a ridire e vi sostituisce tacitamente il soggetto pi vero, che la somma di tutte le dette mosi
dificazioni.
suo simile, perci la nutrizione di elementi simili all'organo che si nutre: ci ricorda la omeomeria di Anassagora, e inteso in senso molto largo non dissente troppo dalle dottrine della scienza moderna. " la (2) n. iu Tiiv xprfiijvuuv xa\. Il Martin traduce: pointe de ces triangles s'mousse, ma non credo si possa difendere: I'Archer-Hind intende la struttura fondamentale dei triangoli, il loro contorno, i loro lati ed angoli, che si frustano col lungo uso. Io col Mueller, che traduce " die ursprunglichen Dreiecke, credo si devano intendere semplicemente i triangoli originari dell'individuo. {>ila esattamente stirpe, e qui come dire i triangoli di quella razza, cio quelli propri della natura umana. " renfe \u6e!aa Kccr cpaiv. Il Martin traduce (3) due sa libert naturelle, ma s'inganna. Ci che segue non permette di dubitare che qui si parli dello scioglimento naturale dell'anima dal corpo, poich si aggiunge che, appunto perch naturale, non doloroso.
(1) Il
simile cerca
il
J )
358
11 Timeo.
Perocch tutto ci che contro natura doloroso, ma ci che avviene secondo natura piacevole. E allo stesso modo della morte; quella che capita per malattie o per ferite dolorosa e violenta, ma quella che con la vecchiezza va
al
la
men
travapia-
accompagna
XXXIX.
formino pu essendo
Quanto
alle
malattie,
donde
sia.
il
si
esser chiaro
a chi
che
Perocch,
aria,
corpo compal'abbondanza o la scarsezza di queste cose contro natura o il cambiamento di luogo che avvenga dal loro proprio ad uno loro mal confacente, o ancora
acqua ed
il
uno
in s (1)
una qualit
re au xa tuv xpuuv, irein Yvn irXeiova vra TU-fxva, t \x\ Trpoaf|xov gxaaTOv auTuJ irpoaXaufldveiv, xa Trave" aa ToiaOra, axaac, xa vaou; irapxei. Durissimo ed impossibile il costrutto dello Stallbaum (seguito dal Mueller nella versione): " twpxei (UaTe) ^kootov irpoffXaiupaveiv au-nl) t ui>i irpoatKov xal -rrve' aa ToiaOra (rrapxei), quibus explicationis causa subjunctum oxotic, xal vaou;. Infatti anche il te che segue a Ttupt; indica che qui continua la serie delle cause di malattia che era cominciata con totuuv
(1) irupi;
v<;
l'i
irap
cpuoiv
TrXeoveSia. le
Male anche
les
il
Martin:
"
et
autres ont chacun plus d'une espce, les changements par lesquels ils prennent une qualit qui ne leur convient pas, ecc.: dove si
aussi,
puisque
feu
et
introducono les changements di cui il testo non parla, cos che si dovrebbe intendere che il fuoco si possa
Capitolo
XXXIX.
sia di
359
che non
gli si
convenga,
fuoco
sia di altra
specie (poich di ogni specie vi sono pi qualit), queste e altre tali (sono le cause che) producono
turbamenti e malattie. Infatti quando si produce o si trasporta una di queste cose contrariamente a natura, (avviene che) si scalda ci che prima
e ci che era secco diventa in seera freddo guito umido, e cos dicasi del leggero e del grave, e in ogni senso hanno luogo ogni specie di tramu,
tamenti. Affermiamo infatti che solamente quando la stessa cosa alla stessa cosa nello stesso senso
e nello stesso modo e in proporzione acceda e se ne levi, (solamente allora) lascer che la cosa sia ancora la stessa rispetto a s stessa e integra e sana
(i).
Ma ci
condizioni sia
uscendo fuori
cambiare in un'altra qualit di fuoco che non gli con" assurdo, poich la convenienza o la il che sconvenienza nella mutazione possono essere solo rispetto a una terza cosa. Poniamo infatti un calore di 36 che si cambi in un calore di 40 potremo dire che il primo conviene al nostro corpo e il secondo no, ma non gi che al calore di 40 per s disconvenga avere 40 L'Archer-Hind alla sua volta, e con lui si accorda il Jowett, non solo cade nell'errore del Martin, ma anche leva la virgola dopo -rpwv e congiunge Yvn. irup<; -re koI tuv xpuuv, ma non mi persuade, sia perch irein verrebbe cos posposto a sei parole da esso dipendenti, senza che di ci si veda una ragione, sia perch non sapremmo pi che fare di v<;. Il costrutto : Kal t irpooXanpdveiv t \l1\ irpoafjKOv rcups, che se nel testo manca
viene,
;
.
il
t a TtpoaXci|uf3veiv, questo non costituisce difficolt a chi legge in buona fede; n d'altra parte si saprebbe dove inserirlo, se non fosse goffamente davanti all'altro t. poi di -npoaXauPveiv non n questo n Il soggetto l'uomo in generale, il paziente. quell'elemento,
ma
si
(1)
Cio quando
360
// Timeo.
E
C
ulteriori
poich secondo natura si sono costituite delle composizioni (1), chi voglia badarvi dovr
procedere ad un ulteriore riconoscimento di malattie. Perocch, essendo il midollo, l'osso, la carne ed il nervo costituiti dalle specie prime, e cos pure il sangue, sebbene in modo diverso, la maggior parte delle malattie
avvengono come
tali
si
detto prima,
ma
le
pi gravi diventano
nel
che segue. Quando la produzione di queste (composizioni secondarie) avviene alla rovescia, allora esse si corrompono. Perocch secondo natura le carni ed i nervi si formano dal sangue esso) per somiglianza di il nervo dalle fibre (di natura, le carni dal resto che si coagula, e si
modo
coagula
pari
ci
come
separato
dalle
fibre
(2).
Del
umore viscoso
(1) beuTpiuv b (Stallbaum, vulg. bf\) Sutrrdoeujv k. t. X. Vuol dire che nel corpo umano il guasto pu essere non solo negli elementi primi, cio nei triangoli che co-
stituiscono le quattro specie, ma altres nelle parti che alla loro volta sono composte di questi elementi, cio nelle singole parti del corpo, come il sangue, la carne, il midollo, e cos via; come chiaro da ci che segue. In altre parole il morbo potrebbe dipendere o dalla
corruzione degli elementi primi, o dalla corruzione di ci che composto di questi elementi, cio dalla corruzione o del midollo o delle ossa o della carne o dei nervi o del sangue. Segue a dichiarare come tutte queste cose si producano regolarmente e come il modo della loro produzione possa corrompersi. (2) Questo si intende del sangue vivo e caldo nel corpo vivo: differente il caso del sangue morto e freddo, di cui parla a pag. 85 D. (3) t b rr t)v veOptuv xai aapKOv mv aO ~f\ioXpov kcx Xmapv fi)ua fiv t\v opica xoXXqt irpq Tr]v t)v cjtjv cpaiv, ax re t irepl tv uueXv cjtoOv
Capitolo
XXXIX.
361
carne sull'apparato
far crescere la
midollo
finalmente ci che
attraverso la
densit delle ossa, (ed ) la specie dei triangoli pi pura, pi liscia e pi pingue, colando e stil-
lando
dalle
il
midollo.
E E
quando
pi
si ha la salute; le malattie invece, quando all'opposto. Infatti ogni qual volta la carne cor-
rompendosi mandi
fuori
all'
incontrario
la
sua
tabe nelle vene, allora insieme con l'aria (1) c' nelle vene sangue abbondante e d'ogni specie, vario di colori (2) e di amaritudini e ancora di
acidezze e di salsedini, pieno di bili e di sieri e di ogni sorta di pituite. Perocch, andando tutte
le
cose a rovescio e corrompendosi, guastano innanzi tutto lo stesso sangue, e mentre non danno 83 pi al corpo alcun nutrimento, vengono trasportate da per tutto per le vene senza serbar pi
l'ordine della circolazione naturale (3), in guerra
Tp<pov aOSeV t b" aO ol rr\v TTUKvTr|Ta tujv otjv tn0oO|uevov k. t. X. L'Archer-Hind crede che correlativo di au.a |uv sia t b' au, il che impossibile, perch con t 6' a\> muta il dato che dovea esser comune, cio la provenienza dai nervi e dalla carne. L'umore qui descritto pare il fluido sinoviale che si condenserebbe nel periosteo.
nelle vene (1) Dunque non v'ha dubbio che Platone ammetta esservi, oltre il sangue, anche aria. Cfr. p. 84 D, dove l'eccesso dell'aria nelle vene produce morbi gravissimi.
La vulgata aveva xpwuacn ko iruKvTnai -rroiKjXXoiueerroneamente ci che segue non lascia dubbio sulla lezione iriKpTnai adottata da tutti gli editori moderni. conoscesse la circolazione (3) Sebbene Platone non del sangue, naturale che egli credesse che il suo fluire per le vene fosse pur soggetto a determinate leggi: cfr.
(2)
vov,
p.
70 B.
Fkaccaroli,
Il
Timeo di Platone.
31
362
II
Timeo.
con s stesse per non poter pi trar di s stesse alcun utile, nemiche e distruggitrici e dissolvitrici di quanto nel corpo ancora consistente e
suo posto. Quando pertanto si corrompa della carne che sia molto vecchia, essendo questa difficile a macerarsi, diventa nera per il durare dell'arsione e, fatta amara per essere da ogni parte
al
B corrosa, contamina gravemente quanto del corpo non sia ancora guasto. E qualche volta questo color nero anzich amaro acerbo, quando cio
l'amarezza alquanto attenuata; qualche altra poi l'amarezza intinta nel sangue piglia un colore ten-
dente
si
al rosso, e
se vi
si
il
mesce anche
color giallo
si
del nero,
pu pur fa verde (1): mischiare con l'amarezza, quando la carne che si corrompe per il fuoco dell'infiammazione sia
anche
nuova.
il
tutti
questi
umori ebbero
in
comune
dato loro da qualche C medico, o anche da altri che fosse capace di porre attenzione a molte cose diverse e vedere
di bile, o sia stato
nome
che
di
in esse v' una caratteristica (comune) degna un nome comprensivo per tutte le variet poi
;
secondo
il
colore
ebbero anche ciascuna un appellativo speciale. Quanto poi al siero, la secrezione acquosa del sangue mite, quella invece della bile nera ed
acerba selvatica, ove per
il
calore
si
si
mescoli a
pi-
una disposizione
salsa, e questa
chiama
ti) toO uXctvcx; totijj SuYKepavvuuvou x^oibeq. pag. 68 C detto che il rosso misto al nero d il irpaiov, che il color verde porro: questo basta per preferire qui la lezione x^owe<;, data da alcuni manoscritti, alla vulgata x^we<; (Stallbaum), tanto pi che, come bene osserva il Martin, dire che una data specie di bile color della bile, dir niente.
Capitolo
XXXIX.
363
tuita acida.
Ci
dell'aria si squaglia (1) da carne novella e tenera, fatto gonfio di vento e chiuso intorno dall'umidit, come si formano per queste condizioni
la
piccolezza,
visibile,
ma
e per il prodursi della schiuma colorate bianco, tutta questa corruzione di carne tenera mescolata con aria diciamo che la pituita bianca. Della pituita poi che si formata di fresco sono secrezione il sudore e le lagrime e quante E
di
casioni di
corpo versa fuori tutti sono ocmalattie, quando il sangue non abbondi
il
i
(1)
b'
vac,
cai
naXfjc;
veuw6vT0<; ica HuuTTepiXn<p6vT0<; tto TaTnv Ttaav irrpTTyros, xal TtouapoXuYwv EuaTaotv Trixeva ... XeuKv elvai cpXYua cpauv. H costrutto anacolutico non offre difficolt, se non fosse che all'anacoaapKq, totou
luzia t b
grammaticale pare aggiungersene una logica. Il parrebbe riferirsi a cpXYMci, l'ultima parola usata per indicar la pituita, e cos intendono il Martin e I'Archer-Hind; ma toutou b a che si riferisce? non ad poq, perch po<; ve|uuj0vTo<; non ha senso dunque a t b e a cpxyna. Ma se si capisce il cpXYua veuwev che produce delle bolle, non si capisce pi il cpXdYMa
;
nel formarsi delle bolle ci che circondato dall'umidit l'aria, precisamente come a pag. 66 A-B. Non resta pertanto che intendere il t come articolo di |uex poi; tukuevov in senso generico, senza riferirlo a cpXYua, e il totou come ripresa di questo concetto comprensivo; e secondo questo senso traducono il Mueller e il Jo-
pu essere che
YPTn<;
non
wett per tal modo il participio ve|uwevTo<; riguarda l'elemento contenuto nel Tn.K|iivov, e il EuuTrepiXnqaGvto<; quello del uex pot;, con progressione naturale; infatti prima nella putrefazione entra l'aria, poi si formano le bolle, nelle quali la parte acquosa di fuori e l'aria di dentro.
:
3|
//
Timeo.
naturalmente per opera dei cibi e delle bevande, ma riceva il proprio incremento tutto al contrario
in
onta
Pertanto, sebbene
rimangano
ridotta
ancora
84
la possibilit di
rifarsi
quando ammali
ci
non
game
dieta,
ma
di
pingue e
la
liscio
e vischioso che
mala
che
divenga aspro e
affetto in tal
modo
si
consuma da
radici
s sotto le
;
carni ed
nervi, e
le
i
carni
poi cascando
dalle
lasciano
nervi
nudi e pieni di salsedine, e ricadendo nella corrente del sangue accrescono i morbi predetti. Ma
essendo pur gravi queste affezioni del corpo, ce ne sono ancora di maggiori che le precedono (3),
(1) Cfr.
(2)
kcx
pag. 82D.
mikti
dur
S tvujv
ajuct
Ka vepaiv iroxwpi-
Zuevov k. t. X. La lezione Sua invece di aTua fu proposta dal Lindau, non accolta dagli editori successivi, ed accettata invece dall' Archer-Hind e dal Jowett: ax poi, per au x, dell' Archer-Hind, accettato dal Jowett. Credo che questi emendamenti siano sicuri: infatti ci che si secerne dalle fibre e dai nervi non punto il sangue. Ad ogni modo queste fibre evidentemente non sono pi quelle del sangue, ma quelle della
carne.
(3)
Precedenza non
ripetizione,
ma
derata
lattie
come
di gravit, che sarebbe una oziosa di origine; sia perch la carne consianteriore al sangue; sia perch le ma-
che avea enumerato derivavano da un vizio della nutrizione, e quelle che dir ora piuttosto da un vizio organico. Sono per sempre di quelle beuTpaq Euoxaaeux;.
Capitolo
XL.
365
la
densit della
carne non
dalla
avendo
sufficente
respirazione,
riscaldato
il
carie, sgretolandosi
non assorba pi
nutrimento,
ma
stesso, e
cada invece nel nutrimento esso nutrimento riversandosi nelle carni e C la carne nel sangue, rendano le malattie tutte pi maligne di quelle dette prima (1). Il peggio di tutto poi quando la natura stessa del misbriciolato
il
ammali, e questo produce le malattie pessime pi proprie a dar morte, poich allora tutta la natura del corpo che di necessit va a
si
e le
ritroso.
XL.
poi una terza specie di malattie che bisogna considerare come avente tre origini diverse, l'una dall'aria che si respira, l'altra dalla pituita, la terza dalla bile. Perocch ogni qual
volta
il
dispensiere
offra
(2),
i
entrando in maggior copia che non convenga, fa marcire ci che non riceve il refrigerio, e penetrando a forza nelle vene e cone
quindi
torcendole discioglie
il
(1) Questa chiusa tautologica col principio del periodo, che anche per altri rispetti sovrabbondante.
(2)
La
tisi
polmonare? Poco pi
oltre
pare voglia
in-
dicare le pleuriti.
3<36
//
Timeo.
sul
in
mezzo
tali
di esso
premendo
diaframma
(i)
E da
cause produconsi
(2) infinite
malattie do-
lorose accompagnate da abbondanza di sudore. Spesse volte ancora quando la carne nel corpo si separi, l'aria, che ne nasce dentro e non pu trovare uscita, produce gli stessi dolori che possono produrre le cause esterne (3), i quali poi sono grandissimi ogni qual volta essa, circondando i nervi e le venuzze che ivi sono e gonfiando i
duca una tensione all' indietro: le quali malattie appunto dal fatto della tensione si chiamarono tetani ed opistotoni. E di queste la cura difficile; infatti (solo) le febbri sopraggiungendo possono meglio di tutto por loro un termine. 85 Cos la pituita bianca per l'aria delle bolle maligna quando interclusa, e se abbia dei respiri fuori del corpo pi mite, ma rende il corpo screziato ingenerandovi empetigini e vitiligini e altre
tali
si
malattie.
Che
che sono
le
pi divine, e le conturbi, ove assalga nel sonno pi mite, ma quando insidi nella veglia pi
(1) eie, t utfov axoO iaqpp<rfua t' toxov IvcmoXajiPvexoi. Il Martin, traducendo " o est le diaphragme, pare riferisca foxov a t uaov, mentre si ha da riferire
cod. Par.
A prima di
ireipTOOTai
:
ha un
ttoXXkk;
che fu accettato dallo Stallbaum evidentemente superfluo e ingombrante, ed una svista dell'amanuense che salt al ttoXXkk; che segue e comincia il nuovo
periodo.
munemente
Cointende dell'aria che entra, ma il plurale evidentemente comprende anche le altre cause esteriori.
(3)
Capitolo
XL.
tal
367
difficile
di liberarsene.
malattia essendo di
natura sacra, molto giustamente fu detta morbo sacro (1). La pituita poi acre e salsa sorgente di tutte le malattie di genere catarrale; e poich
scarica sono diversissimi, riQuanto alle infiamnomi. ceve anche diversi mazioni del corpo, che si chiaman cos (appunto) dall'essere esso arso e infiammato, nascono tutte
i
si
respiro
di
fa pullulare
ma
pi grave
troppo caldo non scorresse come fluido fuori del corpo rarefatto (2), n viceversa per troppa densit reso diffcile a muoversi circolasse a stento nelle vene. Questa convenienza infatti conseril
per
la
loro
stessa
le
costituzione
quando alcuno
raccolga insieme
qui si adduce del chiamarsi l'esacro, data la teora sovra esposta, pi che sufficente: colpisce infatti r<; iTepibout; v xf)
di:)
La ragione che
morbo
pilessia
KecpaXr) eeioTOtTou;
ma
ad
tf\c,
anche p. 44 D. Il nome di le fu dato per questa ragione, perch il suo carattere strano la faceva attribuire l'autore del libro trep opera divina o demonica \pf\c, voaou, raccolto tra le opere ippocratee, comouaaq
:
cfr.
altro
non
batte apertamente questa superstizione. Ci che pi notevole in questo nostro luogo l'osservazione sull'epilessia durante il sonno e come questa sia pi mite. (2) La fluidit del sangue e la rarefazione del corpo sono tutti e due effetti del calore.
3<58
//
Timeo.
si
lato,
si
tutto
,
il
disf
ma
se vi
freddo circostante lo coagulano. Or avendo le fibre questa potenza sul sangue, la bile, che per sua natura
lascino
che di nuovo dalle carni ed poco, per l'azione umida e da principio a poco a E delle fibre si coagula, e coagulata e spenta a forza produce di dentro intemperie e tremore. Quando poi vi irrompa in maggior copia e soverchi col
era sangue vecchio
(i), e
suo calore,
bollendo turba
le
fibre
e le disor-
dina; e se bastante a vincere sino all'ultimo, penetrando nella sostanza del midollo scioglie di l
ardendole
di
le
gomene
dell'anima
(2),
come
si
fa
andar libera; qualora invece sia pi debole e il corpo resista alla dissoluzione, allora essa vinta, e o se ne fugge per tutte le vie del corpo, o sospinta attraverso le vene nel basso o nell'alto ventre, fuggendo dal corpo
una nave, e
la lascia
(stesso)
ma-
Quando
poi
il
carne, e la de(1) Cfr. pag. 83 A. Il sangue forma la generazione della carne forma la bile di natura morbosa. (2) Cfr. pag. 73 D. f\ kcut ttv t gujuci tireaev, f\ (3) axri Kparneetaa bi tiv qp\eP)v etq ti?]v k<tuu uvuuc9e!aa f\ t^v dvuj koiXiav, otov qpuY<; >c ttXuj<; a-raa\aaar\c, K toO oibua-rot; Kiri-rr-roucta, k. t. X. L'uso ripetuto del verbo KimrTw dimostra che la differenza tra l'un caso e l'altro non nel nella sostanza della soluzione, ma solo nel modo primo il male esce (non bene il Martin: " elle succombe ) da tutto il corpo, nel secondo esce solo per determinati canali, quasi nascostamente, e perci di questo propria la similitudine del bandito.
;
Capitolo
XLL
369
eccesso di fuoco, ne nascono ardori e febbri continue, quando per eccesso di aria quotidiane (1), terzane se di acqua, per essere l'acqua pi lenta
del fuoco e dell'aria
;
se
poi
di terra,
essendo
questa lentissima in quarto luogo e purgandosi in periodi quadrupli di tempo, produconsi le febbri
quartane, e a fatica poi se ne vanno
(2).
XLi.
malattie del corpo cos accade che si prducano, quelle poi dell'anima hanno origine dalla
le
disposizione del corpo (3), nel modo seguente. Che la malattia dell'anima sia la dissennatezza
siamo tutti d'accordo; ma di dissennatezza vi sono due specie, la pazzia e l'ignoranza (4). Ogni
Cio rinnovantisi ogni ventiquattr'ore. febbri giustamente da Platone sono classificate a parte dalle altre malattie; n potrebbero del resto ascriversi a nessuna delle tre classi gi esaminate, se non forse per un certo rispetto alla prima. Esse possono essere malattie esse stesse o sintomi delle malattie qui pare si debba intendere delle prime. (3) t irep vpuxnv bi aif-iaTOc; 2Eiv Ttje. Alcuni, come il Mueller, e, pare, lo Stallbaum, intendono che qui si alluda a quelle malattie psichiche che hanno origine dal corpo, sottintendendo che ve ne siano altre ma le parole stesse e tutto il condi origine diversa testo impediscono di credere che Platone ne ammet(1)
(2)
Le
tesse alcun' altra specie oltre quelle qui indicate. I piaceri e i dolori eccessivi infatti, di cui poi si parla, si attribuiscono a condizioni fisiche. una distinzione analoga, ma (4) Cfr. in Soph. p. 228 non identica. Timeo Locro, p. 102 D-E, ha pure intorno alle malattie psichiche delle varianti notevoli, distinguendole secondo le facolt cui si riferiscono ; e, secondo
370
// Timeo.
qualunque affezione
dire che malattia.
sivi
i
(i)
dovr
piaceri e
dolori ecces-
bisogna ammettere che sono per l'anima tra morbi pi gravi (2). Perocch l'uomo che
troppo allegro o che per tristezza nello stato contrario avendo fretta o di pigliare qualche cosa fuori di tempo o di fuggirne qualche altra,
,
colui
si
generi sperma copioso ed impetuoso, e sia come un albero pi fruttifero della giusta misura, costui
(3)
e nei desideri
o la memoria, o la volont, o o la ragione, sono disestesia, dimenticanza, anoressia ed indolenza, passioni bestiali e furori, ignoranza e demenza H> u X a vcroi v-r ttoXXci, ctXXai ' <5XXuuv uvauuuv vTi, aa9r|TiKa<; uv uaaia6n.aia, uvauovucfic; Xd9a, punriKc; vopeSia Ka TrpoTreTia, -notry TiKfic; typia iraQed re Ka Xaaax oorpibbeec,, XoyiKat; uaOia Ka Kqppoava.
toccano o
la sensibilit,
l'affettivit,
<;
(1) La mancanza in italiano di un nome e di un verbo che corrispondano precisamente a ttGo? e irdaxuj parecchie volte impediscono al traduttore di essere insieme esatto e chiaro. Qui potremmo parafrasando dire che quel qualunque stato o condizione, nel quale trovandosi uno sia di necessit insieme o pazzo o ignorante, uno stato morboso cio la dissennatezza e nell'una e nell'altra manifestazione effetto di uno stato morboso dell'individuo. (2) Questo rincara quanto detto nel Fedone, pagina 83 B sgg.
:
(3) ttoXXcu; uv Ka6' ?Kaarov iLWac;. Il Martin traduce: des douleurs trs grandes chacune en particulier; ma per intender cos bisognerebbe ci fosse kcxO' Ka-rr\v I'Archer-Hind " from time to time, che non vedo cosa abbia da fare; il Mueller: " in jeder Beziehung, intendendo tanto per l'anima quanto per il corpo; e
"
:
Capitolo
XLl.
371
piaceri
punto per questi grandissimi piaceri e dolori mentre ha l'anima ammalata e stolta per causa del corpo, non viene considerato come ammalato, ma a torto come volontariamente malvagio. Ma la verit che la intemperanza nei piaceri ve,
gran parte per le condizioni di una specie sola (1), la quale per la radit delle ossa fluisce nel corpo e lo inumidisce. E cos tutto in generale quanto si chiama intemperanza nei piaceri
e
(si
appone
(tali)
a)
vergogna,
come
(2),
se
perversi fossi
sero
volontariamente
non
appone a
lo
odiMcm
"
prime parole:
dalla
PAcri una cotale specie di umore PArcher-Hind: " la condizione di un elemento, se. tcO poco diversamente il Mueller e il Jowett ; MueXoO ma nessuna di queste versioni rende v<;. Che cosa v<; yvout;? Se una sola delle specie elementari, quale ? Non detto e non si capisce. Una (qualunque) tra le dette specie? Non si vede una sufficente ragione tra gli effetti e questa causa. O perch il midollo sarebbe 'v yvcx;? Questo vt; mi un po' sospetto gra-
qualit di
ficamente potrebbe essere la ripetizione di fvovq, che avrebbe cacciato di posto la parola adatta. (2) uaa i^ovujv tcpTeia Kai (Zeller, o. c, p. 853, propone dubitativamente kot', forse a ragione) veio<; k; KvTtuv XyeTai tujv kcikujv. Lo Schneider traduce: " quasi voluntariorum dici solent malorum, ed il Martin " qu'on reproche comme des maux volontaires. Ma senza dire che kiJuv non Kot>0io<;, il tujv impe" come disce del tutto questo senso. Bene I'Acri se malvagi egli fossero di volont loro similmente PArCHER-HlND.
: : ;
372
//
Timeo.
lont (i),
ma per qualche mala disposizione del corpo o per rozza educazione il cattivo diventa cattivo; e queste son disgrazie per tutti, e avvengono anche a chi non le vuole (2). E viceversa anche
quanto
ai
modo
l'anima riceve
molti guasti per mezzo del corpo (3). Perocch dove delle pituite acri e delle salate, e quanti i succhi
ve ne sono amari e biliosi, errando per il corpo non trovino un respiro al di fuori, ma rialtri
volgendosi dentro si confondano mescolando le 87 loro proprie evaporazioni al movimento dell'anima, producono ogni specie di malattie psichiche, ora pi ora meno, ora minori ora maggiori. E traspor-
p. 731 C: -nc, <5&iko<; ox Kv yp lueYiaTuuv kcxkiv oec; oaiaoO ov Kibv KKTr|TO dv iroxe, k. t. X- ibd. pag. 734 B. ibid. IX, pag. 860 D segg.: j<; cri koko irdvre.; eie; irvra eav <5kovt<; kcxko. Cfr. pure Gorg. pp. 466-68 Protag. p. 345 D-E; Merton, pp. 77 B-78D ; Sophist. p. 228 C, p. 230 A, ecc. Questa dottrina cos chiara, esplicita e costante in Platone come poche altre, e si pu dire che la scienza moderna gliel'ha rubata senza nulla aggiungervi di essenziale. Il fondamento di essa secondo Platone si che l'anima intelligente per sua natura buona, come quella che creata direttamente da Dio che ha fatto tutte le cose buone; e che tutta la cura noftra deve essere perci di ridurla a questo suo stato naturale e alla sua somiglianza con le circolazioni dell'universo (cfr. pag. 90 D), liberandola dagli impedimenti che le si oppongono per parte dell'anima sensitiva e delle cose esteriori. Cfr. Prolegg. cap. I, 3. (2) Travx b rctOra x9p kciI ckovti TrpoaYiYverai. Cos ko quasi tutti i codici invece gli editori in generale kcxkv ti, che lo Stallbaum mal si ingegna di difendere. morbi (3) Prima aveva detto (p. 86 B) che causa dei dell'anima sono le Roveti e le X-rrai, poi (p. 86 D) aveva parlato di quelli prodotti dai piaceri, ora passa a quelli
ti)
Cfr.
Legg. V,
dbiKO<;- t)v
Capitolo
tati
XLI.
373
audacia e di
vilt e
ancora
di
dimenticanza
insieme e di storditaggine.
di
Ed
oltre di ci
quando
gente cos male compaginata (si formino) cattive citt, e in queste citt e privatamente e pubblicamente si tengano discorsi (2), e inoltre non si B apprendano dai giovani insegnamenti che rimedino a questi mali, ecco in che modo tutti
tali, per due caDi che da dare sempre la colpa ai genitori pi che non ai figli, e agli educatori pi che agli educati (4). Insomma bisogna aver cura, secondo che ciascuno
diventiamo
cattivi,
quanti siamo
(3).
(1)
male e contro
la
gram-
matica il Martin lo riferisce a x u Moi: " ces humeurs, se portant ecc. Similmente pare intendano Mueller, Jowett ed Archer-Hind. Intendi poi che la scontentezza si produce ove la malattia cada nella regione degli appetiti, dunque sotto al diaframma, l'audacia se cade nella regione dell' irascibile, cio sopra al diaframma, la storditaggine se tocca la regione dell'intelligenza. Per il concetto cfr. Senofonte, Mem. Ili, 12, 6. (2) Tdv otu) xaKx; ircrfvTuiv -rroXiTelai kokoI kc Xyoi kot -rtXeiq xbiq re xal nuoaia Xx8ujarv. Qui c' uno zeugma, e XexQiJcriv, che regge propriamente soltanto Xfoi, sostituisce anche il verbo che dovrebbe reggere TToXiTekn Kaxai. Quale questo verbo? Comunemente si intende quando si aggiunga un cattivo governo ', ed interpretazione che pu reggere: a me per il genitivo KctKN; iraTvTujv ha fatto ritenere pi probabile un
'
altro senso.
(3) Cio la ignoranza e la pazzia. (4) oiv aTiarov uv ... uaXXov ... toc;
xpcpovra;
rpecpouvuuv. Trpo9uunxov
J
jurjv k.
t.
X.
Dopo
tujv Tpeqpo|uvuuv
non v ha dubbio che vada punto fermo, sebbene tutti gli editori pongano soltanto virgola. Se si vuol tenere la virgola, bisognerebbe mutare TTpoGuunTov \xi\v in -rrpoGunnTtov
.
3^
374
Timeo.
pu, per mezzo dell'educazione, delle istituzioni e degli insegnamenti, di fuggire il male e prendere
il
contrario.
Ma questo
un
altro
genere
di discorsi.
XLII.
Ci poi che
cio quello che
delle menti,
fa riscontro a
si
quanto
si
si
detto,
possano conserappunto per riscontro si esponga: infatti pi giusto che il discorso si trattenga di preferenza sul bene che non sul male (i). Tutto ci che buono bello, e il bello non senza proporzione (2); anche l'animale pertanto che ha da esser tale, dobbiamo supporlo proporzionato. Ora delle proporzioni percepiamo le piccole e le misuriamo, ma le pi importanti e le pi grandi non abbiamo in conto
vare, ora naturale e conveniente che
razionale.
lattie,
Infatti
rispetto
alla salute
e alle
ma-
alle
virt e ai vizi,
nessuna proporzione o
(1)
iKcutepov
"
fp t)v taGwv
irpi
uXXov
r\
tujv
Lo Stallbaum
"
yov per rationern habere; ma pi conto dei beni che dei mali non
vede
affatto:
defigere. Io per altro preferisco intendere \a\^\v per intransitivo e Xyov per soggetto; ad ogni modo il senso in sostanza lo stesso, che meglio parlare di cose allegre. E, si capisce, non tanto perch faccia pi piacere, quanto perch il mondo essendo stato creato buono, il male non ha in esso che una parte secondaria ed accidentale. (2) Cfr. Filebo, p. 64 E.
meglio
lo
Schneider
sermonem
Capitolo
XLII.
375
proprio corpo (i). Di che noi accorgiamo, e non pensiamo che quando un'anima robusta e grande in ogni sua parte sia portata (2) da un corpo pi debole e minore, o quando ancora queste due cose siano combinate
non
al
modo
non
bello,
perocch sproporzionato nelle proporzioni pi essenziali; e che ci che sta all'opposto di cos il pi bello e il pi attraente spettacolo, per chi lo sappia contemplare. Quale pertanto un corpo E con le gambe troppo lunghe, o che abbia qualche altra sproporzionata sovrabbondanza con s stesso, non solo brutto, ma anche nella comunanza delle fatiche (3) dando luogo a molta stanchezza, a molti stiramenti, e per il suo traballare a molte cadute, causa a s stesso d'infiniti mali; parimente bisogna pensare di quella doppia compagine che chiamiamo l'animale; cio che quando l'anima che in esso, per essere da pi del corpo, sia in grande concitazione scotendolo dentro 88 tutto, lo riempie di malattie, e quando ella si abbandoni intensamente a certi studi e questioni, lo consuma, e quando pure tenga insegnamenti e battaglie di discorsi pubblicamente e privatamente,
oe^ia EuuueTpia Kat ueTpia uei&uv i} ifux>K aTfjc; auua a-r. L'aggiunta di aTf|<; e di auro indica che la proporzione cui si accenna non quella in generale tra anima e corpo, che non ha che fare, ma tra ciascun'anima col suo proprio corpo e tra ciascun corpo con la sua propria anima, come chiaro da ci che segue. (2) Il corpo il veicolo (xnMa) dell'anima; cfr. p. 69 C e prima p. 44 E.
(1)
-rrpcx;
"
dans tous
les tra-
vaux que doivent supporter tous les membres (Martin); " bei gemeinsamen Anstrengungen (Mueller).
376
// Timeo.
facendolo,
per
le
diatribe e
litigi
(i),
maggior parte dei male tutt' altra causa. Cos viceversa quando un corpo grande e pi generoso (2) si trovi compaginato con una piccola e debole intelligenza, essendovi B da natura due specie di desideri nell'uomo, quello
la
della
nutrizione per
divino,
movimenti del pi
crescere
la
soverchiando
,
e facendo
parte
e
la
loro
mentre rendel-
mauna sola salvezza per l'uno e per l'altro malanno, non esercitare l'anima senza del corpo, n il corpo senza delpi grande delle
lattie,
smemorata quella
l'anima, affinch, difendendosi l'un dall'altro, equilibrino e siano sani. Conviene dunque che
si
il
C matematico
(3)
la
mente
Giustamente I'Archer-Hind osserva che da ci ha da inferire n punto n poco che Platone intendesse di porre dei limiti all'educazione dell'anima, acci non soverchi il corpo soltanto vuol dire che il corpo deve essere educato in modo da corrispondere alle esigenze dell'anima.
(1)
non
si
(2) aiud Te rav aO yiya Ka Onpijjuxov. Se intendiamo mpvyuxov alla lettera, si avrebbe una prolessi che renderebbe ozioso il predicato; la parola comune che qui cadeva in acconcio era impGuucx;, l'argomento
stesso sugger la modificazione insolita. (3) tv uaGnua-riKv. Sebbene lo Stallbaum si diverta a ridere di quelli che intendono questa parola in senso tecnico e ristretto, anzi che in quello di studioso in generale, credo che proprio sia il senso ristretto quello che qui conviene. La matematica, con tutte le sue applicazioni, era per Platone la scienza delle scienze, e forse la sola che nell'antichit meritasse il nome di
Capitolo
XLII.
377
intorno ad altra scienza, paghi anche al corpo il suo dovuto esercizio, facendo amicizia con la ginnastica,
cura
il
e che, viceversa, colui che coltiva con corpo, ripaghi il cambio coi movimenti
essere chiamato
bello
insieme
buono ve-
ramente.
conforme a questi
stessi principi
membra, imitando
ricevendo
quando alcuno abbandoni in balia di questi movimenti il corpo mentre in riposo, soverchiato
da loro esso perisce che se invece imiti quella che abbiamo detto nutrice e balia dell'universo (i),
;
scienza, e perci del tutto naturale che venga indicata in primo luogo. Le parole che seguono, f\ riva \\r\v aqpbpa neXrriv iavoia xotTepYaZuevov, confermano questa interpretazione la spiegazione dello Stallbaum " oder
:
hat
moderno. Fatica
intellettuale
quella che noi diciamo neurastenia, e che allora si sarebbe detta piuttosto ueXorrxoXia, all'infuori della vita speculativa non so se gli antichi ne abbiano riconosciuto o ne abbiano osservato.
teoria esposta da pag. 50 B in poi, specie sgg. e Prolegg. cap. III. La Tpocpq k<xI Ti6f|vr|, secondo la detta teoria, la x^pa, ma qui la x^P gi fecondata e in moto, un moto congenito ad essa, per il quale le specie elementari vanno ciascuna al proprio posto. La imitazione che qui si richiede limitata allo scotimento: la X&pa, scotendo, ancorch senza intelligenza, ci che riceve in s, ne segrega le parti e per
(i) Cfr. la
52
378
//
Timeo.
corpo sia mai assolutamente muova, e imprimendovi di continuo in tutto il complesso certi scotimenti, lo diE fenda conforme a natura dai movimenti interiori ed esteriori, e con questa moderata scossa metta in ordine secondo affinit al loro posto reciproco
e
lasci
non
che
il
in quiete,
ma
lo
le
le
sue parti
di
giusta
discorso che
abbiamo tenuto
;
sopra
a proposito dell'universo (1) (chi far questo), non collocher nemico accanto a nemico, n la-
al
corpo battaglie
amico posto vicino ad amico vi produca la sanit. Ora dei movimenti 89 quello che avviene in s stesso e da s stesso il migliore, perocch affine al movimento delfar che
ma
e quello
cos dire prepara la materia per l'ordine che avr da ricevere cos il corpo, scotendo allo stesso modo le cose che entrano in lui, le manda al loro posto, il simile presso al simile, l'amico presso all'amico. E qui si parla di scotimento, e lo si paragona a quello irrazionale della xwpa, perch il corpo, in quanto corpo, non ha intelligenza. Poi si procede ad un'altra osservazione, ed che il moto che nasce nella cosa per virt sua propria la conserva, quello che le viene di fuori la pu distruggere (pag. 33 A). Ma poich nulla fuori del mondo, tranne il suo creatore, cos nessuna cosa pu distruggere il mondo, se non lo distrugge il creatore stesso: viceversa fuori dell'uomo sono molte cose che lo possono distruggere, e da queste bisogna che egli si difenda. Se pertanto il corpo si abbandona inerte all'urto delle cose esteriori, esso corre il maggior pe:
ricolo.
(1)
kot tv TTpaBev
Xyov 8v rap
irctVT<;
X^ouev.
Sebbene grammaticalmente
sia indifferente,
non dubito
per il nesso logico di congiungere questa frase con ci che precede, anzich con ci che segue. (2) uXicrra yp Tri iavon.TiKr) Kal xr) toO iravrc; Kivf|oe\ SuYYevfn;. La ripetizione di rrj indica che due movimenti sono considerati come distinti.
i
Capitolo
XLII.
379
altrui
il
quando
impresso da
altri
peggiore pessimo corpo giace e sta quieto, nelle singole sue parti.
;
purgazioni e ricostituzioni
qual;
genere di veicoli che non stanchino ma un terzo genere di movimenti utile quando vi si sia assolutamente costretti, e in nessun altro B caso si deve ammettere da chi abbia senno, (ed ) quello che avviene per mezzo di una purgazione farmaceutica a scopo di cura medica. Perocch le malattie, quando non portino grandi pericoli, non bisogna stuzzicarle coi farmachi. Ogni decorso di malattia infatti in certo qual modo somiglia alla natura degli animali. E per vero anche la costituzione di questi porta con s dalla nascita un periodo di vita determinato per le singole specie (i), e del pari ciascun animale preso a s ha da natura un tempo fatale per vivere, all' infuori degli accidenti inevitabili. Perocch i C
altro
(i) kciI yP A totuuv voo<; Ix ouoa TTaY|uvou<; toO Piou fiYveTai xpvou<; toO te fvovc, Eiairavroc; Kal kot' auro t tpov duapuvov ?Kaarov Ixov tv fKov qpueTcti, Xwpc; TuJv vYKjy; na0n|u(TU)v. L'Archer-Hind crede che qui Platone accenni alla estinzione delle singole specie, e anche il Jowett nella sua traduzione rende a questo modo. Questo darvinismo in Platone sarebbe
veramente notevole, ma non so poi se sarebbe altrettanto consentaneo alla sua teoria, e le ragioni che adduce il Gaye (o. c, p. 208) per trovarne la conciliazione, cio che l'idea corrispondente alle specie estinte pu essere rappresentata da altre specie, ancorch ingegnosa, non mi persuade. Le parole del testo nostro non ci forzano affatto a questa interpretazione; e per me non significano altro se non che ciascuna specie ha un
380
//
Timeo.
viduo sono costituiti con una determinata potenza e capaci di durare fino ad un certo tempo, al di l del quale nessuno potrebbe serbarsi pi in vita.
cos
dello
stesso
carattere
la
costituzione
tempo
al-
da piccoli grandi
da pochi molti
morbi. Perci tutte queste cose conviene educarle piuttosto coi regimi di vita, in quanto se ne abbia
l'agio (1), e
diventare
il
e far cos
XLIII.
modo uno
dirigendola
termine medio e un termine massimo di vita, e che ciascun individuo entro questi termini ne ha uno suo proprio; fatto per durar tanto; e se questo termine si sposta, per causa di II vYKn,<; TraGnuara.
(1)
Perch
si
dare innanzi.
uv toO koivoO Iujou koi toO kot t awua tic; 3v Ka iaTrataYWYWv xal iaTiaiaYUJTouuevoq qp' axoO uriXiax' Qv kot Xyov Zibn, toOtt] XeXxSuu. Se c' emendamento che possa dirsi sicuro, quello di ocp' aroO in tt' axoO proposto dallo Stallbaum ed accettato dal Cousin, sebbene respinto dagli altri editori e da alcuni anche in malo modo. Che l'anima deva governare il corpo, Platone lo dice e siamo d'accordo, ma non il caso qui qui si riassume ci che si appena terminato di dire, cio della parte che ha il corpo nell'animale, e si era detto che il corpo bisogna bens
(2) Ka irepl
ctoO upouq,
rj
Capitolo XLIII.
381
forme a ragione, basti ci che si detto. Ma pi questo e prima di questo quella parte che deve governare l'animale stesso si ha, per quanto possibile, da predisporla in modo che sia per tale ufficio bellissima ed ottima. Discorrer pertanto particolarmente di ci sarebbe impresa sufficente cui attendere da sola ma chi ne tocchi per incidenza, analogamente a ci che si detto prima, non fuor di proposito potrebbe venirne a capo col ragionamento considerando le cose come
di
:
che abbiamo detto sono domiciliate tripartitamente tre specie di anima, e che ciascuna ha i suoi movimenti, cos allo stesso modo anche ora pi brevemente che sia possibile dobbiamo dire che quella di loro che vive in ozio e che dai movimenti suoi posa sempre, di necessit diviene
segue.
a
Conforme
quello
in noi
governarlo, ma che non si deve forzarlo, ma secondare la sua natura, e questo appunto il iaucucrfujYeiv e il ionraicxYurfetffGai. tenere qp' aroO non si vede come l'essere governato da s stesso abbia che fare con la parte corporea, o che riferimento abbia con ci che precede e, peggio, con ci che segue, dove l'educatore (t iaircnaYurfiitfov) non il complesso del soggetto, un aTi;, ma una parte di esso, cio la parte intellet-
tuale: senza dire che, dovendosi a icmcuaYUJYuJv sottintendere aT, cio il corpo, il cambiamento dell'oggetto logico rompe quella simmetria in grazia della quale furono coordinati i due participi, e che in sostanza iaTTaiaYuJYouuevcK; cp' axoO non verrebbe a dire cosa molto diversa da icnraibaYUJYujv auto governarsi da s stesso infatti non vorrebbe dir altro se non far s che la ragione sia nostra guida, e che il senso ubbidisca; in altre parole icnraiaYujYeaeai dalla ragione torna identico a ionraiaYuuYeiv il corpo. N d'altra parte nel dire che l'uomo deve adattarsi alle condizioni del proprio corpo e regolarsi in conformit ci vedo nulla di men che ragionevole, o men che serio, o men che degno del nostro filosofo.
#
:
382
//
Timeo.
perci si ha da curare che tra loro abmovimenti proporzionati. Quanto poi alla specie di anima che in noi sovrana, bisogna pensar questo, cio che Iddio ce la diede a ciascuno come un genio divino, lei che diciamo che abita nella sommit del nostro corpo e che
:
biano
come
piante, che
la Divila
ma
celesti.
Perocch
sua
tenendo sospesa con la testa la nostra radice (1), mantiene eretto l'intero corpo nostro. In colui pertanto che si affanna intorno ai piaorigine
ceri e alle contenzioni, e in queste
si
affatica ec-
producano se non opinioni mortali, e che ad ogni modo, per quanto possibile ad uno di esser mortale, nulla gliene manchi poich solo la parte mortale ha
si
,
nutricata.
Colui
invece che
ai
si
pensieri
C raggiungere
di
assolutamente necessario che, ov'egli possa il vero, pensi cose immortali e di-
sia capace nessuna parte gliene faccia difetto, e, come quello che alla Divinit sempre serve e mantiene bene ordinato il genio che in lui risiede, sia anche segnala-
vine, e che, in
quanto
dell'
la
natura
umana
partecipare
immortalit,
ci)
Sulla testa
come
cfr.
Arist.
De
7: wc, r] KeqpaXi'i tuv ^luluv oiTUjq ai >iZai tojv cpuTiv. Cfr. pure Plut. De orac. Pyth. 12. Sulla dispo-
an.
II, 4,
umano
cfr.
Senofonte, Meni.
4,
sgg.
Capitolo XLIII.
383
tutti
tamente
trizione e
felice (1).
la
cura per
appropriati.
la
una
nu-
movimenti
risiede
Divinit che
fini
i
pensamenti dell'universo e le sue circolazioni. A queste dunque ossequente conviene movimenti che che ciascuno, raddrizzando per il (nostro) nascere si guastarono nella testa nostra, con l'imparare le armonie dell'universo e i suoi circoli, renda uguale secondo la natura originaria il pensante al pensato (2), e, uguagliatili, abbia cos compimento quell'ottima vita che fu dagli Dei proposta agli uomini per il tempo
i
(3).
0epatreovTa t GeTov ^xovx xe arv eu tv aiuova EvoiKov v aTw iaqpepvxux; eaiuova etvai. Tutti intendono ad un modo, e in sostanza convengo anch'io, cio che chi cura la parte divina e tiene bene in ordine il genio divino che ha in se stesso (cfr. p. 90 A), deve esser felice. D impaccio
(1)
are
dei
KKOO|ur||uvov
per altro quell'aTv, che sarebbe superfluo, e non si sia stato collocato cos lontano da tv aiinova, qualora tv bai]uova dovesse essere sua apposizione. Per tenere il senso accettato comunemente io credo che otv dovrebbe essere eliminato altrimenti, a volerlo conservare, non vedo altra via che di emendarlo in citv, e viceversa v citw in v aTw, facendo concordare tv &at|Liova con eepcnreovTa come soggetto di eaiuova evai, cio il genio che abita nell'uomo servendo la Divinit e mantenendosi ordinato sarebbe felice: t Geiov allora non sarebbe pi qui la parte divina
vede perch
dell'anima, ma la Divinit. N farei caso del baiuiuv eaiuuiv quanto piuttosto della inversione del costrutto, che sarebbe dura, e di ci che segue due linee dopo, che conferma il primo senso.
(2) L'anima intellettiva dell' uomo deve cercare di tornar simile all'anima del mondo, dalla quale si era allontanata per la sua unione con gli organi corporali e con l'anima sensitiva. (3) Cfr. pag. 42 B (p. 222, nota 3).
384
// Timeo.
XLIV.
E
Ed ecco che ci che da principio ci era stato proposto di discorrere intorno all'universo fino alla generazione dell'uomo, si pu dire sia giunto al termine. Infatti quanto agli altri animali in che
modo
alla loro volta sian nati (i),
ne faremo men-
non
e cos
potremo credere
di aver
misura su questo soggetto. modo. Degli uomini che furono generati, quanti si mostraron dappoco e trascorsero la vita iniquamente, a sentire il discorso probabile (2), nella seconda generazione si tra91 mutarono in donne. E perci intorno a quel tempo gli Dei inventarono l' amore della copula, costituendo un animale vivo dentro di noi, e un altro nelle donne, e creando l'uno e l'altro a questo modo. Il canale della bevanda, col dove questa, venendo per il polmone sotto i reni, ricevuta nella vescica per essere sospinta fuori dalla pressione dell'aria, (questo canale) essi lo posero in comunicazione col midollo che dalla testa per la cervice compaginato lungo la spina, e che B nei discorsi di sopra abbiamo chiamato seme genitale. Questo (midollo) poi, essendo animato (3) e
conservato
la giusta
Diremo pertanto
a questo
(1) Cfr.
(2)
pp. 39 E-40
cfr.
pure pag. 41 B.
Timeo Locro (p. 104 C sgg.), scostandosi qui interamente da Platone, dice che queste sono fiabe, utili per altro a far rinsavire la gente che non si arrende alle buone ragioni.
(3) &t' uyvxoc, uiv ned Acifiibv varrvoi^v toO0' rJTrep vTTveuae, Tfi<; export Zlutik^v niGuuiav ,inroiriffa<; atw
Capitolo
XLIV.
produce
di
il
385
desi-
avendo trovato un
respiro, gli
per
qui
appunto
donde pu
nerare.
fatto
disobbediente e prepotente, come bestia che non sente ragione, vorrebbe soverchiare tutto coi
suoi appetiti furiosi
tutto ci che
si
:
e analogamente nelle
sotto
i
donne
comprende
nomi
di matrici e
per queste stesse cagioni, poich un C animale desideroso di figliare che han dentro, quando resti senza dar frutti molto tempo pi in l della sua stagione, impazientandosi lo sopporta male, ed errando per ogni dove nel corpo, ostruendo i passaggi dell'aria, e non permettendo conduce in angosce estreme e la respirazione produce altre malattie di ogni specie. (E questo avviene) fintanto che il desiderio e l'amore reci-
vagine
proco, appajandoli
(1),
come
chi coglie
un
frutto
b Il testo dubbio nominato per to06' lo Stallbaum propose un Taxn, che avvantaggia molto il senso; resterebbe aTil), che non ha riferimento, ma si potrebbe genericamente intendere dell'uomo. Ad ogni modo credo si deva porre virgola dopo va-rrvoriv e congiungere in una frase sola Tctxri ... |UTroiriaaq. Il Martin poi traduce le dsir vif '; ma qui chiaro che ZwZuut. m9. per
toO fevvv
certo
il
epuiTCt ireTeXeae.
uueXi; test
'
Martin, ma ScrfctYvxec;, come pure Huv&iayaTvTec; A, sono pi che sospetti, e il senso ne zoppica. L'Hermann propose SuvudEovreq, ed il Jowett e TArcherdi
Hind
T<;
plisce proprio il concetto che qui pare principalmente da cercare, l'ho accolto nel tradurre; con tutto ci e dell'emendamento in s, quanto alle probabilit grafiche,
Fraccaroli,
Il
Timeo di Platone.
33
386
//
Timeo.
dagli alberi, seminino la matrice, quasi un campo arato, di esseri viventi (1) invisibili per la lor piccolezza e non ancora plasmati, indi li secer-
nano
li
luce
ne com-
pertanto e tutto il genere femmiquesta origine. La razza poi degli nino ebbero uccelli (2) si deriv per trasformazione, invece di
Le donne
peli (3)
cattivi
ma
E
cose ce-
lesti,
ma credono per loro sciocchezza di trovarne per mezzo della vista (4) le dimostrazioni pi sicure. La specie poi pedestre e selvaggia nacque
da coloro che non si occupano di filosofia e nulla contemplano della natura del cielo, perch non
sono poco persuaso, e ad ogni modo non credo che questo luogo sia per esso in ogni sua parte sanato. Cogliere il frutto dall'albero una metafora abbastanza frequente nell'argomento di cui qui si tratta, ma come similitudine qui mi pare che calzi poco, e con HuvudZovrec forse peggio che con EaYayvxeq, e tanto meno calza quando dopo la figura dell'albero segue subito quella del campo per dire la stessissima cosa. Dubito quindi che nel testo nostro si celi qualche altro guasto.
" Egli parla degli spermatozoi, che pare abbia (1) divinato molti secoli prima della loro attuale scoperta (Lutoslawski, o. e, pag. 484). Fedone, (2) Per le seguenti trasformazioni cfr. anche pp. 81 E-82 B. Acri traducono ca(3) vTt Tpixiv.. Schneider ed pelli; mi pare preferibile intendere peli col Martin. " Quae videntur tem(4) Cio coi sensi in generale. poralia sunt, quae autem non videntur aeterna, dice anche S. Paolo, II Cor. 4, 18. Cfr.de Rep. VII, p. 529 A-B. Secondo il Martin, i filosofi cui qui si allude, e che vogliono spiegar tutto coi sensi, sono quelli della scuola
jonica.
Forse
ci si
un'al-
lusione a Democrito.
Capitolo
XLIV.
387
adoperano
le
ma
pren-
guida soltanto le parti dell'anima che son nel torace. Per queste abitudini infatti figa
dono
gono
ivi
in terra le
membra
dalla affinit, e
di tutte le
Con
fu
quattro o pi piedi pertanto la specie loro 92 generata per questo motivo, cio che Iddio
verso
la terra.
generarono e striscianti sul suolo. Il quarto genere poi, l'acquatico, nacque da quelli che sono assolutamente insensati e ignoranti, i quali da coloro che li trasformarono non furono stimati degni
li
neppure di una respirazione genuina, come quelli B che per ogni sorta di eccessi avevano l'anima impura, ma invece della sottile e genuina respirazione
e
dell' aria
li
bassa
dell'
acqua. Di
e
miglia dei
pesci
quanti
altri
l'estrema ignoranza ebbero essi l'ultima abitazione (2). E conforme a questo modo e allora e
adesso
gli
nell'altro (3),
(1)
Quindi
dissimili dalla
sferica.
(2) Ultima non rispetto al luogo, in cui l'anima entra. (3) Dunque non nelle piante. Non
ma
rispetto al corpo
la de-
cadenza
si
ci
non
388
//
Timeo.
Ed
giunti gi al
termine del discorso sull'universo. Perocch cos fu generato questo mondo, il quale, ricevendo in s gli animali mortali e gli immortali ed essendone pieno, per tal modo un animale visibile com-
prendente
le
telligibile (1),
bellissimo e
immagine dell' invisibili Dio sensibile massimo ed ottimo, perfettissimo, questo mondo uno e
cose
,
unigenito.
e se possibile un ritorno a una vita migliore, ammetteva dunque Platone anche nella vita bestiale la possibilit di meritare? Qui il mito conturba la dottrina ed impossibile trarne una spiegazione letterale
,
soddisfacente. notevole del resto la diversit col mito del Fedro. Qui gli animali appariscono tutti come anime umane in peccato; nel Fedro invece pare che solo alcuni individui siano tali e altri no cfr. pag. 249 B kcj
: :
ie
Gripiou,
Se;
Trote
fivSpumoc;
(\\iv\f\)
fjv,
ird\iv
(qpiKverrai)
eie;
nn-rroxe o aa
cod.
invece
(o.
c.
di
votttoO
ha qui
TroinToO,
preferisce a torto. Che il mondo somigli al suo creatore non c' dubbio, ed detto chiaro a pag. 29 E; ma da questo a dedurne che sia tutt'uno con lui (" the onnioupYq and the auro Ziov are one and the same \ non vedo come si pesa venire, se piuttosto non si deva anzi riconoscere in ci la dichiarazione che sono due cose diverse. Perci la lezione iroinroO non giova a niente, non chiave di nessun enigma, e serve solo a far confusione presentandosi alla prima come genitivo non di Troinrn<; ma di TTOinxc;. Atteniamoci dunque a vonToO, che corrisponde precisamente a ci che era stato detto a pp. 30 C-31 B.
I'Archer-Hind
Introd.
41)
->*<-
APPENDICE
DANTE E
IL
TIMEO
Of* J jV
<Jf*
JJV
w^jv
Vf WJW
J}V) wfjV
Jjw JjC
DANTE E
IL
TIMEO
Sommario
tratto
da
i.
La
2. Argomento
Le
3.
Il
menti.
idee.
9.
Citazioni di seconda
mano.
8.
5.
Ana-
logie sostanziali.
6.
intelligenze celesti e le
7.
Il
moto
circolare.
Creazione immediata e mediata. io. Le influenze degli astri e la libert. 11. Altri consensi
Differenze.
generali e particolari.
12.
Conclusione.
1. Della conoscenza che Dante potesse aver avuto del Timeo, attraverso, si intende bene, alla versione e forse al commento di Calcidio (1),
(1) Sull'autore e sulle fonti di questo commento cfr. principalmente B. W. Switalski, Des Chalcidius Commentar su Platos Timaeus (Miinchen, 1902), e per la diffusione che e traduzione e commento avrebbero avuto nel medio evo veggasi la prefazione del Wrobel alla edizione critica di detto autore (Platonis Timacits interprete Chalcidio cum ejusdem commentario, Lipsiae, 1876), specie pp. xii sgg. Di tal diffusione documento anche
il
diagramma
il
del
mondo
dipinto nella
cattedrale di
quale corrisponde precisamente a ci che Calcidio dice, come dimostr P. Toesca, Gli affreschi della Cattedrale di Anagni, in " Le Gallerie Nazionali italiane, voi. V (Roma, 1902), pp. 117 sgg.
Anagni,
392
Appendice.
trattare gi
il
ebbe a
Moore
nel primo
volume
(1).
aggiungere qualche altra osservazione ripetendo il meno che sia possibile ci che ha gi detto il benemerito dantista indi
,
Mi ingegner
glese
Il
(2).
la
conoscenza
23-24
questo libro
il
risolto
ai vv.
49-60:
che a
tutti
noto;
il
qual
pure in Conv. IV, 21, 11. 17 segg., e II, 14,11. 28 segg. Ebbene, se dei passi del Convivio si pu dubitare che siano citazioni di seconda mano, questo dubbio non pare possibile per quello del Paradiso. Dante non solo sa che l'autore Platone, sa che l'opera in cui
riscontro
esposta questa dottrina il Timeo, che Timeo colui che argomenta.
ma
sa altres
su questo
(1)
Nel
'
Giornale Dantesco
',
II
L.
Mario Capelli
Dante, lavoro giungeva alla conclusione che Dante il Timeo non lo conobbe. (2) Oltre il commentario di Calcidio, nel secolo XII
Timeo
nell'opera di
composto un commentario latino al Timeo di Caladio stesso, di cui pubblic qualche frammento V. Cousin in Fragments philosophiques pour servir l'histoire de la philosophie ', Paris, 1865, pp. 357 sgg. Fu veduto questo da Dante?
fu
'
Dante
punto, poich
e il
Timeo.
393
abbastanza, il Moore ne ha detto aggiunger solo due brevi postille, e passer oltre. L'una per dire che anche il commento di Calcidio ( 196, 199) afferma il ritorno dell'anima alle stelle con la parola precisa che nel Timeo
manca. L'altra per notare che, a legittimare il dubbio proposto sul senso delle parole platoniche, Dante, se pur non ricord o se non vide l'affermazione di Calcidio sull'oscurit del Timeo, con la quale comincia appunto il suo commentario, aveva un'autorit per lui somma da poter addurre, e che
certo conobbe, cio Cicerone,
De finn.
II,
5,
15:
aut
cum rerum
.
obscuritas,
oratio
;
ut
non
intelligatur
Platonis
2.
Ma
c' un
la
altro luogo,
nostra questione , a mio credere, anche pi decisivo. Parlando della creazione ivi
che per
detto
divina bont, che da s speme livore, ardendo in s sfavilla S che dispiega le bellezze eterne.
La
Ogni
Questo concetto deriva senza dubbio dal Timeo, pag. 29 E. Che l'invidia non possa essere in Dio, affermazione che non troviamo solo nel citato luogo di Platone, ma, per tacere di altri, anche
presso Aristotele (1): un'affermazione intesa a combattere un pregiudizio che non era solamente
popolare
ma assai
diffuso nella
comune credenza
\\' oOte t Beov qpGovepv vb(1) Metaph. I, 2, io: -rroXX tpeuovXexai eTvou, SXX xa kot xf|v irapoinictv rai oioi.
39t
Appendice.
anche delle classi colte della Grecia; pregiudizio che un cristiano fortunatamente non aveva pi bisogno di combattere, poich nel campo cristiano non attecch affatto neppure come superstizione,
tanto era contrario
ai
non
l'invidia di
sopprime del tutto, ma si trasforma: non Dio la cagione dei nostri mali, ma per altro l'invidia di potenze superiori, ancorch decadute alle quali, poich sono potenze perverse, parve consentaneo attribuire anche ogni pi bassa passione. L'invidia in Dio per un cristiano inconcepibile e anche per Dante non dunque altro che una reminiscenza erudita. Ora eh' egli l'abbia tratta dal citato luogo del Timeo, e non da altri, lo provo con due ragioni: i) che nello stesso contesto 2) che in Dante fuori di pro^aQq posito. Timeo infatti dice del creatore
si
; , ;
:
fjv,
crfaOqj
oues
Trep
oevc,
orcoTe
if-
che il creato fosse simile a lui. Tanto Dante dunque quanto Platone attribuiscono la bont della creazione alla bont dei creatore, e questa bont la affermano con la stessa formula e allo stesso proposito (1). Ma in Platone la causa e l' effetto sono esattamente correlativi se Dio buono deve essere buono anche il mondo e correlativi sono anche in un altro luogo di Dante, Par. XIX, 86, dove
egli volle
;
(1) Cfr. pure August. De civ. Dei XI, ai; e Thom. Sutnnt. Th. P. I, qu. 6, a. 4, che risolve affermativamente " utrum omnia sint bona il quesito bonitate divina, citando bens espressamente Platone, ma per l'intermediario dello Stagirita, e non toccando punto del Timeo.
Dante
dalla bont di
e il
Timeo.
395
la giustizia delle
Dio
si
argomenta
sue leggi:
La prima
Da
s,
che
la
Qui invce
correlazione fa difetto.
non
allegata pro-
priamente quale ragione della bont delle cose (com' nel Timeo), ma quale ragione del diverso grado in cui stanno le creature in rapporto a Dio, come pu vedere chi legga ci che tien
dietro al luogo citato: e se in generale l'attribuire
di
Dio perfettamente
'
che da s speme ogni livore, esce di misura, e resta un'affermazione non collegata necessariamente col contesto. Forse che, se Dio fosse stato invidioso, non avrebbe posto ordine nelle cose ? Ci equivarrebbe a dire che non avrebbe creato il cosmo: poich lo cre, un ordine era del tutto inevitabile: la bont divina pertanto ha rapporto diretto con la bont del mondo, e con l'ordine invece soltanto in quanto
per insistervi,
'
quest'ordine buono.
testi
da
la
lui
usati
li
inten-
che secondo lo spirito, non credo che alcuno vorr impugnarlo, sebbene dai critici, intenti piuttosto a combattersi tra di loro che non a interpretar Dante, questa
desse piuttosto secondo
lettera
non
sia
sommo
Bibbia
:
era
un credente,
la
egli lo trasportava
senz' altro
ai classici
come
a dogmi,
396
Appendice.
come
autorit
dogmatiche
li
riferisce.
le
Ebbene,
sue giunte
spostamento.
erat: ab optimo porro longe relegata est invidia. Itaque consequenter cuncta sui similia, prout cujusque natura capax beatitudinis esse poterat, effici voluit. E questo torna esattamente con la frase
Optimus
il
concetto di Dante.
sulla frase
non
insisto
prout...
Le
parole
poterat
nel testo
sono una mera aggiunta del traduttore ,una restrizione che gli parve ragionevole di notare, e che ad ogni modo dovrebbe essere sempre sottintesa: ebbene, questa restrizione trasse Dante a soggiungere la graduatoria delle somiglianze con Dio, che in quel luogo l di Platone non aveva ragione di ssere, e che non conseguiva diretta dalla premessa principale. Che dunque Dante conoscesse la versione di Calcidio, mi pare, per questi argomenti, sicuro. N da Aristotele, n da Cicerone, n da Agostino, n da Boezio, n da Tommaso egli poteva
greco
,
attingere
una
tale precisione
di particolari
an-
corch di
Timeo possa constare ch'egli le attinse a queste fonti. Vero che di commentatori (p. es. il Moore questo luogo
altre allusioni al
i
stesso, lo Scartazzini,
il
come
9,
che della
senza
i
citarlo,
un
rias-
primi versi:
(1)
Cicerone, che spesso traduce a vanvera, qui rende non pot essere la fonte di Dante.
Dante
il
Timeo.
ratione gubernas
397
qui perpetua
mundum
Terrarum caelique
sator, qui
externae pepulerunt fingere causae Materiae fluitantis opus, verum insita summi Forma boni livore carens, tu cuncta superno Ducis ab exemplo: pulchrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens similique in imagine formans Perfectasque jubes perfectum absolvere partes.
Quem non
Ora
samente esclude ap2, 11. 146 segg., ma la citazione sua punto ci che per il caso nostro essenziale,
livore carens: traduce infatti: Tutte le cose produci dal superno esemplo, Tu bellissimo, bello mondo nella mente portante. Ad ogni modo
il
la
dice insita in
Dio
Boezio trasporta l'assenza dell'invidia, non altro che l'esemplare, l'idea del mondo, e Dante questo l'intese bene;
noti,
tutt'altro ordine di concetti da quello su cui verte Par. VII, 64 segg. Tra Boezio e Dante
ma
nel Paradiso
comune una
il
e Calcidio tutto
contesto. Aggiungasi
che
la
parola
se
comune
Calcidio la lascia l dove l'aveva messa Platone avesse attinto a Boezio, l'avrebbe spostata
come Boezio
Anche
in
la
sposta.
3.
di
un
altro
la
Timeo
sia probabilissima.
Conv. II, 1, 11. 79 segg., e dice: perocch in ciascuna cosa naturale e artificiale impossibile procedere alla forma, senza prima essere disposto il suggetto, sopra che la forma dee stare.
Fbaccakoli,
Il
Timeo di Platone.
34
398
Appendice.
Siccome impossibile
se la materia, cio
il
la
suo suggetto, non prima ed apparecchiata e la forma dell' arca digesta venire, se la materia, cio lo legno, non prima disposta ed apparecchiata. Ora si capisce cosa sia la materia dell'arca, anche se non dicesse che il legno ma che cosa sia la materia dell'oro non
;
si
non
gi per l'arca,
avrebbe Dante dovuto chiarirci. Ebbene, nel Timeo, a pag. 50 A, parlandosi della xwpa o ttoboxn, che precisamente il suggetto a cui si applica la forma, c' appunto l'esempio dell'oro (che Calcidio traduce per auri materia), il quale piglia diverse forme, con quel che segue. Ora ben vero che ho sostenuto e sostengo che per la Xuupa Platone non intendesse altro che lo spazio Dante per altro possiamo tenere per certo che l'ha interpretata diversamente. Il caos della Genesi gliela deve aver fatta agguagliare alla materia disordinata, e a questo senso deve aver riferita la similitudine dell' oro, che perci non intese bene. Ad affermare questo riferimento mi con;
forta
un luogo
N
del Par.
XXIX, 49
segg.:
giugneriesi numerando al venti come degli angeli parte Turb il suggetto dei vostri elementi
S tosto,
cio
il
si
ribell e
cadde dal
cielo.
suggetto degli elementi? Io dico che ci che nel citato luogo del Convivio. I commentatori in generale invece intendono la terra, che
dei quattro elementi quello che soggetto agli
altri,
come soggiunge
il
uno
solo
lare
ma
io
non
Dante
tere se
e il
Timeo.
399
fare a
se ne
pu
meno
oltre di ci la soluzione
non
soddisfacente, e
dire che la terra il soggetto degli elementi perch sta di sotto, non certamente parlar filosofico, e
nemmeno
il
senso
notata
volgare.
C' anche
stata
pi volte l'irrazionalit tra l'affermare che prima dell' Inferno non fur cose create se non eterne,
e il collocarlo dentro alla terra, che non punto eterna e fu creata dopo. Questa irrazionalit era inevitabile, data la concezione plastica del poema e la credenza popolare che la giustifica; ma ho pure fatto osservare nel mio libro
sopra 'l'irrazionale nella letteratura' che, cesl'occasione dell'irrazionalit, regola che riprendano il loro posto la ragione e la norma
sata
si
parla in forma
perch dovrebbe l' error popolare nessuna necessitane convenienza? Perch il suggetto degli elementi non potrebbe invece essere per Dante quella materia informe, e per cos dire immateriale, che fa da substrato agli elementi materiali e determinati, la materia non ancora uscita dal caos primitivo, non ancora ordinata? Con questa interpretazione questo verso acquista un senso preciso e cessa di essere un indovinello. Tutto ben considerato, anche questo passo mi pare sia un buon argomento per la
ripetersi senza
nostra
tesi.
4.
al
Quando dico per altro che Dante attinse Timeo direttamente, non voglio dire con ci
n che l'abbia studiato a dovere, n, molto meno, che l'abbia capito. Non deve pertanto far me-
4<x>
Appendice.
raviglia se
troveremo che
di alcuni luoghi,
il
che
15,
col
la
11.
Timeo non
punto
II,
Perch da sapere che di quella Galassia li filosofi hanno avuto diverse opinioni. Che li Pittagorici dissero che il sole alcuna fiata err nella sua via, e, passando per altre parti non corrispondenti al suo fervore, arse il luogo
45 segg.
per
di
il
credo che si mossero dalla favola ancorch ci corrisponda Ora molto da vicino a Tini. p. 22 C-D, invece la
dell'arsura.
Fetonte.
I,
8, 2.
Simil-
139 segg. detto che li cio maprincipi! delle cose naturali sono tre teria privazione e forma' e si presenta intuitivo il confronto con v, \\hpa kc Yvetftc, di Tini. p. 52 D; e invece no, e anche questo luogo la traduzione letterale di Aristot. Metaph. XI, 4, 5
mente
in Conv.
II,
14,
11.
'
pxai eicn xpeT?, x eio? kc fi cTTpn.cri<; kc fj u\fl. Del pari in Conv. IV, 28, 11. 26 segg. leggiamo: in essa [cio nella vecchiezza] cotale morte non
dolore
n alcuna
acerbit...
Onde
Aristotele in
'
senza quello di Gioventute e Senettute dice che morte che nella vecchiezza'. E tristizia la
se
non
ci
fosse
la
tremmo credere
Tini. p. 81 E,
Calcidio
che Dante certo non vide, perch Similmente ancora non giunge sin l.
in Conv. Ili, 5,
45 segg. scritto: Platone fu poi d'altra opinione e scrisse in un suo libro che si chiama Timeo che la terra col mare era bene il mezzo di tutto, ma che il suo tondo tutto
11.
si
girava attorno
al
suo centro.
non ostante
la citazione,
neppur questo
Dante
e il
Timeo.
4 01
ma con la citazione insieme tolto da Aristotele, De cesio, II, 13,4, che male interpreta Tim. p. 40 B,
al
qual proposito cfr. sopra, p. 211, nota 2. Ci che il seguendo poi segue nel luogo dantesco primo movimento del cielo; ma tarda molto per la sua grossa materia, e per la massima distanza
ha riscontro n in Aristotele ai luoghi citati, sebbene si possa facilmente inferire dai principi che Timeo pone, e stentatamente invece da ci che soggiunge lo
Stagirita in
non
De
Cosi
segg.
Platone che in Conv. Ili, 9, 11. 99 non pu dirsi tratta da Timeo p. 45 B-C, quando si trova anche in Aristotele De sensu et sens. cap. 2, che Dante pur cita nello stesso contesto.
cos via.
Ci posto, senza moltiplicare gli esempi, questi bastino a dimostrare come, ancorch il
5.
confronto spesse volte sia appariscente, non sia mai troppa la cautela da consigliarsi nelle conclusioni.
imme-
diata dal Timeo, sono convinto che ai documenti che ho addotto non se ne troveranno molti da
aggiungere, che abbiano almeno un certo buon grado di probabilit. Dante giura nel verbo di
Aristotele; questi
rit
il
somma
la
questi
il
canone
misura, e Dante non si fa pregare a dargli espressamente ragione anche in confronto di Platone, ogni qual volta l'opinione dell'uno viene in conflitto con quella dell'altro. Non vi pu esser dubbio per altro che con lo spirito del cristianesimo e con lo spirito di Dante,
a cui
ragione
402
Appendice.
eminentemente
di Platone
religioso e cristiano
la
filosofa
convenisse assai pi che non quella dello Stagirita. Se il platonismo fu soverchiato dall'aristotelismo nella dottrina della Chiesa medievale,
la
non
Se
intrinseca
dottrina.
la scolastica
d'un
ora.
tal
pi diligentemente che
impulso dato dagli Arabi agli studi aristotelici c'entr per qualche cosa; forse l'essere stata la dottrina platonica, appunto per la sua pro-
Forse
fonda religiosit, addotta, volente o nolente, in appoggio del morente paganesimo, tanto da farne un contraltare alla religione cristiana, aveva lasciato un'erronea impressione
come
di dottrina
senzialmente e sinceramente religioso e metafisico di Platone non poteva essere disconosciuto dal poeta, non poteva non essere da lui simpa-
per
certo
di
simpatia non
Boezio e Agostino gli erano due buoni mallevadori della ortodossia dei
ragione.
Ad
ogni
modo
principi ch'egli
si
appropriava.
dello spirito platonico sia en-
Quanto pertanto
diretta,
Dante per
questo
sarebbe
utile
interessante
maggiore determinatezza possibile, ma non impresa n facile n breve. La teoria dell'amore, per esempio, nei due pensatori affatto analoga, e solamente il notare di questa
far constare
con
la
Dante
i
e il
Timeo.
il il
403
segnalarne
seguirne lo
elementi conformatori o perturbatori, pu consumare per molti anni l'attivit di uno studioso. Lo stesso dicasi di molti
svolgimento,
cercarne
gli
altri
capitoli.
che di saggio, .noter solo alcune delle principali conclusioni del Timeo che passarono in Dante, e lascer d' indagare per quale via vi passassero.
6.
Secondo
il
Timeo
il
corpo dell'universo, cre da s le intelligenze celesti e l'anima immortale dell'uomo; le intelligenze celesti poi crearono il corpo dell'uomo e le sue Dante, tranne ci che si rifedue anime mortali.
mondo
e alle
anime mortali
Per Dante
anche in molti
particolari.
infatti,
Par.
XXIX,
16 segg.,
In sua eternit, di
tempo
fuore,
Fuor d'ogni
S'aperse in
queste sono
le
intelligenze
II,
che
11.
muovono
4 segg.
li
:
cieli,
come
dice in Conv.
5,
movitori
quali la
volgare gente chiama Angeli. E come Platone chiama Dei anche queste intelligenze (1), Dei le chiama talora anche Dante: cos in Par. XXVIII,
(1)
Cfr.
Thom.
S. Th.
I,
7.
404
Appendice.
Dee
(1)
persegue
il
Dove da notare che Calcidio al 188 del suo commento tra le intelligenze che governano
il
appunto
Casum
et
Daemones
inspectores speculatoresque
meritorum.
(2).
qui
si
affaccia
relazione secondo
una questione difficile. Che Dante avevano queste intelliidee ? Prima della quale questione
risolto un' altra
:
che
rela-
(1)
in
(2) Il Moore (o. e, pp. 285-86) come fonte della digressione sulla Fortuna cita giustamente Boezio, Phil. Cons. II, metr. I e pros. II; ma se e come la Fortuna possa essere ritenuta un' intelligenza celeste, Boezio non dice n qui n nella prosa precedente. Non si pu dubitare del resto che anche da Aristotele Dante abbia attinto qualche tratto, poich della Fortuna egli parla spesso. Bastimi citare Phys. II, 4, 9, dove accenna alla sua natura demonica: elol xive<; ole; boK. eTvcu a-da |iv n, Txn> dbnXoc; vGpumivr) biavoiqt, w<; 6etv ti oOaa Kai aiuoviubrepov ed Eth. Nic. IV, 1, 21, dove riconosce che a torto la fortuna accusata di distribuire le ricchezze iniquamente: i Kal yKaXetTai Tf TX13 8ti
:
Dante
zione corre tra
le
?
e il
Timeo. e
le
405
intelligenze
idee
nella
II,
5,
11.
21 segg. ab-
Altri furono,
siccome
uomo
eccellentissimo, che
menti del
delle cose
cielo,
:
ma eziandio quante sono le spezie siccome una spezie di tutti gli uo-
mini, e un'altra tutto l'oro, e un'altra tutte le ricchezze, e cos di tutto: e vollero che siccome
le Intelligenze de' cieli
sono generatrici di
quelli,
ciascuna del suo, cos queste fossero generatrici dell'altre cose, ed esempli ciascuna della sua
spezie; e chiamale Plato idee, che tanto a dire, quanto forme e nature universali. Li Gentili le
fi-
come
Plato: e
loro
adoravano
le
loro
immagini, e facevano
grandissimi templi, siccome a Giuno, la quale dissero Dea di potenza; siccome, a Vulcano, lo quale dissero Dio del fuoco siccome a Pallade
;
ovvero Minerva, la quale dissero Dea di sapienza; ed a Cerere, la quale dissero Dea delle biade. Il Moore (op. cit. pag. 343) cita a conprobabili
e 69 C, e come fonti fronto Tim. pp. 39 E, 40 {ib. pp. 163-64) Cicerone, Ora/or, e. 3, e
Agostino,
De
civ.
potrebbe
arricchirsi (1),
ma
ad
o kokx; TT\d(1) Cfr. Aristot. Metaphys. XI, 3-4 : tujv &pn ti eir) cr-rlv iraa qpaei, emep axv etn d.\\a toOtiuv, oiov uOp, aapS, KecpaXf]. La fonte immediata di Dante per altro pi probabilmente Thom. S. Th. I, qu. 84, a. 1: " Plato ... posuit praeter ista corporalia aliud
.(o6
Appendice.
modo della conoscenza diretta del Timeo luogo addotto non aggiunge alcuna prova, ancorch ci che vi detto delle idee, pur cos inesatto com', somigli piuttosto all'ultima teoria di esse che non alla prima.
ogni
il
questa in
Plato vuole che tutti 55 segg. gli uomini da una sola idea dipendano e non da
11.
:
pi: che
dar
loro
quale
il
Moore accenna
scontro vago, in
dottrina platonica.
Ma
tare
modo
egli
abbia ricostruito
lui
la
avrebbe ami
messo
che
si
1)
cieli
quante sono le specie delle cose. Che queste idee Dante le abbia
idee
intese anch'esse
muovono;
come
ripetere l'opinione
di
Tommaso, che
ai Platonici
Th.
I,
qu. 84,
a.
attri-
buisce
genus entium a materia et motu separatum, quod nominabat species sive ideas, per quarum partecipationem
Cfr.
pure
Dante
e il
Timeo.
407
quasdam substantias Quanto veramente questa asserzione esorbiti dalla schietta dottrina del filosofo, non perderemo parole a dimostrare; ma solo con questa interpretazione era possibile a Dante soggiungere ci che abbiamo veduto. Soggiunge infatti che la gente che non si intendeva di preciaut per se sapientiani esse
creatrices.
fece addirittura
delle divinit, il che non sarebbe stato possibile se nelle idee non si fosse supposta l'intelligenza: cos dell'idea di potenza fecero Giunone, di quella di fuoco Vulcano, e via via. E questo deve essere anche di Par. IV, 61, ove analogamente il senso
si
lo si
nota come la teoria di Platone fu fraintesa, e nota con gli stessi esempi
:
Questo principio male inteso torse Gi tutto il mondo quasi, s che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse.
se vogliamo dire
la
il
vero,
dovremo riconoscere
campata in aria. cose sub specie
che
Come
la
il
aetemitatis, cos
doveva
gente grossa i particolari si riassumevano per in un concetto generale cui la fantasia prestava la personalit, mentre dall' altra parte la speculazione filosofica, pur risalendo dai particolari agli
accontentava di attribuire a questi esclusivamente intelligibile: erano due svolgimenti diversi di una sola concezione fondamentale. Ebbene, Dante, rifiutata l'interpretazione voluniversali,
si
universali
un' esistenza
gare e antifilosofica,
idee di Plastesso
tone
si
accosta
assai
pi
eh' egli
non
408
Appendice.
la loro esistenza
creda: egli accetta l'a priori delle idee, ma non separata da Dio. N fa questo
di sua autorit.
Tommaso
ri-
Agostino alla platonica delle idee, secondo la quale dottrina questi avrebbe negato l'esistenza separata delie idee, e invece avrebbe ammesso esistere nella
ferisce
mente divina
la
le
paradimma abbiamo
Prolegomeni vera, se questo paradimma non che il pensiero di Dio, quella che pareva una correzione non altro che un'indato
terpretazione pi retta.
insiste infatti
Dante
di
come
ab-
Et ideo Augustinus, qui 5 imbutus fuerat, si qua invenit fidei accommoda in eorum dictis, assumpsit; quae vero invenit fidei nostrae adversa, in melius commutavit. Posuit autem Plato ... formas rerum per se subsisLere a materia separatas, quas ideas vocabat, per quarum partecipationem dicebat intellectum nostrum omnia cognoscere... Sed quia videtur esse alienum a fide, quod tbrmae rerum extra res per se subsistant absque materia, ... ideo Augustinus in lib. 83 QQ. posuit loco harum idearum, quas Plato ponebat, rationes omnium creaturarum in mente divina existere, secundum quas omnia formantur, et secundum quas etiam anima humana omnia cognoscit. Altrove Tommaso accetta sen" necesse z'altro questa dottrina S. Th. I, qu. 15, a. 1 est ponere in mente divina ideas. E pi oltre " necesse est quod in mente divina sit forma ad similitu(1) S. Th. I, qu. 84, doctrinis Platonicorum
a.
'" : : : :
factus. E pi oltre ancora: est aliud quam Dei essentia. Cfr. ibid. qu. 44, a. 3. Pi esplicito ancora il falso Dionigi Areopagita, De divinis nominibus, V, 8 TrapabeiyinaTct b <pauv elvcu to<; v 0e> vtujv oaiOTroioe; xal
viaiw<;
TTpouqpe<JTtI>Ta<;
XoYiaiacx; Xoyicf0<; di
modo
la
Xyout;. Cfr. in Tim. p. 34 A il Dio che crea il mondo. Allo stesso intende Boezio nel passo sopra riferito.
Dante
e il
Timeo.
409
in
biamo veduto,
il
e di quello del
mondo
Conv. 111,2,
qual luogo pure abbiamo di sopra riferito. E pi chiaro e pi esplicito ancora in Conv. Ili, 6, E se essa umana forma, esemplata 11. 57 segg.
:
e individuata,
non
perfetta,
non
manco
del
detto esemplo,
vidua. Per
la
ma
Intelletto
di lass
ch'ella
se
non
cos fatta, come l'esemplo intenzionale che della umana essenza nella divina Mente (1). Dove si vede come anche Dante riconosca che la mag-
giore
nel
loro somigliare
La causa
l'
idea,
tone.
duce
il
sotto
segno
men
traluce.
Secondo
E
E
(cio
Ond'egli avvien che un medesimo legno, specie, meglio e peggio frutta; voi nascete con diverso ingegno. Se fosse a punto la cera dedutta, fosse il cielo in sua virt suprema,
intermediari)
:
Ma
C
E
i
Fede
il
(1) Clr.
Par.
Il,
130-32.
35
Feaccaroli,
II
Timeo di Platone.
4 io
Appendice.
(cio se
Tutta la perfezion quivi s'acquista. Cos fu fatta gi la terra degna Di tutta l'animai perfezione, Cos fu fatta la Vergine pregna.
Se pertanto gli esemplari delle cose sono in Dio e se le intelligenze celesti e gli eletti sono
beati della sua contemplazione, dritta e legittima
conseguenza che essi vedono in Dio come in uno specchio tutte le cose. E questo pure affermato e ripetuto da Dante tante volte, che tedioso ed inutile sarebbe annoverarle una per una.
7.
Ammesse adunque
Dante
in
le
idee in Dio e
le
in-
parla
modo
suoi Dei
moto
si
equi-
valgono:
Voi che intendendo
il
aveva
Cos
oltre,
l'
scritto
Dante
nella canzone; e
cio collo
II, 7,
1.
intelletto solo
commenta
la
9.
poco pi
Ili,
44-45,
spiega
di
colazione.
12,
1.
83
Anche
Dio detto
Ed
movimento
la manifesta-
dell' intelligenza.
il
movimento
Timeo
come
sia co-
stantemente circolare ripetuto a ogni passo nel Paradiso. Non pure Dio rappresentato in figura circolare (Par. XXXIII, 116), e gira s sopra sua
Dante
imitate (Par.
II,
e il
Timeo.
i
411
cieli si
138);
non pure
vono
Dio;
muonon pure le
ma
le stesse
anime dei
letizia
beati manifestano
la loro
maggiore o minore
come
spere sopra
fissi
poli (Par.
XXIV,
1),
come
mole (Par. XII, 3, XXI, 81), come palei (Par. XVIII, 42), anzi in forma di spere luminose appunto appariscono
al
accumulare
8.
analogie sono degne di nota Per Dante gli astri sono corpi governati da intelligenze ab extra; per Platone sono corpi governati da intelligenze ab intra. In questo Dante aristotelico; n bisogna sottilizzare sulle parole, n trar conseguenze precipitate da espressioni come queste, Par. II, 139 segg.
Ma
accanto
alle
anche
le differenze.
Virt diversa fa diversa lega Col prezioso corpo ch'ella avviva, Nel qual, s come vita in voi, si lega.
Per Dante
gli
angeli sono
vono gli astri, ma muovono anche s separatamente e diversamente dagli astri, e l'intelligenza e l'astro restano per lui sempre due cose separate (1); per Platone invece gli astri si muovono di vita propria, sono corpi vivi, animali, per
usare
la
sua parola, e
le
loro
anime costituiscono
Ad
ogni
modo
gli
(1) Thom. S. Th. I, qu. 51, hanno " corpora naturaliter l'anima del mondo.
a. 1
sibi unita,
4i2
astri tanto
Appendice.
quanto per Platone sono quanto per l'altro, notevolmente diversi e, quasi direi, meno materiali dei nostri. Che siano corpi per Dante chiaro non tanto perch con questo nome di corpi egli li chiama, Par. Vili, 99 (che molto bonariamente altrove chiama corpi anche le ombre, Purg. Ili, 22), e perch parla della loro materia, Par. II, 75, quanto perch egli nota espressamente che contro le leggi della nostra fisica egli corpo era entrato nel corpo loro, Par. II, 34-39. Sono corpi dunque, ma penetrabili da altri corpi; sono
corpi, e corpi, tanto per l'uno
sfere,
per Dante
ma
abitate internamente,
come
le
peschiere
non alla superfice non pu esser dubbio come la terra nostra. Cos che siano corpi anche per Platone, non fosse per
dai
altro,
lui
perch sono
visibili
che Dio li fece principalmente di fuoco, gina 40 segg., mentre spiega la gravitae poi a pag. 63 zione per la forza d'attrazione che ha la maggior massa della materia sulla minore, ammette im-
che acqua e terra siano in massa maggiore nella Terra, e il fuoco per lo contrario nel cielo, dove perci anche il fuoco nostro
plicitamente
tratto a salire.
Dante
cieli,
pi differenze
che
la
(1) Per le questioni sulla natura di questi corpi cfr. Proclo, Cotnm. in Tini. pag. 152, che Dante certamente non vide.
Dante
tinse fu l'Alfragano,
il
e il
Timeo.
413
Timeo
non
negli
accidenti,
ma
come
in
Dante
resta fisso
che parte immediata e parte mediata, con la sua necessaria conseguenza che ci che Dio ha creato direttamente da s non pu morire, e che ci che ha creato per mezzo delle
zione,
In quel luogo del intelligenze finisce. Par. VII, 64 segg., che abbiamo citato per prova
altre
conoscenza che Dante ebbe del Timeo, questa affermazione, che puoi confrontare con
della
Tim.
p.
41 C:
Ci che da
lei
senza mezzo
distilla,
Non ha La sua
si
muove
:
sigilla
(1)
dove, per ci che si detto dell'esemplare, X imprenta va intesa in un senso pi proprio che alla prima forse non parrebbe. Ebbene, fra le cose che direttamente derivano da Dio detto chiaro subito dopo esser l'uomo, vv. 76-77. E questo il poeta afferma come dottrina sicura; e per non
(1)
Non
Che
amando,
il
nostro sire.
414
lasciar
Appendice.
dubbi
ci
torna sopra e
la
ribadisce alla
I24segg.
Tu dici 'Io veggio l'acqua, io veggio il foco, L'aer e la terra e tutte lor misture (i) Venire a corruzione e durar poco E queste cose pur fur creature Perch, se ci ch'ho detto stato vero, Esser dovrian da corruzion sicure.
:
'
il
Nel qual tu
S
sei,
dir si
sono, in loro essere intero; elementi che tu hai nomati E quelle cose che di lor si fanno, (3) Da creata virt sono informati.
come
Ma
gli
Creata fu la materia ch'egli hanno, Creata fu la virt informante In queste stelle che intorno a lor vanno.
non
questo dalla mera e schietta dottrina platonica differisce se non in questo, che alle intelli-
creare,
genze non attribuisce propriamente la virt di che Tommaso non concede loro (4), ma
quella soltanto
di
informare.
dottrina plato:
Ma
La somma
mezzo
spira
Va
E quinci puoi argomentare ancora Vostra resurrezion, se tu ripensi Come l'umana carne fssi allora Che li primi parenti intrambo fensi.
Per
la frase cfr.
(1)
(2) Cfr.
(3)
(4)
Cfr. S. Th.
qu. 65,
a. 3.
Dante
e il
Timeo.
415
Se si ammette infatti con la Genesi che il corpo primo uomo sia stato creato da Dio direttamente, e se si ammette con Platone che ci che opera diretta di Dio non possa perire
del
anche
la
alla dila
struzione. Soltanto
carne
abbiamo secondo
un solo atto direttamente creativo al principio, come un solo atto creativo al principio abbiamo per le anime secondo Platone, mentre per queste Dante con la Chiesa ammette che Dio intervenga a
la
come
XVI, 85
segg., e
XXV,
67 segg.
Cfr. Par.
I,
73-74.
10. D' altra parte Platone non avrebbe forse i suoi Dei secondari, che
alla creazione, avrebbero avuto tanta fortuna nella filosofia e nella credenza posteriore da diventare elementi forse pi per-
Le
lui
stelle,
secondo Dante
esercitano sugli
(cfr.
non
fu
punto
enorme
per esempio
il
Purg.
XXX,
bi-
sogno di dimostrare che con tutto ci questa efficacia non impedisce la libert dell'arbitrio (1).
Lo
cielo
vostri
movimenti
inizia,
XVI, 73
segg.,
(1)
Cfr.
Thom.
S. Th.
I,
qu. 115,
a. 6.
416
Appendice.
Non
il
dica,
la
maggior forza
Dio
creatore, e la
la
mente non
sta
parte razionale
ci
che da Platone a speculazione abbia fatto un proDante questa gresso. Platone assai pi ragionevolmente ascrive
bene,
si
ma non
pu dire
le
perturbazioni e
alla
le
deviazioni
al
dalla
vita
ra-
zionale
materia,
che entra a perturbare i circoli divini dell'anima {Tim. pp. 43 A -44 C). Egli scagiona cos gli Dei di ogni mala influenza: essi hanno imitato il padre loro quanto potevano coi mezzi di cui potevano disporre. Anch'egli per altro cozza, e pi violentemente che Dante, contro il problema
della libert: se le perturbazioni
avvengono non
per causa dello spirito, ma per causa della materia, ci torna a dire che nessuno malvagio di propria elezione, e che il malvagio non altro che un malato. Ebbene, Dante e Platone a questo
punto tornano ad incontrarsi, e concordi conchiudono che pertanto bisogna provvedere a trovar dei motivi che siano suffcenti a tener l'uomo sulla via dritta. E Dante vuol leggi e governo, Pitrg. XVI, 94 segg.
:
Onde convenne legge per fren porre; Convenne rege aver, che discernesse Della vera cittade almen la torre
:
Dante
e il
Timeo.
417
e nel traviamento politico riconosce la colpa del traviamento morale del tempo suo. E Platone
vuole che innanzi tutto si provveda ad una sana educazione della giovent, dei traviamenti della quale (e son parole e verit sacrosante) chiama
responsabili
non
giovani,
ma
genitori e gli
educatori {Tim. pp. 86 D-87 B). Queste cose Dante non lesse certo nel Timeo, perch fino a qui non giunge Calcidio, ma analogamente le
fonti, in tanta
o di mera curiosit, pare a me non sia stato ancora indagato con quella seriet di propositi che a tal materia si converrebbe, n certamente io
qui v TTapepyuj presumo di sopperire a questa mancanza, neanche solo per ci che concerne
sarei contento se questo breve e incompiuto spunto potesse servire di occasione a qualche altro volonteroso per trattare a fondo l'argomento. Finiamola una buona volta col pie fermo e col disdegno di Guido ', e pensiamo a qualche cosa di serio: io ho preparato dei materiali; ad altri lascio il lavorarli. Ed intanto mi affretto a conchiudere. Anche altri principi fondamentali di Platone ritroviamo pure essere principi fondamentali di Dante. Dio per Platone il sommo bene, e per Dante oltre che il sommo bene {Par. XXVI, 31-33) il sommo amore {ibid. 38-39). E l'amore perci il cardine su cui si volge tutto il mondo e della materia e dello spirito; dall'amore procedono e
'
'
Platone. Io solamente
'
la
la
conservazione
della morale.
418
Appendice.
l'altro
anche nel modo della creazione; e per l'uno e per Dio procede ad essa
In sua eternit, di
tempo
fuore.
Consentono
tutti
l'uni-
che Iddio invece e la sfera che non siano in luogo Par. XXII, 65 segg. In quella sfera propria di Dio, dice,
pi sua propria
:
Perch non
in Conv.
II, 11.
il
sovrano edifcio del mondo, nel quale tutto il mondo si inchiude e di fuori del quale nulla : ed esso non in luogo, ma formato solo nella prima Mente. E Par. XXVII,
Chiesto
109 segg.:
E questo cielo non ha altro dove Che la mente divina, in che s'accende L'amor che il volge e la virt ch'ei piove.
Al qual proposito superfluo del Timeo citar passi, quando appunto uno dei principi fondamentali di esso che proprio di ci che , non essere in luogo, mentre condizione necessaria per la esistenza del mondo fenomenico appunto la xwpa o TTOoxt'l, che lo deve reggere, la quale Xupa, come si detto, non poi altro che lo spazio. E se anche su questo punto il concetto platonico pi razionale del dantesco, bisogna pensare che Dante scriveva un'opera che era essenzialmente opera d'arte, e che arte senza forme e senza co-
Dante
lori
e il
Timeo.
419
(1)
non
si
d. Perci
il
suo empireo
,
si
non
creato,
in
luogo,
ma
intanto intorno al
:
mondo
e questa
39,
il
ciel
Par.
XXX,
soggiunge
subito
Luce
per
intellettual
piena d'amore,
dai sensi
sempre rappresentata come luce percepibile (2). E come avrebbe potuto Dante fare
?
l'
altrimenti
Anche
cinava
la
altro principio con cui Platone avvidottrina eleatica all'eraclitea, cio che
il mondo fenomenico della pluralit non che una manifestazione del mondo intellettuale dell'unit, accolto da Dante e posto a base del suo
sistema.
.
Non
. .
solo {Par.
l'
II,
136-38)
non solo
in
Dio
si
ma
di
143-45)
Speculi
fatti s'
ha, in che
in s,
Uno manendo
(3).
(1)
origini cfr.
che lai luce non corpo; e questo serva a giustificazione di Dante. (3) Cfr. Tim. p. 42 E: al uv bf\ itravra raOra 5iatcuok; 2(nevv v tuj autoO Kctt xprrov fj9ei. Poich per
.j2o
Appendice.
si
potrebbero raccogliere,
quali di principi generali, quali di luogl i singoli. In Purg. XXV, 37 segg. si d una teoria della ge-
il
Timeo,
non
veduta certo da
Dante
ma quando
giunge alla congiunzione dell'anima col corpo, troviamo delle frasi che hanno riscontro con qualcuna della parte da lui. conosciuta: confrontisi
vv. 74-75
:
Che vive
con
Tini. p.
detto
cidio
:
36 E, dove dell'anima del mondo appunto a-rr) v aTrj ffTpecpouevn (CalSimil ipsaque in semet convertens ).
mente che
in
la materia proporzione della sua massa principio comune a Platone e a Dante, che lo afferma specialmente ove dice che il fuoco nato a salire
L dove
Cos dicasi di osservazioni anche pi speciali e occasionali. Che il midollo spinale sia la radice detto in Tim. pag. 73 B ed in dell' uomo
Inf.
Cos quando leggiamo in Conv. I, 7, 11. 15 segg., che: Ciascuna cosa che da perverso ordine pro-
'
cum
in proposito
rerum creator
maneret', anche questa analogia dovr porsi nel novero delle casuali: analoghi principi conducono ad analoghe conseguenze.
Dante
Timeo.
il
421
cede laboriosa, e per conseguente amara e non dolce, ripensiamo alla dottrina del Timeo che il dolore e il piacere fisico corrispondono al
partirsi e al ritornare
cfr.,
Tim.
p.
66 C.
e afferma che la vista fu data all'uomo principalCos nel frequente trasmente a questo scopo.
lato della
il
substrato su cui
si
imprime l'immagine dell'idea, si potrebbe vedere un riflesso dell' Kuorreiov di cui parla Timeo a p. 50 C; cos persino nell'immagine del convito che Platone adopera fino dalle prime linee del Timeo (p. 17 A), e su cui insiste anche pi oltre (p. 27 B), si potrebbe vedere, se non l'ispirazione, almeno un conforto a intitolare Convivio la sua maggior opera di prosa; per tacere ci che fu gi notato da altri, che l'ideazione del Purgatorio nell'emisfero australe e la leggenda dell'ultimo
viaggio d'Ulisse (Inf. XXVI) potrebbero avere pure avuto occasione dal proemio del nostro dia-
logo
(1).
(1) In
particolare
Quando venimmo a
Ov'Ercole segn
li
parrebbero
pp. 24 E-25
in
vf|(Tov
qualche yp
Tim.
toO aTuctrcx;
Fkaccaroli,
II
Timeo di Fiatone.
36
422
Appendice.
ma
poich ad ogni
modo
ri-
risultato
di dimostrazione, ci
sultato mi pare che basti. E riassumendo conchiudo, che mentre da una parte sembra certo aver Dante veduta la traduzione di Calcidio, se non forse anche il commento, non si pu dall'altra affermare che questo fosse uno dei testi
ch'egli pi studiasse e intendesse, e tanto
ch'egli possedesse.
cile,
meno
difficilissimo
del
medio evo,
Se il Timeo per noi diffidoveva essere per gli uomini mal si capisce come si imma-
Tom-
maso citavano troppe volte il Timeo, perch Dante non dovesse sentir desiderio di attingervi direttamente, ma che fosse difficile e oscuro lo sapeva gi da Cicerone, e ci che veramente volesse dire anche nei punti che a Dante parevano pi capitali, egli,
come
dichiara,
non
si
sua fede in Aristotele del resto lo dispensava di andare al fondo di un'opera che e perci probabilpoteva essere eterodossa,
di aver capito.
La
mente non
ci
lasci piut-
Se per
altro
non se ne giov molto per le sue argomentazioni, se ne assimil lo spirito profondamente meta-
Xelrai, di<; qpate |i<;, 'HpaxXous axrjXai (a p. 151 in nota per lapsus detto preferirsi altra lezione) Tde )uv ydp, cm vTi; toO ar.uaTos ou Xyo|Liev, qpaiverai XijLiif*iv arevv riva ?xwv elcnrXouv. Anche poco pi oltre lo stretto chiamato aj\xa, e la parola conservata da Calcidio che ha: " quod os a vobis Herculis censentur columnae ... quippe hoc intra os, sive Herculeas columnas,... e lascio il resto, che sono spropositi.
Dante
fisico,
e il
Timeo.
423
Timeo e
la
pi grandi sintesi dei problemi fondamentali della natura e dell'umanit; la coscienza ellenica nell'uno, la coscienza cristiana nell'altro
sono raploro
rigoglio
della
pi
perfetta evoluzione. Pi appassionato e pi sicuro Dante nei suoi presupposti dall' uomo risale a
,
Dio, e fa perci opera pi interessante; pi rigoroso logico Platone e pi indipendente nelle sue speculazioni, da Dio scende all'uomo, e fa perci
opera pi dottrinaria. Dante muove dall'esperienza, Platone dalla teoria Dante dal fenomeno assurge all'idea, Platone dall'idea deduce il fenomeno; Dante dalla terra sale al cielo; Platone
;
vanno
tutti e
;
due
ma Dante,
perch comincia dall'uomo, trova pi largo consenso nelle anime dei suoi lettori Platone, perch comincia da Dio, di necessit parla a pochi, e la parte umana che doveva trattarsi nel racconto di Critia disgraziatamente rimase incompiuta. Ad
;
ogni
modo
tutti e
da un principio
anzi pi
aprioristico, e la fede di
aprioristica
della
speculazione
scientifica di Platone: gli che la fede di Dante, appunto per il suo carattere soprarazionale e per consenso che trovava nelle anime cristiane, il
consenso di sentimento e consenso di aspirazioni, penetrava pi assai nei misteri della vita ed avea sull'uomo un'efficacia assai pi pratica che non potesse avere il pensiero di Platone, per quanto alto e per quanto puro, il quale, appunto
424
Appendice.
perch alto e perch puro, era di necessit incomunicabile alle masse. Questa stessa analogia d' argomento pu pertanto aver di per s prodotto molte analogie anche nei particolari, senza
bisogno di vederci sempre imitazione consciente
e diretta.
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v-> ^~ U->
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INDICE
pag.
vii
xi
i
Prolegomeni
Capitolo
I.
3
37
IL
III.
mondo
. .
Il
85
121
Timeo
il
Appendice. Dante e
Timeo
389
-><
B 387
Plato
II Timeo
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