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GRAMMATICA
STORICA
DELL'ITALIANO
Paolo D'Achille
Carocci
LE BUSSOLE / IO
STUDI LINGUISTICO-LETTERARI
a
l edizione, giugno 2001
© copyright 2001 by Carocci editore S.pA, Roma
isbn 88-430-1906-6
Carocci editore
Via Sardegna 50
00187 Roma.
tel 06 42 81 84 17
fax 06 42 74 79 31
http://www.carocci.it
Paolo D'Achille
<s>
Carocci editore
Indice
Premessa 7
Per riassumere... 21
1. La lingua italiana 22
Per riassumere... 35
2. I mutamenti fonetici 37
2.1. Il vocalismo 37
2.2. Le semiconsonanti 50
2.3. Il consonantismo 51
Per riassumere... 74
3.3. I pronomi 83
3.4. I numerali 89
3.5. Il verbo 90
3.6. Preposizioni e avverbi 101
Bibliografìa 124
Premessa
rentesi tonde i foni che, in italiano, sono dileguati (si è però rinun-
ciato a porre sistematicamente tra parentesi tonde la -m finale degli
successivi.
taliano è una lingua e ogni lingua, come pure ogni dialetto (così si
definisce una lingua diffusa in una comunità che occupa un'area
geograficamente più circoscritta), si configura come un sistema do-
tato di un suo funzionamento, con specifiche regole, e di una sua
struttura, analizzabile a diversi livelli, che ora passeremo in rassegna.
velo palatino (la parte posteriore, molle, del palato) è staccato dal
fondo della laringe, l'aria esce, oltre che dalle labbra, anche dalle
narici, producendo foni nasali; se invece il velo palatino è sollevato
contro la volta superiore della laringe, l'accesso al naso è impedito e
i foni prodotti sono solo orali. Importante è la distinzione tra vocali
e consonanti. Le vocali sono foni sonori che si producono quando le
corde vocali vibrano regolarmente e l'aria nel canale orale non in-
contra veri e propri ostacoli, ma solo piccoli restringimenti, dovuti
alla diversa posizione della lingua e all'eventuale arrotondamento
delle labbra. Le consonanti sono invece foni (sonori o sordi) che si
contra resistenze dovute alla chiusura (in punti diversi) del canale o
a un suo forte restringimento. Esistono anche foni intermedi tra le
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senso compiuto determina una parola diversa per significato o forma grammaticale. In
italiano l'esistenza di "coppie minime", cioè di forme che differiscono solo per un fono,
come pera/sera o pera/pere dimostra per esempio che /p/, /s/, /a/ ed /e/ sono fonemi.
Non tutti i foni prodotti normalmente dai parlanti sono anche fonemi: i fonemi possono
realizzarsi in foni diversi, senza che questa diversità determini una differenza di signi-
ficato. Pensiamo per esempio alla cosiddetta erre "moscia" (che probabilmente iniziò a
diffondersi nella nostra penisola per imitazione francese), la cui realizzazione fonetica
concreta è ben diversa da quella della erre "normale", ma senza effetti sul sistema del-
la lingua, senza che il suo fono sia un fonema distinto dall'altra erre. Esistono anche,
come vedremo, variazioni fonetiche condivise dall'intera comunità dei parlanti, che
re": il fonema in certi contesti è reso sempre con un fono, in altri con un altro, affine ma
diverso, che viene chiamato allòfono.
Nello studio scientifico dei fonemi si utilizzano sistemi di trascrizione diversi, che
completano le lettere dell'alfabeto latino tradizionale (di per sé insufficienti) con altri
simboli (le lettere dell'alfabeto greco e altre notazioni): quello che adottiamo qui è
tion), che è il più diffuso negli studi linguistici (ma nella romanistica, cioè nello studio
delle lingue e dei dialetti romanzi si usa piuttosto corredare con segni speciali le let-
tere latine). È bene precisare subito che la lettera o il simbolo compresi tra barrette
oblique rappresentano il fonema (per esempio /a/ indica la vocale centrale); il simbo-
lo o la lettera compresi tra parentesi quadre il fono (per esempio [a] è una realizza-
zione concreta della /a/; [R] è la già ricordata erre "moscia"); la lettera o le lettere tra
parentesi uncinate indicano il grafema (per esempio < h > è la lettera acca, che in
Dei simboli che identificano i foni (e i fonemi) dell'italiano tratteremo nel cap. 1. Se-
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fonema) si indica con i due punti dopo il simbolo (/k:/) o, se il fonema è rappresenta-
to da due simboli, con la ripetizione del primo (/ddz/). L'accento tonico, infine, è reso
con un apice simile all'apostrofo (') posto prima della sillaba contenente la vocale
accentata.
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al latino, di tipo isolante: ogni significato è rappresentato da un uni-
co elemento (chiamato morfo), che costituisce una parola autono-
ma: per esempio al latino rosae genitivo corrisponde l'italiano del-
la rosa.
congiunzioni che servono per legare tra loro frasi diverse. La sintassi
spazio e nel tempo, tanto più presenta nelle sue manifestazioni con-
crete una serie di differenze interne, dovute alle seguenti variabili:
• la variabile diamesica, legata al mezzo materiale in cui avviene la
comunicazione (parlato, scritto, trasmesso): ogni mezzo ha caratte-
ristiche fisiche diverse, che influiscono sulla lingua;
• la variabile diacrònica, legata al tempo, che determina inevita-
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• la variabile diastràtica, legata alla classe sociale, alle condizioni
tuale correttezza.
Lo studio in prospettiva diacronica esamina l'evoluzione storica della
questo caso sia per il punto di partenza (il latino) sia per quello di
arrivo (le lingue attuali) si dispone di una ricca documentazione,
che si snoda lungo un arco cronologico di circa 2.700 anni.
Il passaggio dal latino alle lingue romanze comportò la frammenta-
zione dell'unità latina, ma il sistema linguistico del latino classico
aveva già da tempo subito trasformazioni, dissolvendosi in quello
che viene definito latino volgare.
Il latino volgare Anche il latino era soggetto alle variazioni che ab-
biamo ricordato inizialmente e la definizione di latino volgare, cioè
parlato dal vulgus, dal popolo, fa riferimento alla variabile diastrati-
ca. L'espressione "latino volgare" è ormai accettata negli studi, an-
che perché proprio dalle classi popolari, in età imperiale, partì la
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più ampia di latino parlato, in quanto varietà parlata in ogni strato
sociale lungo l'intero arco della latinità. E stato infatti notato che
alcuni fenomeni propri del latino volgare hanno precedenti già nel
latino arcaico, affiorando per esempio nelle commedie di Plauto, e,
tenuti a freno o respinti dalle scritture nell'età classica, sono riemer-
si solo in una fase tarda. Le stesse lettere di Cicerone sono scritte in
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che le ha determinate, ripercorrendone a ritroso le diverse evoluzio-
ni fonetiche.
garismi (più tardi, però, in documenti del genere assumono una ve-
ste latina termini volgari).
In questo libro non tracciamo un profilo linguistico complessivo
co, una riduzione nella libertà dell'ordine delle parole nella frase. La
collocazione del latino volgare nella dimensione prevalentemente
parlata spiega inoltre l'abbandono (o la semplificazione) di molte
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strutture sintattiche proprie del latino classico e la riduzione del pa-
trimonio lessicale, nel cui ambito si registrano anche sviluppi se-
mantici particolari.
guistica.
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meglio, a una serie di dialetti tra loro più o meno simili, alcuni dei
ture. Solo all'epoca di Carlo Magno, con la riforma carolina, che riu-
scì a imporre all'uso scritto un maggiore rispetto per le regole gram-
maticali proprie del latino classico, si prese finalmente coscienza del-
l'avvenuta trasformazione linguistica. Dal secolo vili in poi (e a vol-
te, come nel caso del rumeno, con un plurisecolare ritardo) comincia
la documentazione scritta in volgare, cioè nelle lingue romanze; più
tardi i nuovi volgari vennero adottati anche per l'uso letterario.
Non esiste una classificazione delle lingue romanze universalmente
accettata dagli studiosi: il loro stesso numero è tuttora soggetto a
discussioni e dibattiti. Semplificando, in questa sede, una proble-
matica assai complessa, ricordiamo velocemente le principali lingue
romanze, da ovest a est (senza fare riferimento alla loro espansione
in epoca moderna, quando, in seguito al colonialismo, alcune di
esse si diffusero anche in altri continenti): il portoghese; lo spagno-
lo o castigliano; il catalano, parlato in Catalogna; il francese; il pro-
venzale, parlato in Provenza e in altre zone della Francia meridiona-
le (oggi è ridotto a una varietà dialettale, ma nel Medioevo godette
di grande prestigio letterario, grazie soprattutto alla lirica trobadori-
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intermedia tra i due gruppi); italiano, sardo e ladino rientrano nel dominio italo-ro-
manzo, mentre il rumeno nel balcano-romanzo (il dalmatico era in posizione interme-
dia). Importante è anche la distinzione tra lingue romanze occidentali e lingue romanze
tino dalle diverse lingue a cui questo si era sovrapposto (iberico, cel-
tico, etrusco, osco, dacico ecc.), che ha determinato i cosiddetti fe-
nomeni di sostrato, attivi soprattutto sul piano fonetico. Tenuti a
freno fino al collasso dell'Impero, gli elementi locali acquistarono
poi nuovo vigore e contribuirono a determinare differenziazioni sia
fra gruppi linguistici diversi, sia all'interno della stessa lingua. Se-
20
lentemente di elementi lessicali accolti grazie al peso politico o al
Per riassumere...
piccole unità distintive; la morfologia, che studia la forma delle parole nel-
le loro più piccole unità portatrici di significato; la sintassi, che esamina la
dal latino classico, dalla quale sono derivate, differenziandosi tra loro, le
21
1. La lingua italiana
terizzava del resto l'Italia già prima della sua unificazione a opera
dei Romani: le particolari condizioni geografiche (facilità di appro-
di via mare; valicabilità della catena delle Alpi e, viceversa, relativo
22
za greca fu quella più ampia e duratura, dato il prestigio della civiltà
ellenica e, più tardi, la mediazione svolta dal greco nell'introduzio-
ne a Roma del cristianesimo). Ma le popolazioni romanizzate (so-
prattutto quelle imparentate coi Latini), trasferirono nel latino al-
cune parole e, soprattutto, certe abitudini di pronuncia che influi-
rono sull'evoluzione successiva dei diversi dialetti italiani.
sul piano dialettale. A parte il caso del sardo e del retoromanzo, che
si configurano, come abbiamo visto, come sistemi linguistici asso-
lutamente autonomi, nel dominio italo-romanzo possiamo infatti
manze occidentali e sono parlati nelle zone a nord di quella che vie-
ne definita "linea La Spezia-Rimini", che corre grosso modo dal
Tirreno all'Adriatico lungo l'Appennino tosco-emiliano, e i dialetti
23
Tra i dialetti centro-meridionali si distinguono:
• i dialetti toscani, parlati appunto in questa regione (che antica-
bria settentrionale;
• i dialetti meridionali estremi, parlati nel Salento, nella Calabria
centromeridionale e in Sicilia.
media tra il Nord e il Sud anche dal punto di vista linguistico, e ciò
tre zone della penisola, tra cui Roma e l'area mediana e altomeri-
Svevia, nella prima metà del Duecento. Pure in vari centri dell'area
renze, che nel corso del Duecento divenne la più importante città
24
1.1.2. Fiorentino e italiano L'italiano deriva, nelle sue strutture fon-
25
bianco: se già nel Trecento abbiamo testimonianze della sua espan-
alla "peste nera" del 1348), e poi nei secoli successivi, diversi tratti
no); altri ancora, respinti per secoli, sono stati accolti solo di recen-
te, in epoca postunitaria, anche in seguito alla scelta del Manzoni di
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Sebbene in misura incomparabilmente minore, anche le altre aree
essere poco mutata nel corso del tempo. Mentre la fase medievale
del francese (la lingua d'oil) è un sistema linguistico radicalmente
diverso dal francese moderno (e il francese contemporaneo, specie
parlato, ha poi sviluppato ulteriori tratti innovativi), l'italiano, o al-
Questo è stato spiegato col fatto che l'italiano è stato per secoli una
lingua destinata solo (o almeno prevalentemente) alle scritture, sot-
tratta cioè all'uso parlato concreto, che costituisce il principale fat-
tore del mutamento linguistico: non di rado, infatti, agli stessi scrit-
tori che l'hanno usato, l'italiano è parso una "lingua morta", come
le lingue classiche, fissate nella fase "aurea" del loro sviluppo, rap-
presentata da modelli letterari ammirati e giudicati insuperabili.
Oggi sappiamo che la fissità dell'italiano è stata alquanto sopravva-
lutata. Non vi è dubbio, infatti, che anch'esso sia mutato nel corso
del tempo; rispetto ad altre lingue, però, questo mutamento è stato
per secoli più contenuto (o meno avvertibile), tanto che sembra av-
27
storico consistente e hanno avuto spesso un corso sotterraneo, che
solo da poco sembra essere venuto finalmente alla superficie. Ma, a
ben guardare, molte strutture morfologiche e sintattiche sono sen-
sibilmente cambiate nel corso del tempo e alla luce del sole; le tra-
più alla lontana, provenzale (preferenza per core, foco, fera rispetto a
cuore, fuoco, fiera-, forme verbali come deggio, saria invece che debbo,
sarei-, termini come augello; parole uscenti in -anza, -aggio), un po'
per ricerca voluta dell'arcaismo (si pensi solo a grafie come a la per
alla, a veggio per vedo, ad alma per anima) o del latinismo, la poesia
italiana ha avuto non solo sul piano stilistico, ma anche sul piano
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linguistico vero e proprio caratteristiche particolari rispetto alla
prosa. Ma anche la lingua della prosa si è spesso compiaciuta di
tratti arcaici: fra l'altro, appunto in quanto lingua poco parlata, l'i-
Abbiamo dunque:
• una vocale centrale, prodotta con l'apertura massima della cavi-
tà orale e la lingua in posizione abbassata: la /a/;
• tre vocali anteriori o palatali, così dette perché la parte più alta
della lingua le articola spostandosi sempre più avanti, verso il palato
duro: la lei (aperta), la lei (chiusa) e la HI;
• tre vocali posteriori o velari, così dette perché la parte più alta
della lingua le articola andando sempre più indietro, verso il velo
29
palatino: la hi (aperta), la lol (chiusa) e la lui. Queste vocali ven-
gono dette anche labiali, perché richiedono in più una protrusione
(cioè un arrotondamento e una spinta in avanti) delle labbra.
(la lìl e la /u/), medio-alte (la /e/ e la /o/), medio-basse (la lei e la
scritto, ma, ove occorre, è resa nell'ortografia normale (e, per como-
dità, anche qui di seguito, negli esempi), con l'accento grafico acu-
to (per le chiuse: é, 6) o grave (per le aperte: e, ò).
Non tutti gli studiosi convengono net considerare l\l e /w/ fonemi, vista la difficoltà di
reperire coppie minime rispetto alle vocali corrispondenti. La distinzione rispetto a /i/ e
lui si ha comunque sul piano fonematico e dal punto di vista storico-linguistico è di im-
portanza fondamentale. Le semiconsonanti entrano anche nei trittonghi, che sono però
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dalle vocali corrispondenti, usando gli stessi grafemi <i> e <u> (iena come ira,
uomo come uva). In passato però (e sistematicamente dal Seicento all'inizio del Nove-
cento) la jodè stata resa con < j > {bujo,jeri). La wau invece non ha mai avuto un se-
gno distintivo; anzi, per influsso della grafia del latino classico, il grafema < u > (o,
specie al maiuscolo, < v > ) è stato usato indifferentemente per la vocale, per la semi-
TABELLA 1
Le consonanti italiane
sorda sonora sorda sonora sorda sonora sorda sonora sorda sonora sorda sonora
Occlusive P b t d k g
Nasali m n ji
Affricate ts dz tj d3
Laterali l À
Vibranti r
Fricative f v s z J
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del tutto il flusso dell'aria, di costrittive (o continue, dette anche da
alcuni studiosi spiranti o fricative\ termini che però altri usano an-
che per indicare solo alcune consonanti, definendo le altre liquide)-,
la lingua che poggia sui denti superiori), alveolari (la lingua tocca
gli alveoli dei denti superiori), palatali (la lingua si solleva sul palato
Per semplificare la terminologia, definiremo per esempio la /p/ come bilabiale sorda
(tralasciando il fatto che è anche occlusiva e orale), la /s/ e la /zi, cioè le fricative alveo-
lari sorda e sonora, come sibilanti, la /m/ come bilabiale nasale e la /ri/ come nasale
palatale (lo stesso schema proposto, del resto, raggruppa le nasali, non considerando
foni sono un po' diversi (sono indicati in fonetica come [e] e [$]).
mente con < c> e < g > davanti alle vocali palatali {cento, cima,
32
gelo, giro), con < ci > e < gi > davanti ad /a/ e alle vocali velari
{pancia, ciò, ciurma, già, gioco, giù).
La lisi e la /Azi le affricate alveolari sorda e sonora,
, sono rese in ita-
La Ijìl, nasale palatale, è resa sempre con < gn > {gnomo, giugno);
la Ikl, laterale palatale, con < gì > davanti a HI {gli, figli) e con
< gli > davanti a tutte le altre vocali {famiglia, moglie, aglio)', la /J7,
sibilante palatale, con < so davanti alle vocali palatali {scemo,
scimmia), < sci > davanti ad /a/ e alle vocali velari {sciarpa, sciocco,
duano alcune coppie minime, come fuso /'fuso/ ('arnese per filare')
33
medio che neutralizza l'opposizione tra la dentale Ini e la bilabia-
le Imi (allofono reso nell'iPA con [rrj]; anfora /'arrjfora/, invidiare
/irrjvi'djare/).
1.2.4. Cenni sulla struttura sillabica Non entriamo nel tema della
struttura della sillaba italiana se non per rapidi cenni, in funzione
della trattazione successiva. La struttura della sillaba prevede un at-
bum), elementi che del resto ammettono anche foni non presenti
nel sistema italiano.
34
ne cioè, nelle parole composte da più di una sillaba, può variare e,
Per riassumere...
35
ti) e dialetti centro-meridionali (toscani, corsi, mediani, altomeridionali e
meridionali estremi).
tenui sia intense, cinque sono sempre intense e una sempre scempia.
• La rassegna dei fonemi è stata completata da alcune osservazioni sul-
una vocale) e sull'accento tonico, che in italiano è mobile e può cadere sul-
la vocale della sillaba finale di parola o anche sulla penultima (è questa
l'accentazione più frequente) o sulla terzultima.
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2. I mutamenti fonetici
2.1. Il vocalismo
IIEEAAOOUU
La differenza nella durata dei suoni vocalici, detta quantità vocalica,
si poteva avere sia in posizione tonica, sia in posizione atona; ricor-
37
diamo che sono generalmente brevi le vocali che precedono un'al-
tra vocale, mentre sono considerate lunghe per posizione quelle che
si trovano prima di un gruppo consonantico (ma negli sviluppi ro-
manzi conta la natura originaria della vocale, che spesso è breve).
La quantità vocalica, oltre a determinare la posizione dell'accento,
Nel corso del tempo, però, probabilmente anche sulla spinta della
sviluppatasi da ó.
La durata vocalica si ha anche in italiano, dove sono lunghe le voca-
li toniche in sillaba aperta non finali e brevi le vocali atone, le toni-
38
.
I I E E A A o o u u
1 \ / 1 \ / 1 \ / 1
dittonghi e la y):
I, y > /i/: fìlum > filo; mille > mille; gryllum > grillo.
É, ae > lei: bène > bène; léctum > lètto; maestum > mèsto.
À, À > /a/: fàbulam > favola; altum > alto; mare > mare;
ó, au > hi: nóvem > nòve; Òcto > òtto; aurum > òro.
ó > lol: sólem > sóle; sór(i)cem > sorcio.
ù, y > lol: crùcem > cróce; colùmnam > colónna; byrsam >
bórsa.
39
• parole come bene e nove, che abbiamo inserito nello schema,
costituiscono in realtà delle eccezioni, perché, come vedremo, in
sillaba libera la É (e il dittongo ae) e la ó hanno avuto (nei dialetti
Lo schema di vocalismo tonico presentato sopra non è l'unico del dominio italoroman-
zo. In gran parte della Sardegna (e in una piccola zona della Basilicata) si è avuta una
riduzione delle vocali latine da dieci a cinque a prescindere dalla lunghezza vocalica:
di ó e ó in una sola /o/ (è il cosiddetto vocalismo sardo); abbiamo così, in Sardegna, ol-
tre alla mancata distinzione timbrica tra /e/ ed /e/ e tra hi e /o/, anche esiti come nive
< nivem (it. néve) e nuki < nùcem (it. nóce).
Anche nei dialetti meridionali estremi si ha, in sede tonica, un sistema pentavocalico,
ma diversamente articolato. In questo vocalismo, detto siciliano, mancano /e/ e /o/; gli
biamo esiti diversi rispetto a quelli toscani/italiani: pici < piceni (it. péce); stidda <
stéllam (it. stélla); cruci < crùcem (it. cróce); suli < sólem (it. sóle). Questo vocalismo,
adottato dai poeti della scuola siciliana, lasciò varie tracce nella lingua letteraria italia-
na, nonostante la veste toscanizzata in cui le poesie siciliane vennero tramandate; per
esempio nel sistema delle rime, accanto alla rima perfetta, fu ammessa anche la "rima
siciliana", come voi: altrui (in siciliano in questo caso c'era una rima perfetta: vui: al-
40
trui); anche la "rima per l'occhio", cioè la possibilità di far rimare parole recanti nella
sillaba accentata vocali medie di diversa apertura (come amóre : c(u)òre oppure bène :
Le altre aree dialettali italiane condividono tutte il vocalismo italico come base di par-
tenza, ma presentano alcuni fenomeni particolari, tra i quali ne ricordiamo almeno al-
cuni, propri dei dialetti settentrionali galloitalici, oltre che di altre lingue romanze: lo
sviluppo di vocali dette turbate o procheile (pronunciate cioè con le labbra arrotonda-
te), come /y/ (graficamente spesso < u > ) da ù latina (lùnam > luna) e /ce/ (grafica-
mente anche < ò > ) da ò latina (bòvem > bòf); la presenza (anche in posizione atona)
di suoni vocalici nasalizzati (quando le vocali latine erano seguite da una nasale: pànem
> pan[pà]).
I
1
\
ÉÉÀÀÒÓÙÙ
I / \ / \ I / I
À, À > /a/: hàbèbàt > aveva; posteà > poscia; casàm > casa.
ó > lol: ódorem > odore; homo > uomo.
ò, au > lol: quando > quando; auric(u)lam > orecchia; sola-
tium > sollazzo (ma forse mediato dal provenzale),
ù > lol: tabula > tavola; saxùm > sasso.
u > lui: durare > durare.
Anche in posizione atona abbiamo però in italiano sviluppi partico-
41
Per quanto riguarda il vocalismo atono sardo e siciliano, mentre il primo corrisponde
esattamente al vocalismo tonico, il secondo presenta un sistema ridotto a sole tre voca-
li /i/, /a/ e lui. Nel siciliano abbiamo dunque taciri( < tacére), fìmmini( < fémìnae), misi
( < mensem), quannu ( < quando), meu ( < meum). Nelle altre aree dialettali italiane le
vocali atone, specie finali, sono, tranne la /a/, molto più deboli che non in Toscana: nei
dialetti gallo-italici tendono a cadere (si hanno qui finali consonantiche e nessi impos-
sibili nell'italiano di base fiorentina), mentre in quelli meridionali a ridursi a una voca-
le indistinta, detta schwa e rappresentata con il simbolo Idi. I dialetti mediani manten-
gono invece la distinzione latina tra /o/ {quanno < quando) e /u/, quest'ultima derivata
2.1.4. Gli sviluppi del vocalismo tonico Rispetto al vocalismo del lati-
come seguenti: pédem > piede-, décem > dièci; héri > ièri,
i
*LÉVITUM > lièvito', LAETUM > lièto; BÒNUM > buòno; *CÓRE >
cuòre\ òpus > uòpo; sòcerum > suòcero.
Il dittongamento spontaneo costituisce uno dei problemi maggior-
Cominciamo col notare che nei dialetti italiani esiste un altro tipo di dittongo, quello
detto appunto metafonesi metafonia-, che alcuni studiosi considerano alla base del
dittongamento metafonetico consiste infatti anch'esso nello sviluppo dei dittonghi /je/
e /wd/ rispettivamente dalla /e/ e dalla hi toniche, ma con due importanti differenze:
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• si ha solo quando la vocale della sillaba finale è (o era, prima della caduta nei dia-
letti settentrionali o della riduzione allo schwa in quelli meridionali) /i/ (derivata da -ì
o -es latine) o /u/ (da -ù latina), non quando le finali sono (o erano) /a/, /e/, /o/; nei dia-
In area metafonetica possiamo avere dittonghi in buonu, buoni < bònum, ( bòni), come in
Toscana, ma non in bòna, bòne ( < bónam, bònas), né in omo ( < homo), nonché dittonghi
assenti in Toscana (perché in sillaba chiusa), come in viecchiue viecchi{ma non in vec-
chia e vecchie), in s/enfa'senti' ( < sentis, ma non in sento < sèntio), in cuorpo ecc. An-
drà infine notato che, nei dialetti meridionali di oggi, le vocali toniche tendono a chiuder-
Nella metafonesi, il dittongamento non è l'unico possibile sviluppo delle vocali medio-
basse, che possono, nelle stesse condizioni, chiudersi in /e/ e in /o/ ( vècchia, gròssi)-, le
medio-alte, da parte loro, si chiudono sempre ulteriormente in /i/ e in lui {pilu, signu-
ri); in alcune aree la vocale finale agisce anche sulla /a/ che passa a /e/.
Sulla base delle "eccezioni" appena ricordate oltre che di altri motivi d'ordine generale,
alcuni studiosi ritengono che il dittongo spontaneo toscano costituisca uno sviluppo di
43
indipendentemente dalla natura della vocale della sillaba finale. Vanno però messi in
• alcune forme dittongate poi venute meno sono documentate o nel fiorentino due-
centesco (è il caso di iera 'ero', era' e ierano 'erano') o in altri dialetti medievali toscani
'pecora' a Cortona);
fatto che l'accento principale della frase non cade quasi mai su queste voci, ma molto
più spesso sulla parola seguente {era bèllo, era stato, ben détto, ben venuto e benve-
nuto, nove mési, novecènto); dunque la vocale è stata trattata come protonica;
diminutivi e nei superlativi, nei derivati e nei composti: buono ma bonino, bonissimoe
bongiorno; nuovo ma novissimo e novità. Molte di queste alternanze si sono stabilizza-
te, ma non di rado (e soprattutto nel caso degli aggettivi) l'analogia ha portato a ridurre
meno spesso, a optare costantemente per la forma non dittongata; in questi casi la vo-
cale, aperta, ha poi finito col chiudersi ( nègo come negare; seguo come seguire; abboni
come abbonare, abbonamento).
44
»
fico, mòro, fera ecc., che si spiegano con le radici siciliane della poe-
sia italiana. La presenza di voci non dittongate nei più antichi testi
ne del dittongo dopo una palatale: la 1)1 del dittongo /je/ è stata
ghi /je/ e /wo/ bensì le vocali alte /i/ e luì: ego > eo —> io; méum
> mèo —» mio-, déum > Dìo —» Dio-, bòvem > bòe —> bue. Per
spiegare questi casi, molti linguisti pensano a una riduzione del dit-
tongo prima di un'altra vocale diversa da lìl (eo —> ieo —> io; mèo —
mièo —> mio); altrimenti si sono avuti dittonghi regolari, come nei
plurali miei e buoi (dei e dea si spiegano come latinismi). E però più
probabile pensare a una tendenza (condivisa del resto anche da dia-
letti che non conoscono il dittongo spontaneo) delle vocali medie
(non solo lei e hi, ma anche Id e lol) a chiudersi in lìl e Ini se se-
45
>
infattianche in vìam > via; *siam > séa — > sia-, tùam > tóa —
tua; dùas > dóe —> due. Non si è prodotta, invece, nelle forme del-
*
l'imperfetto in -ea (credea, non credici).
cioè della nasale seguita dalle velari Ikl e /g/: vìnco > vinco; lìn-
guam > lingua; suffisso germ. -éngo > -ingo (in ramingo, casalin-
go); lòngum > lungo; fùngum > fango; iùncum > giunco (ma
il gruppo /ojik/ di norma non subisce l'anafonesi: trùncum >
trónco; spelùncam > spelónca); spòngia > spugna (qui si è avuta
anche la palatalizzazione del nesso consonantico).
Per analogia con le forme anafonetiche del presente indicativo, il
46
fila consueta, che sono stati variamente spiegati. Talvolta dipende-
ranno da mutamenti nella vocale o nella lunghezza vocalica avvenu-
ti già nel latino volgare: lùpum > *lupum > lupo(ma c'è chi pen-
sa a un influsso fonosimbolico dell'ululato), òstium > ustium >
USCÌO; NÙRUM > *NÒRAM > YlUÒrCL\ NÙPTIAS < *NÒPTIAS > YIOZ-
ze\ gli avverbi in -ménte < *ménte in luogo del classico ménte.
ra, per influsso del participio lètto; pièno < plenum, per attrazione
delle parole che presentano il dittongo ì]zl\fu < fùit invece di fo
per influsso di fui < fui (dove la ù è un tratto arcaico); tutto <
tóttum, probabilmente per influsso dell'opposto nùllum; d(i)-
( < et; ma in questo caso deve aver avuto un peso anche la distin-
2.1.5. Gli sviluppi del vocalismo atono Anche in questo caso passia-
mo in rassegna solo gli sviluppi più significativi. Segnaliamo subito
che la maggiore debolezza delle vocali atone le rende soggette, mol-
to più spesso che non le toniche, a variazioni dovute all'assimilazio-
ne o alla dissimilazione (cioè all'avvicinamento o all'allontanamen-
to, nel timbro, a un altro fono vicino): attimo < atómum; cronaca
< chronìca; ant. maraviglia < mirabilia. La tendenza del fio-
rentino a trasformare en protonico in an spiega le antiche forme
47
Le chiusure in protonia e in postonia In posizione protonica, in area
toscana (e quindi anche in italiano) la /e/ ( < I, É, É, ae) tende a
chiudersi in HI e anche la lo! ( < ò, ò, ù, au) passa spesso a lui:
vìrtutem > virtude; sécurum > sicuro; décembrem > dicem-
bre-, mólinum > mulino-, óccidere > uccidere; audire > udire;
anche in protonia sintattica (in > in; de > di) e nei pronomi elid-
ei, dove anzi i passaggi me > mi, te > ti, se > si ecc. si hanno an-
che in posizione postonica {mi dice e dimmi; si vede e vedersi).
Nelle forme verbali rizoatone, per analogia con le forme rizotoni-
che, la chiusura non si è avuta (abbiamo così tenere e tenevo su ten-
go, vedere su vedo ecc.) o è stata riassorbita (per analogia con getto,
lei > lìl in alcuni casi si ebbe alquanto tardivamente, tanto che nel
fiorentino è attestata, a volte fino al secolo xv, la forma con /e/ (se-
gnore) rispetto a quella, poi prevalsa, con HI; in altri casi, invece, l'i-
48
Anche in posizione postonica non finale (dunque nei proparossito-
ni) la /e/ (se derivata da ì) tende a chiudersi in HI: homìnes >
uomini.
pennarello).
vocali palatali (/e/, HI) si sono trasformate nella vocale labiale lo/ (e
Casi particolari Presenta -/ invece di -e { < -I, -É, -É) una serie di
avverbi {avanti, domani, ivi, oggi, quindi, tardi, quasi ecc.) e alcuni
numerali {dieci, undici, dodici)', in questi casi, dove spesso è docu-
mentata anticamente la regolare forma in -e, la -/' si è originata per
lo più analogicamente con altre voci {oggi e domani su ieri < hérI;
49
ivi su qui < *eccu(m) hIc; dieci su undici < ùndécim, dodici <
duódécIm ecc., dove la -/ si spiega a sua volta come assimilazione
alla tonica o come allungamento della ì in I dopo la caduta di -m).
Come vedremo nel capitolo sulla morfologia, forme verbali e nomi-
nali in -e e in -/'
corrispondenti rispettivamente a terminazioni lati-
spettiamo pronuncia originaria della /w/ latina solo dopo < q > e
la
<g> , dove è resa graficamente con < u > e forma il nesso labiove-
lare sordo o sonoro /kw/ e /gw/ (quando, quod, aqua, lingua,
anguis); altrimenti, a parte qualche altro caso (belua), scriviamo
< v> e pronunciamo [v] (venire, amavit, via, silva). In effetti
50
Dello sviluppo italiano delle semiconsonanti nei dittonghi ascen-
denti abbiamo già trattato nel vocalismo. Aggiungiamo che i dit-
2.3. Il consonantismo
TABELLA 2
Le consonanti latine
sorda sonora sorda sonora sorda sonora sorda sonora sorda sonora sorda sonora
Occlusive p b t d kg
Nasali m n
Laterali l
Vibranti r
Fricative f s h
51
davanti a /w/, con la quale formava il nesso labiovelare sordo:
quando, quinque). Varrà la pena di ricordare che nel latino clas-
sico < c> e < g > avevano sempre suono velare, anche davanti a
vocali palatali e all'interno dei gruppi consonantici < so, < gì > e
< gn >, pronunciati rispettivamente /sk/, /gì/ e /gn/.
dentale sonora Ivi (che muove da due diverse basi latine), la sibilan-
te sonora Izl, tutte le consonanti palatali /ji/, /t J7, Id^l (per le quali
si è dovuto risolvere il problema della rappresentazione grafica) e le
In italiano antico la /ji/ era rappresentata anche con < gni >, < ngn >, < ngi > mentre
f
la /A/ era resa anche con < gì >, < Igl >, < Igli >; troviamo anche < ni > e < li >, per in-
flusso latino; invece per /ts/ e /dz/ intervocaliche, sempre intense e quindi rese di nor-
ma con < zz >, anticamente troviamo anche le grafie < z >, < qc. >, < cz >.
guito a sincopi vocaliche, nel latino volgare, tanto che, come vedre-
mo, vari nessi consonantici latini hanno avuto in italiano esiti par-
ticolari.
52
2.3.2. Il consonantismo dal latino all'italiano Come per il vocalismo,
descriveremo i vari fenomeni del consonantismo partendo dalle
colo v) delle affricate palatali: prima delle vocali palatali (/e/, /e/,
(sagìttam > saetta; pagénsem > paese). Lo stesso esito della so-
53
preceduta da Isl, la palatalizzazione ha dato invece come esito /J7
intensa.
Naturalmente, gli esiti precedenti si riferiscono all'italiano nelle sue basi fiorentine;
andrà peraltro notato che oggi in Toscana la /tJ7 e la lé^l intervocalica tendono a ridur-
si a [j] scempia (esito condiviso in gran parte del Centro-Sud) e a [3] (fono estraneo al-
l'italiano). Le altre aree dialettali offrono sviluppi differenziati delle velari latine: per
palatali, le alveolari /ts/ e /dz/ (che si sono spesso ridotte, nei dialetti moderni, alle si-
l\l il suo sviluppo da /g/ prima di /e/, /e/, /i/ (in Toscana ciò è avvenuto solo nell'anti-
ca forma ariento < argentum). Il sardo, infine, nelle stesse condizioni ha conservato le
velari latine.
Dal punto di vista grafico, nei testi antichi troviamo anche < k > col valore di velare e
<ch> pure davanti ad <a>, <o>, < u >. Nei testi siciliani, invece, < eh > rappre-
anche questa Ivi è talvolta dileguata (amà(v)i > amai). L'esito ori-
ginario di Ibi intervocalica proprio del latino volgare sembra sia sta-
to quello della costrittiva bilabiale [(3], conservatasi, per esempio, in
spagnolo; in italiano tale fono non ha invece attecchito e si è sposta-
bro).
54
Tra gli esiti diversi dal toscano, mentre i dialetti settentrionali presentano la spirantiz-
zazione anche dopo /r/ (fèbrem > ven. fevre), nell'area centromeridionale si ha il feno-
meno detto "betacismo", cioè la confluenza della /b/ e della NI (derivata da /w/) in un
unico esito: Ibi (resa con < b > o < bb > ) in posizione forte, cioè se intensa (piobbe
bboce 'a voce' < ad vocem), e /v/ in posizione debole, iniziale, intervocalica o tra vocale
e vibrante (basium > nap. vassr, barbam > varva). I dialetti moderni centromeridionali,
però, soprattutto per influsso della lingua letteraria, hanno sviluppato /b/, pronunciata
/w/ in posizione iniziale si ha anche nei testi toscani antichi (boce < vòcem; boto < vó-
tum), mentre l'italiano standard presenta alcune alternanze tra /rb/ e /rv/ dal latino
/p/, Iti e /k/ comprese tra vocali o tra vocale e Iti sì sono spesso tra-
riva; sùpra > ant. sovra; (e)pìscopum > vescovo; stràtam >
strada; suff. -itàtem > -itade; patrem > padre; làcum > lago;
macrum > magro; paradisum > paradiso [para'dizo].
In posizione iniziale di parola, invece, le stesse consonanti vengono
di norma conservate come sorde (panem > pane; terra > terra;
causa > cosa); solo la /le/ è talvolta passata a /g/ (cattum > gatto;
cryptam > grotta). Anche in posizione intervocalica, del resto, le
sorde si sono conservate in molte parole: caput > capo; capra >
capra; rótam > ruota; pétra > pietra; fòcum > fuoco; acre >
acre; casam > casa.
Questo duplice esito non può spiegarsi con l'influsso del latino, vi-
sto che molte parole che hanno conservato la sorda sono voci popo-
lari. C'è invece da rilevare che la sonorizzazione delle sorde intervo-
caliche è propria dell'area romanza occidentale, che comprende i
55
mania orientale, in cui rientrano i dialetti italiani centromeridionali
(dove abbiamo esiti come acum > aco\ matrem > matré). I dia-
letti della Toscana appartengono a questo gruppo e in effetti, sulla
base della generale conservazione delle sorde nella toponomastica
toscana, uno dei settori del lessico notoriamente più conservativi
(specie per nomi di piccole
i località), si è plausibilmente ipotizzato
zano: pogo < paucum; regare 'recare' < gotico rikdn), si sarebbe
diffusa un po' in tutta la regione, Firenze compresa, passando così
all'italiano. Si può peraltro notare che alcune forme con la sorda
hanno finito poi col prevalere sulle corrispondenti con la sonora
(così lacrima su lagrima, sopra su sovra, che però resiste in taluni
[9], fino ad arrivare, nel caso della velare, all'aspirata [h] e addirittura al dileguo. Si
tratta della cosiddetta "gorgia", fenomeno che è stato al centro di un lungo dibattito, re-
lativamente al problema della sua datazione e delle sue possibili origini etrusche. In
vale a dire una sonorizzazione parziale. Certamente i fenomeni sono tra loro connessi e
confini morfologici di parola (si hanno cioè anche in parole composte o in fonetica sin-
56
poste (così < (ec)cù(m) sic) e, ovviamente, alle voci dove la /s/ la-
tina non era intervocalica: cosa < causam; mese < mensem; suffis-
so -ese < -ensem (in tutti gli etnici tranne che in francese [fran'tje-
ze]). La sonorizzazione si ha perfino in vari toponimi toscani, tanto
che in questo caso il duplice esito è stato considerato autoctono e
non di importazione.
Mentre i dialetti settentrionali sonorizzano costantemente (ma la loro [z] è spesso "sa-
lata", vale a dire più o meno palatalizzata, come del resto la [s]), quelli centromeridio-
nali conservano sempre la sorda intervocalica. Oggi però anche nell'italiano parlato da
dei confini morfologici, dove invece al Nord le /s/ sorde vengono in genere mantenute.
57
>
in seguito a sincopi (come forse fummo < fù(i)mus, spiegato però anche diversamente;
uccello < av(i)cellum). Sono spesso intense, inoltre, le consonanti che seguono la voca-
na, Affrica (letterario), macchina, attimo, legittimo, collera. Altre consonanti intense si
re, scellerato), a volte anche per accostamento ad altre voci, come in accademia (forse
su accadere), pellicano (forse su pelle), bottega ( < (a)pothéca, forse su botte), l'antico
rettorica (per influsso di rettore). Molte voci di provenienza straniera sono state intro-
dotte in italiano con la consonante allungata (tuffo, caffè, cammello, cioccolato, tappe-
58
d
sonantiche (arsi > arsi-, pùlsum > polso), sebbene la Iti prima di
Isl talvolta dilegui (sù(r)sum > ant. suso, da cui su) o si assimili
Significativi sono alcuni sviluppi divergenti propri dei dialetti centromeridionali: la so-
norizzazione di tutte le sorde dopo una nasale (tempus > tiemb 3 ecc.); le assimilazioni
"progressive" (in cui cioè la seconda consonante si uniforma alla prima) di /nd/ e /mb/
tendenza a pronunciare la /s/ come [ts] (da cui poi anche [dz]) dopo /l/, /r/ e (in voci
d'origine dotta o semidotta) /n/ [polio, forze, perno); i vari esiti di /l/ preconsonantica,
che può palatalizzarsi in /j/, velarizzarsi in /w/ o rotacizzarsi (alt(e)rum > altro, autro,
artro). I primi due sviluppi di /l/ sono diffusi anche nei dialetti settentrionali e una ten-
denza alla velarizzazione si ebbe anche nel fiorentino quattrocentesco, come dimostra-
glolatinismo sponsor).
59
.
torà in varie aree dialettali; angélum > angelo, ma in it. antico an-
che agnolo)
In altre aree dialettali il nesso /gn/ ha dato come esito /jn/ (puind
'pugno') o la semplice Ini {lena 'legna') o anche /wn/ (aunu
'agnello').
I nessi ps, se e cs II nesso /ps/ ha avuto come esito /s:/ (ipsum >
esso; scripsi > scrissi). Le parole italiane con /ps/, come psicologo,
sono voci dotte d'origine greca.
IInesso /sk/ seguito da vocale palatale ha dato /J7 (sempre intensa):
pìscem > pesce, ma si è conservato anche in questo caso nelle voci
di origine germanica (scherzare < *skerzdn). Eccezionalmente an-
che la semplice Isl seguita da vocale palatale (specie HI) si è palata-
un duplice esito:
avuta Isl prima di consonante sorda (expedire > spedire), Izl pri-
/J7 davanti a vocale (exire > escire —> uscire; examen > scia-
me).
Il primo esito è comune all'intera area centromeridionale (dove abbiamo infatti tassa-
re), il secondo è frequente anche al Nord, tanto che la sua presenza nel toscano è stata
interpretata come un possibile influsso ligure. Varrà inoltre la pena di segnalare che la
< x > che troviamo nei testi medievali ha valori diversi a seconda dell'area: vale /s/ o
/s:/ nei testi toscani, /s:/ nei testi siciliani, l$l nei testi liguri ecc.
go
.
dotto al semplice /nt/ (sanctum > santo). Questi nessi sono con-
servati solo in voci dotte {ectoplasma, eptavo calicò)
Le grafie < et > e < pt > , frequenti nei testi antichi, non hanno valore fonetico, ma pu-
galloitalici dell'Italia settentrionale, invece, si è avuto o lo sviluppo /it/ (lactem > bit),
Tra le poche eccezioni, a parte latinismi come equestre, equità ecc., /kw/ si conserva in
quercia < quercus e in cinque < quinque (dove la AJ7 iniziale si spiega da una forma
Nelle altre aree dialettali italiane si ha spesso la perdita dell'elemento labiale anche
nel nesso secondario (si pensi a forme meridionali come chesta 'questa', cM// 'quelli';
al milanese chi 'qui'); molto più rara la sua palatalizzazione (ceste 'queste' in area
friulana).
61
((ec)cù(m) istum > questo; (ec)cùm hIc > qui) e, all'interno di
parola, ha determinato l'allungamento della velare precedente
(placui > piacqui).
Nel caso di /gw/, il nesso si è mantenuto {lingua, sangue) o esteso,
rafforzano (sapiat > sappia; habeat > abbia; simia > scim-
mia); la labiovelare Ivi { < Iwl latina) seguita da 1)1 dà /b:/ (ca-
veam > gabbia). Se la 1)1 si è già svolta in Id^l, la Ibi precedente si
62
Dopo la l\l e la Ini (o i nessi /mn/ e /ng/), la 1)1 latina provoca la
In area centromeridionale sono notevoli gli esiti /pj/ > /ttJV (sapio > saccio) e /bj7 (e
Nel caso di /[]/, era possibile, nel fiorentino popolare, l'esito /ggj/, che poteva evolvere
nell'occlusiva palatale sonora intensa [j.:] (fìlium > figghio 'figlio'), molto diffuso nel
Quattrocento, poi regredito nella lingua letteraria perché sentito come popolare, ma
tuttora attestato in alcune aree dialettali toscane.
Forme con -/'in corrispondenza delle voci italiane in -///sono proprie dei dialetti set-
tentrionali, nei quali /lj/ dà generalmente /j/, ma talora anche /Ó3/ (ven. maravegia <
mirabilia).
I nessi di dentale +Molto vari sono gli esiti delle dentali con 1)1.
j
ti
vigio, e in allotropi come palagio e pregio rispetto a palazzo e a prez-
zo (considerati di origine galloromanza) ecc.
Il nesso /tj/, se preceduto da consonante diversa da /s/, ha conosciu-
to, in parole di formazione tarda, anche un altro esito, in li J7 (la
Le numerose parole italiane con /tsj/ (graficamente < zi > ), come grazia, ozio, stazione
e servizio (allotropi di stagione e servigio), le molte voci in -zione ( < -tionem, -ctionem,
-ptionem), sono voci dotte, la cui grafia rende la pronuncia ecclesiastica della /t/ prima
di l\l come /ts/ f o neoformazioni italiane; alcune alternative in AJ7, come ufficio, bene-
ficio invece di uffizio, benefizio, si spiegano partendo da forme del latino volgare in
che si rileva in pódium > poggio; hòdie > oggi; vìdeo > veggio
Vedo'; negli allotropi moggio e raggio invece di mozzo e razzo. All'i-
64
norizzazione di/si in /z/, come in posizione intervocalica. I due fo-
In altre aree dialettali il nesso /sj/ ha avuto esiti diversi, come per esempio la caduta di
l\l con riduzione alla semplice sibilante in area meridionale (ceraseam > cerasa invece
del tose, ciriegia, ciliegia). Nel caso della voce semidotta chiesa ['kjeza] < (ec)clésiam,
nesso /kj/ < /ci/, del nesso /sj/ a /s/ (da cui III).
poetica, è voce siciliana (lo rivela anche l'assenza del dittongo). In-
teressante, a questo riguardo, è ancheil caso del suffisso -arium,
che ha dato -aio in voci d'origine toscana come notaio < nota-
65
rium; -aro in voci semidotte o modellate sui plurali, dove la termi-
nazione in -/'
ha assorbito la 1)1 salvaguardando la vibrante (una di
esse, denaro, è entrata nello standard, ma l'esito originario si vede
nel composto salvadanaio); -aro in parole di provenienza centrome-
ridionale (il poetico acciaro 'arma'; calamaro, il mollusco, opposto a
calamaio, il contenitore di inchiostro; vari romaneschismi o setten-
trionalismi recenti come borgataro, paninaro ecc.); -iere in voci di
origine francese {cavaliere < chevalier < *caballarium); -ario in
ridotto alla vibrante (anche in questo caso per analogia sulle forme
del plurale dove la 1)1 era stata assorbita) in parole dotte terminanti
in -erium {adulterio, monastero, impero, ma nella lingua letteraria
anche imperio).
• /pi/ > /pj/: placet > piace-, templum > tempio; cop(u)lam
> coppia; anche pioppo < *ploppu <— *popplu < pòp(u)lum
(per metatesi);
• /bl/ > /bj/: Blasium > Biagio; neb(u)lam > nebbia; germ.
blank > bianco;
• /fl/ > /£}/: florem > fiore; sufflare > soffiare; got. fiaskd >
fiasco;
• lìdi > /kj/: clarum > chiaro; (ec)clesiam > chiesa; oc(u)-
lum masc(u)lum > maschio (ma anche mastio, termine
> occhio;
tuttora usato in architettura); si noti che periglio non deriva diretta-
mente da peric(u)lum ma dal provenzale perilh;
• /si/ (nesso sconosciuto al latino classico) > /skl/ > /skj/: lat.
66
• /gì/ > /gj/ > : glandem > ghianda; glaciem > ghiaccia (le
dominio italoromanzo, in quanto largamente presente nei vari dialetti italiani (che in
questo caso si sono allontanati dal latino più che non il resto della Romania). Non
mancano però né aree (Lombardia, Abruzzo) in cui i nessi formati da consonante + /l/ si
sono conservati (e la loro estensione doveva essere molto maggiore in età medievale) o
in cui l'esito in /]/ è limitato alle velari /k/ e /g/, né altre nelle quali si sono avuti ulte-
riori sviluppi. In area settentrionale, per esempio, i gruppi /kl/ e /gì/ arrivano a /tJ7 e
/dd3/ (e in Liguria questi sono gli esiti anche di /pi/ e /bl/, mentre /fi/ evolve in ///),
mentre nei dialetti meridionali da /pi/, /bl/, /fi/ si sono avuti rispettivamente /kj/, /]'/
e/J7.
67
tensa della consonante iniziale della parola seguente (si tratta del fe-
è talvolta vocalizzata in 1)1 (nos > noi; post > poi; sex > *ses >
sei; das > dai). Secondo alcuni studiosi, si sarebbero conservate
anche la -d di ad e la -t di et, aut, sonorizzata in Idi prima di pa-
rola iniziante per vocale (ad, ed, od); secondo altri, invece, questa
IAI eufonica sarebbe stata reinserita più tardi, per evitare lo iato.
68
amavìsset > amà(vi)sset > amasse); avanzamenti si sono avuti
invece in ìntegrum > intero e in altre voci.
antichi {die < dies; fue < fuit) e che, interpretate come tali, ven-
nero meno insieme alle vere lei epitetiche.
69
2.5.2. Aferesi, sincope, apocope, elisione Questi fenomeni consisto-
no nella caduta di uno o più foni all'inizio di parola {aferesi), all'in-
terno {sincope), alla fine {apocope o troncamento). Come si è già det-
to, le vocali atone (a parte la /a/) sono piuttosto deboli e dunque
sono le più coinvolte in questi fenomeni (insieme alle consonanti
finali, che si apocopano regolarmente). Non si possono però indivi-
duare leggi precise che regolino la loro caduta, che nel fiorentino e
poi nell'italiano non avviene sistematicamente.
L'aferesi risale spesso già al latino volgare: è tale quella della prima
sillaba di *éccùm nei dimostrativi, come (ec)cù(m) ìstù(m) >
questo-, di ìllùm/-am in articoli e pronomi (come lo, la); di ab- in
(ab)sentia > senza ecc. Riguarda non una vocale atona, ma una
tonica (o una sillaba intera) la riduzione di questo (oppure di esto,
70
nuovi nessi consonantici secondari, che, come del resto abbiamo
già visto nel consonantismo, hanno avuto spesso nelle lingue ro-
manze sviluppi particolari. Aggiungiamo qualche altro esempio:
cer(e)bellum > cervello; sol(i)dum > soldo; vir(i)dem > verde;
a volte esiti diversi convivono in allotropi come tegùlam > tegola
e teglia-, fabùlam > favola e fiaba. Parole di alta frequenza, come
molte forme verbali, tendono a ridurre il proprio corpo fonico; la
colo xv.
L'apocope può riguardare non solo la vocale, ma l'intera sillaba fi-
71
»
-de in parole come piede —> pie e soprattutto virtude —> virtù; cittade
—> r/tó ecc., che ha dato vita a una classe di nomi invariabili al plu-
rale. L'apocope in questo caso si spiega per aplologia (cancellazione
di suoni simili o identici tra loro vicini), in contesti come cittade de
Roma ecc.; ha origine aplologica anche l'esito di sursùm > suso —
su. La vocale o la sillaba finale sono cadute anche in alcune forme
verbali, come *pòtet > puote —» può; fecit > fece —ìfé (poetico);
facìt > face —>fa.
Diversa dall'apocope è V elisione, cioè la caduta della vocale finale
atona (modernamente registrata nella grafia tramite l'apostrofo) da-
vanti a un altro fono vocalico, per evitare lo iato.
caffè e latte) ecc., non negli altri casi. I manoscritti antichi, che non
72
sempre separano le parole, segnalano invece spesso il raddoppia-
mento e in tal caso, per convenzione, nelle edizioni moderne tale
grafia viene mantenuta, ma si separano le parole con un punto in
alto (a'tte).
Il raddoppiamento sintattico non è reso nella pronuncia dei settentrionali, che tendono
a scempiare le consonanti intense; quella degli italiani del resto del Centro-Sud presen-
ta varie particolarità rispetto alla pronuncia toscana, la più importante delle quali, a
Roma, è l'assenza del fenomeno dopo da, dove, come con valore interrogativo, e vice-
versa la sua presenza dopo le interiezioni ah, eh ecc. Nei dialetti meridionali il fenome-
no è invece legato a fatti fonetici e morfologici molto diversi, come per esempio l'indivi-
duazione del "neutro di materia" o del genere femminile plurale ( o ccafé, irrosa).
73
Per riassumere...
della durata vocalica del latino classico ha determinato la riduzione dei fo-
basse) e 5 in posizione atona. Tra i vari sviluppi successivi, sono stati esa-
minati in particolare: nel vocalismo tonico il dittongamento spontaneo to-
protonia e postonia.
• Sono state poi esaminate le semiconsonanti, marginali nel latino clas-
sico e invece molto sviluppate nel latino volgare e poi in italiano.
74
3. I principali mutamenti morfologici
normale esito fonetico delle basi latine, l'altra uno sviluppo morfo-
logico italiano; non di rado una delle due forme si è specializzata
prosa: pensiamo ad alternanze come veggio (con /dd3/ < dj, con 1)1
sviluppatosi dalla É di vìdeo), veggo (con /g:/ per analogia con altri
forme del verbo vedere < vi de re). La polimorfia è del resto, come
si è detto, una caratteristica dell'italiano, ridottasi solo in epoca
moderna.
75
getto), il genitivo (il complemento di specificazione), il dativo (il
dall'oggetto.
76
virtus, mare, tempus); la quarta (nomi con genitivo in -Os e no-
minativo in -ùs, femminili: manus; in -u, neutri: cornu); la
Relitti della quinta declinazione si hanno nell'antica forma die < diem (maschile e fem-
minile), poi ridottasi a dì, e, nei dialetti centromeridionali e siciliani, in nomi terminanti
in latino in -ìties, come bellez(z)e, fortezze, spesso interpretati come plurali da copisti
toscani. Nomi come specie e superficie sono invece stati recuperati per via dotta. Anche
Abbiamo, per la verità, un certo numero di nomi (per lo più riferiti ad esseri umani, che
più spesso e più facilmente potevano svolgere la funzione di soggetto) che derivano dal
nominativo latino: come uomo (da homo e non da hominem), re (da rex e non da regem),
77
moglie (da mulier e non da mulierem, da cui deriva invece la forma antica e dialettale
mogliera), prete (da presbyter), la forma fiorentina Trinità (da trìnitas, mentre da trini-
tàtem si ha Trinità(de)), e qualche altro. Gli altri casi latini hanno lasciato in italiano
Nell'italiano antico si hanno nomi femminili derivati da nomi della terza declinazione
che terminano in -e (il tipo le parte): alcuni studiosi li spiegano con l'analogia con i
plurali dei nomi derivati dalla prima; altri pensano che la -e sia stato l'esito originario
e che la -/'
sia dovuta all'attrazione dei maschili derivati dalla seconda declinazione,
ghi; volsco/volsci) assorbendo la /]/ e bloccandone gli esiti ( notaio /notari, opposi-
78
ria assunse presto al plurale la -i dei maschili); tutti i nomi ossitoni,
divenuti tali in seguito ad apocope {virtù <r- virtude < virtutem;
maestà <— maestade < maiestatem). La classe degli invariabili si è
sviluppata nel corso dei secoli con l'inserimento nel lessico italiano
di prestiti ossitoni o uscenti in consonante (caffè, elisir, film, sport),
di nomi (per lo più dotti) uscenti in -e {specie) o in -i (brindisi, crisi)
Questi nomi (molti dei quali relativi a parti del corpo umano che costituiscono insiemi
di due) rappresentano una piccola classe nel sistema nominale italiano che sopravvive
ancora oggi (anche se in vari casi si sono poi sviluppati anche i "normali" plurali ma-
zuoli). Nell'italiano antico (come pure in molti dialetti centromeridionali) la classe era
molto più estesa: troviamo infatti i plurali anella, castella, demonia ecc. poi regolariz-
zati (e alcuni nomi svilupparono anche plurali in -e, come bracce, castelle, poi usciti
dall'uso). La lingua antica (e gli stessi dialetti) conoscono anche un altro relitto del neu-
tro plurale latino: il plurale in -ora, che da alcuni neutri della terza declinazione latina
(tempus/tempora, corpus/corpora), dove -or- era in realtà la parte finale del tema, si
estese, interpretato come morfema di plurale, ad altri nomi (fìcora, pràtora, luògora).
79
Spesso, però, plurali neutri in -a sono stati reinterpretati come femminili singolari: è il
caso di foglia < folia (pi. di folium > foglio), meraviglia ( < mirabilia), pecora (pi. di pe-
cus), pera < pira (pi. di pìrum) e in genere i nomi dei frutti, che hanno poi sviluppato il
classe a un'altra: è il caso di arborem (femminile) > albero, glandem (maschile) >
come per nùrum > *nòram > nuora. Si sono però avuti anche metaplasmi indipenden-
ti dal genere, come sor(i)cem > sorcio e i numerosi scambi, nell'italiano antico, tra fem-
assai ecc.). L'italiano ha però recuperato per via dotta per il superla-
80
tivo assoluto (non per quello relativo) il suffisso -issìmum/-am >
-issimol-a e, in casi particolari, -érrimum/-a > -errimol-a.
Come in altre lingue romanze, si sono conservati in italiano alcuni
comparativi organici latini: maiorem > maggiore-, minorem >
minore-, meliorem > migliore; peiorem > peggiore, a cui possia-
mo aggiungere gli avverbi melius > meglio e peius > peggio. I
corrispondenti superlativi massimo, minimo, ottimo, pessimo sono
invece forme dotte.
L'italiano ha invece mantenuto e anzi sviluppato una tecnica sinte-
tica per quello che riguarda gli alterati: sia i nomi sia gli aggettivi,
con l'aggiunta di vari suffissi {-ino, -etto, -uccio, -uzzo, -one, -otto,
-accio, -astro ecc.), assumono sfumature diminutive, vezzeggiative,
accrescitive o peggiorative, che non di rado, come era già avvenuto
nel latino volgare, si sono lessicalizzate, hanno cioè assunto signifi-
cati specifici, distinti da quelli delle basi.
na, infatti, nella traduzione in latino dei vangeli gli articoli presenti
nel testo greco furono resi forme del pronome dimostrativo
con le
81
• per i femminili (il)làm > la e (il)làs (o (il)lae) > le.
Nel maschile singolare, oltre alla forma lo si ha, come è noto, la for-
ma /'/, che è stata variamente spiegata.
Dal punto di vista fonetico, si è ipotizzata, muovendo da illùm, una trafila che prevede
non un'aferesi (come in lo), ma un'apocope: Tl(lùm) > el > il (con chiusura della /e/,
trattata come protonica). Ad altri studiosi, però, è parso più probabile che //si sia svi-
luppato con l'aggiunta di una /i/ d'appoggio alla /l/ a cui si era ridotto lo per apocope in
particolari contesti fonosintattici, cioè dopo una parola uscente in vocale (spesso infat-
ti, specie dopo i monosillabi, troviamo grafie come chel, sei, el, da intendere come che-
l, se-I, e-l). La forma più antica attestata a Firenze è inoltre //; el si sarebbe diffuso più
Notiamo ancora che el è diffuso anche nei dialetti settentrionali (e c'è chi pensa a un
loro influsso sui dialetti toscani), mentre i dialetti centromeridionali conoscevano origi-
nariamente solo lo e lu(< *(il)lù, con allungamento della finale dopo l'apocope di -m;
nelle aree dialettali dove la prima forma era riservata al "neutro di materia" questa si
usava per il maschile), da cui sono derivate forme come o, gliu ecc.; il romanesco erde-
riva invece dal toscano el. Infine, gli articoli sardi si sono sviluppati dal determinativo
mati da occlusiva + /r/, per /ji/, /J7, /ts/ e /dz/; si usa il in tutti gli
82
Gli articoli (o piuttosto, se partiamo dal latino, le forme ìllùm, il-
làm, ìllI e ìllàs), uniti alle preposizioni a, di, da, in, con, per (lat.
Nei testi antichi le preposizioni articolate potevano presentare la /l/ scempia {alo, da-
ta, ne le ecc.), che corrispondeva all'originaria pronuncia fiorentina della /l/ come breve
davanti a parola iniziante per vocale accentata o per consonante (al'opera, ala fine). Le
ecc.), non più corrispondenti alla pronuncia, sopravvissero a lungo nella lingua lettera-
ria, specie poetica. Prima di nel, nello ecc. sono documentate, in antichi testi toscani,
anche le forme non aferetiche innel (o in nel, anche in del) ecc., poi uscite dall'uso.
Sono ormai molto antiquate anche preposizioni articolate come collo, colla, pel, pelle
li < *illI < illé per influsso del relativo Qui), come comple-
mento lui ( < *ìllùi, forma originariamente dativale, sostituitasi
al classico ÌllI per analogia con cui relativo). Al femminile singo-
lare le forme corrispondenti sono ella ( < illàm) e lei ( < *illéi).
Per entrambi i generi, come forme di soggetto (o anche di com-
plemento, ma non oggetto) si hanno anche esso ed essa ( < ipsùm,
83
ipsàm), solo successivamente riservate (specie quella maschile) ad
animali e cose.
Il pronome egli si è spesso ridotto a eie poi a e'o a gli, forme a lungo diffuse nell'uso
letterario (specie la prima) o ancora vitali (specie le due ultime) nei dialetti toscani. An-
che ella si è ridotto spesso a la, vitale anch'essa nell'uso dialettale (toscano ma anche
settentrionale) e presente oggi solo in espressioni cristallizzate col valore di 'la cosa'
(se la va la va). L'uso di lui, lei e del plurale loro con funzione di soggetto messo forte-
mente in rilievo si sviluppò a Firenze già nel corso del Trecento, ma la censura a cui fu
sottoposto dalla tradizione grammaticale ne ritardò per secoli l'uso nelle scritture lette-
rarie. Come predicato nominale, erano usate anticamente le forme desso/-a/-i/-e ( < Td
ipsùm, con aferesi della vocale iniziale), rimaste poi a lungo nella lingua poetica.
Al plurale l'italiano antico aveva le forme elli (da cui, come per il
singolare, egli, gli, ei, e') ed elle, poi sostituite con essi ed esse, utiliz-
zabili anche come complemento (ma non più per l'oggetto diretto).
L'esigenza di differenziare la forma maschile plurale da quella del singolare portò, pri-
ma che alla diffusione di essi, allo sviluppo della forma eglino, ottenuta aggiungendo a
eg//la desinenza -no, della terza persona plurale dei verbi (amano, leggevano, andaro-
no), su cui fu modellato il femminile élleno. Le forme furono molto diffuse nello scritto
a
La forma complemento di 3 persona singolare e plurale con valore
riflessivo è sé ( < sé, accusativo/ablativo).
Sono passate all'italiano anche le forme latine mecum, tecum, se-
cum 'con me, con te, con sé' > meco, teco, seco, diffuse anche nel-
84
ci ( < *(h!c)ce < Hlc 'qui', originariamente avverbio di luogo); 2 a
persona pi. vi ( < ibi, con aferesi della vocale iniziale e chiusura in
protonia dell'originario ve o, secondo altri, come aferesi da ivi; se-
Anticamente, come nell'articolo, lo poteva avere anche l'alternativa /'/ (/'/ veggo 'lo
vedo') e, preceduto da altro monosillabo, si poteva ridurre alla semplice laterale [tei
dico 'te lo dico'; noi posso 'non lo posso'). Il femminile le rappresenta uno sviluppo più
recente, nato dall'esigenza di differenziare questo genere dal maschile; anche per il
Oltre alla forma //', come oggetto plurale troviamo anche, anticamente, /e gli (le stesse
forme degli articoli), che però, nonostante l'uso poetico, non hanno attecchito. Il rileva-
to uso di loro, bisillabo (e quasi sempre posto dopo il verbo), al posto di gli come plura-
le ha creato un vuoto nel sistema dei clitici - la forma ridotta lor (anche lo in alcuni
dialetti toscani medievali) non si è infatti diffusa - che spiega la ripresa anche nello
scritto di gli (rimasto del resto sempre vivo, specie in combinazione con altri clitici).
quello detto "passivante" ( / libri si vendono), differenziandosi per più aspetti dal rifles-
sivo. Questo nuovo si costituisce anzi una delle forme pronominali più significative del-
85
'resto qui'; vi si vedono 'si vedono lì'), da cui poi il ci ha sviluppato il
a
valore di complemento indiretto di 3 persona {ci riesco 'riesco in
a
L'italiano antico usava ne anche come clitico di i persona pi. (uso sopravvissuto a lun-
go nella lingua poetica e in espressioni come Dio ne liberi! 'D'\o ci liberi!'); secondo al-
cuni si tratta di uno sviluppo semantico di ne ( < inde), secondo altri deriva da nos.
L'italiano ha generalizzato suum anche nelle condizioni in cui il latino adoperava eius.
Inoltre, in italiano antico (come tuttora nell'uso popolare) suo poteva riferirsi anche a
a
una 3 persona plurale (loro sembra infatti un'introduzione posteriore).
L'italiano antico aveva inoltre i possessivi enclitici, -mo, -toe -so, perlopiù con i nomi
di parentela, come tuttora nei dialetti meridionali [màglia ma 'mia moglie' ecc.).
86
ìpsùm) e ciò ( < (éc)cé hòc) e nella congiunzione però ( < per
hoc, che, prima di sviluppare l'odierno valore avversativo, signifi-
cava appunto 'perciò', 'per questo'). Nel sistema tripartito dei di-
mostrativi latini, già nel latino volgare hìc 'questo' fu sostituito da
iste, a cui nel significato di 'codesto' subentrò ìpsum, mentre per
'quello' si mantenne ille. Ma nel toscano, e poi nell'italiano, come
si è visto, ille dà vita ad articoli e pronomi personali e da ipsum
deriva il pronome personale, e aggettivo, esso, cosicché, con fun-
zione di dimostrativi, iste e ille furono rafforzati dall'avverbio
*éccùm (formato da écc(e) e hùn(c), accusativo di hic: 'ecco
questo'), a essi premesso: abbiamo dunque questo ( < (éc)cù(m)
ìstùm) e quello-i < (éc)cù(m) ìllùm).
Istùm/-àm. Con valore pronominale, al maschile singolare troviamo anche forme termi-
nanti in -/':
questi e quegli o quei (da quelli); questa /i/ si spiega, come quella di egli,
(<— coestui < (ec)cù(m) *ìstuì), colui (< (ec)cù(m) *ìllùI), costei
( < (EC)CÙ(M) *ÌSTÈI), Colei ( < (EC)CÙ(M) *ÌLLÉl), COStOYO ( < (EC)-
cù(M) ìstórùm) e coloro ( < (ec)cù(m) ìllòrùm), forme origina-
riamente destinate ai complementi (si parte infatti da forme prono-
minali oblique), ma poi estese anche ai soggetti.
87
che il complemento tempo e in genere complementi non intro-
di i
cui' (nell'uso letterario anche ove), e onde < ùndé, che oggi so-
pravvive come congiunzione con valore finale {onde evitare spiace-
voli incidenti), ma che originariamente aveva valore di avverbio di
luogo ('da dove'; anche donde) o di pronome, col significato di 'di
come egli, questi ecc., analogico a qui). Dalla forma dativale *al-
t(e)rùI, rifatta su cui, deriva altrui, usato anticamente con valore
di complemento oggetto («mena dritto altrui», Dante), di termine
(parlare altrui), di specificazione (il dantesco «lo pane altrui» 'pane
di altri').
88
dall'accusativo ómném è infatti derivato ogni. L'esito di òmnèm
sarebbe orine, anticamente attestato; davanti a parola iniziante per
vocale, però, la /e/ finale tendeva a ridursi a 1)1 e a dileguare palata-
lizzando la nasale precedente (onne anno —» ogn'anno). Da qui lo
sviluppo della forma ogne, in cui poi la /e/ è stata trattata come pro-
tonica. In altri dialetti italiani si ha ogna, tratto dal neutro plurale
OMNIA.
Il numerale unum ha dato vita al pronome indefinito (l')uno, usato
anche al plurale, e, in combinazione con altre forme (latine o già
italiane), a molti altri pronomi, tra cui: ognuno < òmné(m) unum;
alcuno < *al(i)cùnùm < aliquis unus; qualcuno <— qualche
uno; i negativi nessuno < né(c) ips(e) unum 'nemmeno uno' (ori-
ginariamente d'uso solo poetico), ninno < né(c) unum (per secoli
la forma normale in prosa) e veruno < vér(e) unum 'in verità
uno', poi 'nessuno'; cadauno, catuno < katà (greco) unum; ciascu-
no, ciascheduno < francese chascun < katà quisque unum; katà
QUISQUE (ET) UNUM.
Il suffisso latino -cumque, confusosi nel latino volgare con un-
quam 'mai', ha formato invece qualunque, chiunque (e anche le
delle forme latine) e dua per nomi plurali in -a, poi duo venne ri-
i
89
servato alla poesia; dua e duoi sono rimasti a lungo vitali nella lin-
gua parlata.
Tra gli esiti fonetici degli altri numeri, ricordiamo che dugento (< du-
centi, con sonorizzazione dell'intervocalica e -o per influsso di cen-
to) è la forma propria dell'antico fiorentino, mentre duecento è
un'innovazione posteriore.
(ofu) amato!-a\
• la perdita dei verbi deponenti e semideponenti latini (verbi che
avevano forma passiva ma vengono regola-
significato attivo), che
rizzati in tutti i tempi e i modi appunto come attivi: minàri 'mi-
nacciare' > *mìnàre > menare 'condurre'; mori > *morire >
morire-,
90
parte delle forme del gerundio, il gerundivo, recuperato solo per via
dotta). In questo campo, però, si registrano anche incrementi.
Così, in corrispondenza del perfetto latino all'indicativo si hanno
tre tempi, che hanno valore aspettuale diverso: passato remoto, pas-
sato prossimo e trapassato remoto (che in italiano antico poteva
comparire, anch'esso nelle frasi principali). Passato prossimo e tra-
passato remoto sono perifrastici, al pari del trapassato prossimo
(che sostituisce il piuccheperfetto latino), del futuro anteriore, e del
passato e trapassato del congiuntivo. Tutti questi tempi presentano
le forme dell'ausiliare {avere o essere) e il participio passato {ho visto,
fu nato, avevi comprato, avrete mangiato, che siano arrivati ecc.). Na-
sce inoltre un nuovo modo: il condizionale, anch'esso, nel fiorenti-
no e poi nell'italiano, formato al presente da una perifrasi con infi-
tina; queste classi verbali restano solo come fossili, per i verbi di di-
91
retta derivazione latina; invece la prima (in -are) e in parte la terza
(in -ire), che sono poi quelle che presentano paradigmi più regolari,
sono produttive, servono cioè per formare nuovi verbi {arrossare e
arrossire; toscaneggiare, scurire ecc.); vengono inoltre inseriti nella
prima i verbi germanici uscenti in -ò~n (*wardòn > guardare), nella
terza quelli terminanti in -jan (warnjan > guarnire). Nel passaggio
dal latino all'italiano vanno inoltre segnalati numerosi metaplasmi:
i verbi col presente in -io della terza coniugazione latina sono pas-
sati per lo più alla terza italiana (fugére > fuggire, ma sapere >
sapere, con spostamento d'accento), in cui sono entrati anche vari
verbi della seconda latina (florère > fiorire). Alcune sincopi han-
no spostato verbi dalla terza latina alla prima (face re > fare) o alla
terza (di cere > dire).
Vediamo ora brevemente i principali tempi e modi, segnalando su-
bito che il dittongo -ie- proprio di molte forme verbali della quarta
latina si è ridotto ora a -/- (audiebat > udiva ecc.), ora a -e-
92
-emo e -imo, rimaste vive nei dialetti. La forma -iamo è tipica del
fiorentino a partire dalla seconda metà del Duecento e costituisce
pertanto uno dei tratti che meglio esemplificano la fiorentinità del-
l'italiano; sembra modellata, attraverso una sorta di reazione a cate-
na di processi analogici, sulla desinenza derivata da quella dei con-
giuntivi latini della seconda (-eamus) e della quarta (-iamus), che
si estese anche alla prima (dove il latino aveva -emus) e passò agli
indicativi.
na fra le tre forme: -ate < -atis nella prima (voi amate); -ete <
-étis nella seconda (voi vedete); -ite < -ìris nella terza (voi venite).
Più complessa la ricostruzione della forma di terza persona plurale
in -no, che è stata variamente spiegata. C'è chi, partendo dalla ter-
tempi e modi.
Nei verbi in -ire si è estesa (e generalizzata ai verbi di nuova forma-
zione) la terminazione -isco, derivata dall'infisso -se- che il latino
usava con valore incoativo (per indicare cioè un'azione che inizia-
va): finio > finisco; tale terminazione, oltre che nelle tre persone
del singolare, si ha anche nella terza plurale.
vado), vai, va, vanno (ma qui andiamo e andate, al pari dell'infinito
93
»
analogica sulla prima persona) > sei (ma è stato recentemente di-
pretatocome se); est > è; *sétis (invece del classico estis) > sie-
te; sùnt > són — » sono (per analogia con la prima persona). La for-
forme italiane.
aveva, egli sentiva) e così, per distinguere meglio le due persone, nel
fiorentino, già alla fine del Trecento, fu estesa alla prima la termina-
zione in -0 del presente (io amavo, io avevo, io leggevo). La tradizio-
terminazione in -a.
94
In tutte le forme della seconda e della terza coniugazione, -èva, -iva
ne non si era avuta (per evitare la sequenza di due /a/), influì sulle
verbo essere nelle tre persone singolari e nella terza plurale continua
le forme latine (éram, éras, érat, érant), con le già rilevate par-
ticolarità fonetiche (assenza di dittongamento) e morfologiche (so-
alla seconda, in -no alla terza plurale); nelle prime due persone del
plurale, per analogia con gli altri imperfetti, si è avuto invece l'inse-
rifica sempre nelle altre persone, forme rizoatone e quelle che inve-
ce hanno forme rizotoniche, dette perfetti forti. Nel primo caso,
proprio dei verbi regolari derivati dalla prima e dalla quarta coniu-
gazione latina, possiamo ricostruire le seguenti trafile:
• ama(v)I > amai e audì(v)i > udii (la caduta di Ivi, che si ave-
• AMAV(I)T > AMAU(T) > amò e AUDIV(I)T > AUDIU(T) > udìo
—» la forma precedente);
udì (per analogia con
• ama(vi)mùs > amammo e audi(vi)mùs > udimmo (probabil-
95
• ama(vi)stis > amaste e audi(vi)stis > udiste (con sincope di
/vi/ e ritrazione dell'accento);
Nel caso dei perfetti forti, spesso le forme italiane mantengono, alla
(prehendit > *pre(n)si > presi; cucurri > *cursi > corsi;
legit > *lexi > lessi; volvi > *volsi > volsi ecc.). Altri perfetti
qui, volli; ma. parvi < parui), estendendosi anche ad altre forme,
con la /w/ che ha in genere provocato il raddoppiamento della con-
sonante tematica): veni > *venui > venni; *stétù! (forma del
latino volgare in luogo del classico steti) > stetti, su cui si sono
modellati *sepui (invece di sapii o sapui) > seppi e *hebui (inve-
ce di habui) > ebbi (a sua volta possibile modello per crebbi; rara
96
la forma ridotta ei) ecc. Per analogia con stetti, molti verbi in -ere
hanno sviluppato, alla prima singolare e alle terze persone, in alter-
nativa a -eil-el-erono, le desinenze -ettil-ettel-ettew. dovetti (in luogo
del classico debui), godette, credettero.
Le terze persone plurali dei perfetti forti sono in -ero {fecero, seppero,
ebbero), ma nel corso del Trecento la terminazione -no si sostituì
sito Ibi > Ivi, avrebbero potuto confondersi con quelle del perfet-
to o dell'imperfetto; quelle in -am/-es della terza e della quarta con
forme del presente indicativo o congiuntivo. Il futuro italiano,
come quello di molte altre lingue romanze, ha origine perifrastica: è
costituito dall'infinito (apocopato della /e/) seguito dalle forme ri-
dotte del presente di habere (stare habeo lett. 'ho da stare' >
stare *ao > starò), che sono diventate morfemi legati al verbo (-ò,
97
l'italiano, è perifrastico ed è costituito dall'infinito seguito dalle for-
me (ridotte nelle prime due persone ha- sing. e pi.) del perfetto di
bere (stare habui lett. 'ebbi a stare' > stare *hebui > stare
ei > starei), che hanno formato le desinenze -ei, -esti, -ebbe, -emmo,
La lingua poetica conosce, almeno fino all'Ottocento, anche un'altra forma di condizio-
nale: quella in -/'a ( saria 'sarei, sarebbe', potrieno 'potrebbero' ecc.). Questo condiziona-
ricostruirne l'esito: dare habebam lett. avevo da dare' > dare *ea > darea (attestato in
Guittone d'Arezzo) > darla (per chiusura in iato o, più probabilmente, per influsso del
vocalismo dei poeti siciliani, che peraltro avevano probabilmente mutuato questa for-
ma dal provenzale). In siciliano, come in altri dialetti del Meridione, è diffuso infatti un
altro tipo di condizionale, formato dal piuccheperfetto indicativo latino: canta(ve)ram >
cantera, fù(e)rat > fora, che ha lasciato anch'esso qualche traccia nell'uso letterario,
specie antico.
98
vo, e -iate ( < -eatìs, -iatìs): amiamo, amiate, siamo, siate ecc. Nel
verbo essere anche le forme del latino classico sim, sis, sit, sint fu-
rono sostituite da quelle, analogiche, *siam, *sias, *siat, *siant,
da cui (dopo la chiusura in iato) sia, sie (poi uniformatosi alle altre
persone singolari), sia, sian(o) (anticamente anche sierici).
Nel caso di d/" l'apostrofo serve solo a distinguere l'imperativo di dire da dì giorno' e
dalla preposizione di; le grafie fa', sta', da' e va', invece, si possono giustificare anche
come riduzione del dittongo nelle forme fai, stai, dai e vai: si tratta di un'estensione al-
99
3-58. Il participio presente e il gerundio II participio presente latino
ha perso in italiano la propria funzione verbale (recuperata nella
lingua letteraria e tuttora possibile in registri molto formali) e ha as-
sunto invece valore aggettivale, spesso sostantivato. Come nomi i e
deriva al singolare dalla forma dell'accusativo: aman-
gli aggettivi,
l'oggetto.
Dal punto di vista morfologico, questo participio mostra caratteri-
stiche simili a quelle del passato remoto, perché presenta sia forme
rizotoniche sia forme rizoatone. Queste ultime, proprie dei verbi
regolari, si ottengono con l'aggiunta al tema del presente delle desi-
nenze -ato, -ito e -uto (derivate dalle corrispondenti forme latine:
amàtum > amato-, auditum > udito-, fùtutum > fottuto)-, l'ulti-
ma desinenza ha preso posto del latino -itum nei verbi della se-
il
100
Le forme rizotoniche muovono invece dai participi latini in -tum
(factum > fatto; lectum > letto; dictum > detto; scriptum >
scritto ecc.) e da quelle "sigmatiche" latine in-suM(MissuM >
messo; prehensum > preso ecc.), ulteriormente estese {mosso, par-
so, perso accanto sperduto).
Tra gli altri participi sono da ricordare almeno nato ( < natum),
morto ( < mortuum, con dileguo di /w/), vinto ( < victum, dove
la Ini si spiega per analogia col resto del paradigma vinco, vincere).
Le numerose forme sincopate in -sto derivano da -situm, con sin-
I participi in -uto erano anticamente più estesi, come nei dialetti meridionali. L'antico
toscano sviluppò inoltre, nella prima coniugazione, alcune forme accorciate di partici-
pio passato probabilmente analogiche sulle forme rizotoniche, come trovo 'trovato',
cerco 'cercato' ecc.; alcuni di essi sono tuttora usati, col solo valore aggettivale: tócco
casi del latino classico. Delle preposizioni del latino classico sono
state conservate ad > a, de > de —» di; cùm > con; in > en —> in;
per > per; sùpra > sopra; cóntra > contra —> contro; intra >
tra; infra > fra; sùbtus > sotto ecc. Non hanno invece continua-
tori e(x) 'da', ob e propter 'a causa di', prò 'in favore di', sub
'sotto' ecc. Molte altre preposizioni italiane si sono inoltre formate
combinando una o più preposizioni latine: è il caso di da { < de ab
e forse il moto
anche de ad, quando indica a luogo: vieni da me),
dopo {de post), davanti {< de ab ante), dinanzi (de in *an-
<
teis), dietro { < de rétro) ecc. Altre derivano, con particolari slit-
tamenti semantici, da avverbi, aggettivi o nomi latini, come fuori
{ < fòrIs 'fuori'), presso { < presse 'strettamente'), vicino { < VI-
ti
za') ecc. Altre preposizioni ancora derivano da locuzioni italiane
formate da preposizione + nome {accanto da a + canto ecc.).
Per quanto riguarda gli avverbi, segnaliamo anzitutto quelli di luo-
go: da (il)lIc e (il)làc derivano lì e là, e anche coli e colà, composti
con *(ec)cù(m), che con ìstic e ìstàc ha formato costì e costà,
Nell'italiano antico e nella lingua letteraria almeno fino al Cinquecento, la forma non
era del tutto grammaticalizzata: a due aggettivi coordinati poteva legarsi un solo men-
102
cato di un'intera frase, e che in genere non derivano dal latino.
Hanno matrice latina l'affermazione sì < sic 'così', propria dell'in-
tera area italiana, e la negazione no <— non < non.
Gli ideofoni, che imitano rumori, sono pure onomatopee (din); le
Per riassumere...
Così, nei nomi, sono state segnalate la riduzione delle declinazioni, la per-
dita del neutro e, soprattutto, quella del sistema dei casi; l'opposizione
• All'interno della stessa tendenza analitica sono stati fatti rientrare gli
persona plurale del presente; la terminazione -no per la terza persona plu-
103
4. I principali aspetti della sintassi
dal latino all'italiano o anche della sola sintassi italiana sarebbe im-
presa impossibile. In questo capitolo ci limitiamo perciò ad affron-
tare dal punto di vista storico solo pochi aspetti sintattici essenziali.
4.1.1. L'ordine delle parole II latino classico, grazie alla sua ricchez-
za morfologica, poteva disporre le parole all'interno della frase con
grande libertà: le desinenze permettevano infatti facilmente di rico-
struire i rapporti sintattici, stabilendo quale elemento svolgesse la
funzione di soggetto, quale di complemento ecc. Se, limitandoci a
esaminare i rapporti tra il verbo, il soggetto e il complemento og-
getto, prendiamo una frase significante 'Mario vide Claudio', la
Nel latino volgare, con il collasso dei casi, la posizione delle parole
seguenti: "Pietro guarda Maria negli occhi", "Il capitano diede l'or-
104
dine ai soldati", "Giovanni è partito", "Francesco va a Roma tutti i
giorni".
Rispetto alle altre lingue, però, l'italiano ha mantenuto (o forse
piuttosto ha recuperato) una maggiore libertà nell'ordine delle pa-
matici" (presenti già nel contesto precedente o dati dal contesto si-
«Sao co kelle terre [...] le possette parte Sancti Benedica» ('So che
quelle terre [...] le possedette la parte di S. Benedetto'). La ripresa
non era però obbligatoria anche se l'oggetto aveva valore di
clitica
105
da posizione, dopo il soggetto o, eventualmente, l'oggetto. Tale co-
struzione è rimasta in uso nella lingua letteraria.
L'italiano scritto tradizionale ha inoltre seguito spesso (soprattutto
dal Boccaccio in poi) il latino nella disposizione delle parole, collo-
cando per esempio il verbo alla fine della frase l'ausiliare dopo il
e non un caso di diretta derivazione dal latino: nei testi toscani anti-
chi il pronome soggetto tende infatti all'obbligatorietà, propria del
padre» {Novellino).
Anticamente, inoltre, il soggetto era necessariamente espresso nella
frase interrogativa, dove andava a porsi dopo il verbo: «Dunque hai
tu patito disagio di denari? o perché non me ne richiedevi tu?»
{Decameron).
Nell'italiano contemporaneo, invece, la frase interrogativa si rico-
nosce anche solo dalla diversa intonazione rispetto alla frase affer-
mativa (e, nello scritto, dal punto interrogativo, il cui uso si svilup-
106
tema o di rema) anche come soggetti, a spese di egli, ella ecc.; furo-
no però a lungo evitati nelle scritture in seguito alle indicazioni dei
lino).
ro sempre più abbondanti. Tuttavia i testi letterari, per ossequio alla tradizione, conti-
nuarono ad applicarla e anzi la estesero anche ad altri contesti. Resta come relitto nel-
Vendesi, cercasi). Nel linguaggio poetico si è invece sviluppato, a partire dal secolo xvn,
il cosiddetto imperativo tragico, che prevede anche con questo modo il pronome in po-
107
in questa combinazione la li/ passa a /e/), documentato, accanto al-
liano moderno.
Gli articoli determinativi, per esempio, in italiano antico non si
mio nome), dopo tutto {tutta notte invece di tutta la notte), davanti a
108
modo finito o indefinito. Il latino classico faceva largo ricorso all'i-
dal parlato più che non quella di altre lingue, come il francese.
latino classico poteva optare per una subordinata con il verbo all'in-
109
Il costrutto accusativo con infinito (introdotto da di) è possibile in italiano solo con
identità di soggetto ( dico di essere buono; diversa è la struttura sintattica di frasi come
ti chiedo di andare); con soggetto diverso ( dico te essere buono) è attestato, almeno a
partire dal Trecento, ma oggi risulta molto arcaico. Nei testi antichi si ha a volte l'ellissi
del che, possibile in italiano moderno solo se il verbo della subordinata è al congiunti-
In italiano una subordinata con valore temporale, causale o altro, può essere introdotta
da un gerundio, riferito allo stesso soggetto della principale ( Mario, partendo alle sette
gno, in Italia avvennero nuovi fatti). In italiano antico il gerundio aveva inoltre un più
110
4.2.3. La frase relativa La frase subordinata più frequente, in ogni
lingua, è la relativa, legata un singolo elemento, nominale o pro-
a
nominale, della reggente. Dei pronomi relativi latini passati all'ita-
liano abbiamo già trattato in morfologia. Possiamo aggiungere che
in italiano antico la forma che poteva trovarsi al posto di cui, sia
«Questa vita terrena è quasi un prato, / che '1 serpente tra' fiori et
chito.
Ili
Anche i rapporti coordinativi tra le frasi dipendenti in italiano anti-
co erano più liberi: in particolare a un gerundio poteva essere coor-
dinato un verbo di modo finito, e un infinito a una precedente su-
bordinata esplicita. Si tratta, in generale, di costrutti popolareg-
gianti, che anche per questo furono successivamente abbandonati.
Per riassumere...
• Sono stati esaminati alcuni dei principali aspetti della sintassi italiana.
Nell'ambito della frase semplice, è stata segnalata come principale carat-
112
5. Lessico e formazione delle parole
con altri popoli sono elementi che hanno riflessi più evidenti sul
piano lessicale che non nella morfologia o nella sintassi.
originari. Soprattutto dal punto di vista del significato (il cui studio,
113
nostra lingua, spesso rimanendovi stabilmente fino a oggi. Non tut-
te le voci di tradizione diretta esistevano già nel latino classico; in
molti casi si tratta di parole formate nel latino volgare; altre voci del
5.1.1. Il lessico del latino volgare II lessico del latino volgare presenta
pri dello scritto: frequente, tra l'altro, è il ricorso agli alterati (dimi-
nutivi, accrescitivi ecc.), che assumono diversi valori. Caratteristi-
che del genere sono proprie anche del lessico del latino volgare ri-
114
per esempio tra vir e homo, tra agrum e campum, tra cruorem
e sangu(in)em prevalgono le ultime, che danno uomo, campo e
sangue; l'aggettivo pulchrum viene sostituito da bellum > bello,
metaforico rimasto vitale nei dialetti (cfr. coccia e capoccia, che "in-
crocia" capo e coccia).
La ricerca dell'espressività, insieme alla necessità di adoperare paro-
115
posto in seguito a uno slittamento semantico: così flere 'piangere'
cede a plangere 'battersi il petto in segno di lutto'; exercitum
'esercito' (poi recuperato per via dotta) a hostem 'nemico', da cui
è derivato l'ant. oste. Spostamenti semantici si hanno anche in nomi
indicanti parti del corpo: bucca 'guancia' sostituisce orem 'boc-
ca'; coxam 'anca' passa a significare 'coscia'.
Naturalmente, la perdita di una voce può non avvenire sull'intero territorio romanzo: ci
sono parole del latino classico continuate in una sola lingua neolatina o anche in una
singola area dialettale. Se molte perdite sono state comuni, le sostituzioni sono spesso
lingue ibero-romanze e nel rumeno il suo sostituto è stato formosum. Dal punto di vista
lessicale, come abbiamo detto, il latino volgare era del resto assai più differenziato che
116
cum ( > fuòco), che indicava il focolare domestico; la machina è
identificata con la macina del mulino; il verbo minari 'minacciare'
passa a menare 'condurre', dall'azione del portare il bestiame ai
come angelum > angelo (il senso originario della parola greca era
'messaggero') e martyrem > martire (propriamente 'testimone').
Molto significativa, per esempio, è l'evoluzione di parabulam, che
da 'similitudine', attraverso i vangeli, passò a significare 'parola',
scalzando verbum (le parabole di Gesù sono le parole per eccellen-
za), e formò il verbo parabulare 'raccontare parabole' e poi in ge-
nerale 'parlare', al posto del classico loqui. Anche l'evoluzione
captivum 'prigioniero' > cattivo si spiega col suo uso in ambito
cristiano captivum diaboli 'prigioniero del diavolo').
( <
Il mutamento semantico comportò a volte allargamenti di significa-
to (come nel caso, già citato, di causa > cosa o di parentes 'geni-
tori' > parenti), a volte restringimenti e specializzazioni, come per
mùlier 'donna' > moglie (la. voce latina corrispondente era uxor);
non di rado si hanno passaggi a significati contigui, come per mit-
tere 'mandare' > mettere; iungere 'unire' > giungere 'ricongiun-
gersi' e quindi 'arrivare'; parere 'ubbidire' > parere 'farsi vedere
(non appena chiamati)', quindi 'apparire' e poi 'sembrare'; magis
'più', 'piuttosto' > ma.
per via dotta, dal Medioevo a oggi, nel lessico italiano, che non po-
teva certo accontentarsi delle relativamente poche parole pervenute
per via popolare. A molte di queste ultime sono infatti legati agget-
tivi relazionali di coniazione dotta e la diversa trafila spiega le diffe-
renze fonetiche esistenti per esempio tra mese e mensile, fiore e flo-
reale ecc.
Grazie al grande prestigio culturale del latino (che del resto conti-
nuò per secoli a essere usato come lingua della Chiesa, del diritto,
delle scienze), il lessico latino ha costituito (assieme al greco) un
serbatoio prezioso per il lessico italiano (così come, del resto, per
117
tutte le lingue di cultura dell'Europa). I latinismi si sono perfetta-
mente integrati nel sistema dell'italiano, anche perché, come si è
detto nel capitolo 2, hanno per lo più assunto veste fonomorfologi-
ca italiana. Ciò non si è verificato solo per i latinismi d'uso speciali-
stico (voci del linguaggio medico o giuridico) e per quelli entrati
Non di rado, da una stessa base latina sono derivate due (o anche
più) parole italiane, una popolare e una dotta, che vengono chia-
mate allotropi: la parola popolare si riconosce perché è quella che si
è più allontanata dalla base sia dal punto di vista formale (perché è
stata soggetta alla normale evoluzione fonetica), sia nel significato
tratte da altre lingue con cui la nostra è venuta in contatto per vi-
cende politiche, economiche o culturali. Le voci straniere entrate in
118
senso stretto, perché spesso entrati prima che i volgari italiani si co-
stituissero come tali. Mentre il lessico delle popolazioni che abita-
vano l'Italia prima della conquista romana ha lasciato nell'italiano
poche tracce, limitate quasi esclusivamente alla toponomastica o
agli elementi già assorbiti dal latino, l'apporto germanico è stato ab-
bastanza consistente. I germanismi sono relativi anche a settori fon-
tra gli aggettivi spiccano quelli relativi a colori (bianco, biondo); tra
l'arabo ha dato infatti all'italiano numerose parole, tra cui voci rela-
tive a prodotti importati dall'Oriente (albicocca, carciofo, melanza-
na) e termini di ambiti scientifici come la matematica (zero, cifra,
119
Al grande prestigio delle letterature d'oc e d'oìl e in genere della ci-
120
J
I meccanismi di formazione delle parole nuove in italiano sono es-
suffissi possono essere classificati in base sia alla categoria che pro-
ducono (suffissi che formano nomi, come -aio, -ista, -mento-, suffissi
che formano verbi, come -ificare, -izzare), sia alla categoria della pa-
rola a cui si possono aggiungere (alcuni suffissi si uniscono solo a
verbi, altri solo a nomi).
L'aggiunta di prefissi e di suffissi comporta, in italiano, una serie di
prefisso in- può diventare im- davanti a Imi, Ipl e Ibi, il- davanti a
III ecc., e che molti suffissi inizianti per HI palatalizzano la conso-
nante finale del tema della base: music-a —» music-ista.
Una particolarità del lessico italiano è la presenza di verbi, detti pa-
rasintetici, i quali, rispetto alla base nominale e aggettivale, risulta-
121
53-2. La composizione La composizione si realizza accostando due
parole, che di solito vengono univerbate, cioè trattate come una
sola parola anche dal punto di vista grafico; in italiano possiamo
avere diversi tipi di composizione. Tra i vari procedimenti i più fre-
quenti sono:
• nome + nome {cassapanca, capostazione; anche con la preposi-
zione inserita: pomodoro);
• aggettivo + nome {gentiluomo, nobildonna) o nome + aggetti-
vo {cassaforte);
122
Per riassumere...
tutto le voci derivate dal latino, comprendenti sia le parole di tradizione di-
retta, entrate nel lessico del latino volgare, ridotto rispetto a quello del la-
tino classico, sia i latinismi, parole recuperate per via dotta; poi i germani-
smi, i prestiti da altre lingue straniere e i dialettalismi.
123
Bibliografia
Capitolo 1
lo più trascurate, in una prospettiva "di lunga durata" spesso ricca di sti-
cultura, utet, Torino 1984, che tra l'altro nell'accuratissima seconda par-
te (capp. v e vi) illustra i fenomeni di passaggio dal latino all'italiano e de-
trattazione di storia della lingua italiana, che comprende anche una breve
descrizione dei principali fatti di grammatica storica.
124
a
ro fiorelli, Sansoni, Firenze 1965 zarko muljacic, Fonologia
(3 ed.);
Capitoli 2, 3, 4
Le principali grammatiche storiche dell'italiano, alle quali ci siamo am-
piamente rifatti per il nostro profilo, sono: Gerhard rohlfs, Gramma-
tica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Einaudi, Torino
1966-69, 3 voli., tuttora insuperata per ampiezza e ricchezza di dati, relati-
vi non solo alla lingua antica e moderna, ma anche ai dialetti (i dati sono
facilmente reperibili grazie agli indici); pavao tekavcic, Grammatica
a
storica dell'italiano, Il Mulino, Bologna 1980 (2 ed.), 3 voli., di carattere
fenomeni più notevoli del passaggio dal latino volgare al fiorentino, con
richiami anche agli sviluppi successivi; Arrigo castellani, Grammatica
storica della lingua italiana, Il Mulino, Bologna 2000 ss., che quando sarà
terminata costituirà l'opera più completa e rigorosa sull'italiano nelle sue
basi fiorentine e toscane (il voi. 1 tratta, fra l'altro, del latino volgare, del-
sico all'italiano, attraverso la fase del latino volgare, e all'italiano antico, se-
ci dell'italiano in rapporto allo studio dei testi antichi e alla loro edizione.
125
Capitolo 5
Per lo studio del lessico costituiscono strumenti di lavoro, da affiancare alle
5 voli, (citato con la sigla dei), tuttora utile per la ricchezza del lemmario;
Manlio cortelazzo, paolo zolli, Dizionario etimologico della lingua
italiana, Zanichelli, Bologna 1979-88, 5 voli., citato con la sigla deli (nuo-
va ed.: Il nuovo etimologico, a cura di Manlio cortelazzo e michele a.
126
Altri volumi pubblicati nelle Bussole
Eva Sponchiado
Capire le famiglie
Roberto Bertinetti
Dai Beatles a Blair:
la cultura inglese contemporanea
Ivan Montis
Le nuove professioni del web
Vanni Codeluppi
Che cos'è la pubblicità
Luca Pietrantoni
La psicologia della salute
Federico Romero
Storia internazionale del Novecento
STUDI UNGUISTICO-LETTERARI
ISBN 88-430-1906-6
19 "788843"019069