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I l franco-italiano in area padana:

questioni, problemi e appunti di metodo*

1. Il corpus di lavoro: problemi di definizione

Poiché ci è stato proposto il compito di illustrare nelle sue grandi linee,


dal punto di vista linguistico, la produzione di copie, di rimaneggiamenti
e di opere autonome in francese nell’Italia del Nord, nei secoli XIII-XV
ineunte (quella che va sotto l’etichetta generica, ormai tradizionale, di fran-
co-italiana), la prima operazione da eseguire è quella di delimitare il corpus
sul quale effettuare la ricerca.1 Inutile insistere sull’ampia gamma di realiz-
zazioni linguistiche cui l’interferenza tra francese e italiano ha dato origine;
cosí come è superfluo sottolineare la vastità della produzione interessata al
fenomeno. A tal proposito sarà sufficiente ricordare che proprio queste due
caratteristiche permettono d’effettuare una prima distinzione, “struttura-
le”, tra l’area lombardo-veneta e la principale zona produttiva concorrente,
quella pisano-genovese, che appare piú specializzata nella trasmissione di
testi romanzeschi e didattico-religiosi – non risultano al momento canzoni
di gesta riconducibili alla linea tirrenica – e immune dai fenomeni di alter-
nanza tra due codici che caratterizzano alcuni testi lombardo-veneti. Ma
per l’atelier pisano-genovese, e per le ragioni che spingono attualmente a tra­
lasciare la produzione napoletana, rimandiamo al contributo di Fabio Zi-
nelli.2

* Ringraziamo Raymund Wilhelm, discussant affabile e costruttivo di questa comunicazione.


1. Va ricordato che manca a tutt’oggi una cernita affidabile e condivisa dei manoscritti pro­
dotti in questa zona. L’inventario fornito da G. Holtus, Franko-Italienisch, in Lexikon der roma­
nistischen Linguistik (LRL), hrsg. von G. Holtus, M. Metzeltin und C. Schmitt, 8 vols., Tü­
bingen, Niemeyer, 1988-2001, vol. vii 1998, pp. 705-56, alle pp. 711-16, costituisce un punto
di partenza, che necessita di correzioni e integrazioni; cfr. anche G. Holtus-P. Wunderli,
Franco-italien et épopée franco-italienne, Heidelberg, Winter, 2005 [= Grundriss der romanischen Li­
teraturen des Mittelalters, vol. iii. Les épopées romanes, to. i/2, fasc. 10], in partic. pp. 18-20. Sulla
nascita e sui limiti di questo inventario, che trova origine in G. Holtus, Lexikalische Untersu­
chungen zur Interferenz: die franko-italienische ‘Entrée d’Espagne’, Tübingen, Niemeyer, 1979, cfr. L.
Morlino, « Alie ystorie ac doctrine »: il ‘Livre d’Enanchet’ nel quadro della letteratura franco-italiana,
Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Padova, supervisore G. Lachin, 2009, pp. 4-6 (la-
voro di prossima pubblicazione). Un importate contributo alla definizione del corpus sarà sen­
z’altro fornito dal progetto MaFra (Manoscritti francesi e provenzali esemplati in Italia) diretto da
Maria Luisa Meneghetti (www.mirabileweb.it).
2. F. Zinelli, I codici francesi di Genova e Pisa: elementi per la definizione di una ‘scripta’, qui stesso,
pp. 82-127.

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Proprio in ragione dell’ampiezza della produzione lombardo-veneta, sa­


rebbe comodo ritagliare in questa area un settore al quale attribuire un par­
ticolare valore rappresentativo, per concentrarsi di preferenza su di esso, estra­
polandone delle conclusioni generali. Ad esempio, poiché i poemi epici
(copie di testi francesi, rimaneggiamenti, originali) sono stati per un lungo
periodo ritenuti il cuore della produzione franco-italiana in Italia del Nord,
ci si potrebbe limitare a questo settore. Ma è evidente che esso non esauri-
sce tutte le possibilità, e che anche al suo interno le differenze linguistiche
sono notevoli. Per limitarci alle copie, la lingua di V4 (Aspremont e Roland)
presenta un grado di italianizzazione assai maggiore dei manoscritti C e V7
del Roland. Inoltre, ciò che se ne può ricavare non sarà tutto utile, anzi avan-
zerà molto di superfluo, per descrivere, ad esempio, la lingua di Martin da
Canal. Insomma, un taglio di questo tipo corre il rischio di essere assai po­
­co produttivo. Non è evitabile, anche se il compito che ne risulta è dei piú
one­rosi, prendere in considerazione l’intero corpus franco-italiano, se non
al­tro certamente i testi pubblicati, pur se la qualità delle edizioni varia (non
necessariamente in base alla data) dall’una all’altra. Tra le quattro categorie
estrapolate da Marcello Barbato,3 non crediamo si possa fare a meno dei rap­
presentanti della prima: « conservazione del codice, salvo l’introduzione di
dialettalismi inconsci », della quale fanno parte senza dubbio do­cumenti co-
me i già citati C e V7; anche tale categoria fornisce, come sarebbe agevole
dimostrare, informazioni preziose, e talvolta particolarità uniche o rare. Fa­
re conto degli studi linguistici e dei glossari annessi alle singole edizioni (qua­
le che ne sia poi la validità) è obbligatorio per poter anche soltanto pensa­
re di portare a termine uno studio di tale portata. Per fortuna, rispetto ad
un passato pur recente, disponiamo di un maggior numero di strumenti di
catalogazione e consultazione dati (basti pensare, ad esempio, al repertorio
RIALFrI-Repertorio Informatizzato Antica Letteratura Franco-Italiana: www.ri-
alfri.eu).
Ci si può chiedere se, all’interno del grande corpus, sia opportuno traccia-
re preliminarmente dei confini, studiando la lingua di un settore separata-
mente da quella di altri, per vedere se sia possibile estrarne dati linguistici
coerenti per ogni categoria. Proviamo a valutare empiricamente l’utilità di
alcune eventuali partizioni. Potremmo considerare separatamente le tre ca­
tegorie canoniche: 1) copie da originali francesi; 2) rimaneggiamenti di ope­
re francesi; 3) opere composte in francese da autori italiani.4 La distinzio­

3. M. Barbato, Il franco-italiano: storia e teoria, qui stesso, pp. 22-51.


4. Sulla nascita di queste categorizzazioni, e sulle loro diverse declinazioni, cfr. ivi, par. 3.

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ne si basa sul rapporto piú o meno stretto con le opere d’Oltralpe e, ad altri
scopi, può avere la sua utilità; a priori si potrebbe anche ritenerla funzionale
alla descrizione della lingua (non sarebbe illogico, infatti, immaginare una
progressiva italianizzazione, mano a mano che i prodotti si allontanano dai
modelli francesi); ma nella realtà è evidente che nessuna descrizione coe-
rente dei dati linguistici può scaturire da una simile partizione: sotto la voce
“copie di originali francesi” andrebbero catalogati, per fare un solo esem-
pio, dei piú scontati, manufatti come V4 (Roland e Aspremont) e C V7 del
Roland, assai diversi linguisticamente; e come confrontare, poi, un testo co­
me la Prise de Narbonne di V4, che è certamente un rimaneggiamento di ori­
ginale francese, ma inserito in un testimone del Roland e copiato dallo stes-
so scriba, con il Rainaldo e Lesengrino di Oxford, stessa categoria, però tal-
mente italianizzato da trovare posto nei Poeti del Duecento? Sotto la terza ca­
tegoria andrebbero studiate insieme, onde ricavarne dati coerenti, l’Entrée
d’Espagne e le Storie di Martin da Canal; la Guerra d’Attila e il Livre d’Enanchet.
Senza contare che anche per le categorie 2) e 3) saremmo quasi sempre di
fronte a delle copie. Neppure una distinzione per generi può portare a ri-
sultati coerenti. Se considerassimo, ad esempio, l’epica, ci troveremmo an-
cora ad avere a che fare con V4 da una parte e C V7 dall’altra; la storiografia
ci fornirebbe Martin da Canal e i testimoni principali dell’opera di Villehar-
douin (i mss. A ed O) e il ms. BnF fr. 1116 del Milione; e ancora una volta ci
troveremmo a mescolare opere originali tramandate da copie e copie di ori­
ginali francesi. E non è necessario procedere oltre. Men che meno potrebbe
essere utile separare i testi in versi da quelli in prosa.
Le difficoltà e le aporie di simili approcci alla lingua dei testi franco-ita-
liani nel Nord Italia discendono ovviamente dal semplice fatto che ognuno
di questi testi, a qualunque categoria appartenga, ha una fisionomia parti-
colare, propria a lui solo, fatta di una mescolanza di tratti che si ritrovano
molto spesso anche in altri, ma magari non in tutti e non nelle stesse pro-
porzioni. Per fare un esempio banale: il passaggio dell’affricata palatale sor-
da dell’antico francese (grafia ‹ch›) ad affricata dentale (grafie ‹ç›, ‹z›), che
potrebbe essere considerato quasi un marchio di fabbrica del franco-italia-
no, compare in maniera massiccia nel Roland di V4; nel Roland di C V7 si
trova, ma in misura assai inferiore; in Martin da Canal è assente, ma lo ri-
troviamo a profusione nel ms. 1116 del Milione.
Tutto ciò sconsiglia di operare, in fase preliminare, delle partizioni che la
natura stessa del corpus renderebbe inoperanti. Resta il fatto che in ogni caso
tratti linguistici di vario genere compaiono in un certo numero di testi. La
soluzione piú efficace, perché giunge a definire al meglio la fisionomia lin-
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guistica cangiante dei singoli testi, è studiare senza divisioni di sorta l’intero
corpus partendo dai fenomeni e dalla loro distribuzione. Una strategia simile
a quella adottata da Laura Minervini per il francese d’Oltremare.5 Eventua-
li partizioni appariranno dunque a valle, e non a monte, dello studio.

2. Un nodo metodologico essenziale: l’« adozione del parametro »

L’ampio ventaglio di realizzazioni concrete del franco-italiano appena


ricordato spiega bene il perdurante successo di un celebre giudizio di Pio
Rajna: esistono tante varietà di franco-italiano quanti sono i testi conserva-
ti.6 In questa prospettiva, ogni testo è considerato come un prodotto lingui-
stico individuale: una sorta di “idioletto” da esaminare in quanto tale. Non
sorprende perciò che l’attenzione degli studiosi si sia spesso concentrata sul­
le creazioni lessicali ibride e sulle serie morfematiche (prefissazioni e suf-
fissazioni) che contribuiscono alla loro costruzione.7
Benché in sé giustificata, la visione frammentaria del corpus ha prodotto
un importante effetto collaterale: la rinuncia a mettere a fuoco “i tratti ge-
nerali comuni ai diversi testi francesi di provenienza italiana”.8 Tra le illu-
strazioni – non di rado eccellenti – della lingua dei singoli testi e le specu-
lazioni sulla natura stessa della Mischsprache franco-italiana non si è costrui-
to quel livello intermedio d’analisi che pure potrebbe portare profitto alle

5. Cfr. in partic. L. Minervini, Le français dans l’Orient latin (XIIIe-XIVe siècles). Éléments pour
la caractérisation d’une « scripta » du Levant, in « Revue de Linguistique Romane », lxxiv 2010, pp.
119-98.
6. Cfr. Barbato, Il franco-italiano, cit., par. 4.
7. L’esempio piú fulgido è rappresentato dal ponderoso lavoro di Holtus, Lexikalische Un­
tersuchungen, cit.
8. Cfr. L’ ‘Entrée d’Espagne’. Chanson de geste franco-italienne, éd. A. Thomas, 2 vols., Paris, Di-
dot, 1913, vol. i p. lxxxiv: « Bien qu’il ne soit pas absolument impossible de retrouver quelques
traits généraux communs aux différents textes français de provenance italienne qui sont ar-
rivés jusqu’à nous, on peut cependant affirmer que chacun de ses [sic] textes a une physiono-
mie propre et n’offre pas exactement les mêmes caractères linguistiques que le texte voisin ».
E con toni analoghi, in tempi piú recenti: « Nous l’avons dit à maints endroits et répété main-
tes fois: le franco-italien manque d’unité, il n’existe pas de norme plus ou moins idéale qui
servirait de point d’orientation aux auteurs, remanieurs et copistes. Chaque texte, voire cha-
que manuscrit réinvente pour ainsi dire le phénomène qu’on appelle assez arbitrairement “le
franco-italien”. […] Naturellement, il est possible de dégager un inventaire des traits caractéri-
stiques qui se rencontrent souvent, même dans la plupart des documents franco-italiens; mais
leur choix et leur mélange peut varier infiniment » (Raffaele da Verona, ‘Aquilon de Bavière’.
Roman franco-italien en prose (1379-1407), introduction, édition et commentaire par P. Wunder­
li, 3 vols., Tübingen, Niemeyer, 1982-2007, vol. iii p. 121).

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prime quanto alle seconde.9 Lo sfondo linguistico su cui proiettare i dati pro­
venienti dall’esame dei testi è rimasto perciò largamente opaco e indistin­
to. Al piú, esso è stato abbozzato attribuendo arbitrariamente al franco-ita­
liano i tratti linguistici che caratterizzano solo un gruppo ben preciso di ope­
re e talvolta una sola opera o finanche un solo manoscritto, con l’inevitabi-
le distorsione che ciò comporta.10
L’assenza di uno studio d’insieme ha senz’altro contribuito ad aggravare
anche il principale problema metodologico che s’incontra nello studio del
franco-italiano e che Gianfranco Contini identificava efficacemente con
l’« adozione del parametro »:
Il nodo metodologico per la descrizione di una varietà franco-italiana risiede noto-
riamente nell’adozione del parametro. Che cosa sostituirà qui il parametro classico,
secondo il metodo Mussafia-Ascoli, del sistema latino […]? L’italiano, ma quale? o
non piuttosto il francese, ma di che epoca e in quale koinè? Comprensibile è l’aporia
in cui sogliono cadere i francoitalianisti.11

9. Cfr. Holtus, Franko-Italienisch, cit., p. 728: « nous ne manquons pas d’analyses détaillées
de certains manuscrits franco-italiens mais […] elles ont toutes pour seule base le manuscrit
en question et ne traitent pas vraiment du complexe général du corpus des textes franco-ita-
liens ».
10. Le tendenze appena indicate si riflettono anche nelle due trattazioni piú autorevoli e
recenti sul franco-italiano, che germogliano essenzialmente da Holtus, Lexikalische Untersu­
chungen, cit. Nel par. 5 di Holtus, Franko-Italienisch, cit., pp. 728-43, l’esemplificazione lessicale,
tratta interamente dall’Entrée d’Espagne, prevale in modo netto sullo studio degli altri aspetti
linguistici. Quanto al quadro generale, la scelta di mettere in esergo i 33 tratti rilevati da W.
Fiebig in merito all’Enanchet ha causato non pochi equivoci (cfr. Wunderli, ed. cit., vol. iii
pp. 121-26, da leggere con Morlino, « Alie ystorie ac doctrine », cit., p. 69). Il cap. 3 di Holtus-
Wunderli, Franco-italien, cit., pp. 57-91, riprende ampiamente il Lexikon, senza la lista di Fiebig
(cfr. ivi, p. 57), ma con l’iniezione della presentazione della lingua del tardo Aquilon de Bavière
(ivi, pp. 72-82; parziale anticipazione di P. Wunderli, Das Franko-Italienische. Eine literarische
Mischsprache und ihre Charakteristika, Paderborn et al., Schöningh, 2006, lavoro poi confluito, in
francese, in Wunderli, ed. cit., vol. iii pp. 121-229). Quanto all’Analyse de textes choisis (Holtus,
Franko-Italienisch, cit., pp. 743-46; e poi, con leggere modifiche, in Holtus-Wunderli, Franco-
italien, cit., pp. 82-87), essa propone un tentativo di interpretazione in chiave sociologica delle
diverse varietà di franco-italiano, basato su una campionatura franco-lombarda. Quest’anali­
si, già di per sé rischiosa, è resa malcerta dalla frequente sovrapposizione tra lingua dell’autore
e lingua del copista, lingua del modello e lingua della copia. Il quadro che ne risulta manca
dunque inevitabilmente di profondità e alcune delle conclusioni suonano un po’ paradossali.
Per esempio, gli italianismi della Bataille d’Aliscans marciana sono considerati volontari (cfr. ivi,
p. 83); l’impasto linguistico del Macaire è giudicato « très réfléchi » (p. 84); mentre gli italianismi
dell’Entrée d’Espagne sono qualificati di inconsapevoli (cfr. p. 85). Bisognerebbe dunque conclu-
derne che il copista di V8 e il poeta della Geste Francor controllavano perfettamente i due co-
dici linguistici in contatto, mentre il raffinato Anonimo patavino no.
11. G. Contini, Sull’ ‘Entrée d’Espagne’ [1979], in Id., Frammenti di filologia romanza, a cura di G.

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Le cause che spiegano questa aporia sono ben note, ma non è forse super-
fluo riepilogarle. Le principali sono tre.
Innanzitutto, l’esito dell’interferenza tra italiano e francese, sia essa in-
terna o intersistemica, può convergere, almeno dal punto di vista formale,
con il risultato dell’evoluzione regionale del francese. Cosí, per limitarsi a
qualche esempio ben noto, « la conservazione di ca- […] può doversi indif-
ferentemente all’italiano o alla koinè piccarda (meno facilmente all’occitano
meridionale) »;12 e, mutatis mutandis, lo stesso si può dire per le ben note al-
ternanze del tipo ie/e (bien = ben), ei/e (aveir = aver, peire/poire = pere), ue/o
(pueple = pople), ui/u (fruit = frut), che possono essere attribuite all’influsso del­
l’italiano, ma anche, per esempio, della scripta anglo-normanna.13
In secondo luogo, il risultato dell’evoluzione del francese comune o re-
gionalmente connotato può corrispondere a quello dell’evoluzione regio-
nale dell’italiano. Tra i numerosi esempi che si potrebbero citare, basti ri-
cordare la chiusura di o davanti a nasale > (o)u, ben documentata in testi
francesi del Nord (all’Est e all’Ovest), come in diverse varietà italiane set-
tentrionali (cosí, compangnun è forma presente, e perfettamente legittima,
sia nell’afr. Roman de Waldef che nel volgarizzamento veneto del Libro de
conservar sanitate di Maestro Gregorio); o, ancora, la 1a persona plurale in
-on/-om/-um (-oum in anglo-normanno), frequente tanto nella scripta della
Francia occidentale come in alcune varietà venete e lombarde.14 E cosí via.
Insomma, non va mai dimenticato che, come scriveva efficacemente G.I.
Ascoli in margine all’Entrée d’Espagne, « lo scrittore padovano, il quale si met­
teva a comporre dei poemi franco-italiani, avrebbe detto sin dalle fasce […]

Breschi, 2 voll., Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2007,
vol. ii pp. 1135-43, a p. 1136.
12. Ivi, vol. ii p. 1140.
13. Cfr. il conspectus in I. Short, Manual of Anglo-Norman, second edition, Oxford, Anglo-
Norman Text Society, 2013, pp. 45-46.
14. Cfr. G.B. Pellegrini, Franco-veneto e veneto antico, in « Filologia romanza », iii 1956, pp.
122-40, alle pp. 135-39 (poi in Id., Studi di dialettologia e filologia veneta, Pisa, Pacini, 1977, pp. 125-
46); G. Ghinassi, Nuovi studi sul volgare mantovano di Vivaldo Belcazer [1965], in Id., Dal Belcazer
al Castiglione. Studi sull’antico volgare di Mantova e sul ‘Cortegiano’, a cura e con una premessa di P.
Bongrani, Firenze, Olschki, 2006, pp. 3-128, alle pp. 85-86; A. Stussi, Testi veneziani del Due­
cento e dei primi del Trecento, Pisa, Nistri-Lischi, 1965, pp. xlii e xlv; J. Chaurand, Introduction à
la dialectologie française, Paris, Bordas, 1972, pp. 78 e 113; M. Pfister, L’area gallo-romanza, in Lo
spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo volgare, dir. P. Boitani, M. Mancini e A. Varvaro, vol.
ii. La circolazione del testo, Roma, Salerno Editrice, 2002, pp. 13-96, alle pp. 47-48; Minervini, Le
français dans l’Orient latin, cit., pp. 159-60.

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nel suo schietto vernacolo materno: nu prometón de dire solamén la sénta veri­
té ».15
Infine, una forma regionale dell’antico francese può essere entrata a far
parte della scripta franco-italiana, con la conseguenza che essa può essere uti­
lizzata spontaneamente da autori e copisti italiani. Rispetto ai due tipi pre-
cedenti, questo tipo d’infiltrazione è senz’altro piú delicato da identificare,
visto che sappiamo ancora troppo poco sulla koinè francese diffusa al di qua
delle Alpi e sulla sua eventuale base regionale. È significativo però che nel­
l’Entrée d’Espagne s’incontrino forme quali l’articolo femminile singolare “pic­
cardo” le, le desinenze -ons/-on e -omes alla 1a persona plurale del presente
e, piú sporadicamente, -ont, -unt, -on alla 3a persona plurale del perfetto, l’esi­
to -iaus da -ellus, la rima regionale del tipo face (< *faciam) : sache (< sapiam),
ecc.16 Nel caso specifico, la presenza di queste forme non si può spiegare
come risultato della contrattazione linguistica puntuale che ogni copista in­
gaggia con il proprio modello. Se ne deve perciò concludere che almeno a
partire dalla prima metà del Trecento – secolo in cui, com’è noto, sono sta­
ti trascritti la maggior parte dei manoscritti a noi pervenuti – queste e altre
forme francesi piú o meno profondamente connotate dal punto di vista re­
gionale possono far parte del bagaglio linguistico ormai acquisito da copi­
sti e autori italiani in contatto con la letteratura d’oltralpe.
Ora, la tendenza già segnalata ad osservare ogni testimone franco-italia-
no, e talvolta ogni forma franco-italiana, in sé e per sé non può che contri-
buire a stringere ulteriormente questi nodi metodologici, rendendoli spes-
so del tutto indistricabili. A loro volta, in un nocivo gioco di domino, le in­
certezze in sede di analisi linguistica pesano gravemente sulla ricostruzione
della diffusione della letteratura francese al di qua delle Alpi: quali itinerari
tale letteratura abbia seguito e in quali centri si sia riprodotta.

3. Il rischio di un doppio strabismo: l’esempio della Légende de l’An­


téchrist

Per provare a toccare con mano l’aporia metodologica appena evoca­


ta non è forse inutile soffermarsi su un esempio concreto e per piú aspetti
emblematico. Si tratta del manoscritto Paris, Arsenal 3645, che contiene
quattro testi:

15. G.I. Ascoli, Saggi ladini, in « Archivio Glottologico Italiano », i 1873, pp. 1-556, a p. 451.
16. Cfr. L’ ‘Entrée d’Espagne’, ed. Thomas cit., pp. lxxxiv-cxxxvi.

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1. cc. 1r-4r: una preghiera a Gesú Cristo, alla vergine Maria e a san Michele, testo
francese in lasse monorime di alessandrini, preceduto da sei ottosillabi composti
con ogni probabilità dal copista italiano e seguito da quattro versi avventizi;
2. cc. 4r-24r: un poema francese anonimo, in ottosillabi a rima piatta, sull’Anticristo;
3. cc. 24v-25v: una preghiera alla Vergine, in prosa latina;
4. cc. 26r-67r: un poema francese sulla vita di santa Caterina d’Alessandria, in otto-
sillabi a rima piatta.

Le prime due opere sono state edite da E. Walberg nel 1928;17 l’ultima è sta­
ta pubblicata nel 1925 da H. Breuer, sulla base di una copia effettuata da W.
Foerster.18
Di piccolo formato e trascritto da una sola mano italiana, il codice è sta­
to datato da Meyer dapprima tra la fine del XIII secolo e la prima metà del
XIV secolo, poi piuttosto alla fine del XIII secolo.19 Com’è noto, il poema
sull’Antéchrist è tuttavia chiuso da un colofone, risalente con ogni probabi-
lità all’antigrafo, in cui si indica che la copia è stata terminata nel 1251 a Ve-
rona, in un non meglio identificato « carcer Polorum », situato « in contra­
ta de Monteculis », cioè nel medesimo quartiere in cui è stato eseguito nel
1252 anche l’antigrafo del manoscritto di Zagabria dell’Enanchet.20 Quanto
all’autore dell’Antéchrist, all’inizio dell’opera egli afferma di usare il francese

17. Deux versions inédites de la légende de l’Antéchrist en vers français du XIIIe siècle, publiées par E.
Walberg, Lund, Gleerup, 1928.
18. Eine gereimte altfranzösich-veronesische Fassung der Legende der Heiligen Katharina von Alexan­
drien, mit Einleitung, sprachlicher Untersuchung, Namenverzeichnis und Glossar nach W.
Foersters Abschrift der einzigen pariser Arsenalhandschrift kritisch zum ersten Male he-
rausgegeben von H. Breuer, in Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, Halle, Niemeyer,
vol. liii 1919, pp. 201-87]; da leggere con le numerose correzioni apportate da E. Walberg,
Zum Text des altfranzösisch-veronesischen Katharinenlebens, in « Zeitschrift für romanische Phi­
lologie », xlv 1925, pp. 327-37. Ci è rimasto inaccessibile il lavoro di P.J. Burgess, La passion de
sainte Catherine d’Alexandrie: une édition critique du texte contenu dans le manuscrit 3645 de la biblio­
thèque de l’Arsenal, University of Maryland at College Park, 1994.
19. Cfr. P. Meyer, De l’expansion de la langue française en Italie pendant le Moyen Âge, in Atti del
Congresso internazionale di scienze storiche (Roma, 1-9 aprile 1903), 12 voll., Roma, Reale Acca­
demia dei Lincei, 1904-1907, vol. iv 1904, pp. 61-104, alle pp. 73 (« l’écriture peut être de la pre-
mière moitié du XIVe siècle ») e 86 (« […] la copie de l’Arsenal étant des dernières années du
XIIIe siècle ou du commencement du XIVe siècle »); Id., Légendes hagiographiques en français,
i. Légendes en vers, in Histoire littéraire de la France, Paris, Imprimerie Nationale, vol. xxxiii 1906,
pp. 328-78, a p. 339: « […] le manuscrit de l’Arsenal n’étant guère que de la fin du XIIIe siècle ».
Questa datazione è stata accolta da Walberg, ed. cit., p. xiv: « la fin du XIIIe siècle, au plus tôt »;
cfr. anche K. Busby, Codex and Context. Reading Old French Verse Narrative in Manuscript, 2 vols.,
Amsterdam-New York, Brepols, 2002, vol. ii p. 617 n. 345 (fine XIII-inizio XIV sec.).
20. Cfr. Morlino, « Alie ystorie ac doctrine », cit., in partic. alle pp. 16, 23-25.

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perché è la lingua che ha imparato sin dall’infanzia e che conosce meglio


delle altre (vv. 1-12). Malgrado qualche esitazione, Meyer concludeva che
« ces vers, un peu pénibles, sont bien d’un italien ».21 Secondo Walberg, in-
vece, l’autore sarebbe piuttosto un francese di stanza in Italia, il quale avreb-
be composto il suo testo tra il 1240 e il 1251 e potrebbe rivendicare al suo
attivo anche la paternità della vita di santa Caterina contenuta nello stesso
codice.22
Sia quel che sia, in un caso come nell’altro siamo di fronte a:
– un autore il cui repertorio linguistico comprende tanto il “francese” che l’ “italia-
no” – ovviamente con le declinazioni regionali che questi due termini sottinten-
dono nel Medioevo e con tutte le possibili interferenze che questa doppia com-
petenza può implicare;
– un testo scritto in “francese” che, nella veste a noi nota, è stato sottoposto alme-
no due volte ad un’operazione di copia da parte di uno scriba italiano: dapprima,
per opera del copista attivo a Verona nel 1251; poi, per mano di colui che ha ver­
gato il codice dell’Arsenal. Il copista dell’unico testimone a noi pervenuto ha dun­
que lavorato con ogni probabilità su un modello già italiano.

Per completare il quadro qui sommariamente abbozzato, va almeno ag-


giunto che l’Antéchrist è in larga parte una compilazione: le fonti, che meri-
terebbero un’indagine piú estesa, potrebbero dunque, almeno in alcuni ca­
si, aver esercitato a loro volta un influsso sulla lingua del testo.23
Come orientarsi in un tale guazzabuglio di possibili couches linguistiche
diverse, sovrappostesi e mischiatesi l’una all’altra, fin dalla fase della crea-
zione stessa del testo e/o in fase di trasmissione? Come provare a districare
un tale coacervo?
« Éditeur de vies de saints et de textes religieux », lo svedese Walberg
rappresenta bene quella « phalange d’artisans probes et érudits » prodotta
dalla Scuola Francese tra le due guerre.24 Seguendo il protocollo della vec-
chia, buona scuola storica, egli ha provato innanzi tutto, e con ragione, vista

21. Meyer, De l’expansion de la langue française, cit., p. 86. Cfr. anche Id., Légendes hagiographi­
ques, cit., p. 339: « Poème en vers octosyllabiques, composé, dans la première moitié du XIIIe
siècle, en Lombardie ».
22. Walberg, ed. cit., pp. xxxiii-xxxix. Cfr. anche Breuer, ed. cit., p. 204.
23. Cfr. Walberg, ed. cit., pp. xiv-xxiii; C. Beretta, Il ‘De ortu et tempore Antichristi’ di Adso
di Montier-en-Der e l’ ‘Istoria’ dello pseudo-Uguccione, in MR, xx 1996, pp. 170-97, in partic. alle pp.
171-72.
24. G. Roques, L’édition des textes français entre les deux guerres, in Histoire de la langue française
1914-1945, sous la dir. de G. Antoine et R. Martin, Paris, Cnrs Éditions, pp. 993-1000, a p.
998.

60
il franco-italiano in area padana

anche la notevole regolarità metrica del testo, a distinguere la lingua del


poeta dell’Antéchrist da quella del copista dell’Arsenal.
Al riguardo della prima, Walberg conclude che « sous l’enveloppe forte-
ment italianisée dont le poème a été affublé par le copiste, on ne trouve,
chez l’auteur lui-même, que très peu de traces de la langue parlée dans son
pays d’adoption ».25 Solo pochi italianismi sembrano infatti garantiti dal me-
tro.26 Walberg individua inoltre « un certain nombre de traits dialectaux, fa­
miliers aux parlers picard et wallon » e ne conclude che verosimilmente « l’au­
teur était originaire du Nord ou du Nord-Est » della Francia.27
La lingua dello scriba, cui Walberg dedica una decina di dense pagine, è
ugualmente sottoposta ad un esame minuzioso.28 Numerosi sono i tratti a
cui lo studioso attribuisce una colorazione regionale francese. Cosí, per li-
mitarsi a qualche esempio:
– a ~ ai (Nord-Est)
– ain ~ an (vall.)
– al > au ~ a (vall., lorr., Sud)
– a > e ~ ei (Ovest, Nord, Est)
– -e > ø (vall., lorr.)
– assenza di e- prostetica davanti a s + cons., quando la parola precedente termina
in -e (vall., lorr.)
– instabilità della consonante nasale (vall.)
– debolezza e caduta di alcune consonanti finali (vall., lorr.)
– z ~ s, s ~ ss, s / ss / sc(e) ~ x (lorr., vall.)

Saremmo perciò di fronte ad una copia prodotta in Italia, ma di fatto


fortemente marcata dal punto di vista regionale in senso francese. La patina
linguistica del manoscritto dell’Antéchrist rifletterebbe infatti ancora in mo-
do alquanto fedele la scripta dell’autore stesso o, ad ogni modo, della sua pre­
sunta regione di provenienza; le almeno due generazioni di copisti italiani
intervenuti sul testo non avrebbero lasciato tracce profonde sulla facies lin-
guistica dell’opera. L’« enveloppe fortement italianisée » cui accenna Wal-
berg sarebbe dunque molto meno « italianisée » di quanto ci si potrebbe aspet­
tare.

25. Walberg, ed. cit., p. xxxiii.


26. Si tratta, secondo Walberg, dell’articolo el (qe’l mond, v. 733), della rima blaimer : ver (<
verum), dell’infinito dir, del futuro giront, della terza persona singolare dell’imperfetto del con­
giuntivo venisse, oltre che, forse, della costruzione entre lor (cfr. ivi, pp. xxxiii-xxxiv).
27. Ivi, p. xxxiv.
28. Ivi, pp. xxxix-xlviii.

61
carlo beretta - giovanni palumbo

Ora, le analisi di Walberg, prese una per una, fenomeno per fenomeno,
e, si potrebbe dire, decontestualizzate, sono convincenti e difficilmente con­
testabili. Tuttavia, Walberg trascura – non certo perché l’ignora – che l’in-
terpretazione in chiave geografica di molti dei dati da lui analizzati non è
affatto univoca e può essere rovesciata.29 Gran parte dei fenomeni indica­
ti come tipici dei dialetti francesi settentrionali o nord-orientali sono infat-
ti ampiamente attestati anche nei testi franco-lombardi e nel “francese di Lom­
bardia”. Se si cambia di prospettiva, la storia linguistica dell’Antéchrist mu-
ta dunque in modo considerevole: la patina del manoscritto dell’Arsenal ap­
pare effettivamente « fortement italianisée », vuoi per intervento del copi­
sta del codice, vuoi già per opera dello scriba del 1251, vuoi per la som­ma­
toria degli interventi di entrambi. I copisti che si sono avvicendati sul tes­to
non appaiono dunque piú come dei fedeli e neutri trascrittori, ma piuttosto
come dei “commutatori” linguistici.30
Ritorneremo in seguito sull’interpretazione alternativa che si può forni-
re dei dati rilevati da Walberg e sul quadro d’insieme, piú sfumato e proble-
matico, che se ne può ricavare. A questa altezza del nostro ragionamento,
importa innanzi tutto sottolineare la forte e costante minaccia di strabismo
che incombe sullo studioso di testi franco-italiani e che lo porta ad appiat-
tire indebitamente la complessità del suo oggetto di studio. Lo strabismo
può essere provocato da ipertropia, con lo sguardo deviato verso l’alto, che
si fissa sulle eventuali caratteristiche del modello e ignora o sottovaluta l’ap­
porto del copista/autore/rimaneggiatore italiano, come sembra essere il ca­
so di Walberg. Ma può dipendere anche – come avviene piú di frequen­
te – da ipotropia, con lo sguardo deviato verso il basso, che si fissa sulle fat-
tezze della copia e dimentica la pressione linguistica che il modello può
aver esercitato.
Tale strabismo può essere certo legato alla formazione degli studiosi,

29. Cfr. ivi, p. xxxix: « La langue du copiste du ms. Arsenal 3645 a déjà été étudiée en détail
par M. H. Breuer […]. Si, néanmois, je crois utile signaler ici un nombre de traits, c’est d’un
côté pour faciliter au lecteur l’intelligence du texte, d’un autre côté pour faire remarquer que
certaines graphies, attribuées par M. Breuer à l’influence du parler véronais, se rencontrent en
réalité dans les dialectes du Nord et du Nord-Est de la France ». Vd. anche Walberg, Zum Text
des altfranzösisch-veronesischen Katharinenlebens, cit.; Id., Quelques nouveaux exemples de l’anc. wallon
“fer”, in Mélanges de linguistique et de littérature offerts à M. Alfred Jeanroy […], Paris, Droz, 1928, pp.
191-94.
30. Cfr. Barbato, Il franco-italiano, cit., e Id., Trasmissione testuale e commutazione del codice lin­
guistico. Esempi italoromanzi, in Transcrire et/ou traduire. Variation et changement linguistique dans la
tradition manuscrite des textes médiévaux. Actes du Congrès international, Klagenfurt, 15-16 no-
vembre 2012, éd. par R. Wilhelm, Heidelberg, Winter, 2013, pp. 193-211.

62
il franco-italiano in area padana

che, a seconda dei casi, possono sentirsi piú a loro agio con la bibliografia
sulla dialettologia antico-francese o con quella sull’antico-italiano.31 Al di
là dei disfunzionamenti individuali, esso è però naturalmente incoraggiato
dalla natura anfibologica dei dati stessi e dalla difficoltà, talvolta insormon-
tabile, che s’incontra nell’ordinare questi dati in un processo cronologico e
geografico saldamente accertato. Pur fornendo un primo correttivo, l’ana-
lisi dei testi a tradizione multipla conferma la complessità delle questioni in
gioco.

4. Un correttivo agli errori di prospettiva: l’apporto delle tradi­


zioni multiple

Non c’è bisogno di sottolineare i vantaggi che comporta per la critica del
testo una tradizione multipla; poiché anche i migliori testimoni sono sfigu-
rati da un certo numero di errori, è importante poter confrontare la loro
lezione con quelle di altri portatori, previa l’individuazione dei loro rap-
porti. Ma i benefici non si arrestano alla “critica delle lezioni”. Anche la
“critica delle forme” ne trae indubbio giovamento, in una doppia prospet-
tiva. Da un lato è reso certamente meno arduo (anche se sempre aleatorio)
il compito di descrivere nei limiti del possibile la lingua dell’autore. Dall’al-
tro, soprattutto se due o piú testimoni sono collaterali nello stemma e mol-
to vicini all’esemplare comune, è piú agevole fare la cernita tra i tratti lin-
guistici ereditati dai modelli e quelli introdotti dai singoli copisti. A questa
categoria se ne può aggiungere un’altra: testi differenti copiati dalla stessa
mano, o nello stesso manoscritto o in manoscritti differenti.32 In queste con­
dizioni, uno studio rigoroso ha ottime possibilità di isolare, confrontando
lo stato linguistico delle varie opere copiate, i tratti costanti e quelli varian-
ti, attribuendo i primi allo scriba, i secondi alla facies dei modelli utilizzati.
Non di frequente, purtroppo, si presentano situazioni tanto favorevoli. Nel­

31. E a questo proposito va registrata una tendenza recente, e poco raccomandabile, a ser­
virsi delle sintesi attualmente disponibili sul franco-italiano come unica porta d’accesso alla
conoscenza della dialettologia antico-italiana, con tutti i rischi di circolarità, piú viziosa che
virtuosa, che questa mediazione può comportare.
32. Esemplare il caso della lingua del celebre scriba Guiot, che è stata piú volte studiata, col
grande vantaggio di poter disporre di una serie cospicua di testi di varia provenienza da lui
copiati nel ms. Paris, BnF, fr. 794: cfr. almeno gli studi classici di B. Woledge, Un scribe cham­
penois devant un texte normand. Guiot copiste de Wace, in Mélanges offerts à Jean Frappier, Genève,
Droz, 1970, pp. 1139-54; Id., Traits assurés par la rime ou par la mesure: l’exemple de Guiot, copiste de
Chrétien, in Mélanges de langue et littérature françaises du Moyen Âge offerts à Pierre Jonin, Aix-en-
Provence, Presses Universitaires de Provence, 1979, pp. 712-27.

63
carlo beretta - giovanni palumbo

la tradizione della Chanson de Roland è noto il caso dei due testimoni gemel-
li C e V7, entrambi copiati in Italia e dipendenti per buona parte del loro
testo da un modello comune, che essi seguono talmente da vicino da pre-
sentare in gran parte non solo le stesse lezioni, ma anche le stesse grafie; di
fatto, molti versi sono identici in tutto e per tutto, fatto salvo l’uso magari
differente delle abbreviazioni. Vedremo piú avanti come è possibile sfrut-
tare questa particolare situazione.
Il corpus dei testi franco-italiani copiati e/o realizzati nel Nord Italia è
piuttosto avaro di situazioni analoghe. Siamo piú fortunati nella categoria
delle copie di originali francesi; assai meno in quelle dei rimaneggiamenti
e delle opere originali. Questi ultimi sono tramandati per lo piú da testimo-
ni unici, nei casi piú favorevoli affiancati da qualche sparso frammento. Fa
parzialmente eccezione l’Huon d’Auvergne, la cui tradizione manoscritta, ben­
ché piú ricca, non è però stata risparmiata dal tempo.33 Ci sono state sicura-
mente delle perdite (basti pensare ai manoscritti perduti dell’Entrée d’Espa­
gne registrati nel catalogo Gonzaga del 1407);34 ma si può supporre che in
generale la tradizione di queste opere non sia stata molto ampia. Talvol­
ta, la bontà della copia è tale da farla considerare molto vicina all’originale
(come il Riccardiano 1919 delle Estoires di Martin da Canal), e rendere pos-
sibile uno studio della lingua dell’autore, che di fatto coincide in buona par­
te con quella della copia.
Il rischio (purtroppo inevitabile nei casi meno fortunati) è quello di do-
ver giudicare i fatti linguistici in una prospettiva a due dimensioni, senza
poter discernere chiaramente ciò che è dello scriba da ciò che egli ha eredi-
tato dal suo modello e da ciò che spetta all’autore, vicino o lontano che sia.
Il problema (ampiamente diffuso) si aggrava se si pensa alla tipologia lin-
guistica di questa produzione, caratterizzata assai spesso da una mescolan­
za di tratti diversi e in diverse proporzioni, tra i quali si desidererebbe (ma
quasi sempre invano) operare tutte le possibili distinzioni. Insomma, la lin­
gua dell’Entrée d’Espagne (per fare l’esempio piú celebre) viene a coincide­
re di fatto con quella del suo testimone quasi unico (poco aiuto viene dalla

33. Cfr. Holtus-Wunderli, Franco-italien, cit., pp. 189-90 e 341-58. Prepara l’edizione del
testo L. Zarker Morgan, The passion of Ynide: Ynide’s defense in ‘Huon d’Auvergne’ (Berlin, Kupfer­
stichkabinett, Hamilton 337), in MR, xxvii 2003, pp. 67-85 e 425-62; Ead., Nida and Carlo Martello:
the Padua manuscript of ‘Huon d’Auvergne’ (Ms. 32 of the Biblioteca del Seminario Vescovile, 45r-49v), in
« Olifant », xxiii 2004, fasc. 2 pp. 65-114; Ead., Ynide and Charles Martel. Turin, Biblioteca Naziona­
le N III 19, folios 72r-89r, in MR, xxix 2005, pp. 433-54, e ivi, xxxi 2007, pp. 70-110.
34. Cfr. G. Palumbo, La ‘Chanson de Roland’ in Italia nel medioevo, pref. di C. Segre, Roma,
Salerno Editrice, 2013, pp. 128-29.

64
il franco-italiano in area padana

misura dei versi e dalle rime); ed è ancora peggio, se consideriamo che nel­
la fattispecie il testo che usiamo è quello stabilito da Antoine Thomas, il qua­
le, nonostante i grandi meriti, interviene a piú riprese sulla lezione del ma­
noscritto, anche per eliminare tratti linguistici che sarebbero importanti se
non altro per caratterizzare il copista.35 In altri casi piú fortunati la situazio-
ne testuale ci consente di operare alcune distinzioni, le quali, tuttavia, non
possono che far rimpiangere, inducendoci a riflettere, quelle che vorrem-
mo (ma non possiamo) operare in molti altri.
Il caso di C e V7,36 i due mss. gemelli della Chanson de Roland, è partico-
larmente favorevole a questo genere di esperimento, per le note caratte­
ristiche alle quali si è accennato sopra. Una collazione sistematica dei due
testimoni, nelle zone di testo (la maggioranza) in cui essi copiano lo stesso
identico modello, consente infatti: 1) di descrivere con precisione la lingua
del loro esemplare comune; 2) di attribuire, perciò, a ciascuno dei due scri-
bi la parte che gli spetta. Un’operazione simile è stata tentata da Joseph Dug­
gan, nella sua edizione dei due testimoni rimati. Ma la peculiare situazione
di C e V7 può aiutare a risolvere (almeno in linea di massima) anche un al­-
tro problema, sperimentato studiando il lessico di V7 e che si presenta quan­
do i due divergono sulla forma di certe parole. Come abbiamo ricordato,
capita sovente, quando si esamina la lingua dei testi franco-italiani, di im-
battersi in tratti grafico-fonetici, morfologici e lessicali che inducono a du-
bitare, poiché presentano caratteristiche ambigue, che trovano corrispon­
den­za sia in afr., dove esse sono però limitate a certe aree dialettali, o co-
munque evidentemente poco diffuse, sia in italiano (di solito del Nord, ma
talvolta con diffusione piú ampia). Il dubbio è se tali tratti siano un retaggio
del modello francese di partenza, oppure siano il prodotto di un’interferen-
za del sistema linguistico primario con quello secondario. In casi di questo

35. Cfr. in proposito anche le osservazioni e le rettifiche di M. Infurna, Per il testo dell’ ‘Entrée


d’Espagne’, in Metafora medievale. Il « libro degli amici » di Mario Mancini, a cura di C. Donà, M. In­
furna e F. Zambon, Roma, Carocci, 2011, pp. 121-37; Anonimo Padovano, L’ ‘Entrée d’Espagne’.
Rolando da Pamplona all’Oriente, a cura di M. Infurna, ivi, id., 2011.
36. Châteauroux, Bibliothèque Municipale, 1; Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Fr.
VII (= 251). Il primo forse della fine del XIII sec., il secondo della prima metà del XIV. Il ms.
C è citato dall’ed. a cura di J.J. Duggan: La Chanson de Roland. The French Corpus, dir. J.J. Dug­
gan, ed. by K. Akiyama, I. Short, R.F. Cook, J.J. Duggan, A.C. Rejhon, W. Van Emden,
W.W. Kibler, 3 vols., 7 pt., Turnhout, Brepols, 2005; vol. ii pt. 3, The Châteauroux-Venice 7 Ver­
sion, ed. J.J. Duggan, Appendix B, pp. 531-807; si veda anche la piú recente (ma meno affidabile)
edizione a cura di M. Moffat, The Châteauroux version of the ‘Chanson de Roland’. A fully anno­
tated critical text, Berlin-Boston, De Gruyter, 2014. Il ms. V7 è citato dalla trascrizione appron-
tata da C. Beretta, in vista di una nuova edizione.

65
carlo beretta - giovanni palumbo

genere, il confronto tra C e V7 permette talvolta di scegliere (con le dovute


precauzioni) tra le due eventualità. La prospettiva è quella di chi studia il
lessico di V7; ma lo stesso ragionamento può valere ovviamente anche per
C. Il participio passato cresu (V7, v. 3550) è attestato (a quanto pare non di
frequente) in afr. accanto al normale creü;37 ma, poiché C, v. 3487, legge creü,
è piú probabile che si tratti di un italianismo (il comunissimo it. settentrio-
nale cresu(do), per il quale si vedano i dati del corpus OVI); cresu dovrà esse-­
re rubricato come voce franco-italiana. E si danno altri casi di questo gene-
re, in cui l’incertezza è eliminabile soltanto perché disponiamo di due co­
pie gemelle dello stesso identico modello. Da ciò si può ricavare il principio
(non certo assoluto) che la forma francese piú comune ha le maggiori pro-
babilità di essere originaria, e che la variante di collocazione incerta, in que­
ste particolari circostanze, dev’essere attribuita ad un fenomeno di interfe-
renza.
Un’altra coppia di testimoni collaterali franco-italiani è quella formata
dai mss. V4 (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Fr. IV) e Cha (Chan-
tilly, Musée Condé, ms. 470) della Chanson d’Aspremont. Insieme a V6 (Ve-
nezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Fr. VI) formano un gruppo di ma-
noscritti franco-italiani, discendenti da un esemplare comune, i cui rappor-
ti sono stati definiti da Marco Boni nel modo seguente (V1 = V4 e V2 = V6):38

V2 y

Cha V1

V4 e Cha derivano dunque da un collaterale di V6 (y); V6 e y, a loro vol-


ta, discendono direttamente dal capostipite x, il quale si collega alla tradi-
zione francese.39 Dal punto di vista stemmatico, la situazione è esattamente

37. Cfr. P. Fouché, Morphologie historique du français. Le verbe, Paris, Klincksieck, 1967, p. 375.
38. Cfr. in partic. M. Boni, Un manoscritto poco noto della ‘Chanson d’Aspremont’: il codice 470
(703) del Musée Condé di Chantilly, in Romania. Scritti offerti a Francesco Piccolo nel suo lxx complean­
no, Napoli, Armanni, 1962, pp. 123-47; Id., Il “Prologo” inedito dell’ A
‘ spremont’ del manoscritto di Chan­
tilly, in « Convivium », xxx 1962, pp. 588-602 (lo stemma a p. 588).
39. Probabilmente per il tramite di un antigrafo già italiano, visto che piú in alto, sullo
stesso ramo dello stemma, si situa anche il ms. P3 (= Paris, BnF, fr. 1598) trascritto da Johannes
de Bononia.

66
il franco-italiano in area padana

analoga a quella di C V7; ma i due testimoni non possono definirsi “mano-


scritti gemelli”, essendo separati da divergenze anche notevoli di lezione, e
linguisticamente non sovrapponibili. Ciò nonostante, se un tratto linguisti-
co, non comune, attribuibile all’afr. si presenta in modo costante, quasi si-
stematico, in Cha, ci si aspetterebbe di trovarne almeno qualche traccia in
V4, se non addirittura in V6, essendo logica la supposizione che esso pro-
venga da qualche strato piú antico della tradizione francese, alla quale fan-
no capo i tre mss. franco-italiani. Alla prova dei fatti, si constata invece che
non è sempre cosí. Uno dei tratti che spiccano nella lingua di Cha è l’esito
di ŏ tonica in sillaba libera nelle persone 1a (raramente), 2a e 3a singolare del
pre­sente indicativo di voloir. Esso è rappresentato quasi sempre da ea: veal,
veals, vealt/veal; il tratto compare ben 106 volte, distribuite lungo tutto il te­
sto. Nessun’altra parola, nei quasi 12000 versi, presenta questa grafia. Inol-
tre, essa è limitata, come si è detto, alle prime tre persone singolari del pre­
sente indicativo, ma con nettissima prevalenza della 2a e soprattutto della
3a, che ha la debolissima concorrenza di vol (6 occ.), volt (2 occ.) velt (1 occ.),
vel (1 occ.), vuel (1 occ.); la 1a persona, invece, è scritta quasi sempre voil (46
occ.). Alla 3a plurale troviamo solo volent e una volta voilent. In V4 e V6 non
c’è traccia di questa grafia; non solo, ma essa non compare (per il verbo vo­
loir) neppure nel repertorio RIALFrI. Si tratta, perciò, di un carattere pe­
culiare e unico del ms. Cha, che sarebbe un errore attribuire a qualche suo
ascendente francese. Da dove il copista l’abbia preso, non è dato sapere. L’e­­
sempio induce a riflettere, perché, se non avessimo il riscontro di V4 e
V6, saremmo tentati di cercare in afr. l’area da cui proviene il tratto, e di
usarlo, per la sua tipicità, come indizio di localizzazione di un esemplare
vicino o remoto, magari di origine pittavina, vista la frequenza con cui le
forme veaus (2a pers. sing.) et veaut (3a pers. sing.) figurano nel manoscritto
dei Sermoni di Maurice de Sully edito da A. Boucherie.40 Si deve ammette­
re, invece, che non sempre i tratti francesi, anche i piú tipici, si diffondono
lungo i rami della tradizione; e che talvolta essi vengono introdotti dagli
scribi italiani, ai quali suonano familiari perché li hanno trovati in altre co-
pie eseguite, adottandoli come propri. Non è forse un caso, in questo senso,
che veaut sia forma frequentissima in Filippo da Novara (soprattutto nel
Livre de forme de plait) e appaia con frequenza anche in altri scritti francesi
d’Oltremare (vd. per esempio il Livre des Assises di Jean d’Ibelin), oltre che

40. Cfr. A. Boucherie, Le dialecte poitevin au XIIIe siècle, Paris-Montpellier, Pedone-Lauriel-


F. Seguin-C. Coulet, 1873, p. 295. Vd. anche E. Görlich, Die südwestlichen Dialecte der Langue
d’oïl (Poitou, Aunis, Saintonge und Angoumois), Heilbronn, Henninger, 1882, p. 65.

67
carlo beretta - giovanni palumbo

nella compilazione arturiana di Rustichello.41 E ancor piú diffusa è la forma


viaut.42
In mancanza di riscontri, si potrebbe cadere nell’opposto errore di pro-
spettiva. Si sarebbe indotti ad attribuire al copista ciò che invece era nel suo
esemplare. Il codice Marciano fr. IV, il celebre V4 della Chanson de Roland,
contiene, nelle prime 68 carte, la Chanson d’Aspremont, a formare una sorta
di dittico. I due testi sono trascritti dalla stessa mano. Uno dei caratteri gra-
fici salienti della copia dell’Aspremont è l’uso massiccio del digramma ‹th›,
che compare ben 189 volte. Va precisato che non si tratta della grafia per
l’esito della dentale intervocalica, che troviamo in alcuni testi antichi dell’I-
talia del Nord (Bergamo, Ravenna/Romagna, ecc.). o anche in alcune va-
rietà antico-francesi quali l’anglo-normanno; per lo piú si trova in posizio-
ne finale, preceduta o meno da consonante (dith o avanth); talvolta all’inter-
no della parola; ma mai essa rappresenta l’esito di -t- intervocalica latina.
Troviamo due esempi analoghi nei Memoriali bolognesi: uno in posizione
iniziale (theme 113 86), uno preceduto da nasale (tantha xxxiii 5, ma di ma­
no eugubina).43 Nel caso dell’Aspremont, si direbbe un tratto peculiare del
copista, una sorta di tic. Ci si chiede allora perché nella copia della Chanson
de Roland, vergata – come detto – dalla stessa mano, lo troviamo soltanto
cinque volte, tre delle quali in nomi propri (Mathé, vv. 67, 410; Anthonie, v.
1603). Una rapida scorsa al RIALFrI consente di appurare che la grafia è
tutt’altro che frequente, al di fuori di evidenti latinismi e nomi esotici: se ne
trova qualche esempio sparso in Moamin et Ghatrif, nell’Entrée d’Espagne, nel
Milione, nel Roman d’Hector et Hercule, nella Guerra d’Attila, nell’Aquilon de

41. Cfr. Zinelli, I codici francesi, cit., par. 4.


42. Su cui cfr. M.K. Pope, From Latin to Modern French, Manchester, Manchester Univ. Press,
repr. 1961 [ed. rivista 1952], p. 189 par. 501.
43. Cfr. Rime due e trecentesche tratte dall’Archivio di Stato di Bologna, ed. a cura di S. Orlando,
con la consulenza archivistica di G. Marcon, Bologna, Commissione per i testi di lingua,
2005. Sull’interpretazione di queste grafie si terrà presente quanto osservato da L. Tomasin al
riguardo del digramma analogo ‹dh›: le forme « in cui ‹dh› si trova in contesti non interessati
dalla lenizione, cioè dopo l, n, r, ad esempio segondho già nella Cedola di Tataro Ruzini (1315),
aldhir, comprendhe, andhà, ordhenadhe nel De Regimine Rectoris di Paolino Minorita (tramandato
da mss. quattrocenteschi) o vardhava nel Tristano veneto (TLIO) », possono spiegarsi con l’« equi-
valenza che poté forse instituirsi, almeno per gli amanuensi tardotrecenteschi e primoquat-
trocenteschi, tra ‹d› e ‹dh› prevocaliche, che infatti potevano alternarsi nello stesso testo e
nella stessa forma » (L. Tomasin, Sulla tradizione grafica dei dialetti veneti, in Die geheimen Mächte
hinter der Rechtschreibung. Erfahrungen im Vergleich / L’ortografia e i suoi poteri forti. Esperienze a con­
fronto. Atti del Convegno internazionale di Magonza, 28-29 febbraio 2012, a cura di F. Biddau,
Frankfurt, Peter Lang, 2013, pp. 144-58, a p. 146 n. 2).

68
il franco-italiano in area padana

Bavière, in Filippo da Novara.44 I mss. V6 e Cha dell’Aspremont ne sono del


tutto privi. È evidente che il tratto, in queste proporzioni abnormi, non
appartiene alla lingua del copista di V4, ma è stato ereditato dall’esemplare
e conservato accuratamente.
Queste considerazioni sono rese possibili dall’esistenza di tradizioni mul­
tiple. Dove invece, come è spesso il caso per le opere franco-italiane piú o me­
no originali, abbiamo a che fare con testimoni unici o quasi unici, grava la
massima incertezza sulla possibilità di tracciare una stratigrafia dei fenome-
ni linguistici. L’impresa è già ardua per opere dalla tradizione multipla e lin­
guisticamente omogenee, figuriamoci per testi, come quelli di cui ci occu-
piamo qui, composti in una Mischsprache dalla incerta grammatica, e nelle
quali (se in versi) la consueta ancora di salvataggio delle rime non offre i
soliti servigi. Se escludiamo casi eccezionali e ben documentabili, come le
Storie di Martin da Canal, siamo costretti a collocare sullo stesso piano lin-
gua dell’autore e lingua dello scriba. La “lingua della Geste Francor” si iden­
tifica con quella del cod. Marciano fr. XIII, ma nulla ci assicura che all’ori-
gine non si dessero condizioni anche sensibilmente diverse.

5. Appunti per una « sintesi dei fatti linguistici »

Contaminazione linguistica, dunque, poligenesi delle forme, varianza li­


bera: in filologia come in linguistica, non vi è medicina che possa dirsi riso-
lutiva né che risulti ugualmente efficace in tutte le circostanze. Si possono
tuttavia proporre alcuni palliativi che, pur senza essere il toccasana sperato,
funzionino come norme di profilassi e contribuiscano cosí a ridurre il ri-
schio di errore di prospettiva.
È chiaro che i rimedi piú efficaci possono venire, da un lato, dalla costru-
zione di una visione “totale” del franco-italiano, globale ma nel contem­
po quanto piú possibile articolata secondo i parametri diatopici e diacroni-
ci; dall’altro, dall’interazione costante tra l’analisi linguistica e la storia del­
la tradizione dei testi.45 Come scriveva Jacques Monfrin, « seuls les résultats

44. Si aggiungerà ancora alla lista almeno il copista del breve fammento dell’Alexandre di
Lugo (due carte e minimi ritagli di carta) che, come ci segnala Gabriele Giannini, presenta due
volte vith < vidit, mentre di solito si serve di vit, forma fissa del ms. Correr di Venezia (B), che
procede dal medesimo modello del frammento di Lugo ed è a lui vicinissimo; interessante è
anche che nello stesso, corto frammento compaiono scrizioni del tipo aveh e ilueh (contro avec
e illec di B), in cui la grafia ‹h› sembra notare una pronuncia evanescente o prossima al dileguo,
secondo un espediente frequente nelle scriptae italiane settentrionali.
45. Tra gli studi recenti dedicati a manoscritti franco-lombardi vanno segnalati, per l’esem-

69
carlo beretta - giovanni palumbo

d’un examen linguistique systématique de tous les textes français copiés en


Italie, confrontés avec les données de l’histoire des textes et des manuscrits,
permettront de préciser un jour ce qu’il faut entendre par franco-italien ».46
Purtroppo i tempi non sono ancora maturi per poter scrivere in modo com­
piuto una tale storia del franco-italiano e dei suoi prodotti. Forse è però
giunto il momento per provare almeno a ricompattare le conoscenze fram-
mentate di cui disponiamo inserendole in una griglia di tratti significativi,
che si proponga anche di aggiornare il quadro descrittivo.
In questo senso, la strada da seguire era stata indicata, ancora una volta,
da Contini nella già citata recensione alle Lexikalische Untersuchungen di Hol­
tus. Commentando l’analisi minuziosa dei singoli lemmi presentata dallo
studioso tedesco, Contini osservava:
Se comunque una sintesi o riassunto dei fatti linguistici può riuscire funzionale – e
tale è senza dubbio il prospetto di taluni piú frequenti suffissi e prefissi –, non si
vede perché non potrebbe riuscire utile una tavola delle corrispondenze grafico-
fonetiche piú ovvie, visto che tanto spesso si discorre di « variante [s’intenda appun-
to grafico-fonetica] franco-italiana », e perciò sarebbe comodo poter far riferimen-
to alla tale o tale casella di quell’eventuale tavola.47

È uno studio sintetico di tal tipo, allargato anche ai principali fenomeni


morfologici e sintattici, che ci proponiamo48 di imbastire a prossimo com-
plemento degli interventi presentati in questo volume. L’ambizione princi-
pale è di fornire un riepilogo generale, un quadro sintetico appunto, che
aiuti a eliminare il troppo e il vano, faciliti il dialogo bibliografico tra gli
studi sulla dialettologia antico-francese e quello sulle varietà antico-italiane
e contribuisca cosí a mettere in rilievo gli elementi utili sia per una caratte-
rizzazione delle singole copie, sia per un’identificazione della loro eventua-
le stratigrafia. L’approccio seguito nella descrizione dei singoli tratti sarà di

plare rigore metodologico con cui applicano queste distinzioni, almeno: F. Zinelli, Sur les tra­-
ces de l’atelier des chansonniers occitans IK: le manuscrit de Vérone, Biblioteca Capitolare, DVIII et la tra­
dition méditerranéenne du ‘Livre dou tresor’, in MR, xxxi 2007, pp. 7-69; G. Giannini, Un estratto ine­
dito del ‘Tresor’, in « Romania », cxxvi 2008, pp. 121-44. C’è da rimpiangere che sia rimasto ine-
dito l’incisivo e stimolante intervento Manoscritti di romanzi francesi in versi copiati in Italia: metodi,
possibilità e limiti dell’esame grafico-linguistico presentato da G. Giannini in occasione del vii Con-
vegno SIFR (Bologna, 5-8 ottobre 2009); ringraziamo l’autore per aver messo a nostra dispo-
sizione il dattiloscritto del testo.
46. J. Monfrin, Fragments de la ‘Chanson d’Aspremont’ conservés en Italie [1958], in Id., Études de
philologie romane, Genève, Droz, 2001, pp. 352-99, alle pp. 356-57.
47. Contini, Sull’ ‘Entrée d’Espagne’, cit., p. 1136.
48. Id est: C. Beretta, G. Palumbo e F. Zinelli.

70
il franco-italiano in area padana

tipo « sincronico e contrastivo », sulla scia degli insegnamenti di Lorenzo


Renzi;49 il confronto con il latino tornerà tuttavia utile sia come reagente
alla costituzione di stringhe di equivalenze troppo inclusive, sia come espe-
diente pratico per la classificazione e la presentazione dei fenomeni scritto-
logici.50 In questa occasione, ci limiteremo all’esposizione di un esempio con­
creto di applicazione, sufficiente a sottolineare fin d’ora i non pochi limiti,
certo, ma anche, si spera, i vantaggi di una tale operazione.
Ritorniamo, come annunciato, all’Antéchrist. Una volta proiettati su un
quadro di fondo, i dati dell’esame linguistico di Walberg possono essere in­
terpretati e presentati nel modo seguente.
Un primo blocco di tratti attestati nel ms. dell’Arsenal trova largo riscon-
tro in un congruo numero di testi francesi copiati in Italia. Questi tratti pos­
sono perciò essere fiduciosamente riuniti sotto l’etichetta di franco-italiani:
tanto in ragione della loro natura, visto che l’interferenza tra italiano antico
e francese antico è sufficiente a spiegarli; che in ragione della loro distribu-
zione diatopica, visto che essi sono attestati sia nei testi francesi transitati nel­
la zona padana che in quelli veicolati dall’asse Genova-Pisa. In questi casi,
sarà perciò sufficiente una scheda sintetica, che si limiti a segnalare la diffu-
sione del fenomeno, con rinvio ai principali studi linguistici, e che fornisca
le informazioni essenziali sulla sua diffusione in antico francese e sulla sua
genesi in franco-italiano. Cosí, prendendo ad esempio la ben nota oscilla-
zione e ~ ie ~ ei ~ a < á[, sarà sufficiente indicare: 51
á[ > e ~ ie ~ ei ~ a
Esempi: A) porter ~ portier ~ portar / aler ~alier ~ aleir (all-); B) c(h)ier ~ c(h)er ~ c(h)eir
~ c(h)ar(o) < carus

49. L. Renzi, Per la lingua dell’ ‘Entrée d’Espagne’ [1970], in Id., Le piccole strutture. Linguistica,
poetica, letteratura, a cura di A. Andreose, A. Barbieri e D.O. Cepraga, Bologna, Il Mulino,
2008, pp. 267-98, a p. 271.
50. La giusta reazione alla « description éclatée des phénomenes graphiques et phonéti-
ques » caratteristica di molti studi linguistici sul franco-italiano deve guardarsi dal cadere nel­
l’eccesso opposto, con la creazione di stringhe associative che finiscono per allungarsi in modo
eccessivo, a dispetto della grammatica storica; si veda il lavoro per piú aspetti esemplare di G.
Hasenohr, Copistes italiens du ‘Lancelot’: le manuscrit fr. 354, in Lancelot-Lanzelet hier et aujourdhui,
recueil d’articles assemblés par D. Buschinger et M. Zink pour fêter les 90 ans de A. Micha,
Greifswald, Reineke Verlag, 1995, pp. 219-26 (la citaz. a p. 221).
51. Si terrà presente che le schede che seguono sono degli abbozzi piuttosto che dei proto-
tipi. La bibliografia non ha alcuna aspirazione di completezza. Le sigle riprendono, per quan-
to possibile, quelle del Complément bibliographique del DEAF (DEAFBiblEl); Mainone = F. Mai­
none, Laut- und Formenlehre in der Berliner franko-venezianischen Chanson de geste von ‘Huon d’Au­
vergne’, i. Reimprüfung und Lautlehre, Berlin, Schade (Francke), 1911.

71
carlo beretta - giovanni palumbo

L’oscillazione e ~ ie si verifica anche senza l’influsso di una palatale; l’esito a è pre-


sente soprattutto nei casi in cui c’è un’interferenza morfematica con l’italiano (dun-
que, portar piuttosto che *allar); l’esito ei appare secondario: è meno frequente e non
tocca né tutte le voci, né tutti i testi.
Queste oscillazioni sono attestate con alta frequenza tanto nella zona franco-
lombarda (1) che in quella pisano-genovese (2):
(1) AnsCartM, p. 623, par. 1; AntAnW, pp. xxxix-xl; AquilonW, vol. iii p. 142,
par. 1.16; AspremcM, p. 42, par. 1; AspremVenM, p. 358, n° 1; EnanchetF, p. 36, n° 1;
EntreeT, pp. lxxxvi-lxxxvii; FolLancB, p. xxxix, ni 1-2; Mainone, p. 44; MartCanL,
pp. cxi-cxvii, parr. 15, 16 e 18 [ie ~ e solo dopo palatale]; MoamT, pp. 31-32; NicD, p.
61, parr. 12.1.1 e 12.1.2; SCathVérB, pp. 264-65, iii.1, 3, ecc.
(2) Hasenohr, Copistes, cit., pp. 221-22, par. 1.3; PalamC, p. 372, par. 1.1; Zinelli, I
codici francesi, cit., par. 2.1.3, ecc.
In afr., l’oscillazione e ~ ie (in seguito alla riduzione ie > e) è generalmente contenu-
ta nel quadro dell’influenza della palatale; l’esito ei < Á[ è attestato nel Nord-Est,
all’Est, ma anche all’Ovest (Normandia), oltre che nel francese d’oltremare: cfr.
Ch.-Th. Gossen, Grammaire de l’ancien picard, Paris, Klincksieck, 1970, par. 1; Chau-
rand, Introduction, cit., pp. 54-56; Pfister, L’area galloromanza, cit., pp. 41-42 e 48; Mi-
nervini, Le français dans l’Orient latin, cit., pp. 166-67. Sul dittongo ipercaratterizzante
ie in franco-italiano e sui rapporti associativi che possono spiegare l’alternanza e ~
ie ~ ei, cfr. Renzi, Per la lingua, cit., pp. 276-78, in partic. parr. 3.1.3 e 3.1.6.

Abbiamo già ricordato che molti di questi tratti – come avviene in questo
caso per l’esito ei – s’incontrano nelle scriptae regionali francesi, e molto
spesso nelle regioni nord-orientali. Ciò nonostante, la larga diffusione nel-
la produzione franco-italiana – unita alla possibilità di spiegare questi fe­
nomeni ricorrendo, come detto, ad un solo fattore linguistico: l’interferen-
za italiano-francese – sospende (verrebbe da dire: mette in standby) la loro
possibile funzione di localizzatori geografici in senso francese. Perché que-
sta funzione sia in tutto o in parte riattivata, e perché essa possa servire per
identificare la patina del modello, è necessaria la conferma di altri tratti fran­
cesi regionali meno ambigui, la cui pertinenza andrà soppesata ogni volta
con cautela, in relazione anche alla storia e alla natura linguistica del testo
oggetto di studio. Per esempio, si guarderà con diffidenza alla forma poble
< populum, che figura al v. 650 dell’Antéchrist. Certo, questa forma « se re-
contre en wallon », come segnala Walberg,52 ma – non va dimenticato – an­
che in provenzale. Nell’ambito franco-italiano sono documentate alcune oc­
correnze nel Roman d’Alexandre A e B, dove può essere dovuta al modello

52. Walberg, ed. cit., p. xlv.

72
il franco-italiano in area padana

pittavino, ma pure due occorrenze nell’Aquilon de Bavière (183 30, 189 3) e


una nelle Estoires de Venise (2 cxlvi), cioè in testi e tradizioni che non hanno
rapporti diretti con il vallone. Non è poi un caso che poble sia la sola forma
per ‘popolo’ che compare, ben 28 volte, nell’Aspremont di Chantilly, trascrit-
to da Johannes Jacobi, copista celebre proprio perché vanta al suo attivo la
copia di testi tanto in lingua d’oïl che in lingua d’oc, come il Jaufré.53 Per ra-
gioni in parte simili si considererà con prudenza anche la forma “piccarda”
cheïr < cadere.54
Un’apertura di credito piú ampia merita invece probabilmente il perfet-
to fissent (Antéchrist, v. 254). Per quanto ci è dato sapere, questa forma, tipica
dei dialetti francesi del Nord, del Nord-Est e dell’Est,55 non è diffusa nei
manoscritti copiati in Italia e, soprattutto, la sua presenza può spiegarsi ogni
volta in modo convincente con l’influsso del modello.56 Questa spia può per­
ciò rivelarci informazioni utili sulla stratigrafia del testimone dell’Anté­christ
a noi giunto. In tale caso, dunque, lo studio sintetico in costruzione può ri­
sultare utile in negativo, per il suo carattere esclusivo: l’assenza di una casel-
la per il tipo fis(s)ent varrà infatti, per lo studioso che se ne serva, come un
campanello d’allarme.
A questo primo blocco di tratti propriamente franco-italiani ne segue un
secondo, composto a sua volta da tratti largamente documentati nei testi
francesi copiati in Italia, ma stavolta attestati soprattutto, se non esclusiva-
mente, nelle copie prodotte nella regione padana. Tali tratti possono essere

53. Cfr. M. Careri-G. Palumbo, Pratiques de “lecture” des chansons de geste: le cas de la ‘Chanson
d’Aspremont’, in Lecteurs, lectures et groupes sociaux au Moyen Âge, sous la dir. de X. Hermand, É.
Renard et C. van Hoorebeeck, Turnhout, Brepols, 2014, pp. 147-67, alle pp. 161-62 (con
bibl.). Va inoltre segnalato che, dal punto di vista stemmatico, questo testimone, insieme agli
altri testimoni italiani, fa gruppo con i codici anglo-normanni del poema.
54. La forma cheïr si ritrova in: Roman d’Alexandre A (v. 5638); Roman d’Alexandre B (v. 10693);
Bataille d’Aliscans (v. 277); Leggendario di Lyon (2 4 3; 2 12 2; 3 3 2; 3 4 5; 13 17 3; 13 31 4); Roland C
(vv. 2719, 5596). Nel Roland V7 solo chaïr (vv. 2096, 2634, 3277, 5668; i primi due e l’ultimo in
rima). Si aggiungerà ancora il Tresor di Brunetto Latini. Benché essa non sia frequentemente
attestata nei testi francesi copiati in Italia, e sia spesso dovuta senz’altro al modello, la forma
conosce una diffusione alquanto larga nei testi francesi di varia origine, è presente nel france-
se internazionale d’Oltremare (cfr. Minervini, Le français dans l’Orient latin, cit., pp. 177-78) e
ricorre anche in opere quali l’Enanchet, l’Entrée d’Espagne (tre volte, due in rima: vv. 1163, 7390,
10147), la Guerra d’Attila o l’Aquilon de Bavière.
55. Cfr. Fouché, Le verbe, cit., p. 279, par. 141; Gossen, Grammaire de l’ancien picard, cit., par.
77; Pfister, L’area galloromanza, cit., p. 30.
56. Un solo esempio di fissent (quello dell’Antéchrist) nel RIALFrI, che dà sei occ. di fisent
(cinque in Roland C, una in Aliscans).

73
carlo beretta - giovanni palumbo

spiegati come risultato dell’interferenza tra il francese antico e i dialetti ita­


liani genericamente settentrionali. Tanto per la loro natura che per la loro
distribuzione diatopica, essi possono dunque essere qualificati di franco-
lombardi, dove lombardo ha naturalmente la sua accezione antica. Cosí per
esempio:
– l’affricata dentale sonora, indicata con la grafia ‹ç›, in corrispondenza di g + vo-
cale palatale e di j: çeta (v. 541), çent (v. 599);
– ‹ç› in çouses (v. 280), çose (v. 1164);
– la forma fo (vv. 852, 854) per la 3a persona singolare del perfetto di essere.

La lista potrebbe essere facilmente incrementata. Ma piú che allungar­


la, in questa sede conta articolarla. È necessario infatti isolare almeno un ter­
zo e ultimo blocco di fenomeni, meno fitto e compatto, costituito da quei
tratti che, pur essendo franco-lombardi come i precedenti, sono attestati
con minor frequenza nei testimoni franco-italiani e, soprattutto, rinviano
a caratteristiche linguistiche di un ambito geografico piú delimitato, offren­
do perciò la possibilità di una definizione geolinguistica piú stringente.
È il caso, ad esempio, della forma onse (da onser < ausare) che si legge al
v. 954 dell’Antéchrist (Qi onse regarder vers lui)57 e che nello studio linguistico
di Walberg è affogata tra i casi d’instabilità della -n- (assente o avventizia).58
Questa classificazione a maglie larghe appare inadeguata se si guarda al fe-
nomeno secondo l’ottica dell’italiano antico. La distribuzione geografica in
a.it. dell’esito ons da au + sibilante è infatti degna d’attenzione: « il tipo consa,
come è noto, è caratteristico, nonostante abbia attestazioni anche altrove,
dell’area veronese ».59
A giudicare dagli spogli finora intrapresi, nei testi franco-italiani il feno-

57. Difficile stabilire con certezza se si tratti della 3a pers. sing. del presente dell’indicativo,
come farebbe credere la desinenza, oppure del congiuntivo, come richiederebbe la sintassi
(ma le forme con -e analogica sembrano rare nel testo): sintomatica l’esitazione di Walberg,
ed. cit., pp. xxxi (« onse auset ») e xlv (« onse ausat »).
58. Cfr. ivi, p. xlv. In modo analogo, le forme del tipo çonse, onser, ponser sono annoverate tra
le epentesi di n da Holtus, Lexikalische Untersuchungen, cit., p. 300, s.v. ensir, e da Wunderli,
ed. cit., vol. iii p. 136, par. 1.8 (e si vedano le spiegazioni, generiche o imbarazzate, fornite nel
Glossaire, s.vv. çonsa, ponser, onser).
59. Cfr. N. Bertoletti, Testi veronesi dell’età scaligera, Padova, Esedra, 2005, pp. 58-64 (la citaz.
a p. 61); P. Videsott, Padania scrittologica. Analisi scrittologiche e scrittometriche di testi in italiano set­
tentrionale antico dalle origini al 1525, Tübingen, Niemeyer, 2009, in partic. pp. 329-31 e le cartine
30-32, pp. 495-98. La preminenza di Verona subisce la concorrenza di altri centri scrittori (in
particolare, ma non solo, Modena) nel corso del XIV sec. e soprattutto nella seconda metà del
secolo. Sulla presenza del fenomeno in scritti padovani, cfr. anche N. Bertoletti, Articolo e

74
il franco-italiano in area padana

meno è documentato in un gruppo relativamente ristretto di testi. Esso


merita dunque una scheda piú approfondita della precedente:
au + sibilante > ons
Esempi: c(h)onsa < causa, onser < ausare, ponser < pausare.
Il fenomeno è attestato in un numero relativamente circoscritto di testi, tutti appar-
tenenti alla zona padana. Una ricerca sul RIALFrI condotta sugli esiti di causa,
ausare e (re)pausare e completata da ulteriori spogli permette di reperire occor-
renze numericamente significative nei testi seguenti:
– AquilonW: cfr. vol. iii p. 136, par. 1.8, e Glossaire, s.v. çonsa, ponser, onser;
– MoamT: cfr. p. 49 e Glossaire, s.v. chonse;
– NicD: cfr. Glossario, s.v. couse;
– SCathVérB: cfr. p. 265, iii n° 8.
Occorrenze sporadiche in:
Aspremont V6, sempre, tranne che in un caso, nei continuatori di pausare: vv. 2322,
5282 (onsé), 6012, 8842, 11243, 11577, 11588, 11848.
Huon d’Auvergne B: cfr. Mainone, p. 53; Zarker Morgan, The passion of Ynide, cit.,
p. 425 n. 1.60
Partonopeus de Blois L: cfr. Giannini, Manoscritti di romanzi francesi, cit. (presso il
secondo e il terzo copista: 3 occ. di conse, 2 occ. reponser, 1 occ. reponse e onsa).61
Occorrenze occasionali o uniche in: AntAnW, v. 954 (cfr. p. xlv); Bovo d’Antona
udinese;62 Geste Francor;63 Guerra d’Attila;64 Roland C, v. 29; Roland V7, v. 4471; Tresor,
framm. Monza.65

pronome ‘o/ol’ nei volgari dell’Italia settentrionale, in « L’Italia dialettale », lxv 2004, pp. 9-42, a p. 31
n. 49.
60. In questo caso va tuttavia avvertito che, dal momento che il testo è ancora largamente
inedito, è difficile quantificare la reale presenza del fenomeno.
61. L’integrazione dal Partonopeus al corpus esaminato qui di sopra invita a sottolineare, sulla
scorta di Giannini, Manoscritti di romanzi francesi, cit., una delle carenze piú gravi delle ricerche
sul franco-italiano, che si ripercuoterà inevitabilmente anche sulla nostra sintesi in prepara-
zione: l’assenza di « uno studio sistematico delle caratteristiche grafico-linguistiche dei mano-
scritti francesi prodotti in Italia settentrionale durante la seconda metà del secolo XIII », cioè
in un periodo cruciale per una piena comprensione della genesi del franco-italiano.
62. Cfr. P. Rajna, Frammenti di redazioni italiane del ‘Buovo d’Antona’. i. Nuovi frammenti franco-
veneti, in « Zeitschrift für romanische Philologie », xi 1887, pp. 153-84, a p. 174, v. 225 e n.
63. Cfr. La ‘Geste francor’, edition of the Chansons de geste of MS. Marc. Fr. XIII [= 256] […] by
L. Zarker Morgan, 2 vols., Tempe, Acmrs, 2009, vol. ii. Glossary, s.vv. colsa e olsa.
64. Niccolò da Casola, La ‘Guerra d’Attila’. Poema franco-italiano, ed. a cura di G. Stendar­
do, pref. di G. Bertoni, 2 voll., Modena, Società tipografica modenese, 1941, vol. i p. 73.
65. Cfr. Giannini, Un estratto inedito del ‘Tresor’, cit., p. 141.

75
carlo beretta - giovanni palumbo

L’esito ons < au + sibilante, nonostante abbia una diffusione alquanto larga in Italia
settentrionale, è particolarmente ben documentato in testi veronesi fino al Trecen-
to, poi in testi veronesi, emiliani (soprattutto modenesi) e padovani, cfr. Bertoletti,
Testi veronesi, cit., pp. 58-64; Videsott, Padania scriptologica, cit., pp. 329-31, 495-98.

Se si lasciano dunque da parte le occorrenze del fenomeno troppo spo-


radiche o isolate per essere significative, le lancette del localizzatore geo­
linguistico, attivate nel dominio del franco-italiano, puntano, senza grandi
sorprese, innanzitutto verso la zona di Niccolò e Raffaele da Verona. Ed è
significativo che verso questa medesima zona sembri convergere anche la
tradizione del Moamim e del Ghatrif che sfocia nel codice marciano (Str.
App. 14).66 Com’è noto, le traduzioni sono state effettuate, probabilmente
fra il 1249 e il 1272, da Daniele da Cremona, su commissione di Re Enzo,
prigioniero a Bologna.67 Il codice marciano che le conserva, palinsesto, vie-
ne tradizionalmente datato alla prima metà del Trecento (potrebbe esse­
re tuttavia piú antico, secondo G. Brunetti)68 ed è stato trascritto da Angelus
de Franchonia, copista non altrimenti noto. Esso reca, sulla seconda guardia,
« due ricette in antico dialetto veronese », l’una della fine del XIV, l’altra del
XV secolo.69 Tra i tratti linguistici salienti della copia, che « nous portent
vers l’Italie du Nord, notamment la Lombardie »,70 oltre alla notevole fre-
quenza del tipo consa, va menzionata almeno la presenza di due infiniti
sincopati con terminazione in -o quali conoistro < cognoscere e metro <

66. Per la descrizione del codice cfr. ‘Moamin’ et ‘Ghatrif’, traités de fauconnerie et de chiens de
chasse, éd. princeps de la version franco-italienne […] par H. Tjerneld, Stockholm-Paris,
Fritze-Thiébaud, 1945, pp. 7-10; G. Brunetti, Un capitolo dell’espansione del francese in Italia: ma­
noscritti e testi a Bologna fra Duecento e Trecento, in « Quaderni di filologia romanza », xviii 2003 [=
Bologna nel Medioevo. Atti del Convegno di Bologna, 28-29 ottobre 2002], pp. 125-64, alle pp.
133-34; S. Bisson, Il fondo francese della Biblioteca Marciana di Venezia, Roma, Edizioni di Storia
e Letteratura, 2008, pp. 127-29. A questo testimone, a lungo creduto unico, ne va aggiunto un
secondo, incompleto, conservato a Bruxelles (KBR, IV 1208), su cui cfr. S. Marruncheddu,
Un trattato di falconeria in volgare: il ‘Moamin’ franco-italiano, in Lo scaffale della biblioteca scientifica in
volgare (secoli XIII-XIV). Atti del Convegno di Matera, 14-15 ottobre 2004, a cura di R. Libran­
di e R. Piro, Firenze, Sismel, 2006, pp. 309-12; Ead., La traduction française du ‘Moamin’ dans ses
rapports avec la version latine de Théodore d’Antioche, in Science Translated. Latin and Vernacular Trans­
lations of Scientific Treatises in Medieval Europe, ed. by M. Goyens, P. de Leemans and A. Smets,
Leuven, Leuven Univ. Press, 2008, pp. 297-310.
67. Cfr. Brunetti, Un capitolo, cit., pp. 131-34.
68. Cfr. ivi, p. 133.
69. Cfr. H. Tjerneld, Due ricette in antico dialetto veronese, in « Studia Neophilologica », xviii
1945-1946, pp. 279-86, cui si deve anche l’ipotesi di datazione.
70. Cfr. Tjerneld, ed. cit., p. 30.

76
il franco-italiano in area padana

mittere.71 Esempi di ­-o per -e s’incontrano certo, in maniera piú o meno


occasionale, in varietà diverse, che potrebbero essere intervenute nella sto-
ria del testo,72 ma l’uscita in -o è un ben noto Merkmal dell’antico veronese,
con cui calza pienamente anche la sincope “francese” della postonica:73
metro trova infatti piena corrispondenza in testi veronesi;74 dietro conoistro
sembra di riconoscere il veronese cognosro.75 In attesa di ulteriori indagini, è
dunque verosimile chiedersi se il codice abbia solo circolato di buon’ora
nella zona di Verona oppure sia stato propriamente trascritto da un copista
veronese.
Riflessioni analoghe si applicano al manoscritto dell’Arsenal da cui sia-
mo partiti e a cui conviene ora far ritorno. Abbiamo detto che la presenza
delle forme del tipo consa ricorre sia nel poema su Santa Caterina che nel­
l’Antéchrist, ma con frequenza assai diseguale: varie occorrenze nel primo
testo, una sola nel secondo. È dunque difficile stabilire se questo tratto sia
stato introdotto dal copista del ms. dell’Arsenal o se egli lo abbia ereditato
dai modelli che trascriveva. In un’ipotesi come nell’altra, se si tiene conto
anche del colofone dell’Antéchrist, il cerchio si stringe ulteriormente intor-
no a Verona: vuoi perché lo scriba del ms. dell’Arsenal vi era attivo, vuoi
perché da là provenivano i suoi antigrafi.
Nei due casi appena citati, dati linguistici e extra-linguistici sembrano
dunque far quadrato e permettere conclusioni convergenti: essi ci raccon-
tano cosí il probabile iter italicum delle traduzioni di Daniele da Cremona

71. Cfr. ivi, pp. 41 e 61; le due forme si trovano entrambe nel Moamin (i 15 2 e iii 10 10).
72. Cfr. per es. avero ‘avere’, brevemento in bolognese, citati da V. Formentin, L’area italiana,
in Lo spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo volgare, cit., vol. ii pp. 97-147, a p. 108. Com’è
noto, il bolognese è però piuttosto caratterizzato dallo sviluppo opposto (-o > -e): cfr. La vita di
San Petronio, a cura di M. Corti, rist. anastatica dell’ed. 1962 con un saggio introduttivo di B.
Terracini, Bologna, Costa, 2002, pp. l-liv (un solo caso di -e > -o: andòsseno iii 32); M. Volpi,
« Per manifestare polida parladura ». La lingua del commento lanèo alla ‘Commedia’ nel ms. Riccardiano-
Braidense, Roma, Salerno Editrice, 2010, pp. 215-19, in partic. alle pp. 216-17.
73. Cfr. A. Stussi, Venezien, in LRL, vol. ii/2 1995, pp. 124-34, a p. 132: « è frequente nell’an-
tico veronese la sincope negli infiniti sdruccioli »; Bertoletti, Testi veronesi, cit., pp. 101-16, in
partic. alle pp. 109-16: « il veronese antico si caratterizza rispetto ai volgari limitrofi per una
spiccata tendenza alla sincope della e atona tra consonante […] ed r » (p. 101). Sulla « tipica -o »,
cfr. ivi, pp. 116-37.
74. Cfr. ivi, in partic. pp. 110 e 248. Qualche altro esempio tratto dal corpus OVI: Legg. S.
Margherita, XIII sec. ex. (piac. > ver.), v. 370: « Sí la fe’ metro en preson »; Amore di Gesú, XIV sec.
in. (ver.), vv. 187-88: « e degnas[i] vegnir a nui en terra / a metro pax et a destrur la guerra »;
Passione marciana, XIV sec. (ven.), v. 215: « e domanda lo corpo de Iesu a metro en lo sepolcro ».
75. Cfr. Bertoletti, Testi veronesi, cit., in partic. pp. 111 e 248 (cognosro a 65.2r9 e 65.2r11; altri
esempi, tutti veronesi, si ricavano dal corpus OVI).

77
carlo beretta - giovanni palumbo

oppure la storia essenzialmente locale della Santa Caterina e dell’Antéchrist.


Come si sa, una tale congiuntura favorevole è però tutt’altro che frequente:
vuoi perché i dati extra-linguistici spesso mancano, vuoi perché i dati lin-
guistici sono raramente univoci, vuoi perché i dati linguistici e quelli extra-
linguistici a nostra disposizione sono in apparente disaccordo tra loro.

6. Minima linguistica et philologica: un esempio dalla Mort Char­


lemagne

Un esempio tratto da un testo di questo tipo, scelto tra i tanti possibili, ci


permetterà di chiudere quest’intervento. Si tratta del poemetto tradizional-
mente noto con il titolo di Morte (o Testamento) di Carlomagno. La lingua del­
la canzone rappresenta, secondo Holtus, l’« exemple parfait d’un mélange
linguistique italo-français ».76
L’unico manoscritto a noi giunto, conservato alla Biblioteca Bodleiana di
Oxford (Canonici it. 54) e notoriamente scorretto, è stato vergato a Bolo-
gna nella prima metà del Trecento, nel cerchio della famiglia Bentivoglio.
Gianfranco Contini ha tuttavia dimostrato che « la veste del poemetto do-
vrà essere qualificata sicuramente di veneta, forse addirittura veneziana, ma
piú probabilmente trevisana ».77 Infine, Maria Luisa Meneghetti ha attira­
to l’attenzione sul fatto che i vv. 696-702 sembrano riferire un « ampio […]
quanto imprevedibile elogio della città di Voghera (Vicurira < Vicus Iriae) »,
che « non può che esser legato al desiderio innocente dell’autore di dare un
po’ di lustro alla sua patria o di flatter un committente d’origine lombarda ».78
Concentriamoci sui vv. 677-80. Carlo Magno morente ha offerto la pro-

76. Holtus, Franko-Italienisch, cit., p. 746. Siamo infatti di fronte ad un caso in cui la « lingua
si caratterizza, nella sostanza, come un sistema di comunicazione che fa ricorso alternativa-
mente a due codici », secondo le parole di L. Renzi, Il francese come lingua letteraria e il franco-
lombardo. L’epica carolingia nel Veneto, in Storia della cultura veneta, 1. Dalle Origini al Trecento, Vicen-
za, Neri Pozza, 1976, pp. 563-89, a p. 573. Cfr. i punti c) e d) della griglia proposta da Barbato,
Il franco-italiano, cit.
77. G. Contini, La canzone della ‘Mort Charlemagne’ [1964], in Id., Frammenti di filologia roman­
za, cit., vol. ii pp. 1111-34, a p. 1118.
78. M.L. Meneghetti, Ancora sulla ‘Morte (o Testamento) di Carlo Magno’, in Testi, cotesti e con­
testi del franco-italiano. Atti del 1° simposio franco-italiano, Bad Homburg, 13-16 aprile 1987, a
cura di G. Holtus, H. Krauss e P. Wunderli, Tübingen, Niemeyer, 1989, pp. 245-84, a p. 256.
Il passaggio è purtroppo corrotto e di non facile interpretazione, cfr. A. Cornagliotti, Proble­
mi testuali della ‘Mort Charlemagne’, ivi, pp. 177-95, a p. 188 n. 47, secondo cui ms. Bicorira potrebbe
indicare ‘Bigoglio’, presso Orzivecchi, oppure Besgora, Besgore ‘Brescia’ (si aggiungerà che an-
che l’identificazione di Besgora con Brescia è discussa: cfr. La ‘Geste francor’, ed. Zarker Mor­
gan cit., vol. ii p. 1082, n. al v. 11543).

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il franco-italiano in area padana

pria figlia in sposa a Alia, cioè Aye d’Avignon, il quale accetta solo a condi-
zione che Guglielmo gli garantisca il suo aiuto. Ecco la risposta di Gugliel-
mo secondo la lezione, difettosa, del codice:

677 Si faray dist li conte de vescoven dotie [c. 48v]


678 Se vuy avyssy vera per mon fras afinye
679 E per mom pere aymerys loguerer
680 Responde alia altro non requier

Non v’è dubbio che il v. 677 vada corretto in « Si faray, dist li conte, no ve
scoven dotié », lezione che trova anche appoggio in Roland V4, v. 4195: « Bel
filz – çe dist li cont – no ve conven doté! ». Piú problematica è invece la re-
stituzione del verso seguente: 678 « Se vuy avyssy vera per mon fras afinye ».
Maria Luisa Meneghetti, cui dobbiamo la sola trascrizione critica integrale
del poema finora disponibile, stampa la lezione del manoscritto e com-
menta in nota: « correggere all’incirca “per me feras la finie”? ».79 Anna Cor-
nagliotti, che ha dedicato alla Morte di Carlomagno un denso saggio di note
testuali, propone invece di correggere fras in fra‹n›s: « se vuy avyssy vera, per
mon fra‹n›s afinye » e commenta:

Il significato di per mon fra‹n›s afinye è ‘per mia franca/leale garanzia/assicurazione’;


infatti afinye è da porre in relazione con il verbo [afier] ‘assicurare, promettere’ che
compare in V4 al v. 523: « Desor la loi que m’averí’ affier (affiner nel ms.) ».80

Guglielmo affermerebbe dunque di essere disposto ad aiutare Alia anche in


caso di guerra – e si noti la forma veneziana vera –, ‘per sua franca/leale
garanzia/assicurazione’ e per il padre Amerigo il guerriero. Quest’inter-
pretazione non s’attaglia però bene al contesto e non può dirsi soddisfacen-
te sul piano testuale. Essa forza infatti il significato di afiner sulla base del
confronto con una lezione erronea di V481 e, attraverso la correzione di fras
in fra‹n›s, sospinge in fine verso, in una serie in -(i)é, il sostantivo afiníe, che
non sembra peraltro documentato.82

79. Cfr. Meneghetti, Ancora sulla ‘Morte’, cit., p. 282. Una nuova edizione critica del poema
è in allestimento per le cure di G. Giannini e G. Palumbo.
80. Cornagliotti, Problemi testuali, cit., pp. 186 e 189.
81. Il testo assonanzato franco-italiano della ‘Chanson de Roland’: cod. Marciano fr. IV (= 225), ed. a
cura di C. Beretta, Pavia, Dipartimento di Scienza della Letteratura e dell’Arte medioevale
e moderna, 1995, v. 522 e n.
82. L’attuale lassa xviii riunisce infatti due strofe distinte: la prima in -ia/-ie (vv. 659-71), la
seconda in -(i)er (vv. 672-80).

79
carlo beretta - giovanni palumbo

Appare perciò preferibile un’altra soluzione: considerare afinyé, alla stre-


gua del precedente dotié, come un infinito retto da per, in un costrutto equi-
valente all’afr. por + inf.;83 correggere fras in frar ‘fratello’, forma veneziana
ben documentata;84 e restituire al verbo afiner il suo senso corrente di ‘met-
tre fin à la vie de, tuer [qn]’ (Gdf, i 143a), ‘jem. den Garaus machen’ (TL, i
189):

677 « Sí faray, dist li conte, no ve scoven dotié,


678 Se vuy avyssy vera, per mon frar afinyé
679 E per mom pere Aymerys lo guerer ».
680 Responde Alia: « Altro non requier ».

Il passo andrebbe dunque inteso: ‘« Lo farò », disse il conte, « non dovete
dubitare, / anche se voi aveste una guerra, pure se io dovessi uccidere mio
fratello / e mio padre Amerigo il guerriero ». / Risponde Alia: « Altro non
chiedo »’. Guglielmo userebbe qui le stesse formule minacciose che qual-
che lassa prima avevano fatto sobbalzare i Franchi, quando il conte di Nar-
bona aveva giurato fedeltà incondizionata al giovane Luigi e si era detto
pronto a ‘rendere dolenti’ tutti gli eventuali ribelli, fossero anche Amerigo
e i suoi figli.85
Quale che sia la plausibilità di questa proposta, è chiaro che l’analisi lin-
guistica del testo potrebbe appoggiare la congettura e la congettura potreb-
be a sua volta aiutare a precisare la localizzazione del testo. Questo piccolo
esempio ci conferma cosí, se mai ce ne fosse bisogno, che il franco-italiano

83.  Su po(u)r + inf. con valore ipotetico e concessivo dopo una principale negativa, cfr. Ph.
Ménard, Syntaxe de l’ancien français, Bordeaux, Bière, 1994, par. 173, e C. Buridant, Grammaire
nouvelle de l’ancien français, Paris, Sedes, 2000, par. 558 (in partic. i punti c ed e). Nell’articolazione
logica del discorso, Sí faray comprende l’idea di Ne vos faldrai ‘non vi abbandonerò’, il che ha
probabilmente favorito l’ellissi della principale (in questo caso, negativa) dopo un’ipotetica
all’imperfetto del congiuntivo, fenomeno corrente in antico francese (cfr. Ménard, Syntaxe,
cit., par. 206).
84. Cfr. Stussi, Testi veneziani, cit., p. 281, s.v., e i numerosi esempi, pressoché tutti venezia-
ni, che si trovano nel corpus OVI. In franco-italiano, si può segnalare la forma fra che figura nel
Belris (v. 497: Malçaris, bel fra çentil), vd. J. Monfrin, Le ‘Roman de Belris’ [1962], in Id., Études de
philologie romane, cit., pp. 451-92, a p. 473.
85. Cfr. Meneghetti, Ancora sulla ‘Morte’, cit., p. 271, vv. 649-58: « Guyelmo, quando l’olde,
mays non fo plu çoiante: / “Volentera, dolçe roys, farò vostre talant / E iuro a Dio et allo
Sperti Sant: / Chi no l’obidirà et non farà son tala[n]t, / Medexemo Aymerys et tot ses infant,
/ S’eli falerà a Leoys, io li faray dolant”. / Françis l’intende, l’uno a l’oltro va digant: / “Questo
è li veras diable ch’est romanant, / El ne farà morir con faxea li conte Rolant / Che ne mena-
va in Spagna per honir Persant” ».

80
il franco-italiano in area padana

è senz’altro uno di quei territori in cui le nozze tra linguistica e filologia, da


celebrarsi in nome della storia della tradizione del testo, si rivelano quanto
mai indispensabili.

Carlo Beretta
Università della Basilicata
berettacarlo@tiscali.it

Giovanni Palumbo
Université de Namur
giovanni.palumbo@unamur.be

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