Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
52
il franco-italiano in area padana
53
carlo beretta - giovanni palumbo
ne si basa sul rapporto piú o meno stretto con le opere d’Oltralpe e, ad altri
scopi, può avere la sua utilità; a priori si potrebbe anche ritenerla funzionale
alla descrizione della lingua (non sarebbe illogico, infatti, immaginare una
progressiva italianizzazione, mano a mano che i prodotti si allontanano dai
modelli francesi); ma nella realtà è evidente che nessuna descrizione coe-
rente dei dati linguistici può scaturire da una simile partizione: sotto la voce
“copie di originali francesi” andrebbero catalogati, per fare un solo esem-
pio, dei piú scontati, manufatti come V4 (Roland e Aspremont) e C V7 del
Roland, assai diversi linguisticamente; e come confrontare, poi, un testo co
me la Prise de Narbonne di V4, che è certamente un rimaneggiamento di ori
ginale francese, ma inserito in un testimone del Roland e copiato dallo stes-
so scriba, con il Rainaldo e Lesengrino di Oxford, stessa categoria, però tal-
mente italianizzato da trovare posto nei Poeti del Duecento? Sotto la terza ca
tegoria andrebbero studiate insieme, onde ricavarne dati coerenti, l’Entrée
d’Espagne e le Storie di Martin da Canal; la Guerra d’Attila e il Livre d’Enanchet.
Senza contare che anche per le categorie 2) e 3) saremmo quasi sempre di
fronte a delle copie. Neppure una distinzione per generi può portare a ri-
sultati coerenti. Se considerassimo, ad esempio, l’epica, ci troveremmo an-
cora ad avere a che fare con V4 da una parte e C V7 dall’altra; la storiografia
ci fornirebbe Martin da Canal e i testimoni principali dell’opera di Villehar-
douin (i mss. A ed O) e il ms. BnF fr. 1116 del Milione; e ancora una volta ci
troveremmo a mescolare opere originali tramandate da copie e copie di ori
ginali francesi. E non è necessario procedere oltre. Men che meno potrebbe
essere utile separare i testi in versi da quelli in prosa.
Le difficoltà e le aporie di simili approcci alla lingua dei testi franco-ita-
liani nel Nord Italia discendono ovviamente dal semplice fatto che ognuno
di questi testi, a qualunque categoria appartenga, ha una fisionomia parti-
colare, propria a lui solo, fatta di una mescolanza di tratti che si ritrovano
molto spesso anche in altri, ma magari non in tutti e non nelle stesse pro-
porzioni. Per fare un esempio banale: il passaggio dell’affricata palatale sor-
da dell’antico francese (grafia ‹ch›) ad affricata dentale (grafie ‹ç›, ‹z›), che
potrebbe essere considerato quasi un marchio di fabbrica del franco-italia-
no, compare in maniera massiccia nel Roland di V4; nel Roland di C V7 si
trova, ma in misura assai inferiore; in Martin da Canal è assente, ma lo ri-
troviamo a profusione nel ms. 1116 del Milione.
Tutto ciò sconsiglia di operare, in fase preliminare, delle partizioni che la
natura stessa del corpus renderebbe inoperanti. Resta il fatto che in ogni caso
tratti linguistici di vario genere compaiono in un certo numero di testi. La
soluzione piú efficace, perché giunge a definire al meglio la fisionomia lin-
54
il franco-italiano in area padana
guistica cangiante dei singoli testi, è studiare senza divisioni di sorta l’intero
corpus partendo dai fenomeni e dalla loro distribuzione. Una strategia simile
a quella adottata da Laura Minervini per il francese d’Oltremare.5 Eventua-
li partizioni appariranno dunque a valle, e non a monte, dello studio.
5. Cfr. in partic. L. Minervini, Le français dans l’Orient latin (XIIIe-XIVe siècles). Éléments pour
la caractérisation d’une « scripta » du Levant, in « Revue de Linguistique Romane », lxxiv 2010, pp.
119-98.
6. Cfr. Barbato, Il franco-italiano, cit., par. 4.
7. L’esempio piú fulgido è rappresentato dal ponderoso lavoro di Holtus, Lexikalische Un
tersuchungen, cit.
8. Cfr. L’ ‘Entrée d’Espagne’. Chanson de geste franco-italienne, éd. A. Thomas, 2 vols., Paris, Di-
dot, 1913, vol. i p. lxxxiv: « Bien qu’il ne soit pas absolument impossible de retrouver quelques
traits généraux communs aux différents textes français de provenance italienne qui sont ar-
rivés jusqu’à nous, on peut cependant affirmer que chacun de ses [sic] textes a une physiono-
mie propre et n’offre pas exactement les mêmes caractères linguistiques que le texte voisin ».
E con toni analoghi, in tempi piú recenti: « Nous l’avons dit à maints endroits et répété main-
tes fois: le franco-italien manque d’unité, il n’existe pas de norme plus ou moins idéale qui
servirait de point d’orientation aux auteurs, remanieurs et copistes. Chaque texte, voire cha-
que manuscrit réinvente pour ainsi dire le phénomène qu’on appelle assez arbitrairement “le
franco-italien”. […] Naturellement, il est possible de dégager un inventaire des traits caractéri-
stiques qui se rencontrent souvent, même dans la plupart des documents franco-italiens; mais
leur choix et leur mélange peut varier infiniment » (Raffaele da Verona, ‘Aquilon de Bavière’.
Roman franco-italien en prose (1379-1407), introduction, édition et commentaire par P. Wunder
li, 3 vols., Tübingen, Niemeyer, 1982-2007, vol. iii p. 121).
55
carlo beretta - giovanni palumbo
prime quanto alle seconde.9 Lo sfondo linguistico su cui proiettare i dati pro
venienti dall’esame dei testi è rimasto perciò largamente opaco e indistin
to. Al piú, esso è stato abbozzato attribuendo arbitrariamente al franco-ita
liano i tratti linguistici che caratterizzano solo un gruppo ben preciso di ope
re e talvolta una sola opera o finanche un solo manoscritto, con l’inevitabi-
le distorsione che ciò comporta.10
L’assenza di uno studio d’insieme ha senz’altro contribuito ad aggravare
anche il principale problema metodologico che s’incontra nello studio del
franco-italiano e che Gianfranco Contini identificava efficacemente con
l’« adozione del parametro »:
Il nodo metodologico per la descrizione di una varietà franco-italiana risiede noto-
riamente nell’adozione del parametro. Che cosa sostituirà qui il parametro classico,
secondo il metodo Mussafia-Ascoli, del sistema latino […]? L’italiano, ma quale? o
non piuttosto il francese, ma di che epoca e in quale koinè? Comprensibile è l’aporia
in cui sogliono cadere i francoitalianisti.11
9. Cfr. Holtus, Franko-Italienisch, cit., p. 728: « nous ne manquons pas d’analyses détaillées
de certains manuscrits franco-italiens mais […] elles ont toutes pour seule base le manuscrit
en question et ne traitent pas vraiment du complexe général du corpus des textes franco-ita-
liens ».
10. Le tendenze appena indicate si riflettono anche nelle due trattazioni piú autorevoli e
recenti sul franco-italiano, che germogliano essenzialmente da Holtus, Lexikalische Untersu
chungen, cit. Nel par. 5 di Holtus, Franko-Italienisch, cit., pp. 728-43, l’esemplificazione lessicale,
tratta interamente dall’Entrée d’Espagne, prevale in modo netto sullo studio degli altri aspetti
linguistici. Quanto al quadro generale, la scelta di mettere in esergo i 33 tratti rilevati da W.
Fiebig in merito all’Enanchet ha causato non pochi equivoci (cfr. Wunderli, ed. cit., vol. iii
pp. 121-26, da leggere con Morlino, « Alie ystorie ac doctrine », cit., p. 69). Il cap. 3 di Holtus-
Wunderli, Franco-italien, cit., pp. 57-91, riprende ampiamente il Lexikon, senza la lista di Fiebig
(cfr. ivi, p. 57), ma con l’iniezione della presentazione della lingua del tardo Aquilon de Bavière
(ivi, pp. 72-82; parziale anticipazione di P. Wunderli, Das Franko-Italienische. Eine literarische
Mischsprache und ihre Charakteristika, Paderborn et al., Schöningh, 2006, lavoro poi confluito, in
francese, in Wunderli, ed. cit., vol. iii pp. 121-229). Quanto all’Analyse de textes choisis (Holtus,
Franko-Italienisch, cit., pp. 743-46; e poi, con leggere modifiche, in Holtus-Wunderli, Franco-
italien, cit., pp. 82-87), essa propone un tentativo di interpretazione in chiave sociologica delle
diverse varietà di franco-italiano, basato su una campionatura franco-lombarda. Quest’anali
si, già di per sé rischiosa, è resa malcerta dalla frequente sovrapposizione tra lingua dell’autore
e lingua del copista, lingua del modello e lingua della copia. Il quadro che ne risulta manca
dunque inevitabilmente di profondità e alcune delle conclusioni suonano un po’ paradossali.
Per esempio, gli italianismi della Bataille d’Aliscans marciana sono considerati volontari (cfr. ivi,
p. 83); l’impasto linguistico del Macaire è giudicato « très réfléchi » (p. 84); mentre gli italianismi
dell’Entrée d’Espagne sono qualificati di inconsapevoli (cfr. p. 85). Bisognerebbe dunque conclu-
derne che il copista di V8 e il poeta della Geste Francor controllavano perfettamente i due co-
dici linguistici in contatto, mentre il raffinato Anonimo patavino no.
11. G. Contini, Sull’ ‘Entrée d’Espagne’ [1979], in Id., Frammenti di filologia romanza, a cura di G.
56
il franco-italiano in area padana
Le cause che spiegano questa aporia sono ben note, ma non è forse super-
fluo riepilogarle. Le principali sono tre.
Innanzitutto, l’esito dell’interferenza tra italiano e francese, sia essa in-
terna o intersistemica, può convergere, almeno dal punto di vista formale,
con il risultato dell’evoluzione regionale del francese. Cosí, per limitarsi a
qualche esempio ben noto, « la conservazione di ca- […] può doversi indif-
ferentemente all’italiano o alla koinè piccarda (meno facilmente all’occitano
meridionale) »;12 e, mutatis mutandis, lo stesso si può dire per le ben note al-
ternanze del tipo ie/e (bien = ben), ei/e (aveir = aver, peire/poire = pere), ue/o
(pueple = pople), ui/u (fruit = frut), che possono essere attribuite all’influsso del
l’italiano, ma anche, per esempio, della scripta anglo-normanna.13
In secondo luogo, il risultato dell’evoluzione del francese comune o re-
gionalmente connotato può corrispondere a quello dell’evoluzione regio-
nale dell’italiano. Tra i numerosi esempi che si potrebbero citare, basti ri-
cordare la chiusura di o davanti a nasale > (o)u, ben documentata in testi
francesi del Nord (all’Est e all’Ovest), come in diverse varietà italiane set-
tentrionali (cosí, compangnun è forma presente, e perfettamente legittima,
sia nell’afr. Roman de Waldef che nel volgarizzamento veneto del Libro de
conservar sanitate di Maestro Gregorio); o, ancora, la 1a persona plurale in
-on/-om/-um (-oum in anglo-normanno), frequente tanto nella scripta della
Francia occidentale come in alcune varietà venete e lombarde.14 E cosí via.
Insomma, non va mai dimenticato che, come scriveva efficacemente G.I.
Ascoli in margine all’Entrée d’Espagne, « lo scrittore padovano, il quale si met
teva a comporre dei poemi franco-italiani, avrebbe detto sin dalle fasce […]
Breschi, 2 voll., Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2007,
vol. ii pp. 1135-43, a p. 1136.
12. Ivi, vol. ii p. 1140.
13. Cfr. il conspectus in I. Short, Manual of Anglo-Norman, second edition, Oxford, Anglo-
Norman Text Society, 2013, pp. 45-46.
14. Cfr. G.B. Pellegrini, Franco-veneto e veneto antico, in « Filologia romanza », iii 1956, pp.
122-40, alle pp. 135-39 (poi in Id., Studi di dialettologia e filologia veneta, Pisa, Pacini, 1977, pp. 125-
46); G. Ghinassi, Nuovi studi sul volgare mantovano di Vivaldo Belcazer [1965], in Id., Dal Belcazer
al Castiglione. Studi sull’antico volgare di Mantova e sul ‘Cortegiano’, a cura e con una premessa di P.
Bongrani, Firenze, Olschki, 2006, pp. 3-128, alle pp. 85-86; A. Stussi, Testi veneziani del Due
cento e dei primi del Trecento, Pisa, Nistri-Lischi, 1965, pp. xlii e xlv; J. Chaurand, Introduction à
la dialectologie française, Paris, Bordas, 1972, pp. 78 e 113; M. Pfister, L’area gallo-romanza, in Lo
spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo volgare, dir. P. Boitani, M. Mancini e A. Varvaro, vol.
ii. La circolazione del testo, Roma, Salerno Editrice, 2002, pp. 13-96, alle pp. 47-48; Minervini, Le
français dans l’Orient latin, cit., pp. 159-60.
57
carlo beretta - giovanni palumbo
nel suo schietto vernacolo materno: nu prometón de dire solamén la sénta veri
té ».15
Infine, una forma regionale dell’antico francese può essere entrata a far
parte della scripta franco-italiana, con la conseguenza che essa può essere uti
lizzata spontaneamente da autori e copisti italiani. Rispetto ai due tipi pre-
cedenti, questo tipo d’infiltrazione è senz’altro piú delicato da identificare,
visto che sappiamo ancora troppo poco sulla koinè francese diffusa al di qua
delle Alpi e sulla sua eventuale base regionale. È significativo però che nel
l’Entrée d’Espagne s’incontrino forme quali l’articolo femminile singolare “pic
cardo” le, le desinenze -ons/-on e -omes alla 1a persona plurale del presente
e, piú sporadicamente, -ont, -unt, -on alla 3a persona plurale del perfetto, l’esi
to -iaus da -ellus, la rima regionale del tipo face (< *faciam) : sache (< sapiam),
ecc.16 Nel caso specifico, la presenza di queste forme non si può spiegare
come risultato della contrattazione linguistica puntuale che ogni copista in
gaggia con il proprio modello. Se ne deve perciò concludere che almeno a
partire dalla prima metà del Trecento – secolo in cui, com’è noto, sono sta
ti trascritti la maggior parte dei manoscritti a noi pervenuti – queste e altre
forme francesi piú o meno profondamente connotate dal punto di vista re
gionale possono far parte del bagaglio linguistico ormai acquisito da copi
sti e autori italiani in contatto con la letteratura d’oltralpe.
Ora, la tendenza già segnalata ad osservare ogni testimone franco-italia-
no, e talvolta ogni forma franco-italiana, in sé e per sé non può che contri-
buire a stringere ulteriormente questi nodi metodologici, rendendoli spes-
so del tutto indistricabili. A loro volta, in un nocivo gioco di domino, le in
certezze in sede di analisi linguistica pesano gravemente sulla ricostruzione
della diffusione della letteratura francese al di qua delle Alpi: quali itinerari
tale letteratura abbia seguito e in quali centri si sia riprodotta.
15. G.I. Ascoli, Saggi ladini, in « Archivio Glottologico Italiano », i 1873, pp. 1-556, a p. 451.
16. Cfr. L’ ‘Entrée d’Espagne’, ed. Thomas cit., pp. lxxxiv-cxxxvi.
58
il franco-italiano in area padana
1. cc. 1r-4r: una preghiera a Gesú Cristo, alla vergine Maria e a san Michele, testo
francese in lasse monorime di alessandrini, preceduto da sei ottosillabi composti
con ogni probabilità dal copista italiano e seguito da quattro versi avventizi;
2. cc. 4r-24r: un poema francese anonimo, in ottosillabi a rima piatta, sull’Anticristo;
3. cc. 24v-25v: una preghiera alla Vergine, in prosa latina;
4. cc. 26r-67r: un poema francese sulla vita di santa Caterina d’Alessandria, in otto-
sillabi a rima piatta.
Le prime due opere sono state edite da E. Walberg nel 1928;17 l’ultima è sta
ta pubblicata nel 1925 da H. Breuer, sulla base di una copia effettuata da W.
Foerster.18
Di piccolo formato e trascritto da una sola mano italiana, il codice è sta
to datato da Meyer dapprima tra la fine del XIII secolo e la prima metà del
XIV secolo, poi piuttosto alla fine del XIII secolo.19 Com’è noto, il poema
sull’Antéchrist è tuttavia chiuso da un colofone, risalente con ogni probabi-
lità all’antigrafo, in cui si indica che la copia è stata terminata nel 1251 a Ve-
rona, in un non meglio identificato « carcer Polorum », situato « in contra
ta de Monteculis », cioè nel medesimo quartiere in cui è stato eseguito nel
1252 anche l’antigrafo del manoscritto di Zagabria dell’Enanchet.20 Quanto
all’autore dell’Antéchrist, all’inizio dell’opera egli afferma di usare il francese
17. Deux versions inédites de la légende de l’Antéchrist en vers français du XIIIe siècle, publiées par E.
Walberg, Lund, Gleerup, 1928.
18. Eine gereimte altfranzösich-veronesische Fassung der Legende der Heiligen Katharina von Alexan
drien, mit Einleitung, sprachlicher Untersuchung, Namenverzeichnis und Glossar nach W.
Foersters Abschrift der einzigen pariser Arsenalhandschrift kritisch zum ersten Male he-
rausgegeben von H. Breuer, in Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, Halle, Niemeyer,
vol. liii 1919, pp. 201-87]; da leggere con le numerose correzioni apportate da E. Walberg,
Zum Text des altfranzösisch-veronesischen Katharinenlebens, in « Zeitschrift für romanische Phi
lologie », xlv 1925, pp. 327-37. Ci è rimasto inaccessibile il lavoro di P.J. Burgess, La passion de
sainte Catherine d’Alexandrie: une édition critique du texte contenu dans le manuscrit 3645 de la biblio
thèque de l’Arsenal, University of Maryland at College Park, 1994.
19. Cfr. P. Meyer, De l’expansion de la langue française en Italie pendant le Moyen Âge, in Atti del
Congresso internazionale di scienze storiche (Roma, 1-9 aprile 1903), 12 voll., Roma, Reale Acca
demia dei Lincei, 1904-1907, vol. iv 1904, pp. 61-104, alle pp. 73 (« l’écriture peut être de la pre-
mière moitié du XIVe siècle ») e 86 (« […] la copie de l’Arsenal étant des dernières années du
XIIIe siècle ou du commencement du XIVe siècle »); Id., Légendes hagiographiques en français,
i. Légendes en vers, in Histoire littéraire de la France, Paris, Imprimerie Nationale, vol. xxxiii 1906,
pp. 328-78, a p. 339: « […] le manuscrit de l’Arsenal n’étant guère que de la fin du XIIIe siècle ».
Questa datazione è stata accolta da Walberg, ed. cit., p. xiv: « la fin du XIIIe siècle, au plus tôt »;
cfr. anche K. Busby, Codex and Context. Reading Old French Verse Narrative in Manuscript, 2 vols.,
Amsterdam-New York, Brepols, 2002, vol. ii p. 617 n. 345 (fine XIII-inizio XIV sec.).
20. Cfr. Morlino, « Alie ystorie ac doctrine », cit., in partic. alle pp. 16, 23-25.
59
carlo beretta - giovanni palumbo
21. Meyer, De l’expansion de la langue française, cit., p. 86. Cfr. anche Id., Légendes hagiographi
ques, cit., p. 339: « Poème en vers octosyllabiques, composé, dans la première moitié du XIIIe
siècle, en Lombardie ».
22. Walberg, ed. cit., pp. xxxiii-xxxix. Cfr. anche Breuer, ed. cit., p. 204.
23. Cfr. Walberg, ed. cit., pp. xiv-xxiii; C. Beretta, Il ‘De ortu et tempore Antichristi’ di Adso
di Montier-en-Der e l’ ‘Istoria’ dello pseudo-Uguccione, in MR, xx 1996, pp. 170-97, in partic. alle pp.
171-72.
24. G. Roques, L’édition des textes français entre les deux guerres, in Histoire de la langue française
1914-1945, sous la dir. de G. Antoine et R. Martin, Paris, Cnrs Éditions, pp. 993-1000, a p.
998.
60
il franco-italiano in area padana
61
carlo beretta - giovanni palumbo
Ora, le analisi di Walberg, prese una per una, fenomeno per fenomeno,
e, si potrebbe dire, decontestualizzate, sono convincenti e difficilmente con
testabili. Tuttavia, Walberg trascura – non certo perché l’ignora – che l’in-
terpretazione in chiave geografica di molti dei dati da lui analizzati non è
affatto univoca e può essere rovesciata.29 Gran parte dei fenomeni indica
ti come tipici dei dialetti francesi settentrionali o nord-orientali sono infat-
ti ampiamente attestati anche nei testi franco-lombardi e nel “francese di Lom
bardia”. Se si cambia di prospettiva, la storia linguistica dell’Antéchrist mu-
ta dunque in modo considerevole: la patina del manoscritto dell’Arsenal ap
pare effettivamente « fortement italianisée », vuoi per intervento del copi
sta del codice, vuoi già per opera dello scriba del 1251, vuoi per la somma
toria degli interventi di entrambi. I copisti che si sono avvicendati sul testo
non appaiono dunque piú come dei fedeli e neutri trascrittori, ma piuttosto
come dei “commutatori” linguistici.30
Ritorneremo in seguito sull’interpretazione alternativa che si può forni-
re dei dati rilevati da Walberg e sul quadro d’insieme, piú sfumato e proble-
matico, che se ne può ricavare. A questa altezza del nostro ragionamento,
importa innanzi tutto sottolineare la forte e costante minaccia di strabismo
che incombe sullo studioso di testi franco-italiani e che lo porta ad appiat-
tire indebitamente la complessità del suo oggetto di studio. Lo strabismo
può essere provocato da ipertropia, con lo sguardo deviato verso l’alto, che
si fissa sulle eventuali caratteristiche del modello e ignora o sottovaluta l’ap
porto del copista/autore/rimaneggiatore italiano, come sembra essere il ca
so di Walberg. Ma può dipendere anche – come avviene piú di frequen
te – da ipotropia, con lo sguardo deviato verso il basso, che si fissa sulle fat-
tezze della copia e dimentica la pressione linguistica che il modello può
aver esercitato.
Tale strabismo può essere certo legato alla formazione degli studiosi,
29. Cfr. ivi, p. xxxix: « La langue du copiste du ms. Arsenal 3645 a déjà été étudiée en détail
par M. H. Breuer […]. Si, néanmois, je crois utile signaler ici un nombre de traits, c’est d’un
côté pour faciliter au lecteur l’intelligence du texte, d’un autre côté pour faire remarquer que
certaines graphies, attribuées par M. Breuer à l’influence du parler véronais, se rencontrent en
réalité dans les dialectes du Nord et du Nord-Est de la France ». Vd. anche Walberg, Zum Text
des altfranzösisch-veronesischen Katharinenlebens, cit.; Id., Quelques nouveaux exemples de l’anc. wallon
“fer”, in Mélanges de linguistique et de littérature offerts à M. Alfred Jeanroy […], Paris, Droz, 1928, pp.
191-94.
30. Cfr. Barbato, Il franco-italiano, cit., e Id., Trasmissione testuale e commutazione del codice lin
guistico. Esempi italoromanzi, in Transcrire et/ou traduire. Variation et changement linguistique dans la
tradition manuscrite des textes médiévaux. Actes du Congrès international, Klagenfurt, 15-16 no-
vembre 2012, éd. par R. Wilhelm, Heidelberg, Winter, 2013, pp. 193-211.
62
il franco-italiano in area padana
che, a seconda dei casi, possono sentirsi piú a loro agio con la bibliografia
sulla dialettologia antico-francese o con quella sull’antico-italiano.31 Al di
là dei disfunzionamenti individuali, esso è però naturalmente incoraggiato
dalla natura anfibologica dei dati stessi e dalla difficoltà, talvolta insormon-
tabile, che s’incontra nell’ordinare questi dati in un processo cronologico e
geografico saldamente accertato. Pur fornendo un primo correttivo, l’ana-
lisi dei testi a tradizione multipla conferma la complessità delle questioni in
gioco.
Non c’è bisogno di sottolineare i vantaggi che comporta per la critica del
testo una tradizione multipla; poiché anche i migliori testimoni sono sfigu-
rati da un certo numero di errori, è importante poter confrontare la loro
lezione con quelle di altri portatori, previa l’individuazione dei loro rap-
porti. Ma i benefici non si arrestano alla “critica delle lezioni”. Anche la
“critica delle forme” ne trae indubbio giovamento, in una doppia prospet-
tiva. Da un lato è reso certamente meno arduo (anche se sempre aleatorio)
il compito di descrivere nei limiti del possibile la lingua dell’autore. Dall’al-
tro, soprattutto se due o piú testimoni sono collaterali nello stemma e mol-
to vicini all’esemplare comune, è piú agevole fare la cernita tra i tratti lin-
guistici ereditati dai modelli e quelli introdotti dai singoli copisti. A questa
categoria se ne può aggiungere un’altra: testi differenti copiati dalla stessa
mano, o nello stesso manoscritto o in manoscritti differenti.32 In queste con
dizioni, uno studio rigoroso ha ottime possibilità di isolare, confrontando
lo stato linguistico delle varie opere copiate, i tratti costanti e quelli varian-
ti, attribuendo i primi allo scriba, i secondi alla facies dei modelli utilizzati.
Non di frequente, purtroppo, si presentano situazioni tanto favorevoli. Nel
31. E a questo proposito va registrata una tendenza recente, e poco raccomandabile, a ser
virsi delle sintesi attualmente disponibili sul franco-italiano come unica porta d’accesso alla
conoscenza della dialettologia antico-italiana, con tutti i rischi di circolarità, piú viziosa che
virtuosa, che questa mediazione può comportare.
32. Esemplare il caso della lingua del celebre scriba Guiot, che è stata piú volte studiata, col
grande vantaggio di poter disporre di una serie cospicua di testi di varia provenienza da lui
copiati nel ms. Paris, BnF, fr. 794: cfr. almeno gli studi classici di B. Woledge, Un scribe cham
penois devant un texte normand. Guiot copiste de Wace, in Mélanges offerts à Jean Frappier, Genève,
Droz, 1970, pp. 1139-54; Id., Traits assurés par la rime ou par la mesure: l’exemple de Guiot, copiste de
Chrétien, in Mélanges de langue et littérature françaises du Moyen Âge offerts à Pierre Jonin, Aix-en-
Provence, Presses Universitaires de Provence, 1979, pp. 712-27.
63
carlo beretta - giovanni palumbo
la tradizione della Chanson de Roland è noto il caso dei due testimoni gemel-
li C e V7, entrambi copiati in Italia e dipendenti per buona parte del loro
testo da un modello comune, che essi seguono talmente da vicino da pre-
sentare in gran parte non solo le stesse lezioni, ma anche le stesse grafie; di
fatto, molti versi sono identici in tutto e per tutto, fatto salvo l’uso magari
differente delle abbreviazioni. Vedremo piú avanti come è possibile sfrut-
tare questa particolare situazione.
Il corpus dei testi franco-italiani copiati e/o realizzati nel Nord Italia è
piuttosto avaro di situazioni analoghe. Siamo piú fortunati nella categoria
delle copie di originali francesi; assai meno in quelle dei rimaneggiamenti
e delle opere originali. Questi ultimi sono tramandati per lo piú da testimo-
ni unici, nei casi piú favorevoli affiancati da qualche sparso frammento. Fa
parzialmente eccezione l’Huon d’Auvergne, la cui tradizione manoscritta, ben
ché piú ricca, non è però stata risparmiata dal tempo.33 Ci sono state sicura-
mente delle perdite (basti pensare ai manoscritti perduti dell’Entrée d’Espa
gne registrati nel catalogo Gonzaga del 1407);34 ma si può supporre che in
generale la tradizione di queste opere non sia stata molto ampia. Talvol
ta, la bontà della copia è tale da farla considerare molto vicina all’originale
(come il Riccardiano 1919 delle Estoires di Martin da Canal), e rendere pos-
sibile uno studio della lingua dell’autore, che di fatto coincide in buona par
te con quella della copia.
Il rischio (purtroppo inevitabile nei casi meno fortunati) è quello di do-
ver giudicare i fatti linguistici in una prospettiva a due dimensioni, senza
poter discernere chiaramente ciò che è dello scriba da ciò che egli ha eredi-
tato dal suo modello e da ciò che spetta all’autore, vicino o lontano che sia.
Il problema (ampiamente diffuso) si aggrava se si pensa alla tipologia lin-
guistica di questa produzione, caratterizzata assai spesso da una mescolan
za di tratti diversi e in diverse proporzioni, tra i quali si desidererebbe (ma
quasi sempre invano) operare tutte le possibili distinzioni. Insomma, la lin
gua dell’Entrée d’Espagne (per fare l’esempio piú celebre) viene a coincide
re di fatto con quella del suo testimone quasi unico (poco aiuto viene dalla
33. Cfr. Holtus-Wunderli, Franco-italien, cit., pp. 189-90 e 341-58. Prepara l’edizione del
testo L. Zarker Morgan, The passion of Ynide: Ynide’s defense in ‘Huon d’Auvergne’ (Berlin, Kupfer
stichkabinett, Hamilton 337), in MR, xxvii 2003, pp. 67-85 e 425-62; Ead., Nida and Carlo Martello:
the Padua manuscript of ‘Huon d’Auvergne’ (Ms. 32 of the Biblioteca del Seminario Vescovile, 45r-49v), in
« Olifant », xxiii 2004, fasc. 2 pp. 65-114; Ead., Ynide and Charles Martel. Turin, Biblioteca Naziona
le N III 19, folios 72r-89r, in MR, xxix 2005, pp. 433-54, e ivi, xxxi 2007, pp. 70-110.
34. Cfr. G. Palumbo, La ‘Chanson de Roland’ in Italia nel medioevo, pref. di C. Segre, Roma,
Salerno Editrice, 2013, pp. 128-29.
64
il franco-italiano in area padana
misura dei versi e dalle rime); ed è ancora peggio, se consideriamo che nel
la fattispecie il testo che usiamo è quello stabilito da Antoine Thomas, il qua
le, nonostante i grandi meriti, interviene a piú riprese sulla lezione del ma
noscritto, anche per eliminare tratti linguistici che sarebbero importanti se
non altro per caratterizzare il copista.35 In altri casi piú fortunati la situazio-
ne testuale ci consente di operare alcune distinzioni, le quali, tuttavia, non
possono che far rimpiangere, inducendoci a riflettere, quelle che vorrem-
mo (ma non possiamo) operare in molti altri.
Il caso di C e V7,36 i due mss. gemelli della Chanson de Roland, è partico-
larmente favorevole a questo genere di esperimento, per le note caratte
ristiche alle quali si è accennato sopra. Una collazione sistematica dei due
testimoni, nelle zone di testo (la maggioranza) in cui essi copiano lo stesso
identico modello, consente infatti: 1) di descrivere con precisione la lingua
del loro esemplare comune; 2) di attribuire, perciò, a ciascuno dei due scri-
bi la parte che gli spetta. Un’operazione simile è stata tentata da Joseph Dug
gan, nella sua edizione dei due testimoni rimati. Ma la peculiare situazione
di C e V7 può aiutare a risolvere (almeno in linea di massima) anche un al-
tro problema, sperimentato studiando il lessico di V7 e che si presenta quan
do i due divergono sulla forma di certe parole. Come abbiamo ricordato,
capita sovente, quando si esamina la lingua dei testi franco-italiani, di im-
battersi in tratti grafico-fonetici, morfologici e lessicali che inducono a du-
bitare, poiché presentano caratteristiche ambigue, che trovano corrispon
denza sia in afr., dove esse sono però limitate a certe aree dialettali, o co-
munque evidentemente poco diffuse, sia in italiano (di solito del Nord, ma
talvolta con diffusione piú ampia). Il dubbio è se tali tratti siano un retaggio
del modello francese di partenza, oppure siano il prodotto di un’interferen-
za del sistema linguistico primario con quello secondario. In casi di questo
65
carlo beretta - giovanni palumbo
V2 y
Cha V1
37. Cfr. P. Fouché, Morphologie historique du français. Le verbe, Paris, Klincksieck, 1967, p. 375.
38. Cfr. in partic. M. Boni, Un manoscritto poco noto della ‘Chanson d’Aspremont’: il codice 470
(703) del Musée Condé di Chantilly, in Romania. Scritti offerti a Francesco Piccolo nel suo lxx complean
no, Napoli, Armanni, 1962, pp. 123-47; Id., Il “Prologo” inedito dell’ A
‘ spremont’ del manoscritto di Chan
tilly, in « Convivium », xxx 1962, pp. 588-602 (lo stemma a p. 588).
39. Probabilmente per il tramite di un antigrafo già italiano, visto che piú in alto, sullo
stesso ramo dello stemma, si situa anche il ms. P3 (= Paris, BnF, fr. 1598) trascritto da Johannes
de Bononia.
66
il franco-italiano in area padana
67
carlo beretta - giovanni palumbo
68
il franco-italiano in area padana
44. Si aggiungerà ancora alla lista almeno il copista del breve fammento dell’Alexandre di
Lugo (due carte e minimi ritagli di carta) che, come ci segnala Gabriele Giannini, presenta due
volte vith < vidit, mentre di solito si serve di vit, forma fissa del ms. Correr di Venezia (B), che
procede dal medesimo modello del frammento di Lugo ed è a lui vicinissimo; interessante è
anche che nello stesso, corto frammento compaiono scrizioni del tipo aveh e ilueh (contro avec
e illec di B), in cui la grafia ‹h› sembra notare una pronuncia evanescente o prossima al dileguo,
secondo un espediente frequente nelle scriptae italiane settentrionali.
45. Tra gli studi recenti dedicati a manoscritti franco-lombardi vanno segnalati, per l’esem-
69
carlo beretta - giovanni palumbo
plare rigore metodologico con cui applicano queste distinzioni, almeno: F. Zinelli, Sur les tra-
ces de l’atelier des chansonniers occitans IK: le manuscrit de Vérone, Biblioteca Capitolare, DVIII et la tra
dition méditerranéenne du ‘Livre dou tresor’, in MR, xxxi 2007, pp. 7-69; G. Giannini, Un estratto ine
dito del ‘Tresor’, in « Romania », cxxvi 2008, pp. 121-44. C’è da rimpiangere che sia rimasto ine-
dito l’incisivo e stimolante intervento Manoscritti di romanzi francesi in versi copiati in Italia: metodi,
possibilità e limiti dell’esame grafico-linguistico presentato da G. Giannini in occasione del vii Con-
vegno SIFR (Bologna, 5-8 ottobre 2009); ringraziamo l’autore per aver messo a nostra dispo-
sizione il dattiloscritto del testo.
46. J. Monfrin, Fragments de la ‘Chanson d’Aspremont’ conservés en Italie [1958], in Id., Études de
philologie romane, Genève, Droz, 2001, pp. 352-99, alle pp. 356-57.
47. Contini, Sull’ ‘Entrée d’Espagne’, cit., p. 1136.
48. Id est: C. Beretta, G. Palumbo e F. Zinelli.
70
il franco-italiano in area padana
49. L. Renzi, Per la lingua dell’ ‘Entrée d’Espagne’ [1970], in Id., Le piccole strutture. Linguistica,
poetica, letteratura, a cura di A. Andreose, A. Barbieri e D.O. Cepraga, Bologna, Il Mulino,
2008, pp. 267-98, a p. 271.
50. La giusta reazione alla « description éclatée des phénomenes graphiques et phonéti-
ques » caratteristica di molti studi linguistici sul franco-italiano deve guardarsi dal cadere nel
l’eccesso opposto, con la creazione di stringhe associative che finiscono per allungarsi in modo
eccessivo, a dispetto della grammatica storica; si veda il lavoro per piú aspetti esemplare di G.
Hasenohr, Copistes italiens du ‘Lancelot’: le manuscrit fr. 354, in Lancelot-Lanzelet hier et aujourdhui,
recueil d’articles assemblés par D. Buschinger et M. Zink pour fêter les 90 ans de A. Micha,
Greifswald, Reineke Verlag, 1995, pp. 219-26 (la citaz. a p. 221).
51. Si terrà presente che le schede che seguono sono degli abbozzi piuttosto che dei proto-
tipi. La bibliografia non ha alcuna aspirazione di completezza. Le sigle riprendono, per quan-
to possibile, quelle del Complément bibliographique del DEAF (DEAFBiblEl); Mainone = F. Mai
none, Laut- und Formenlehre in der Berliner franko-venezianischen Chanson de geste von ‘Huon d’Au
vergne’, i. Reimprüfung und Lautlehre, Berlin, Schade (Francke), 1911.
71
carlo beretta - giovanni palumbo
Abbiamo già ricordato che molti di questi tratti – come avviene in questo
caso per l’esito ei – s’incontrano nelle scriptae regionali francesi, e molto
spesso nelle regioni nord-orientali. Ciò nonostante, la larga diffusione nel-
la produzione franco-italiana – unita alla possibilità di spiegare questi fe
nomeni ricorrendo, come detto, ad un solo fattore linguistico: l’interferen-
za italiano-francese – sospende (verrebbe da dire: mette in standby) la loro
possibile funzione di localizzatori geografici in senso francese. Perché que-
sta funzione sia in tutto o in parte riattivata, e perché essa possa servire per
identificare la patina del modello, è necessaria la conferma di altri tratti fran
cesi regionali meno ambigui, la cui pertinenza andrà soppesata ogni volta
con cautela, in relazione anche alla storia e alla natura linguistica del testo
oggetto di studio. Per esempio, si guarderà con diffidenza alla forma poble
< populum, che figura al v. 650 dell’Antéchrist. Certo, questa forma « se re-
contre en wallon », come segnala Walberg,52 ma – non va dimenticato – an
che in provenzale. Nell’ambito franco-italiano sono documentate alcune oc
correnze nel Roman d’Alexandre A e B, dove può essere dovuta al modello
72
il franco-italiano in area padana
53. Cfr. M. Careri-G. Palumbo, Pratiques de “lecture” des chansons de geste: le cas de la ‘Chanson
d’Aspremont’, in Lecteurs, lectures et groupes sociaux au Moyen Âge, sous la dir. de X. Hermand, É.
Renard et C. van Hoorebeeck, Turnhout, Brepols, 2014, pp. 147-67, alle pp. 161-62 (con
bibl.). Va inoltre segnalato che, dal punto di vista stemmatico, questo testimone, insieme agli
altri testimoni italiani, fa gruppo con i codici anglo-normanni del poema.
54. La forma cheïr si ritrova in: Roman d’Alexandre A (v. 5638); Roman d’Alexandre B (v. 10693);
Bataille d’Aliscans (v. 277); Leggendario di Lyon (2 4 3; 2 12 2; 3 3 2; 3 4 5; 13 17 3; 13 31 4); Roland C
(vv. 2719, 5596). Nel Roland V7 solo chaïr (vv. 2096, 2634, 3277, 5668; i primi due e l’ultimo in
rima). Si aggiungerà ancora il Tresor di Brunetto Latini. Benché essa non sia frequentemente
attestata nei testi francesi copiati in Italia, e sia spesso dovuta senz’altro al modello, la forma
conosce una diffusione alquanto larga nei testi francesi di varia origine, è presente nel france-
se internazionale d’Oltremare (cfr. Minervini, Le français dans l’Orient latin, cit., pp. 177-78) e
ricorre anche in opere quali l’Enanchet, l’Entrée d’Espagne (tre volte, due in rima: vv. 1163, 7390,
10147), la Guerra d’Attila o l’Aquilon de Bavière.
55. Cfr. Fouché, Le verbe, cit., p. 279, par. 141; Gossen, Grammaire de l’ancien picard, cit., par.
77; Pfister, L’area galloromanza, cit., p. 30.
56. Un solo esempio di fissent (quello dell’Antéchrist) nel RIALFrI, che dà sei occ. di fisent
(cinque in Roland C, una in Aliscans).
73
carlo beretta - giovanni palumbo
57. Difficile stabilire con certezza se si tratti della 3a pers. sing. del presente dell’indicativo,
come farebbe credere la desinenza, oppure del congiuntivo, come richiederebbe la sintassi
(ma le forme con -e analogica sembrano rare nel testo): sintomatica l’esitazione di Walberg,
ed. cit., pp. xxxi (« onse auset ») e xlv (« onse ausat »).
58. Cfr. ivi, p. xlv. In modo analogo, le forme del tipo çonse, onser, ponser sono annoverate tra
le epentesi di n da Holtus, Lexikalische Untersuchungen, cit., p. 300, s.v. ensir, e da Wunderli,
ed. cit., vol. iii p. 136, par. 1.8 (e si vedano le spiegazioni, generiche o imbarazzate, fornite nel
Glossaire, s.vv. çonsa, ponser, onser).
59. Cfr. N. Bertoletti, Testi veronesi dell’età scaligera, Padova, Esedra, 2005, pp. 58-64 (la citaz.
a p. 61); P. Videsott, Padania scrittologica. Analisi scrittologiche e scrittometriche di testi in italiano set
tentrionale antico dalle origini al 1525, Tübingen, Niemeyer, 2009, in partic. pp. 329-31 e le cartine
30-32, pp. 495-98. La preminenza di Verona subisce la concorrenza di altri centri scrittori (in
particolare, ma non solo, Modena) nel corso del XIV sec. e soprattutto nella seconda metà del
secolo. Sulla presenza del fenomeno in scritti padovani, cfr. anche N. Bertoletti, Articolo e
74
il franco-italiano in area padana
pronome ‘o/ol’ nei volgari dell’Italia settentrionale, in « L’Italia dialettale », lxv 2004, pp. 9-42, a p. 31
n. 49.
60. In questo caso va tuttavia avvertito che, dal momento che il testo è ancora largamente
inedito, è difficile quantificare la reale presenza del fenomeno.
61. L’integrazione dal Partonopeus al corpus esaminato qui di sopra invita a sottolineare, sulla
scorta di Giannini, Manoscritti di romanzi francesi, cit., una delle carenze piú gravi delle ricerche
sul franco-italiano, che si ripercuoterà inevitabilmente anche sulla nostra sintesi in prepara-
zione: l’assenza di « uno studio sistematico delle caratteristiche grafico-linguistiche dei mano-
scritti francesi prodotti in Italia settentrionale durante la seconda metà del secolo XIII », cioè
in un periodo cruciale per una piena comprensione della genesi del franco-italiano.
62. Cfr. P. Rajna, Frammenti di redazioni italiane del ‘Buovo d’Antona’. i. Nuovi frammenti franco-
veneti, in « Zeitschrift für romanische Philologie », xi 1887, pp. 153-84, a p. 174, v. 225 e n.
63. Cfr. La ‘Geste francor’, edition of the Chansons de geste of MS. Marc. Fr. XIII [= 256] […] by
L. Zarker Morgan, 2 vols., Tempe, Acmrs, 2009, vol. ii. Glossary, s.vv. colsa e olsa.
64. Niccolò da Casola, La ‘Guerra d’Attila’. Poema franco-italiano, ed. a cura di G. Stendar
do, pref. di G. Bertoni, 2 voll., Modena, Società tipografica modenese, 1941, vol. i p. 73.
65. Cfr. Giannini, Un estratto inedito del ‘Tresor’, cit., p. 141.
75
carlo beretta - giovanni palumbo
L’esito ons < au + sibilante, nonostante abbia una diffusione alquanto larga in Italia
settentrionale, è particolarmente ben documentato in testi veronesi fino al Trecen-
to, poi in testi veronesi, emiliani (soprattutto modenesi) e padovani, cfr. Bertoletti,
Testi veronesi, cit., pp. 58-64; Videsott, Padania scriptologica, cit., pp. 329-31, 495-98.
66. Per la descrizione del codice cfr. ‘Moamin’ et ‘Ghatrif’, traités de fauconnerie et de chiens de
chasse, éd. princeps de la version franco-italienne […] par H. Tjerneld, Stockholm-Paris,
Fritze-Thiébaud, 1945, pp. 7-10; G. Brunetti, Un capitolo dell’espansione del francese in Italia: ma
noscritti e testi a Bologna fra Duecento e Trecento, in « Quaderni di filologia romanza », xviii 2003 [=
Bologna nel Medioevo. Atti del Convegno di Bologna, 28-29 ottobre 2002], pp. 125-64, alle pp.
133-34; S. Bisson, Il fondo francese della Biblioteca Marciana di Venezia, Roma, Edizioni di Storia
e Letteratura, 2008, pp. 127-29. A questo testimone, a lungo creduto unico, ne va aggiunto un
secondo, incompleto, conservato a Bruxelles (KBR, IV 1208), su cui cfr. S. Marruncheddu,
Un trattato di falconeria in volgare: il ‘Moamin’ franco-italiano, in Lo scaffale della biblioteca scientifica in
volgare (secoli XIII-XIV). Atti del Convegno di Matera, 14-15 ottobre 2004, a cura di R. Libran
di e R. Piro, Firenze, Sismel, 2006, pp. 309-12; Ead., La traduction française du ‘Moamin’ dans ses
rapports avec la version latine de Théodore d’Antioche, in Science Translated. Latin and Vernacular Trans
lations of Scientific Treatises in Medieval Europe, ed. by M. Goyens, P. de Leemans and A. Smets,
Leuven, Leuven Univ. Press, 2008, pp. 297-310.
67. Cfr. Brunetti, Un capitolo, cit., pp. 131-34.
68. Cfr. ivi, p. 133.
69. Cfr. H. Tjerneld, Due ricette in antico dialetto veronese, in « Studia Neophilologica », xviii
1945-1946, pp. 279-86, cui si deve anche l’ipotesi di datazione.
70. Cfr. Tjerneld, ed. cit., p. 30.
76
il franco-italiano in area padana
71. Cfr. ivi, pp. 41 e 61; le due forme si trovano entrambe nel Moamin (i 15 2 e iii 10 10).
72. Cfr. per es. avero ‘avere’, brevemento in bolognese, citati da V. Formentin, L’area italiana,
in Lo spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo volgare, cit., vol. ii pp. 97-147, a p. 108. Com’è
noto, il bolognese è però piuttosto caratterizzato dallo sviluppo opposto (-o > -e): cfr. La vita di
San Petronio, a cura di M. Corti, rist. anastatica dell’ed. 1962 con un saggio introduttivo di B.
Terracini, Bologna, Costa, 2002, pp. l-liv (un solo caso di -e > -o: andòsseno iii 32); M. Volpi,
« Per manifestare polida parladura ». La lingua del commento lanèo alla ‘Commedia’ nel ms. Riccardiano-
Braidense, Roma, Salerno Editrice, 2010, pp. 215-19, in partic. alle pp. 216-17.
73. Cfr. A. Stussi, Venezien, in LRL, vol. ii/2 1995, pp. 124-34, a p. 132: « è frequente nell’an-
tico veronese la sincope negli infiniti sdruccioli »; Bertoletti, Testi veronesi, cit., pp. 101-16, in
partic. alle pp. 109-16: « il veronese antico si caratterizza rispetto ai volgari limitrofi per una
spiccata tendenza alla sincope della e atona tra consonante […] ed r » (p. 101). Sulla « tipica -o »,
cfr. ivi, pp. 116-37.
74. Cfr. ivi, in partic. pp. 110 e 248. Qualche altro esempio tratto dal corpus OVI: Legg. S.
Margherita, XIII sec. ex. (piac. > ver.), v. 370: « Sí la fe’ metro en preson »; Amore di Gesú, XIV sec.
in. (ver.), vv. 187-88: « e degnas[i] vegnir a nui en terra / a metro pax et a destrur la guerra »;
Passione marciana, XIV sec. (ven.), v. 215: « e domanda lo corpo de Iesu a metro en lo sepolcro ».
75. Cfr. Bertoletti, Testi veronesi, cit., in partic. pp. 111 e 248 (cognosro a 65.2r9 e 65.2r11; altri
esempi, tutti veronesi, si ricavano dal corpus OVI).
77
carlo beretta - giovanni palumbo
76. Holtus, Franko-Italienisch, cit., p. 746. Siamo infatti di fronte ad un caso in cui la « lingua
si caratterizza, nella sostanza, come un sistema di comunicazione che fa ricorso alternativa-
mente a due codici », secondo le parole di L. Renzi, Il francese come lingua letteraria e il franco-
lombardo. L’epica carolingia nel Veneto, in Storia della cultura veneta, 1. Dalle Origini al Trecento, Vicen-
za, Neri Pozza, 1976, pp. 563-89, a p. 573. Cfr. i punti c) e d) della griglia proposta da Barbato,
Il franco-italiano, cit.
77. G. Contini, La canzone della ‘Mort Charlemagne’ [1964], in Id., Frammenti di filologia roman
za, cit., vol. ii pp. 1111-34, a p. 1118.
78. M.L. Meneghetti, Ancora sulla ‘Morte (o Testamento) di Carlo Magno’, in Testi, cotesti e con
testi del franco-italiano. Atti del 1° simposio franco-italiano, Bad Homburg, 13-16 aprile 1987, a
cura di G. Holtus, H. Krauss e P. Wunderli, Tübingen, Niemeyer, 1989, pp. 245-84, a p. 256.
Il passaggio è purtroppo corrotto e di non facile interpretazione, cfr. A. Cornagliotti, Proble
mi testuali della ‘Mort Charlemagne’, ivi, pp. 177-95, a p. 188 n. 47, secondo cui ms. Bicorira potrebbe
indicare ‘Bigoglio’, presso Orzivecchi, oppure Besgora, Besgore ‘Brescia’ (si aggiungerà che an-
che l’identificazione di Besgora con Brescia è discussa: cfr. La ‘Geste francor’, ed. Zarker Mor
gan cit., vol. ii p. 1082, n. al v. 11543).
78
il franco-italiano in area padana
pria figlia in sposa a Alia, cioè Aye d’Avignon, il quale accetta solo a condi-
zione che Guglielmo gli garantisca il suo aiuto. Ecco la risposta di Gugliel-
mo secondo la lezione, difettosa, del codice:
Non v’è dubbio che il v. 677 vada corretto in « Si faray, dist li conte, no ve
scoven dotié », lezione che trova anche appoggio in Roland V4, v. 4195: « Bel
filz – çe dist li cont – no ve conven doté! ». Piú problematica è invece la re-
stituzione del verso seguente: 678 « Se vuy avyssy vera per mon fras afinye ».
Maria Luisa Meneghetti, cui dobbiamo la sola trascrizione critica integrale
del poema finora disponibile, stampa la lezione del manoscritto e com-
menta in nota: « correggere all’incirca “per me feras la finie”? ».79 Anna Cor-
nagliotti, che ha dedicato alla Morte di Carlomagno un denso saggio di note
testuali, propone invece di correggere fras in fra‹n›s: « se vuy avyssy vera, per
mon fra‹n›s afinye » e commenta:
79. Cfr. Meneghetti, Ancora sulla ‘Morte’, cit., p. 282. Una nuova edizione critica del poema
è in allestimento per le cure di G. Giannini e G. Palumbo.
80. Cornagliotti, Problemi testuali, cit., pp. 186 e 189.
81. Il testo assonanzato franco-italiano della ‘Chanson de Roland’: cod. Marciano fr. IV (= 225), ed. a
cura di C. Beretta, Pavia, Dipartimento di Scienza della Letteratura e dell’Arte medioevale
e moderna, 1995, v. 522 e n.
82. L’attuale lassa xviii riunisce infatti due strofe distinte: la prima in -ia/-ie (vv. 659-71), la
seconda in -(i)er (vv. 672-80).
79
carlo beretta - giovanni palumbo
Il passo andrebbe dunque inteso: ‘« Lo farò », disse il conte, « non dovete
dubitare, / anche se voi aveste una guerra, pure se io dovessi uccidere mio
fratello / e mio padre Amerigo il guerriero ». / Risponde Alia: « Altro non
chiedo »’. Guglielmo userebbe qui le stesse formule minacciose che qual-
che lassa prima avevano fatto sobbalzare i Franchi, quando il conte di Nar-
bona aveva giurato fedeltà incondizionata al giovane Luigi e si era detto
pronto a ‘rendere dolenti’ tutti gli eventuali ribelli, fossero anche Amerigo
e i suoi figli.85
Quale che sia la plausibilità di questa proposta, è chiaro che l’analisi lin-
guistica del testo potrebbe appoggiare la congettura e la congettura potreb-
be a sua volta aiutare a precisare la localizzazione del testo. Questo piccolo
esempio ci conferma cosí, se mai ce ne fosse bisogno, che il franco-italiano
83. Su po(u)r + inf. con valore ipotetico e concessivo dopo una principale negativa, cfr. Ph.
Ménard, Syntaxe de l’ancien français, Bordeaux, Bière, 1994, par. 173, e C. Buridant, Grammaire
nouvelle de l’ancien français, Paris, Sedes, 2000, par. 558 (in partic. i punti c ed e). Nell’articolazione
logica del discorso, Sí faray comprende l’idea di Ne vos faldrai ‘non vi abbandonerò’, il che ha
probabilmente favorito l’ellissi della principale (in questo caso, negativa) dopo un’ipotetica
all’imperfetto del congiuntivo, fenomeno corrente in antico francese (cfr. Ménard, Syntaxe,
cit., par. 206).
84. Cfr. Stussi, Testi veneziani, cit., p. 281, s.v., e i numerosi esempi, pressoché tutti venezia-
ni, che si trovano nel corpus OVI. In franco-italiano, si può segnalare la forma fra che figura nel
Belris (v. 497: Malçaris, bel fra çentil), vd. J. Monfrin, Le ‘Roman de Belris’ [1962], in Id., Études de
philologie romane, cit., pp. 451-92, a p. 473.
85. Cfr. Meneghetti, Ancora sulla ‘Morte’, cit., p. 271, vv. 649-58: « Guyelmo, quando l’olde,
mays non fo plu çoiante: / “Volentera, dolçe roys, farò vostre talant / E iuro a Dio et allo
Sperti Sant: / Chi no l’obidirà et non farà son tala[n]t, / Medexemo Aymerys et tot ses infant,
/ S’eli falerà a Leoys, io li faray dolant”. / Françis l’intende, l’uno a l’oltro va digant: / “Questo
è li veras diable ch’est romanant, / El ne farà morir con faxea li conte Rolant / Che ne mena-
va in Spagna per honir Persant” ».
80
il franco-italiano in area padana
Carlo Beretta
Università della Basilicata
berettacarlo@tiscali.it
Giovanni Palumbo
Université de Namur
giovanni.palumbo@unamur.be
81