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Claudio Marazzini

Storia della linguistica


italiana

Enciclopedia dell'Italiano (2011)


Indice:

1. Dante maestro di linguistica

2. La linguistica italiana dallUmanesimo


allIlluminismo
3. La linguistica nella prima met dellOttocento

4. Dai neogrammatici alla storia della lingua

italiana
1. Dante maestro di linguistica

LItalia pu vantare il maggior trattato di


linguistica dellEuropa medievale, il De vulgari
eloquentia di Dante Alighieri, scritto in latino per
definire i caratteri del volgare illustre, in cui, per
giungere al tema squisitamente letterario, suo
obiettivo finale (ma lopera interrotta al secondo
libro), Dante affront molte questioni di linguistica e
di dialettologia. Per la verit, c chi ancora esita a
definire linguistica le idee di un autore le cui teorie si
ispirano a princpi diversi dalla glottologia otto-
novecentesca; tuttavia, se per linguistica si intende la
riflessione sulla lingua, sulle sue funzioni, sulla sua
utilit, sulla sua genesi, ai fini di una presa di
coscienza delle potenzialit di uno strumento
peculiare delluomo (in ci distinto dagli animali
bruti), necessario alla vita di relazione e alla cultura,
allora, senza dubbio, il De vulgari eloquentia opera
somma di linguistica. In effetti, anche il volume
complessivo sulla linguistica in Italia di Ramat,
Niederehe & Koerner (1986) prende le mosse di l.

Purtroppo, per, il De vulgari eloquentia non


influ sulla cultura del suo tempo, n in Italia n
altrove; anzi ebbe scarsissima diffusione, come
dimostra il fatto che ci giunto attraverso tre soli
codici manoscritti, contro le centinaia che hanno
tramandato il testo della Commedia. Il De vulgari
eloquentia, appena menzionato da
Giovanni Boccaccio, cominci a essere considerato
solo nel Cinquecento, nelle polemiche sulla questione
della lingua, divulgato nella traduzione di Gian
Giorgio Trissino (fatta circolare sotto il nome di
Giovanbattista Doria). Ledizione princeps del testo
latino fu allestita nel 1577, a Parigi, dal fuoruscito
fiorentino Jacopo Corbinelli, ma dest scarso
interesse.
Il De vulgari eloquentia si caratterizza per una
visione completa dei problemi linguistici, fondata
prima di tutto sulla Bibbia, con riferimenti a s.
Tommaso, s. Agostino e allArs poetica di Orazio.
Dante discute dapprima temi quali la comunicazione
degli angeli e degli animali: ci gli utile per definire
la specificit umana del linguaggio, perch angeli e
animali, agli estremi opposti, non ne abbisognano. Il
linguaggio nacque con Adamo (non con la prima
donna, come si potrebbe credere leggendo la Bibbia),
che si rivolse per la prima volta a Dio dicendo El
(termine ebraico per Dio). La lingua adamitica era
unica e indivisa. La pluralit dei linguaggi risultato
della confusione babelica, in cui sta lorigine del
popolamento del mondo da parte di genti ormai
diverse, ceppi etnici divisi per differenza di idioma.
Esaurite tali questioni generali, Dante restringe il
quadro dosservazione allEuropa, poi si concentra
sullobiettivo primario della sua indagine, lItalia,
dove si parla il volgare del s, di cui riconosce la
parentela con francese e provenzale (visibile in parole
come dio, cielo, amore, cuore, ecc.). Al latino, per
contro, cos come nel De regimine principum di
Egidio Colonna romano (contemporaneo di Dante),
non attribuito il carattere di lingua naturale:
considerato grammatica, in quanto dotato di
artificialit e inalterabilit (cfr. Mengaldo in Alighieri
1968: LV-LIX).

Per valutare loriginalit del pensiero dantesco


sulla lingua, basti il paragone con alcuni capitoli di
famose opere come quelle di Isidoro di Siviglia e di
Rabano Mauro. Nelle enciclopedie o summae
medievali infatti presente la trattazione, sulla base
della Bibbia, dellorigine delle lingue. Isidoro, nel
libro IX degli Etymologiarum libri, parla della
confusione babelica ed elenca popoli, razze e idiomi,
prima di passare alle liste di vocaboli classificati nei
vari settori dellattivit umana. La trattazione sfocia
nello studio delletimologia, la quale fa conoscere non
solo lorigine delle parole, ma soprattutto il loro
significato recondito: nulla del genere nel trattatello di
Dante. Analogo limpianto del De rerum naturis di
Rabano Mauro, dove, nel libro XVI, De linguis
gentium, trattato come in Isidoro il tema delle
lingue, a partire dalla confusione babelica. Il quadro
dei movimenti di popoli tracciato da Dante tuttavia
molto pi mosso, pi affascinante, pi drammatico.
Lepisodio della Torre di Babele rivisitato in
maniera personale. Nella confusio linguarum la lingua
pi rozza tocca a quelli che, come gli architetti, nella
costruzione della Torre erano addetti a unattivit pi
nobile, e la divisione avviene in base al mestiere:
scalpellini, architetti, e via di questo passo, attivit per
attivit. Dante raggiunge poi una singolare modernit
(con alcune intuizioni folgoranti) nellesame dei
volgari italiani, quando riconosce che le lingue
mutano nello spazio e nel tempo, e che lunit
linguistica non si realizza nemmeno in una stessa
citt, visto che a Bologna gli abitanti di Strada
Maggiore parlano in modo diverso dagli abitanti di
Borgo San Felice. Quanto alla rappresentazione
spaziale del dato linguistico, la valutazione dei volgari
italiani (14 le variet principali individuate da Dante)
segue la loro collocazione geografica, alla destra e alla
sinistra dellAppennino, come chi guardi da nord,
spalle alle Alpi. Vari riscontri sono possibili per
questa descrizione dellItalia, con autori quali Lucano,
Brunetto Latini, Fazio degli Uberti, ma il pi
interessante quello con la descrizione di Pomponio
Mela (I sec.), nel De chorographia II (suggerito gi da
Zingarelli 1903). Dante procede mediante
caratterizzazioni acute, spesso molto soggettive, non
per questo meno efficaci. Pronuncia fra laltro la
condanna delle parlate di confine, come quelle di
Trento, Torino e Alessandria, ma esclude ogni valore
della parlata di Roma e anche di quella toscana,
spregiando lidioma fiorentino. Il discorso, da
descrizione geopolitica dellItalia ( il primo quadro
dellItalia dialettale che ci sia stato tramandato), volge
verso lo sbocco retorico e letterario. A Dante preme
infatti stabilire i caratteri della lingua sovraregionale
per la poesia di stile elevato, un volgare che non si
identifica in alcuna delle parlate italiane, ma trova
validi precedenti nellopera dei poeti della corte di
Federico II e di Guinizelli, un volgare comunque
molto diverso da quello misto che poi sarebbe stato
proprio della Commedia. Ci spiega, fra laltro, come
mai una parola condannata senza appello nel De
vulgari eloquentia, quale il fiorentinismo popolare
introcque per intanto, sia poi usata nel poema (Inf.
XX, 130). Lo spostamento del discorso, dai temi
relativi ai principi basilari della comunicazione fino al
linguaggio poetico, dimostra che linguistica e poetica
sono in Dante strettamente legate, e che anzi non gli
possibile immaginare la fondazione di una nuova
letteratura in volgare senza risolvere preliminarmente
i problemi linguistici. Dunque la linguistica dantesca
precede e condiziona la produzione letteraria,
obiettivo finale delloperazione.
Ricorrono molti concetti assolutamente
estranei alla linguistica moderna, funzionali alla
ricerca dantesca del volgare illustre poetico: cos
lidea che le parole siano divisibili in classi, in base al
loro carattere, al suono pi o meno aspro, e che queste
classi predeterminino lorizzonte dellimpiego (una
tale concezione del lessico si ritrova in Pietro
Bembo); cos lidea che luso letterario sia la pi alta
palestra di promozione del volgare (anche questa
una concezione destinata a durare a lungo). Non
vanno trascurate le pagine iniziali del trattato, in cui
Dante spiega che il volgare la lingua naturale,
necessaria a tutti, anche alle donne e ai bambini.
Dante cosciente della novit della propria impresa:
afferma che nessuno ha mai trattato la dottrina della
volgare eloquenza, la quale risulta dunque nuova,
legata a un implicito progetto di allargamento del
pubblico.
Questintento presente gi nel Convivio,
scritto in toscano (non in latino), in cui il volgare
celebrato come il sole nuovo destinato a splendere al
posto del vecchio sole, il latino, destinato invece a
tramontare. La fiducia di Dante nella nuova lingua era
dunque assoluta, e ci spiega lintensit della
speculazione teorica in vista del suo sviluppo. La
teoria poteva trovare immediata e necessaria
applicazione pratica per eliminare le forme di volgare
difettose, cio i volgari impuri, rustici, o per far piazza
pulita delle cattive realizzazioni letterarie, come
quelle di Cielo dAlcamo o di Guittone dArezzo.
2. La linguistica italiana
dallUmanesimo allIlluminismo

Lisolamento della trattazione dantesca, che


rimase priva di interlocutori, fece s che la linguistica
italiana fosse rifondata ex novo dagli umanisti del
Quattrocento, su basi diverse da quelle che erano state
proprie del De vulgari eloquentia. Il punto
fondamentale fu lorigine del volgare dal latino, vista
come frutto di un imbarbarimento, di una caduta, e
collegata alla crisi della civilt classica.

In Biondo Flavio, ma anche in Guarino


Veronese, Francesco Filelfo, poi in Leon Battista
Alberti, si trovano le radici di quella che possiamo
definire la teoria della catastrofe o della corruzione,
poi presentata con ampiezza da Pietro Bembo nelle
Prose della volgar lingua. Secondo questa teoria,
litaliano si era formato durante la crisi finale
dellimpero di Roma, per la mescolanza di idiomi
verificatasi a causa del cattivo apprendimento del
latino da parte dei barbari giunti in Italia, oltre che per
linfluenza negativa delle lingue barbare sui popoli
sottomessi. Il volgare, dunque, era il frutto difettoso di
eventi traumatici. Si trattava di vedere se e per quale
via avrebbe potuto rimontare la china e lavare la
macchia della propria nascita.

Sullorigine del volgare si riflett nel 1435, in


occasione di un dibattito svoltosi a Firenze
nellanticamera di papa Eugenio IV tra il Biondo e
Leonardo Bruni (cfr. Tavoni 1984). Per Biondo,
limbarbarimento del latino aveva come causa la
conquista di Roma da parte di Goti e Vandali. Dopo la
venuta di questi barbari, tutti (omnes) erano caduti
nella condizione di parlanti inquinati e si era
sviluppata una lingua mixta. Le invasioni barbariche,
dunque, assumevano la funzione che nella teoria di
Dante era stata propria della confusione babelica,
perch da esse dipendeva il principio della variabilit,
rispetto alla stabilit del latino, che era stato lingua
pura. La variabilit e la mescolanza erano assunte
come principi negativi, come gi in Dante, ma diversa
era la spiegazione del mutamento, ora attribuito a un
repentino rivolgimento del quadro storico, non a
punizione divina. Lorizzonte di riferimento si era del
resto ristretto al latino e al volgare da esso derivato,
escludendo le spiegazioni universalistiche di Dante.
Pi tardi, nellItalia illustrata, lo stesso Biondo mut
in parte opinione, attribuendo la causa della
trasformazione linguistica non a Goti e Vandali, ma ai
Longobardi (cfr. Costa 1977). Linteresse di Biondo
non andava tuttavia al volgare di per s, quanto al
latino e alla caduta di Roma. Bruni invece vedeva
lorigine del volgare nel livello linguistico basso del
latino popolare, allontanandosi dunque da quella che
abbiamo definito la teoria della catastrofe, la quale
richiede un intervento esterno dirompente. Le due
teorie opposte, di Biondo e di Bruni, restarono in
qualche modo una costante nel dibattito durato secoli
sullorigine della lingua volgare. I due modelli sono di
fatto due archetipi: Bembo, Sperone Speroni e molti
altri attribuirono il passaggio al volgare a una rottura
traumatica, talora diluendo il processo in fasi
successive e ammettendo cos una certa gradualit al
cambiamento (come fece Ludovico Castelvetro); per
si ripresentarono, seppure in posizione minoritaria,
teorie che attribuivano la trasformazione a tendenze
latenti gi nel latino popolare, anche prima che le
invasioni barbariche potessero esercitare la loro
influenza negativa. Questultima tesi si ritrova in
Celso Cittadini e pi tardi in Scipione Maffei. Nel
contempo, lidea di corruzione della lingua venne
rivista in nome del principio aristotelico della
generazione, che Benedetto Varchi, nellErcolano,
applic alla trasformazione linguistica. Del resto
Varchi non guard pi alla variet linguistica come a
una condanna o a un difetto, ma come a una
caratteristica naturale e positiva.
Lorigine latina del volgare fu contestata solo
dal fiorentino Pierfrancesco Giambullari, nel Gello.
Questi negava che il volgare fosse un latino corrotto, e
vi riconosceva invece una lingua composta da etrusco,
greco, latino, tedesco, francese e altro ancora. Il
concetto di lingua mista perdeva cos il carattere
negativo che gli era stato attribuito dagli umanisti. La
tesi di Giambullari era indubbiamente isolata e
stravagante, soprattutto per il riferimento allarameo,
che stava (a suo parere) dietro letrusco (data la
supposta provenienza degli etruschi dalla Palestina).
Per questa teoria aveva anche potenzialit notevoli:
allentava il rapporto di dipendenza tra volgare e
latino, sminuiva limportanza delle invasioni
barbariche, rimuoveva lidea umanistica di caduta,
spostava indietro nel tempo la formazione del volgare,
lo radicava nel contesto dellarea geografica toscana,
per il richiamo agli etruschi. La teoria etrusco-aramea
non fu accolta nemmeno a Firenze, e non vi
prestarono fede noti intellettuali locali quali
Vincenzio Borghini. Si trovano per tracce del
riferimento alle antichit etrusche, in forma pi
moderata, in altri autori non fiorentini, per es. nel
senese Claudio Tolomei (nel Cesano), secondo il
quale il volgare si doveva alle incursioni di Unni, Goti
e Longobardi che avevano corrotto la lingua parlata in
Italia, ma il toscano era anche nato da una corruzione
pi antica, prodottasi nel contatto tra il latino e
letrusco.

Questa sembrata unanticipazione dei


concetti moderni di sostrato e superstrato, ma non si
deve calcare troppo sulle anticipazioni, perch
altrimenti si rischia di interpretare le teorie
linguistiche del passato sulla base degli esiti raggiunti
secoli dopo. Meglio, dunque, non farsi guidare dal
finalismo, e interpretare i dibattiti di ogni epoca
seguendone la logica interna. Girolamo Muzio, per
es., svolse una tesi che rovesciava il senso della
vecchia teoria della catastrofe: se la lingua era nata
dalla mescolanza del latino con la parlata dei
Longobardi, ci significava che il volgare italiano
veniva dai luoghi in cui questi si erano stabiliti, cio
dal Nord Italia. I toscani avevano abbellito la lingua,
ma il luogo di origine era altrove. Si guard con
maggior favore alle tesi di Muzio nelle regioni italiane
che avevano un complesso di inferiorit rispetto alla
Toscana, per es. in Piemonte, dove Anastasio
Germonio, un avversario del volgare, nelle
Pomeridianae sessiones (1579), pur combattendo
litaliano, entr nella questione della lingua,
sottolineando che il volgare non poteva dirsi
fiorentino, in quanto derivava ex omni Italia (da tutta
lItalia), visto che i barbari erano stati ovunque. Le
discussioni storico-linguistiche, dunque, si
intrecciarono con la questione della lingua ed
entrarono tra gli elementi della polemica pro o contro
il toscano. Varchi, per es., nellErcolano, esamin le
tesi di Muzio, rivendicando alla Toscana, con un
ragionamento in verit assai debole e capzioso, una
dose di barbarie analoga a quella delle regioni del
Nord (cfr. Marazzini 1989: 31-34). Le discussioni
sulla questione della lingua nascondono dunque
sovente questioni linguistiche funzionali alla
discussione in corso; non si tratta soltanto di
argomenti relativi allorigine del volgare, anche se
questo uno dei temi centrali. In altri casi emerse
lattenzione al parlato (cos nellErcolano di Varchi),
o la classificazione delle parole in base alle loro
qualit sonore (cos in Bembo, ma unidea del genere,
come si visto, era gi in Dante). Nelle discussioni tra
Varchi e Castelvetro fu inoltre sviluppata (in polemica
reciproca) una vera e propria classificazione
tipologica, sulla base di una serie di caratteristiche tra
le quali lorigine dal latino non aveva peso: contava
piuttosto che le lingue fossero vive o morte, nobili o
non nobili, analoghe o diverse tra loro, con o senza
tradizione letteraria, autoctone o venute da fuori,
straniere o locali, naturali o artificiali (cfr. Marazzini
1997).
Quanto allo studio dello sviluppo storico,
Celso Cittadini fu attento allevoluzione del latino e
per questo riesum le et della lingua latina che
trovava in Isidoro di Siviglia, quindi elabor una
teoria secondo la quale alcuni elementi del volgare
erano gi presenti nei documenti latini arcaici. Le
invasioni barbariche, in questo caso, apparivano poco
influenti ai fini del cambiamento, che trovava
spiegazione nella dinamica del latino considerata di
per s stessa. Cittadini studi le fonti non letterarie,
convinto che i documenti epigrafici potessero dare
maggiori garanzie, e fossero assai utili per la storia
della lingua.

Nel Seicento fu realizzato il primo dizionario


etimologico dellitaliano, frutto del lavoro di Gilles
Mnage, che aveva gi creato uno strumento analogo
per il francese. Il successo dello studioso francese
tagli in parte la strada alla ricerca etimologica
condotta in Italia, che pure ebbe esiti interessanti, con
Angelo Monosini, con Ascanio Persio e soprattutto
con Ottavio Ferrari, a sua volta autore di un dizionario
etimologico dellitaliano compilato in latino (Origines
linguae italicae, Padova 1676). Ma a Firenze, la citt
che, con la pubblicazione del Vocabolario degli
Accademici della Crusca del 1612, aveva raggiunto i
massimi risultati nella lessicografia, gli studi
etimologici coltivati da Carlo Dati e da Francesco
Redi non ebbero sbocco autonomo, proprio a causa
del successo di Mnage. Le indagini etimologiche
trovarono un valido continuatore, nel XVIII secolo, in
Ludovico Antonio Muratori, nella XXXIII
dissertazione delle Antiquitates Italicae Medii Aevi,
dedicata a De origine italicarum vocum. A differenza
di Maffei, Muratori riconosceva la massima
importanza, per la formazione del volgare,
allelemento germanico.

Il tema dellorigine della lingua italiana fu


dibattuto nel Settecento in saggi di alta qualit, fra i
quali eccelle unaltra dissertazione delle Antiquitates
muratoriane, la XXXII, De origine linguae italicae.
Le tesi di Maffei, invece, furono esposte ne La Verona
illustrata. Vanno anche considerati i saggi di Giusto
Fontanini, nella prefazione alla terza edizione (1726)
della Biblioteca delleloquenza italiana, libro che in
sostanza una bibliografia di scrittori, ma nella prima
parte tratta dellorigine, e del processo dellItaliana
favella (come avverte il frontespizio). Fontanini us
lappellativo di romanze per le lingue italiana,
spagnola e francese, e, al fine di studiare lorigine
dellitaliano, auspic lesame delle carte alto-
medievali, ci che nessuno fece meglio di Muratori.
La filologia, coltivata da studiosi di storia, si fece
alleata della linguistica. Si prest allora molta
attenzione ai Giuramenti di Strasburgo (primo
documento del francese, allora interpretato come
lingua romana). Muratori cerc analoghi documenti
per larea italiana, e infatti riconobbe le tracce del
volgare parlato nel latino traballante delle carte
notarili, ma gli sfugg il Placito capuano, che pure era
gi edito (laveva pubblicato nel 1733-1734 il padre
E. Gattola, riconoscendovi i primi balbettamenti della
lingua italiana). Si allargava dunque linteresse
filologico e critico per i pi antichi documenti, anche
per quelli letterari: nel 1777 fu pubblicato il Ritmo
laurenziano, nel 1791 il Ritmo cassinese. Ireneo Aff
diede spazio alla poesia volgare di san Francesco
dAssisi, nel quadro della caccia agli antichi
documenti poetici dellitaliano, in una gara in cui si
sforzava di andare il pi indietro possibile per
attenuare il primato dei poeti provenzali, riconosciuto
a suo tempo da Bembo e poi da Muratori e da Giovan
Mario Crescimbeni. Si manifestava dunque un
interesse per la lingua delle origini da parte dei cultori
di studi letterari, dopo che le maggiori acquisizioni
erano venute dagli storici, quali Muratori, Maffei e
anche Saverio Bettinelli: nel Risorgimento dItalia
dopo il Mille (1775) Bettinelli inser una monografia
sulla Lingua, con un abbozzo di classificazione dei
dialetti italiani in quattro sezioni, in base al loro
genio ispiratore. Sui dialetti si soffermarono vari
studiosi nel corso dellOttocento: Carlo Denina nella
Clef des langues (Berlino 1804), il tedesco Karl
Ludwig Fernow (1808), autore anche di una
grammatica italiana in tedesco, il geografo Adriano
Balbi e poi Francesco Cherubini (che segu il tedesco
Johann Christoph Adelung), Bernardino Biondelli e
infine Graziadio Isaia Ascoli, fondatore della moderna
dialettologia. Quanto agli esiti settecenteschi, va
rilevato il limite insito nella considerazione della
storia linguistica italiana da parte dei letterati. Mentre
per Dante e Bembo lo studio della lingua era
preliminare alla fondazione della letteratura,
condizionava la scelta del modello retorico a cui ci si
doveva attenere e aveva dunque valore fondante, negli
autori delle storie letterarie, come Crescimbeni,
Francesco Saverio Quadrio, Gerolamo Tiraboschi, si
realizz una marginalizzazione della materia
linguistica. Per Tiraboschi, addirittura, lunit del
quadro letterario non garantita dalla lingua, ma dallo
spazio geografico, tanto vero che il primo volume
della sua vasta opera tratta degli autori greci, latini e
persino etruschi.

Il tema della lingua era presente anche negli


studi relativi alle cosiddette origini italiche, che
ebbero largo corso tra Settecento e Ottocento con
eruditi quali Mario Guarnacci (Origini italiche, 1767)
e Stanislao Bardetti (Della lingua dei primi abitatori
dItalia, 1772). Nelle loro tesi stravaganti venne
attribuita speciale funzione ad alcuni popoli italici pi
o meno mitizzati. Guarnacci assegnava alletrusco la
funzione di lingua-madre, un po come aveva fatto
Giambullari, e infatti lo immaginava derivato
dallebraico. Bardetti invece pretendeva che il latino
fosse derivato dalla lingua ligustica circumpadana
degli aborigeni.

Una posizione particolare spetta alla teoria


linguistica di Giambattista Vico, incrocio tra gli
interessi letterari e lattenzione per il remoto passato
dellumanit. Si tratta di una teoria controversa,
perch stata valutata molto positivamente sia al
tempo dellidealismo crociano sia anche in seguito,
mentre Mounin (1968: 128) ne ha sottolineato
piuttosto i limiti, rilevandone larretratezza e la
marginalit (cfr. Simone 1990: 358-363). Vico si
differenzia radicalmente dalla filologia positiva di
Maffei e Muratori, e applica la nozione di lingua a
sistemi di segni estranei al linguaggio articolato: ai
miti, alla storia biblica, alle favole antiche, alle
simbologie araldiche e numismatiche. La filosofia
della storia di Vico svolge la tesi delle tre et, degli
Dei, degli Eroi e degli Uomini, ognuna caratterizzata
da un diverso linguaggio, ma il linguaggio articolato
riguarda solo la terza di queste et, mentre le prime
due si esprimono in sostanza attraverso un sistema
semiotico non verbale (azioni, gesti, simboli). Vico si
interessa anche dei geroglifici, non solo quelli egiziani
ma anche quelli messicani e cinesi (tale ritiene infatti
la scrittura cinese). La curiosit per le lingue esotiche
utilizzate come elemento di riflessione, per quello
che di esse si conosceva allora caratteristica della
cultura del Settecento: la si ritrova nelle relazioni e
negli studi dei missionari, e ve n un cenno persino in
un filosofo razionalista come Melchiorre Cesarotti,
che fa riferimento alla lingua degli indiani dAmerica,
divisa in modo tale da non costituire la lingua di un
popolo, ma con in comune molto linguaggio di
azione (il medesimo linguaggio che Vico aveva
attribuito allet degli Eroi). Siamo qui al confine tra
la linguistica e la filosofia.

Nel Settecento occupa una posizione di rilievo


un altro testo filosofico di marca razionalista e
sensista, ben diverso da quello di Vico, il Saggio sulla
filosofia delle lingue appunto di Cesarotti, la cui
speculazione trova un punto di forza nella distinzione
tra genio grammaticale e genio retorico, cio tra
gli elementi che oggi diremmo strutturali della lingua
(i quali non possono mutare) e quelli che invece si
adattano alle trasformazioni senza danno per il
sistema. Il contributo pi notevole e pi noto di
Cesarotti riguarda dunque il funzionamento e la natura
della lingua, con lapplicazione di queste idee al
problema della purezza dellitaliano. Meno noto
invece il consenso che egli diede alle teorie del Trait
de la formation mchanique des langues (1765) di
Charles De Brosses, apprezzato e utilizzato anche da
Denina. La Clef des langues di Denina a sua volta
un libro importante del paleocomparatismo, uno dei
pochi che entri a buon diritto tra gli studi europei di
tale genere, anteriori alla nascita della linguistica
scientifica comparativa. Lopera di Denina si svolse
per prevalentemente presso lAccademia di Berlino.
comunque utile allargare il quadro allattivit degli
italiani allestero e agli stranieri che operarono in
Italia: lo spagnolo Lorenzo Hervs y Panduro
pubblic in Romagna, dove si era rifugiato dopo la
cacciata dei gesuiti dalla Spagna, la prima stesura del
Catalogo delle lingue conosciute (1784), in cui
confluiva il patrimonio delle conoscenze dei
missionari, patrimonio depositato anche nelle
pubblicazioni della tipografia romana di Propaganda
Fide e negli studi usciti in Italia di fra Paolino da San
Bartolomeo (il carmelitano austriaco J.Ph. Wessdin).
Fra Paolino fu pioniere nello studio del sanscrito e ne
riconobbe la parentela con le lingue germaniche e con
il latino. Siamo ai margini della linguistica italiana,
trattandosi di autori i quali si occupavano di lingue
lontane ed esotiche, ma la conoscenza di queste forme
di paleocomparatismo evita il rischio di un esclusivo
riferimento al solo William Jones e allAccademia di
Calcutta (giustamente Morpurgo Davies 1996: 103 ha
parlato a questo proposito di una agiografia
tradizionale).

Anche Giacomo Leopardi ricav alcune


notizie sul sanscrito da un giornale di Cesena che
faceva riferimento proprio a Paolino da San
Bartolomeo, e le appunt nello Zibaldone, libro
ricchissimo di notazioni linguistiche sullitaliano, sul
francese, sul latino, sul greco (cfr. Gensini 1984). Vi
si trovano osservazioni di grande importanza sulla
distinzione tra parole e termini, sugli europeismi
lessicali e su molti altri argomenti relativi allitaliano,
alle lingue moderne, alle lingue antiche. La cultura
linguistica di Leopardi era comunque frutto di una
visione personale, non sempre aggiornata. Nulla egli
conobbe della nuova linguistica europea dei fratelli
August Wilhelm e Friedrich Schlegel. Inoltre bisogna
tener conto del fatto che lo Zibaldone fu pubblicato
solamente nel 1898-1900, e dunque non pot incidere
sui contemporanei, che nulla ne seppero.
3. La linguistica nella prima met
dellOttocento

Allinizio del XIX secolo la discussione


linguistica fu segnata dal dibattito sulla lessicografia
legato alla Proposta di alcune correzioni ed aggiunte
al Vocabolario della Crusca, la serie di volumi ideata
e diretta da Vincenzo Monti per combattere le idee
puristiche e cruscanti nella questione della lingua. La
Proposta offr spazio anche alle origini dellitaliano.

Se ne fece interprete Raffaello Perticari in due


saggi del 1817 e del 1820. Per quanto il valore della
filologia perticariana non sia molto grande, i suoi
studi esercitarono una forte influenza. Del resto la
Proposta di Monti fu al centro della riflessione
linguistica, come si ricava anche dai periodici del
tempo: ne parlarono i romantici (Ludovico di Breme,
sul Conciliatore) e i classicisti (nella Biblioteca
italiana). Le opinioni di Perticari divennero
patrimonio condiviso: ne ritroviamo leco in Ugo
Foscolo (autore delle Epoche della lingua italiana) e
in Leopardi. Perticari aveva posto al centro della
riflessione il De vulgari eloquentia dantesco, che
acquis allora una centralit ancora maggiore di
quanta ne avesse avuta nelle dispute cinquecentesche.

Secondo Perticari, la lingua rustica romana,


corrispettivo plebeo del latino alto, nata con le
invasioni barbariche, si era trasformata nella lingua
romana o romanza, sostanzialmente rappresentata dal
testo dei Giuramenti di Strasburgo. La lingua romana
era stata omogenea dovunque, e solo in seguito si era
suddivisa in limosino, provenzale, italico, vallone,
catalano. Il concetto di lingua romana comune non era
nuovo, essendo gi presente in Charles Dufresne Du
Cange e in Fontanini. Perticari si rifaceva dunque a
una vecchia tradizione consolidata. Nel secondo
saggio, quello del 1820, ebbe per modo di trarre
frutto dal lavoro del francese Franois-Just-Marie
Raynou-ard, uno dei fondatori della romanistica,
autore dello Choix des posies des troubadours.
Raynouard aveva identificato il romano comune nel
provenzale. Perticari, invece, intendeva mostrarne la
somiglianza con le antiche testimonianze di volgare in
area italiana, allo scopo di sostenere lanteriorit della
lingua comune in Italia.

A parte questa gara nazionale, i due studiosi


concordavano nellimmaginare che fosse esistita una
lingua comune intermedia, da collocare tra il latino
popolare e le divisioni moderne dellarea romanza. La
tesi di Perticari sulla lingua comune fu quindi
condivisa da studiosi importanti, come il citato
Raynouard, e non ebbe veri oppositori fino alla
condanna da parte di August Wilhelm Schlegel, che
recens negativamente lo Choix nel 1818. Le critiche a
Perticari avanzate da Niccol Tommaseo nel Perticari
confutato da Dante (1825) sono di altro tono: il tema
propriamente storico non viene nemmeno affrontato, e
il dibattito, condotto brillantemente per aforismi,
riconduce alla questione della lingua, in quanto verte
sul ruolo del toscano e sui pregi della lingua parlata e
popolare. Il nome di Schlegel, menzionato per la
critica alla teoria della lingua romana intermedia,
invita a considerare lo sviluppo della nuova linguistica
scientifica e comparativa (alla quale Tommaseo
rimase sempre estraneo, cos come Alessandro
Manzoni, autore di un pi volte rimaneggiato trattato
Della lingua italiana), che diede i suoi frutti anche in
Italia, seppure con un certo ritardo (uno dei primi a
citare la distinzione di Schlegel tra le lingue senza
struttura grammaticale, ad affissi e flessive, il
lessicografo Giuseppe Grassi, negli appunti inediti
della progettata e non realizzata Storia della lingua
italiana).

Il padre-fondatore della linguistica scientifica


italiana fu Graziadio Isaia Ascoli, che diede vita a una
vera scuola. Ricopr la cattedra di grammatica
comparata e lingue orientali a Milano, nel 1861,
presso lAccademia scientifico-letteraria (cfr. il
profilo che ne tracci Timpanaro nel 1972, ora in
Timpanaro 2005: 225-258). Milano fu la capitale della
linguistica italiana nel periodo che va dalla Proposta
di Monti a Carlo Cattaneo, Bernardino Biondelli e
Ascoli (cfr. Ancillotti 1983: 217). La fase
immediatamente precedente al magistero di Ascoli
viene definita come la stagione della linguistica
preascoliana (cfr. Santamaria 1981). Vi si collocano
autori che, pur con minor rigore e metodo, si
occuparono di linguistica e dialetti, anche nella
prospettiva della nascente indoeuropeistica, di cui si
cominciava ad avere qualche informazione: Cattaneo
fu autore di un saggio sul nesso tra italiano e valacco
(1837) e poi pubblic sul Politecnico, nel 1842, Sul
principio istorico delle lingue europee (in occasione
delluscita dellAtlante linguistico dEuropa di
Biondelli). Anche Biondelli (che fu poi collega di
Ascoli nella milanese Accademia scientifico-
letteraria, dove insegn archeologia e numismatica)
scrisse sul Politecnico, la rivista di Cattaneo,
occupandosi, oltre che dello Studio comparativo delle
lingue (1839), in maniera specifica dellOrigine e
sviluppo della lingua italiana (1840). Lopera pi
notevole di Biondelli, assieme agli Studi sulle lingue
furbesche (1846) dedicati ai gerghi dei malandrini e
dei girovaghi, tuttavia il Saggio sui dialetti gallo-
italici, uscito nel 1853, con descrizioni dei vari dialetti
settentrionali condotte su basi fonetiche e
morfologiche, con laggiunta di schemi grammaticali,
di piccoli lessici regionali e di unantologia di testi.
Sono dettagliatamente esaminati (nelle loro variet) i
dialetti lombardi, emiliani e piemontesi, ma non
ancora quelli liguri, che furono annessi al gruppo
gallo-italico da Ascoli (cfr. Timpanaro 19692,
Santamaria 1981 e Beninc 1994). La dicitura gallo-
italico era stata introdotta da Ottavio Mazzoni-Toselli
in un poco noto dizionario dei celtismi uscito nel
1831, ma si diffuse e dura tuttoggi appunto grazie a
Biondelli, oltre che ad Ascoli, che la utilizz nella
descrizione dellItalia dialettale per lEncyclopaedia
Britannica (1880), poi pubblicata anche
sullArchivio glottologico italiano (vol. VIII, 1882),
la rivista da lui fondata nel 1873, inaugurata con un
Proemio molto polemico nei confronti della soluzione
manzoniana alla questione della lingua.

La descrizione di Ascoli dei dialetti italiani


considerata la prima davvero scientifica. Vi entrano
fra laltro le aree che lo stesso Ascoli aveva
individuato e definito, cio la franco-provenzale e la
ladina, in aggiunta a quelle gi note. Ad Ascoli si
deve la formulazione dei concetti di isoglossa e di
sostrato, questultimo applicato fruttuosamente alla
definizione dellarea italiana settentrionale celtica,
secondo un principio che fu poi trasportato anche nel
campo degli studi sul folklore e adattato da Costantino
Nigra alla spiegazione della presenza del canto
popolare epico-lirico del Nord Italia.
4. Dai neogrammatici alla storia della
lingua italiana

I lavori di Ascoli e la sua attivit come


direttore dellArchivio glottologico italiano
stimolarono lesplorazione sistematica dellItalia
linguistica, soprattutto delle variet dialettali, con
studi puntuali non solo in riferimento alluso
contemporaneo, ma anche al dialetto antico e agli
antichi documenti. Si svilupp con rinnovato rigore la
fruttuosa alleanza tra filologia e linguistica. Basti
pensare che gli antichi documenti dellitaliano furono
scoperti e studiati in massima parte a cavallo dei due
secoli: la Carta picena nel 1878, la Formula di
confessione umbra nel 1880, la Testimonianza di
Travale nel 1907, la Carta osimana nel 1908, la
Postilla amiatina nel 1909, la Carta fabrianese nel
1912, lIndovinello veronese nel 1924. Al 1916 risale
la ricchissima Crestomazia italiana dei primi secoli di
Ernesto Monaci, che raccoglieva i documenti noti e i
testi letterari ed extraletterari fino al Duecento, con in
appendice un prospetto grammaticale e un dizionario,
strumenti preziosi per lo studio della lingua antica.
Nel 1890 usc ledizione tedesca della grammatica
storica della lingua italiana di Wilhelm Meyer-Lbke,
che fu poi tradotta e adattata per gli italiani da Matteo
Bartoli e Giacomo Braun (1927). Unaltra grammatica
storica dellitaliano fu realizzata da Meyer-Lbke con
Francesco DOvidio (1906).

I materiali raccolti con fervore di studi


dallattivissima cultura positivista divennero dunque
via via pi ricchi, mentre la linguistica si affermava
come disciplina descrittiva e non normativa (come
invece era stata per secoli). Si moltiplicarono studi
specifici, tecnicamente irreprensibili, alla maniera di
Carlo Salvioni (di cui Michele Scherillo, come ricorda
Contini 1972: 330, diceva che i lavori, cos spesso
orientati sullarea lombarda, non solo rurale, ma anche
della citt di Milano, erano affini pi alle
matematiche che alla letteratura), ma non si arriv a
una compiuta sintesi della storia linguistica italiana,
bench unopera del genere fosse stata vagheggiata
gi allinizio dellOttocento, quando Pietro Giordani
aveva abbozzato una Storia dello spirito pubblico
dItalia per 600 anni considerato nelle vicende della
lingua (1809-1811) e Giuseppe Grassi aveva posto
mano a una vera e propria Storia della lingua italiana,
senza riuscire a portarla a termine.

Nella prima met dellOttocento mancava


ancora la documentazione sufficiente, mentre nella
seconda met del XIX secolo e allinizio del XX la
mole del materiale a disposizione divenne fin troppa.
Lo studio della lingua antica aveva avuto uno
sviluppo straordinario, e anzi fin per allontanare gli
studiosi da una visione armonica della storia della
lingua nazionale, in cui le fasi pi moderne trovassero
il debito spazio. Non si arriv alla storia della lingua
italiana, intesa come sintesi unitaria, fino a quando
non si svilupp linteresse per la lingua
contemporanea, il che avvenne con i lavori di Bruno
Migliorini. La cultura linguistica del positivismo
(glottologia e filologia romanza, ormai saldamente
insediate nello spazio accademico, con le loro
specificit professionali universalmente riconosciute)
procedette per la sua strada. Leredit di Ascoli fu
assunta dalla sua scuola: Salvioni, Pier Gabriele
Goidnich e Clemente Merlo. I lavori di Salvioni, in
particolare, recentemente ristampati in una grande e
completa edizione, si caratterizzano per il pregio del
rigore di metodo e tecnica, ma mostrano scarso
interesse per ogni formulazione teorica.

La linguistica italiana, per, era ora costretta al


confronto con il pensiero idealistico, che port alla
divisione tra neogrammatici e neolinguisti. I primi
furono fiduciosi nelle leggi fonetiche e nelle
procedure tecniche che garantivano la legittimit del
lavoro scientifico, in una dimensione asettica e via via
isolata dal contesto della cultura del tempo. I secondi
furono aperti alle istanze dellidealismo, furono
disposti a concedere attenzione allindividuo creatore
e protagonista dellatto di parola, dunque non
badarono solo al sistema della lingua astratto e
collettivo. Tra i neolinguisti vi furono i rappresentanti
della scuola torinese, Matteo Bartoli, Benvenuto
Terracini, e Giulio Bertoni.

Bartoli elabor unoriginale linguistica


spaziale, che, sotto linfluenza del metodo geografico
di Jules Gilliron (che in Italia veniva coniugato con
Benedetto Croce; Contini 1989: 376 ha parlato a
questo proposito di una fisionomia tipica di certa
linguistica italiana della prima met del XX secolo,
non scevra di ibridismi), spiegava le trasformazioni
linguistiche nellarea della Romnia in base alla
distribuzione geografico-spaziale delle forme, e
identificava le caratteristiche specifiche dellarea
italiana nella Romnia. Alla scuola di Bartoli studi
Antonio Gramsci, prima di dedicarsi integralmente
alla politica. Dallinsegnamento linguistico ricav
nozioni che applic largamente in altri campi (cos il
concetto di egemonia), e perfezion una coscienza
della lingua mediante la quale ragion in modo nuovo
sul rapporto tra le classi popolari e litaliano e sulla
questione della lingua. La tematica linguistica
presente nei Quaderni dal carcere, in particolare nei
quaderni 21 (1934-1945) e 29 (1935), ma lopera fu
conosciuta solo nel dopoguerra, quando influenz
notevolmente i linguisti pi attenti alle dinamiche
sociali, come Tullio De Mauro. Terracini si occup di
dialetti, di cultura popolare, di linguaggio letterario,
sviluppando lattenzione allindividuo parlante, cos
come richiedeva la filosofia idealistica, ma allo stesso
tempo collocando il parlante in una rete di rapporti
con la tradizione, nella quale si manifestavano i
vincoli del sistema, che tuttavia non era inteso come
una prigione: il parlante, anzi, compie le proprie scelte
proprio in riferimento al sistema con cui si deve
confrontare.

Lattenzione per lindividuo, piuttosto che per


il sistema della lingua considerato in astratto, quasi
che le lingue fossero organismi organici, viventi di
vita autonoma, era il risultato del pensiero idealistico,
che condizion la linguistica. Anzi, lEstetica come
scienza dellespressione e linguistica generale, il
capolavoro di Croce, tent di sostituire lestetica alla
linguistica, annullando lautonomia di questultima.
Lunica vera linguistica finiva per essere, nella
prospettiva crociana, quella che coglieva latto unico e
irripetibile della creazione linguistica individuale. Il
sistema della lingua veniva dissolto, la socialit
dellatto linguistico non aveva pi alcun significato.
Nessun linguista accetterebbe una simile riduzione,
ma nessuno and allo scontro frontale con un filosofo
autorevole come Croce, il quale, del resto, fu assai pi
tollerante dei crociani usciti dalla sua scuola. Ne
esempio la Storia della grammatica italiana di Ciro
Trabalza, pubblicata nel 1908, che faceva esibizione
di crocianesimo (presentandosi come la storia della
dissoluzione della pseudo-scienza grammaticale), ma
che fu ugualmente condannata da diversi crociani, e
difesa da Croce stesso.

Nel 1937-1938 Migliorini and a ricoprire la


prima cattedra di storia della lingua italiana, a Firenze,
grazie al favore di Giacomo Devoto e del ministro
Bottai. In altre citt italiane si stavano affidando
incarichi di insegnamento della medesima disciplina,
che andarono ad Alfredo Schiaffini (a Roma), allievo
di Ernesto Giacomo Parodi, e a Terracini (a Torino),
allievo di Bartoli. Nel 1939 fu fondata a Firenze la
rivista Lingua nostra. Cominci una stagione nuova
per la linguistica italiana, ora disciplina accademica.
Gli interessi degli studiosi si estesero al di l del
periodo delle origini, al di l dei dialetti e delle leggi
fonetiche. La lingua moderna fu considerata degna di
attenzione. Migliorini sper persino che il linguista
assumesse un compito di controllo della lingua
nazionale, attraverso quella che egli chiamava la
glottotecnica. Ci si avviava a una stagione di studi che
doveva portare alla realizzazione della storia
linguistica nazionale come opera autonoma, analoga a
quella di altri paesi, per es., la Francia (ma da noi non
si ebbe mai unopera della mole di quella francese di
Ferdinand Brunot). Questo strumento ancora
mancava, nonostante la tradizione linguistica italiana
si caratterizzasse (e ancora oggi si caratterizzi) per
una vocazione naturale allo storicismo, riconoscibile
negli studiosi pi diversi, da Vittore Pisani a Devoto,
Giovanni Nencioni e Antonino Pagliaro (cfr.
Ancillotti 1983). Contini (1989: 372-373) ha
osservato che la grammatica storica e anche latlante
linguistico dellarea italiana sono giunti da studiosi di
lingua tedesca (Meyer-Lbke, Karl Jaberg e Jacob
Jud), ma che la storia della lingua italiana, pur con un
po di ritardo, stata realizzata da italiani: il merito
prima di tutto di Schiaffini e Migliorini, a cui si
deve aggiungere ovviamente Devoto. Al 1950 risale la
prima edizione dei Momenti di storia della lingua
italiana di Schiaffini. Nel 1953 (anno della seconda
edizione ampliata dei Momenti dello Schiaffini),
Devoto pubblic il Profilo di storia linguistica
italiana. Nel 1960, infine, in coincidenza del
millenario del Placito capuano, Migliorini pubblic
(dopo un prima breve prova uscita nel 1948) la sua
Storia della lingua italiana, di mole maggiore,
ricchissima di dati, pragmaticamente risolta in essi,
articolata per secoli, poco propensa alla discussione
dei fondamenti teorici, ai quali per contro Devoto si
era dedicato nei Fondamenti della linguistica (1951),
un libro che si colloca a met strada tra la sua storia
della lingua latina (Storia della lingua di Roma, 1940)
e il successivo Profilo di storia linguistica italiana del
1953.
Sulla copertina dei Fondamenti era impressa la
seguente massima: La storia di una lingua la storia
di una civilt. Il Profilo di Devoto costruito attorno
allidea della lingua intesa come istituto. Terracini,
invece, aveva auspicato una storia linguistica fondata
sul rapporto dossequio e di ribellione alla tradizione,
in continua alternativa fra compattezza e
disgregazione del sistema. Devoto rispondeva che lo
storico doveva delimitare geometricamente tratti
essenziali, e non poteva perdersi dietro scelte
individuali e sfumature. Del resto Terracini, pur
dichiarando di ammirare la storia della lingua francese
di Karl Vossler, non scrisse mai una storia della
lingua nazionale. Nel 1963 usc la Storia linguistica
dellItalia unita di De Mauro, ricca di dati statistici e
caratterizzata da un forte impegno civile, con
unattenzione nuova al ruolo delle classi popolari. Da
allora le storie della lingua italiana si sono
moltiplicate in varie forme, anche come strumenti per
la didattica universitaria, in unione alla storia del
latino (Devoto), in dimensione regionale (Litaliano
nelle Regioni, 19921 e 19942, sotto la direzione di
Francesco Bruni), per secoli (Storia della lingua
italiana, 1989-2003, 10 voll., anchessa sotto la
direzione di Bruni), in forma di monografie per temi e
problemi (Storia della lingua italiana, 1993-1994, 3
voll., sotto la direzione di Luca Serianni e Pietro
Trifone). Predominante stata la realizzazione di
queste impegnative opere per mezzo di quipe di
studiosi, mentre cresciuto il peso e il numero di
insegnamenti della disciplina nelle universit. Si sono
anche moltiplicati gli strumenti con cui lavora lo
specialista di linguistica italiana, dalla grammatica
storica (quella di Gerhard Rohlfs, attenta ai dialetti, e
quella di Pavao Tekavi, strutturale), ai dizionari
etimologici (DEI, Dizionario etimologico italiano,
1950-1957; DELI, Dizionario etimologico della
lingua italiana, 1979-1988 e 1999; LEI, Lessico
etimologico italiano, 1979 e segg.), agli atlanti
linguistici, alle grammatiche descrittive, alle
concordanze tradizionali ed elettroniche, ai dizionari
della lingua antica (il TLIO, Tesoro della lingua
italiana delle origini), ai dizionari generali e della
lingua letteraria, alla raccolta di documenti antichi
(terreno in cui si sono distinti Arrigo Castellani e
Alfredo Stussi, ai quali si deve un rinnovato legame
tra storia della lingua e filologia) e al repertorio
completo delle discussioni sulla questione della lingua
(Maurizio Vitale).

La linguistica italiana ha ricevuto negli


ordinamenti universitari del 2000 una definizione che
pu essere utilmente assunta, per quanto di origine
burocratica: essa indica come oggetto della disciplina
la lingua e i dialetti dellarea italiana, con riferimento
a tutte le strutture del linguaggio, alle tradizioni
testuali e stilistiche, agli assetti geolinguistici, alla
didattica. Va da s che la linguistica italiana ha fatto i
conti con tutte le varie tendenze e scuole della
linguistica (strutturalismo, generativismo, linguistica
variazionale e sociolinguistica), mantenendo tuttavia
una sua specificit nel legame con la filologia e anche
con la stilistica, per la consuetudine con il linguaggio
letterario (cos nei lavori di Terracini, Devoto, Pier
Vincenzo Mengaldo, Gian Luigi Beccaria). Le
competenze previste in questo vasto quadro possono
essere individuate anche mediante gli argomenti in cui
si articolano bibliografie specializzate come quelle di
Muljai (1971 e 1991).
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