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italiana, C. Marazzini
Linguistica
Università degli Studi di Ferrara
27 pag.
Il sistema dell’italiano si è formato dal sistema vocalico latino, che aveva dieci vocali,
cinque lunghe e cinque brevi. Lo sviluppo vocalico italiano è caratterizzato da
dittongamento e monottongamento. Altro fenomeno linguistico, che non interessa il
toscano, è la metafonesi, modificazione del timbro di una vocale per influenza di una
vocale che segue. Tipico del fiorentino è invece l’anafonesi. Nel passaggio dal latino alle
lingue romanze si è perso l’uso delle consonanti a fine parola, oltre alla perdita di
opposizione tra vocali brevi e lunghe ed il collasso del sistema delle declinazioni e dei
casi (le parole italiane derivano generalmente dall’accusativo). Il latino aveva tre generi:
maschile, femminile, neutro, che è sparito nelle lingue romanze. Nel latino classico, di
norma era il verbo alla fine della frase, nel latino volgare si usava invece la costruzione
soggetto-verbo-oggetto, prediletta anche all’italiano.
Un graffito e un affresco
Le più antiche testimonianze italiane di scritture volgari sono principalmente documenti
d’archivio. Caso diverso è l’iscrizione della catacomba di Commodilla, un anonimo
graffito sul muro. Si tratta di un’antica testimonianza, che rivela un carattere di
registrazione del “parlato”. Il graffito non porta alcuna indicazione cronologica, ma è più o
meno risalente al VII-IX secolo. Il tratto più notevole è la particolare grafia di “a bboce” (”a
voce”), che rende la pronuncia con betacismo ed il raddoppiamento sintattico. Altro caso,
iscrizione nella basilica di San Clemente, un affresco in cui parole in latino ed in volgare
sono state dipinte accanto ai personaggi che le pronunciano. Tale affresco narra del
Documenti pisani
Ignazio Baldelli ha scoperto una carta pisana che si può collocare tra la metà dell’XI e del
XII secolo. L’antico documento già nel XII secolo fu tagliato, cancellato e riscritto, poi
utilizzato anche per rilegare un nuovo codice. La scoperta di questa carta è da stabilirsi in
America, in quanto è oggi di proprietà della Free Library of Philadelphia. Si tratta di un
elenco di spese navali oppure del riepilogo delle spese per armare una squadra navale.
Sempre di Pisa un documento più tardo, XIII secolo, iscrizione su un sarcofago del
Camposanto.
Capitolo 2
Il Duecento
Il linguaggio poetico dai provenzali ai poeti siciliani
Vi è differenza tra l’uso del volgare nei documenti notarili e l’adozione del volgare come
lingua letteraria. La prima scuola poetica italiana fiorì all’inizio del XIII secolo, a cura di
Federico II di Svevia, nell’Italia meridionale. Altre due letterature romanze si erano
affermate: la letteratura francese in lingua d’öil e la letteratura provenzale in lingua d’oc, la
quale esercitava grande fascino, in quanto lingua della poesia per eccellenza, poesia
incentrata sull’amore. La poesia d’oc si era sviluppata nelle corti di Provenza, Aquitania,
Delfinato, ma aveva esercitato una forte influenza anche al di qua delle Alpi, soprattutto in
corti settentrionali, dove i poeti imitavano i trovatori. I poeti della Scuola siciliana, invece,
imitando i trovatori cambiarono però la lingua, utilizzando il volgare siciliano. Questa
decisione aveva valore formale, infatti il volgare della poesia è in realtà molto raffinato,
mischiato a termini provenzali. Il corpus della poesia delle nostre origini è stato trasmesso
da codici medievali scritti da copisti toscani, che intervennero sulla forma linguistica
“traducendo” i tratti siciliani più cacofonici. La forma toscanizzata venne poi presa per
buona nel corso dei secoli → Dante credeva che queste traduzioni fossero esatte e che
quindi i siciliani avessero come merito quello di essere liberi dai tratti locali della loro
parlata. Fondamentale testimonianza di Giovanni Maria Barbieri: studioso della poesia
provenzale, che esaminò anche il Libro Siciliano, contenente alcuni testi poetici siciliani
originali.
Capitolo 3
Il Trecento
La prosa di Boccaccio
L’importanza del Decameron per la prosa italiana è accentuata dal fatto che la prosa
trecentesca non era ancora stabilizzata in una tradizione salda. Modello di prosa narrativa
era nel Novellino, ma non era adatta a tutti i contesti, dunque il salto di qualità che si ha
col Decameron è davvero molto grande. Nelle novelle di Boccaccio ricorrono situazioni
I volgarizzamenti
I volgarizzamenti sono fondamentali per la formazione della prosa italiana, libera
traduzione che continuò anche nel Trecento, a volte veri e propri rifacimenti del testo
originale. La lingua non è il toscano, ma l’antico romanesco, che si presentava in forme
ancora piuttosto “meridionali”. Ci furono anche altri volgarizzamenti sfruttando parlate
locali. La prosa manteneva in certi casi l’impronta della zona geografica, resistendo
all’omologazione toscana.
Capitolo 4
Il Quattrocento
Latino e volgare
Petrarca si ispirava a Cicerone, Livio, Seneca, Virgilio, Orazio, e misurava la differenza
tra quei modelli ed il latino medievale corrente ai suoi tempi. Dante, invece, non si era
posto un problema simile. Fu Petrarca ad avviare un processo determinante per gli
sviluppi della lingua, non solo di quella classica: confronto con il latino degli autori
“canonici” decisivo per la formazione di una mentalità grammaticale applicata alla
stabilizzazione dell’italiano. Il nuovo gusto classicistico orientò verso una concezione della
lingua intesa come frutto di imitazione dei grandi modelli letterari → stessa idea nello
studio dell’italiano. La svolta umanistica ebbe come conseguenza la “crisi” del volgare, ma
non si smise di usarlo: venne screditato dai dotti. Il disprezzo per il volgare era normale
nella seconda metà del XV secolo → Giorgio Valla parla male delle cantiunculas,
canzoncine in italiano per il popolo degli indotti; latino preferito in quanto più nobile;
volgare accettabile solo nelle scritture pratiche/d’affari. La posizione umanistica poteva
quindi ignorare il volgare, nella convinzione che in Italia, antica e moderna, non fosse
esistita altra tradizione culturale se non latina.
L’Umanesimo volgare
Nell’età di Lorenzo il Magnifico, si ebbe un forte rilancio dell’iniziativa a favore del
toscano. Protagonisti di questa svolta furono Lorenzo de Medici, Cristoforo Landino e il
Poliziano. Landino: cultore della poesia di Dante e di Petrarca → introdotta la lettura di
questi persino nella cittadella universitaria. Landino espone tesi che ricordano quelle
dell’Alberti: nega l’inferiorità del volgare al latino e vuole che Firenze ottenga il
“principato” della lingua. Sosteneva, inoltre, che il fiorentino dovesse arricchirsi con un
forte apporto del latino e del greco. Lorenzo il Magnifico: lo sviluppo della lingua si lega
alla sfera patriottica, inteso come patrimonio e potenzialità dello stato mediceo. 1477: il
Magnifico manda a Federico, figlio di Ferdinando di Napoli, una raccolta di poesie
(Silloge/Raccolta aragonese) → dai pre-danteschi/Stilnovo fino a Lorenzo de Medici
(poesia contemporanea fiorentina). Antologia accompagnata da un’importante epistola,
attribuita al Poliziano. Con Lorenzo il Magnifico e con la sua esaltazione del fiorentino, per
la prima volta la promozione del volgare e la rivendicazione delle sue possibilità si
collegavano ad un intervento culturale e letterario → i toscani rivendicavano il valore della
Capitolo 5
Il Cinquecento
Italiano e latino
Nel Cinquecento, il volgare raggiunse piena maturità, riconoscimento unanime dei dotti e
trionfo della letteratura in volgare → Ariosto, Tasso, Aretino, Machiavelli, Guicciardini.
Il volgare scritto raggiunse un pubblico molto ampio di lettori, causando un processo di
erosione del monopolio del latino, che però non era affatto in posizione marginale; la
maggior parte dei libri era pubblicata ancora in latino. Si avvertiva però un clima nuovo,
perché gli intellettuali avevano fiducia nella nuova lingua e nel processo di
regolamentazione della grammatica → i lettori cercavano delle risposte pratiche, guida per
scrivere correttamente senza latinismi e dialettismi. Metà del Cinquecento: tramonto della
scrittura di koinè; l’italiano raggiunse uno status di lingua di cultura di altissima dignità,
prestigio considerevole anche all’estero. Il latino rimase nella pubblica amministrazione e
nella giustizia, ma in alcuni casi si cominciava a pubblicare anche in volgare (dipendeva
da regione a regione). Diritto ed amministrazione di giustizia: latino aveva netta prevalenza
→ i documenti ci mostrano la mescolanza dei due codici, verbale in latino e risposte in
volgare. Utile considerare il reciproco peso delle due lingue nella produzione di libri:
latino in filosofia, medicina, matematica; volgare in scienza (divulgazione), “arti
applicate”, ricettari di medicina, cosmesi, cucina, architettura, ma soprattutto
letteratura.
Viene prima svolta un’analisi storico-linguistica secondo cui il volgare sarebbe nato
dalla contaminazione del latino ad opera degli invasori barbari. Riscatto del volgare
contaminato dato da scrittori/letteratura → principio adottato: mutamento della qualità delle
lingue, la cui “barbarie” originaria non risulta irreversibile. Le sorti della letteratura
venivano giudicate inscindibili da quelle della lingua. Quando il Bembo parla di lingua
volgare, intende il toscano letterario trecentesco di Petrarca/Boccaccio → i toscani sono
avvantaggiati nella conversazione, ma oggetto del trattato è la letteratura → punto di vista
umanistico che si fonda sul primato della letteratura, vantaggio dei toscani visto come un
rischio: letterati toscani portati ad accogliere parole popolari che macchiano la dignità
della scrittura. Requisito necessario per la nobilitazione del volgare: rifiuto della
popolarità, infatti il Bembo non accettava del tutto il modello della Commedia di Dante
(che adottava anche lo stile basso e realistico), mentre il Canzoniere di Petrarca non
presentava difetti; il Decameron era apprezzato solo nello stile vero e proprio dello
scrittore: latineggiante, con inversioni e frasi gerundive. Il Bembo era favorevole ad una
regolamentazione del latino aderente al “periodo aureo” della classicità, ma non
escludeva che il volgare potesse raggiungere risultati eccellenti, proprio attraverso la
regolamentazione proposta nelle Prose. La soluzione del Bembo fu quella vincente,
perché formalizzava quanto era avvenuto nella prassi: la sua grammatica permetteva di
portare a compimento quel processo spontaneo, depurando il volgare dagli elementi
eterogenei della koinè primo-cinquecentesca.
Il linguaggio poetico
Il petrarchismo è caratteristico del linguaggio poetico cinquecentesco, soluzione coerente
del modello di Bembo: scelta di un vocabolario lirico selezionato, repertorio di topoi,
omogeneità di materiali linguistici e varietà di esiti stilistici. I rapporti tra Tasso e la Crusca
sono un capitolo celebre e doloroso. Tasso non aveva preso le distanze dalla lingua
toscana e non mise mai in discussione la toscanità della lingua italiana, ma non riconobbe
il primato fiorentino. La polemica con la Crusca toccò il suo poema → accuse che
riguardavano questioni di lingua e stile, giudicato oscuro, distorto, sforzato, linguaggio
che era mistura di voci latine, versi giudicati “aspri”. Confronto tra Gerusalemme Liberata e
Orlando furioso: Tasso, rispetto ad Ariosto, non era facile da intendere; lessico ricco di
latinismi e parole “lombarde”. Le critica della Crusca mostrano uno scarso
apprezzamento nei confronti del nuovo gusto letterario (Tasso non si preoccupava delle
norme bembiane). L’Accademia stava per coronare il suo progetto istituzionale, che
regolasse la lingua italiana, ma la repubblica delle lettere prendeva un’altra strada,
divorzio che durerà fino al Seicento.
La Chiesa e il volgare
La Chiesa fu tra i protagonisti della storia linguistica nel periodo dal Concilio di Trento
alla fine del Seicento. La sua lingua ufficiale rimase il latino, ma anche qui sorse il
problema dell’uso del volgare, nella catechesi e nella predicazione → il clero fu infatti
fondamentale per la diffusione dell’italiano. Il Concilio di Trento discusse la legittimità
delle traduzioni della Bibbia → i pontefici intervennero con liste dell’Indice dei libri proibiti,
proibizione che si protrasse fino al XVIII secolo. La questione era la libera interpretazione
Capitolo 6
Il Seicento
Il Vocabolario dell’Accademia della Crusca
L’Accademia della Crusca ebbe un’importanza eccezionale. Fu un’associazione privata
in un’Italia divisa in stati diversi → innumerevoli polemiche rivolte all’Accademia, ma essa
riuscì comunque a portare a termine il disegno di riportare a Firenze il magistero della
lingua → primato della lingua toscana. Contributo più rilevante della Crusca quando si
indirizzò alla lessicografia, dal 1591; gli accademici discussero sul modo di fare il
Vocabolario e si divisero gli spogli da compiere → razionale schedatura. Da Salviati
veniva agli accademici la caratteristica impostazione: autori minori e minimi giudicati degni
di stare a fianco dei grandi della letteratura. Contenuto e forma su piani diversi. Al
momento della creazione del Vocabolario, però, Salviati era già morto e nell’Accademia
non c’era una figura di spicco che potesse raccoglierne l’eredità; tutti erano dilettanti di
giovane età, ma ciò accresce soltanto il loro merito: lavoro condotto con grande coerenza
metodologica e rigore. Il Vocabolario venne pubblicato a Venezia nel 1612 da Giovanni
Alberti → frontespizio: frullone/buratto (strumento usato per separare farina e crusca);
cartiglio: motto “Il più bel fior ne coglie”. Il Vocabolario non fu ispirato ai criteri bembiani: gli
accademici fornirono la lingua del Trecento integrando con l’uso moderno. Il problema
riguardava la selezione delle auctoritates → gli schedatori avevano cercato di evidenziare
la continuità tra lingua toscana contemporanea ed antica, parole del fiorentino vivo
documentate attraverso autori antichi; presentate largamente forme dialettali fiorentine e
toscane; lemmi identici moltiplicati dalla presenza di varianti proprie della lingua antica
non ancora normalizzata. Grafia: distacco dalle convenzioni ispirate al latino. Il
Vocabolario assunse prestigio sovraregionale ed internazionale, dunque aumentò
anche la fama della Crusca. Diverse edizioni del Vocabolario: 1691 edizione stampata a
Firenze, diversa anche nell’aspetto → tre tomi al posto di uno (aumento del materiale),
attenzione anche al linguaggio scientifico (incluso anche Galileo fra gli autori) →
consolidato primato nella lessicografia. I lavori per quest’ultima riedizione durarono
trent’anni, decisivi i contributi di Carlo Dati, Alessandro Segni, Francesco Redi,
Lorenzo Magalotti, Anton Maria Salvini.
Il melodramma
Il melodramma è un genere nuovo, nato tra Cinque e Seicento. L’Italia ne ebbe a lungo
l’egemonia, per quanto riguarda la produzione di opere liriche. Il melodramma permette di
affrontare la questione del rapporto tra parole e musica nella riflessione sull’antica
tragedia greca → melodramma: tentativo di ricreare la tragedia antica, accompagnata dal
canto (vi era infatti la convinzione che la tragedia greca fosse interamente cantata). Il
rapporto tra musica e poesia era considerato stretto: il canto fu un ulteriore canale di
diffusione dei modelli della prosa letteraria italiana, che si imponevano tra il pubblico dei
letterati. Il teatro del Cinquecento era stato recitato e mai cantato (musica negli intermezzi)
→ problema risolto da Peri e Caccini con l’Euridice: canto che permetteva di
comprendere ed intendere il testo, senza deformarlo. La rappresentazione dell’Euridice
avvenne in occasione delle nozze di Maria de Medici → melodramma spettacolo d’élite,
quindi influenza linguistica sulla corte. Il linguaggio poetico del melodramma si inserisce
nella linea della lirica petrarchesca: citazioni e riprese, tradizione codificata.
Capitolo 7
Il Settecento
L’italiano e il francese nel quadro europeo
Le lingue di cultura che potevano ambire ad un primato internazionale, inizio Settecento,
erano poche: spagnolo in fase calante, crescita di prestigio francese, nessun rilievo del
portoghese, lingue slave non conosciute, tedesco ed inglese posizione marginale (la
cultura inglese si diffuse attraverso le traduzioni francesi, mentre del tedesco si avevano
solo giudizi negativi → Romanticismo porta in auge il tedesco). Oltre al francese, anche
l’italiano aveva posizione di prestigio, ma il francese era indispensabile anche per chi
restava in Italia tutta la vita → usato nel nord Italia per appunti, annotazioni, abbozzi,
lettere ad amici → mera scelta di gusto e di costume. Rivarol: attribuiva il successo del
francese a cause storiche, ma soprattutto a profonda virtù strutturale → francese lingua
Distinzione tra lingua orale e scritta: lingua scritta di maggiore dignità, vi operano i dotti.
Principi fondamentali di Cesarotti sulla lingua scritta: non dipende dal popolo/scrittori;
non può essere fissata nei modelli del secolo; non dipende dal “tribunal dei
grammatici” Parte III del saggio → obiettivi molto pratici. Indica la strada per una
normativa illuminata, contrapposta a quella della Crusca → non chiede libertà dalla regola,
riconosce valore d’uso se accomuna scrittore e popolo; se c’è discordanza d’uso, bisogna
seguire la “miglior ragion sufficiente” → gli scrittori sono liberi di ampliare il senso dei
termini vecchi e di introdurne nuovi (per analogia/derivazione/composizione); possibile
fonte i dialetti/parole straniere/neologismi, che possono produrre nuovi traslati e
derivazioni. Osservazioni sul “genio” della lingua → carattere originario tipico di un
idioma/popolo, usato dagli avversari dei forestierismi per dimostrare
estraneità/improponibilità di termini esotici, incompatibili con il genio nazionale. In
Cesarotti duplice concetto di “genio”: grammaticale e retorico (distingue meglio ciò che è
inalterabile da ciò che può mutare nell’evoluzione) → struttura grammaticale: inalterabile;
lessico: retorico (espressività della lingua) Parte IV → conclusione del trattato. Esamina la
situazione italiana e propone soluzioni positive alle polemiche della “questione della
lingua”; si affronta, poi, il tema del rinnovamento della lessicografia → attualità politica:
proposta di magistratura della lingua, istituzione di un Consiglio nazionale della lingua al
posto della Crusca, con sede a Firenze → studi etimologici e filologico-linguistici,
rinnovati i criteri lessicografici, attenzione a lessico tecnico di arti, mestieri, scienze. Da
qui, confronto con patrimonio lessicale di altre nazioni → carenza del lessico italiano,
quindi legittima presenza di forestierismi tecnici già in uso. Compito finale del Consiglio:
compilazione di un nuovo Vocabolario: edizione ampia ed una ridotta, ad uso comune +
traduzione di autori stranieri. Il Saggio di Cesarotti non ebbe però il successo sperato
dall’autore, rimasto inascoltato.
Il linguaggio poetico
1690: fondata a Roma l’Arcadia, movimento poetico. Lingua tradizionale ispirata a modelli
petrarcheschi, obiettivo liberarsi di eccessi della poesia barocca. Adesione al passato,
uso di toponomastica/onomastica classica, mitologia (latinismi e arcaismi), tendenza a
nobilitazione → largo uso di enclisi, iperbati, troncamenti del verbo all’infinito,
soprattutto per distinguere la poesia dalla prosa → tra due termini si sceglie quello più
La prosa letteraria
La prosa saggistica è uno dei nuclei più solidi della produzione culturale, e si avvia verso
una sostanziale semplificazione sintattica. Confronto con tradizione francese e inglese
→ Alessandro Verri: ammirazione per ordine della scrittura francese/brevità della scrittura
inglese. Critica lo stile italiano. Notti romane: prosa come nobile modello neoclassico,
latinismi, sostenutezza oratoria → strano, visto che invocava rivoluzione linguistica.
Giambattista Vico: aderito al “capuismo”, movimento arcaizzante di Leonardo Di Capua,
che imitava i modelli toscani antichi → arcaismi, latinismi, sintassi diversa dalla
struttura classicistica ricca di equilibrio; moltissime subordinate. Vittorio Alfieri: va
controcorrente, parla male della lingua francese, praticava la lingua toscana viva. Nelle
sue tragedie un volontario allontanamento dalla normalità e dal “cantabile” grazie a
trasposizione sintattica e spezzatura delle frasi. Asprezza/durezza del dettato
rimproverata già dai contemporanei, altri celebravano l’avvento di un vero autore tragico.
Capitolo 8
L’Ottocento
Purismo e classicismo
All’inizio dell’Ottocento si sviluppò il movimento del Purismo → intolleranza di fronte ad
ogni innovazione; conseguenza: forte antimodernismo, culto dell’epoca d’oro della lingua
(il Trecento) → inattualità di questo pensiero, che ne impedì la fortuna. Il canone della
perfezione linguistica veniva esteso al di là delle opere degli autori → si apprezzava la
letteratura ma anche le scritture quotidiane/note contabili/libri dei mercanti fiorentini.
Antonio Cesari è capofila del Purismo, ma oltre a lui:
Vincenzo Monti pose freno alle esagerazioni del Purismo (non sopportava il Cesari). La
sua critica arrivò a colpire anche il Vocabolario della Crusca → Proposta di alcune
correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca (1817/24), in cui Monti cercava gli
errori compiuti dai vocabolaristi fiorentini (scarsa preparazione filologica). Anche Stendhal
condannava con forza il Purismo e metteva a fuoco la situazione linguistica dell’Italia →
vitalità dei dialetti e artificiosità della lingua letteraria.
Il linguaggio giornalistico
Nel XIX secolo il linguaggio giornalistico acquistò importanza superiore a quella che
aveva avuto in precedenza. Aumento delle tirature che finì per avere conseguenze
pratiche. Nella seconda metà del secolo il giornalismo divenne fenomeno di massa →
edicole punto di vendita della stampa periodica: voci colte alternate a voci popolari,
anche se evitati dialettismi vistosi molte voci regionali si diffondono in tutta Italia (camorra
La prosa letteraria
Gli sviluppi della prosa nell’Ottocento sono di enorme importanza → si fonda la moderna
letteratura narrativa con due svolte fondamentali: Alessandro Manzoni e Giovanni
Verga. Manzoni: rinnova il linguaggio con il genere “romanzo”/saggistica. Svolta data da I
Promessi Sposi, che ha senza dubbio influenzato il destino della lingua italiana con stile
naturale, sciolto. Modelli di prosa toscana simile a quella di Manzoni → Collodi, Le
avventure di Pinocchio. Modelli di prosa toscana diversa da quella di Manzoni →
Gianfranco Contini li descrive parlando di “mistilinguismo”, anticipatori
dell’espressionismo otto-novecentesco; stile dato da uso di forme linguistiche di fonti
diverse → toscano arcaico, moderno, linguaggio comune, dialetto. Verga: svolta
inaugurata da I Malavoglia. Verga non abusa del dialetto; procedimento che adatta la
lingua italiana a plausibile strumento di comunicazione per i personaggi siciliani
appartenenti al ceto popolare, senza regredire al dialetto usato integralmente. Usate
parole dialettali conosciute in tutta Italia + innesti fraseologici; tratti popolari i soprannomi
dei personaggi, raddoppiamenti, ripetizioni → simula oralità viva. Nuova la sintassi di
Verga → discorso indiretto libero: non vengono aperte le virgolette, lo scrittore riferisce
parole e pensieri del personaggio ma usa modi e forme propri del discorso diretto →
oscillazione tra autore e personaggio.
La poesia
Il linguaggio poetico dell’Ottocento si caratterizza per una fedeltà alla tradizione
aulica/illustre. Lessico selezionato da serie di parole “nobili”, cultismi, latinismi,
sincope e troncamento. Anche Leopardi dichiara che gli arcaismi si confanno alla
poesia → tradizione petrarchesca e tassiana; Leopardi acquisisce anche il principio del
carattere del “vago” del linguaggio poetico: non ci devono essere “termini” che definiscano
in maniera precisa, ma “parole” che suggeriscono qualcosa di indefinito, “poetico”. Il
linguaggio poetico ottocentesco ha difficoltà ad accettare novità formali, parole
nuove/concrete solo nella poesia giocosa, anche se la quotidianità premeva sul linguaggio
poetico (anche temi nuovi) → poeti classicisti usavano perifrasi. Innovazioni nella
seconda metà del secolo → eccezionale sviluppo della poesia in dialetto. Giordani
obiettava che l’uso dei dialetti era nocivo alla nazione; poesia dialettale da posizionare su
un piano basso, nessuna funzione di progresso. Giordani sentiva la mancanza di una
lingua diffusa largamente, che portasse a coscienza nazionale. I romantici milanesi,
invece, erano favorevoli alla tradizione in dialetto, modo di avvicinarsi alla lingua popolare
+ canale di diffusione di cultura tra ceti bassi.
Capitolo 9
Il Novecento
Il linguaggio letterario nella prima metà del secolo
Autori vissuti a cavallo tra i due secoli, come D’Annunzio e Pascoli, testimoniano le
trasformazioni in atto → lingua italiana un ribollire di novità. Carducci è forse l’ultimo
scrittore che incarni il ruolo tradizionale del vate, la lingua della sua poesia aderente alle
Funzione rivoluzionaria dei dialetti + imbarbarimento del linguaggio dei giovani. Nel
suo intervento, Pasolini parlava anche di se stesso/altri autori del Novecento, sistema di
riferimento il rapporto con la “lingua media”, termine di confronto negativo → Pasolini
privilegiava esperimenti di plurilinguismo. ”Italiano medio”: comportamento linguistico degli
scrittori → distinti coloro che amputano ogni originalità stilistica da coloro che preferiscono
soluzioni di rottura scarsamente comunicative. Lo scrittore di oggi gode di grande libertà.
Per molti autori il dialetto è stata fonte di arricchimento linguistico. Difficile sintetizzare le
tendenze della lingua poetica → rinnovamento poetico (Ungaretti, Saba, Montale):
grande varietà di soluzioni stilistiche, linguaggio comune e quotidiano, esiti arditi.
Capitolo 10
Quadro linguistico dell’Italia attuale
Dove si parla italiano
L’italiano è parlato in tutto il territorio della Repubblica italiana, di cui è la lingua ufficiale
(anche se la Costituzione non le assegna ufficialmente tale funzione). E’ parlato nello
Stato del Vaticano, nella Repubblica di San Marino, in alcuni cantoni della Svizzera; lo
si comprende nel Nizzardo, nel Principato di Monaco, nelle ex colonie italiane, nell’ex
protettorato di Rodi, in Istria, in alcune località della Dalmazia; da tener conto anche
Gli alloglotti
Nei confini italiani sono presenti alcuni tipi di alloglotti di origine romanza e non romanza
→ “minoranze linguistiche”: numero consistente di alloglotti. Si parla di
“propaggi”/”penisole” di alloglotti quando aree linguistiche più grandi, al di fuori del
territorio nazionale, si estendono anche entro i confini. “Isole linguistiche” sono invece
comunità di alloglotti molto piccole ed isolate. La legge 482/1999 tutela le minoranze
albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate, francesi, franco-provenzali,
friulane, ladine, occitane e sarde. Molti alloglotti parlano lingue del gruppo romanzo.
Accanto al ladino, anche il sardo può essere considerato una vera e propria lingua ma,
tuttavia, non si è mai giunti alla creazione di una koinè sarda. Coloro che parlano il sardo
sono circa un milione. Si parla di “isole linguistiche” se ci si trova in presenza di comunità
caratterizzate da una specifica diversità, numericamente molto ridotte, geograficamente
circoscritte in un territorio piccolissimo. Esistono gruppi alloglotti romanzi e non romanzi →
propaggini tedesche (che hanno spesso dato problemi di natura politica ed
amministrativa) → statuto speciale della provincia di Bolzano, dove il tedesco ha status di
lingua ufficiale assieme all’italiano. Grande interesse per le colonie greche nel territorio
italiano, una in Calabria ed una in Salento → due teorie sull’origine: eredità della Magna
Grecia; conseguenza dell’occupazione bizantina. Le propaggini slave erano molto
importanti prima della guerra, ma si sono ridotte quando l’Istria è passata all’ex Jugoslavia.
Vi sono comunque moltissime colonie di albanesi di immigrati giunti dal XV secolo → nel
XX secolo c’è stata una nuova emigrazione dall’Albania, che non ha alcuna relazione
storica con quella precedente; immigrazioni anche da Terzo Mondo, Africa, Asia, Centro
e Sud America → stanno prendendo il posto delle vecchie minoranze storiche per
importanza, peso sociale e gravità dei problemi posti dalla loro presenza. La nuova
immigrazione ha creato un nuovo sottoproletariato urbano, con scarse possibilità di
integrazione/gruppi etnici isolati/tradizioni che si scontrano con leggi e altre tradizioni.