Sei sulla pagina 1di 28

Breve storia della lingua

italiana, C. Marazzini
Linguistica
Università degli Studi di Ferrara
27 pag.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
Capitolo 1
Origini e primi documenti dell’italiano
Dal latino all’italiano
L’italiano deriva dal latino, ma non quello classico, bensì il cosiddetto “latino volgare”.
Concetto utile per indicare i diversi livelli linguistici (diacronici) esistenti nel latino, che
rinviano a livelli sociolinguistici (sincronici) diversi. Anche il latino si è evoluto nel tempo e
non aveva un’unità linguistica assoluta. Uno dei mezzi per ricostruire elementi del latino
volgare all’origine degli sviluppi romanzi è la comparazione tra le lingue neolatine. Il latino
volgare conteneva molte parole presenti anche nel latino scritto, mentre altre furono
innovazioni del latino parlato; in latri casi ancora, si ebbe un cambiamento nel significato
della parola latina letteraria, la quale assunse un significato diverso nel latino volgare
(spostamenti di significato del genere sono assai numerosi). Esiste, inoltre, una serie di
testi che possono darci informazioni utili per carpire caratteristiche del latino parlato a
livello popolare (o latino tardo): libri dedicati alle materie pratiche, testi teatrali
(importante il Satyricon di Petronio), anche scritture occasionali, come le scritte sulle
pareti (ritrovamenti di Pompei). Appendix Probi: lista di 227 parole o forme grafiche non
corrispondenti alla buona norma. Un maestro raccolse le forme errate in uso presso i suoi
allievi affiancandole alle forme corrette. Opinioni diverse sulla sua datazione, oggi gli
studiosi la collocano nel V o VI sec d.C. Le forme definite “errate” nell’Appendix Probi
contenevano gli sviluppi della successiva evoluzione verso la lingua nuova → quando
l’errore si generalizza, diventa norma per tutti i parlanti. Nel latino volgare vi erano
tendenze innovative, che gli studiosi chiamano fenomeni di “sostrato”: il latino si impone
su lingue preesistenti, che influenzano l’apprendimento del latino stesso. Altro problema è
il ruolo del “superstrato”, ovvero l’influenza di altre lingue che si sono sovrapposte al
latino (esempio, invasioni barbariche). A tali definizioni si può aggiungere quella di
“adstrato”, azione esercitata da una lingua confinante. Oggi si tende ad attribuire meno
rilevanza al superstrato, perché l’apporto lessicale di tali lingue sull’italiano è minimo:
esempio, l’invasione degli ostrogoti (489 d.C.), la cui permanenza nei territori italiani si
prolungò fino al 535/53 d.C. Termini gotici nell’italiano sono meno di una settantina. Altro
esempio invasione dei longobardi (568 d.C.), dominio che durò molto più a lungo (fino a
venuta dei Franchi nell’VIII sec) e lasciò un’eredità di ben duecento parole (esempio
eclatante la Lombardia stessa). Insediamento dei Franchi di carattere diverso: nobili ed
élite ai vertici di potere civile e militare. Difficile stabilire se i prestiti derivino dall’antico
francese o se da una fase successiva. Di grande rilevanza la diffusione della letteratura
provenzale e francese, di lingua d’oc.

Fonetica e grammatica storica


Le modificazioni subite dal latino nel suo processo di trasformazione non sono state
casuali, anzi, si riscontra regolarità e regole di sviluppo ben precise, organizzabili in
maniera sistematica, tanto da poter fornire descrizioni metodiche per ciascuna delle lingue
romanze: campo della “grammatica storica”. Le sue leggi sono diverse da lingua a lingua
e non sono prive di eccezioni o anomalie. Nozioni di fonetica:

 a vocale centrale, vocali anteriori (palatali) è, é, i, vocali posteriori (velari) u, ò, ó


 e/o distinte in chiuse o aperte
 vocali distinte in lunghe o brevi
 vocali che portano l’accento sono toniche, altrimenti sono dette atone

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
 combinazioni particolari di suoni sono i dittonghi (ascendenti o discendenti). i/u
sono pronunciate in maniera intermedia e prendono il nome di
semivocali/semiconsonanti
 consonanti pronunciate con un restringimento (fricative) od occlusione del flusso
d’aria (occlusive). Combinazione di fricative ed occlusive dà affricate
 le consonanti possono essere sorde o sonore

Il sistema dell’italiano si è formato dal sistema vocalico latino, che aveva dieci vocali,
cinque lunghe e cinque brevi. Lo sviluppo vocalico italiano è caratterizzato da
dittongamento e monottongamento. Altro fenomeno linguistico, che non interessa il
toscano, è la metafonesi, modificazione del timbro di una vocale per influenza di una
vocale che segue. Tipico del fiorentino è invece l’anafonesi. Nel passaggio dal latino alle
lingue romanze si è perso l’uso delle consonanti a fine parola, oltre alla perdita di
opposizione tra vocali brevi e lunghe ed il collasso del sistema delle declinazioni e dei
casi (le parole italiane derivano generalmente dall’accusativo). Il latino aveva tre generi:
maschile, femminile, neutro, che è sparito nelle lingue romanze. Nel latino classico, di
norma era il verbo alla fine della frase, nel latino volgare si usava invece la costruzione
soggetto-verbo-oggetto, prediletta anche all’italiano.

Quando nasce una lingua


La genesi di una lingua è un fenomeno lungo e complesso. Si parla di “latino medievale”
come entità specifica ed a sé stante, diversa da latino classico e volgare, che esisteva
nell’uso ma non veniva usato nello scritto. In questa fase non vennero prodotti documenti,
ma il latino volgare si fece sentire sempre più nel latino medievale per mezzo di
“volgarismi”. Verso il XIII secolo, si cominciò a mettere il volgare per iscritto. La
caratteristica principale dei documenti antichi è però la casualità (sia nella realizzazione
sia nel ritrovamento). Primo problema da risolvere: intenzionalità dello scrivente, la sua
“coscienza linguistica”. Il primo documento della lingua francese volgare - I Giuramenti di
Strasburgo (842) - ne è un esempio: Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, nipoti di Carlo
Magno, giurarono alleanza di fronte agli eserciti contro il fratello Lotario. Ludovico era
sovrano di territori di lingua tedesca, Carlo di territori galli-romanzi, ed ognuno giurò nella
lingua dell’altro → il giuramento di Ludovico è il più antico documento di lingua volgare
francese ed in questo caso l’intenzionalità dello scrivente è palese. Per quanto riguarda
l’italiano, invece, primo documento scritto è il Placito Capuano, che è simile ma anche
diverso rispetto ai Giuramenti di Strasburgo: la differenza è che il documento italiano (più
tardo) non si lega ad eventi storici di rilievo ma ad una piccola controversia giudiziaria di
portata locale. Indovinello Veronese: un codice scritto in Spagna e giunto a Verona reca
nel margine superiore del foglio due note, la seconda in latino corretto, la prima in volgare,
l’indovinello, che allude all’atto della scrittura. Il problema più importante dell’Indovinello
Veronese è che non è chiaro se sia possibile collocarlo tra i primi documenti di volgare
italiano, perché non si conosce la coscienza linguistica dello scrivente.

Un graffito e un affresco
Le più antiche testimonianze italiane di scritture volgari sono principalmente documenti
d’archivio. Caso diverso è l’iscrizione della catacomba di Commodilla, un anonimo
graffito sul muro. Si tratta di un’antica testimonianza, che rivela un carattere di
registrazione del “parlato”. Il graffito non porta alcuna indicazione cronologica, ma è più o
meno risalente al VII-IX secolo. Il tratto più notevole è la particolare grafia di “a bboce” (”a
voce”), che rende la pronuncia con betacismo ed il raddoppiamento sintattico. Altro caso,
iscrizione nella basilica di San Clemente, un affresco in cui parole in latino ed in volgare
sono state dipinte accanto ai personaggi che le pronunciano. Tale affresco narra del

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
miracolo di San Clemente: protagonisti un patrizio, che parla in latino ed i suoi due schiavi,
che parlano un vivace volgare, testimonianza eccezionale data l’antichità di quest’opera
(fine XI secolo).

L’atto di nascita dell’italiano: il “Placito Capuano” del 960


La scoperta del Placito Capuano risale al Settecento, ma in quel periodo non creò
scalpore. In questo documento vi è testimonianza della netta e cosciente separazione del
latino dal volgare, codici linguistici impiegati nello stesso documento ma con due finalità
differenti. Si tratta di un verbale notarile, relativo ad una causa discussa di fronte al
giudice. La disputa era tra il monastero di Montecassino ed un tal Rodelgrimo di Aquino,
che rivendicavano le stesse terre come proprie. Furono coinvolti due testimoni, il cui
dibattito si svolse completamente in volgare: la verbalizzazione incluse le loro
testimonianze così come erano state pronunciate e non tradotte in latino (com’era solito,
invece, accadere). Il contrasto tra latino ed italiano è netto; interessante come la formula
volgare venga ripetuta sempre identica, segno che era stata soggetto di formalizzazione.

Documenti notarili e giudiziari


I notai erano la categoria sociale che aveva più frequentemente occasione di usare la
scrittura, impegnati in un lavoro di transcodificazione della lingua quotidiana e
formalizzazione giuridica del latino. Certe volte i notai aggiungevano delle note personali,
come nella Postilla amiatina, frase di cui non è facile spiegare il significato, ma che ha un
andamento piuttosto ritmato. Altri documenti notarili: Carta Osimana (1151), in cui il
volgare non si trova nelle postille, ma non testo stesso; Carta fabriana (1186), dove
vengono elencati confini di alcuni possedimenti ed alcune indicazioni di toponimi; Carta
picena (1193), rogito di vendita di terre che contiene una parte in volgare. A questo gruppo
vanno ricondotte due pergamene del 1158 dell’Archivio vescovile di Volterra, che
raccolgono le testimonianze di sei “boni homines”, di cui ricorrono alcune frasi di senso
compiuto. Insomma, latino e volgare si alternano senza una ragione apparente, ma il
volgare è preferito quando viene introdotto l’aneddoto. Altri testi volgari sono Dichiarazione
di Paxia (1178-1182 ca) e diversi documenti della Sardegna (XI-XIII sec).

Il filone religioso nei primi documenti dell’italiano


Al filone religioso potrebbero essere ricondotti il graffito della catacomba di Commodilla e
l’iscrizione della basilica di San Clemente. Per quanto riguarda documenti veri e propri:
Formula di confessione umbra (1037-1080 ca), una vera e propria formula di confessione
che proviene dalla zona di Norcia; Sermoni subalpini (XII-XIII sec. ca), una raccolta di
prediche in volgare piemontese, la cui importanza è grandissima, visto che una delle prime
raccolte di prediche conosciute in una lingua neolatina. I testi alternano parti in latino al
corpo vero e proprio del discorso, che vede anche alcune caratteristiche del piemontese
moderno.

Documenti pisani
Ignazio Baldelli ha scoperto una carta pisana che si può collocare tra la metà dell’XI e del
XII secolo. L’antico documento già nel XII secolo fu tagliato, cancellato e riscritto, poi
utilizzato anche per rilegare un nuovo codice. La scoperta di questa carta è da stabilirsi in
America, in quanto è oggi di proprietà della Free Library of Philadelphia. Si tratta di un
elenco di spese navali oppure del riepilogo delle spese per armare una squadra navale.
Sempre di Pisa un documento più tardo, XIII secolo, iscrizione su un sarcofago del
Camposanto.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
Primi documenti letterari
Vero sviluppo della letteratura italiana si ebbe solamente nel XIII secolo, a partire dalla
scuola poetica nella corte di Federico II, la Scuola siciliana. Tracce di componimenti
poetici italiani si possono trovare a partire dalla seconda metà del XII secolo, nella forma
del “ritmo”. Ritmo bellunese: quattro versi volgari in una memoria latina. Altri versi in
volgare italiano sono però di autori non italiani, che però soggiornarono nella penisola.
Versi italiani con intento letterario presenti solo dal XIII secolo in poi: Ritmo laurenziano,
Ritmo cassinese, Ritmo su Sant’Alessio; del resto, i tempi sono maturi vista la produzione
di San Francesco e la nascita della scuola poetica in Sicilia. Recentemente sono stati
rinvenuti due nuovi componimenti poetici, collocabili nel XII secolo o poco oltre. Il primo è
una canzone di decasillabi, il secondo di cinque endecasillabi, le più antiche testimonianze
di poesia lirica d’amore in volgare italiano. Potrebbero essere di origine settentrionale, ma
potrebbero anche avere origine diversa (meridionale) ed aver acquisito tratti settentrionali
in seguito.

Capitolo 2
Il Duecento
Il linguaggio poetico dai provenzali ai poeti siciliani
Vi è differenza tra l’uso del volgare nei documenti notarili e l’adozione del volgare come
lingua letteraria. La prima scuola poetica italiana fiorì all’inizio del XIII secolo, a cura di
Federico II di Svevia, nell’Italia meridionale. Altre due letterature romanze si erano
affermate: la letteratura francese in lingua d’öil e la letteratura provenzale in lingua d’oc, la
quale esercitava grande fascino, in quanto lingua della poesia per eccellenza, poesia
incentrata sull’amore. La poesia d’oc si era sviluppata nelle corti di Provenza, Aquitania,
Delfinato, ma aveva esercitato una forte influenza anche al di qua delle Alpi, soprattutto in
corti settentrionali, dove i poeti imitavano i trovatori. I poeti della Scuola siciliana, invece,
imitando i trovatori cambiarono però la lingua, utilizzando il volgare siciliano. Questa
decisione aveva valore formale, infatti il volgare della poesia è in realtà molto raffinato,
mischiato a termini provenzali. Il corpus della poesia delle nostre origini è stato trasmesso
da codici medievali scritti da copisti toscani, che intervennero sulla forma linguistica
“traducendo” i tratti siciliani più cacofonici. La forma toscanizzata venne poi presa per
buona nel corso dei secoli → Dante credeva che queste traduzioni fossero esatte e che
quindi i siciliani avessero come merito quello di essere liberi dai tratti locali della loro
parlata. Fondamentale testimonianza di Giovanni Maria Barbieri: studioso della poesia
provenzale, che esaminò anche il Libro Siciliano, contenente alcuni testi poetici siciliani
originali.

Documenti poetici centro-settentrionali


Con la morte di Federico II venne meno la poesia siciliana, anche se rimase localmente.
L’eredità della poesia italiana passò quindi alla Toscana e a Bologna, con gli stilnovisti,
che trattavano principalmente l’amore nelle loro opere. In questo periodo ci sono però
anche altri generi: poesia religiosa, la più famosa il Cantico di frate Sole di San Francesco
d’Assisi, scritto in volgare umbro; oltre a ciò, anche le “laudi” religiose, trascritte in “laudari”
ed utilizzate dalle confraternite come preghiere cantate. La maggior parte delle laudi erano
componimenti anonimi e di lingua quotidiana e poco ricercata. In Italia settentrionale fiorì
anche un’altra letteratura in volgare, soprattutto in area lombarda, e la lingua è fortemente

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
settentrionale. Si differenzia dalla letteratura toscana perché quest’ultima si sviluppò
partendo dall’eredità dei poeti siculo-toscani, anche nella metrica: Giacomo da Lentini è
considerato inventore del sonetto. Alcuni sicilianismi passeranno anche ad autori come
Dante e Petrarca. Dante attribuirà poi a Guinizzelli la svolta stilistica che avrebbe portato
alla nuova poesia d’amore. Permangono elementi come gallicismi, provenzalismi e
sicilianismi, ma anche alcune forme bolognesi (Guinizzelli era, infatti, nativo del capoluogo
emiliano). In generale, le esperienze di Dante rientrano nella poesia volgare fiorentina per
temi e forme linguistiche → crescita continuativa, possibilità linguistiche varie (generi
letterati diversi, come farà Dante nella Vita Nuova)

Dante, primo teorico del volgare


Le idee di Dante sul volgare si leggono nel De Vulgari Eloquentia e nel Convivio. Nel
Convivio il volgare viene celebrato come nuova alternativa rispetto al latino per un
pubblico che non era in grado di leggere il latino → fiducia completa nella nuova lingua Nel
Convivio il latino è ritenuto superiore poiché utilizzato nell’arte, nel De Vulgari Eloquentia è
il contrario, perché il volgare è più naturale. Quest’ultimo è il primo trattato sulla lingua e
poesia volgare, riscoperto nel XVI secolo, diventando uno dei testi fondamentali nel
dibattito linguistico del Rinascimento. Dante si muove dalla creazione di Adamo: unico
animale dotato di linguaggio è l’uomo, diversificato quindi da tutti gli altri animali,
gerarchicamente più in basso di lui, e dagli angeli, più in alto di lui → origine del linguaggio
ripercorsa attraverso il racconto biblico, nodo centrale l’episodio della Torre di Babele. Le
lingue letterarie, invece, sono creazioni artificiali dei dotti, che frenano la mutevolezza
naturale degli idiomi. Dante procede seguendo la diversificazione geografico-spaziale
delle lingue naturali e concentrando la propria attenzione su spazi geografici via via più
ristretti; attenzione maggiormente rivolta all’Europa. Infine, tratta del gruppo linguistico
composto da francese, provenzale ed italiano, arrivando poi alla sola area italiana →
svariate parlate locali, Dante cerca la migliore e più illustre. La conclusione cui perviene è
che tutte sono indegne del volgare illustre; tra i più condannati il toscano ed il fiorentino,
mentre i migliori sono il siciliano ed il bolognese. Secondo Dante, la nobilitazione del
volgare deve avvenire attraverso la letteratura.

La formazione della prosa volgare


La prosa duecentesca appare in ritardo → vistosa semplicità sintattica. Il latino detiene
ancora primato assoluto per comunicazione scritta e cultura. Inoltre, il volgare è
necessariamente influenzato dal latino. Minore risulta l’influenza del francese, anche se
alcuni italiani usavano il francese per scrivere le loro opere e tale lingua influenzava
parecchio i volgarizzatori; si possono infatti verificare parecchi prestiti lessicali. Importante
ricordare che nel Duecento il latino ed il francese non si contrappongono ad un solo tipo di
volgare ma bensì ad un’ampia varietà → non esiste una prosa modello che si imponga
sulle altre regioni, anche se il ruolo della Toscana stava delineandosi. Oltre alla prosa
letteraria, sono importanti anche altri tipi di documenti, come carte che parlavano di
interessi pratici, quotidiani, economici.

Capitolo 3
Il Trecento

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
Dante e il successo toscano
La Commedia è scritta in una lingua diversa da quella teorizzata nel De Vulgari
Eloquentia, e lo stile utilizza risorse ben più vaste di quelle proprie della poesia lirica
stilnovista, oltre che avere una ricchezza tematica e letteraria maggiore di tutte le opere
della tradizione fin allora esistente, che favorì la promozione del volgare → il successo
dell’opera di Dante ed il successo della lingua italiana andavano di pari passo, anche
perché la Commedia non è stata scritta a Firenze, ma in esilio (contatto con l’Italia
settentrionale e le sue parlate) Il successo della Commedia fu determinante per il
successo della lingua toscana, che iniziò la sua espansione, processo irreversibile a causa
del fatto che nel Trecento altri due autori produssero opere in volgare fiorentino: Petrarca
(il Canzoniere) e Boccaccio (il Decameron). I tre autori sono stati denominati le Tre
Corone, per indicare la loro supremazia rispetto a tutti gli altri. Il fiorentino era, poi, dotato
di parecchie potenzialità in più rispetto a molte altre parlate italiane: posizione mediana tra
le parlate italiane (penetra bene sia a nord sia a sud), molto simile al latino.

Varietà linguistica della Commedia


Dante è il “padre” del nostro idioma nazionale. La Commedia è un’opera universale: il
vocabolario fondamentale dell’italiano, quando Dante comincia a scriverla, è già costituito
al 60%, e sfruttato da Dante per la propria opera, tramandandolo così nel secoli → fine
Trecento, vocabolario formato al 90%. Grande presenza di latinismi, cui Dante si ispira
tramite letteratura, Sacre Scritture, filosofia e scienza. Esempio di latinismo dantesco il
discorso di Giustiniano nel canto VI del Paradiso, in cui molti termini sono costruiti grazie
all’ausilio della lingua classica. Oltre al latino, Dante ha dimostrato di conoscere anche
altre discipline: utilizza termini derivanti dall’arabo e riferiti all’astrologia, di cui è grande
conoscitore. Il plurilinguismo è una delle categorie utilizzate per definire la poetica di
Dante, scelta dettata dalla disponibilità ad accogliere elementi di provenienza disparata,
visto che le vicende della Commedia si spostano dall’Inferno verso il Paradiso, dunque dal
livello basso del linguaggio al livello più elevato. Il poema, nel suo complesso, è un’opera
fiorentina, che sembra contraddire i temi del De Vulgari Eloquentia → Dante si sente libero
di fronte ai tratti morfologici del fiorentino del suo tempo; si può parlare di polimorfia nella
lingua della Commedia → tendenza di polimorfia nella lingua italiana.

Il linguaggio lirico di Petrarca


La caratteristica dominante del linguaggio poetico di Petrarca è la sua selettività, che
esclude molte parole usate da Dante nella Commedia, inadatte al genere lirico. La parte
dell’opera petrarchesca scritta in volgare è estremamente ridotta rispetto a quella latina,
infatti si può definire il Canzoniere come una sorta di “divertimento” dell’autore. Petrarca
aveva familiarità con il latino, aveva abitudine ad usarlo come normale strumento di
comunicazione → Canzoniere: volgare non è “lingua naturale”, ma anzi raffinato gioco
poetico. La lingua naturale dell’uomo colto è il latino. Piano sintattico: largo uso di
dispositio che muta l’ordine delle parole. Chiasmi, antitesi, enjembements, anafore,
allitterazioni, binomi di aggettivi dal significato analogo → caratteristiche che diventeranno
tipiche della lirica italiana. Uniti ai nomi possessivi preposizioni, articoli, aggettivi, manca
l’apostrofo, pochi elementi di segni di interpunzione, latinismi grafici, segni di
abbreviazione.

La prosa di Boccaccio
L’importanza del Decameron per la prosa italiana è accentuata dal fatto che la prosa
trecentesca non era ancora stabilizzata in una tradizione salda. Modello di prosa narrativa
era nel Novellino, ma non era adatta a tutti i contesti, dunque il salto di qualità che si ha
col Decameron è davvero molto grande. Nelle novelle di Boccaccio ricorrono situazioni

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
narrative molto variate ed in contesti sociali diversi. Tutte le classi sociali si muovono
sulla scena, quadri geografici e politici differenti. Anche la lingua, dunque, deve variare:
fiorentino, veneziano, senese, toscano rustico. Vivacità del dialogo → elementi popolari ed
anacoluti. Lo stile boccacciano è caratterizzato da complessa ipotassi (cornice delle
novelle). Stile magniloquente, con tante subordinate e struttura latineggiante. E’ questo
che verrà imitato in futuro da numerosi autori, pesando poi sulla stabilizzazione normativa
della lingua italiana. Lo stile di Boccaccio rimane comunque un esempio di straordinaria
ricchezza: elementi ritmici, omoteleuti, parallelismi sintattici, simmetrie del periodo,
allitterazioni, figure retoriche. Scartando le parlate italiane che inserisce nella sua opera, in
realtà il suo stile è quello del fiorentino medio-alto. Fun fact: Giovanni Boccaccio è anche
autore di uno dei più antichi testi in volgare napoletano (1339), uno dei primi esempi della
cosiddetta “letteratura dialettale riflessa”, ovvero cosciente di essere tale. E’ un’opera
dal tono scherzoso, un divertimento occasionale del poeta, che è però importante dal
punto di vista linguistico perché mostra un uso volontario di un volgare diverso dal proprio.

I volgarizzamenti
I volgarizzamenti sono fondamentali per la formazione della prosa italiana, libera
traduzione che continuò anche nel Trecento, a volte veri e propri rifacimenti del testo
originale. La lingua non è il toscano, ma l’antico romanesco, che si presentava in forme
ancora piuttosto “meridionali”. Ci furono anche altri volgarizzamenti sfruttando parlate
locali. La prosa manteneva in certi casi l’impronta della zona geografica, resistendo
all’omologazione toscana.

Capitolo 4
Il Quattrocento
Latino e volgare
Petrarca si ispirava a Cicerone, Livio, Seneca, Virgilio, Orazio, e misurava la differenza
tra quei modelli ed il latino medievale corrente ai suoi tempi. Dante, invece, non si era
posto un problema simile. Fu Petrarca ad avviare un processo determinante per gli
sviluppi della lingua, non solo di quella classica: confronto con il latino degli autori
“canonici” decisivo per la formazione di una mentalità grammaticale applicata alla
stabilizzazione dell’italiano. Il nuovo gusto classicistico orientò verso una concezione della
lingua intesa come frutto di imitazione dei grandi modelli letterari → stessa idea nello
studio dell’italiano. La svolta umanistica ebbe come conseguenza la “crisi” del volgare, ma
non si smise di usarlo: venne screditato dai dotti. Il disprezzo per il volgare era normale
nella seconda metà del XV secolo → Giorgio Valla parla male delle cantiunculas,
canzoncine in italiano per il popolo degli indotti; latino preferito in quanto più nobile;
volgare accettabile solo nelle scritture pratiche/d’affari. La posizione umanistica poteva
quindi ignorare il volgare, nella convinzione che in Italia, antica e moderna, non fosse
esistita altra tradizione culturale se non latina.

Miscele a base di latino


La cultura umanistica produsse alcuni tipi di scrittura letteraria in cui latino e volgare
entrarono in simbiosi, a volte a scopo comico, raramente con intento serio. Esistono due
forme di contaminazione “colta” tra volgare e latino: “macaronico” e “polifilesco”.
Macaronico: linguaggio/genere poetico nato a Padova, caratterizzato da latinizzazione

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
parodica di parole volgari, deformazione dialettale di parole latine + tensione
espressionistica tra le due componenti, una dialettale/bassa e l’altra latina/aulica →
contrasto che permette effetti d’arte. L’autore macaronico è un ottimo latinista, che gioca
con l’idioma dei classici; scelta volontaria dello scrittore mediante tecnica definita di
“abbassamento di tono”, attraverso molti espedienti. Il termine deriva da un cibo, il
maccarone, un tipo di gnocco. Polifilesco: detto anche “pedantesco”. Nell’Italia
settentrionale (seconda metà del ‘400) vi erano alcuni predicatori che si esprimevano con
linguaggio in cui latino e volgare si mescolano in modo tale da ricordare il linguaggio
macaronico. Le espressioni e frasi latine si trovano a convivere con una robusta
dialettalità, facendo così pensare che ci sia un certo gusto per il comico.

Leon Battista Alberti e la prima grammatica


Innovativa la posizione di Leon Battista Alberti, la cui opera fu incisiva in vari settori.
Iniziò il movimento definibile come “Umanesimo volgare” → programma di promozione
della nuova lingua → poesia/prosa di tono alto, impiegata per trattare argomenti seri ed
importanti. L’Alberti era convinto che bisognasse imitare i latini nel fatto che avevano
scritto in una lingua universalmente compresa, di uso generale: anche il volgare aveva il
merito di essere lingua di tutti, ma occorreva mirare ad una sua promozione a livello alto
→ prosa dell’Alberti con forte incidenza di latinismi, uniti a tratti della lingua toscana; non
ha alcun fascino, su di lui, la prosa trecentesca di Boccaccio. All’Alberti è attribuita un’altra
eccezionale impresa: realizzazione di una prima grammatica della lingua italiana, prima
grammatica umanistica di una lingua volgare moderna → unico codice apografo scritto per
il Bembo, conservato nella Biblioteca Vaticana: breve premessa anteposta al testo che
chiarisce il collegamento con le dispute umanistiche, polemizzando contro chi ritenesse il
latino proprio solamente dei dotti; sfida dell’Alberti di dimostrare che anche il volgare ha
una sua struttura grammaticale ordinata. La Grammatica non ebbe però influenza perché
non fu data alle stampe (la prima sarà stampata nel 1516). Caratteristica della grammatica
dell’Alberti: attenzione per l’uso toscano del tempo, verificabile in alcune indicazioni
relative alla morfologia; norma che si rifà all’uso. La promozione della lingua toscana
venne portata avanti anche con il Certame coronario (1441) → gara poetica in cui i
concorrenti si affrontarono con componimenti in volgare; giuria composta da umanisti, che
però non assegnò il premio → fallimento del concorso. Probabile che l’anonima Protesta
inviata alla giuria fosse dell’Alberti stesso, in cui si lamenta che gli avversari del volgare
ritenessero indegno che l’italiano pretendesse di gareggiare con il latino → criticata
posizione conservatrice umanistica.

L’Umanesimo volgare
Nell’età di Lorenzo il Magnifico, si ebbe un forte rilancio dell’iniziativa a favore del
toscano. Protagonisti di questa svolta furono Lorenzo de Medici, Cristoforo Landino e il
Poliziano. Landino: cultore della poesia di Dante e di Petrarca → introdotta la lettura di
questi persino nella cittadella universitaria. Landino espone tesi che ricordano quelle
dell’Alberti: nega l’inferiorità del volgare al latino e vuole che Firenze ottenga il
“principato” della lingua. Sosteneva, inoltre, che il fiorentino dovesse arricchirsi con un
forte apporto del latino e del greco. Lorenzo il Magnifico: lo sviluppo della lingua si lega
alla sfera patriottica, inteso come patrimonio e potenzialità dello stato mediceo. 1477: il
Magnifico manda a Federico, figlio di Ferdinando di Napoli, una raccolta di poesie
(Silloge/Raccolta aragonese) → dai pre-danteschi/Stilnovo fino a Lorenzo de Medici
(poesia contemporanea fiorentina). Antologia accompagnata da un’importante epistola,
attribuita al Poliziano. Con Lorenzo il Magnifico e con la sua esaltazione del fiorentino, per
la prima volta la promozione del volgare e la rivendicazione delle sue possibilità si
collegavano ad un intervento culturale e letterario → i toscani rivendicavano il valore della

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
loro tradizione e della loro lingua. Il volgare viene usato in ambienti d’élite: significativa la
letteratura rusticale, di cui è esempio Nencia da Barberino; più complessa l’esperienza
poetica di Poliziano, che usò addirittura tre lingue: greco, latino, toscano. Sempre in
ambiente mediceo la trasposizione su piano colto il genere popolare del cantare
cavalleresco → forma poetica in ottave cantata da cantastorie professionisti per
intrattenere un pubblico medio-basso. Il recupero colto di forme popolari caratteristica
buona parte della letteratura del rinascimento mediceo. Il Pulci scrisse al Magnifico una
lettera in “furbesco” (primo esempio di gergo nella letteratura) e compilò un Vocabolista,
una sorta di antecedente del vocabolario italiano. Altro autore è il Burchiello, famoso per
aver coltivato un genere di poesia comica fondata sul gioco di doppi sensi e
sull’invenzione verbale + imitazione della parlata altrui.

L’influenza della letteratura religiosa


Importante la letteratura religiosa per la circolazione tra il popolo di modelli linguistici
toscani o centrali. Raccolte di laude (laudari) presso molte comunità dell’Italia
settentrionale. Le sacre rappresentazioni erano messe in scena per un pubblico popolare
→ occasione in cui gli incolti potevano incontrare una lingua più “nobile”/toscanizzata.
Anche la predicazione si rivolgeva al popolo e aveva quindi bisogno del volgare: nel
Quattrocento si hanno casi in cui il toscano esercita un prestigio al di là dei suoi confini
geografici. Tra i predicatori, San Bernardo da Siena → le sue prediche trasmettono i
caratteri dell’oralità: lingua semplice/colloquiale, esempi tratti dalla vita quotidiana.
Diverso il caso di Girolamo Savonarola, che non era toscano, ma a Firenze doveva
comunque esercitare la propria missione e parlare ai cittadini dal pulpito → costretto a
toscanizzazione. Il fatto che i predicatori si muovessero da luogo a luogo li spingeva a
raggiungere il possesso di un volgare che fosse in grado di comunicare al di là dei confini
di una singola regione; bisognava depurare la propria lingua naturale dagli elementi
vernacolari.

La lingua di koinè e le cancellerie


La poesia volgare ebbe fin dall’inizio una maggiore uniformità rispetto alla prosa →
sistema omogeneo. La prosa risentì maggiormente di oscillazioni, perché il modello del
Boccaccio apparteneva ad un genere letterario circoscritto (novella); la prosa aveva
bisogno di estendersi a settori extraletterari, impiego privato e familiare, cancelleresco,
scientifico etc. → grado diverso di formalizzazione/diverso compromesso con volgari
regionali → varietà di scriptae (lingue scritte attestate da documenti dell’epoca), che
tendono all’eliminazione dei tratti più locali. Nel Quattrocento le scriptae si evolvono in
forme di koinè (lingua comune superdialettale). La koinè quattrocentesca è lingua scritta
che vuole eliminare i tratti locali accogliendo latinismi e toscano. Le manifestazioni scritte
del volgare nelle diverse situazioni d’uso mostrano una differenza attribuibile allo spessore
sociolinguistico → sforzo cosciente, tentativo di superare il particolarismo e raggiungere
un livello sovraregionale. Forte spinta in tale direzione fu data dall’uso del volgare nelle
cancellerie principesche ad opera di funzionari; i documenti volgari nelle cancellerie
viscontee cominciano nel 1426 (nel XV sec. anche nelle cancellerie di Venezia/Ferrara) →
coesistenza di due lingue. L’uso delle cancellerie veniva ad essere influenzato dai gusti
linguistici e letterari della corte signorile. I cortigiani non erano legati in maniera definitiva
ad una sola corte → italianizzazione anche grazie a lettere di rappresentanti diplomatici
dei vari principati, che si spostavano di corte in corte. Lo scarto tra scrittura pratica e
scrittura letteraria rimaneva ben marcato → noto caso del Boiardo: lettere private ad un
livello di toscanizzazione ben inferiore rispetto alle opere poetiche. Nell’incertezza di un
uso non ancora codificato da grammatiche, il latinismo era un punto di appoggio sicuro ed
insostituibile.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
Fortuna del toscano letterario
Il volgare toscano acquistò prestigio fin dalla seconda metà del Trecento (presenza di
autori toscani fuori dai confini, come Dante/Petrarca). Si formavano poi le biblioteche di
studio, di taglio umanistico, con spazio esclusivo per gli autori latini → pubblico ideale
bilingue/trilingue. La letteratura e la lingue volgare trovavano spazio anche nelle corti
minori dell’Italia padana: In Emilia operava Boiardo, a Mantova Leon Battista Alberti ed
il Poliziano. Il Boiardo non è ancora influenzato dalla letteratura medicea dell’Umanesimo
volgare, il suo punto di riferimento è il Trecento (soprattutto Petrarca) ed il volgare
poetico precedente, oltre che il latino → frequenti i latinismi. Interessante il confronto tra la
poesia lirica ed il suo poema incompiuto, l’Orlando innamorato. Nel sud Italia, quando nel
regno di Napoli si instaurò la dinastia aragonese, fiorì la poesia cortigiana di cui sono
esponenti Francesco Galeota, Joan Francesco Caracciolo, Pietro Jacopo de
Jennaro. Alcuni tratti linguistici di questi poeti li fanno distinguere rispetto al toscano. La
generazione successiva dei poeti meridionali si distacca dai tratti linguistici locali →
Sannazaro, Arcadia: due diverse redazioni di quest’opera, la prima del 1484/86, la
seconda del 1504; quest’ultima ebbe una grande fortuna in Italia/Europa, imitato anche
nella lingua → parti in prosa che collegano le varie egloghe poetiche.

Capitolo 5
Il Cinquecento
Italiano e latino
Nel Cinquecento, il volgare raggiunse piena maturità, riconoscimento unanime dei dotti e
trionfo della letteratura in volgare → Ariosto, Tasso, Aretino, Machiavelli, Guicciardini.
Il volgare scritto raggiunse un pubblico molto ampio di lettori, causando un processo di
erosione del monopolio del latino, che però non era affatto in posizione marginale; la
maggior parte dei libri era pubblicata ancora in latino. Si avvertiva però un clima nuovo,
perché gli intellettuali avevano fiducia nella nuova lingua e nel processo di
regolamentazione della grammatica → i lettori cercavano delle risposte pratiche, guida per
scrivere correttamente senza latinismi e dialettismi. Metà del Cinquecento: tramonto della
scrittura di koinè; l’italiano raggiunse uno status di lingua di cultura di altissima dignità,
prestigio considerevole anche all’estero. Il latino rimase nella pubblica amministrazione e
nella giustizia, ma in alcuni casi si cominciava a pubblicare anche in volgare (dipendeva
da regione a regione). Diritto ed amministrazione di giustizia: latino aveva netta prevalenza
→ i documenti ci mostrano la mescolanza dei due codici, verbale in latino e risposte in
volgare. Utile considerare il reciproco peso delle due lingue nella produzione di libri:
latino in filosofia, medicina, matematica; volgare in scienza (divulgazione), “arti
applicate”, ricettari di medicina, cosmesi, cucina, architettura, ma soprattutto
letteratura.

Pietro Bembo e la “questione della lingua”


Nel 1501 Manuzio stampò due classici, Virgilio ed Orazio, scegliendo un formato di
piccole dimensioni, “tascabile”, che avrebbe reso famose le sue edizioni. Nello stesso
anno usciva il Petrarca volgare curato dal Bembo, evento di grande importanza storica e
culturale → rivoluzionaria collaborazione, innovazioni introdotte dal Bembo (ad esempio il
segno dell’apostrofo). Il dibattito sulla lingua ebbe la maggior importanza nel
Cinquecento, soprattutto perché l’esito fu la stabilizzazione normativa dell’italiano →

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
“questione della lingua” momento determinante in cui teorie estetico-letterarie si collegano
ad un progetto concreto di sviluppo delle lettere. Centro di questo dibattito: Prose della
volgar lingua (1525), editio princeps (ovvero prima edizione a stampa di un’opera) →
divise in tre libri, il terzo contiene una grammatica dell’italiano, però poco pragmatica in
quanto in forma dialogica. E’ una serie di norme e regole esposte nella finzione del
dialogo, emerge un chiaro profilo dell’italiano. Quattro i personaggi:

 Giuliano de Medici: continuità con il pensiero dell’Umanesimo volgare


 Federico Fregoso: tesi storiche della trattazione
 Ercole Strozzi: tesi degli avversari del volgare
 Carlo Bembo: fratello del Bembo e portavoce delle sue idee

Viene prima svolta un’analisi storico-linguistica secondo cui il volgare sarebbe nato
dalla contaminazione del latino ad opera degli invasori barbari. Riscatto del volgare
contaminato dato da scrittori/letteratura → principio adottato: mutamento della qualità delle
lingue, la cui “barbarie” originaria non risulta irreversibile. Le sorti della letteratura
venivano giudicate inscindibili da quelle della lingua. Quando il Bembo parla di lingua
volgare, intende il toscano letterario trecentesco di Petrarca/Boccaccio → i toscani sono
avvantaggiati nella conversazione, ma oggetto del trattato è la letteratura → punto di vista
umanistico che si fonda sul primato della letteratura, vantaggio dei toscani visto come un
rischio: letterati toscani portati ad accogliere parole popolari che macchiano la dignità
della scrittura. Requisito necessario per la nobilitazione del volgare: rifiuto della
popolarità, infatti il Bembo non accettava del tutto il modello della Commedia di Dante
(che adottava anche lo stile basso e realistico), mentre il Canzoniere di Petrarca non
presentava difetti; il Decameron era apprezzato solo nello stile vero e proprio dello
scrittore: latineggiante, con inversioni e frasi gerundive. Il Bembo era favorevole ad una
regolamentazione del latino aderente al “periodo aureo” della classicità, ma non
escludeva che il volgare potesse raggiungere risultati eccellenti, proprio attraverso la
regolamentazione proposta nelle Prose. La soluzione del Bembo fu quella vincente,
perché formalizzava quanto era avvenuto nella prassi: la sua grammatica permetteva di
portare a compimento quel processo spontaneo, depurando il volgare dagli elementi
eterogenei della koinè primo-cinquecentesca.

Altre teorie: “cortigiani” e “italiani”


Le fonti più ricche di notizie sulla teoria cortigiana sono gli scritti degli avversari. Nel
Cinquecento, Roma era una città cosmopolita, dove si realizzava un fenomeno
verificabile anche in altre corti: la circolazione di genti diverse favoriva il diffondersi di una
lingua di conversazione superregionale di qualità alta, di base toscana. I fautori della
lingua cortigiana non volevano limitarsi all’imitazione del toscano arcaico, preferivano far
riferimento all’uso vivo di un ambiente sociale determinato, la corte. Secondo il Bembo,
una lingua “cortigiana” era un’entità difficile da definire in maniera precisa, non
riconducibile all’omogeneità → la teoria cortigiana non uscì vincente dal dibattito
cinquecentesco. Analoga alla teoria cortigiana la tesi di Giovan Giorgio Trissino →
riscoperta del De vulgari eloquentia di Dante, in traduzione italiana. Trissino aveva inoltre
proposto una riforma dell’alfabeto italiano con l’introduzione di due segni del greco, ε e ω
→ riforma discussa a lungo, in maniera assai critica.

La cultura toscana di fronte a Trissino e a Bembo


Alla cultura toscana non piacque la riproposta del De vulgari eloquentia messo in
circolazione da Trissino → Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, attribuito a
Machiavelli: Dante viene corretto per i suoi errori, portato ad ammettere di aver scritto in

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
fiorentino e non in lingua “curiale”; rivendicato, inoltre, il primato linguistico di Firenze
contro le pretese settentrionali. L’opera rimase inedita fino al Settecento, quindi non influì
sul dibattito cinquecentesco. Si sviluppò una polemica sull’autenticità del De vulgari
eloquentia → Trissino non aveva mai reso pubblico il testo originale latino dell’opera (fu
stampato solo nel 1577, quando erano ormai morti i protagonisti del dibattito linguistico; la
traduzione di Trissino continuò a circolare più dell’originale latino, poi nel 1729 i due testi
vennero uniti) ed inoltre si individuavano contraddizioni rispetto alle idee espresse da
Dante nel Convivio e nella Commedia. La situazione mutò nella seconda metà del secolo,
quando uscì l’Hercolano di Benedetto Varchi (1570) → Varchi aveva esperienza culturale
al di fuori della sua città ed ebbe il merito di introdurre il bembismo nella città che gli era
avversa (Firenze). La rilettura di Bembo di Varchi non fu fedele e, anzi, tradimento delle
premesse del classicismo volgare, ma servì a rimettere in gioco il fiorentino vivo con
dignità → riscoperta del parlato: per Varchi la pluralità dei linguaggi va spiegata con la
tendenza alla varietà della natura umana (e non Babele), è un vantaggio, parte integrante
della perfezione dell’universo; inutile la ricerca del primo linguaggio umano.
L’Hercolano sanciva il principio secondo il quale esisteva un’autorità “popolare”. Questi
principi permisero a Firenze di esercitare di nuovo un controllo sulla lingua, che era
mancato nella prima metà del XVI secolo.

La stabilizzazione della norma linguistica


Nel Cinquecento si ebbero le prime grammatiche ed i primi vocabolari, dove si riflettono
le proposte teoriche. Nella seconda metà del Cinquecento furono disponibili grammatiche
che illustravano la lingua teorizzata dal Bembo, ma avevano uno scopo pratico,
riconoscibile nella loro forma. Nel fiorire di grammatiche si segnala l’assenza di opere
prodotte a Firenze, che non tenne il passo con Venezia, visto che in Toscana non si
sentiva il bisogno di consultare tali strumenti. Furono ben accolti anche i primi lessici,
antenati dei vocabolari, che contenevano un numero limitato di parole ricavate da spogli
condotti sugli scrittori. La grammatica del Bembo influenzò l’esito dell’Orlando furioso,
perché Ariosto corresse la terza edizione del poema seguendo le indicazioni delle Prose.

Il ruolo delle accademie


Decisiva l’esperienza delle accademie, che svolsero nel Cinquecento una funzione di
primo piano, visto che in esse si organizzavano gli intellettuali e venivano dibattuti i
principali problemi culturali sul tappeto. L’accademia fu il luogo in cui vennero affrontate
molte questioni linguistiche di attualità. La più famosa accademia italiana fu quella della
Crusca, ancora oggi attiva e fondata nel 1582. Si fece principalmente conoscere per la
polemica contro la Gerusalemme liberata di Tasso, a sostegno del primato di Ariosto.
Celebre, inoltre, la “rassettatura” del Decameron, da cui venne tolto tutto quello che era
considerabile immorale ed antireligioso (clima della Controriforma) → occasione per
nascita e sviluppo di un’attenzione filologica per il testo del Decameron → distinti i
“contenuti” dalla “forma” linguistica.

La varietà della prosa


La diffusione ormai molto ampia della lingua italiana nei libri del Cinquecento rende
necessario un esame differenziato dei vari generi e delle varie discipline; l’architettura è
uno dei settori in cui l’italiano si impose decisamente, non solo con opere nuove ma anche
traducendo quelle in latino → la più importante è quella degli scritti di Vitruvio. Anche la
trattatistica d’arte (pittura/scultura) offrì molto materiale, ma fu senza dubbio la
traduzione dei classici capitolo fondamentale per la storia dell’italiano → progresso nei
campi disciplinari ed arricchimento lessicale. Scienze naturali: si tradusse la Storia
naturale di Plinio → abbondanza di traduzioni che veniva incontro al pubblico non sempre

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
in grado di comprendere il latino. Ma non solo traduzioni: Il Principe è ottimo esempio di
prosa, diverso dal modello proposto dal Bembo, poiché Machiavelli scrive in un fiorentino
pieno di latinismi. Il volgare prevaleva nel settore della scienza applicata/diretta a fini
pratici, non nella ricerca di alto livello. La scelta del volgare acquisisce rilievo nel caso di
Galileo: le sue speculazioni andavano al di là di semplici indicazioni tecnico-pratiche, per
questo la scelta di usare il volgare è piuttosto significativa. C’era però uno svantaggio: il
volgare limitava la circolazione internazionale. Libri geografici → fatto editoriale di
grande rilievo: pubblicazione della raccolta Navigazioni e viaggi di Ramusio, silloge di tutti
i testi del genere, con testi che andavano dalla Classicità/Medioevo al XVI secolo (persino
Marco Polo). L’interesse linguistico per la letteratura da viaggio era dato dalla possibilità di
acquisire neologismi e forestierismi (descrizione di nazioni/luoghi esotici) e anche dal
poter esprimere interessi linguistici specifici; la Chiesa partecipò attraverso i missionari.
Lo spagnolo aveva allora una grande importanza come lingua internazionale (stessa
funzione dell’inglese oggi) ma, nei settori pratici, si assiste alla crescita dell’impiego della
lingua italiana (scritture e stampe): aumentano le occasioni di scrivere e la lingua è usata
anche da persone di scarsa cultura (che usavano ovviamente, però, i dialetti) → raccolte
di ricette mediche, alchemiche, culinarie, igienico-sanitarie, terminologia tecnica.

Il mistilinguismo della commedia


Fin dalla prima metà del Cinquecento, la commedia si rivelò il genere ideale per il
mistilinguismo/ricerca di effetti di “parlato”. La caratteristica più evidente della commedia
è la compresenza di diversi codici per diversi personaggi, tendenze che poi finiranno per
cristallizzarsi ed ancora si ritrovano ai giorni nostri: innamorati parlano toscano, i vecchi
veneziano/bolognese, capitani e bravi spagnolo, servi
bergamasco/milanese/napoletano, pedante forme auliche usate in modo comico. Il
testo orale delle rappresentazioni improvvise è perduto, ma alcuni elementi possono
essere recuperati dalle maschere, dagli scenari e dai canovacci.

Il linguaggio poetico
Il petrarchismo è caratteristico del linguaggio poetico cinquecentesco, soluzione coerente
del modello di Bembo: scelta di un vocabolario lirico selezionato, repertorio di topoi,
omogeneità di materiali linguistici e varietà di esiti stilistici. I rapporti tra Tasso e la Crusca
sono un capitolo celebre e doloroso. Tasso non aveva preso le distanze dalla lingua
toscana e non mise mai in discussione la toscanità della lingua italiana, ma non riconobbe
il primato fiorentino. La polemica con la Crusca toccò il suo poema → accuse che
riguardavano questioni di lingua e stile, giudicato oscuro, distorto, sforzato, linguaggio
che era mistura di voci latine, versi giudicati “aspri”. Confronto tra Gerusalemme Liberata e
Orlando furioso: Tasso, rispetto ad Ariosto, non era facile da intendere; lessico ricco di
latinismi e parole “lombarde”. Le critica della Crusca mostrano uno scarso
apprezzamento nei confronti del nuovo gusto letterario (Tasso non si preoccupava delle
norme bembiane). L’Accademia stava per coronare il suo progetto istituzionale, che
regolasse la lingua italiana, ma la repubblica delle lettere prendeva un’altra strada,
divorzio che durerà fino al Seicento.

La Chiesa e il volgare
La Chiesa fu tra i protagonisti della storia linguistica nel periodo dal Concilio di Trento
alla fine del Seicento. La sua lingua ufficiale rimase il latino, ma anche qui sorse il
problema dell’uso del volgare, nella catechesi e nella predicazione → il clero fu infatti
fondamentale per la diffusione dell’italiano. Il Concilio di Trento discusse la legittimità
delle traduzioni della Bibbia → i pontefici intervennero con liste dell’Indice dei libri proibiti,
proibizione che si protrasse fino al XVIII secolo. La questione era la libera interpretazione

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
delle Sacre Scritture: rimaste in latino, avrebbero impedito l’interpretazione “errata” degli
incolti → controllo della gerarchia ecclesiastica. La riforma protestante aveva puntato
sulla lettura diretta della Bibbia → questione decisiva: comprensibilità del testo ma,
durante il Concilio, prevalse la decisione opposta. Il latino era visto come lingua “sacra” e
“universale” → omogeneità internazionale nel messaggio della Chiesa e le lingue
nazionali avrebbero incrinato questo equilibrio di controllo. Il volgare, però, aveva un ruolo
decisivo nel momento della predica; il Concilio stesso insisteva sul fatto che la
predicazione in volgare fosse un compito cui i parroci non dovevano assolutamente
sottrarsi (la predicazione in latino era riservata ad un pubblico d’élite). Forte influenza del
bembismo anche nel campo della predicazione, anche se ovviamente non tutte le
predicazioni del periodo si sono adeguate in maniera immediata a questo modello →
sopravvissuta predicazione più popolare.

Capitolo 6
Il Seicento
Il Vocabolario dell’Accademia della Crusca
L’Accademia della Crusca ebbe un’importanza eccezionale. Fu un’associazione privata
in un’Italia divisa in stati diversi → innumerevoli polemiche rivolte all’Accademia, ma essa
riuscì comunque a portare a termine il disegno di riportare a Firenze il magistero della
lingua → primato della lingua toscana. Contributo più rilevante della Crusca quando si
indirizzò alla lessicografia, dal 1591; gli accademici discussero sul modo di fare il
Vocabolario e si divisero gli spogli da compiere → razionale schedatura. Da Salviati
veniva agli accademici la caratteristica impostazione: autori minori e minimi giudicati degni
di stare a fianco dei grandi della letteratura. Contenuto e forma su piani diversi. Al
momento della creazione del Vocabolario, però, Salviati era già morto e nell’Accademia
non c’era una figura di spicco che potesse raccoglierne l’eredità; tutti erano dilettanti di
giovane età, ma ciò accresce soltanto il loro merito: lavoro condotto con grande coerenza
metodologica e rigore. Il Vocabolario venne pubblicato a Venezia nel 1612 da Giovanni
Alberti → frontespizio: frullone/buratto (strumento usato per separare farina e crusca);
cartiglio: motto “Il più bel fior ne coglie”. Il Vocabolario non fu ispirato ai criteri bembiani: gli
accademici fornirono la lingua del Trecento integrando con l’uso moderno. Il problema
riguardava la selezione delle auctoritates → gli schedatori avevano cercato di evidenziare
la continuità tra lingua toscana contemporanea ed antica, parole del fiorentino vivo
documentate attraverso autori antichi; presentate largamente forme dialettali fiorentine e
toscane; lemmi identici moltiplicati dalla presenza di varianti proprie della lingua antica
non ancora normalizzata. Grafia: distacco dalle convenzioni ispirate al latino. Il
Vocabolario assunse prestigio sovraregionale ed internazionale, dunque aumentò
anche la fama della Crusca. Diverse edizioni del Vocabolario: 1691 edizione stampata a
Firenze, diversa anche nell’aspetto → tre tomi al posto di uno (aumento del materiale),
attenzione anche al linguaggio scientifico (incluso anche Galileo fra gli autori) →
consolidato primato nella lessicografia. I lavori per quest’ultima riedizione durarono
trent’anni, decisivi i contributi di Carlo Dati, Alessandro Segni, Francesco Redi,
Lorenzo Magalotti, Anton Maria Salvini.

L’opposizione alla Crusca


L’opposizione al Vocabolario dell’Accademia della Crusca si manifestò fin dal 1612. Paolo

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
Beni → autore di un’Anticrusca (1612) → contrapposti al canone di Salviati gli scrittori del
Cinquecento, in particolare il Tasso (escluso dallo spoglio della Crusca). Secondo Beni, la
lingua italiana esisteva come patrimonio comune, secondo i dettami della “teoria
cortigiana”. Polemica di Beni contro la lingua usata dal Boccaccio → irregolare, con
elementi plebei; giudizio negativo sulla letteratura del Trecento. Alessandro Tassoni →
protesta contro la dittatura fiorentina sulla lingua. Tassi proponeva di adottare
espedienti grafici per contrassegnare le voci antiche e le parole da evitare, cosa che la
Crusca non aveva fatto e che poteva risultare complessa per i lettori. Tema fondamentale
della riflessione di Tassoni: improponibilità dell’arcaismo linguistico. Daniello Bartoli →
non si tratta in questo caso di una polemica diretta e violenta; riesaminando i testi del
Trecento su cui si basava il canone di Salviati, dimostra le oscillazioni che fanno dubitare
della coerenza del canone stesso. Bartoli non segue uno schema sistematico, ma
osservazioni eterogenee. Questione centrale: il grammatico deve usare con cautela il
suo diritto di condanna e di veto.

Il linguaggio della scienza


In questo periodo lo sviluppo scientifico raggiunse esiti elevati, soprattutto per merito di
Galileo, che aveva scritto in italiano fin da quando aveva 22 anni (precoce preferenza per
la lingua moderna) → fiducia a priori nel volgare e volontà di distaccarsi dalla casta
dottorale (atto di polemica). Galileo era poi fiero della propria toscanità. Il latino assunse
la funzione di termine di confronto negativo. Galileo dovette far sì che la lingua italiana si
adattasse ai compiti nuovi che le venivano assegnati ed in ciò fu molto abile: tono
elegante e “medio”, chiarezza terminologica e sintattica, ma anche alcuni sprazzi di
toscano vivo e sarcasmo/frasi idiomatiche/paradossi; rigore logico-dimostrativo e
chiarezza linguistico-terminologica. Galileo si affidava alla tecnificazione di termini già
in uso ed evitava di utilizzare greco e latino, preferendo parole semplici ed italiane, anche
se non respingeva tecnicismi greci e latini già in uso → ogni volta si parli di invenzioni
galileiane con nome dotto, il nome è stato dato da altri. Il gusto di Galileo è dunque ben
diverso dalla tendenza del tempo di grecismi e cultismi, ma ebbe comunque influenza su
alcuni settori (fisica e astronomia ad esempio). Galileo aveva inoltre doti letterarie,
vivacità polemica, capacità descrittiva.

Il melodramma
Il melodramma è un genere nuovo, nato tra Cinque e Seicento. L’Italia ne ebbe a lungo
l’egemonia, per quanto riguarda la produzione di opere liriche. Il melodramma permette di
affrontare la questione del rapporto tra parole e musica nella riflessione sull’antica
tragedia greca → melodramma: tentativo di ricreare la tragedia antica, accompagnata dal
canto (vi era infatti la convinzione che la tragedia greca fosse interamente cantata). Il
rapporto tra musica e poesia era considerato stretto: il canto fu un ulteriore canale di
diffusione dei modelli della prosa letteraria italiana, che si imponevano tra il pubblico dei
letterati. Il teatro del Cinquecento era stato recitato e mai cantato (musica negli intermezzi)
→ problema risolto da Peri e Caccini con l’Euridice: canto che permetteva di
comprendere ed intendere il testo, senza deformarlo. La rappresentazione dell’Euridice
avvenne in occasione delle nozze di Maria de Medici → melodramma spettacolo d’élite,
quindi influenza linguistica sulla corte. Il linguaggio poetico del melodramma si inserisce
nella linea della lirica petrarchesca: citazioni e riprese, tradizione codificata.

Il linguaggio poetico barocco


Con Marino e il marinismo, le innovazioni si fanno ancora più accentuate, anche se gli
schemi metrici e le cadenze ritmiche sono ancora petrarchesche. Lessico: spinte

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
innovative che aumentano le possibilità di scelta. Nella poesia barocca si può trovare un
esteso repertorio di temi che possono essere oggetto di poesia (es. riferimenti botanici,
ampia gamma di animali, particolare attenzione per gli insetti → influenza della prosa
scientifica). Adone di Marino: famose le ottave in cui Marino introduce l’anatomia del
corpo umano usando termini anatomici, introdotti per celebrare i “sensi” e la “macchina
umana”; utilizza anche la descrizione della Luna fatta da Galileo → la scienza ha
riconoscimento/canonizzazione da parte della letteratura. Il lessico scientifico viene poi
usato anche nel contesto poetico “nobile” → miscela di vecchio e nuovo che sarà
caratteristica del Settecento → tendenza al rinnovamento. Usati cultismi, grecismi,
latinismi, tecnicismi di anatomia, chiromanzia, scherma, equitazione, mascalcia (arte
del maniscalco di produrre ferri di cavallo e applicarli agli zoccoli).

Le polemiche contro l’italiano


A partire dalla fine del Seicento prese piede un giudizio negativo nei confronti del
Barocco, considerato “di cattivo gusto”, giudizio ripreso dagli Illuministi del Settecento. La
reazione antibarocca si ebbe prima in Francia e poi in Italia → antibarocco porterà a
giudizio negativo contro la lingua italiana. Dominique Bouhours svolse la tesi secondo la
quale solo ai francesi poteva essere riconosciuta l’effettiva capacità di “parlare”: lo
spagnolo era accusato di magniloquenza retorica e l’italiano di eccessiva tendenza alla
sdolcinatezza poetica, mentre il francese si vantava della vicinanza tra prosa e poesia,
dunque razionale. L’italiano era ritenuto incapace di esprimere in maniera ordinata il
pensiero umano → questione: si cominciava ad attribuire ad ogni idioma un carattere
fisso. La risposta alle critiche di Bouhours tardò ad arrivare → segno di debolezza della
cultura italiana.

La letteratura dialettale e la toscanità dialettale


Nei secoli XVI-XVII nacque una letteratura dialettale cosciente di essere tale,
contrapposta alla letteratura in toscano. La tradizione letteraria italiana è caratterizzata
dalla grande vitalità della letteratura in dialetto; rappresenta dialettalità anche la
manifestazione del gusto per la lingua toscana viva e popolare → il gusto della popolarità
si trasforma in esasperata ricerca del ribobolo (parola o locuzione plebea, spec.
fiorentina, suscettibile di essere acquisita nell’uso letterario per una affettazione di
espressività popolaresca).

Capitolo 7
Il Settecento
L’italiano e il francese nel quadro europeo
Le lingue di cultura che potevano ambire ad un primato internazionale, inizio Settecento,
erano poche: spagnolo in fase calante, crescita di prestigio francese, nessun rilievo del
portoghese, lingue slave non conosciute, tedesco ed inglese posizione marginale (la
cultura inglese si diffuse attraverso le traduzioni francesi, mentre del tedesco si avevano
solo giudizi negativi → Romanticismo porta in auge il tedesco). Oltre al francese, anche
l’italiano aveva posizione di prestigio, ma il francese era indispensabile anche per chi
restava in Italia tutta la vita → usato nel nord Italia per appunti, annotazioni, abbozzi,
lettere ad amici → mera scelta di gusto e di costume. Rivarol: attribuiva il successo del
francese a cause storiche, ma soprattutto a profonda virtù strutturale → francese lingua

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
della chiarezza/logica/comunicazione razionale. Al contrario, italiano lingua della passione
emotiva, poesia, musicalità, luogo comune visto anche in chiave negativa. Grande libertà
nella posizione degli elementi del periodo (italiano): visto come difetto “strutturale”.

Cesarotti filosofo del linguaggio


Pubblicazione della Quarta Crusca (1729/38) → reazioni polemiche illuministe verso
l’autoritarismo arcaizzante. Celebre Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca,
di Alessandro Verri, pamphlet sarcastico che denuncia lo spazio eccessivo di questioni
retoriche e formali → svalutazione del dibattito linguistico. La posizione che esprime
meglio gli ideali illuministici, però, è quella moderata di Melchiorre Cesarotti, Saggio sulla
filosofia delle lingue (1785/88), che conteneva un sistema universalmente valido, fondato
su concezioni di linguaggio basata su idee diffuse nel Settecento dalla cultura sensista
francese. Serie di enunciazioni teoriche sulle lingue:

 tutte nascono e derivano, ma il concetto di “barbarie” non ha senso: tutte servono


all’uso della nazione che le parla
 nessuna è pura, nate da composizione di elementi
 nascono da combinazioni casuali
 nessuna nasce da ordini prestabiliti
 nessuna è perfetta, tutte possono migliorare
 nessuna è tanto ricca da non aver bisogno di altre ricchezze
 nessuna è inalterabile
 nessuna è parlata uniformemente dalla nazione

Distinzione tra lingua orale e scritta: lingua scritta di maggiore dignità, vi operano i dotti.
Principi fondamentali di Cesarotti sulla lingua scritta: non dipende dal popolo/scrittori;
non può essere fissata nei modelli del secolo; non dipende dal “tribunal dei
grammatici” Parte III del saggio → obiettivi molto pratici. Indica la strada per una
normativa illuminata, contrapposta a quella della Crusca → non chiede libertà dalla regola,
riconosce valore d’uso se accomuna scrittore e popolo; se c’è discordanza d’uso, bisogna
seguire la “miglior ragion sufficiente” → gli scrittori sono liberi di ampliare il senso dei
termini vecchi e di introdurne nuovi (per analogia/derivazione/composizione); possibile
fonte i dialetti/parole straniere/neologismi, che possono produrre nuovi traslati e
derivazioni. Osservazioni sul “genio” della lingua → carattere originario tipico di un
idioma/popolo, usato dagli avversari dei forestierismi per dimostrare
estraneità/improponibilità di termini esotici, incompatibili con il genio nazionale. In
Cesarotti duplice concetto di “genio”: grammaticale e retorico (distingue meglio ciò che è
inalterabile da ciò che può mutare nell’evoluzione) → struttura grammaticale: inalterabile;
lessico: retorico (espressività della lingua) Parte IV → conclusione del trattato. Esamina la
situazione italiana e propone soluzioni positive alle polemiche della “questione della
lingua”; si affronta, poi, il tema del rinnovamento della lessicografia → attualità politica:
proposta di magistratura della lingua, istituzione di un Consiglio nazionale della lingua al
posto della Crusca, con sede a Firenze → studi etimologici e filologico-linguistici,
rinnovati i criteri lessicografici, attenzione a lessico tecnico di arti, mestieri, scienze. Da
qui, confronto con patrimonio lessicale di altre nazioni → carenza del lessico italiano,
quindi legittima presenza di forestierismi tecnici già in uso. Compito finale del Consiglio:
compilazione di un nuovo Vocabolario: edizione ampia ed una ridotta, ad uso comune +
traduzione di autori stranieri. Il Saggio di Cesarotti non ebbe però il successo sperato
dall’autore, rimasto inascoltato.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
Le riforme scolastiche e gli ideali di divulgazione
Si diffonde, nel Settecento, uno spirito democratico che porta gli illuministi a
preoccuparsi delle condizioni del popolo (convinti che ciò portasse al progresso). Anche la
conoscenza dell’italiano era considerata necessaria per una società produttiva → l’italiano
entra in forma ufficiale nella scuola, grazie ad organizzazioni statali → modernità, come
ribellioni antiaccademiche che indicano la strada per le riforme, anche se in Italia manca
uno stato unico nazionale per riforme omogenee. Esemplare quanto accade in Piemonte
→ Vittorio Amedeo II di Savoia, riforme delle università; 1733, obbligatorio lo studio
dell’italiano (anche se solo una volta a settimana); 1734, istituita a Torino cattedra di
“eloquenza italiana e greco”; 1772, nuove costituzioni, posizione dell’italiano più solida
→ istituita classe iniziale per rudimenti dell’italiano. Altri stati italiani: Modena, uso di libri
esclusivamente italiani; Parma, classi infime, insegnamento di solo italiano (se non si
proseguivano gli studi); Napoli, progetto di Genovesi (1767), che aveva deciso di tenere le
proprie lezioni in volgare → grande scandalo. Critica all’uso del latino legata al fatto che ai
giovani servisse cultura legata a commerci/attività pratiche. Fine XVIII secolo riforme del
Lombardo-Veneto → politica scolastica di Maria Teresa d’Austria: metodo didattico detto
“normale”, “classe” concepita in maniera moderna ed obiettivi didattici unitari. 1786/88:
padre Soave pubblica manuali per l’insegnamento dell’italiano che ebbero fortuna anche
fuori dalla Lombardia. Nasce idea di scuola “comunale” con compito di insegnamento di
lettura/scrittura → istituita poi nell’Ottocento; da qui deriverà la scuola elementare
obbligatoria.

La lingua di conversazione e le scritture popolari


Interesse per italiano non produce risultati immediati → l’uso della lingue rimane d’élite,
spazio di comunicazione familiare occupato da dialetti. Foscolo: l’uso di una lingua non
dialettale nella propria patria potrebbe complicare la comprensione. Manzoni: lingua
“elegante”, usare parole ritenute italiane e aggiungere finali italiane a parole dialettali che
finiscono per consonante. La lingua italiana si prestava poco alla conversazione
“naturale” poiché scritta ma poco parlata; unici avvantaggiati i toscani. Topos: la lingua
italiana non poteva essere classificata appieno tra le lingue vive.

Il linguaggio teatrale e il melodramma


Il successo dell’opera italiana è molto grande, anche all’estero → stereotipo dell’italiano
lingua dolce, cantabile, poetica, piacevole, dell’istinto, delle maschere e dei buffoni.
Nei Paesi a lingua tedesca, l’italiano ebbe successo con l’opera a Vienna, con
Metastasio. In Italia, però, la rappresentazione scenica aveva bisogno di
approssimazione, perché non esisteva una lingua comune di conversazione, quindi gli
autori dovevano ricorrere a lingua mista → es. Goldoni scrisse in veneziano, italiano,
francese; il dialetto richiedeva temperamento nella trasposizione scritta, ma lingua e
dialetto non sono contrapposti e spesso si fondono in una stessa battuta → tipico del
procedimento del parlato, quindi effetto di naturalezza e realismo, non si può parlare di
purezza della lingua, ma di lingua innovativa, che va contro le tendenze tradizionali.
Sintassi di Goldoni di tipo paratattico, giustappositivo, asidentico.

Il linguaggio poetico
1690: fondata a Roma l’Arcadia, movimento poetico. Lingua tradizionale ispirata a modelli
petrarcheschi, obiettivo liberarsi di eccessi della poesia barocca. Adesione al passato,
uso di toponomastica/onomastica classica, mitologia (latinismi e arcaismi), tendenza a
nobilitazione → largo uso di enclisi, iperbati, troncamenti del verbo all’infinito,
soprattutto per distinguere la poesia dalla prosa → tra due termini si sceglie quello più

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
raro/letterario. Il cantabile venne spinto fino ai limiti della massima facilità (arietta), con
massime e proverbi, di facile memorizzazione.

La prosa letteraria
La prosa saggistica è uno dei nuclei più solidi della produzione culturale, e si avvia verso
una sostanziale semplificazione sintattica. Confronto con tradizione francese e inglese
→ Alessandro Verri: ammirazione per ordine della scrittura francese/brevità della scrittura
inglese. Critica lo stile italiano. Notti romane: prosa come nobile modello neoclassico,
latinismi, sostenutezza oratoria → strano, visto che invocava rivoluzione linguistica.
Giambattista Vico: aderito al “capuismo”, movimento arcaizzante di Leonardo Di Capua,
che imitava i modelli toscani antichi → arcaismi, latinismi, sintassi diversa dalla
struttura classicistica ricca di equilibrio; moltissime subordinate. Vittorio Alfieri: va
controcorrente, parla male della lingua francese, praticava la lingua toscana viva. Nelle
sue tragedie un volontario allontanamento dalla normalità e dal “cantabile” grazie a
trasposizione sintattica e spezzatura delle frasi. Asprezza/durezza del dettato
rimproverata già dai contemporanei, altri celebravano l’avvento di un vero autore tragico.

Capitolo 8
L’Ottocento
Purismo e classicismo
All’inizio dell’Ottocento si sviluppò il movimento del Purismo → intolleranza di fronte ad
ogni innovazione; conseguenza: forte antimodernismo, culto dell’epoca d’oro della lingua
(il Trecento) → inattualità di questo pensiero, che ne impedì la fortuna. Il canone della
perfezione linguistica veniva esteso al di là delle opere degli autori → si apprezzava la
letteratura ma anche le scritture quotidiane/note contabili/libri dei mercanti fiorentini.
Antonio Cesari è capofila del Purismo, ma oltre a lui:

 Basilio Puoti → scuola libera e privata per insegnare l’italiano in base a


concezione puristica ma favorevole ad autori del Cinquecento. Maestro di autori
come De Sanctis.
 Carlo Botta → solidale con il Cesari
 Luigi Angeloni → atteggiamenti politici libertari, tribuno della Repubblica romana
(1798/99)

Vincenzo Monti pose freno alle esagerazioni del Purismo (non sopportava il Cesari). La
sua critica arrivò a colpire anche il Vocabolario della Crusca → Proposta di alcune
correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca (1817/24), in cui Monti cercava gli
errori compiuti dai vocabolaristi fiorentini (scarsa preparazione filologica). Anche Stendhal
condannava con forza il Purismo e metteva a fuoco la situazione linguistica dell’Italia →
vitalità dei dialetti e artificiosità della lingua letteraria.

La soluzione manzoniana alla “questione della lingua”


Tra i romantici milanesi si dibatteva attorno al problema dell’italiano simile ad una lingua
“morta” → si imparava dai libri, si usava in letteratura e per occasioni ufficiali, ma
inadatta a rapporti quotidiani/familiari. Manzoni: le sue idee influirono nel mutare la
situazione dell’italiano, rendendo la lingua più viva/meno letteraria. La sua teoria

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
linguistica segna una svolta nelle discussioni sulla “questione della lingua”. Manzoni curò
la pubblicazione di interventi occasionali; dopo la sua morte uscirono diversi frammenti e
manoscritti, la cui complessità supera quella degli scritti editi. Affrontò la “questione della
lingua” a causa di sue esigenze da autore, fin dal 1821, con la stesura di Fermo e Lucia →
fase detta “eclettica”, perché cercava di raggiungere uno stile moderno ricorrendo a vari
elementi ed al linguaggio letterario, senza vincolarsi alla maniera dei puristi →
francesismi, milanesismi, analogie; seconda introduzione a Fermo e Lucia (1823)
prende le distanze da stile “composito”, critica a proprio dialettismo. Seconda fase detta
toscano-milanese → stesura Promessi Sposi (1825/27); Manzoni ricerca lingua
completamente toscana, ma ottenuta solo per via libresca, non poteva dire se le forme
usate fossero vive o obsolete. 1827: Manzoni è a Firenze, contatto diretto con la lingua →
esito: nuova edizione Promessi Sposi (1840/42), lingua d’uso, scorrevole, no
latinismi/dialettismi/espressioni letterarie arcaiche. Era fiorentino dell’uso colto.
Posizione definitiva di Manzoni: il fiorentino completa l’opera di unificazione. 1868:
Relazione al ministro Broglio → ragioni per cui il fiorentino dovesse essere oggetto di
politica linguistica in atto nelle scuole da insegnanti (educazione popolare); proposto
anche vocabolario della lingua italiana affiancato da vocabolari bilingui. Era la prima volta
che la “questione della lingua” si univa a questioni sociali (Unità d’Italia, presa di Roma).
L’ultima fase della riflessione linguistica di Manzoni coincide con una polemica →
intellettuali presero le distanze da Manzoni, dubbi sul “primato” del fiorentino e del suo
uso vivo, ma la teoria manzoniana ebbe effetti rilevanti: Promessi Sposi modello di prosa
elegante e colloquiale, prosa manzoniana si poteva imparare attraverso l’imitazione.
L’esempio di Manzoni favorì la prassi della “risciacquatura in Arno”. Ruggero Bonghi,
Perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia → ripresi temi settecenteschi, dove
si lamentava l’inferiorità dell’italiano al francese + analisi di diversi stili di scrittori
italiani/”difetti” di costruzione/inversioni che rendevano complicata la lettura → proposto
stile piano. La borghesia italiana aveva bisogno di libri facili e concreti; unico freno alla
teoria manzoniana il prestigio di Carducci, contrario al “popolanesimo” toscaneggiante.

Una stagione d’oro della lessicografia


L’Ottocento è stato il secolo dei dizionari. Prese le mosse dalla Crusca (idee linguistiche
della vecchia accademia), ma anche rivisitazione del Vocabolario degli accademici →
Crusca veronese di Antonio Cesari di Verona, che aveva proposto il Vocabolario con
una serie di giunte per esplorare a fondo il repertorio della lingua antica. La somma delle
giunte avveniva in maniera meccanica, senza ripensamenti originali → debolezza anche
della forma grafica. 1829/40: la società tipografica napoletana Tramater dà alle stampe il
Vocabolario universale italiano, con alla base la Crusca, taglio enciclopedico, attenzione a
voci tecniche, scienze, lettere, arti, mestieri. Superamento delle definizioni tradizionali.
Questo era il vocabolario migliore sul mercato italiano, superato poi dal Tommaseo-
Bellini → progresso sostanziale dato anche da implicazioni culturali di Tommaseo:
illustrate idee morali, civili, letterarie. Uno dei punti di forza la strutturazione delle voci:
non si privilegiava il significato più antico/etimologico, bensì criterio logico → da
significato più comune/universale, ordinando i diversi significati, privilegiato significato più
moderno ma documentando uso del passato. Quello di Tommaseo è il primo vero
vocabolario storico italiano. Celebre la faziosità contro Leopardi. Si realizzò anche un
vocabolario coerente con l’impostazione manzoniana, ispirata al fiorentino dell’uso vivo.
Manzoni aveva guardato al Dictionnaire de l’Académie française → aboliti esempi
d’autore, solo frasi anonime di uso generale, eliminate voci arcaiche; secondo Manzoni,
esempi di scrittori del passato dovevano essere in lessici di tipo storico. Altro obiettivo di
Manzoni: realizzare vocabolari dialettali con equivalente fiorentino → non vide mai il
compimento del vocabolario che aveva ispirato. L’Ottocento fu anche secolo della

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
lessicografia dialettale, risalgono a questo periodo tutti i vocabolari più importanti.
Esigenza della loro esistenza data da interesse romantico per cultura popolare,
curiosità verso dialetti (considerati parlata con dignità) che porta a curiosità per tradizioni
popolari e forme letterarie della cultura orale.

Gli effetti linguistici dell’Unità politica


Nel 1861 l’Italia non aveva unità culturale/linguistica. Territori caratterizzati da differenze
profonde, in comune solo il modello italiano letterario elaborato da élite. Numero di
italofoni molto basso, quasi 80% di analfabeti, ma gli alfabeti non erano coloro che
avevano reale possesso della lingua scritta: frequentanti della scuola superiore + romani +
toscani = 600.000 su 25 milioni. Con l’Italia unita, la scuola elementare divenne gratuita
ed obbligatoria (legge Casati, 1859, entra in vigore in tutte le regioni). Legge Coppino,
1877: obbligo di frequenza per il primo biennio, ma la scuola non aveva una vera e
propria efficacia (il Paese era in condizioni arretrate) → i maestri spesso usavano il
dialetto, molti avevano ideologie differenti (puristi, manzoniani, classicisti). Della scuola
si occupò anche Carducci, progettando un percorso diverso da quello dei
puristi/manzoniani, basato su sentimento “classico” della lingua letteraria. Ragioni che
hanno portato all’unificazione linguistica:

 burocrazia ed esercito → leva militare obbligatoria novità del neonato Regno


d’Italia: masse di soldati costretti a convivere insieme
 stampa periodica e quotidiana
 effetti demografici come l’emigrazione (sud → nord) → l’emigrante di ritorno fu
elemento di progresso: stare lontano dalla terra d’origine lo aveva portato ad
apprezzare l’istruzione e l’alfabetismo
 aggregazione in poli urbani (moderna industralizzazione) → spostamento di
abitanti ed integrazione nel nuovo luogo di residenza, quindi abbandono del dialetto
d’origine

Il ruolo della Toscana e le teorie di Ascoli


Nel 1873 le idee manzoniane furono contestate da Graziadio Isaia Ascoli, fondatore della
linguistica e dialettologia italiana. Intervento perlopiù rivolto a seguaci/imitatori di
Manzoni: Ascoli escludeva si potesse identificare l’italiano nel fiorentino vivente, inutile e
dannoso aspirare ad assoluta unità della lingua; l’unità non poteva essere pilotata ed
avere un unico modello, ma doveva essere una conquista reale e duratura quando lo
scambio culturale nella società italiana si fosse fatto fisso (Paese moderno ed efficiente).
Contestata anche la possibilità di applicare modello centralistico francese (ispirazione di
Manzoni) all’Italia, la cui situazione era simile a quella della Germania: entrambi Paesi
policentrici, quindi le tradizioni delle diverse regioni dovevano diventare omogenee a poco
a poco con naturale livellamento. Alcuni mali propri della cultura dell’Italia: mancanza di
quadri intermedi a metà strada tra dotti e massa ignorante. Altro punto di discordia:
contributo della Toscana ottocentesca all’unificazione della lingua → giudicata da Ascoli
terra fertile di analfabeti, cultura stagnante incapace di guidare progresso del nuovo stato
italiano; Ascoli guardava a Roma, neocapitale del Regno.

Il linguaggio giornalistico
Nel XIX secolo il linguaggio giornalistico acquistò importanza superiore a quella che
aveva avuto in precedenza. Aumento delle tirature che finì per avere conseguenze
pratiche. Nella seconda metà del secolo il giornalismo divenne fenomeno di massa →
edicole punto di vendita della stampa periodica: voci colte alternate a voci popolari,
anche se evitati dialettismi vistosi molte voci regionali si diffondono in tutta Italia (camorra

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
o picciotto). Sintassi giornalistica → periodare breve, frase nominale. Il giornale è
composto da parti diverse; compare la pubblicità, che spesso contiene termini nuovi o
parole regionali.

La prosa letteraria
Gli sviluppi della prosa nell’Ottocento sono di enorme importanza → si fonda la moderna
letteratura narrativa con due svolte fondamentali: Alessandro Manzoni e Giovanni
Verga. Manzoni: rinnova il linguaggio con il genere “romanzo”/saggistica. Svolta data da I
Promessi Sposi, che ha senza dubbio influenzato il destino della lingua italiana con stile
naturale, sciolto. Modelli di prosa toscana simile a quella di Manzoni → Collodi, Le
avventure di Pinocchio. Modelli di prosa toscana diversa da quella di Manzoni →
Gianfranco Contini li descrive parlando di “mistilinguismo”, anticipatori
dell’espressionismo otto-novecentesco; stile dato da uso di forme linguistiche di fonti
diverse → toscano arcaico, moderno, linguaggio comune, dialetto. Verga: svolta
inaugurata da I Malavoglia. Verga non abusa del dialetto; procedimento che adatta la
lingua italiana a plausibile strumento di comunicazione per i personaggi siciliani
appartenenti al ceto popolare, senza regredire al dialetto usato integralmente. Usate
parole dialettali conosciute in tutta Italia + innesti fraseologici; tratti popolari i soprannomi
dei personaggi, raddoppiamenti, ripetizioni → simula oralità viva. Nuova la sintassi di
Verga → discorso indiretto libero: non vengono aperte le virgolette, lo scrittore riferisce
parole e pensieri del personaggio ma usa modi e forme propri del discorso diretto →
oscillazione tra autore e personaggio.

La poesia
Il linguaggio poetico dell’Ottocento si caratterizza per una fedeltà alla tradizione
aulica/illustre. Lessico selezionato da serie di parole “nobili”, cultismi, latinismi,
sincope e troncamento. Anche Leopardi dichiara che gli arcaismi si confanno alla
poesia → tradizione petrarchesca e tassiana; Leopardi acquisisce anche il principio del
carattere del “vago” del linguaggio poetico: non ci devono essere “termini” che definiscano
in maniera precisa, ma “parole” che suggeriscono qualcosa di indefinito, “poetico”. Il
linguaggio poetico ottocentesco ha difficoltà ad accettare novità formali, parole
nuove/concrete solo nella poesia giocosa, anche se la quotidianità premeva sul linguaggio
poetico (anche temi nuovi) → poeti classicisti usavano perifrasi. Innovazioni nella
seconda metà del secolo → eccezionale sviluppo della poesia in dialetto. Giordani
obiettava che l’uso dei dialetti era nocivo alla nazione; poesia dialettale da posizionare su
un piano basso, nessuna funzione di progresso. Giordani sentiva la mancanza di una
lingua diffusa largamente, che portasse a coscienza nazionale. I romantici milanesi,
invece, erano favorevoli alla tradizione in dialetto, modo di avvicinarsi alla lingua popolare
+ canale di diffusione di cultura tra ceti bassi.

Capitolo 9
Il Novecento
Il linguaggio letterario nella prima metà del secolo
Autori vissuti a cavallo tra i due secoli, come D’Annunzio e Pascoli, testimoniano le
trasformazioni in atto → lingua italiana un ribollire di novità. Carducci è forse l’ultimo
scrittore che incarni il ruolo tradizionale del vate, la lingua della sua poesia aderente alle

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
convenzioni. Anche la poesia di D’Annunzio non rinuncia alla nobilitazione attraverso
selezione lessicale, ma si presenta comunque come innovativa → sperimentazione con
forme diverse, gusto di citare e utilizzare lingua/esempi/stilemi antichi. Gli si devono
alcuni neologismi, disponibile verso le esigenze del suo tempo → pubblicità
commerciale (biscotti Saiwa), nascita del cinema muto etc. Prima rottura con linguaggio
poetico tradizionale si ha con Pascoli, i crepuscolari e le avanguardie. Pascoli: parole
colte e latinismi, ma con lui cade la distinzione tra parole poetiche e parole non poetiche.
Crepuscolari: nel verso, tendenza verso prosasticità, rovesciato il tono sublime.
Avanguardie: in Italia principalmente il Futurismo, con provocatorio rinnovamento della
forma → parole miste ad immagini, caratteri di dimensioni diverse, abolizione di
punteggiatura, onomatopee frequenti. Le punte più innovative della prosa dannunziana
→ Notturno e Libro segreto: periodare brevissimo, sintassi nominale, frequenti “a
capo”, elementi fonici e ritmici, prosa d’arte. Riflesso del “parlato” nella prosa di
Pirandello, soprattutto nelle opere teatrali → interiezioni frequenti, connettivi, rapide
opposizioni, relativizzazioni improvvise: tutto ciò rende sfuggente la comunicazione.
Pirandello era contrario al dialetto come veicolo letterario, ma le sue opere sono
comunque condite con lieve colore locale (soprattutto in ambiente siciliano). Altro grande
scrittore: Italo Svevo → rapporto non facile con la lingua italiana (era di Trieste), accusato
di “scrivere male”, ma in realtà la mancata adesione ai modelli del bello scrivere favorì la
leggibilità del testo, portandolo al successo presso il pubblico. Punto di riferimento per gli
scrittori è il dialetto; nel Novecento anche il toscano è considerato tale. Uso diverso del
dialetto in autori “mistilingui” come Carlo Emilio Gadda → famoso pastiche gaddiano,
che ha esiti espressionistici.

L’oratoria e la prosa “d’azione”


L’oratoria del primo Novecento richiama il tema dei discorsi rivolti alle masse da Mussolini
→ rapporto diretto con la folla. Modello che rappresenta però molto meglio le tendenze di
oratoria letteraria e magniloquente è quello di D’Annunzio, che influì sulla retorica del
Fascismo, la quale aveva i seguenti caratteri: metafore religiose/militari/equestri,
tecnicismi di sapore “romano”, ossessione per i numeri. L’oratoria mussoliniana si
distingue per il dialogo con la folla → ovazione collettiva (lunghi silenzi dell’oratore
colmate da grida dei fedeli), slogan, esagerazioni, luoghi comuni.

La politica linguistica del Fascismo


Il Fascismo ebbe una chiara politica linguistica: lotta contro forestierismi in nome
dell’autarchia, repressione di minoranze etniche (italianizzazione forzata di
toponomastica di aree alloglotte e persone con cognomi slavi o tedeschi costrette ad
italianizzarli), polemica antidialettale → generali atteggiamenti di intolleranza: 1930,
soppressione nei film di scene parlate in lingua straniera; 1940, Accademia d’Italia
incaricata di trovare alternative italiane a parole straniere utilizzate nel parlato/intestazioni
di ditte/attività professionali/pubblicità. Venne fondata la rivista “Lingua Nostra”. Le parole
suggerite dall’Accademia si affiancarono al forestierismo; ancora oggi vi è convivenza dei
termini, seppur con lieve differenza semantica. Avvento della Repubblica → nessun
intervento di politica linguistica, tranne quelli contro l’uso “sessista della lingua italiana”
(anni Ottanta) per la realizzazione della parità tra uomo e donna. E’ meglio che la lingua
vada da sola dove la porta il consenso dei più. La Crusca tentava ancora di concludere
una nuova versione del vocabolario, la quinta, avviata nel 1863 (primo volume dedicato a
Vittorio Emanuele II). Mole notevole dell’opera; l’antico vocabolario non aveva la funzione
di un tempo + idee di Benedetto Croce avverse ad ogni “lingua modello”/toscanismi.
Attorno alla Crusca fiorirono polemiche → 1923: Gentile, nuovo ministro della Pubblica
istruzione, tolse alla Crusca il compito di preparare il vocabolario, interrottosi alla lettera O

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
→ nuovo e “moderno” Vocabolario del Fascismo, che arrivò però solo al primo volume
(lettere A-C): eliminazione di molte voci antiche + i forestierismi erano registrati in forma
di prestiti non adattati per segnalare estraneità dalla sostanza della lingua italiana + citati
scrittori come documentazione di uso comune, senza riferimento all’opera, spazio ad
autori del Novecento. Questo vocabolario non ebbe influenza. Giulio Bertoni: realizzazione
di vocabolario per la pronuncia esatta delle parole italiane, ad uso primario degli
annunciatori della radio → formula “asse Roma-Firenze”: rivendicato ruolo di Roma
nella questione della lingua; nei casi di divergenza con Firenze, si doveva accettare l’uso
romano.

Dal “neoitaliano” di Pasolini alla lingua “standa”


Pasolini intervenne profondamente nella “questione della lingua”. La sua era una vera e
propria analisi “sociolinguistica”: partendo da premesse marxiste e gramsciane,
sosteneva che fosse nato un nuovo italiano, centri irradiatori nel nord delle grandi
fabbriche/cultura industriale. Secondo lui, era nato l’italiano come “lingua nazionale” → per
la prima volta la borghesia utilizzava gli stessi modelli delle classi subalterne. Delineate
caratteristiche proprie del “nuovo italiano”:

 semplificazione sintattica, caduta di forme idiomatiche e metaforiche


 drastica diminuzione dei latinismi
 prevalenza di influenza della tecnica rispetto alla letteratura → minore letterarietà
della lingua stessa

Funzione rivoluzionaria dei dialetti + imbarbarimento del linguaggio dei giovani. Nel
suo intervento, Pasolini parlava anche di se stesso/altri autori del Novecento, sistema di
riferimento il rapporto con la “lingua media”, termine di confronto negativo → Pasolini
privilegiava esperimenti di plurilinguismo. ”Italiano medio”: comportamento linguistico degli
scrittori → distinti coloro che amputano ogni originalità stilistica da coloro che preferiscono
soluzioni di rottura scarsamente comunicative. Lo scrittore di oggi gode di grande libertà.
Per molti autori il dialetto è stata fonte di arricchimento linguistico. Difficile sintetizzare le
tendenze della lingua poetica → rinnovamento poetico (Ungaretti, Saba, Montale):
grande varietà di soluzioni stilistiche, linguaggio comune e quotidiano, esiti arditi.

Verso l’unificazione: “mass media”, dialetti, immigrazione


Vi è stata, nel corso del Novecento, una perdita nei dialetti e nell’espressività gergale →
cambiamento nel livello di scolarizzazione, progresso costante che porta a diminuire lo
spazio del dialetto, che viene usato maggiormente presso i vecchi, al Sud, nelle
campagne, nei ceti inferiori. Inoltre, i dialetti si sono avvicinati alla lingua comune, si
sono “italianizzati”. Negli anni Sessanta/Settanta, la fabbrica ha svolto una funzione di
scuola, promuovendo masse di origine contadina. La radio italiana nasce nel 1924, la
televisione nel 1954 → monopolio Rai. A fine secolo, però, le emittenti si sono
moltiplicate, nascita di TV private. I media sono diffusori di tecnicismi, esotismi,
neologismi, luoghi comuni di cronaca/politica. Non è facile distinguere fin dove è giunto
l’effetto della TV e dove quello del cinema. Il linguaggio dei giornali ha continuato a
svolgere, anche nel nostro secolo → quotidiano: tramite fondamentale tra uso colto e
lingua parlata, e può essere assunto come indice della lingua media → pluralità di
sottocodici/registri. Luogo di maggiore originalità del linguaggio è il titolo, costruito per
colpire il lettore con poco spazio → frase nominale. Titoli e slogan pubblicitari seguono gli
stessi procedimenti linguistici: diffusi termini tecnici e forestierismi. Lo slogan
pubblicitario deve colpire il lettore e favorire il comportamento del potenziale acquirente,

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
suggestionare e convincere → superlativi con desinenza -issimo, prefissi extra-, iper-,
maxi-, super-.

L’italiano dell’uso “medio” e la “la lingua selvaggia”


L’”italiano dell’uso medio” è il nome di una categoria definita da Francesco Sabatini. La
differenza rispetto all’italiano “standard” è che questo italiano, comune e colloquiale,
accoglierebbe fenomeni del parlato tenuti a freno dalla norma grammaticale. Lo “standard”
è un italiano astratto, quello “dell’uso medio” è una realtà diffusa, dai seguenti tratti
caratteristici:

 lui, lei, loro come soggetto


 gli generalizzato
 forme come ‘sto, ‘sta
 a me mi ridondante
 costrutti preposizionali con partitivo
 ci attualizzante con verbo avere
 dislocazione a destra/sinistra
 anacoluti
 che polivalente (valore temporale/finale/consecutivo)
 cosa interrogativo al posto di che cosa
 imperfetto al posto di congiuntivo/condizionale

Tali caratteristiche interessano anche parlanti istruiti in tutta la nazione. Si tratta di un


italiano parlato, ma a volte viene scritto. Si parla anche di “neostandard”. 1962:
introduzione della scuola media unica, uguale per tutti, obbligo scolastico fino ai 14
anni → sostituiva il doppio canale di formazione di Gentile. La scuola aveva forte
incidenza sociale → obiettivo degli interventi di chi vedeva nell’insegnamento della lingua
una forma di repressione → periodo di forte passionalità politica; interviene anche la
Chiesa → Don Milani, che mise a nudo le condizioni di indigenza linguistica dei ragazzi
delle classi povere. Proponeva, poi, interventi per adattare la scuola alle necessità degli
allievi. Don Milani non è stato l’unico a rimproverare la pedagogia linguistica corrente, ma
alcuni docenti si sono buttati sulla sponda opposta. C’è ormai grande incertezza attorno
all’idea stessa di “norma” e la critica scientifica è stata spesso intesa come invito
all’abolizione della grammatica. Oggi si riscontrano carenze linguistiche di base negli
studenti della scuola dell’obbligo e studenti universitari → non sono in grado di rispettare
le norme più elementari di grammatica e sintassi → si parla di “italiano selvaggio”.

Capitolo 10
Quadro linguistico dell’Italia attuale
Dove si parla italiano
L’italiano è parlato in tutto il territorio della Repubblica italiana, di cui è la lingua ufficiale
(anche se la Costituzione non le assegna ufficialmente tale funzione). E’ parlato nello
Stato del Vaticano, nella Repubblica di San Marino, in alcuni cantoni della Svizzera; lo
si comprende nel Nizzardo, nel Principato di Monaco, nelle ex colonie italiane, nell’ex
protettorato di Rodi, in Istria, in alcune località della Dalmazia; da tener conto anche

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
delle comunità di emigrati italiani, di Malta, e della grande influenza dell’italiano, data
dalla televisione, in Albania.

Gli alloglotti
Nei confini italiani sono presenti alcuni tipi di alloglotti di origine romanza e non romanza
→ “minoranze linguistiche”: numero consistente di alloglotti. Si parla di
“propaggi”/”penisole” di alloglotti quando aree linguistiche più grandi, al di fuori del
territorio nazionale, si estendono anche entro i confini. “Isole linguistiche” sono invece
comunità di alloglotti molto piccole ed isolate. La legge 482/1999 tutela le minoranze
albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate, francesi, franco-provenzali,
friulane, ladine, occitane e sarde. Molti alloglotti parlano lingue del gruppo romanzo.
Accanto al ladino, anche il sardo può essere considerato una vera e propria lingua ma,
tuttavia, non si è mai giunti alla creazione di una koinè sarda. Coloro che parlano il sardo
sono circa un milione. Si parla di “isole linguistiche” se ci si trova in presenza di comunità
caratterizzate da una specifica diversità, numericamente molto ridotte, geograficamente
circoscritte in un territorio piccolissimo. Esistono gruppi alloglotti romanzi e non romanzi →
propaggini tedesche (che hanno spesso dato problemi di natura politica ed
amministrativa) → statuto speciale della provincia di Bolzano, dove il tedesco ha status di
lingua ufficiale assieme all’italiano. Grande interesse per le colonie greche nel territorio
italiano, una in Calabria ed una in Salento → due teorie sull’origine: eredità della Magna
Grecia; conseguenza dell’occupazione bizantina. Le propaggini slave erano molto
importanti prima della guerra, ma si sono ridotte quando l’Istria è passata all’ex Jugoslavia.
Vi sono comunque moltissime colonie di albanesi di immigrati giunti dal XV secolo → nel
XX secolo c’è stata una nuova emigrazione dall’Albania, che non ha alcuna relazione
storica con quella precedente; immigrazioni anche da Terzo Mondo, Africa, Asia, Centro
e Sud America → stanno prendendo il posto delle vecchie minoranze storiche per
importanza, peso sociale e gravità dei problemi posti dalla loro presenza. La nuova
immigrazione ha creato un nuovo sottoproletariato urbano, con scarse possibilità di
integrazione/gruppi etnici isolati/tradizioni che si scontrano con leggi e altre tradizioni.

Aree dialettali e classificazione dei dialetti


Si possono distinguere, in Italia, tre aree diverse: Settentrione, Centro, Meridione,
separate da due linee di confine, linea La Spezia-Rimini e linea Roma-Ancona. La
classificazione delle aree dialettali non è cosa semplice, perché non sempre i confini sono
chiari ed univoci. Molto forte, poi, la variabilità dei dialetti, che mutano da luogo a luogo,
anche all’interno di una stessa regione o di una stessa città.

Gli italiani regionali


L’italiano non è parlato in modo uniforme nell’intero territorio nazionale → differenze a
livello fonetico, lessicale, sintattico, morfologico (ma più raro). Le varietà dell’italiano
prendono il nome di “varietà diatopiche dell’italiano”/”varietà regionali di
italiano”/”italiani regionali”. La caratterizzazione più evidente si ha a livello di pronuncia
→ 4 principali varietà: varietà meridionale, settentrionale, toscana, romana. L’italiano è
una lingua che, per tradizione, è ricca di termini “ufficiali”, elevati, letterari ma, in contesti
informali/familiari, le differenze regionali si fanno marcati, soprattutto per cibo, specialità
della cucina regionale, designazioni botaniche.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)
Document shared on www.docsity.com
Downloaded by: elettra-munzi-1 (elettra.munzi@liceograssilatina.org)

Potrebbero piacerti anche