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ORIGINI DELLA LINGUA E DELLA

LETTERATURA ITALIANA

Ricorda: non può esserci una produzione letteraria in


lingua italiana se non c’è una lingua italiana.

La lingua italiana deriva dal latino volgare. Il latino, infatti,


presentava anticamente due forme: quella letteraria, usata dalle
persone colte e di condizione sociale elevata; e quella volgare,
usata dal popolo.

Nella mappa sono indicati in verde i luoghi in cui si diffuse la


conoscenza del latino.

Nel II sec. d.C. Roma aveva unificato il suo immenso impero


anche dal punto di vista linguistico. Quello che si parlava era,
appunto, il latino volgare, che a contatto con le lingue dei popoli
conquistati iniziò a subire delle contaminazioni e delle
alterazioni.

DOMANDE DI COMPRENSIONE

1. L’italiano, dunque, deriva dal latino, ma da quale latino?


2. Quando il latino volgare cominciò a subire contaminazioni?
3. Perché il latino volgare subisce queste trasformazioni?

https://www.youtube.com/watch?v=1dAYws6Il9g

Con la caduta dell’Impero Romano sotto i colpi delle invasioni


barbariche, i vari tipi di latino volgare si trasformarono così
profondamente da dar vita a nuove lingue. Ebbero così origine
le lingue neolatine, cioè nuove latine o romanze, ovvero parlate
nei territori un tempo soggetti a Roma. Ci si riferisce all’italiano,
al francese, al provenzale, allo spagnolo, al catalano, al
portoghese, al romeno, e al ladino (parlato ancora oggi in alcune
vallate alpine della Svizzera, dell’Alto Adige e del Friuli).

DOMANDA DI COMPRENSIONE

4.Quali sono l lingue Neolatine e come si trasforma il latino


volgare in lingue diverse?

Malgrado le invasioni barbariche, in Italia il latino rimase più


vivo che altrove. Ma con il tempo si frantumò in tante parlate
diverse. Nacquero così i tanti dialetti, chiamati ”volgari”, nel
significato di ‘‘lingue di uso comune” rispetto al latino scritto,
ormai conosciuto solo da pochissime persone.
Il volgare che nel ‘300 (1300) finirà per prevalere a livello
linguistico, sarà il toscano e più specificamente il
fiorentino. Ancora oggi la nostra lingua nella sua struttura
fondamentale è toscana.

Dante Alighieri,
uno dei padri del volgare italiano.

DOMANDE DI COMPRENSIONE

5. Il latino in Italia scompare del tutto o permane, perché?


6 In quali ambiti o contesti rimane in uso il latino colto?
7. Quale volgare darà la maggiore impronta all’italiano di oggi?
Perché?

Il volgare all’inizio non è sentito


come una lingua degna della
letteratura. I letterati impiegheranno
qualche secolo per concedere al
volgare la dignità di lingua
dell’espressione artistica.
Il sermo vulgaris è rimasto a lungo confinato
all’oralità. Ciò rende rari, e pertanto
particolarmente preziosi, i documenti scritti che
rappresentano le prime testimonianze del suo
uso
La predicazione in “lingua romana
rustica”
(813)

Esempio del mutamento nell’uso della lingua è


rappresentato dalle “istruzioni” date ai chierici
dal Concilio di Tours (813) che impongono la
predicazione in “lingua romana rustica”, cioè
nei volgari locali.

APPROFONDIMENTO
Il Concilio di Tours, voluto da Carlo Magno, si tenne
nell'anno 813 a Tours ed è considerato l'atto ufficiale di
nascita delle lingue romanze. Durante i lavori conciliari
i vescovi presero atto delle autonomie linguistiche
neolatine, le lingue volgari, e ricorsero alla prima
attestazione del termine romana (romana lingua, da cui
il termine "romanza" nel senso di lingua derivata
dal latino) per riferirsi alla lingua comunemente parlata
all'epoca in Gallia, in opposizione alla lingua
germanica parlata dai Franchi invasori.
In definitiva, il Concilio stabilì che, mentre la liturgia
rimaneva in latino, l'omelia (cioè la predica) doveva
avvenire in RUSTICAM ROMANAM LINGUAM
(i volgari romanzi) AUT THIOTISCAM (le lingue
germaniche).

Fin dal IX secolo d. C. in Italia abbiamo esempi di


documenti scritti in una lingua che non è più latina, ma
che ricorda le sue forme. Il più antico documento in tal
senso è l’indovinello veronese, conservato nella
biblioteca capitolare di Verona , risalente al periodo tra
l’VIII e il IX sec. d.C. Il suo testo recita così:

«se pareba boves


alba pratalia araba
et albo versorio teneba
et negro semen seminaba»

Tradotto nell’italiano attuale il significato è il seguente:

«Teneva davanti a sé i buoi


arava bianchi prati
e aveva un bianco aratro
e un nero seme seminava»
La soluzione dell’ indovinello istituisce probabilmente
un’analogia tra l’azione del contadino con l’aratro in un campo e
quella dell’amanuense con la scrittura sulla carta:

«Le dita della mano


Le pagine bianche di un libro
La penna d’oca, con cui si era soliti scrivere
L’inchiostro, con cui si scrivono le parole»

L’indovinello veronese.
Il primo documento in cui appare la separazione netta tra il
latino e il volgare è il Placito Capuano (960 d.C.). Si tratta di
una sentenza giudiziaria (Placito = Sentenza, nel linguaggio
giuridico del tempo). Riguardava una contesa per il

possesso di alcune terre fra il Monastero di Montecassino ed un


certo Rodelgrimo d’Aquino. Il giudice riporta la formula
pronunciata da un testimone, che conferma il possesso
trentennale delle terre da parte del monastero.
Il Placito Capuano.
Il Placito Capuano è considerato il primo vero e proprio
documento in volgare italiano.

“Sao ko kelle terre, per kelle


fini que ki contene, trenta anni
le possette parte Sancti
Benedicti.”

So che quelle terre per quei confini che qui sono


contenuti le possedette per trent‘anni anni la parte di
San Benedetto. Capua, marzo 960

Il Giuramento di Strasburgo (814)


Una reciproca promessa di alleanza strategica tra
Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico.
Il testo è riportato dallo storico francese della prima
metà del IX secolo Nitardo, nipote di Carlomagno,
nella lingua in cui venne effettivamente
pronunciato, all’interno di un’opera storica in
latino.
Ludovico giurò in volgare romanzo francese, Carlo in
volgare germanico; ciò per facilitare la comprensione
dei soldati.
APPROFONDIMENTO

Il 14 febbraio dell'842 i due fratelli Carlo il Calvo e Ludovico il


Germanico si incontrarono a Strasburgo per giurarsi fedeltà
reciproca, e per promettere che nessuno dei due avrebbe
stretto patti di alleanza con Lotario I (imperatore e fratello
maggiore di Carlo e Ludovico). Questo giuramento venne
pronunciato nella cattedrale della città.
Il testo di questo giuramento è giunto fino a noi grazie allo
storico Nitardo che, all'interno della sua opera sui figli
di Ludovico I il Pio, scritta in latino, trascrisse le formule dei
giuramenti nelle lingue in cui vennero pronunciati: Carlo,
di lingua proto-francese, giurò in alto-tedesco antico, mentre
Ludovico, di lingua germanica, giurò nella lingua romanza del
fratello. Questo avvenne affinché le truppe di entrambi i fratelli
potessero comprendere i loro giuramenti. I rappresentanti dei
due eserciti giurarono poi nelle rispettive lingue di non essere
di nessun aiuto contro le truppe dell’altro fratello.
La Postilla amiatina (1087)

La Postilla è in un testo, redatto dal


notaio Rainerio nel 1087, che
definisce una donazione terriera a
favore di un monastero, fatta da tale
Micciarello, soprannominato
“capoduro” (caput coctu).

Ista cartula est de caput coctu


Ille adiuvet de illu rebottu
Qui mal consiliu li mise in corpu

Questa piccola carta è di


Capocotto Quella lo aiuti contro
il Maligno
Che gli mise in corpo un cattivo
consiglio
ISCRIZIONE DI SAN CLEMENTE

L’Iscrizione di San Clemente è contenuta in un


affresco molto particolare situato nella cripta
della Basilica di San Clemente a Roma. La
datazione è compresa fra il 1084 e il 1100. Si
tratta di una specie di “fumetto” che illustra un
miracolo del santo.
Nell’Iscrizione di San Clemente vi si narra che il
patrizio pagano Sisinnio è convinto che Clemente
abbia messo in atto contro di lui le proprie arti
magiche per insidiargli la moglie, convertita al
cristinanesimo.
Sisinnio ordina quindi ai servi (Gosmario, Albertello
e Carboncello) di arrestarlo, ma mentre questi lo
trascinano, il corpo del santo si trasforma
miracolosamente in una pesantissima colonna.
La scena è rappresentata in modo assai vivace.

Al centro del dipinto c’è un colonnato con


un’iscrizione in latino e ai lati opposti sono
raffigurati sia Sisinnio sia i servi che tentano
inutilmente di smuovere la colonna.
Accanto all’uno e agli altri ci sono scritture in
volgare in cui è trascritto ciò che Sisinnio e i servi
dicono. Ecco il testo.

Testo in volgare che riproduce le parole dette


da Sisinnio e dai servi.

Sisinium: «Fili dele pute, traite» (Figli di puttane,


tirate!)

Gosmarius: «Albertel, trai» (Albertello, tira)

Albertellus: «Falite dereto colo palo, Carvoncelle»


(Vagli dietro col palo, Carboncello).

Testo in latino che riproduce le parole di San


Clemente.

«Duritia cordis tui in saxa conversa est, et cum


saxa deos aestimatis saxa traere meruistis» (La
durezza del tuo cuore si è tasformata in sassi, e
dal momento che tu ritieni che gli dèi siano sassi,
hai meritato di trascinare sassi».

Come si può notare, il volgare romanesco è


considerato un linguaggio basso rispetto al latino,
lingua più elevata non a caso messa in bocca al
santo.

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