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Propedeutica al latino

universitario
Capitolo 1
1. Sincronia e diacronia
La lingua si può considerare secondo due punti diversi: diacronico e sincronico. diacronia: studiare
la lingua attraverso il tempo. sincronia: studiare la lingua escludendo la componente tempo.il primo
studio è dinamico e ha per oggetto le fasi di una lingua.il secondo studio è statico e ha per oggetto
lo stato di una lingua, da Ferdinand De Saurrure. Grazie all’opera di Rask e Bopp avviene una
rivoluzione nel campo degli studi linguistici: nasce la grammatica storica. occorreva però la
scoperta del sanscrito o antico indiano e delle sue affinità con le lingue classiche. da questa
comparazione si risale ad una forma di lingua unica e originaria, che si è differenziata nel tempo. la
glottologia ottocentesca sistema e accumula un'enorme materiale nel campo di fonetica e
morfologia e ci si è accorti di tante anomalie grammaticali. prendeva così luogo il concetto di
eccezione come residuo di una norma più antica. La validità è garantita dalle leggi fonetiche, cioè
regole costanti di trasformazione dei fonemi, dando così base scientifica all’etimologia. questo
lavoro è sfociato nel Compendio di grammatica comparata delle lingue indogermaniche che
rappresenta tutt'oggi la base della nostra grammatica storica latina che poi fu insegnata nelle
scuole. È nell'ultimo settantennio che abbiamo assistito a un rovesciamento di concezioni e metodi
in armonia con le nuove tendenze contemporanee, come il neo positivismo. la grammatica storica
ha così perso terreno di fronte alla linguistica sincronica o descrittiva. il latino non è ancora giunto
a una globale interpretazione delle sue strutture ed è compito della linguistica armonizzare i
concetti di diaconia e sincronia.
2. L’indoeuropeo
Nei primi cinquant'anni del novecento il metodo comparativo ha permesso di scoprire il latino e il
greco e anche le lingue europee e asiatiche: essi avevano tutti un'affinità genetica e risalivano alla
loro lingua madre, indoeuropeo, che si estendeva dai confini orientali a quelli occidentali.
l'indoeuropeo è un concetto linguistico: è un insieme di varietà dialettali parlate da tribù in una
zone settentrionali del continente asiatico tra il quarto e il III millennio a.C.. Con le migrazioni i
dialetti si sparsero affermandosi tra l'India e l'Europa, annientando le lingue indigene dividendosi
in: sanscrito, iranico, armeno, slavo, baltico, greco, germanico, italico, latino, celtico. il latino
presenta peculiarità morfologiche in comune con l'italiano e con il celtico, e lessicali in comune con
l’indo-iranico.
3. Le fasi del latino
Latino: lingua indoeuropea, sorella del greco da cui deriva parte del suo alfabeto, “parente” con la
lingua dei Siculi. In epoca storia, il latino è la lingua di Roma. Esso è stato influenzato dall’etrusco,
con la quale confinava, soprattutto durante la monarchia dei Tarquini. Maggiore l’influsso greco a
causa di commercio e cultura. Il latino ha seguito l’espandersi di Roma in tutta Italia e le fasi della
stessa Roma. L’impero fu sempre bilingue, così come la cultura romana.
Fasi del latino:
- preletterario III sec.;
- Arcaico: Livio Andronico, I sec a.C. documentazione nella Palliata e prosa di Catone;
- Classico: eta di cesare e cicerone;
- Augusteo: morte di augusto, Livio;
- Imperiale: primi due secoli dell’impero (morte di Marco Aurelio);
- Cristiano: tipico di scrittori cristiani, II sec. d.C. con grecismi, volgarismi;
- Tardolatino: parallelo al latino cristiano.
4. Gli strati del latino
Il latino composto in diversi strati:
- lingue letterarie: stilizzata,
- lingue tecniche: tipica di varie attività e arti,
- lingua d’uso: della conversazione
- latino volgare: ci da una idea del parlato, ovviamente filtrato e alternato allo scritto: iscrizioni,
informazioni contenute all’interno dell’Appendix Probi.

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La lingua ha avuto diverse biforcazioni come quella tra prosa e poesia, il tono alto dell'epica e il
tono medio dell'elegia, la commedia e la satira. ma i romani non avevano avevano dialetti, banditi
dal purismo. La differenzazione stilistica dei generi fu il problema letterario più grosso assieme
a quello dei sinonimi che differenziavano per ragioni stilistiche. Come per esempio agricola è
diverso da ruricola. Ovviamente molta terminologia tecnica passa nelle lingue d'uso e i termini
volgari salgono verso la lingua letteraria. il solco tra lingua letteraria ancorata ai grandi modelli
classici e la fluida lingua parlata si approfondisce nell'epoca imperiale, quando ad aggravarlo si
aggiunge il fatto che il latino era ormai parlato in un immenso territorio da gente di lingue diverse e
che quindi non potevano lasciare tracce della loro lingua originaria. Fin quando il potere centrale
restò in piedi anche il latino restò relativamente unitario in varie parti dell'impero anche se con la
differenza tra latino parlato e letterario. È con il disintegrarsi dello Stato che il latino subì un rapido
processo di differenziazione geografica grazie all'isolamento culturale e al declassamento
economico delle popolazioni. Dopo la caduta dell'impero si contrappone la rustica romana lingua,
la lingua parlata dei vinti. è l'alba delle lingue romanze o neolatine. Il rumeno, l'italiano, il
francese, lo spagnolo, il portoghese.i primi documenti risalgono all'VIII secolo.
5. Il latino dopo Roma
L'italiano è la fase più recente del latino parlato mentre il latino letterario fu salvato dalla chiesa che
ne fece lingua liturgica dell’Occidente. Nel medioevo la chiesa fu l'unica depositaria della cultura e
il latino medievale divenne la lingua colta dell'Europa occidentale, riflesso di una civiltà unita. Verso
il settecento il latino era completamente caotico, ormai una lingua non più adatta a servire come
mezzo di comunicazione. ad intervenire fu Carlo Magno che riconsiderò il latino guardando al
latino corretto dei primi missionari. La lingua giunse a maturità espressiva nella filosofia. la grande
poesia invece dovette attendere un mezzo linguistico totalmente nuovo: il romanzo. l'umanesimo
segna una seconda primavera del latino: il latino umanistico andò però irrigidendosi ed alienandosi
fino al decadere assieme ai grandi ideali dell'Europa medievale. La riforma spezza l'unità religiosa
e in nazionalismi si affermano: due colpi mortali per il latino che combatté contro le lingue
nazionali.da una parte Lutero e dall'altra Pietro Bembo, con un compromesso di un latino moderno
destinato a fallire. l'incidenza dell'italiano è ormai minima ma sarà Pascoli a mostrare come la
compresenza di due sistemi linguistici può ridare una vita poetica latino rimettendo in modo la
dialettica fra tradizione innovazione. Nel corso del XVI secolo il latino continua la sua esistenza
chiusa nei seminari nelle accademie, ai margini della cultura. Tuttavia il latino riprende
inaspettatamente vita con la scienza, da Copernico, Galileo, in botanica, anatomia e astronomia,
gettando le basi per la modernità. La chiesa romana è l’ultima spiaggia del latino, con il concilio
vaticano II. Il latino è il ponte con il passato e un modo per capire meglio noi stessi. “Usiamo
l’antichità per comprendere meglio il presente”, cit. Confucio.
Capitolo 2: la pronunzia
1. Storia della questione
Le variazioni della pronuncia latina è un aspetto della lotta tra urbanitas (puro latino del centro
urbano) contro la rusticitas (latino dialettale delle campagne) e la peregrinas (latino provinciale).
Cicerone dice che per parlare latino bisogna controllare grammatica, lessico e pronuncia del latino
puro, evitando le altre due. Un secolo dopo Quintiliano definisce i termini corretti per la pronuncia.
Tuttavia incombe la minaccia dei barbari e così anche nella pronuncia si insidia questo drammatico
conflitto che caratterizza gli ultimi due secoli dell’impero.
Con la scomparsa di Roma, il latino va sempre più differenziandosi a seconda dei rispettivi sostrati.
Il medioevo non tentò di uniformare tale pronuncia anche perché la chiesa non volle oscurare
maggiormente la comprensione dei testi liturgici.
Per uniformare la pronuncia bisognava capire quale fosse stata la pronuncia corretta dei Latini,
risposta che hanno dato gli umanisti anche se è più facile a dirsi che a farsi perché neanche
Erasmo ci riuscì. Oggi la situazione è la stessa: le pronunce nazionali differiscono l’una dall’altra
anche se si pronuncia la stessa parola. In italia c’è la pronuncia ecclesiastica affermata da Pio X
nel 1912. La pronuncia classica è invece molto diffusa nelle università. Non si può studiare il latino
senza conoscere la pronuncia storica.
2. La pronuncia classica
Non esiste una pronuncia di una lingua ma tante pronunce quanti sono i parlanti a causa di 3
variazioni:
1. Storica, tempo
2. Geografica, luogo
3. Sociale, condizione sociale
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Pronuncia classica: si definisce come appartenente al ceto colto della città di Roma nel I sec.
a.C., è la pronuncia di cesare e cicerone, da plauto fino a tacito.
Chi ce lo garantisce?
1. Le testimonianza diretta dei grammatici antichi (quando descrivono i suoni)
2. La testimonianza indiretta degli scrittori antichi (quando usano figure retoriche come
onomatopee)
3. Le scritture fonetiche delle iscrizioni (incise dagli scalpellini)
4. I termini latini passati in epoca antica in altre lingue (es. germanico)
5. La trascrizione di parole latine in greco
6. I dati della fonetica comparata indoeuropea

N.B. i prossimi paragra spiegano dove la pronuncia classica di erisce da quella italiana.
1. I dittonghi
Tutti i dittonghi si pronunciano “come si scrivono” purché il secondo elemento non fa sillaba e non
porti accento (es. aetas, aestimo, foedus). Il termine Caesar, cioè imperatore, termine rivolto a
Cesare, deriva dal suo antenato tedesco Kaiser di cui ne conserva il dittongo. Perché? Perché
sotto il comando di Cesare, frequenti furono i rapporti tra Romani e Germani. L’allitterazione è una
delle figure più utilizzate dal latino e lo eredita dalla lingua italica. Il mediolatino eliminò i dittonghi
ae e oe anche graficamente. Questa restaurazione si deve agli umanisti.
2. La Y
È una lettera greca , aggiunta alla fine dell’alfabeto latino nel I sec a.C. per trascrivere i nomi greci,
poi venne trasformata in -u-. Es. l’opera Ampitruo di Plauto ➣Amphitryon.
La pronuncia popolare oscilla tra i e u, ma la più diffusa è la pronuncia -i-.
3. Il sonus medius
È Quintiliano a denominare un suono intermedio fra la -u- e la -i-, un’oscillazione gra ca tra u e i,
una vocale breve, tonica e atona. Es. lubet/ libet, optumus/ Optimus. La gra a più antica era -u-
ma poi fu Cesare a generalizzare la -i-, la -u- rimase come segno di arcaismo.
4. U semivocale
Noi distinguiamo tra U da una parte, V dall’altra. I latini invece usavano un solo segno V per la
maiuscola e in seguito con lo sviluppo della minuscola -u- , scrivevano VIVO>VNVS. I suoni U e V
entrano con l’umanista Pierre de la Ramee (si dicono lettere rapiste). I latini non avevano il segno
della V cosi come neanche il suono (fricativa labiodantale sonora). Nella pronuncia classica la u di
uiuo si distingueva dalla u di unus in quanto questa è vocale (nell’italiano uno è una semivocale
es. uovo, uomo). Ci sono due prove: la trascrizione in greco ov e le paranomasie e le
onomatopee. Varrone conferma che il termine latino non ha perduto la sua mimetica come è
successo all’italiano. Qualche di coltà può presentare al pronunzia del gruppo uu di uiuus ma
questa gra a è postclassica, e Quintiliano attesta che i suoi maestri insegnavano ancora a
scrivere seruos, che era la gra a classica, documentata anche dalle iscrizioni. La pronunzia
classica era dunque col primo elemento semivocalico u (seruos), che no al primo secolo
dell'impero impedì alla -o- seguente di chiudersi in -u-, come era avvenuto quando non
precedeva u, es. lius < lios.
L’aspirazione
La h in italiano non si pronuncia, è muta e vale anche per il latino, contrastata dalla scuola. Ci
sono tre specie di aspirazione:

1. Aspirazione vocalica iniziale: homo, habeo. Conserva il latino urbano anche per
l’influsso greco.
2. Aspirazione vocalica interna: mini, nihil. Era muta in età preletteraria non avendo
impedito ne la contrazione (nemo< ne-hemo) ne il rotacismo (diribeo< dis-habeo). Ha h è
rimasto come segno grafico anche per separare le sillabe.
3. Aspirazione consonantica: ch, th, ph. Originariamente non c’era. Noi pronunciamo ch
come k, th come t, ph come f ma andrebbero pronunciate come si fa in greco. K-h, t- h e p-h.
Ovviamente c’è differenza tra ph e f dal punto di articolazione.
Le velari davanti a vocale palatale (e/i)
Punto di maggior di erenza tra la nostra pronuncia e la classica. C e g suonavamo sempre dure
davanti a -e- e -i-. Dunque kikero e non cicero, e lo testimoniano tanti autori come per esempio
Orazio anche se la testimonianza della velare sonora g era più rara della sorda c.
Il gruppo gn

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La g deve essere pronunciata come si pronuncia “Wagner “ (wag+ner) in tedesco, come velare+
nasale. In italiano invece usiamo la g “schiacciata”, es. agnello.
Si discute anche se gn- iniziale (per es. gnatus, Gnacus) la g fosse sempre dura o fosse caduta
nella pronunzia, sopravvivendo solo nella gra a (come il k dell'inglese know).
Il gruppo quu
La labiovelare sorda qu non pone problemi di pronuncia agli italiani tranne che davanti alla u: es.
equus. Tuttavia facciamo un errore perché secondo la pronuncia classica si dovrebbe dire ecus (la
labiovelare qu diventa velare c; così si pronuncerà “ecus”, conservando allo stesso tempo la o
originale: equos, sequontor. C’erano due opinioni contrastanti sulla questione: 1. Allineare la
desinenza come quella degli altri nominativi singolari maschili della II declinazione (ecus come
lius). 2. Mantenere la labiovelare (equi, equo). Poi venne raggiunto il compromesso: la pronuncia
era con una sola u (ecus). Riepilogando, si legga equos, sequontur se così si trova scritto; se
invece si trova scritto equus, sequuntur, che è la gra a più di usa, si legga ecus, secuntur.
-s- intervocalica
È sempre sorda come la -s- iniziale, in latino suona con la s si sacro o Carso anche se possedeva
la -s- intervocalica sonora. Restò solo la -s- intervocalica sorda: in origine non indoeuropea (rosa,
asinus) o introdotte tardi dal latino, o deriva da una sempli cazione della doppia s : -ss-. Fino
all’eta di Augusto si scrisse caussa e cassus, o dove il rotacismo non aveva avuto dissimilazione
con una r (miser, Caesar) o nei composti (de-sipio).
Il gruppo ns
Tendenza del latino a eliminare la n davanti alla s, allungando la vocale precedente. Es. lupos<
lupons< lupo-m-s (lupo+desinenza dell’accusativo+ desinenza del plurale). Questa tendenza
confuta ad agire nella pronunzia classica in contrasto con la gra a, riducendo la n davanti alla s
nelle sillabe radicali (mensis) a una debole appendice nasale della vocale precedente, che si
allunga. Per ipercorrettismo la n era aggiunta davanti alla s anche dove non c’era. C’è una insulta
divergenza tra pronuncia scolastica del latino ed esito romanzo, che in genere coincidono.

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