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Le LINGUE ROMANZE
La conquista romana aveva portato con sé, tra l'altro, anche l'unificazione linguistica
dei territori sottomessi a Roma. Il latino era diventato la lingua di tutto l'Impero: in latino
si scrivevano i documenti ufficiali e le opere letterarie. Accanto al latino scritto, però,
destinato alle occasioni ufficiali, esistevano il latino parlato, che era diverso a seconda dei
luoghi, delle classi sociali, delle popolazioni che lo usavano, ed era soggetto, come tutte le
lingue parlate, a trasformazioni molto rapide. Queste trasformazioni si accentuarono a
partire dal V secolo d. C., dal momento cioè della caduta dell'Impero romano d'Occidente:
il latino parlato, per influsso della lingua dei popoli invasori (Franchi, Goti, Visigoti,
Longobardi), ma anche di greci e arabi, si differenziò sempre più da quello scritto,
sino a diventare una lingua autonoma. Tra il IX e il X secolo questo processo era ormai
completato: nei territori dell'ex impero romano si parlavano lingue nuove, dette
"neolatine" (cioè nuove lingue latine) o romanze (da "romaniche", nel senso di "diffuse
sul territorio governato dai romani"), che erano il risultato della trasformazione del latino
parlato avvenuta nei vari territori. (Nascono le lingue volgari: questo nuovo linguaggio
assume caratteristiche diverse da territorio a territorio ed è costituito da una mescolanza di
termini latini, parole introdotte dai popoli invasori ed espressioni locali e dialettali).
Queste lingue si sono poi evolute nei moderni italiano, francese, spagnolo, portoghese,
ladino o romancio (parlato in alcune zone del Trentino e del Friuli, in Italia, e nel Cantone
dei Grigioni, in Svizzera) e rumeno.
In Italia, però, le prime tracce di documenti scritti in lingua volgare risalgono all'800 d.C.
e ci portano a Verona, dove uno scrivano tentò di comporre un indovinello che risulta
una mescolanza tra latino e dialetto veneto. L'indovinello è riportato in un manoscritto
della Biblioteca Capitolare di Verona e si riferisce all'attività della scrittura: nel testo si
riconoscono ancora molti termini latini, ma compaiono anche nuove costruzioni
sintattiche e insolite espressioni lessicali.
Boves se pareva
alba pratalia araba
et albo versorio teneba
et negro semen seminaba
Traduzione: Spingeva davanti a sé i buoi (=le dita), arava bianchi prati (=scriveva sulla
pergamena), e teneva un bianco aratro (=la penna d'oca) e seminava nero seme
(=l'inchiostro).
Focus:
Quale volgare?
Nei due secoli successivi alla comparsa dei primi documenti scritti, i volgari delle
diverse regioni si affermano, oltre che come lingue parlate, anche come lingue
scritte, sebbene la lingua ufficiale della cultura con la “C” maiuscola sia il latino.
Alla formazione del volgare italiano hanno contribuito molte lingue e culture, che
appartengono ai popoli che via via hanno invaso parti della penisola italiana.
Dall'invasione longobarda provengono termini come: Lombardia, guancia, schiena,
stamberga, panca, scaffale, ricco, guerra, spaccare, russare.
Dagli Ostrogoti ereditiamo: elmo, albergo, fiasco, bando, guardia, guardare, recare.
Dai Franchi molti sono i termini acquisiti, che appartengono al mondo feudale:
feudo, barone, vassallo, gonfalone, guanto, galoppare; oppure parole che riguardano la
caccia: bosco, dardo, tregua.
Infine dal IX secolo d. C., anche gli Arabi influenzarono molto la nostra lingua:
arancia, carciofo, limone, zucchero, cotone, sciroppo, alchimia, cifre, algebra, dogana,
arsenale, magazzino… e tante altre ancora.
In volgare si scrivono sia opere in prosa sia poesie, libri di conti, testamenti,
lettere. Ma ben presto il volgare fiorentino emergerà come il più rappresentativo
di tutta la penisola, quello che gli scrittori sceglieranno, fra tutti i volgari esistenti, per
scrivere le loro opere. Sarà proprio il volgare fiorentino a diventare la lingua italiana
scritta.
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I motivi che portarono il fiorentino a divenire il volgare più importante e
rappresentativo sono molteplici:
. a partire dal 1200 Firenze conobbe uno straordinario sviluppo politico,
economico e culturale e divenne una delle città più ricche e fiorenti d'Italia;
. dal punto di vista geografico, Firenze si trovava in una zona centrale della nostra
penisola e questo favoriva i contatti con le popolazioni settentrionali e con quelle
meridionali. La centralità geografica corrispondeva anche alla “centralità” linguistica
del fiorentino, un volgare che svolgeva un ruolo di mediazione fra i volgari del nord e
quelli del sud: in pratica, una “via di mezzo”.
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IL DUECENTO:
LA POESIA RELIGIOSA
Nasce la poesia
Attorno all'anno Mille il volgare al posto del latino si diffonde in tutto il Paese. Il latino
rimane la lingua ufficiale della Chiesa e della cultura ed è compreso solo da una ristretta
cerchia di persone. Il volgare, al contrario, viene usato per scopi pratici, come la stesura
di contratti o documenti comprensibili a tutti. L'uso costante rende il volgare sempre
più raffinato, finché anche i letterati cominciano a servirsene per comporre le loro opere.
Nel XIII secolo nasce la letteratura italiana, che riflette – come l'arte del tempo – la
profonda religiosità cristiana caratteristica del Medioevo.
Nello stesso secolo – a seguito di una diffusa corruzione all'interno della Chiesa – si fa
sempre più pressante l'esigenza di un rinnovamento spirituale con il ritorno alla fede
autentica del Vangelo. Sorgono così molte confraternite e movimenti di laici e di religiosi.
Nel 1200 nascono due Ordini mendicanti tuttora fondamentali per la comunità
cristiana: i francescani e i domenicani. Essi intendono predicare la parola di Dio alle
masse e hanno quindi la necessità di parlare e scrivere nella lingua usata dal popolo
(vulgus in latino), cioè il volgare.
Il nuovo messaggio religioso di fede e rinnovamento spirituale trova espressione nella
lauda, che nasce e si diffonde soprattutto in Umbria e ha in Jacopone da Todi il suo
più grande interprete.
La lauda, composta inizialmente in latino, è una preghiera in versi cantata che vuole
lodare Dio e il creato. Con il tempo le varie confraternite riuniscono questi testi in
raccolte che prendono il nome di laudari.
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Nel 1200 il latino, peraltro mescolato al volgare, mantiene il predominio come lingua
scritta; accanto ad esso, però, si diffonde per scopi pratici (lettere, registri, documenti
vari ecc.) l'uso del volgare.
In questo periodo compaiono anche i primi scritti letterari e artistici in volgare:
sono i testi della poesia toscana e umbra, di argomento religioso, il più noto dei quali
è Il cantico delle creature di San Francesco d'Assisi. Anche la Chiesa,
tradizionalmente depositaria dell'uso del latino, infatti comincia a servirsi del volgare. Se
ne fanno promotori i nuovi ordini religiosi (come i francescani) che, proponendo un
ritorno alla purezza e alla povertà della Chiesa delle origini, intendono stabilire un
rapporto più diretto con la popolazione producendo prediche, lodi e sacre rappresentazioni
in volgare. Pertanto la produzione poetica in volgare si inaugura proprio con la poesia
religiosa.
Latino e volgare si influenzano reciprocamente nella lingua scritta, soprattutto nel lessico,
cioè nei termini, nelle parole, che dal latino scritto entrano nel volgare, e nella sintassi, cioè
nella struttura del periodo; va però ricordato che la maggioranza della popolazione parla
ancora i dialetti locali. Nel corso del tempo l'italiano si arricchisce anche di parole derivate
da altre lingue come per esempio il francese, l'arabo o l'inglese.
SAN FRANCESCO
Nato ad Assisi nel 1181 o 1182, figlio di un ricco mercante di stoffe, dopo una giovinezza
spensierata e agiata conobbe una profonda crisi spirituale, in seguito alla quale donò tutti i
suoi beni e, in totale povertà, cominciò a dedicarsi alla predicazione del messaggio di
Cristo. Nel 1206, infatti, fece la scelta radicale di vivere in povertà, secondo gli ideali
originari del cristianesimo. Presto raccolse intorno a sé un gruppo di seguaci (alcuni
compagni che condivisero la sua scelta) e nel 1210 fondò l'ordine francescano. Si
trattava di un nuovo Ordine religioso, detto dei “frati minori”, basato sulla predicazione del
Vangelo, sulla condivisione di una vita di povertà e sull'imitazione di Cristo. Predicò a
lungo in Egitto e in Terra Santa e, tornato ad Assisi, perfezionò la Regola del suo Ordine,
che venne approvato da Papa Onorio III. Negli ultimi anni della sua vita affrontò
sofferenze e malattie. I suoi discepoli raccolsero le descrizioni di molti episodi
miracolosi, a lui attribuiti, nei Fioretti. Famose sono le storie di Francesco, che parla agli
uccelli, che rende mansueto il lupo di Gubbio, che “inventa” il presepe vivente per
raccontare la nascita di Gesù. Morì nel 1226. Dopo la morte, nel 1228, fu proclamato
santo da Papa Gregorio IX e per la sua figura esemplare fu nominato Santo Patrono
d'Italia.
(La città di Assisi, rinominato Oriente da Dante, fu un'importante città comunale resa
autonoma dall'imperatore dal 1198, quando San Francesco si spogliava dei propri beni per
dedicare la sua vita alla povertà e alla predicazione. Nel tempo ha mantenuto un rapporto
vivo e costante con il suo concittadino, che l'ha predestinata ad assumere un ruolo
significativo nella spiritualità presso tutti i popoli del mondo.)
La POESIA RELIGIOSA
Un filone importante della letteratura del Duecento è rappresentato dalla poesia
religiosa, che si sviluppa e ha la sua massima diffusione in Umbria. Questa poesia, che
utilizza sia il volgare sia il latino medievale, trova una delle sue massime espressioni nella
lauda (dal latino laus, "lode"). In origine era una preghiera che veniva cantata durante le
processioni e che conteneva le lodi di Dio, della Madonna e dei santi. Dalla metà del
Duecento cominciò a essere scritta e assunse un valore colto, di elevazione spirituale e
letteraria, grazie soprattutto a poeti come Jacopone da Todi e Guittone d'Arezzo.
Il SONETTO
È il componimento più importante della poesia italiana.
Una delle più grandi invenzioni metriche della "nuova" letteratura in volgare è una forma
breve, elegante e compatta, destinata ad essere utilizzata per secoli (ci sono poeti che la
usano anche oggi): il sonetto. Si tratta di un componimento poetico composto da
quattordici versi endecasillabi, cioè il cui ultimo accento cade sulla decima sillaba, ed
è formato da quattro strofe, due di quattro versi (quartine) e due di tre versi
(terzine). I versi delle quartine e delle terzine rimano tra loro. Le rime delle quartine
possono essere alternate (ABAB ABAB) o incrociate (ABBA ABBA); quelle delle terzine
possono essere tra loro legate in vario modo: due rime alternate (CDC DCD), due rime
incrociate (CDC CDC), tre rime replicate (CDE CDE) o tre rime invertite (CDE EDC). Lo
schema delle rime mette in luce la struttura della poesia.
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