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FONDAMENTI DI FILOLOGIA E LINGUISTICA ROMANZA – GIOIA PARADISI- 1°SEMESTRE

13.10.20 1° LEZIONE

La filologia e la linguistica sono le due discipline qualificate tramite l’aggettivo romanza; la linguistica romanza studia le
lingue romanze nazionali ma anche i dialetti romanzi, (i quali differiscono solo sul piano socioculturale, dal momento che
sono parlati in zone geograficamente limitate e in ambiti socialmente e culturalmente ristretti) e le loro reciproche
influenze, sia dal punto di vista teorico e generale che dal punto di vista diacronico e descrittivo e affronta l’evoluzione
delle varie parlate, a partire dal latino, con l’intento di confrontare e mettere in relazione i fenomeni pertinenti alle
diverse lingue. Quando studiamo il latino e le lingue da lui derivate, ovviamente come lingue vive, (anche il latino è lingua
viva), studiamo come queste sono parlate. Il latino si è studiato come lingua morta, non parlata più da millenni, parlata da
tanti popoli che poi si è espansa.

Noi dobbiamo praticare lo studio linguistico e associarlo allo studio filologico, mentre la linguistica ha come oggetto lo
studio delle lingue quali organismo storico naturale, sono degli organismi naturali ma anche storici perché cambiano nel
tempo. La filologia è una disciplina storica e l’oggetto di studio non sono le lingue in quanto tali, ma i testi letterari e
pratici scritti in queste lingue in epoca medioevale. Il filologo si occupa delle lingue sotto il profilo dello sviluppo storico.
Quando si studiano le lingue dal punto di vista della linguistica vengono meno i confini nazionali, il concetto di lingua
entra in ballo quando ci riferiamo ad una geografia politica, un territorio di una certa ampiezza. La filologia è una
disciplina antichissima, 3-4 sec. a.C., epoca alessandrina, nasce in collegamento con il tempio delle Muse (da lì la parola
museo) come studio ed edizione dei testi e con la biblioteca di Alessandria d’Egitto, la maggiore istituzione culturale
dell’antichità, fondata nel III sec. a.C. durante il regno di Tolomeo II Filadelfo, poi ingranditasi nel VI e I sec. a. C. e andata
distrutta. All’epoca i libri erano rotoli di papiro, rotuli, contenenti le opere + importanti conosciute (poemi omerici).
Vengono confrontati questi testi e ci si rende conto che hanno delle differenze; nasce l’esigenza di una figura di
mediazione che dia le edizioni dei testi. In rapporto con la linguistica romanza, la filologia ha un’origine più recente e
diventa materia insegnata all’università, agli inizi dell’800 quando si diffonde prima in Germania e poi in Francia, un
paradigma storico-comparativo. Le lingue romanze sono la continuazione nel tempo del latino e ad esso sono
geneticamente affini; questo privilegia il lavoro dello studioso che voglia seguire in diacronia il complesso processo di
sviluppo che ha portato all’evoluzione del latino nelle lingue romanze. Le lingue romanze sono l’unico esempio di gruppo
geneticamente affine di cui sia ben nota l’origine comune. Il metodo storico-comparativo affronta lo studio delle lingue
nel loro divenire e tramite la comparazione, spiega i rapporti tra loro e le raggruppa sulla base delle loro affinità. Già
all’inizio dell’800 gli studiosi si resero conto che potevano essere allineate sotto il profilo fono morfosintattico.

Facendo questo è stato possibile stabilire dei sotto-ceppi, il ceppo gallo romanzo, che comprende francese, occitano,
alcuni dialetti piemontesi, il ceppo ibero-romanzo (spagnolo, portoghese, gallego) il catalano è una lingua ponte vicina allo
spagnolo per alcuni aspetti e ai dialetti della Francia meridionale per altri. Attraverso questo metodo si è stabilita la
parentela di queste lingue, che conservano ancora delle affinità con la lingua madre, il latino. Gli studi dei primi decenni
dell’800, si resero conto che potevano essere individuate diverse famiglie linguistiche risalenti ad una fase precedente.
Rasmus Rack cominciò a confrontare inglese, francese, tedesco e ipotizzò che il ceppo comune fosse l’antico germanico,
lo stesso criterio fu trasferito sulla comparazione delle lingue romanze. Abbiamo centinaia di documenti scritti che ci
permettono di conoscere il latino, a differenza dell’antico germanico. Non è semplice trovare le attestazioni di latino che
ci fanno capire come era il latino parlato all’epoca e a noi interessa questo, la lingua madre parlata. Questo metodo
comparatistico fu ideato da Friedrich Diez; le lingue romanze derivano dal latino parlato, dell’oralità, che è molto diverso
da quello scritto. Perché si associano la filologia e la linguistica? Perché per conoscere i testi è necessario conoscere la
lingua, ma queste lingue nel momento in cui vengono scritte subiscono un processo che va messo a fuoco e va studiato.
Per essere scritte devono avere un sistema grafico che le rappresenti. A partire dal 1500 in avanti, l’epoca in cui sorgono
le accademie, gli stati nazionali iniziano a dotare le lingue di un sistema grafico canonizzato fondamentale per l’Inter
comprensione. Prima di allora c’era un plurilinguismo molto accentuato e questo rendeva difficile la trascrizione e la
comprensione dei testi. La filologia aiuta la decodifica del testo, non esiste filologia senza linguistica, autonomamente non
riescono a dare i frutti che donano quando vengono applicate insieme.

ROMANZO: sostantivo che fa riferimento ad un genere letterario. ROMANZA: deriva dal latino; esisteva in latino
Romanicus, un aggettivo derivato da Romanus, entrambi vengono dal toponimo Roma, che non è latino, forse non è
neppure indoeuropeo. Si pensa che possa derivare dalla lingua parlata dagli etruschi. Loro chiamavano il Tevere RUMON.
Attorno al territorio dell’isola tiberina c’era un emporio di scambio e il latino era parlato lì e nei territori circostanti;
quando Roma viene fondata, gli etruschi erano già presenti e vi erano fondazioni etrusche in Emilia e in Campania.

Esistevano piccoli villaggi con grande varietà linguistiche. Gentilizio (indica un clan importante) esistevano dei clan
aristocratici etruschi. Quando il latino diventa lingua parlata da milioni di parlanti spazza via tutte le lingue + antiche.
Roma viene fondata con il grande peso degli etruschi (Tarquini sono i primi 4 nomi dei re di Roma) Romanus: nome etnico
che individua un popolo, i Romani, in contrapposizione ad altri popoli italici (volsci, etruschi) all’inizio della loro storia, i
romani 7-8 sec. a. C. Il significato di questa parola cambia nel corso dei secoli, si perde il valore etnico quando nel I e II sec.
d.C. potevano definirsi romani coloro che erano considerati cittadini dell’Impero Romano perché c’era stata nel 212 d.C. la
legge Constitutio Antoniniana di Caracalla (editto emanato dall'imperatore Antonino Caracalla): la cittadinanza romana è
concessa a tutti gli abitanti purché paghino le tasse alla città di Roma, moltissimi imperatori non erano romani, molti
erano africani, delle Gallie, iberici. Roma realizza un suo melting pot grazie al fatto che il latino diventa la lingua di tutti
questi; da lingua di pochi mercanti e pastori che frequentavano il guado del Tevere a tutti. Data simbolica fondazione di
Roma 21 aprile 753 a.C. (ottavo secolo). Nel 4 e 5 secolo d. C., con la caduta dell’Impero (fine epoca antica) Romanus si
contrappone a Barbarus, un grecismo. In greco ha un’origine onomatopeica, barbari erano coloro che non parlavano il
greco, pregiudizio culturale per questa lingua e per questo popolo fuori dal mondo grecofono. Dalla fine del V secolo in
avanti ROMANUS avrà significato prevalentemente linguistico: “latino”

Fino al 5 sec. d. C. epoca antica - Tardo antico-alto medioevo 4 sec. d. C. - Medioevo 9 secolo in poi fino al 12 sec.

La possente migrazione barbara porterà alla disgregazione dell’Impero Romano e alla frammentazione linguistica. Sono
già romanici coloro che parlano latino; in realtà questo romanicus dà luogo a romanice (avverbio) da cui deriva romans,
da cui deriva romanzo. Entra questa parola di origine francese che indicava un testo scritto in una lingua diversa dal latino.

Romània continua: CONCETTO LINGUISTICO; si ricollega all’aggettivo romanus romanicus che definisce la filologia e la
linguistica romanza; rappresenta un’area molto vasta che comprende l’insieme dei territori dove si parlano le lingue
neolatine, sia dell’Europa orientale che occidentale. Troviamo il francese, l’occitano, il franco-provenzale, il catalano, lo
spagnolo, il galego, il portoghese, l’italiano e il rumeno. La storia del rumeno è particolare perché ha avuto un forte
contatto linguistico con le lingue slave parlate ai suoi confini. Nel 3 secolo d. C. i territori dell’Europa occidentale,
neolatini, sono stati latinizzati. Le zone del Mediterraneo orientale sono state grecofone, tutta l’Anatolia, la Turchia, la
Palestina, Israele, Cipro ecc. il greco è stato parlato nell’Italia meridionale. L’espansione linguistica del latino nel 3 secolo
d.C.; l’Impero Romano comprendeva anche la penisola ellenica e il greco è stato accanto al latino la lingua più antica che
ha avuto continuità nel tempo ed è stata parlata al di fuori della penisola ellenica, il latino però non è riuscito a
soppiantare il greco. Altri territori sono diventati latinofoni e le lingue di quei territori sono state soppiantate dal latino.

La latinizzazione non è stato un processo omogeneo e omnicomprensivo che ha spazzato via le lingue preesistenti, è un
processo che va avanti con dei ritorni indietro, con delle difficoltà; esiste una comunità che parla una lingua prelatina, il
basco, non indoeuropeo, rimasto così come esisteva prima della latinizzazione anche se quei territori erano stati
conquistati dai romani. Queste comunità erano disperse sul territorio, non c’era nessun insediamento grande dei romani
che abbia potuto veicolare il latino e diffonderlo, così hanno potuto conservare la lingua autoctona. Anche in territorio
francese, nella penisola della Bretagna, le parlate bretoni, di tipo celtico, hanno resistito alla latinizzazione. Accanto al
concetto di Romània c’è una diversa declinazione, Romània perduta, che include quei territori dell'Impero Romano in cui
il processo di latinizzazione non fu tale da originare delle lingue romanze, dove il latino ha avuto un suo prestigio
culturale, ma che poi sono stati colonizzati da lingue diverse dal latino, come l'Africa settentrionale, le  Isole Britanniche e
la Germania.

Anche in Africa mediterranea si parlava latino, soprattutto nelle città, presso le classi alte e più intraprendenti
economicamente e successivamente acquisita dalle altre classi. Si parlavano anche i dialetti berberi, nelle zone che
avevano maggiore prossimità con le montagne e col deserto. Possiamo ricomprendere nella Romània perduta tutta la
penisola balcanica, dove era presente un plurilinguismo. Il latino era penetrato nella popolazione a tutti i livelli sociali
perché i Romani avevano fondato un sistema scolastico che ne favoriva l’insegnamento, avevano creato nuove strade e
nuove vie di comunicazione latinizzando molti territori. I romani avevano anche occupato l’Inghilterra meridionale per
una cinquantina d’anni, esclusi i paesi del Galles. Hanno portato il latino nella toponomastica, gli abitanti parlano varietà
celtiche, solo dopo 5-6 secolo subiscono le influenze germaniche dal punto di vista linguistico, che comportò la
marginalizzazione delle parlate celtiche, spingendole al nord dell’Inghilterra e nel Galles. Con la fine dell’Impero Romano
rimane una situazione di plurilinguismo. Il latino continua ad essere scritto in alcune comunità monastiche. Per Romània
nuova s’intendono quei territori nei quali oggi si parlano lingue romanze di popoli che hanno conquistato dei territori
dopo la conquista dell’America. Inizia l’epoca delle grandi migrazioni e colonizzazioni fuori dall’Europa. Soprattutto nel
corso del 600 anche la Francia conquista molti territori sia nell’America settentrionale, che in Asia e nel mondo.

Attualmente il galego, varietà romanza della Galizia riconosciuta dalla costituzione, ha caratteristiche che lo accomunano
sia allo spagnolo che al portoghese. È esistita una koinè linguistica, fino all’anno 1000 non c’era una differenza linguistica
tra galiziano e il portoghese, il galego portoghese, che in epoca medievale era la lingua della lirica, era rimasto confinato
come lingua letteraria; a partire dall’anno 1000 il Portogallo si costituisce come uno Stato e una monarchia a sé, un’entità
autonoma, e quindi il destino linguistico di questa terra si separa ed evolve in una direzione che ne fa una lingua diversa
dallo spagnolo e dal galiziano. La storia linguistica delle lingue si affianca spesso alla storia politica di queste terre; il
castigliano era soltanto una piccola varietà della penisola iberica. È diventata la + importante di tutte perché è stata la
lingua di quella dinastia che è riuscita a cacciare gli arabi dalla penisola Iberica e i popoli circostanti, affermando la sua
supremazia. Esiste un continuum dialettale, vale a dire che in territorio molto vasto, dove sono parlate le lingue romanze,
esistono dei confini politici; da un punto di vista linguistico non esistono questi confini, anche quando in un atlante
linguistico si può individuare una zona che parla questo piuttosto che quello, ma è un’approssimazione.

Esistono i dialetti, varietà che non presentano nette fratture, né linee nette di demarcazione, proprio perché esiste un
continuum dialettale. Per distinguerle si ricorre al concetto di ISOGLOSSA: linea che in un atlante linguistico segna i punti
di un’area dove si rileva uno stesso fenomeno linguistico. Può essere applicato a tanti domini diversi, fonologico (i parlanti
dell’area francese nei pressi del fiume Loira, confine linguistico tra nord e sud realizzano la A tonica latina in una E,
abbiamo un’isòfona, un’evoluzione, perché permette di distinguere i dialetti oitani da quelli occitanici) morfologico (es.
nei dialetti meridionali si utilizza il passato remoto, piuttosto che il passato prossimo quella è una isomorfa) anche
lessicale, l’uso di determinate parole tipo babbo toscano, è un isolessi. Dante scrive il De Vulgari Eloquentia, un trattato
sulle lingue e dice come doveva essere la lingua parlata dal popolo in Italia, distingue le parlate che egli conosceva. La
lingua del sì, il fiorentino, la lingua d’oc, occitano, al sud e la lingua d’oil (nord della Loira), oitanico, dove i parlanti per dire
si dicevano oil. Dante le prende a riferimento per distinguere le varietà. Dal continuum dialettale ci siamo resi conto che
non esiste una dignità maggiore o minore delle varietà, è la storia che condiziona la vita delle comunità e gli usi linguistici.
È accaduto che alcune varietà hanno avuto una parabola storica più importante e hanno soppiantato le altre, perché sono
diventate + autorevoli e prestigiose. In Italia questo accade in modo molto diverso da Francia e Spagna, dove ad un certo
punto la monarchia ha accentrato il potere, quella francese attraverso una serie di guerre e conquiste, è riuscita ad
espandersi già nel 500, alla fine della guerra dei 100 è riuscita a cacciare gli inglesi, in Spagna i re cattolici cacciano gli arabi
dal sud della penisola imponendo il loro dominio, questo quando la Spagna si espande nelle Americhe fine 400.

In Italia è andata diversamente, perché non siamo stati uno stato nazione prima del 1860, l’Italia non aveva un sistema
scolastico comune, ma aveva un’unità linguistica già prima dell’unità politica; tutti i letterati che volevano esprimere la
loro arte sapevano quale era la lingua a cui rivolgersi, con una base forte fiorentina, vista come patria ideale perché non
esisteva a livello territoriale, il cui prestigio era determinato dal fatto che in epoca medievale avevano scritto Dante,
Petrarca e Boccaccio, diffondendo un modello fuori dall’Europa. L’unità linguistica italiana è un fatto prima culturale e poi
politico. Il successo del fiorentino cresce con la diffusione delle tre corone, ma anche per il fatto che la Toscana è una
regione con una notevole importanza sotto il profilo economico, storico-culturale e anche politico. Già nel corso del 300-
400 alla corte pontificia si parla il fiorentino perché gli interessi politici delle grandi famiglie toscane erano enormi, il
papato si serviva delle grandi banche fondate a Firenze e Siena. Questo convergere di interessi politici ed economici fa sì
che il fiorentino fosse lingua prestigiosa. Dopo il sacco di Roma, nel 1527, la parlata del popolo di Roma si differenzia dalle
parlate dei territori vicini, perché la città viene spopolata e saccheggiata e successivamente ripopolata da gruppi che
provenivano dalla Toscana. Il romanesco si toscanizza. Il provenzale è una varietà linguistica costituita dai dialetti d’oc
parlati al sud della Francia. Oitani al nord. Franco-provenzale mix dei due. È accaduto questo perché la monarchia ha
accresciuto il prestigio del regno dell’ile de France e perché Parigi era il centro culturale e politico eliminando via via le
altre varietà, confinate ad usi gergali, familiari. Quando una lingua è esclusa dal sistema scolastico si avvia ad un destino di
marginalità. La situazione attuale è diversa, esistono delle varietà dialettali che si chiamano patois.

Quello francese è il sistema che più ha subito il processo di omogeneizzazione dell’ile de France. Anche la diffusione della
stampa ha contribuito a promuovere e diffondere o marginalizzare l’uso di una lingua. La conquista della dinastia
capetingia e i re di Francia hanno scoraggiato l’uso dell’occitano, che aveva un grande prestigio nel medioevo, nella
letteratura, era la lingua dei trovatori. Da una situazione di parlate romanze diverse, si arriva nel corso dei secoli ad una
situazione di maggiore omogeneità linguistica. Il fiorentino, varietà di quello che poi è diventato l’italiano, ha a che vedere
con ragioni di carattere storico-culturale, non politico perché l’Italia è diventata una nazione nel 1860. Il francese è la
varietà dell’Ile de France, l’affermazione di questa varietà su tutte le altre segue i destini della monarchia capetingia; inizia
nel medioevo, alla fine del 12 sec. e questa affermazione progressiva porterà una omogeneizzazione. Oggi il francese si
parla in tutto l’esagono, nel continente europeo, ma anche fuori, permangono delle varietà regionali, patois, parlati in
ambienti gergali, informali.

Nel medioevo c’erano più sistemi: oitano e occitanico. Il francese diventa la varietà dominante grazie all’espansione
territoriale della monarchia francese capetingia, anche di quei territori che non erano sotto la monarchia, centralizzazione
del potere, altro elemento l’invenzione della stampa. Mentre la monarchia francese si espande anche verso sud, inizia una
fase di decadenza sotto il profilo economico e culturale. Tutto questo finisce con la crociata contro gli Albigesi tra il 1209 e
il 1229 (Albi città del sud della Francia), guerra combattuta dai capetingi e da Papa Innocenzo III, che tacciano di eresia
catara queste popolazioni del sud della Francia, le città vanno saccheggiate, i feudi vanno presi, in maniera progressiva e il
francese viene imposto come varietà principale, relegando a piccoli gruppi familiari l’occitano. Un documento importante
per l’affermazione del francese è l’ordinanza di Villers-Cotteret del 1539 (art. 111) emanata dal re di Francia, Francesco I,
che rende obbligatori gli atti pubblici in francese, come i registri di battesimo e getta le basi per un registro di anagrafe. Il
francese diventa lingua dell’amministrazione e del diritto. C’è necessità perché il latino era compreso ormai da pochissime
persone. La lingua materna francese per molti nel sud della Francia era l’occitano.

CATAROS IN GRECO PURO, i catari si autodefinivano puri, pur all’interno del cristianesimo cattolico, credevano che Dio
non fosse l’unico principio creatore, ma due. Il bene e il male e anche il male ha il potere di creare. Avevano preghiere e
riti particolari, la volontà di annullare questa eresia portò ad una divergenza di interessi. Eresia: movimento che
all’interno di una chiesa comincia a ritenersi comunità a parte perché ha fede in alcuni principi diversi da quella della
comunità.

Nel Medioevo, diviene lingua di cultura, il francese era scritto e parlato in determinati ambienti anche in Italia; in
Inghilterra viene esportato perché Guglielmo il Bastardo, poi definito il Conquistatore, aveva conquistato l’Inghilterra
vincendo la Battaglia di Hastings nel 1066. I normanni erano una popolazione nordica che aveva dato il nome Normandia,
il territorio su cui si erano installati in Francia. Quando vanno in Inghilterra sono francofoni e portano la cultura francese,
dove si crea plurilinguismo, L’inglese, lingua germanica portata dalle ondate migratorie era parlato dal popolo, alcuni
parlavano il celtico, tipico di comunità rurali confinato nel Galles e nella Scozia. Il latino era parlato e scritto dai colti.
Oxford e Cambridge sono i luoghi nei quali nascono le università, insieme a Bologna e Parigi; nei monasteri sull’isola, era
la lingua della chiesa e tutti coloro che ricevevano un’educazione conoscevano il latino. Dopo la battaglia di Hastings, il
francese è parlato e scritto da questi invasori che si insediano sul territorio sposando le vedove di quei nobili che avevano
sconfitto, si impossessano delle loro ricchezze e dei loro feudi. Il francese sarà la lingua parlata dai nobili, piccoli nobili, dai
borghesi e dalla corte fino all’epoca di Enrico V, nel diritto, tra la fine del 12 e l’inizio del 13esimo sec. diverse migliaia di
persone parlavano francese. L’inglese sostituisce il francese in Parlamento di Londra solo dal 1363.

Dobbiamo ricordare il 711 d. C. quando inizia la conquista della penisola iberica da parte degli arabi, che nel giro di
qualche decennio, conquistano anche la Sicilia, che poi perderanno quando sarà conquistata dal Normanni. Da sud del
bacino mediterraneo gli arabi conquistano parte della penisola iberica, il vicino oriente, l’attuale Turchia e tentano di
conquistare la Francia. La conquista islamica della penisola iberica tra 711 e il 732 d. C (prima di loro la Spagna era in
mano ai Visigoti). I regni settentrionali: Navarra, Leon, Asturie, sono gli unici che non sono stati conquistati. L’espansione
del castigliano considera due momenti importanti: 1492 cacciata degli Ebrei dalla Spagna e dal Portogallo, ad opera dei re
cattolici Isabella e Ferdinando di Castiglia; a causa di questo forzato esilio, questi Ebrei, detti Sefarditi, si dispersero nei
Balcani, nel vicino oriente e nell’africa settentrionale, portando con loro un castigliano arcaico conservato ancora oggi e
scoperta dell’America, conquiste spagnole e fondazione dell’impero coloniale. Il nucleo linguistico originario dello
spagnolo è una varietà della zona settentrionale di Burgos (CASTIGLIA); come per il francese è la lingua della monarchia,
che si espande e cresce di prestigio facendo sì che diventi la varietà parlata nella penisola a discapito delle altre, a sud si
parlava l’andaluso, la lingua degli indigeni. La situazione era plurilingue anche qui, in tutta Europa assistiamo a questo
fenomeno, una delle parlate che dobbiamo ricordare, il mozarabo o mozarabico, viene da mustarab, varietà romanza
parlata dai territori conquistati dagli arabi, di cui avevano subito un grande influsso. La dominazione araba ha lasciato
molte tracce nel lessico. 1492 è completata la Reconquista, grande processo militare e politico che ha portato alla caduta
dell’emirato e califfato di Cordoba, gli arabi sono cacciati e si è compiuto un processo di aggregazione territoriale, i piccoli
regni che avevano messo in campo una politica aggressiva contro gli arabi, sono stati soggiogati dal regno di Castiglia, tra
10 e 11 secolo il castigliano era relegato al regno di Burgos, diventerà la parlata e la forza politica maggiore imponendosi
sulle varietà settentrionali.

Isoglossa: è un fenomeno linguistico che può essere fonologico (isòfona), morfologico (isòmorfa), inerente il lessico
(isòlessi), quando si guarda, è una linea astratta, teorica, che su una carta linguistica unisce tutti i punti dove delle
inchieste linguistiche hanno potuto appurare che quel fenomeno linguistico è presente in quella zona. Le isoglosse si
impiegano per individuare quando una parlata si distingue dalle altre, un concetto astratto che serve alla descrizione
linguistica, noi sappiamo che invece sul territorio i fenomeni linguistici sono diffusi in un continuum senza una reale
frattura.

Le principali isoglosse del castigliano di oggi in confronto, con altre parlate iberiche: il galego, il portoghese e il catalano.
Un tratto distintivo dello spagnolo che tutti conoscono è il dittongamento di E breve e di O latine anche di sillabe chiuse.
Terra – tierra, porta – puerta. Nelle lingue romanze il dittongamento si produce in sillaba aperta, cioè quando la sillaba si
conclude con una vocale, questa è un’eccezione, un’isoglossa che fa lo spagnolo rispetto alle altre. Il sistema vocalico
latino aveva 10 suoni vocalici, la natura del suono era una durata, lunga-breve, invece le vocali nei sistemi vocalici romanzi
hanno una natura diversa, è timbrico, può essere aperto o chiuso, non di durata, ma di apertura, un fenomeno
articolatorio, di come si produce il suono. Nel consonantismo, si ha il passaggio della fricativa labio-dentale sorda F ad
un’aspirata H, latino fabulare-castigliano hablar, in posizione iniziale.

Lenizione da consonanti sorde a fricative (lenizione significa indebolimento; quando in latino c’è una consonante sorda,
intervocalica, dentro la parola, tra 2 vocali, questo suono si indebolisce; se l’indebolimento è progressivo, poi diventa
sonora) Da lupum abbiamo lobo, da vitam abbiamo vida, in francese abbiamo vie , in italiano, fiorentino, vita, conserva,
non agisce la lenizione. Nelle lingue romanze ha stadi diversi ed esiti diversi ma questo fenomeno della lenizione ha
toccato tutte. Questo processo era iniziato già nel latino parlato nei territori latinofoni dell’Impero Romano, la crisi
linguistica, tutte le modificazioni che riguardano il latino avvengono già nel V secolo d.C., quando il latino cambia +
rapidamente. Altra isoglossa, lo scempiamento, una perdita delle consonanti lunghe geminate (doppia), altro tratto tipico
la palatalizzazione delle consonanti doppie –ll ed –nn (caballo-ano). Dopo il 16esimo secolo, epoca della riunificazione
definitiva della monarchia, inizia una politica volta a favorire gli usi del castigliano a discapito delle altre, spesso
repressiva, culminata nel corso del 900 con una persecuzione del catalano, con Francisco Franco dagli anni 40 agli anni 70.
Il catalano è stato perseguitato e vietato nell’insegnamento e nell’amministrazione ed è riemerso solo con il ritorno della
democrazia in Spagna. Questa è stata definita da Schlosser “castiglianizzazione silenziosa”; oggi nella costituzione
spagnola, le diverse lingue delle comunità autonome sono riconosciute ufficialmente, non hanno lo statuto di lingua
ufficiale dell’intera nazione, ma ce lo hanno nei territori autonomi locali, sono anche insegnate a scuola e godono di pari
dignità secondo l’art. 3 della Costituzione del 1978.

Il CATALANO è parlato attualmente da circa 10 milioni di persone, in un territorio che non è politicamente solo spagnolo,
ma anche francese, il Rossiglione, si parla nella Catalonia storica (Paisos Catalans, dove troviamo le province di Barcellona,
Girona, Tarragona e Lérida) nella regione di Valencia e Alicante (Paisos Valencià), una sottile strisce di terra al confine tra
la Catalogna (la Franja de Ponent)e l’Aragona e nelle isole Baleari dal 1229; l’autonomia si collega al fatto che la Catalogna
ha avuto un’autonomia storica e politica. Il catalano è lingua ufficiale della repubblica di Andorra, ha avuto una piccola
espansione ad Alghero, perché la città fu ripopolata nel 14esimo secolo da migranti provenienti da Barcellona; ma il regno
aragonese aveva un forte potere sul mediterraneo che lo ha influenzato. Da un punto di vista linguistico è anch’esso un
sistema di dialetti, orientali e occidentali. Le principali isoglosse del catalano, che lo distinguono dal castigliano, sono:

La conservazione della fricativa labiodentale sorda F. iniziale latina - FACERE, catal. FER, spagnolo HACER,

La riduzione del nesso –CT a –IT (isoglossa simile al francese): factum – feit

La caduta della –N in posizione finale: bene diventa bè

La palatalizzazione della –l iniziale: lupum – llop

Mancanza di dittongamento da E, O: septem – catal. Set; PONTEM, catal. Pont, spagn. puente

Questo fenomeno parte dal 16°secolo in avanti.

Lo spagnolo è la lingua romanza + parlata nel mondo, tutta l’America latina, tranne il Brasile, anche negli Stati Uniti,
perché il primo impero coloniale della storia è spagnolo. Anche il portoghese ha una cospicua diffusione fuori dall’Europa,
nelle Azzorre, in Brasile, nell’isola di Madeira, in Mozambico e altri territori africani, perché il Portogallo ebbe colonie
anche lì, tra un periodo arcaico che va dal 12 alla metà del 16 secolo e un periodo moderno dal 16esimo ad oggi. Nel
periodo arcaico, il gallego della Galizia, quadrante nord occidentale, era la stessa varietà del portoghese, ha avuto anche
una storia culturale importante perché diventò la lingua della lirica d’arte e della poesia. Questa lingua è la base del
portoghese letterario di oggi. Nel 1179 il regno autonomo di Portogallo che si era già formato viene riconosciuto dal
papato e lo porta ad un’autonomia e ad una separazione dalla Galizia. Gli arabi sono cacciati dalla penisola e il portoghese
si espande anche a sud, formando una lunga striscia rettangolare posizionata sulla costa atlantica. Dal Portogallo all’Italia,
passando dal gallego, al castigliano, al francese, c’è un continuum dialettale senza fratture, oltre il confine orientale
dell’Italia si parlano lingue slave e poi arriviamo alla Romania, anche se il rumeno è sempre circondato da parlate non
romanze.

Di quella che chiamiamo Romània continua, il portoghese è la lingua + occidentale, area laterale dal punto della linguistica
spaziale, dove si dice che le innovazioni linguistiche si diffondono dal centro. Reiner Schlosser dice che questo modello
interpretativo spiega per quale motivo, le lingue iberoromanze a occidente e quella rumena a oriente, siano per molti
aspetti più arcaiche che non l’italiano o il francese al centro dell’antica area linguistica latina. Il portoghese e il catalano
sono, rispetto allo spagnolo, lingue periferiche ed effettivamente hanno conservato strutture che lo spagnolo ha invece
modificato o perduto. Se il principio della linguistica spaziale afferma che le innovazioni partono dal centro, in una
prospettiva panromanza sono il francese etc, ma in una prospettiva iberica sono il catalano e il portoghese. Una isomorfa
che riguarda la morfosintassi in portoghese è la perdita del futuro latino, espresso da costruzioni con ausiliare + infinito,
costruzione perifrastica. Scribere habeo – in luogo di scribam. il futuro delle lingue romanze deriva da questa seconda
possibilità. Scriverò, j’écrirai, escribirè. Tratti arcaici in portoghese Quando il verbo è accompagnato dal pronome
personale, in francese e in italiano, si colloca tra soggetto e verbo (io gli scriverò-je lui écrirai) invece nello spagnolo
medievale e in portoghese il pronome è separato da trattini e posto tra i 2 elementi (radicale e terminazione) che
formano il verbo: escrever- ihe-ei, a riprova del fatto che radicale e terminazione derivano da due parole diverse. Un altro
dei temi della filologia e della linguistica è studiare il passaggio dal latino e le trasformazioni che riguardano tutte le lingue
romanze.

Il LATINO: A noi interessa come lingua viva, gli aspetti del parlato e come recuperarli; è una lingua dotata di ricchissima
documentazione conservata. È conservato il latino scritto degli autori letterari, le epigrafi. Non basta dire che le lingue
romanze derivano dal latino, bisogna dire il latino parlato, dell’oralità. Il latino appartiene al gruppo indoeuropeo,
secondo gli studiosi è esistito un gruppo di lingue detto italico, in epoca risalente all’800-900 a. C. dove latino e falisco
erano lingue affini, il falisco era una lingua parlata anticamente a Faleri, territorio etrusco poco lontano da Roma (l’attuale
Civita Castellana). Il territorio era estremamente frammentato, la natura dominava e le comunità umane erano piccole,
lontane l’una dall’altra, quindi esistevano moltissime varietà linguistiche. Lungo l’appenino centrale e andando verso la
Campania erano diffuse lingue osco-umbre. In origine il latino era solo il dialetto di Roma. (I maggiori ritrovamenti sono
tra isola tiberina e Aventino). Nel momento in cui Roma inizia a crescere, a sud di Roma il latino, a nord il falisco. Il latino è
legato da alcune affinità con le varietà italiche parlate nei territori confinanti con la sua area. La lingua pre-romana più
vicina al latino è senza dubbio il falisco, ma presentava qualche tratto osco-umbro, come la presenza della fricativa
labiodentale sorda -F- intervocalica in luogo della occlusiva bilabiale sonora –B. L’osco nell’antico Sannio, in parte della
Lucania e nella Sicilia Orientale, zona di Messina. L’umbro era parlato a nord del Tevere, verso l’odierna Umbria. Al
gruppo italico appartengono anche i dialetti sabellici, tra la Sabina e il Sannio e poi il volsco, la lingua del Lazio
meridionale.

Le migrazioni indoeuropee: gli studiosi hanno ipotizzato che nel III millennio a. C, nell’Europa centrale (Germania, Polonia)
alcune popolazioni parlavano delle lingue indoeuropee, caratterizzate da un sistema consonantico del greco con tre
consonanti semplici, sonore e sorde aspirate. Queste popolazioni sono migrate verso sud-est, verso la penisola iberica, gli
Achei erano i greci della fase + arcaica, altre popolazioni verso la penisola italica. Si ipotizza che la migrazione dei latini sia
molto antica, antecedenti l’indoeuropeo in due ondate:

1° ondata: nelle regioni paludose della piana del Po verso la metà del II millennio, la popolazione dei terremare, la stessa
che ritroviamo più tardi, al di là dei territori etruschi, con il nome di Latini.

2° ondata: all’inizio del I millennio, la civiltà detta “villanoviana”, scenderà lungo gli Appennini per costituire i popoli
chiamati osco-umbri.

Queste migrazioni hanno riguardato l’Europa ma anche Persia, Mesopotamia, fino all’India.
Indoeuropeo: sono tutte le lingue parlate attualmente in Europa, il periodo di diffusione si colloca tra il III e il II millennio
a. C. dagli Urali inizialmente, poi steppe danubiane e poi Vistola ed Elba. Col concetto di indoeuropeo si fa riferimento
all’origine preistorica comune delle fasi più antiche di queste lingue.

Il primo studioso che ha notato somiglianze, usando il metodo storico-comparativo è danese, Rasmus Rack, poi seguito da
linguisti tedeschi agli inizi dell’800, Friedrich Schleghel, Francis Bopp. Si è lavorato a livello fono-morfologico e sui sistemi
lessicali, su nomi di parentele, numeri, parti del corpo, settori basici del lessico. Il lemma padre italiano, pater lat., ingl.
Father. Presenza di una vocale A che talvolta diventa I, con una dentale al centro di questa parola e la comparazione di
tutte queste forme ha portato all’esistenza di una forma indoeuropea a monte di tutte queste. Il lessico varia moltissimo a
seconda dell’evoluzione tecnico-scientifica; tra il III e il II millennio a. C. popoli nomadi migrano verso l’Europa portando le
loro lingue, che hanno una radice comune e può essere verificata studiando il lessico di parti del corpo, rapporti famigliari,
i pronomi personali, i nomi di animali ecc che permettono di individuare l’originaria parentela.

Sotto-gruppi indoeuropei:

celtico: in quella che oggi è la Gran Bretagna, quando i romani conquistano la Britannia tutta l’isola e anche l’Irlanda era
abitata da popolazioni celtiche, anche il bretone. Oggi sopravvivono dei dialetti, soprattutto Galles, Scozia e Irlanda

germanico: tedesco, inglese, islandese ecc. derivate dal germanico primitivo che però non è documentato come il latino

Italico o osco umbro: pre-romane, parlate prima della diffusione del latino, tra Umbria, Lazio, Campania e Basilicata

illirico: penisola balcanica, anticamente era Illiria, l’unica lingua che oggi sopravvive è l’albanese

il greco, tutt’oggi parlato, molto + antico del latino (le cui attestazioni risalgono al V sec a.C.) mentre il greco al XVI - XV a.
C

il baltico: (lituano, lettone) documentato solo nell’età tarda medievale

slavo: distinto in sottogruppi: meridionale bulgaro, serbo, croato e sloveno affini tra loro, occidentale (polacco, ceco,
slovacco) e orientale (russo, ucraino)

Ittito: parlato nell’attuale Turchia, abbiamo dei doc scritti più antichi dei greci.

Armeno: l’Armenia è un piccolo stato del Caucaso

Indo-aranico: parlate antiche e moderne dell’india attuale (bengali, hindi ecc) e antica, medievale (sanscrito e vedico)

Tocario: la + orientale di tutte parlata in Turkestan cinese

Area laterale: quel territorio dove si parla una lingua che ha avuto una diffusione e rappresenta una periferia, un margine
rispetto ad un altro territorio. Il latino, come le celtiche, sono lingue marginali perché appartengono all’estremo occidente
europeo. Il portoghese è un’area laterale rispetto alla penisola iberica ad es. il latino è una lingua che presenta importanti
fenomeni di conservazione e altrettante innovazioni:

Un grande fenomeno di conservazione del latino sono i casi, (il latino gestisce il sostantivo con una serie di declinazione e
di casi) però questo sistema subisce un’evoluzione nel passaggio alle lingue romanze.

Altre innovazioni del latino rispetto alle lingue indoeuropee è la semplificazione e la riduzione dei dittonghi; i parlanti li
riducevano. Le lingue indoeuropee antiche sono caratterizzate dai casi, il latino li riduce:

nominativo -genitivo-dativo- accusativo-ablativo-vocativo si sono persi il caso locativo che esprimeva il complemento di
luogo e il caso strumentale, che esprimeva un complemento di strumento senza preposizione.

Subisce una semplificazione anche il sistema della coniugazione verbale; si perde il medo ottativo in favore del
congiuntivo.

L’accento indoeuropeo è fisso sulla prima sillaba, in latino è mobile a seconda della quantità vocalica della penultima
sillaba.

IL LATINO: la sua fase + antica accoglie molti lemmi che derivano da lingue che hanno avuto un contatto col latino, lo
stesso toponimo Roma non è neppure indoeuropeo, deriva da Ruma, una famiglia etrusca. (Rumon era infatti l’antico
nome del Tevere) L’aggettivo latinus è un etnico che si riferisce ad una popolazione, notiamo la parentela tra latino e
Latium, la pianura intorno al Tevere, in contrapposizione alla Sabina. Latini era la denominazione dei popoli del Lazio
civilizzati dagli etruschi e da coloro che venivano dai dintorni, che oggi sono i Castelli. Perché si espande il latino?

Esiste un rapporto diretto tra l’espansione del latino e la crescita del potere di Roma che conquista prima la penisola
italica e poi tutti gli altri.

Nel 240 a. C. Roma controllava un territorio compatto intorno alla città, a partire da questa data Roma inizia una serie di
conquiste che la porteranno a controllare diversi territori nei 3 secoli successivi, entro il primo cinquantennio del primo
secolo dopo Cristo, aveva conquistato tutto quello che c’era da conquistare, uno dei motivi della caduta dell’impero è
stata proprio la mancata protezione di questi territori così estesi:

197 a. C. Roma conquista la penisola iberica, tra i più antichi domini conquistati da Roma.

146 a. C. l’Africa settentrionale

120 a. C. la Gallia meridionale (Francia meridionale a sud della Loira)

50 a. C. con Giulio Cesare la Gallia settentrionale

107 d. C. la Dacia, (attuale Romania) sotto l’imperatore Traiano

Il latino non fu mai imposto con la forza, i Romani si mostrarono indifferenti alle lingue dei popoli conquistati e nemmeno
le osteggiarono. Con la conquista della penisola iberica, il greco, l’etrusco ecc, si trovano in contatto col latino e alcune
come l’etrusco si spengono nel giro di qualche generazione, la civiltà etrusca per quanto diffusa anche sotto il profilo
artistico era avviata ad una profonda decadenza quando i romani li avevano conquistati. Non si estingue invece il greco,
perché di tutte le lingue antiche è stata la più prestigiosa, possedeva una rilevante quantità di fonti letterarie e
scientifiche. In epoca antica il greco per i romani di buoni famiglia rappresentava la lingua che occorreva conoscere per
avere chance di scalata sociale. Per i popoli assoggettati questa lingua di prestigio diventerà il latino. La morte di queste
lingue non è istantanea; l’imposizione del latino è avvenuta in maniera graduale.

Il latino prevale perché è la lingua dei dominatori e del potere, quindi diventa la lingua da conoscere per avere possibilità
di carriere e integrarsi in questo mondo nuovo. Tranne il greco, tutte le lingue non avevano un patrimonio scritto in quel
momento, erano usate per scopi rituali religiosi e questo le svantaggiava, quando una lingua si scrive ed è utilizzata in
contesti ufficiali diventa la lingua dominante. I romani fondano tante scuole che usano in latino, il diritto,
l’amministrazione pubblica, per partecipare alla vita politica. Le lingue dei provincialis vengono relegate ad usi familiari,
informali e nel giro di alcune generazioni gli stessi genitori dei nuovi nati in questi territori usano il latino come prima
lingua, per cui nel giro di qualche decennio diventa la lingua madre. Nelle Gallie si parlavano vari dialetti, nel giro di
qualche generazione si insegnava ai bambini il latino e non la lingua gallica, fattore di conservazione le donne che, escluse
dalla scuola, tramandano la lingua materna autoctona. Nonostante questo il latino si impone, diventa il passaporto per
vivere meglio nella comunità, dà la possibilità o l’illusione di poter entrare nei livelli + alti della società perché è la lingua
del potere e della cultura.

Conseguenze della diffusione del latino: si ha una situazione di contatto linguistico quando + lingue sono compresenti
negli usi dei parlanti. “due o più lingue si diranno in contatto se sono usate alternativamente dalle stesse persone. Il luogo
del contatto è quindi costituito dagli individui che usano le lingue” Uriel Weinreich 1953. Due o più lingue sono in contatto
quando un parlante ha competenza di entrambe (bilinguismo); in un bilingue la competenza di una lingua può influenzare
l’altra. Quando gli italiani sono emigrati parlavano la lingua materna, cioè il dialetto di provenienza non l’italiano standard,
e poi la lingua del territorio, il tedesco, piuttosto che l’inglese. Il luogo del contatto può essere sia il singolo parlante, sia la
comunità sociale, sia un determinato territorio geografico. A noi interessa il contatto linguistico perché ci interessa la
variazione linguistica, capire il processo della variazione in cui ha un ruolo fondamentale il contatto linguistico. Tipi
principali di variazione linguistica:

DIACRONICA: quella che si svolge attraverso il tempo

DIATOPICA: attraverso diffusione geografica (italiano in Sicilia, è diverso dall’italiano standard parlato al nord)

DIAFASICA: riguarda la lingua scritta e orale, lo stile o il registro;


DIASTRATICA: relativa alla condizione socio- culturale, socio-economica della famiglia di provenienza; ciascuno di noi parla
la lingua rispetto alla propria istruzione e questo è importante per studi di carattere sociolinguistici

DIAMESICA: riguarda la differenza tra scritto e parlato.

Quando pensiamo alla trasformazione del latino in lingue romanze dobbiamo partire dal presupposto che questa
suddivisione è di carattere astratto teorico. Nella realtà di come è evoluta la lingua, nei parlanti questi momenti sono
coincidenti. Le principali tappe evolutive nella storia del latino:

- Tra II e III secolo d. C. in tutti i territori dell’impero, il latino è saldamente conosciuto, parlato, scritto e compreso dalla
popolazione, è sicuro che non ci siano problemi di inter comprensione tra i parlanti latinofoni.
- Nel corso del IV e V sec. d. C l’Impero Romano decade (476 d. C.) e i fattori di coesione sociale vengono meno; i rapporti
tra il centro e la periferia diventano labili, stato di guerra semipermanente, inizia un periodo catastrofico, l’economia
entra in crisi. Possiamo definirlo un crollo di civiltà. Diventano sempre + marcate le differenze di latino parlate nei
territori dell’impero e + rapida l’evoluzione linguistica.
- Si arriva ad una frammentazione linguistica, ormai concreta la possibilità di comprensione tra i parlanti che due secoli
prima non avevano. Fase di passaggio tra IV e V che poi nel VI e VII porta le lingue romanze a divergere dal latino e tra
di loro, il latino evolve verso isoglosse.
- Tra il VI e VII secolo d. C esiste un’oralità romanza, milioni di persone usano lingue romanze diverse. Si chiama fase
sommersa delle lingue romanze, perché sono parlate dalle masse ma non abbiamo testimonianze scritte.
- Il + antico documento scritto in lingua romanza sono i Giuramenti di Strasburgo scritti nel 842 d. C.

Il latino parlato: madre delle lingue romanze Dobbiamo specificare che alla base delle lingue romanze c’è il LATINO
PARLATO, DELL’ORALITA’. “È stato il latino parlato ad essere tramandato di generazione in generazione e a trasformarsi
impercettibilmente nelle lingue che alla fine si sarebbero chiamate romanze” Schlosser”.

La latinizzazione è il processo di diffusione e acquisizione della lingua latina da parte di milioni di parlanti nel territorio
dell’Impero Romano. I romani non hanno condotto politiche linguistiche di repressione o emarginazione, erano
semplicemente disinteressati, ma consapevoli di avere una lingua che sotto il profilo sociolinguistico e culturale era
dominante, tranne che per il greco.

Fino alla fine del IV sec. d. C e nel corso del V sec. che rimane un secolo di svolta, di rapida trasformazione, l’Impero
Romano era caratterizzato da un’unica lingua, la latinità era qualcosa di unitario. Questa unità si spezza e si frammenta e
quindi si è parlato di frammentazione linguistica della Romània, che nasce da un’originaria unità. Il linguista che ha fissato
questa teoria è il tedesco Bon Wartburg. Varvaro muove una critica per spiegare la formazione delle lingue romanze.
Come è avvenuto il processo di latinizzazione? È ipotizzabile che si debba considerare completo e solo successivamente
sia iniziata la frammentazione? La risposta di Varvaro è NO! Non è verosimile perché il processo di latinizzazione non si è
mai completato, questo ce lo dimostra l’esistenza di isole alloglotte, territori nei quali sono parlate lingue che non
derivano dal latino, come il basco e l’albanese.

Varvaro si dedica anche a smontare un’ipotesi cosiddetta di Schuchardt e Gröber. Si partiva da questo nesso: i romani
hanno conquistato questi territori in epoche diverse, il latino di un secolo non è lo stesso dei secoli successivi, Schuchardt
dice inoltre che esiste una linea diretta di continuazione tra l’italiano e il latino, una continuità territoriale e cronologica.
Le conquiste e le esportazioni si sono compiute in epoche successive. Il latino portato fuori dall’Italia ha dato vita alle
lingue romanze. Non è casuale il punto di innesto sull’albero “genealogico”: prima è stata latinizzata la penisola iberica, le
Gallie sono conquistate + tardi da Giulio Cesare e quindi deriva da uno stadio del latino successivo, la Dacia è stata
conquistata più tardi da Traiano e via di seguito.
IPOTESI Schuchardt e Grober “la separazione delle lingue romanze sarebbe molto antica; essa ebbe inizio al tempo della
romanizzazione della prima provincia fuori d’Italia e si realizzò di nuovo ogni volta che si conquistava l’area di una lingua
romanza. La lingua di colui che ogni volta era in essa il primo colono romano, costituì il punto di partenza di ciascuna
lingua romanza; essa dovette difendersi dalla lingua dei successivi immigrati, riuscì ad assimilarla a sé e senza il loro
influsso fonetico si sviluppò nella lingua romanza”.

Critica di Varvaro punto per punto:

a- La latinizzazione sarebbe avvenuta immediatamente dopo la conquista - irrealistico


b- Il latino portato all’epoca in una certa provincia sarebbe stato impermeabile al contatto linguistico e alle
innovazioni provocate dai rapporti tra centro (Roma) e periferie e tra le province tra loro – irrealistico
c- il processo di latinizzazione dei territori conquistati non può dirsi completato prima dell’inizio della formazione
delle diverse lingue romanze.
d- Latinizzazione ed evoluzione in lingue romanze sono un unico processo, perché accaduto nello stesso tempo.
e- Mentre il latino compie la sua diffusione, s’impone, cambia ed evolve allo stesso tempo

Questo significa il superamento di quell’idea secondo la quale prima è esistita un’unità che poi si è frammentata.

Non possiamo pensare che il processo sia lineare, ma bisogna capire come sia avvenuta la latinizzazione in questi
territori, proprio perché non è stata omogenea e contemporanea ovunque. In molte aree è stata lenta, perché non in
tutti c’erano città, strade, mercati e scuole, dove usare e scambiare la lingua. Varvaro scrive: “non si devono immaginare
questi territori come aree linguistiche compatte, dove una lingua “autoctona” più o meno normalizzata faceva da tetto a
sue varianti locali. In età pre-romana, il territorio era suddiviso tra piccoli gruppi etnici, senza alcuna forma di unità
politica, linguistica o culturale.” La variazione linguistica diatopica, che dipende dal territorio, doveva essere enorme,
come avviene ancora oggi nelle aree poco sviluppate e a scarsa densità di popolazione. In una situazione di quel tipo lì,
natura che dominava, nessuna antropizzazione del territorio, no urbanizzazione, scarsamente popolate si vede che
esiste un’escursione molto alta tra una lingua e l’altra.

Questo va tenuto presente per capire il processo di latinizzazione. La latinizzazione è stata più precoce nelle fasce più
benestanti, esistevano dell’élite sociali che detenevano il potere in questi territori, e sono le prime a scegliere il latino
perché capiscono che per diventare una parte di quella società nuova bisogna sapere il latino, subiscono il fascino di una
cultura non solo sotto il profilo politico e militare, ambiscono alla cittadinanza, a diventare romani. Questo tipo di
riflessioni e acquisizioni possono essere tratte:

- Dallo studio dell’archeologia


- Lo studio dell’onomastica, ramo della linguistica che studia, all’interno di una o più lingue o dialetti, il sistema
dei nomi proprî, i processi di denominazione e le loro caratteristiche in diverse generazioni, dalla + antica alla+
moderna. (Varvaro porta esempio in Gallia di come gli abitanti del luogo inizino a chiamare i propri figli con
nomi romani, 3 nomi per la persona, il sistema dei Galli era completamento diverso). Avviene un’acculturazione
pervasiva e dominante marginalizzando quella antica. Non si osservano gli usi linguistici reali, ma il fenomeno di
cui sopra, che ci fa capire l’idea e la concezione che questi provinciales avevano. Lo slittamento dalla cultura
indigena a quella romana dipende dalla classe sociale e la provenienza geografica
- Iscrizione di Saintes: L'iscrizione di dedica sull'attico dell’Arco Germanico, (arco onorario romano del I secolo
situato a Saintes) danneggiata dove menziona Tiberio e Druso e meglio conservata dove menziona Germanico.

Varvaro per far capire quanto sia stata importante questa mancanza di pregiudizio razziale dei romani, cita l’esempio del
provinciale Quinto Lollio Urbico, che nasce in Algeria e la cui lingua parlata era berbera, presso l’odierna Costantina; lui
inizia la sua carriera come funzionario, da uno dei livelli + bassi, la manutenzione delle strade, “Quattuorviro”(collegio di
quattro magistrati elettivi, che amministravano la giustizia e dirigevano la polizia urbana), diventa poi tribuno, entra
nell’esercito, poi questore urbano, poi Legato del pro-console in Africa, arriva a Roma e diventa tribuno della plebe, una
delle + importanti nello scenario politico romano. Poi pretore e poi ritorna nell’esercito, partecipa alla campagna di
Giudea 133-135, con l’imperatore Adriano. Dal 139 al 142 diventa governatore Britannia. Dopo il 150 prefetto urbano di
Roma, carica molto in vista. Questa mobilità interna della società romana è permessa ai liberi, quelli che non sono
schiavi che potevano accedere a certe carriere.

Nel processo di latinizzazione ruolo importante hanno i mercanti che portavano il latino, le merci venivano prodotte e
poi spedite, commercializzate da e in luoghi lontanissimi. Ruolo svolto anche dalle città che i romani fondano;
favoriscono la diffusione del latino, una di questi dispositivi è la scuola, l’Impero Romano ha un sistemo scolastico
imponente, la scuola è il principale veicolo di alfabetizzazione della società. Altro fattore fondamentale: il Cristianesimo,
che nasce agli inizi del I sec. d. C. in Giudea, Palestina; gli apostoli di Gesù che lasciano la Giudea e vanno a cristianizzare
altri territori, inizialmente raggiungono le città della Grecia e Asia Minore. Si parlava il greco in queste città, gli apostoli
sono ebrei, parlano l’ebraico. Mano a mano che si diffonde in occidente, diventa una lingua latinofona, tanto è vero che
l’apostolo Pietro viene a Roma, lui ha conosciuto Cristo; Paolo era un ebreo siriano che si converte al cristianesimo e
diventa uno dei + importanti diffusori, ma non ha mai conosciuto Cristo. Il latino diventa la lingua degli apostoli; tra il II e
il III sec. d. C diventa molto importante l’azione missionaria nelle campagne, perché inizialmente si diffonde nei centri
urbani. Le classi sociali sono comunità meno colte, schiavi, schiavi liberati, persone il cui livello di istruzione era molto
basso, perché questa religione diversamente dal politeismo dell’Impero Romano, poneva al centro della sua riflessione il
dolore delle persone, la difficoltà, diversamente dalla religione dei romani, prometteva una ricompensa nella vita
ultraterrena, forniva risposte sull’aldilà, e riesce a fare molti proseliti.

Questa comunità cristiana delle origini è costituita da un livello molto basso, sia gli apostoli che gli altri capiscono
scelgono un linguaggio scientemente semplice, + facilmente comprensibile. Anche Sant’Agostino, filosofo che sa bene
maneggiare la lingua; in un suo discorso dice: è meglio che i grammatici ci rimproverino che non essere capiti dal
popolo. È proprio una scelta consapevole per arrivare ad una + amplia platea. L’ élite culturali e politiche di Roma sono
pagane e ancora combattono il Cristianesimo, piano piano si convertiranno. Il Cristianesimo diventa una religione
latinofona in Occidente. La latinizzazione è stato un processo lento e disomogeneo, a seconda delle diverse situazioni
trovate nei territori conquistati. Fenomeno cmq molto potente perché ha provocato la morte di quasi tutte le lingue
autoctone pre-romane. In Italia scompare tutto tranne il greco, l’Italia meridionale era la Magna Grecia, isole linguistiche
in cui si continuerà a parlare greco, in Calabria che mostra continuità. Al confine tra Francia e penisola iberica la
persistenza del basco, aiutata anche dalla natura montuosa del territorio. Lo stesso per l’albanese, dove le comunità
montane, lontane dalla costa hanno conservato l’illirico. Anche le parlate celtiche, della Bretagna francese, per quanto si
siano ridotte hanno avuto vita fino al V sec. d. C.

Melting pot: contenitore in cui si mescolano tante cose diverse, in genere applicato agli Stati Uniti d’America, dove le
ondate migratorie hanno portato lingue e culture diverse da tutte le parti del mondo. Divenuto tale In epoca moderna,
perché masse di emigrati piano piano si assimilano alla cultura locale. Melting pot romano: “acculturazione di gruppi
numerosi e compatti di popolazione indigena, che rimaneva là dove era sempre vissuta” (Varvaro).

Nella diffusione del latino, all’epoca dell’Impero Romano, operano tutte quante contemporaneamente queste variazioni
linguistiche, che nonostante la coesistenza non compromettono l’unificazione. Fino al IV-V sec le differenze nel latino
diventano + forti, i parlanti acquisiscono delle abitudini fonatorie che si diversificano sempre di più a seconda dei
territori; è nel corso del V sec che questa unità si fa + debole, mostra dei cedimenti, è un secolo di disastrosi
cambiamenti socio-culturali, una decadenza complessiva del sistema socio-economico ed è in questa fase che la
variazione linguistica diventa più profonda e arriviamo al VI-VII secolo dove è già in atto una frammentazione. Masse +
cospicue sono escluse dalla scuola che viene a decadere, per la vita sociale di una lingua è molto importante la scuola,
perché è lì che viene fatta conoscere. In particolare VI e VII abbiamo la fase sommersa. Pur non possedendo noi dei doc
per l’attestazione delle lingue romanze, possiamo ipotizzare che le masse popolari parlavano delle lingue che non erano
+ il latino. Su questa base possiamo affermare che il latino parlato è la madre di tutte le lingue romanze.

È stato il latino parlato ad essere stato tramandato di generazione in generazione, questa trasformazione è stata
impercettibile, solo poco all’epoca, i colti, avevano capito che qualcosa nella lingua parlata dalle masse stava cambiando.
Il latino che si studia ancora è il latino dei classici, degli autori della letteratura, ed è scritto e già all’epoca era diverso da
quello parlato dagli stessi autori che nella vita di tutti i giorni utilizzavano un latino con altre caratteristiche. Il latino
studiato a scuola utilizza registri diversi, tutte le testimonianze letterarie sono retoriche e condizionate dalla
grammatica, all’epoca ci si poneva verso una lingua corretta, senza errori, sgrammaticature ed espressioni di tipo basso.
Al filologo e al linguista romanzo interessa l’oralità, perché quello scritto è quasi sempre letterario, colto. Il latino parlato
non sempre è spontaneo, dipende dall’occasione e dal contesto in cui dobbiamo attenerci, vale anche per noi oggi. Per
formalizzare la differenza tra lingua parlata e scritta, variazione diamesica, partiamo dal fatto che la lingua scritta ha
maggiore adesione alla norma grammaticale, alla grafia, al lessico, alla sintassi. Era + frequente che il parlante potesse
scegliere parole di uso quotidiano e non fosse preoccupato di scegliere le parole. Diafasica con la scelta del parlante di
esprimersi in un certo stile, in relazione all’occasione, perché ogni messaggio ha una finalità precisa, anche la circostanza
incide. La variazione diastratica dipende dalla dimensione culturale e sociale del parlante, un esempio è il corpus
ritrovato in Egitto, di circa 300 lettere scritte o dettate dai soldati romani, dove la competenza linguistica elementare si
mostra molto vicina al parlato. Anche le formule magiche incise sulle defixionum tabellae, piccole lamine di piombo sulle
quali si incidevano formule per lanciare il malocchio verso i nemici.

Di solito erano scritte da persone di bassa cultura, quel piccolo corpus è interessante per vedere delle caratteristiche
della lingua parlata, modi di dire, piccole indicazioni che ci segnalano come era il latino dell’oralità. Un altro tipo di testi
che ci aiutano nello studio della lingua parlata, sono le iscrizioni funebri: se erano scritte per grandi personaggi, venivano
scritte da qualcun altro, nelle tombe di gente normale era riportata, da qualche scalpellino, qualche frase per ricordare il
defunto. Abbiamo anche la letteratura di tipo pratico, manuali di architettura, gastronomia, medicina, agricoltura,
veterinaria, che avevano lo scopo di istruire le persone, non con uno scopo letterario, ma di fornire delle istruzioni, con
lessico settoriale, specifico, che ci sono molto utili per capire come era la lingua parlata. Un altro aspetto è la DIATOPICA,
(attraverso i luoghi) cioè la variazione della lingua nello spazio, che non riguarda solo il latino, ma tutte le lingue.
Variazioni fonologiche, sintattiche ecc sono correlate alle diverse aree di provenienza dei parlanti. Nel momento
culminante della potenza romana, il latino è parlato in un territorio vastissimo, dalle coste atlantiche fino alla Dacia,
l’attuale Romania. Il latino parlato nella penisola iberica era diverso da quello parlato in Italia o sulle coste dell’Africa
settentrionale. Variazione diatopica nel latino: esempio del lessico Se confrontiamo le lingue romanze capiamo qualcosa
sulla variabilità del latino, se studiamo il latino dei classici, troviamo il lemma edere, per dire “mangiare”, nel parlato
erano utilizzate due forme. Comedere e manducare per indicare un modo di masticare dimenando le mascelle. In
portoghese e in spagnolo abbiamo comer da comedere e in francese manger da manducare; in italiano il lemma
mangiare è un francesismo, in italiano antico, duecentesco avevamo manicare, da manducare. C’è stata una
continuazione diretta tra quel manducare e queste forme; I parlanti dell’area + occidentale utilizzavano il primo lemma,
comedere. Nelle aree centrali il secondo. Altro esempio di variazione diatopica:

- bello nel latino dei classici PULCHER, nel latino parlato era FORMOSUM, oppure bellus; le aree centrali
continuano con questo lemma, in francese beau, in italiano bello; le aree laterali, della penisola iberica
hermoso, del portoghese formoso.
- Zio in latino si diceva AVANCULUS, da cui il francese oncle (anche in inglese uncle) e il rumeno unchiu. La forma
THIUS da cui l’italiano zio, il sardo ziu, il castigliano e portoghese tiu è un prestito dal greco che si diffonde nella
Romania dal sud verso l’ovest.

Variazione diatopica in relazione a un influsso di adstrato o superstrato: il greco rispetto al latino può essere considerato
superstrato perché quella lingua ha una storia e un prestigio culturale superiori, una lingua può rappresentare adstrato,
quando è confinante (ad=prossimo, vicino) e delle parole vengono prese da quell’altra. Sono rapporti che ci spiegano
come avviene il contatto linguistico. Nel linguaggio informatico l’inglese fa da superstrato a tutte le lingue perché ha una
funzionalità e un prestigio riguardo a quel settore e tutte vi attingono. Il fattore della variabilità diatopica si incrocia,
nella storia del latino, anche con gli influssi dai contatti con altre lingue; alcune diversità riscontrabili nelle varietà di
latino parlato nelle differenti regioni dell’Impero, possono essere ricondotte all’influsso dei sostrati. Il Sostrato:
substratum, ciò che sta sotto, lo strato inferiore. Mentre si imponeva il latino i parlanti hanno vissuto in una condizione
di bilinguismo, mentre possedevano la lingua degli antenati parlavano quella dei conquistatori. Quando scompaiono
lasciano traccia, del sostrato, di quello che sta sotto. È la lingua diffusa in una data area prima che un’altra si
sovrapponga ad essa, subendo nella sua evoluzione, gli influssi della prima.

Il latino e la variazione diacronica: il latino ha avuto una storia millenaria, nella quale gli studiosi definiscono 5 fasi:

1- Il latino arcaico, dall’VIII al II sec. a. C.: è l’età di Plauto, Terenzio, Catone, le + antiche attestazioni risalgono
al V secolo; questo periodo non è coperto da doc scritti. Dobbiamo supporre che già prima fosse parlato.
2- Il latino pre-classico, dalla fine del II sec alla prima metà del I secolo a. C.: Lucrezio, Catullo, Cesare.
3- Il latino Classico, dalla seconda metà del I sec. (50-60 a. C.) fino ai primi decenni d. C. Orazio, Cicerone,
Ovidio
4- Il latino post-classico dalla morte di Augusto (14 d. C.) fino al II sec. d. C. (Seneca, Marziale, tacito, Svetonio)
5- Il latino tardo dalla fine del II d. C. al VII VIII sec. d.C. (Girolamo, Agostino)

Variazione sincronica=insieme di fenomeni che mostrano come la lingua sia diversificata al suo interno in una
determinata fase storica. Il latino parlato si sarà presentato come una varietà complessa al suo interno a seconda della
condizione socioculturale dei parlanti, incolti, semidotti, colti. Riflessi del latino parlato nei ceti meno colti li troviamo
nella lingua di Plauto e delle commedie; la Cena di Trimalcione e nelle iscrizioni di Pompei, mentre un latino in uso nelle
classi più abbienti nelle occasioni ufficiali, nella corrispondenza (le epistole). Variazione lessicale sincronica nei diversi
tipi di latino:

sonipes “COLUI CHE HA IL PIEDE SONANTE”, italiano destriero, termine raro della lingua scritta letteraria

equus, equino altro termine della lingua letteraria


-Caballus: questo lemma in origine significava cavallo da lavoro, da tiro, dunque ignobile (cavallo nobile il destriero da
combattimento) che non troviamo nei testi letterari.

-Passaggio di A atona ad a

-Spirantizzazione della labiale sonora /b/ intervocalica che si trasforma in labiodentale sonora /v/

- U atona > /o /

- caduta della consonante nasale labiale sonora finale – M

Esiste una continuazione tra il latino arcaico e le lingue romanze moderne, abbiamo un reperto archeologico che
trasmette un’attestazione di latino arcaico, chiamato Epigrafe del Garigliano; si tratta di una scritta trovata su una
scodella votiva, nei pressi di Minturno, non lontano dalla foce del fiume Garigliano. In questa zona, (tutti i reperti del
latino si trovano maggiormente nel V secolo a. C) era situato un santuario dedicato a una dea, Marica ma anche Diana.
Questo reperto è datato tra la fine del VI e il V sec. a. C. ed è oggi visibile al Museo nazionale di Napoli. È una nota di
possesso, è il nome del possessore di questa scodella. La scritta circolare è collocata all’interno della scodella ed è una
parola, l’ipotesi è un nome che appartiene ad una lingua italica, pre sannitica, i sanniti erano gli antichi abitanti della
Campania settentrionale. All’interno troviamo l’iscrizione in latino, e poi una terza iscrizione illeggibile. È la scodella che
parla: scritta in latino arcaico: ESOM KOM MEOIS SOKIOIS TRIVOIA DEOM DUONAI. NEI PARI MED (sono, cioè
appartengo, con i miei compagni di Trivia, la buona divinità. Non impadronirti di me.) (possibili ipotesi in latino classico)
SUM CUM MEIS SOCIIS TRIVIAE DEARUM BONAE: NE PARIAS ME questa ipotesi di adattamento in latino classico, con lo
stesso ordine delle parole; G. Patota) Riduzione dei trittonghi vocalici (MEOIS > MEIS, SOKIOIS > SOCIIS) Perdita del
genitivo plurale arcaico DEOM>DEARUM Sono con i miei compagni di trivia la buona tra le dee: non impadronirti di me.

L’italiano rispetto al latino è molto + ricco di preposizioni, che nel latino arcaico erano meno importanti, ci sono una
serie di cambiamenti evidenti morfologici, fonologici e di sintassi. Questo ci dà anche l’occasione per vedere alcune
differenze del latino di epoca classica (I sec. a. C) rispetto al latino arcaico: (età post classica I sec. d. C.)

- la lingua parlata si depura dalle forme meno regolari, si stabilizza nella scrittura l’ortografia, abbiamo una
codificazione generale della lingua sia parlata che scritta. (Quando si parla di lingua standard si parla della
variante di una lingua che è media, tende a regolarizzarsi, ad espellere le forme meno estreme)
- Vocalismo: Il vocalismo latino era completamente diverso. A livello di fonologia è proprio il sistema che
maggiormente cambia. In latino epoca classica 10 suoni vocalici lunghe e brevi di opposizione fonologica cioè
quando una vocale ha opposizione fonologica il significato di quella parola cambia a seconda della durata
vocalica. Venit con una e breve egli viene – venit con e lunga egli venne era un perfetto.
- Molte erano le parole omografe ma la pronuncia cambiava in relazione alla durata della vocale. I latinofoni
riuscivano senza difficoltà a intendere questa differenza. A un certo punto nel sistema vocalico, in alcuni territori
dell’Impero Romano, i parlanti cominciano a non avere più questa capacità di distinzione vocalica. Sant’Agostino
tra il III e il IV sec. a. C. si rende conto che i suoi conterranei parlavano latino ma che vivevano nelle coste
meridionali dell’Africa e scrive: le orecchie africane non intendono più la lunghezza delle vocali. Uno dei
cambiamenti + importanti del latino è questa perdita della quantità vocalica. Nell’evoluzione verso le lingue
romanze cambia il vocalismo, solo in area italiana si contano 5 vocalismi diversi se contiamo anche i dialetti.
- In età classica, rispetto al latino arcaico il consonantismo tende alla semplificazione, esistevano dei suoni
consonantici che poi si perdono, soprattutto laringali, suoni aspirati presenti in arabo di cui anche il latino
arcaico era fornito. La presenza della grafia H è già in latino classico pura grafia non corrisponde + ad
aspirazione.
- La morfologia, i casi vanno a scomparire dalle lingue romanze, tranne in rumeno. I casi sono un’eredità
indoeuropea, che aveva 8 casi, aveva i 6 casi del latino e ne aggiungeva 2, lo strumentale, un complemento di
strumento senza la preposizione e il locativo, un complemento di luogo sempre senza preposizione.
- Nel latino arcaico avevamo l’ablativo locativo e poi l’accusativo di direzione per indicare un complemento di
direzione. Questi tendono a scomparire nel latino classico, nell’ottica di una semplificazione.

La lingua parlata si differenzia sempre + dalla lingua scritta, perché inizia una fase di decadenza socio economica e
politica che porta ad un crescente analfabetismo di milioni di persone, lo stato entra in una crisi profonda, entra in crisi
il sistema scolastico, nel corso di generazioni diventa + numeroso il numero di quelli che non vanno a scuola, che non
imparano a scrivere e iniziano a parlare una lingua sempre + diversa dallo scritto, dalla norma, dalla correttezza
grammaticale. La pronuncia inizia a cambiare, alcuni parlanti non pronunciavano la durata delle vocali, avevano perso
questa competenza fonologica. Altro elemento la perdita della consonante bilabiale sonora M in finale di parola. Era
importante perché era la consonante finale del genitivo plurale e anche del genitivo singolare. Oggi osserviamo questa
tendenza in francese, che ha delle strutture sintattiche + rigide, a non conservare, la parte finale viene comunque
espressa altrimenti il parlante si trova in difficoltà. Questa perdita della M rappresenta la disgregazione progressiva del
sistema dei casi. Non sanno più quale è il caso giusto o sbagliato, iniziano a confondere l’accusativo con l’ablativo.
Questi fenomeni li troviamo nei graffiti di Pompei, ad esempio la caduta delle vocali toniche. Nei graffiti troviamo oclu
per oculum, la m alla fine non c’è e la U, che è una vocale, è caduta e si crea un nesso nuovo che non esisteva in latino.
Altro elemento i dittonghi ae - oe sono già ridotti a e, fenomeni di ipercorrettismo, nato dall’incertezza della reale
grafia (hoctober)

Graffiti di Pompei: datati dall’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. la città fu sepolta dalle ceneri del vulcano e questi graffiti
sono antecedenti a quella data. I sec. d. C. epoca in cui il latino è espanso in tutti i territori dell’Impero Romano, lingua
viva, con tanti registri, tanti livelli. Questo graffito esprime un registro basso, la parola graffito, scrittura spontanea, più
vicino all’oralità, che troviamo sui muri, diverso da iscrizioni che non sono spontanee, in genere hanno un contenuto
politico e c’è sempre qualcuno che le commissiona e le espone per essere lette. PUPA QUE BELA ES. Questo latino è un
esempio di capitale corsiva. PUPA per puella, nel latino parlato il significato di giovane donna poteva essere espresso
con questo lemma. BELA bella. La continuità si gioca a questo livello di oralità spontanea. Altro graffito della casa di
Fabio Rufo: I sec. d. C. il parlante poteva dire formosa invece di bella, ha avuto una continuazione popolare in area
iberica. Vasia – baci- il lemma per indicare i baci nel latino alto era OSCULA, questo si perde in tutte le lingue romanze, si
continua una forma vasia che è già un dialetto campano per certi aspetti. Una forma del latino parlato già con questa
forma tipica che poi ritroviamo nei dialetti campani, quando non esisterà + il latino. (mi chiedi perché ti rubo baci, bella
ragazza). Non è corretto dire che le lingue romanze sono una continuazione del latino, dobbiamo dire che sono una
continuazione del LATINO VOLGARE, o meglio del latino PARLATO SPONTANEO, DELL’ORALITA’.

Quando si parla di lingua volgare si intende la lingua romanza perché è un uso che si contrappone al latino. Il latino
volgare, spontaneo, dell’oralità, facendo rif. ad un’espressione di Cicerone, sermo vulgaris, il latino del vulgus, del
popolo, comprende tutte le classi sociali; quotidianamente e spontaneamente è la lingua parlata dal popolo. In questo
latino dell’oralità possiamo ritrovare delle tracce nei testi, ma non possediamo un numero cospicuo di testi scritti
consapevolmente in latino parlato. In genere è un concetto ricostruttivo, noi ipoteticamente possiamo ricostruire delle
forme dell’oralità, il caso di vasia è un caso fortunato. Siamo sicuri che nel latino orale spontaneo è esistita una forma
potere, perché esisteva in latino l’infinito del verbo possum= posse, irregolare. In italiano abbiamo potere e essere,
questi infinti irregolari latini tendono a perdersi. I testi dove troviamo tracce del latino orale sono NON letterari, sono di
natura tecnica, trattati di medicina, cucina, veterinaria, dove la finalità è l’indicazione di istruzioni. Poi ci sono gli scrittori
che scrivono di agricoltura dove questa vicinanza al parlato è molto forte.

Nei testi degli autori cristiani, soprattutto prediche, che servivano per coinvolgere e convertire il popolo, per spiegare la
parola del vangelo. Qui l’idea di scegliere un latino scritto che risente del parlato è consapevole perché questi vogliono
raggiungere il popolo a tutti i costi, anche se poco corretta, non è un caso che altri autori contemporanei descrivessero
questi come sermo piscatorius espressione dispregiativa che alcuni romani pagani attribuivano agli scritti dei cristiani
apostoli, linguaggio dei pescatori, basso, sgrammaticato, gli apostoli non sono dei letterati, sono i seguaci di Cristo,
alcuni dei quali erano pescatori, quindi il testo era umile, per questo gli autori + colti ironizzavano sul vangelo e altri
scritti. Mentre per gli scrittori cristiani questa umiltà della lingua era un valore, il sermo umilis, voleva raggiungere tutti.
La Bibbia, una volta tradotta in latino si diffonde, è un latino semplificato, che riflette molte espressioni del parlato, la +
antica è la VETUS LATINA, del II sec. d. C. condotta sul testo greco della Bibbia (il vecchio testamento e i vangeli sono
stati scritti in ebraico, poi in greco). Più tardi (383) San Girolamo decise di preparare una nuova traduzione della bibbia
dal greco, revisionando i testi latini precedenti, la Vulgata; la Bibbia si diffonde in Europa e sarà il testo + letto fino al
500, accessibile anche a quelli che conoscevano il latino elementare.

Fonti per la conoscenza del latino parlato: del latino volgare, dell’oralità, abbiamo parlato del latino arcaico,
testimoniato dall’epigrafe del Garigliano con l’intento di identificare la continuità. Sotto il profilo lessicale la
comparazione tra le lingue romanze può farci capire che il latino parlato utilizzava un determinato lessico, potere
infinito rumeno putere, queste due forme ci dicono che nel latino parlato usavano potere e non posse, attestato nel
latino dei classici. Questa forma posse è stata normalizzata, nei verbi funziona molto l’analogia e quindi posse, come
esse era infinito irregolare. Si regolarizzano e utilizzano forme utilizzate per analogie potere ed essere, su tanti verbi che
avevano terminazione in –ere, dominante in latino, la maggioranza delle forme verbali all’infinito con queste
terminazioni fa sì che nel parlato si siano sviluppate queste forme, questo è confermato perché nelle diverse lingue
romanze derivano da potere e da essere. Un ambito è l’uso del latino all’interno delle opere letterarie, uso mimetico, si
può imitare il parlato. Alcune opere sono quelle teatrali, nelle commedie di Plauto (254 – 184 a. C) e Terenzio (190-159
a. C.) troviamo usi linguistici che ci aiutano. Abbiamo poi altri testi letterari ad esempio le lettere dei soldati dispersi nei
vari territori dell’Impero, di scarsa cultura in genere e nello scrivere impiegavano tanti volgarismi, tante forme vicino al
parlato.

Anche Cicerone, nelle Epistole, usa forme vicine all’oralità e anche quando usa questo registro troviamo delle
informazioni, pur essendo lui un grande letterato. Anche il Satirico di Petronio, autore del I secolo d. C. inserisce diversi
personaggi di diverse classi sociali nel racconto della cena di Trimalcione. Anche trattati che offrivano istruzioni su
tecniche e saperi pratici, di medicina, agricoltura, veterinaria ecc. sono particolarmente interessanti perché ci forniscono
il lessico tecnico di queste discipline. Un’opera che rappresenta un’autrice poco colta e il suo testo ci avvicina al latino
parlato all’epoca: Peregrinatio Aetheriae o Egerie ad loca sancta, questa monaca spagnola va in pellegrinaggio al santo
sepolcro e tiene un diario, sa scrivere, sa leggere, conosce la Bibbia, ma ha un profilo culturale molto modesto e il suo
scritto è databile 417-418 d. C. Il manoscritto riporta molti volgarismi: nel V secolo, nel quale Egeria scrive, il sistema dei
casi in latino presenta fenomeni di disgregazione notevoli. Si confonde l’uso dell’ablativo con l’accusativo:

- l’uso delle preposizioni iuxta (una volta) frequente nel parlato, è usata regolarmente con l’accusativo (iuxta
consuetudinem) e una volta irregolarmente con l’ablativo (iuxta aqua); allo stesso modo per è associato sia
all’accusativo, sia all’ablativo.
- nell’uso dei verbi è notevole la prevalenza del passivo non nella forma sintetica (aguntur= sono fatti), ma nella
forma composta dall’ausiliare esse (facta es=è fatta) come nelle lingue romanze
- nel lessico troviamo parecchi grecismi: monachi, monasteria, heremo, ecclesia, angelus, apostolus, baptisma.
- uso dei deittici ille e ipse “con funzioni che corrispondono a quelle più elementari dell’articolo romanzo” (Renzi)

Le opere dei grammatici e lessicografi, perché hanno competenza linguistica e si rendono conto delle forme sbagliate
usate dai parlanti, il De verboru di Pompeo Festo, (II o III secolo d. C.) i De compendiosa dottrina di Nonio Marcello (IV
secolo) e le Etymologie di Isidoro di Siviglia (VI-VII sec) attestano parole non solo arcaiche, ma molti volgarismi. Altra
operetta Appendix probi, scritta nel V secolo d. C. da un anonimo, maestro di scuola che stila una lista di parole scritte e
pronunciate in maniera sbagliata dai suoi studenti, vuole richiamare la loro attenzione per correggerli, questa lista è
copiata alla fine di un manoscritto che contiene una grammatica attribuita a Probo, un famoso grammatico latino che
però con l‘opera non c’entra. (a dx forma del latino parlato) trascrizione parziale del testo: virgo e non vyrgo, occasio
non occansio, caligo e non calligo, effeminatus non imfimenatus, anser “oca” non ansar, puella non poella, tabula non
tabla. Questi errori ci fanno capire che i parlanti pronunciavano il latino parlato con scorrettezze che poi troviamo nelle
lingue romanze. Sono 227 prescrizioni nell’Appendix, Calida non calda: sincope della vocale atona o post tonica. Vetulus
non veclus, passaggio del nesso di dentale sorda + laterale che è diventato veclus, cioè una velare sorda + laterale.
Speculum non speclum. Ansa non asa -caduta nasale sorda; idem non ide – caduta nasale sonora m. Auris non oricla-
(francese oreille- italiano orecchia), columna non colomna.

Altre opere che ci aiutano a capire il latino dell’oralità: le glosse e i glossari. Una glossa è una piccola annotazione, può
essere una parola, che punta a tradurre un termine che non viene più capito o a chiarirlo per renderlo comprensibile,
venivano messe nei manoscritti e poste a margine oppure interlineari. Differenza tra glosse latine e romanze (che
arrivano tarde) alcune parole latine possono essere sostituite da altrettante latine ma più note, più frequenti. La parola
fegato in latino si diceva IETUR, è glossato con FICATUS (da cui il francese foie, fegato higato in spagnolo) Famoso il
Glossario di Reichenau, proveniente dalla Francia settentrionale, che si data alla fine dell’VIII sec che prova a spiegare
parole della Vulgata in termini + comprensibili. Un aspetto da considerare sono le grafie dei manoscritti e soprattutto gli
errori di chi scriveva in latino. Agustus per augustus.

Nelle lingue indoeuropee antiche i casi erano 8, in latino si riducono a 6: nominativo, ablativo, accusativo, genitivo,
dativo, vocativo. Nell’ablativo si sono fusi il locativo e lo strumentale, mentre il vocativo tende a fondersi con il
nominativo. Metamorfosi della flessione nominale:

- le lingue romanze moderne, con l’eccezione del rumeno, hanno perso l’uso dei casi; in ciò si differenziano non
solo dal latino ma anche da lingue europee + conservatrici come il russo (sei casi) e il tedesco (4 casi)
- l’uso dei casi permette una grande flessibilità nella costruzione della frase , perché per definire la funzione
grammaticale delle parole non è importante l’ordine delle parole stesse.

In latino erano presenti 5 declinazioni, cioè 5 diversi modelli di flessione dei sostantivi:

I declinazione: nomi maschili e femminili che al nominativo uscivano in A e al genitivo in AE rosa rosae. II declinazione:
che uscivano in US e al genitivo in lupus, lupi; i nomi neutri che al nominativo uscivano i um e al genitivo in i regnum
regni; nomi maschili che al nominativo uscivano in er e al genitivo in i liber, libri. III declinazione: nomi maschili,
femminili e neutri che al nominativo avevano varie uscite e al genitivo uscivano in –IS. IV declinazione: nomi maschili e
femminili che sia al nominativo, sia al genitivo uscivano in –US; nomi neutri che al nominativo uscivano in U e al genitivo
in US. V declinazione: nomi per gran parte femminili che uscivano in ES al nominativo e in EI al genitivo.

Già in latino volgare uno dei fenomeni principali consiste nella riduzione delle declinazioni. Quelle che hanno pochi
sostantivi tendono a fondersi con quelle che ne hanno maggiore. La IV e la V declinazione, di scarsa consistenza, sono
assorbite rispettivamente dalla II e dalla I: ad es. FRUCTUS- US (IV declinazione) diventa FRUCTUS –I (II declinazione);
FACIES – EI (V declinazione) diventa FACIA –AE (I declinazione)

Questi passaggi sono definiti METAPLASMI DI DECLINAZIONE: si formano tre categorie nominali alla base di tutte le
lingue romanze:

a- maschile in U LUPU “lupo”


b- femminile in A (con un piccolo gruppo di maschili in A)
c- maschile e femminile in E: cane, volpe

Metamorfosi della flessione nominale: i generi Riduzione dei tre generi del latino (maschile, femminile e neutro). Nel
passaggio alle lingue romanze, tranne che per il rumeno, le parole appartenenti al neutro sono trattate come maschili
(metaplasmo di genere) perché la gran parte dei neutri aveva un’uscita tale da confondersi facilmente col maschile. Es.
DONUM DONO Italiano il dono, francese le don, spagnolo el don.

Non tutti i neutri plurali in –A sono reinterpretati come plurali collettivi: esempio neutro plurale > femminile FOLIA
italiano foglia, francese feuille, spagnolo hoja. Tutti i nomi di piante femminili, in –US diventano maschili: PINUS: le pins
in francese, il pino in italiano, el pino in spagnolo. ARBOR: l’arbre in francese, l’albero in italiano, el arbol in spagnolo.
Tutti i nomi latini in –OR, -OREM, da maschili diventano femminili nel francese antico: DOLOREM: francese la douleur,
AMOREM, l’amour femminile poi diventato maschile in età rinascimentale, mentre restano maschili ad es. in italiano.

Conseguenze della scomparsa dei casi: i casi in latino ci indicano la funzione logica della parola nella frase e genere e
numero. DONO LIBRUM MARIAE “io regalo il libro a Maria”, la funzione logica della parola librum è indicata dal caso
accusativo, che reca anche l’informazione sul numero (singolare). La posizione delle parole è del tutto libera, il significato
della frase non cambia se diciamo LIBRUM MARIAE DONO. La scomparsa dei casi: riconoscibilità dei casi a seconda della
diversa terminazione (desinenza) che il sostantivo o l’aggettivo potevano avere. Complessità del sistema nominale (cinque
declinazioni, tre generi) Sin dall’epoca pre-classica il sistema inizia a semplificarsi; alcune tendenze sono:

a- la confusione, da parte dei parlanti, di casi aventi la stessa desinenza, ad es. il nominativo e il vocativo
b- la progressiva diffusione di costrutti con preposizioni in luogo di costrutti privi di preposizioni
c- il confluire nel solo caso accusativo di funzioni svolte da casi diversi (genitivo, dativo, ablativo); l’accusativo diventa il
caso di tutti i complementi, mentre nel latino parlato l’uso delle preposizioni diventa sempre più pervasivo finché,
quando i casi scompaiono, esse diventano indispensabili. Pronuncia delle desinenze: finché le desinenze sono state
pronunciate distintamente era facile per il parlante latinofono distinguere i casi e le funzioni logiche nelle parole della
frase, ma già in epoca classica, la –M dell’accusativo spesso non è + pronunciata; non a caso in metrica, la –M davanti
a vocale si elide, ciò vuol dire che essa era molto debole o muta. Nelle epigrafi e nei graffiti di Pompei (precedenti il 79
d. C. anno della distruzione della città) abbiamo molti esempi di caduta della –M finale. In una parte della Romania
(Italia e Dacia) si produce però anche una caduta della –S finale (caratteristica del nominativo maschile singolare e
dell’accusativo plurale). Per definire in maniera completa e complessiva il fenomeno della scomparsa dei casi
dobbiamo considerare:
- cambiamento nella pronuncia nelle parole, la tendenza a non pronunciare la nasale finale –M che
contrassegnava l’accusativo, già presente nel latino del I secolo; questa abitudine fonatoria fa sì che l’ultima
sillaba della parola diventi instabile e che l’accusativo si confonda con l’ablativo, talvolta anche con il nominativo
e questo crea disfunzionalità del sistema complessivo e richiede aggiustamento.
- il diffondersi nel parlato del latino delle preposizioni molto + che in passato proprio perché quando parlano
confondono i casi in quanto non pronunciano questa consonante finale

Dove ha cominciato a originarsi questa abitudine fonatoria che poi ha portato queste conseguenze? È un’abitudine
molto antica ma non doveva essere relegata ad ambiti specifici, come la lettura metrica. Abbiamo una testimonianza di
S. Agostino che ci dice che in Africa dominata da Roma, i parlanti avevano difficoltà su questa distinzione dei casi, questo
è un indizio ma il fenomeno ha interessato tutti i territori della romanità, ma è probabile che questa testimonianza si
leghi al fatto che lui è un colto e un grammatico e ha un’attenzione particolare per questo problema. Accanto a questa
registriamo anche la caduta della consonante della sibilante finale -S, caratteristica del nominativo maschile singolare.
Scomparsa dei casi e ordine delle parole: nel latino classico si poteva posizionare il verbo alla fine; era possibile separare
le preposizioni dai complementi e i sostantivi dagli attributi. La libertà nell’ordine delle parole caratterizzava sia il latino
letterario, soggetto a stili retorici e a clausole metriche, che il latino dell’oralità. Già nel latino post classico possiamo
trovare questa inversione, si va verso una ridefinizione dell’ordine della frase. In latino verbo posizionato alla fine:
soggetto oggetto verbo. Lingue romanze: soggetto verbo oggetto.

Latino lingua prevalente SOV con ordine libero, ci sono queste tendenze ma non è prescrittiva, l’italiano e le altre lingue
romanze SVO. Nelle lingue senza un sistema di casi, l’ordine dei costituenti è meno libero. In italiano spagnolo e
portoghese la perdita dei casi è già completata in età tardo antica, per cui le parole non avevano la bilabiale sonora alla
fine e l’accusativo era confuso con l’ablativo, l’opposizione tra i vari casi doveva essere già neutralizzata nella fase tarda
del latino. Nel 6 e 7 secolo il latino parlato è già cosa diversa e si è già evoluta in lingua romanza. In occitano e francese
antico il latino ha conservato + a lungo l’opposizione tra alcuni casi e quindi si è costituito un sistema fondato solo su
due casi e valido solo per i sostantivi maschili parisillabi, cioè che avevano lo stesso numero di sillabe nel nominativo e
genitivo. Questo sistema si conserva fino a tutto il 200 e ne abbiamo ampia testimonianza nella lingua scritta, il francese
era parlato in Inghilterra nel 12 e 13 secolo e studiando le testimonianze scritte sappiamo che questo sistema bicasuale
comincia ad essere usato dai parlanti inglesi che parlavano francese. Nel rumeno permane tutt’ora un sistema di
declinazione casuale.

L’antico francese, come anche l’occitanico conserva un caso retto, detto cas sujet, che serve per il nominativo, il caso
obliquo, cas regime, che continua l’accusativo latino. Il caso obliquo fa riferimento al complemento oggetto, ma può
indicare anche il genitivo (la roi cort -la corte del re), il dativo (merci Dieu – grazie a Dio). Il sistema bicasuale dell’antico
francese è caratterizzato da una –S segnacaso che ritroviamo nel caso retto singolare e nel caso obliquo plurale.
Nominativo/caso retto: Singolare Plurale

MURUS MURI

(li) murs (li) mur

Accusativo/caso obliquo: (le) mur (les) murs

La medesima declinazione è seguita:

a- Dai nomi maschili provenienti dai neutri della II declinazione latina e dai maschili provenienti dai maschili e dai
neutri della IV.
b- Dai maschili parisillabi della III declinazione (es. CANIS, cane)
c- Dai maschili imparisillabi della III rifatti analogicamente come LEONIS, LEONEM, da LEO
d- Dagli infiniti sostantivati (es. aveirs, la ricchezza, caso retto singolare)

Per quanto riguarda il rumeno permane un sistema che distingue tra:

- nominativo- accusativo e genitivo- dativo nei nomi femminili singolari


- i nomi maschili non vengono modificati, mentre variano gli articoli
- la distinzione tra NOMINATIVO-ACCUSATIVO e GENITIVO-DATIVO si riscontra invece in molti pronomi indefiniti
sia al maschile che al femminile

questo schema può essere variato nel parlato a seconda delle diverse varietà regionali, dialettali.

Nominativo accusativo: (singolare) casa (una casa) (plurale) niste – case (delle case)
Genitivo-dativo unei case (di, una casa) unor case ( di, a alcune case)

Un’altra delle grandissime innovazioni delle lingue romanze rispetto al latino è l’articolo. Il latino non ce l’ha come altre
lingue al mondo, non è un fatto eccezionale. Il greco ha sviluppato l’articolo dopo Omero, prima non lo troviamo.
Abbiamo gli articoli indeterminativi e determinativi nelle lingue romanze; nel latino parlato, già in età arcaica e classica,
l’aggettivo numerale UNUS aveva talvolta valore assimilabile all’articolo indeterminativo italiano. Nel latino tardo,
l’aggettivo dimostrativo ille, illa, illud, ebbe in alcuni casi valore simile all’articolo determinativo in italiano. Un uso di
questo tipo si trova nel peregrinatio …della monaca spagnola che inserisce nella sua lingua tante forme vicine al parlato.
Le lingue romanze sono parlate tra le masse popolari già nel corso del 7 secolo d.C. non abbiamo nessun documento
scritto, è altamente probabile che stessero sviluppando l’articolo, anche le lingue germaniche a partire dalla fine del 7, 8
e 9. L’articolo si sviluppa in una fase alto medievale e questa formazione è avvenuta in maniera graduale, per quanto
riguarda la parte del discorso latina, dalla quale poi le lingue romanze hanno sviluppato l’articolo indeterminativo tutte;
quello determinativo deriva da ILLE e vale non per tutte le lingue romanze, il sardo, parte del catalano e anche altri
dialetti hanno continuato per formare l’articolo l’aggettivo IPSE.

Maschile femminile neutro

NOM ille/illi illa/illae illud/illa

ACC illum/illos illam/illas illud/illa

Italiano lo/il i/gli la/le

Francese le/les la/les

Spagnolo el/los la/las

Portoghese o/os a/as

L’articolo ci aiuta a determinare o meno un sostantivo, ci dice il genere e il numero, ma questo ci viene anche detto dalla
terminazione del sostantivo, anche se nelle varie lingue romanze la terminazione del plurale è diversa, in generale una -S
che talvolta non viene pronunciata, come in francese.

DAL LATINO ALLE LINGUE ROMANZE: CONTESTO SOCIO CULTURALE: il passaggio è un insieme di fenomeni di
cambiamento linguistico inerenti la variazione linguistica in quanto tale, la lingua non è un organismo stabile, lo diventa
quando muore. La variabilità linguistica è profondamente influenzata dai fattori storici, culturali, economici. La fase
decisiva di formazione delle lingue romanze si situa tra il V e l’VIII secolo d. C . fase di passaggio tra il tardo antico e l’Alto
Medioevo. Secolo nel quale c’è una gravissima crisi culturale che porta alla disgregazione dell’unità del latino, anche se
non abbiamo documenti scritti. Abbiamo come limite del Medioevo il 16 secolo, inizia nel VI-VIII secolo d. C. e finisce con
la conquista dell’America 1492; molte monarchie europee in particolare Spagna e Portogallo mandano navigatori che
iniziano a conquistare territori che andranno a far parte di questi imperi, se concludiamo in epoca umanistica, con l’era
delle grandi esplorazioni geografiche facciamo finire il Medioevo nel 1500. Il Medioevo è molto lungo nove dieci secoli.

Si parla di tardo antico col IV-V secolo d. C. la fase conclusiva dell’epoca antica; dal VI-VII secolo in avanti si può
cominciare a parlare della fase nuova che definiamo MEDIOEVO, estremamente lungo e complesso.

Si parla di Alto Medioevo, Impero Carolingio, Carlo Magno, VII, VIII secolo, dobbiamo sapere che i popoli, le masse
incolte ormai non parlano + il latino, ma le lingue romanze tra VI, VII e nell’VIII è ormai sicuro, questa fase è chiamata
sommersa perché non abbiamo attestazioni scritte.

Il + antico testo in lingua romanza sono i Giuramenti di Strasburgo 842, sappiamo prima di questa data che si parlavano
ma non abbiamo doc scritti. Tra la caduta dell’Impero Romano, 476 d. C con la deposizione dell’ultimo imperatore
Romolo Augustolo, siamo di fronte ad un passaggio epocale. Questa fase V, VI e VII secolo d. C è importante perché le
masse non parlano più latino, avviene gradualmente, le masse nemmeno se ne accorgono, finisce la civiltà romana che
aveva dato impronta a tutto il mondo antico, occidentale, all’Europa fino all’Inghilterra, al reno al confine con la
Germania, tutto il Mediterraneo; questa crisi è attestata dalla figura e dall’incoronamento di Carlo Magno, tedesco,
incoronato a Roma nel ‘800 d. C. , di fatto è un “barbaro” e vuole un impero ispirato a quello romano, che si appoggi al
Cristianesimo, infatti si chiama Sacro Romano Impero.

Ci sono tanti fattori che hanno provocato la fine della civiltà romana e latinofona:
- declino del potere imperiale e lotte interne
- invasioni barbariche, popolazioni che entravano nei confini dell’impero, confini difficili da difendere dal Mar
Baltico all’Anatolia, barbaros è in greco una voce onomatopeica, viene dal balbettamento che secondo i greci
avevano perché non avevano costumi romani e parlavano lingua incomprensibile.

Cosa si perde con la caduta dell’Impero Romano:

- l’unità territoriale e politica, i vari territori acquistano un’autonomia


- l’amministrazione si frammenta
- il diritto si regionalizza, si perde l’unità del diritto, Roma aveva imposto il diritto romano a tutti i territori, cambia
il modo di fare giustizia, non si fa + riferimento alle grandi opere del diritto romano, ma a come funzionava la
tradizione nei diversi luoghi (i barbari avevano un loro diritto, tramandato oralmente)
- si perde l’unità linguistica, cioè i diversi popoli parlano lingue derivate dal latino l’una diversa dall’altra
- crisi profonda della struttura politica che gestisce il territorio, crisi del modo di vita, cambiano i valori

Un punto importante sono le invasioni barbariche; Bryan Ward-Perkins nel suo libro “La caduta di Roma e la fine di una
civiltà” dice che gli invasori che i romani chiamavano barbari e che gli studiosi moderni hanno chiamato con + simpatia
“le genti germaniche” entrarono nell’Impero varcando le frontiere del Reno e del Danubio dando via ad un processo che
doveva portare ad una dissoluzione non solo della struttura politica di Roma, ma anche del suo modo di vita. Ad un
certo punto, una corrente storiografista del 900 ha iniziato a parlare di migrazioni di un popolo provenienti dalle regioni
dell’Europa centro-orientale, senza accezione negativa in origine. La maggioranza di questi popoli parla lingue
germaniche, entrano e fondano dei regni, chiamati romano-barbarici. Gli Svevi si prendono un pezzo dell’attuale Galizia
e del Portogallo. A nord di Lagano i Sassoni. Gli Alamanni in territorio germanico. I Franchi sono stanziati sia a est che a
ovest del confine romano, e poi si spingono ad occidente fino a raggiungere la Francia del Nord. Iuti nell’attuale
Danimarca. L’Italia rimane, fino a quando non arriveranno i Longobardi, dominio di Odoacre, uno degli ultimi imperatori.
La lingua latina aveva conservato un’unità per poi perderla e nei diversi territori si sviluppano delle lingue derivate dal
latino dell’oralità, ma sono sostanzialmente diverse. Ci interessa la ricostruzione del contesto culturale, storico e quindi
socio-linguistico; La fase che ci interessa è una fase storica molto lunga, la velocizzazione di tutti i fenomeni si ha tra V e
VIII sec. d. C. in questi 3 secoli tutta la civiltà occidentale cambia perché crolla l’Impero Romano, l’entità statale +
importante del mondo antico, perché aveva unificato un territorio molto ampio, portando il diritto, l’istruzione,
l’amministrazione. V secolo, secolo dei disastri maggiori, che fa deflagrare l’impero di Roma. A tutto questo si
accompagnano le invasioni barbariche. Un fenomeno che dura alcuni secoli e che è stato messo dagli storici in relazione
è quello delle invasioni barbariche, sono le migrazioni di popoli dell’Europa centrale, popoli che venivano da oriente,
slavofoni, dall’Asia caucasica, nomadi che sfruttavano i territori con la caccia, che praticavano l’agricoltura, non
stanziale. È tutta un’epoca di grandi migrazioni, Sassi, Ungli, pensiamo ai normanni nell’VIII sec. sono spostamenti di
tanti popoli e questo anche nel vicino oriente, in Africa settentrionale, perché gli arabi si sposteranno per poi invadere
dal 711 d. C parte della penisola iberica e fondare lì un proprio regno.

Cronologia di una fase decisiva: dal 376 al 476 d.C.: Il 476 d. C. è la data in cui viene deposto l’ultimo imperatore
romano, Romolo Augusto. Nei 100 anni precedenti erano accaduti eventi molto importanti che fanno capire cosa stava
cambiando.

- Nel 376 d. C i Goti di origine germanica entrano in massa nell’Impero Romano, incalzati dagli Unni che venivano
da Oriente, più verso l’Asia. Prima gli uomini a cavallo per combattere, poi le carovane, difese da uomini a
cavallo, che portavano donne, bambini e greggi e questo faceva sì che i popoli si avvicinassero sempre di +.
- Nel 378 l’imperatore Valente è sconfitto ad Adrianopoli, sconfitta decisiva perché l’esercito romano subisce uno
scontro dal quale forse non si riprenderà +.
- Nel 395, alla morte dell’imperatore Teodosio l’impero romano è diviso in due, a Oriente con capitale
Costantinopoli, munita di fortificazioni imponenti, proprio perché si temevano i barbari, conserva la sua unità
nei secoli successivi, anche linguistica, è grecofona. L’impero Romano d’Occidente costituito dall’Italia, penisola
Iberica, Gallie, Britannia, anche + vasto di quello d’oriente e che + subisce le pressioni dei barbari.
- Nel 401, l’Italia viene invasa dai Goti
- Nel 402, Onorio, imperatore d’Occidente, lascia Roma per trasferirsi a Ravenna
- 406-415 prime incursioni dei barbari che passano il confine del Reno e dilagano nelle Gallie, in Spagna e in Italia
- 407, le truppe romane lasciano definitivamente la Britannia
- 410, sacco di Roma da parte dei Visigoti, guidati da Alarico
- 429, i Vandali attraversano lo stretto di Gibilterra, si insediano nell’Africa romana e inizia quella frammentazione
anche politica che porta alla costituzione di tanti piccoli stati su quello che era stato l’Impero Romano
d’Occidente
- 476, deposizione dell’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo.

Principali conseguenze delle invasioni barbariche:


- Stato di guerra semipermanente, dal momento in cui iniziano le invasioni, territorio profondamente devastato
- Stanziamento permanente dei barbari entro i confini dell’impero, costituendo i regni romano barbarici
- Importante flessione demografica, mortalità che sale per guerre, mancanza di cure, fame e malattie
- Crisi economica generalizzata, non era possibile commerciare, trasportare merci, raccogliere frutti in guerra.
- Impoverimento generale, crescono in maniera esponenziale i poveri
- Perdita di vivibilità e cultura diffusa sia nelle città che nelle campagne
- Decadenza di centri urbani, le città sono + esposte alla crisi

Questo declino è molto evidente nel IV secolo e nel V quando la crisi diventa + perniciosa e irreversibile e assistiamo ad
un notevole crollo economico. È sicuro dall’esame delle testimonianze artistiche e dalle fonti letterarie che questo
problema dei barbari era un’ossessione per la società e cultura romana, che già dal II secolo in poi, era profondamente
terrorizzata dai barbari. La colonna di Marco Aurelio è ancora nella sua posizione originaria a Piazza Colonna; è un antico
monumento di Roma eretto dopo le vittorie militari dell’imperatore Marco Aurelio tra il 176 e il 192 d. C., sui barbari
Marcomanni e i Sarmati che provenivano dalle steppe dell’Ungheria; queste vittorie sono riportate sulla colonna, come
una lunghissima fascia di bassorilievi che racconta le guerre di Marco Aurelio sui barbari, uno straordinario doc storico
oltre che artistico. Un’altra testimonianza è la moneta costantiniana, il ritorno dei tempi felici, (felium temporis
reparatio) tipo di iconografia che troviamo in diverse monetazioni. Immagine stilizzata che mostra la supremazia del
romano sul barbaro, celebrando l’epoca costantiniana in cui i romani avevano sconfitto + volte i barbari. 330-360 d. C.

Un fattore decisivo di queste invasioni è stata la crisi dell’esercito romano che mette in crisi anche lo stato; finché questi
barbari rimangono divisi in tanti gruppi e animati da faide interne non riescono a dare la spallata all’Impero Romano, ma
nel 410 Roma è invasa dai Goti di Talarico e fondano dei regni con all’interno dei gruppi aristocratici con lo statuto di
“federati”. Questi clan impongono il loro dominio perché detengono le armi, sono maschi liberi educati alla guerra, la cui
ideologia è la guerra, capaci di gestire il territorio e imporre il loro potere. In questo scenario le città si avviano ad una
decadenza anche perché le vie di comunicazione, fondamentali per l’economia, non sono più sicure, i barbari
scorrazzavano liberi per i territori, era insicuro trasportare le merci, l’economia romana era raffinata e complessa, c’era
un via vai di convogli commerciali, di trasporto merci lungo tutto il territorio. Inizia il periodo chiamato RURALIZZAZIONE
DELLA VITA SOCIALE, dove masse consistenti di persone nel giro di alcuni decenni, abbandonano le città e tornano nelle
campagne. Quest’esodo comporta una diminuzione della complessità del sistema economico, si torna ad un’economia
agricola, di sostentamento che non punta a vendere prodotti, nelle campagne il livello di alfabetizzazione richiesto è
basso e a volte inesistente, mentre in città l’individuo è sottoposto a molti stimoli di lettura e scrittura che gli
permettono di leggere le epigrafi. L’uso della lingua scritta è molto più frequente in un contesto cittadino e questo incide
profondamente sullo stile di vita che porta ad una perdita della cultura romana. Anche la diffusione del Cristianesimo
incide sulla fine di quest’epoca, è una religione che ha grande successo soprattutto ai livelli + bassi, sono convertiti prima
i popolani, che non appartengono all’alta cultura aristocratica romana. Conseguenze culturali della crisi che incidono
sull’evoluzione linguistica:

- Generale decadenza del sistema scolastico di ogni ordine e grado in tutti i territori dell’impero, soprattutto nelle
città. Con la decadenza delle città implode anche il sistema scolastico.
- Questo porta a una contrazione dell’uso scritto della lingua, sempre + persone usano la lingua SOLO nell’oralità.
- Forte crescita dell’analfabetismo; uso solo della lingua spontanea in ambito familiare, diminuiscono quelli che
accanto ad una buona padronanza dell’oralità avevano anche buona padronanza della lingua scritta.
- Generale processo di clericizzazione della cultura;(dal V al VIII secolo sempre, fase sommersa in cui le lingue
romanze sono parlate dalle masse popolari anche se non abbiamo doc scritti). La cultura diventa monopolio dei
ceti aristocratici e clericali, è soprattutto il clero cristiano che diventa detentore di cultura, saper leggere e
scrivere latino fondamentalmente, mentre le masse sfruttano la competenza della lingua spontanea. Il
Cristianesimo inizialmente era oggetto di persecuzioni (64 d. C. Nerone, 303-305 d. C. Diocleziano). Lo stato
romano non ha mai avuto politiche di imposizione di credo religioso, nel II e III sec. d. C. a Roma si professavano
culti diversi, Ebrei, Mitrei, ma ad un certo punto alcuni imperatori le promuovono perché i cristiani si rifiutavano
di accettare la figura sacrale dell’imperatore, che prevedeva un atto di sottomissione nell’accettare l’Impero
Romano. I cristiani si opposero perché l’unico potere è emanato da Cristo e per suo conto dalla figura papale.
(Fine persecuzioni 313 d. C. Editto di Milano, Costantino e 380 d. C. Editto di Tessalonica, Teodosio)
- Alcuni aristocratici sono colti, ma non hanno nel loro sistema di valori la supremazia della cultura, per loro il
valore più importante è la guerra
- Alcune categorie sociali, come i liberti e le donne, che in parte erano alfabetizzate, sono ricacciate
nell’analfabetismo (perdita della competenza del latino scritto e di quello parlato) i liberti erano gli schiavi
liberati, avevano potuto comprare la libertà, molto spesso erano persone di cultura perché c’era tanto bisogno
nelle case degli aristocratici di insegnare ai figli a scrivere, di scrivere delle lettere. In epoca romana ci sono stati
livelli di alfabetizzazione molto alti. Pensiamo che moltissimi prodotti della vita quotidiana viaggiavano con le
loro etichette, la capacità di leggere e scrivere era diffusa. Invece in questa crisi generale drammatica, sono
alcune categorie sociali come anche le donne a risentirne. Non esisteva un veto assoluto a che le donne
potessero andare a scuola; in epoca cristiana invece, in un’ottica misogina la donna non può accedere alle
scuole perché porta il demonio, il suo potere di seduzione. Presso questi gruppi succede che parlano una lingua
non stabilizzata al cui interno la variazione linguistica non viene tenuta a bada dalla competenza dello scritto.
- Il valore sociale del latino è stato determinante per la sua diffusione e per il mantenimento dell’unità linguistica
- Fino al II-III secolo d. C., la padronanza del latino, scritto e parlato, era uno dei massimi valori nella società
romana imperiale.
- La piena competenza linguistica era molto importante; si conseguiva dopo anni di studio della grammatica,
considerata una vera e propria arte, grazie alla lettura e al commento di grandi autori

Il grandissimo prestigio culturale e la fortissima valenza economica che il latino assume in tutto l’Impero Romano è il
fattore che ha favorito la latinizzazione.

Il latino ha un patrimonio di testi scritti enorme già in una fase antica e gli usi scritti rafforzano la lingua, solo il greco
conserva un ruolo di lingua veicolare nel Mediterraneo; la penisola ellenica non viene latinizzata, perché il greco aveva
una pratica massiccia della scrittura dal VI VII sec. a. C. per usi di tipo politico e letterario, ed è stata riferimento per
molti settori in ambito romano. Non era così per le parlate celtiche, le lingue germaniche, che conoscevano la scrittura
non sistematica, le cui culture erano tramandate per via orale e non avevano la forza per contrapporre un’eredità scritta
o il prestigio tale da frenare la latinizzazione nei territori dove si è verificata.

Varvaro ci spiega che la latinizzazione nel suo complesso è un fenomeno anche disomogeneo, più avanzata in alcuni
territori dell’impero e invece più lento e frammentario in altri. È molto importante il prestigio e il valore che una
comunità assegna alla lingua che parla. Almeno fino al III sec. d. C. conoscere il latino erano reputato uno dei valori +
importanti nella società romana e poter partecipare alla vita politica e sociale. L’idea era che questo latino dovesse
essere conosciuto in maniera approfondita ed era fortemente raccomandata la lettura dei grandi autori e lo studio della
grammatica. La cultura era reputata il valore distintivo per distinguersi dalla massa che non sapeva scrivere e parlare. La
cultura aveva valore identitario, per chi voleva appartenere ai livelli + alti della società. Nelle occasioni pubbliche anche
la lingua orale richiedeva un uso corretto e formale, pensiamo alla retorica, le orazioni di Cicerone, molti testi di Seneca
che non era solo filosofo, ma uomo di azione e di politica. Per poter appartenere alla classe dei potentiores, la cultura
non era un optional, era obbligata la competenza linguistica del latino con eloquio di altissimo livello da spendere nei
discorsi pubblici insieme ad una notevole competenza linguistica scritta. Proprio finché al latino rimane assegnato
questo altissimo valore sociale e continua ad essere scritto massicciamente nei più colti, ma anche pratica massiccia
della scrittura a livelli + elementari, il latino mantiene una stabilità che perderà poi in seguito. Questa stabilità viene
determinata e garantita dall’esistenza della scuola, questo garantisce l’unità del latino, la lingua parlata presenta delle
differenze tra Roma e le province. Urbanitas il modo di parlare latino a Roma, invece i provinciali che venivano dalla
Dacia parlavano un latino rustico, la lingua è improntata alla rusticitas, giudizio svalutativo.

Ci sono dei modi di parlare di questi provinciali che a Roma denotavano un essere non colti, adusi all’urbanitas parlata a
Roma. Questi provinciali erano presenti già nel latino + antico perché entrava in contatto con popoli italici etruschi il
latino. I livelli di latino variano in maniera importante a seconda della cultura e quindi della provenienza socio-culturale
degli individui; per quanto l’alfabetizzazione e la cultura fossero diffusi nell’Impero Romano, esistevano molti che erano
quasi analfabeti. È sicuramente esistito un latino che possiamo definire sommerso, un latino sub-standard. Pensiamo al
latino standard, I e II sec. a. C. il latino medio parlato dalle diverse classi sociali tra Roma e i vari territori dell’impero, non
troppo colto, ma nemmeno troppo basso che avrebbe permesso a tutti di comprendersi senza grandi difficoltà. Il latino
sommerso è diverso, è una varietà più bassa di questo latino standard e piena di fenomeni sia da abitudini fonatorie che
da strutture morfosintattiche molto basse. Lo si chiama sommerso perché noi non lo riusciamo a recuperare nemmeno
dalle iscrizioni e dai graffiti spontanei, perché chi faceva queste un livello di alfabetizzazione ce l’aveva. Questo latino era
parlato da coloro che non sapevamo scrivere e leggere, questo latino di fatto deve essere esistito ma è difficilissimo farci
un’idea di sue caratteristiche precise, anche se come dice Varvaro è proprio in questo livello basso che potrebbero
esserci caratteristiche ed elementi che poi ritroviamo nelle lingue romanze.

Ward Perkins è uno storico e archeologo, dallo studio della produzione dei loro beni primari e diffusione del
territorio è stato possibile capire quantità e qualità della lingua all’interno della società. Il mondo che viene fuori
dopo il crollo dell’Impero Romano è molto semplificato rispetto al precedente. Prima l’élite dovevano essere
colte, poi solo il clero rimane detentore di cultura. Esiste un livello molto alto, parlato dai colti, attento alla
correttezza linguistica, ad espellere forme + basse, in continuo contatto con lo scritto e un livello + basso, usato
nel quotidiano, e i parlanti posseggono meno competenze linguistiche perché scrivono poco e non leggono, usano
espressioni sgrammaticate. Fino ad un certo punto è esistito un reciproco condizionamento. Anche quelli che
erano poco acculturati si ponevano l’obiettivo di parlare un latino grammaticalmente accettabile. Ad un certo
punto questo obiettivo viene meno, si perde tra i valori associati alla lingua, il valore di parlare una lingua corretta,
dignitosa e rispettosa della grammatica e questo provoca da un lato l’inizio del declino della cultura tradizionale
romana e dall’altro la progressiva perdita dell’unità linguistica. Una fase importantissima e determinante in
questo processo è la crisi del sistema scolastico, la scuola collassa per le invasioni barbariche, per lo stato di
guerra semipermanente, perché non c’è più uno stato, come l’Impero Romano che fonda scuole. Nella gerarchia
dei nuovi valori una buona competenza del latino non è più così importante. I valori sono altri per ascendere
socialmente e avere una vita + abbiente, questo crea una crisi profondissima anche nella lingua e si comincia a
parlare e scrivere sempre peggio. Abbiamo visto molti volgarismi tra tardo e quinto secolo. Alcuni modi di parlare
che erano usati solo in ambienti rustici vengono sdoganati e si generalizzano.

Ad un certo punto abbiamo una divaricazione sempre + forte fra lingua parlata e scritta, assistiamo ad una
contrazione della lingua scritta tra tardo antico e alto medioevo. Sono sempre meno quelli che usano la lingua
scritta ad alti livelli, come se la grammatica non riuscisse + ad incidere sul parlato, come se il parlante non avesse
più come orizzonte la correttezza della lingua. Emergono nel parlato tendenze evolutive emarginate dagli usi +
corretti. “La distanza tra l’uso colto e l’uso corrente della lingua si percepisce anche dal fatto che in latino classico
(scritto) non si reperiscono tendenze evolutive manifestatesi già nel latino arcaico e che non furono accettate
dalla lingua letteraria, cosicché in molti punti troviamo concordanze tra il latino volgare e il latino arcaico”.
(Tagliavini)

Uso scritto e competenza linguistica: il parlante analfabeta non potrà mai migliorare la sua competenza linguistica, il suo
lessico sarà relegato all’uso quotidiano per la sopravvivenza. Prevale dunque solo la logica dell’evoluzione orale.

L’affermazione del Cristianesimo: un fattore determinante è l’affermazione del Cristianesimo e del conflitto che si
instaura con lo stato romano che poi ad un certo punto viene meno, anzi si crea un’alleanza tra il pontefice e il sovrano,
il Cristianesimo ha una forte spinta di espansione, i cultori della religione tradizionale romana vengono emarginati.

Effetti del cristianesimo sulla situazione linguistica:

- Il lessico: entrano in uso parole che esprimono concetti della nuova religione, sono grecismi e questo fa sì che
arrivi questo contributo, thesaurus di parole dal mondo greco.
- Il modo di considerare la lingua e l’accessibilità di tutti. La chiesa a differenza dei romani ha condotto politiche
sulla lingua per convertire al Cristianesimo, soprattutto gli incolti. La classe sociale che maggiormente resiste è
quella degli intellettuali e dell’aristocrazia senatoria.
- l’ideale che si diffonde nella pratica letteraria è il sermo umilis, che si appoggia su una lingua umile, con lessico
accessibile a tutti, il canone letterario del Cristianesimo ha la Bibbia e il vangelo in particolare, il cui obiettivo è
l’accettazione di un ideale di umiltà, perché Cristo si è rivolto agli umili. C’è la necessità di raggiungere una
comunità ampia, di evangelizzare, convertire; il vangelo è fatto di storie, parabole, in cui trovare riferimenti
cristiani. Il vangelo rispecchia un sermo umilis, un uso semplice della lingua. Nella sostanza anche il
Cristianesimo si è rivolto agli umili, Cristo si è rivolto inizialmente a pescatori, non a personaggi posti più in alto
nella società.
Estetica: sistema ideologico che serve a definire ciò che è bello, ciò che deve essere seguito nelle arti, il sermo umilis è
un tipo di estetica che si diffonde in questi primi momenti di affermazione del Cristianesimo. La chiesa adotta politiche
linguistiche che promuovono la lingua parlata dal popolo, per evangelizzare, ma nello stesso tempo per la formazione
dell’alto clero, che deve far carriera, che deve diventare la classe dirigente della chiesa, per accedere ai testi teologici,
alla riflessione filosofica, della conoscenza del diritto, dell’amministrazione del territorio. Rimane il latino al momento
della liturgia. Il clero deve rimanere depositario di qualcosa che il popolo non ha. Per diglossia: (Maurizio Perugi filologo)
s’intende la compresenza nel medesimo ambiente, ad uso delle stesse persone, di due sistemi linguistici. Possono essere
una variante alta e una bassa della stessa lingua. Forma di bilinguismo in cui le due lingue conosciute sono strutturate a
livello gerarchico e sono complementari. Nei secoli che vanno dal II al V, la diglossia realizzata tra i parlanti dell’Impero
Romano e poi ex impero, poteva ricorrere a due livelli distinti di latino, uno + alto, e uno più basso fino al latino
sommerso.

Le popolazioni germaniche che invadono i territori romani, sono di lingua germanica, i Franchi si installano nelle Gallie, i
Visigoti nella penisola iberica, i Longobardi in Italia. Succede che nei territori si crea una situazione di bilinguismo
romano-germanico. Gli invasori parlano la loro lingua germanica, le popolazioni indigene, precedentemente latinizzate
parlano prima il latino, poi il neo-latino, cioè una lingua derivata dal latino. In questi contesti i conquistatori germanici
sono una minoranza rispetto agli autoctoni e la maggioranza continua a parlare il latino fino al V secolo. Questa
aristocrazia barbarico-germanica viveva per conto loro, non si mescolava al popolo, la chiesa esercitava un’azione di
promozione della lingua parlata dal popolo, latina o neo-latina e questo ha fatto sì che nei territori conquistati loro non
sono diventati dominanti, hanno solo avuto un’azione di influenza, di superstrato, non sono però diventati germanofoni,
questo è accaduto solo in Inghilterra, dove gli indigeni si sono germanizzati, per la maggiore mescolanza. Negli altri
territori più profondamente latinizzati sotto il profilo linguistico, come nelle Gallie, Dacia, penisola italica e iberica
penetrano tante parole germaniche, il francese è quella che ha più risentito di questo substrato, nel lessico della guerra,
delle armi, dinamiche di combattimento. Questo impatto delle lingue germaniche, fa reputare importante la
diversificazione delle lingue romanze proprio in relazione all’impatto di queste sul latino. Questa ipotesi è stata
proposta da Walter Von Warburg, nel libro “La frammentazione linguistica della Romània” secondo il quale la
frammentazione dialettale della Francia è avvenuta, a nord con i Franchi il dialetto oil, a sud i Visigoti dialetto d’oc, a est
i Burgundi francoprovenzale a causa del superstrato germanico.

Il francese è dunque la lingua più interessata da questo processo, (anche l’Italia attraverso i Longobardi) Il fenomeno
dell’aspirazione dell’h in francese è un fenomeno germanico. Il superstrato arabo ha influenzato per esempio la penisola
iberica per 6-7 secoli. Il superstrato slavo sul latino della Dacia, attuale Romania, circondato da lingue slave, perché
intorno a quella regione a partire dal VI sec si insediano popoli slavofoni. Lo slavo è l’unica lingua messa per iscritto sul
territorio rumeno, praticato dalla chiesa nella scrittura, il rumeno fino agli inizi del 500 resta solo parlato. La chiesa
rumena faceva ricorso allo slavo con fortissima presenza nel lessico del rumeno.

Fase “sommersa” del romanzo: Varvaro insiste parecchio sull’idea che il processo di formazione delle lingue romanze è
di fatto coincidente con il processo della latinizzazione. La latinizzazione è la diffusione del latino nei diversi territori
conquistati da Roma dove diventa la prima lingua. Varvaro vuol dire che già mentre in una fase antica questo latino
veniva diffuso da funzionari romani ecc, in quel latino dell’oralità esistevano già delle tendenze che preannunciavano
questo, perché il latino è una lingua viva. Si parla di fase sommersa tra il VI e VII secolo, s’intende che ormai nel parlato,
nell’oralità, le masse avevano una lingua materna che derivava dal latino, ma che ormai non coincideva più, era lingua
romanza delle parlate italiane, dello spagnolo etc. Questa fase si definisce sommersa perché erano parlate dai popoli,
ma non venivano messe per iscritto in maniera abituale, tutti i testi che conosciamo sono successivi a questa fase. Il
punto è che all’epoca la lingua parlata dal popolo, neolatina, romanza, è una lingua che non si ritiene potesse essere
messa per iscritto. La lingua con la quale si scriveva, per forma mentis, era il latino. In questa fase non abbiamo
documenti scritti, o sono andati perduti o sono poca cosa.

Il Concilio di Tours, 813 d. C. (siamo in epoca carolingia) è un evento storico che fa capire che ormai era nata una presa
di coscienza. Tours città francese, dove si svolge un consiglio di vescovi per legiferare per i parroci, per dare indicazioni
di comportamento, su come diffondere la parola del vangelo, tutto ciò che viene deliberato viene messo per iscritto,
ogni prescrizione viene numerata, abbiamo una deliberazione, la 17, dove si impone ai preti di tradurre le prediche nella
lingua parlata dal popolo, le masse parlavano anche una lingua germanica, la lingua thiotiscam parlata dai Franchi
invasori, la varietà è chiamata il francone, varietà di tedesco antico. Rusticam romana linguam: lingua romana dei rustici,
parlata dal popolo, dagli illetterati, che non hanno curriculum scolastico. Romanus significa latino, riferito a linguam
significa neolatino o romanza.

Questa 17esima deliberazione ci dice che la lingua ufficiale della chiesa resta il latino, la liturgia/la messa resta in latino
mentre l’omelia (la predica) doveva avvenire in rusticam romanam linguam affinché si raggiungesse il popolo. Solo a
partire dagli anni 60 del 900 la messa viene detta nella lingua di ciascun territorio, italiano, francese ecc. Il francese è la
più precoce di tutte le lingue romanze e la lingua meno conservativa. All’inizio dell’VIII sec. la lingua delle masse è la
lingua derivata dal latino che possiamo già chiamare francese. La lingua romanza del popolo e anche quella germanica,
hanno un uso sociale fondamentale ma non hanno ancora nessun prestigio, per questo resta importante il latino per
molti usi. I documenti più importanti romanzi risalgono al IX secolo. Ciascuna lingua conquisterà prestigio e maggiore
ampiezza per gli usi ufficiali progressivamente e ciascuna secondo il proprio percorso. Il loro riconoscimento come lingue
di cultura avverrà tardissimo. Quando Dante scrisse la Commedia in fiorentino e questo poi ebbe ricaduta enorme
sull’Italia, alcuni intellettuali del suo tempo gli rimproverano di aver scelto la lingua volgare, perché non degna dei
contenuti della Commedia, degli incolti, delle donnette, il latino era la lingua che andava usata. Tra gli ultimi decenni del
300 è diffuso che le lingue dei popoli non hanno dignità per accogliere contenuti; capiamo quanto sia stato lento questo
processo, queste lingue erano spontanee, non regolate da una grammatica interna. La gran parte dei dotti continua ad
usare il latino, soprattutto nel mondo giuridico, scientifico e universitario. Nell’alto medioevo (VII-VIII e IX sec. d. C.) si
scriveva in latino ma si parlava in volgare (francese, spagnolo, italiano etc) nel corso del IX secolo d. C cominciamo ad
avere dei documenti, testi non letterari, di carattere pratico. L’area + precoce è quella francese, quella che arriva più
tardi all’uso della lingua scritta è quella rumena, i cui doc risalgono al 1500 perché si scriveva in slavo ecclesiastico, si era
creata situazione di bilinguismo ma anche di diglossia perché lo slavo era utilizzato per la cultura e scrittura.

L’epoca di Carlo Magno è quella in cui si creano condizioni storico-culturali che portano cambiamenti profondissimi,
nasce il concetto di Europa, insieme di civiltà nella quale trova posto l’eredità greco-latina, mediata da Roma, dove un
posto importante è giocata dai popoli di origine germanica, che erano entrati nei territori romani, ancora tra le civiltà di
questa Europa troviamo quelle di matrice celtica, che poi entreranno nella cultura anglosassone grazie ad una
mediazione francese restando nell’immaginario collettivo (re Artù). Un’ Europa aggregata a un’idea cristiana del mondo,
dove Carlo Magno che era di madrelingua tedesca, un nobile che viene da un popolo germanico che qualche secolo
prima i romani avrebbero definiti barbari.

L’impero che lui fonda, il Sacro Romano Impero, che copre quasi tutta l’Europa, vuole rifarsi all’Impero Romano e lui
infatti si fa incoronare a Roma la vigilia di Natale nell’800 da Papa Leone III come Imperatore dei Romani, fondando
l’Impero Carolingio. L’epoca carolingia, che include anche alcuni decenni successivi alla morte di Carlo Magno, è
fondamentale per il riconoscimento delle lingue romanze come parlate autonome. Da un lato si prende coscienza che le
lingue parlate sono lingue romanze e dall’altro che il latino era ormai decaduto, pieno di forme volgari, lontanissimo da
quella correttezza del latino ereditato da Roma. Questo latino di epoca carolingia può essere rintracciato negli Annali
Carolingi, studiati da Giovanni Orlandi, gli annali erano un genere storiografico medievale, in cui le informazioni sono
riportate anno per anno, permettono di datare in maniera precisa le date ma anche la lingua in cui vengono redatte.

Gli Annalis Regni Francorum, gli annali del regno dei franchi, coprono un periodo di circa 90 anni, dal 741 al 829. Orlandi
ha notato che nelle parti scritte prima dell’810, sono molto presenti i volgarismi, cioè forme scorrette dal punto di vista
grammaticale, ma indicative dell’evoluzione del latino verso le lingue romanze. Le notizie riportate dopo l’810 sono
scritte in un latino più corretto, gli autori che hanno scritto dopo l’810 non confondono i casi, riescono a strutturare frasi
complesse, rispettando la coniugazione dei verbi, le costruzioni verbali, perché la parte degli Annales databile dopo l’810
risente degli effetti benefici della scuola e dell’insegnamento del latino che viene chiamata Rinascita Carolina o
Carolingia, che obbliga gli insegnanti a formarsi meglio e insegnare meglio agli alunni. È una riforma culturale che nasce
dalla necessità di trovare una lingua veicolare per un impero plurilingue così vasto. Secondo Carlo Magno doveva essere
il latino. L’impero di Carlo Magno è trilingue, i popoli parlavano il francese, il tedesco e le varietà italiane, ma la lingua
veicolare serviva alla classe dirigente, ai funzionari che si muovevano recandosi dalla sua corte alle province più lontane
per amministrare i suoi territori. Anche a corte si sentiva questa necessità perché non provenivano tutti dallo stesso
territorio e il latino avrebbe permesso l’interconnessione delle figure della corte e di coloro che amministravano lo
stato. Ideatore della riforma dell’insegnamento del latino fu Alcuino che era un inglese ed era cresciuto in Inghilterra
dopo la cristianizzazione dell’isola (IV-V sec. d. C.); all’interno dei monasteri c’erano dei monaci che copiavano i
manoscritti, si registra che in Inghilterra, nei monasteri il latino era di migliore qualità di quello parlato e scritto sul
continente; Alcuino lo sa perché era inglese ed era stato nel monastero di York. Il latino in Inghilterra rimane + vicino alla
correttezza grammaticale perché non viene a contatto con le lingue romanze; la lingua materna come l’inglese, il
gaelico, o varietà celtica, sono competenze ben distinte dal latino e questo lo aiuta a preservarsi, in area francese la
lingua materna è una lingua romanza derivata dal latino, l’interferenza del bilinguismo è forte ed è + alta la possibilità
dei parlanti di latino di usare espressioni volgari derivanti dal latino.

Carlo Magno parlava il latino, ma non sapeva scriverlo e sappiamo che proprio Alcuino è stato maestro di Carlo Magno e
prima di lui l’intellettuale Pietro da Pisa. Per lui è fondamentale parlare latino per governare. Eginardo, storico che ha
scritto la sua biografia, Vita Caroli, vita di Carlo Magno e che lo ha conosciuto personalmente, dice che lui aveva dato
disposizione di scrivere una grammatica nella sua lingua germanica e a quanto pare si iniziò a scrivere ma rimase
incompleta. Pare che Carlo aveva anche dato ordine di mettere per iscritto dei canti epici, delle canzoni di gesta di
antichi re germanici tramandati per via orale presso il re dei franchi. Aveva una consapevolezza sulle lingue, un’idea a
tutto tondo delle lingue volgari e del ruolo politico del latino perché la sua amministrazione funzionasse meglio e che i
suoi funzionari, che erano la classe dirigente laica e religiosa, potessero interagire tra loro tramite una lingua veicolare,
perché i vescovi responsabili di questi territori, erano anche funzionari politici. Quando Alcuino diventa il direttore della
scuola palatina di Aquisgrana stabilisce un programma per rinnovare gli studi, riorganizzare le scuole, migliorare la
conoscenza del latino scritto e parlato, sulla scia di quello parlato in Inghilterra. La rinascita carolina cerca di migliorare
lo studio della Bibbia, la Vulgata di San Girolamo inizia ad essere studiata adesso, proseguono gli studi filologi, la corte di
Carlo Magno accoglieva personaggi illustri, viene anche inventata una nuova scrittura a mano, che si chiama minuscola
carolina perché per poter permettere una lettura dei doc tutti avessero una scrittura comune, e ciascun territorio aveva
una propria tradizione grafica, difficile da leggere. Ad esempio in ambiente iberico era di origine visigotica, molto poco
comprensibile. Questi intellettuali della cerchia di Carlo Magno si rendono conto che la piccola minoranza di colti doveva
comprendere i manoscritti e doveva avere una scrittura semplice, perché si spostavano nel territorio.

È stata la prima scrittura, prima della gotica libraria, importante perché messa a punto nell’epoca delle università (12
secolo) quando si iniziano a produrre molti testi, la scrittura carolina, prima in Europa comprensibile in diversi territori, è
una forma di unificazione culturale importantissima. La penisola iberica rimane fuori da tutto questo, perché ancora
invasi dagli arabi, solo la Catalogna mostra un interesse verso questo influsso moderno. Siamo informati della rinascita
carolina da un testo: Epistola de litteris colendis - Epistola sullo studio delle lettere, scritto da Alcuino tra il 794 e il 796
dove si danno tutte le prescrizioni per migliorare l’insegnamento del latino e metterlo al servizio della religione, per
favorire una migliore comprensione del testo sacro in circoli ristretti, di dotti, che coltivano studi teologici.

Uno degli effetti è la consapevolezza che ormai il latino è qualcosa di diverso da ciò che veniva parlato dalle masse
popolari. Non è casuale che il concilio di Tours sia evento successivo alla riforma carolina. Questa 17 esima deliberazione
prende atto che il volgare neolatino è ormai diverso dal latino stesso: rivolgersi in latino nelle prediche alle masse non
ha più senso perché non capiscono più nulla. Proprio in età carolingia si data la ripresa del sacramentario romano che
nel millennio successivo impone il latino come lingua della liturgia. La politica linguistica della Chiesa è bifronte; da un
lato si favorisce il volgare nella predicazione e anche negli uffici paraliturgici (preghiere e canti espressi dal popolo),
mentre la liturgia rimane latina fino agli anni 60 del XX secolo, cioè fino al concilio Vaticano II nonostante le forti spinte a
favore dell’introduzione delle lingue parlate dai diversi popoli. Papa Gregorio VII, nel 1080 chiede il permesso al duca di
Boemia (che oggi chiamiamo Rep. Ceca, in cui si parlavano varietà slave) di celebrare la messa in lingua “sclavonicam”.

La risposta è NO perché la liturgia esprime i dogmi della Chiesa e il senso più profondo della parola di Dio. Se questi
fossero comprensibili a tutti sarebbero disprezzati, perderebbero di valore e rischierebbero di essere fraintesi e
mistificati. Il punto è particolarmente delicato perché tocca la possibilità di interpretare diversamente nelle varie lingue
le formule di fede e anche eventualmente di fornirne versioni inaccettabili dal punto di vista della chiesa (problema delle
ERESIE) Mentre in Irlanda e nelle regioni germaniche abbiamo nel V e VI secolo delle traduzioni della Bibbia in volgare
per venire incontro agli incolti, nei territori romanzi non accade altrettanto. Sebbene alcuni tentativi siano databili nel XII
secolo in area francese, raramente i laici hanno la possibilità di leggere la Bibbia in volgare, soprattutto perché il
commento di certi suoi brani è ritenuta di esclusiva competenza degli ecclesiastici. Non a caso tale monopolio è
contestato in ambiente ereticale. Per quanto invece attiene alla predicazione la politica linguistica della Chiesa privilegia
senza riserve il volgare, ritenuto, a partire dal IX secolo, lo strumento indispensabile per la formazione dei fedeli.

I giuramenti di Strasburgo sono il più antico documento di tutti, 14 febbraio 842, documento politico emesso da due dei
più importanti sovrani dell’epoca. Un giuramento pubblico a cui hanno partecipato i due nipoti di Carlo Magno, figli di
Ludovico il Pio che aveva 3 figli maschi che si contendevano il territorio dell’impero. Viene suddiviso tra questi tre
fratelli. Carlo il Calvo, che aveva avuto in eredità la porzione francese e Ludovico il Germanico, la parte germanica. Il
terzo Lotario, doveva ereditare un’altra porzione, ma succede che gli altri due si alleano contro di lui e lo sconfiggono
nella battaglia di Fontenoy, dopodiché i fratelli si vedono e giurano in una solenne cerimonia davanti ai rispettivi eserciti.
Strasburgo era ed è anche oggi molto vicina al confine politico e linguistico franco-tedesco e questo è significativo
perché Ludovico il germanico pronuncia il giuramento in francese e Carlo il Carlo in una varietà di tedesco, giurano
anche i capi degli eserciti nella propria lingua a rispetto del patto di alleanza. L’unico manoscritto Paris, Bnf lat. 9768
conservato alla biblioteca di Parigi risale alla fine del X secolo o al massimo ai primi decenni dell’XI scritto in area franco
occidentale, è difficile stabilire con certezza dove sia stato copiato, è un manufatto di medio formato, scritto in
minuscola carolina. Questo documento ci è stato tramandato dalle Historie di Nitardo, storico e cugino di questi due
protagonisti che racconta del conflitto, della battaglia e dell’alleanza. Quando arriva a raccontare anche della cerimonia
pubblica, inserisce anche il testo di questi Giuramenti, era abitudine inserire i documenti all’interno di un testo storico
nella storiografia medievale, al fine di narrare i fatti nel modo più veridico possibile.

Dello stesso giuramento esiste una versione in antico francese e una tedesca, questa è una varietà di francone renano,
parlata dai Franchi stanziati sul fiume Reno. Accanto alle due versioni troviamo anche la versione in latino dei
Giuramenti. Giuramenti di Strasburgo: tratti linguistici francesi ma anche del latino (numquam), questo è il giuramento
pronunciato da Ludovico, fratello di Carlo. Questo è il testo giurato, anche per Carlo il giuramento è identico in lingua
tedesca. Nel 842 d. C. non esisteva un sistema grafico per scrivere una lingua romanza. Questo ha importanza perché è
chiaro che chi trascrive il giuramento non ha potuto sfruttare un sistema grafico già esistente e collaudato alla
pronuncia. Ha dovuto ricorrere ai grafemi e ai fonemi del latino. Non è un testo improvvisato perché è pieno di
linguaggio tecnico che fa riferimento al diritto e risente fortemente del formulario giuridico cancelleresco (pro deu
amur, pro christian poblo, nul plaid numquam, in damno sit). Anche se il manoscritto è stato copiato centocinquanta
anni dopo la redazione dei Giuramenti, “Sembra che il copista si sia mantenuto fedele al suo modello, che poteva forse
addirittura coincidere con lo stesso autografo di Nitardo.” (Meneghetti). Un arcaismo grafico: consiste nel rappresentare
un fonema con una grafia. Le -E per esempio venivano sempre usate al posto delle I.

Chi scrive questo testo è un copista che ha sempre scritto in latino, e ricorre alle grafie del latino, all’epoca ogni
territorio aveva una tradizione grafica, scrittoria (scripta). Questo scrivente scrive in una maniera che è già antica
rispetto all’epoca in cui possono essere datati i giuramenti. Grafie come savir, podir, amur sono arcaismi grafici tipici
della tradizione latina merovingia. C’è un’incertezza nella resa delle vocali finali: fradre, poblo. Soprattutto, per quanto
riguarda la morfologia, la totale assenza dell’articolo è un tratto conservativo arcaico, il latino non aveva articolo, ma le
lingue romanze sì.

Tutte le valutazioni in ogni caso non possono essere comparate con nessun documento dell’epoca perché è l’unico. È un
testo molto latineggiante che ha una patina linguistica arcaica.

Tratti linguistici salienti sono:

- Pro deu amur: declinazione bicasuale- deo è il caso obliquo, dall’accusativo latino deu(m); deus è il soggetto, dal
nominativo latino Deus.
- Obliqui christian
- Complemento di specificazione senza preposizione deo di dio, christian poblo “del popolo cristiano”
- Costruzione con il nome post posto amur dopo Deo etc) è arcaica, da confrontare con costruzioni come filz le roi
“figlio del re” hotel Dieu “casa di Dio” (ospedale)
- Amur (amore)
- Perdita vocale atona di sillaba finale, per tutte le vocali diverse da A: christianu, commun, salvamentu
- Poblo: pop(u)lu(m) la vocale di sillaba finale non si è conservata, ma dopo la caduta è stata ripristinata una
vocale di appoggio per evitare un nesso di consonanti, non ammesso in francese, in fine di parola.
- Es. nostro – nostrum, fradre e fradra < fratre(m) Karlo – Carolu(m)
- -E muta: la vocale finale (6 - schwa) vocale anteriore centrale, ma con pieno valore di sillaba, appare scritta fin
dai tempi successivi ai Giuramenti
- Savir – sapere – podir – potere
- Grafie effetto del latino merovingio (precedenti la riforma della scuola di Carlo Magno) che rappresentava con la
I la E chiusa (/e/)
- Lo stesso dicasi per altre forme ist-istum, cist – ecce istum
- Una e tonica (di timbro stretto) che quando si trova in sillaba libera dittonga in ei e solo più tardi si trasforma in
oi (pronunciata wa) saveir-savoir – poeir-pouvoir
- In dreit < directum la e non dittonga perché non è finale di sillaba, ma il dittongo /ej/ risulta dall’esito regolare in
francese del nesso di dentale sorda CT > jt
- Lo stesso esito di CT si ha il plaid – PLACITUM
- Salvarai, prindrai.

Analisi linguistica – tratti salienti:

- Luther (Lotario 3° fratello) dal lat. Lodharius, Lodharium, nome germanico latinizzato
- ER- esito del suffisso ariu(m) che in francese si presenta poi con il dittongo, come in chevalier, CaBallariu(m)
- Palatalizzazione, passaggio dalla A tonica in E. Non è certo se ciò accade perché il testo è arcaico o se invece la
conservazione di questa a mantiene l’influsso del latino.
- Lenizione, indebolimento delle consonanti intervocaliche latine, soprattutto nella tradizione romanza francese.
Es Vita – vid9 – diventa vie

Ipotesi di localizzazione dei Giuramenti:

- Gaston Paris, secondo lui può essere localizzata nel nord della Francia, in area Piccarda.
- Arrigo Castellani, indica il Poitou, il territorio pittavino, a metà tra il nord e il sud della Francia. Quindi varietà
pittavina contenente elementi della varietà dell’Aquitania settentrionale.

In età medievale l’individuazione della coloritura dialettale di un testo è sfuggente e nella resa per iscritto (scriptologia
medievale) ogni parlata dialettale diventa sovraregionale, (cioè la lingua tende ad essere una koinè), ha eliminato i tratti
più specificamente dialettali, nel senso che i tratti dialettali più chiaramente individuabili tendono ad essere obliterati.
Un testo come quello dei Giuramenti, doveva essere compreso da tutti i fruitori francofoni, anche da quelli provenienti
da zone diverse del Poitou, quindi non poteva riprodurre in modo del tutto fedele i tratti di questo dialetto. Inoltre,
come ha osservato Roncaglia: “Le più rilevanti concordanze tra la lingua dei Giuramenti e i dati dell’area dialettale
pittavina riguardano (…) i tratti conservativi.” Se troviamo dei tratti pittavini non sono significativi ai fini della
localizzazione ma possono essere degli arcaismi, o latinismi e come tali non passibili di sicura localizzazione.

Principali tratti innovativi:

- Monottongazione di au in o
- La lenizione romanza delle occlusive sorde intervocaliche fino al secondo grado (aiudha – adiuta)

Questi tratti appartengono a tutta la Francia, quindi non ci portano neanche al Poitou, e anche la seconda ipotesi viene
messa in crisi. Alcuni studiosi (Lot, Ewerd, Monteverdi) pensano ad una koinè, cioè ad una parlata sovraregionale
comprensibile per tutto il pubblico francofono. Renzi e Andreose: “Ci limitiamo a sottolineare che, benché si tratti di un
testo chiaramente romanzo e non latino, non solo la lingua è diversa dal francese moderno, ma è anche molto diversa dal
francese antico di testi di poco superiori (come la sequenza di Sant’Eulalia). Il suo aspetto conservativo e quasi arcaizzante
non riflette uno stadio aurorale del francese, come si è creduto, ma dipende probabilmente dal ricorso a grafie e forme
della scripta latina merovingia che, in mancanza di una tradizione, e con essa di una norma, nella scrittura della nuova
lingua, costituiva l’unico punto di riferimento per gli scriventi. Koinè: una lingua comune che si sovrappone ai dialetti locali.

Fondamenti di filologia: tra i fondamenti c’è la filologia e l’edizione dei testi. La parola FILOLOGIA si accompagna a
qualificazioni come romanza, classica, latina, francese ecc. la disciplina ha diversi contenuti nei diversi contesti
accademici nazionali. In Italia si intende per filologia romanza la disciplina che studia attraverso l’analisi dei testi letterari
e pratici, la genesi delle lingue e dei dialetti romanzi a partire dal loro evolversi dal latino. Per tradizione storica si
concentra in particolare sulla fase medievale di tali lingue. FILOLOGIA: dal greco logos + filein significa “amore della
parola”.

Ferdinand de Saussure ci offre una semplice definizione della filologia in confronto alla linguistica e da questa possiamo
comprendere che la filologia è un METODO DI LAVORO SUI TESTI, la cui validità deve essere sempre comprovata,
verificata, a prescindere dal dominio linguistico al quale appartiene il testo. Saussure definisce la filologia: “La disciplina
che vuole fissare, interpretare, commentare i testi, rispetto alla linguistica che invece “studia” i fatti di lingua e ne cerca
una legge interpretativa”. Interpretare: studiare, capire e commentare= enucleare tutti i punti non chiari e aggiungere
qualche commento, per aiutare chi non ha gli strumenti per comprendere. Fissare significa dare l’edizione critica di un
testo. L’edizione è il frutto del lavoro specifico del filologo, significa rendere leggibile un testo nel rispetto della volontà
d’autore, non è raro infatti che la volontà risulti manipolata, sfigurata, per errori di stampa. Il compito dell’editore è
quindi costituire il testo, dare l’edizione critica.

Come e dove nasce la FILOLOGIA? La filologia nasce nel mondo antico, presso la Biblioteca Nazionale di Egitto, fondata
da Alessandro Magno, quando lui si recò in Egitto, possedimento dell’impero persiano. Alessandro è stato un fondatore
di città, la più importante Alessandria d’Egitto che era sul mare, dove viene istituita la maggiore istituzione culturale tra
il III secolo e il I secolo a. C. durante il regno di Filadelfo, poi andata distrutta. La Biblioteca nasce come appendice del
Museo, un tempio, luogo di culto dove le divinità celebrate erano le MUSE, le divinità greche delle arti, secondo la
tradizione mitologica erano nate da Zeus e Mnemosine, protette da Apollo. La Biblioteca nasce come collegamento di
questa istituzione religiosa. Iniziale organizzatore sarebbe stato Demetrio Falereo, allievo di Aristotele; altri studiosi e
filologi: Zenodotto di Efeso (editore di Omero) Callimaco, Apollonio Rodio, il geografo e matematico Eratostene. La
filologia nasce in questo contesto come cura del patrimonio letterario e filosofico greco, come cura del testo di Omero
(Iliade e Odissea), in particolare, in questa Biblioteca si raccoglievano tante copie della letteratura nota all’epoca e
riuscivano a procurarsi copie diverse del mondo greco e si sono messi a confrontare queste copie e hanno visto che non
erano identiche, ma presentavano varianti. Si pone il problema di quale sarà stata la volontà d’autore. La filologia nasce
dalla necessità di capire se la trasmissione di un’opera, che veniva copiata a mano, risponde alla volontà dell’autore, uno
dei compiti del filologo è quello, quando si trova davanti ad un testo, dell’autenticità del testo, perché i testi possono
essere apocrifi, perché la sua paternità può essere attribuita ad un nome che non è l’autore di quel testo, un testo può
essere anche un falso. Lavoro del filologo è il recupero del testo autentico d’autore.

Cosa intendiamo oggi per FILOLOGIA: dizionario DE MAURO.

1- disciplina che mediante l’analisi linguistica e la critica testuale, mira alla ricostruzione e alla corretta
interpretazione di testi e documenti scritti; nella nomenclatura universitaria, disciplina che studia l’origine e la
struttura di una lingua, spec. sulla base dei documenti letterari.
2- L’insieme degli studi filologici e dei filologi di un determinato periodo o di una determinata area culturale (la
filologia alessandrina, la filologia tedesca dell’800 ecc)
3- Il complesso degli studi fondati sull’esame critico di fonti, documenti e testimonianze che si propone di fornire
un’esatta interpretazione di fenomeni storici, artistici ecc.

Costituire il testo: l’edizione critica Constitutio Textus: Provare a costituire un testo in maniera critica che rispecchi la
volontà dell’autore e che sia leggibile anche per un lettore mediamente colto, ma che non ha di certo le competenze del
filologo, sarà lui a metterlo in condizioni di poter accedere a quel testo.

Il filologo è anche un mediatore tra l’autore, lo scrittore, e il pubblico. Alla base della filologia c’è sempre un testo, è una
disciplina che si occupa di testi (scritti o orali) che sono dei prodotti storici. Due casi di studio:

Es. I Canti di Leopardi, i cui testi rientrano in una fenomenologia di tradizione a stampa, devono essere proposti ai lettori
in una edizione critica che presenti l’opera nel rispetto della volontà dell’autore. Moroncini è stato il filologo che ci ha
dato per primo un’edizione critica e stampa la sua versione nel 1927, lui ha:

- Autografi (manoscritti di mano dell’autore): che provengono dall’eredità Ranieri, conservati presso la
Biblioteca Vittorio Emanuele III di Napoli; altri presso la Biblioteca Leopardi di Recanati, l’Archivio del Comune di Visso
(Mc) e il Civico Museo Storico di Como.
- Apografi (copia di un originale manoscritto) di Paolina Leopardi e di Antonio Ranieri (3 copie della
Ginestra) sono a palazzo Leopardi e alla biblioteca di Napoli.
- Stampe: Leopardi stampa alcuni degli Idilli nella rivista letteraria “Nuovo Ricoglitore” nel 1825-26
- Nel 1831 edizione fiorentina dei Canti (presso Guglielmo Piatti) Per la prima volta Leopardi decide di
pubblicare un libro autonomo dei suoi canti e li sceglie, pubblica un volumetto interamente dedicato ai Canti.
- Nel 1835 di nuovo Leopardi ripubblica i canti, però lo accresce, aggiunge dei testi, li modifica, in parte li
riscrive. Canti di Giacomo Leopardi, edizione napoletana che contiene le varianti, cioè più poesie approvate dall’autore,
presso l’editore Saverio Starita.
- Nel 1837 Leopardi muore.

L’edizione Starita rappresenta la volontà dell’autore? Nell’intreccio tra manoscritti dell’autore e stampe, il momento
della stampa non rappresenta la conclusione del lavoro compositivo di Leopardi. L’esistenza di varianti successive alle
stampe attesta che la volontà d’autore definitiva in molti casi non è rappresentata dalla Starita. La volontà d’autore è in
un esemplare specifico dell’edizione Starita che si chiama NC = esemplare dell’edizione Starita corretta a penna da
Leopardi, che è successivo all’ultima edizione a stampa da lui controllata.

L’editore a questo punto cosa deve fare per dare un’edizione critica? Diventa molto importante questa edizione corretta
a penna da Leopardi.

Come si deve comportare il filologo di fronte ad un Canto del genere? I Canti di Leopardi hanno una tradizione pluri-
testimoniale, manoscritti e a stampa, con presenza di varianti d’autore successive all’ultima edizione approvata
dall’autore stesso. In molti casi (spiegare) l’ultima volontà di Leopardi non è rappresentata dall’edizione Starita. È una
tradizione mista, sia manoscritta che a stampa che presenta varianti d’autore. Per arrivare a fornire un’edizione critica, il
filologo deve studiare tutte le testimonianze, analizzarle, ordinarle cronologicamente per stabilire quale è la volontà
d’autore. Nel 1927 a cura di Francesco Moroncini si arrivò alla prima edizione critica dei Canti di Leopardi, pubblicata a
Bologna, Cappelli.

Critica perché Moroncini si è posto il problema dell’ultima volontà dell’autore e genetica perché la pubblicazione di tutte
le varianti d’autore, anche quelle che Leopardi non pubblica, mostra la genesi del processo creativo. Edizione che ha
avuto un grandissimo successo. Marco Dondero su questa edizione dice:” primo fondamentale tentativo italiano di
produrre un’edizione di tipo diacronico, che mirasse non solo a fornire il testo nella forma definitiva, ma anche a
ricostruire e a rappresentare la storia del testo, la sua genesi e il suo ventennale sviluppo.” Nasce lo studio delle varianti
d’autore dell’edizione Moroncini, la variantistica, sull’analisi critica dei CANTI.

Casi di studio: la Commedia di Dante

La Commedia non è stata stampata, è stata diffusa attraverso centinaia di manoscritti (circa 800), nel momento in cui
viene inventata la stampa, vengono poi stampate centinaia di copie. Un testo più viene scritto, ricopiato, o stampato più
presenta la possibilità di essere manomesso volontariamente o involontariamente. Non possediamo nessun autografo
della Commedia Dantesca, cioè non possediamo nessun manoscritto copiato da Dante e nemmeno nessun manoscritto
revisionato o controllato da lui per verificare l’esattezza, la bontà del testo copiato. Per questo è un caso estremamente
complesso. La prima volta che viene stampata è a Foligno nel 1472 ad opera di Numeister, nome del primo stampatore,
tipografo, che stava a Foligno, la prima edizione stampata viene detta editio princeps. Tutti i documenti stampati prima
del 1500 vengono chiamati incunaboli, quelli dopo il 500, cinquecentine. (La Germania –Gutenberg- è la patria della
stampa).

La Commedia è stata un testo di tale successo da avere avuto anche una notevole tradizione orale, anche in ambiente
popolare, veniva imparata a memoria e i canti venivano recitati. In epoca medievale, (Dante muore nel 1321) chi voleva
procurarsi dei libri, (che erano di pergamena, molto preziosi, costosi, bisogna uccidere degli animali per ottenere la
pergamena) se si trattava di qualcuno che poteva pagare molti soldi, andava sul mercato librario dove si vendevano libri.
A seguito della nascita delle università, in ambiente cittadino, nascono degli atelier dove c’erano dei copisti
professionisti che producevano libri, una produzione proto industriale, copiavano a mano libri e li vendevano. Venivano
pagati col sistema della pecia, dal latino pezzo, cioè pagati in base a quanti fascicoli copiavano. Esisteva anche un
sistema di copia a mano attraverso il prestito di un libro che ci si copiava da soli, in questo caso si parla di copista per
passione. Quando un testo viene copiato a mano più e più volte, perde dei componenti e subisce un processo di
trasformazione chiamato entropia testuale; è statisticamente certo che nella copia a mano si insinuano degli errori certi,
senza che il copista se ne renda conto e il testo originale viene sfigurato e il filologo deve ripristinare il testo per arrivare
alla volontà d’autore, considerando anche le varianti. I più antichi manoscritti della Commedia sono databili verso il
1340-1350, quando erano passati più di 20 anni dalla morte di Dante. Non abbiamo nulla prima della sua morte, quello
giunto a noi è già il prodotto di una catena di copie. Abbiamo invece un autografo di Petrarca, conservato presso la
Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. vat. Latino 3196. Anche di Boccaccio lo abbiamo.

In assenza di autografi, qual è il testo autentico che rappresenta la volontà dell’autore?

- Ampiezza della tradizione manoscritta


- Copia a mano e produzioni di varianti che modificano il dettato testuale a livello grafico e sostanziale: i copisti
hanno inserito, generato varianti che hanno modificato questo dettato.
- Un manoscritto può essere affetto da guasti materiali: lacune, errori come saut du même au même, se sto
copiando e trovo quella parola sul testo che sto copiando e quello che sto scrivendo, posso saltare alcune righe.
- La produzione di varianti grafico-linguistiche , che non toccano la parola, ma solo il modo di scriverla, la grafia, ed
eventualmente il modo di pronunciarla (vedi slide Purgatorio I, vv. da 1-6) tipo acqua scritto aigua. Succede
perché ogni copista non si poneva il problema di riferirsi ad un canone grafico nazionale, non esisteva la Nazione
Italia, esistevano parlate regionali, scritture regionali, il copista mentre copia trascrive tratti linguistici della
propria parlata dialettale. Dante ha scritto la Commedia in fiorentino e non conosciamo quella veste grafica
perché non abbiamo nessun autografo. Fino a che non si forma un orizzonte grafico di omogeneizzazione della
lingua coesistono queste tradizioni. Quando li andiamo a studiare troviamo una stratificazione linguistica che ci
svela anche la provenienza di questi copisti, che possono intervenire volontariamente o meno sui testi.
- Aplografia: omissione di uno o più elementi nella scrittura della parola quando seguono un elemento uguale
tragicomico, ad esempio, la dittografia (errata ripetizione di una parola o di un gruppo di lettere)
- Mancata trascrizione di segni diacritici (l’apostrofo, la dieresi ect)
- Errata identificazione di segni grafici da parte del copista
- La mancata trascrizione dei monosillabi
- Fraintendimenti

La variante/la varia lectio/lezione: parola o frase che testi di una stessa opera presentano in modo diverso e alternativo.
L’insieme di tutte le varianti sono dovute a semplici errori di trascrizione dello scriba, ma possono anche risalire
all’autore stesso Lectio = dettato testuale, come il testo appare (le parole che lo costituiscono) Varia = perché può
variare

• Micro-varianza: livello del verso o della frase, riguarda le singole parole

• Macro-varianza: livello del testo, lo amplifica oppure lo riduce. Chi ha messo in atto la copia ha inserito frasi e
parole di testi che non sono dell’autore, o sono di sua invenzione o provengono da altri autori.

• Varianti grafiche: Dio, Iddio; amour, amur; ge, je, ie

• Varianti sostanziali (cfr. fotocopia)

Tradizione “attiva” (i copisti tendono a inserire molte varianti) “quiescente” (nella copia non si producono molte
variazioni, il testo è piuttosto stabile, è più rispettato dai copisti) –Varvaro. La prima riguarda i testi romanzi. I copisti
copiano nella loro lingua materna, comporta un numero maggiore di varianti. La seconda i testi latini, scritti in epoca
romana (poi copiati in epoca medievale). I copisti medievali di fronte a un’opera in latino (lingua che conoscono poco,
hanno un’altra lingua materna!) consapevoli che si tratta del frutto dell’opera letteraria di grandi autori, tendono a non
cambiare il testo. L’attitudine e le competenze linguistiche del copista:

Cagiari, Biblioteca Universitaria, ms. 76: Canto I del Purgatorio – littera textualis, copista aretino-cortonese, databile fine
XIV- inizio XV

Sx: testo; Dx: glosse (commento marginale per spiegare il testo dantesco)

La scrittura è molto chiara e comprensibile, si chiama LITTERA TEXTUALIS (scrittura che maggiormente veniva utilizzata
in Europa per scrivere libri da leggere). Tipo di gotica che ha origine in ambiente universitario e si diffonde da fine 200 e
oltre. Segue un canone ben preciso per permettere una facile lettura. Il copista che ha copiato il testo è di origine
aretino-cortonese (copista toscano MA con parlata diversa dal fiorentino) = inserisce grafie che testimoniano la parlata
aretino-cortonese che si differenziano dal fiorentino

Purgatorio, I, VV. 1-6 ed. Petrocchi

Petrocchi ci ha dato la prima edizione scientificamente costituita della Commedia Dantesca. Testo + in basso l’apparato
(parte dell’edizione critica di un testo) dove non ci sono note di carattere storico-informativo (quelle dei libri di scuola),
ci sono SOLO materiali inerenti la trasmissione del testo. Ad esempio sono trascritte delle varianti che erano presenti nei
manoscritti ma che l’editore ha escluso perché non le riteneva di Dante. Sigle = sigle di manoscritti Vedi parafrasi vv.1-6.
Petrocchi ha scelto l’italiano con base fiorentina odierna per rendere leggibile il testo a un pubblico molto vasto. Varianti
in rosso sono di tipo grafico -> l’editore sceglie la veste grafica più omogenea di in un fiorentino trecentesco pensato per
essere letto da un lettore mediamente colto di oggi.
Varianti sostanziali (verde): Per corra e Per correr sono diverse! Correr = infinito; Corra = congiuntivo. -> cambia il
significato. Per corra non solo è una variante ma è un errore e in questo contesto non ha senso! Di quel vs Di quello.
Quello autentico di Dante è di quel perché altrimenti si avrebbe un verso ipermetro (troppo lungo); non verrebbe
rispettato il metro dell’endecasillabo perfetto, sarebbe un dodecasillabo. Spirito vs Spirto. Quello autentico di Dante è
spirito perché altrimenti si avrebbe un verso ipometro (troppo breve). Spirto è una forma tipica del fiorentino
trecentesco meno latineggiante ma in questo caso Dante non lo utilizza. vv. 7-12 Vd parafrasi Dante fa riferimento a un
mito dell’antichità. Piche = giovani donne figlie del re di Tessaglia che sfidarono Calliope nel canto. La loro superbia fu
punita e Calliope le trasformò in gazze (piche) -> mito di metamorfosi narrato nelle Metamorfosi di Ovidio.

Ma qui vs Ma chi = ma chi non ha assolutamente senso! Morta vs Mortal = sono varianti sostanziali perché il significato è
totalmente diverso. L’unico attinente al testo è morta. Piche vs Picche vs Pice = variante indifferente a livello di
significato (variante grafico-formale) Piche vs Ninfe = variante sostanziale. Le ninfe sono esseri femminili che vivono in
ambienti lacustri, fanno parte della variegata popolazione dei boschi mitologici. In questo caso la metrica non aiuta
perché entrambi sono bisillabe. Tuttavia, il termine giusto è Piche perché è il termine che troviamo in Ovidio; il filologo
conosce il mito ovidiano. Inoltre Piche significa proprio “gazze”, ninfe è molto più generico. -> banalizzazione o
trivializzazione. Questo errore si è generato perché qualche copista avrà letto piche ma non avrà capito il significato
(aulico). È certo che gli autografi sono esistiti, così come anche altri codici danteschi. Ma perché di Dante non si conserva
oggi alcun autografo? La circostanza forse dipende dalle vicende biografiche dell’esilio, e per questo è andata dispersa la
biblioteca del poeta. È problematica l’identificazione degli ambienti e dei tempi di diffusione delle opere dantesche “non
fiorentine”. Le prime attestazioni delle Rime e della Commedia sono bolognesi; per la Commedia si è ipotizzato un
archetipo emiliano-romagnolo (contesto NON fiorentino) -> ci sono caratteristiche grafico-linguistiche che testimoniano
questo contesto. Dante, infatti, è stato SICURAMENTE a Bologna.

Archetipo = è il più antico esemplare (manoscritto) da cui discendono tutti i testimoni esistenti di un testo; non è
l’originale perché può essere una copia già corrotta dell’originale, che molto probabilmente è andato perduto; l’originale
è il testo come è uscito dalle mani dell’autore. Raro che si conservino originali di opere prima della stampa. L’archetipo è
il testo perduto, che si può ipotizzare come capostipite di un’intera tradizione testuale. L’ipotesi è resa possibile grazie
all’esistenza di un errore d’archetipo, di uno specifico errore che si ritrova in rami diversi della tradizione, di cui si può
postulare l’esistenza di un codice perduto che avrebbe dato origine a tutti i rami della suddetta tradizione. Esempio: in
una classe di alunni in un compito di matematica TUTTI fanno lo stesso errore. Questo errore dipende dalla mancanza di
competenze degli alunni. C’è stato qualche input esterno (suggerimento, bigliettino perduto) che porta all’errore. ->
l’archetipo di tutti quei compiti è il biglietto andato perduto. So che è esistito e ha portato alla trasmissione dell’errore.
Errore = identifica una fonte di cui non dispongo più ma so che è esistita. Se trovo un errore che è esattamente identico
nei manoscritti, devo ipotizzare l’esistenza di una fonte a fronte. NON è un errore banale (generato in maniera
autonoma dai copisti). La Commedia è un caso di studio complesso perché non abbiamo né autografo né archetipo.

Immaginiamo Dante che ha completato l’Inferno, lo ha scritto di suo pugno, ha una copia pulita dove ha inserito le
correzioni, ritiene che quella rappresenti la sua volontà. Il filologo deve puntare a far leggere al lettore questo ipotetico
testo, se avessimo un manoscritto copiato da Dante, un autografo, potremo chiamarlo l’originale. L’archetipo è sempre
un manoscritto che può essere stato copiato da persona diversa dall’autore ma può rappresentare l’inizio di tutta la
tradizione, il manoscritto dal quale possono derivare tutte le testimonianze di cui oggi dispongo, e in genere viene
individuato in base ad un certo tipo di errore, non poligenetico, (prodotto in maniera semplice e i copisti possono averlo
compiuto in maniera autonoma)ma un errore che non può essersi riprodotto in maniera indipendente, non è un errore
banale, automatico, oppure può essere un errore che si produce in maniera meccanica, ma lo studio della tradizione ci
porta a capire che non può essersi riprodotto in tutte le copie. Immaginiamo sempre la Commedia, vv. 7-12 della slide,
immaginiamo il verso 8 non copiato, non presente, lì c’è un errore e ce ne rendiamo conto perché la Commedia è scritta
in terzine, con rime incatenate.

Ma in 10 manoscritti diversi, sparsi per l’Italia, in epoche diverse, se trovo lo stesso errore di tipo meccanico mi deve
venire un sospetto perché non è poligenetico. C’è stato un manoscritto con un errore e gli altri lo hanno copiato.
Tramite un errore congiuntivo e non poligenetico (che congiunge, li fa diventare una famiglia) riesco a capire che c’è un
errore di parentela che unisce i manoscritti. Gli archetipi ci sono ma non sono frequenti. Perché di Dante non si conserva
autografo nella Commedia? Dei manoscritti nei quali devono essere state copiate le tre cantiche e che lui avrà detto che
rappresentassero la sua volontà, sono sicuramente esistiti. Perché quelli di Boccaccio e Petrarca sì e questi no? Una
risposta la possiamo abbozzare se ripercorriamo la composizione della Commedia; gli studiosi dicono che:
- la composizione è iniziata nel 1306-1307 in base a riferimenti esterni, lettere, notizie tramandate dai primi
commentatori di Dante.

-1314-1315 è ipotizzabile una prima circolazione di Inferno e Purgatorio; Dante è possibile che abbia scritto e riscritto la
sua opera, ma lui è interessato a farla conoscere, vuole acquisire fama, essere riconosciuto nella sua abilità poetica
perché ha bisogno per vivere di un mecenate che lo prenda nella propria corte. Sulla base di queste ipotesi siamo sicuri
che le prime due cantiche iniziano a circolare in questi anni.

-Dal 1316 al 1321 (anno della morte) negli ultimi 5 anni della sua vita lavora sul Paradiso, muore quando quest’ultimo è
finito. La circolazione deve essersi svolta non in maniera completa, fino alla sua morte la maggior parte dei suoi
manoscritti erano o solo Inferno o solo Purgatorio o entrambi. È anche possibile che prima della sua morte il quadro
fosse completo. La prima edizione completa, il primo codice in cui siamo sicuri che erano presenti le 3 cantiche, è quella
curata dal figlio Iacopo Alighieri. Sappiamo che il poema fu subito diffuso per via orale (mnemonica), probabilmente
anche in ambienti popolari, ma il primo pubblico era cortigiano, di quelle corti presso le quali Dante era intenzionato ad
entrare, del Veneto, ma anche della Romagna. Boccaccio, organizzava letture pubbliche per i fiorentini e scrisse dei
commenti a questi canti, le famose Esposizioni alla Commedia. Boccaccio racconta che persone dai mestieri più diversi
conoscevano interi canti di Dante. Quindi abbiamo copisti professionisti, ma questo successo fa sì che molti colti
comincino a copiare la Commedia, letterati, notai, borghesi per poter realizzare fisicamente la propria copia.

Copisti “per passione”. A forza di copiarlo è evidente che il testo si corrompe sulla base della facilità involontaria degli
errori di copia, ma anche perché non esiste una grafia stabilizzata per l’italiano, il fiorentino dell’epoca. La tradizione
della Commedia è una tradizione “attiva” (Varvaro), anche se poi se ci sono degli autori che presentano un livello di
tradizione più alto; la tradizione attiva è tipica dei testi romanzi o delle lingue volgari, rispetto alla tradizione
“quiescente” tipica dei testi latini. Noi possediamo un gran numero di manoscritti, sono molto più frequenti quelli
copiati nella seconda del 300 e del 400 e già allora il lettore si chiedeva quale fosse il testo da leggere. Questo problema
ha fatto emergere la necessità di un testo critico, cioè di un’edizione di quel testo che ha come oggetto la costituzione
della volontà dell’autore. Il filologo deve rendere anche questo testo leggibile, adeguandolo a delle convenzioni di
carattere editoriale, in maniera tale che possa essere letto dai lettori moderni. Quindi in un’edizione critica: costituzione
della volontà d’autore e ruolo mediatore del filologo nell’adeguamento del testo. Uno studioso confronta i differenti
testi e nota che la Commedia in alcuni luoghi differisce e si rendono conto che il testo di Dante circolava ma esisteva un
problema di autenticità, ma data l’enorme tradizione, era sembrato improponibile questo lavoro. Oggi con il ricorso
all’informatica si sta facendo. Prima di arrivare a questo ricordiamo che nel 1965 nasce la prima edizione critica curata
dal filologo Giorgio Petrocchi nell’ambito dell’Edizione Nazionale delle Opere di Dante, secondo un metodo critico
scientifico, basandosi su parametri il più possibile oggettivi e ben organizzati.

Fasi per arrivare ad un’edizione critica pluritestimoniale (tradizione attestata da tanti testimoni, manoscritti):

- La recensio: la raccolta, lo studio e l’esatta classificazione di tutte le testimonianze esistenti che costituiscono
una tradizione per poi capire quali sono più corretti; ogni testimone viene siglato.
- Collatio- Collazione: è il confronto sistematico tra tutti i testimoni. Ci sono diversi casi di testi apocrifi, cioè non
autentici. Esempio: prendo la Commedia, comincio dall’Inferno, guardo il 1 verso, il secondo, il 350esimo, devo
confrontare il dettato di tutti i versi in tutti i testimoni, devo fare il confronto su tutti i testimoni di come il verso è stato
copiato. Se trovo delle varianti solo di tipo grafico-formali (esempio lemma ingegno) o se ci sono luoghi dove io noto una
differenza della trascrizione di altro tipo allora devo identificare quale è stata la volontà d’autore.
- Classificazione dei testimoni: studio degli errori importante ai fini della costruzione dello stemma codicum, cioè
un albero genealogico che offre uno schema della tradizione. Quando troviamo errori monogenetici e congiuntivi
possiamo stabilire una parentela tra i manoscritti e ricostruire dei diagrammi che ci fanno vedere la tradizione di un
testo, che provano a farci vedere la diacronia, come si è svolta una tradizione. Quando troviamo delle sigle costituite da
lettere MAIUSCOLE latine siamo di fronte a manoscritti esistenti in qualche biblioteca. Quando troviamo minuscole
dell’alfabeto latino vuol dire che sono manoscritti perduti. Quando troviamo lettere dell’alfabeto greco indichiamo
manoscritti perduti che sono archetipi di una tradizione.

Recensio: nel caso della Commedia (dell’ed. critica di Petrocchi)


1- Limitazione della recensio: l’assunto di partenza fu di limitare la recensio ai testimoni più antichi, quelli che
costituiscono l’antica vulgata, cioè il testo di Dante vulgato, diffuso in epoca più antica.
-Sono stati scelti in modo non arbitrario i manoscritti datati entro l’anno 1355, anno nel quale anche Boccaccio fece
un’edizione della Commedia. Scelse 27 testimoni e li trascrisse tutti, poi collazionati con altri 6 testimoni trecenteschi,
quindi anche successivi, ma entro il 14esimo secolo. Serviti per un ulteriore controllo
2- Collatio: Petrocchi, restringendo drasticamente il numero dei testimoni, può procedere a collazioni integrali e
allestire un testo-base credibile e fondato, per quanto provvisorio, con un apparato di tutti i filoni principali della
tradizione. È in corso un progetto di equipe che punta a dare una nuova edizione della Commedia basata su una
recensio allargata. La limitazione della recensio si applica in casi come quello della Commedia, in presenza di centinaia di
manoscritti. Nel caso di tradizioni con un numero minore di testimoni la recensio e la collazione deve essere estesa a
tutti. A cosa servono la recensio e la collazione? Alla classificazione dei testimoni. Classificare i testimoni significa
stabilire quali sono affidabili e utili per la costituzione del testo e quali no. Eliminazione dei codices descripti. Il metodo
di Lachmann si chiama anche il metodo degli errori e punta alla realizzazione di un’edizione critica, procedendo alla
collazione. Lachmann latinista filologo, ha cercato di mettere a punto un metodo che non fosse affidato a riflessioni
disorganiche e impressionistiche dell’editore, così come avevano fatto i filologi che lo avevano preceduto. Gli editori non
partivano dalla recensio di tutti i testimoni, non si faceva la collazione; si procuravano un manoscritto e di fronte ai
luoghi complicati se avevano qualche altra fonte, correggevano secondo quella lezione, o inserivano la parola che
andava meglio, per rima anche, ma questo era un metodo impressionistico.

Lachmann voleva un metodo + attendibile, partendo da recensio, collazione, poi varia lectio, poi loci critici e poi si
valutavano gli errori significativi, mono e poligenetici. Capire che gli errori possono essere di diversi tipi, che ci aiutano a
stabilire l’albero genealogico, lo stemma codicum. Lavora su testi latini, la prima edizione è il De Rerum Natura di
Lucrezio, i problemi che lui affrontò quando editò il testo di Lucrezio, in latino estremamente complesso che ricade in
quella che Varvaro chiama tradizione quiescente, dove i copisti rispettano maggiormente il testo, non inseriscono
variazioni dialettali delle loro zone. Per stabilire cosa è un errore dal punto di vista della critica testuale bisogna
esaminare le varianti che per ragioni di contenuto (correttezza grammaticale, senso generale) o di forma (schema
metrico) risultano MANIFESTAMENTE INACCETTABILI, e possono essere considerate dei veri e propri errori. Le
operazioni di recensio e collazione sono tipiche dell’edizione critica e questa si può dare con un testo tramandato da
tanti testimoni (pluritestimoniale).
La recensio è lo studio di tutte le testimonianze esistenti e la loro classificazione, vengono dotate di una sigla poi si passa
alla fase della collazione.
Una collazione confronto sistematico di tutti i testimoni, ha come obiettivo, avere il quadro completo di tutta la varia
lectio, di come il testo è tramandato da ogni singolo testimone. “Fresca rosa novella di Cavalcanti”, ha 6 testimonianze,
questo è un testo in versi e ci aiuta moltissimo, ha 44 versi. Si crea una tabella nella quale incolonno tutti i versi del
testo. Ogni tabella che io creo deve avere un verso, lo trascrivo secondo il testimone n. 1, nella riga sotto il testimone n.
2 e via di seguito, per come risulta essere in ciascun manoscritto.
Perciò avrò 6 trascrizioni del verso 1, 6 del verso 2 e così via, fino al verso 44. Io avrò alla fine della preparazione del
materiale sul quale andrò a fare la collazione, 44 tabelle in cui avere il verso trascritto come appare in ciascun
testimone. Così ho il quadro completo della varia lectio.
Prenderò a quel punto un esemplare di quel manoscritto e inizierò a confrontare alla trascrizione del verso 1 nel
testimone n. 1 come sono fatte sempre del verso 1 nei testimoni 4-5-e 6 e guarderò dove sono presenti delle varianti
grafico-linguistiche. Offrirò tutto il testo secondo una veste grafica. Il problema è dove trovo varianti di sostanza, i loci
critici sono i luoghi del testo in cui siamo in presenza di una variante sostanziale. I primi due versi di questa poesia: se
poniamo il verso piacente primavera, ma prima vera questa è una variante grafica linguistica, se trovo questa non è un
luogo critico, lo sarebbe se trovo piacente buona sera è un errore e mi diventa un luogo critico, in cui devo ripristinare il
testo come lo ha scritto l’autore.

L’individuazione di un errore di questo tipo viene fuori dalla collazione. Se mi trovassi di fronte ad un testo in prosa
sarebbe + complesso, perché dovrei numerare la prosa secondo le righe, altrimenti farò fatica a trovare i luoghi critici.
Questa operazione mi farà capire quali sono i testimoni che rispettano la volontà d’autore. Quando avrò sanato i loci
critici dovrò pormi il problema della veste grafica in cui faccio leggere il testo ai miei lettori. Non userò tutte le varianti
grafiche che ho trovato nei testimoni. Nel caso di Dante, non possediamo nessun documento immediatamente
successivo alla sua morte. Petrocchi ha utilizzato la grafia del fiorentino, la lingua di Dante, ma con tutta una serie di
interventi che rendono il fiorentino leggibile ai lettori moderni, intervenendo sulle grafie semplificandole e rendendole
omogenee. Il filologo deve occuparsi di questa semplificazione perché nel Medioevo esiste il multi grafismo. Oggi se io
copiando un testo invece di faccio scrivo fo, non sarei affidabile. A quel tempo era normale. Anche nella fonetica. In
alcuni casi è complesso, perché fino a quando non viene stabilito un sistema grafico omogeneo ciascuno fa riferimento
al proprio. Questo fenomeno si ridurrà in epoca cinquecentesca, da un lato la stampa aiuterà la canonizzazione dei
sistemi grafici e dall’altro le Accademie si occuperanno delle lingue nazionali e inizieranno ad offrire strumenti per
sfruttare le competenze grafiche di ciascuno. Il latino era la lingua di cultura per eccellenza con una sua tradizione
grafica, di scrittura.
Le lingue volgari non erano insegnate nelle scuole, venivano anche utilizzate nell’insegnamento scolastico, ma solo nelle
prime classi, di bimbi molto piccoli, più grandi lo abbandonavano perché c’era il latino. Le lingue volgari sono state a
lungo escluse e questo ha favorito la proliferazione del multi grafismo per moltissimi anni. Chrétien de Troyes è uno
degli autori + importanti della letteratura medievale francese ed europea, tra i più innovativi perché è stato l’inventore
del romanzo bretone, arturiano, è proprio il primo che compie un’operazione di peso culturale, il primo che parla del
mito del Graal etc. (vedi slide Chevalier de la Charrette; vialt forma piccarda – contro velt forma centrale; que < ke; puis
que < des que, non è variante solo grafica ma il significato poi non cambia)

In che forma grafica ha scritto l’autore? Se ha fatto copiare il testo ad un copista, che forma grafica gli ha fatto seguire?
Non lo sappiamo, però le abitudini dei copisti non sono sistematiche, possono modificare il testo immettendo la propria
patina dialettale, a noi conviene scindere la sostanza (esempio la terza persona singolare del verbo volere volo er di cui
sopra), dalla forma, cioè la forma grafica e fonetica con cui il verbo si presenta (vialt, velt etc) è la sostanza che mi
interessa, il livello non indifferente. Lì cambia se Chétien ha voluto una terza singolare di volo er o di un altro verbo.
Come ci dice ancora Beltrami, nelle tradizioni manoscritte romanze, si può essere certi che nessuna copia rappresenti
esattamente la forma, né dell’originale, né di uno stato anteriore della tradizione. Quando parliamo di ricostruzione del
testo, o di costituzione del testo, intendiamo la ricostruzione nella sostanza.
L’edizione interpretativa è il passo successivo dell’edizione diplomatica, introduce elementi che ci aiutano nella lettura
del testo, non trascrivo il testo per come è scritto, lo vado a incolonnare. C’è un problema di grafie, di separazione delle
parole, soprattutto dove c’è l’aggettivo agglutinato al sostantivo. Applico la separazione delle parole secondo il nostro
canone di resa grafica, in modo da fornire un testo meno complesso da leggere di quello che ho nel manoscritto
diplomatico. Un’edizione diplomatica è una trascrizione fedele in caratteri tipografici moderni del testo manoscritto;
questa edizione, che ha avuto grande importanza, era utile perché quando un filologo doveva preparare l’edizione di un
testo a tradizione pluritestimoniale, se poteva si recava nei luoghi, copiava una diplomatica, poi la portava con sé e
quando le aveva completate tutte, faceva il confronto tra tutti i testimoni, la collazione.
L’edizione interpretativa lavora su un solo testimone, è un tipo di trascrizione che propone un’interpretazione del testo,
cioè a trascrivere il testo per come esso è copiato, ma siccome l’obiettivo è avvicinare il testo alla prassi grafica
moderna, dobbiamo risolvere alcuni problemi del testo che ne renderebbero più complessa la lettura. Abbiamo visto
che nel manoscritto di pag 244 del manuale, ci sono delle grafie che vengono scritte allo stesso modo u e v.
L’articolo agglutinato (lomondo/liauselli). Altro macro elemento, non viene copiata in epoca medievale con un certo uso
degli spazi bianchi che usiamo noi oggi.
L’edizione interpretativa rappresenta una facilitazione della lettura, pur trascrivendo il testo come è copiato, il filologo
inserisce una serie di interventi che devono adeguare questa trascrizione all’uso contemporaneo. L’errore attributivo di
Dante viene ancora riportato, si deve applicare una certa procedura. Renzi e Andreose hanno impaginato la poesia così
come la impaginiamo noi oggi, incolonnando e mettendo i versi uno sotto l’altro, spazi bianchi che segnalano il genere
della ballata, c’è un adeguamento ai criteri grafici della grafia moderna, novella, primavera, rivera, laddove serve il
segno grafico della v viene inserita, auselli, suo, idem per la u si mantiene, mentre nel manoscritto non avveniva.
La p con il taglio dell’asta che stava a significare per, è stata qui sciolta dal filologo e ha inserito tra parentesi la sillaba
mancante p (er) perché nell’ed. interpretativa il filologo deve distinguere ciò che è trascritto fedelmente dal codice e ciò
che lui aggiunge. Altro livello l’uso di maiuscole e minuscole.

L’inserimento dell’interpunzione, delle virgole, apostrofo, il puntino, segno diacritico che separa canti.ne, per separare
le voci verbali, la dieresi, tutta una serie di elementi di diacritici non presenti nel codice.
Non si interviene su tutte le grafie, mentre si inserisce il segno grafico per u e v, altre grafie come la c con cediglia è
senza, è grafia tipica della scripta toscana occidentale e anche fiorentina in epoca medievale.
Nell’edizione interpretativa vengono regolarizzate le separazioni delle parole, si regolarizza l’uso delle maiuscole dopo
un punto fermo, per i nomi propri, si sciolgono le abbreviazioni e va indicato tra parentesi tonde, si inserisce la
punteggiatura per rendere comprensibile il testo, si inseriscono dei diacritici, apostrofo, dieresi per ragioni metriche, poi
il testo viene disposto secondo l’uso moderno, versi numerati, strofe ordinate e così via.
Non confondere l’edizione interpretativa con la parafrasi che invece è una riscrittura del testo che pur mantenendosi
attinente al testo, varia alcune parole, le spiega, per spiegare un testo non immediatamente comprensibile.
Mentre l’interpretativa è una trascrizione fedele che sulla base di un protocollo interpreta il testo ma solo in alcuni
luoghi specifici. L’interpretativa ha un tasso di leggibilità più alto della diplomatica ma l’interpretativa deve tenere
distinti gli elementi del testo e quelli relativi all’interpretazione, e offrire una trascrizione fedele.

Edizione interpretativa ha una certa importanza quando abbiamo a che fare con gli autografi d’autore.

L’autografo è una testimonianza che tramanda un testo per come è trascritto di mano dall’autore, copiato dall’autore
stesso. (abbiamo visto quelli di Leopardi, Petrarca e Boccaccio – Berlino Hamilton 90). Quando un filologo si trova di
fronte ad un autografo, è di fronte alla volontà d’autore, e quindi può fare un’edizione interpretativa e adeguare la
grafia a quella moderna, numerare le righe, inserisce interpunzioni secondo criteri moderni, correggerà gli errori che in
un manoscritto possono essere sfuggiti. Il concetto di volontà d’autore tiene distinte le varie edizioni, critica che viene
preparata da una tradizione pluritestimoniale e lo scopo ultimo del filologo è che rispecchi la volontà d’autore, quando
invece prepara la diplomatica e l’interpretativa non si pone il problema della volontà d’autore, a meno che non sia un
autografo. Il problema della falsa attribuzione del manoscritto di pag 245 è da attribuire al copista, normalmente i testi
lirici, che non sono tanto lunghi, contengono le rubriche che in genere forniscono il nome dell’autore e non è raro che
siano sbagliate o perché questa errata attribuzione la legge già nel testimone che sta copiando oppure poniamo che lui
aveva copiato da un codice che non aveva rubriche, e di sua iniziativa attribuisce un autore. I copisti nella copia tendono
ad attribuire il nome ad autori più noti e quando noi facciamo una diplomatica o interpretativa non ci poniamo questo
problema. Quando invece prepariamo l’edizione critica è fondamentale individuare la corretta paternità dell’opera.
Il filologo di fronte ad un’attribuzione che può essere sospetta deve capire se il testo è a tradizione pluritestimoniale. In
questo caso si perché ci sono 6 testimoni e sono attribuiti a Cavalcanti. Ma se fossero metà di uno e metà di Dante? O 4
di uno e due di un altro? La maggioranza non è un criterio, il lavoro che il filologo deve fare è sullo stile, confrontare in
maniera accurata questo testo con gli altri, la lingua, l’uso della metrica, delle forme metriche, contenuti, fraseologia,
solo dopo un controllo accurato e serrato possiamo sapere se è di uno piuttosto che dell’altro, attraverso studio
analitico del testo.
In caso di tradizione mono testimoniale abbiamo un unico testimone relatore (codex unicus) segno del grande successo
di quel prodotto letterario. Perché i manoscritti sono andati perduti, subito dopo l’invenzione della stampa, nel corso del
500, migliaia di manoscritti furono mandati al macero o riciclati nelle botteghe dove servivano come copertine perché
fatti di pergamene, spaginare dai quaderni i manoscritti medievali per farne copertine per documenti giuridici.

Un testo importante a tradizione mono testimoniale, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi (fr. 2171) in
ottosillabi rimati a coppie, è la storia di Tristano e Isotta in francese, di formato medio piccolo, di codice non di grande
valore, la qualità della pergamena lo rende medio basso, è un frammento, manca l’inizio, la fine, ha delle macchie etc ed
è pieno di errori, alcuni saranno anche dell’ultimo copista che magari è stato poco attento o aveva una copia di difficile
comprensione, oppure avrebbe riportato errori di copisti antecedenti. Ad es. al 555 troviamo la parola “onche” che sta
al posto di “oncle” e il filologo la corregge.

Come trattare gli errori? Visto che non esiste una varia lectio?

-correzione degli errori di copia evidenti: bisogna conoscere la lingua di allora e anche la lingua dell’autore e se abbiamo
dei luoghi testuali dove una parola non c’entra nulla si può correggere.
-costituzione di un apparato con le lezioni rifiutate del manoscritto: in basso alla pagina mettiamo quali sono le lezioni
rifiutate, esempio sopra di onche/oncle, perché ritengo che il testo d’autore riportasse oncle. Posso anche mettere un
asterisco per segnalarlo al lettore. Si fa questo perché chi arriva dopo potrà controllare se queste correzioni sono
accettabili o criticabili. In un apparato di note posso anche spiegare perché.
-giustificazione e segnalazione delle lezioni corrette messe a testo
-trattamento delle grafie: per esempio nel documento di Tristano e Isotta, trovo una stratificazione di grafie (piccarde,
dell’ile de France etc) e devo semplificare la veste grafica, se penso ad un pubblico più ampio che non ha queste
competenze, omogeneizzare quelle più complicate ma lo devo sempre scrivere e giustificare.
Per esempio al 1041 della correzione di Muret, Plore Tristan, fait grant duel (Tristano piange, è disperato) In francese
antico, faire grand duell voleva dire piangere molto, disperarsi.
Quando abbiamo un testo tramandato da un unico testimone non autografo:
- impossibilità di ricorrere alla collazione e quindi al metodo di Lachmann
- fare un’edizione interpretativa del codex unicus
- in apparato gli errori manifesti del copista
-tutti gli interventi dell’editore sul testo devono essere segnalati e giustificati.

L’edizione critica sarà possibile solo su testi a tradizione pluritestimoniale.


Svelamento di un falso storico: Un falso o testo apocrifo è un testo che viene attribuito ad un autore, costruito e
collegato a qualcuno che dovrebbe essere il responsabile e invece non è così. È un testo di cui non abbiamo l’autenticità.
La fabbricazione di falsi è stata sfruttata in tutte le epoche storiche per ragioni politiche. Un caso molto famoso di un
apocrifo che il metodo filologico ha potuto smontare è la donazione di Costantino.
La filologia presenta dei metodi per le edizioni dei testi ma è anche un metodo di verifica dell’autenticità dei testi ed è
importantissima per gli storici che usano la strumentazione filologica. Nella sala di Costantino, nelle stanze vaticane, c’è
un affresco di Raffaello (1520-1524) che poi Giulio Romano e altri hanno portano a termine, la donazione di Roma, una
figura in ginocchio davanti al papa, Costantino che offre al Papa una statuetta che rappresenta la città di Roma, nella sala
4 delle Stanze Vaticane abbiamo altre opere della vita di Costantino (che aveva regnato dal 306 al 337). La scena si
svolge all’interno della basilica paleocristiana di San Pietro, poi distrutta. 1520 muore Raffaello e i suoi allievi portano a
termine le sue opere.

Secondo la tradizione, Costantino si sarebbe convertito al Cristianesimo e avrebbe messo fine alla persecuzione contro i
cristiani, avrebbe consegnato Roma al Papa e il potere politico di Roma e dei territori vicini; secondo la leggenda aveva
sconfitto Massenzio, visto la croce in cielo, si sarebbe ammalato di lebbra e il papa lo avrebbe guarito e per ringraziarlo
gli avrebbe donato la città. Fonda la legittimità del Papa di regnare su Roma, la leggenda serve a fondare il potere
temporale del Papa. L’episodio della donazione di Roma e del suo territorio da parte di Costantino a papa Silvestro I, che
lo aveva guarito dalla lebbra, fa parte del testo noto come Constitutum Costantini, contenuto nel Decretum Gratiani. Il
testo è redatto come un decreto imperiale che afferma una donazione, si rivolge al Papa e ai suoi successori e a tutti i
vescovi cattolici. Attribuito allo stesso Costantino. L’episodio è fondamentale per capire il senso della filologia e il ruolo
svolto nella cultura occidentale. Durante il Medioevo il documento è creduto autentico ed utilizzato da alcuni per
fondare sul piano giuridico le pretese del potere temporale del Papa su Roma e sui territori che costituiranno poi lo
stato pontificio, ma già durante il Medioevo l’autenticità del documento era stata messa in dubbio. Ad esempio
l’imperatore Ottone III per motivi formali (mancanza del sigillo). Tuttavia considerata per secoli un documento autentico
dagli stessi avversari del potere temporale dei pontefici (ad. Es Dante).
Si è a lungo ritenuto che sia stato l’umanista Lorenzo Valla nel 1440 a dimostrare l’inautenticità del testo. De falso
credita et ementita Constantini donatione declamatio (discorso sulla donazione di Costantino, contraffatto e falsamente
ritenuta vera). La dimostrazione di Valla condotta con metodo filologico, consiste in un esame della lingua e dei
riferimenti storici interni al fine di accertare l’autenticità dell’attribuzione a Costantino. È stato tuttavia il cardinale
Niccolò Cusano (1401-1464), in occasione del concilio di Basilea, a dimostrarne la falsità. Fino agli 90 del 1900 si era
ritenuto Valla il principale responsabile di questo smascheramento, poiché dedica una critica molto coerente ed
efficace, ma già Cusano prima di Valla aveva rivolto una critica di impostazione filologica, Cusano è un precursore di
Valla, ma il merito va ad entrambi. Cusano pratica la critica delle fonti e si preoccupa di verificare se questa donazione
oltre ad essere raccontata attraverso questo testo, sia stata narrata anche in altre opere, se ci siano diverse fonti. Viene
fuori che in realtà nelle fonti controllate da Valla, che facevano riferimento alla storia di quel periodo, non se ne parla.

Questa donazione viene raccontata esclusivamente da questo testo. Inoltre Cusano si rende conto che tutta la storia di
Papa Silvestro è una narrazione puramente leggendaria, si trovano tracce del papa guaritore della lebbra, ma sono fonti
anonime, infarcite di leggenda, anche sul fronte della guarigione Cusano non riscontra altri elementi. Dopo questo
primo lavoro di Cusano della verifica critica delle fonti confrontate con altre attendibili, Valla a sua volta va a verificare i
dati storici interni, se sono confermate le date, se sono credibili e poi un’analisi linguistica e filologica sul latino
utilizzato. Costantino ha vissuto nel IV secolo a. C. il latino è un latino che noi possiamo datare al IV secolo? Attraverso
questo studio, Valla capisce che è un latino molto più tardo che corrisponde alla lingua latina tramandata tra l’8 e il 9
secolo d. C. e Valla può affermare che la donazione è un documento apocrifo, falsamente attribuito all’imperatore.
Il caso della donazione di Costantino è un esempio importante per le sue conseguenze storiche e culturali, di
applicazione del metodo filologico in un dominio di stretta pertinenza della critica storica.
VIAN: la donazione non è stata mai utilizzata a conferma del potere temporale nei primi secoli della sua esistenza. Dopo
il 1000 fu ritenuta autentica, ma ben presto se ne mise in dubbio a più riprese la verità storica all’interno e all’esterno
della Chiesa. Allo stato attuale delle ricerche, gli specialisti concordano nel ritenerla un apocrifo. Il testo è in linea di
massima interpretato come un falso letterario, fabbricato a Roma. I primi manoscritti sono della metà del IX secolo. Poi
si diffonde inserito in raccolte giuridiche o citato in altri testi (compilazioni canonistiche).

7.01.2021: incontro riepilogativo

Latino sommerso: è rappresentato da tutta la storia della lingua latina, un latino popolare parlato dalle fasce + umili e
incolte, incapaci di scrivere; per questo si chiama latino sommerso. Il latino è sempre stato parlato in epoca molto
antica, età imperiale, del I sec. a. C. I parlanti non avevano alcuna competenza e non erano in grado nemmeno di
scrivere e quindi si chiama sommerso perché non emerge mai a livello della scrittura.
Fase sommersa romanza: VI e VII sec. d.C. quando ancora ci saranno attestazioni ma non le possediamo, andate
perdute. Per quello si dice sommersa.

Capitolo 10 ipotesi logografica: Varvaro sostiene che quegli studiosi che hanno insistito soprattutto su un divario tra le
diverse forme di rappresentazioni per iscritto delle prime forme romanze e la consistenza poi fonologica di queste lingue
è un tipo di strada poco produttiva che non porta lontano scientificamente. È questa la critica che lui fa, anche perché le
prime scritture romanze possono presentare molti problemi a livello delle grafie, proprio perché non esisteva un
alfabeto per quelle lingue codificato e già verificato e che potesse contenere dei segni grafici che venivano assegnati alle
nuove fonie, alle innovazioni fonologiche delle lingue romanze. Se rimaniamo attaccati a quel livello non si va da
nessuna parte. La strada che Varvaro propone è un’altra: innanzitutto ipotizzare questo latino sommerso
sostanzialmente e confrontando le diverse lingue romanze, sul piano linguistico, capire che alcune grandi caratteristiche
delle lingue romanze, non sono delle innovazioni singolari, ma vengono tutte quante insieme da un latino molto molto
antico (il latino sommerso appunto) che di fatto noi non abbiamo conosciuto perché non è passato attraverso la scuola,
anzi è stato rifiutato dalla scuola e invece già conteneva quegli elementi che hanno portato a determinate evoluzioni
linguistiche.
Ad un certo punto, caduta la cultura romana, crollato il mondo romano, è come se quel latino, già così romanzo fosse
potuto venire alla luce e tutti quanti i tratti linguistici si sono generalizzati proprio perché non c’era più la frontiera della
scuola che frenava, ad esempio Varvaro dice che la lenizione fosse già presente nel latino sommerso, quello parlato
dagli incolti totali, addirittura nel I sec. a. C. quel latino lì, la tradizione occidentale non l’ha conosciuto perché quello
conosciuto è quello scolastico, filtrato dalla scuola. Come se andassero perse tutte le testimonianze nostre del parlato e
ciò che rimane ai posteri tra 2000 anni è solo la letteratura dei classici conservata nelle biblioteche.

Ci sarebbe un divario enorme. Quindi Varvaro va a recuperare l’importanza del parlato, dell’oralità, che deve essere
tenuta in conto anche quando è soltanto ipotizzabile. È la presenza della lenizione romanza in tutte le lingue romanze
che ci fa pensare che quel fenomeno esisteva già in latino. Non è nata in francese e poi ha contagiato le altre. Quindi le
teorie che vanno ad evidenziare le evoluzioni nelle singole lingue, giocando nel rapporto tra grafia e fonetica, da questo
punto di vista sono teorie molto limitate e che hanno un corto respiro. Questo è il discorso che fa lui. Questo è
innovativo e importante dal suo punto di vista che dobbiamo trattenere, perché vede una CONTINUITA’ PROFONDA tra
quel latino sommerso e le lingue parlate.

Strutturalismo: privilegia gli studi che portano a descrivere le dinamiche interne alle lingue, sui fatti formali, aspetti
fonologici, grammaticali, ad es. la versificazione, lo studio di strutture sintattiche, scollegandolo da una dimensione
sociolinguistica e supponendo il continuo ricondursi di quegli aspetti ad un sistema + generale. La lingua è un sistema. Lo
strutturalismo non si è occupato di guardare questi fenomeni dall’esterno, per esempio a livello socio-culturale. Cioè si
concentra per esempio su un gruppo scolastico, ma non guarda fuori, a casa cosa parlano? Cosa leggono? Il
sociolinguismo nasce come critica allo strutturalismo, perché tiene in considerazione di tutti i fenomeni esterni.
Latino volgare per Varvaro:
varietà standard: latino classico e scritto
varietà sub-standard: latino parlato
latino sommerso: varietà + bassa parlata e mai stata scritta perché i parlanti non sapevano scrivere
Per Varvaro il latino volgare è un concetto pernicioso perché non coincide con nessuna di queste! Lui vede che c’è una
complessità maggiore e quindi anche quello dell’oralità non può essere preso come un tutto omogeneo, ha al suo inerno
delle differenze e all’interno del latino dell’oralità c’è un latino sommerso profondamente condizionato dal fatto che i
parlanti non hanno competenza di scrittura. Varvaro dimostra che anche il concetto di latino dell’oralità è complesso al
suo interno, come un mosaico fatto di diversi pezzi.
V secolo, crollo sistema scolastico, fine impero romano, invasioni, plurilinguismo, secolo di crisi. Le masse iniziano a
parlare qualcosa di diverso tra VI e VII secolo.

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