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Come si arriva all’italiano d’oggi

Tutti i fattori temporali che influenzano e modificano il linguaggio verbale sono


correlati alla variazione diacronica. Bisogna sia analizzare i cambiamenti che
hanno segnato suoni, forme, sintassi e parole, sia gli avvenimenti politici, economici
e sociali. Con “storia linguistica interna” ci si riferisce ai cambiamenti che ogni
lingua subisce internamente, ossia lessico, fonetica, sintassi; con “storia linguistica
esterna” ci si riferisce alle cause storiche, politiche, demografiche e culturali che
possono incidere sulle sue trasformazioni. Per sintetizzare le tappe dell assetto
linguistico contemporaneo, individuiamo alcune fasi importanti che riconoscono le
grandi svolte della nostra storia linguistica.

Dal latino ai volgari medievali: La coscienza dell’esistenza di lingue diverse dal


latino fu acquisita tra il VI e il IX secolo.
• Dal XII-XIII secolo alla fine del Trecento: periodo in cui il volgare viene
frequentemente adoperato nella scrittura e in seguito acquisisce anche finalità
letterarie. Ricordiamo la storia di Firenze, il ruolo di Dante e altri autori come
Petrarca e Boccaccio, che diedero al fiorentino maggiore prestigio rispetto agli altri
volgari.
• Dal XIV secolo agli inizi del Cinquecento: si assiste al declino del volgare a
favore del latino, più idoneo a testi elevati. Firenze acquista un ruolo determinante
in economia, arte e cultura e grazie ai suoi autori la lingua si diffonde in altre parti
d’Italia. Una funzione di rilievo l’avrà anche l’invenzione della stampa.
• Dal 1525 all’Unità d’Italia: il fiorentino viene eletto come lingua ufficiale della
penisola italiana in vari ambiti. L’Accademia della Crusca dà vita al primo
Vocabolario nel 1612. Il dialetto rimane lingua ufficiale della tradizione orale in
contesti familiari e informali.
Dal 1861 agli anni Quaranta del XX secolo: un insegnamento scolastico unitario,
la migliore circolazione tra una regione e l’altra, un servizio di leva comune, un unico
apparato burocratico amministrativo e la prima migrazione all’estero delle classi più
povere, favoriscono la migliore diffusione e conoscenza dell’italiano.
• Dagli anni Cinquanta del Novecento ad oggi: l’italiano diventa sempre più di uso
comune anche nel quotidiano mentre il dialetto occupa sempre meno spazio. I
media daranno un contributo non indifferente, così come l’accesso più ampio
all’istruzione scolastica, l’incremento delle vie di comunicazione e lo sviluppo
economico. Incide anche la seconda ondata di emigrazione. L’italiano subirà rapidi
cambiamenti.

Per molti studiosi, non è corretto utilizzare il verbo ‘derivare’ a proposito di latino e
italiano perché il secondo non nasce dal primo ma è frutto di una sua lenta e
continua trasformazione. Il verbo ‘derivare’ si riferiva in origine al fluire delle acque:
fino a perdere il legame con le acque e ad assumere il senso traslato di
“ricavare conclusioni da alcune premesse” e quindi “desumere” e poi “avere origine
da qlcn. o qlcs.” Da quest’ultimo, l’uso dei linguisti di adoperare questo termine per
indicare “l’avere origine da un’altra parola o un’altra lingua”. il latino adoperato dal
VIII secolo a.C. al V secolo d.C. era un latino di uso vivo, parlato che si differenzia
dal latino attuale fondato sui modelli classici e quindi dotato di una certa eleganza.
Lo stesso vale per tutti gli altri volgari che derivano dal ‘latino volgare. l’aggettivo
‘volgare’ è usato in modo improprio, poiché non era solo il volgo o il popolo meno
colto a servirsene nella comunicazione quotidiana. Difatti alludendo al latino volgare
ci riferiamo a tutte le varietà parlate da tutte le classi sociali in tutte le diverse aree
della dominazione romana, lungo un arco temporale assai ampio che va dalle origini
di Roma alla caduta dell’Impero. Da questo insieme multiforme soggetto
all’influenza di fattori temporali, spaziali, sociali e comunicativi, hanno preso forma
le lingue neolatine o romanze. Ad esempio, molte parole italiane derivano dal latino
parlato (es. agnello da AGNELLUM non AGNUS, coltello da CULTELLUM non
CULTER).
Le ragioni che hanno consentito al latino volgare di prevalere su quello classico e di
condurre alla nascita di lingue diverse e autonome, sono molteplici: il cristianesimo
riuscì a diffondersi tra la popolazione coinvolgendo tutti i ceti. Per quanto riguarda
la lingua, la divulgazione del messaggio evangelico da un lato accelerò la
frammentazione a causa del ricorso a registri colloquiali e di varietà parlate nelle
diverse aree dell’Impero, dall’altro modificò costrutti e lessico del latino. La fine
dell’Impero romano d’Occidente, la penetrazione delle popolazioni germaniche e
la dissoluzione di un governo centrale modificarono l’economia con conseguenze
sull’uso della lingua. Non possiamo, quindi, stabilire con precisione quando si è
sentita la necessità di esprimersi in una lingua diversa dal latino nella scrittura. Gli
storici della lingua considerano come prima attestazione scritta del volgare una
formula di giuramento emanata circa nel 961, il cosiddetto placito capuano il quale
riguarda una controversia per la proprietà di alcune terre tra l’abbazia di
Montecassino e Rodelgrimo di Aquino. Il verbale in cui si leggono è scritto in latino,
ma il notaio incaricato di redigere l’atto scelse di conservare il volgare per
riprodurre le parole dei testimoni. Pertanto si tende a considerare il Placito capuano
come l’atto di nascita della nostra lingua, ma è una definizione impropria che
semplifica eccessivamente le origini della poiché la trasformazione del latino
parlato diede vita non ad un solo volgare, ma a diverse varietà con proprie
strutture morfologiche, sintattiche e fonetiche. Il Placito capuano mostra tratti di
un volgare centro-meridionale e dunque non può essere alla base della nostra
lingua, che poggia le sue basi sul fiorentino.
Tra tanti volgari, uno di maggior rilievo Durante il XIII sec. si assiste a un crescente
impiego del volgare per finalità lavorative e scritture pratiche: difatti in toscana
Arrivano numerosi testi legati agli affari e ai commerci dei mercanti che non
conoscono il latino ma sanno parlare il volgare per lasciare traccia scritta di conti,
Lettere o accordi. Nei comuni, si sviluppa una fiorente economia, guidata proprio dai
mercanti. Un ruolo di rilievo è ricoperto anche dai notai. La prima testimonianza
scritta in uno dei volgari italiani fu, infatti, scritta da un notaio. I notai inoltre,
estendevano contratti, testamenti, inventari e i documenti ufficiali. Sempre di più
crebbe il numero di persone agiate e acculturate, in grado di leggere e scrivere. Tra
il Duecento e Trecento, divengono centri di produzione scritta in volgare sono
Venezia, Padova, Genova, Bologna, Napoli ed altre; mentre in Toscana fiorisce il
dolce stil novo con poeti come Dante e Guinizelli, Cavalcanti. E’ importante
accennare al ruolo di Dante Alighieri sul piano dell’innovazione linguistica e
letteraria, cominciando dalla sua riflessione metalinguistica svoltasi nel Convivio e
nel De Vulgari Eloquentia; nel primo individua il volgare come mezzo per la
diffusione del sapere, mentre con il secondo dimostra come un “volgare illustre”
possa esistere aldilà delle tante lingue municipali italiane. Il suo tributo maggiore,
però, risiede nella Commedia, dove contribuisce a potenziare il lessico e le strutture
del volgare.
Giungono anche le opere di Petrarca e Boccaccio. Il primo lavora sulla lingua
poetica, nobilitando il fiorentino letterario attraverso una selezione della tradizione
precedente e l’esclusione di componenti troppo marcate e municipali. Il secondo
rafforza la prosa narrativa che concilia modelli antichi e gusto popolare, piegando il
fiorentino a situazioni e ambienti da lui rappresentati, alterandone varietà e registri
linguistici. Le “tre corone” garantiscono prestigio al fiorentino, tanto da elevarlo al
di sopra di tutti gli altri volgari di Italia e farne la lingua letteraria di tutti gli italiani.
Verso la codificazione
Dalla fine del Trecento e parte del XV secolo il latino primeggia sia nella scrittura
che nella letteratura riacquisendo tramite un accurata ricostruzione filologica quel
prestigio che gli era stato sottratto durante il medioevo. Il volgare era invece
ritenuto una lingua poco duratura poiché non governata da norme grammaticali e
pertanto destinato agli impieghi pratici di carattere amministrativo come nelle
repubbliche di Venezia e Genova, ad esempio ove nelle cancellerie veniva usato il
volgare. La lingua che caratterizzava queste scritture si discostava dai tratti locali e si
dirigeva verso forme, che tendevano a eliminare almeno una parte dei caratteri più
marcati e ad accogliere forme latineggianti e alcuni tratti del fiorentino.. Nella
seconda metà del secolo, avvenne un processo di fiorentinizzazione il quale vede la
fioritura della vita culturale delle corti a partire dalla dinastia di Lorenzo ‘De Medici,
che si impegnò ad accrescere l’impulso della lingua e della letteratura, consacrando
la tradizione tosco fiorentina con l’ausilio di grandi intellettuali, come Landino e
Poliziano.
La svolta del Cinquecento
Un notevole contributo durante il cinquecento fu svolto dall’invenzione della
stampa la quale ebbe come suo maggior propulsore Aldo manuzio e a partire dal
1470, vantava in Italia importanti centri di editoria volgare come Milano, Roma e
Venezia ove si provvide a fissare la grafia oscillante e a stabilizzare la norma
grammaticale del volgare. Altra personalità eminente e di grande rilievo di Pietro
Bembo, il letterato veneziano cui si deve la svolta decisiva nella nostra storia
linguistica Nelle prose della volgar lingua, Bembo ribadiva le pari dignità del
volgare rispetto al latino, e assegnava ai soli scrittori il ruolo di nobilitare la lingua.
Gli autori del Trecento avevano svolto a pieno questa funzione, elevando il
fiorentino al massimo decoro artistico. Bembo proponeva come modelli più alti da
imitare quelli di Petrarca (per la poesia) e Boccaccio. Dante non venne incluso tra
questi a causa della natura plurilingue, che accoglieva gli usi popolari e gli apporti di
altre lingue.
Tracce del fiorentino nell’italiano
Alcuni studi hanno rilevato una dipendenza dell’italiano dal fiorentino letterario
trecentesco. Alcuni tratti fonetici (di sotto elencati) sono ancora testimoniati
dall’italiano.
Dittongamento toscano: si registra in parole come buòno, fuòco, piède, fièro. E’
ascendente (accentato sul secondo elemento vocalico), è presente solo in sillaba
aperta o libera (terminante per vocale) ed è talvolta, definito “dittongamento
spontaneo”, perché non condizionato da altri suoni vocalici presenti nella parola.
− Anafonesi: innalzamento delle vocali chiuse e toniche /e/o/a, a un grado di
chiusura superiore (/i/,/u/) quando si trovino davanti ad alcuni suoni consonanti. In
particolare, /e/ si innalza a /i/ davanti a nasale palatale (tigna, gramigna), laterale
palatale (consiglio, famiglia), e n + occlusiva velare (tingo, lingua, vinco); mentre /o/
passa a /u/ davanti a n + occlusiva velare sonora (fungo, unghia).
− Chiusura di e atona in i: accade quando la e si trova in posizione protonica,
ovvero quando precede la sillaba accentata: dalle parole latine DECEMBREM e
DEFENDO, ad esempio, si sono avute prima DECEMBRE e DEFENDO ma poi la e
diventa i e quindi DICEMBRE e DIFENDO.
− Passaggio da ar atono a er: di particolare evidenza nella formazione del futuro e
del condizionale, che derivano da una perifrasi composta dall’infinito, dal presente e
dal passato remoto di “avere”. Nei verbi di prima coniugazione, il nesso ar della
desinenza dell’infinito (amare, cantare) passa a er: amarò, amarei, cantarò, cantarei
diventa amerò, amerai, canterò, canterai.
− Riduzione del nesso rj a j: ben visibile nelle parole formate con i suffissi –aio e –
oio (notaio, cuoio) derivati dai suffissi latini –ARIUM e –ORIUM (notarium, corium).
Con l’unità politica una nuova unità linguistica
Nel 1861, tra i problemi principali dello Stato c’era l’analfabetismo. Era quindi
urgente l’istituzione di un sistema scolastico, attraverso il quale favorire la
Conoscenza dell’italiano in una popolazione prevalentemente dialettofona. Tuttavia
sebbene la lingua unitaria aveva certamente raggiunto le persone meno istruite, non
si poteva considerare italofona la maggior parte della popolazione. Dinanzi al
problema della lingua, il ministro Broglio nominò nel 1868 una commissione
presieduta da Manzoni. L’analisi di Manzoni era mirata a trovare una lingua adatta al
romanzo moderno, e in particolare al proprio, al fine di dare agli italiani una lingua
viva e fruibile. Ma, nella stesura di ‘‘Fermo e Lucia’’, notò un’inadeguatezza
Dell’italiano letterario. Si andò così consolidando in lui la coscienza che l’Italia non
possedeva una lingua adoperabile da tutti e in tutte le situazioni comunicative. Nel
1827 arrivò alla stesura de ‘I Promessi sposi’, ma ancora insoddisfatto continuò la
propria ricerca che arrivò ad una svolta durante un suo soggiorno a Firenze. Qui capì
che la lingua si trovava nell’uso vivo di una comunità parlante, il fiorentino era
l’unico modello che avrebbe potuto soddisfare gli usi scritti e parlati della
comunicazione. Manzoni propose il fiorentino vivo come lingua comune per tutti gli
usi comunicativi e ne favori la diffusione attraverso la compilazione di un
vocabolario della lingua fondato sull’uso vivo di Firenze. Il vocabolario fu pubblicato
tra il 1870 e il 1897 con il titolo di “Novo vocabolario della lingua italiana secondo
l’uso di Firenze”, segnando una svolta importante nella lessicografia italiana.
Altre componenti furono importanti per la storia sociale, politica ed economica dello
Stato: fenomeno dell'industrializzazione, creazione di un'unica amministrazione pubblica,
istituzione del servizio militare obbligatorio, prima grande ondata di emigrazione di italiani
all’estero, l’affermarsi, dagli anni Ottanta dell’Ottocento, dei quotidiani, che
venivano venduti in edicola raggiungendo un pubblico sempre più ampio e
interessato alle vicende del paese.

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