ROMANZA
Romanus= nella civiltà latina questo vocabolo era utilizzato, oltre che in senso etnico e politico, anche in senso
linguistico.
Romània= deriva da Romanus ed era la denominazione abbreviata per orbis romanus, imperum romanum che
indicava il dominio romano nel suo complesso.
Con la caduta del impero romano il vocabolo romanus perse la sua valenza e si coniarono altri termini:
Romani= erano coloro che parlavano latino, o una romana lingua (romane/romanice).
Romanice parabolare / Fabulare = questa frase acquisì il significato di "parlare alla maniera degli abitanti della
nuova Romània
Romanice = con il tempo passò ad indicare la nuova lingua, o meglio l'insieme di lingue derivate dal latino, le
lingue romanze.
Le origini sugli studi della linguistica romanza si hanno in Germania grazie agli scritti e insegnamenti di Friedrich
Diez e al suo percusore, il frnacese François Raynouard il quale studiò a fondo il provenzale antico ed individuò
numerosi fenomeni di evoluzione delle lingue neolatine. Diez fu il primo ad applicare il metodo storico-
comparativo all'ambito romanzo, concependo una grammatica storica basata sull'analisi del latino e delle sue
differenziazioni nelle lingue neolatine.
La linguistica romanza è dunque la scienza che studia tutte le lingue e letterature romanze nella complessità del
loro svolgimento storico, dalle più lontane origini ai giorni nostri; il suo compito è dunque quello di indagare
come da questa primitiva unità si sia pervenuti alle varietà linguistiche odierne, con un particolare riguardo per il
periodo delle origini
1) TIPO ISOLANTE: in questi tipi di lingue ogni parola ha una sola forma; essa non può essere trasformata
nè per mezzo della flessione, nè mediante derivazione. Una lingua di tipo isolante è il Cinese, in cui ogni
parola è costituita da un monosillabo in sè privo di indicazioni funzionali, e nella quale solo la
giustapposizione di monosillabi permette l'espressione di un concetto.
3) TIPO FLESSIVO: è caraterizzato dalla polifunzionalità delle desinenze (genere e numero), nessuna
parola appare senza desinenza, la quale è portatrice di informazioni di carattere semantico e sintattico.
Sono di tipo flessivo le lingue indoeuropee e semitiche.
4) TIPO POLISINTETICO: in questa tipologia di lingue tutte le relazioni grammaticali possono essere
espresse per mezzo di aggiunte o trasformazioni fatte ad un solo radicale e nessuna componente della
frase può cambiare di posto. Una lingua di questo tipo è ad esempio il groelandese in cui una frase del
tipo "io vorrei fare il caffè" è costituita da un'unica parola.
LINGUE INDOEUROPEE: il latino, le lingue celtiche, germaniche, baltiche, slave, italico, il greco, l'albanese,
l'armeno, l'ittita, il tocario e l'indo-iranico.
Il latino si propagò nelle varie regioni dell'impero dando origine ad una nuova famiglia di lingue, le lingue
neolatine o romanze; esse sono: l'italiano, il sardo, il landino, il damaltico, il rumeno, lo spagnolo, il portoghese, il
catalano, il francese, il provenzale, il guascone e il franco-provenzale.
Nella sua disamina delle lingue romanze Federico Diez distingueva solo sei lingue neolatine: l'italiano, lo
spagnolo, il rumeno, il portoghese, il francese e il provenzale. questa classificazione privilegiava quelle lingue che
si erano manifestate attraverso la scrittura e che avevano dato luogo ad una letteratura.
Nel 1873 l'Ascoli individuò un gruppo di parlate neolatine che dovevano costituire al suo avviso un'unità
linguistica, e cioè il ladino: l'Ascoli riunì sotto questo nome tre gruppi di dialetti separati fra loro e non formanti
nè di unità geografica, nè storica, nè politica, e cioè le parlate romanze del Cantone dei Grigioni, alcuni dialetti
dell'Alto Adige e il friuliano. Qualche anno più tardi isolò il franco-provenzale. Nell'analisi del dominio romanzo
prevale attualmente una classificazione delle lingue secondo un criterio di tipo geografico: la Romàania viene
distinta in quattro grandi aree dove abbiamo individuato quattro gruppi linguistico:
➢ GRUPPO ITALO ROMANZO: fanno parte di questo gruppo, l'italiano, il sardo, il ladino e il damaltico.
ITALIANO: si tratta di un insieme di dialetti di cui uno (il toscano) ha avuto la preminenza. È parlato entro i
confini dell'odierna Reppublica Italiana e, fuori dai confini politici:
La Reppubica di San Marino, nella Svizzera italiana, in Corsica, la cui lingua ufficiale è però il francese
ma con dialeti di tipo toscano.
Le regioni di Venezia Giulia e dell'Istria ora sotto il dominio dell'ex Iugoslavia, nelle principali città della
costa dalmata, sopratutto a Zara, da molte persone nelle regioni di Nizza e il principato di Monaco. A
Malta e da numerosi italiani stabiliti nelle ex colonie e all'estero dove formano gruppi compatti.
Tipo tedesco: alto adige, alcune località vicino a Udine, nel Vicentino, trentino e veronese, in val d'Aosta, valesia
ecc..
Tipo albanese: a villa Badessa in provincia di Pescara, alcune località di Foggia, Taranto, Cosenza, in Molise e in
Sicilia nella piana degli albanesi.
I dialetti dell'italiano rappresentano delle entità linguistiche fortemente differenziate da nord a sud. Essi sono
suddivisi in tre gruppi:
• Il toscano
• i dialetti centro-meridionali ( Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Lucania, il
calabro-siciliano e il salentino).
SARDO: viene parlato in tutta l'isola ad eccezione di Alghero (catalano) e le isole di Carloforte e Calasetta, cioè
isole Genovesi.
Esso si articola in più dialetti come il logudorese, il campidanese a sud, il gallurese e il sassarese a nord.
LADINO O RETROROMANZO: è un complesso di varietà neolatine parlate principalmente nella regione alpina
centrale ed orientale, e si divide in tre tronconi: Occidentale che comprende le parlate dei Grigioni in svizzera,
centrale che è formato da alcuni dialetti della regione dolomitica, e orientale, costituito dal friuliano.
DALMATICO: questo idioma oggi è stinto, si era formato lungo la costa dalmata, un tempo esso si stendeva dalla
regione poco più a sud di Fiume fino ad Antivari a sud. L'influsso veneto da un lato e l'invasione degli slavi
dall'altro ne determinarono la rapida scomparsa. Il dalmatico presenta due varietà, il vegliotto e il raguseo, non è
stata trovata alcuna varietà letteraria.
PORTOGHESE: è parlato nel territorio del Portogallo politico e oltre al Brasile nelle sue ex-colonie in Asia e
Africa (Azzorre, Madera, Angola, Mozambico, Macao). La varietà letteraria è il gallego, ossia l'idioma della
Galizia parlato in origine nella Luisitania settentrionale e diffusso successivamente a sud. Troviamo i dialetti
continentali del nord (Minho, Douro, Tràs os montes), del centro (Beira) e del sud ( Estremadura, Alemtejo,
Algarve). I dialetti insulari (azzorre e Madeira); I dialetti d'oltre mare (parlate creole), il gallego (galizia
spagnola), i mirandese lungo il corso del Douro, il riodonorese (rionor) e il guadramilese (guadramil).
FRANCESE: è parlato in Francia, in Belgio nella Vallonia, nella Svizzera francese, in Canada, nelle isole anglo-
normanne, Haiti, nell'Africa settentrionale in Marocco e Algeria, in Lussemburgo e Liechtenstein. La varietà
letteraria è il franciano cioè la lingua parlata nell'Ille de France, dove si trovava la residenza del re. Le varietà
dialettali sono: il pittavino (poitou), l'angevin (angers e tours), il normanno, il piccardo (amiens e arras), il vallone
(Belgio, Francia sud), il lorenese (confine politico franco-tedesco), il champenois (champagne) e il borgognese
(Borgogna).
GRUPPO PROVENZALE O OCCITANO: è parlato nel territorio dell'antica Gallia, nella zona a sud della Loira,
dall'oceano atlantico fino alle alpi. Una colonia valdese emigrò nel XV secolo in Calabria a Guardia Piemontese
(Cosenza), dove conserva ancora il suo dialetto, con caratteristiche arcaiche. Parlate occitane sono anche quelle
delle parti alte delle valli chisone (pragelato), Vermenagna (limone), Gesso, Stura e Val di Susa. La varità
letteraria è il limosino e i dialetti sono il linguadòcico, il limosino, l'alverniate, il provenzale e il provenzale
alpino.
GUASCONE: è parlato a sud ovest della Francia, la sua situazione è piuttosto discussa in quanto alcuni linguisti
non lo considerano una lingua a sè stante, ma sempicemente una varietà del provenzale, dal quale tuttavia si
differenzia per il suo sostrato iberico e per le numerose concordanze con il catalano e l'aragonese. Non esiste una
varietà letteraria.
FRANCO-PROVENZALE: con questo nome si intende un gruppo di varietà dialettali che occupa la parte sud
occidentale della Francia, la svizzera romanza (Ginevra, Neuchate, Losanna) e una parte delle valli alpine entro i
confini dell'Italia (val Soana, Valli di Lanzo e tutta la Val d'Aosta). La varietà letteraria è il Lionese e i dialetti
sono il lionese, il delfinatese, il di friburgo, il vaudois, il vallesano e il savoiardo.
vanno sotto la denominazione di Romania perduta tutti quei territori che furono conquistati dai romani, nei quali
per un certo periodo di tempo si parlò il latino, ma in cui poi, per motivi diversi, si ricominciò a parlare le lingue
indigene o si affermarono altre lingue. In europa andarono perdute le isole britanniche, la Rezia, il Norico, la
Pannonia, la Germania, Malta, la Grecia e quasi tutta la penisola balcanica; In Africa si persero tutte le regioni
comprese fra Gibilterra e il canale di Suez e l'Asia l'Asia minore.
Definiamo come Romania Nuova tutte le aree che oggi sono di parlata neolatina pur non essendo colonizzate
direttamente dai romani; ne fanno dunque parte l'America centrale e meridionale, alcune zone dell'america
settentrionale, aree dell'asia e dell'africa ex-colonie di stati europei di parlata romanza come l'Algeria, la Tunisia, il
Marocco, il Congo, il Madagascar e Macao. In queste zone le lingue neolatine apprese dagli indigeni hanno subito
alterazioni talmente profonde da divenire quasi irriconoscibili: si tratta delle cosiddette lingue creole. (es:
Filippine, malese e spagnolo).
➢ Diversità del periodo di romanizzazione, sia per quanto riguarda l'inizio, sia per quanto concerne la
durata. A seconda del secolo di diffusione del latino questo è mutato perchè varia nel tempo quindi dalla
prima conquista romana in sicilia nel 241 a.C all'ultima in Dacia nel 107 d.C la parlata latina non è la
stessa. Il latino si diffuse attraverso un lungo processo di infiltrazione dalle città verso le aree rurali; la
dominazione politica e culturale era finalizzata essenzialmente allo sfruttamento economico; a tal scopo
veniva innanzi tutto inviato l'esercito, che aveva la funzione di assicurare l'ordine interno e la difesa da
attacchi esterni, immediatamente seguito da commercianti e artigiani che dovevano garantire
l'approvvigionamento delle truppe. Tutte queste svariate tipologie di persone erano comunque
accomunate da una stessa identità linguistica cioè il latino. La romanizzazione fu dunque compiuta con
un certo stile: i romani fecero attraverso l'attribuzione della cittadinanza romana una sorta di premio, il
quale dava diritto a certi privilegi; in tal modo il latino non fu imposto ma divenne la lingua di
comunicazione in stituzioni come scuole e tribunali; la sua conoscenza da parte dei popoli occupati e il
fatto di poter comunicare con gli occupanti fu dunque visto come qualcosa di vantaggioso.
➢ Diversità del latino: Parlare di latino in senso generale significa fare un'astrazione. Il latino infatti era il
complesso dialetti affini ma ben distinti. Inoltre esistevano differenze di tipo sincronico e differenze di
tipo diacronico.
➢ Reazioni etniche: SOSTRATO, SUPERSTRATO, ADSTRATO.
1. SOTRATO: se si considera il latino come lo strato (lingua di riferimento) linguistico che viene a
sovrapporsi in una certa area, si chiamerà sostrato la lingua parlata in precedenza in quella zona, lingua
che viene quasi annientata, ma di cui rimangono alcune tracce nel nuovo idioma; ci sono diversi tipi di
sostrato che hanno interagito con il latino come: il sostrato italico o osco-umbro (ad esempio la parole con
-f- intervocalica sono di origine italiche. Bufalus), al sostrato etrusco sono attribuibili i sufissi -na, -ena,
-enna, -ina, i quali troviamo in antroponimi e toponimi come Ravenna o Porsenna. Al sostrato ligure
attribuiamo il suffisso -asco, -asca che troviamo in toponimi come Cherasco, Bergamasco. Il sostrato
celtico invece condizionò molto il latino e si attribuiscono a questo sostrato alcune mutazioni che si
verificarono solamente a nord (a tonica < è PATREM < père) mentre possono considerarsi come esito di
tendenze liguri certi fenomeni meridionali (a atona finale < o). gli influssi del sostrato sono visibili
soprattutto nella toponomastica (BRIO < ponte, NANTO <valle), nel lessico (CARRUS < carro, GRAVA
< sabbia, CEREVISIA < birra) e nella fonetica.Le ragioni per cui questi vocaboli entrano con relativa
facilità nell'uso corrente della lingua latina sono perchè si tratta di termini che indicavano oggetti o
prodotti fino a quel momento sconosciuti ai romani.
Sostrato iberico o basco: il passaggio di f iniziale a h in spagnolo; il fenomeno è spiegato con una
reazione del sostrato basco che non avendo la f nel suo repertorio fonetico, l'ha sostituita con
un'aspirazione (FERRUM < Hierro). Il sostrato Trace, le possibilità di ricerca risultano quindi limitate al
raffronto tra il rumeno e altre lingue come l'albanese; nel temine rumeno 'mal' riva, colle, collina,
montagna, trova corrispondenza con l'albanese mal < montagna.
2. SUPERSTRATO: altro fattore che influenzò in modo significativo il latino è il superstrato (sopra rispetto
al latino). Si tratta di quegli elementi etnico-linguistici venuti a sovrapporsi, in epoche successive, alle
condizioni risultanti della romanizzazione, elementi che non sono riusciti a sopraffare o cancellare il
latino adottato dalla popolazione, ma hanno contribuito a modificarlo. I superstrati più importanti sono
quello germanico e quello arabo. L'invazione dei Germani frazionò il territorio linguistico romano,
isolando la Dacia e la romanità nella penisola balcanica dal resto dell'impero; le invasioni barbariche
interruppero la< comunicazione tra l'Italia e le provincie e queste tra loro. L'influsso del superstrato
germanico in Francia fu più forte, e per questo il francese è senz'altro la lingua più germanizzata.
All'inizio del V secolo (425) i VISIGOTI fondarono in Gallia un regno con capitale Tolosa. Nel 443 i
Burgundi si insediarono lungo il medio corso del Rodano e intorno al lago di Ginevra. Nel 486 i Franchi
si stabilirono nelle regioni a nord della Loira, questi ultimi tesero ad estendere il loro dominio su tutto il
territorio della Gallia: nel 517 sconfissero i Visigoti, i quali si rirtirarono nella penisola iberica e nel 534
arrivarono i Burgundi. Sulle coste a oriente del Rodano si stese il dominio degli OSTROGOTI d'italia i
quali, nella penisola italiana, furono sopraffatti da un'altra popolazione germanica, i LONGOBARDI, che
occuparono nel 568 il nord e il centro dell'italia. Dal 536 quasi tutta la Gallia è sotto il potere dei Franchi,
ma la parte meridionale della Francia era di antica romanizzazione, l'influsso del superstrato germanico fu
più debole; cioò spiega da esempio il fatto che nel provenzale non esiste il fenomeno della h aspirata. I
visigoti e i burgundi appartenevano al ramo orientale del ceppo germanico e parlavano dialetti di tipo
orientale, mentre i Franchi facevano parte del ramo occidentale. L'innovazione fonetica che il francese ha
ereditato dal germanico (francone) è la h aspirata; benchè l'aspirazione oggi non si senta più se non in
alcuni dialetti, essa impedisce l'elisione delle vocali e il legamento delle consonanti. All'influsso del
francone è dovuto anche l'aspirazione moderna di ha in alcune parole di origine latina: ALTUM <haut. A
livello lessicale, sono attribuibili al superstrato germanico molti vocaboli che si riferiscono in generale
alla guerra, alle istruzioni politiche, sociali e giudiziarie, alla caccia, all'edilizia e alla vita domestica.
(WUERRA, WARDON, HILMS < elmo, TRIWA < tregua, BANJAN < bandiera, SINISKALK, BALK
PALK < balconer, palco, SUPPA < zuppa, WANT < guanti, SKARPA,NASTILO <nastro). Sono di
origine germanica anche le denominazioneìi di alcune parti del corpo come: SKINA, HANKA, alcuni
aggetivi come :BLANK, BLUND. Nella formazione delle parole è dovuta al superstrato l'introduzione
dei suffissi -ard, -art, -aut, -auud; essi entrano prima nei nomi di persona (Bernard) passando
successivamente ai nomi comuni (Bastard, ribalt).
A differenza dell'elemento germanico il superstrato ARABO esercitò la sua influenza nella penisola
iberica e nelle parlate della Sicilia. La dominazione araba ebbe però diversa durata in questi due territori:
la penisola iberica fu conquistata in circa tre anni (711-714) e la dominazione durò fino al 1492 (caduta di
Granada), la Sicilia venne conquistata dopo 75 anni di lotte (827-902) e persa con l'avvento dei
Normanni. A questa diversa durata è dovuto il maggior numero di arabismi in spagnolo (4 mila) e del
portoghese rispetto al siciliano (400). l'influsso ha carattere esclusivamente lessicale e riguarda una serie
di termini che si riferiscono alla scienza, al commercio, all'industria, all'amministrazione, all'agricoltura,
all'abbigliamento, all'esercito, alla flora e alla fauna (AL-GABR < algebra, AL-MANAH, AL-KIMYA,
AL-MAHZA, TALK <talco, ZEIT <olio, DIWAN < dogana, BABUSCH, KABAJA < gaban, AMIR <
ammiraglio, ALBARKUK < albicocco, HAROUF <carciofo, ZAFARAN <zafferano, SUKKAR, QAL'A
< alcalà < castello, GEBELTARIQ < Gibraltad < dal nome del comandante arabo che da quel luogo
cominciò, nel 711 la conquista della spagna). I termini mutati dall'arabo in campo agricolo riguardano
soprattutto la pratica dell'irrigazione, di cui gli arabi, provenienti da terre aride, erano esperti.
Per il rumeno particolarmente importante è il superstrato SLAVO che esercita la sua azione soprattutto a
livello lessicale con termini relativi alla vita sociale, intellettuale e morale. Sono di origine slava
sostantivo come trup < corpo, boalaa < malattia, verbi come iubi < amare, aggettivi come drag < caro,
slab < debole.
3. ADSTRATO: accanto al sostrato e al superstrato si deve inoltre tenere presente l'azione dell'adstrato, in
rapporto al latino rappresentano l'adstrato quelle lingue a lui vicine territorialmente, sulle quali tuttavia il
latino non si sovrappone. L'adstrato influisce soprattutto sul lessico e sulla morfologia, scarsamente sulla
fonetica. Ad esempio, per il latino un tipo di adstrato era costituito dal greco, il quale esercitava una
notevole influenza a causa della sua superiorità della sua cultura in alcuni campi (filosofia).
IL LATINO VOLGARE
Con l'espressione latino volgare si intende il latino comunemente parlato a Roma e fuori dai ceti alti e bassi. Si
trattava del latino usato nella vita quotidiana, dove si poneva meno attenzione alla norma e si lasciava ampio
spazio alle innovazioni, ai termini gergali, alle forme espressive: era quindi la lingua tecnica, commerciale, rurale,
militare, un latino che differiva notevolmente da quello in uso a scuola, nella politica o da quello letterario. Era
una lingua non uniforme e fissa, ma mutevole e varia, a seconda dei tempi, dei luoghi e delle classi sociali ecc..
molti sono i casi in cui slittamenti semantici di vario tipo (DIVERSE FONTI DEL LATINO), verificatasi lungo la
linea di evoluzione dal latino classico alle lingue romanze, spiegano il particolare senso che in esse assumono certi
termini.
➢ La restrizione di significato: spiega ad esempio come il verbo COLLOCARE < mettere, attraverso la
locuzione di tipo collocare in lecto, abbia dato origine all'it. Coricare, fr. Coucher, cat. Colgar, rum. culca;
o ancora come da NECARE < mettere u morte, si sia giunti per mezzo della locuzione acqua necare, all'it.
Annegare, fr. Noyer, prov. Negar, cat. sp. pt. Anegar, rum. Ineca. L'aggettivo ORBUS < privo di,
attraverso la locuzione orbus lumine < privato della luce < it. Orbo. TEMPESTA <tempo, epoca < tempo
che fa < cattivo tempo < tempesta, fr. Tempete.
➢ L'ampliamento di senso: giustifica come dal latino MINARI < minacciare si passi a MINARE < cacciare,
respingere con grida < it. Menare, fr mener, rum mina. Il sostantivo HOSTIS < nemico pubblico <
esercito < it oste, fr, prov, cat ost, sp hueste, pt hoste, rum oaste. Il termine PASSER < passero, designa
anche un piccolo uccello in generale < sp pajaro, pt passaro, rum pasaare.
➢ La traslazione di senso: si verifica ad esempio nel caso di FOCUS < focolare < fuoco, fr feu, prov fuec,
cat foc, sp fuego, pt fogo, sardo fogu, landino fug. PAPILIO-ONIS < farfalla, assume il valore semantico
di tenda < padiglione, fr papillon, prov pabalhon, sp paballo, pt pavilhao. SPATULA < spatola, a causa
della sua forma < spalla, épalue, espaltla, espatlla, espanda.
➢ Passaggio dall'astratto al concreto: spiega come il sostantivo LABOR < duro lavoro passi a indicare il
lavoro dei campi < fr labour cioè terra arata, sp labor, pt lavor, sardo laore; MACHINA < invenzione,
artificio < risultato dell'invenzione < it macchina, fr machine, sp màquina;
Alcuni termini, diffusi in certe lingue romanze, derivano da vocaboli originariamente in uso in ambito agricolo:
RIVALIS < rivale, fr rival, indicante in un primo tempo colui che condivide con un'altra persona un corso
dell'acqua. Abbiamo diverse fonti di come il latino classico abbia dato luogo al latino volgare, purtroppo non si
può parlare di testi in latino volgare in quanto esso, per la sua natura di lingua parlata e non scritta, sfugge ad una
documentazione diretta; ciò di cui disponiamo sono opere di cui si riflettono i volgarismi.
➢ I testi dei grammatici: i quali citano occasionalmente parole volgari o della lingua parlata. In quei testi si
registrano le forme popolari come erronee e contrarie al buon uso latino, con lo scopo di insegnare ad
evitarle. Un esempio è fornito dall'APPENDIX PROBI, compilata quasi certamente a Roma nel III sec,
così chiamata perchè compare in appendice all'Instituta artium (un manuale di morfologia attribuito al
grammatico Valerio Probo). L'Appendix è una lista di 227 parole, forme o espressioni classiche che con le
corrispondenti in latino volgare, con lo scopo di correge il volgare favorendo il lat. Classico. Essa è
conservata in un solo manoscritto, il Vindobonensis 17 della Biblioteca Nazionale di Vienna, scritto dai
monaci di Bobbio intorno al 700.
Dalla letteratura dell'appendix si individuano alcune tendenze che si andavano diffondendo nel latino volgare,
come ad esempio:
Caduta della postonica (parole sdrucciole, si fa cadere la vocale della sillaba successiva alla tonica) SPECULUM
< SPECLUM, MASCULUM < MASCLUM, TABULA < TABLA.
Passaggio del nesso tul >tl >cl: VETULUS < VETLUS < VECLUS.
Passaggio di E atona davanti a vocale a semivocale con sucessiva palatalizzazione (i suoni si spostano al palato
anteriore) CAVEA< CAVIA, LANCEA < LANCIA.
Caduta del gruppo nasale ns: TENSA < TESA, MENSA < MESA.
Fenomeni di metaplasmo (la parlata popolare tendeva a dare alle desinenze il loro genere naturale): PAUPER
MULIER < PAUPERA MULIER.
I fenomeni di 4° declinazione passano alla 1° , i neutri in -a assumono il valore di femminile singolare, gli
aggettivi a una, due, tre terminazioni passano alla 1° classe in -us, -a, -um.
In alcune parole la -q era pronunciata con una tensione maggiore resa graficamente con -cq: AQUA < ACQUA.
Prevalere di forme diminutivali: AURIS < ORICLA (con monottongazione di -au in -o).
➢ Un'altro esempio è costituito dalle opere del grammatico Consenzio, vissuto nella Gallia narbonese nella
prima metà del V sec; egli ci ha lasciato due trattati solo in parte conservati: Ars de nomine et verbo e Ars
de barbarismi et metaplasmis. L'autore dichiara di riportare le forme che egli sente quotidianamente nella
parlata dei suoi concittadini.
➢ Opere dei lessicografi: uno di essi è Verrio Flacco, vissuto ai tempi di Tiberio, di cui opera DE
VERBORUM SIGNIFICATIONE è conosciuta solo attraverso una sintesi fatta nel III sec da Pompeo
Festo. Altro importante testo per la conoscenza del latino tardo popolare di Spagna è le ORIGINES SIVE
ETYMOLOGIAE di Isidoro di Siviglia, una sorta di enciclopedia in venti libri. Vi si leggono tentativi di
fornire le etimologie delle parole; ad esempio secondo l'autore il termine canis proverrebbe dal suono
CANOR < CANTO prodotto dal suo verso; musi è un termine attestato solo in Isidoro con il significato
di gatto, esso deriverebbe dal fatto che tale animale è nemico del topo (MUS), invece CACTUS <
GATTO trarrebbe origine da CAPTURA (catturare il topo) oppure dal fatto che capta cioè vede bene
nell'oscurità; LETAMEN deriva da LAETUS < LIETO, perchè lieto di essere utile alla terra; le camisias
avrebbero questo nome perchè con esse si dorme nella cama.
➢ Glossari: il GLOSSARIO DI REICHENAU esso è stato scritto probabilmente nella Francia settentrionale
e si compone di due parti: la prima è un glossario biblico contenente 3152 glosse in cui si spiegavano
vocaboli della Vulgata, dal libro del Genesis fino al Nuovo Testamento, attraverso una serie di note che
seguono l'ordine del testo; la seconda è un glossario alfabetico di 1725 glosse che costituisce un vero e
proprio dizzionarietto, sono voci classiche tradotte nelle corrispondenti forme del parlato. Tra le glosse
riportate si può notare una significativa tendenza alla regolarizzazione: CANO (verbo irregolare) <
CANTO. Alcuni vocaboli giustificano parole attestate nelle lingue neolatine: INFANTES< ENFANT
<INFANTE (principe) < FANTE (ragazzo, giovane uomo). Alcune glosse dimostrano poi come non
vengano più percepite certe sfumature semantiche, con conseguente equiparazione dei termini: eram
indicava in origine la sabbia fine, mentre con sabulo si identificava la sabbia grossa; ater si riferiva ad un
particolare tipo di colore nero, il nero opaco, mentre niger designava il nero brillante.
➢ IL GLOSSARIO DI KASSEL: datato fra VIII e il IX secolo, esso proviene dal monastero di Fulda. È una
sorte di guida latina con traduzione in antico bavarese, un piccolo dizionario ad uso di quei tedeschi che
dovevano intendersi con genti latine; esso è suddiviso in paragrafi, che trattano dell'uomo, degli animali,
della casa, dell'abbigliamento, degli oggetti ecc. Oltre alla lista dei vocaboli con relativa traduzione vi si
trovano anche domande con le loro risposte e alcune brevi frasi di uso corrente utili per districarsi nelle
varie situazioni. La frequente confusione fra consonanti sorde e sonore fa pensare che l'autore fosse di
lingua germanica.
➢ Di particolare importanza per l'ambito ibero-romanzo sono le GLOSSE EMILIANESI, provenienti dal
monastero di San Millàn de la Cogolla nella Rioja, e le GLOSSE DI SILOS, i cui manoscritti sono
conservati alla biblioteca dell'academia de la Historia di Madrid e al British Museum di Londra; si tratta
di brevi note scritte intorno al X secolo su testi latini databili alla fine del IX sec, le glosse emilianesi
contengono delle Vite dei Santi Padri e alcune prediche in latino; di contenuto similare sono le glosse di
silos, queste traducono porzioni del testo latino con forme ancora latine, latinizzate o forme spagnole
arcaiche.
➢ Iscrizioni latine scolpite, dipinte o graffite. Si tratta di epitaffi o di iscrizioni rinvenute in palazzi o
abitazioni. I luoghi che ne sono più ricchi sono Pompei e Ercolano, dove i muri dellel case sono stati ben
conservati dalla cenere che li ha coperti a causa dell'eruzione del Vesuvio; l'importanza di queste
iscrizioni è dovuta al fatto che esse sono localizzate e ben databili, in quanto la maggior parte di esse è
sicuramente posteriore al 62 d.C., anno in cui un violento terremoto distrusse le città, le quali furono
ricostruite. Essi sono anche i testi più spontanei più vicini alla lingua parlata. Ad esempio a Pompei, sotto
ad un mosaico raffigurante dei gladiatori compare la seguente iscrizione: "Abiat venere bompeiiana
iratam qui hoc laesaerit" < HABEAT (caduta h, e>i davanti a vocale) VENEREM (caduta della nasale
finale) POMPEIANA ( p>b forse fenomeno di fonetica sintattica, p viene a trovarsi in posizione
intervocalica) IRATAM QUI HOC LAESERIT ( ipercorrezione del 2° dittongo).
➢ Trattati tecnici, scritti in lingua semplice perchè rivolti a non letterati ma a specialisti di un particolare
settore; essi sono interessanti sia per il lessico usato, in quanto sono ricchi di termini tecnici introvabili
nei testi letterari, sia perchè in genere i loro autori dimostrano scarse conoscenze grammaticali.
Appartengono a questo ambito opere come il DE ARCHITECTURA di Vitruvio Pollio, il DE
AGRICOLTURA di Cantone il Vecchio, testi di veterinaria come il MULOMEDICINA CHIRONIS o di
culinaria come il DE COQUINARIA di Apicio, e ancora opere di mineralogia, farmacologia, ecc..
Il Mulomedicina chironis è un trattato di 10 libri e 999 paragrafi scritto nella seconda metà del IV sec d.C., da un
anonimo veterinario che adotta questo pseudonimo alludendo al mitico fondatore dell'arte veterinaria, e cioè il
centautro Chirone; i primi 8 libri riguardano la cura delle malattie dei cavalli, mentre gli ultimi due concernono la
descrizione delle affezioni che possono colpire il bestiame, i montoni e i maiali.
➢ Storie e cronache a partire dal V sec.: esse sono opere di compilazione senza alcuna pretesa letteraria. Un
esempio è costituito dall'Historia Francorum di Greogorio, vescovo di Tour; egli fu uno dei personaggi
più importanti a livello ecclesiastico e politico. La sua opera, in 10 libri, rappresenta una delle
testimonianze più importanti per la conoscenza della storia franacese sotto la dinastia merovingia; il testo
abbonda di approssimazioni dal punto di vista fonetico, con sincopi, errori in finale parola, confuzioni
vocaliche, errori di tipo morfologico nei generi e nei casi, costruzioni di tipo analitico nella flessione di
verbo e nome.
Un'altra testimonianza è rappresentata dal CHRONICARUM LIBRI IV, attribuito a Fredegarius, ma in
realtà opera di più autori anonimi; si tratta di una storia dei Franchi del VII sec.
➢ Leggi, diplomi, carte e formulari: sono testi che, per la loro natura, usano un latino misto, popolare e
letterario. Appartiene a questa tipologia l'opera LEX SALICA, una raccolta di leggi degli antichi Franchi
Salii contenente regole di diritto civile e penale che incominciano ad essere trascritte all'inizio del VI sec,
sotto il regno di Clodoveo; essa ha subito varie rielaborazioni sotto i re merovingi e sotto i primi
carolingi.
➢ Autori cristiani: molto spesso cè, da parte di questi autori, la voluta ricerca di una semplicità morfologica
e lessicale che permetta la comprensione del contenuto anche da parte di chi non sia di cultura raffinata. Il
caso più significativo è rappresentato dalla Bibbia, la quale entra per la prima volta nel mondo romano
nella sua versione greca; a partire dal II sec d.C, si incominciò a tradurre in latino i passi più importanti ai
fini liturgici; questa versione fu chiamata Itala. Papa Damaso affidò a S. Gerolamo il compito di revisione
ed unificare il testo della bibbia latina; egli rivide il testo dell'Itala sull'originale greco e sucessivamente
ritradusse il nuovo Testamento sulla base della bibbia dei Settanta e sull'originale ebraico; il frutto di
questo lavoro fu la VULGATA.
ITINERARIUM (PEREGRINATIO) EGERIAE AD LOCA SANCTA: si tratta dellla più antica relazione di un
viaggio in terra santa; essa fu composta fra la fine del IV sec e l'inizio del V sec, da una religiosa di nome Egeria,
nobile dama del nor-ovest della Spagna, superiora di una congregazione e donna di una certa cultura. Il testo è
ricco di volgarismi e costituisce una testimonianza preziosa dello stile familiare in uso in quel tempo. Nel racconto
di Egeria si trovano ad esempio le voci verbali PLECAREMUS, PLICARENT con significato di arrivare, da cui
lo spagnolo llegar, pt chegar, cat plegar. Il verbo PLICARE che aveva il significato di piegare subì untrapasso
semantico a partire dall'azione di piegare le vele, che avveniva nel momento in cui le navi entravano nel porto, e
quindi giungevano alla meta; in tal modo il verbo passò ad esplrimere il concetto più generale di arrivare. In
generale si può evidenziare il carattere colloquiale dello stile di questo testo, ricco di ripetizioni, anacoluti e
caratterizzato dal moltiplicarsi dei pronomi personali (ego, nos) e dei dimostrativi ( ipse, ille), il passaggio dei
verbi deponenti alla coniugazione attiva, l'uso di proposizioni costruiite con QUOD, QUONDAM ecc.. in luogo
delle proposizioni infinitive.
A partire dai secoli IV-V si moltiplicarono queste descrizioni di viaggi, aventi come meta specialmente la terra
santa; alcuni testi riportano semplici indicazioni di distanze da percorrere mentre altre sono molto più ricchi di
particolari. Fra questi ultimi ricordiamo l'ITINERARIUM BURDIGALENSE, l'ITINERARIUM THEODOSII e
l'ITINERARIUM ANTONINI PLACENTINI.
Il ricorso del latino volgare è utile e spesso indispensabile per spiegare certe forme romanze, ma anche le forme
romanze possono permetterci di ricostruire quelle in latino volgare. Ad esempio il tipo ORICLAM 1
(AURICLAM 2), attestato nell'appendix probi come forma volgare in lungo di quella classica AURIS, ci spiega
tutte le forme neolatine, it orecchia 1, fr oreille 1, prov aurelha 2, cat orella 1, sp oreja 1, pt orelhna 1, sd arikra 1,
lad ureglia 1, dalm orecla 1, rum urecchie 1.
Le forme romanze it cominciare, fr commencer, prov comesar, cat comensar non derivano certamente da
INITIARE ma da COMINTIARE. Quindi molte forme che usiamo nelle nostre lingue odierne non derivano dal
latino classico ma da quello volgare.
TEORIA DELLE AREE LATERALI: La teoria delle aree laterali da Matteo Bartoli, secondo questa teoria il
fenomeno linguistico attestato nelle aree laterali rappresenta la fase anteriore rispetto all'area mediana; le aree
laterali conservano dunque caratteristiche arcaiche. Solitamente nell'area più isolata si trova la fase cronologica
più antica di una parola. Le innovazioni partono dal centro per irradiarsi alle aree periferiche, ma non sempre esse
riescono a raggiungere tutte le zone marginali.
1. Ad esempio il latino HAEDUS < capretto, rappresenta la forma più arcaica, si continua in sardo (edu) e in
rumeno (ied), che per ragioni di tipo geografico e storico, sono considerate areee isolate, mentre
l'innovazione CAPRITTUS si continua nell'italiano, lingua che fra le prime risente dell'introduzione delle
novità.
2. DOMUS < casa si continua nel sardo (domu), mentre nelle altre lingue romanze si difondono i derivati da
casa (it, prov, cat, sp, pt, Kasa lad, kousa/kesa dalm, casaa rum). Da domus sopravvive in it il termine
duomo, chiesa principale, casa di dio. Analoga la situazione si ha nel caso del lat EQUA, questa forma
arcaica prosegue nel fr ive, ieve, nel prv ega, nel cat egua, sp yegua, pt ègua, sardo ebba, rum iapà,
mentre da CABALLA derivano it cavalla e da IUMENTUM indicante in origine l'animale da somma il fr
jument.
4. Quando di due fasi cronologiche di uno stesso fenomeno linguistico una parola compare in un territorio
più steso che non l'altra, di solito la parola più diffusa è quella più antica perchè difficile di essere
superata dall'innovazione. Ad esempio in latino, per esprimere il concetto di fratello, si utilizzava
FRATER; esso si continua nell'italiano frate, fr. Frère, prov fraire, sardo fradi, lad frari, dalm frutro, rum
frate. In certe aree si è diffusa la forma diminutivale FRATELLUS, la quale spiega l'it fratello, il sardo
frateddu. In italiano essa ha completamente perduto il valore di diminutivo sostituendolo con fratellino.
La sempre maggiore influenza di queste due componenti nel romanzo spinge ad accogliere elementi
favolistici e folkoristici con temi avventurosi e sentimentali.
La versione OXIONESE è il modello per eccellenza del genere epico pur costituendo un
eccezione nel quadro delle c-g per la sua perfezione. Il TEMA DOMINANTE è la sanguinosa lotta
fra cristiani e pagani, "I pagani hanno torto e i cristiani hanno sempre ragione". I sogni premonitori,
le visioni e le richieste divine alzano Carlomagno su tutti i personaggi conferendogli un'aura sacrale
(Dio). Intermediario fra cielo e terra, Carlomagno è il re sacerdote, incessante contro i nemici della
fede.
In sei giorni si consuma il tradimento, la morte dei paladini, la vendetta e la punizione del traditore;
tuttavia l'autore esclude ogni suspence, visto che preannuncia il tradimento e l'esito tragico
dell'azione. Il sacrificio di Rolando segna il punto di maggior tensione emotiva del testo. Il guanto
destro che il paladino tende in alto a Dio, lega il preciso gesto di omaggio vassallico dell'ordine
feudale a quello celelste.
Il martirio che equipara Rolando a un santo richiama la passione di cristo. Nel gesto si ha la
figurazione plastica e l'ideale dello spirito di crociata del medioevo cristiano e feudale.
I TEMI PRINCIPALI della C-R sono di carattere politico, religioso, giuridico e morale. Ad
esempio la predilezione di Carlo per il nipote fa affiorare il sospetto sulla vera paternità di Rolando.
Una leggenda antica della C-R parla di un innominabile colpa del re, cioè del rapporto incestuoso di
Carlo con la sorella, di cui nasce Rolando, altri indizzi fanno ipotizzare che l'autore fosse a
conoscenza di questa leggendaria colpa: Nel sacrificio di Rolando, sul quale il re piange
disperatamente, sarebbe contemplata anche la punizione divina per un peccato che il re rifiutò di
confessare.
LA CHANSON DE GUILLAUME: la sua prima parte è stata ritrovata nel 1980, di datazione
poco posteriore alla C-R. Narra l'eroica opposizione di Guillaume d'Orange e del nipote Vivien
all'invasione saracena. Davanti al grande esercito del re saraceno quasi tutti i cristiani scappano
vilmente: resiste inseieme a pochi uomini Vivien, il quale invia il cugino a chiedere aiuto a
Guillaume. Vivien viene ferito e ucciso mentre G. nel frattempo cre un'armata e parte, viene però
attaccato subito dai nemici e costretto a ripiegare. Spinto dalla moglie, l'eore torna con 30 mila
uomini e alla fine del sanguinoso combattimento riesce a prevalere sui saraceni. Al ritorno a casa,
l'eroe non riesce a rientrare quindi decide di recarsi a Laon dal re in cerca di soccorsi. Con un nuovo
esercito torna nel campo di battaglia dove finalmente sconfigge i saraceni.
IL COURONEMENT DI LOUIS: datato 1130, il tema centrale è quella del rapporto fra
monarchia e nobiltà feudale; Carlo decide di abdicare a favore del figlio Louis. Arneis d'Orléans
chiede di ottenere la reggeza fino a che Luois sarà in grado di regnare, interviene subito Guillaume
che, vedendo in Arneis un usurpatore, non esita a ucciderlo, dichiarando così la sua assoluta fedeltà
al linaggio imperiale. Subito dopo G si reca a Roma invasa dai saraceni; lì affronta il gigantesco
pagano Corsolt e vince, liberando la città dal pericolo. È sul punto di sposarsi quando, avvertito di
un nuovo rischio d'usurpazione, decide di lasciare Roma e rinuanciare al matrimonio per soccorrere
il re Louis aggredito dagli uomini del Duca di Normandia. Ancora una volta l'eroe sconfigge i
ribelli. Guillaume fa di nuovo ritorno a Roma per sconfiggere l'esercito tedesco Gui che si era
impadronito della città. Alla fine della sua vittoria, l'eroe incorana Luois davanti al papa, dopodichè
torna in Francia e da al re sua sorella come sposa. La continua neccessità del protagonista di
allontanarsi da corte indica l'emergenza di un problema che scoppia nella canzone successiva.
Nel MONIAGE GUILLAUME, datato 1160, la perdita della moglie convince l'ormai anziano
eroe a ritirarsi in convento dove morirà avendo la santità. La narrazione delle imprese di Guillaume
segna una svolta del genere epico in Francia , influenzato ormai dal modello romanzesco; si
presentano temi e motivi nuovi, l'astuzia, il vagheggiamento amoroso, la comparsa sulla scena di
altre classi socilai oltre a quella nobiliare.
RINNEGATI E RIBELLI: i problemi politici e giuridici della società feudale, e le crisi fra
monarchia e vassalli, creano un genere epico sotto l'etichetta di "vassalli Ribelli".
In queste canzoni l'aristocrazia feudale s'interroga sui diritti nei confronti del
potere monarchico. Qui la concentrazione tematica fa precipitare la situazione,
la cui ricomposizione è affidata agli eredi, non ai protagonisti della vicenda.
GIRAT DE ROUSILLON/ RENAUT: perdendo la causa del conflitto con il re, il loro statuto di
vassalli viene tolto, non sono più integranti della società feudale. Girat rinuncia alla possibile
reintegrazione; Renaut, vincitore contro i pagani in Palestina, viene rintegrato sul piano giuridico
morale ma deve rassegnarsi a vivere all'esterno del mondo feudale in quanto ha perso tutti i suoi
possedimenti. La morte dell'eroe illustra la profonda evoluzione del personaggio nell'avventuroso
corso della sua vita evidenziando la progressiva interiorizazione dei drammatici conflitti.
CHAVALIER OGIER: è un eccezione del quadro pessimistico precedente. È un'infrazione di
diritto feudale commessa da Carlomagno che non concede a Ogier la giusta vendetta per l'assasinio
del figlio. Alla fine cè una riapacificazione con il re, riconciliazione che coincide con la piena
integrazione nel sistema feudale. Ogier, eroe solitario, sempre in fuga, viene investito di importanti
feudi e gli viene dato, per riconoscimento, in moglie una giovane inglese.
CICLI:
Un'altra forma legata allo sviluppo ciclico è quella delle "enfaces", una sorta di
sottogenere dell'epoca, si raccontano le prime avventure guerriere e amorose del giovane eroe che
dimostra la sua reale aristocratica compiendo valorose imprese, spesso legato al servizio di un
signore pagano della cui figlia si innamora. Di nuovo costretto ad allontanarsi, l'eroe ritrova la sua
famiglia, assumendo così la posizione che gli compete e vendica l'ingiustizia di cui fu giovane
vittima.
CANZONI DI CROCIATA:
é uno dei temi principali della C-G a sostegno della fede criatiana. Per la prima volta gli autori dei
poemi epici evitano di trasporre problemi e situazioni del loro tempo in epoca carolingia.
CICLI:
IL CHAVALIER AU CIGNE: narra la vita di Elye, nonno di Goffredo, portato via da bambino da
un cigno. Diffensore dell'onore della duchessa di Buglione di cui sposa la figlia, da cui dovrà però
separarsi per sempre dato che quest'ultima non aveva rispettato il divieto di informarsi sul suo
nome.
CANZONI TARDIVE:
(Meraviglia, amor cortese, tema didattico, conversione dei pagani, personaggi femmenili). Situabili
fra il XII e XIV secolo. La caratteristica principale consiste nell'utilizzo strutturale e non più
esortativo del fantastico e del meraviglioso, nella concezione di spazio a elementi e motivi di
provenienza folklorica, a ciò si aggiunge la marcata influenza del romanzo cortese, al tema militare
della guerra contro i pagani si intreccia quello sentimentale dell'amore nato tra il cavaliere e la
principessa saracena. Un'altra caratteristica è il maggior risalto dato al contenuto didattico del testo.
IL COMICO E LA PARODIA:
PRISE D'ORANGE: qui i sarcastici rimproveri mossi dal nipote allo zio innamorato e sospiroso
forniscono un'intonazione burlesca.
L'EPICA IN PROVENZA
Abbiamo due testi importanti in provenza: LA CHANSON DE GIRAT DE ROUSILLON e la
CANZONE DELLA CROCIATA CONTRO GLI ALBIGESI; a queste due si aggiunge il frammento
del BOECIS, testo che media l'esperienza dell'angiografia e della chanson de geste.
1. Boecis
BOECIS: scritto in decasillabi (XI sec.) raccolti in lasse assonanzate, la tecnica è del parallelismo
e della similarità. Il racconto si muove dalla descrizione di Boezio in aige e prosegue con la falsa
accusa di Teodorico; il troncone si arresta nel corso della descrizione della filosofia, che
personificata visita Boezio in carcere.
CANTAR DE MIO CID: di datazione incerta. Il codice è datato 1207 da Per Abbat, anche se
alcuni studiosi ritengono che la sua datazione sia da stabilire prima. Il testo ha delle mutilazioni non
gravi tranne quella dell'inizio, cioè inizia in Medias Reis. L'inizio presenta il Cid mentre lascia
Vivar nella direzione di Burgas, esiliato dal re Alfonso. Il CANTAR DEL DESTIERRO prosegue
con l'episodio della tappa a San Pedro de Cardegna e l'addio a Ximena e alle due figlie, per poi
continuare con le avventure de eroe. Gli altri cantari DE LAS BODAS e della AFRENTA DE
CORPES, benchè contengono episodi d'armi, vertono su episodi della vita familiare; dalle nozze
con gli infanti di Corriòn alla lotta per l'onore delle figlie, all'ottenimento della giustizia e di nuove
e migliori nozze, che vincolano la stirpe del Cid alle famiglie regali.
SANCHO II: di datazione successiva al Cid. Narra le gesta di Sancho che, tramite l'assedio di
Zamorra, dove sono rinchiusi il fratello Alfonso e la sorella Urraca, ha riunificato il regno ma viene
successivamente assassinato; la feudalità a lui fedele si batte contro Alfonso, e il Cid lo costringe a
un giuramento di innocenza. Secondo i cicli si vollero poi cantare le enfaces dell'eroe: le
MOCEDADES che narrano le prime vittoriose battaglie del cid in Spagna e poi in francia al
servizio del re Fernando.
LOS INFANTES DE LARA (SALAS): Gonzalo Gustio, marito di Dona Sancha e padre dei 7
infanti, è stato inviato da suo cognato (suo rivale) nelle terre del re moro Almanzor portando con sè
una lettera da consegnargli, la quale diceva che il re doveva uccidere chi gliela portasse (Re amico
di Rodrigo, cognato di Gonzalo). Nel frattempo i 7 infanti muoiono in una battaglia contro i mori a
causa del loro Zio. Gonzalo sopravvive e decide quindi di vendicare i figli.
Altre importanti canzoni sono: BERNARDO DEL CARPIO che si batteva affianco a Carlomagno
contro i francesi ma nelle opere successive si oppone all'invasione francese determinando con il suo
valore la rotta di Rocenvalle; il POEMA DE FERNAN GONZALEZ redatto secondo il
MENESTER DE CLERECIA (tipo di letteratura medievale composta da chierici.
Questi avevano un'educazione superiore derivata dal quadrivium, cioè
quaderna via, che serve per nominare la loro strofa caratteristica, con versi
scritti in quartine alessandrine). Si tratta della celebrazione di un conte castigliano, alle cui
vittorie sulle popolazioni circostanti si ascrive la prima indipendenza e l'affermazione della vecchia
castiglia.
Il frammento di Rocenvalles corrisponde a un brano di ricognizione di Carlomagno sul luogo della
battaglia col suo planctus sui corpi caduti, si cratterizza per la presenza di Rinaldo.
3. nuove creazioni.
L'ENTREE D'ESPAGNE: 1343, opera rimasta incompiuta, ci giunge in un soo codice. Si tratta
dello sviluppo della c- de Roland a partire dalla decisione di Carlo e dei varoni francesi di liberare
la Via Jocobitana e coronare Rolando con la corona spagnola. L'Entrée può essere stata scritta a
Padova dove ancora nel 300 si voleva leggere Livio ma volgarizzato in francese; La sua tradizione
manoscritta passa principalmente da Mantova, oltre che presso i Gonzaga, nelle colezioni delle
Estensi dei Visconti.
La storia dela litrica romanza è la stessa storia della poesia dei trovatori (era
un compositore ed esecutore di poesia ocitana. Questo non utilizza il latino ma
il volgare).
Il cosiddetto genere lirico si configura come un sistema di generi (teorici). Mentre la storia del
Romanzo si identifica con la ricezione di un genere francese, nel caso della lirica è un genere
provenzale. Il divorzio della scuola siciliana fra poesia e musica ci prospetta una prassi e una
poetica ben diverse da quelle che reggono la lirica d'arte provenzale, francese o iberica, fondate
sulla parola cantata e musicata.
I TROVATORI
Guglielmo IX duca di Antiquitania è primo trovatore di cui ci sia giunta un'opera. Invece
l'ultima poesia databile 1292 è del trovatore Guiraut Riquiez. Il trecento risulta l'età della
fossilizzazione dell'accademia, mentre lo spazio geografico appartiene all'area linguistica
provenzale anche se non tutti i trovatori sono occitani.
Con la crociata contro gli albigesi inizia la diaspora dei trovatori dalle corti occitaniche, una
tradizione lirica di impianto trobadorico si è costituita nella Francia del nord e anche nella penisola
Iberica a imitazione dei Catalani e dei trovatori di'Italia, in quanto riprende i tratti essenziali del
modello, ma articolandoli in modo nuovo e in lingue nuove. Nel XIII secolo sarà la volta dei
siciliani diretti responsabili di una translatio che più tardi attraverso Petrarca diventerà patrimonio
dell'Europa moderna.
CARATTERISTICHE COMUNI:
• il suo rigore formale è assoluto ed è alla base di una serie di riflessioni di carattere
metapoetico, eventualmente sviluppate in forma di trattato;
• si esprime un io impersonale e collettivo, non escludendo così la possibilità di una
finzione autobiografica.
L'AMORE CORTESE
Aspetta ai trovatori l'invenzione dell'amore cortese, il cosiddetto "fin de amor", cioè un amore
perfetto. L'idea centrale è quella di una sproporzione fra l'amante e l'amata, ostacolati dalla
realizzazione del loro desiderio; la donna è assimilata al signore feudale, l'amante al suo vassallo,
l'amore al servizio che il vassallo presta al suo signore ricevendone in cambio aiuto e protezione. Ne
consegue la mancata disponibilità della donna ad accettare il servizio d'amore, o la sua disponibilità
ad accetarne più di uno alla volta, libera l'amante dai vincoli di fedeltà e di lealtà impliciti
nell'omaggio feudale autorizzandolo a passare ad altro servizio, cioè un'altro amore.
Il desiderio è spesso un desiderio erotico, quindi se il piacere sessuale non può essere la soluzione
naturale del fin d'amor, la tensione erotica acquista un valore positivo in quanto accettazione
consapevole delle regole del gruppo sociale di cui il codice erotico è espressione.
Il fin d'amor diviene l'elemento di quei valori mondani cha va sotto il nome di cortesia e trova un
principio direttivo nella misura e nella ragionevolezza tanto dell'amante quanto dell'amata;
il fin d'amor è quindi propiamente amore cortese: la cortesia rende capaci di
amare. L'amore educa all'esercizio della cortesia, e in quanto tale è fonte di
riconoscimento sociale e gioia individuale.
L'amore viene represso per la distanza sociale e innalzato a strumento di ordine: la base del fin
d'amor è la sublimazione del desiderio.
La METAFORA feudale del f-a rinvierebbe a un contesto quotidiano di rapporti sociali, a quella
corte medievale dove la castellana regna sovrana sulla "masnada" dei giovani cavalieri. L'idea di
nobiltà si acquisisce solo attraverso amore e cortesia: un amore che è nobiltà perchè irrealizzabile, e
in ogni caso ripugna alla nozione del possesso materiale.
KOHLER è il trovatore giullare per il quale la diffesa del f-a si collega all'esaltazione dei mercenari
che da soli sostengono Joi e Joven. Non è da eludere un programma più ampio di politica culturale,
volto non solo a contenere le aspirazioni autonomastiche della piccola nobiltà, ma anche l'egemonia
dell'esecuzione chiericale. Infatti chierici poeti elaborano una nozione dell'amore spirituale che per
sua natura ricorda il paradosso amoroso, è una poesia destinata a monache e badesse di alto rango,
fatte oggetto di una devozione la cui carica erotica viene stemperata nella prospettiva superiore
dell'amicitia christiana.
TROBAR LEU: cantare, comporre in modo lieve, è una delle forme che assunse
la poesia nella lingua d'oc. Consiste in una poesia lieve , fluida, scorrevole che
predilige l'apertura. Contapposta al TROBAR CLUS, cantare in maniera scura,
caraterizzato da uno stile complesso formale e allegorico. Il TROBAR RIC, con il
suo massimo sponente Arnaut Daniel, non è uno stile separato, ma una
variante del trobar clus.
LA CANSO: La centralità della dottrina della F-A si riflette in quella della canso come genere
lirico che tratta di amore e di lode e come genere per eccellenza (XIII sec). Sino alla metà del secolo
la canzone trobadorica si chiamava VERS, denominazione che ricollegandosi al versus paraliturgico
doveva indicare una struttura metrico-musicale che un ambito tematico prestabilito; quanto alla
CANSO il termine si opponeva a vers allo stesso modo che il canto si oppone alla poesia. La
canzone è stata vista come un esempio di poesia facile e disimpegnata perché legata a una qualche
innovazione melodica che la rendeva più accessibile e più gradita al grande pubblico. Alla
specializzazione del termine canso corrisponde l'evoluzione semantica di SIRVENTES (indica un
genere della poesia lirica occitana, dal punto di vista formale somiglia alla canso. Si tratta di temi
di circostanza, spesso satirici che possono trattare temi morali, politici o letterali. Sirven =
mercenario al servizio di un signore feudale. Quindi l'intento originario di questo genere era quello
di lodare o orientare il signore a cui si prestava servizio).
La canso è una tipica forma di canzone usata nella letteratura occitana, condizionata dal suo
contenuto e destinata al canto.
La canso appare per la prima volta nel XII secolo (chiamata in origine vers), sostanzialmente
composta e cantata dai trovadori davanti alla corte, successivamente recitata da musici itineranti.
Viene ripresa nel XIII secolo dai trovieri, i quali preferiranno tuttavia forme più semplificate e meno
«nobili» della poesia lirica cortese.
Attraverso la "canzone" i trovatori esprimevano i loro sentimenti, il cui tema principale e quasi
esclusivo era l'amor cortese, partecipe degli aspetti sociali e spirituali dell'epoca medievale.
In questo modo, l'amore ha lo stesso significato che ha nella nostra epoca attuale, ma ne ha anche
uno ulteriore: quello della "alleanza" (patto, favore), vale a dire, il trovatore non intende realizzare
attraverso la sua relazione nessun beneficio materiale.
Bisogna tener presente inoltre l'aggettivo "cortese". Cortesia è il termine che designa la condotta e la
posizione dell'uomo che vive nella corte e che, per un'educazione particolare, si converte in modello
dell'ideale dell'umana raffinatezza e dei valori spirituali. Il trovatore, come personaggio cortigiano, era
partecipe di tali caratteristiche che, tra le altre, sono la lealtà, la generosità, la prodezza, la maniera elegante,
ecc. Ampliando queste due idee (amore e cortesia), si deve costatare che nella canzone si
utilizzano le relazioni giuridiche feudali:
• La donna è sposata, poiché solo in questo modo consegue categoria giuridica.
• Spesso si parla di midons ("mio signore") e il trovatore definisce sé stesso come om/hom
(uno). In questa modo si riproduce la situazione propria del vasallazgo.
• Molte volte si stabilisce una doppia relazione amorosa e sociale. Vale a dire, non si cerca
unicamente il conseguimento dell'amore, bensì una relazione nella quale la dama, direttamente o
intercedendo per lui, possa concedergli valori materiali. Di fatto, con frequenza, il trovatore parla
della sua signora quasi come un obbligo, accettato dal marito come qualcosa di naturale.
In un modo o nell'altro, la dama si vuole sia inaccesibile e il trovatore dovrà ottenere meriti per
valutarne le virtù e la perfezione del suo amore onde poterne avere il guiderdone. In questo
processo si trovano una serie di concetti importanti, propri di un'educazione cortigiana quale può
essere la generosità morale di fronte all'avarizia. Un termine utilizzato abbastanza frequentemente è
quello di Joi-terme di difficile traduzione che corrisponde a una specie di allegria, di esaltazione
interiore, associata spesso alla primavera o alla presenza o al ricordo della dama.
Si sperimentano nuove forme come generi della pastorella o dell'alba (la canzone della separazione
dei due amanti allo spuntare del giorno dopo il convegno notturno).
CANSO CROZADA: di tema religioso, la canso fornisce il motivo della lontananza dell'amata
svolta in quella della dipartita del crociato.
Il tema può essere sia amoroso che ponegirico. Specifico del componimento è che l'ultimo "SIMT"
(volta chiusa), chiamati Jarcha, posto sia in bocca del poeta, sia da un personaggio femmenile. La
jarcha ammette la assonanza al contrario della muwwassahat che è rigorosamente rimata secondo le
regole della poesia araba classica.
Ibn Bassam è il precursore del genere, lui avrebbe raccolto espressioni in arabo volgare e in
lingua romanza, da lui chiamate Markaz che significa appoggio. La centralità del monologo della
fanciulla all'interno della poesia romanza precortese si deve appunto alle Jarchas. In questo senso,
l'ipotesi che la tradizione lirica pretrovadoresca sia anteriore all'isolamento culturale e politico della
spagna musulmana, dalla quale discenderebbero le Jarchas arabo-andaluse e la poesia precortese
galloromanza. Grazie alle crociate questo genere influenzò i trovadori europei.
L'IRICA D'OIL
in Francia la fase di massima ricezione della poesia trobadorica coincide con quella della sua
tradizione in volgare locale: ipotesi che permette di circostanziare meglio la fissazione precoce del
canone oitanico illustre. La contiguità geografica e la continuità dei rapporti storici, politici e
culturali con il sud occitanico non sembrano essere stati fattori decisivi sulla lunga durata. Grazie
alle seconda e terza crociata la lirica d'arte d'oil diventa modello trobadorico che verrà
rilanciato in Francia e Germania.
LA PASTORELLA: nella francia del nord il genere si articola in due tipi principali:
1. La pastorella classica: durante una cavalcata mattutina il poeta incontra una giovane
pastorella, in aperta campagna; dopo un breve saluto, le propone il suo amore che la
fanciulla di solito rifiuta; così ha inizio un dialogo dove nella sua conclusione si possono
trovare due soluzioni: la fanciulla cede alle lusinghe del seduttore, oppure, il poeta desiste
dal suo proposito vinto dalla resistenza della ragazza. In questo tipo di pastorella il quadro
narrativo è obbligatorio; il nucleo essenziale della narrazione è costituito dal incontro e dal
successivo contrasto dei due protagonisti. Altra componente essenziale è il monologo lirico
femmenile, dal momento che è il canto della pastorella a catturate l'attenzione del poeta.
2. La pastorella oggettiva: il poeta descrive una scena campestre fra pastori, secondo il
registro cortese della bella vita: giochi, canti, danze e contrasti d'amore. Talora il poeta si
presenta come testimone occulare e come narratore onniscernte. Incontro e contrasto
caratterizzano anche la pastorella oggettiva. Nei componimenti in cui il poeta partecipa
direttamente all'azione, il narratore incontra i pastori, ne descrive il contrasto e quindi
interviene in terza persona. Sembra quasi una rappresentazione teatrale.
CANZONE DI TELA: (es: Guillaume de Dole di Jean Renart 1228). in una camera ci
sono due dame , di solito madre e figia, intente a un lavoro di cucito o di ricamo, ma la fanciulla ha
la mente altrove, pensa al giovane di cui si è innamorata. La madre, o la nutrice, svolgono il ruolo di
antagonista, opponendosi all'amore della ragazza. Tutte due incitano una canzone; le due canzoni
accompagnano il lavoro di cucito, entrambe raccontano una storia.
LIRICA PERSONALE:
la reazione dei trovieri all'astrazione generalizzante della canzone cortese, ponendo l'attenzione
sulla sincertià del proprio poetare. Ottiene paradossalmente il risultato di mettere in risalto il poeta
stesso come autore. Si pongono così le basi per la trasformazione della poesia formale.
CANTIGA DE AMIGO: è un genere lirico che trae origine dalla poesia tradizionale. Presentano
tratti comuni con le Jarchas, ovvero: il tema principale è l'amore. Sono dotate di un linguaggio
semplice e possiedono maggior estensione, di solito pronunciate da una donna innamorata che
attende il suo amato, avendo come confidente la madre o la natura.
Il fenomeno si spiega con l'importanza politica, economica e culturale della regione, in particolare
di Santiago de Compostela, dove sin dal X secolo si stabilisce un'industria del pelegrinaggio.
Quì cè la dinastia dei conti di Galizia e dei conti di Portogallo; francese è il clero che da vita a una
riforma morale e culturale tesa a sostenere il primato della basilica metropolitana nei confronti della
stessa Roma.
È, insomma, probabile che il capoluogo sia stato il centro di elaborazioner di una lirica precortese
fondata su un materiale letterario di importazione. I trovatori di Galizia e di Portogallo che
operavano alla corte di castiglia e leon dovevano essere bilingui. Le corti iberiche medievali sono
legate a una rete sottile di vincoli dinastici. La reconquista unirà gli spagnoli e il portoghesi sotto
bandiere che non sono neccesariamente quelle nazionali.
In questo quadro si inserisce l'opera di mediazione che le corti reali di castiglia e di Portogallo
svolgono sul piano linguitico culturale. Particolarmente determinante è il ruolo di Alfonso X,
grande organizzatore di cultura. Alfonso X compone in gallego-portoghese la raccolta delle
CANTIGAS DE SANTA MARIA, cui si aggiunge un certo numero di poesie satiriche e d'amore,
e compone in castigliano le opere in prosa scientifica e storiografica spagnola.
Dopo la morte di Sancho II (1295) la corona passa alla corte portoghese, dove Don Denis riattiva il
meccanismo del nonno Alfonso X, contribuendo all'ultima fioritura della poesia gallego-portoghese
con un canzoniere di 137 componimenti. La morte di D. Denis potrebbe rappresentare l'esaurimento
della tradizione. (ritornello, collegamento con la poesia d'oil). Abbiamo 4 tipi di cantigas:
LA TRADIZIONE CASTIGLIANA:
A parte le composizioni di Goussalbo Roiz, nobiler castigliano, che però poeta in provenzale,
sirventese; la castiglia durante il XIII pare essere in silenzio dinanzi alla fioritura lirica europea.
Silenzio peraltro relativo, se consideriamo l'area galego-portoghese che in questo momento
rappresenta da sola la poesia lirica iberica, con alcune canzoni di tradizioni sia castigliane come la
Historia troyana polimétrica e il poema di Fernan Gonzales, sia aragonesi come il poemetto della
Razòn feyta d'amor, dove il testo ospitato presenta anche i tratti linguistici della cantiga de amigo.
Non meno interesante è il lamento di Maria che Gonzalo de Berceo inserisce nel Duelo de la
Virgen, dove fa da pendant alla canzone che dalle parole del ritornello è detta Eya Velar (la cominità
ebraica è invitata a vegliare che il corppo di Cristo non venga reafugato dai discepoli). Ma quello
del monaco riojano è un caso speciale, come già indicano gli accenni lirici contenuti nei Milagros
de Nuestra Seňora e il fatto che il poeta si definisca senz'altro trobador della Vergine.
Si anticipa così la grande novità del Libro de Buen amor di Juan Ruiz, dove
l'incastonamento di pezzi lirici nella serie delle quartine monorime di alessandrini assume un
carattere più sistematico, inquadrandosi in un complesso percorso narrativo che è sia didattico che
autobiografico. E con Juan Ruiz la lirica castigliana si affaccia sulla scena letteraria iberica,
soprattutto grazie alla sua SERRANA, genere parzialmente affine alla pastorella, di cui l'autore ne
offre la parodia, a cominciare dalla montanara, laida e pelosa che, posta a guaria di un valico di
montagna, esige dal malcapitato viandante un pedaggio in natura.
Con Juan Ruiz la tradizione lirica galego-portoghese è già in via di esaurimento nell'ambito di
un'evoluzione spontanea, ancorchè legata al quadro politico generale che si manifesta inanzitutto in
un ricambio linguistico. Il fenomeno è ben documentao dal canzoniere compilato da Juan Alfonso
di Baena intorno alla metà del 400, in cui si accolgono poeti ancora attivi nel ultimo trentennio del
secolo precedente. Ma in breve saranno numerosi anche i portoghesi che scrivono in castigliano,
come testimonia il Cancionero Geral di Garcia de Resende, il cui modello è fornito dal Cancionero
General di Hernando del Castillo, primo episodio iberico di canzoniere a stampa, notevole anche
per la ricchezza del corpus e la ripartizione del materiale sulla base dei contenuti tematici e metrici.
Nella forma del VILLANCICO, successore dello zagal, la poesia tradizionale penetra
nell'importante Cancionero musical de Palacio, sopravvivendo poi nel teatro spagnolo e portoghese
fra Gil Vincente e Lope de Vega.
Al lirismo tradizionale si connette il ROMANCE; genere situato all'intersezione fra epica, lirica e
cronaca in versi e destinati al canto e alla musica, ma anche nel corso del 500, quando maggiore è la
sua fortuna, si diffonde in raccolte specifiche a stampa e non solo.
IL ROMANZO NEL MEDIOEVO: il termine che disegna quello che per noi è il genere narrativo
per eccellenza nasce nel medioevo. Roman , romance o romanzo indicava qualsiasi composizione
tradotta dal latino in volgare oppure ideata direttamente in volgare. Alla base c'era una curiosa
divaricazione di due concetti affini: latine loqui (parlare latino) e romance loqui (parlare alla maniea
degli abitanti dell'impero romano).
Il primo dibattito sul romanzo si sviluppa in seno al classicismo del secondo cinquecento e in
relazione al tentativo di applicare ai prodotti letterari moderni le regole di una poetica aristotelica
ridotta a mero campionario normativo. Si rifiutano in nome di Aristotele le composizioni troppo
lunghe e slegate, nelle quali gli avvenimenti non appaiono sorretti da un verosimile nesso di
casualità. La campagna contro il romanzo, almeno per tutto il Seicento, è sempre condotta in nome
del filosofo greco. Una cosa va però subito chiarita: il fatto stesso che si seguitasse a parlare (male)
del romanzo medievale o di tradizione medievale prova che tale continuava a essere letto, e anzi ad
avere grande successo. Il suo pubblico tendeva a marcate forme di autoidentificazione nei confronti
degli eroi cavallereschi.
Con l'affermarsi, durante il regno di Luigi XIV, dell'ideologia assolutistica, che veicola un sistema
di relazioni sociali del tutto diverse dalle precedenti, non è più possibile per nessuno identificarsi
con i cavallieri feudali; se non a prezzo di un totale distacco dalla realtà, e il romanzo viene ormai
recepito come una materia totalmente fantastica e sarà così fino all'inizio dell'ottocento.
A partire dalla prima metà del Settecento i romanzieri medievali cominciano ad essere guardati
come dei pittori della società, attraverso i quali è possibile ricostruire la vita di un tempo. I vecchi
romanzi sono recuperati sul piano del contenuto come specchio di un epoca.
Per gli illuministi il romanzo cavalleresco rifletteva l'immagine della barbara età feudale il che
scaturiva una sua condanna senza appello. Poco più tardi i romantici lo recupereranno perchè lo
considerano lo specchio di un Medioevo rivalutato nelle sue componenti cristiane e feudali, in
cotrapposizione all'antichità pagana, dominata dalla tirannide, e alla moderna età dell'assolutismo
illuminato e del laicismo. L'entrata in campo dei grandi pensatori romantici ha avuto un effetto
contraddittorio sui destini della ricezione del romanzo cavalleresco. Da un lato il romanzo, tout
court, viene visto come l'espressione più alta e complessa della letteratura moderna: Friedrich
Schlegel lo contrappone senz'altro all'epopea, considerata invece la tipica forma espressiva della
letteratura classica; anche Hegel vedrà nel romanzo l'esponente più autentico della narrativa
moderna. Dall'altro lato, però, ci si accorge che entrambi i filosofi mirano a sottolineare la non
omogeneità e linerialità dello sviluppo del romanzo: per Schlegel alla fase cavalleresca si
contrappone la fase moderna, così come al fantastico si contrappone il quotidiano, e al mondo della
poesia si contrappone il mondo della prosa.
Hegel di nuovo procede per opposizioni meno nette ed empiriche, ma anche in un quadro come il
suo, in cui lo sviluppo dell'arte è legato più alle trasformazioni dialettiche che alle mutazioni
brusche, emergono chiari i motivi dello stacco fra romanzo cavalleresco e romanzo moderno.
Secondo Hegel, nel romanzo cavalleresco cè una specie di sfasatura fra l'eroe e il mondo in cui si
trova ad agire, che è il vecchio mondo sacralizzato, delle grandi tensioni ideali: questa sfasatura
porta l'azione ad avvitarsi su se stessa, in una spirale di avventure sempre più fantastiche e
arbitrarie, in ultima analisi sempre più prive di senso. Solo quando anche il mondo in cui l'eroe
agisce si dedivinizza, diventa prosaico, identificandosi con l'ordinamento stabile e sicuro della
società civile dello stato, può nascere il vero romanzo, che dunque è destinato a essere la moderna
epopea borghese.
A questo punto non si parlerà più di romanzo moderno e di romanzo medievale, ma di un romanzo
tout court, non ancora un vero romanzo, specchio della borghesia e di romanzo cavalleresco. Questo
sembra essere stato il motivo in base al quale nessuna considerazione sulla fase medievale del
romanzo ha più trovato posto nelle grandi riflessioni teoriche postidealistiche. Se la posizione degli
hegeliani e dei marxisti è in fondo spiegabile proprio a partire dalla fatidica etichetta di epopea
borghese apposta al romanzo moderno, apparentemente meno spiegabile è la posizione di uno
Sklovskij, il quale considera il genere romanzesco come il punto di convergenza di due elementi
fondamentali, la polifonia e l'intreccio, nega abbastanza aproristicamente che questa convergenza
abbia potuto aver luogo prima dell'età moderna: in sostanza, prima di Rabelais.
Sorge certo il dubbio che questa conventio ad excludendum possa anche essere legata a un'effettiva
scarsa informazione sulla letteratura del Medioevo romanzo da parte di studiosi spesso di
formazione tedesca o slava, proiettati verso la cultura contemporanea. In effetti anche nell'ambito
degli studi della filologia romanza si è continuato a insistere più su quanto rendeva il romanzo
cavalleresco un fenomeno a sé, enfatizzandone elementi quali la stilizzazione dei personaggi, il
ruolo del meraviglioso e del magico, e anche la pretesa goffaggine e il preziosismo, che non su
quanto già portava nella direzione delle esperienze narrative più recenti.
Una svolta nell'attegiamento dei romanisti cè cmq stata verso gli anni quaranta, ed è stata grazie allo
svizzero Reto. R. Bezzola. Il suo volume su Chrétien de Troyes è stato il primo vero tentativo di
affrontare uno scrittore medievale senza pregiudizi, mettendone in luce la capacità di rappresentare
il reale in tutta la sua ricchezza di significati, di rendere efficacemente la psicologia dei personaggi,
di conferire ai suoi eroi quei tratti di carattere e di sentimento che fanno di loro dei paradigmi
assoluti. Anche quando sottolinea quella che, secondo lui, è la peculiarità dei romanzi di Chrétien,
ossia la precisa corrispondenza, tipicamente medievale, fra piano letterale e piano simbolico del
racconto, Bezzola insiste cmq sull'universalità e l'attualità di questa attitudine simbolica,
addensando paragoni molto significativi, anche se forse un po spericolati. Bezzola ha di fatto
leggittimato tutti i posteriori esperimenti di applicazione ai testi narrativi medievali dei più avanzati
metodi d'indagine che di regola venivano usati solo per testi contemporanei.
EPICA E ROMANZO: sono sempre presenti nella coscienza degli scrittori medievali, come se si
trattasse delle due fondamentali realizzazioni possibili del discorso narrativo. Le divergenze fra
chanson de geste e romanzo appaiono nettissime: si potrebbe dire che la comunicazione epica ha
carattere rituale, mentre quella romanzesca ha carattere mitico.
La c-g tende a stabilire la coesione e la solidarietà nel gruppo dei fruitori attraverso il pathos della
rievocazione, allusiva e scorciata, di una situazione o di un avvenimento esemplari e noti a tutti.
Ripetitività formulare e musicale, e staticità di struttura in un assoluto presente narrativo, legato
appunto alla preconoscenza degli avvenimenti da parte del fruitore, servono a comunicare un
significato sacrale che va oltre la vicenda narrata. La comunicazione romanzesca ha lo scopo di
fornire delle conoscenze. La conoscenza che il romanzo fornisce è veicolata da un intreccio
accattivante e imprevedibile, ricco di tratti favolosi o quantomeno eccezionali. E proprio come il
mito il romanzo genera il piacere dell'ascolto, produce una reazione individuale e non collettiva
come quella della c.g.
Puntando l'attenzione sul rapporto interattivo che si crea tra fruitore e personaggio letterario
notiano che tanto nell'epica quanto nel romanzo, il fruitore avverte la superiorità ideale dei
protagonisti delle storie che gli vengono proposte, ed è quindi spinto un entrambi i casi a
un'identificazione di tipo ammirativo, tipico del lettore solitario, al di là della realtà quotidiana che
risponde al desiderio di avventure straordinarie e di perfetti amori.
Lo spirito di crociata istituiva un'ideale linea di continuità fra il quadro storico della lotta fra
cristiani e pagani ai tempi di Carlomagno e dei suoi successori, rappresentato nelle c-g, e la realtà
contemporanea. Invece i quadri, considerati peraltro del tutto storici, che fanno da sfondo alle
vicende dei romanzi antichi o arturiani, non possono essere avvicinati al presente se non in chiave
di pura analogia, generatrice di un significato esemplare. Solo per gli eroi dei romanzi realistici
duecenteschi si potrà parlare di astoricità; nel loro caso viene dato di pensare a un altro spazio o
un'altra dimensione, al mondo possibile dell'avventura e della cortesia.
Sul piano strutturale e formale ancora più vistose sono le divergenze fra i due generi: il tessuto della
c-g appare dominato dalla discontinuità. Il tessuto romanzesco si presenta invece cmoe un continum
narrativo che si basa su principi d'aggregazione largamente definibili come di tipo sintattico.
L'opposizione discontinuità/continuità è già rilevabile sul piano metrico: le lasse cantate dei
decasyllabes cesurati, spesso raggruppate fra loro mediante l'espediente della similarità, danno al
discorso epico un ritmo fratto, lo fanno procedere per giustapposizioni di blocchi semanticamente
autosufficienti e non per concatenazioni progressive che sono per contro la base del discorso
romanzesco, ormai privo di accompagnamento musicale, pienamente ritmato da un couplet di
octosyllabes che, attraverso l'uso dell'enjambement e la separazione tra ritmo della frase e ritmo del
verso, si prepara a sfociare in tutta baturalezza, nella prosa.
Alcuni autori medievali sembrano aver già intuito che la riuscita del romanzo era in larga misura
affidata alla sapiente strutturazione del suo intreccio: il fascino e la bellezza di quelle ambages
risiedeva nel fatto che esse venivano a costituire un organismo narrativo coerente, sorretto da abili
applicazioni del principio di casualità. In gioco viene messa tanto la casualità di tipo meccanico, per
cui un determinato avvenimento trova spiegazione neccessaria e sufficiente negli avvenimenti che
lo hanno preceduto, quanto alla casualità di tipo morale, per cui è all'intervento o al valore o perfino
al capriccio individuale che vanno ascritti, come neccessarie conseguenze, gli ulteriori svilupi del
racconto.
Un'ultima marcata differenza tra i due generi è sintetizzabile mediante l'opposizione bachiniana fra
tendenza monologica e tendenza dialogica del linguaggio letterario. La c-g
presenta caratteristiche nettamente monologiche: in primo luogo il messaggio
veicolato dal testo epico presuppone e sollecita una totale omogeneità di reazioni
psicologiche e di atteggiamenti ideologici, non solo fra autore e pubblico, ma anche
all'interno del pubblico stesso, accomunato da una medesma tensione etica e da un
medesimo spirito guerriero. In secondo luogo, sul piano dell'espressione, vi è una netta
dipendenza della rappresentazione dei personaggi e del organizzazione del racconto dal
punto di vista dell'autore, sicché manca qualsiasi gioco di prospettiva che non sia quello,
puramente tecnico, delle lasse similari.
Nel romanzo si manifesta invece una chiara tendenza dialogica: opera una netta
selezione del pubblico a vantaggio della classe aristocratica, ma è necessario precisare che
l'aristocraticità del messaggio romanzesco non si fonda sul silenzio nei confronti delle altre realtà
sociali, bensì sul loro esplicito e motivato rifiuto. Numerosi sono poi gli espedienti messi in atto per
creare nel tessuto narrativo un gioco prospettico che faccia del testo letterario un approssimativo
analogon del reale, in tutta la sua complessità, di atti e comportamenti. Una dettagliata analisi
di questi espedienti è offerta da un saggio di Cesare Segre, e cioè che la radice
ultima del prospettivismo è da cogliere nella dialettica autore-personaggi, che
opera entro la narrazione romanzesca in maniera che fatti prevalentemente
fittizi diventano convincenti grazie alla presentazione fattane dall'autore. Uno
dei risultati più importanti del romanzo è l'uso dell'ironia, intesa come mezzo di distanziamento
soggettivo dagli avvenimenti descritti, del tutto assente nell'epica.
Nei romanzi inseribili nella linea biografica tutto l'intreccio appare privilegiare l'esperienza,
cioè l'avventura di un particolare individuo al fine di descrivere una realtà in cui tutti possono
ritrovarsi. L'organizzazione dei romanzi di questo tipo è che i diversi spunti narrativi tendono a
essere razionalizzati e ordinati nel quadro del racconto di una vicenda individuale, questi romanzi
privilegiano le concatenazioni di tipo causale, applicando i canoni della biografia a una materia
diversa da quella angiografica. Ma il tratto che distingue simili biografie fantastiche, dalle Vitae
sanctorum o dalle Vitae di re e santi, è il fatto che il racconto viene di solito tagliato prima della
conclusione naturale: mentre i testi angiografici narravano la storia dei loro protagonisti fino alla
morte, i romanzi cavallereschi rifiutano di far posto ai segni della dipendenza dell'uomo dal potere
divino, e di conseguenza si fermano al momento in cui il protagonista raggiunge l'apice del
successo mondano e dalla perfezione morale.
Strettamente connessa al principio di causalità è l'ideale di progresso, di perfezionamento. A questo
sottogenere di romanzo biografico sono state apposte le etichette di Bildungsroman o di
Entwicklunsroman (formazione), in esso Bachtin ha scorto che il momento più intenso e motivato
diventa rapporto fra l'esperienza del protagonista e la realtà che è rappresentata come la vera e
propria scuola che forma il carattere del personaggio e ne determina la concezione del mondo. Cioè
il riflesso formale della base filosofica del Bildungsroman è legata al riconoscimento di un marcato
dualismo fra io e mondo, risolvibile solo a prezzo di un'ideale interiorizzazione della realtà.
I romanzi della linea enciclopedica appaiono per contro organizzati in senso centrifugo, dal
momento che la vicenda individuale rappresentata tende a organizzarsi, caricarsi di senso, in un
quadro globale della realtà: il racconto diventa così un mezzo e talora un pretesto per fornire al
lettore le autentiche coordinate per la conoscenza del mondo. I grandi esempi di romanzo
enciclopedico appartengono a fasi più avanzate dell'evoluzione del genere. Il vero punto
d'arrivo di questo romanzo è costituito dal grande ciclo in prosa della Vulgate summa di
materiali non solo letterari, ma anche storico-morali e religiosi, o meglio ancora Bibbia
laica, in cui la rigorosa scansione cronologica del racconto fornisce, come nel libro sacro, la
decisiva garanzia di verità per la rivelazione comunicata.
ALTRE CATEGORIE DESCRITTIVE: romanzo fantastico/ romanzo realistico/ romanzi
antichi: appartengono a un gruppo di testi cronologicamente, tematicamente e ideologicamente
compatti come ad esempio il Grundriss der romanischeb Literaturen des Mittelaters,
il quale suddivide le narrazioni duecentesche in versi, in tre gruppi: romanzi
nei quali Galvano è protagonista, romanzi di quête, e romanzi di declino
meraviglioso.
I romanzi di quête dovrebbero essere accomunati fra loro da un particolare tipo di struttura, mentre
quelli su Galvano, il nipote prediletto di Artù, dovrebbero trovare il loro comun denominatore nella
figura del protagonista, indipendentemente dalla struttura che li caraterizza.
GLI ALBORI: il più antico testo è il Roman d'Alexandre, secondo il traduttore tedesco
Lamprecht l'opera sarebbe attribuita a Alberich von Bisinzo (Pisançon). Il testo è localizzabile
nell'area d'oil, e probabilmente in territorio franco-provenzale. Di questo Roman d'Alexandre
rimane solo un frammento di 105 octosyllabes, ripartiti in lasse monorime, che variano da sei a
dieci versi. Il secondo in ordine cronologico dei testi romanzeschi è il Roman de Brut, 1155, del
chierico normanno Wace, autore anche di una cronaca relativa ai duchi di Normandia, il Roman de
Rou. L'opera di Wace è una traduzione, in qualche punto ampliata, della Historia Regum Britanniae
di Goffredo di Monmouth (1135). probabilmente contemporaneo al Brut, ma da localizzare in area
franciana è l'Apollonius de Tyr, di cui resta solo un frammento di 52 versi, conservato alla
biblioteca municipale di Danzica. Poco posteriore a questo sarà poi un'altro frammento
dell'Alexandre composto di circa 785 decasyllabes ripartiti in lasse di ampiezza assai irregolare (dai
6 ai 28 versi) e sembra dunque ancora voler fare riferimento, sul piano metrico, più ala c-g che al
romanzo.
Alexandre: la grande fama del condottiero macedone era rimasta viva fino al XII secolo per
merito di compilazioni, più fantasiose che storiche, non solo di ambito greco o latino ma anche
arabo, ebraico e persiano. Il primo tentativo di trasposizione in volgare della sua leggenda si colloca
a ridosso della I° crociata, che portò a un intensificarsi delle relazioni con l'Oriente e di
conseguenza il testo di Aberic nella direzione del romanzo. La struttura del romanzo è già di tipo
biografico. Narra infatti la vita di Alessandro, iniziando dalla sua nascita. Purtroppo la
frammentarietà non consente di affermare con sicurezza se le vicende dell'eroe erano portate avanti
fino alla sua morte, oppure se arrivano fino a un qualche suo grande exploit come succederà poi
con i veri e propri romanzi cavallereschi. Comunque stessero le cose il frammento di Alberic non va
oltre la scena dell'adoubement cavalleresco del protagonista. Nel testo di Alberic tutto tende a far
risaltare l'individualità dell'eroe: la sua stessa descrizione fisica serve proprio a dare corporietà a
questo precoce e inusitato paradigma medievale di homo faber; e il racconto della sua educazione,
in cui gli insegnamenti di carattere militare si mescolano con quelli di carattere culturale, vuole
evidentemente fornire le basi logiche al suo futuro successo. Il testo in decasyllabes continua sulla
stessa strada, dando ulteriori elementi al quadro dell'educazione laica di Alessandro: gli vengono
insegnate le sette arti liberali, il diritto e la falconeria. Ma in più l'eroe diventa un'esplicito modello
di cortesia e di liberalità: sa infatti corteggiare le dame e riempire di doni i suoi più fedeli cavalieri.
Gli aggettivi prode, generoso e cortese costituiranno d'ora in poi la triade fondamentale di attributi
risevati ai protagonisti di romanzi medievali.
Con l'Apollonius de Tyr siamo ancora nell'antichità greca, un'antichità greca però storicamente non
attendibile, anzi sicuramente di fantasia, benché non paia molto probabile che gli autori medievali
distinguessero fra la storicità di un Alessandro Magno e la non storicità del sedicente re di Tiro.
Siamo ancora in una dimensione biografica: l'Apollonius è il prototipo del romanzo d'avventure,
erede della tradizione greco-bizantina; ma rispetto ai testi che di quella tradizione facevano parte
sembrava avere un elemento in più: la voluta interconnessione fra avventure e vicende amorose.
Infatti tutto ciò che capita ad Apollonio è conseguenza dell'amore: per amore della figlia del re
Antioco egli accetta di risolvere l'enigma che il sovrano, colpevole di incesto, gli propone, e
smascherandolo, ne subisce poi l'ira, finendo esiliato e in povertà; invaghendosi di lui e sposandolo,
la pricipessa di Cirene innesca tutta una serie di peripezie che caratterizzano la seconda parte del
racconto. Destinata in seguito a trasformarsi in parabola moralistica, la storia di Apollonio si lascia
interpretare, nella sua prima fase della sua fortuna volgare, come un mirabile esempio di quel gusto
per la narrazione di vicende straordinarie e commoventi che avrà tanta parte del successo del
nascente genere romanzesco.
IL ROMAN DE BRUT: è un'opera completa provvista di explicit con tanto di data e forma. Nella
scena si affacciano personaggi dai nomi irrimediabilmente provinciali, che a malapena nascondono
la loro origine tradizionale. Nonostante le radici dei sovrani bretoni vengano connesse con la
prestigiosa progenide di Enea, il Brut, eroe eponimo della Bretagna e fondatore della dinastia, altri
non sarebbe che un vagabondo nipote del pio troiano. La vicenda del suo regno costituisce il vero
centro logico e sentimentale del Brut, essendo vista come il punto più alto della parabola dinastica
bretone, e insieme come il momento della massima espansione territoriale della narrazione: Artù
avrebbe infatti conquistato l'intera Francia e minacciato perfino Roma.
L'andamento del Roman de Brut è di tipo cronastico. Il racconto ha lo scopo di generare una
conoscenza, di far oltrepassare il limite che separa ciò che è conosciuto e ciò che non lo è. Quel che
può distinguere il genere storiografico dal genere romanzesco è la produttività tematica del
secondo: mentre i materiali che confluiscono nel discorso storico esauriscono in se stessi il
potenziale informativo, i materiali romanzeschi sono in grado di produrre ulteriori materiali per cui
ogni testo può essere il punto di partenza per infiniti altri testi. Questa diversa potenzialità
comunicativa si vede nettamente proprio nel Roman de Brut, da questo punto di vista, può essere
considerato un ibrido dei due generi.
Sono altri gli episodi in cui dominano i tratti di carattere psicologico e sentimentale a godere di
straordinaria fortuna, con riprese e sviluppi: l'episodio del tradimento della regina Ginevra, moglie
del sovrano, e di Mordret, suo nipote, primo dei grandi adulteri che segneranno il cammino del
romanzo e che qui addirittura determina la fine del potere di Artù. Infine il tema della tavola
rotonda, unica innovazione di rilievo apportata da Wace rispetto all'Historia Regum Britanniae. I
cavalieri si siedevano circolarmente, per evitare dispute d'onore, e i partigiani di
un'origine clericale vedono alla base di questo tema un particolare tipo di rappresentazione
tardoantica e medievale dell'ultima cena, in cui alla tavola di cristo veniva appunto data forma
circolare. La tavola rotonda diventa l'autentico emblema del rapporto armonico che si instaura fra
monarca felicemente primus inter pares e i migliori cavallieri del mondo, che accorrono, attratti
dalla sua fama, per dedicarsi a un servitium privo di qualsiasi costrinzione. Qui è lo scarto decisivo
fra l'ideologia che sorregge il romanzo e l'ideologia corrente dell'aristocrazia feudale, così come si
incarnava nell'epica: il rapporto Artù-cavalieri della tavola rotonda non riproduce il reale rapporto
sovrano-vassalli dell'area franco-britannica. Nel romanzo si affaccia l'utopico tentativo di rivalutare,
con la benedizione del monarca il ruolo della classe cavalleresca. Dopo Wace veri
protagonisti non saranno più gli Alessandro o gli Artù, ma proprio i cavallieri, i
rappresentanti della feudalità subalterna.
GLI ANNI D'ORO: 1165-1180 il più antico dei grandi romanzi di quest'epoca è il Tristan
di Béroul, giunto privo di inizio e finale. In anni assai vicini al 1170 troviano le opere di due
autori "rivali": Chrétien de Troyes e Gautier d'Arras. Il primo databile circa 1170 è Erec et
Enide, il più antico rimanzo di Chrétien, dal racconto traspare una buona conoscenza
dell'Inghilterra, e gli ampi riferimenti a Nates lascerebbero suporre che all'epoca della
composizione dell'erec l'autore fosse piuttosto attento agli interessi della monarchia
anglonormanna.
L'attività di Gautier d'Arras si svolge invece verso le corti feudali della Francia del nord e
del nord-est. Eracle è il più antico dei suoi romanzi databile al 1170 circa.
Fra il 70 e il 75 viene di solito collocata la leggenda di Tristano e Isotta di Thomas detto
d'Angleterre. A lui sicuramente è posteriore il secondo roanzo di Chrétien, Cligés, databile
fra 1776/77. mancano precisi riferimenti alla committenza dell'opera, ma si può forse
ritenere che in questo periodo l'autore fosse già entrato in contatto con la corte di Maria di
Champagne alla quale dedicherà il Lancelot. Contemporaneamente al Lancelot possiamo
collocare anche l'Yvan, forse l'opera di Chrétien meglio strutturata e più convincente dul
piano della resa psicologica de personaggi. L'ultimo romanzo dell'autore è il Conte du
Graal, meglio conosciuto come Perceval, nome del giovane protagonista.
Attorno al 1180 è collocabile il secondo romanzo di Gatier, Ille et Galeron dedicato a
Beatrice di Borbogna, moglie di federico di Barbossa, ma con un'occhio di riguatrdo anche
per Thibaut V, conte di Blois, ricordato già nell'Eracle.
LA LEGGENDA DI TRISTANO E ISOTTA: questa è una storia di adulterio; è storia di
passioni forti non solo erotiche ma anche civili (Tristano è nipote ed erede presuntivo di re Marco,
marito di Isotta, e i vassalli che tentano di perdere i due amanti denunciandoli al re lo fanno in
primo luogo per invidia del grande potere di Tristano). Tristano e Isotta ricorrono all'inganno e
perfino allo spergiuro pur di sottrarsi all'ira di Marco.
Questa leggenda affonda le sue radici nel terreno mitico della Gran Bretagna e dell'Irlanda. Non si
può affermare con sicurezza in che momento i nuclei leggendari abbiano per la prima volta trovato
un sistema coerente, un archetipo di tutte le versioni rimaste; archetipo che ormai si tende a
immaginare come una version commune della leggenda, testimonianza dal poema di Béroul, dal
Tristan del cavaliere tedesco Eilhart von Orberg e dalla cosiddetta Folie di Berna, racconto
compendiario degli episodi salienti della vicenda evocato dal protagonista che si finge pazzo.
Partendo dal più completo testimone della version commune, l'originario romanzo doveva abbracire
tutto l'arcodell'esistenza di Tristano, dalla nascita fino alla morte, causata dalla menzogna di Isotta
dalle Bianche Mani, moglie mai amata proprio a motivo dell'insoportabile passione per l'altra Isotta.
In preda ad acuta gelosia, la moglie gli farà credere che la regina di Cornovaglia non ha risposto alla
sua estrema richiesta di aiuto. Tristano era stato colpito con un'arma avvelenata e solo la vera Isotta
può curarla.
Al centro di tutta la vicenda il tema sell'amore fatale e invincibile, causato da un filtro magico che
avrebbe dovuto legare Isotta al suo promesso sposo, re Marco, e che invece, per errore, l'ancella
Braganiana serve alla padrona e a Tristano, durante il viaggio che conduce la fidanzata del re,
principessa irlandese, in Cornovaglia. Da quest'amore e attorno a questo si sviluppano tutte le
avventure, episodi dove Tristano mostra spesso tratti espavaldi e burleschi, certo poco cortesi.
Pur accogliendo, nelle linee generali, questo quadro della leggenda, Béroul vi apporta alcune
modifiche. In primo luogo, nel suo romanzo non appare traccia della storia dei genitori di Tristano,
sicché il suo amore con Isotta non ha da dividere con nessun altro episodio sentimentale il ruolo di
fulcro della vicenda, poi l'autore limita a tre anni l'effetto de filtro; i due amanti si rendono conto
che la loro passione non vale tante pene e tanta miseria e incaricano l'eremita Ogrin di trattare un
rientro dignitoso a corte e il perdono per Isotta. La mancanza della parte conclusiva del poema
impedisce di capire in quale maniera Béroul abbia condotto il necessario riavvicinamento dei due
innamorati.
THOMAS D'ANGLETERRE, ripetto a Béroul, mira a rendere il rapporto fra Tristano e Isotta del
tutto credibile sul piano psicologico: al filtro egli aveva attribuito una durata eterna e non
temporanea, ma, al tempo stesso, ne aveva in certa misura sminuito il valore effettivo, riducendolo
da causa a simbolo di un amore invincibile. A questo punto vengono in primo piano gli impulsi e le
motivazioni individuali, Thomas sa descrivere con precisione la situazione sentimentale dei due
amanti, e la sa rappresentare attraverso monologhi di rara penetrazione psicologica e abilità
argomentativa, nei quali la maniera ovidiana viene brillantemente surclassata. Ciò che Thomas vuol
far risaltare è l'atteggiamento problematico di Tristano e Isotta rispetto ai nuovi modelli di
comportamento veicolati dall'ideologia cortese. Thomas coninvolge, attraverso i dialoghi, il
pubblico grazie a richiami e asserzioni in prima persona; egli introduce così una tecnica
dell'intervento dell'autore che poi Chrétien de Troyes e i suoi succesori utilizzeranno ampliamente.
La condanna degli amanti al rogo, l'acrobatica fuga di Tristano, la consegna di Isotta ai lebbrosi,
costituiscono un nuovo percorso entro la leggenda caratterizzato da episodi di valore più simbolico
che avventuroso. La strada del simbolismo, che Thomas soltanto imbocca, è la strada del romanzo
come exemplum, come grande favolosa allegoria di situazioni e impulsi comuni agli uomini di
eletto sentire: sulla scia di Thomas i migliori romanzi diventeranno rappresentazioni splendide e
arcane di storie d'amore di cui qualsiasi fruitore vorrebbe essere protagonista.
CHRéTIEN DE TROYES: l'autore non sembra essere più interessato a mettere in risalto i
presunti legami fra il regno arturiano e il mondo classico, per contro, valorizza un tessuto
leggendario celtico che Goffredo e Wace solo in parte avevano utilizzato. Fin dal prologo della
prima opera, l'Erec, il poeta esibisce le fonti delle suetrame; si tratta appunto di fonte in larga parte
diverse da quelle fdella Historia o del Brut, probabilmente in origine non sempre connesse con la
leggenda arturiana. Da Chrétien in avanti l'opera di strutturazione romanzesca dei materiali
tradizionali tenderà a fare della corte di re Artù il quadro di organizzazione di tutti i temi di
derivazione. Resta notevole il fatto che Chrétien ha ignorato i significati e i simbolismi mitico-
fantastici della matière cui pur proclamava di rifarsi. In effetti è lui stesso a sostenere di aver dotato
di un nuovo sen quei racconti tradizionali che tanto piacevano al pubblico. Leggende di rivalità
amorose e guerriere, di combattimenti contro esseri fantastici, di conquiste di talismani magici
vengono riscritte in una duplice chiave: nella chiave di storie dell'autoaffermazione personale e
sociale del protagonista attraverso le avventure, avvenimenti come chiarisce l'etimologia, il cui
senso ultimo sembra quello di carta al tornasole del valore del cavaliere; nella chiave di storie della
sua educazione sentimentale, che non può che essere educazione all'amor cortese. Investiti di questi
nuovi significati, i materiali tradizionali dovevano anche venir montati in maniera nuova, ossia
venir ordinati secondo una particolare conjointure. Si direbbe che Chrétien abbia semrpe inteso
costruire le sue opere in maniera tale che, senza diventare veri e propri romanzi a tesi, esse
dibatessero cmq da diverse angolature il cruciale rapporto fra militia cavalleresca e amore: se la
trama dell'Erec e dell'Yvan appare nettamente contrassegnata dal tentativo di conciliare
dialetticamente i due termini, Cligès e Lancelot risutano orientati nel senso di un'affermazione della
superiorità dell'amore, mentre nel caso del Perceval sembra balzare in primo piano il problema
dell'autocoscienza dell'eroe, quasi en dépit delle regole di comportamento cavalleresche e cortesi.
EREC E YVAIN: l'avventura e l'amore, quasi gemelli nella struttura e nella questione di fondo
proposta si direbbe, l'aspetto più ottimistico dell'ideologia del loro autore. E questo non solo per il
lieto fine delle due trame a per la volontà di presentare come positivamente risolvibili i problemi in
essi sollevati.
Nell'Erec quanto nell'Yvain, il rapporto fra i protagonisti maschili e il potere non si configura piùnei
termini epoco di rapporto fra signore e vassallo. I due giovani protagonisti si muovono in un
universo ancora governato dalle leggi feudali, ma il loro comportamento sembra prescindere da tali
leggi, o meglio sembra non viverle più in maniera problematica e conflittuale. Il signore, Artù, è in
effetti una figura sempre più statica e passiva, e l'autoaffermazione dei vassalli sembra realizzarsi al
di fuori del sistema feudale. Tanto l 'Erec quanto l'Yvain, pur nominalmente figli di re, si trovano
all'inizio del racconto senza fudo, esattamente come gli eroi epici: però la loro strategia di conquista
del successo prescinde da qualsiasi intervento del signore; Artù né li spinge, né li investe di un
qualsivoglia ruolo ufficiale. Per di più questa strategia di conquista viene presentata in termini il
meno possibile materiali, e piuttosto come un itinerario verso la gloria, pur attraversando differenti
strade, entrambi i romanzi hanno come sbocco il combattimento: combattimento contro altri
cavalieri, contro giganti ed esseri diabolici, perfino contro animali.
Ciò che invece mostra un preciso intento di strutturazione simbolica del racconto è di tipo di
sequenza in cui questi combattimenti si trovano inseriti; più, acatamente forse nell'Erec, un pò meno
nell'Yvain, essi si dispongono in un crescendo d'importanza e di difficoltà, culminante in una prova
di alto significato sociale che solo un cavaliere allo stadio ultimo del suo perfezionamento può
essere in grado di compiere. In ambo i casi la sequenza degli episodi riceve però il suo vero senso
dall'andamento delle rispettive storie d'amore dei protagonisti. I loro exploits iniziali sono finalizzati
a quel matrimonio che in effetti chiude la prima parte del racconto. Ma per le due coppie Erec et
Enide, da un lato, Yvain e Laudine, dall'altro, il matrimonio non signifia affatto l'automatico
raggiungimento di un'armoniosa ed equilibrata felicità. Infatti quando inizia la seconda parte di
ambo le vicende, le due unioni entrano in crisi per una simmetrica disarmonia: Erec,
eccessivamente preso dalla moglie, trascura l'esercizio delle armi, mentre Yvain, trascinato da
Galvano in tornei e giostre, dimentica completamente Laudine. Così la sequenza progressiva delle
avventure che caratterizza tale seconda parte diventa lo strumento del definitivo riequilibrio della
situazione interiore dei personaggi: Erec dimostra a Enide che l'amore non ha offuscato il suo valore
guerriero; Yvain recupera l'affetto di Laudine.
CLIGèS E LANCELOT: l'avventura dell'amore. Nel Cligès e, ancora più nel Lancelot, è l'amore
che genera le avventure, questi due romanzi sono i prototipi di una lunga serie di storie in cui tutto
ciò che accade sembra acadere in funzione e per conseguenza del fatale rapporto che lega i
protagonisti. Nei due testi la conjointure diventa come l'estensione e la concretizzazione di un
particolare stato psicologico: nel Cligès gli oppositori tentano di contrastare la felicità dell'eroe e di
Fenice, sposa del vecchio imperatore di Costantinopoli, zio dello stesso Cligès. Nel Lancelot
l'itinerario avventuroso dell'eroe, protagonista di una storia d'amore decisamente adultera, è
l'esteriorizzazione del conflitto fra una concezione ragionevole e una folle dell'amore. Solo quando
avrà imparato che in amore non bisogna essere saggi e misurati Lancelot riuscirà a godere della
perfetta felicità accanto della regina. Il vero e grande amore sarà spesso d'ora in poi presentato non
solo, ovidiamente ma come passione che fa perdere il senso della realtà.
Entambi dunque romanzi d'amore adultero, Cligès e Lancelot non sono cmq uniti da vistose affinità
strutturali come l'Erec e l'Yvain. Il Cligès, opera estremamente costruita, riposta polemica alla
leggenda tristaniana, ne controbatte l'assunto fondamentale esibendo una marcatissima mimesi
tematica. Come Thomas aveva prima raccontato la vicenda di T&I, così Chrétien precedere la
vicenda di Cligès e Fenice da quella di Alexandre e Soredamor, i genitori del protagonista; ma
mentre la storia dei genitori di T&I è solamente destinata a un chiarimento d'ordine genealogico,
quella dei genitori di Cligès sembra voler sottolineare le naturali originarie virtù del protagonista
(nipote di Artù). Anche Tessala, la nutrice di Fenice, prepara a più riprese un filtro per la sua
padrona, ma il filtro serve qui a evitarela consumazione del matrimonio con l'imperatore, e dunque
a impedire quell'adulterio che l'altro filtro aveva invece favorito. Per bocca della protagonista
ancora una volta l'autore afferma il suo personale credo sul rapporto amore-matrimonio, prendendo
le distanze sia dall'etica corrente sia dall'antimorale trobadorica affermata nella stessa leggenda
tristaniana; no dunque a un matrimonio visto come puro espediente dinastico a ciniche separazioni
in nome di elette scelte sentimentali.
Quanto a Lancelot il modo di procedere di Chrétien è parso a molti incoerente rispetto alla sua
opera anteriore tanto da spingerli a enfatizzare il significato della chiamata in caisa di Maria di
Champagne: solo per compiacere alla sua illustre protettrice, l'autore avrebbe accettato di svolgere
un tema a lui niente affatto congeniale. Non è certo il triangolo adultero il centro focale del
Lancelot. È il racconto del rapimento della moglie di un capo; gli sviluppi della vicenda ignirano
totalmente la figura e l'eventuale ruolo del marito della donna rapita; chi si incarica della sua
liberazione, sostituendosi appunto al marito, è l'amante, ossia Lancilotto, il più prode cavaliere al
mondo. L'eroe libera non solo la regina, ma anche tutti i sudditi di Artù rapiti in precedenza da
Mélégant. Ci troviamo insomma davanti a una sorta di speculazione filosofica sulle radici e sugli
effetti sociali di un perfetto rapporto amoroso cortese. Il sentimento che lega gli amti assume
connotazioni quasi sacrali: Chrétien, con notevole audacia, prende a prestito il linguaggio religioso
per descrivere il culto che Lancilotto dedica a Ginevra.
PERCEVAL: l'avventura e il senso del mondo. Nel perceval l'ironia serve a mettere in luce il più
ambizioso romanzo di Chrétien. Sull'onda dell'emozione suscitata da un fugace incontro con cinque
cavalieri di Artù, Perceval, adolescente che la madre ha fatto vivere in piena foresta, si illude di
potersi realizzare poenamente militia cavalleresca. Per puro istinto, senza nemmeno sapere cos'è
l'avventura, Perceval inizia una quête (avventura) apparentemente fine a se stessa. Nel corso della
quête egli si sforza di mettere a frutto gli insegnamenti morali e cortesi che la madre prima e poi un
maturo gentiluomo gli hanno impartito. Ma questi insegnamenti spingono il giovane ingenuo a
erronee interpretazioni degli avvenimenti nei quali sitrova coinvolto, e dunque erronee, inadeguate e
spesso buffe reazioni. Sono proprio gli scarti fra realtà e apparenza, fra situazioni oggettive e
reazioni del protagonista a essere messi in rilievo dall'ironia dell'autore: il poeta fa risaltare le
contraddizioni di un mondo che l'ideologia cortese dipingeva come perfettamente conoscibile e
dominabile dall'individuo.
Culmine diventa il Graal custodito dal Re Pescatore, cugino per parte di madre di Perceval. Col
Graal il giovane eroe si trova a dover fare i conti, rivelandosi decisamente non all'altezza del suo
compito: per un malinteso evita di porre le domande che gli avrebbero consentito di chiarire i
misteri legati al sacro talismano e lo avrebbero reso arbitro dei suoi poteri. Fino alla conclusione, o
meglio alla conclusione mancata del romanzo, ambiguo resterà il significato del recupero mitico: il
Graal e la Lancia che sanguina manterranno valenze del tutto antitetiche, dal momento che la loro
promessa di conquista porterà certo il benessere della Tere Gaste, regno del malato Re Pescatore,
ma segnerà anche la rovina del regno artutiano. Così il colpevole silenzio di Perceval salva la corte
di re Artù, metre l'entusiatica quête di Galvano, il campione per eccellenza della Tavola Rotonda,
vero protagonista della seconda parte del romanzo, appare in prospettiva destinata a un esito
apocalittico.
GAUTIER D'ARRAS: la prima parte del suo Eracle è giustamente sembrata a molti un'ennesima
variazione sul tema dell'adulterio; il prologo dei Ille et Galeron lascia d'altra parte capire che
l'autore mirava a uno sforzo di emulazione intendendo, al tempo stesso, crearsi uno spazio
autonomo. Il tratto più saliente della personalità di Gautier è costituito dalla sua abilità nel
manipolare e nell'accostare le fonti più disparate. L'Eracle combina uno spunto tipicamente storico-
agiografico con motivi avventurosi e galanti, se non cortesi, come quello dell'adulterio della moglie
dell'imperatore romano Lais, di cui il giovane Eraclio, ancora agli inizi della carriera, è consigliere.
Quanto alla tecnica narrativa, a un certo sforzo del realismo e di penetrazione psicologica si
giutappone la ricerca di effetti straordinari, di meraviglioso che qui assume i caratteri del
miracoloso di tradizione biblico-cristiana.
In Ille et Galeron, un'assai più compatta costruzine narrativa nasconde a sua volta la varietà
dell'spirazione. L'idea di partenza sembrerebbe bretone, dal momento che Gautier recupera la trama
di un lai di Maria di Francia, Eliduc. Però non solo la storia viene spostata avanti di una
generazione, vent'anni dopo, avendo protagonista il figlio dell'eroe eponimo del lai di Maria, ma il
teatro della vicenda si trasferisce a Roma. Si tratta di una Roma ideale e fuori dal tempo, in cui
convivono papato e impero, simile a quella che fa da Alfonso a tante storie edificanti del Medioevo
francese.
Ille et Galeron è la storia di un uomo combattuto dall'amore per due donne. Qui si tratta della
moglie, da cui una serie di vicissitudini l'ha portato a separarsi, e di una giovane attraente altolocata
fanciulla. Sarà alla fine l'amante ad avere partita vinta: la leggitima moglie uscirà di scena,
ritirandosi in un monastero. Gautier si sforza però di motivare psicologicamente il comportamento
del suo eroe: se Ille si allontana dalla moglie è perchè ha perduto un'occhio in combattimento e
teme di non essere più gradito.
AVVENTURE, AMORE, EDIFICAZIONE TRA FINE DEL XII E INIZI DEL XIII:
dal 1180 al 1210 circa troviamo diverse tendenze compositive, raccogliendo la tradizione di
Albéric de Pisançon. Importante sarà Lambert le Tort con il suo Alexandre de Bernai: Dal Roman
D'Alexandre recupera diversi elementi uno dei testi narrativi più interessanti del medioevo francese,
il Partonopeu de Blois; si tratta di un vero e proprio romanzo fiume e ben presto tradotto in quasi
tutte le lingue europee. Il Partonopeu fu composto allo scopo di glorificare la potente famiglia dei
conti di Blois, mettendone in risalto la parentela con i re di Francia.
Sul finire del secolo o poco oltre, il Bel Inconnu, breve romanzo scritto probabilmente da un
dilettante originario della regione a nord di Lione, Renaut de Beaujeu, adatta alla materia arturiana
alcune delle tecniche lanciate dal Partonopeu e in particolare la tecnica dell'intervento dell'autore di
carattere metatestuale.
In questo stesso perioso l'area anglonormanna viene elaborando un tipo particolare di narrazione:
l'ancestral romance, in cui motivi avventurosi e motivi edificanti si saldano allo scopo di esaltare
leggendarie figure di antenati delle grandi famiglie feudali inglesi. Per esempio Waldef, una
biografia romanza di uno storico progenitore dei re di Scozia, e il Guillaume d'angleterre, di tale
Crestiiens, che celebra gli antenati della famiglia di Lovell.
Sempre a cavallo fra i due secoli si situano le opere narrative del cavaliere
borgognone Robert de Boro, il Joseph d'Arimathie, il Merlin e probabilmente
un Perceval, quali costituivano un vero e proprio ciclo.
Alla fine del ultimo ventennio del XII secolo Alexandre de Bernai porta a definitivo compimento la
biografia romanzesca del condottiero macedone, iniziata 50 anni prima da Pisançon. Quest'ultimo
Roman de Alexandre mantiene una fisionomia ben definita, in linea coi suoi precedenti, evitando di
appiattirsi sui modelli narrativi vincento di un tipo cortese arturiano. Il suo stile è abbastanza simile
a quello epico e con una certa tendenza didattico morale. Alexandre de Bernai sembra concepire la
propria opera come una sorta di speculum principis, di manuale di educazione al potere per i signori
feudali e gli stessi monarchi contemporanei.
Alessandro esplora e conquista l'India, scoprendone i prodigi naturali e le straordinarie ricchezze, si
libera in cielo sollevato da grifoni, si fa calare, con una sorta di batiscafo, negli abissi dell'oceano,
diventando un modello dell'Ulisse dantesco. E influenzò il Roman de toute chevalier di Thomas di
Kent, o il Florimont di aimon de Varennes con ambientazione in una Grecia più o meno storica; Il
Florimonto rende vistosi sul piano tematico i suoi rapporti con l'Alexandre, proponendosi come
storia di un immaginario antenato (il nonno) del re Greco.
Nel Bel Inconnu, romanzo di ambientazione arturiana, Renaut de Beaujeu va oltre, sostenendo
addirittura di essere pronto a mutare il corso della storia, se ciò può fare piacere all'amata: per la
prima volta i romanzieri medievali sembrano aver coscienza della natura fittizia della loro
produzione.
ANCESTRAL ROMANCES: Il Guillaume d'Angleterre può essere considerato uno dei migliori
esempi di un particolare sottogenere romanzesco che si sviluppa nell'Inghliterra normanna a partire
dalla fine de XII e che prende l'etichetta di ancestral romance.
Recuperando in parte la trama del Apollonius Tyr, il Guillaume d'Angleterre narra le peripezie
di un leggendario re Gugliermo, che è duramente messo alla prova: privato del regno, viene
separato dalla moglie e dai figlioletti; ridotto in assoluta povertà è costretto a darsi alla mercatura,
finché una serie di felici colpi di scena gli faranno ritrovare la famiglia e lo reintegreranno sul trono
inglese.
Nel Guillaume d'Angleterre si mescolano i due registri dell'avventuroso cavalleresco e
dell'edificante che daranno il tono a tutto il sottogenere. È questa la prova del successo di un
modello romanzesco che ha presto perduto le originarie motivaziono etnico-politiche, per
trasformarsi in strumento di autoesaltazione di una classe aristocratica che rivendicava il proprio
diritto al potere di cotro alle tendenze sempre più assolutistiche della monarchia.
Ai fini edificanti di natura per nulla episodica e strumentale risponde invece la trilogia graaliana di
Robert de Boron, egli collega la storia del Graal alla leggenda medievale relativa a giuseppe
d'Arimatea. La trilogia si pone come una grande e coerente storia della salvezza, il cui emblema è
costituito dal Graal. Robert lo identifica senza esitazioni con la scodella usata da Gesù nell'Ultima
cena, nella quale poi Giuseppe avrebbe raccolto, ai piedi della croce, il sangue del salvatore.
Nel Joseph viene descritta la preistoria del culto del santo vaso, i cui i sacerdoti altro non sono che i
discendenti di Bron, cognato di Giuseppe. Essi trasportano la reliquia dalla Palestina in Inghilterra e
si tramandano di padre in figlio con il compito di custodirla in un luogo nascosto e per godere delle
gioie spirituali che essa procura. La reliquia arriverà a Eletto, pronipote di Giuseppe, che altri non
sarebbe se non Perceval, destinato a realizzare tutte le profezie connesse col Graal. Molte di queste
profezie riguardano la sorte del regno arturiano di Logres e sono attribuite da Robert al Merlino, il
protagonista del secondo romazo. La figura di Merlino appartiene alla più antica tradizione bretone
ed è una sorta di tutore soprannaturale di re Artù, ma allo stesso tempo profeta delle future gloriose
sorti del regno inglese. Robert per primo connette l'attività profetica del mago con il mito del Graal,
legando dunque la parabola del regno arturiano, e della cavalleria che ne è il fulcro, alla storia della
redenzione dell'umanità. Narra una tradizione locale che fu il conte Thierry di Fiandra a portare a
Bruges dalla terra santa un'ampolla con il sangue di cristo che si diceva raccolto da Giuseppe, fu
invece, secondo Chrétien, il figlio di Thierry, Filippo, a consegnargli il livre su cui si fonderebbe il
Perceval: il caso ha voluto che due membri di una medesima dinastia abbiano dato l'impulso
decisivo al costituirsi nel suo diplice, antitetico aspetto di una delle leggende più affascinanti del
medioevo.
XIII secolo: ai primi anni del duecento datano i più antichi e parziali tentativi di portare a
compimento il Perceval di Chrétien de Troyes: si tratta della cosiddetta Continuation Gauvain,
focalizzata sulle avventure del nipote di Artù, che tenta di dare un seguito alla vicenda dell'eroe
eponimo, senza peraltro arrivare a chiudere il racconto. Sotto il nome di Renart vengono scritti die
romanzi, l'Escoufle, dedicato a Baldovino VI, conte di Hainaut e Fiandra, che con la IV crociata
diventerà re di Costantinopoli, e il Galleume de Dole, dedicato a un alto prelato di Remis.
Fra l'escoufle e il Guillaume de Dole va collocato il Galeran de Bretagne di un certo Renaus. A
Gebert de Montreuil verranno assegnate due opere: il Roman de la Violette e un'ennesima
continuazione del Perceval. Spiccheranno poi il Méraugis de Portlesguez, di Raoul Houndec, che
alterna prove di romanziere arturiano a esperimenti entro quel genere allegorico che si svilupperà
nella seconda parte del secolo, e il Jaufré. Un'articolata rilettura mistica della saga arturiana è cmq
alla base dei primi romanzi in prosa come il Lancelot, la Oueste del Saint Graal, la Mort le Roi Artu
e l'Estoire del Saint Graal, composti probabilmente fra il 1215 e il 1235; hanno una struttura ciclica.
Anche altri due grandi celebri romanzi in prosa duecenteschi, il Tristan e il Guiron lr Courtois,
vanno collocati nello stesso arco di tempo fra il 30 e il 40.
ROMANZI ARTURIANI: ragruppabili sulla base di noto/nuovo. Molti di questi testi raccontano
le gesta dei personaggi che la tradizione romanzesca del secolo precedente aveva portato a grande
celebrità: come Galvano, Perceval e Lancilotto. In altre opere, invece, i protagonisti sono degli
sconosciuti. Ben differente appare la struttura dei romazi dell'uno o dell'altro gruppo: quelli che
raccontano le gesta di personaggi noti sono di solito costituiti da una sequenza più o meno ampia di
avventure prive di qualsiasi gerarchizzazione e giustapponibili all'infinito: questo tipo di struttura
spiega l'enorme dilatarsi delle continuazioni del Perceval che a fatica imboccano la strada di una
conclusione poco soddisfacente. Nei romanzi che hanno a protagonista un personaggio privo di
pedigree letterario, avventure di carattere non molto diverso da quelle che entrano in gioco nell'altro
gruppo di testi, si saldano in una struttura ascendente, orientata nella direzione di una prova
conclusiva di maggior rilevanza: appare insomma la tipica fisionomia del racconto biografico.
Uno degli esempi più interessanti di questo tipo di romanzo arturiano è costituito dal Méraugis de
Portlesguez: molte delle situazioni descritte derivano da Chrétien, e il racconto procede con
naturalezza, senza monotonia né cadute di ritmo. Raoul per primo attua un'esplicita riscrittura in
chiave diegetica di situazioni e temi tipici dei generi dilemmatici provenzali. Nel Meraugis in un
intero episodio appare come la vistosaise en roman di un possibile partimem, con tanto di giudici
della maggior validità dell'una o dell'altra posozione. Meraugis, innamorato della bella Lidoine per
le sue doti d'animo, e il rivali Gorvain, avviando con questo giudizio, accettato dai due contendenti,
tutta la serie di peripezie del romanzo.
Scritto in provenzale i Jaufré è la prova del rinvigorisrsi di quei legami con la narrativa della
Francia settentrionale, sicuramente esistenti già in epoca anteriore: le testimonianze di trovatori
lasciano intendere che la materia di Bretagna circolava ampiamente nell'area occitanico-catalana.
Come il Meraugis, il Jaufré esibisce i suoi prestiti da Chrétien. Il romanzo provenzale si costituisce
sull'evidente falsariga del Perceval, giacchè risultano perfettamente sovrapponibili i due essenziali
motii della partenza dei giovani cavalieri dalla corte arturiana e dell'incontro con una fatale
fanciulla durante la quête: perceval si innamora di Blancheflor, Jaufre di Brunissen. Il suo recupero
è un'intero e schersozo, se non parodico, racconto. Il ritmo indiavolato imposto al susseguirsi delle
avventure del protagonista, il ricorso a situazioni e personaggi esagerati al punto da parere
caricaturiali, sembrano in vero la spia della volontà di non prendere e di non far prendere troppo sul
serio la materia narrata, sottolineandone il carattere fittizio.
DEFINIZIONI:
EPICA-> Un poema epico è un componimento letterario che narra le gesta, storiche o leggendarie, di un
eroe o di un popolo, mediante le quali si conservava e tramandava la memoria e l'identità di una civiltà o di
una classe politica.Il termine "epica" deriva dal greco antico (epos) che significa "parola", ed in senso più ampio
"racconto", "narrazione".L'epica narra in versi il mito, cioè il racconto di un passato glorioso di guerre, e di
avventure. L'epica è la prima forma di narrativa, ma non solo: costituisce anche una sorta di enciclopedia del
sapere religioso, politico ecc. Essa veniva trasmessa oralmente con un accompagnamento musicale da poeti-
cantori. I poemi epici di tutte le letterature si basano su un patrimonio di miti preesistente;
ROMANZO → Il romanzo è un genere della narrativa in prosa. Origini e caratteristiche fondanti del romanzo
sono argomento di dibattito tra gli studiosi. Certamente si può affermare che una premessa fondamentale del
romanzo moderno è da individuare nella prima produzione in lingua d'oïl (XI secolo): le narrazioni in versi di
questa tradizione, sia che recuperassero temi greco-romani sia che rielaborassero temi cavallereschi (cicli
bretone e carolingio), venivano indicate già allora con il termine roman[1]. Il principale carattere di novità
rispetto alle tradizioni narrative immediatamente precedenti (e al genere epico in particolare, con le sue
imprese militari collettive) è il modo diverso di porsi in rapporto col Tempo. Fa parte dell'arte moderna (nominata
contemporanea alla nascita del Romanzo) e necessariamente deve contenere quel modo di narrare nuovo e di
contrasto con l'arte del passato.
Il Medioevo amerà molto narrare le antiche leggende classiche, come nel Roman de Thèbes, nel
Roman d’Enéas, nel Roman de Troie, nel Roman d’Alexandre. A questo genere si accompagnavano
narrazioni di tipo fantastico e avventuroso, le favole d’armi e d’amori, le leggende di Tristano e
Isotta, e di Lancillotto e Ginevra del ciclo brettone, che conservarono per molti secoli l’immagine di
una società feudale e cavalleresca: il romanziere che, in pieno 12° sec., consacrò la fortuna di quel
ciclo fu Chrétien de Troyes, autore di un perduto Tristan, di Érec et Énide, diCligès, Lancelot,
d’Ivain, di Perceval. I racconti epici delciclo carolingio confluirono più tardi, e specialmente nelle
redazioni in prosa, succedute alle chansons de geste, in questo genere romanzesco, che fu caro a
tutte le letterature d’Europa.
LIRICA → La poesia lirica (Lyrica) è la definizione generale di un genere letterario della poesia che esprime in
modo soggettivo il sentimento del poeta ed attraversa epoche e luoghi vastissimi.
La parola lirica deriva dalla parola greca lyrikē, sottinteso poiesis, "(poesia) che si accompagna con la lira").
La lirica occidentale moderna nasce in Provenza dove, dalla seconda metà dell'XII fino al primo quarto del XIII,
fiorisce la poesia dei trovatori, che cantavano la gioia dell'amore in particolare il fin'amor (l'amore perfetto).
I provenzali accompagnano le loro poesie con il iuto ed elaborano particolari metri, come la ballata, il discordo,
l'alba, la pastorella, che esaltano la forma musicale del componimento.
Il motivo principale è il vagheggiamento della donna innalzata e sublimata in pura "femminilità" che influenzerà
tutta la successiva lirica
L'amor cortese è un termine creato dal critico francese Gaston Paris nel 1883 per indicare la concezione
filosofica, letteraria e sentimentale del concetto dell'amore, all'epoca del trobar dei poeti nelle corti provenzali, e
si basa sul concetto che solo chi ama possiede un cuore nobile.
RACCONTO → è una narrazione in prosa di contenuto fantastico o realistico, di maggiore ampiezza rispetto alla
novella e di minore estensione rispetto al romanzo. Chi si esprime nella dimensione del racconto normalmente
ne compone una serie, e il suo mondo interiore si estrinseca in una costellazione di racconti: ciascun testo, per
quanto in sé concluso va visto in collegamento unitario con gli altri appartenenti alla stessa raccolta. Se riferito ad
una specifica persona, il racconto - di formato più o meno esteso – diventa biografico. Se il racconto è scritto in
riferimento a sé stessi, si è davanti ad un racconto autobiografico. l'exemplum, il fabliau e il lai.
Il termine exemplum indica un genere letterario diffuso nel medioevo. Nel caso tipico si tratta del racconto di
una storia (dichiarata come vera) in cui il protagonista, grazie ad un determinato comportamento, ha raggiunto
un certo risultato, corrispondente di solito alla salvezza dell'anima. Spesso il racconto del fatto scaturisce da una
sentenza o da un momento della vita di un santo. Tali exempla venivano usati dai predicatori e, infatti, la
ragione del successo e della diffusione di questi racconti è collegata all'ascesa degli ordini mendicanti.
Successivamente tali racconti sono stati messi per iscritto, a volte dall'autore stesso. Si sono costituite vere e
proprie enciclopedie di exempla con rimandi e rinvii interni. Una di queste raccolte è l'Alphabetum
predicationum (XIV secolo), che presenta una notevole quantità di exempla in lingua volgare, o anche il Disciplina
Clericalis scritta dal clerico Petrus Alfonsi. Questi testi circolavano anche fra i laici.
Un fabliau (tradotto in passato con l'italiano "favolello") è un breve racconto in versi dalla trama semplice e
divertente, sviluppatosi in epoca medievale in Francia. I fabliaux sono testi per la maggior parte anonimi, ma si
suppone che siano stati composti soprattutto da clerici vagantes e giullari. Va ricordato che il più delle volte
venivano recitati anche da chi non era autore dei testi, com'era usanza nel Medioevo. storie d'amore di
ispirazione bretone, scritte con uno stile molto ricercato e con numerosi ricorsi al mondo magico e fantastico. I
temi più frequenti sono la sessualità (soprattutto gli adulteri), gli inganni, le disavventure; i protagonisti sono per
lo più borghesi o villani, con qualche eccezione aristocratica,
Il lai è una forma fissa della poesia del Medioevo, apparsa nel XII secolo e che in seguito designerà generi di
poesia assai diversificati. Nel Medioevo, questa parola era impiegata come sinonimo di «chant» (o piuttosto
storia cantata) o di «mélodie». Si distingue un lai narrativo, antenato del fabliau, e il lai lirico.
Lai lirico: Come quelli di questa epoca, i lais di Maria di Francia sono in ottosillabi e non sono soggetti ad alcuna
combinazione particolare di rime. Presto, invece di essere una narrazione continua, il lai diventa una canzone
propriamente detta, con stanze distinte, se non addirittura con ritornello. Il Lai de la dame du Fael, dello stesso
secolo, già soddisfa questa doppia condizione della canzone.
La novella è una narrazione in prosa breve e semplice (di modesto respiro), più breve di un racconto, nella quale
c'è un'unica vicenda semplice e in sé conclusa, colta nei suoi momenti essenziali, i cui personaggi si possono
facilmente ritrovare nella vita quotidiana. Essa nasce, non si sa con precisione dove e quando, nel contesto della
letteratura orale. La novella non è un genere letterario indipendente, poiché è inglobata all'interno di altri generi.
ALLEGORIA: L'allegoria è una figura retorica per cui qualcosa di astratto viene espresso attraverso un'immagine
concreta: in essa, come nella metafora, vi è la sostituzione di un oggetto ad un altro ma, a differenza di quella,
non si basa sul piano emotivo bensì richiede un'interpretazione razionale di ciò che sottintende. Essa opera
quindi su un piano superiore rispetto al visibile e al primo significato. letteralmente "un altro" + "parlare", vale a
dire: parlare d'altro, leggere tra le righe, sottintendere qualcosa che non è espressamente indicato in un contesto
determinato. Da ciò si può trarre, pertanto, che l'allegoria è quella figura retorica che esprime un concetto in
altro modo (attraverso simboli). <libro de la natura> <roman de renart> > <roman de la rose> <ensenhaments>
LETTERATURA DI VIAGGIO: La letteratura di viaggio è un genere letterario che si occupa del viaggio, delle
motivazioni e dei processi del viaggiare. Generalmente si riferisce all'atto di spostarsi da un luogo all'altro
compiendo un certo percorso. È detta anche narrativa di viaggio Illustra le persone, gli eventi, ciò che vede
l'autore che si trova in un paese straniero o un luogo inconsueto; può anche avere la forma del cosiddetto diario
di viaggio. Non è necessariamente un resoconto di ciò che prova l'autore-viaggiatore alla vista di nuovi territori o
all'incontro con nuove culture; si tende infatti a rintracciare una certa oggettività nei resoconti di viaggio
settecenteschi, epoca razionale, cosmopolita e antropocentrica, e una maggiore emotività e soggettività del
viaggiatore nel periodo del romanticismo, dei moti dell'animo. I prodotti estremamente eterogenei di tale
genere letterario consistono sostanzialmente in testi o narrazioni dotati di aspirazioni, dignità e
spessore artistico e narrativo, e che hanno per oggetto una o più esperienze di viaggio realmente
vissute dall'autore, e variamente motivate: dalla ricerca del puro piacere di viaggio, all'esperienza
dello spirito di esplorazione, o ricerca scientifica, fino a scopi e utilità del tipo più diverso, incluse le finalità
più pratiche. Raramente si riferisce a uno spostamento immaginario o onirico o a un itinerario fantastico
come quello dell'allucinazionedovuta all'effetto degli stupefacenti.
<il millione>