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Letteratura
Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano
94 pag.
del
Novecento
Solo in tempi recenti è iniziata la valorizzazione, da parte della ricerca storiografica sulla letteratura
per l'infanzia, della pubblicistica per ragazzi; accostandola nella ricchezza e complessità di
prospettive che essa presenta.
Una prima ricostruzione sistematica dei periodici per ragazzi si deve a G. Genovesi.
Si ricorda, poi, la trattazione nello sviluppo storico della letteratura per l'infanzia tracciata da Boero
e De Luca in La letteratura per l'infanzia.
Sono noti i limiti e i contesti che in passato hanno caratterizzato la riflessione critico-interpretativa
sulla letteratura giovanile, dovuti:
- a uno statuto epistemologico disciplinare relativamente giovane;
- a uno sviluppo che per lungo tempo ha orientato alla formazione magistrale, che necessitava di
una trattazione manualistica lineare in modo che potesse preparare all'esercizio dell'insegnamento
quotidiano e che offrisse trattati storico letterari.
→ L'analisi offerta da R. Lollo, Sulla letteratura per l'infanzia, dimostra che la riflessione critica
sulla disciplina ha seguito la via destinata alla preparazione dei futuri insegnanti e studenti negli
Istituti Magistrali.
Per l'emergere di spazi di ricerca diversamente orientati (centrati sul bambino visto come scolaro
ma anche come lettore → Sulla riflessione epistemologica circa le differenze di valutazione tra
lettore scolaro e bambino, rimangono fondamentali le ricerche di Laeng e Bernardinis. Quest'ultima,
in particolare, appare debitrice al pensiero di Rousseau che, nel riconoscere attenzione educativa al
bambino, lo sottrae di fatto in quanto lettore al circuito strettamente scolastico, mentre ne disegna
una fisionomia che si incarna innanzitutto nella sua formazione come umana persona.) sono state
fondamentali le linee di ricerca storico-educativa plurifattoriale che hanno permesso di recuperare
esperienze specifiche e minoritarie, di riportare l'indagine sulla letteratura per l'infanzia
all'interno della cultura in senso proprio.
Tale linea storiografica, che si riconosce nella tradizione della
rivista francese “Les Annales” e nel metodo di ricerca avviato
nella storia dell'infanzia da Ariès, è stata portata avanti nel
contesto italiano da molteplici studi, i quali si sono irradiati
(=illuminati) ben oltre di essa disegnando una pluralità di
apporti agli studi storico-educativi entro diverse categorie e
tra di esse figurano anche l'editoria scolastica e la letteratura
per l'infanzia. L'espressione di storiografia plurifattoriale è da
ricondursi alle ricerche di Roberto Sani.
In questa prospettiva si rendono possibili nuovi percorsi di approfondimento, ma allo stesso tempo è
chiesta una metodologia in grado di attraversare la disciplina nella sua complessità storico-
letteraria, pedagogica, mass mediologica ed editoriale e che veda come una risorsa interpretativa
l'intreccio di conoscenze disciplinari multiple.
La pubblicistica per ragazzi costituisce un territorio di confine con la cultura storico-letteraria da un
lato e l'epistemologia dall'altro.
Le copertine, così come le caricature, hanno il potere di catturare istantaneamente l'attenzione del
lettore e rimandano ad un “oltre” non definibile in modo univoco.
Le riviste per ragazzi accompagnano il cammino della cultura di consumo che, a partire dal tardo
Ottocento, vede nell'infanzia una nuova frontiera di espansione del mercato, compreso quello
editoriale.
L'infanzia non è solo al centro di nuove attenzioni educative, ma diventa protagonista degli interessi
pubblicitari dell'industria culturale. Nelle pagine di periodici come “Il Giornalino della Domenica”
e il “Corriere dei Piccoli” iniziarono a entrare pubblicità del borotalco, di omogeneizzati e di
ricostituenti che, se per un verso ribadiscono quanto fosse culturalmente importante e fragile la
salute del bambino, d'altro canto mostrano un nuovo ruolo ricoperto dai giornalini ovvero quello di
essere diventati un potenziale serbatoio di mercato che occhieggia al bambino rivolgendosi
all'acquirente adulto.
Il rapporto del lettore con la carta stampata tende ad acquisire contorni meno definiti.
Diversamente dal libro custodito e conservato più gelosamente, la rivista viene ceduta ad altri in
seconda lettura, è utilizzata, ma non necessariamente è oggetto di conservazione esclusiva.
La conservazione delle annate era prevista nell'organizzazione redazionale del “Giornalino della
Domenica” che contava in prevalenza su abbonati ai quali venivano fornite a pagamento le
copertine a fine anno. Diversamente avveniva per il “Corriere dei Piccoli” che non puntava
esclusivamente sugli abbonamenti annuali, ma intercettava anche il lettore occasionale che reperiva
i fascicoli con una certa facilità presso la rete delle edicole disseminate sul territorio nazionale. La
rilegatura delle annate era meno pubblicizzata dalla direzione del “Corriere dei Piccoli”; anche se
rimaneva una pratica in uso in famiglie culturalmente più sensibili al valore della conservazione di
tale bene poco durevole. Sono diventate note le rilegature del celebre settimanale di Via Solferino
che Eva Mameli faceva realizzare prima ancora della nascita del figlio Italo Calvino con lo stesso
rigore scientifico con il quale provvedeva ad inventare e studiare le specie dell'orto botanico
sanremese che avrebbe diretto.
Le riviste introducono pratiche diversificate. Il testo breve favorisce letture selettive e parziali di
ciascun fascicolo all'interno del quale è prevedibile la lettura esclusiva di una novella, di vignette o
di poesie dotate di una loro autonomia formale.
Non sono estranee alla stessa logica le rubriche che propongono un dialogo con il lettore, all'interno
di ciascun numero settimanale ma senza rinunciare ad incuriosire e ad attivare uno scambio con il
bambino.
La modulazione della serialità è amplificata/enfatizzata nelle tipologie narrative che, dal punto di
vista strutturale, sono in grado di rispettare l'autonomia di significato tipica della pubblicazione
periodica; e allo stesso tempo innesca una curiosità nel lettore che, oltre al testo stesso, aspetta con
La linea vincente dei romanzi a puntate caratterizzò sin dall'inizio la storia del “Corriere dei
Piccoli” che in quello spazio fisso coltivò “il sogno a puntate” di generazioni di lettori in grado di
apprezzare gli intrecci avvincenti e di poter così costruire una sorta di personale biblioteca ideale in
anticipo rispetto alla posteriore visibilità delle medesime opere in volume.
Tale prospettiva potrebbe favorire in futuro la riscrittura o la revisione di molte biografie di autori
per ragazzi tra Otto e Novecento. Infatti l'apporto pubblicistico degli scrittori può mettere in luce
opere altrimenti ignorate, sollecitare una ridatazione creativa di quelle conosciute; o indurre a un
ripensamento delle diverse stagioni letterarie di un autore ( → in Giana Anguissola si è visto che il
filone fantastico dei racconti contenuti nel Carretto del mercante (1942), in Seguendo una lira
(1953) e in La vetrina dell'orefice (1965) in realtà appartiene in larga parte all'ideazione letteraria
degli anni Trenta sul “Corriere dei Piccoli”. Il percorso ideativo di Giana Anguissola non è
un'eccezione nel panorama letterario dell'epoca. Ciò è provato da recenti studi compiuti sull'artista
Antonio Rubino in relazione al suo apporto pubblicistico.).
Dal confronto tra scritture e riscritture possono muovere nuove indagini filologiche. L'analisi della
produzione pubblicistica apre l'accesso all'officina letteraria dell'autore: contribuisce a comprendere
e a motivare i cambiamenti formali e di contenuto adottati a distanza di tempo quali espressioni
della maturazione interiore dinamica dell'artista.
Sulle riviste si assiste alla costruzione di modelli di scrittura che non esauriscono il loro valore sotto
il profilo testuale in senso stretto ma, rivolgendosi al pubblico giovanile, hanno l'obiettivo di
orientare il percorso di crescita e per questo sono portatori di valenza formativa.
Nella storia delle riviste sono identificabili tracce precise in grado di documentare incontri reali e
continuativi tra lettori e testate in diversi casi si riescono a seguire gli sviluppi di queste giovani
esistenze e ad apprezzarne la levatura intellettuale una volta diventati adulti.
È nota la testimonianza di Italo Calvino: in età matura ricorda il proprio “fantasticare dentro le
figure e nella loro successione” del “Corriere dei Piccoli” degli anni Venti e riconosce in tale attività
una matrice culturale ineliminabile nel percorso di adulto scrittore.
Si tratta di testimonianze emblematiche, che mostrano il ruolo nodale svolto dai giornalini non solo
in generale nella formazione di lettori d'eccezione, ma anche nella nascita in loro di una precisa
vocazione letteraria.
Dagli esempi citati emerge una sperimentazione letteraria messa in atto dalle riviste in tempi distesi
e in multiformi espressioni. Esse vanno dalla modernità dell'umorismo e del fiabesco di matrice
collodiana, proseguono con la stagione delle avanguardie di primo Novecento, abbracciano la
contaminazione di codici resa possibile dal fumetto e prefigurano le successive aperture al cartone
animato.
Gli snodi tra qualità letteraria dei periodici e formazione dei lettori giovanili guidano anche a
riflessioni importanti sul piano epistemologico. La storia delle riviste dimostra che la letteratura per
l'infanzia non va strutturandosi nel tempo seguendo unicamente un andamento discendente e
semplificatorio rispetto a quella adulta.
L'incisività e la polisemia di molte “storie a quadretti” sono state artefici di percorsi ascendenti.
Antonio Faeti in La prateria degli Asfodeli, riflette sulla propria formazione di lettore giovanile e
poi adulto. La testimonianza autobiografica di Faeti è emblematica. Le letture infantili che hanno
maggiormente lasciato una traccia in lui sono state le opere classiche per ragazzi, ma anche gli
intrecci narrativi meno noti. La riflessione di Faeti conferma l'idea che il valore formativo delle
opere letterarie per ragazzi non è lineare e sistematico ma è selettivo e sincretico.
L'immaginario infantile tende a nutrirsi di storie e di frammenti di esse dotati di particolare densità
e pregnanza sotto il profilo della qualità estetica e della possibilità di coinvolgimento emotivo.
Nella memoria di ciascuno di noi rimane scolpita la lettura di un passaggio particolarmente
evocativo, un'espressione felice e così via. Non è la paternità autoriale ad essere ricordata per prima
nel tempo a partire da una lettura bambina, poiché il riconoscimento del volto di chi sta dietro un
testo è frutto di più consapevoli conquiste. Può essere un esempio illuminante di mancato
riconoscimento di fonti letterarie l'affermazione di Giana Anguissola a Mondadori quando, a
proposito delle influenze anderseniane riconosciute dall'editore in Chi sarà il re dei leprotti?,
disse”da brava ignorante non conosco” Andersen.
L'autore stesso quasi mai ha consapevolezza di tali tracce di lettura e non le ricorda tra le proprie
fonti d'ispirazione letteraria. Recenti studi sul Elsa Morante tendono a confermare questo paradigma
interpretativo, per:
- specifica destinazione d'uso giovanile e adulta di testi letterari;
- ripresa di contenuti e di stilemi che da racconti apparsi su riviste giovanili come il “Cartoccino dei
Piccoli” accanto al “Corriere dei Piccoli”, poi ritorneranno nella scrittura per adulti nel quale ambito
l'autrice è dai studiata in via pressoché esclusiva.
In questa direzione la possibilità di seguire itinerari di lettura compiuti da scrittori nel corso della
loro infanzia può aiutare a individuare il percorso ascendente della produzione adulta di scrittura e
portare a disegnare una sorta di archeologia letteraria riguardante autori non solo per l'infanzia.
Se la scrittura rodariana ha un debito d'infanzia anche verso Collodi e Carroll, grazie allo studio di
riviste si potrebbe giungere e comprovare che autori per adulti come Hemingway si sono nutriti di
Kjack London, che il visionario Antonie de Saint Exupéry ha avuto tra i suoi modelli James Barrie o
che Goffredo Parise ha avuto Stevenson come compagno di viaggio nelle parole.
Tali analisi confermano la piena dignità culturale della letteratura per l'infanzia.
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Sebbene nel Novecento le riviste esprimano una chiara intenzionalità educativa ancorata a radici
liberari tardo-ottoncetesche (formare la futura classe intellettuale e dirigente dell'Italia tra le due
guerre), tuttavia le direzioni dei giornali mostrano di saper cogliere la reale e silente domanda
educativa dei bambini che chiedono di poter avere spazi per esprimere la propria interiorità.
Sulle riviste ottocentesche non mancano opportunità di dialogo con i lettori. A partire dalla nota
vicenda editoriale del capolavoro editoriale del capolavoro collodiano che sul “Giornale per i
bambini” di Ferdinando Martini , vi è il volere dei lettori non disposti a veder morire il loro
burattino.
Nel “Giornale per i bambini” è presente la “Posta dei bambini” mentre in “Cordelia” la rubrica è
intitolata “piccola Posta”. La stessa linea è perseguita da Sofia Bisi Albini nella “Rivista per
signorine” e da Luisa Sclaverano nella “Domenica dei fanciulli”.
Le esperienze del “Giornalino della Domenica” e del “Corriere dei Piccoli” consentono di cogliere
l'ulteriore dilatazione degli spazi editoriali destinati ad intercettare il punto di vista del lettore.
Ne discende una partecipazione viva del lettore che anima l'impianto delle riviste.
La “Confederazione giornalinesca” genera durevoli relazioni amicali tra i confederati e molteplici
iniziative, incontri culturali che si riverberano di continuo sul settimanale creando un linguaggio
comune e un pensiero condiviso tra gli abbonati. Il “Giornalino della Domenica” inaugura una
nuova stagione di fidelizzazione del lettore bambino che trova anticipazioni già consolidate nella
pubblicistica d'oltralpe. Per esempio in riviste destinate al pubblico adulto come “Le Petit Journal”,
negli stessi anni si osserva la non frequente presenza di iniziative quali gite ed eventi destinati a
legare i lettori oltre le pagine del periodico così da creare una rete di sostenitori stabili. Vamba mette
in campo quindi iniziative che hanno il merito di guardare in modo nuovo all'infanzia quale vivaio
ricettivo anche di una nuova cultura del consumo, del benessere e di affiancamento dai più
tradizionali circuiti familiare e scolastico. Inoltre l'utilizzo mitigato (=moderato, limitato) di
consolidati schemi organizzativi in gruppi che riprendevano non poche derivazioni ideologiche di
matrice mazziniana collegate alla carboneria, dà vita a un sistema educativo extrascolastico davvero
nuovo per i tempi.
Si realizza,poi, l'idea delle bibliotechine rurali promossa negli stessi anni sul “Corriere dei Piccoli”
nella pagina della “Corrispondenza” di Zia Mariù, proposta circoscritta all'obiettivo della
promozione della lettura, ma che seppe dar vita a una straordinaria quantità di iniziative da parte dei
lettori nella vita reale. Con le caratteristiche specifiche i due periodici segnano un importante
cambiamento di prospettiva, mostrando sotto il profilo giornalistico le nuove potenzialità delle
riviste nel saper cogliere e valorizzare proposte, idee progettuali capaci di fidelizzare i piccoli
lettori.
La linea tracciata entro queste cornici giornalistiche primo novecentesche avrebbe qualificato la
stampa periodica per ragazzi di buona parte del Novecento. La centralità del lettore è spesso
rafforzata da iniziative come i concorsi a premi che occupano buona parte di riviste minori come
“Pinocchio” (1946) e “La Vispa Teresa” (1946-54) che alla fine della seconda guerra mondiale
ebbero breve vita ma intensa attività. Ma in fondo l'associazionismo giovanile era alla base di
esperienze di secondo n'900 come nel “Vittorioso”, nel “Pioniere” e nella meno nota pubblicistica
dell'Università Cattolica dove non va dimenticato “Giovani Amici”.
Il cambiamento di prospettiva consiste nel pensare alle rubriche e alla corrispondenza non
semplicemente come collettori e vetrine dell'immaginario infantile, ma come luogo dalle
imprevedibili evoluzioni di lettura dei bisogni infantili e di stimolo nel senso della rielaborazione
personale della lettura.
Nell'ascolto del lettore reale, si sperimenta un modo innovativo di pensare il giornalismo per
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Ottocento VS Novecento: le relazioni educative nel corso dell'Ottocento erano costruite attorno a
un'asimmetria più autoritaria (= Che fa valere la propria autorità, che impone fermamente e talora
duramente o dispoticamente la propria volontà su chi gli è sottoposto: un capo, un preside, un
dirigente a.; un padre a.; estens., avere un carattere a., parlare con tono autoritario ) che autorevole
(=Che esercita un'autorità morale dovuta ai propri meriti SIN accreditato: persona a. ) . Nella
pubblicistica per ragazzi di primo Novecento si percepisce l'accorciamento delle distanze tra adulto
e bambino in nome di una complicità e di una reciprocità capaci di generare condivisione di un
medesimo orizzonte valoriale. Si tratta di un dispositivo delicato, non sempre al riparo da
persuasività o strumentalizzazione ideologica.
Gli scambi non episodici visibili nel tempo sulle riviste svelano il senso complessivo di un discorso
di non semplice decifrazione che si compone oltre il singolo frammento e che in vari casi consente
di ricostruire un dialogo continuativo e scenari individuali di vita vissuta.
Si tratta di una varietà e ricchezza di fonti che aprono nuovi sentieri di ricerca. I temi inviati dal
lettore offrono la possibilità di studiarne la voce viva. La felice espressione di “scritture bambine”
risulta calzante anche per questo specifico ambito di indagine.
Lo studio delle lettere infantili attiva interessanti e possibili esplorazioni dell'immaginario e della
quotidianità dei lettori pur senza pretese di certezze definitorie.
La fragilità delle fonti invita alla cautela per i possibili interventi adulti sulla scrittura e non le
improbabili censure attivate in ambito domestico e non meno a livello editoriale.
Lungo percorsi tortuosi in bilico tra controllo adulto e insopprimibile resistenza giovanile, affiorano
contenuti che conservano tratti di autenticità non scalfita (= ferita lievemente) in radice dal seppur
prevedibile intervento editoriale sulla forma linguistica.
Entro questo orizzonte di significati, si possono seguire i loro bisogni formativi e le loro passioni, le
letture dichiarate e i percorsi con i libri e si può giungere a ricostruire i cambiamenti avvenuti di
generazione in generazione.
Il dinamismo dialogico attivato tra bambino e adulto curatore di rubriche permette di apprezzare
anche il valore della proposta infantile dalla quale in diversi casi hanno avuto origine idee messe in
atto, si sono modificate storie e ne sono state scritte di nuove. Sono state infatti anche le proteste dei
giovani lettori del “Giornale per i bambini” ad orientare Collodi a non far morire Pinocchio
impiccato al cap. XV e a farne proseguire il racconto fino al lieto fine che conosciamo.
E in tempi più recenti, diverse filastrocche del giovane Rodari sul “Pioniere” sono scaturite dalle
richieste dei lettori e anche la narrazione in versi del 1954 della Filastrocca di Pinocchio cresce in
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Dunque, le “scritture bambine”, a volte hanno influenzato le scelte editoriali. Dimostrano infatti che
l'infanzia è stata fonte di modellamento della scrittura autoriale, permettendo di riconoscere
l'apporto di stimolo e di scambio che intercorre tra la generazione in crescita e la generazione
adulta. Il ruolo attivo esercitato dal bambino lettore:
- frutto di rielaborazione originale di narrazioni ricevute
- alimentato da sollecitazioni spontanee offerte all'autore o al direttore dei giornalini e da questi
creativamente reinterpretate nella bellezza della parola scritta.
Si attivano dunque percorsi di indagine molteplici che sconfinano dalle riviste e dai testi letterari
che coinvolgono i lettori reali e offrono chiavi interpretative per ricostruire legami e snodi tra i
bambini lettori reali e i futuri adulti per il tramite del testo narrativo epistolare.
Si realizza la possibilità di seguire alcuni passaggi formativi dei giovani lettori per poi incontrarli di
nuovo a distanza di anni come adulti inseriti a pieno titolo nella vita sociale e culturale.
La pubblicistica per ragazzi si configura come un prezioso campo di ricerca in grado di orientare
verso la composizione di un mosaico interessante di conoscenza dell'infanzia borghese italiana di
primo Novecento e per questa via può più ampiamente contribuire ad offrire tasselli significativi di
studio sulla storia delle infanzie molteplici e diverse che hanno attraversato il nostro paese.
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Nate a soli due anni di distanza l'una dall'altra, “Il Giornalino della Domenica” e il “Corriere dei
Piccoli” si sono rivelate due testate giornalistiche che hanno inciso sulla formazione dell'infanzia
borghese del tempo, per:
- la qualità e la tipologia dell'impatto letterario e giornalistico;
- ridefinite visioni del lettore ideale emergenti dalle scelte dei rispettivi piani editoriali.
“Il Giornalino della Domenica” nasce il 24 giugno 1906: la portata anticipatoria letteraria e
artistica offerta dal settimanale di Vamba è evidente nella ricerca di noti autori qualificati e nella
cura illustrativa in grado di intercettare attraverso gli artisti nostrani le avanguardie grafico-
pittoriche di portata internazionale.
Il “Corriere dei Piccoli” nasce il 27 dicembre 1908: cercò di affermarsi nel mercato editoriale e di
distinguersi dalla famiglia giornalinesca che rappresentava il vero e proprio concorrente.
La scelta formale del titolo fa pensare all'intenzionalità educativa esplicita del periodico.
Il direttore si rivolge ai padri di famiglia, in quanto veri e propri potenziali acquirenti del nuovo
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Questi principi intendevano stabilire una sorta di patto educativo con gli adulti, un lasciapassare
perché i genitori consentissero l'avvicinamento dei figli alla nuova rivista.
Il testo pragmatico è così costruito su un doppio binario che si rivolge all'adulto per giungere al
bambino e viceversa dialoga con il bambino perché l'adulta colga significati della parola custoditi
dietro l'ironia. Infatti il registro linguistico cambia improvvisamente per intercettare i già calcolati
dubbi di potenziali lettori giovanili che avrebbero valutato astruserie quelle frasi ridondanti e
lontane dal loro mondo. Il linguaggio diviene colloquiale e ironico proprio attorno ai punti
programmatici iniziali e contro un certo sfoggio di erudizione (=conoscenza, cultura) che, dopo
essere esercitata, è subito sdrammatizzata.
Vamba si rivolge a un pubblico che immagina essere di bambini e giovinetti, di fanciulle e di
“mezze-signorine” tra i sette e i quindici anni.
Avrebbero trovato una scelta varia di contenuti, ma avrebbero dovuto leggere tutto: i piccoli per
essere stimolati a migliorare i grandi per non insuperbire disprezzando quanto “li allietò nella prima
infanzia”. “Il Giornalino della Domenica” si presenta come il miglior continuatore del progetto
culturale post risorgimentale e anche formalmente assorbe da subito “Il Giornale dei Bambini”
diretto da Ida Baccini e dal figlio Manfredo ( → l'informazione della fusione del “Giornale dei
Bambini” con “Il Giornalino della Domenica” è annunciata in una postilla sul n.2 del periodico).
Tra la redazione e il pubblico si pone la migliore cultura del nostro paese, pronta a porsi al servizio
degli alti valori educativi prospettati ( → Vamba, Il programma, in “Il Giornalino della Domenica”,
1906).
Mentre l'editoriale di Vamba risulta diretto e poco calibrato sulle possibilità di immediata
comprensione infantile, il “Corriere dei Piccoli” si presenta con un articolo di fondo dall'impianto
decisamente solido e innovativo sotto il profilo giornalistico e gioca da subito la carta del ricercato
equilibrio tra continuità rispetto al passato, modernità rispetto al presente e anticipazione del futuro.
Lo stile del “Corriere della Sera” era corale e poco o nulla concedeva ai personalismi.
Il gioco non detto fra tradizione e modernità balza subito all'occhio nella presentazione del nuovo
settimanale di Via Solferino, poiché quasi la metà della pagina è occupata da una singolare
fotografia che rappresenta un imponente macchinario per la stampa attorno al quale bambini vestiti
alla marinara, con fare serio e industrioso, presiedono alle varie fasi del processo.
Nulla della foto è ripreso nel testo dell'articolo. Si lascia volutamente al lettore implicito della
rivista la decifrazione polisemica del visivo. Si tratta dell'intento nel perseguito della “notizia
raccontata” di cui si è detto sopra ( → guarda capitolo 1 paragrafo 1.2).
Si conferisce al messaggio visivo una prossimità al pubblico giovanile lasciando immaginare che si
tratti di un settimanale non semplicemente rivolto a ragazzi ma realizzato da ragazzi i quali se ne
prendono cura. La dimensione della verosimiglianza e quella evocativa mettono a disposizione una
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Il rapporto di continuità con il passato lo si avverte nella scelta di chiamare Fifì e Fufù gli
immaginari lettori bambini: fanno venire in mente i personaggi Fifì e Fofò idearti da Vamba sul
“Giornalino della Domenica” e protagonisti di esilaranti birbanterie.
→ Vamba presenta Fofò e Fifì sul primo numero della rivista in una “novella epistolare ironica ed
elegante”. Caratterizza Fofò come un ragazzino di 14 anni vanesio (=frivolo, sconsiderato) e
sfacciato al tempo stesso, mentre Fifì, la sorella minore, p definita “bambina perfetta se non fosse
curiosa”. I personaggi si rendono autori di un racconto a più mani: Fofò scrive una lettera, mentre la
vispa Fifì di nascosto dal fratello completa lo scritto disegnando sul retro una sequenza di otto
vignette che ricalcano la struttura narrativa e che offrono la possibilità di essere viste in trasparenza
mentre si legge la lettera. Di questa sperimentazione di proto
fumetto Spaventa Filippi ne aveva colto la portata innovativa.
Spaventa Filippi ricorre a somiglianze che possano in qualche
modo riecheggiare (richiamare) nell'immaginario dei bambini e
che offrano l'idea di un potenziale lettore curioso, con spirito di
iniziativa e intelligente. Il tratto dell'intelligenza del piccolo è
sottolineato anche nel richiamo al celebre Puccettino,
personaggio della nota fiaba di Perrault (che evidentemente il
direttore riprenda dalla traduzione collodiana).
Il lettore ideale del “Corriere dei Piccoli” è un po' come
Puccettino: piccolo, intelligente, capace di sconfiggere il male,
ma felice sono nella pace e nel calore affettivo della propria casa.
La fisionomia delle due riviste in relazione all'idea di lettore andò a strutturarsi lungo percorsi
piuttosto divergenti, in linea con le personalità dei rispettivi direttori.
Il “Corriere dei Piccoli” non fu solito presentare ai suoi lettori interventi giornalistici del direttore.
Spaventa Filippi fu presenza discreta e di equilibrio, ma fu mente ideativa a capo della
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Diversa appare la prospettiva del “Giornalino della Domenica”, che aveva già fatto capire
l'importanza di: << buone e belle favole, poesie, storielline e novelle, ma un giornale deve essere
sopra tutto un giornale e deve il proprio pubblico tener, per essere tale, al giorno delle cose che
accadono via via>>.
L'intenzionalità esplicita di incidere sulla formazione del lettore si manifesta nel linguaggio
giornalistico che discute e argomenta attorno al vissuto dei ragazzi e a poco a poco ne indirizza le
coscienze.
Il “Giornalino della Domenica” tende a dare spazio al pensiero argomentativo che, partendo dal
quotidiano vivere, si inoltra nel territorio dei riferimenti valoriali, offrendo una marcata varietà di
indicazioni, consigli e orientamenti sulla visione della vita.
La tenuta d'insieme del periodico è resa possibile grazie agli interventi di Vamba.
L'anima della rivista è garantita dalla vivace e provocatoria piazza virtuale animata, innanzitutto,
dal direttore che riesce a muovere i fili giusti per attivare il contraddittorio, per mettere in relazione
tra loro le diverse voci presenti nelle rubriche; per raccogliere e restituire una lettura personale ai
pareri del pubblico.
La finalità di dialogare con un'aggregazione giovanile di lettori della quale formare il carattere per
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Si coglie in Vamba l'intento di disegnare una società italiana futura liberata dagli orpelli della
politica trasformista giolittina, per far vivere ideali di un'italianità fortemente irredentista e
nazionalista e nazionalista.
All'interno di questo clima di tensione politica, l'intera redazione ne condivideva gli ideali.
Il padre Ermenegildo Pistelli e gli allora giovani Giuseppe Fanciulli e Aldo Valori, costituirono
insieme a Filiberto Scarpelli il cosiddetto “stato maggiore” del “Giornalino della Domenica”.
Aldo Valori, dietro allo pseudonimo di Ceralacca (con il quale firmava la pagina della
corrispondenza), disse che mentre l'adulto è conservatore, il bambino non ha nulla da conservare e
tutto da aspettare dall'avvenire.
Il pensiero di Ceralacca è incisivo nel prospettare il forte investimento educativo cje la rivisya pone
nelle giovani generazioni e nel sottolineare al tempo stesso il voluto scollamento rispetto al mondo
adulto.
Risulta manifesta la contraddizione tra il dichiarato programma culturale del periodico, che intende
preservare gli alti ideali etico-educativi del passato risorgimentale.
La separazione (improbabile) tra cultura e fiducia nell'adulto si traduce in realtà in una pericolosa
proiezione giovanile nel futuro minando le radici fondative di collegamento al presente e al passato.
Lungo questo sentiero il “Giornalino della Domenica” ha messo in discussione l'asse educativo e
non quello culturale di derivazione risorgimentale.
Ciò:
- giustifica nel periodico l'utilizzo diffuso di riferimenti alla cultura classica e contemporanea;
- tende a far terra bruciata a proposito delle istituzioni familiari e scolastiche.
Dunque nuovi adulti, ovvero la redazione giornalinesca, con l'autorevolezza della loro scrittura e del
loro carisma suscitano l'ascolto dei lettori reali e li guidano in iniziative aggregative e di impegno
precocemente “politico”.
Presto il “Giornalino della Domenica” struttura una proposta culturale che, mentre tratteggia l'idea
del lettore implicito, va nel contempo a costituire una tribuna coesa di lettori reali.
All'interno di tale processo si identificano alcuni momenti particolarmente significativi:
1) un primo passaggio è dato dalla crescita esponenziale delle lettere dei bambini e ciò porta a
strutturare rubriche variamente denominate; dove il curatore riassume il senso degli scritti giovanili
e risponde anche ampiamente. Oltre alla “Corrispondenza”, tenuta in origine da Ceralacca e , dopo
la sua uscita, da Vamba, che si occupava della rubrica “Pagine rosa”, si registrano “Dal libro dei
perchè” a cura di Maestro Sapone, alias Giuseppe Fanciulli e “Il nostro salottino” firmata da
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Il progetto è ambizioso e di straordinaria modernità nel concepire un'idea di lettore bambino che
costruisca la propria identità di scrittore attraverso uno spazio espressivo letterario a sé destinato.
Si precisa il disegno pedagogico-culturale di Vamba, nel chiamare a raccolta i bambini reali come
potenziali scrittori, delinea la fisionomia del pubblico ideale al quale guarda.
Gli abbonati collaborarono alla crescita di un presunto porto franco dove si dichiara che nessun
adulto “deve mettere mano”, escludendo la redazione del periodico.
La scrittura giovanile è messa a tema, ma Vamba e la sua redazione ritengono di doverla preservare
da una sorta di violabilità adulta che temono ne possa corrompere la spontanea genuinità.
Si trasferisce il monito risorgimentale “L'Italia farà da sé!” al nuovo settimanale, affermando che
“i ragazzi faranno da sè”.
Si riconosce così ai lettori una libertà di pensiero.
Scrive Vamba:”Imparando a far da sé, i ragazzi prepareranno davvero nuove energie e nuove
capacità per l'Italia”, scollamento completo dal mondo adulto.
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→ Il Corsaro Nero è un romanzo d'avventura di Emilio Salgari. Fu il primo di una serie di cinque
romanzi collettivamente noti col titolo I corsari delle Antille, e avente come protagonista il
personaggio del Corsaro Nero (Emilio di Roccabruna, signore di Ventimiglia) o suoi parenti stretti.
Trama: Metà del Seicento: Inghilterra e Francia combattono contro la potenza degli
spagnoli e iniziano ad inviare navi corsare in scorribanda per l'Oceano per combattere
quelle nemiche e danneggiare così il commercio delle loro colonie e nel 1625 due navi, con
a bordo i primi corsari, gettano l'ancora davanti all'isola di San Cristoforo e vi si
stabiliscono. Ma una nave spagnola distrugge dopo cinque anni la loro base e i pochi che
riescono a sopravvivere trovano un rifugio all'isola della Tortuga facendone la base di
partenza per tutte le loro spedizioni.
Gli abitanti di Santo Domingo però, vedendo che il loro commercio è in pericolo, dopo un
attacco riescono a sconfiggerli e ad allontanarli. Un giorno però, i bucanieri e i filibustieri
riescono a far ritorno all'isola. Arriva intanto alla Tortuga un nobile italiano circondato dal
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Per un ragazzo orientato sempre all'azione, il ritmo incalzante e la trama avvincente dell'opera
salgariana risultano confacenti (=adeguato), tanto da provocare l'immedesimazione e la volontà di
emulare quell'eroe indomito.
La scelta di Salgari non è casuale: esso rappresentava una linea di scrittura divergente rispetto ai
canoni educativi tradizionali, amata dai ragazzi e spesso versata dal mondo adulto.
Il messaggio implicito è chiaro: la lettura non può che essere un intrattenimento, d'avventura e
d'azione lungo uno schema di rottura rispetto a un passato letterario aulico per questo rifiutato, del
quale I Promessi Sposi erano l'emblema (vengono citati da Giannino).
→ Ermenegildo Pistelli: Collaborò con Luigi Bertelli, Vamba (1858-1920) a Il giornalino della
Domenica, fondato dallo stesso Bertelli nel 1906 e stampato fino al 1924. Nelle lettere che Pistelli
scriveva a Vamba perché le pubblicasse su questo giornalino, si firmava Omero Redi e fingeva di
essere un ragazzo. In una di queste lettere, tratta da Le pìstole di Omero, Pistelli parla dell'analisi
logica che egli, immedesimandosi in Omero Redi, considera scienza astrusa e
cervellotica, colpevole degli scarsi voti scolastici.
Ermenegildo Pistelli, nel 1906 divenne direttore de Il Passerotto
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Nella fisionomia di Giannino Stoppani e di Omero Redi la lettura e il libro non sono riconosciuti nel
loro valore culturale con il quale confrontarsi e appassionarsi.
Manca il riconoscimento del valore oggettivo e reverenziale (= rispettoso) del libro.
La cultura del libro è fortemente radicata nell'identità soggettiva dei personaggi. E se infatti
Giannino e Omero non si possono qualificare come lettori, tuttavia entrambi esprimono ampiamente
doti di scrittori. La finzione narrativa li rende protagonisti del proprio felice e ironico rapporto con
la scrittura. Entrambi esercitano con forza e incisività l'espressione di sé mediante il codice verbale.
Gian Burrasca e Omero rappresentano due modelli letterari di scrittori bambini che giocano
con le parole e ne governano il potere comunicativo invogliando i lettori a fare altrettanto.
La nascita del mensile Il Passerotto risponde in effetti a tale orientamento offrendo così a bambini
in carne ed ossa di sperimentarsi come autori.
Il tono spensierato dell'infanzia compare anche in altri racconti de “Il Giornalino della Domenica”,
come nel caso delle Vicende del Signor Vìsciola precettore narrate dal già affermato Ugo Ojetti.
Mentre la cultura viene incarnata “dai grossi libri ricoperti di fodere in carta di giornali”, la
spontanea irruenza infantile è testimoniata dal protagonista Luca Vìsciola che all'apprendimento
meccanico e faticoso dell'alfabeto preferisce l'ascolto dell'armonium, agli esercizi di decodifica
imposti dal maestro predilige l'avvicinamento ad altri scolari meno fortunati ai quali intende
insegnare, ma va incontro al sicuro insuccesso e alla pronta punizione.
Là dove i racconti privilegiano il genere fantastico (desunto dalla favolistica classica che rimanda a
La Fontaine, o come in Il topo di biblioteca e il topo di campagna scritto da Adolfo Albertazzi) è
visibile un ammonimento morale contro la presunta conoscenza erudita che fa perdere di vista la
concretezza del vivere. Si preferisce l'acquisizione di nozioni semplici e utili nella vita con il rischio
di sostituire ad uno schematismo un'altra posizione altrettanto schematica e riduttiva.
Questi esempi tratteggiano per lo più un'infanzia maschile trasgressiva e con deliberata
sottovalutazione nei riguardi del libro, visto come sinonimo di tradizione e di un passato che non si
vuole più: si tratta di una posizione che si inserisce evidentemente entro la linea collodiana di
ottocentesca memoria.
In questo scenario quale spazio occupa la RAPPRESENTAZIONE BAMBINA?
Negli intenti iniziali del “Giornalino” c'è senz'altro quello di rivolgersi ai lettori e alle lettrici e
nell'organizzazione della “Confederazione giornalinesca”. Nella fase di avvio della rivista non
manca qualche rilievo da parte delle lettrici che chiedono a Vamba di occuparsi un po' delle
bambine perché “in generale tutti i giornalinetti di cotesto genere pensano solamente ai ragazzi e ai
loro divertimenti”. Il direttore risponde dicendo di aver dato incarico a “una nota e gentile signora
di scrivere spessissimo articoli riguardanti la vita delle bambole”.
La distinzione di genere si concretizza nell'uso tradizionale femminile delle bambole: sin dall'estate
del 1906 compaiono racconti di Bina Diacci collegati al mondo delle bambole.
In questo quadro piuttosto connotato verso un'educazione maschile e femminile collegata a
stereotipi culturali persistenti: vi ritroviamo I discorsini di Cavalletta.
Dietro lo pseudonimo di Cavalletta vi ritroviamo l'identità della contessa Virginia Guicciardi Fiastri
che tratteggia un modello di fanciulla spigliata, intraprendente, agile e determinata.
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Se nel “Giornalino della Domenica” si incontra in modo diffuso una rappresentazione narrativa
dell'infanzia trasgressiva e autoreferenziale, nei primi anni di visita del “Corriere dei Piccoli”
l'introduzione del fumetto consente alla regia di Spaventa Filippi di destinare quello spazio di più
spiccato intrattenimento anche per offrire una rappresentazione dell'infanzia disinvolta, spontanea e
autonoma rispetto agli schemi educativi adulti. Più che nelle pagine di racconti, nelle favole a
quadretti sfilano, tra gli altri, personaggi di Antonio Rubino come Pierino, Quadratino, Pino e Pina e
gli alunni del collegio La Delizia che offrono l'immagine di un'infanzia spensierata, concentrate in
esperienze di vita quotidiana per lo più ludiche.
Neppure in questo caso la lettura è oggetto di attenzione specifica e l'apprendimento scolastico è
solo sfiorato, mai abbracciato.
- Pino e Pina: nonostante siano due fratelli dal grande anelito (= aspirazione) verso il dovere
scolastico e la puntualità, immancabilmente per loro le porte della scuola rimangono chiuse perché
contrattempi sempre nuovi e indipendenti dalla loro volontà si frappongono.
La striscia di Pino e Pina compare sul “Corriere dei Piccoli” a partire dal febbraio del 1910 e
prosegue fino a luglio dello stesso anno. Rubino riprende i due personaggi nel corso del 1926.
- Il Collegio La Delizia: scritto da Romano Simoni e illustrato da Antonio Rubino capovolge gli
schemi tradizionali e ipotizza una scuola a guisa (= uso, forma) di paese di cuccagna dove scorre dai
rubinetti latte-miele e si può oziare tutto il giorno.
Il Collegio La Delizia compare tra il novembre del 1913 e l'agosto del 1914. le vicende saranno
raccolte in volume da Simoni.
- Quadratino: all'innocenza infantile si contrappone un mondo adulto non sempre benevolo e
accogliente: portato puntualmente a riquadrare Quadratino desideroso di nuove sperimentazioni e a
ricondurlo entro le forme rigide del suo dover essere da mamma Geometria e nonna Matematica,
incapace di ascolto autentico nei confronti di Pierino che cerca di disfarsi del proprio odiato
burattino.
Le strisce di Quadratino compaiono dall'agosto del 1910 al gennaio del 1911.
Le tavole di Pierino e il burattino sono le prime a far la loro comparsa al principio del 1909 e
dureranno fino al gennaio del 1910.
Le vignette a colori offrono un disegno di infanzia centrato sul piacere e sul divertimento, mai
irriverente o compiaciuto, ma senza dubbio con una propria fisionomia che intende affrancarsi dal
mondo adulto di regole e di obblighi.
Lo spazio assegnato alle novelle e ai racconti presenta una complessità di declinazioni nelle quali il
leggere e la cultura sono parte della vita dell'infanzia, perché riconosciuti e apprezzati dai
personaggi infantili per il loro valore di crescita.
Sono paradigmatiche in tal senso Le avventure di Peter Pan narrate da Spaventa Filippi che
conservano i passaggi fondamentali della drammaturgia teatrale di Barrie del 1904.
→ Le avventure di Peter Pan in “Corriere dei Piccoli” nel 1909: il racconto viene pubblicato a
puntate, presumibilmente con traduzione di Silvio Spaventa Filippi.
Il testo di Barrie era nato come opera teatrale nel 1904, poi fu scritto in forma di racconto nel 1906
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Il messaggio risulta confermato in altri colori, come ad esempio Nel regno dei bimbi di Gaetano
Polvarelli, dove si ipotizza un mondo abitato improvvisamente solo da bambini che
pinocchiescamente fanno un bel falò di tutti i libri “che avevano tormentato per tanti giorni il
cervellino dei bimbi” e capeggiati da Trottolino Fanulla si danno al divertimento sregolato finché
“si accorsero che a questo mondo le persone ignoranti fan sempre brutta figura: e allora decisero di
riaprire le scuole. I più istruiti fecero da maestri, gli altri andarono a imparare. E come stavano atten
ti!”.
L'incontro positivo con il libro è frutto di un processo di crescita che conduce a riconoscere il valore
come parte della propria vita anche in relazione all'utilità nella conquista dell'autonomia.
Rimane esclusa la possibilità di voler dominare e controllare il proprio futuro attraverso la lettura.
Essa prepara a vivere meglio ma non ad anticiparne la conoscenza.
Nel racconto a puntate di Maria Pezzè Pascolato, Lillorì, la lettura giunge in aiuto al protagonista
nel parallelismo tra avventura narrata in opere come il Corsaro Nero e nell'Isola misteriosa e
preparazione e supporto all'avventura più importante: quella della vita.
Non c'è spazio per forme di mistificazione del libro e dell'attività del leggere.
L'attività della lettura entra nelle rappresentazioni di fanciulli e fanciulle, emancipate perché
accolte.
Nella novella Zia Arabella di Carola Prosperi si enunciano anche “libri colle figurine” tra i
passatempi di una bimba definita “adorabile” e di sostegno a una vecchia zia.
Leggere consente di districarsi nella quotidianità e dona autonomia alla giovanissima collegiale
di otto anni del monologo di Paola Lombroso, Oh, che gioia viaggiar sola! .
Nel testo teatrale di Haydée La moda! La moda! “l'invito alla donna futura” di inchinarsi alla Moda,
personificazione di modernità ma anche si asservimento acritico soto il profilo culturale.
Nelle proposte narrative del “Corriere dei Piccoli” modernità e cultura tramandate dai libri non sono
dunque orizzonti antitetici, ma esse si integrano se sono rese vive e significative nell'interiorità del
soggetto.
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- “Corriere di Piccoli” :Ne discende una fisionomia più eterogenea dei lettori del “Corriere di
Piccoli” e il ruolo più marcato che il periodico esercitò nell'educare alla lettura i bambini italiani del
tempo, non tutti egualmente alfabetizzati ma certamente sollecitati verso il miglioramento delle loro
conoscenze.
La direzione mostrava di avere consapevolezza di questa realtà e ne tenne conto nei contenuti dei
racconti fantastici volti anche a sottolineare l'importanza della lettura.
Nei primi anni compaiono di tanto in tanto articoli informativi sulle biblioteche per ragazzi, sulle
librerie, sulle abitudini di lettura che nel loro complesso denunciano l'interesse a far conoscere i
sistemi e i processi di possibile incontro con il libro al fine di favorire nei lettori una crescita di
consapevolezza circa le modalità di circolazione e avvicinamento alla cultura.
Sono meno frequenti articoli informativi sugli scrittori e sulle opere letterarie per ragazzi.
Tale modalità è adottata solo per ricordare talenti precoci come quello di Milly Dandolo o di Clara
Mazzoni, ancora più sporadico (=discontinuo) il riferimento ai grandi nomi, se si esclude un
articolo su un presunto seguito del Cuore di De Amicis. La scrittura è offerta ai lettori nella sua
naturale originalità creativa ad opera dell'artista.
- “Il Giornalino della Domenica”: qui non si avverte tanto il bisogno di sottolineare l'importanza
della lettura, si propongono articoli volti a far conoscere gli autori e le loro opere, ponendo in tal
modo a disposizione dei lettori alcune chiavi d'accesso all'officina letteraria dello scrittore.
Nei primi anni del Novecento le due riviste seguono un orientamento diverso rispetto all'idea di
lettore e di educazione alla lettura.
Mentre il settimanale di Vamba guarda oltre il traguardo del leggere e privilegia già la scrittura
come via di modellamento dell'identità personale del proprio pubblico, il giornale di Spaventa
Filippi mira a fornire un ventaglio di possibilità per un accesso graduale e appassionante alla lettura.
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Come dichiara Delfina Dolza, dopo il rifiuto da parte del “Secolo”, di certo più in sintonia con gli
ideali socialisti che la giovane Paola aveva manifestato da tempo al fianco di Anna Kuliscioff e di
Filippo Turati, la Lombroso intesse rapporti con Luigi e Alberto Albertini per approntare uno studio
di fattibilità dell'impresa.
La mancata conservazione nell'Archivio storico del “Corriere” lascia percepire una certa
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L'analisi delle riviste accompagnò l'intero percorso ideativo, creando una consonanza di vedute con
la direzione.
Tra Otto e Novecento il rinnovamento culturale introdotto dagli Albertini nel quotidiano dal punto
di vista strutturale (ampliando l'offerta con i supplementi settimanali e mensili) crea un assai
promettente vivaio di professionisti come Luigi Barzini, Ugo Ojetti, Renato Simoni, dovuto in
buona parte all'irrinunciabile sguardo internazionale e specialmente anglosassone del fare
giornalismo.
Lo specifico taglio che avrebbe potuto avere il già allora denominato “Corriere del Piccoli” sarebbe
stato comunque il risultato degli spazi non sfruttati dalla concorrenza nazionale, rappresentata dal
“Giornalino della Domenica”: le note, le sottolineature man mano effettuate da Paola Lombroso sui
fascicoli del “Giornalino della Domenica” so motivano proprio nel desiderio di individuare aspetti
non sfruttati, tagli editoriali differenti da poter scegliere nel tentativo di essere più efficaci dal punto
di vista della proposta culturale.
Rispetto alla creatura giornalistica di Vamba, avrebbe dovuto quindi avere una prospettiva più
marcatamente internazionale nel proporre racconti d'autore fantastici e appartenenti alla tradizione
nordica e francese accanto a un possibile serbatoio di collaboratori nazionali.
Nelle lettere è menzionata Selma Lagerloff della quale si avanza la possibilità di tradurre delle
fiabe, ottenendo il permesso tramite Ellen Key che la Carrara Lombroso dice di conoscere.
La conoscenza delle opere di Selma Lagerloff e quella diretta di Ellen Key derivava dagli interessi
della Lombroso per l'emancipazionismo femminile in una prospettiva internazionale che gravitava
anche nel salotto letterario di casa Lombroso e dipendeva dall'attenzione per gli studi scientifici
attoro all'infanzia che Paola aveva elaborato e che non tenevano conto del cambiamento di
prospettiva attorno alla centralità dell'infanzia nel processo educativo introdotto dal celebre volume
di Eellen Key Il secolo del fanciullo. Ellen Key presentò i frutti del proprio lavoro a un congresso
organizzato dall'Unione nazionale femminile di Milano nel 1908 e non si esclude che in
quell'occasione ci fosse anche la Lombroso.
In ambito nazionale, oltre al proposito personale di comporre fiabe, vengono fatti i nomi di Lina
Schwarz e di Carola Prosperi.
La proposta di fiabe proprie è visibile nel carteggio con gli Albertini sin da principio e più volte
rimarcato inviando testi creativi perché fossero vagliati. È uno spazio difeso gelosamente all'intenro
dell'arbitrato che definisce il ruolo della Lombroso ed è oggetto di rivendicazione nel novembre del
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Paola Carrara segue la pubblicazione dei periodici francesi almeno per i due anni che precedono
l'avvio del “Corriere dei Piccoli”. Dalle lettere inviate ad Albertini nell'estate del 1908 si viene a
conoscenza di un lavoro di confronto con la stampa periodica estera per ragazzi condotto in modo
metodico e puntuale seguendo gli sviluppi di alcune testate. Questo lavoro è stato favorito dalla
sottoscrizione dei relativi abbonamenti..
dalla comparazione tra riviste francesi e il “Giornalino della Domenica” cresce in lei la convinzione
di dare vita a un settimanale capace di intercettare un pubblico più ampio rispetto a quello
Giornalinesco sia per provenienza sia per età e genere.
Infatti la Lombroso partiva da un accentuato sentimento filantropico orientato a promuovere
l'emancipazione e l'alfabetizzazione dell'infanzia.
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La dimensione del divertimento fu un altro asse portante del progetto di Paola Carrara che avrebbe
voluto concretizzare in pagine di giochi riprese dai giornalini stranieri e adattate al pubblico
italiano, avvalendosi degli stessi collaboratori già menzionati per le vignette.
Nel carteggio con gli Albertini Paola Lombroso insiste molto sul ruolo centrale che avrebbero
dovuto avere i giochi e avrebbe voluto che essi fossero curati da illustratori italiani e che avessero
uno spazio di quattro pagine su ciascun numero. La storia editoriale del settimanale mostra che tale
progetto fu ridimensionato a una sola pagina: inoltre, se anche ebbe una presenza piuttosto costante
nei primi anni, in seguito avrebbe avuto una visibilità rapsodica (= frammentaria).
Se la dimensione ludica serviva per coinvolgere, più peso avrebbe dovuto avere la finalità educativa
e dichiaratamente istruttiva che l'ideatrice avrebbe volentieri affidato ad articoli informativi sulle
invenzioni tecnico-scientifiche. Accanto alla varietà di tipologie letterarie che avrebbero dovuto
abbracciare il romanzo e la novella, il racconto e la poesia, le vignette e i monologhi drammaturgici,
non sarebbero dovuti mancare brevi testi informativi di “scienze spicciole”. Si lamentò del mancato
riconoscimento che gli Albertini mostravano nei suoi riguardi, in quanto non volevano affidare la
direzione del giornale.
Inoltre la Lombroso, che aveva scritto racconti storico-biografici per “Cenerentola” intendeva
differenziarle dalle biografie biografie in genere proposte sul “Giornalino della Domenica”. La
scrittura storico-biografica era un genere per ragazzi già frequentato da Paola Lombroso su
“Cenerentola” e godeva uno spazio centrale nella sua concezione di educazione alla lettura, fondata
in buona parte sulla conoscenza di classici letterari e biografie di uomini illustri della storia.
Non passò inosservata all'attenta studiosa nel luglio del 1908 la nascita di “un nuovo giornale per
bambini”, ma secondo Paola vi era assenza di pericolo di concorrenza sul piano della qualità della
proposta. Tale periodico era “Il Collodi” che creò un po' di problemi al “Giornalino della
Domenica”, i quali furono affrontati per via legale.
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Lo scontro riguarda due visioni editoriali non facilmente concepibili. Da un lato figura il
capovolgimento di Paola Lombroso che ambiva a un chiaro riconoscimento giornalistico e in
qualche modo indirettamente imprenditoriale in quanto direttrice di rivista per ragazzi. Dall'altro
lato si delineala volontà aziendale più orientata ad operare scelte flessibili in grado di diminuire il
rischio d'impresa che si profilava con l'avvio del settimanale. Le scelde editoriali della direzione
apparivano ponderate e sostenute dall'esperienza dell'offerta dei supplementi avviati a partire dal
1899. albertini fece infatti riferimento alla nascita della “Domenica del Corriere” per sostenere la
necessità di dover controllare l'intero processo produttivo senza possibilità di deroghe. Inoltre,
Albertini era convinto che per ottimizzare tempi e risorse fosse opportuno orientarsi verso un
giornale di compilazione.
Lo sguardo della Lombroso intuiva i vantaggi di un'iniziativa industriale, ma di fatto rimaneva
saldamente rivolto a un'idea di direzione artigianale e ottocentesca, improntata sulla centralità del
direttore quale anima della rivista. La Lombroso per prima si era rivolta alla direzione del “Corriere
della Sera” perchè era convinta che il successo di un periodico moderno per ragazzi dipendesse da
una struttura aziendale di tipo industriale in grado di sostenerne le spese dio produzione, di garantire
una tiratura elevata e di assicurare una diffusione capillare. Paola Lombroso pensava al direttore
come colui che avrebbe avuto indipendenza decisionale, che avrebbe impresso la propria linea
originale e riconoscibile. Forte del proprio carattere intraprendente cioè pensava al direttore come
un capo carismatico e indiscusso dell'impresa, mostrando una buona dose di utopia rispetto alla
situazione concreta nella quale avrebbe dovuto operare.
La discesa in campo di Silvio Spaventa Filippi avvenne in un momento alquanto avanzato di
ideazione ed è presumibile che sia collocabile nell'estate del 1908, quando i rapporti con la
lombroso non erano ancora fondamentalmente tesi, ma lasciavano intuire che il materiale da lei
fornito era al vaglio della direzione e forse già affidato a persona interna all'azienda.
Le lettere degli Albertini espressero riserve su alcuni criteri di scelta adottati dalla Lombroso
preferendo gli esiti raggiunti dalle “ricerche compiute da altri che ha passione per l'argomento”.
Nella lettera del 25 settembre 1908 Albertini dichiarava esplicitamente il proprio dissenso rispetto
ad alcune proposte non meglio precisate fornite da Paola Lombroso per la progettazione del
settimanale.
Spaventa Filippi alleggia per le sue competenze specifiche nel settore e per la sua visione letteraria
di respiro internazionale anche sul tema dell'umorismo e quando, a settembre del 1908, fu in grado
di avere un autonomo giudizio al riguardo, la direzione espresse una linea aperta divergenza con la
prima ideatrice.
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Le intenzioni divennero palesi durante un colloquio in Via Solferino nel quale fu presentato
Spaventa Filippi come “capo” nella redazione del periodico e prospettando alla Lombroso un ruolo
di collaborazione non ancora ben delineato (la mancanza di determinazione della forma di
collaborazione che gli Albertini avrebbero assegnato a Paola Lombroso almeno fino a ottobre del
1908, conferma la volontà della direzione di non avvalersi affatto della collaborazione della
Lombroso una volta affermata l'intenzione a non volerle conferire il ruolo di guida nel settimanale).
Nel carteggio è ribadito in vari passaggi che la direzione della rivista sarebbe rimasta ben salda
nelle mani degli Albertini, mentre l'organizzazione in itinere doveva essere affidata a persona
esperta, interna all'azienda.
Nelle lettere non si parla mai infatti né del nome di Spaventa Filippi né di un ruolo
direttivo. Invece si definisce il ruolo di questa figura come redattore capo. Questo
giustifica il lavoro svolto sempre nell'ombra da Spaventa Filippi il quale non firma
nemmeno l'editoriale di avvio Come fu … proprio per fugare qualsiasi dubbio circa la
dirigenza della rivista e, al contrario, per affermare il valore del lavoro corale svolto
all'interno del giornale. Sarà la fedeltà e l'effettiva competenza dimostrata da Spaventa
Filippi nel tempo ad accreditarlo come direttore della rivista. Nonostante Luigi Albertini
rimarcasse più volte la necessità della vicinanza logistica del redattore capo e dalla sua
presenza quotidiana in azienda quali requisiti ritenuti fondamentali di efficienza e in
questo senso poneva condizioni che squalificavano Paola Lombroso, in realtà si coglie
un non detto che riguarda una consonanza di vedute e di posizioni culturali con
Spaventa Filippi che,al contrario, la progressiva conoscenza della Lombroso non
avevano affatto garantito.
Solo in questi termini avrebbero potuto essere garantiti criteri di qualità e di durata dell'iniziativa. I
contenuti entro i quali operare progressivamente le scelte avrebbero dovuto infatti assicurare
“varietà di firma”, di stile e di abbondanza quantitativa e avrebbero dovuto superare almeno due
momenti di selezione operata da persone diverse. Nel prefigurare una possibile rubrica in grado di
assicurare la partecipazione del pubblico, Albertini ipotizzava che l'invio abbondante di materiale
avrebbe dovuto richiedere una doppia selezione.
La struttura flessibile e compilativa, nonché l'identificazione di rubriche fisse, in grado di
contemperare anonimato del curatore e apertura tematica ( l'anonimato delle rubriche fu un punto
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La rivendicazione degli ideali e del progetto nel quale aveva fino a quel momento creduto in modo
fiducioso, si congiunse al sapore amaro, inaccettabile e non rimarginabile del tradimento subito.
Alle presunte difficoltà prospettate da Albertini nel porre una donna a capo del settimanale, Paola
ribatteva con lucida coerenza di sentirsi “usata” poiché la sua identità era stata gradita finché si era
trattato di agire nell'ombra come “organizzatrice clandestina”, mentre non era vista
improvvisamente all'altezza come “organizzatrice palese e ufficiale”. Per tutto il lavoro di
preparazione sottolineava che non erano sorti problemi per il fatto di chiamarsi “Paola invece di
Paolo Lombroso” e quindi tutto ciò a suo parere metteva a nudo la disonestà delle decisioni assunte
e rendeva manifesto il sopruso subito.
Considerata dal punto di vista della Lombroso sembra che le “colpe” siano tutte addossabili alla
direzione, mentre a guardare il quadro complessivo della questione si ha ragione di credere che
inizialmente gli Albertini le avessero lasciato la libertà d'azione senza troppo impegnarsi,
sottovalutando tuttavia le sue capacità di intraprendenza e di intessere relazioni derivanti anche da
una consuetudine di vita assai ricca di stimoli e opportunità culturali. Il carteggio mette in evidenza
gli assai ampi contatti e legami con il mondo culturale del tempo sui quali Paola poteva contare. Il
salotto letterario di casa Lombroso era noto quale crocevia significativo di intellettuali torinesi e di
altri che gravitavano sulla città in ragione di un mondo universitario di prima grandezza.
Paola Carrara aveva vissuto da sempre con intensità tali relazioni per condivisione di buona parte
dei progetti paterni e più tardi anche del marito Mario Carrara che fu l'allievo prediletto di
Lombroso. All'interno di questo clima, Paola coinvolse facilmente firme emergenti nell'ambito
giornalistico, letterario e artistico. L'ipotesi di poter lavorare entro una cerchia solidale di amicizie
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Quando il rischio di perdere il controllo della situazione divenne palpabile, gli Albertini misero
condizioni più stringenti nel tentativo di trovare una via di fuga, ma questa scelta portò all'aperto
contrasto per la strenua e forse inattesa difesa messa in campo dalla Carrara Lombroso.
L'impossibilità di trovare una conciliazione sul piano “morale e di lavoro” che vide di fatto la
Lombroso in una posizione di inascoltata solitudine, spostò immediatamente la trattativa sul piano
legale e qui giocò un ruolo non secondario il peso delle frequentazioni di Paola.
→ Di fronte all'offerta di Albertini di compensare con 1500 £ire il lavoro preparatorio svolto e alla
possibilità di trovare “ulteriori intese per la collaborazione, ma non già sulla base da Lei indicata, e
senza impegno di sorta, almeno per alcuni mesi di prova”, Paola Lombroso sceglie la via
dell'arbitrato amichevole rivolgendosi all'amico di famiglia Filippo Turati per essere da lui difesa.
Al di là quindi di una rivendicazione economica, Ella mirava al riconoscimento di diritti a suo dire
lesi e la scelta di Turati si muoveva proprio in questa direzione.
In particolare l'aiuto dell'onorevole Filippo Turati svolse un ruolo di mediazione, tale da ottenere
condizioni contrattuali a tutela del lavoro realizzato dalla giovane scrittrice e ponendo le basi per
garantirle la collaborazione successiva. Turati opera una trattativa che, sebbene non riesca a
garantirle un ruolo direttivo, evita di fatto uno scontro frontale tanto deleterio quanto inevitabile per
il temperamento di Paola.
Sulla base dell'arbitrato di conciliazione tra le parti venne stilato da Albertini un memoriale
accettato dalla Lombroso in data 10 ottobre 1908 nel quale si liquidava il lavoro svolto con un
compenso di 1500 £ire e si precisava che la sua collaborazione fissa poteva riguardare la rubrica
della “Corrispondenza” e quella dei giochi, mentre per una terza rubrica ancora in via di
definizione, ma che nelle intenzioni avrebbe dovuto fondarsi sulla collaborazione attiva dei lettori
secondo una modalità simile alla rubrica “Cartoline del pubblico” della “Domenica del Corriere”.
Questa rubrica sarebbe poi risultata “La Palestra dei lettori” che di fatto rimase l'unico spazio fisso
del giornale mai interrotto lungo la sua quasi centenaria esistenza e che non avrebbe fatto parte
dell'impegno effettivo di Paola Lombroso. Accanto al saldo mensile di 250£ (dalla richiesta
avanzata in prima fase di 500£ mensili, poi ridimensionata in 300£, la Lombroso giunse ad accettare
l'importo di 250£) per la collaborazione fissa, le fu riconosciuto un ulteriore compenso per testi
narrativi individuati nella tipologia testuale della fiaba, novella, monologo e biografia (di fatto la
collaborazione in tale ambito si sarebbe ridotta a qualche novella e monologo).
La richiesta di un vincolo contrattuale di tre anni nel 1909 fu ridimensionata a un solo anno di
comune intesa a patto che la direzione si impegnasse a pubblicare anche diversi racconti
espressamente firmati da Paola Lombroso.
Per quanto riguarda la rivendicazione del ruolo ideativo e direttivo dal quale era stata esautorata,
Paola dichiarò che avrebbe rinunciato ad ogni diritto dopo un anno di collaborazione continuativa e
con intesa di prosecuzione per almeno un altro anno.
Le vicende che contraddistinsero la fase preliminare di avvio del giornalino delineano un clima già
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Inoltre la Lombroso diceva di non avere alcuna “voce in capitolo nell'accettazione dei lavori” come
fiabe racconti e poesie, ma che ciascuno avrebbe dovuto “aspettare l'ardua sentenza” della
Direzione.
L'esigenza di anonimato e di forma impersonale desiderata dalla Direzione strideva rispetto alla
specificità di uno spazio di dialogo che si voleva instaurare con i lettori.
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Si rivelò da subito una scelta vincente perché l'immagine di Zia richiama da vicino una figura
potenzialmente calda, affettuosa e un'attenta ascoltatrice. Mentre il nome Mariù, diminutivo di
Marzola e in realtà attribuito a Paola Lombroso come secondo nome, era in sé melodico e incisivo.
Se il discorso dello pseudonimo garantiva la presa di distanza rispetto all'identità reale della
curatrice, si rivelò uno straordinario dispositivo per generare un personaggio a mezzo tra il
fantastico e il reale, in grado di suscitare aspettative, curiosità e deduzioni nei lettori e alimentando
il desiderio di svelare il mistero celato dietro il nome. Di questo meccanismo continuamente
alimentato da Paola Lombroso, la direzione inizialmente sottovalutò le potenzialità e nel tempo non
riuscì a contenerne le conseguenze.
Furono le continue esortazioni a mantenere un tono della conversazione con i lettori che fosse
“impersonale”. Per la Direzione significava trattare argomenti che convogliassero una pluralità di
voci dei lettori e che non facessero menzione diretta e reale della curatrice. Allo stesso tempo tale
connotazione doveva permettere al giornale di suggerire l'indirizzo da tenere secondo i propri
criteri.
Paola Lombroso interpretò tali disposizioni sempre secondo una formula meno restrittiva.
Eccepiva (=contestava) sulla sostanza del termine “impersonale” poiché l'utilizzo dello pseudonimo
non risolveva certo il fatto che lei avesse un'identità ben precisa e pertanto le pareva impossibile
spogliarsi di essa. → Nella lettera del 9 marzo 1909 Paola Lombroso diceva a questo
proposito:”Che cosa intende lei per Corrispondenza “impersonale”. Una Corrispondenza in cui non
si sappia che Paola Lombroso è Zia Mariù? Lo sapeva assumendomi sotto il nome ch'io avevo
proposto di Zia Mariù che io ero Paola Lombroso”.
Il suo stile di scrittura era carico del suo sentire, Alberto Albertini lo sapeva bene e riconosceva in
ciò parte del successo riscosso subito dalla rubrica, ma intendeva contenere e disciplinare
l'esuberante attività della curatrice.
Il termine “impersonale” mal si attagliava a salvaguardare l'originale personalità di ciascun lettore
che scriveva. Zia Mariù ci teneva a non dimenticare nessuno perché ciascuno si sentisse importante
ai suoi occhi. Si rivolgeva a tutti, senza differenze tra abbonati e non abbonati, affermando di non
badare certo a questioni amministrative. Al primo posto doveva rimanere ben saldo il valore
dell'ascolto della voce infantile e insieme il far sentire a quella la presenza educativa adulta.
La scelta dello pseudonimo, unito alla denominazione della rubrica con il termine
“Corrispondenza”, fissa e delimita uno spazio costruito dalla curatrice con un'impronta dialogica,
avvantaggiandosi in questo delle competenze educative che aveva maturato nel tempo. Di tale
propensione si ha la conferma nella pagina di avvio della corrispondenza che riesce in forma
narrativa, ironica, leggera ma finemente attenta, a far percepire importante e degno di attenzione il
lettore bambino a tal punto che il piccolo si meriti la possibilità di corrispondere come i grandi con
un giornale e di avere la soddisfazione di leggere su di esso risposte a sé dedicate.
→ L'articolo d'avvio della “Corrispondenza” qualificandosi come richiamo per ricevere la
partecipazione dei lettori non è volutamente firmato e serve anche di presentazione della Zia Mariù.
Tuttavia lo stile di scrittura, l'attenzione ad adoperare la forma dialogata e l'assunzione dal punto di
vista infantile fanno ritenere che il testo sia stato scritto da Paola Lombroso che intese così porre le
basi per strutturare la rubrica.
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Questo testo suggerisce implicitamente l'idealtipo di lettore della pagina della “Corrispondenza” e
più in genere conferma la linea della rivista. Si guarda con favore ai figli della borghesia.
Il secolo dei fanciulli di Ellen Key risuona nei significati delle parole di questo brano d'avvio.
I personaggi in azione sono spigliati, sicuri di se stessi, trasgressivi nel gioco e spontanei nel
linguaggio e nel pensiero, alla ricerca di una relazione con gli adulti che vorrebbero paritaria e
fondata su un nuovo rapporto fiduciario di cesura rispetto agli autoritarismi educativi dei secoli
precedenti. Ovviamente, non passano inosservati i ruoli stereotipici assegnati a Ricchetto e ad Ada:
la lettera viene scritta da Ricchetto, unico in grado di scrivere tra i due fratelli, mentre ad Ada viene
attribuito il merito effimero di possedere un soprabito di pelo, mentre al fratello anche la
competenza fisico-sportiva nel nuoto.
Il dialogo della breve scenetta domestica si consuma entro relazioni paritarie tra fratello e sorella e
con personale di servizio. Le figure genitoriali, solo vagamente menzionate, sono completamente
assenti.
Questa situazione prepara di conseguenza il terreno perché altri, il “Corriere dei Piccoli”, possa
accogliere la richiesta di ascolto e qualificarsi come interlocutore autorevole e persuasivo
nell'offrire risposte personali ai lettori.
L'espediente narrativo adottato consente di inserire il piano editoriale della corrispondenza
all'interno di un'informale letterina di risposta a Richetto e Ada dal “Corriere dei Piccoli”.
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Si andava così definendo una destinazione d'uso differente tra la “Corrispondenza” e la “Piccola
Posta” dove confluirono risposte in breve ad assidui corrispondenti per mantenere vivo nel tempo
un legame con loro. Si trattava di comunicazioni per lo più di servizio per evadere una molteplicità
di richieste minori che non necessitavano di ampie argomentazioni, ma non potevano essere
completamente ignorate; in quanto i lettori avrebbero interpretato il silenzio come un tradimento o
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Dalle colonnette della “Corrispondenza” traspaiono altri aspetti informativi. Le difficoltà logistiche
rilevate da Albertini nel definire il tipo di collaborazione da assegnare a Paola Lombroso, la
residenza a Torino e la scelta di tenere nascosta ai lettori l'identità della curatrice, si rivelarono in
tutta la loro entità e imposero una gestione piuttosto complessa dei tempi e dell'invio del materiale.
I documenti d'archivio permettono di ricostruire che le lettere dei bambini erano indirizzate alla Zia
Mariù presso la sede del “Corriere dei Piccoli” in Via Solferino dove la redazione svolgeva un ruolo
di collettore, di controllo e non raramente anche di censura. In svariate occasioni la Zia Mariù
informò i lettori circa i tempi di pubblicazione di ciascun numero che non potevano essere inferiori
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La distanza di residenza tra curatrice e sede del periodico giustifica almeno in parte la totale
mancanza di conservazione di lettere bambine presso l'Archivio Storico del Corriere della Sera. La
scelta del meccanismo tortuoso adottato per l'inoltro delle missive conferma l'assenza di fiducia e il
clima sospetto che gravavano su Paola Lombroso.
Dopo due mesi d'avvio della rubrica, la curatrice fu obbligata a difendersi, circa l'accusa di aver
risposto a un bambino. Mario Minossi, senza che di lui vi fosse traccia reale di una lettera e quindi
alludendo alla possibilità che lei si rivolgesse a bambini della sua cerchia di amicizie e
non a lettori autentici del “Corriere dei Piccoli”.
Zia Mariù nomina Mario Minossi in modo molto generico inserendo il suo nome in un ventaglio di
altri nominativi per ammonire il comportamento discutibile di alcuni nel volere l'abbonamento
annuale al “Corriere dei Piccoli” per evitare di rimanere privi quelle settimane nelle quali la loro
condotta o l'impegno scolastico avrebbero potuto non essere lusinghieri.
Paola teneva a precisare di non aver affatto bisogno di inventarsi corrispondenti “con tante lettere
che ricevo!” e che tra le risposte degli Albertini non avrebbe trovato nessun bambino suo parente.
Era evidente l'allusione non esplicita da Albertini alle due lettrici Magda e Millina Carrara più volte
ricordate nella rubrica in quei mesi di avvio del periodico.
Il dissidio su una gestione un po' familistica della “Corrispondenza” non si risolse completamente
sia perché, sebbene la figlia di Lombroso si contenesse, era un volto noto in una cerchia di amicizie
e di conoscenze assai allargata, sia perché viveva i legami familiari con intensità e partecipazione in
modo del tutto simile a come viveva l'impegno della Posta con i lettori bambini.
Le era del tutto naturale fare riferimento al padre scomparso stabilendo di intitolare alla sua
memoria una bibliotechina. Fu a partire da convinzioni di diritto e di uguaglianza di trattamento che
nelle lettere ad Alberto Albertini sarebbe ritornata sul tema, protestando sui tagli, a suo dire ingiusti,
operati dalla redazione su una pagina della “Corrispondenza”.
Lo stile e la linea editoriale degli Albertini erano invece molto lontani dal poter considerare il
periodico una grande famiglia, e con la scrittrice torinese si muovevano su una base di oggettiva
realtà di fatti, ma spesso i loro interventi assumevano il sapore amaro di pignolerie un po' fastidiose
nei toni e forse un po' sterili rispetto ai risultati sortiti.
( In alcuni scritti della Zia Mariù compaiono suoi familiari, come sua sorella Gina, ma anche il
personaggio di Chicchi, aiutante della Zia Mariù. Veniva chiamato anche Enrichetto dal ciuffo o
Chiccherottolo. Dietro a questi nomignoli si intravede il primogenito di Paola, di quasi nove anni,
all'altezza del 1909. Dietro al nome di Mimma si riconosce la sua secondogenita, Maria Gina nata
nel 1912).
In più di un'occasione la curatrice lamentò di plichi non pervenuti oppure mutilati di una parte di
missive e tali mancanze furono prontamente attribuite al “Corriere” a disguidi postali. Si trattava di
modalità piuttosto maldestre e poco trasparenti per evitare discussioni che invece puntualmente
sarebbero state mosse dall'interessata.
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La continuità di scrittura dei piccoli lettori e i riscontri interni ai testi permettevano inoltre alla
curatrice di rendersi facilmente conto dell'eventuale mancanza di lettere.
Nei numeri successivi alla lettera di protesta appaiono gli indirizzi dei lettori. Al termine del primo
e non semplice anno di collaborazione per “prova”, il clima risultò più disteso anche in virtù del
rinnovo contrattuale di collaborazione fissato per tutto il 1910 e che avrebbe potuto tacitamente
proseguire anche per l'anno successivo. Il contratto fu un segno tangibile per Paola Lombroso che il
suo operato era stato apprezzato e che i contrasti potevano far parte della definizione di ruoli e di
modalità di lavoro affinabili solo sul campo.
Pare che il 1910 è stato vissuto entro i confini di una reciproca serenità: pare sia stato un anno con
la presenza di un ritmo di lavoro costante e privo di dissensi significativi.
Nuovi disaccordi subentrarono nel corso del 1911 a partire dall'invito della direzione di variare i
contenuti della rubrica che rischiava di risultare monotematica e centrata sull'iniziativa delle
bibliotechine rurali. Si presentano anche varie tecniche adottate dalla Direzione per arginare la
libertà espressiva della Lombroso. Esse giunsero a livelli di accentuata conflittualità sul finire del
1911, segnando il cammino per l'uscita di scena di Zia Mariù. L'oggetto del contendere riguardò, di
nuovo, il taglio di una risposta che a giudizio della direzione non riguardava una lettera reale.
Il valore attribuito alle parole dei bambini, al dialogo e alla fiducia intessuti con loro, non era
paragonabile al lavoro di smistamento ripetitivo e formale esercitato da una redazione, in parte
disattenta rispetto al “bambino reale” presente dietro a ogni scritto infantile, in parte continuamente
in guardia rispetto a una pagina del giornale sempre meno espressione della linea editoriale
impressa all'insieme. Con la fine del 1911 fu data comunicazione formale a Paola Lombroso della
risoluzione contrattuale. Nonostante gli accordi stabiliti prevedessero l'uscita della
“Corrispondenza” fino al termine del marzo 1912, in realtà la rubrica apparve in modo discontinuo
fino a cessare completamente dal 12 febbraio 1912.
Dopo una durata di tre anni (161 settimane e altrettanti fascicoli) si concludeva “l'imperio” della Zia
Mariù sul “Corriere dei Piccoli”, ma anche l'esistenza stessa della “Corrispondenza”, poiché la
rubrica si riconosceva per l'impronta assolutamente personale della sua curatrice.
La Direzione rinunciò a far proseguire la rubrica né la rimpiazzò con una nuova.
La fisionomia complessiva del “Corriere dei Piccoli” mutò, poiché la componente compilativa prese
definitivamente il sopravvento, mentre la parola viva dei bambini rimase sconfinata esclusivamente
entro il perimetro della “Palestra dei Lettori”. Questo conferma l'insostituibilità della voce di Paola
Lombroso, ma lo sviluppo della storia della rivista mostra anche che gli Albertini avevano ceduto su
un punto sul quale successivamente non avrebbero più sorvolato: la gestione di una rubrica fissa si
sarebbe chiaramente configurata come uno spazio continuativo e privilegiato e il curatore sarebbe
stato un redattore e non un collaboratore esterno.
E se nel 1952 si può parlare di ritorno della posta dei lettori con la direzione di Giovanni Mosca la
rubrica si sarebbe chiamata “Il Direttore Risponde”.
Passaggio dalla direzione Mosca alla direzione di Guglielmo Zucconi nel 1961: il cambiamento di
direzione pare essere stato accelerato da alcune risposte poco ponderate di Mosca attorno
all'esperienza giornlinesca e in particolare a proposito di Giuseppe Bertelli, il figlio di Vamba.
La “Corrispondenza” di Zia Mariù fu dunque un'esperienza unica nel suo genere in relazione alla
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L'animo infantile spalanca le proprie porte all'adulto motivante e innesta un circolo virtuoso. Nel
caso della piccola “Mariula” ciò le aveva permesso si consolidare la fiducia nelle proprie capacità di
scrittura. L'attenzione al pensiero e al sentire bambino era posta al centro del dialogo epistolare con
i lettori e alla complicità che, a poco a poco si stabilì con le parti.
Zia Mariù rispose alla piccola Ida in questo modo:” Adesso sapete perché vi voglio bene? Perché
voi, miei passerotti, miei piccoli e grandi, giudicate la Zia Mariù per “L'anima” e non per le virgole
e le doppie”.
In varie occasioni la Lombroso rimarcò che il suo scopo era quello di guardare “le vostre animucce”
e attorno a tale punto seppe costruire un solido tessuto relazionale, rilevando il buono in ogni
scritto, sapendo anche indicare una strada di miglioramento personale.
Lo spunto iniziale derivò da un aspetto esteriore, come potevano essere le intestazioni delle buste
inviate alla curatrice. Paola Lombroso seppe trasformare questa situazione abbastanza banale in
un'opportunità di dialogo e di conoscenza dei lettori.
Il linguaggio confidenziale era un invito all'autenticità nella scrittura perché proprio questa le
appariva la cifra distintiva e originale della comunicazione infantile.
Le parole della curatrice furono un vero incoraggiamento verso i più creativi, ma anche verso i
timidi, facendo leva sul fatto che, se in specie i timidi si confidano, è un titolo d'onore per chi è il
destinatario del loro messaggio in quanto considerato degno della loro fiducia. Erano poste le basi
di accettazione finché ciascuno superasse le barriere di ritrosia nel lasciar esprimere il proprio
cuore. La distanza da una comunicazione formale e giudicante fu decisiva per consentire ai
2piccoli” di affidarsi al foglio di carta e rivolgersi a un'interlocutrice sconosciuta.
Il gioco attorno all'identità della Zia Mariù occupò a lungo i lettori, specie nel corso dei primi mesi
della rubrica e tale tema sortì il doppio effetto di catturare l'attenzione giovanile e di consolidare un
rapporto di complice amicizia.
Una delle prime lettrici a scrivere alla Zia Mariù fu Mimì Lenzi di Bologna, curiosa di conoscere
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Con toni scherzosi e autoironici Zia Mariù dice qualcosa del proprio aspetto, sdrammatizzando su
elementi estetici e su ipotetici ideali di perfezione e bellezza. In questo modo lancia un'apertura
empatica al lettore bambino che si può più facilmente avvicinare ad un'interlocutrice in grado di
aiutare a trasformare i propri piccoli difetti nella virtù di saperli accettare.
Chiamata a raccolta dei nuovi lettori, già affettuosamente chiamati “nipotizi”.
Paola Lombroso invita subito ogni lettore ad essere protagonista in questa avventura, offrendo idee
e suggerimenti perché ciascuno esprima la propria interiorità tramite l'immediatezza del disegno e
della caricatura, già in gran voga nel modello “giornalinesco” vambiano.
I bambini non tradirono le aspettative e inviarono le loro caricature, anche se i tempi di riscontro sul
periodico confermarono la lentezza del dialogo, e tra le varie motivazioni (vedi paragrafi
precedenti) si aggiunse la difficoltà di adattare la grafica dei disegni agli spazi della rivista.
L'elogio espresso verso la perspicacia infantile e l'ulteriore attesa aumentarono le aspettative che
finalmente trovarono soddisfazione con la pubblicazione di nove disegni giudicati originali. Si tratta
di “scritture bambine”: in esse confluiscono gli indizi appositamente forniti dalla Zia Mariù, ma la
rielaborazione rimane pur sempre originale.
Nella galleria di ritratti delle pose diverse e dal tratto più o meno esperto è tuttavia ricorrente il
volto gioioso e indaffarato di una vecchia zia con i capelli raccolti a crocchia e con cuffiette di trine
dalle improbabili fogge che evocano le infanzie vitali e ridenti dei loro giovani autori. L'espediente
dei disegni contribuisce ad accrescere la curiosità dei lettori che nelle loro lettere si trasformano in
investigatori in erba.
Paola tranquillizza gli animi di chi vede in lei Mariù Pascoli, la sorella del celebre poeta.
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Il ricorso alla figura di questo goffo e brontolone diavoletto fantastico che prendeva con sé la zia
Mariù sotto il suo largo tabarro dell'invisibilità e la conduceva a bordo dell'avvenististico aeroplano
“Fantasia e verità”, fu una scelta decisamente originale perché permetteva alla curatrice di
modificare il proprio punto di osservazione, di assumere agli occhi dei lettori un punto di vista
dinamico. Non più e solo una saggia vecchietta chiusa nella sua torretta ad attendere ferma che la
voce dei bambini giungesse sino a lei, ma un'agile zietta che magicamente si avvicinava ai lettori, li
scrutava dall'alto, li osservava nelle loro gioie e preoccupazioni quotidiane senza essere vista e così
compariva a conoscere ciascuno, perché ciascuno potesse sentirsi da lei compreso.
Lo spunto narrativo del Diavolo Zoppo si riallaccia alla fonte letteraria dell'omonimo protagonista
del romanzo di Alain René Lesage ( → scrisse Il Diavolo Zoppo nel 1707 e l'opera ha avuto diverse
traduzioni in italiano sia nel corso del Settecento sia nell'Ottocento. La stessa Lombroso può aver
conosciuto quest'opera attraverso le svariate traduzioni anche se non si esclude che avesse letto il
testo direttamente in francese).
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Uno tra i primi quesiti lanciati ai lettori si ricollegava all'ambita collaboraizone alla “Palestra dei
lettori” che era ricompensata dal settimanale con il premio di 5£ per ogni “paragrafetto” pubblicato.
La domanda si proponeva di scandagliare nell'animo infantile gusti, inclinazioni, desideri e pian
piano questi trovarono forma nelle lettere che nell'arco di un mese andarono a riempire “la bisaccia”
della Zia Mariù. Gli esiti del concorso vennero presentati con al consueta modalità espressiva
figurata. Quest'entrata virtuale nel salotto di casa<Carrara consente di accedere rapidamente alle
risposte e rilevare che una maggioranza di bambini avrebbe utilizzato le 5£ per l'acquisto di un
abbonamento per se stessi o per altri.
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Che cosa farebbe ciascuno di voi se guadagnasse lo scudo d'un paragrafetto? E le sei risposte più
argute, graziose e belline avranno un premio! … Cinque lire? Ahimè! La borsetta della Zia Mariù
è modestissima, ma invece delle cinque lire ognuno dei vincitori avrà in premio un bel libro adatto
ai suoi gusti ed alla sua età.
Vi furono gare di solidarietà, le quali assunsero nuovi contorni quando due fratelli allegarono a una
lettera 5£ per abbonare l'ormai amica dei Piccoli Nene. Successivamente, un abbonamento poteva
essere devoluto agli orfani dei marinai alloggiati sullo Scilla (era una nave orfanotrofio).
Accanto all'altruismo solidale un altro criterio di premiazione consisteva nel gratificare l'arguzia e
l'intelligenza propositiva dei lettori.
La sensibilità fu sperimentata dalla Zia Mariù anche tramite altri referendum indetti nel 1910
durante il periodo estivo, quando forse l'affluenza delle lettere rischiava di ridursi sensibilmente.
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Quale vi pare la più bella qualità di un bambino o di una bambina, e perché vi par la più bella?
→ Paola diete tempo solo due settimane per partecipare all'iniziativa e offrì un resoconto
dettagliato dei pensieri bambini dopo venti giorni dal lancio del quesito.
Nelle modalità di premiare va segnalata la delicatezza di Zia Mariù, affinché la scelta dei pochi non
fosse mortificante per i molti necessariamente non vincitori. Anche per questi ultimi c'è spazio,
anche se non ritenute meritevoli di un premio; le espressioni di apprezzamento, sempre e comunque
formulate dall'attenta Zietta per valorizzare la positività di ciascuno sono un'ulteriore prova di tale
sensibilità. Ne sono conferma le gratificazioni formulate nella dedica personale di una storia o di un
aneddoto narrato dalla curatrice nelle colonnette della “Corrispondenza”. A più riprese la Zia Mariù
fece presente ai lettori di essere dispiaciuta per non aver maggiori risorse per ricompensare i
bambini che le aprivano il loro cuore e se in taluni casi invitava gli esclusi a comprendere le ragioni
delle scelte operate e a riconoscere che la Zia Mariù aveva cercato di agire con giustizia, in altri casi
l'esclusione di diversi meritevoli la indusse a dar loro un premio morale dedicando un racconto
spesso realistico nel quale il bambino potesse riconoscersi.
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Chiedeva di fare una proiezione di se stessi nell'ambito lavorativo, privilegiando la scelta per il
lavoro manuale: si poteva cogliere una linea di continuità con i principi di essenzialità e di umiltà
emersi come valori prioritari dal referendum precedente.
Dello stesso tenore erano le altre lettere volte a sottolineare l'idea di benessere fisico e di genuinità
del sistema di vita che poteva assicurare il lavoro contadino. Il naturale legame infantile con la
realtà rurale è caricato anche di valenze di utilità economica e di sanità igienica che testimoniano
gli influssi culturali di matrice naturalistica e positivistica attivi sulle generazioni di primo
Novecento.
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Se, Paola Lombroso, nella fase di avvio della rivista il concorso aveva stimolato l'interazione con i
bambini e favorito la fidelizzazione del lettore, con l'andare del tempo permise di trattare una certa
varietà di contenuti, bilanciando il crescente spazio attribuito all'iniziativa delle bibliotechine rurali.
Differente risultò l'equilibrio tra i concorsi e l'iniziativa delle bibliotechine rurali nella stagione
conclusiva della rubrica, poiché le pressioni della direzione imposero un ridimensionamento della
complessa iniziativa delle biblioteche e spinsero Paola ad ampliare lo spazio delle inchieste.
Nel secondo semestre del 1911 si intensificarono i concorsi che passarono da uno o massimo due in
un intero anno a uno ogni due mesi.
Zia Mariù stabilì vincoli di quantità e fissò in quattro il numero delle virtù da assegnare e vincoli di
qualità, ponendo come condizione di esprimere il proprio pensiero in non più di quattro frasi.
Gli esiti del concorso furono preceduti dal confronto di posizioni sul tema tra la Zia Mariù e la
giovane ideatrice Noemi che, tra l'altro, era stata accolta tra i selezionati collaboratori del periodico
con un racconto d'esordio dal titolo Sofferenti minuscoli ( → il testo letterario d'esordio di Noemi
Coralli seguì la già consolidata collaborazione alla rubrica di Zia Mariù che quindi rappresentò una
via di esposizione preliminare e di acquisizione di consapevolezza anche in vista di ambiti di
affermazione letteraria).
Zia Mariù rispose volutamente a Noemi con linguaggio enigmistico per stimolare l'interpretazione.
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L'attualità del momento entrava con aggressività ingenua nella scrittura della bambina, che faceva
riferimento a una possibile, ma difficile, fratellanza tra italiane e piccole libiche avvicinate sotto la
medesima insegna del tricolore tramite il comune interesse per le bambole. La belligeranza allora in
atto e fermamente respinta dalla Lombroso non era tuttavia censurata nella scrittura della bambina:
la Zia Mariù offriva in tal senso una testimonianza di rispetto verso posizioni diverse dalle sue
convinzioni e le riteneva accettabili in nome del pacifico obiettivo ludico prospettato dalla lettrice.
La curatrice mostrava pacato ascolto e nel contempo sapeva infondere una calda dose di stima e di
fiducia nel progetto di vita che timidamente ciascuna bambina andava spontaneamente elaborando
nell'innocente gioco con le bambole. Zia Mariù rovesciava il luogo comune secondo cui questo
gioco predisponga alle responsabilità del ruolo materno, mentre più ottimisticamente riconosceva le
qualità di bontà e tenerezza che certamente le future bambine avrebbero apprezzato nelle loro
mamme.
Fu poi la volta dei luoghi di villeggiatura.
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L'immediatezza della scrittura e qualche incoerenza interna fanno percepire il groviglio del pensiero
infantile nel suo nascere progressivo e analogico.
La Zia Mariù riprese in sintesi il senso profondo di questa pluralità di voci.
Il senso di appartenenza adulto al proprio paese si costruisce pian piano a partire da ciò di cui
l'animo infantile ha potuto nutrirsi e che rifluirà per altra via nelle scelte consapevoli della maturità.
Questo è il messaggio educativo di fiducia e di speranza che la zietta affidava ai propri “nipotini”,
purtroppo non ancora avveduti circa le contrastanti tendenze nazionalistiche che avrebbero
avviluppato (=attorcigliato) anche loro nelle spire mostruose della guerra.
I venti di guerra bussano con forza alla torretta di Zia Mariù negli ultimi mesi di esistenza della
rubrica e si affacciano nelle letterine dell'ultimo concorso proposto in prossimità del Natale dalla
lettrice Ada Montù: ella suggerì l'idea di stendere una lista di desideri realizzabili, sulla falsa riga di
quanto era solita fare con i suoi fratelli rispettando la tradizione del “Wunsch-Zettel” (= lista delle
cose che si desiderano avere). Accanto alle prevedibili richieste di giocattoli vi è quella di Tina
Ellena che chiede di andare a Tripoli ad ammazzare i turchi.
La Zia Mariù si rende conto di essere poco persuasiva nel sostenere che si tratta di un desiderio
irrealizzabile e con un velo malinconico chiude la corrispondenza, temendo di non aver più a che
fare con bambini e bambine ma forse già con guerriere, entusiasmate dalla guerra e a”assetate di
sangue”, come deve ammettere la curatrice con sgomento riportando le parole di un'altra bambina
che la pensa come Tina Ellena.
Lo spirito bellicoso iniziava a penetrare in alcuni lettori che stavano lasciando precocemente
l'innocenza dell'infanzia. La pacifista Zia Mariù non si diede per vinta e tentò la via del
discernimento (=giudizio, capacità critica), trovando appositi spazi per parlare con franchezza anche
nell'animo di potenziali guerrieri.
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È chiaro l'incoraggiamento verso la crescita culturale delle giovani lettrici e verso capacità
autonome di riflessione fondate attorno ad un'autenticità di principi etici laicamente intesi.
All'interno di questo scenario è ravvisabile un nuovo dinamismo nella possibilità femminile di
partecipare attivamente nel disegno di progresso civile e sociale. La costruzione del bene comune
risuona nelle linee guida attorno alle quali Paola Lombroso struttura la pagina della
“Corrispondenza” ed è evocativamente percepibile la chiara posizione della curatrice quanto,
rispondendo a un lettore, dichiara di non essere mai stata una “femminista”.
Tale espressione ha modo di comprendersi se riletta lungo l'intero sviluppo della rubrica.
Ritornando sul tema infatti, la giovane lettrice siciliana (Clara De Renzis) aveva sostenuto il proprio
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Nel corso dei primi mesi le colonnette della “Corrispondenza” rivelano la mancanza di un piano
preordinato della curatrice in materia di educazione alla lettura e la stessa promessa di riservare
periodicamente dello spazio per parlare di libri non si attua perché teme il pericolo di trasformare la
rubrica in uno spazio di recensione di impatto più distaccato e freddo, provocando l'allontanamento
del lettore piuttosto del suo avvicinamento empatico.
Si persegue la ricerca del dialogo, della relazione che va coltivata con cura in ragione della distanza
reale del bambino raggiungibile solo per il tramite della parola scritta. In questo contesto si inserisce
la scelta in seguito espressa dalla curatrice di rispondere direttamente agli interessati per consigli di
lettura specifici, mantenendo sulla rivista uno sguardo rivolto alla complessità dei problemi.
A tali considerazioni si aggiungono le idee maturate nel frattempo attorno all'identità dei lettori che
la Zia Mariù a mano a mano aveva modo di conoscere.
Nei percorsi individuali dei piccoli del “Corriere” l'incontro con il libro diventa presto prevalente
rispetto all'oralità e si articola nella fruizione di narrazioni in volume accanto a storie lette sul
settimanale ed approfondimenti di tipo saggistico. La lettura del settimanale generalmente non
sostituisce la consuetudine al leggere opere in volume. In realtà si pone con un ruolo
complementare al quale credono gli adulti avvicinando per primi i propri figli con la diffusa
formula dell'abbonamento. La lettura occasionale del periodico tende a riguardare bambini abbienti
(=ricchi), i quali vengono in contatto con la rivista per il tramite di coetanei o come premio non
assicurabile in modo costante. La lettura adulta effettuata per il bambino costituisce la trama entro
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La Zia Mariù ritiene che il viaggio autonomo giovanile sia un'opportunità importante sotto il profilo
educativo, perché promuove il senso di libertà e di responsabilità nel soggetto, mentre sotto il
profilo culturale pensa che non ci sia nulla di più vivo della possibilità di apprezzare direttamente il
patrimonio artistico e naturale che ogni luogo offre.
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4.3 Per “Conoscere i giardini fioriti che stan dietro il grigio muretto del
sillabario”:
La tipologia delle opere da destinare alle scuolette di campagna andò strutturandosi a poco a poco
nel dialogo con i lettori. Paola Lombroso aveva presente il discrimine tra lettori autonomi e coloro
che accedevano alfabetizzazione. Il divario di competenze corrispondeva a un divario conoscitivo
sostanziale. Laddove l'esperienza di lettura si fosse ridotta alla decifrazione difficoltosa del
sillabario, sarebbe rimasto precluso l'universo di significati, di valori e di bellezza che la letteratura
custodisce e dei quali i bambini avrebbero ignorato l'esistenza.
Fin dall'esperienza maturata come assistente nell'iniziativa “Scuola e famiglia” a Torino, Paola
Lombroso aveva sperimentato che la deprivazione di stimoli di lettura portava i bambini ad avere
una visione distorta del leggere e una consapevolezza davvero inesistente delle potenzialità
arricchenti della lettura.
È proprio il silenzio inerme dell'infanzia a sconvolgere l'animo di Paola che sente il dovere morale
di offrire anche ai meno fortunati la possibilità di scoprire letture appaganti.
Nella sua esperienza aveva potuto stabilire che capolavori come Il Robinson svizzero o Cuore erano
in grado di risvegliare nei bambini riflessioni e sentimenti inediti. Quei vissuti autobiografici
giovanili erano nutriti di ideali estetici derivati da John Ruskin del quale si riteneva una ferma
sostenitrice, in particolare per il ruolo etico-civile di emancipazione popolare svolto dalla
conoscenza artistica ( → Paola Lombroso era attratta dal socialismo di Ruskin proprio per la
declinazione culturale assegnata alla bellezza dell'opera letteraria e figurativa quale via di
elevazione culturale ed etico-civile del popolo. Tale concezione estetica era contenuta in particolare
in J. Ruskin, Sesame and Lilies che con ogni evidenza Paola Lombroso conosceva e che fu
determinante nello strutturare le proprie idee attorno al ruolo dell'arte nell'educazione dell'infanzia).
Tali riferimenti risuonano nel nuovo compito della Zia Mariù e l'idea spontanea di rendere partecipi
i piccoli della bellezza della lettura diventa un progetto educativo vero: porsi al servizio degli ultimi
affinché i libri possano migliorarli.
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Riduttivamente considerato fiaba, il capolavoro collodiano si stacca dalla tradizione popolare pur
discendendo almeno in parte da quella e consente al bambino di cimentarsi in una lettura
appassionante e di indiscussa qualità letteraria. Si può effettivamente dare atto a Zia Mariù che la
straordinaria impronta dialogica di Pinocchio garantisse una lettura vivace, ritrovandosi in essa
l'efficacia e l'immediatezza comunicativa dell'oralità. Inoltre la rappresentazione antropomorfa degli
animali cristallizzava con efficace simbologia vizi e virtù umane nei quali diveniva per i bambini
facile rispecchiarsi o prendere le distanza.
Collodi rappresentava insieme a De Amicis un ottimo viatico perché i non lettori diventassero lettori
e perché il linguaggio dialettale cedesse il passo senza traumi all'apprendimento della lingua
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Tale espressione nasce nell'ambito del dialogo con i lettori a proposito della promozione della
lettura nel suo complesso, rimarcando l'auspicio che l'idea promossa nella “Corrispondenza”
potesse favorire iniziative personali da parte dei singoli lettori. La curatrice era convinta che,
sollevando il problema dell'alfabetizzazione e individuando una via di sostegno alle realtà più
disagiata, i lettori potessero maturare una nuova sensibilità verso il problema e attivarsi in prima
persona per rispondere a necessità a loro vicine. In questo modo lo stimolo ricevuto poteva evolvere
in uno stile di vita autonomo da perseguire nella quotidianità e nel tempo.
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L'impegno di ciascuno andava molto spesso ben oltre una sola bibliotechina (l0intitolazione della
bibliotechina non coincise sempre con il donatore della stessa).
Si definirono due distinte figure:
- il “patrono”, ovvero il nome del bambino donatore;
- figura familiare cara scelta dallo stesso donatore.
Non solo quindi il “patrono” si sentiva riconosciuto come degno di importanza, ma l'intitolazione
permetteva al donatore di attribuire al gesto un valore affettivo personale per il quale avesse senso
impegnarsi ancor prima di comprendere il senso dell'azione meritoria. Il pensiero di compiere
un'opera buona costituì un dispositivo di mediazione in grado di motivare all'azione e di dare senso
ai comportamenti altruistici.
Piano piano si moltiplicarono i riscontri effettivi da parte delle scuole riceventi che inviavano alla
curatrice della “Corrispondenza” lettere di ringraziamento nient'affatto formali o di maniera e in
diversi casi gli scambi di informazioni sugli sviluppi della prima dotazione libraria andarono
consolidandosi nel tempo. Nel corso del 1910 il ruolo dei “patroni” divenne sempre più importante
perché l'intensificarsi dei contatti con le scuole di campagna spinse ad offrire ulteriori volumi.
Questo desiderio venne incoraggiato da Paola che subito ne comprese la portata educativa.
Con il trascorrere del tempo il ruolo della Zia Mariù divenne sempre più quello di coordinamento,
mentre progressivamente aumentò l'intraprendenza giovanile. Difficilmente si trovano osservazioni
circa la non opportunità di talune opere, ma va anche aggiunto che in genere le proposte dei lettori
tesero a rispettare i criteri stabiliti a monte.
Il dialogo rimase fitto nell'identificare le modalità più adatte affinché i lettori vedessero il buon esito
del loro lavoro.
Il senso educativo era evidente: il tempo e le energie dedicati agli altri permettono di apprezzare i
risvolti pratici del proprio lavoro e di radicare l'amore e la dedizione per il prossimo come
disposizioni d'animo strutturali nella personalità di ognuno.
Zia Mariù riesce a comunicare con grande efficacia ai “nipotini” che l'azione di beneficenza
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Nel corso del 1910 va registrato anche l'interessamento di editori, intellettuali e di istituzioni a
quanto andava facendo la Zia Mariù. Di particolare rilievo fu la donazione di cinquanta copie di
Cuore da parte di Emilio Treves che volle così festeggiare il raggiungimento di 500 mila esemplari
del capolavoro deamisiano. Bemporad fece altrettanto con Pinocchio. A questi cospicui omaggi
aggiunsero copie del Libro dei bimbi e di Gianni e le sue bestie regalati da Lina Schwartz e anche
alcune copie di Leo e Lia dell'amica Laura Orvieto. Non mancò il supporto economico di note
scrittirici come Ada Negri.
Guardò con ammirazione alle bibliotechine anche Ida Baccini, vero e proprio pilastro del
giornalismo per ragazzi tardo ottocentesco.
Appoggi giunsero anche dalla scrittrice e germanista Barbara Wick Allason, che era il rapporti di
amicizia con Paola.
Era in stretta relazione con Benedetto Croce e con la cultura liberale a cavallo tra i
due secoli. Lavoro di traduzione e attività narrativa anche nell'ambito della
letteratura per l'infanzia (Il tesoro dei Nibelunghi).
Fu singolare e particolarmente gradita l'offerta di aiuto da parte di Aracne, volutamente celata dietro
lo pseudonimo per lasciarla nell'anonimato e aumentarne l'aura di mistero: si trattava di Elisa Ricci,
scrittrice e fine studiosa dell'arte del ricamo, la quale donò per le bibliotechine una raccolta di
fotografie che faceva parte di un'ampia collezione di stampe raccolte insieme al marito Corrado
Ricci. La raccolta documentaria diventò anche occasione per educare al bello bambini di campagna,
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Caso unico nel corso della “Corrispondenza”, la carenza di scolarizzazione non è anche sinonimo di
scarsa consapevolezza circa il suo valore e la richiesta determinata d'aiuto cosciente proviene dagli
stessi bambini che si trovano nella situazione di essere discriminati. Il proposito di combattere
l'ignoranza interroga da vicino Zia Mariù che prende seriamente a cuore il desiderio di
emancipazione dell'allegra combriccola di ragazzi.
Il sostegno di una bibliotechina sarebbe stato ben poca cosa a fronte di intere giornate di tempo
libero e di occasioni mancate di crescita; così propone loro di dar vita a un laboratorio per la
costruzione di giocattoli da barattare con libri che altri bambini avrebbero potuto dar loro. Arruola
dei veri e propri fabbricanti di balocchi, provvisti di tutto il materiale necessario per un'attività
lavorativa che li avrebbe tenuti occupati quotidianamente per diverse ore. Spesso le richieste
giungono alla torretta di Zia Mariù in punta di piedi con il timore di osare troppo anche solo a
chiedere un aiuto.
La sola idea di poter scrivere per esprimere il proprio disagio culturale è un gesto carico di speranza
e di attesa perché un domani migliore si possa presentare e sia di stimolo per crescere e per
consentire “agli scolaretti di volar colla fantasia fuori di qui”.
Non si contano nella “Corrispondenza” i riferimenti alle condizioni disagiate della classe
magistrale. Le ristrettezze economiche non sono tuttavia sinonimo di povertà etico-sociale, anzi, le
necessità tracciano un cammino di lavoro e di sacrificio ben illuminato da un senso di condivisione.
Si realizza in piccolo quanto la curatrice della rubrica sostiene in più occasioni: la colleganza tra
bambini non avviene solo in modo unidirezionale dai più ricchi verso i più poveri, ma scaturisce
ovunque ci si fa carico degli altri secondo i propri mezzi.
La “Corrispondenza” è ricca di segni di riconoscenza che fanno capire in quale misura 'iniziativa
delle bibliotechine sia riuscita innanzitutto a scuotere le coscienze, a mobilitare educatori e bambini
nel donare qualcosa di sé.
Le relazioni interscolastiche di amicizia costituiscono un osservatorio interessante per capire
l'incidenza delle donazioni sulle motivazioni e sulle abitudini di lettura degli scolari. Un tratto
comune a diverse realtà riguarda l'immediato interesse e il prolungato ascolto dell'insegnante che
legge ad alta voce a una scolaresca spesso molto numerosa.
In altre situazioni, oltre alla lettura da parte della maestra, si attiva il prestito a domicilio delle
opere, per lo più seguendo il criterio del libro destinato come premio per l'impegno profuso nel
compito scolastico o come nota di merito. La piacevolezza delle letture ascoltate in classe mobilita
verso un maggiore impegno nella varie discipline per conquistare l'amb^to premio.
Il prestito dei testi sottolinea l'idea di un patrimonio comune da rispettare e da salvaguardare, aperto
anche alla cerchia familiare. Tale consapevolezza si fa stile educativo, oltrepassando in qualche caso
anche il senso di proprietà esclusiva di un'opera.
Come emerge da numerose lettere, i “patroni” costituivano un anello fondamentale
nell'organizzazione delle biblioteche rurali poiché mantenevano viva la relazione d'amicizia con la
singola scuola e raccoglievano il bisogno di implementare la dotazione libraria. Si trattava dunque
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Una vera e propria vocazione educativa sorregge l'operato dell'insegnante che subito percepisce le
potenzialità formative della biblioteca scolastica, oltre i confini della seppur importante
alfabetizzazione; ne estende la prospettiva nel senso di un disegno ben più ampio di benessere,
motivazione e mobilitazione interiore degli alunni. Per i “figli di operai” il libro diviene incontro
gioioso di possibilità e di accompagnamento positivo oltre le ristrettezze economiche del
contingente.
Le nobili intenzioni presto si tramutarono in fatti e la “fabbrica intellettuale” iniziò a crescere nel
biellese, coinvolgendo attenti benefattori che sostennero l'impegno educativo della giovane maestra,
invitando altre scuole a seguirne le tracce.
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Al di sopra di tale organizzazione era posta una struttura verticistica di presidenza e di consiglio
direttivo che modificava l'assetto originario. La vera novità consisteva nella definizione di cariche
che andavano oltre la cerchia giovanile e che ponevano la stessa Paola Carrara in qualità di
Presidente a interfacciarsi con un consiglio direttivo composto per lo più da persone adulte ed
esclusivamente di sesso femminile.
Si pongono, dunque, le basi per la lenta trasformazione dell'iniziativa delle bibliotechine e del
relativo foglio informativo in una direzione progressivamente più adulta nella gestione complessiva.
Il dialogo educativo personale tra Zia Mariù e i “nipotini” diviene nel tempo un'azione
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* La “volenterosità” degli aiutanti del libro per Paola Lombroso si esprimeva nel momento in cui l'adulto offriva
ai ragazzi un'opportunità, perché confidava nelle loro possibilità di operare responsabilmente. La stima e la fiducia
costituivano il primo motore per un agire giovanile carico di iniziativa e di affidabilità. La qualità della
“scrupolosità” consisteva nella “preoccupazione costante di non mancare ai propri impegni morali”. La
“fermezza” era ritenuta la capacità di operare per il fine delle bibliotechine in modo continuativo e tenace. Ciò era
riscontrabile in molti ragazzi, aiutati in tal senso dal poter coalizzare attorno a se stessi un gruppo familiare di
fratelli e cugini in grado di condividere e allentare al tempo stesso l'impegno assunto.
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5.4.1 Leggere per scrivere tra “Giornalino della Domenica” e “Corriere dei Piccoli”:
Nel 1911 aveva attraversato la “Corrispondenza” l'esordio letterario di Noemi Coralli, fedele
aiutante delle bibliotchine anche oltre le colonne della torretta: il suo racconto Sofferenti minuscoli,
pubblicato sul “Corriere dei Piccoli” nel gennaio del 1911, fu una riuscita prova letteraria.
L'accettazione del testo dipendeva unicamente dalla direzione della rivista e Zia Mariù non aveva
alcun potere di intermediazione a tal riguardo. Il risultato fu un vero e proprio successo per la
giovane lettrice che donò parte del compenso per la causa delle bibliotechine rurali come frutto del
proprio lavoro.
Nel tempo diverse altre lettrici si mossero nella medesima direzione in modo autonomo, ma anche
incoraggiate proprio da Paola ben al di là della “Corrispondenza”. La via della scrittura si dimostra
essere un territorio privilegiato di affermazione giovanile: molti lettori delle riviste primo
novecentesche sperimentano in esse un vivace spazio di libertà culturale, di stimolo continuo oltre i
confini già definiti delle letture classiche. L'abbassamento dello scarto educativo tra editore e
destinatario, avvertibile nei nuovi periodici come “Corriere dei Piccoli” e “Il Giornalino della
Domenica”, generò più facilmente una vicinanza tra adulto e bambino.
È esemplare l'esperienza scaturita sul “Passerotto” in casa giornalinesca. Il supplemento mensile si
prefiggeva lo scopo di offrire ai ragazzi il modo di provare a scrivere novelle, poesie, cronache
giornalistiche: uno spazio specifico di modellamento creativo e per questa via si contribuiva a
gettare le basi per la formazione della futura classe dirigente e intellettuale del paese.
Il passaggio dal “Giornalino della Domenica” al “Corriere dei Piccoli” da parte dei lettori
particolarmente intraprendenti e promettenti come Aldo Fortuna, Luisa Anzilotti, Lina Crucoli,
Bianca Ottolenghi, tea Cancelli accanto a nomi che crescono prevalentemente al fianco della Zia
Mariù come Dedè Dore, Lucia Maggia e altre lettrici si cui si parlerà più avanti.
Si tratta di un fenomeno che ridimensiona la fidelizzazione esclusiva alla grande famiglia
giornalinesca da parte di alcuni lettori già adolescenti, impegnati innanzitutto a cercare possibili
canali espressivi, forse meno a sostenere la rivista. Così avvenne per Aldo Fortuna, giovane liceale
fiorentino: passò un breve periodo sul settimanale di Vamba, per poi offrire umoristici bozzetti sul
“Collodi”, e, all'inizio del 1909, il suo nome transitò nelle fila della “Corrispondenza” sia per le sue
acute proposte sia per essere l'autore di una delle più riuscite caricature della Zia Mariù.
Quello di Aldo Fortuna fu un fugace, ma intenso attraversamento sui vari periodici per ragazzi di un
lettore appassionato della scrittura oltre che dell'irredentismo e determinato ad inserirsi a tutto tondo
nel tessuto culturale del proprio tempo. Aldo Fortuna non fu solo solo un avvocato di successo, ma
anche una figura bene introdotta nell'ambiente giornalistico e letterario. Tra le varie conoscenze, vi
fu anche quella con Umberto Saba, con il quale strinse una profonda amicizia durata oltre la
seconda guerra mondiale.
Il caso di Aldo Fortuna non fu tuttavia isolato se si guarda ai fenomeni di attraversamento da una
rivista all'altra. I nomi di Luisa Anzilotti, Lina Crucoli e Tea Cancelli avevano trovato una prima
visibilità sul “Passerotto”. Di Lina Crucoli “Il Passerotto” aveva pubblicato una caricatura ironica
sulle aspirazioni militari del fratellino Orazio.
Entrambe le vivaci lettrici e autrici della famiglia giornalinesca si accostarono al “Corriere dei
Piccoli” e i loro nomi ricorrono nelle “Corrispondenza” con particolare riguardo all'iniziativa delle
bibliotechine, rimanendo infine legate ad essa anche più tardi nelle pagine del “Bollettino”.
Per Bianca Ottolenghi i primi cimenti con la scrittura sul “Passerotto” e poi come “cavaliere del
libro” sulla “Corrispondenza” si tradussero in età adulta nella scelta dell'insegnamento e nella
divulgazione del sapere attraverso la scrittura di contributi didattici.
Quanto ad Olga Antonelli, oltre alle prime promettenti prove sul “Giorbalino della Domenica”, si
registra l'adesione all'iniziativa delle bibliotechine rurali per l'area veneta. In tale ruolo sviluppò
/lodevoli doti di generosità: come avvenne nel 1909, quando girò al Patronato per i liberati dal
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Vi è poi un'altra figura adulta, al pari di Dedè Dore, Lucia Maggia. Fu una figura di rilievo e fuori
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* Il sostegno proveniente da Elisabetta Oddone fu per lo più economico, sia tramite donazioni
all'epoca della “Corrispondenza”, sia nella successiva iniziativa del “Bollettino delle bibliotechine
rurali”, quando non mancarono sue periodiche elargizione/donazione che dalla causa
bibliotechinofila si allargarono all'iniziativa “Dieci per uno”. In particolare nel 1915 all'avvio di tale
iniziativa Elisabetta Oddone fu nominata a capo di due squadriglie di giovani nobili della società
milanese che si fecero carico del mantenimento di un bambino ricoverato negli asili fondati da
Paola Carrara Lombroso.
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