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Piccoli lettori del 900

Letteratura
Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano
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Piccoli lettori

del

Novecento

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CAPITOLO 1: Le riviste per ragazzi come oggetto di ricerca.

Solo in tempi recenti è iniziata la valorizzazione, da parte della ricerca storiografica sulla letteratura
per l'infanzia, della pubblicistica per ragazzi; accostandola nella ricchezza e complessità di
prospettive che essa presenta.
Una prima ricostruzione sistematica dei periodici per ragazzi si deve a G. Genovesi.
Si ricorda, poi, la trattazione nello sviluppo storico della letteratura per l'infanzia tracciata da Boero
e De Luca in La letteratura per l'infanzia.
Sono noti i limiti e i contesti che in passato hanno caratterizzato la riflessione critico-interpretativa
sulla letteratura giovanile, dovuti:
- a uno statuto epistemologico disciplinare relativamente giovane;
- a uno sviluppo che per lungo tempo ha orientato alla formazione magistrale, che necessitava di
una trattazione manualistica lineare in modo che potesse preparare all'esercizio dell'insegnamento
quotidiano e che offrisse trattati storico letterari.
→ L'analisi offerta da R. Lollo, Sulla letteratura per l'infanzia, dimostra che la riflessione critica
sulla disciplina ha seguito la via destinata alla preparazione dei futuri insegnanti e studenti negli
Istituti Magistrali.

Per l'emergere di spazi di ricerca diversamente orientati (centrati sul bambino visto come scolaro
ma anche come lettore → Sulla riflessione epistemologica circa le differenze di valutazione tra
lettore scolaro e bambino, rimangono fondamentali le ricerche di Laeng e Bernardinis. Quest'ultima,
in particolare, appare debitrice al pensiero di Rousseau che, nel riconoscere attenzione educativa al
bambino, lo sottrae di fatto in quanto lettore al circuito strettamente scolastico, mentre ne disegna
una fisionomia che si incarna innanzitutto nella sua formazione come umana persona.) sono state
fondamentali le linee di ricerca storico-educativa plurifattoriale che hanno permesso di recuperare
esperienze specifiche e minoritarie, di riportare l'indagine sulla letteratura per l'infanzia
all'interno della cultura in senso proprio.
Tale linea storiografica, che si riconosce nella tradizione della
rivista francese “Les Annales” e nel metodo di ricerca avviato
nella storia dell'infanzia da Ariès, è stata portata avanti nel
contesto italiano da molteplici studi, i quali si sono irradiati
(=illuminati) ben oltre di essa disegnando una pluralità di
apporti agli studi storico-educativi entro diverse categorie e
tra di esse figurano anche l'editoria scolastica e la letteratura
per l'infanzia. L'espressione di storiografia plurifattoriale è da
ricondursi alle ricerche di Roberto Sani.

In questa prospettiva si rendono possibili nuovi percorsi di approfondimento, ma allo stesso tempo è
chiesta una metodologia in grado di attraversare la disciplina nella sua complessità storico-
letteraria, pedagogica, mass mediologica ed editoriale e che veda come una risorsa interpretativa
l'intreccio di conoscenze disciplinari multiple.
La pubblicistica per ragazzi costituisce un territorio di confine con la cultura storico-letteraria da un
lato e l'epistemologia dall'altro.

1.1 Una “voce viva” nella cultura storico-letteraria:


Le riviste, per natura, hanno la caratteristica di essere specchio e metafora letteraria della società
nella quotidianità del proprio svolgersi.
Le riviste sono parte del dibattito culturale del loro tempo e di esso sono una voce viva e pulsante in
quanto capaci di orientare la crescita del giovane lettore.
Questo rapporto di osmosi tra spazio letterario dei periodici e realtà civile, è appartenuto al

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Novecento, definito anche “il secolo delle riviste”.
Gli studi più recenti sulla letteratura giovanile confermano la pertinenza di tale giudizio per il
notevole spazio occupato dalla pubblicistica destinata ai ragazzi, dal “Giornalino della Domenica”,
al “Giornalino”, al “Vittorioso” e al “Pioniere” passando attraverso il modello del “Corriere del
Piccoli”.
Tra le riviste menzionate non si può escludere “La Domenica dei Fanciulli”, nata nel 1900: la sua
proposta editoriale si mantiene fedele a una linea prevalentemente centrata attorno all'esperienza
scolastica del lettore, collegata al suo tradizionale dover essere e all'apprendimento richiesto allo
scolaro dagli insegnanti.
Non diversamente può dirsi nell'Ottocento, quando il tema dell'unità nazionale era stato parte
integrante del disegno culturale di riviste come “Le Prime letture” o come “Il Giornale per i
bambini”, “Cordelia” e “Il Novellino”. Si trattava di fogli pensati soprattutto per l'educazione
elitaria impartita dalle famiglie borghesi e orientata a una lettura gratuita e pluri-livellare da
svolgersi in casa prima che a scuola.
Appare invece diverso il taglio di altre riviste come ad esempio “Granellin di sale”, poiché, in
questo caso, accanto all'idea moderna di offrire un giornale per ragazzi illustrato e a colori; si
individua la volontà di intercettare in prevalenza il lettore scolaro.
Grazie ai continui rimandi tra la vita dinamica delle riviste nel loro intrecciarsi con la vita culturale
e sociale del paese, i primi settimanali per ragazzi hanno intrecciato nel tempo una via maior in
vista dell'affermarsi di una concezione moderna della letteratura per l'infanzia in grado di elaborare
sintesi significative e nuove tra forma estetica e messaggi educativi inscritti nella bellezza della
parola.

1.2 Cultura del frammento e del consumo:


Elementi che segnano lo sviluppo della pubblicistica tra Ottocento e Novecento:
- dinamismo;
- modernità culturale.
Essi si riverberano (=riflettono/diffondono) nei cambiamenti individuabili nella scrittura a livello
formale. Del giornalismo adulto, la scrittura per ragazzi ricalca l'esigenza informativa che assume
già da primo Novecento i toni di impronta barziniana della notizia raccontata.
Lo stile giornalistico introdotto da Luigi Barzini, con il suo ingresso al “Corriere della Sera” nel
1899, interpretava in modo emblematico il cambiamento che l'allora giovane Luigi Albertini
iniziava ad imprimere al quotidiano che di lì a poco avrebbe diretto per 25 anni. La cultura e le
modalità di scrittura sperimentate da Albertini divennero un rinnovamento del più celebre
quotidiano italiano che Luigi Barzini interpretò appieno trasformando la notizia di cronaca fredda e
sterile in una informazione dai toni vivaci, fedeli al vero ma nel contempo in grado di catturare e
avvincere il lettore a voler capire di più e oltre. Idea di Albertini: ricalibrare gli articoli in modo che
essi contenessero “tutti quei particolari che giovano ad eccitare la curiosità e nello stesso tempo
danno un'idea perfetta della natura e dell'importanza d'un fatto”.
Le riviste destinate al pubblico infantile offrono racconti letterari, facendo conoscere e incuriosire
attorno a realtà di vita e a sistemi educativi di altri paesi, scoperte, giochi e curiosità, infanzie regali.
La scrittura snella e dinamica del discorso narrativo costituisce un'espressione al passo con la
modernità. La scrittura assume contorni caleidoscopici (= che ha aspetti costantemente mutevoli)
con tratti che possono essere al tempo stesso realistici, fantastici, umoristici e didascalici.
Quello che si può definire la cultura del frammento riguarda anche l'illustrazione.
Accanto alle copertine Liberty del “Giornalino della Domenica”, il frammento coinvolge le più
nervose caricature umoristiche di Vamba e di Filiberto Scarpelli ( → Vamba e Scarpelli avevano
militato nel giornalismo satirico il tratto caricaturale. Entrambi si muovevano con agilità nel campo
della scrittura e nell'espressione figurativa del bozzetto caricaturale. Mentre Scarpelli si perfezionò
nell'illustrazione, Vamba la mantenne una via del tutto secondaria ma non ininfluente sul

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“Giornalino della Domenica”, dove comparve a puntate Il Giornalino di Gian Burrasca con
vignette caricaturali realizzate dall'autore stesso.) le quali, se da un lato segnano un rapporto di
continuità rispetto alle immagini caricaturali di tanta satira politica e umoristica di quegli anni,
dall'altro lato strizzano l'occhio a ben più ampi scenari internazionali di area francese dove il
bozzetto volutamente infantile spesso è parte del linguaggio comunicativo di supplementi illustrati;
come ad esempio “Le Petit journal”(→una prima disamina/ricerca de “Le Petit journal” consente di
individuare tratti grafici molto simili tra vignette ironiche di vita familiare firmate da Jean D'Aurian
o da Alex Zybolt nel 1903 e alcune immagini create da Vamba per Il Giornalino di Gian Burrasca,
come ad esempio la rappresentazione della cameretta del protagonista oppure il passaggio di
Giannino che pesca nella bocca di zio Venanzio. La vicinanza temporale delle immagini in
questione permette di avanzare che l'originalità di alcune proposte fatte ai bambini italiani del
“Giornalino della Domenica” fosse in qualche modo debitrice non solo di esperienze giornalistiche
nostrane/caratteristiche, ma anche di uno sguardo acuto della redazione nel saper cogliere e
trasferire quanto avveniva nel giornalismo d'oltralpe adulto e per ragazzi.).

Le copertine, così come le caricature, hanno il potere di catturare istantaneamente l'attenzione del
lettore e rimandano ad un “oltre” non definibile in modo univoco.
Le riviste per ragazzi accompagnano il cammino della cultura di consumo che, a partire dal tardo
Ottocento, vede nell'infanzia una nuova frontiera di espansione del mercato, compreso quello
editoriale.
L'infanzia non è solo al centro di nuove attenzioni educative, ma diventa protagonista degli interessi
pubblicitari dell'industria culturale. Nelle pagine di periodici come “Il Giornalino della Domenica”
e il “Corriere dei Piccoli” iniziarono a entrare pubblicità del borotalco, di omogeneizzati e di
ricostituenti che, se per un verso ribadiscono quanto fosse culturalmente importante e fragile la
salute del bambino, d'altro canto mostrano un nuovo ruolo ricoperto dai giornalini ovvero quello di
essere diventati un potenziale serbatoio di mercato che occhieggia al bambino rivolgendosi
all'acquirente adulto.
Il rapporto del lettore con la carta stampata tende ad acquisire contorni meno definiti.
Diversamente dal libro custodito e conservato più gelosamente, la rivista viene ceduta ad altri in
seconda lettura, è utilizzata, ma non necessariamente è oggetto di conservazione esclusiva.
La conservazione delle annate era prevista nell'organizzazione redazionale del “Giornalino della
Domenica” che contava in prevalenza su abbonati ai quali venivano fornite a pagamento le
copertine a fine anno. Diversamente avveniva per il “Corriere dei Piccoli” che non puntava
esclusivamente sugli abbonamenti annuali, ma intercettava anche il lettore occasionale che reperiva
i fascicoli con una certa facilità presso la rete delle edicole disseminate sul territorio nazionale. La
rilegatura delle annate era meno pubblicizzata dalla direzione del “Corriere dei Piccoli”; anche se
rimaneva una pratica in uso in famiglie culturalmente più sensibili al valore della conservazione di
tale bene poco durevole. Sono diventate note le rilegature del celebre settimanale di Via Solferino
che Eva Mameli faceva realizzare prima ancora della nascita del figlio Italo Calvino con lo stesso
rigore scientifico con il quale provvedeva ad inventare e studiare le specie dell'orto botanico
sanremese che avrebbe diretto.
Le riviste introducono pratiche diversificate. Il testo breve favorisce letture selettive e parziali di
ciascun fascicolo all'interno del quale è prevedibile la lettura esclusiva di una novella, di vignette o
di poesie dotate di una loro autonomia formale.
Non sono estranee alla stessa logica le rubriche che propongono un dialogo con il lettore, all'interno
di ciascun numero settimanale ma senza rinunciare ad incuriosire e ad attivare uno scambio con il
bambino.
La modulazione della serialità è amplificata/enfatizzata nelle tipologie narrative che, dal punto di
vista strutturale, sono in grado di rispettare l'autonomia di significato tipica della pubblicazione
periodica; e allo stesso tempo innesca una curiosità nel lettore che, oltre al testo stesso, aspetta con

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attesa il fascicolo successivo.
Si pensi all'introduzione del fumetto nel “Corriere
dei Piccoli” che, dal punto di vista dei contenuti,
fece conoscere protagonisti stabili nel tempo e
ricorrenti strutture testuali: il personaggio di
Schizzo comparve all'inizio del primo conflitto
mondiale e accompagnò i lettori fino alla sua
conclusione con leggerezza e cauta distanza dai
drammi reali.
Schizzo sembra partecipare alla prima guerra
mondiale, ma ogni tavola a quadretti del celebre Attilio
Mussino termina con la scoperta che si tratta di un
sogno.

→ Schizzo sogna una breve avventura con i pinguini,


ma la mamma lo sveglia spruzzandogli l'acqua in
faccia.

Personaggi come lo sfortunato Marmittone, il commilitone disegnato da


Bruno Angoletta, al termine delle avventure si trova punito dai superiori
con l'isolamento in prigione. Le vignette del buono e maldestro
Marmittone furono realizzate da Bruno Angoletta (nel 1928) e
attraversarono le pagine del “Corriere dei Piccoli” fino alla seconda
guerra mondiale, poer riapparire per breve tempo nel 1952 sotto la
direzione conservatrice di Giovanni Mosca.

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Sotto il profilo strutturale rimangono memorabili tra le generazioni
di bambini lettori le scelte di Sergio Tofano di aprire ogni nuova
storia del Signor Bonaventura con l'incipit rassicurante “Qui
comincia l'avventura del signor Bonaventura”, con questa logica
prepara il terreno narrativo all'epilogo dell'esorbitante e felice
ricompensa di un milione di lire. Mentre all'opposto, l'apertura
negativa “Qui comincia la sventura” preannuncia la chiusa
negativa nella quale il personaggio deve risarcire qualcuno con la
famosa banconota milionaria.

→ Il Signor Bonaventura è un personaggio dei fumetti nato nel


1917 dalla fantasia di Sto (Sergio Tofano) ed apparso sulle pagine
del Corriere dei Piccoli per svariati decenni fino al 1953.
Bonaventura, pupazzo dalla caratteristica marsina e bombetta
rossa, i larghi pantaloni bianchi ed il fedele cane bassotto al fianco, era lo strampalato eroe di gaie
avventure che lo vedevano quasi sempre squattrinato all'inizio e milionario alla fine.

Sempre di cultura del frammento e del consumo si può


infine parlare a proposito dei racconti a puntate, i quali
ottengono grande seguito di pubblico tra i bambini e
contribuiscono a modificare almeno in parte il mercato
editoriale per l'infanzia italiana.
Se già nei periodici post unitari si rintracciano emblematici
esempi di anticipazioni su rivista di successi letterari
duraturi come Il Bel Paese di Antonio Stoppani, uscito,
almeno in parte, a puntate su riviste tra cui le “Prime
Letture”, e la ben più nota Storia di un burattino di Carlo
Collodi, che Ferdinando Martini aveva voluto per il suo
“Giornale per i Bambini”. La relazione stretta che si venne a generare tra la pubblicazione a puntate
e successiva
edizione in volume interessò in maniera crescente la
produzione per ragazzi nel corso del Novecento.

Il primo capitolo del racconto di Collodi comparve


volutamente all'avvio del “Giornale per i Bambini”, il 7 luglio
del 1881, poiché il fondatore Ferdinando Martini voleva
portare nella pubblicistica per ragazzi modalità comunicative e
stilistiche collaudate dal 1879 con la nascita settimanale
letterario il “Fanfula della Domenica”, dove la figura del
letterato si misurò anche con testi agili dal punto di vista
stilistico e persuasivi nei contenuti, in quanto destinati
all'intrattenimento di un pubblico eterogeneo e non
necessariamente impegnato. Il capolavoro collodiano avrebbe
ottenuto una notorietà duratura oltre i confini del “Giornale
per i Bambini” a partire dalla pubblicazione in volume
avvenuta nel 1883 con il titolo riformulato Le avventure di
Pinocchio.

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Si pensi al fenomeno Salgari che aveva interessato trasversalmente quotidiani come “La Nuova
Arena” ma anche periodici per l'infanzia di fine Ottocento come “Il Giornale dei Fanciulli” per
raggiungere al principio del Novecento “Il Giornalino della Domenica”.
Il racconto a puntate di Gian Burrasca si affermò con la medesima intenzione di educare i lettori
divertendoli lungo un crescendo narrativo dai consensi immediati dai consensi immediati e
travolgenti.
→ Il Giornalino di Gian Burrasca di Vamba comparve a puntate sul “Giornalino della Domenica”
dal 17 febbraio 1907 al 17 maggio 1908.

Pare che nelle intenzioni di Vamba vi fosse inizialmente solo


la collocazione giornalistica del Giornalino di Gian Burrasca
e che la risoluzione di raccoglierlo in volume nel 1912 sia
stata un estremo tentativo di salvataggio economico del
settimanale sommerso dai debiti e costretto alla sospensione
delle pubblicazioni.
Dopo la rinuncia di Bemporad a pubblicare il settimanale di
Vamba a causa degli alti costi di produzione non compensati
da un numero sufficiente di abbonamenti, Vamba assunse in
proprio oltre alla direzione anche la proprietà del periodico,
ma nonostante tutti gli sforzi per coinvolgere un sempre
maggior numero di lettori e la molteplicità di iniziative per
promuovere il giornalino, il declino del “Giornalino della
Domenica” fu inesorabile e la sospensione avvenne nel 1911. per tale motivo Vamba decise di dare
alle stampe alcuni propri scritti creativi inediti, testi scolastici e anche il celebre Giornalino di
Gian Burrasca già apparso sul settimanale per ragazzi. I proventi delle vendite furono utilizzati per
ripianare i debiti e solo dopo la prima guerra mondiale la stagione giornalistica sarebbe ripresa per
breve tempo (dal 1919 al 1920) sotto la direzione di Vamba e , alla sua morte, sotto la direzione di
Giuseppe Fanciulli.

La linea vincente dei romanzi a puntate caratterizzò sin dall'inizio la storia del “Corriere dei
Piccoli” che in quello spazio fisso coltivò “il sogno a puntate” di generazioni di lettori in grado di
apprezzare gli intrecci avvincenti e di poter così costruire una sorta di personale biblioteca ideale in
anticipo rispetto alla posteriore visibilità delle medesime opere in volume.

1.3 Fucine di sperimentazione letteraria e artistica:


Già nell'Ottocento riviste letterarie come “Il Giornale per i bambini” si erano distinte per un
progetto culturale di grande intelligenza giornalistica dove la costruzione dei vari numeri era frutto:
- dell'assemblaggio di testi diversi disponibili nell'ambito editoriale;
- esito di fascicoli che si andavano componendo in modo mutevole, offrendo soprattutto assolute
novità letterarie sia nel testo breve sia nel racconto a puntate, tra cui fece capolino Storia di un
burattino di Carlo Collodi.
Tra i testi brevi si pensi alle fiabe e alle novelle di Emma
Perodi. Sul suo apporto al “Giornale per i bambini”, sia in
veste di autrice di racconti realistici e progressivamente più
versati al fiabesco, sia in veste di direttrice della testata negli
ultimi anni di esistenza prima della fusione con “Il Giornale
dei Fanciulli” avvenuta nel 1889.

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Tale prospettiva implicava un notevole investimento sulla ricerca di collaboratori, affermati ed
esordienti, impegnati nell'ideazione di testi di sperimentazione estetico-letteraria.
Con minore diffusione ma con comprovata (=confermata) efficacia, le saileriane “Prime Letture”
avevano adottato una ricercata qualità artistica delle immagini a partire da matrici di legno per la
stampa appositamente commissionate per il settimanale. La fugace esperienza della rivista
“Cenerentola” (fondata da Luigi Capunana nel 1892 e proseguita solo per un biennio) ripropose
l'esigenza di pensare a periodici dalla forte impronta di sperimentazione narrativa.
La rivista diviene territorio non lineare di sperimentazione creativa e di modellamento della
scrittura.
Gli autori provavano temi e stili di scrittura che poi tendevano a perfezionare e ad ampliare, o al
contrario che poi avrebbero abbandonato per intraprendere altre forme e registri narrativi.
Le pagine dei giornali per ragazzi offrono una miniera di tracce rapsodiche (=disorganico,
frammentario) sperimentazioni narrative.
Vi è una sorta di itinerario in progress che procede da sperimentazioni anticipatorie verso modalità
di scrittura solo in tempi successivi recepite e codificate diffusamente nella cultura ufficiale, dopo
essere entrate nell'immaginario collettivo.
Il lavoro di recupero sistematico di una così ampia produzione di diseguale valore è in larga parte
ancora da fare.
L'indagine storica in ambito pubblicistico favorisce un rovesciamento del paradigma interpretativo
che porta ad assegnare una preminenza (=autorità,predominio) temporale alle opere su rivista
rispetto al loro passaggio più stabile in volume.
Tale paradigma interpretativo, sperimentato a proposito della produzione letteraria per ragazzi di
Giana Anguissola, continua ad essere confermato dal progressivo spoglio del “Corriere dei Piccoli”
portato avanti per altri autori noti del primo Novecento come Sergio Tofano, Antonio Rubino,
Carola Prosperi, Maria Pezzè Pascolato, e per scrittrici meno conosciute.

Tale prospettiva potrebbe favorire in futuro la riscrittura o la revisione di molte biografie di autori
per ragazzi tra Otto e Novecento. Infatti l'apporto pubblicistico degli scrittori può mettere in luce
opere altrimenti ignorate, sollecitare una ridatazione creativa di quelle conosciute; o indurre a un
ripensamento delle diverse stagioni letterarie di un autore ( → in Giana Anguissola si è visto che il
filone fantastico dei racconti contenuti nel Carretto del mercante (1942), in Seguendo una lira
(1953) e in La vetrina dell'orefice (1965) in realtà appartiene in larga parte all'ideazione letteraria
degli anni Trenta sul “Corriere dei Piccoli”. Il percorso ideativo di Giana Anguissola non è
un'eccezione nel panorama letterario dell'epoca. Ciò è provato da recenti studi compiuti sull'artista
Antonio Rubino in relazione al suo apporto pubblicistico.).

Dal confronto tra scritture e riscritture possono muovere nuove indagini filologiche. L'analisi della
produzione pubblicistica apre l'accesso all'officina letteraria dell'autore: contribuisce a comprendere
e a motivare i cambiamenti formali e di contenuto adottati a distanza di tempo quali espressioni
della maturazione interiore dinamica dell'artista.
Sulle riviste si assiste alla costruzione di modelli di scrittura che non esauriscono il loro valore sotto
il profilo testuale in senso stretto ma, rivolgendosi al pubblico giovanile, hanno l'obiettivo di
orientare il percorso di crescita e per questo sono portatori di valenza formativa.
Nella storia delle riviste sono identificabili tracce precise in grado di documentare incontri reali e
continuativi tra lettori e testate in diversi casi si riescono a seguire gli sviluppi di queste giovani
esistenze e ad apprezzarne la levatura intellettuale una volta diventati adulti.
È nota la testimonianza di Italo Calvino: in età matura ricorda il proprio “fantasticare dentro le
figure e nella loro successione” del “Corriere dei Piccoli” degli anni Venti e riconosce in tale attività
una matrice culturale ineliminabile nel percorso di adulto scrittore.

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Sono note anche le letture infantili di Umberto Eco: in La misteriosa fiamma della Regina Loana,
Eco esplora in forma narrativa tutto il proprio repertorio infantile di accostamento alla cultura
attraverso libri, giornalini, figurine, canzoni, pubblicità che anno lasciato tracce profonde nel
proprio immaginario.
Umberto Eco disponeva di una
svariata collezione di giornalini:
dalle tavole del Signor
Bonaventura, ai fumetti come
“Avventuroso”, “Vittorioso”
fino agli albi illustrati di “Cino
e Franco”. All'interno di questi
ultimi albi Eco attribuisce un
posto particolare a La
misteriosa fiamma della Regina
Loana per il potere
immaginifico che una storia
“priva di sugo” è riuscita ad
esercitare su Eco bambino fino
ad essere eletta in età adulta
come un mito degno di rispetto
reverenziale.

Si tratta di testimonianze emblematiche, che mostrano il ruolo nodale svolto dai giornalini non solo
in generale nella formazione di lettori d'eccezione, ma anche nella nascita in loro di una precisa
vocazione letteraria.

Si possono inoltre rintracciare sulle riviste promettenti esordi letterari:- Elsa


Morante, negli anni '30 pubblicò sul “Corriere dei Piccoli” e sul “Il
Cartoncino dei Piccoli” i primi esperimenti di scrittura. Quei primi racconti
sarebbero più tardi confluiti in Le bellissime avventure di Caterì dalla
trecciolina. Quest'ìultimo racconto fantastico non ebbe anticipazioni su
periodico, ma fu pubblicato direttamente in volume nel 1942, mentre godevano
di anticipazioni sul “Corriere dei Piccoli” alcuni racconti brevi; che segnano
l'esordio letterario della scrittrice romana avvenuto nel 1933. negli anni
compresi tra il 1935 e 1937 sul “Corriere dei Piccoli” e “Il cartoncino dei
Piccoli” alcuni racconti poi ripresi in volume. Ma nel frattempo gli interessi
dell'autrice si articolano e si muovono verso periodici destinati agli insegnanti
come “I Diritti della scuola” e verso un panorama di scrittura dove l'infanzia
non è più il pubblico prescelto, ma rimane al centro di contenuti pensati per lettori adulti.

Passaggio da lettori bambini di riviste a scrittori per ragazzi:


- Mary Tibaldi Chiesa (→ Myriam) e Emilia Salvioni, sul “Passerotto” collegato al “Giornalino
della Domenica”;
- Giana Anguissola, cresciuta leggendo il “Corriere dei Piccoli” e giovane collaboratrice nello
stesso periodico dalla fine degli anni '20;
- Gianni Rodari, da bambino (alla fine degli anni '20) aspettava intrepido le avventure di
Bonaventura che gli aprivano mondi fantastici e, una volta divenuto adulto, per “Il Pioniere” da lui
diretto dal 1950 al 1953, avrebbe ideato La filastrocca di Pinocchio che ricalcava il ritmo degli
ottonari del Bonaventura e la medesima struttura testuale. Fu una sorta di ritorno alle origini quando

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negli anni '60 Rodari avrebbe collaborato al “Corrierino” per dedicare ai lettori più piccoli una
buona parte di racconti e filastrocche che l'avrebbero poi reso celebre.

Dagli esempi citati emerge una sperimentazione letteraria messa in atto dalle riviste in tempi distesi
e in multiformi espressioni. Esse vanno dalla modernità dell'umorismo e del fiabesco di matrice
collodiana, proseguono con la stagione delle avanguardie di primo Novecento, abbracciano la
contaminazione di codici resa possibile dal fumetto e prefigurano le successive aperture al cartone
animato.
Gli snodi tra qualità letteraria dei periodici e formazione dei lettori giovanili guidano anche a
riflessioni importanti sul piano epistemologico. La storia delle riviste dimostra che la letteratura per
l'infanzia non va strutturandosi nel tempo seguendo unicamente un andamento discendente e
semplificatorio rispetto a quella adulta.
L'incisività e la polisemia di molte “storie a quadretti” sono state artefici di percorsi ascendenti.
Antonio Faeti in La prateria degli Asfodeli, riflette sulla propria formazione di lettore giovanile e
poi adulto. La testimonianza autobiografica di Faeti è emblematica. Le letture infantili che hanno
maggiormente lasciato una traccia in lui sono state le opere classiche per ragazzi, ma anche gli
intrecci narrativi meno noti. La riflessione di Faeti conferma l'idea che il valore formativo delle
opere letterarie per ragazzi non è lineare e sistematico ma è selettivo e sincretico.
L'immaginario infantile tende a nutrirsi di storie e di frammenti di esse dotati di particolare densità
e pregnanza sotto il profilo della qualità estetica e della possibilità di coinvolgimento emotivo.
Nella memoria di ciascuno di noi rimane scolpita la lettura di un passaggio particolarmente
evocativo, un'espressione felice e così via. Non è la paternità autoriale ad essere ricordata per prima
nel tempo a partire da una lettura bambina, poiché il riconoscimento del volto di chi sta dietro un
testo è frutto di più consapevoli conquiste. Può essere un esempio illuminante di mancato
riconoscimento di fonti letterarie l'affermazione di Giana Anguissola a Mondadori quando, a
proposito delle influenze anderseniane riconosciute dall'editore in Chi sarà il re dei leprotti?,
disse”da brava ignorante non conosco” Andersen.

L'autore stesso quasi mai ha consapevolezza di tali tracce di lettura e non le ricorda tra le proprie
fonti d'ispirazione letteraria. Recenti studi sul Elsa Morante tendono a confermare questo paradigma
interpretativo, per:
- specifica destinazione d'uso giovanile e adulta di testi letterari;
- ripresa di contenuti e di stilemi che da racconti apparsi su riviste giovanili come il “Cartoccino dei
Piccoli” accanto al “Corriere dei Piccoli”, poi ritorneranno nella scrittura per adulti nel quale ambito
l'autrice è dai studiata in via pressoché esclusiva.

In questa direzione la possibilità di seguire itinerari di lettura compiuti da scrittori nel corso della
loro infanzia può aiutare a individuare il percorso ascendente della produzione adulta di scrittura e
portare a disegnare una sorta di archeologia letteraria riguardante autori non solo per l'infanzia.
Se la scrittura rodariana ha un debito d'infanzia anche verso Collodi e Carroll, grazie allo studio di
riviste si potrebbe giungere e comprovare che autori per adulti come Hemingway si sono nutriti di
Kjack London, che il visionario Antonie de Saint Exupéry ha avuto tra i suoi modelli James Barrie o
che Goffredo Parise ha avuto Stevenson come compagno di viaggio nelle parole.
Tali analisi confermano la piena dignità culturale della letteratura per l'infanzia.

1.4 Il filo con il lettore reale:


I tratti distintivi della modernità e della sperimentazione letteraria visibili nella pubblicistica tra
Otto e Novecento saldano il profilo storico-letterario a quello epistemologico e continuamente
insistono sulla centralità del lettore. Tale centralità si realizza:
- per via indiretta, tramite la rappresentazione letteraria;

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- per via diretta, tramite le variegate forme di partecipazione attiva rese possibili dai periodici.

Sebbene nel Novecento le riviste esprimano una chiara intenzionalità educativa ancorata a radici
liberari tardo-ottoncetesche (formare la futura classe intellettuale e dirigente dell'Italia tra le due
guerre), tuttavia le direzioni dei giornali mostrano di saper cogliere la reale e silente domanda
educativa dei bambini che chiedono di poter avere spazi per esprimere la propria interiorità.
Sulle riviste ottocentesche non mancano opportunità di dialogo con i lettori. A partire dalla nota
vicenda editoriale del capolavoro editoriale del capolavoro collodiano che sul “Giornale per i
bambini” di Ferdinando Martini , vi è il volere dei lettori non disposti a veder morire il loro
burattino.
Nel “Giornale per i bambini” è presente la “Posta dei bambini” mentre in “Cordelia” la rubrica è
intitolata “piccola Posta”. La stessa linea è perseguita da Sofia Bisi Albini nella “Rivista per
signorine” e da Luisa Sclaverano nella “Domenica dei fanciulli”.
Le esperienze del “Giornalino della Domenica” e del “Corriere dei Piccoli” consentono di cogliere
l'ulteriore dilatazione degli spazi editoriali destinati ad intercettare il punto di vista del lettore.
Ne discende una partecipazione viva del lettore che anima l'impianto delle riviste.
La “Confederazione giornalinesca” genera durevoli relazioni amicali tra i confederati e molteplici
iniziative, incontri culturali che si riverberano di continuo sul settimanale creando un linguaggio
comune e un pensiero condiviso tra gli abbonati. Il “Giornalino della Domenica” inaugura una
nuova stagione di fidelizzazione del lettore bambino che trova anticipazioni già consolidate nella
pubblicistica d'oltralpe. Per esempio in riviste destinate al pubblico adulto come “Le Petit Journal”,
negli stessi anni si osserva la non frequente presenza di iniziative quali gite ed eventi destinati a
legare i lettori oltre le pagine del periodico così da creare una rete di sostenitori stabili. Vamba mette
in campo quindi iniziative che hanno il merito di guardare in modo nuovo all'infanzia quale vivaio
ricettivo anche di una nuova cultura del consumo, del benessere e di affiancamento dai più
tradizionali circuiti familiare e scolastico. Inoltre l'utilizzo mitigato (=moderato, limitato) di
consolidati schemi organizzativi in gruppi che riprendevano non poche derivazioni ideologiche di
matrice mazziniana collegate alla carboneria, dà vita a un sistema educativo extrascolastico davvero
nuovo per i tempi.

Si realizza,poi, l'idea delle bibliotechine rurali promossa negli stessi anni sul “Corriere dei Piccoli”
nella pagina della “Corrispondenza” di Zia Mariù, proposta circoscritta all'obiettivo della
promozione della lettura, ma che seppe dar vita a una straordinaria quantità di iniziative da parte dei
lettori nella vita reale. Con le caratteristiche specifiche i due periodici segnano un importante
cambiamento di prospettiva, mostrando sotto il profilo giornalistico le nuove potenzialità delle
riviste nel saper cogliere e valorizzare proposte, idee progettuali capaci di fidelizzare i piccoli
lettori.
La linea tracciata entro queste cornici giornalistiche primo novecentesche avrebbe qualificato la
stampa periodica per ragazzi di buona parte del Novecento. La centralità del lettore è spesso
rafforzata da iniziative come i concorsi a premi che occupano buona parte di riviste minori come
“Pinocchio” (1946) e “La Vispa Teresa” (1946-54) che alla fine della seconda guerra mondiale
ebbero breve vita ma intensa attività. Ma in fondo l'associazionismo giovanile era alla base di
esperienze di secondo n'900 come nel “Vittorioso”, nel “Pioniere” e nella meno nota pubblicistica
dell'Università Cattolica dove non va dimenticato “Giovani Amici”.

Il cambiamento di prospettiva consiste nel pensare alle rubriche e alla corrispondenza non
semplicemente come collettori e vetrine dell'immaginario infantile, ma come luogo dalle
imprevedibili evoluzioni di lettura dei bisogni infantili e di stimolo nel senso della rielaborazione
personale della lettura.
Nell'ascolto del lettore reale, si sperimenta un modo innovativo di pensare il giornalismo per

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ragazzi: si supera la dimensione compilativa facilmente gestibile sotto il profilo redazionale, per
abbracciare la via più complessa dell'adesione all'attualità dei contenuti e dunque alla pubblicazione
degli stessi in tempi non dilazionabili. Il lettore, che apre il proprio animo alla rivista scrivendo di
sé, attiva un contatto carico di fragilità e aspettative da gestire con estrema delicatezza e attenzione.
La scrittura del bambino è portatrice di urgenza comunicativa circa un vissuto personale, di
coinvolgimento affettivo per il contenuto espresso e per la finalità di rendere pubblico un
frammento di vita privata. Quando la pubblicazione si fa attendere oppure non avviene affatto, i
lettori lo sottolineano con un pizzico di delusione misto a un senso di inadeguatezza.
Il valore della risposta consiste nell'essere stati considerati per davvero, nell'aver trovato udienza
presso il mondo spesso un po' distante e distratto degli adulti.
Lungo questo crinale si instaura un dialogo mediato dalla parola scritta che tende sovente ad
alimentarsi e a intensificarsi. Il “mettersi in gioco” dal bambino diviene progressivamente più
autentico e profondo. È rafforzato dall'accoglienza positiva presso un interlocutore che è eletto a
riferimento, perché a propria volta è capace di uscire allo scoperto, raccontando qualcosa di sé non
solo in toni di esemplarità, ma offrendo un consiglio, mettendo in guardia e mostrando
comprensione reale.
Si tratta di un passaggio pedagogico di notevole interesse.

Ottocento VS Novecento: le relazioni educative nel corso dell'Ottocento erano costruite attorno a
un'asimmetria più autoritaria (= Che fa valere la propria autorità, che impone fermamente e talora
duramente o dispoticamente la propria volontà su chi gli è sottoposto: un capo, un preside, un
dirigente a.; un padre a.; estens., avere un carattere a., parlare con tono autoritario ) che autorevole
(=Che esercita un'autorità morale dovuta ai propri meriti SIN accreditato: persona a. ) . Nella
pubblicistica per ragazzi di primo Novecento si percepisce l'accorciamento delle distanze tra adulto
e bambino in nome di una complicità e di una reciprocità capaci di generare condivisione di un
medesimo orizzonte valoriale. Si tratta di un dispositivo delicato, non sempre al riparo da
persuasività o strumentalizzazione ideologica.
Gli scambi non episodici visibili nel tempo sulle riviste svelano il senso complessivo di un discorso
di non semplice decifrazione che si compone oltre il singolo frammento e che in vari casi consente
di ricostruire un dialogo continuativo e scenari individuali di vita vissuta.
Si tratta di una varietà e ricchezza di fonti che aprono nuovi sentieri di ricerca. I temi inviati dal
lettore offrono la possibilità di studiarne la voce viva. La felice espressione di “scritture bambine”
risulta calzante anche per questo specifico ambito di indagine.
Lo studio delle lettere infantili attiva interessanti e possibili esplorazioni dell'immaginario e della
quotidianità dei lettori pur senza pretese di certezze definitorie.
La fragilità delle fonti invita alla cautela per i possibili interventi adulti sulla scrittura e non le
improbabili censure attivate in ambito domestico e non meno a livello editoriale.
Lungo percorsi tortuosi in bilico tra controllo adulto e insopprimibile resistenza giovanile, affiorano
contenuti che conservano tratti di autenticità non scalfita (= ferita lievemente) in radice dal seppur
prevedibile intervento editoriale sulla forma linguistica.
Entro questo orizzonte di significati, si possono seguire i loro bisogni formativi e le loro passioni, le
letture dichiarate e i percorsi con i libri e si può giungere a ricostruire i cambiamenti avvenuti di
generazione in generazione.
Il dinamismo dialogico attivato tra bambino e adulto curatore di rubriche permette di apprezzare
anche il valore della proposta infantile dalla quale in diversi casi hanno avuto origine idee messe in
atto, si sono modificate storie e ne sono state scritte di nuove. Sono state infatti anche le proteste dei
giovani lettori del “Giornale per i bambini” ad orientare Collodi a non far morire Pinocchio
impiccato al cap. XV e a farne proseguire il racconto fino al lieto fine che conosciamo.
E in tempi più recenti, diverse filastrocche del giovane Rodari sul “Pioniere” sono scaturite dalle
richieste dei lettori e anche la narrazione in versi del 1954 della Filastrocca di Pinocchio cresce in

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Rodari a partire dal dibattito sollecitato dai lettori attorno alla scelta non condivisa della statua di
Pinocchio premiata per il nascituro parco a Collodi.

Dunque, le “scritture bambine”, a volte hanno influenzato le scelte editoriali. Dimostrano infatti che
l'infanzia è stata fonte di modellamento della scrittura autoriale, permettendo di riconoscere
l'apporto di stimolo e di scambio che intercorre tra la generazione in crescita e la generazione
adulta. Il ruolo attivo esercitato dal bambino lettore:
- frutto di rielaborazione originale di narrazioni ricevute
- alimentato da sollecitazioni spontanee offerte all'autore o al direttore dei giornalini e da questi
creativamente reinterpretate nella bellezza della parola scritta.
Si attivano dunque percorsi di indagine molteplici che sconfinano dalle riviste e dai testi letterari
che coinvolgono i lettori reali e offrono chiavi interpretative per ricostruire legami e snodi tra i
bambini lettori reali e i futuri adulti per il tramite del testo narrativo epistolare.
Si realizza la possibilità di seguire alcuni passaggi formativi dei giovani lettori per poi incontrarli di
nuovo a distanza di anni come adulti inseriti a pieno titolo nella vita sociale e culturale.
La pubblicistica per ragazzi si configura come un prezioso campo di ricerca in grado di orientare
verso la composizione di un mosaico interessante di conoscenza dell'infanzia borghese italiana di
primo Novecento e per questa via può più ampiamente contribuire ad offrire tasselli significativi di
studio sulla storia delle infanzie molteplici e diverse che hanno attraversato il nostro paese.

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CAPITOLO 2: Il lettore ideale tra “Giornalino della Domenica” e “Corriere dei
Piccoli”.

Nate a soli due anni di distanza l'una dall'altra, “Il Giornalino della Domenica” e il “Corriere dei
Piccoli” si sono rivelate due testate giornalistiche che hanno inciso sulla formazione dell'infanzia
borghese del tempo, per:
- la qualità e la tipologia dell'impatto letterario e giornalistico;
- ridefinite visioni del lettore ideale emergenti dalle scelte dei rispettivi piani editoriali.

“Il Giornalino della Domenica” nasce il 24 giugno 1906: la portata anticipatoria letteraria e
artistica offerta dal settimanale di Vamba è evidente nella ricerca di noti autori qualificati e nella
cura illustrativa in grado di intercettare attraverso gli artisti nostrani le avanguardie grafico-
pittoriche di portata internazionale.

Il “Corriere dei Piccoli” nasce il 27 dicembre 1908: cercò di affermarsi nel mercato editoriale e di
distinguersi dalla famiglia giornalinesca che rappresentava il vero e proprio concorrente.

Pronta ricezione dei tratti di modernità grafico-illustrativa e letteraria, le proposte letterarie in


ciascuna testata si strutturarono in maniera autonoma e originale.
Fu, fin dagli inizi, il piano pedagogico quello dove si delinearono sguardi diversi attorno all'idea di
infanzia e di lettore giovanile.

2.1 Il lettore nelle intenzioni dei direttori:


La scelta mirata di entrambe le riviste di presentarsi al pubblico giovanile all'inizio di un periodo di
vacanza è un indicatore forte che consente di definire il lettore implicito al quale pensavano.
Appariva il fanciullo e l'adolescente senz'altra caratterizzazione, in grado di fruire di una “lettura
amena”, cioè libera da un impegno collegato direttamente all'apprendimento scolastico.
Il lancio del “Giornalino della Domenica” all'inizio delle vacanze estive segna l'idea di una
propensione per la lettura da promuovere in un tempo prolungato e spensierato, trascorso in
famiglia e orientato alla formazione dell'identità personale.
L'esordio del “Corriere dei Piccoli” nel periodo natalizio rimanda ugualmente a un tempo infantile
sottratto ai doveri quotidiani. A ciò si aggiunge il rinvio allusivo a una valenza laica e polisemica da
Natale, da intendersi come celebrazione della natività cristiana e scolorita comunque attraverso la
via estensiva dell'infanzia simbolica del nuovo settimanale, nel quale ciascun lettore avrebbe potuto
identificarsi.
Per il “Corriere dei Piccoli” il centro educativo è la famiglia e le spesso nutrite relazioni sociali che
da essa si irradiano, la scuola è spesso evocata solo per contrasto. Nel “Giornalino della Domenica”
è vista come esperienza pedante e noiosa, anche se in entrambi i casi è dato per acquisito il suo
ruolo di trasmissione del sapere.
Esaminando l'editoriale del “Giornalino della Domenica”, che Vamba intitola Il programma , si
percepisce a tratti la sovrapposizione di due canali comunicativi: uno adulto e uno infantile.
→ Vamba, Il programma n.1 : l'articolo di fondo fa riferimento a una circolare pubblicitaria che
aveva annunciato l'esordio del nuovo settimanale, e che sotto forma di decalogo enunciava le
finalità della nuova impresa in maniera sintetica e piuttosto precisa. Tale decalogo è riprodotto sulla
copertina posteriore del primo fascicolo e ribadisce il ruolo educativo e istruttivo dell'iniziativa
senza che questa risulti noiosa o volgare nel partecipare “gli eterni ideali per la Patria e l'Umanità” e
nel predisporre gli animi “alla religione del Dovere” di chiara impronta mazziniana.

La scelta formale del titolo fa pensare all'intenzionalità educativa esplicita del periodico.
Il direttore si rivolge ai padri di famiglia, in quanto veri e propri potenziali acquirenti del nuovo

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foglio. A loro dice che “Il Giornalino della Domenica” non lascerà nulla di intentato per riuscire il
regalo migliore che un babbo possa fare a un buon figliolo.
La rivista è dunque un regalo da porgere all'infanzia, tramite la mediazione adulta paterna, secondo
una visione educativa piuttosto tradizionale e conservatrice che tende ad assegnare al padre il
compito di orientare i figli sotto il profilo culturale. Vamba pensa direttamente al giornalino come
“opra educatrice” ispirata al concetto del buon esempio derivato da Rousseau.
Il bambino interiorizza gli esempi di saggezza vissuti nella relazione educativa intessuta con adulti
significativi. A questo proposito sono ben chiare al direttore la fragilità e l'influenzabilità giovanile
che esigono parte adulta responsabilità e salomonico senso di giustizia.

riprende la figura biblica di


Salomone dicendo in latino che il
bambino crede a ogni parola.

Questi principi intendevano stabilire una sorta di patto educativo con gli adulti, un lasciapassare
perché i genitori consentissero l'avvicinamento dei figli alla nuova rivista.
Il testo pragmatico è così costruito su un doppio binario che si rivolge all'adulto per giungere al
bambino e viceversa dialoga con il bambino perché l'adulta colga significati della parola custoditi
dietro l'ironia. Infatti il registro linguistico cambia improvvisamente per intercettare i già calcolati
dubbi di potenziali lettori giovanili che avrebbero valutato astruserie quelle frasi ridondanti e
lontane dal loro mondo. Il linguaggio diviene colloquiale e ironico proprio attorno ai punti
programmatici iniziali e contro un certo sfoggio di erudizione (=conoscenza, cultura) che, dopo
essere esercitata, è subito sdrammatizzata.
Vamba si rivolge a un pubblico che immagina essere di bambini e giovinetti, di fanciulle e di
“mezze-signorine” tra i sette e i quindici anni.
Avrebbero trovato una scelta varia di contenuti, ma avrebbero dovuto leggere tutto: i piccoli per
essere stimolati a migliorare i grandi per non insuperbire disprezzando quanto “li allietò nella prima
infanzia”. “Il Giornalino della Domenica” si presenta come il miglior continuatore del progetto
culturale post risorgimentale e anche formalmente assorbe da subito “Il Giornale dei Bambini”
diretto da Ida Baccini e dal figlio Manfredo ( → l'informazione della fusione del “Giornale dei
Bambini” con “Il Giornalino della Domenica” è annunciata in una postilla sul n.2 del periodico).
Tra la redazione e il pubblico si pone la migliore cultura del nostro paese, pronta a porsi al servizio
degli alti valori educativi prospettati ( → Vamba, Il programma, in “Il Giornalino della Domenica”,
1906).
Mentre l'editoriale di Vamba risulta diretto e poco calibrato sulle possibilità di immediata
comprensione infantile, il “Corriere dei Piccoli” si presenta con un articolo di fondo dall'impianto
decisamente solido e innovativo sotto il profilo giornalistico e gioca da subito la carta del ricercato
equilibrio tra continuità rispetto al passato, modernità rispetto al presente e anticipazione del futuro.

Lo stile del “Corriere della Sera” era corale e poco o nulla concedeva ai personalismi.
Il gioco non detto fra tradizione e modernità balza subito all'occhio nella presentazione del nuovo
settimanale di Via Solferino, poiché quasi la metà della pagina è occupata da una singolare
fotografia che rappresenta un imponente macchinario per la stampa attorno al quale bambini vestiti
alla marinara, con fare serio e industrioso, presiedono alle varie fasi del processo.
Nulla della foto è ripreso nel testo dell'articolo. Si lascia volutamente al lettore implicito della
rivista la decifrazione polisemica del visivo. Si tratta dell'intento nel perseguito della “notizia
raccontata” di cui si è detto sopra ( → guarda capitolo 1 paragrafo 1.2).
Si conferisce al messaggio visivo una prossimità al pubblico giovanile lasciando immaginare che si
tratti di un settimanale non semplicemente rivolto a ragazzi ma realizzato da ragazzi i quali se ne
prendono cura. La dimensione della verosimiglianza e quella evocativa mettono a disposizione una

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pluralità di significati che convergono sul riconosciuto protagonismo attribuito all'implicito lettore
bambino. Il testo verbale conferma questa prospettiva, che vede modificato il dialogo adulto-
bambino. La NOVITA' sta nella riduzione del rapporto asimmetrico adulto-bambino.
L'asimmetria rimane per orientare il lettore, ma nell'articolo bisogna prestare attenzione a non
evidenziare espressioni di intenzionalità educativa esplicita. Si accentua l'idea di una relazione
improntata al riconoscimento della pari dignità tra grandi e piccoli: ciascuno può fruire di una
lettura a sé destinata durante il tempo libero.
Mentre in famiglia i genitori (e forse anche i fratelli cresciuti) il “Corriere della Sera”, i bambini
hanno modo di avere il loro “Corriere dei Piccoli”.
La lettura avviene in un tempo specifico.
Una conseguenza di questa visione di lettore bambino consiste nell'accentuare la specificità del suo
presente e nell'allargare le sue prospettive conoscitive, ma nessun cenno esplicito è posto sul
progetto di crescita che ciascuno può elaborare a partire dalle letture.
Gli scrittori mettono a disposizione “i loro pensieri più chiari, i loro sogni più luminosi, le loro
speranze più liete”. Non hanno un intento istruttivo o nozionistico, offrono la loro visione positiva
della vita perché i bambini possano apprezzare nuovi orizzonti e nuove culture; ponendo al centro il
valore della conoscenza, del confronto e non una comunanza di ideali posta in partenza.
I ragazzi vengono spinti ad aprirsi con autentica curiositas a ciò che è nuovo e anche lontano
avendo fiducia nei valori di bontà e di forza interiore da trovare in se stessi.
La complicità del lettore è ricercata per favorire la crescita del giornalino che nasce
emblematicamente a Natale. Si chiede ai lettori di prendersi cura del nuovo nato, esercitando la
pazienza.

Il rapporto di continuità con il passato lo si avverte nella scelta di chiamare Fifì e Fufù gli
immaginari lettori bambini: fanno venire in mente i personaggi Fifì e Fofò idearti da Vamba sul
“Giornalino della Domenica” e protagonisti di esilaranti birbanterie.

→ Vamba presenta Fofò e Fifì sul primo numero della rivista in una “novella epistolare ironica ed
elegante”. Caratterizza Fofò come un ragazzino di 14 anni vanesio (=frivolo, sconsiderato) e
sfacciato al tempo stesso, mentre Fifì, la sorella minore, p definita “bambina perfetta se non fosse
curiosa”. I personaggi si rendono autori di un racconto a più mani: Fofò scrive una lettera, mentre la
vispa Fifì di nascosto dal fratello completa lo scritto disegnando sul retro una sequenza di otto
vignette che ricalcano la struttura narrativa e che offrono la possibilità di essere viste in trasparenza
mentre si legge la lettera. Di questa sperimentazione di proto
fumetto Spaventa Filippi ne aveva colto la portata innovativa.
Spaventa Filippi ricorre a somiglianze che possano in qualche
modo riecheggiare (richiamare) nell'immaginario dei bambini e
che offrano l'idea di un potenziale lettore curioso, con spirito di
iniziativa e intelligente. Il tratto dell'intelligenza del piccolo è
sottolineato anche nel richiamo al celebre Puccettino,
personaggio della nota fiaba di Perrault (che evidentemente il
direttore riprenda dalla traduzione collodiana).
Il lettore ideale del “Corriere dei Piccoli” è un po' come
Puccettino: piccolo, intelligente, capace di sconfiggere il male,
ma felice sono nella pace e nel calore affettivo della propria casa.

La fisionomia delle due riviste in relazione all'idea di lettore andò a strutturarsi lungo percorsi
piuttosto divergenti, in linea con le personalità dei rispettivi direttori.
Il “Corriere dei Piccoli” non fu solito presentare ai suoi lettori interventi giornalistici del direttore.
Spaventa Filippi fu presenza discreta e di equilibrio, ma fu mente ideativa a capo della

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pubblicazione: furono le sue scelte di indirizzo nella tipologia di contenuti e varietà di firme che nel
tempo riuscì ad attrarre al settimanale.
La parola è lasciata alle storie sempre nuove, alle poesie e filastrocche suggestive, ai fumetti
avvincenti, agli articoli informativi aggiornati sulle più interessanti innovazioni, al colore e ai tratti
sognanti dei disegni, alla curiosità evocativa delle fotografie.
Spaventa Filippi poteva apparire come una figura quasi invisibile agli occhi del pubblico bambino,
poiché mancava la sua firma in calce ad articoli e a racconti stranieri per lo più tradotti da lui.
La corrispondenza intrattenuta con i collaboratori mostra la sensibilità finissima del direttore nel
saper scegliere qualità e innovazione letteraria rispettose dell'identità giovanile.
Interessanti appaiono i rapporti con Dino Provenzal, che collaborò al settimanale milanese per
iniziativa di Spaventa Filippi. Se, da un lato, fu proprio lui a scoprire in Provenzal doti di scrittore
per ragazzi, dall'altro lato il direttore non mancò mai di franchezza nel chiedergli di modificare un
finale o un passaggio dei racconti che mano a mano componeva proprio per il rispetto dovuto alla
sensibilità dei giovani destinatari.
Richiesta formulata a Sergio Tofano nel 1917: ideare un personaggio per le tavole e i quadretti
capace di donare il sorriso ai bambini in tempo di guerra e si sa che il Signor Bonaventura nacque
con quello spirito.
Nel tempo si andò costituendo un progetto editoriale-educativo che non doveva essere regolato da
desideri o esigenze infantili, ma dava forma a soluzioni innovative che il pubblico non immaginava
nemmeno. Lo stile giornalistico si connotò per la caratteristica di non accompagnare passo dopo
passo il lettore tramite messaggi di indirizzo e di rinforzo espliciti, quanto di mettere a disposizione
poco per volta testi giudicati di valore. Il principio era quello di lasciare al lettore la libertà di
scegliere e di orientarsi autonomamente entro la ricchezza di significati suggeriti, non spiegati,
evocati, non insegnati.
La categoria dell'intrattenimento è una difesa della letterarietà del testo dove sono inscritte le
valenze educative che ciascun lettore può personalmente interpretare. Lettori curiosi di tutto.
Si guarda a bambini che avrebbero potuto costruire per sé un gusto estetico-letterario proprio a
partire da una sorta di immersione in quanto di più moderno e suggestivo era loro stato proposto tra
le pagine del settimanale. Leggere era inteso come spazio di incontro di libertà tra bambino, testo
letterario e autore.
Ciò significa che sul “Corriere dei Piccoli” il lettore implicito è rintracciabile nel tempo
principalmente nella rappresentazione letteraria e iconica del bambino e negli affondi giornalistici
attorno alle pratiche del leggere.

Diversa appare la prospettiva del “Giornalino della Domenica”, che aveva già fatto capire
l'importanza di: << buone e belle favole, poesie, storielline e novelle, ma un giornale deve essere
sopra tutto un giornale e deve il proprio pubblico tener, per essere tale, al giorno delle cose che
accadono via via>>.
L'intenzionalità esplicita di incidere sulla formazione del lettore si manifesta nel linguaggio
giornalistico che discute e argomenta attorno al vissuto dei ragazzi e a poco a poco ne indirizza le
coscienze.
Il “Giornalino della Domenica” tende a dare spazio al pensiero argomentativo che, partendo dal
quotidiano vivere, si inoltra nel territorio dei riferimenti valoriali, offrendo una marcata varietà di
indicazioni, consigli e orientamenti sulla visione della vita.
La tenuta d'insieme del periodico è resa possibile grazie agli interventi di Vamba.
L'anima della rivista è garantita dalla vivace e provocatoria piazza virtuale animata, innanzitutto,
dal direttore che riesce a muovere i fili giusti per attivare il contraddittorio, per mettere in relazione
tra loro le diverse voci presenti nelle rubriche; per raccogliere e restituire una lettura personale ai
pareri del pubblico.
La finalità di dialogare con un'aggregazione giovanile di lettori della quale formare il carattere per

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creare un'identità forte è un nucleo portante del disegno pedagogico della rivista che Vamba mette
in atto per passaggi progressivi e ben prima della costituzione della nota “Confederazione del
Girotondo” nel 1908.
Vamba adotta un linguaggio caldo, centrato sul legame affettivo con il suo pubblico. Vi è la
presenza di un senso di appartenenza “sentito” prima di essere voluto, in un clima “familiare”.
Al lettore implicito si parla in modo diretto.
Tra gli intenti del direttore vi è la necessità di ampliare le potenzialità evocative.
La reciprocità con il lettore si costruisce per via intuitivo-affettiva.
L'obiettivo è quello dell'affratellamento di un gruppo coeso tra redazione e lettore bambini.
→ Vamba trasferisce a livello di aggregazione giovanile un linguaggio che porta con sé gli ideali
mazziniani e l'adesione alla massoneria maturati sin dalla propria giovinezza. L'idea dell'unione di
cuori e di fratellanza è sottolineata da Vamba sia nel linguaggio comune sia nel comune sia nell'aver
dato rilievo sulla rivista ad esempio alla Corda Fratres che era un'associazione massonica tra
studenti universitari. Infatti nell'informare su un Congresso dell'associazione che si teneva a Firenze
nel 1908, Vamba esprimeva la propria entusiastica partecipazione ideale all'evento, forse in qualche
modo pensando di realizzare qualcosa di analogo tra i lettori del “Giornalino” come di lì a poco
sarebbe avvenuto con la “Confederazione del Girotondo”.

Si coglie in Vamba l'intento di disegnare una società italiana futura liberata dagli orpelli della
politica trasformista giolittina, per far vivere ideali di un'italianità fortemente irredentista e
nazionalista e nazionalista.
All'interno di questo clima di tensione politica, l'intera redazione ne condivideva gli ideali.
Il padre Ermenegildo Pistelli e gli allora giovani Giuseppe Fanciulli e Aldo Valori, costituirono
insieme a Filiberto Scarpelli il cosiddetto “stato maggiore” del “Giornalino della Domenica”.
Aldo Valori, dietro allo pseudonimo di Ceralacca (con il quale firmava la pagina della
corrispondenza), disse che mentre l'adulto è conservatore, il bambino non ha nulla da conservare e
tutto da aspettare dall'avvenire.
Il pensiero di Ceralacca è incisivo nel prospettare il forte investimento educativo cje la rivisya pone
nelle giovani generazioni e nel sottolineare al tempo stesso il voluto scollamento rispetto al mondo
adulto.
Risulta manifesta la contraddizione tra il dichiarato programma culturale del periodico, che intende
preservare gli alti ideali etico-educativi del passato risorgimentale.
La separazione (improbabile) tra cultura e fiducia nell'adulto si traduce in realtà in una pericolosa
proiezione giovanile nel futuro minando le radici fondative di collegamento al presente e al passato.
Lungo questo sentiero il “Giornalino della Domenica” ha messo in discussione l'asse educativo e
non quello culturale di derivazione risorgimentale.
Ciò:
- giustifica nel periodico l'utilizzo diffuso di riferimenti alla cultura classica e contemporanea;
- tende a far terra bruciata a proposito delle istituzioni familiari e scolastiche.
Dunque nuovi adulti, ovvero la redazione giornalinesca, con l'autorevolezza della loro scrittura e del
loro carisma suscitano l'ascolto dei lettori reali e li guidano in iniziative aggregative e di impegno
precocemente “politico”.
Presto il “Giornalino della Domenica” struttura una proposta culturale che, mentre tratteggia l'idea
del lettore implicito, va nel contempo a costituire una tribuna coesa di lettori reali.
All'interno di tale processo si identificano alcuni momenti particolarmente significativi:
1) un primo passaggio è dato dalla crescita esponenziale delle lettere dei bambini e ciò porta a
strutturare rubriche variamente denominate; dove il curatore riassume il senso degli scritti giovanili
e risponde anche ampiamente. Oltre alla “Corrispondenza”, tenuta in origine da Ceralacca e , dopo
la sua uscita, da Vamba, che si occupava della rubrica “Pagine rosa”, si registrano “Dal libro dei
perchè” a cura di Maestro Sapone, alias Giuseppe Fanciulli e “Il nostro salottino” firmata da

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L'amico Ciligia. Si tratta solo di alcune tra le varie rubriche che si susseguono nel tempo e che
animano il dialogo con il pubblico.
Il pensiero dell'infanzia e il suo protagonismo indiscusso premono nella rivista e spingono a
individuare nuove forme per valorizzare una presenza del settimanale che si realizza attraverso la
nascita del foglio gemello “Il Passerotto”. L'idea nasce a giugno 1907 all'interno della rubrica “Le
Pistole d'Omero” dove Ermenegildo Pistelli sperimenta la via della forma epistolare dietro la
copertura di finzione di Omero Redi. Si pensa a un inserto del “Giornalino” da staccare.
(Omero Redi, Le Pistole d'omero, in il “Giornalino della Domenica” → il foglio mensile recava
come sottotitolo “Gazzettino della maturità presente e futura” ed era diretto da Omero Redi. Anche
in questo caso lo sguardo si concentra sul pensiero infantile presente e futuro.)
Pare esserci qualche tentennamento, forse già calcolato, e ad agosto nasce “Il Passerotto”, con la
prospettiva di diventare un giornalino mensile autonomo dopo sei mesi di rodaggio dall'esordio.
→ Sullo stesso numero Vamba risponde alla proposta di dare vita a un foglio interamente scritto da
ragazzi, vi sono molti dubbi e interrogativi, ma dice che comunque ci penserà su.

Il progetto è ambizioso e di straordinaria modernità nel concepire un'idea di lettore bambino che
costruisca la propria identità di scrittore attraverso uno spazio espressivo letterario a sé destinato.
Si precisa il disegno pedagogico-culturale di Vamba, nel chiamare a raccolta i bambini reali come
potenziali scrittori, delinea la fisionomia del pubblico ideale al quale guarda.
Gli abbonati collaborarono alla crescita di un presunto porto franco dove si dichiara che nessun
adulto “deve mettere mano”, escludendo la redazione del periodico.
La scrittura giovanile è messa a tema, ma Vamba e la sua redazione ritengono di doverla preservare
da una sorta di violabilità adulta che temono ne possa corrompere la spontanea genuinità.
Si trasferisce il monito risorgimentale “L'Italia farà da sé!” al nuovo settimanale, affermando che
“i ragazzi faranno da sè”.
Si riconosce così ai lettori una libertà di pensiero.
Scrive Vamba:”Imparando a far da sé, i ragazzi prepareranno davvero nuove energie e nuove
capacità per l'Italia”, scollamento completo dal mondo adulto.

2) Un secondo momento attraverso cui si realizza la definizione di lettore implicito ed esplicito è


costituto da diverse iniziative culturali, per lo più in ambito fiorentino.
Ad esse prende parte qualche esponente della redazione insieme a manipoli di abbonati entro una
cerchia di relazioni che, dalla mediazione cartacea, cresce nell'incontro tra persone reali.
→ Ceralacca, Maestro Sapone, Corrispondenze dai bagni e dalla campagna, in il “Giornalino della
Domenica”: nel maggio del 1908 si parla di una conferma di Giuseppe Fanciulli alla quale partecipa
un folto gruppo di abbonati fiorentini. Alla fine dello stesso mese compare un articolo a firma di
Vamba.
Si cerca in tal modo di ampliare gli spazi della rivista sia attraverso la modalità della scrittura
infantile sia mediante la fidelizzazione del lettore tra giornale e vita vissuta.
Entro questo percorso, costituito da dialoghi sempre più numerosi ( non solo tra “Giornalino della
Domenica” e lettori ma anche tra bambini che si scambiano gli indirizzi e si scrivono) si pongono le
basi per l'identificazione di un momento di forte aggregazione giovanile: l'istituzione della
“Festa del grillo” a partire dal 1908.

è presentata dedicandole la copertina di Umberto Finozzi


che evocativamente richiamava il canto dei grilli
per la Festa dell'Ascensione.

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Si tratta della ripresa di una tradizione popolare fiorentina caduta in disuso che consisteva nel
celebrare la festa dell'Ascensione tramite le cosiddette “Maggiolate”, feste di ritrovo e di
divertimento fuori porta alle Cascine. Il raduno di ragazzi, proposto da uno di loro, fu il primo di
una serie di appuntamenti nel corso dei quali gli abbonati ebbero l'opportunità di conoscersi di
persona dopo le comunicazioni per via epistolare.
Come sottolinea Filiberto Scarpelli lo scopo principale era favorire lo spirito comunitario tra
bambini.
Si consolida un'idea di aggregazione giovanile che si vuole autocentrata, orientata ad organizzarsi al
proprio interno. Con questa logica si afferma la “Confederazione Giornalinesca del Girotondo”
nella quale confluiscono e si accentuano gli ideali espressi sin dalla fondazione del periodico.
Nel disegno educativo e politico di Vamba si consolida l'idea e modello di lettore ideale e si
raggiungono in maniera strutturata i lettori reali diffusi sul territorio nazionale al di là dell'obiettivo
del leggere. Gli abbonati sono spinti all'azione in un consorzio tra pari con cariche elettive e con
obiettivi di dibattito dialettico e politico, specie intorno all'irredentismo per liberare Trento e Trieste
dagli austriaci e per poter celebrare la compiuta unità d'Italia.
Questa sorta di “stato di blocco”, presieduta da Vamba, prevedeva un parlamento con a capo
Giuseppe Fanciulli, si avvaleva di un governo centrale fiorentino e di prefetti, sindaci e sindachesse
nelle varie città della penisola. ( → la costituzione di un Parlamento dei piccoli risale alla primavera
del 1908 e il 20 settembre Vamba pronuncia il discorso inaugurale della prima seduta scegliendo
appositamente la data storica della breccia di Porta Pia a simboleggiare la continuità rispetto rispetto
al processo risorgimentale italiano ritenuto incompiuto. La data inoltre non era priva di significati
per gli abbonati del “Giornalino”, poiché nello stesso giorno si celebrava il compleanno di Gian
Burrasca, il celebre personaggio ideato da Vamba, che costituiva per i lettori un simbolo di libera
intraprendenza giovanile.).
Era inoltre prevista la presenza di un esercito senza alcuna esclusione di genere.
Tale Stato bambino si presentava come un'iniziativa democratica, ma in realtà covava un forte
risentimento come modello utopico alternativo e parallelo rispetto a quello della società adulta,
investiva sul domani del paese di cui i membri della confederazione sarebbero stati i protagonisti.,
evitava la mediazione educativa con la realtà esistente e non si faceva carico di affrontare
dall'interno e in modo propositivo la contrapposizione tra ideale utopico e complessità storica
primonovecentesca.
La contraddizione interna si conferma e si riempie di valenze politiche.
Lungo questo percorso si porta a compimento il traghettamento dal lettore ideale della rivista al
lettore reale visibile anche negli anni di sospensione delle pubblicazioni dopo il 1911.
(Vamba scrisse il Commiato dai suoi lettori sul fascicolo del 23 luglio 1911. In esso risulta
manifesto lo sconforto verso la crisi economica che ne induceva la chiusura, ma non appariva un
tono di sconfitta rispetto agli ideali promossi. Il direttore sottolineava il fatto che ogni lettore deve
riflettere sull'importanza di garantire la vitalità di un giornale tramite il proprio operato, sentendolo
un po' come proprio. Di questo sentimento rimane traccia nell' ”Aidai” [Associazione Indissolubile
di Anime Italiane] che alla ripresa della pubblicazione nel 1918 avrebbe promosso e sostenuto la
diffusione del settimanale in modo capillare anche tra i ceti sociali meno abbienti tramite
abbonamenti gratuiti).
Infatti la crisi del periodico non sancì lo scioglimento della “Confederazione”, continuarono le
frequentazioni tra abbonati in un clima di crescente irredentismo e nazionalismo che si tradusse per
diversi giovanissimi in partecipazione attiva alla Grande Guerra.
Vamba stesso partecipò alle prime fasi del conflitto bellico e al termine della guerra la notizia che
“Il Giornalino” avrebbe ripreso le pubblicazioni accese gli animi degli antichi lettori, ormai divenuti
genitori, che sottoscrissero abbonamenti per i figli.
Alcuni lettori purtroppo persero la vita in nome di quella causa patriottico-nazionalista a lungo
coltivata sulle pagine del settimanale.

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Molto probabilmente, alcuni nomi di lettori del “Giornalino della Domenica” ritornano nelle
cronache intorno al primo conflitto mondiale. Si pensi a Maurizio Pagliano e a Luigi Gori che nel
1917 si sono distinti come piloti d'aereo in alcune missioni con Gabriele D'Annunzio.
Giacomo Morpugo è uno dei molti giovani abbonati al “Giornalino” che, appena ventenni,
morirono al fronte.
A questi si aggiunsero diversi intellettuali simpatizzanti della famiglia giornalinesca come Scipio
Slataper, Giosuè Borsi, Roberto Sarfatti e Nello Finzi anch'essi morti durante il tragico conflitto.
Lungo percorsi di discontinuità e di continuità tra irredentismo, nazionalismo e poi fascismo si
mossero anche le vite di taluni redattori come Giuseppe Fanciulli, Ermenegildo Pistelli, Aldo Valori.
Nel loro complesso i percorsi umani mostrano in controluce linee di sviluppo, reinterpretazioni e
problemi non risolti del modello educativo e culturale del “Giornalino” in età giolittiana.

2.2 Il lettore rappresentato:


Le storie narrate sul “Giornalino della Domenica” raramente sono incentrate attorno al tema della
lettura o del lettore: il pubblico al quale il periodico si rivolge è già ampiamente alfabetizzato e la
redazione non ravvisa la necessità di incoraggiare la lettura. Le preferenze si orientano verso
intrecci narrativi carichi di avventura e di umorismo.
È possibile stabilire quale spazio fosse riservato alla lettura all'interno di più generali
rappresentazioni d'infanzia, capaci di uno sguardo ironico sulla vita e sul mondo.
I celebri Gian Burrasca e Omero Red mostrano una non comune consuetudine culturale che
concorre a definirne la personalità spigliata nel difendere un esibito e fittizzio buon cuore e uno
spontaneo modo d'agire.
La rappresentazione dei due massimi protagonisti del periodico è centrata su un'identità giovanile
intraprendente, proiettata ad agire e a sperimentare.

In questa direzione, ogni aspetto della realtà è visto da Giannino


Stoppani è volutamente messo sotto una lente deformante e ironica.
Dello scolaro Giannino sappiamo poco, al di là degli apparenti buoni
propositi. L'accento è posto sulla sua vena perennemente scherzosa.
L'unico libro che il protagonista mostra di leggere e di apprezzare è Il
Corsaro Nero di Emilio Salgari, lettura non deliberatamente scelta,
sebbene poi apprezzata (il romanzo gli viene dato dalla sorella Ada per
occupare il tempo durante una prolungata punizione che lo vedeva
segregato in camera. La lettura assume un ruolo consolatorio e di
straniamento).

→ Il Corsaro Nero è un romanzo d'avventura di Emilio Salgari. Fu il primo di una serie di cinque
romanzi collettivamente noti col titolo I corsari delle Antille, e avente come protagonista il
personaggio del Corsaro Nero (Emilio di Roccabruna, signore di Ventimiglia) o suoi parenti stretti.
Trama: Metà del Seicento: Inghilterra e Francia combattono contro la potenza degli
spagnoli e iniziano ad inviare navi corsare in scorribanda per l'Oceano per combattere
quelle nemiche e danneggiare così il commercio delle loro colonie e nel 1625 due navi, con
a bordo i primi corsari, gettano l'ancora davanti all'isola di San Cristoforo e vi si
stabiliscono. Ma una nave spagnola distrugge dopo cinque anni la loro base e i pochi che
riescono a sopravvivere trovano un rifugio all'isola della Tortuga facendone la base di
partenza per tutte le loro spedizioni.
Gli abitanti di Santo Domingo però, vedendo che il loro commercio è in pericolo, dopo un
attacco riescono a sconfiggerli e ad allontanarli. Un giorno però, i bucanieri e i filibustieri
riescono a far ritorno all'isola. Arriva intanto alla Tortuga un nobile italiano circondato dal

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mistero, un certo Emilio signore di Ventimiglia, Valpenta e Roccabruna. Durante un assedio in Europa, durante la guerra
fra Francia e Spagna, gli spagnoli tagliata la ritirata comprano un duca fiammingo, Wan Guld, ordinandogli di tradire i
superstiti italo-francesi rifugiatisi in una rocca. Riesce nel suo malvagio piano, ma uccide il fratello maggiore di Emilio,
che, dopo essersi miracolosamente salvato dalla carneficina degli Spagnoli, per vendicarsi lo insegue nei Caraibi dove
lui e i suoi due fratelli diventano il Corsaro Nero, Rosso e Verde. Il romanzo ha inizio quando due filibustieri, Carmaux
e Van Stiller, vengono ripescati dalla "Folgore", nave filibustiera appartenente a Emilio di Roccabruna, conte di
Valpenta e di Ventimiglia, conosciuto come il Corsaro Nero. Una volta a bordo, i due raccontano al terribile comandante
che suo fratello, Enrico di Ventimiglia conosciuto come il Corsaro Rosso era stato impiccato nella piazza di Maracaibo
per ordine di Van Guld, governatore della città. Emilio decide così di recarsi a Maracaibo per sottrarre il cadavere del
fratello e, reclutati Carmaux e Van Stiller, affida il comando della nave a Morgan, suo luogotenente.Dopo aver catturato
una guardia spagnola e guadagnato l'aiuto di Moko, un africano eremita, i filibustieri giungono a Maracaibo. Dopo
numerose avventure il Corsaro riesce a rapire la salma del fratello e a rimbarcarsi sulla Folgore dove, dopo aver
celebrato il funerale del fratello, giura solennemente che sterminerà Van Guld e tutta la sua famiglia.Sulla strada del
ritorno per la Tortuga, i filibustieri assaltano una nave spagnola che trasporta una bionda fanciulla che si fa chiamare
Honorata Willerman, duchessa di Weltrendrem, di cui Emilio si innamora, ricambiato. Dopo essersi imbattuti in un
terribile uragano la nave giunge finalmente alla Tortuga. Qui il racconto s'interrompe e l'autore introduce una parentesi
storica, citando le imprese di grandi filibustieri realmente esistiti e spiegando cosa siano la filibusteria e la bucaneria.Ha
poi inizio il racconto della spedizione per assalire Maracaibo. La caccia di Emilio lo porta, insieme a Carmaux, Wan
Stiller, Moko e il soldato che avevano catturato poco tempo prima, promosso a guida del drappello, nella foresta
vergine. Lì il gruppo incontrerà coguari e puzzole, vampiri, sabbie mobili e antropofagi. Giunti quasi alla meta, il
soldato e Moko si fermano, mentre i tre filibustieri proseguono la caccia. Seguirà uno scontro con le forze di Van Guld e
l'assalto a Gibraltar.Finite queste avventure pericolose, il Corsaro scoprirà che Honorata è in realtà la figlia di Van Guld
e, combattuto tra onore e amore, farà imbarcare la giovane su una scialuppa e l'abbandonerà in mare con enorme dolore.
Il romanzo si conclude con Carmaux che dice al suo amico Wan Stiller: «Guarda lassù! Il Corsaro Nero piange».

Per un ragazzo orientato sempre all'azione, il ritmo incalzante e la trama avvincente dell'opera
salgariana risultano confacenti (=adeguato), tanto da provocare l'immedesimazione e la volontà di
emulare quell'eroe indomito.
La scelta di Salgari non è casuale: esso rappresentava una linea di scrittura divergente rispetto ai
canoni educativi tradizionali, amata dai ragazzi e spesso versata dal mondo adulto.
Il messaggio implicito è chiaro: la lettura non può che essere un intrattenimento, d'avventura e
d'azione lungo uno schema di rottura rispetto a un passato letterario aulico per questo rifiutato, del
quale I Promessi Sposi erano l'emblema (vengono citati da Giannino).

→ Ermenegildo Pistelli: Collaborò con Luigi Bertelli, Vamba (1858-1920) a Il giornalino della
Domenica, fondato dallo stesso Bertelli nel 1906 e stampato fino al 1924. Nelle lettere che Pistelli
scriveva a Vamba perché le pubblicasse su questo giornalino, si firmava Omero Redi e fingeva di
essere un ragazzo. In una di queste lettere, tratta da Le pìstole di Omero, Pistelli parla dell'analisi
logica che egli, immedesimandosi in Omero Redi, considera scienza astrusa e
cervellotica, colpevole degli scarsi voti scolastici.
Ermenegildo Pistelli, nel 1906 divenne direttore de Il Passerotto

Il caustico (=ironico, sarcastico) Omero Redi si serve spesso della cultura e


dei suoi esponenti per rilevare le contraddizioni di adulti formalmente
interessati, ma sostanzialmente annoiati da discorsi eruditi e incomprensibili
ai più. Sottolinea la sostanziale incomunicabilità tra cultura erudita e
giovinezza, lasciando intendere che l'infanzia con la sua semplicità e
genuinità on desidera far parte di un simile mondo grottesco e caricaturale.
Le Pìstole infatti sono costruite su due livelli interpretativi:

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- la ricchezza dei dettagli mettono a conoscenza di una società di intellettuali articolata attorno al
libro e alla conoscenza;
- la ricchezza dei dettagli svuotano sistematicamente dall'interno il significato sottolineandone gli
aspetti risibili (= comici, ridicoli) e incomprensibili per l'infanzia.

Nella fisionomia di Giannino Stoppani e di Omero Redi la lettura e il libro non sono riconosciuti nel
loro valore culturale con il quale confrontarsi e appassionarsi.
Manca il riconoscimento del valore oggettivo e reverenziale (= rispettoso) del libro.

La cultura del libro è fortemente radicata nell'identità soggettiva dei personaggi. E se infatti
Giannino e Omero non si possono qualificare come lettori, tuttavia entrambi esprimono ampiamente
doti di scrittori. La finzione narrativa li rende protagonisti del proprio felice e ironico rapporto con
la scrittura. Entrambi esercitano con forza e incisività l'espressione di sé mediante il codice verbale.
Gian Burrasca e Omero rappresentano due modelli letterari di scrittori bambini che giocano
con le parole e ne governano il potere comunicativo invogliando i lettori a fare altrettanto.
La nascita del mensile Il Passerotto risponde in effetti a tale orientamento offrendo così a bambini
in carne ed ossa di sperimentarsi come autori.

Il tono spensierato dell'infanzia compare anche in altri racconti de “Il Giornalino della Domenica”,
come nel caso delle Vicende del Signor Vìsciola precettore narrate dal già affermato Ugo Ojetti.
Mentre la cultura viene incarnata “dai grossi libri ricoperti di fodere in carta di giornali”, la
spontanea irruenza infantile è testimoniata dal protagonista Luca Vìsciola che all'apprendimento
meccanico e faticoso dell'alfabeto preferisce l'ascolto dell'armonium, agli esercizi di decodifica
imposti dal maestro predilige l'avvicinamento ad altri scolari meno fortunati ai quali intende
insegnare, ma va incontro al sicuro insuccesso e alla pronta punizione.

Là dove i racconti privilegiano il genere fantastico (desunto dalla favolistica classica che rimanda a
La Fontaine, o come in Il topo di biblioteca e il topo di campagna scritto da Adolfo Albertazzi) è
visibile un ammonimento morale contro la presunta conoscenza erudita che fa perdere di vista la
concretezza del vivere. Si preferisce l'acquisizione di nozioni semplici e utili nella vita con il rischio
di sostituire ad uno schematismo un'altra posizione altrettanto schematica e riduttiva.
Questi esempi tratteggiano per lo più un'infanzia maschile trasgressiva e con deliberata
sottovalutazione nei riguardi del libro, visto come sinonimo di tradizione e di un passato che non si
vuole più: si tratta di una posizione che si inserisce evidentemente entro la linea collodiana di
ottocentesca memoria.
In questo scenario quale spazio occupa la RAPPRESENTAZIONE BAMBINA?
Negli intenti iniziali del “Giornalino” c'è senz'altro quello di rivolgersi ai lettori e alle lettrici e
nell'organizzazione della “Confederazione giornalinesca”. Nella fase di avvio della rivista non
manca qualche rilievo da parte delle lettrici che chiedono a Vamba di occuparsi un po' delle
bambine perché “in generale tutti i giornalinetti di cotesto genere pensano solamente ai ragazzi e ai
loro divertimenti”. Il direttore risponde dicendo di aver dato incarico a “una nota e gentile signora
di scrivere spessissimo articoli riguardanti la vita delle bambole”.
La distinzione di genere si concretizza nell'uso tradizionale femminile delle bambole: sin dall'estate
del 1906 compaiono racconti di Bina Diacci collegati al mondo delle bambole.
In questo quadro piuttosto connotato verso un'educazione maschile e femminile collegata a
stereotipi culturali persistenti: vi ritroviamo I discorsini di Cavalletta.
Dietro lo pseudonimo di Cavalletta vi ritroviamo l'identità della contessa Virginia Guicciardi Fiastri
che tratteggia un modello di fanciulla spigliata, intraprendente, agile e determinata.

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Si sperimenta il trionfo dei giochi all'aria aperta esortando a mettere in circolazione le “migliori
idee” per sconfiggere la noia e la ripetitività nei divertimenti.
Il rapporto con la cultura scolastica è sostanzialmente indicato come “una reclusione” forzata
durante lo scorrere delle vacanze. Cavalletta si sofferma su ciascuna disciplina a partire dai suoi
libri di scuola schierati sulla scrivania come fossero persone vive, giudica negativamente lo studio
astratto e artificioso delle regole grammaticali, il nozionismo della geografia, lo studio della storia
ridotto a guerre e a trattati di pace.
La via della scrittura è quindi il vero orizzonte di cambiamento nel quale sono coinvolti i bambini di
carta del “Giornalino della Domenica”.

Se nel “Giornalino della Domenica” si incontra in modo diffuso una rappresentazione narrativa
dell'infanzia trasgressiva e autoreferenziale, nei primi anni di visita del “Corriere dei Piccoli”
l'introduzione del fumetto consente alla regia di Spaventa Filippi di destinare quello spazio di più
spiccato intrattenimento anche per offrire una rappresentazione dell'infanzia disinvolta, spontanea e
autonoma rispetto agli schemi educativi adulti. Più che nelle pagine di racconti, nelle favole a
quadretti sfilano, tra gli altri, personaggi di Antonio Rubino come Pierino, Quadratino, Pino e Pina e
gli alunni del collegio La Delizia che offrono l'immagine di un'infanzia spensierata, concentrate in
esperienze di vita quotidiana per lo più ludiche.
Neppure in questo caso la lettura è oggetto di attenzione specifica e l'apprendimento scolastico è
solo sfiorato, mai abbracciato.
- Pino e Pina: nonostante siano due fratelli dal grande anelito (= aspirazione) verso il dovere
scolastico e la puntualità, immancabilmente per loro le porte della scuola rimangono chiuse perché
contrattempi sempre nuovi e indipendenti dalla loro volontà si frappongono.
La striscia di Pino e Pina compare sul “Corriere dei Piccoli” a partire dal febbraio del 1910 e
prosegue fino a luglio dello stesso anno. Rubino riprende i due personaggi nel corso del 1926.
- Il Collegio La Delizia: scritto da Romano Simoni e illustrato da Antonio Rubino capovolge gli
schemi tradizionali e ipotizza una scuola a guisa (= uso, forma) di paese di cuccagna dove scorre dai
rubinetti latte-miele e si può oziare tutto il giorno.
Il Collegio La Delizia compare tra il novembre del 1913 e l'agosto del 1914. le vicende saranno
raccolte in volume da Simoni.
- Quadratino: all'innocenza infantile si contrappone un mondo adulto non sempre benevolo e
accogliente: portato puntualmente a riquadrare Quadratino desideroso di nuove sperimentazioni e a
ricondurlo entro le forme rigide del suo dover essere da mamma Geometria e nonna Matematica,
incapace di ascolto autentico nei confronti di Pierino che cerca di disfarsi del proprio odiato
burattino.
Le strisce di Quadratino compaiono dall'agosto del 1910 al gennaio del 1911.
Le tavole di Pierino e il burattino sono le prime a far la loro comparsa al principio del 1909 e
dureranno fino al gennaio del 1910.

Le vignette a colori offrono un disegno di infanzia centrato sul piacere e sul divertimento, mai
irriverente o compiaciuto, ma senza dubbio con una propria fisionomia che intende affrancarsi dal
mondo adulto di regole e di obblighi.
Lo spazio assegnato alle novelle e ai racconti presenta una complessità di declinazioni nelle quali il
leggere e la cultura sono parte della vita dell'infanzia, perché riconosciuti e apprezzati dai
personaggi infantili per il loro valore di crescita.
Sono paradigmatiche in tal senso Le avventure di Peter Pan narrate da Spaventa Filippi che
conservano i passaggi fondamentali della drammaturgia teatrale di Barrie del 1904.
→ Le avventure di Peter Pan in “Corriere dei Piccoli” nel 1909: il racconto viene pubblicato a
puntate, presumibilmente con traduzione di Silvio Spaventa Filippi.
Il testo di Barrie era nato come opera teatrale nel 1904, poi fu scritto in forma di racconto nel 1906

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dal titolo Peter Pan nei giardini di Kesington e nel 1911 con il titolo Peter e Wendy.
Il testo pone in risalto la gioia del racconto orale che non si contrappone al viaggio fantastico ma
che è in qualche modo porta di accesso al paese di Fantasia.
Nulla è sciupato da una scrittura mai insistente ma che evidenzia con nettezza diversi aspetti
esperibili dal bambino lettore.

Il messaggio risulta confermato in altri colori, come ad esempio Nel regno dei bimbi di Gaetano
Polvarelli, dove si ipotizza un mondo abitato improvvisamente solo da bambini che
pinocchiescamente fanno un bel falò di tutti i libri “che avevano tormentato per tanti giorni il
cervellino dei bimbi” e capeggiati da Trottolino Fanulla si danno al divertimento sregolato finché
“si accorsero che a questo mondo le persone ignoranti fan sempre brutta figura: e allora decisero di
riaprire le scuole. I più istruiti fecero da maestri, gli altri andarono a imparare. E come stavano atten
ti!”.
L'incontro positivo con il libro è frutto di un processo di crescita che conduce a riconoscere il valore
come parte della propria vita anche in relazione all'utilità nella conquista dell'autonomia.
Rimane esclusa la possibilità di voler dominare e controllare il proprio futuro attraverso la lettura.
Essa prepara a vivere meglio ma non ad anticiparne la conoscenza.
Nel racconto a puntate di Maria Pezzè Pascolato, Lillorì, la lettura giunge in aiuto al protagonista
nel parallelismo tra avventura narrata in opere come il Corsaro Nero e nell'Isola misteriosa e
preparazione e supporto all'avventura più importante: quella della vita.
Non c'è spazio per forme di mistificazione del libro e dell'attività del leggere.
L'attività della lettura entra nelle rappresentazioni di fanciulli e fanciulle, emancipate perché
accolte.
Nella novella Zia Arabella di Carola Prosperi si enunciano anche “libri colle figurine” tra i
passatempi di una bimba definita “adorabile” e di sostegno a una vecchia zia.
Leggere consente di districarsi nella quotidianità e dona autonomia alla giovanissima collegiale
di otto anni del monologo di Paola Lombroso, Oh, che gioia viaggiar sola! .
Nel testo teatrale di Haydée La moda! La moda! “l'invito alla donna futura” di inchinarsi alla Moda,
personificazione di modernità ma anche si asservimento acritico soto il profilo culturale.
Nelle proposte narrative del “Corriere dei Piccoli” modernità e cultura tramandate dai libri non sono
dunque orizzonti antitetici, ma esse si integrano se sono rese vive e significative nell'interiorità del
soggetto.

2.3 Leggere per scrivere o per far leggere?


La fisionomia del “Giornalino della Domenica” e del “Corriere dei Piccoli” si precisa attorno
all'idea di lettore al quale ciascun foglio si rivolge. Si può cogliere una sostanziale coerenza e
continuità di vedute, ma anche distinzioni.
Le due riviste si pongono in dialogo con la borghesia del primo Novecento affermata e in via di
affermazione.

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GIORNALINO DELLA VS CORRIERE DEI PICCOLI
DOMENICA
Ha una circolazione più elitaria, dovuta Il suo prezzo era di 10 Cent.
al suo prezzo di copertina di 25 Cent.
Tiratura : 30.000 copie Tiratura: 140.000 copie
Arrivava a una cerchia più limitata e Mirava a raggiungere una media di un
selezionata di lettori ragazzo italiano su tre
Canali di distribuzione
La forma dell'abbonamento semestrale o annuale che entrambe le riviste perseguivano, richiedendo
un esborso anticipato, era possibile solo per le famiglie benestanti.
Prevedeva la vendita nelle librerie Utilizzava gli stessi canali di
cittadine che, tuttavia, non erano così distribuzione del quotidiano, così da
omogeneamente diffuse sul territorio raggiungere il pubblico attraverso una
nazionale rete capillare di edicole presenti anche nei
centri minori e nei paesi. Questa facile
disponibilità consentiva più agevolmente
di intercettare il lettore occasionale che
non poteva permettersi l'abbonamento
annuale, ma che poteva destinare piccole
mance, raccolte in occasioni particolari,
per acquistare l'amato giornalino

- “Corriere di Piccoli” :Ne discende una fisionomia più eterogenea dei lettori del “Corriere di
Piccoli” e il ruolo più marcato che il periodico esercitò nell'educare alla lettura i bambini italiani del
tempo, non tutti egualmente alfabetizzati ma certamente sollecitati verso il miglioramento delle loro
conoscenze.
La direzione mostrava di avere consapevolezza di questa realtà e ne tenne conto nei contenuti dei
racconti fantastici volti anche a sottolineare l'importanza della lettura.
Nei primi anni compaiono di tanto in tanto articoli informativi sulle biblioteche per ragazzi, sulle
librerie, sulle abitudini di lettura che nel loro complesso denunciano l'interesse a far conoscere i
sistemi e i processi di possibile incontro con il libro al fine di favorire nei lettori una crescita di
consapevolezza circa le modalità di circolazione e avvicinamento alla cultura.
Sono meno frequenti articoli informativi sugli scrittori e sulle opere letterarie per ragazzi.
Tale modalità è adottata solo per ricordare talenti precoci come quello di Milly Dandolo o di Clara
Mazzoni, ancora più sporadico (=discontinuo) il riferimento ai grandi nomi, se si esclude un
articolo su un presunto seguito del Cuore di De Amicis. La scrittura è offerta ai lettori nella sua
naturale originalità creativa ad opera dell'artista.

- “Il Giornalino della Domenica”: qui non si avverte tanto il bisogno di sottolineare l'importanza
della lettura, si propongono articoli volti a far conoscere gli autori e le loro opere, ponendo in tal
modo a disposizione dei lettori alcune chiavi d'accesso all'officina letteraria dello scrittore.

Nei primi anni del Novecento le due riviste seguono un orientamento diverso rispetto all'idea di
lettore e di educazione alla lettura.
Mentre il settimanale di Vamba guarda oltre il traguardo del leggere e privilegia già la scrittura
come via di modellamento dell'identità personale del proprio pubblico, il giornale di Spaventa
Filippi mira a fornire un ventaglio di possibilità per un accesso graduale e appassionante alla lettura.

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Attraverso questi diversi orientamenti è possibile cogliere il passaggio dal piano del lettore ideale al
lettore reale. Se gli scopi del “Giornalino della Domenica” andrebbero indagati attraverso le
rubriche impegnate a dirigere i bambini verso la scrittura, l'orientamento del “Corriere dei Piccoli” è
finalizzato più esplicitamente verso la lettura e al principio ciò avviene soprattutto nella rubrica
della “Corrispondenza”.
Nel passaggio dal lettore implicito al lettore esplicito l'educazione alla lettura dei bambini italiani
diventa impegno primario della curatrice Zia Mariù. Attraverso il progetto delle “Bibliotechine
rurali” e la valorizzazione delle diverse competenze di lettura possedute dai suoi “nipotini” più o
meno fortunati, la Lombroso invita i bambini ad essere protagonisti del proprio percorso di crescita
e ad apprezzare il libro come strumento per ampliare la consapevolezza civile e il livello culturale
del paese.

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CAPITOLO 3: Parlare all'animo del lettore: “La Corrispondenza” di Zia
Mariù.

3.1 La difficile collaborazione al “Corriere dei Piccoli”:


Gli studi compiuti da Delfina Dolza nell'Archivio privato di casa Carrara hanno permesso di
ritagliare uno spazio specifico attorno alla figura di Paola Carrara Lombroso quale artefice di
buona parte del progetto pedagogico della rivista.
Le ricerche di Delfina Dolza tengono in considerazione l'archivio privato di casa Carrara che
l'autrice ha potuto consultare, dove sono conservate per lo più lettere dei fratelli Albertini e alcune
minute delle lettere inviate al “Corriere” da Paola Lombroso. Spesso il pensiero dellaLombroso è
stato derivato dalle risposte degli Albertini piuttosto che dalle parole della giovane intellettuale.
A partire dalle ricerche di Delfina Dolza è possibile gettare oggi nuova luce sulla nascita del
“Corriere dei Piccoli”.
Sebbene Paola Lombroso avesse iniziato a lavorare all'ipotesi di ideazione di un nuovo giornale per
ragazzi a partire dalla propria originaria inclinazione per la scrittura giornalistica, già precocemente
espressa in “Cenerentola” a partire dal 1893 sotto la direzione di Luigi Capuana e maturata anche
sul “Fanfula della Domenica” e “La Nuova Antologia”, i primi contatti con il “Corriere della Sera”
risalgono all'ottobre del 1906, dopo qualche mese dalla nascita del “Giornalino della Domenica”.
→ L'esordio di Paol Lombroso nel giornalismo per ragazzi avvenne su “Cenerentola” nel gennaio
1893, ovvero dopo un mese dall'avvio del settimanale fondato da Luigi Capuana (18 dicembre
1892). i primi scritti furono di natura autobiografica e ad essi seguirono alcune biografie di uomini
illustri ritratti nella loro infanzia e un'inchiesta sui pensieri e le credenze dei bambini che avrebbe
occupato tutta la seconda parte del 1893.

Come dichiara Delfina Dolza, dopo il rifiuto da parte del “Secolo”, di certo più in sintonia con gli
ideali socialisti che la giovane Paola aveva manifestato da tempo al fianco di Anna Kuliscioff e di
Filippo Turati, la Lombroso intesse rapporti con Luigi e Alberto Albertini per approntare uno studio
di fattibilità dell'impresa.

Entrambi assidui frequentatori di casa Lombroso, D. Dolza riferisce di un ampio


esercitarono un'influenza culturale di rilievo documento della fine del 1906
su Paola adolescente. Anna Kuliscioff divenne riguardante la presunta struttura
un'amica e un riferimento da quando Paola aveva della nuova rivista che ci
12 anni e imparò ad ammirare questa signora, permette di riconoscere un
portatrice della cultura russa e il suo pensiero inizio temporale all'ideazione
politico socialista. Le prime attività in ambito del periodico che tuttavia
sociale di Paola e della sorella Gina furono andò progressivamente
orientate da Anna Kuliscioff e da Filippo Turati. strutturandosi nei due anni
In particolare la fondazione dell'istituzione successivi.
“Scuola e Famiglia”, che si proponeva di assistere
i bambini delle famiglie proletarie di Torino dopo
l'orario scolastico sulla falsa riga di quanto avveniva
già a Milano, fu per Paola di centrale importanza
per sviluppare a partire dal 1896 una sensibilità
sempre più raffinata rispetto ai problemi educativi
e alla conoscenza dell'infanzia in generale.

La mancata conservazione nell'Archivio storico del “Corriere” lascia percepire una certa

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indecisione verso l'iniziativa da parte della direzione in bilico tra investimenti industriali di
macchinari statunitensi per la stampa, tempi di realizzazione non ancora ben quantificabili e una
non puntuale visione degli spazi di mercato nel pubblico giovanile. È motivabile in questi termini la
decisione di far proseguire gli studi di fattibilità a Paola Carrara Lombroso per due anni e anche il
proposito di rimandare la scelta dettagliata dei contenuti “due o tre mesi prima del principio della
pubblicazione”.
Al contrario invece, dall'archivio di casa Carrara emerge una più accorta conservazione delle prime
lettere effettivamente inviate dagli Albertini, le quali sono un segno forte dell'importanza attribuito a
tale lavoro da parte di Paola Lombroso.
Le prime lettere conservate presso l'Archivio del “Corriere” risalgono al giugno del 1908 e
chiariscono che la progettazione in corso affidata, ma mai delegata, a Paola Lombroso si muoveva
lungo il binario di proposte ampiamente argomentate dalla studiosa che operava costanti confronti
con la pubblicistica esistente.
→ nel documento 1 del giugno 1908 inviato ad Alberto Albertini, Paola Lombroso informa e
dimostra il lavoro istruttorio realizzato fino a quel momento lasciando percepire il dibattito presente
sul tema intrattenuto specialmente con Alberto Albertini, mentre il fratello Luigi diventa
interlocutore per gli aspetti formali e giuridici della collaborazione.

L'analisi delle riviste accompagnò l'intero percorso ideativo, creando una consonanza di vedute con
la direzione.
Tra Otto e Novecento il rinnovamento culturale introdotto dagli Albertini nel quotidiano dal punto
di vista strutturale (ampliando l'offerta con i supplementi settimanali e mensili) crea un assai
promettente vivaio di professionisti come Luigi Barzini, Ugo Ojetti, Renato Simoni, dovuto in
buona parte all'irrinunciabile sguardo internazionale e specialmente anglosassone del fare
giornalismo.
Lo specifico taglio che avrebbe potuto avere il già allora denominato “Corriere del Piccoli” sarebbe
stato comunque il risultato degli spazi non sfruttati dalla concorrenza nazionale, rappresentata dal
“Giornalino della Domenica”: le note, le sottolineature man mano effettuate da Paola Lombroso sui
fascicoli del “Giornalino della Domenica” so motivano proprio nel desiderio di individuare aspetti
non sfruttati, tagli editoriali differenti da poter scegliere nel tentativo di essere più efficaci dal punto
di vista della proposta culturale.
Rispetto alla creatura giornalistica di Vamba, avrebbe dovuto quindi avere una prospettiva più
marcatamente internazionale nel proporre racconti d'autore fantastici e appartenenti alla tradizione
nordica e francese accanto a un possibile serbatoio di collaboratori nazionali.
Nelle lettere è menzionata Selma Lagerloff della quale si avanza la possibilità di tradurre delle
fiabe, ottenendo il permesso tramite Ellen Key che la Carrara Lombroso dice di conoscere.
La conoscenza delle opere di Selma Lagerloff e quella diretta di Ellen Key derivava dagli interessi
della Lombroso per l'emancipazionismo femminile in una prospettiva internazionale che gravitava
anche nel salotto letterario di casa Lombroso e dipendeva dall'attenzione per gli studi scientifici
attoro all'infanzia che Paola aveva elaborato e che non tenevano conto del cambiamento di
prospettiva attorno alla centralità dell'infanzia nel processo educativo introdotto dal celebre volume
di Eellen Key Il secolo del fanciullo. Ellen Key presentò i frutti del proprio lavoro a un congresso
organizzato dall'Unione nazionale femminile di Milano nel 1908 e non si esclude che in
quell'occasione ci fosse anche la Lombroso.

In ambito nazionale, oltre al proposito personale di comporre fiabe, vengono fatti i nomi di Lina
Schwarz e di Carola Prosperi.
La proposta di fiabe proprie è visibile nel carteggio con gli Albertini sin da principio e più volte
rimarcato inviando testi creativi perché fossero vagliati. È uno spazio difeso gelosamente all'intenro
dell'arbitrato che definisce il ruolo della Lombroso ed è oggetto di rivendicazione nel novembre del

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1909 quando reclama di aver ottenuto solo la pubblicazione di due racconti a fronte di ben dodici
già accettati sin dal 1907.
Lina Schwarz era nota a Paola per la comune attenzione al disagio popolare infantile che per quanto
riguarda la Schwarz si traduceva nell'impegno attivo all'interno dell'iniziativa milanese “Scuola e
Famiglia”.
La torinese Carola Prosperi era un'attiva maestra che all'inizio del Novecento, oltre all'impegno
giornalistico, aveva già alcune pubblicazioni per ragazzi diffuse in specie nel circuito
dell'associazionismo magistrale.
Vi sono una serie di racconti usciti presso l'Unione dei maestri elementari d'Italia a partire dal 1899
che mostrano l'interesse della scrittrice per gli snodi tra letteratura per ragazzi e processi di
alfabetizzazione del popolo promossi nell'associazionismo magistrale.
(→ La letteratura per l'infanzia pag. 192-193).
La Lombroso contribuì all'affermazione di Carola Prosperi tramite una collaborazione con il
“Corriere dei Piccoli” che sarebbe durata per lungo tempo.
Lo sguardo internazionale della Lombroso si rivolse alla cultura francese e in particolare ai
periodici , come l'allora affermato Mon Journal. La rivista apparve a Parigi nel 1881 e continuò le
proprie pubblicazioni fino agli anni Trenta. Nei primi anni del Novecento la rivista mantenne
un'impostazione tradizionale con un'immagine a tutta pagina sulla copertina e adottò l'uso del
colore.
Nelle lettere è più volte ricordato il Petit Journal illustré de la jeunesse che si impose all'attenzione
dei lettori francesi nel 1904 e si distinse per un'attenzione grafica di decisa innovazione.
Questa rivista ebbe una vita di un decennio poichè concluse le proprie pubblicazioni con la prima
guerra mondiale. Lo sperimentalismo grafico che introdusse con le “immagini a rovesciamento” di
Baker giocate sull'illusione ottica offerta da immagini in grado di evocare una duplice
comprensione a seconda del senso di lettura nel quale sono osservate.
L'idea di uno spazio grafico dinamico della copertina e nella pagina centrale per il nascituro
settimanale è scaturita a partire dall'esempio del foglio d'Oltrape, che abbandona il più tradizionale
disegno a pagina intera, spezzandolo in strisce continue lungo più righe.
Paola Lombroso apprezzava moltissimo quel foglio semplice “ma redatto in maniera meravigliosa”
e che rappresentava per lei un modello di riferimento che la motivò a proporre
proprio ad Albertini un'impresa analoga in Italia.

L'informazione è data dalla stessa Carrara


Lombroso in un interessante dattiloscritto
inviato presumibilmente nel 1950 ad Ada
Gobetti e destinato alla pubblicazione, nel
quale ella illustra la storia delle
Bibliotechine rurali.

Paola Carrara segue la pubblicazione dei periodici francesi almeno per i due anni che precedono
l'avvio del “Corriere dei Piccoli”. Dalle lettere inviate ad Albertini nell'estate del 1908 si viene a
conoscenza di un lavoro di confronto con la stampa periodica estera per ragazzi condotto in modo
metodico e puntuale seguendo gli sviluppi di alcune testate. Questo lavoro è stato favorito dalla
sottoscrizione dei relativi abbonamenti..
dalla comparazione tra riviste francesi e il “Giornalino della Domenica” cresce in lei la convinzione
di dare vita a un settimanale capace di intercettare un pubblico più ampio rispetto a quello
Giornalinesco sia per provenienza sia per età e genere.
Infatti la Lombroso partiva da un accentuato sentimento filantropico orientato a promuovere
l'emancipazione e l'alfabetizzazione dell'infanzia.

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L'attenzione educativa verso l'infanzia nelle varie forme di emarginazione sociale proveniva a Paola
dagli studi compiuti dalla psicologia infantile e dall'impegno nell'emancipazionismo femminile
torinese di fine Ottocento dove si occupò per diverso tempo insieme alla sorella Gina dell'isituzione
“Scuola e Famiglia”.
Gli Albertini miravano all'allargamento del pubblico di lettori e guardavano alle famiglie borghesi
affinché ciascun membro adulto e giovane potesse riconoscersi nella variegata offerta di lettura che
il “Corriere” assicurava con i suoi inserti. Gli inserti del quotidiano iniziarono al principio della
direzione Albertini nel 1898 con il settimanale “La Domenica del Corriere” (1899), che intendeva
raggiungere un pubblico di lettori curiosi ma digiuni di lettere informandoli tramite un linguaggio
dotato di essenzialità e immediatezza comprendente anche la mediazione del codice iconico. Nel
1901 apparve “La Lettura”, destinata ad accogliere il genere novellistico e il racconto anche di
scrittori minori del panorama italiano. “Il Romanzo mensile” iniziò ad essere edito nel 1903 ed
ospitava romanzi d'appendice attingendo alla letteratura straniera e italiana del periodo.
In questo scenario di attenzione a un pubblico differenziato che si voleva intrattenere e coinvolgere
tramite una cultura resa accessibile e calda accanto al rigore e al livello più formale del “Corriere
della Sera2, l'idea di un settimanale per ragazzi permetteva di catturare l'attenzione dell'acquirente
genitore e per il suo tramite di raggiungere il bambino.
A fronte del senso di solidarietà umana e uguaglianza che muoveva il pensiero e l'agire
dell'ideatrice, si poneva la prospettiva più pragmatica della direzione. Il piano culturale delineato
nel giornalismo del “Corriere della Sera”non prospetta messaggi educativi corali cioè che si
rivolgono alle masse, ma mira alla formazione e all'affermazione del singolo e dei talenti
individuali.
Nella motivazione di intercettare il favore di una fascia d'età più ampia di lettori e di lettrici, il
nascituro giornale intendeva distinguersi dal “Giornalino della Domenica” più orientato allo
studente ginnasiale piuttosto che al lettore principiante.
Nella concezione della Lombroso questo significava investire nell'alfabetizzazione precoce dei
bambini, sottraendoli a forme di degrado e di isolamento sociale, innestando un riscatto culturale e
un'ascesa personale: sulla base di posizioni ideologiche socialiste Paola Carrara guardava al
bambino quale anello privilegiato dalla società da cui partire per l'elevazione del popolo.
Il giornalismo per ragazzi poteva ultimamente inserirsi in questo disegno. L'intrattenimento era
funzionale alla fidelizzazione (= legame commerciale/personale che si va a creare con il cliente, che
a sua volta accetta per gli evidenti vantaggi che ottiene) del lettore cosicché si aprisse alla cultura e
all'alfabetizzazione.
Per gli Albertini rimaneva preminente il collegamento al mercato e alla possibilità più ampia di
creare una via culturale di intrattenimento precoce nel bambino che avrebbe potuto crescere con la
rivista. Nella logica dell'industria culturale di primo Novecento anche il bambino è visto come un
potenziale consumatore e quindi diventa strategico avvicinarlo per legarlo auspicabilmente anche
nelle età successive.
Coinvolgimento del pubblico femminile: mentre per Paola Carrara la scelta era coerente con i
principi emancipazionisti della donna che lei stessa incarnava prima ancora di professarne il valore,
nella visione degli Albertini, molto più tradizionale, costituiva un'opportunità per colmare un vulnus
(sostantivo neutro) che almeno agli inizi era reclamato dalle lettrici stesse del “Giornalino della
Domenica”.
Lo studio preliminare della pubblicistica internazionale era finalizzato anche a individuare le linee
culturali adottate in riferimento all'umorismo, ritenuto una categoria irrinunciabile nel futuro
settimanale, notoriamente al centro del dibattito culturale primo novecentesco e interpretato
secondo modalità anche satiriche nel “Giornalino” vambiano. In questo senso non fu irrilevante la
cultura anglosassone aziendale del “Corriere” che ebbe un peso nell'orientare Paola Carrara a
visionare anche giornalini americani forniti direttamente da Albertini. (Il desiderio di poter lavorare
più a lungo sulle storie umoristiche dei giornalini americani è dichiarato nella lettera del 25 giugno

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1908 scritta a Luigi Albertini:”Ella mi faccia tenere i giornali americani-per favore- che mi debbon
servire per le storie umoristiche”.)
tra questi è nominato il Saint Nicholas che godeva dell'interesse dei bambini statunitensi già dal
1893. la Lombroso chiese espressamente di poterne trattenere diversi numeri qualora servissero per
scegliere “storie umoristiche”.
Nelle lettere l'ideatrice pensava che il tratto di novità dovesse essere la presenza di “storie a colori”
sulla falsa riga del Petit Journal, inoltre richiedeva con insistenza ad Albertini di definire gli
orientamenti utili a coinvolgere Filiberto Scarpelli e Attilio Mussino nella realizzazione di storie a
vignette. In particolare premeva perché venisse contattato Scarpelli per il tramite di Ugo Ojetti per
favorirne il distacco dal concorrente “Giornalino della Domenica”. Ma Albertini si rendeva conto
che difficilmente avrebbe potuto convincere Scarpelli a lasciare una collaborazione ormai salda e
affezionata al pubblico della concorrenza senza scoprire troppo le carte sul nascituro settimanale.
Nonostante l'incalzare della Lombroso, ques'ipotesi non si compì.
La volontà di coinvolgere i torinesi Ettore Ridoni e Attilio Mussino sembrò una via perseguibile
attraverso la promessa di “fornire indicazioni sulle vignette dei vari racconti” al fine di individuare
scelte creative e compositive liberamente espresse dai vari artisti.
- Ettore Ridoni → nel carteggio con gli Albertini si parla solo di Ridoni ma si ritiene che si tratti
del pittore e scenografo Ettore Ridoni. Ridoni si sarebbe poi sposato verso il cinema muto
lavorando come scenografo. Negli anni Venti lo si ritrova come illustratore di alcuni volumi
d'avventura per ragazzi della collana di Paravia curata da Paola Carrara Lombroso, nota come
“Collana di Zia Mariù”. Non pare di poter segnalare illustrazioni firmate da Ettore Ridoni nei primi
anni di vita del periodico, ma non si esclude che qualche disegno non firmato possa essere suo.
- Attilio Mussino → (1878/1954) è stato illustratore prolifico e assiduo all'interno del “Corriere dei
Piccoli” a partire dal numero di esordio nel quale figura il primo fumetto all'italiana, e cioè il
personaggio di Bilbobul.

La dimensione del divertimento fu un altro asse portante del progetto di Paola Carrara che avrebbe
voluto concretizzare in pagine di giochi riprese dai giornalini stranieri e adattate al pubblico
italiano, avvalendosi degli stessi collaboratori già menzionati per le vignette.
Nel carteggio con gli Albertini Paola Lombroso insiste molto sul ruolo centrale che avrebbero
dovuto avere i giochi e avrebbe voluto che essi fossero curati da illustratori italiani e che avessero
uno spazio di quattro pagine su ciascun numero. La storia editoriale del settimanale mostra che tale
progetto fu ridimensionato a una sola pagina: inoltre, se anche ebbe una presenza piuttosto costante
nei primi anni, in seguito avrebbe avuto una visibilità rapsodica (= frammentaria).
Se la dimensione ludica serviva per coinvolgere, più peso avrebbe dovuto avere la finalità educativa
e dichiaratamente istruttiva che l'ideatrice avrebbe volentieri affidato ad articoli informativi sulle
invenzioni tecnico-scientifiche. Accanto alla varietà di tipologie letterarie che avrebbero dovuto
abbracciare il romanzo e la novella, il racconto e la poesia, le vignette e i monologhi drammaturgici,
non sarebbero dovuti mancare brevi testi informativi di “scienze spicciole”. Si lamentò del mancato
riconoscimento che gli Albertini mostravano nei suoi riguardi, in quanto non volevano affidare la
direzione del giornale.
Inoltre la Lombroso, che aveva scritto racconti storico-biografici per “Cenerentola” intendeva
differenziarle dalle biografie biografie in genere proposte sul “Giornalino della Domenica”. La
scrittura storico-biografica era un genere per ragazzi già frequentato da Paola Lombroso su
“Cenerentola” e godeva uno spazio centrale nella sua concezione di educazione alla lettura, fondata
in buona parte sulla conoscenza di classici letterari e biografie di uomini illustri della storia.
Non passò inosservata all'attenta studiosa nel luglio del 1908 la nascita di “un nuovo giornale per
bambini”, ma secondo Paola vi era assenza di pericolo di concorrenza sul piano della qualità della
proposta. Tale periodico era “Il Collodi” che creò un po' di problemi al “Giornalino della
Domenica”, i quali furono affrontati per via legale.

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La rivista era nata nei primi mesi del 1908 con il nome di “Il Carlo Collodi” per volontà di
Ferdinando Lorenzini (il fondatore) il quale intendeva mantenere desta l'attenzione sull'opera di
Carlo Collodi proponendo per esempio un fascicolo di approfondimento sulla sua vita e
testimonianze di critica in occasione dell'anniversario della nascita. In q1uesti casi il tono era
celebrativo nella parte narrativa. In altri fascicoli è visibile il tentativo di proporre fiabe poco
conosciute e provenienti dalla tradizione extraeuropea. Si coglie anche lo sperimentalismo di
vignette in sequenza ma sprovviste di didascalia riprendendo alcune tendenze della pubblicistica per
ragazzi internazionale. Manca: l'uso del colore e un affinamento continuativo delle proposte. Le
pagine destinate alla corrispondenza (denoniminate “Salottino rosa) ricalcavano la linea del
“Giornalino della Domenica” sia perchè la firma di Ceralacca ritornava nel nuovo nato sia perchè
alcuni lettori del “Giornalino” avrebbero seguito gli sviluppi del nuovo settimanale contribuendo ad
alimentare la corrispondenza. Nel luglio del 1908 il settimanale venne ribattezzato “Il Collodi” e la
direzione fu affidata a Valori che nei mesi precedenti aveva iniziato a collaborarvi pur mantenendo
in contemporanea l'impegno del “Giornalino della Domenica”. Le scelte di Valori apparvero
discutibili a Vamba che accusò il collaboratore di concorrenza sleale e il dissidio fu affrontato per
via legale.
Le divergenze con gli Albertini iniziarono nel momento della definizione dei collaboratori e della
scelta del direttore. Mentre gli Albertini per diversi mesi si erano confrontati con Paola Carrara sulle
varie ipotesi di realizzazione dell'impresa, ma senza giungere a scelte definitive, tre mesi prima
dell'esordio del giornalino, l'ideatrice del progetto aveva recepito il loro atteggiamento come
un'implicita adesione alle sue proposte e al pacifico riconoscimento del ruolo di guida a lei
pertinente.
( Nel settembre 1908 Luigi Albertini difese la linea assunta dalla direzione nei riguardi di Paola
Carrara, dicendo che lei gli ha portato dei materiali, ma non erano completi).
Dalle lettere si percepisce che la direzione non intendeva rinunciare a imporre al settimanale
l'impronta propria, in sintonia con gli altri supplementi del “Corriere della Sera”. I fratelli Albertini
non volevano rinunciare ad assumere una parte di rilievo nell'ideazione della struttura del periodico
e dunque a monte della scelta di incaricare Spaventa Filippi della direzione. Nelle lettere è chiara la
volontà di inserire una rubrica simile a quella presente nella “Domenica del Corriere” intito9lata
“Cartoline del pubblico”, che prevedeva la partecipazione attiva dei lettori e che di fatto nel
settimanale per i piccoli sarebbe andata a delineare “La palestra dei lettori”.
Così la disponibilità a collaborare fu vista con scetticismo dagli Albertini, a causa del legame di
amicizia con la Lombroso che temevano potesse rendere asfittica (=asfissiante) e ingestibile la
collaborazione. Più volte nelle lettere è ribadita l'indicazione che la Lombroso non avrebbe dovuto
prendere ccordi specifici con eventuali collaboratori, mentre in realtà questo avvenne ben oltre la
tolleranza degli Albertini.in varie lettere si nota il diverso tono nel quale viene evidenziata la
rinuncia a qualsiasi spazio di protagonismo al quale la obbligarono gli Albertini, pena la perdita di
qualsiasi possibilità di collaborazione.
Gli Albertini non potevano accettare che 2i due terzi del giornale” fossero elaborati da un'unica
persona, come ebbero a dire a Paola Carrara, perchè avrebbero corso il rischio di una monotonia di
proposte, perchè la vivacità di una rivista era espressa, a loro avviso, dalla pluralità ideativa e di
compiti organizzativi non cumulabili in un'unica mente. Questo aspetto fu un elemento di ulteriore
scontro, poiché la Lombroso sosteneva di aver avuto rassicurazioni che i due terzi del settimanale
sarebbero stati decisi da lei.
Il carteggio mostra infatti che la crescente rivendicazione di maternità spirituale nel voler creare “il
più bel giornalino possibile” e di connotarlo come proprio genera posizioni sempre più rigide da
parte della direzione che avrebbe desiderato interrompere definitivamente la collaborazione con
della Lombroso, liquidando il lavoro svolto ma mantenendosi libera nelle scelte successive.
( - nella lettera del 21 settembre 1908 Paola Lombroso ripetutamente si riferisce al nuovo giornale
in modo possessivo designando come proprio il giornale ed esprimendo con insistenza la volontà di

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dare vita al migliore periodico per ragazzi italiano quale espressione del proprio valore
professionale;
- la prospettiva di sciogliere qualsiasi legame con la Lombroso è evidente nella lettera di Albertini
del 25 settembre nella quale emerge la volontà di non cedere a un qualsiasi ricatto anche
psicologico.)

Lo scontro riguarda due visioni editoriali non facilmente concepibili. Da un lato figura il
capovolgimento di Paola Lombroso che ambiva a un chiaro riconoscimento giornalistico e in
qualche modo indirettamente imprenditoriale in quanto direttrice di rivista per ragazzi. Dall'altro
lato si delineala volontà aziendale più orientata ad operare scelte flessibili in grado di diminuire il
rischio d'impresa che si profilava con l'avvio del settimanale. Le scelde editoriali della direzione
apparivano ponderate e sostenute dall'esperienza dell'offerta dei supplementi avviati a partire dal
1899. albertini fece infatti riferimento alla nascita della “Domenica del Corriere” per sostenere la
necessità di dover controllare l'intero processo produttivo senza possibilità di deroghe. Inoltre,
Albertini era convinto che per ottimizzare tempi e risorse fosse opportuno orientarsi verso un
giornale di compilazione.
Lo sguardo della Lombroso intuiva i vantaggi di un'iniziativa industriale, ma di fatto rimaneva
saldamente rivolto a un'idea di direzione artigianale e ottocentesca, improntata sulla centralità del
direttore quale anima della rivista. La Lombroso per prima si era rivolta alla direzione del “Corriere
della Sera” perchè era convinta che il successo di un periodico moderno per ragazzi dipendesse da
una struttura aziendale di tipo industriale in grado di sostenerne le spese dio produzione, di garantire
una tiratura elevata e di assicurare una diffusione capillare. Paola Lombroso pensava al direttore
come colui che avrebbe avuto indipendenza decisionale, che avrebbe impresso la propria linea
originale e riconoscibile. Forte del proprio carattere intraprendente cioè pensava al direttore come
un capo carismatico e indiscusso dell'impresa, mostrando una buona dose di utopia rispetto alla
situazione concreta nella quale avrebbe dovuto operare.
La discesa in campo di Silvio Spaventa Filippi avvenne in un momento alquanto avanzato di
ideazione ed è presumibile che sia collocabile nell'estate del 1908, quando i rapporti con la
lombroso non erano ancora fondamentalmente tesi, ma lasciavano intuire che il materiale da lei
fornito era al vaglio della direzione e forse già affidato a persona interna all'azienda.
Le lettere degli Albertini espressero riserve su alcuni criteri di scelta adottati dalla Lombroso
preferendo gli esiti raggiunti dalle “ricerche compiute da altri che ha passione per l'argomento”.
Nella lettera del 25 settembre 1908 Albertini dichiarava esplicitamente il proprio dissenso rispetto
ad alcune proposte non meglio precisate fornite da Paola Lombroso per la progettazione del
settimanale.
Spaventa Filippi alleggia per le sue competenze specifiche nel settore e per la sua visione letteraria
di respiro internazionale anche sul tema dell'umorismo e quando, a settembre del 1908, fu in grado
di avere un autonomo giudizio al riguardo, la direzione espresse una linea aperta divergenza con la
prima ideatrice.

Non si spiega altrimenti la linea intransigente degli Albertini


nei riguardi di Paola Lombroso. Erano decisi anche ad
estrometterla completamente dall'iniziativa,
ma senza rinunciare alla pubblicazione,
risultando ormai troppo avanzate le scelte editoriali.

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(- è nota la competenza che Spaventa Filippi aveva già maturato all'altezza del 1908 nell'ambito
della letteratura straniera con una propensione particolare verso gli umoristi inglesi e in particolar
modo verso Dickens, sul quale stava lavorando per la traduzione di alcune opere. Possedeva anche
una fine sensibilità per scrittori romantici;
- l'improvviso conferimento dell'incarico progettuale del “Corriere dei Piccoli” a Spaventa Filippi è
ricordato dal figlio Leo in una lettera al direttore del “Corriere della Sera” nella quale sostiene che
Albertini, esausto per la situazione di tensione, forse proprio con Paola Lombroso, chiese
sbrigativamente al padre di occuparsene.)

Le intenzioni divennero palesi durante un colloquio in Via Solferino nel quale fu presentato
Spaventa Filippi come “capo” nella redazione del periodico e prospettando alla Lombroso un ruolo
di collaborazione non ancora ben delineato (la mancanza di determinazione della forma di
collaborazione che gli Albertini avrebbero assegnato a Paola Lombroso almeno fino a ottobre del
1908, conferma la volontà della direzione di non avvalersi affatto della collaborazione della
Lombroso una volta affermata l'intenzione a non volerle conferire il ruolo di guida nel settimanale).
Nel carteggio è ribadito in vari passaggi che la direzione della rivista sarebbe rimasta ben salda
nelle mani degli Albertini, mentre l'organizzazione in itinere doveva essere affidata a persona
esperta, interna all'azienda.

Nelle lettere non si parla mai infatti né del nome di Spaventa Filippi né di un ruolo
direttivo. Invece si definisce il ruolo di questa figura come redattore capo. Questo
giustifica il lavoro svolto sempre nell'ombra da Spaventa Filippi il quale non firma
nemmeno l'editoriale di avvio Come fu … proprio per fugare qualsiasi dubbio circa la
dirigenza della rivista e, al contrario, per affermare il valore del lavoro corale svolto
all'interno del giornale. Sarà la fedeltà e l'effettiva competenza dimostrata da Spaventa
Filippi nel tempo ad accreditarlo come direttore della rivista. Nonostante Luigi Albertini
rimarcasse più volte la necessità della vicinanza logistica del redattore capo e dalla sua
presenza quotidiana in azienda quali requisiti ritenuti fondamentali di efficienza e in
questo senso poneva condizioni che squalificavano Paola Lombroso, in realtà si coglie
un non detto che riguarda una consonanza di vedute e di posizioni culturali con
Spaventa Filippi che,al contrario, la progressiva conoscenza della Lombroso non
avevano affatto garantito.

Solo in questi termini avrebbero potuto essere garantiti criteri di qualità e di durata dell'iniziativa. I
contenuti entro i quali operare progressivamente le scelte avrebbero dovuto infatti assicurare
“varietà di firma”, di stile e di abbondanza quantitativa e avrebbero dovuto superare almeno due
momenti di selezione operata da persone diverse. Nel prefigurare una possibile rubrica in grado di
assicurare la partecipazione del pubblico, Albertini ipotizzava che l'invio abbondante di materiale
avrebbe dovuto richiedere una doppia selezione.
La struttura flessibile e compilativa, nonché l'identificazione di rubriche fisse, in grado di
contemperare anonimato del curatore e apertura tematica ( l'anonimato delle rubriche fu un punto

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sottolineato dalla direzione e invece divenne un aspetto di contesa con Paola Lombroso che ottenne
la mediazione dell'uso di uno pseudonimo per la “Corrispondenza” identificandolo con Zia Mariù.
Anche il requisito dell' “apertura” delle rubriche fu fissato sin da principio e invece fu spesso e
volentieri tradito dalla Lombroso poiché inconciliabile con la sua indole educativa e dialogica con i
lettori) , completano un quadro irrinunciabile per la direzione che Spaventa Filippi sarebbe stato in
grado di assicurare, mentre l'appassionata e coinvolta Paola Lombroso non mostrava di riuscire ad
aderire a tale linea al di là dell'ottima ma non convincente buona intenzione.
Su queste basi oggettive si innestarono divergenze dovute anche a forti carismi personali.
La figura femminile di intellettuale emancipata e in cerca di un stabile riconoscimento pubblico
confliggeva con un mondo imprenditoriale conservatore rispetto ai
ruoli di potere tradizionalmente maschili ( → è ampiamente
presentato negli studi di Delfina Dolza il rifiuto direttivo riservato
alla Lombroso per un'impostazione ideologica conservatrice e
maschilista da parte degli Albertini. In realtà tale ragione,
sebbene presente, non può essere ritenuta l'unica).

Tra i vari passaggi nei quali la Lombroso ritorna


sul ruolo pubblico al quale aspirava, se ne
segnala uno in particolare per il tono accorato e
ferito. Esso mette a nudo la sincerità di
sentimenti che saranno utilizzati come sottile
arma contro di lei da parte della direzione.

La rivendicazione degli ideali e del progetto nel quale aveva fino a quel momento creduto in modo
fiducioso, si congiunse al sapore amaro, inaccettabile e non rimarginabile del tradimento subito.
Alle presunte difficoltà prospettate da Albertini nel porre una donna a capo del settimanale, Paola
ribatteva con lucida coerenza di sentirsi “usata” poiché la sua identità era stata gradita finché si era
trattato di agire nell'ombra come “organizzatrice clandestina”, mentre non era vista
improvvisamente all'altezza come “organizzatrice palese e ufficiale”. Per tutto il lavoro di
preparazione sottolineava che non erano sorti problemi per il fatto di chiamarsi “Paola invece di
Paolo Lombroso” e quindi tutto ciò a suo parere metteva a nudo la disonestà delle decisioni assunte
e rendeva manifesto il sopruso subito.
Considerata dal punto di vista della Lombroso sembra che le “colpe” siano tutte addossabili alla
direzione, mentre a guardare il quadro complessivo della questione si ha ragione di credere che
inizialmente gli Albertini le avessero lasciato la libertà d'azione senza troppo impegnarsi,
sottovalutando tuttavia le sue capacità di intraprendenza e di intessere relazioni derivanti anche da
una consuetudine di vita assai ricca di stimoli e opportunità culturali. Il carteggio mette in evidenza
gli assai ampi contatti e legami con il mondo culturale del tempo sui quali Paola poteva contare. Il
salotto letterario di casa Lombroso era noto quale crocevia significativo di intellettuali torinesi e di
altri che gravitavano sulla città in ragione di un mondo universitario di prima grandezza.
Paola Carrara aveva vissuto da sempre con intensità tali relazioni per condivisione di buona parte
dei progetti paterni e più tardi anche del marito Mario Carrara che fu l'allievo prediletto di
Lombroso. All'interno di questo clima, Paola coinvolse facilmente firme emergenti nell'ambito
giornalistico, letterario e artistico. L'ipotesi di poter lavorare entro una cerchia solidale di amicizie

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impensieriva la direzione che, se avesse concesso troppa autonomia decisionale alla Lombroso,
avrebbe corso il rischio di veder consolidarsi nel tempo un potere lobbistico a discapito del
controllo centrale che la dirigenza invece intendeva continuare ad esercitare.

Quando il rischio di perdere il controllo della situazione divenne palpabile, gli Albertini misero
condizioni più stringenti nel tentativo di trovare una via di fuga, ma questa scelta portò all'aperto
contrasto per la strenua e forse inattesa difesa messa in campo dalla Carrara Lombroso.
L'impossibilità di trovare una conciliazione sul piano “morale e di lavoro” che vide di fatto la
Lombroso in una posizione di inascoltata solitudine, spostò immediatamente la trattativa sul piano
legale e qui giocò un ruolo non secondario il peso delle frequentazioni di Paola.
→ Di fronte all'offerta di Albertini di compensare con 1500 £ire il lavoro preparatorio svolto e alla
possibilità di trovare “ulteriori intese per la collaborazione, ma non già sulla base da Lei indicata, e
senza impegno di sorta, almeno per alcuni mesi di prova”, Paola Lombroso sceglie la via
dell'arbitrato amichevole rivolgendosi all'amico di famiglia Filippo Turati per essere da lui difesa.
Al di là quindi di una rivendicazione economica, Ella mirava al riconoscimento di diritti a suo dire
lesi e la scelta di Turati si muoveva proprio in questa direzione.

In particolare l'aiuto dell'onorevole Filippo Turati svolse un ruolo di mediazione, tale da ottenere
condizioni contrattuali a tutela del lavoro realizzato dalla giovane scrittrice e ponendo le basi per
garantirle la collaborazione successiva. Turati opera una trattativa che, sebbene non riesca a
garantirle un ruolo direttivo, evita di fatto uno scontro frontale tanto deleterio quanto inevitabile per
il temperamento di Paola.
Sulla base dell'arbitrato di conciliazione tra le parti venne stilato da Albertini un memoriale
accettato dalla Lombroso in data 10 ottobre 1908 nel quale si liquidava il lavoro svolto con un
compenso di 1500 £ire e si precisava che la sua collaborazione fissa poteva riguardare la rubrica
della “Corrispondenza” e quella dei giochi, mentre per una terza rubrica ancora in via di
definizione, ma che nelle intenzioni avrebbe dovuto fondarsi sulla collaborazione attiva dei lettori
secondo una modalità simile alla rubrica “Cartoline del pubblico” della “Domenica del Corriere”.
Questa rubrica sarebbe poi risultata “La Palestra dei lettori” che di fatto rimase l'unico spazio fisso
del giornale mai interrotto lungo la sua quasi centenaria esistenza e che non avrebbe fatto parte
dell'impegno effettivo di Paola Lombroso. Accanto al saldo mensile di 250£ (dalla richiesta
avanzata in prima fase di 500£ mensili, poi ridimensionata in 300£, la Lombroso giunse ad accettare
l'importo di 250£) per la collaborazione fissa, le fu riconosciuto un ulteriore compenso per testi
narrativi individuati nella tipologia testuale della fiaba, novella, monologo e biografia (di fatto la
collaborazione in tale ambito si sarebbe ridotta a qualche novella e monologo).

La durata contrattuale inizialmente pattuita in un anno fu poi prolungata formalmente fino al


termine del 1910 e tacitamente rinnovata fino all'anno successivo, quando la direzione avrebbe
interrotto definitivamente la collaborazione.

La richiesta di un vincolo contrattuale di tre anni nel 1909 fu ridimensionata a un solo anno di
comune intesa a patto che la direzione si impegnasse a pubblicare anche diversi racconti
espressamente firmati da Paola Lombroso.

Per quanto riguarda la rivendicazione del ruolo ideativo e direttivo dal quale era stata esautorata,
Paola dichiarò che avrebbe rinunciato ad ogni diritto dopo un anno di collaborazione continuativa e
con intesa di prosecuzione per almeno un altro anno.
Le vicende che contraddistinsero la fase preliminare di avvio del giornalino delineano un clima già

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pregiudicato in partenza, sempre contenuto entro rapporti formalmente corretti ma anche sempre
sull'orlo dell'aperto contrasto e della rivendicazione di diritto e di principio, come evidente
conseguenza dell'incrinato rapporto di fiducia.

3.2 Una rubrica breve ma incisiva:


A seguito delle difficili trattative tra gli Albertini e la Lombroso, la rubrica della “Corrispondenza”
rimase affidata a quest'ultima senza che inizialmente fossero precisati gli spazi assegnati in ogni
fascicolo, lasciando intendere che essi potessero essere ampliati o ridotti dalla Direzione a seconda
delle esigenze che via via si sarebbero presentate. A fronte di questa voluta indeterminatezza, erano
posti vincoli molto rigorosi per quanto riguardava la forma impersonale di tale spazio: era richiesto
l'anonimato affinché la rubrica fosse espressione del giornale e non di un autore specifico.
Tale scelta direzionale era coerente rispetto alla linea generale assunta e cioè di esercitare il ferreo
controllo su o9gni aspetto del nuovo periodico. Si giustifica su tali basi l'assenza di firme nella
rubrica dei giochi che non è dato capire da chi fosse tenuta poiché nelle lettere di Paola Lombroso
non si sarebbe più fatto cenno all'organizzazione di tale parte.
Analogamente può dirsi per “La palestra dei Lettori”che rimase in carico alla redazione del giornale
e sicuramente non alla Carrara Lombroso.
- “La Palestra dei Lettori” → la denominazione scelta fa riferimento a “La Palestra delle giovinette”
ovvero la rubrica della rivista “Cordelia” destinata a ospitare gli scritti delle abbonate che in tal
modo avrebbero potuto affinare le loro competenze di scrittura. “La Palestra dei Lettori” avrebbe
invece ospitato principalmente barzellette o comunque piccole trovate ironiche.

La Lombroso più volte ha detto ai lettori di rivolgersi


alla redazione per inviare giochi o barzellette dal
momento che “La Palestra dei Lettori è fuori dal mio
imperio!”.
→ L'espressione molto decisa e senza possibilità di
mediazione giunse dopo che la curatrice aveva ricevuto
diverse lettere di abbonati un po' delusi perché
confidavano molto nella pubblicazione di loro
barzellette sulla “Palestra dei Lettori” per vincere
l'ambito premio di 5 Lire, mentre ciò non avvenne.
Così Paola Lombroso cercò di fare da intermediazio
con il “Minosse della Palestra che giudica e manda”
ma la risposta fu inesorabile. Ciò che appariva
originale al singolo bambino si rivelava in realtà un
luogo comune e inflazionato per la redazione:”Bisogna
che mandino qualche cosa di più nuovo e di originale,
i tuoi piccoli, fatale destino”.

Inoltre la Lombroso diceva di non avere alcuna “voce in capitolo nell'accettazione dei lavori” come
fiabe racconti e poesie, ma che ciascuno avrebbe dovuto “aspettare l'ardua sentenza” della
Direzione.
L'esigenza di anonimato e di forma impersonale desiderata dalla Direzione strideva rispetto alla
specificità di uno spazio di dialogo che si voleva instaurare con i lettori.

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Paola Lombroso ottenne di aggirare l'esigenza di anonimato adoperando lo pseudonimo di
ZiaMariù: la Lombroso aveva la proprietà dello pseudonimo, ma si impegnava a utilizzarlo solo
per la pagina della “Corrispondenza2 per tutta la durata della sua collaborazione. Una
volta terminato l'impegno con il “Corriere dei Piccoli”, l'autrice avrebbe spesso firmato i
propri racconti per ragazzi con il celebre pseudonimo AS CdS.

Si rivelò da subito una scelta vincente perché l'immagine di Zia richiama da vicino una figura
potenzialmente calda, affettuosa e un'attenta ascoltatrice. Mentre il nome Mariù, diminutivo di
Marzola e in realtà attribuito a Paola Lombroso come secondo nome, era in sé melodico e incisivo.

Se il discorso dello pseudonimo garantiva la presa di distanza rispetto all'identità reale della
curatrice, si rivelò uno straordinario dispositivo per generare un personaggio a mezzo tra il
fantastico e il reale, in grado di suscitare aspettative, curiosità e deduzioni nei lettori e alimentando
il desiderio di svelare il mistero celato dietro il nome. Di questo meccanismo continuamente
alimentato da Paola Lombroso, la direzione inizialmente sottovalutò le potenzialità e nel tempo non
riuscì a contenerne le conseguenze.
Furono le continue esortazioni a mantenere un tono della conversazione con i lettori che fosse
“impersonale”. Per la Direzione significava trattare argomenti che convogliassero una pluralità di
voci dei lettori e che non facessero menzione diretta e reale della curatrice. Allo stesso tempo tale
connotazione doveva permettere al giornale di suggerire l'indirizzo da tenere secondo i propri
criteri.
Paola Lombroso interpretò tali disposizioni sempre secondo una formula meno restrittiva.
Eccepiva (=contestava) sulla sostanza del termine “impersonale” poiché l'utilizzo dello pseudonimo
non risolveva certo il fatto che lei avesse un'identità ben precisa e pertanto le pareva impossibile
spogliarsi di essa. → Nella lettera del 9 marzo 1909 Paola Lombroso diceva a questo
proposito:”Che cosa intende lei per Corrispondenza “impersonale”. Una Corrispondenza in cui non
si sappia che Paola Lombroso è Zia Mariù? Lo sapeva assumendomi sotto il nome ch'io avevo
proposto di Zia Mariù che io ero Paola Lombroso”.
Il suo stile di scrittura era carico del suo sentire, Alberto Albertini lo sapeva bene e riconosceva in
ciò parte del successo riscosso subito dalla rubrica, ma intendeva contenere e disciplinare
l'esuberante attività della curatrice.
Il termine “impersonale” mal si attagliava a salvaguardare l'originale personalità di ciascun lettore
che scriveva. Zia Mariù ci teneva a non dimenticare nessuno perché ciascuno si sentisse importante
ai suoi occhi. Si rivolgeva a tutti, senza differenze tra abbonati e non abbonati, affermando di non
badare certo a questioni amministrative. Al primo posto doveva rimanere ben saldo il valore
dell'ascolto della voce infantile e insieme il far sentire a quella la presenza educativa adulta.
La scelta dello pseudonimo, unito alla denominazione della rubrica con il termine
“Corrispondenza”, fissa e delimita uno spazio costruito dalla curatrice con un'impronta dialogica,
avvantaggiandosi in questo delle competenze educative che aveva maturato nel tempo. Di tale
propensione si ha la conferma nella pagina di avvio della corrispondenza che riesce in forma
narrativa, ironica, leggera ma finemente attenta, a far percepire importante e degno di attenzione il
lettore bambino a tal punto che il piccolo si meriti la possibilità di corrispondere come i grandi con
un giornale e di avere la soddisfazione di leggere su di esso risposte a sé dedicate.
→ L'articolo d'avvio della “Corrispondenza” qualificandosi come richiamo per ricevere la
partecipazione dei lettori non è volutamente firmato e serve anche di presentazione della Zia Mariù.
Tuttavia lo stile di scrittura, l'attenzione ad adoperare la forma dialogata e l'assunzione dal punto di
vista infantile fanno ritenere che il testo sia stato scritto da Paola Lombroso che intese così porre le
basi per strutturare la rubrica.

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Nel testo narrativo proposto in apertura è appositamente amplificato il senso di presunta ingiustizia
avvertito da due allegri e vispi fratelli inseriti in un contesto familiare borghese. Costoro
interrompono i loro giochi di travestimento attirati dall'arrivo del maggiordomo di casa con un plico
di posta indirizzata al capo-famiglia assente e rivendicano anche per se stessi a possibilità di vivere
la medesima esperienza carica di attesa e di sorpresa a guisa di dono da aprire e da apprezzare in
modo prolungato.
La ricezione delle lettere è giudicata espressione di status sociale adulto, essere cioè considerati
degni di attenzione da parte di un interlocutore che desidera parlare di sé e ambisce a conoscere
qualcosa dell'altro. Ma significa anche appartenere a pieno titolo a coloro che sono alfabetizzati,
competenza che crea separazione netta tra la spensieratezza dell'infanzia e l'autentico accesso alla
conoscenza formalizzata nella parola scritta.
È volutamente accentuata la condizione di esclusione infantile vissuta dai due bambini.
La denuncia del senso di ingiustizia subìto non conduce i protagonisti all'arrendevolezza
vittimistica, ma genera intraprendenza e volontà ideativa.

Questo testo suggerisce implicitamente l'idealtipo di lettore della pagina della “Corrispondenza” e
più in genere conferma la linea della rivista. Si guarda con favore ai figli della borghesia.
Il secolo dei fanciulli di Ellen Key risuona nei significati delle parole di questo brano d'avvio.
I personaggi in azione sono spigliati, sicuri di se stessi, trasgressivi nel gioco e spontanei nel
linguaggio e nel pensiero, alla ricerca di una relazione con gli adulti che vorrebbero paritaria e
fondata su un nuovo rapporto fiduciario di cesura rispetto agli autoritarismi educativi dei secoli
precedenti. Ovviamente, non passano inosservati i ruoli stereotipici assegnati a Ricchetto e ad Ada:
la lettera viene scritta da Ricchetto, unico in grado di scrivere tra i due fratelli, mentre ad Ada viene
attribuito il merito effimero di possedere un soprabito di pelo, mentre al fratello anche la
competenza fisico-sportiva nel nuoto.
Il dialogo della breve scenetta domestica si consuma entro relazioni paritarie tra fratello e sorella e
con personale di servizio. Le figure genitoriali, solo vagamente menzionate, sono completamente
assenti.
Questa situazione prepara di conseguenza il terreno perché altri, il “Corriere dei Piccoli”, possa
accogliere la richiesta di ascolto e qualificarsi come interlocutore autorevole e persuasivo
nell'offrire risposte personali ai lettori.
L'espediente narrativo adottato consente di inserire il piano editoriale della corrispondenza
all'interno di un'informale letterina di risposta a Richetto e Ada dal “Corriere dei Piccoli”.

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È curioso che nelle intenzioni della Direzione la rubrica dovesse interessarsi della vita dei bambini
ascoltando i loro racconti di vita quotidiana e offrendo un puntuale e autorevole riscontro culturale
rispondendo a domande che si presupponevano rientrare nell'ambito del sapere letterario e
scientifico. Pare dunque prefigurarsi una rubrica di supporto alla conoscenza e all'alfabetizzazione,
in gradi di coinvolgere i bisogni formativi di maggior rilievo e a quelli soltanto dare risposta.
Con ogni evidenza sono privilegiati i toni pacati, poco personali e un po' freddi che qualificavano la
direzione degli Albertini. Sulla base di queste evidenze testuali, si ritiene che la presentazione della
Zia Mariù sia stata una stesura redazionale nemmeno imputabile a Silvio Spaventa Filippi.
Il lavoro svolto da Zia Mariù nella “Corrispondenza” mette in evidenza il suo carisma: avendo
rinunciato per sempre alla direzione del periodico, accolse come sfida verso se stessa il fatto di
poter contare solo su una pagina fissa per dialogare con i lettori. La quantità di lettere inviate dai
piccoli rese ben presto difficile la pubblicazione anche solo di un cenno di risposta.
Dall'aprile 1909 la “Corrispondenza” occupò un'intera pagina, mentre una o due colonne di “Piccola
Posta” scritte in carattere più piccolo, furono sposate sulla copertina.
→ risale al marzo del 1909 una lettera di lamentela scritta dalla Carrara Lombroso ad Alberto
Albertini perché la direzione aveva operato dei tagli e una suddivisione interna in paragrafi della
pagina della “Corrispondenza” per nulla graditi alla scrivente, la quale chiedeva di poter visionare
“il testo completo delle bozze” promettendo di rispedirlo “dopo un'ora tagliato come occorre”. La
trattativa con la direzione non fu semplice, poiché si scontrava con l'idea di controllo e anonimato
fissati nella fase preliminare e quindi l'ostacolo venne inizialmente aggirato ampliando lo spazio
della rubrica ma senza modificare nella sostanza la prassi consolidata di operare modifiche
redazionali alle bozze.

Si andava così definendo una destinazione d'uso differente tra la “Corrispondenza” e la “Piccola
Posta” dove confluirono risposte in breve ad assidui corrispondenti per mantenere vivo nel tempo
un legame con loro. Si trattava di comunicazioni per lo più di servizio per evadere una molteplicità
di richieste minori che non necessitavano di ampie argomentazioni, ma non potevano essere
completamente ignorate; in quanto i lettori avrebbero interpretato il silenzio come un tradimento o

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una mancanza di ascolto.
Lo spazio esiguo (=scarso, irrisorio) a disposizione per evadere rapidamente le molteplici richieste
dei lettori fu un leitmotiv (= Motivo stilisticamente determinato, ritornante nel corso di un'opera
musicale, drammatica o letteraria; anche, generic., discorso, argomento o tema ricorrente ) della
rubrica, vissuto a periodi alterni dalla curatrice con benevola accettazione o con sofferta remissività
che a stento riusciva a celare i rapporti sempre piuttosto difficili con la Direzione rispetto al suo fare
ostinatamente libero e autentico. Sapeva giustificare la propria apparente latitanza nel rispondere ai
bambini, definendo l'impero delle tre colonne di cui constava la “Corrispondenza” come la propria
“torretta” dove diceva di sentirsi ora prigioniera ora libera.

La metafora della torretta è presentata tramite è significativo il cambio di tono


una storia carica di significati ambivalenti e di risposta offerti ai lettori prima
“La sapete, o miei piccoli, la storia della e dopo la trattativa intercorsa con
principessa che aveva sempre il grembo pieno Albertini per ottenere l'intera pagina
di grani e miglio e briciole da gettare agli uccellini dedicata alla “Corrispondenza”.
che le piacevano tanto? E poi la povera principessa dal n.15 la “Corrispondenza” si
fu chiusa dentro una torre angusta, solitaria e non amplia.
aveva più nulla da dare agli uccelli né a sé … ma
gli uccellini se pur sapevano di non poter aspettarsi
favori da lei, non l'abbandonarono: pettirossi e passerotti
e rondinini le portarono briciole di pane e gocce di rugiada,
e per vestirla tela di ragno e per diamanti lucciole, e
così la mantennero e poi a furia di beccate ruppero i
suoi ceppi e la liberarono. Miei piccoli e grandi, io
son come la principessa della favola, la mia torre son
le tre colonnette, ma voi sarete i miei rondinini, i miei
pettirossi, anche tu, piccola Mene, e me le manderete lo
stesso le vostre letterine anche se io non posso darvi nulla
in cambio. Volate, uccellini fedeli, intorno alla torre della
Zia Mariù”. Si percepisce il senso di costrizione e di
immobilismo entro il quale l'autrice si trovava ad operare
e per superare tale condizione contava sull'iniziativa
dei lettori. Non è difficile immaginare che avrebbe voluto
ottenere la direzione del giornale per aver e un legame
speciale con il pubblico, mentre a tale sogno sapeva di
dover rinunciare per le note vicende e così le rimaneva
il sapore acre della sconfitta non del tutto
dissimulato dalla finzione narrativa.

Dalle colonnette della “Corrispondenza” traspaiono altri aspetti informativi. Le difficoltà logistiche
rilevate da Albertini nel definire il tipo di collaborazione da assegnare a Paola Lombroso, la
residenza a Torino e la scelta di tenere nascosta ai lettori l'identità della curatrice, si rivelarono in
tutta la loro entità e imposero una gestione piuttosto complessa dei tempi e dell'invio del materiale.
I documenti d'archivio permettono di ricostruire che le lettere dei bambini erano indirizzate alla Zia
Mariù presso la sede del “Corriere dei Piccoli” in Via Solferino dove la redazione svolgeva un ruolo
di collettore, di controllo e non raramente anche di censura. In svariate occasioni la Zia Mariù
informò i lettori circa i tempi di pubblicazione di ciascun numero che non potevano essere inferiori

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alle due settimane a partire dalla spedizione della pagina che ella inviava alla redazione.
Se a questo si somma anche il passaggio da Milano a Torino delle letterine, si ottengono attese di
almeno 20/30 giorni prima della risposta della Zia Mariù. Dall'invio della corrispondenza dei lettori
dalla redazione milanese alla residenza torinese della curatrice ci sono ampi riscontri nel carteggio
circa problemi intercorsi, i termini della gestione vengono precisati nel contratto di collaborazione
del 23 novembre 1909: la Lombroso continuerà fino al 31 dicembre 1919 sotto la firma di Zia
Mariù, la compilazione della rubrica settimanale “Corrispondenza” e la “Piccola Posta” per il
“Corriere dei Piccoli” nella stessa misura e puntualità.

La distanza di residenza tra curatrice e sede del periodico giustifica almeno in parte la totale
mancanza di conservazione di lettere bambine presso l'Archivio Storico del Corriere della Sera. La
scelta del meccanismo tortuoso adottato per l'inoltro delle missive conferma l'assenza di fiducia e il
clima sospetto che gravavano su Paola Lombroso.

Dopo due mesi d'avvio della rubrica, la curatrice fu obbligata a difendersi, circa l'accusa di aver
risposto a un bambino. Mario Minossi, senza che di lui vi fosse traccia reale di una lettera e quindi
alludendo alla possibilità che lei si rivolgesse a bambini della sua cerchia di amicizie e
non a lettori autentici del “Corriere dei Piccoli”.

Zia Mariù nomina Mario Minossi in modo molto generico inserendo il suo nome in un ventaglio di
altri nominativi per ammonire il comportamento discutibile di alcuni nel volere l'abbonamento
annuale al “Corriere dei Piccoli” per evitare di rimanere privi quelle settimane nelle quali la loro
condotta o l'impegno scolastico avrebbero potuto non essere lusinghieri.

Paola teneva a precisare di non aver affatto bisogno di inventarsi corrispondenti “con tante lettere
che ricevo!” e che tra le risposte degli Albertini non avrebbe trovato nessun bambino suo parente.
Era evidente l'allusione non esplicita da Albertini alle due lettrici Magda e Millina Carrara più volte
ricordate nella rubrica in quei mesi di avvio del periodico.
Il dissidio su una gestione un po' familistica della “Corrispondenza” non si risolse completamente
sia perché, sebbene la figlia di Lombroso si contenesse, era un volto noto in una cerchia di amicizie
e di conoscenze assai allargata, sia perché viveva i legami familiari con intensità e partecipazione in
modo del tutto simile a come viveva l'impegno della Posta con i lettori bambini.
Le era del tutto naturale fare riferimento al padre scomparso stabilendo di intitolare alla sua
memoria una bibliotechina. Fu a partire da convinzioni di diritto e di uguaglianza di trattamento che
nelle lettere ad Alberto Albertini sarebbe ritornata sul tema, protestando sui tagli, a suo dire ingiusti,
operati dalla redazione su una pagina della “Corrispondenza”.
Lo stile e la linea editoriale degli Albertini erano invece molto lontani dal poter considerare il
periodico una grande famiglia, e con la scrittrice torinese si muovevano su una base di oggettiva
realtà di fatti, ma spesso i loro interventi assumevano il sapore amaro di pignolerie un po' fastidiose
nei toni e forse un po' sterili rispetto ai risultati sortiti.
( In alcuni scritti della Zia Mariù compaiono suoi familiari, come sua sorella Gina, ma anche il
personaggio di Chicchi, aiutante della Zia Mariù. Veniva chiamato anche Enrichetto dal ciuffo o
Chiccherottolo. Dietro a questi nomignoli si intravede il primogenito di Paola, di quasi nove anni,
all'altezza del 1909. Dietro al nome di Mimma si riconosce la sua secondogenita, Maria Gina nata
nel 1912).
In più di un'occasione la curatrice lamentò di plichi non pervenuti oppure mutilati di una parte di
missive e tali mancanze furono prontamente attribuite al “Corriere” a disguidi postali. Si trattava di
modalità piuttosto maldestre e poco trasparenti per evitare discussioni che invece puntualmente
sarebbero state mosse dall'interessata.

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Dalle motivazioni addotte nel carteggio si deduce che Paola Lombroso fu una solerte educatrice nel
rispondere e nel ricordare anche a distanza di tempo le situazioni di vita narrate dai bambini.
→ Il contatto avuto con Mario Carrara, nipote di Paola Lombroso nell'ottobre del 2012, non ha
permesso di rintracciare le lettere dei bambini della “Corrispondenza”, né è stato possibile risalire a
un registro sul quale la curatrice teneva puntualmente nota dei nominativi che le scrivevano. Pare
che tali documenti non abbiano avuto una conservazione nel tempo, ma dai riscontri interni alla
rubrica furono certamente strumenti di lavoro adoperati dalla curatrice.

La continuità di scrittura dei piccoli lettori e i riscontri interni ai testi permettevano inoltre alla
curatrice di rendersi facilmente conto dell'eventuale mancanza di lettere.
Nei numeri successivi alla lettera di protesta appaiono gli indirizzi dei lettori. Al termine del primo
e non semplice anno di collaborazione per “prova”, il clima risultò più disteso anche in virtù del
rinnovo contrattuale di collaborazione fissato per tutto il 1910 e che avrebbe potuto tacitamente
proseguire anche per l'anno successivo. Il contratto fu un segno tangibile per Paola Lombroso che il
suo operato era stato apprezzato e che i contrasti potevano far parte della definizione di ruoli e di
modalità di lavoro affinabili solo sul campo.
Pare che il 1910 è stato vissuto entro i confini di una reciproca serenità: pare sia stato un anno con
la presenza di un ritmo di lavoro costante e privo di dissensi significativi.
Nuovi disaccordi subentrarono nel corso del 1911 a partire dall'invito della direzione di variare i
contenuti della rubrica che rischiava di risultare monotematica e centrata sull'iniziativa delle
bibliotechine rurali. Si presentano anche varie tecniche adottate dalla Direzione per arginare la
libertà espressiva della Lombroso. Esse giunsero a livelli di accentuata conflittualità sul finire del
1911, segnando il cammino per l'uscita di scena di Zia Mariù. L'oggetto del contendere riguardò, di
nuovo, il taglio di una risposta che a giudizio della direzione non riguardava una lettera reale.
Il valore attribuito alle parole dei bambini, al dialogo e alla fiducia intessuti con loro, non era
paragonabile al lavoro di smistamento ripetitivo e formale esercitato da una redazione, in parte
disattenta rispetto al “bambino reale” presente dietro a ogni scritto infantile, in parte continuamente
in guardia rispetto a una pagina del giornale sempre meno espressione della linea editoriale
impressa all'insieme. Con la fine del 1911 fu data comunicazione formale a Paola Lombroso della
risoluzione contrattuale. Nonostante gli accordi stabiliti prevedessero l'uscita della
“Corrispondenza” fino al termine del marzo 1912, in realtà la rubrica apparve in modo discontinuo
fino a cessare completamente dal 12 febbraio 1912.
Dopo una durata di tre anni (161 settimane e altrettanti fascicoli) si concludeva “l'imperio” della Zia
Mariù sul “Corriere dei Piccoli”, ma anche l'esistenza stessa della “Corrispondenza”, poiché la
rubrica si riconosceva per l'impronta assolutamente personale della sua curatrice.
La Direzione rinunciò a far proseguire la rubrica né la rimpiazzò con una nuova.
La fisionomia complessiva del “Corriere dei Piccoli” mutò, poiché la componente compilativa prese
definitivamente il sopravvento, mentre la parola viva dei bambini rimase sconfinata esclusivamente
entro il perimetro della “Palestra dei Lettori”. Questo conferma l'insostituibilità della voce di Paola
Lombroso, ma lo sviluppo della storia della rivista mostra anche che gli Albertini avevano ceduto su
un punto sul quale successivamente non avrebbero più sorvolato: la gestione di una rubrica fissa si
sarebbe chiaramente configurata come uno spazio continuativo e privilegiato e il curatore sarebbe
stato un redattore e non un collaboratore esterno.
E se nel 1952 si può parlare di ritorno della posta dei lettori con la direzione di Giovanni Mosca la
rubrica si sarebbe chiamata “Il Direttore Risponde”.
Passaggio dalla direzione Mosca alla direzione di Guglielmo Zucconi nel 1961: il cambiamento di
direzione pare essere stato accelerato da alcune risposte poco ponderate di Mosca attorno
all'esperienza giornlinesca e in particolare a proposito di Giuseppe Bertelli, il figlio di Vamba.

La “Corrispondenza” di Zia Mariù fu dunque un'esperienza unica nel suo genere in relazione alla

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storia della rivista. Come disse Paola Lombroso molti anni dopo, fu per lei come avere “le chiavi di
un tesoro, poiché quella pagina divenne una sorta di “giornalino dentro il giornale” che ebbe molto
seguito tra le giovani generazioni grazie alla non comune capacità della curatrice di dialogare, di far
riflettere ciascuno e di offrire consigli con una finezza educativa dai tratti davvero apprezzabili e
moderni.

3.3 La Zia Mariù: lasciarsi conoscere dai lettori:


La complicità con il lettore bambino fu subito ottenuta dalla Zia Mariù, grazie:
- a una spontaneità comunicativa connaturata al suo modo di essere;
- a partire da convinzioni educative sedimentate nel tempo.
Tra le prime lettere cariche di curiosità comparve nella “Corrispondenza” la domanda della lettrice
Ida Vannutelli di Napoli che diceva: “Dì almeno perché ci vuoi bene e perché scrivi in modo che ti
fai voler bene!”. La curatrice della rubrica era consapevole della complessità del quesito, portatore d
i possibili altre domande non dette, tra queste l'implicita verifica della fiducia accordata e della
motivazione verso una scrittura tanto accattivante tanto da conquistare l'animo infantile.
La risposta fu affidata a un aneddoto autobiografico: la propensione per la scrittura era già viva in
lei durante la scuola elementare, nutrita e sostenuta da un'attenta insegnante in grado di apprezzare
la profondità e la spontaneità dei comportamenti piuttosto di fermarsi unicamente ad una
valutazione di correttezza formale. L'episodio narrato con una certa ampiezza sul “Corriere dei
Piccoli” risulta essere poi stato ripreso nel volume La vita è buona con il titolo Prima esperienza.
Tra le due versioni l'unica differenza è qualche aggiunta nel volume dove si apprende che
l'insegnante di 4^ elementare (Garaccioni) fu la prima sostenitrice della vena artistica dio Paola
Lombroso. Varia anche la parte conclusiva, la quale è strutturata in modo più generale e con un tono
di amarezza accentuato.

L'animo infantile spalanca le proprie porte all'adulto motivante e innesta un circolo virtuoso. Nel
caso della piccola “Mariula” ciò le aveva permesso si consolidare la fiducia nelle proprie capacità di
scrittura. L'attenzione al pensiero e al sentire bambino era posta al centro del dialogo epistolare con
i lettori e alla complicità che, a poco a poco si stabilì con le parti.
Zia Mariù rispose alla piccola Ida in questo modo:” Adesso sapete perché vi voglio bene? Perché
voi, miei passerotti, miei piccoli e grandi, giudicate la Zia Mariù per “L'anima” e non per le virgole
e le doppie”.
In varie occasioni la Lombroso rimarcò che il suo scopo era quello di guardare “le vostre animucce”
e attorno a tale punto seppe costruire un solido tessuto relazionale, rilevando il buono in ogni
scritto, sapendo anche indicare una strada di miglioramento personale.
Lo spunto iniziale derivò da un aspetto esteriore, come potevano essere le intestazioni delle buste
inviate alla curatrice. Paola Lombroso seppe trasformare questa situazione abbastanza banale in
un'opportunità di dialogo e di conoscenza dei lettori.
Il linguaggio confidenziale era un invito all'autenticità nella scrittura perché proprio questa le
appariva la cifra distintiva e originale della comunicazione infantile.
Le parole della curatrice furono un vero incoraggiamento verso i più creativi, ma anche verso i
timidi, facendo leva sul fatto che, se in specie i timidi si confidano, è un titolo d'onore per chi è il
destinatario del loro messaggio in quanto considerato degno della loro fiducia. Erano poste le basi
di accettazione finché ciascuno superasse le barriere di ritrosia nel lasciar esprimere il proprio
cuore. La distanza da una comunicazione formale e giudicante fu decisiva per consentire ai
2piccoli” di affidarsi al foglio di carta e rivolgersi a un'interlocutrice sconosciuta.
Il gioco attorno all'identità della Zia Mariù occupò a lungo i lettori, specie nel corso dei primi mesi
della rubrica e tale tema sortì il doppio effetto di catturare l'attenzione giovanile e di consolidare un
rapporto di complice amicizia.
Una delle prime lettrici a scrivere alla Zia Mariù fu Mimì Lenzi di Bologna, curiosa di conoscere

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l'età della curatrice.
La richiesta di aggiunta di particolari all'ipotetico ritratto proseguì nel numero successivo e questa
volta la piccola Ete di Milano dedusse che se la Zia Mariù era “vecchia, allora sarebbe stata anche
brutta.

→ Il personaggio di Carolina è introdotto nella stessa pagina della “Corrispondenza” ed è presentata


come l'anziana domestica della Zia Mariù. Ciò rinforza il sentiero di affetti e legami presenti nel
focolare domestico al di là di relazioni parentali. L'identificazione di un contesto borghese
realistico, quale sfondo narrativo visibile in controluce nei mesi della “Corrispondenza”, andò
stemperandosi successivamente con il progressivo inserimento di elementi maggiormente vicini
all'immaginario infantile. In questa direzione si interpreta la sostituzione della cameriera-aiutante
con il più vezzoso Chicchi che aiuta la Zia Mariù a smista la posta e consiglia rispetto ad alcune
risposte da dare fino ad approdare a un personaggio più stabile nel tempo, ovvero il fantastico
Diavolo Zoppo.

Con toni scherzosi e autoironici Zia Mariù dice qualcosa del proprio aspetto, sdrammatizzando su
elementi estetici e su ipotetici ideali di perfezione e bellezza. In questo modo lancia un'apertura
empatica al lettore bambino che si può più facilmente avvicinare ad un'interlocutrice in grado di
aiutare a trasformare i propri piccoli difetti nella virtù di saperli accettare.
Chiamata a raccolta dei nuovi lettori, già affettuosamente chiamati “nipotizi”.
Paola Lombroso invita subito ogni lettore ad essere protagonista in questa avventura, offrendo idee
e suggerimenti perché ciascuno esprima la propria interiorità tramite l'immediatezza del disegno e
della caricatura, già in gran voga nel modello “giornalinesco” vambiano.
I bambini non tradirono le aspettative e inviarono le loro caricature, anche se i tempi di riscontro sul
periodico confermarono la lentezza del dialogo, e tra le varie motivazioni (vedi paragrafi
precedenti) si aggiunse la difficoltà di adattare la grafica dei disegni agli spazi della rivista.

L'elogio espresso verso la perspicacia infantile e l'ulteriore attesa aumentarono le aspettative che
finalmente trovarono soddisfazione con la pubblicazione di nove disegni giudicati originali. Si tratta
di “scritture bambine”: in esse confluiscono gli indizi appositamente forniti dalla Zia Mariù, ma la
rielaborazione rimane pur sempre originale.
Nella galleria di ritratti delle pose diverse e dal tratto più o meno esperto è tuttavia ricorrente il
volto gioioso e indaffarato di una vecchia zia con i capelli raccolti a crocchia e con cuffiette di trine
dalle improbabili fogge che evocano le infanzie vitali e ridenti dei loro giovani autori. L'espediente
dei disegni contribuisce ad accrescere la curiosità dei lettori che nelle loro lettere si trasformano in
investigatori in erba.
Paola tranquillizza gli animi di chi vede in lei Mariù Pascoli, la sorella del celebre poeta.

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La Lombroso risponde alle curiose domande con ironia e con fare rassicurante ma senza svelarsi,
giocando sul detto, il non detto e il possibile doppio senso di frasi pronunciate. Scherzò con Nanny
Ronzi che, oltre a detenere il primato “nella lunghezza delle lettere”, fu in grado di attribuire l'età
esatta alla Zia Mariù. Immediatamente la curatrice chiese la complicità dell'acuta lettrice nel
mantenere il segreto; anche per non deludere qualche piccolo lettore che credeva di avere 6 anni
proprio come l'amata zietta.
Al bambino lettore risponde sempre ma non necessariamente per saziarlo di informazioni reali e
dirette. La sete dei lettori sull'identità di Zia Mariù giunse a chiedere un ritratto della giovane donna
la quale si schermì, dicendo che, se l'avesse mandato, sarebbero rimasti delusi, perché esso si
sarebbe rivelato peggiore di come i ragazzi se la immaginavano.
L'invito pacificatore è dunque collegato all'aver fiducia nella propria capacità di rappresentazione
poiché essa ha più valore e intensità del dato reale.
Nella ricerca di conferire un'identità precisa alla Zia Mariù si era in realtà avvertita una svolta,
quando la già affezionata Lea Toma di Venezia pareva aver indovinata per prima chi si stesse
nascondendo dietro l'amato pseudonimo della curatrice.
Paola Lombroso dunque si nascondeva, ma voleva nel medesimo tempo essere riconosciuta nella
propria vera identità carismatica che faticava a celare per orgoglio misto a insicurezza. La
giornalista torinese giocò fino in fondo le proprie risorse personali nel conquistare i lettori bambini
e in cuor suo sperava per questa via di recuperare credibilità con la direzione. Invece, nei giorni
attorno all'uscita del fascocolo contenente l'invito non mascherato a scoprire la vera identità della
Zia Mariù, non si fecero attendere le proteste di Albertini che vedeva in tal modo dileguarsi la
ricerca di anonimato pretesa per la rubrica.
La linea difensiva della curatrice non bastò a placare l'insistenza di Albertini che avrebbe proprio
voluto ridurre “ad un'anonima ruota di un congegno burocratico” l'operato della Zia Mariù e a tal
punto la curatrice non concesse nulla nella forma.

3.4 Il Diavolo Zoppo tra “fantasia e verità”:


Non fu casuale l'immediata entrata in scena di un curioso personaggio la cui presenza sarebbe
diventata poi stabile nel tempo: il Diavolo Zoppo. La curatrice della rubrica aveva preparato
gradualmente l'inserimento di tale personaggio. Ciò era frutto di una lenta elaborazione narrativa
della quale la rivista è una chiara testimonianza e dipendeva anche dall'esigenza educativa di
suscitare poco a poco l'interesse del lettore. Il primo accenno al Diavolo Zoppo è rintracciabile di
sfuggita in occasione del Carnevale quando la Zia Mariù diceva di travestirsi da Diavolo Zoppo per
osservare i piccoli lettori senza essere vista. Nel n.16 il Diavolo Zoppo occupa l'intera pagina della
“Corrispondenza” e viene introdotto simpaticamente come una visita inaspettata e pronta a spezzare
uno stato d'animo di malinconica tristezza che assaliva l'inquieta zia.

Il ricorso alla figura di questo goffo e brontolone diavoletto fantastico che prendeva con sé la zia
Mariù sotto il suo largo tabarro dell'invisibilità e la conduceva a bordo dell'avvenististico aeroplano
“Fantasia e verità”, fu una scelta decisamente originale perché permetteva alla curatrice di
modificare il proprio punto di osservazione, di assumere agli occhi dei lettori un punto di vista
dinamico. Non più e solo una saggia vecchietta chiusa nella sua torretta ad attendere ferma che la
voce dei bambini giungesse sino a lei, ma un'agile zietta che magicamente si avvicinava ai lettori, li
scrutava dall'alto, li osservava nelle loro gioie e preoccupazioni quotidiane senza essere vista e così
compariva a conoscere ciascuno, perché ciascuno potesse sentirsi da lei compreso.
Lo spunto narrativo del Diavolo Zoppo si riallaccia alla fonte letteraria dell'omonimo protagonista
del romanzo di Alain René Lesage ( → scrisse Il Diavolo Zoppo nel 1707 e l'opera ha avuto diverse
traduzioni in italiano sia nel corso del Settecento sia nell'Ottocento. La stessa Lombroso può aver
conosciuto quest'opera attraverso le svariate traduzioni anche se non si esclude che avesse letto il
testo direttamente in francese).

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Entrambi hanno magici poteri nel conoscere la verità, nell'entrare nella vita degli altri senza essere
smascherati e nel percorrere spazi siderali in tempi rapidissimi. Si pongono come suscitatori di
contraddittori con il loro interlocutore che, nel caso del romanziere francese, è rappresentato
dall'ingenuo stidente don Cleofo.
Va però rilevata la distanza operata dalla Zia Mariù rispetto alla fonte originaria che caricava di
valenze licenziose un contenuto orientato a svelare i comportamenti sventurati e dissoluti di ignari e
apparentemente rispettabili cittadini. Nulla di tutto ciò entra a far parte del Diavolo Zoppo ideato
dalla Zia Mariù, se non la bonaria ironia nel prefigurare situazioni e obiezioni alle quali potrebbero
indurre le parole e le scelte operate dalla curatrice.
Viene a cadere il significato diabolico e malvagio della figura del Diavolo e così pure il suo aspetto
ferino per metà capra e per metà uomo descritto da Lesage. Anche la finalità è molto diversa e
orientata in direzione positiva: si tratta di individuare un espediente narrativo per far cogliere al
lettore la vicinanza di un'interlocutrice speciale capace di penetrare e di capire l'animo infantile.
Le lettere dei bambini rifluivano (=confluire) in tale modalità narrativa che di tanto in tanto la Zia
Mariù proponeva per ottenere un dialogo vivo e di vicinanza al bambino.
La magia dell'invisibilità si rivela una soluzione narrativa efficace, perché nello scenario fantastico i
toni ironici e le più calde sfumature affettive trovano un equilibrio compositivo nella levità
(=leggerezza) della parola, non rischiano di cadere nello stucchevole né di assumere pesanti
contorni didascalici.
La Zia Mariù esprime commozione verso l'umiltà e la rettitudine di chi mostra di avere pochi mezzi,
l'orgoglio verso coloro che conquistano traguardi non immaginabili con la forza del loro lavoro e
ingegno, piena soddisfazione nei riguardi di chi mette il proprio tempo e le proprie energie al
servizio dei più bisognosi. Non mancano le pagine in cui sotto il mantello del Diavolo Zoppo
osserva qualche bambino un po' monello.
Nel contempo è accolto in un abbraccio, sottolineando che l'orgoglio giovanile è passeggero e non
deve essere scambiato per cattiveria. Il bambino ha sempre in fondo all'animo la bontà, sono
semmai le situazioni della vita a poterlo mutare in negativo, ma è compito dell'adulto riuscire
penetrare anche in quelle “animucce” per far germogliare il meglio e apprezzare il comportamento
virtuoso. Secondo la Zia Mariù, ci sono persone docili per natura per le quali è naturale
l'obbedienza, mentre ve ne sono altre indocili per le quali è altrettanto naturali essere capricciose.
Il discorso lascia intendere un criterio pedagogico autoeducativo, senza tuttavia disattendere la
presenza della guida adulta. E sono ancora le espressioni polisemiche dei lettori ad illuminare sul
senso da attribuire alle parole della Zia Mariù. Ne è un esempio il nomignolo “tira-piccoli” coniato
dall'allora quindicenne Clelia Ciocca, poi entrato nel lessico stabile della rubrica ogniqualvolta si
volesse sottolineare il desiderio di attirare i piccoli lettori o di spronarli verso il superamento di
insicurezze e di scarsa fiducia in se stessi.
Il ricorso a un linguaggio figurato consente di accedere all'universo giovanile e di strutturare una
comunicazione ricca di espressioni gergali e polivalenti. Oltre all'immagine del Diavolo Zoppo è
attribuita una valenza altrettanto simbolica al suo aeroplano “Fantasia e verità”.
La fantasia è un valore in sé connaturato alla personalità infantile e ne contraddistingue il processo
di crescita e di ideazione del nuovo, ma è vista nella rubrica anche come chiave di accesso alla
verità del bambino, al suo bisogno di riuscire a fare chiarezza dentro di sé, a percepirsi con
fiduciosa considerazione.
Fantasia e verità tendono quindi a modificare i cardini della relazione educativa, che vede al centro
il bambino nella propria completezza non solo di razionalità educativa, che vede al centro il
bambino nella propria completezza non solo di razionalità e “dover essere” ma soprattutto di
affettività e socialità, anticipando una linea educativa che in Italia avrebbe visto tra i primi
rappresentanti di tale rinnovamento il gruppo di maestri e autori per ragazzi che avrebbero gravitato
attorno a Giuseppe Lombardo Radice (pedagogista e filosofo italiano).
Paola Lombroso seguì in questo ambito vie personali di sintesi e di rielaborazione derivanti da

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prolungate osservazioni del mondo bambino che avevano un debito con la ricerca in ambito
scientifico di stampo positivista. La “Corrispondenza” si qualifica come collettore del pensiero
spontaneo e quotidiano del bambino primo novecentesco, ma è anche un continuo volano per
stimolare il sentimento, il pensiero e l'agire dei ragazzi.

3.5 La parola ai piccoli: i referendum:


Per mobilitare il pensiero dei suoi interlocutori Zia Mariù ideò i cosiddetti “concorsi” o
“referendum” che indisse periodicamente con grande seguito di pubblico. Sulla direzione si
rintracciano terminologie diverse nel corso dell'esistenza della rubrica. Mentre nel 1909 iniziative
del genere erano contrassegnate con l'espressione di “concorso”, dal 1910 compare più
frequentemente la dizione “referendum” che in effetti sottolinea maggiormente l'intento
democratico della curatrice di voler raccogliere il parere dei bambini, di offrire spazio al loro
pensiero. Mentre l'espressione concorso poneva maggiormente l'accento sull'idea competitiva e
sulla ricompensa materiale che da esso poteva derivare.
Si rintracciano argomenti diversi, affrontati sotto la forma dell'inchiesta, modalità giornalistica
frequentata in precedenza dalla Lombroso per studiare la psicologia infantile → ci si riferisce in
particolare ai saggi di psicologia infantile elaborati a partire dalla prolungata osservazione dei
bambini proletari incontrati nel corso dell'esperienza “Scuola e famiglia” e sulla base di inchieste
sulle condizioni d'infanzia che hanno permesso a Paola Lombroso di mettere sempre più a fuoco la
convinzione secondo la quale un vero e proprio riscatto dei poveri può provenire dall'educazione e
dall'istruzione. Le cause storico-sociali sono giudicate responsabili dal divario di sviluppo che va
progressivamente stabilendosi tra bambini provenienti da ambienti agiati rispetto a coloro che
vivono in contesti disagiati.

Uno tra i primi quesiti lanciati ai lettori si ricollegava all'ambita collaboraizone alla “Palestra dei
lettori” che era ricompensata dal settimanale con il premio di 5£ per ogni “paragrafetto” pubblicato.
La domanda si proponeva di scandagliare nell'animo infantile gusti, inclinazioni, desideri e pian
piano questi trovarono forma nelle lettere che nell'arco di un mese andarono a riempire “la bisaccia”
della Zia Mariù. Gli esiti del concorso vennero presentati con al consueta modalità espressiva
figurata. Quest'entrata virtuale nel salotto di casa<Carrara consente di accedere rapidamente alle
risposte e rilevare che una maggioranza di bambini avrebbe utilizzato le 5£ per l'acquisto di un
abbonamento per se stessi o per altri.

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DOMANDA da parte della Zia Mariù:

Che cosa farebbe ciascuno di voi se guadagnasse lo scudo d'un paragrafetto? E le sei risposte più
argute, graziose e belline avranno un premio! … Cinque lire? Ahimè! La borsetta della Zia Mariù
è modestissima, ma invece delle cinque lire ognuno dei vincitori avrà in premio un bel libro adatto
ai suoi gusti ed alla sua età.

NOME BAMBINO e COSA DICE RISPOSTA INFO


PROVENIENZA
Fernanda Riparbelli, Utilizza i soldi che il Zia Mariù le fa i Con l'esempio di questa
di Pisa papà le da per prendere complimenti e la bambina la Lombroso
il biglietto del tram per paragona a Dorando rimarcava l'esigenza
prendere il “Corriere Pietri ( maratoneta che il premio fosse
dei Piccoli”, quindi la italiano che è andato ai indirizzato in via
mattina va a scuola a giochi olimpici di prioritaria alle infanzie
piedi. Londra nel 1908). in difficoltà. Bil premio
consisteva nella vincita
di un libro.
Nene Enriore, Non può abbonarsi per La Zia Mariù Le situazioni di
di Torino mancanza di mezzi sottolineava che il marginalità possono
economici,ma si senso educativo migliorare tramite
poneva al servizio delle dell'intera rivista l'ascolto e il sostegno
necessità familiari consisteva a suo avviso diretto da parte
quotidiane nutrendo la proprio nel poter dell'adulto.
speranza di poter essere avvicinare le infanzie
ricompensata con prive di libri.
l'acquisto dell'amato
giornalino.

Vi furono gare di solidarietà, le quali assunsero nuovi contorni quando due fratelli allegarono a una
lettera 5£ per abbonare l'ormai amica dei Piccoli Nene. Successivamente, un abbonamento poteva
essere devoluto agli orfani dei marinai alloggiati sullo Scilla (era una nave orfanotrofio).
Accanto all'altruismo solidale un altro criterio di premiazione consisteva nel gratificare l'arguzia e
l'intelligenza propositiva dei lettori.
La sensibilità fu sperimentata dalla Zia Mariù anche tramite altri referendum indetti nel 1910
durante il periodo estivo, quando forse l'affluenza delle lettere rischiava di ridursi sensibilmente.

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DOMANDA da parte della Zia Mariù:

Quale vi pare la più bella qualità di un bambino o di una bambina, e perché vi par la più bella?

→ Paola diete tempo solo due settimane per partecipare all'iniziativa e offrì un resoconto
dettagliato dei pensieri bambini dopo venti giorni dal lancio del quesito.

NOME BAMBINO e COSA DICE RISPOSTA INFO


PROVENIENZA
Lea Ferrero Esprimeva come Risponde dicendo che È molto interessante il
qualità più importante l'obbedienza cieca e proposito di andare
quella dell'obbedienza. passiva non gode della oltre le apparenze, di
massime simpatie, invitare al pensiero
perché nel momento in critico e
cui non c'è la mamma o all'interiorizzazione del
il papà a darle principio morale.
indicazioni, cosa farà? Ancora una volta la Zia
Mariù spronava i
bambini sulla via della
libertà personale
congiunta al senso di
responsabilità e di
autoconsapevolezza.
Antonietta Romani Le qualità che più le Utilizzo di un
(vincitrice del piacciono in un linguaggio sobrio ed
concorso) bambino sono efficace per chiarire che
l'altruismo e la la generosità è un
generosità valore in sé. Predilige
l'appagamento affettivo
interiore.
Noemi Coralli La più bella qualità di
(vincitrice del un bambino è la
concorso) spontaneità, la
generosità esuberante.

Nelle modalità di premiare va segnalata la delicatezza di Zia Mariù, affinché la scelta dei pochi non
fosse mortificante per i molti necessariamente non vincitori. Anche per questi ultimi c'è spazio,
anche se non ritenute meritevoli di un premio; le espressioni di apprezzamento, sempre e comunque
formulate dall'attenta Zietta per valorizzare la positività di ciascuno sono un'ulteriore prova di tale
sensibilità. Ne sono conferma le gratificazioni formulate nella dedica personale di una storia o di un
aneddoto narrato dalla curatrice nelle colonnette della “Corrispondenza”. A più riprese la Zia Mariù
fece presente ai lettori di essere dispiaciuta per non aver maggiori risorse per ricompensare i
bambini che le aprivano il loro cuore e se in taluni casi invitava gli esclusi a comprendere le ragioni
delle scelte operate e a riconoscere che la Zia Mariù aveva cercato di agire con giustizia, in altri casi
l'esclusione di diversi meritevoli la indusse a dar loro un premio morale dedicando un racconto
spesso realistico nel quale il bambino potesse riconoscersi.

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Il desiderio di conoscenza delle voci bambine continuò ad essere coltivata dalla Lombroso con un
nuovo concorso.
La richiesta era ardita pensando a un pubblico prevalentemente borghese e più orientato allo studio
e a professioni intellettuali. La Zia Mariù intendeva far maturare riflessioni non superficiali circa la
possibilità di prendere in esame condizioni di vita distanti dalle loro e di immedesimarsi in esse.
Gli esiti del concorso occuparono buona parte della “Corrispondenza” del mese di ottobre 1910.
I lettori soffermarono l'attenzione su attività pratiche di pubblica utilità.
I lavori preferiti dai bambini gravitarono di preferenza attorno al rispetto e alla cura per la natura
come dimostravano le scelte di numerosi aspiranti contadini e giardinieri.

DOMANDA da parte della Zia Mariù:

Chiedeva di fare una proiezione di se stessi nell'ambito lavorativo, privilegiando la scelta per il
lavoro manuale: si poteva cogliere una linea di continuità con i principi di essenzialità e di umiltà
emersi come valori prioritari dal referendum precedente.

NOME BAMBINO e COSA DICE RISPOSTA INFO


PROVENIENZA
Enrico Boschi, Vuole fare il contadino
di San Lorenzo perché è il più
necessario e il più bello
di tutti gli altri.

Dello stesso tenore erano le altre lettere volte a sottolineare l'idea di benessere fisico e di genuinità
del sistema di vita che poteva assicurare il lavoro contadino. Il naturale legame infantile con la
realtà rurale è caricato anche di valenze di utilità economica e di sanità igienica che testimoniano
gli influssi culturali di matrice naturalistica e positivistica attivi sulle generazioni di primo
Novecento.

Eva, Se fosse un uomo di Immagine di


di Roma mestiere farebbe il un'occupazione pratica
giardiniere, perché le della quale sono
piacciono molto i fiori. ingenuamente colti solo
i risvolti estetici e di
possibile gratuità verso
il prossimo. Dietro la
bontà di Eva risuona il
retaggio di un contesto
culturale e sociale
borghese: idea
tradizionale del lavoro
manuale maschile, al
figura della donna
rimane distante.
Noemi Se il papà non la
facesse più studiare
farebbe la sarta, ma la
sarta dei bambini.

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Arrigo Ponomo, Vuole diventare Sottolineava la volontà
di Sanremo cavallerizzo, di vivere l'equitazione
occupazione nella come vera e propria
quale si sperava non competizione, volta a
mancassero felicità e primeggiare
successo personale. sull'avversario, ma
mantenendo il pieno
rispetto per l'animale.
Maria Prandi Vuole fare la pittrice
delle figure del
“Corrierino”
Lucilla Luci Vuole divertire i Qui è presente la
bambini in ospedale. mediazione adulta del
pensiero infantile.
Jole Tozzi Vuole fare la lavandaia. L'ambizione modesta e
lo sforzo del
miglioramento
personale, andava
rispettata: Paola
provvide mediante il
riconoscimento
simbolico di una
bambolina data in dono,
in modo che diventasse
motivo di
incoraggiamento per la
piccola lavanderina e
un esempio di
riflessione per coloro
che vivevano infanzia
più fortunate.

Se, Paola Lombroso, nella fase di avvio della rivista il concorso aveva stimolato l'interazione con i
bambini e favorito la fidelizzazione del lettore, con l'andare del tempo permise di trattare una certa
varietà di contenuti, bilanciando il crescente spazio attribuito all'iniziativa delle bibliotechine rurali.
Differente risultò l'equilibrio tra i concorsi e l'iniziativa delle bibliotechine rurali nella stagione
conclusiva della rubrica, poiché le pressioni della direzione imposero un ridimensionamento della
complessa iniziativa delle biblioteche e spinsero Paola ad ampliare lo spazio delle inchieste.
Nel secondo semestre del 1911 si intensificarono i concorsi che passarono da uno o massimo due in
un intero anno a uno ogni due mesi.
Zia Mariù stabilì vincoli di quantità e fissò in quattro il numero delle virtù da assegnare e vincoli di
qualità, ponendo come condizione di esprimere il proprio pensiero in non più di quattro frasi.
Gli esiti del concorso furono preceduti dal confronto di posizioni sul tema tra la Zia Mariù e la
giovane ideatrice Noemi che, tra l'altro, era stata accolta tra i selezionati collaboratori del periodico
con un racconto d'esordio dal titolo Sofferenti minuscoli ( → il testo letterario d'esordio di Noemi
Coralli seguì la già consolidata collaborazione alla rubrica di Zia Mariù che quindi rappresentò una
via di esposizione preliminare e di acquisizione di consapevolezza anche in vista di ambiti di
affermazione letteraria).
Zia Mariù rispose volutamente a Noemi con linguaggio enigmistico per stimolare l'interpretazione.

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Il pensiero maturo ed espresso con una buona dialettica fu convincente e indusse Zia Mariù ad
ammettere senza ritrosia la propria debolezza rispetto all'ammirazione di così alti ideali.
Più difficile pareva alla Zia Mariù poter augurare la sensibilità a un bambino poiché la riteneva una
condanna annunciata alla sofferenza e non un augurio di felicità. Zia Mariù si sentiva di dover
rinunciare alle alte idealità e di preferire per i futuri uomini la bontà e la forza morale, ottenute per
disciplina interiore, anche se ciò non li avrebbe condotti ad avere piena coscienza di se stessi.
Il dibattito metteva a nudo l'elaborazione di idee sulla vita condizionate da un non irrilevante scarto
generazionale e per questo inserite entro un quadro giocato tra idealità e realtà. Mentre la giovane
Noemi era giustamente proiettata verso un futuro disegnato solo nel suo pensiero, la Zia Mariù
viveva già le disillusioni adulte.
I lettori si riconobbero più facilmente nella posizione di Noemi.
Il tema del concorso coinvolse specialmente i lettori più maturi del giornalino e l'attenta curatrice
ritenne doveroso aprire uno spazio di dialogo concorsuale privilegiato con i “nipotini” piccoli.
Si rivolgeva infatti soprattutto a questa fascia di lettori il duplice quesito nell'autunno del 1911.
rivolta alle bambine era la domanda sul perché “piacciano così tanto le bambole”, mentre più a
largo raggio era la domanda intorno ala migliore destinazione di villeggiatura. Dalle risposte delle
piccole lettrici emerse che già nelle bimbe pulsava “il cuoricino di una mamma” premurosa nei
riguardi di bambole animate dalla fantasia.

DOMANDA da parte della Zia Mariù:

Perché “piacciano così tanto le bambole”?

NOME BAMBINO e COSA DICE RISPOSTA INFO


PROVENIENZA
Antonietta Piccioni Le bambole insegnano
alle bambine ad essere
mamme. Vorrebbe che
tutte le bambine d'Italia
avessero la loro
bambola.

L'attualità del momento entrava con aggressività ingenua nella scrittura della bambina, che faceva
riferimento a una possibile, ma difficile, fratellanza tra italiane e piccole libiche avvicinate sotto la
medesima insegna del tricolore tramite il comune interesse per le bambole. La belligeranza allora in
atto e fermamente respinta dalla Lombroso non era tuttavia censurata nella scrittura della bambina:
la Zia Mariù offriva in tal senso una testimonianza di rispetto verso posizioni diverse dalle sue
convinzioni e le riteneva accettabili in nome del pacifico obiettivo ludico prospettato dalla lettrice.
La curatrice mostrava pacato ascolto e nel contempo sapeva infondere una calda dose di stima e di
fiducia nel progetto di vita che timidamente ciascuna bambina andava spontaneamente elaborando
nell'innocente gioco con le bambole. Zia Mariù rovesciava il luogo comune secondo cui questo
gioco predisponga alle responsabilità del ruolo materno, mentre più ottimisticamente riconosceva le
qualità di bontà e tenerezza che certamente le future bambine avrebbero apprezzato nelle loro
mamme.
Fu poi la volta dei luoghi di villeggiatura.

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DOMANDA da parte della Zia Mariù:

Luogo di villeggiatura che preferiscono.

NOME BAMBINO e COSA DICE RISPOSTA INFO


PROVENIENZA
Alberto Muratore A lui piacciono sia
mare che montagna.

L'immediatezza della scrittura e qualche incoerenza interna fanno percepire il groviglio del pensiero
infantile nel suo nascere progressivo e analogico.
La Zia Mariù riprese in sintesi il senso profondo di questa pluralità di voci.
Il senso di appartenenza adulto al proprio paese si costruisce pian piano a partire da ciò di cui
l'animo infantile ha potuto nutrirsi e che rifluirà per altra via nelle scelte consapevoli della maturità.
Questo è il messaggio educativo di fiducia e di speranza che la zietta affidava ai propri “nipotini”,
purtroppo non ancora avveduti circa le contrastanti tendenze nazionalistiche che avrebbero
avviluppato (=attorcigliato) anche loro nelle spire mostruose della guerra.
I venti di guerra bussano con forza alla torretta di Zia Mariù negli ultimi mesi di esistenza della
rubrica e si affacciano nelle letterine dell'ultimo concorso proposto in prossimità del Natale dalla
lettrice Ada Montù: ella suggerì l'idea di stendere una lista di desideri realizzabili, sulla falsa riga di
quanto era solita fare con i suoi fratelli rispettando la tradizione del “Wunsch-Zettel” (= lista delle
cose che si desiderano avere). Accanto alle prevedibili richieste di giocattoli vi è quella di Tina
Ellena che chiede di andare a Tripoli ad ammazzare i turchi.
La Zia Mariù si rende conto di essere poco persuasiva nel sostenere che si tratta di un desiderio
irrealizzabile e con un velo malinconico chiude la corrispondenza, temendo di non aver più a che
fare con bambini e bambine ma forse già con guerriere, entusiasmate dalla guerra e a”assetate di
sangue”, come deve ammettere la curatrice con sgomento riportando le parole di un'altra bambina
che la pensa come Tina Ellena.
Lo spirito bellicoso iniziava a penetrare in alcuni lettori che stavano lasciando precocemente
l'innocenza dell'infanzia. La pacifista Zia Mariù non si diede per vinta e tentò la via del
discernimento (=giudizio, capacità critica), trovando appositi spazi per parlare con franchezza anche
nell'animo di potenziali guerrieri.

3.6 Parole buone per bambini malati e guerrieri:


Nei primi mesi di vita del “Corriere dei Piccoli”, a una zelante lettrice che consigliava di dare vita a
dei reggimenti di soldatini come avveniva già da tempo nel concorrente “Giornalino della
Domenica”, Zia Mariù rispose: “Io son pacifista e il militarismo non mi piace neppur per burla”.
Le iniziative promosse nella rubrica della “Corrispondenza” furono tutte orientate alla costruzione
della pace tenendo lontano una terminologia che potesse fare un indiretto riferimento all'istruzione
militare.
Le convinzioni dell'infaticabile Zia Mariù non evitarono di doversi confrontare con il crescente
entusiasmo giovanile verso la guerra. Lo slancio istintivo, colorato di8 nazionalismo, portava ad
avere una smisurata fiducia in se stessi allontanando ottimisticamente il dubbio della sconfitta e del
rischio per la propria vita.
Le condizioni dialogiche non potevano misurarsi entro il medesimo perimetro di ideali, ingenuità e
sensazioni di difficile decifrazione senza correre il rischio di essere giudicanti e di bloccare
l'espressività dei piccoli della “Corrispondenza”. Nonostante la disponibilità a registrare senza
censurare il pensiero bambino, Zia Mariù si sentì di dover esprimere riflessioni pacate e acute
perché ciascuno elaborasse idee più mature sull'argomento.

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Ai “guerrieri dell'avvenire” è rivolto un invito a crescere nella propria quotidianità e a riflettere sul
fatto che la prima forma di vittoria avviene su se stessi, sui propri impulsi e sui propri capricci
anarchici, imparando ad obbedire con senso di responsabilità, ad essere operosi anche con fatica e
autodisciplina.
Molte voci femminili articolarono il loro entusiasmo partecipe agli eventi bellici, ponendo
ripetutamente l'accento sul disappunto di sentirsi escluse a priori per il fatto di essere ragazze.
Le pagine della “Corrispondenza” mostrano la costruzione di un immaginario unitario (maschi e
femmine), probabilmente influenzato dalla cultura nazionalista italiana, pronto ad affiorare in
maniera esplicita di fronte alla guerra libica, vera e propria anticipazione del primo conflitto
mondiale. Originale fu poi la presenza femminile che si ritagliò uno spazio di primo piano,
quantomeno nel desiderio di poter scendere nell'agone aspirando ad una mascolinizzazione della
propria identità, piuttosto che affermare una differenza di genere.
Le posizioni femminili sulla guerra sono un campionario sufficientemente ampio per capire i
cambiamenti in atto dove si colgono intrecciati i risvolti dell'emancipazionismo femminile ancora
agli arbori, ma già operante nel disegnare nuove identità di donne insieme ai mutati eventi politici.
In questa posizione troviamo Dora Clerici, la quale vuole andare in guerra e uccidere i turchi
(“senza essere uccisa però”), e insieme ad altri bambini marciano in fila e sventolano il tricolore.
In questo caso l'impossibilità di attuare il desiderio guerriero orientava le energie verso il contesto
ludico nel quale si sottolineava la dimensione ardimentosa e simbolica attraverso lo sventolamento
del tricolore, mentre era consapevolmente allontanata la possibilità di essere vittime e non vincitrici
del conflitto. Il desiderio guerriero non era sempre immaginario e lontano. Il senso di inadeguatezza
e di esclusione diveniva più forte per la differenza di genere e non meno per la differenza di età.
Accanto a un senso di realtà più palpabile, rimangono gli spazi della guerra immaginata nel gioco e
nella mitologia delle divise e delle parate militari percepite nella loro spettacolarità formale.
Si fanno strada profili di ragazzine disinvolte e sicure, dagli interessi vari e culturalmente fondati e
ormai bisognose di visibilità e di affermazione non previsti dalle usuali tradizioni culturali.
L'ascolto dei loro vissuti denota una percepita compressione della loro personalità entro orizzonti
familiari che ne convogliano le energie verso le più consuete occupazioni di cura fraterna. È
comune denominatore di svariate lettere la tensione a rivendicare spazi di maggiore intraprendenza
e di emancipazione da un quotidiano cristallizzato entro schemi adulti piuttosto rigidi e prevedibili,
senza peraltro alcuna certezza che lo spirito di emancipazione non intrappoli in altri e nuovi
schematismi.
Un esempio è Clara De Renzis, una ragazzina di 14 anni che mise in campo tutta la propria
espressività schietta e suadente per ottenere ascolto presso la Zia Mariù. Questa ragazzina venne
presentata come una nuova corrispondente proveniente dalla Sicilia e frequentante già la quinta
ginnasio. La lettera scritta da lei rivela una conquistata libertà femminile nel pensiero e nella parola
scritta che si ambisce trasferire nell'impegno concreto, attivo, al fianco e al pari dei soldati.
Nella scrittura colpiscono la forza e la determinazione personale nel percepirsi colte e per questo
con potenzialità da spendere per la causa nazionale, pensando alla logica equazione tra valore
intellettuale e valore nell'ambito bellico. La fiducia in se stesse e in un prospero avvenire del paese
accomuna altre riflessioni al femminile sulla guerra e mostra una visione sovrastimata di se stesse e
un'ottimistica rappresentazione della realtà nella quale si desidera incidere in maniera decisiva.
La Zia Mariù ascoltava in maniera comprensiva e accogliente i vissuti giovanili senza far mancare
un tono allegro che non intendeva banalizzare la serietà degli argomenti affrontati quanto piuttosto
ricondurre a un senso di misura e di realtà sguardi giovanili un po' iperbolici. Così, la curatrice della
rubrica chiamava idealmente a raccolta attorno a sé le “nipotine guerriere” per esprimere il proprio
punto di vista tristemente meravigliato.
Il tentativo estremo per ricondurre i lettori entro un ragionamento equilibrato sulla guerra muove
dalla richiesta di andare oltre la visione di superficie per addentrarsi nel significato profondo, meno
avvertibile in tutta la propria portata vivendo lontani dagli scenari tragici dell'eccidio, ma più

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facilmente percepibile attraverso la mediazione di un racconto reale, volto a far comprendere le
dolorose conseguenze per grandi e piccini privati tragicamente di un loro congiunto.
Zia Mariù era fedele a se stessa e al proprio compito, ma sentiva di non aver più completamente in
pugno alcuni lettori che invece andavano disegnando un domani diverso da come lo avrebbe
prefigurato lei. L'isolamento della curatrice su questo punto si può dire che era totale, poiché la
voce dei suoi lettori era in linea con la posizione tenuta dalla direzione sul quotidiano maggiore.
A partire dal settembre del 1911 Luigi Albertini apre il “Corriere della Sera” all'impresa tripolina,
cedendo alle pressioni provenienti da più parti, in specie da quelle secondo cui la guerra coloniale
poteva dare una svolta all'identità nazionale e costruire un passaggio decisivo nel “fare gli italiani”.
I cambiamenti impressi da Luigi Albertini alla linea editoriale del “Corriere della Sera” nei mesi che
hanno anticipato la guerra in Libia sono ricostruiti a partire dalle fonti a stampa sul quotidiano e dai
documenti d'archivio da Colarizi.
Il direttore si convince a poco a poco sull'opportunità di non assumere posizioni troppo distoniche
rispetto a quelle dei proprio lettori adulti per continuare ad aggregare attorno a sé quella forza
culturale e politica viva che fino ad allora si era riconosciuta nel liberalismo e che era alla ricerca di
nuovi equilibri. Questo processo coinvolge velocemente anche il “Corrierino”. D'altro canto il
pensiero dei ragazzi risente delle opinioni che circolano nelle rispettive famiglie dove la voce del
“Corriere” è ritenuta autorevole. Quando alla fine del 1911 la guerra offrì scenari brutali, essi
furono prontamente censurati dal quotidiano che non adottò il criterio “della fondatezza
dell'informazione ma dell'opportunità dell'informazione”.
La voce di Zia Mariù diventa non solo fuori dal coro, ma addirittura antagonista, nel suo pacifismo
rispetto alla linea editoriale. Questo fatto consolidò il contrasto divenuto ormai insanabile fra Zia
Mariù e la dirigenza e destinato proprio al termine del 1911 a indurre gli Albertini a sciogliere il
contratto di collaborazione di Paola Carrara Lombroso.
“Corrispondenza” del 28 gennaio 1928: in essa compare un chiarimento a proposito del ruolo che la
curatrice riconosce alla donna all'interno della società civile.
Paola Lombroso nutriva la convinzione che l'emancipazione femminile andasse costruita
innanzitutto dalla libertà interiore e nella consapevolezza identitaria della donna, affrancata
dall'ignoranza e intellettualmente integrata nella cultura del proprio tempo.
→ Anna Kuliscioff ebbe un ruolo di primo piano nel far maturare in Paola adolescente la propria
identità femminile e nello spingerla verso una crescita intellettuale. Le idee di Paola Lombroso sulla
condizione femminile risultano nel tempo autonome rispetto al modello di riferimento della
Kuliscioff, orientato alla contrapposizione e alla lotta per rivendicare i diritti delle donne. Uno tra
gli scritti più completi per comprendere le posizioni di Paola Lombroso sulla condizione della
donna è forse Caratteri della femminilità: nello studio cerca di tratteggiare un'integrazione tra ruolo
maschile e femminile sulla base di diverse attitudini individuali da esprimersi per la donna
attraverso la maternità e il lavoro intellettuale. Mentre la maternità rimane la via prioritaria di
affermazione femminile, l'attività intellettuale può favorire il raggiungimento della realizzazione di
sé e quindi il conseguimento della felicità se è associata a indipendenza anche di natura economica
e al riconoscimento sociale di tale attività.

È chiaro l'incoraggiamento verso la crescita culturale delle giovani lettrici e verso capacità
autonome di riflessione fondate attorno ad un'autenticità di principi etici laicamente intesi.
All'interno di questo scenario è ravvisabile un nuovo dinamismo nella possibilità femminile di
partecipare attivamente nel disegno di progresso civile e sociale. La costruzione del bene comune
risuona nelle linee guida attorno alle quali Paola Lombroso struttura la pagina della
“Corrispondenza” ed è evocativamente percepibile la chiara posizione della curatrice quanto,
rispondendo a un lettore, dichiara di non essere mai stata una “femminista”.
Tale espressione ha modo di comprendersi se riletta lungo l'intero sviluppo della rubrica.
Ritornando sul tema infatti, la giovane lettrice siciliana (Clara De Renzis) aveva sostenuto il proprio

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rammarico convinto di non essere un uomo anche perché come donna non avrebbe potuto viaggiare
per il mondo con disinvoltura e saziare la propria curiosità di conoscere.
Zia Mariù comprende un desiderio che da ragazza aveva ardentemente provato pure lei senza essere
riuscita ad appagare nemmeno in parte, ma rivela poi di preferire l'accoglienza protettiva
dell'ambiente domestico dove una donna può scoprire mondi nascosti e affascinanti (dice ciò perché
probabilmente è influenzata da Xavier De Maistre e dalla sua celebre opera Viaggi in casa).
Nel 1908 Paola Lombroso pubblica La vita è buona, in questo volume aveva già avuto modo di
affrontare il valore della centralità della casa per una donna come se stessa. In questo volume era
presente Il mio alveare, dove l'autrice si soffermava a tratteggiare le molteplici percezioni che
l'avevano raggiunta all'interno della sua piccola casa raccolta e borghese. In essa tutto aveva una
storia: custodiva un senso intimo, carico di valenze affettive, personali che ne dilatavano la portata
ben oltre la propria identità concreta.
L'autrice invitava le ragazze a riconoscersi e ad apprezzare il proprio ruolo di custodi nel nido
domestico e di api industriose. Secondo Paola Carrara Lombroso il richiamo a una donna
“pienamente se stessa” si attua nella misura in cui si stabilisce un'armonia nella formazione
personale più o meno colta e posta al servizio della collettività nella quale si attua la naturale
propensione allocentrica femminile. Entro tali valenze non si ravvisa (=distingue) sovrapposizione
di ruoli tra uomo e donna nel momento di una guerra ancora non geograficamente lontana, come
quella libica, ma già tristemente presente, almeno per quanto riguardava gli orfani e le vedove vicini
da sostenere. L'attenzione verso la sofferenza del prossimo entra a pieno titolo nell'educazione
all'infanzia borghese alla quale si rivolge la Zia Mariù senza distinzione di genere. Si coglie l'aprirsi
di sguardi nuovi e di fiducia perché dall'educazione dei bambini possano nascere germogli nuovi
per la società del futuro.
L'animo dei fanciulli va ingentilito.
Il disegno educativo della Zia Marù è molto chiaro e in questa ottica il farsi prossimo è un comune
denominatore: dà forma alle diversificate iniziative nella costituzione di una rete di solidarietà che
si irradia oltre la cerchia degli abbonati.
La sofferenza infantile entra anche direttamente nella rivista attraverso i vissuti di chi scrive e che
trova la forza per aprire il proprio cuore perché ha fiducia nelle parole buone della “cara zietta”. Tra
tutte spicca la condizione di malattia di Stefano Zanzi di Ravenna, affetto da spondilite dall'età di 4
anni e assiduo corrispondente del “Corrierino” per tutta la durata della posta. Lo stato di prolungata
infermità è fortemente limitante sotto il profilo dei giochi motori che generalmente popolano gli
scritti infantili degli abbonati, mentre l'assidua lettura della rivista è in tal senso compensatoria,
intrattiene e permette di trovare rifugio nella cultura, accompagna in modo gioioso e carezzevole
oltre il dolore quotidiano, ma soprattutto garantisce di poter superare la solitudine e l'isolamento
scoprendo nella corrispondenza una sorta di piazza virtuale, di incontro relazionale.
Il dialogo che si intesse con Zia Mariù manifesta parole di speranza per ciascuno e si intreccia in via
crescente con i lettori che diventano amici di penna oltre le pagine del giornalino.
Le parole della lettera di Stefano Zanzi sono piene di dolore, ma non di rassegnata disperazione
commuovono e inducono alla vicinanza tramite gesti concreti da parte di piccoli e grandi lettori e
sollecitano espressioni di coraggio e di sincero apprezzamento da parte di Zia Mariù.
Cresce un dialogo a distanza che nel tempo permette di cogliere senza reticenze anche la rabbia del
già bonariamente soprannominato “malatino” per non poter condividere con i coetanei i giochi
estivi sulla spiaggia. Il pensiero del piccolo Stefano è ricerca con forza la continuativa vicinanza dei
lettori, dono raro di serenità.
La scrittura schietta, ma nel contempo dolente e senza timore di giudizio, è raccolta dalla Zia Mariù,
fiduciosa dell'animo altruista dei suoi nipotini.
La gara di solidarietà mobilita i lettori verso altre situazioni analoghe, come quella di Luisa De
Micco: la sua situazione è presentata in parallelo a quella di Stefano e ottiene l'invito esplicito della
Zia Mariù rivolto ad alcune lettrici affinché riflettano su quale gioia sia “scrivere una lettera quando

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si pensa che porterà un momento d'allegrezza ad una bambinetta malata”.
Il panorama del dolore infantile si distribuisce e le riflessioni si addentrano tra le pieghe più
silenziose ed eterogenee, compreso il tacere per timore di far soffrire il lettore. Il ruolo adulto
autorevole, rispettoso e incoraggiante non si fa attendere e con fermezza scuote il fragile Mario
Nannini Tanucci offrendo il proprio appoggio.
Il bambino è legittimato a rivelare se stesso e la propria sofferenza.
I lettori hanno occasione di sperimentare la modalità delicata di Zia Mariù nel tenere per mano i
piccoli e di accompagnarli con rispetto ad aprire il loro cuore.
Un'altra corrispondente è Ombretta, una bambina cieca: si sottolinea la capacità compensativa
messa in atto dalla bambinetta e cioè di aver imparato a “volere bene alle persone anche senza
vederle” e di essere pertanto nella condizione ideale per apprezzare l'eventuale vicinanza di amici di
penna. Modalità della Lombroso: dare vita a un dialogo a più voci con i lettori, inserendo i punti di
vista presenti nelle loro letterine e di tanto in tanto menzionando la nuova lettrice, chiedendo più o
meno esplicitamente il suo parere attorno alla discussione intavolata. Questo modo caldo di
interessare e di coinvolgere vecchi e nuovi lettori promuove sviluppi sorprendenti sia per la
vicinanza che numerosi seppero testimoniare, sia perché l'accoglienza ricevuta mette Ombretta nella
condizione di parlare di sé in una lunga e sincera lettera scritta a macchina dalla mamma, ma
rispettosa del pensiero e del linguaggio infantile. Il tratto distintivo della sua lettera è la sensibilità
della scrivente, ma soprattutto nell'efficacia del delineare il proprio stato d'animo carico di
sofferenza per non poter apprezzare pienamente le bellezze della natura, per la paura di rimanere
sola con la silente consapevolezza di non poter bastare a se stessa.
Le parole di Ombretta hanno il potere di raggiungere l'interlocutore dritto al cuore e di muovere
ciascuno verso un agire più riflessivo e altruistico. Nel medesimo tempo però Zia Mariù sa offrire
delicate e incisive considerazioni, in grado di mettere in rilievo non le mancanze, ma i talenti,
perché Ombretta su quelli possa progettare il proprio futuro.
Con finezza si induce a riflettere sull'esistenza di pieghe nascoste del proprio animo non percepite
autonomamente,ma riconoscibili da altri, capaci di parlare al lettore permettendogli di capire quanto
è custodito nell'anima può essere una gemma preziosa e rara meritevole di essere fatta brillare.

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CAPITOLO 4: Essere e diventare lettori.

4.1 Mobilitare i lettori per formare nuovi lettori:


La lettura è il nucleo portante del pensiero educativo di Paola Lombroso: vuole offrire una risorsa
moderna di pari livello rispetto alle migliori proposte internazionali e capace di aggregare a sé
lettori dalle diseguali competenze, interessi e provenienze culturali.
Di quest'ambita trasversalità è intessuta la rubrica della “Corrispondenza” ed essa andò
strutturandosi entro la costante tensione tra l'approfondimento di dialogo con i lettori fedeli e
l'allargamento progressivo della rete relazionale a nuovi lettori. Idea di educazione alla lettura
veicolata dalla rubrica. All'infaticabile Zia Mariù fu sufficiente un rodaggio d'avvio di circa sei mesi
per imparare a conoscere “le animucce” dei “nipotini” e per avere una visione d'insieme circa la
familiarità che essi avevano con il libro.
In una prima fase emerge una posizione di ascolto, volta a capire piuttosto che a proporre.
Sulla rivista emerge il confronto tra quanto esprimono i bambini rispetto al vissuto infantile della
curatrice (innamorata tanto del racconto storico delle Mie Prigioni quanto del Robinson svizzero e
dei Contes des Fèes perché li percepiva accomunati dalla possibilità di trasportarla “completamente
in un altro mondo, creato con i piccoli segni magici da altri uomini”).
Zia Mariù era interessata ad esplorare il tipo di legame infantile con il libro, le emozioni e l'incanto
di quest'esperienza magica provati dai bambini in grado di nutrire così profondamente l'animo da
lasciare un'impronta indelebile nel percorso di crescita individuale. ( → a distanza di decenni dalla
propria infanzia la Lombroso diceva di ricordare come primo e più importante aspetto dell'incontro
con il libro il legame percettivo con l'oggetto in sé, capace di dispiegare un mondo misterioso tutto
da conquistare tramite la lettura appassionata.)
era alla ricerca di capire se anche per i suoi nipotini l'incontro con la lettura permettesse lo svelarsi
di mondi sconosciuti, di soddisfare temporaneamente una curiosità mai sazia e continuamente di
predisporre verso altre e più complesse avventure di lettura (nel ricordare la propria esperienza
adolescenziale la Lombroso mette bene in evidenza questa soddisfazione nel mettersi alla prova con
letture più complesse e di diventare consapevole delle proprie capacità).
Leggere mette alla prova competenze e carattere, può offrire la soddisfazione di potersi sentire
anche persone migliori una volta concluso il libro.
Su questo valore formativo del leggere Paola Lombroso ritorna spesso nei suoi scritti sottolineando
la gioia personale provata nel dedicarsi ad un'attività che comporta al tempo stesso dedizione, fatica
ma anche appagamento e fierezza per i traguardi conoscitivi raggiunti.
Occorre che l'avidità di lettura si confronti con l'egoismo del possesso e con la sopraffazione
dell'altro che ne possono derivare.
Questa cornice di significati illumina la narrazione autobiografica offerta ai lettori del “Corriere dei
Piccoli” a proposito della lettura appassionata di Pinocchio (→ si tratta del primo riferimento al
leggere riportato sul nuovo periodico per ragazzi dalla Zia Mariù e, secondo uno stile educativo già
riscontrato a proposito di altri temi, la curatrice racconta ai piccoli del proprio rapporto giovanile
con la lettura, per far scaturire nei bambini la capacità riflessiva), quando da bambina lo attendeva
con ansia di settimana in settimana in occasione della prima comparsa sul “Giornale per i bambini”
(all'epoca della comparsa di Storia di un burattino sul “Giornale per i Bambini” avvenuta a partire
dal 7 luglio 1881, Paola aveva 10 anni compiuti e un'avanzata padronanza della lingua scritta).
La già autonoma lettrice mal sopportava di dover dividere il giornalino con i fratelli più piccoli che
erano ancora legati a una decifrazione stentata delle storie, e così sottraeva alla loro vista il
settimanale in modo da leggerlo pe rprima.
La punizione paterna non si fece attendere una volta venuto alla luce dell'inganno e la giovanissima
Paola fu indotta ad esercitare la virtù della pazienza. Il vero pentimento giunse dal confronto con la
sorella Gina che si offrì di leggere alla sorella maggiore l'amata storia non appena fosse stata
recapitata.

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Il vissuto personale induce alla riflessione sul valore della condivisione della conoscenza esperibile
nel quotidiano esercizio del leggere. La preoccupazione della curatrice è orientata a far luce sul
significato della lettura nella crescita sul soggetto e il riferimento al capolavoro collodiano è posto
come un dato di fatto sul quale non occorre insistere per convincere un pubblico fosse ritenuto già
raffinato e naturalmente avvezzo (= assuefatto) a tali letture.
Si tende a promuovere il dialogo tra gli stessi lettori per raccogliere loro osservazioni.
Un primo riferimento alla lettura proviene da Lyda Herlitzka che dice di avere a disposizione dal
nonno ogni mese ben 5£ (l'equivalente dell'abbonamento annuale al “Corriere dei Piccoli”) per
acquistare dei libri della Lombroso, quindi si presume che vi fosse un collegamento tra le due.
La bambina chiede consigli di lettura sui quali Zia Mariù interpella i lettori nel dare suggerimenti.

I suggerimenti dei bambini giungono alla redazione,a ma forse in


misura non particolarmente abbondante a giudicare dalla
tipologia di riferimenti diretti.Viene consigliato Leo e Lia: scritto
da Laura Orvieto, che si celava dietro lo pseudonimo di Mrs El.
La storia era più nelle corde letterarie della Lombroso rispetto al
gusto per l'avventuroso salgariano tanto caro ai bambini del
tempo.
Analogamente può dirsi a proposito del consiglio delle Fiabe di
Andersen tradotte da Maria Pezzè Pascolato.
La raccolta è segnalata per voce del piccolo Cesare Donato, ma
fin troppo palese il condiviso apprezzamento della curatrice, che
orienta i “nipotini” a misurarsi tra realtà e fantasia con due testi
nuovi per il pubblico italiano e destinati a rimanere riferimenti
culturali significativi per lungo tempo.
Nel territorio di originalità e ricercatezza si situa un romanzo francese: Capitaine Bassinoire di
Jules Girardin. Molto più per il tema della lettura rispetto a quanto non sia avvenuto per altri
argomenti, la Zia Mariù sorveglia e trasceglie gli spunti offerti dai lettori, promettendo, ma anche
rimandando a momenti successivi. Di tanto in tanto fa conoscere qualche altro titolo di classici,
come Il piccolo Lord.

Nel corso dei primi mesi le colonnette della “Corrispondenza” rivelano la mancanza di un piano
preordinato della curatrice in materia di educazione alla lettura e la stessa promessa di riservare
periodicamente dello spazio per parlare di libri non si attua perché teme il pericolo di trasformare la
rubrica in uno spazio di recensione di impatto più distaccato e freddo, provocando l'allontanamento
del lettore piuttosto del suo avvicinamento empatico.
Si persegue la ricerca del dialogo, della relazione che va coltivata con cura in ragione della distanza
reale del bambino raggiungibile solo per il tramite della parola scritta. In questo contesto si inserisce
la scelta in seguito espressa dalla curatrice di rispondere direttamente agli interessati per consigli di
lettura specifici, mantenendo sulla rivista uno sguardo rivolto alla complessità dei problemi.
A tali considerazioni si aggiungono le idee maturate nel frattempo attorno all'identità dei lettori che
la Zia Mariù a mano a mano aveva modo di conoscere.
Nei percorsi individuali dei piccoli del “Corriere” l'incontro con il libro diventa presto prevalente
rispetto all'oralità e si articola nella fruizione di narrazioni in volume accanto a storie lette sul
settimanale ed approfondimenti di tipo saggistico. La lettura del settimanale generalmente non
sostituisce la consuetudine al leggere opere in volume. In realtà si pone con un ruolo
complementare al quale credono gli adulti avvicinando per primi i propri figli con la diffusa
formula dell'abbonamento. La lettura occasionale del periodico tende a riguardare bambini abbienti
(=ricchi), i quali vengono in contatto con la rivista per il tramite di coetanei o come premio non
assicurabile in modo costante. La lettura adulta effettuata per il bambino costituisce la trama entro

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la quale si struttura il tessuto del lettore bambino che in genere si rivolge autonomamente al
giornalino e riferisce di capacità personali di lettura entro più promosso nell'ambito familiare.
L'oralità adulta risulta fortemente recuperata nelle situazioni di malattia prolungata delle quali non
mancano riscontri tra le testimonianze infantili della “Corrispondenza”.
L'entrata diretta nella cultura avvicina all'apprezzamento del sapere privo di riduzionismi e di
mediazioni. Si incontrano svariate voci infantili che dicono di saper leggere opere narrative in
lingua originale e sono esortate ripetutamente dalla curatrice ad approfondire le lingue straniere,
imparando a tradurre per iscritto a poco a poco quello che leggono, scrivendo ad amici di altri paesi
oppure viaggiando molto per imparare a conoscere culture e popoli diversi.

La curatrice ritiene che lo studio delle lingue straniere moderne tedesco,


francese e inglese) è essenziale perché il nostro paese
possa competere culturalmente con gli altri e quindi l'esortazione
si tinge di valori patriottici e di invito a ricercare un'identità
nazionale centrata sulla cultura scambievole tra popoli.

L'occasione di stringere amicizie di penna ritorna periodicamente


sul settimanale. Alessandra Scalero è una lettrice che viene
presentata come un modello da imitare a proposito della sua
cultura di ampio respiro e come possibile corrispondente per
esercitare la padronanza delle lingua straniere e in particolare del
tedesco.

La Zia Mariù ritiene che il viaggio autonomo giovanile sia un'opportunità importante sotto il profilo
educativo, perché promuove il senso di libertà e di responsabilità nel soggetto, mentre sotto il
profilo culturale pensa che non ci sia nulla di più vivo della possibilità di apprezzare direttamente il
patrimonio artistico e naturale che ogni luogo offre.

Non manca l'incoraggiamento a propensioni individuali: ad esempio, rivede la traduzione dei


Racconti delle fate di Madame De Ségur, realizzata dal “nipotino” Enrico Boschi, dimostrando di
far seguire per prima ai buoni propositi un impegno capace di misurarsi con la concretezza delle
situazioni.
La familiarità con la lettura mobilita le capacità giovanili verso la scrittura che i corrispondenti della
Zia Mariù vivono come forma spontanea di comunicazione e che desiderano possa evolvere in
competenze letterarie vere e proprie. Nel frattempo apprezza e incoraggia i “nipotini letterati” anche
perché un poco si identifica in quelle aspirazioni ideali e scarsamente sostenute dagli adulti.
Invita infatti a riconoscere, quando c'è, l'istinto artistico che “è come un'acqua di sorgente, balza
fuori da sé e resiste a tutto e trionfa [su] tutto”.
Il compito educativo più autentico della Zia Mariù non avrebbe avuto grandi potenzialità di
sviluppo nell'orientare un'élite di lettori già appassionati e colti. Presto si sarebbe presentata la
possibilità di avvalersi dell'aiuto di quanti avevano una matura consuetudine con il libro per farlo
scoprrire ai non lettori, offrendo loro la possibilità di scoprirne il valore e di avviare un fruttuoso
percorso sia in chiave alfabetizzante sia nella prospettiva del miglioramento personale.
L'educazione alla lettura diviene il terreno prediletto per attuare un modello pedagogico
solidaristico anche in campo culturale. La vicinanza ai più fragili e socialmente meno fortunati si
attua a vari livelli: coinvolge la relazione amicale, la donazione di premi, ma molto può essere fatto
tramite la condivisione della conoscenza. Si intravede il contorno di un disegno culturale che mira a
sconfiggere posizioni individualistiche di monopolio del sapere in favore della partecipazione del

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sapere, affinché si possa costruire la promozione democratica della collettività.
Tali idee maturano in senso alla “Corrispondenza” nel dialogo via via più autentico con i lettori e
hanno modo in un tempo relativamente breve di mettere in moto l'iniziativa davvero originale delle
“Bibliotechine rurali”.

4.2 La Zia Mariù chiama a raccolta e i lettori rispondono:


Pare impossibile credere che dall'occasionale richiesta di aiuto di una lettrice possa essere nata
l'iniziativa culturale delle “Bibliotechine rurali”, ovvero l'azione più importante in termini di
pervasività e di mobilitazione dei lettori nella storia della “Corrispondenza”.
Nello spazio della “Piccola Posta”, dove normalmente vi erano comunicazioni di servizio non
ritenute di grande rilievo, comparve un testo dove veniva chiesto un impegno materiale (libri) da
parte dei lettori. È dichiarata la propensione verso il tema dell'alfabetizzazione popolare ed è
percepibile una preoccupazione organizzativa che riguarda ben oltre l'aiuto momentanea dichiarato
nel testo.
Familiarizzare i bambini con la lettura significava innescare un circuito virtuoso verso il mondo
adulto. I ritardi dell'alfabetizzazione popolare erano ben noti a Paola Lombroso, non solo perché era
all'interno dell'organizzazione “Scuola e famiglia”, ma anche sotto il profilo della ricerca scientifica.
Il progetto pedagogico del “Corriere dei Piccoli” si inseriva entro questo quadro di considerazioni e
la rubrica della “Corrispondenza” aveva lo scopo, tra gli altri, di contribuire a incrementare i
processi di alfabetizzazione popolare.
La prudenza della Zia Mariù riguardava l'indiretto coinvolgimento del pubblico adulto che avrebbe
potuto aver qualcosa a ridire circa l'esborso economico derivante dalla donazione di libri.
Era prudenziale partire con toni umili ma pur sempre decisi in modo da lanciare il sasso e attendere
fiduciosamente il generarsi di effetti non prevedibili a priori.
L'idea lanciata dalla Lombroso maturò tra i lettori che non mancavano affatto di intraprendenza, di
iniziativa e di atteggiamenti solidali e che accoglievano con entusiasmo e fiducia le originali idee
della Zia Mariù.
Due settimane dopo il lancio dell'iniziativa, la bisaccia (=borsa, sacca) della “Corrispondenza”
conteneva i primi entusiastici riscontri e soprattutto molte proposte su come guadagnare i denari per
acquistare la dotazione minima di dieci libri indicati come base di partenza per ciascuna
bibliotechina. Ci fu un richiamo alla serietà affinché eventuali novellatori non equivocassero su un
impegno che non poteva tradursi semplicemente in svago.
Si consiglia di prediligere la narrazione rispetto alla lettura, poiché risulta più vivace e coinvolgente
per l'ascoltatore.
Vi fu l'idea di una ragazzina, già nota nelle colonnette della “Corrispondenza”: Virginia Rabbeno si
proponeva, in vacanza, come aspirante bibliotecaria incaricata di tenere nota dei libri che, nel
gruppo di amici, avrebbero potuto prestarsi reciprocamente versando un piccolo contributo da
devolvere per l'impresa delle bibliotechine (10 centesimi).
Un altro bambino , Tidy Rossi, proponeva che ogni bambino, il giorno del proprio compleanno,
dovesse mandare alla Zia Mariù un francobollo da n10 centesimi destinandolo al fondo delle
bibliotechine.
La raccolta di francobolli, come testimonianza di inno alla vita e alla felicità che ogni compleanno
porta con sé, diventa volano per donare il nutrimento della cultura a bambini meno fortunati.
Inoltre, la modalità di invio di francobolli risolveva il più complesso problema di gestione relativo
all'invio di denaro che la solerte Zia Mariù non pareva voler prendersi in carico, lasciando a ciascun
collaboratore la responsabilità pratico-organizzativa e mantenendo invece il coordinamento
complessivo dell'impresa.
All'inizio dell'agosto 1909 la curatrice precisava che ogni lettore può scegliere la scuola a cui
destinare i libri e che i soldi non devono essere mandati a lei. C'è una società in Italia che vende i

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volumi destinati alle bibliotechine popolari o scolastiche, qui possono essere mandati i soldi e
verranno ricevuti i libri.
Più tardi si scoprì che questa non precisata società di supporto alle biblioteche era la Società
Umanitaria di Milano alla quale Paola si rivolgeva normalmente proprio per l'acquisto scontato dei
volumi per le biblioteche rurali.
La moltitudine di francobolli che di lì a poco sarebbero giunti dagli entusiasti abbonati e, a causa di
tale lavoro, Zia Mariù si orientò a frenare nuove idee che i bambini le chiedevano di gestire,
spronandoli a farsene carico in proprio.
Alla fine dell'estate l'improvvisata ragioniera segnalò di aver ricevuto un migliaio di francobolli
(nella rivista si fa tesoro l'idea di Leone Papini che sollecita a risparmiare adottando l'invio
cumulativo di francobolli, in quanto vi erano bambini che spendono 15 centesimi per spedire un
francobollo da 10 centesimi).
Faceva comprendere così che potevano essere pronti i denari necessari per la costituzione della
prima decina di bibliotechine rurali.
Zia Mariù prospettò ai lettori l'ambìto obiettivo di giungere alla costituzione proprio di mille
bibliotechine e promise che in quella occasione avrebbe organizzato una grande festa. Ella
mantenne la promessa che si realizzò dopo oltre tre anni dall'inizio dell'avventura delle
bibliotechine e soprattutto al di fuori della torretta della “Corrispondenza”.
Zia Mariù aveva ben presente la complessità, quasi titanica, dell'impresa appena avviata.
La necessità di moltiplicare gli aiuti per diminuire i tempi di realizzazione divenne un obiettivo
primario, vista la risposta positiva raccolta dai lettori.
Secondo Zia Mariù l'offerta di libri era un atto di generosità che andava riconosciuto con il ricordo
del donatore così da creare almeno ideali legami tra bambini. Al ricevente come obbligo morale
quello di imparare a rispettare il libro in quanto bene prezioso non esclusivo, ma da condividere con
gli altri. Occorreva corredare ogni volume di un foglietto di riflessioni per lettori digiuni che, non
solo avrebbero potuto sciupare i testi, ma che ne avrebbero addirittura fatto un uso esclusivo
impedendo ad altri di accedere alla conoscenza.
L'attenzione alla rilegatura poneva le basi per la possibile conservazione dell'opera nel tempo.
Lo scopo era quello di dare vita a un piano ideato per durare, per incidere con pazienza operosa
nella crescita dei lettori, andando ben oltre una possibile idea momentanea di fugace intrattenimento
dei nipotini della “Corrispondenza”.
Ulteriori preoccupazioni erano legate ai rapporti con la direzione. Si ipotizzano infatti pressioni
sulla spedizione dei francobolli. A metà ottobre del 1909 compariva un post scriptum nel quale si
sollecitavano i bambini che ne avessero avuto intenzione, di mandare entro il 20 dello stesso mese i
francobolli in modo da poter provvedere a spedire le bibliotechine alle scuole entro Natale (passata
la data di scadenza indicata non si sarebbero più stati accettati i francobolli).
La perentorietà (=categoricità) della decisione non pare nello stile della curatrice, che avrebbe
senz'altro trovato una modalità dai toni meno direttivi e più persuasivi per parlarne ai lettori, mentre
era più coerente con lo stile della direzione che difatti ribadiva lo stesso concetto nel fascicolo
successivo.
Solo sul finire dell'anno venne riaperto l'ufficio di accettazione dei francobolli: nei due mesi di
sospensione del finanziamento delle biblioteche tramite i francobolli la macchina organizzativa non
si arrestò e le difficoltà mobilitarono ulteriormente i lettori che si proposero loro stessi come
“segretari di fiducia” per affiancare l'affaccendata zietta.
A poco a poco la rete organizzativa andò strutturandosi: alcuni lettori referenti sul territorio
facevano da collettori delle offerte di denaro e di libri che il sempre più elevato numero di “cavalieri
del libro” era in grado di procurare. Allo stesso tempo appariva anche molto onesto l'avvertimento
di lasciar perdere se non erano in grado di provvedere alla donazione minima di dieci libri.
Alla fonte del finanziamento dei francobolli si affiancò la fortunata iniziativa delle cartoline
illustrate. Si trattava di un'idea della bolognese Gina Fano che dipingeva a mano le cartoline,

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destinando il ricavato della vendita all'acquisto di libri. La prima acquirente fu Zia Mariù stessa che
ne commissionò una dozzina per gli auguri di Natale, invitando i numerosi “nipotini” aspiranti
artisti a imitare Gina Fano. L'iniziativa piacque e incontrò il sostegno di grandi, in particolare di
un'artista di professione come Gugù.
Una prima traccia di vicinanza di Gugù né individuabile nell'autunno del 1909, quando Zia Mariù
ricevette una cartolina esemplificativa finemente decorata che descrisse ai lettori, non essendo stato
possibile riprodurla sul giornale. Da quell'avvio, in due anni Gugù disegnò per la causa delle
bibliotechine qualcosa come 7000 modelli destinati a essere colorati dai bambini. Ad essi si
aggiunsero altri modelli proposti da Golia.
L'operosità infantile era egregiamente promossa. Andava attuandosi l'idea convinta della Lombroso
che dal lavoro volontario e gratuito i lettori potessero sperimentarsi capaci, responsabili e in grado
di partecipare alla realizzazione di un progetto assai ambizioso. L'iniziativa di Zia Mariù poggiava
sull'operosità giovanile e sul ricavo di denaro in cambio di vendite promozionali. In questa logica
era ovviamente esclusa la richiesta di denaro in termini caritativi, quantunque esso giungesse
talvolta in modo spontaneo e contribuisse non marginalmente a sostenere l'interno impianto.
Per queste ragioni la prima forma di tributo alle bibliotechine trovò nel tempo un sostegno
nell'autofinanziamento dei diretti lettori della “Corrispondenza” e delle loro famiglie. L'idea più
fortunata fu tuttavia quella delle cartoline illustrate che garantì la duratura auto alimentazione di una
rete che andò allargandosi. La cartolina era un oggetto economico, del valore di 20 centesimi,
stimolava l'originalità di decorazione infantile e valorizzava i disegni forniti da illustratori amici.
Inoltre, poiché la cartolina costituiva il mezzo di comunicazione agile e più diffuso del tempo, essa
diventava materiale di uso quotidiano in costante riassortimento e dunque con ampie potenzialità di
vendite.

4.3 Per “Conoscere i giardini fioriti che stan dietro il grigio muretto del
sillabario”:
La tipologia delle opere da destinare alle scuolette di campagna andò strutturandosi a poco a poco
nel dialogo con i lettori. Paola Lombroso aveva presente il discrimine tra lettori autonomi e coloro
che accedevano alfabetizzazione. Il divario di competenze corrispondeva a un divario conoscitivo
sostanziale. Laddove l'esperienza di lettura si fosse ridotta alla decifrazione difficoltosa del
sillabario, sarebbe rimasto precluso l'universo di significati, di valori e di bellezza che la letteratura
custodisce e dei quali i bambini avrebbero ignorato l'esistenza.
Fin dall'esperienza maturata come assistente nell'iniziativa “Scuola e famiglia” a Torino, Paola
Lombroso aveva sperimentato che la deprivazione di stimoli di lettura portava i bambini ad avere
una visione distorta del leggere e una consapevolezza davvero inesistente delle potenzialità
arricchenti della lettura.
È proprio il silenzio inerme dell'infanzia a sconvolgere l'animo di Paola che sente il dovere morale
di offrire anche ai meno fortunati la possibilità di scoprire letture appaganti.
Nella sua esperienza aveva potuto stabilire che capolavori come Il Robinson svizzero o Cuore erano
in grado di risvegliare nei bambini riflessioni e sentimenti inediti. Quei vissuti autobiografici
giovanili erano nutriti di ideali estetici derivati da John Ruskin del quale si riteneva una ferma
sostenitrice, in particolare per il ruolo etico-civile di emancipazione popolare svolto dalla
conoscenza artistica ( → Paola Lombroso era attratta dal socialismo di Ruskin proprio per la
declinazione culturale assegnata alla bellezza dell'opera letteraria e figurativa quale via di
elevazione culturale ed etico-civile del popolo. Tale concezione estetica era contenuta in particolare
in J. Ruskin, Sesame and Lilies che con ogni evidenza Paola Lombroso conosceva e che fu
determinante nello strutturare le proprie idee attorno al ruolo dell'arte nell'educazione dell'infanzia).
Tali riferimenti risuonano nel nuovo compito della Zia Mariù e l'idea spontanea di rendere partecipi
i piccoli della bellezza della lettura diventa un progetto educativo vero: porsi al servizio degli ultimi
affinché i libri possano migliorarli.

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La lettura mobilita il pensiero e fa scoprire la possibilità di andare oltre la dimensione contingente e
spesso faticosa. Occorre guidare le scuole rurali a far compiere ai piccoli scolari un salto di qualità
oltre gli angusti e rigidi confini del libro di testo così da far incontrare la cultura nella varietà di
contenuti, di toni e colori.
La cautela adoperata da Zia Mariù nell'addentrarsi tra i contenuti dei libri per ragazzi lascia
percepire il bisogno di voler calibrare le scelte in modo non direttivo o semplicemente
autoreferenziale, ma avendo cura di capire i gusti dei suoi interlocutori bambini. Già in alcune
occasioni aveva lasciato percepire di essere consapevole dello scarto generazionale tra le proprie
preferenze per il tema avventuroso rispetto “al palato” salgariano dei suoi nipotini. Dunque sa
inserire con coerenza la domanda di segnalare i libri che sono piaciuti loro di più, identificando
nella categoria della piacevolezza l'iniziale ed empatico avvicinamento al leggere.
(Nella fase di avvio dell'iniziativa delle “Bibliotechine” Zia Mariù chiede ai bambini tra i 7 e i 12
anni di dire quali sono i 10 volumi adatti alle bibliotechine.)
i lettori corrisposero alle aspettative segnalando un assai ampio ventaglio di proposte che andavano
da opere classiche come La capanna dello Zio Tom, Le avventure del Barone di Munchausen fino a
Saltapicchio lumachino, Girandolino, Mangiapappa e Zuccatonda, per coinvolgere opere vicine al
circuito scolastico come quelle collodiane di Minuzzolo e Giannettino oppure Fiammiferino.
I titoli in realtà si moltiplicarono nel tempo con grande varietà. I lettori offrirono direttamente i
volumi già usati e più apprezzati. Erano esclusi i libri di cultura e le riviste: ai ragazzi di campagna
occorreva dare testi semplici e non singoli fascicoli di pubblicazioni periodiche.
La preoccupazione primaria era quella di far nascere la curiosità verso la lettura, presupposero per
qualsiasi forma più avanzata di istruzione non limitata alla semplice decodifica strumentale di un
testo. L'accoglienza delle preferenze giovanili non escludeva una selezione fatta per individuare i
dieci libri da inviare alle scuole.
Zia Mariù prospettò l'equilibrio tra un assortimento di volta in volta variabile e la scelta ristretta di
alcune opere giudicate irrinunciabili: “Cuore, Pinocchio e un libro di fiabe”. Questo affondo nella
tradizione letteraria per ragazzi alla base della cultura liberale post Risorgimentale è ripreso e
argomentato con ampiezza da Zia Mariù che rese più volte partecipi i “nipotini” del suo pensiero.
La fondatrice delle bibliotechine rurali riteneva necessario partire dalle fiabe appartenenti alla
tradizione popolare perché rappresentavano un ottimo ponte tra oralità e scrittura, ma non meno tra
linguaggio dialettale e acquisizione corretta della lingua italiana, tra identità culturale regionale e
nazionale con aperture lungimiranti al tessuto europeo. La conoscenza poteva agevolare la
decifrazione del testo scritto per la quale il bambino elaborava mentalmente una forma di traduzione
dall'eloquio gergale familiare all'italiano, vissuto per lo più come una sorta di “lingua straniera”.
La posizione assunta a proposito dei dialettismi tiene in qualche modo conto del dibattito allora in
atto, ma certo i toni paiono più comprensivi delle realtà di vita effettive dei bambini di campagna e ,
sebbene i Programmi ministeriali del 1905 mettessero al bando l'uso del dialetto e il deamicisiano
Idioma gentile dello stesso anno le fosse sicuramente noto, Paola cercò di individuare proposte di
lettura che si ancorassero ai vissuti reali per far nascere da quelli la motivazione verso la lettura e un
più ampio desiderio di emancipazione culturale.

Riduttivamente considerato fiaba, il capolavoro collodiano si stacca dalla tradizione popolare pur
discendendo almeno in parte da quella e consente al bambino di cimentarsi in una lettura
appassionante e di indiscussa qualità letteraria. Si può effettivamente dare atto a Zia Mariù che la
straordinaria impronta dialogica di Pinocchio garantisse una lettura vivace, ritrovandosi in essa
l'efficacia e l'immediatezza comunicativa dell'oralità. Inoltre la rappresentazione antropomorfa degli
animali cristallizzava con efficace simbologia vizi e virtù umane nei quali diveniva per i bambini
facile rispecchiarsi o prendere le distanza.
Collodi rappresentava insieme a De Amicis un ottimo viatico perché i non lettori diventassero lettori
e perché il linguaggio dialettale cedesse il passo senza traumi all'apprendimento della lingua

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italiana. Per l'intrinseca funzione di educazione nazionale esercitata dal romanzo, Cuore era ritenuto
insostituibile dalla curatrice.
Il convinto apprezzamento per la narrazione deamicisiana proveniva dalla piena consonanza
ideologica e di visione dell'infanzia che Paola Lombroso condivideva con l'autore.
Zia Mariù riteneva che gli aspetti fondamentali per l'educazione sono:
- la capacità di narrare con arte il vero;
- l'interiorità e i sentimenti infantili en pensava di dover orientare gliotro una galleria plurima di
ritratti nei quali i lettori avrebbero potuto identificarsi con facilità per accettare e condividere il
proprio destino.
Essi erano posti alla base dei principi ispiratori di altruismo etico-civile intorno a cui sorgeva il
progetto delle bibliotechine rurali.
L'esemp0larietà narrativa costituiva un solido appoggio perché ad essa guardassero i bambini delle
scuole rurali come ad una meta di elevazione personale. Nel contempo tale disegno poteva
contribuire alla costruzione identitaria del paese.
La riflessione della Zia Mariù si spinse a identificare un territorio di letture auspicabili per
sottolineare contemporaneamente la necessità di assicurare una formazione basilare del lettore
insieme all'attenta offerta di stimoli culturali più elevati per chi fosse più ricettivo e letterariamente
predisposto.
Si tratta di un modo raffinato di guardare al lettore bambino, partendo da un ventaglio contenuto di
scelte ma evitando ogni banalità e standardizzazione. Questa singolare sensibilità di favorire la
crescita del pensiero creativo si affida in modo convinto alla poesia per il suo potere evocativo e
suggestivo, influenzato dal simbolismo pascoliano.
Paola Lombroso avvertiva il bisogno di uscire da forme poetiche artificiose e cristallizzate di
provenienza ottocentesca, come aveva suggerito Anna Errera al I Congresso femminile del 1908,
individuando proprio nella pascoliana poetica del fanciullino una novità positiva, rispettosa dello
specifico sentire infantile. Le pur particolari filastrocche di Lina Schwarz, presenti tra le opere
consegnate per le bibliotechine, non potevano sostituire un accostamento più maturo e impegnato al
testo poetico verso il quale Zia Mariù pensava di dover orientare gli animi più sensibili e riflessivi
presenti tra i potenziali lettori. Il distinguo operato dalla curatrice tra opere “indispensabili” e
“auspicabili” lascia presagire nil possibile dubbio da parte sua circa la fattibilità di una dotazione
stabile anche poetica per i bambini.
Nel tempo, Zia Mariù avrebbe avuto modo di ritornare sull'argomento per spiegare a nuovi lettori il
funzionamento dell'intera impresa, menzionando sempre anche Fior da Fiore.

4.4 L'operato dei “cavalieri del libro”:


Nell'iniziativa delle “Bibliotechine rurali” appare centrale lo spazio riservato all'intraprendenza
giovanile. Coloro che concorrono alla realizzazione dell'impresa sono investiti dei titoli onorifici di
“cavalieri del libro” e di “dame di palazzo”.

Tale espressione nasce nell'ambito del dialogo con i lettori a proposito della promozione della
lettura nel suo complesso, rimarcando l'auspicio che l'idea promossa nella “Corrispondenza”
potesse favorire iniziative personali da parte dei singoli lettori. La curatrice era convinta che,
sollevando il problema dell'alfabetizzazione e individuando una via di sostegno alle realtà più
disagiata, i lettori potessero maturare una nuova sensibilità verso il problema e attivarsi in prima
persona per rispondere a necessità a loro vicine. In questo modo lo stimolo ricevuto poteva evolvere
in uno stile di vita autonomo da perseguire nella quotidianità e nel tempo.

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I titoli onorifici costituiscono un tributo affettuoso e riconoscente. Così, accanto ai più connotati
ordini dei “cartolinisti” e delle “tovaglioliniste” ( l'idea di ricamare “tovaglioli da the” e biancheria
per la casa nacque a Virginia Rabbeno che iniziò a promuovere quest'idea nell'estate del 1910 con
un proposito di guadagno già ben calcolato) in relazione a tipologie specifiche di lavori per ricavare
denaro a favore del libro, affiorano simpaticamente “l'ordine dell'Ape zelante” ( tale ordine iniziò a
comparire nella pagina della “Corrispondenza nel gennaio 1910 per insignere/decorare a Virginia
Rabbeno che durante le vacanze di Natale realizzò insieme ad alcune amiche ben 30 dozzine di
cartoline riuscendone a vendere in pochi giorni almeno la metà) e della “Zanzara ronzante” ( tale
ordine viene istituito per apprezzare l'operato di coloro che senza risparmio si prodigano nel
raccogliere libri esortando in modo indifeso amici e conoscenti a regalare loro libri usati) fino a
coniare un improbabile “ordine del cassone” per suggellare l'ammirevole industriosità di una lettrice
di Alessandria di nome Giulia Volanti che riuscì a raccogliere tra la popolazione della sua città una
tale quantità di libri da riempire un baule del peso di 150 chilogrammi ( la sorpresa della Zia Mariù
di aver ricevuto un così imponente dono è abilmente introdotta da un episodio narrativo umoristico
di incredulità di un tal Zio Ugo Pampalugo il quale non crede a tanta dedizione per le bibliotechine
rurali e viene prontamente sconfessato dai fatti. L'episodio sottolinea la capacità narrativa della
curatrice nel saper presentare con arte le informazioni riguardanti le bibliotechine e di saper così
appassionare i lettori).
Sono poi create abbreviazioni curiose e sicuramente care ai ragazzi più grandi, più difficili da
coinvolgere. Mentre nel primo periodo la rete organizzativa è del tutto proiettata nell'ideazione di
attività semplici, ma di possibile successo per poter ottenere gli iniziali guadagni a compensazione
delle spese vive da sostenere per le rilegature e gli invii, nel corso del 1910 vanno strutturandosi
parallelamente i rapporti con le scuole rurali che beneficiano dei libri.
Il bambino donatore della singola biblioteca è indicato con l'appellativo di “patrono”.
L'appellativo e il ruolo si definiscono a partire dal gesto spontaneo di Andreina Quadrio nel
novembre 1909 quando dedicò alla “cara Zia Mariù” le prime due bibliotechine composte con il
proprio lavoro e destinate a due scuolette di Carcina in Val Trompia.
Nella “Corrispondenza” Zia Mariù riferisce questo gesto che aveva destinato in lei “tanta ingenua
compiacenza” di essere “così spontaneamente, e con tanta gentilezza, ricordata” da ritenere che un
simile sentimento gioioso avrebbe potuto essere provato da quanti si stavano adoperando per le
bibliotechine. Così stabilisce che: “Ognuna delle bibliotechine sarà dunque intitolata ad uno di voi,
miei cari bambini, e porterà sul frontespizio il vostro nome in tutti dieci i volumi”.
Subito il proposito viene messo in opera. Infatti, la prima, famosa, bibliotechina inviata poco prima
del Natale del 1909 alla maestra Linduina Valz, che, con la sua richiesta aveva avviato l'intera
impresa, è intitolata alla volenterosa Andreina Quadrio, soprannominata anche “suoretta dei poveri”
alla quale Zia Mariù augura “che nessuna amarezza venga mai dall'aver voluto operar bene”.
Zia Mariù dice poi che:

BIBLIOTECHINA N° A CHI VA INTITOLATA A …


2 Luisa Terzi, Scuola elementare Noemi [Cavalli], che deve
di una città in provincia di diventare amica d'Andreina
Firenze perché hanno l'anima affine
3 Normanna Grassi, Scuola Antonietta Romani, perché per i
elementare di Cremona suoi 14 anni ha dimostrato
molto senno nel guadagnare
denaro e nalla scelta dei libri
che ha mandato a Zia Mariù
4 Signora Sidoli Marcellina, Rina Pincherle
Scuola di Carpeneto d'Osimo

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5 signora Luisa Romagni, alla Gugù
scuola di Castagni
6 Scuola femminile Tidy Rossi, in quanto è stata la
Montecretese, designata da madrina dell'idea ingegnosa dei
Tidy Rossi francobolli
7 A una maestra della scuola di Clelia Ciocca, per incoraggiarla
Avellino ad aver non solo molte idee, ma
molta fermezza e olto spirito di
continuità in ogni idea
8 Iride Nava, della provincia di Ombretta
Cremona
9 Giuseppe Peano, dirigente delle Bruno Conelli, che è stato il più
Svuole elementari di Giaveno piccolo e il più fedele amico
della Zia Mariù, e ha fatto tante
cose buone nei suoi 12 mesi di
vita
10 Scuola di Crocemosso, che Mimì Richard, che è malata da
possiede già un abbonamento al diverse settimane. La intitola a
Corrierino ceduto da Mimì lei con l'augurio di guarire in
Richard fretta

L'impegno di ciascuno andava molto spesso ben oltre una sola bibliotechina (l0intitolazione della
bibliotechina non coincise sempre con il donatore della stessa).
Si definirono due distinte figure:
- il “patrono”, ovvero il nome del bambino donatore;
- figura familiare cara scelta dallo stesso donatore.
Non solo quindi il “patrono” si sentiva riconosciuto come degno di importanza, ma l'intitolazione
permetteva al donatore di attribuire al gesto un valore affettivo personale per il quale avesse senso
impegnarsi ancor prima di comprendere il senso dell'azione meritoria. Il pensiero di compiere
un'opera buona costituì un dispositivo di mediazione in grado di motivare all'azione e di dare senso
ai comportamenti altruistici.
Piano piano si moltiplicarono i riscontri effettivi da parte delle scuole riceventi che inviavano alla
curatrice della “Corrispondenza” lettere di ringraziamento nient'affatto formali o di maniera e in
diversi casi gli scambi di informazioni sugli sviluppi della prima dotazione libraria andarono
consolidandosi nel tempo. Nel corso del 1910 il ruolo dei “patroni” divenne sempre più importante
perché l'intensificarsi dei contatti con le scuole di campagna spinse ad offrire ulteriori volumi.
Questo desiderio venne incoraggiato da Paola che subito ne comprese la portata educativa.
Con il trascorrere del tempo il ruolo della Zia Mariù divenne sempre più quello di coordinamento,
mentre progressivamente aumentò l'intraprendenza giovanile. Difficilmente si trovano osservazioni
circa la non opportunità di talune opere, ma va anche aggiunto che in genere le proposte dei lettori
tesero a rispettare i criteri stabiliti a monte.
Il dialogo rimase fitto nell'identificare le modalità più adatte affinché i lettori vedessero il buon esito
del loro lavoro.
Il senso educativo era evidente: il tempo e le energie dedicati agli altri permettono di apprezzare i
risvolti pratici del proprio lavoro e di radicare l'amore e la dedizione per il prossimo come
disposizioni d'animo strutturali nella personalità di ognuno.
Zia Mariù riesce a comunicare con grande efficacia ai “nipotini” che l'azione di beneficenza

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intrapresa ha un valore e un riscontro che va ben oltre la composizione materiale delle bibliotechine.
Essa promuove un sentimento d'amore e di fratellanza poiché spinge ad agire senza aver un
tornaconto personale e consente invece di provare ammirazione per i sacrifici sostenuti con dignità
da chi vive in condizioni difficili. Le biblioteche sopperiscono ( rimediano/fronteggiano) a un
bisogno materiale e possono generare relazioni solidali e sentimenti di elevazione morale.
L'aiuto è visto come esperienza proporzionata a quanto ciascuno si sente di poter fare per l'altro. È
proprio all'interno di questo spirito che i “patroni” delle biblioteche si moltiplicano e Zia Mariù si
affida sempre di più a infaticabili aiutanti, procedendo a tutto spiano alla loro nomina e a quella di
“cavalieri del libro”. Sin dai primi mesi si costituisce un primo gruppo di “patroni” e collettori.
La geografia dei patroni andò ulteriormente ampliandosi tra il 1910 e il 1911 contando sull'operato
di Dedè Dore e della piccola Eva a Roma.
Molto spesso il dono dei libri era inferiore alla decina e il riferimento prioritario rimaneva Paola che
componeva con pazienza certosina la dotazione minima. La maggiore difficoltà incontrata dalle
bibliotechine era rappresentata da un'organizzazione via via più asfittica se non ci fosse previsto un
ricambio di aiutanti. Non mancarono richiami per trovare nuovi bambini interessati e stimolare gli
aderenti a fare propaganda: era difficile che coloro che erano già impegnati potessero fare di più.
La ricerca dei “pigri-buoni” diede i suoi frutti. In quello stesso anno lettrici volenterose come Lea
Toma o Andreina Quadrio organizzarono incontri nelle scuole delle loro città per illustrare il
progetto delle Bibliotechine rurali. Il coinvolgimento di altri adolescenti alimentò una più ampia
rete di collaboratori che, a loro volta, trovarono ulteriori risorse di finanziamento: in alcuni casi
furono classi intere di istituti scolastici elementari, medi o anche superiori. Emblematico si può
ritenere quanto accade in alcuni sedi:
- nella scuola elementare “Massimo D'Azeglio” di Torino, grazie all'iniziativa di un alunno, l'intera
classe realizzò delle rappresentazioni teatrali il cui ricavato fu devoluto per sostenere le
bibliotechine rurali;
- presso la scuola tecnica “Lucrezia Mazzanti” di Firenze ventinove alunne misero insieme i loro
risparmi e composero un album di francobolli il cui valore complessivo poteva costituire una
bibliotechina.

Nel corso del 1910 va registrato anche l'interessamento di editori, intellettuali e di istituzioni a
quanto andava facendo la Zia Mariù. Di particolare rilievo fu la donazione di cinquanta copie di
Cuore da parte di Emilio Treves che volle così festeggiare il raggiungimento di 500 mila esemplari
del capolavoro deamisiano. Bemporad fece altrettanto con Pinocchio. A questi cospicui omaggi
aggiunsero copie del Libro dei bimbi e di Gianni e le sue bestie regalati da Lina Schwartz e anche
alcune copie di Leo e Lia dell'amica Laura Orvieto. Non mancò il supporto economico di note
scrittirici come Ada Negri.
Guardò con ammirazione alle bibliotechine anche Ida Baccini, vero e proprio pilastro del
giornalismo per ragazzi tardo ottocentesco.
Appoggi giunsero anche dalla scrittrice e germanista Barbara Wick Allason, che era il rapporti di
amicizia con Paola.

Era in stretta relazione con Benedetto Croce e con la cultura liberale a cavallo tra i
due secoli. Lavoro di traduzione e attività narrativa anche nell'ambito della
letteratura per l'infanzia (Il tesoro dei Nibelunghi).

Fu singolare e particolarmente gradita l'offerta di aiuto da parte di Aracne, volutamente celata dietro
lo pseudonimo per lasciarla nell'anonimato e aumentarne l'aura di mistero: si trattava di Elisa Ricci,
scrittrice e fine studiosa dell'arte del ricamo, la quale donò per le bibliotechine una raccolta di
fotografie che faceva parte di un'ampia collezione di stampe raccolte insieme al marito Corrado
Ricci. La raccolta documentaria diventò anche occasione per educare al bello bambini di campagna,

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in piena sintonia con gli ideali ruskiani. Le riproduzioni furono destinate come forma di premio alle
scuole che più si erano adoperate per aumentare il patrimonio librario ricevuto in dono. Anche il
materiale fu impiegato per imparare ad esprimere un giudizio critico sulle opere d'arte.
Diverso fu il supporto dato dalle istituzioni, accolto con lusinghiere parole, quando esso si presentò
in forma rapsodica/disorganica e più nelle persone che ne erano a capo, piuttosto che come impegno
di un intero organismo.
Grazie, dunque, a varie iniziative, si delineò un quadro particolarmente positivo che permise di
giungere già al termine del 1910 alla costituzione di ben 255 bibliotechine per un totale di almeno
2550 volumi raccolti. A tale quantitativo si aggiunsero le integrazioni di qualche centinaio di libri
che alcuni “patroni” consegnarono nel corso dell'anno a scuole che avevano già ricevuto una prima
dotazione. Nel corso del 1910 si registra sulla rivista il continuo incremento di bibliotechine inviate
secondo un'accelerazione crescente. Dopo una fase di rodaggio di circa 4 mesi furono costituite le
prime 10 bibliotechine, mentre poi nell'arco di due mesi ne vennero registrate 80 e il primo
centinaio venne raggiunto solo a distanza di un mese, ovvero all'inizio di aprile. Nel mese di giugno
di calcolano già 150 bibliotechine e altrettante furono costituite nei restanti sei mesi dell'anno.
(si poneva a disposizione un libro ogni 60 scolari).
L'andamento rimase pressoché costante nel corso del 1911. al termine della collaborazione al
“Corriere dei Piccoli” la Lombroso poteva con orgoglio affermare di aver quantomeno raggiunto un
totale di ben 30.000 potenziali nuovi lettori, amici dei già affezionati lettori della “Corrispondenza”.

4.5 L'amicizia con le scuole rurali:


La buona riuscita del progetto delle “Bibliotechine Rurali” dipese in modo non irrilevante dalla
capacità di tessere positive relazioni umane con le scuole. Il rischio era quello di effettuare
donazioni che potessero rimanere inutilizzate, sciupando per questa via lo slancio di motivazione, di
impegno e sacrifici profuso dai “cavalieri del libro”. L'impossibilità di compiere verifiche dirette
esponeva alla difficoltà di constatare l'interesse reale.
Per garantire il buon esito dell'impresa, la curatrice si cautelò inviando raccolte solo a realtà
scolastiche che ne facevano richiesta o a quelle che erano direttamente conosciute dai suoi validi e
piccoli collaboratori. Si evitò la distribuzione a pioggia, né vennero interpellate singole scuole. Il
canale della comunicazione per la via istituzionale venne completamente escluso a priori per la
sostanziale sfiducia nei confronti dei apparati burocratici più attenti agli aspetti formali rispetto a
quelli sostanziali.
Zia Mariù era convinta che l'offerta calata dall'alto fosse sovente recepita come imposizione non
compresa che non avrebbe motivato e responsabilizzato l'insegnante ad impegnarsi in prima
persona. La conoscenza personale consentiva l'intera operazione alla discrezionalità soggettiva nel
privilegiare alcune situazioni e non altre.
La presenza di fitti carteggi con gli insegnanti dei quali Paola fa percepire l'esistenza anche solo per
cenni essenziali. Rimane accertato che la scelta avveniva come risposta alle domande avanzate
direttamente dalle insegnanti e sulla base dei bisogni e della motivazione che potevano trasparire
dalle loro lettere. Zia Mariù esaminava attentamente gli scritti, mettendo in campo la sua capacità
interpretativa perché “la forma, il contenuto, le espressioni, la calligrafia, fornivano altrettanti dati e
documenti psicologici importantissimi”.
La propensione di umili maestre di campagna a vivere l'insegnamento e l'alfabetizzazione degli
scolari come una vocazione era considerata una premessa ideale di rilievo perché entro questo
orizzonte potessero germogliare i semi delle bibliotechine ricevute. Zia Mariù suggeriva inoltre di
individuare le destinatarie delle bibliotechine tra le maestre più giovani e sensibili verso
l'importanza della promozione della lettura. Solo chi è disponibile a spendersi per il bene degli
alunni potrà far tesoro delle poche risorse adottando tutte le strategie perché davvero la lettura di un
libro possa essere utile al bambino.
La pagina della “Corrispondenza” ospitò qualche stralcio di lettera in grado di documentare la

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“gioiosa accoglienza” che l'iniziativa ebbe tra gli alunni e insegnanti.Esempio:

BAMBINO INFO COSA DICE COMMENTO


Giglio Magani “Patrono” della (scrive anche a nomi Parole allegre e
biblioteca della scuola dei compagni) spontanee. L'offerta
di Cenova, in provincia d'amicizia è accolta dal
di Imperia giovane Giglio che si
sente incoraggiato a
sostenere questa classe
con altre iniziative.

Caso unico nel corso della “Corrispondenza”, la carenza di scolarizzazione non è anche sinonimo di
scarsa consapevolezza circa il suo valore e la richiesta determinata d'aiuto cosciente proviene dagli
stessi bambini che si trovano nella situazione di essere discriminati. Il proposito di combattere
l'ignoranza interroga da vicino Zia Mariù che prende seriamente a cuore il desiderio di
emancipazione dell'allegra combriccola di ragazzi.
Il sostegno di una bibliotechina sarebbe stato ben poca cosa a fronte di intere giornate di tempo
libero e di occasioni mancate di crescita; così propone loro di dar vita a un laboratorio per la
costruzione di giocattoli da barattare con libri che altri bambini avrebbero potuto dar loro. Arruola
dei veri e propri fabbricanti di balocchi, provvisti di tutto il materiale necessario per un'attività
lavorativa che li avrebbe tenuti occupati quotidianamente per diverse ore. Spesso le richieste
giungono alla torretta di Zia Mariù in punta di piedi con il timore di osare troppo anche solo a
chiedere un aiuto.
La sola idea di poter scrivere per esprimere il proprio disagio culturale è un gesto carico di speranza
e di attesa perché un domani migliore si possa presentare e sia di stimolo per crescere e per
consentire “agli scolaretti di volar colla fantasia fuori di qui”.
Non si contano nella “Corrispondenza” i riferimenti alle condizioni disagiate della classe
magistrale. Le ristrettezze economiche non sono tuttavia sinonimo di povertà etico-sociale, anzi, le
necessità tracciano un cammino di lavoro e di sacrificio ben illuminato da un senso di condivisione.
Si realizza in piccolo quanto la curatrice della rubrica sostiene in più occasioni: la colleganza tra
bambini non avviene solo in modo unidirezionale dai più ricchi verso i più poveri, ma scaturisce
ovunque ci si fa carico degli altri secondo i propri mezzi.
La “Corrispondenza” è ricca di segni di riconoscenza che fanno capire in quale misura 'iniziativa
delle bibliotechine sia riuscita innanzitutto a scuotere le coscienze, a mobilitare educatori e bambini
nel donare qualcosa di sé.
Le relazioni interscolastiche di amicizia costituiscono un osservatorio interessante per capire
l'incidenza delle donazioni sulle motivazioni e sulle abitudini di lettura degli scolari. Un tratto
comune a diverse realtà riguarda l'immediato interesse e il prolungato ascolto dell'insegnante che
legge ad alta voce a una scolaresca spesso molto numerosa.
In altre situazioni, oltre alla lettura da parte della maestra, si attiva il prestito a domicilio delle
opere, per lo più seguendo il criterio del libro destinato come premio per l'impegno profuso nel
compito scolastico o come nota di merito. La piacevolezza delle letture ascoltate in classe mobilita
verso un maggiore impegno nella varie discipline per conquistare l'amb^to premio.
Il prestito dei testi sottolinea l'idea di un patrimonio comune da rispettare e da salvaguardare, aperto
anche alla cerchia familiare. Tale consapevolezza si fa stile educativo, oltrepassando in qualche caso
anche il senso di proprietà esclusiva di un'opera.
Come emerge da numerose lettere, i “patroni” costituivano un anello fondamentale
nell'organizzazione delle biblioteche rurali poiché mantenevano viva la relazione d'amicizia con la
singola scuola e raccoglievano il bisogno di implementare la dotazione libraria. Si trattava dunque

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di una cura durevole nel tempo, di cui si hanno diffusi riscontri nella “Corrispondenza”.
Lungo questo solco si distingue l'accurata relazione elaborata da Angelo Rabbeno che fu insieme
alla sorella Virginia uno tra i più assidui sostenitori dell'impresa di Zia Mariù.
In alcuni casi si genera un legame particolare: con alcune scuole rurali che da destinatarie di
bibliotechine si trasformano in veri e propri vivai di cavalieri del libro.

Una vera e propria vocazione educativa sorregge l'operato dell'insegnante che subito percepisce le
potenzialità formative della biblioteca scolastica, oltre i confini della seppur importante
alfabetizzazione; ne estende la prospettiva nel senso di un disegno ben più ampio di benessere,
motivazione e mobilitazione interiore degli alunni. Per i “figli di operai” il libro diviene incontro
gioioso di possibilità e di accompagnamento positivo oltre le ristrettezze economiche del
contingente.
Le nobili intenzioni presto si tramutarono in fatti e la “fabbrica intellettuale” iniziò a crescere nel
biellese, coinvolgendo attenti benefattori che sostennero l'impegno educativo della giovane maestra,
invitando altre scuole a seguirne le tracce.

La rete locale di bibliotechine aumentò ulteriormente.


Con soddisfazione mista sorpresa registrava l'interesse diffuso e contagioso verso la lettura che dai
piccoli si era rapidamente propagato verso le loro famiglia. Questi bambinetti curiosi e felici di
imparare, oltre all'invio di violette primaverili come segno di spontanea gratitudine, giunti al
termine dell'anno scolastico, donarono ciascuno una cifra simbolica, perché Zai Mariù potesse
regalare ad altri bambini lo stesso sorriso ed ebbero così l'orgoglio di diventare a loro volta
“cavalieri del libro”. Il gesto di grande generosità fu riconosciuto dalla curatrice come la conferma
che la solidarietà fraterna non conosce vincoli insormontabili legati alle sole possibilità
economiche, ma si realizzare comunque mezzi diversi quando se ne percepisce il significato
profondo.
Nel corso del 1911 la voce viva delle scuole andò progressivamente attenuandosi. Questo fenomeno
è dovuto a diversi fattori.
Assestamento di un'organizzazione.
La curatrice della rubrica tentò di organizzare diversamente lo spazio a propria disposizione,
utilizzando la “Piccola Posta” per dare conto delle risorse economiche raccolte e delle destinazioni
dei volumi, mentre le colonnette della “Corrispondenza” rimasero soprattutto uno spazio di
riflessione e di approfondimento dove l'iniziativa delle bibliotechine era uno tra i tanti temi e non
più il principale.
Il pericolo di una rubrica monotematica fu avvertito da Paola che tentò di risolvere il problema,
proponendo tuttavia solo dei cambiamenti grafici, ovvero diminuendo il carattere tipografico per
riportare più testimonianze dei lettori.
Il tema delle bibliotechine stava diventando l'unico argomento trattato nella rubrica e la richiesta di
concludere quell'iniziativa assunse i contorni della perentorietà a giudicare dalla lettera difensiva di
Paola Lombroso del febbraio 1911.
La dialettica della Lombroso, volta a rassicurare che non si correva afatto “il pericolo di veder
fossilizzare la Corrispondenza”, ottenne solo il risultato di far differire nel tempo la conclusione
dell'argomento delle bibliotechine, preparando un'uscita di scena graduale che lei prevedeva di poter
situare nell'estate.
L'operato dei “cavalieri del libro” perse incidenza, di alcuni comparvero riferimento al loro vivere
quotidiano colto, pieno di stimoli e opportunità di crescita come testimoniano i numerosi
approfondimenti di riflessione promossi dai “referendum”.
I vincoli contrattuali garantivano alla curatrice di continuare la propria collaborazione fino al
termine di marzo 1912 e questo avrebbe consentito una progressiva preparazione del pubblico alla
conclusione dell'intenso dialogo durato tre anni. Nel mese di gennaio le pagine della

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“Corrispondenza” assunsero un tono meno gioioso rispetto al solito. Prevalevano semmai la
riflessione e la meditazione pacata sul significato di nutrire desideri per il futuro e su come
progettare il percorso di crescita personale. Contestualmente Zia Mariù per prima espresse le
proprie convinzioni sulla sua esperienza di donna realizzata nella quotidianità dell'educazione, delle
cure domestiche e nella parola scritta, esperienza che le permetteva di vivere nel nido protettivo e
nel contempo di spaziare ben al di là dei suoi confini.
Questo gesto di “guardare in avanti” teneva conto di spazi potenzialmente ancora aperti della
collaborazione dei quali la curatrice pensava di poter disporre: non era infatti nello stile di Zia
Mariù promettere ai lettori qualcosa che poi non avrebbe potuto mantenere.
L'uscita di scena anticipata di Zia Mariù dal “Corriere dei Piccoli” non trova infatti giustificazione
alcuna tra le pagine della rivista e l'esperienza non trova giustificazione alcuna tra le pagine della
rivista e l'esperienza delle bibliotechine rimane in sospeso. Non compare infatti sul giornalino
l'ultima ed estrema battaglia che la curatrice tentò di ingaggiare nel tentativo di non tradire quel
dialogo improntato al rispetto e alla sincerità che aveva costruito nel tempo con i lettori e al quale
non sapeva rinunciare, né era capace di trovare su quel tema parole di mediazione o di
compromesso.

4.6 L'estrema difesa del lettore contro “Minosse”:


Sono le carte d'archivio a far luce sull'ultima “Corrispondenza” consegnata da Zia Mariù alla
direzione il 27 gennaio 1912 e mai pubblicata, probabilmente per gli evidenti contenuti di dissenso
verso la proprietà e carichi di più o meno implicite scuse difensive verso i lettori per giustificare il
silenzio che presto sarebbe calato sulla rubrica. La redazione e i redattori sono paragonati a tanti
“Minossi” o “censori russi” che in modo dispotico e inflessibile stabiliscono le sorti della
“Corrispondenza” e decidono la possibilità di non pubblicarla affatto, come hanno potuto constatare
con dispiacere i “nipotini”. Il testo nel quale si parla di questo, è stato ridimensionato da parte della
direzione, che hanno cercato di salvare le parti del discorso non pesantemente polemiche. Ma il
testo, così ridimensionato, avrebbe perso totalmente la propria coesione e coerenza interna.
Immediata fu la reazione di Alberto Albertini che dovette aver espresso tutta la propria
disapprovazione per i toni e i significati presenti nel testo per la rubrica.
Ciò che stupisce è la maniera di reagire della Lombroso che respinse ogni insinuazione come
infondata e riprovevole. Nella lettera indirizzata al signor Alberto Albertini la chiusura è costituita
dalla richiesta di pagamento delle tre mensilità come convenuto contrattualmente per risarcire
l'arrendevolezza mostrata.
Ma se alla direzione dovette apparire insopportabile l'utilizzo della metafora di Minosse, reso più
nell'accezione dantesca demoniaca, era altrettanto inammissibile il significato polisemico racchiuso
nella “storietta” pensata da Zia Mariù per quella pagina della “Corrispondenza”. Essa era solo in
apparenza ingenua, in realtà era ben congegnata per difendere strenuamente i lettori a voler seguire
l'operato della loro interlocutrice privilegiata oltre le pagine della rivista.
La connotazione minacciosa dell'omaccio Minosse è chiaramente evocativa del pericolo ravvisato
di veder interrotta la “Corrispondenza” senza poter dare spiegazioni ai lettori e di lasciare nei
piccoli l'amarezza del tradimento subito. Zia Mariù sferra un attacco decisivo: mette in guardia i
bambini a non ce3dere alle lusinghe dell' ”omaccio” Albertini, accusato di sfruttare l'innocente
vicinanza infantile alla rubrica per interesse personale e di non apprezzarne il rilievo formativo che
essa è stata in grado di promuovere nel tempo. Pertanto l'assenza della “Corrispondenza” non
avrebbe dovuto essere percepita dai suoi nipotini come una fuga e un disinteresse nei loro riguardi
ma come l'estrema difesa verso i lettori per impedire che Minosse li mettesse nel sacco, censurando
la loro posta, ovvero quello spazio di espressività che era cresciuto sincero e appassionato e per il
quale la curatrice non era disposta ad alcun compromesso.
L'invito conteneva una nota rassicurante oltre la semplice giustificazione di un comportamento che
non avesse il sapore acre dell'abbandono. Infatti la sua “storietta” narra di un'allodola che non

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rinuncia completamente a cantare. Ma che sceglie unicamente di cambiare ramo per essere libera e
invita gli uccelli a cercarla altrove. L'apparente leggerezza di queste parole custodisce il progetto
che Paola Lombroso stava maturando e cioè di una forma di comunicazione alternativa, perché
l'esperienza del dialogo con i bambini non si esaurisse e soprattutto non interrompesse quella vitale
laboriosità giovanile per la promozione della lettura.
Il nuovo ramo sul quale continuare a cantare sarebbe stato il “Bollettino delle bibliotechine rurali”
che nel corso del 1912 avrebbe preso vita, convogliando molti lettori del “Corriere dei Piccoli” e di
quei fidati “cavalieri del libro” che per tre anni avevano sostenuto le iniziative di Zia Mariù.
Sicuramente alla fine di gennaio, quando fu consegnata questa ultima pagina della
“Corrispondenza”, Zia Mariù non era già pronta per questa nuova avventura sotto il profilo
organizzativo. Lo dimostrano le parole di chiusura della sua conversazione a distanza con i
“nipotini” che, nonostante tutto, rimandano agli sviluppi dell'ultimo concorso bandito e con una
certa fatale ironia rinviano alla settimana successiva “In gamba dunque, poetini! E arrivederci se il
signor Minosse lo permetterà la settimana prossima”.

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Capitolo 5: Piccoli lettori crescono.

5.1 Oltre la “Corrispondenza”: “Il Bollettino delle bibliotechine rurali”:


La possibilità di continuare l'esperienza delle bibliotechine rurali era legata all'esistenza di un
organo di comunicazione a distanza con i lettori. La chiusura della rubrica della “Corrispondenza”
indusse Paola Lombroso ad attivarsi per trovare un altro “ramo” sufficientemente alto e robusto dal
quale poter richiamare i bambini con il proprio canto.
Fece in qualche modo tesoro di un tentativo fatto dalla diligente Dedè Dore dall'aprile 1911 che
aveva dato vita a un rudimentale foglio settimanale intitolato “Bollettino ufficiale del sotto-comitato
pro bibliotechine rurali” per rendere conto di libri e denari ricevuti e dare riscontro delle nuove
bibliotechine che a mano a mano andava a costituire (nell'arco di un anno era riuscita a dare vita a
112 bibliotechine). In tal senso vi sono alcuni articoli della stessa Dedè Dore sulla rivista “Ida
Baccini. Rivista per la gioventù femminile italiana” proprio all'inizio del 1912.
Il sostegno ricevuto da Dedè Dore per le bibliotechine divenne condivisione delle prospettive
successive dopo la fuoriuscita dal “Corriere dei Piccoli” e in questa comunanza di ideali si inserisce
un articolo riconoscente di presentazione della zia Mairù contribuendo così a mantenere desta
l'attenzione del pubblico sull'iniziativa.
Il periodico sopra citato era diretto da Manfredo Baccini (figlio della scrittrice fiorentina cui era
intitolato il periodico). Madre e figlio erano abbonati al “Corriere dei Piccoli” e avevano sostenuto
in più occasioni l'impresa di Zia Mariù: di qui l'idea di dedicare per qualche tempo una pagina della
rivista alle bibliotechine.
Nel frattempo Paola Lombroso cercò contatti con fogli e pubblicazioni che stavano segnando il
mondo dell'alfabetizzazione del popolo. Se la Federazione delle Biblioteche popolari era nella sua
fase espansiva, ma non aveva ancora un proprio bollettino che si sarebbe concretizzato nel 1917 con
“La parola e il libro”, nel 1912 aveva invece alle spalle un'attività di un anno il periodico “La
Coltura popolare” legato alla Società Umanitaria di Milano (→ “La Coltura popolare” fu avviata in
seno all'Umanitaria il 15 marzo 1911 e mantenne al principio una cadenza quindicinale, mentre in
seguito divenne mensile fino al suo scioglimento avvenuto nel 1933).
grazie all'intervento di Turati che la tirò fuori da questo “abisso di guai”, Zia Mariù affidò a questo
foglio quindicinale.
Il passaggio avvenuto attraverso “La Coltura popolare” fu certamente transitorio, poiché quella sede
non consentiva un discorso continuativo nello specifico delle biblioteche scolastiche, ma permise
alla scrittrice torinese di riorganizzare la rete di sostenitori. Lo scopo era quello di dar vita a un
periodico autonomo che vide la luce al principio nell'ottobre del 1912 con il titolo di “Bollettino
delle bibliotechine rurali”.
Da quel momento in avanti quest'organo di comunicazione consentì alla Lombroso di rendere
manifesto il proprio continuativo e crescente impegno filantropico a favore dell'infanzia.
Se infatti la sua creazione fu motivata dal desiderio di continuare la felice esperienza delle
bibliotechine presto gli eventi bellici avrebbero richiamato l'attenzione collettiva verso il dramma
dell'orfanezza infantile e la stessa organizzazione di solidarietà si sarebbe preferenzialmente
orientata verso l'assistenza, la cura e l'educazione dei bambini rimasti drammaticamente senza
famiglia.
Dietro queste mutate condizioni il bollettino divenne un foglio informativo, capace di aggregare
attorno a sé nuove risorse ed energie e anche il titolo, cambiato in “Bibliotechine rurali. Assistenza
bambini Dieci per uno” all'inizio del conflitto bellico, recepì la necessità di tutelare bisogni primari
dei bambini soli, dando loro una casa. Il titolo “Bibliotechine rurali. Assistenza bambini Dieci per
uno” compare stabilmente da settembre 1915 dopo che dal giugno il nostro paese era sceso
nell'agone bellico e che Paola Lombroso Carrara stabilì di pubblicare ugualmente nel periodo estivo
un supplemento al Bollettino (mentre gli anni precedenti la sospensione dell'attività didattica e
quindi delle bibliotechine aveva portato a interrompere la pubblicazione del foglio) per spiegare e

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organizzare l'iniziativa di sostegno ai bambini rimasti orfani.
“Dieci per uno” → con esso si intende la costituzione di gruppi di dieci ragazzi capaci di assicurare
la vendita mensile di 200 cartoline illustrate per provvedere al sostentamento di un bambino.
La solidarietà sociale animata dalla Lombroso potè contare su diverse capogruppo che già da tempo
erano attive bibliotechinofile della Zia Mariù. Nomi come Mimma Herlitzka, Elisabetta Oddone,
Giorgina Levi e Paola Bologna, già note lettrici del “Corriere dei Piccoli”, coordinarono altrettanti
gruppi insieme a nuovi nomi della cerchia borghese ed ebraica femminile perlopiù del territorio
torinese.
Se le diverse ville della buona borghesia furono messe a disposizione e attrezzate da munifici come
il prof. Perroncito (docente di anatomia patologica presso l'Università di Torino, conosciuto da
Cesare Lombroso e da Mario Carrara. La sua villa di Cavoretto godeva di un museo di Bachicoltura
del quale si poterono avvantaggiare i bambini ospiti durante il periodo bellico. La villa fu
inaugurata il 25 maggio n1915) , la famiglia Becker (mise a disposizione parte della propria villa
nel quartiere Pozzo Strada per ospitare bambini molto piccoli, in quanto poteva contare sulla
struttura dell'Asilo materno di proprietà familiare e quindi attrezzato per le prime fasce d'età
infantili) , i Moris (i tre fratelli misero a disposizione la villa di proprietà da tempo disabitata) e i
Beria (Villa Beria era confinante con Villa Moris ed entrò in funzione all'inizio del 1916), l'operato
dei bambini tornò ad essere valorizzato per raggranellare biancheria domestica e personale, per
cucire abiti, per costruire e dipingere arredi interni. Un altro filo di continuità rispetto ai primi anni
di sviluppo delle bibliotechine fu rappresentato dalla direttrice Valentina Cavandoli che Paola
Lombroso volle a capo dell'Asilo di villa Pasteur a Cavoretto. La Cavandoli, direttrice per diversi
anni dell'istituto torinese “Maffei”, si era fatta notare per aver creato un sodalizio pro bibliotechine,
coinvolgendo nell'impresa per intero la propria scolaresca. Questo primo asilo fu l'esperienza pilota
meglio riuscita, poi replicata in altre ville e nel “rifugio” voluto dalla Croce Rossa Americana e che
fu destinato a traslocare nella più spaziosa Villa Gioia. Nacque la più duratura attività della “Casa
del Sole” nella quale l'organizzatrice la volle a capo.
La struttura, che ospitava figli sani di tubercolotici, cambiò denominazione nel 1922 in Villa
Giorgina. Infatti fu rilevata e donata dal commendatore Isaia Levi, padre di Giorgina in ricordo di
lei prematuramente scomparsa per suggellare l'impegno infantile largamente profuso accanto a Zia
Mariù per l'educazione dell'infanzia. I nuovi cambiamenti intervenuti nel primo dopoguerra
portarono a modificare nuovamente l'intitolazione del periodico che dal 1922 assunse la
denominazione di “Bollettino delle bibliotechine rurali Casa del Sole” fino al termine del 1934
(iniziò a chiamarsi così a partire dall'aprile 1922 assumendo nel contempo una cadenza bimestrale).
Il cambiamento di titolazione del bollettino rispecchiava il processo di formalizzazione al quale
stava andando incontro l'azione filantropica della Lombroso: all'inizio del 1912 la “Casa del Sole”
mutò le proprie modalità di gestione per diventare Ente Morale.
La ridenominata istituzione prevedeva:
- un consiglio direttivo con carche elettive di durata triennale;
- un ristretto gruppo di rappresentativi e fidati collaboratori;
- un più ampio gruppo di soci sottoscrittori, ricalcando una linea simile a quella adottata per la
promozione della bibliotechine.

La nuova organizzazione assicurava a Paola Lombroso la carica di consigliere a vita in quanto


fondatrice dell'istituzione, ma nel frattempo garantiva una possibile continuità dell'iniziativa “al di
là della vita degli uomini che la fondarono”.
Per quanto riguarda l'operato per le biblioteche scolastiche, mai interrotto durante il periodo bellico,
riprese con un certo vigore al termine della guerra, facendosi carico di ricostruire le bibliotechine
distrutte nelle zone interessate dal fronte bellico e provvedendo di nuove dotazioni le scuole dei
paesi residenti del Trentito.
Andò lentamente cambiando il ruolo dei “patroni”. A fronte di un minor numero di giovani,

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l'esperienza registrò un aumento di figure adulte e inoltre si intensificò la schiera di insegnanti
capaci di trovare direttamente nel loro territorio finanziamenti necessari e in gradi di
corresponsabilizzare in tale compito i loro alunni. Se nei primi anni di vita dell'iniziativa erano
eccezionali le situazioni nelle quali bambini delle scuole rurali prendevano coscienza dei propri
mezzi e si attivavano per incrementare la bibliotechina di classe, negli anni Venti questa tendenza
diventò più diffusa e probabilmente va collegata all'aumento dei processi di scolarizzazione.
Venendo a diminuire l'operato dei “patroni” a favore delle bibliotechine, si dovette modificare la
forma di finanziamento per le spese vive. Zia Mariù aveva provveduto a un fondo di riserva.
Esso proveniva dai diritti d'autore del volume Le commedie di Leo e Nina scritto dalla sorella Gina
Lombroso nel 1916 dietro il nome di comertura “Mamma di Leo e Nina”.
Nel 1922 questo fondo andò ampliandosi grazie ad una sostanziosa offerta di denaro ottenuta dalla
Croce Rossa Americana giovanile, che durante la guerra aveva sostenuto l'attività assistenziale ai
bambini privi di cure materne ospitati nell'asilo di Villa Gioia e nel tempo tra le due istituzioni
rimasero degli ottimi rapporti.
Il lento e inevitabile declino dell'impresa delle bibliotechine si verificò a mano a mano che il
fascismo promosse un'azione di maggiore controllo sull'educazione, sulla cultura e sulla scuola.
Le indicazioni contenutistiche divennero stringenti e sempre più piegate alla retorica fascista,
qualsiasi forma di libertà e autonomia di scelta andò perdendosi, compresa un'associazione non
strutturata come quella animata da Zia Mariù che non avrebbe accettato imposizioni circa i
contenuti delle opere da proporre e modalità organizzative.
Le maglie di controllo sempre più strette attorno alla famiglia Carrara (Paola era la moglie di Mario
Carrara, medico e docente universitario), sospettata da tempo di antifascismo, divennero palesi nel
1931, quando Mario fu uno dei dodici professori universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al
fascismo. Venne perciò destituito dall'insegnamento, dall'incarico delle carceri e dalla direzione del
Museo “Lombroso”. I coniugi Carrara divennero sorvegliati dalla polizia e considerati pericolosi
per il regime, tanto è vero che i loro nomi risultano iscritti al Casellario politico Centrale Fascista.
Iniziò per loro un periodo di imposto ripiegamento nell'ambito familiare.
Anche negli anni bui delle persecuzioni razziali Paola Lombroso mantenne contatti sempre più
riservati con quel mondo femminile e per lo più ebraico che nei decenni aveva condiviso con lei
l'impegno filantropico. Continuò a lavorare durante il periodo ginevrino per “Il Dono Svizzero”,
struttura di coordinamento assistenziale attiva nella federazione elvetica per il sostegno alle vittime
delle persecuzioni nazifasciste e più in generale alle vittime della guerra.
Parallelamente Zia Mariù recuperò il progetto delle Bibliotechine rurali insieme ad Ada Prispero
Gobetti alla quale avrebbe idealmente passato il testimone per la promozione della lettura tra le
nuove generazioni. Nella primavera del 1950 venne fondato il Centro studi per la letteratura
infantile di Torino, Paola Lombroso ricoprì la carica di Presidente accanto alla più giovane Ada
Gobetti che coordinava i lavori del comitato direttivo e del consiglio esecutivo. Dallo statuto del
Centro studi si apprende che tra le finalità vi era la promozione della ricerca sulla critica della
letteratura per l'infanzia e la promozione della lettura tra le giovani generazioni.
Una prima iniziativa si realizzò alla fine del 1950 con l'organizzazione di una mostra internazionale
di periodici per ragazzi, superando le divisioni tra Europa occidentale e orientale e coinvolgendo
paesi come l'Argentina accanto alla più prevedibile presenza statunitense. La ripresa delle
bibliotechine rurali fu favorita da una consistente cifra di denaro che Paola Lombroso destinò a tale
causa.
Giunta agli ultimi anni di vita, la Lombroso ripensava con grande affetto e trasporto alla propria
intensa vita spesa per la per la promozione della lettura tra i ragazzi e affermava con convinzione
che “quell'avventura fiabesca mi ha infiorato la vita, mi ha insegnato molte cose, mi ha dato molti
amici-quando la ripenso-, son contenta di aver vissuto”. Le bibliotechine avevano ricoperto per lei
un ruolo così autentico sotto il profilo culturale e umano da rendere degna di essere vissuta la
propria intera e non facile esistenza.

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5.2 La promessa mantenuta: 1000 bibliotechine e i ragazzi in festa:
nel novembre 1912 la riorganizzazione del gruppo “bibliotechinofilo” di Zia Mariù, attraverso le
pagine del nuovo “Bollettino delle bibliotechine rurali”, consentì di registrare un attivo di ben 700
bibliotechine: dalla fine della “Corrispondenza” all'avvio del nuovo periodico l'attività di sostegno
alle scuole non si era affatto arrestato, anzi, aveva avuto un sensibile incremento. I referenti
territoriali furono una garanzia di continuità rispetto all'operosità e alle relazioni di amicizia
scaturite tra le pagine del “Corriere dei Piccoli”.
Rimangono come colonne portanti dell'intera organizzazione Lea Toma di Venezia e Dedè Dore di
Roma. Acquisisce maggiore responsabilità rispetto al passato Luigi Brunelli, che in precedenza
coadiuvava Andreina Quadrio. Il milanese è coperto da Laura Confalonieri, nome già noto tra i
lettori del “Corrierino” e attiva aiutante delle bibliotechine insieme a Lia Goldmann e Clelia Ciocca:
della giovane Clelia si hanno tracce solo all'inizio del “Bollettino”, Lia Goldmann è più volte
menzionata come benefattrice di somme di denaro. L'area piemontese fu presa direttamente in
carico da Paola Lombroso. Per il territorio toscano diventa referente Manfredo Baccini al quale
nell'arco di un anno si sarebbero affiancati Giacomo Levi Minzi e Carolina Amaldi Ponti.
Il coordinamento nell'Italia meridionale, l'anello più fragile nella rete del “Corriere dei Piccoli”,
manifestò difficoltà a trovare figure di riferimento stabili. Nel “Bollettino” tale assenza fu in parte
colmata dallo scrittore per ragazzi Giuseppe Ernesto Nuccio che fece da collettore delle richieste
presenti in Sicilia. La vita di un periodico è in continuo cambiamento e così su di esso la geografia
dei referenti territoriali si trasformò e rapidamente l'interesse crescente di taluni “cavalieri del libro”
divenne costante e duraturo.
In vista del traguardo ambito dalla costituzione di 1000 biblioteche, il comitato organizzativo si
ampliò e registrò la presenza della maestra Lucia Maggia della quale si sottolineò proprio nel
“Bollettino” l'ingresso nel mondo letterario. Alla fidata Dedè Dore si sostituirono temporaneamente
le sorelle Lyna e Gianna Radaelli: le due sorelle romane assunsero per alcuni mesi “l'internato” per
l'Italia centrale per consentire alla principale referente, che aveva il merito di essere riuscita a
costituire ben 100 bibliotechine in un anno, di concludere gli studi universitari in Lettere classiche.
Si aggiunsero quindi Marianna Denti di Roma, impegnata in Sardegna al fianco del fratello Alberto,
e Maria Lussana ( era la moglie di un medico e artista di Bergamo, che contribuì all'azienda delle
bibliotechine donando diverse proprie tele e disegni e realizzando settanta calendari che vennero
venduti pro bibliotechine a Natale del 1912).
Oltre ad appoggiarsi a singoli, l'organizzazione tende a coinvolgere figure a capo di gruppi e
istituzioni, in modo da allargare rapidamente la rete degli aderenti. Entrano poco per volta
nell'iniziativa anche donne adulte come Isa Errera Foà dal forte impegno nell'ambito del sociale e
della raccolta di fondi e Lisetta Motta Ciaccio, nel 1911 fondatrice della Società “Pro Coltura
Femminile” di Torino: un'associazione nata nel Natale 1911 da Lisetta Motta Ciaccio, con lo scopo
di garantire un supporto culturale nel tempo libero delle studentesse della Scuola Normale Maria
Letizia e più in generale per le giovani desideriose di accrescere la propria formazione e impegno
nella società giolittiana.
Lisetta Motta Ciaccio sarebbe diventata un'intima collaboratrice di Paola Lombroso e avrebbe
continuato a far parte del comitato direttivo del “Bollettino” anche nel primo dopoguerra.
Un aumento della visibilità dell'impresa, al di là del circuito degli stretti aderenti, si realizza nel
dicembre del 1912, quando Paola Lombroso è invitata a parlare pubblicamente dell'iniziativa nel
corso del “Congresso sulle opere di coltura popolare” che si tenne a Roma. All'inizio di novembre,
la Lombroso aveva chiesto agli insegnanti di riferirle se nella loro bibliotechina era stato
incrementato nel tempo il materiale librario, grazie a quali aiuti e se con la promozione della lettura
erano migliorate le competenze linguistiche degli allievi e magari anche quelle dei loro familiari.
Paola raccolse in breve tempo dati e riflessioni aggiornati e abbastanza omogenei per fornire una
fotografia verosimile dell'operato di tre anni di esistenza delle “Bibliotechine rurali”. Oltre alle

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informazioni già note, relative al processo e ai ruoli dei volontari del libro, si raccolsero
informazioni quantitative relative agli sviluppi dell'iniziativa che contava ormai 750 bibliotechine.
In tal modo si riempie di senso la bella metafora di derivazione evangelica del piccolo granello di
senape adoperata dalla scrittrice per esemplificare i principi alla base di un operato semplice e
silenzioso: in effetti il piccolo seme di una decina di libri era stato in grado di moltiplicarsi in
numerose realtà e in alcune di esse il fondo originario aveva dato vita addirittura alla biblioteca
popolare del paese (es. comune di Cossato → biblioteca popolare con un migliaio di volumi).
Al di là dei numeri, la vitalità del piccolo seme sparso consisteva soprattutto nelle modalità più
ingegnose e diversificate per farlo germogliare, con l'industriosità degli insegnanti e dei bambini
quali motori primari. Il progetto era riuscito a saldare il miglioramento reale delle competenze
linguistiche infantili, con la crescita della lettura anche adulta.
Al convegno romano, Paola Lombroso conobbe diverse esponenti dell'emancipazionismo
femminile, come Virginia Nathan Mieli (moglie dell'allora Sindaco di Roma), la contessa Maria
Pasolini Ponti e Gabriella Malagodi. La nuova rete di contatti diede i propri frutti e dopo soli due
mesi il numero delle bibliotechine raggiunse le 875 unità e questo permise di pensare
ottimisticamente all'ambìto traguardo del migliaio fissato all'avvio dell'iniziativa nel 1909.
si voleva organizzare una festa a Torino la prima domenica del giugno 1913, spettò alla Zia Mariù la
promozione dell'iniziativa. Nel lanciarla, Paola non ne ignorava le difficoltà pratiche di
realizzazione: tendeva a rasserenare rispetto ad altre preoccupazioni organizzative che non
avrebbero dovuto assolutamente impensierire.
I ragazzi ancora una volta non tradirono la loro fidata interlocutrice e inviarono proposte
prontamente condivise sul “Bollettino”. Accanto a idee belle, fu colta l'idea del nipote Leo Ferrero e
cioè di mettere in scena “una commedia pantomima”. Un'altra idea fu quella di organizzare un'asta
di giocattoli fabbricati da bambini capeggiati da Luisella Terzi ( scriveva alla Zia Mariù quando
faceva l'assistente nella classe dove sua mamma insegnava a 70 scolari in un quartiere fiorentino)
che aveva già messo in opera quest'idea il Natale precedente proprio per raccogliere fondi a favore
delle bibliotechine. Con l'avvicinarsi del primo giugno 1913 crebbe la volontà di conferire
all'iniziativa delle bibliotechine anche una riconoscibilità istituzionale in modo da attribuire al
progetto una maggiore stabilità nel tempo e una gestione più efficace.
L'idea di una fissa gerarchia interna e di un gruppo di soci sottoscrittori strideva con i principi di
libertà e di spontaneità di adesione che, specie nei ragazzi, andavano preservati, perché l'impegno
operoso continuasse ad essere uno stile di vita scelto e alla portata di tutti senza autoesclusioni
dovute a mancanza di disponibilità economica. Nel maggio del 1913 si definì un organigramma, nel
quale a diverso titolo rientrarono tutti gli affezionati aiutanti di Zia Mariù:
- sotto la denominazione di “consiglieri membri corrispondenti” comparvero i nomi dei ragazzi
che da molto o poco tempo svolgevano il lavoro di referenti sul territorio e ad essi si aggiunsero le
più recenti acquisizioni adulte;
- venivano riconosciuti come “soci cooperatori” tutti coloro che “con la loro opera sia pure
momentanea avevano contribuito all'incremento e alla fioritura dell'Associaizone”;
- si aggiungeva il gruppo dei “grandi aiutanti”, ovvero coloro che “hanno aiutato in modo
specialissimo alla vendita delle cartoline e alla provvigione di capitali per le bibliotechine”.

Al di sopra di tale organizzazione era posta una struttura verticistica di presidenza e di consiglio
direttivo che modificava l'assetto originario. La vera novità consisteva nella definizione di cariche
che andavano oltre la cerchia giovanile e che ponevano la stessa Paola Carrara in qualità di
Presidente a interfacciarsi con un consiglio direttivo composto per lo più da persone adulte ed
esclusivamente di sesso femminile.
Si pongono, dunque, le basi per la lenta trasformazione dell'iniziativa delle bibliotechine e del
relativo foglio informativo in una direzione progressivamente più adulta nella gestione complessiva.
Il dialogo educativo personale tra Zia Mariù e i “nipotini” diviene nel tempo un'azione

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corresponsabile tra pari all'interno di un progetto condiviso del quale ciascuno è parte viva non solo
del presente e dell'orientamento futuro ma anche della storia passata.
Il passaggio dal piano informale a quello formale dell'iniziativa, contrassegnata dal maggio 1913
con l'espressione “Associazione”, è assicurato dalla definizione dello Statuto nel quale sono
riaffermati con ordine, ma senza cambiamenti degni di nota. L'unico aspetto caratterizzato da
maggiori dettagli riguarda l'individuazione degli insegnanti destinatari delle bibliotechine.
Con lo Statuto si esprimono indicatori precisi come la preferenza per insegnanti impegnati in opere
scolastiche integrative e in attività di promozione sociale e per realtà che, anche grazie alla lettura,
era prevedibile che potessero conseguire miglioramenti nel profitto degli alunni.

La definizione di una struttura associativa stabile e i preparativi materiali per festeggiare la


millesima bibliotechina si presentarono in un succedersi vorticoso. Rapidamente si giunse alla festa
solenne del 1° giugno che si tenne presso il Castello e nel Borgo medievale all'interno del parco del
Valentino. Zia Mariù non poteva ambire a luogo più suggestivo per realizzare una gioiosa festa
all'aperto. Il sogno, maturato nell'instancabile scrittrice per quasi quattro anni, finalmente si
traduceva in realtà: non solo Paola vedeva appagata la sua idea, ma soprattutto si consolidava il
legame educativo fiduciario con i lettori.
La festa al Borgo medievale costituì anche la prima occasione di incontro reale tra molti ragazzi che

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avevano collaborato a distanza. Non tutti gli aiutanti di Zia Mariù riuscirono per l'occasione a
raggiungere Torino. All'appuntamento accorsero sopratutto i “nipotini” residenti al nord Italia oltre
ai fedelissimi torinesi e a un nutrito gruppo di maestre e di patrone biellesi, non mancarono
prolungamenti di festeggiamenti a Firenze e a Roma. Giacomo Levi Minzi e Carolina Amaldi
organizzarono un raduno a Firenze all'inizio di maggio in perfetto stile “giornalinesco” (nella stessa
città dove Vamba dal 1908 aveva fatto rivivere la “Maggiolata”.
Il ritrovo romano si svolse in contemporanea ai festeggiamenti torinesi e si concretizzò nell'incontro
con Virginia Nathan cui furono consegnate due bibliotechine di 27 volumi ciascuna destinate alle
Scuole dell'Agro Romano che la moglie del sindaco di Roma aveva l'incarico di proteggere e
migliorare.

5.3 La lettura, un orizzonte di crescita gioiosa:


un momento centrale della festa fu quello della rappresentazione teatrale, la cosiddetta Pantomima:
si trattava del testo ideato dal piccolo Leo Ferrero. Il copione fu interpretato da un gruppo di
“nipotini”. Il valore della recita va in realtà oltre la semplice opportunità di aggregazione giovanile:
attraverso l'uso ironico del linguaggio e l'incisività del contenuto si delinea uno sguardo suggestivo
ed efficace per comprendere le ragioni del felice incontro tra l'attesa infantile e l'offerta di letture
assicurate dal sistema delle bibliotechine. Mediante i voluti paradossi testuali della commedia si
manifesta la forte e risoluta richiesta di cambiamento delle pratiche di lettura scolastica.
Una certa critica anche autoironica a una pedanteria nozionistica presente nei stesti scolastici era già
stata evocata da tempo da Collodi nell'assai celebre episodio dei libri lanciati in mare e buoni
nemmeno come cibo per pesci narrato nelle Avventure di Pinocchio al capitolo 27.
nella messinscena torinese ritorna l'immagine che il libro scolastico sia “la noia e lo sbadiglio”.
E mentre i bambini si dicono “pronti alla ribellione-alla rivoluzione” se non avranno modo di
ricevere libri belli, capaci di aprire la loro giovane mente alle storie fantastiche, alle cosiddette
“fole”, nella recita fanno la loro triste apparizione le figure istituzionali del sindaco e dei
carabinieri, espressioni di un'autorità cieca e sorda a qualsiasi bisogno o esigenza al di fuori della
stretta obbedienza. Anche l'autorevole voce che si presenta come la Pedagogia, “la sublime scienza
di cui l'uomo giammai potrà far senza”.
In questo scenario parodistico si legge in controluce la critica a un'idea di scuola giudicata vecchia e
stantia, ma anche un rimprovero verso un'idea di relazione educativa autoritaria e incurante della
voce infantile. Tra ironia e provocazione si giunge ad abbozzare una rifondazione
dell'apprendimento che si desidera strutturare come accesso curioso, attivo e gioioso al patrimonio
culturale. Tale proposito è ben dichiarato dal personaggio della maestra: figura di mediazione
illuminata che tratteggia un desiderato/auspicato domani educativo nel quale si può studiare con un
po' d'allegria.
Si concretizza la possibilità di dare una svolta all'apprendimento grazie ai libri di “amena lettura”
che dietro promesse di cure amorevoli vengono donati ai bambini dalla fata dei libri. È riconosciuta
una centralità educativa decisiva alla lettura, perché l'accesso alla conoscenza può essere attività
bella e ricercata.
La parodia teatrale appare come una mirabile sintesi di modernità nel richiamare i valori educativi
dell'esperienza delle bibliotechine rurali e nell'esprimere fiducia nei riguardi dei ragazzi impegnati
in tale esperienza. Il riconoscimento giovanile del nuovo orizzonte culturale costituiva la base
perchè ciascun ragazzo trovasse un proprio spazio attivo e avesse modo di esprimere qualità
personali di apprezzamento e di dedizione. Zia Mariù parafrasava le modalità espositive espresse
dal politologo Gaetano Mosca, amico di famiglia e per lei un evidente riferimento per rigore
scientifico-metodologico, riassunte nella triade: volenterosità*, scrupolosità e fermezza. Si trattava
di riconoscere liberi spazi di responsabilità, coltivare nei ragazzi coscienziosità e tenacia come tratti
distintivi di un agire non episodico per orientarli verso uno stile di vita in grado di far fronte agli
impegni dell'età adulta e del compito genitoriale.

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Entro questa prospettiva “pedagogica” fu possibile un passaggio di testimone anche ai figli delle
prime cooperatrici di Zia Mariù, innescando un circuito virtuoso che coinvolse più generazioni fino
agli anni Trenta e con ulteriori propaggini anche nel secondo dopoguerra.

* La “volenterosità” degli aiutanti del libro per Paola Lombroso si esprimeva nel momento in cui l'adulto offriva
ai ragazzi un'opportunità, perché confidava nelle loro possibilità di operare responsabilmente. La stima e la fiducia
costituivano il primo motore per un agire giovanile carico di iniziativa e di affidabilità. La qualità della
“scrupolosità” consisteva nella “preoccupazione costante di non mancare ai propri impegni morali”. La
“fermezza” era ritenuta la capacità di operare per il fine delle bibliotechine in modo continuativo e tenace. Ciò era
riscontrabile in molti ragazzi, aiutati in tal senso dal poter coalizzare attorno a se stessi un gruppo familiare di
fratelli e cugini in grado di condividere e allentare al tempo stesso l'impegno assunto.

5.4 Diventano scrittori ed educatori tra le due guerre:


Verso la fine del primo conflitto mondiale il “Bollettino” riporta l'episodio curioso di un tenente al
fronte che si rivolse a Paola per chiedere ospitalità presso gli ospizi che lei dirigeva per il figlio di
un soldato della sua compagnia. La Lombroso, riconoscendo nella firma un antico lettore della
“Corrispondenza” e “ardentissimo adepto delle bibliotechine”, gli inviò alcuni numeri del
“Bollettino”, perché potesse scoprire “come s'era ingrandita e trasformata l'opera a cui egli aveva
dato mano con tanto fervore quand'era ragazzetto”. L'antico “cavaliere del libro” ricordò con
soddisfazione quell'esperienza trascorsa, ma ne apprezzò ancor più il valore, scoprendola ancora
viva e di possibile coinvolgimento per un adulto.
Questa testimonianza retrospettiva fa riflettere sul valore educativo che l'esperienza delle
bibliotechine ebbe per molti bambini d'inizio secolo. Essa fu uno spazio di accrescimento culturale
attraverso cui ciascun bambino era posto nelle condizioni di rivelare a se stesso di essere in grado di
operare concretamente per la costruzione del bene comune. Erano riconosciuti l'autenticità e il
valore etico-civile dell'impresa.
Non ci è dato conoscere con esattezza chi fosse il tenente del quale parla Zia Mariù. Poteva forse
trattarsi di quel Giglio Magani che tra i primi “cavalieri del libro” era stato il patrono della scuola di
Cenova e che in si era distinto per aver intrecciato un fitto scambio epistolare con gli scolari e
l'insegnante Teresita De Domicinis.
All'opposto si registrano perdite di tracce, le più diffuse, nel tempo dell'età adulta. A tale riguardo
come non pensare a quella Andreina Quadrio di Brescia: il suo lavoro assiduo aveva permesso di
avviare i fondi librari di alcune biblioteche locali, contribuendo in modo non marginale
all'elevazione culturale del territorio bresciano. Non sono finora noti molti altri elementi della sua
vita adulta dopo il trasferimento a Roma avvenuto in seguito al matrimonio con l'industriale Elio
Melli.
Queste storie non sono che alcune innumerevoli vicende umane che hanno attraversato le pagine
della “Corrispondenza”. Il tessuto della rubrica era proprio costituito dalle voci e dalle esistenze di
numerosi bambini che iniziarono a disegnare proprio allora brevi tratti di una storia personale
ancora quasi del tutto da dipingere e della quale la maggior parte delle volte non sono consegnati
alla storia ufficiale tracce documentarie o testimonianze di rilievo. Gli spazi di dialogo delle riviste
per ragazzi sono per l'indagine storiografica certamente luoghi importanti per incontrare il bambino
reale e per venire a conoscenza di frammenti di vita naturalmente mutevoli, perché esposti ad essere
rapidamente superati da nuovi eventi e interessi giovanili, ma allo stesso tempo vividi perché
intensamente vissuti. Attraverso questi tasselli è possibile ricomporre mosaici più ampi che
qualificano gli “archivi d'infanzia”. Lungo questo crinale d'indagine si situano le “istantanee” sui
lettori bambini del primo Novecento e se per ognuno di costoro siam ben lungi dal poter tracciare
un profilo biografico, tuttavia possiamo sottrarre all'anonimato diverse infanzie che hanno lasciato
nel tempo tracce e ci consentono di raccogliere qualche elemento per comprendere quale ruolo

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abbiano avuto nella loro formazione le esperienze di lettura vissute in età giovanile.

5.4.1 Leggere per scrivere tra “Giornalino della Domenica” e “Corriere dei Piccoli”:
Nel 1911 aveva attraversato la “Corrispondenza” l'esordio letterario di Noemi Coralli, fedele
aiutante delle bibliotchine anche oltre le colonne della torretta: il suo racconto Sofferenti minuscoli,
pubblicato sul “Corriere dei Piccoli” nel gennaio del 1911, fu una riuscita prova letteraria.
L'accettazione del testo dipendeva unicamente dalla direzione della rivista e Zia Mariù non aveva
alcun potere di intermediazione a tal riguardo. Il risultato fu un vero e proprio successo per la
giovane lettrice che donò parte del compenso per la causa delle bibliotechine rurali come frutto del
proprio lavoro.
Nel tempo diverse altre lettrici si mossero nella medesima direzione in modo autonomo, ma anche
incoraggiate proprio da Paola ben al di là della “Corrispondenza”. La via della scrittura si dimostra
essere un territorio privilegiato di affermazione giovanile: molti lettori delle riviste primo
novecentesche sperimentano in esse un vivace spazio di libertà culturale, di stimolo continuo oltre i
confini già definiti delle letture classiche. L'abbassamento dello scarto educativo tra editore e
destinatario, avvertibile nei nuovi periodici come “Corriere dei Piccoli” e “Il Giornalino della
Domenica”, generò più facilmente una vicinanza tra adulto e bambino.
È esemplare l'esperienza scaturita sul “Passerotto” in casa giornalinesca. Il supplemento mensile si
prefiggeva lo scopo di offrire ai ragazzi il modo di provare a scrivere novelle, poesie, cronache
giornalistiche: uno spazio specifico di modellamento creativo e per questa via si contribuiva a
gettare le basi per la formazione della futura classe dirigente e intellettuale del paese.
Il passaggio dal “Giornalino della Domenica” al “Corriere dei Piccoli” da parte dei lettori
particolarmente intraprendenti e promettenti come Aldo Fortuna, Luisa Anzilotti, Lina Crucoli,
Bianca Ottolenghi, tea Cancelli accanto a nomi che crescono prevalentemente al fianco della Zia
Mariù come Dedè Dore, Lucia Maggia e altre lettrici si cui si parlerà più avanti.
Si tratta di un fenomeno che ridimensiona la fidelizzazione esclusiva alla grande famiglia
giornalinesca da parte di alcuni lettori già adolescenti, impegnati innanzitutto a cercare possibili
canali espressivi, forse meno a sostenere la rivista. Così avvenne per Aldo Fortuna, giovane liceale
fiorentino: passò un breve periodo sul settimanale di Vamba, per poi offrire umoristici bozzetti sul
“Collodi”, e, all'inizio del 1909, il suo nome transitò nelle fila della “Corrispondenza” sia per le sue
acute proposte sia per essere l'autore di una delle più riuscite caricature della Zia Mariù.
Quello di Aldo Fortuna fu un fugace, ma intenso attraversamento sui vari periodici per ragazzi di un
lettore appassionato della scrittura oltre che dell'irredentismo e determinato ad inserirsi a tutto tondo
nel tessuto culturale del proprio tempo. Aldo Fortuna non fu solo solo un avvocato di successo, ma
anche una figura bene introdotta nell'ambiente giornalistico e letterario. Tra le varie conoscenze, vi
fu anche quella con Umberto Saba, con il quale strinse una profonda amicizia durata oltre la
seconda guerra mondiale.
Il caso di Aldo Fortuna non fu tuttavia isolato se si guarda ai fenomeni di attraversamento da una
rivista all'altra. I nomi di Luisa Anzilotti, Lina Crucoli e Tea Cancelli avevano trovato una prima
visibilità sul “Passerotto”. Di Lina Crucoli “Il Passerotto” aveva pubblicato una caricatura ironica
sulle aspirazioni militari del fratellino Orazio.
Entrambe le vivaci lettrici e autrici della famiglia giornalinesca si accostarono al “Corriere dei
Piccoli” e i loro nomi ricorrono nelle “Corrispondenza” con particolare riguardo all'iniziativa delle
bibliotechine, rimanendo infine legate ad essa anche più tardi nelle pagine del “Bollettino”.
Per Bianca Ottolenghi i primi cimenti con la scrittura sul “Passerotto” e poi come “cavaliere del
libro” sulla “Corrispondenza” si tradussero in età adulta nella scelta dell'insegnamento e nella
divulgazione del sapere attraverso la scrittura di contributi didattici.
Quanto ad Olga Antonelli, oltre alle prime promettenti prove sul “Giorbalino della Domenica”, si
registra l'adesione all'iniziativa delle bibliotechine rurali per l'area veneta. In tale ruolo sviluppò
/lodevoli doti di generosità: come avvenne nel 1909, quando girò al Patronato per i liberati dal

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carcere le 5£ che aveva vinto per il referendum centrato proprio sulle ipotesi di utilizzo di una
vincita in denaro.
Altri fugaci attraversamenti nelle pagine della “Corrispondenza” furono quelli di Tea Cancelli il cui
nome era già noto in casa giornalinesca per essere stata abbonata al “Giornalino della Domenica” e
per aver pubblicato sul “Passerotto” svariati testi e disegni collettivi insieme al manipolo degli
intraprendenti fratelli Vittoria, Ilda, Vieri Ubaldo e Giuseppe.
La scrittura di gruppo o nominale dei fiorentini Cancelli rappresenta un dato singolare all'interno
del mensile diretto da Pistelli che era notoriamente letto dai vari membri dei gruppi fraterni,
nonostante essi avessero età diverse. Ma la schiera dei Cancelli sottolinea anche la propensione
verso precoci sperimentazioni letterarie vissute come bisogno espressivo individuale e negoziato tra
pari.
Tea Cancelli seguì l'avventura delle bibliotechine rurali anche dopo l'approdo dell'iniziativa sul
“Bollettino”. Con Paola Lombroso stabilì un rapporto di stima di se, negli anni Venti la Lombroso,
chiamata da Paravia a dirigere la “Collana di Zia Mariù, riconobbe il talento di quell'antica
abbonata e inserì nella collezione La casina senza vento che raccoglieva in parte quei racconti
apparsi vent'anni prima sul celebre settimanale di via Solferino.

5.4.2 Sotto la guida di Zia Mariù:


Che Paola Lombroso avesse tra le proprie qualità quella dei individuare potenziali talenti letterari è
ampiamente confermato nella crescita di stima e di amicizia che maturò nel tempo con Adelaide
Dore, detta Dedè, a partire dalla presentazione della giovane abbonata nella pagina della
“Corrispondenza”. L'ingresso di Dedè Dore avvenne alla fine del 1910. a questa data pare di poter
far risalire il primo contatto nelle pagine del “Corriere dei Piccoli” dietro una presentazione tra il
generico e il misterioso offerta tra le colonnette della “Piccola Posta”. In breve tempo Dedè giunse a
costituire la prima decina di oltre un centinaio di bibliotechine che sarebbe stata in grado di
organizzare in circa un anno di intensa attività. Tra la fine del 1910 e l'inizio dell'anno successivo
desiderò conoscerla durante un viaggio a Roma. L'incoraggiamento verso la giovane e promettente
aspirante “vice Zia Mariù” venne subito sancito dal dono de La vita è buona che Dedè Dore
avrebbe conservato nel tempo come tra le opere più care della propria biblioteca.
La vicenda di Dedè Dore fu un caso emblematico sia nella vita delle bibliotechine per il suo
esemplare “spirito vigile, organizzatore, industrioso” e per la sua disponibilità a “lavorar con
ardore,con interesse, con entusiasmo”. Dedè incarna i profondi cambiamenti culturali che stavano
avvenendo nella formazione dei giovani del ceto medio, per i quali la lettura di giornali e riviste
costituiva una nuova modalità d'ingresso nel mondo adulto.
La dimensione dinamica e di interazione favorita dalle riviste, in altre parole, era vissuta come
nuovo orizzonte attraverso il quale veder precocemente riconosciuti talenti personali e, dunque,
sperimentare uno spazio di libertà prima non conosciuto. La più grande ambizione della giovane
consisteva nel sogno silenzioso di dirigere uno di quei fogli. Queste motivazioni sono alla base del
sodalizio/unione con Paola Lombroso e giustificano l'interesse per l'iniziativa nonostante l'età non
più bambina di Dedè. Nelle colonnette del “Corriere dei Piccoli” il suo nome risuonò con
progressiva intensità dopo la conoscenza diretta che permise di accordare quella fiducia che Dedè
Dore seppe ricompensare con tutta l'energia e i sogni che aveva custodito gelosamente nel tempo.
La sua capacità relazionale permise di attrarre all'iniziativa un gruppo piuttosto ampio di suoi
parenti, amici e conoscenti i quali a propria volta entrarono nella rete dei lettori del “Corriere dei
Piccoli” e mostrarono a vario titolo propensione verso la scrittura. Tra essi compaiono i nomi di
Tina Dore. Cugina di Dedè e che si sarebbe distinta per alcuni testi scolastici, e di Laura Serra, uno
dei pochi esempi di poetesse futuriste degli anni Trenta.
La pagina della “Corrispondenza” con il suo stile comunicativo aperto e accogliente permise alla
“Esse U” di essere riconosciuta nella sua capacità di scrittura dal forte impatto affabile/cordiale e di
possibile esempio imitativo per altre lettrici. Questo spazio di libertà espressiva fu alla base della

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presenza assidua di Dedè Dore nella cause delle bibliotechine, soprattutto quando passò sul
“Bollettino”.
Il successivo allentamento dell'impegno avvenne nella circostanza della conclusione degli studi:
dopo anni di lavoro indefesso/assiduo la vivace aiutante si convinse della necessità di concentrarsi
nello studio per conseguire la laurea in lettere nel 1914. alla festa per la costituzione delle famose
1000 bibliotechine Dedè Dore fu forse la grande assente.
L'inizio del conflitto bellico e la trasformazione dell'attività bibliotechinofila nell'”Associazione
Dieci per uno” diradò la presenza della giovane Dedè. Alla fine del 1915 ritornò a chiamare a
raccolta amici vicini e lontani per l'acquisto di cartoline illustrate per il mantenimento dei bambini
degli asili aperti dalla Zia Mariù e trasformò la propria abitazione di via Nizza a Roma in
un'improvvisata rivendita di cartoline, calendari, almanacchi e novelle per i soldati. Questa nuova
immersione a capofitto nella causa filantropica diede l'opportunità a Zia Mariù di dare nuova
visibilità alla giovane amica nel tentativo di aiutarla anche a creare nuovi contatti nel mondo
culturale per favorirne l'affermazione letteraria. L'occasione si presentò quando Giovanni Cena si
interessò alla causa dei bambini ricoverati a Villa Moris e fece presente alla Lombroso il caso di due
bambine di famiglie che versavano in gravi difficoltà e delle quali Dedè Dore si era offerta i pagare
la retta.
Con la fine della guerra si modificarono molti equilibri nella vita di Dedè Dore che sposò Giuseppe
Pintor. In breve fu a tal punto assorbita dalle cure materne dei suoi figli Giaime, Silvia, Luigi e
Antonietta; e vide annullati i suoi spazi personali. Di qui in poi non si registra più un diretto
coinvolgimento alla causa filantropica della Zia Mariù, ma il legame d'amicizia non si interruppe e,
anzi, fu la scrittrice torinese a procurarle la collaborazione al quindicinale “La Donna nei campi” e a
continuare a spronarla sulla via della scrittura. Nel 1919 arrivò la collaborazione a “L'Educazione
nazionale” diretto da Giuseppe Lombardo Radice dove pubblicò in più puntate alcune riflessioni
autobiografiche intorno alla scuola.
Negli anni Venti Dedè si avvicinò al salotto di casa Ferrero che visse principalmente come
esperienza di emancipazione del pensiero. Gina Lombroso ne apprezzò le qualità umane e
intellettuali tanto da affidarle la preparazione scolastica della secondogenita Nina.
Dimostrò di essere più nelle sue corde la proposta di collaborazione alla “Collana di Zia Mariù” che
nel frattempo Paola dirigeva per Paravia.
Al termine del 1925 nacque Dai ricordi di una bambina che, per i contenuti e per le illustrazioni di
Gugù, riportava emblematicamente indietro nel tempo a quell'esperienza unica e originale quale
erano state la “Corrispondenza” e la nascita delle bibliotechine. Si dovranno attendere gli anni
Trenta per ritrovare la firma di Dedè in calce ad alcuni racconti sul “Corriere dei Piccoli”.
Per Dedè Dore la strada della scrittura si interruppe. Rimasero invece le letture voraci e aggiornate
che amava anche accrescere e condividere con i figli Giaime, Silvia, Luigi e Antonietta. Ciascuno di
loro seppe intraprendere in piena libertà e autonomia la propria strada, rimanendo segnati dalla
personalità materna:
- Giaime, la sua precoce e inquieta anima intellettuale, troppo presto spezzata durante la seconda
guerra mondiale, fece cadere in Dedè quelle idealtà culturali che non era riuscita a realizzare
personalmente ma che con orgoglio aveva visto crescere nel primogenito quasi come un
prolungamento di sé;
- Luigi, appassionato di letteratura e di musica, prese attivamente parte alla Resistenza e nel
secondo dopoguerra fu esponente politico nella fila del Partito Comunista e giornalista dell' “Unità”
e infine fondatore del “Manifesto”;
- dopo gli studi universitari anche Silvia e Antonietta lungo percorsi diversi maturarono ideali vicini
al Partito Comunista, mentre l'anziana madre guardava i cambiamenti intervenuti con distacco
ritirato, nella coltivazione dell'antica passione della lettura.

Vi è poi un'altra figura adulta, al pari di Dedè Dore, Lucia Maggia. Fu una figura di rilievo e fuori

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dal coro rispetto alla maggior parte dei “cavalieri del libro”. Il suo ruolo andò modificandosi nel
tempo, passando da destinataria di una bibliotechina, a promotrice di molteplici iniziative per la
causa del libro, fino a coordinare un folto gruppo di scuole piemontesi. La frequentazione di Paola
Lombroso e il dialogo intrapreso attorno alla lettura furono importanti esperienze introduttive verso
la scrittura destinata al pubblico giovanile. Si ha motivo di credere che sia stata proprio Paola a
motivarla e a sostenerla nel percorso di scrittrice, aiutandola a uscire dall'isolamento nel quale la
piccola realtà di provincia rischiava di confinarla. L'occasione della pantomima per la millesima
bibliotechina e una presenza su riviste come “La Tribuna dei Piccoli” e su “Primavera” prepararono
il terreno per Farfallino e per la prima raccolta in versi di Luicia Maggia: nel maggio 1913 il
volume Rime piccoline fu presentato con appassionato sostegno sul “Bollettino delle bibliotechine
rurali”. Dunque, di quella bella opera che la valente aiutante di Zia Mariù firmava con lo
pseudonimo di Hedda, si auspicava la diffusione nelle bibliotechine scolastiche. Va letta come
l'ideale prosecuzione di quella prima raccolta la pubblicazione del ciclo di letture Serenità. Anche in
questo caso il “Bollettino” riservò parole di apprezzamento per un testo scolastico che non
rinunciava a farsi “voler bene come un libro di lettura amena” e non rimase nascosto il pieno
orgoglio di Paola Lombroso.
L'opera fu infatti tra l'esiguo gruppo di testi scolastici valutati degni di lode dalla Commissione
Lombardo Radice del 1923 e avrebbe avuto vita gloriosa fino alla naturale uscita di scena causata
dall'introduzione del Testo Unico di Stato nel 1929. tra le righe del “Bollettino” si coglie la capacità
silenziosa di Paola Lombroso non solo di tessere relazioni tra le sue lettrici, ma anche l'adoperarsi in
uno straordinario impegno di promozione culturale affinché i talenti di ciascuna germogliassero.
Nella vicenda di Lucia Maggia i colgono evidenti tracce di tale lavorio a proposito, ad esempio,
della fiaba musicale Petruccio e il cavolo Cappuccio del 1916 della quale la maestra di Cossato
aveva scritto la fiaba in versi ed Elisabetta Odone, anch'ella un'altra antica sostenitrice della causa
delle bibliotechine ancora sul “Corriere dei Piccoli”*, aveva composto la musica.
Si conferma la sensibilità polimorfa di Paola Lombroso come promotrice culturale di personalità
artistiche come nel caso di Sandra Scalero e Antonietta Romani. Il sodalizio tra Lucia Maggia e
Elisabetta Oddone sarebbe proseguito ancora per qualche tempo: nonostante la guerra, che impegnò
la giovane musicista come crocerossina. Percorsi di vita poi differenziati, e forse anche convinzioni
ideologiche non coincidenti, contribuirono negli anni Trenta ad esaurire i rapporti, nonostante
continuasse in Lucia Maggia l'interesse per composizioni musicali per ragazzi, accanto a commedie,
poesie e racconti fantastici.

* Il sostegno proveniente da Elisabetta Oddone fu per lo più economico, sia tramite donazioni
all'epoca della “Corrispondenza”, sia nella successiva iniziativa del “Bollettino delle bibliotechine
rurali”, quando non mancarono sue periodiche elargizione/donazione che dalla causa
bibliotechinofila si allargarono all'iniziativa “Dieci per uno”. In particolare nel 1915 all'avvio di tale
iniziativa Elisabetta Oddone fu nominata a capo di due squadriglie di giovani nobili della società
milanese che si fecero carico del mantenimento di un bambino ricoverato negli asili fondati da
Paola Carrara Lombroso.

5.4.3 Vocazioni educative:


Nella “Corrispondenza” sono presenti voci giovanili, le quali aspiravano all'insegnamento. Uno tra
gli esempi più rappresentativi fu senz'altro quello di Lea Toma, quell'antica fedelissima della
“Corrispondenza” che aveva indovinato la vera identità della Zia Mariù: aveva creato una rete
molto fitta di relazioni non solo tra diretti conoscenti, ma aveva altresì cercato di ampliare i propri
orizzonti, organizzando appositi incontri nella scuola superiore femminile “Giustiniani”, dove aveva
studiato. Di Lea Toma si può seguire il lavoro svolto per la causa delle bibliotechine anche sul
“Bollettino”: il suo indirizzo divenne il recapito di raccolta dei fondi per il Veneto.
Lea era ben introdotta nella società del tempo se si deve a lei la collaborazione di Filiberto Scarpelli

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all'impresa bibliotechinofila, nonostante Paola Lombroso ne avesse sollecitato la collaborazione sin
dai tempi della progettazione del 2Corriere dei Piccoli”.
È la stessa Lea all'inizio del 1913 a rendere nota sul “Bollettino”la notizia che il celebre
caricaturista aveva finalmente disegnato i modelli per la realizzazione di alcune cartoline promesse
da tempo. Ciò assicurò un rinnovato respiro alla varietà di soggetto per la vendita delle cartoline.
Coinvolse nell'iniziativa delle bibliotechine Elisa Majer Rizzioli, già impegnata nella Croce Rossa e
progressivamente riferimento essenziale per le iniziative della Lombroso nella nascitura “Casa del
Sole” ( vedi cap. 5.5). si viene inoltre a conoscenza della sua colaborazione al settimanale illustrato
“La Tribuna dei Piccoli” di Torino.
Le tracce sull'operato di Lea Toma per le biblioteche rurali terminano nel 1916 quando gli eventi
bellici assorbirono molte preoccupazioni. La giovane referente da oltre un anno non riusciva più a
raccogliere fondi e così riferisce di aver inviato alla Zia Mariù il denaro residuo rimastole dopo aver
costituito in totale l'ingente numero di 73 bibliotechine.

5.4.4 Tra giornalismo e drammaturgia:


Nell'ampia schiera di lettori del “Corriere dei Piccoli” si rintracciano altre piccole aiutanti della Zia
Mariù. Vi ritroviamo, per esempio, Wanda Bontà, di 9 anni: si tratta di una nuova e promettente
“nipotina” alla quale Zia Mariù diede subito riscontro, pur sapendo nel febbraio 1912 che la rubrica
aveva ormai le settimane contate e che con molta probabilità non avrebbe avuto il tempo per dare il
resoconto del concorso di poesia sulla mamma che bandì grazie alla piccola Wanda. Il seguito di
questa vicenda fa parte della storia della “Corrispondenza” che si interruppe proprio dalla settimana
successiva e la richiesta di Wanda Bontà rimase di fatto disattesa.
I tentativi poetici e le sperimentazioni letterarie della piccola Wanda riempirono buona parte della
sua vita adulta spesa nel giornalismo negli anni Trenta: diresse per qualche tempo il settimanale per
ragazzi “L'intrepido”, collaborò al “Monello” e nel secondo dopoguerra a diverse riviste femminili.
Inoltre, fu autrice del romanzo per signorine Signorinette che ebbe successo di pubblico fino agli
anni Sessanta.
Un percorso con analogie fu quello di Rina Pincherle, che all'età di circa 14 anni aveva confidato
alla Zia Mariù di sentirsi “cattiva” per il fatto di rifuggire dalle lunghe e metodiche esercitazioni di
pianoforte volute per lei dai genitori e aveva ricevuto parole di conforto da Paola pronta come
sempre a sottolineare in ciascun lettore i talenti positivi.
Il suo nome è tra coloro che presero parte alla festa per la millesima bibliotechina nel 1913.
Con il cognome da coniugata o con lo pseudonimo di Mona Lisa avrebbe firmato in seguito racconti
originali per l'infanzia, come Le storie di Elena e adattamenti di fiabe classiche.
Dopo una battuta d'arresto della sua produzione in prossimità delle leggi razziali, nel secondo
dopoguerra riprese un'attività giornalistica su riviste di moda e costume.
Fa eccezione il caso di Leo Ferrero, il nipote di Paola Lombroso, ideatore nel 1913 della famosa
Pantomima messa in scena durante la festa per la millesima bibliotechina. Fu quello l'esordio della
sua scrittura drammaturgica, scrisse molte opere teatrali come La chioma di Berenice e Angelica.
Quando partì per l'America ebbe un incidente che troncò la sua giovane e promettente esistenza.

5.5 Diventano intellettuali e classe dirigente:


Le letture giovanili, spesso sostenute da finalità filantropiche hanno concorso a formare quella
generazione che sarebbe diventata la classe intellettuale e dirigente nella società degli anni Venti e
Trenta.
Periodici come “Il Giornalino della Domenica” e il “Corriere dei Piccoli” erano infatti per lo più
rivolti ai figli della borghesia e dell'aristocrazia italiana. E se il settimanale di Vamba ebbe una
fisionomia marcatamente elitaria, risulta più sfumato il quadro d'insieme emergente dalla
“Corrispondenza” sul “Corriere dei Piccoli”. Qui i legami maturati attorno alla causa delle

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bibliotechine andarono a costituire nel tempo una rete più eterogenea di lettori in un intricato snodo
tra aiutanti e patroni ma anche bambini aiutati delle scuole rurali.
La via filantropica perseguita nel “Corriere dei Piccoli” contribuì in maniera rilevante a mettere in
moto nella società del tempo un processo di allargamento della base nella partecipazione
democratica.

5.5.1 Nel circuito letterario:


Il forte impegno filantropico e letterario respirato in famiglia fu senza dubbio alla base della
vicinanza al “Corriere dei Piccoli” di Carlo e Nello Rosselli che iniziarono a leggere il settimanale
milanese dall'età di 8 e 9 anni grazie all'abbonamento sottoscritto dalla madre Amelia Pincherle
Rosselli.
Non si hanno dubbi che i fratelli Rosselli siano stati fedeli e generosi lettori del settimanale di via
Solferino. Si ha notizia che regalarono le prime due annate rilegate del “Corrierino” perché
potessero essere donate alle scuole rurali: oltre a essere utile a se stessi, il giornale si colleziona per
essere ceduto al altri in seconda lettura. Le colonnette della “Corrispondenza” non riportano stralci
diretti di letterine di Carlo e Nello, ma solo notizie riassunte da Zia Mariù. Così, se non possediamo
tracce della loro viva voce, sappiamo però dal loro supporto alla causa filantropica grazie all'invio
ripetuto nel tempo di volumi e ad un operato non rapsodico (=frammentario).
Certamente l'impegno sociale materno ebbe un peso determinante nell'orientare i percorsi che Nello
e Carlo avrebbero compiuto autonomamente nel tempo e non è insensato ritenere che alcuni snodi
gravitanti attorno alla promozione della cultura nella costituzione della “Casina di Aldo” aperta da
Amelia Rosselli durante la prima guerra per accogliere bambini orfani e nella dotazione di una
biblioteca scolastica in Carnia.
La sensibilità familiare attorno al tema dell'educazione alla lettura fu senza dubbio centrale
nell'avvicinare al “Corriere dei Piccoli” altri due bambini fiorentini: Leonfrancesco e Anna Lia
Oriveto. La loro casa era un riferimento culturale nevralgico/centrale nella società culturale
fiorentina di primo Novecento che gravitava attorno alla rivista letteraria “Il Marzocco”, fondata dal
papà, il poeta Angiolo Orvieto e dallo zio Adolfo e sulla quale la mamma Laura Cantoni teneva
quell'originale rubrica di costume “Marginalia” sotto lo pseudonimo di Mrs El. Su quello stesso
periodico nel tempo avrebbe offerto un'intelligente visibilità critica alla letteratura per l'infanzia
attraverso articoli e recensioni sulla produzione editoriale rivolta al pubblico giovanile.
Nel 1907 Laura fondò la “Società per le biblioteche gratuite per le scuole elementari” di Firenze,
nella quale ella mantenne un ruolo ispettivo fino al 1921.
nel 1909 uscì il primo racconto per ragazzi di Laura Orvieto che traeva spunto dall'esperienza
compiuta con i propri bambini e che emblematicamente portò il titolo di Leo e Lia. Poteva bastare
tale dono, offerto in svariate copie alla Zia Mariù, per sostenere l'operato e per far conoscere
indirettamente ai lettori del foglio milanese qualche tratto di Leonfrancesco e di Lia in intimi
rapporti con Carlo e Nello Rosselli,coetanei d'età e di interessi, come del resto può dirsi per le
rispettive famiglie.
Si sa che questi lettori del “Corriere dei Piccoli” e “cavalieri del libro” di Zia Mariù crebbero con un
alto senso etico-civile. Se Carlo e Nello Rosselli pagarono con la loro stessa vita il loro impegno
politico, anche Leonfrancesco e Anna Lia non furono esenti da sofferenze: furono infatti vittime
delle discriminazioni razziali e all'improvviso si videro ingiustamente rifiutati da quel paese per il
cui bene avevano sognato e offerto il loro impegno sin da bambini.
Gli anni bui delle fughe e dei nascondigli per evitare le deportazioni non riuscirono tuttavia a
inaridire gli animi e, anzi, con lo stabilirsi di un assetto democratico del paese i loro nomi sarebbero
ritornati ad essere testimoni di un operato filantropico (=altruistico) per il benessere della
collettività.

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5.5.2 Nel mondo medico-accademico e politico:
Le sorelle Gatti di Firenze organizzarono una pesca di beneficenza, che divenne occasione perché
prontamente la Zia Mariù sollecitasse di estendere l'invito ad altri “nipotini” fiorentini della
“Corrispondenza” tra cui anche i fratelli Orvieto e Rosselli. Anche le cinque di figlie di Girolamo
Gatti avevano modo di poter vedere espressa in casa una forte sensibilità altruistica per l'impegno, i
cui studi erano rivolti a sostegno del benessere individuale e collettivo.
I ragazzi appartengono a famiglie del mondo accademico e letterario di altissimo livello, in cui
l'attività politica paterna è tradizionalmente ”impegnata” orientando di conseguenza i figli verso
l'attenzione per il sociale. Il caso delle sorelle Gatti può essere esteso a Gina Lustig, nominata dalla
Lombroso come una delle proprie aiutanti e a sua volta figlia di Alessandro Lustig: divenne
senatore dal 1911 e all'interno del proprio incarico parlamentare si occupò di molteplici
provvedimenti sanitari che sarebbero proseguiti senza soluzione di continuità durante ilo periodo
fascista e fino alla morte avvenuta nel 1937.
Un profilo analogo riguarda Lina Franchetti: era figlia di Umberto Franchetti, libero docente di
clinica pediatrica a Firenze e in seguito direttore dell'ospedale Mayer. Lina era una delle cosiddette
“cartoliniste”, che seguì l'operato della Zia Mariù oltre alla pagine della “Corrispondenza”.
Il panorama si amplia ulteriormente e tra le possibili convitate alla pesca di casa Gatti, Zia Mariù
nomina una certa Paola Pomarella che all'esordio della “Corrispondenza” era stata protagonista di
una lunga presentazione da parte di Paola con il nome di Paoletta Pom: aveva iniziato a leggere il
“Corriere dei Piccoli” a 6 anni e pensava fosse un'ingiustizia il lasciare a casa da sola la propria
bambola più piccola di lei, ma giudicata dagli adulti troppo grande per essere portata in vacanza.
Si trattava in realtà di Paola Levi, secondogenita di Giuseppe Levi, professore universitario di
anatomia e a propria volta maestro di tre futuri premi Nobel ( Rita Levi Montalcini, Renato
Dulbecco e Salvatore Luria). Al principio del Novecento la famiglia Levi risiedeva a Firenze dove
Paola e i due fratelli Gino e Mario avevano iniziato ad andare a scuola e a frequentare la cerchia di
amicizie familiari che gravitava attorno all'ambiente universitario. Il nomignolo Pom, con il quale
era chiamata Paola sulla “Corrispondenza” , era infatti un'espressione gergale coniata tra colleghi
medici per chiamare scherzosamente il padre a causa del colore rosso dei suoi capelli. Il tono
sempre affettuoso presente nelle parole di Paola Lombroso era dovuto al legame di amicizia con i
Levi (avevano trascorso delle vacanze assieme). Si trattò di un legame profondo e duraturo.
Il salotto di casa Carrara fu assiduamente frequentato dai levi anche durante il fascismo, come
ricorda molto bene la sorella minore di Paola Levi, Natalia Ginzburg. In Lessico familiare descrive
in modo molto intenso lo studio buio ma pieno di bambole di Paola Lombroso dalla quale durante
l'infanzia si recava spesso con la mamma. La condivisione di ideali fortemente antifascisti fu
sicuramente determinante nel 1926 per decretare che casa Levi potesse essere un rifugio sicuro per
favorire la fuga di Filippo Turati che era stato un riferimento per Paola Lombroso sin
dall'adolescenza.
L'iniziativa apparteneva al fratello maggiore Gino Levi, aiutato dall'impresa dell'ex compagno di
liceo Adriano Olivetti il quale poi avrebbe nascosto il politico a Ivrea prima di riuscire a farlo
espatriare. Negli anni Trenta è nota la vicinanza di Gino e di Mario Levi a “Giustizia e libertà” di
Carlo Rosselli e questo comportò anche l'arresto temporaneo di Gino e del padre Giuseppe accusati
di antifascismo, mentre Mario riparava in esilio in Francia.
Cultura e antifascismo furono tratti indissociabili della famiglia Levi e permearono anche l'identità
giovanile di Paola, attratta dalla cultura, dall'arte, dalla filantropia e dall'indipendenza.
Sono tratti riconoscibili anche nelle scelte di vita adulte, caratterizzate dal matrimonio con Adriano
Olivetti nel 1924. Mentre Paola Levi aveva sostenuto l'operato di Zia Mariù sin da bambina nella
“Corrispondenza” e continuò ad essere attivamente coinvolta nelle molteplici iniziative promosse a
favore della “Casa del Sole”, Adriano Olivetti venne forse a conoscenza di tale mondo tramite
l'amico Gino Levi nel corso degli studi liceali. Nel 1917 infatti il “Bollettino” registra come nuovo
ingresso nella causa benefica Adriano Olivetti. Di ben maggiore spessore fu l'intervento realizzato

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nell'ultima fase della prima prima guerra mondiale quando l'azienda Olivetti sostenne l'apertura del
quarto asilo organizzato da Zia Mariù per i figli dei soldati in guerra. I nomi di Paola e di Adriano
ritornano nelle pagine del “Bollettino” fino al termine di tale foglio informativo.
La cultura e le conoscenze di Paola Levi in campo letterario e artistico furono determinanti per
avvicinare lo schivo Adriano alla società intellettuale milanese. Furono frequentazioni che diedero
un'impronta specifica allo sviluppo imprenditoriale della fabbrica per macchine da scrivere Olivetti,
che nel frattempo Adriano aveva iniziato a dirigere, credendo fortemente nella sintesi tra capitale
umano e profitto, tra prodotti di qualità, funzionali ma anche di valore estetico.
A partire da tali coordinate, nel secondo dopoguerra la Olivetti sarebbe diventata un modello di
riferimento nell'imprenditoria per la capacità di saper promuovere cultura e solidarietà sociale
insieme a prodotti d'eccellenza. Nel frattempo l'inquieta Paola, diventata madre di tre figli, divorziò
dal marito e viaggiò verso altri legami sentimentali incontrati nel mondo letterario che tanto
l'affascinava. Infatti dopo una fugace relazione con Carlo Levi avrebbe trovato in Mario Tobino il
compagno della propria vita.
Il caso di Paola Pom introduce a esplorare la cerchia sempre più nutrita di lettori di Zia Mariù
gravitanti attorno al mondo medico e accademico. Favorisce anche il delinearsi di una geografia di
appartenenze non certo isolate nel territorio toscano ma coinvolgente un asse ideale Firenze-Torino
nella quale compaiono numerosi altri figli di medici. Essi non sono semplicemente lo specchio delle
relazioni amicali e professinali di casa lombroso, ma costituiscono il ritratto di una porzione di
classe borghese intellettuale, perlopiù ebraica, che dal Risorgimento si era integrata nel tessuto
culturale del paese. Anche in questi ambienti si registra la consuetudine educativa ad accostare alla
lettura i bambini ancora molto piccolo non solo per “sapere ma molto più di essere”. La lettura è
sottratta alle mere abilità strumentali e si colega alla gratuità di un tempo libero occupato da
interessi intellettuali tra i quali rientrano la lettura di riviste e anche una precoce attenzione per la
solidarietà sociale. La curvatura medico-scientifica di una buona parte di famiglie degli aiutanti di
Zia Mariù richiama l'apporto anche indiretto offerto all'educazione da tale ambito socio-culturale in
genere poco tematizzato in termini di formazione di una mentalità sociale di cura e di tutela del
benessere infantile. I molteplici riscontri storici evidenziati nelle riviste per ragazzi dimostrano
l'influenza esercitata dalla cultura igienico-medica che contribuì a plasmare un modus operandi
ancor prima di potersi magari manifestare in vocazione professionale. L'impegno solidaristico verso
infanzie meno fortunate si intreccia con un modo di essere giovanile nutrito di cultura e di un'etica
di matrice positivistica respirata in famiglia e tradotta in prassi per la salute sociale.
A tal riguardo i nomi nella “Corrispondenza” sono molteplici: oltre a quelli ricordati, si possono
aggiungere i fratelli Herlitzka, cresciuti in una famiglia di medici e destinato a ricalcare le stesse
orme. Enrico Boschi, uno dei più fedeli “ni-potini” della Zia Mariù che da piccolo si esercitava a
tradurre dal francese, divenne poi medico. Angelo Rabbeno divenne professore di fisiologia
sperimentale a Torino mentre la sorella Virginia continuò ad affiancare l'operato della Lombroso
sul“Bollettino”. Il caso di Virginia, detta affettuosamente Ginia dalla Carrara Lombroso, è
interessante poiché lascia emergere la condizione femminile che in qualche modo avrebbe
accomunato nel tempo diverse abbonate di primo Novecento del “Corriere dei Piccoli” prima e del
“Bollettino” poi. La crescita personale vicina al mondo medico difficilmente si tramutò in accesso
diretto agli studi in medicina, ma più facilmente si manifestò nella vicinanza elettiva. Dalla
disamina del “Bollettino” emerge non frequentemente che quelle giovani “nipotine”, una volta
diventate madri abbiano coinvolto i figli nelle stesse attività filantropiche. Si registra questo
passaggio di testimone a proposito di Elena Segre che con la sorella Adriana era una fedele aiutante
torinese di Zia Mariù.
Di cambio generazionale tra i lettori amici delle bibliotechine si può parlare anche per Isa Errera
che aveva coinvolto nella causa la madre Rita Errera Bianchini e che fece parte del consiglio
direttivo della “Casa del Sole” negli anni Venti. Di condivisione dell'impegno filantropico tra madre
e figlie si può parlare anche per Carolina Amaldi Ponti: sul foglio di Zia Mariù Carolina Amaldi

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diventa referente fiorentina insieme a Giacomo Levi Minzi, anch'egli vicino all'esperienza
giornalinesca. Saranno loro da traino per il coinvolgimento nelle bibliotechine di svariati bambini di
Firenze conosciuti attorno l'entourage di Vamba e assicureranno costanti entrate con la vendita di
cartoline e di altre iniziative benefiche. Mentre l'impegno di Giacomo Levi Minzi all'indomani della
prima guerra mondiale si diresse verso la critica letteraria sulla produzione per ragazzi in riviste
come “Leonardo” e come “La Parola e il Libro”.

5.5.3 Tra educazione e medicina: le Crocerossine:


Un'ulteriore declinazione delle interessanti sinergie riscontrate tra orizzonte medico ed educativo
riguarda l'impegno profuso da diverse abbonate, cresciute tra “Corriere dei Piccoli” e “Bollettino”,
come volontarie della Croce Rossa Italiana. L'accorto desiderio, espresso da talune abbonate di
poter avere una voce attiva nella guerra in Libia, costituisce senza dubbio una sorta di termostato
per capire l'anelito adolescenziale femminile di primo Novecento a veder affermata un'immagine
mutata del ruolo sociale della donna.
L'osteggiata partecipazione alla guerra libica contribuì di fatto ad abbattere le ultime resistenze
socio-culturali e durante la prima guerra mondiale la presenza delle infermiere volontarie della
Croce Rossa fu senz'altro un elemento di rilievo e di assoluta discontinuità rispetto al passato.
Nella fila del personale degli ospedali da campo si riconoscono anche alcune abbonate del “Corriere
dei Piccoli” che erano passate dall'impegno fattivo nella promozione della lettura in tempo di pace
ala dedizione nella cura dei feriti in tempo di guerra.
Sono giovani dell'aristocrazia o alta borghesia italiana che vissero con trasporto e dedizione l'idea di
poter contribuire ad elevare culturalmente infanzie popolari e che i venti tragici della prima guerra
mondiale indussero a una mobilità lontano da casa prima non sperimentata, nella salvaguardia del
paese e nella cura dai soldati. Sfilano i nomi della milanese Laura Confalonieri, patrona turca di
circa un centinaio di bibliotechine e una delle allieve della scuola per infermiere volontarie
organizzata nel capoluogo milanese a partire dal 1906. compare il nome della contessa Bona
Gigliucci, che aveva donato per la cause della Zia Mariù i frutti della propria arte illustrativa grazie
a diverse serie di cartoline e all'illustrazione del volume Storie vere di Zia Mariù. La discesa in
campo come volontaria della Croce Rossa al fianco della sorella Nerina fu una scelta naturale per
gli ideali respirati in una famiglia tradizionalmente impegnata per la causa nazionale sin dal
Risorgimento. Si incontra il nome della contessa Tina Fecia, un'altra benefattrice della realtà di
Cossato e sostenitrice dell'operato di Lucia Maggia. Durante la ritirata di Caporetto Tina Fecia fu
infermiera in un ospedale da campo e mantenne la propria postazione nonostante gli evidenti rischi.
Figurano anche i nomi di Marianna Denti e Bianca Mocenigo: la prima aveva autonomamente
costituito due bibliotechine in Sardegna e, la seconda, passa da benefattrice nella realtà veneziana.
Anche i nomi di Alina e Marianna Cavalieri ritornano tra sostegno alle bibliotechine e dedizione
alla cura dei malati nella Croce Rossa durante la guerra.
La tensione verso le opere benefiche le vide impegnate nella Croce Rossa in tempo di guerra e
Alina fu decorata con la croce d'argento.
Insieme alle infermiere volontarie andarono al fronte anche le cartoline delle bibliotechine, nel
senso che la lontananza dalle occupazioni quotidiane non impedì alle crocerossine di mantenere i
contatti con la Zia Mariù e di sfruttare la risorsa delle cartoline illustrate per allietare le ore di
sofferenza di feriti che avvertivano il desiderio di comunicare con i propri cari. Mentre l'operosità di
molte abbonate, che rimasero a casa, si adattò nek cucire e rammendare abiti, nel confezionare
pacchi e in genere nel provvedere a beni di prima necessità.

5.5.4 Lungo la via: impegno:


Nella panoramica di “istantanee” infantili sottratte almeno in parte all'anonimato si coglie un
processo di crescita che tende a ruotare attorno all'esperienza bibliotechinofila della Zia Mariù in
maniera piuttosto coesa fino alla prima guerra mondiale e l'emergenza nazionale sprona numerosi

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abbonati a vivere la dimensione filantropica come un aiuto concreto per il paese.
Le interpretazioni storiografiche circa quel periodo ha messo in crisi le coscienze e ha fatto
emergere una complessità di problemi non risolti che avrebbero trovato nuovi ancoraggi nella
temperie variegata e nebulosa degli anni post bellici fino a condurre al ventennio fascista. In questi
anni perigliosi i nipotini della Zia Mariù diventano in buona parte adolescenti e delineano le loro
scelte personali e professionali.
È senz'altro evidente il tratto dell'affermazione per lo più femminile nella via della scrittura e in
modo elettivo nel settore della letteratura per l'infanzia. Si tratta di processi che tendono a
distinguersi nettamente man mano che l'iniziativa delle bibliotechine viene traghettata dal “Corriere
dei Piccoli” al “Bollettino” convogliando attorno a sé un pubblico che nel frattempo diviene adulto
e che si allarga alla cerchia di rispettivi amici e conoscenti. La vicinanza maschile alla torretta di
Zia Mariù si realizza spesso nella forma del coinvolgimento fraterno tra piccoli e grandi in un
mutuo aiuto di ruoli e di apporti personali. Rimangono fedeltà maschili nel tempo, soprattutto
quando cresce una sensibilità per il benessere dell'infanzia che si traduce anche in scelta
professionale. Inoltre si registra il continuativo interessamento di giovani adulti, come Giuseppe
Ernesto Nuccio, Manfredo Baccini e Giacomo Levi Minzi; accanto a loro si figura Luigi Brunelli:
divenne una colonna portante nell'organigramma delle bibliotechine fino agli anni Venti.
Nella loro complessità i tasselli di cammini personali ritrovati consentono di ricostruire una parte di
rilievo del mosaico giovanile ai primi del Novecento e sottolineano l'evoluzione di un mondo
artistico e borghese di intellettuali e di filantropi che è andato inesorabilmente differenziandosi tra
le due guerre pur avendo percorso un sentiero unitario per diversi anni.
La filantropia di Elisa Majer Rizzioli e di altre aristocratiche crocerossine tenderà a coniugarsi con
gli ideali del fascismo. All'intenro di tale ideologia la donna si ritaglia uno spazio nei fasci
femminili e più in generale di azione al servizio di un nazionalismo imperante. In altri casi sarà il
mondo industriale e finanziario a stabilire collegamenti e a dare sostegno al nascituro fascismo. È il
caso di Cesare Goldmann, padre di Lia Goldmann che era riferimento delle bibliotechine in area
milanese: egli sostenne economicamente l'ascesa di Mussolini, finanziando la nascita dei Fasci di
combattimento e l'affermazione del quotidiano “Il Popolo d'Italia”. Non risulta che la giovane Lia
fosse estranea a tale rete di relazioni. Accompagnando il padre in ricevimenti pubblici, fu infatti
omaggiata ad esempio da Filippo Tommaso Marinetti. Nella medesiman direzione si orientano
figure carismatiche come Lolla Leonardi, tra le più accanite sostenitrici della discesa in campo delle
ragazze nella guerra in Libia. L'esigenza femminile di avere un peso reale nella società si coniuga
con posizioni sostanzialmente gerarchiche, conservatrici ed elitarie che avrebbero trovato
legittimazioni diverse nell'ideologia fascista e sostanzialmente distanti dalle linee guida prospettate
all'inizio del secolo dalla Zia Mariù.
I percorsi di crescita e di vita segnalati individuano la fisionomia di una generazione di giovani
borghesi e nobili di primo Novecento dai forti slanci vitali e propositivi che ha cercato di continuare
a mantenere desto un impegno civile vissuto come dovere morale. Fa capire il valore
dell'accompagnamento nella crescita e come esso non possa mai dirsi concluso, specie quando
bruscamente e drammaticamente si interrompe per il sopraggiungere di eventi laceranti come è
avvenuto per la Grande Guerra. L'educazione alla libertà individuale prospettata sul “Corriere dei
Piccoli” nel dialogo con i lettori bambini e rimandano ad assunzioni di responsabilità diverse
maturate in ambiti familiari dai profili non omogenei.
Le curvature verso posizioni vicine al fascismo fanno parte di un mosaico pluriprospettico del quale
occorre tenere conto per non incorrere in banali schematismi riduzionistici.
Il “Corriere dei Piccoli” e poi il “Bollettino” si sono qualificati come straordinari dispositivi di
educazione alla lettura tra i ragazzi e soprattutto di promozione di nuovi lettori concorrendo a
strutturare per un verso nuove generazioni di scrittori che hanno dato un apporto significativo allo
sviluppo della letteratura per l'infanzia nel Novecento. D'altro canto, nella relazione sinergica con le
scuole le riviste hanno sostenuto la classe magistrale a prendere coscienza della centralità del

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leggere e della possibilità che un circolo vizioso di degrado e di emarginazione potesse essere
superato. La speranza di nuovi orizzonti di alfabetizzazione si configurò come una possibilità di
emancipazione che ciascuno era chiamato a coltivare ulteriormente.
All'interno degli innumerevoli elenchi di bibliotechine spedite alle scuole nel 1910 si trova il nome
di una maestra allora ventitreenne: Rina Nigrisoli, della sua “Scuola serena” se ne sarebbe
interessato negli anni Venti Giuseppe Lombardo Radice che ne apprezzò la sperimentazione
didattica inscrivibile nelle nuove frontiere dell'attivismo.
Nel tentativo di voler dare un volto ai tanti nomi gravitanti attorno all'iniziativa delle bibliotechine
rurali, fatica a cogliere i processi di crescita degli scolari delle scuole di campagna. La loro
estrazione popolare quasi mai consegna tracce di storia ufficiale e solo ricerche di microstoria locale
potrebbero restituire qualche elemento oltre le istantanee di frammentarie letterine inviate al
“Corriere dei Piccoli”.
Le potenzialità generative del progetto si rivelano nei cammini personali dei giovani lettori di primo
Novecento e spesso dei loro figli. Questo ideale passaggio di testimone fa capire che il senso
educativo profondo di quella prima esperienza nata quasi per caso sul “Corriere dei piccoli” non si è
perso. Ha continuato ad alimentare nuove idee e forme attraverso le quali nel corso del Novecento
si sono accompagnati i ragazzi sulla via sempre nuova e affascinante della conoscenza pienamente
umanizzante.
Questo è un lascito culturale ed educativo profondo che le riviste per ragazzi hanno consegnato alla
storia e che continua a interpellare ognuno di noi per la disarmante attualità educativa e per il
monito silente di continuare a credere nel valore della formazione del lettore bambino.

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