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Ian Watt Il pubblico dei lettori e il sorgere del romanzo

Il saggio fondamentale del critico Ian Watt è Le origini del romanzo borghese che rappresenta un
punto di riferimento sia per la riflessione critica sul romanzo, sia per le ricerche di sociologia della
cultura e dell’editoria.
Di famiglia mezzo scozzese e mezzo francese, ottenne una borsa di studio grazie al quale iniziò a
studiare i rapporti tra l’affermarsi del romanzo in Inghilterra nel XVII secolo e l’ampliamento del
pubblico dei lettori in quello stesso periodo. Mentre stava continuando il suo lavoro di ricerca alla
Sorbona, Watt venne chiamato alle armi e spedito sul fronte asiatico. In guerra venne dato per
disperso mentre, invece, era caduto prigioniero dei giapponesi che lo mandarono a lavorare in
Tailandia insieme ad altri prigionieri.
Quando viene liberato, nel 1945, Watt stremato dalla fatica e dalle malattie è ormai ad un passo
dalla morte. Impiega circa un anno a riprendersi e riesce ad ottenere il dottorato e trasferendosi in
Nord America dove insegna in prestigiose università. Watt si fa notare anche per l’opposizione
politica alle invasioni americane del Vietnam e della Cambogia.
Il critico franco-scozzese pubblica Miti dell’individualismo moderno. Faust, don Chisciotte, don
Giovanni, Robinson Crusoe. Egli studia personaggi laici che si collocano nella modernità: i quattro
personaggi sono non a caso tutti stati oggetto nel corso dei secoli di infinite riscritture. Ciò dimostra
che essi hanno saputo cogliere alcune tendenze profonde dell’immaginario collettivo, per il quale
possiedono un significato assai profondo. Tant’è vero che più o meno tutti usiamo espressioni come
“patto faustiano”, “fare il dongiovanni”, “lottare contro i mulini a vento”, “atteggiamento
donchisciottesco”.
Faust rappresenta infatti “l’Io solitario contro il tempo”, Don Chisciotte “l’interiorizzazione
psicologica dell’azione”, don Giovanni opera un capovolgimento delle “ideologie fondate sull’onore,
l’amore cortese e la cavalleria e Robinson è dominato “dalla ricerca razionale del suo vantaggio
materiale”.
1) Il realismo e la forma del romanzo
Il metodo di Watt è molto originale, infatti mette quasi del tutto da parte gli aspetti tematici,
prendendo in considerazione soprattutto l’interazione tra le strutture formali e il pubblico. Egli
mostra come la novità del romanzo moderno sia il suo realismo, mettendo in luce come l’idea stessa
di una corrispondenza tra opera letteraria e realtà sia un problema essenzialmente epistemologico:
per questo egli ritiene che non si possa propriamente parlare di romanzo moderno prima dei
romanzi inglesi del Settecento.
Watt analizza in profondità i presupposti filosofici che stanno dietro l’avvento del realismo
romanzesco. Anzitutto, esso sarebbe inconcepibile senza l’affermazione che la verità può essere
scoperta dall’individuo mediante i sensi.
A questo punto Watt ricostruisce le linee portanti del realismo affermando che l’insistenza sulla
novità dell’esperienza va di pari passo con il valore dell’originalità: un’affermazione che fa tutt’uno
con la novità dei contenuti del romanzo (non a caso novel in inglese).
Inoltre il romanzo pone uno speciale accento sulla “particolarità”, rappresentando persone
particolari in circostanze particolari invece che, come in passato, dei tipi umani generali in situazioni
determinate dalle convenzioni letterarie.
Watt mostra il nuovo individualismo che sorregge il realismo trovi una fondamentale affermazione
nella scelta dei nomi propri dei personaggi: sono infatti pensati in un modo tale da suggerire
individui particolari. Es. Pamela, Moll.
Anche il tempo e lo spazio acquistano concretezza e precisione insieme all’individualizzazione dei
personaggi. Il suo realismo formale favorisce anche l’avvento di un più vasto pubblico. 2) Il pubblico
dei lettori e il sorgere del romanzo
L’indagine filosofica e letteraria si salda con le considerazioni sociologiche ed economiche. Alla base
dell’ascesa del genere romanzo, destinato a dominare il sistema letterario dell’Occidente, c’è la
spinta a costruire testi letterari dominati non più dalla tradizione ma dall’esperienza reale. Watt
raccoglie dati che mostrano il massiccio aumento del pubblico inglese nei primi decenni del
XVII secolo. Egli ricorda come l’alfabetizzazione fosse limitata, anche per pregiudizi ideologici: non si
riteneva affatto giusto che tutti sapessero leggere. Con ogni probabilità l’aumento delle vendite di
romanzi ha a che fare con un aumento del benessere dei ceti medi.
Questa dinamica sociologica è evidentemente anche in rapporto col fatto che la lettura si colloca nel
tempo libero, anche per questo la lettura si caratterizza come attività femminile. L’aumento di
disponibilità di tempo libero è dovuto al fatto che molte antiche attività (come tessere e fabbricare
generi di prima necessità) vengono soppiantate da produzioni industriali. Le donne potevano
partecipare a ben poche delle attività dei loro uomini e non era normale si interessassero di politica,
affari, bere o cacciare dunque avevano una gran quantità di tempo libero.
Inoltre il Settecento è il secolo in cui nasce anche il moderno giornale: l’esigenza di produrre grandi
quantità di copie chiama in causa anche l’aspetto imprenditoriale dell’avvento del romanzo e il
passaggio dagli antichi stampatori ai moderni editori.
Un ultimo aspetto su cui Watt concentra l’attenzione è l’aumento delle dimensioni dei testi: i
romanzi infatti sono caratteristicamente testi lunghi, sia a causa della “estrema ricchezza di
particolari nelle descrizioni e spiegazioni” sia perché scrivere in modo tautologico aiutava i lettori
meno educati a capire.
Un altro motivo era che precedentemente l’insegnamento era casuale e intermittente. Non esisteva
un sistema scolastico ma una rete di vecchie scuole elementari sussidiate e di carità. Erano richieste
tariffe che spesso la classe popolare non poteva permettersi. Inoltre nelle città n altro fattore
negativo era il crescente impiego di bambini dai 5 anni in su nel lavori industriali.
Un altro fattore che limitò l’alfabetizzazione era la mancanza di un incentivo a imparare. Saper
leggere era necessario solo a chi era destinato a occupazioni da classe media, commercio, libere
professioni e poiché è un processo psicologico difficile è probabile che solo una piccola frazione delle
classi lavoratrici si sviluppasse in membri del pubblico dei lettori.
Ragioni economiche, alla metà della popolazione mancava il necessario per sopravvivere. Vivevano
così prossimi al limite della sussistenza da non poter sprecare soldi per lussi come libri e giornali.
Anche l’alto costo dei libri nel Settecento rafforza l’importanza del fattore economico nel restringere
il pubblico dei lettori.
Altre difficoltà erano la poca intimità delle abitazioni, che erano inconcepibilmente sovraffollate e
non vi era spesso luce per leggere e le candele erano considerate un lusso.
Vi erano però due ampi gruppi di persone povere che avevano il tempo e l’opportunità di leggere: gli
apprendisti e i domestici. Aveva tempo libero e luce, vi erano liberi nelle case ove servivano o una
parte del loro salario poteva esser dedicato ad essi. Inoltre avevano maggiore probabilità di essere
contagiati dall’esempio dei loro superiori.
Defoe e Richardson, che erano in diretto contatto coi nuovi interessi e le nuove capacità del
pubblico dei lettori, costituirono due importanti profili per i lettori.
Robert Escarpit Successo e durata delle opere letterarie
All’inizio della sua carriera Robert Escarpit, la sua prospettiva specifica è quella della sociologia della
letteratura, come un’opera viene percepita attraverso analisi del campo (ricerche, questionari,
interviste ecc.). Da un lato è attento alla dimensione letteraria dall’altra teso a collocare la
letteratura nel contesto in cui nasce. Intanto fa nascere al cosiddetta Scuola di Bordeaux. Marxista
dichiarato, scrive un’opera nella quale afferma che la letteratura, o meglio la comunicazione
letteraria, vive necessariamente in uno spazio a tre dimensioni: gli scrittori, le opere e il lettore.
Anche per Escarpit, come per Sartre, il libro esiste davvero quando viene letto. Ma la ricchezza del
metodo sociologico di questo studioso sta nell’attenzione alle concrete circostanze economiche
della diffusione del libro: cioè nello studio della ricezione, della diffusione del libero e della
produzione editoriale.
Escarpit dà una prima formulazione sistematica delle sue idee ne Sociologia della letteratura, dove
dispiega la pluralità degli approcci che ritiene necessari a comprendere il fenomeno della
comunicazione letteraria. Egli punta sulle caratteristiche dei mezzi attraverso cui si realizza questa
comunicazione, analizzando in particolare il ruolo dello scrittore nella modernità.
Escarpit nega che la civiltà del futuro sia destinata a essere audiovisiva: il libro ha caratteristiche e
funzioni specifiche che gli permetteranno di sopravvivere, sia pure modificando il proprio ruolo. Egli
descrive il funzionamento del testo letterario all’interno del sistema della comunicazione, a partire
dalla consapevolezza che il testo è sempre polisemico, cioè strutturalmente dotato di una pluralità di
significati, alla quale si somma la molteplicità delle interpretazioni possibili. La specificità della
letteratura risiede nella possibilità di essere tradita senza essere distrutta, cioè di essere letta e
interpretata in cotesti sempre nuovi. In questa chiave Escarpit approfondisce il concetto
fondamentale della duplicità della scrittura: che è sempre cosa e significato, cioè linguaggio, in
quanto fatta di parole ma anche oggetto estetico di concreta fisicità. Dal conflitto tra queste due
dimensioni nasce un sur significato, a caricarsi di significati aggiuntivi.
Escarpit cura un’importante antologia, Letteratura e società che può essere considerata una specie
di manifesto della Scuola di Bordeaux.
Escarpit mostra come la diffusione dei testi letterari dipendano da una complessa molteplicità di
fattori: per quanto pensati per durare in eterno, i testi letterari muoiono abbastanza in fretta, salvo
eccezioni. I testi vivono in relazione a determinati fattori di diffusione e soprattutto a determinati
pubblici, cioè a contesti socio-culturali in grado di accoglierli. Più specificatamente, Escarpit affronta
il problema della natura ambigua del libro, in quanto al tempo stesso prodotto commerciale,
sottoposto quindi a leggi economiche, e processo culturale, sottoposto alle dialettiche dei processi
comunicativi.
Il libro di letteratura si rivela segnato da alcune contraddizioni fondamentali: anzitutto lo scrittore
dovrebbe essere considerato come un “fornitore di materia prima” e la tempo stesso di “prodotto
finito”. In secondo luogo, ogni libro è diverso dagli altri, e non può essere assimilato ai libri già
conosciuti. Il caso limite è quello dell’editore che produce libri d’arte, destinati a esser conservati
sugli scaffali, facendo quella che Escarpit definisce una “editoria di conservazione”.
L’editore può poi ricorrere alla pubblicità che prepara il pubblico diffondendo l’immagine dell’autore
come “immagine di successo” e offrendo i suoi libri come valore sicuro. Da qui nascono la tendenza
degli editori a spingere gli autori di successo a continuare a scrivere opere simili a quelle che hanno
già avuto successo, con il risultato di un logorio, di una diminuzione di valore delle opere.
L’editoria è un’industria obbligata alla sperimentazione: è chiaro che sperimentare è rischioso e che
i libri troppo nuovi rischiano di non essere venduti, ma d’altra parte il senso della intrapresa
editoriale sta anche nello scommettere su autori non ancora affermati. Un editore deve così creare
la sua forza, insieme economica e culturale, attraverso la costruzione del cosiddetto “ catalogo”: cioè
un catalogo con molti titoli di valore, destinati a vendere anche poche copie all’anno ma per molti
anni.
Cita un’altra ricerca statistica, condotta da Lehman, che cercava di individuare “l’età della migliore
prestazione” nei diversi campi dell’attività umana con l’intenzione di fondare una teoria generale
della creatività in funzione dell’età. Escarpit li considera come dati relativi al momento in cui lo
scrittore viene riconosciuto come tale da un gruppo sociale. Da qui muove l’ultima parte del
discorso, che indaga sul rapporto tra la sopravvivenza degli scrittori nella memoria collettiva. Il
successo, secondo Escarpit, è legato a gruppi sociali o generazionali. Un altro fenomeno è che i libri
ricordati siano libri anche effettivamente letti: Escarpit mostra come noi conosciamo la letteratura
per sentito dire molto più che mediante la lettura. Anche uno studioso colto può leggere solo una
minima parte delle opere che “conosce” ma anche il “sentito dire” consente ai libri di sopravvivere.
AP:
Escarpit invita a rifiutare la mitologia secondo cui i consumi si contrastano, in realtà secondo lui
interagiscono ma in maniera estremamente complessa.
Sottolinea in continuazione che il libro è un oggetto strano, perché “ha un forte statuto simbolico e
un debole statuto economico”, è un prodotto con una dimensione economica problematica.
1) Cos’è un editore? Cosa fa?
L’editore che nasce con un’evoluzione tecnologica delle macchine tipografiche, di solito non le
possiede perché appartengono alle industrie tipografiche.
L’editore moderno è una figura che coordina le produzione che avvengono altrove, è un
imprenditore.
2) Perché il libro è un prodotto speciale?
Ogni libro si colloca in una filiera economica ma è un prodotto peculiare perché ognuno è diverso
dagli altri. Gli editori sono chiamati a una produzione in cui devono controllare il margine di rischio
perché i prodotti devono essere apprezzati dal pubblico, allora tendono a riproporre gli autori più di
successo.
L’editore deve mettere in gioco una strategia di controllo del rischio, l’editoria è un tipo di industria
che ha una struttura peculiare che gli economisti chiamano schema ad Ipsilon: all’entrata ci sono vari
produttori delle materie prime e dall’altro l’autore (materia prima). Lo scrittore è un anello debole
della produzione, l’autore viene pagato poco e dopo. Si viene pagati a diritti d’autore, tra il 5 e il 10%
lordi sul prezzo di copertina.
L’editore deve gestire un’attività in cui vive una doppia natura: è al tempo stesso un prodotto e un
fatto culturale, un oggetto e un testo. Differenti tipologie di editore
Il piccolo editore spende sugli esordienti e l’editore più grosso lo fagocita dopo con la seconda opera
raggiunge successo.
La strategia dell’editore tende a costruire un catalogo, l’insieme dei titoli che un editore ristampa o
tiene attivi, continua a stampare a fa circolare.
Le dinamiche di fondo del processo editoriale sono economicamente fragili, Escarpit pone il
problema concreto dell’uscita: perché vivono i libri? Quanto e come?
Utilizza due ricerche, una francese di fine ottocento di Alfred Odean e una ricerca americana di
Lehman sull’età della prestazione più efficace.
- Qual è l’immagine sociale della letteratura?
Escarpit riprende la ricerca di Odean che identificava i letterati conosciuti in Francia ed afferma che
la letteratura è “gli autori percepiti”. Perché si percepiscano gli autori è necessario che qualcuno ce
ne parli.
Si parla di un insieme di testi dagli autori che sono presenti nella memoria collettiva e sono un
migliaio.
- Qual è la sopravvivenza della letteratura?
Escarpit prende i mille autori citati da Odean, citati come i più ricordati, e li confronta a quelli della
biblioteca National de Paris affermando che gli autori comprati e catalogati sono 100 volte di più di
quelli che ricordiamo, tasso di mortalità del 99%.
La seconda inchiesta di Lehman è un’inchiesta sull’età della miglior performance, più efficace. Gli
scrittori sono più performanti intorno ai quarant’anni ma Escarpit lo contraddice e ne trae un’altra
conclusione: gran parte degli scrittori che hanno certo successo lo hanno dalle parti dei quarant’anni
perché è il tempo del riconoscimento sociale, perché quelli che hanno esordito più giovani sono
abbastanza maturi ma non ancora vecchi, hanno esperienza e soprattutto un pubblico che li conosce
e li riconosce. C’è un gruppo sociale e generazionale che ne riconosce il valore.

Auerbach Biografia
Auerbach è un critico e filologo romanzo (di lingue neolatine) e appartiene a una straordinaria
tradizione di filologi tedeschi. E’ l’altro padre della stilistica, in cui gli elementi formali e linguistici
vengono analizzati in modo tale da raggiungere la coerenza a cui questi elementi aspira. Vengono
interpretati in funzione dell’unità e si cercano di notare i dati linguistici ricorrenti che formano delle
costanti.
Auerbach lavora sulla stilistica ma adopera un metodo a cerchi concentrici, parte da un’analisi di un
testo e poi l’interpretazione linguistica si allarga prima verso gli altri testi di quel periodo, poi verso la
cultura che gli ha generati, poi il contesto socio-politico e infine la dimensione economica.
Analisi formale che apre la possibilità di collegare letteratura e società.
Auerbach analizza per esempio La noia nel romanzo Il bianco e il nero di Stendhal.
Ogni forma estetica, i dettagli linguistici dei testi sono delle strutture formali che mettono in gioco
delle esperienze reali e quindi la loro specificità. Esperienze che sono in relazione con un certo modo
di guardare la realtà.
Auerbach si occupa anche di Dante, in un saggio intitolato Figura mostra la concezione cristiana della
Commedia secondo cui gli eventi della vita mondana sono anticipazione di quella che sarà la vita
eterna.
Quale tipo di conoscenza ci da la critica letteraria?
A quale tipo di conoscenze conducono le scienze umane? Che legittimità hanno?
Auerbach afferma che la critica letteraria è un tipo di sapere che si colloca tra lo studio e l’arte
stessa, la sua artisticità non è qualcosa che bisogna interpretare irrazionalmente ma è forma di
storiografia (consapevolezza del momento storico). Il soggetto della conoscenza va storicizzato e
relativizzato, il sapere delle scienze umane è un sapere in cui si mettono all’opera categorie
condivise che rimandano a diverse collettività a cui appartengono i critici. Il critico è un interprete
che ha dei parametri che si costruisce attraverso le letture e che diventano parte di una comunità
scientifica.
La critica letteraria ha una particolarità e cioè si occupa di uomini, di altre esistenze, ed è possibile
perché oltre ai parametri condivisi ci occupiamo di un oggetto che è il soggetto umano stesso, quindi
siamo in grado di rapportarci alle esperienze altrui.
Auerbach propone la critica letteraria come una forma di storiografia, lui sostiene che sia necessario
fare storiografia letteraria evitando di ricadere nel fare un grande racconto in cui entrano in gioco
tanti elementi disparati. Vuole stabilire una gerarchia precisa ed è convinto che la totalità possa
essere compresa solo attraverso i dettagli.
Mimesis
Pubblicato nel 1946 e scritto in condizioni abbastanza difficili, fu costretto a scappare dalla
Germania nazista e si trovò ad Istanbul a studiare in università turca priva di testi. Decise per questo
di scrivere una storia della letteratura dell’Occidente che andasse da Omero fino alla fine della
SGM (Virginia Woolf). Costruisce un’indagine che attraversa 3 millenni perché non ha la possibilità di
fare tanti studi preparatori.
Analizza i testi direttamente: prende dei campioni di testo, lavora sui dei dettagli, sviluppa così
un’analisi locale e a partire da questa comincia ad allargarsi e mostra delle prospettive che
rimandano alla rivoluzione complessiva di quel tempo.
Mimesis è la storia del realismo. Egli mostra in che maniera l’occidente letterario ha saputo
rappresentare una modalità espressiva spregiudicata nei confronti del reale.
Auerbach studia attraverso i suoi autori le diverse concezioni della realtà e le possibilità di mettere in
scena queste visioni della realtà attraverso un’indagine sullo stile dei diversi autori.
Questo percorso ha portato al crollo al sistema dei generi e degli stili, con un rapporto vincolato e
fisso di poetica prescrittiva tra forme e contenuti. Ci ricorda che la Rota Virgili, la ruota di Virgilia non
viene più seguita: l’Eneide ha uno stile sublime, lo stile intermedio comico-mediano delle Georgiche,
quello basso inferiore o umile delle Bucoliche.
Auerbach pone un problema sul senso dello specialismo, è chiaro che esiste una critica erudita ma
qual è quella che serve e che di da una conoscenza spendibile nella realtà?
Si domanda a che cosa serve e a chi la critica, discorso sulla funzione sociale della critica, della
letteratura e sulla sopravvivenza della letteratura.
Hans Robert Iaus
Iaus dà luogo a una prospettiva interpretativa definibile la Terza via. Fonda la scuola dell’Estetica
della ricezione nel 1967.

Perché la storia della letteratura?


Iaus è un filologo romanzo che vuole fare storia della letteratura ma parte dalla premessa che la
nuova voga della critica formalistica non c’entri il suo obiettivo. La terza via è a metà tra l’Estetica
della produzione (storicismo marxista) e l’Estetica della rappresentazione (dei testi, formalismo)
propone dunque un’Estetica della ricezione.
- Il lettore
Iaus ricorda che la comunicazione letteraria è una dinamica complessa nella quale la ricezione non è
un aspetto accessorio ma necessario perché il crearsi del significato, la sua attualizzazione, avviene
sempre e soltanto attraverso dei lettori. Le opere senza lettori hanno un’esistenza soltanto virtuale,
per cui le diverse interpretazioni non sono un accessorio perché cambiano l’opera.
Iaus insiste sul fatto che il lettore è un interprete che di volta in volta conferisce significati nuovi
all’opera, che possono essere messi in relazione con i significati che sono stati dati prima.
Sottolineare il fatto che il lettore è un interprete non vuol dire dare a lui una libertà assoluta perchè
lavora a partire da qualcosa che preesiste. Il lettore è qualcuno che deve rendere proprio qualcosa
che apparteneva a qualcun altro. - La verità
Il punto di riferimento di Iaus è Gadamer, padre della filosofia ermeneutica, la cui opera più famosa
è Verità e metodo. La verità non è mai qualcosa di astratto che sta in una dimensione altra ma è
sempre frutto di un dialogo con le esperienze degli altri. Di fronte ai testi abbiamo degli “orizzonti
d’attesa” domande che la nostra cultura ci impone.
Iaus polemizza con autori che avevano insistito troppo sulla funzione critica e affermavano che
questa dovesse attivare un’attitudine razionale. Iaus ricorda però che laddove c’è letteratura non è
sufficiente parlare di aspetto razionale e intellettuale ma anche di una dimensione emotiva. - Sette
tesi
Iaus esprime sette tesi come proposta:
1) Ricezione dell’estetica
Lancia l’ipotesi e la necessità della ricezione dell’estetica, come un dato che va messo in relazione
con un dialogo tra i testi stessi e i lettori. L’orizzonte d’attesa è qualcosa che si percepisce nella
struttura stessa dei testi e a cui è necessario far riferimento per studiare i testi. Iaus studia dei
concreti orizzonti d’attesa, dei testi che mostrano che cosa il pubblico di quei tempi si aspettava da
quelle opere.
Gli aspetti principali sono il genere, il confronto e la lingua (opposizione tra lingua pratica e artistica).
2) Il successo delle opere e la capacità di durata
Iaus mostra che spesso nella storia letteraria alcune opere che aderiscono all’orizzonte d’attesa non
hanno successo al momento ma nel tempo diventano dei classici.
Iaus si sofferma sull’esempio della letteratura francese, nel 1857 vengono pubblicati Le fleurs de mal
e Madame Bovary.
Nel 1857 esce anche la Fanny, opera tematicamente assimilabile a Bovary, entrambe con struttura
provocatoria ma soltanto Flaubert raggiunge successo e viene poi processato per i contenuti. Il
problema non era parlare di sesso apertamente ma farlo in un testo letterario di alto livello.
Lo stile di Feidot (Fanny) era molto più semplice ed ebbe un successo pressoché istantaneo che però
si esaurì nel giro di pochi anni. Flaubert invece rispondeva all’orizzonte d’attesa ma lo spingeva ad
una direzione nuova e venne letto da un pubblico minore ma è divenne un classico.
Madame Bovary ha creato una distanza estetica per cui all’inizio era poco accettabile e con il tempo
è penetrato nel sistema letterario, fino a diventare un modello dominante e infine un grande
classico.
3) Distanza estetica
Il carattere innovativo di un’opera si relazione all’orizzonte d’attesa, Iaus afferma che la capacità di
un’opera di ristrutturare l’orizzonte d’attesa, di cambiare il contesto, è una capacità che ha la stessa
misura del valore estetico.
In seguito corresse questa concezione del “più è nuovo più è bello perché troppo avanguardistica”.
4) La differenza ermeneutica
Iaus ha un modello storiografico che afferma che nella storia vi è discontinuità, noi siamo sempre nel
nostro tempo per cui leggeremo sempre in maniera diversa l’opera di un differente momento
storico, perché entra in gioco una differenza ermeneutica. Davanti a qualunque testo bisogna
dunque rispettarne la storiografia ma anche studiarlo. Non possiamo diventare altro da quello che
siamo e leggiamo tutto dalla prospettiva del nostro presente e questo contribuisce alla ricchezza del
testo stesso. Siamo chiamati al rispetto e al non rispetto.
5) Rinnovamento del testo letterario in prospettiva diacronica 6) Rinnovamento del testo
letterario in prospettiva sincronica 7) Rapporto tra esperienza della lettura e realtà
Iaus pone questo problema in chiave anche etica, in senso largo politico. Le nostre esperienze
letterarie ci spingono ad un cambiamento, ad un mutamento d’orizzonte, il costituirsi dei testi entra
il reazione complessa con la società.
La storia della Scuola di Francoforte Benjamin e Baudelaire
La scuola di Francoforte, e in particolare due autori, hanno sviluppato una critica molto radicale sulle
condizioni di vita della società di massa e sulla diffusa oppressione dei mass media. Gli autori di
questa scuola sono quasi tutti tedeschi, ebrei, comunisti della Germania degli anni 30.
Un classico rimasto noto è Dialettica dell’illuminismo, che metteva in luce l’oppressione della società
capitalistica.
La storia della Germania è nota per una serie di studi pionieristici ma di autori che sono stati costretti
ad emigrare in paesi europei e in particolare a Parigi. Furono in seguito costretti anche a scappare
dall’Europa ed andare negli Stati Uniti.
Herbert Marcuse (e Kaimer) è il filosofo di riferimento della contestazione studentesca nei primi anni
60 nelle università californiane. Una delle sue opere è Eros e civiltà.
Arrivati negli Stati Uniti, stato idealizzato come democratico, libero e rassicurante, a contatto con la
civiltà urbana diventano consapevoli del fatto che la società contemporanea e lo sviluppo dei mezzi
di comunicazione attuano un’oppressione. Nazismo e stalinismo in testa, proprio perché la radio, i
cinema, i giornali sono in grado di esercitare un controllo delle coscienze capillare e profondo.
Si sviluppò allora l’acuta consapevolezza che anche se non c’era la dittatura della Germania nazista la
gente era lungi dal costruire autonomamente la propria vita ma seguiva gli ideali dominanti del
denaro e del consumo. In cui tutti sono inconsapevolmente trascinati in un ciclo in cui interessa
soltanto alimentare il ciclo infinito della produzione capitalistica. Es. cartoni animati che sono
finemente legati a una certa modalità d’oppressione.
La loro analisi è molto profonda ma unilaterale, in cui il destino dell’Occidente è legato ad una
condizione di alienazione. Fu per questo che Umberto Eco li chiamò gli “apocalittici”.

Benjamin
La posizione di Benjamin è molto originale e diversificata perché c’è un interpretazione possibilista e
ambivalente della società dei mass media negli anni 30.
Da un lato legge le possibilità di oppressione legata ai media, dall’altra percepisce che nelle nuove
condizioni è possibile una particolare e nuova coscienza e democrazia.
Uno degli elementi della Scuola di Francoforte è che dalla posizione complessa di
Marx/Weber/psicanalisi/antropologia culturale/epistemologia delle scienze umane/dimensione
religiosa, questa scuola di fronte all’oppressione tende a favorire un tipo di arte profondamente
diverso rispetto al marxismo classico.
L’arte deve svolgere un’opera di negazione, di critica, è un’arte sperimentale, d’avanguardia che non
aiuta la comunicazione ma è provocatoriamente anticomunicativa.
Dal punto di vista di Benjamin è importante ricordare che nella sua prospettiva c’è un atteggiamento
che tiene conto della soggettività, c’è una venatura esistenziale, l’attenzione al soggetto è costante e
si ha un modo di guardare alle modificazioni non soltanto del soggetto ma anche dei sentimenti. Va
ad incidere addirittura sulle nostre emozioni.
E’ anche segno di un atteggiamento profondamente antiautoritario, in cui la preoccupazione è quella
di ricordarsi la singolarità, la vita del soggetto che non sempre il socialismo/comunismo sottolineava.
Il nostro lavoro ci viene espropriato, i prodotti del nostro lavoro, lavoriamo in un sistema che non
controlliamo in alcun modo. Benjamin sottolinea come sia difficile per l’uomo industriale accedere
alla totalità (l’intero mondo), siamo ridotti a una condizione in cui ci è impossibile farlo. Per Benjamin
questa non è una posizione estremamente negativa ma vuole costruire una modalità conoscitiva
attraverso una mediazione, attraverso i dettagli. E’ necessario attivare un’attività di interpretazione.
Benjamin recupera un concetto della retorica antica, quello di allegoria, concetto di una
rappresentazione in cui la cultura riproduceva delle immagini che alludevano a qualcos’altro. Lui la
rilancia come un metodo conoscitivo, dato che non si può accedere alla totalità in maniera intuitiva,
un metodo detto anche ermeneutico.

L’arte
Benjamin ci spiega che le nostre vite sono cambiate per sempre da quando esiste la fotografia
(riproducibilità tecnica dell’opera).
Prima della fotografia era possibile produrre degli oggetti in più copie ma con la fotografia c’è una
macchina che ci sostituisce nella percezione delle cose. Si viene a creare un Inconscio tecnologico
che immette nelle nostre percezioni dei dettagli che ci erano sfuggiti e che possiamo riprodurre in
infinite copie. L’occhio dell’uomo è sostituito da una macchina.
Precedentemente l’arte era sempre e comunque apparizione unica di una distanza per quanto essa
possa essere vicina, ciò che lui chiama Aura.
Noi siamo sempre in una condizione subordinata, perché le opere sono avvolte da un’aura e una
certa sacralità. Benjamin parla di Valore cultuale, possiamo avvicinarci ma l’opera d’arte è in una
dimensione a cui noi non potremo mai appartenere ed è portatrice di una verità a cui noi portiamo
riverenza.
La condizione dell’opera d’arte, riprodotta, porta alla Caduta dell’aura, perché l’opera d’arte non è
più la stessa. Tutti la vedono, l’opera viene rimessa in discussione e in particolare il discorso
dell’autenticità. C’è uno sgretolarsi dell’unicità e della distanza dell’opera.
Es. quello che avviene tra rappresentazione teatrale (con carattere sacrale e “auratico”, con
carattere unico e specifico, irripetibile) e cinema (opera che viene stampate in molte copie e va
uguale nel mondo. C’è una copia matrice? No. Si modifica il rapporto tra originale e copia).
L’arte auratica è decaduta con l’avvento della tecnologia della riproduzione. Questa caduta dell’aura
è l’apertura di uno spazio critico, di demistificazione, di democrazia. Se l’arte auratica è destinata a
pochi eletti, la nuova arte può essere esposta in molti luoghi e va fruita con un atteggiamento non di
riverenza ma più spregiudicato. Prima c’era un rapporto più autoritario fra la società e l’arte e ora
non più. Quindi non legge questi cambiamenti soltanto in chiave negativa.
E’ un’arte che ci da un’esperienza meno totalizzante ma ci lascia un atteggiamento più critico.
Questo effetto avviene su tutte le nostre esperienze, avviene un decadimento. Nelle società
dell’ancien regime c’era un certo tipo di esperienza che nella società del capitalismo sviluppato viene
sostituita all’”esperienza dello shock” (“shockker lemmis”), siamo circondati da un’infinità di
esperienze, prodotti ecc. che non sappiamo padroneggiare. Pone in relazione il nostro modo di
vivere (fin dentro le nostre emozioni) con i cambiamenti della società che ci circonda. Metodo
particolarmente originale nel quale di fronte ad un testo non legge immediatamente i contenuti
rapportandoli alla società ma pone in relazione i dettagli stessi del testo con le caratteristiche
dell’esperienza che lo ha generato.
La dimensione della caduta dell’aura e dell’esperienza dello shock è legato al fatto che è una società
urbana. Parla di folla, della dimensione in cui c’è una folla di persone che ci gira intorno, che hanno
tutti obiettivi diversi, che seguono un movimento perpetuo di cui non siamo consapevoli ma che
genera il nostro modo di essere.
Benjamin fa degli studi in particolare su Parigi, nell’opera che doveva chiamarsi i Passage.

Charles Baudelaire
Autore che cambia la storia della letteratura dell’occidente. Come pochi è stato in grado di leggere le
modificazioni dell’esperienza e delle emozioni.
Famosissimo testo, breve prosa intitolata “Pertre d’aureol” che ci racconta che un poeta camminava
in città nella folla e portava in testa un’aureola. Ad un certo punto qualcuno lo urta, cade per terra e
finisce nel fango, qualcuno gliela porge ma non è più la stessa cosa.
Condizione della folla nel quale c’è un’evidente perdita del prestigio, perdita della sacralità. Il ruolo
dell’artista non è più così prestigioso, bisogna rendersi conto che l’aureola è caduta.
Questo si collega alla dimensione di massa dell’arte contemporanea. La folla, dice Benjamin, è il
committente dell’arte. In ambito urbano viviamo moltissime esperienze che balenano in un secondo.
La poesia di cui Benjamin svolge un’analisi è “Una passante”, perché mostra in che modo è cambiata
la nostra esperienza, è la messinscena di un’esperienza dello shock. Mostra come sia una poesia
profondamente disarmonica, da un lato adopera una modello letterario classico delle poesie
d’amore contraddistinto dall’idillio o dalla tragedia (il sonetto, con versi alessandrini, l’endecasillabo
francese) e dall’altro ha dissonanze e disarmonie.
Pierre Bordieu
Intellettuale, studioso di straordinario peso nella storia della sociologia, compie i suoi studi in Algeria
generando una sensibilità particolarmente acuta sul confronto.
Studia i meccanismi di potere, figlio di un contadino percepisce di più la differenza tra classi sociali.
Il potere si esercita attraverso dei meccanismi che hanno a che vedere con l’ideologia, luoghi e
dinamiche della riproduzione sociale del potere e come anche la cultura fa passare meccanismi di
potere e di classe.
Il metodo che utilizza è molto complesso, ha un modo di scrivere complesso e articolato e Bordieu
unisce da un lato la tradizione della critica dell’ideologia e dall’altro la tradizione dello strutturalismo
(prospettiva delle scienze sociali che tende a mostrare l’attenzione alle variabili sociali che hanno
una variabilità su lungo periodo tanto da sembrare delle costanti, attenzione a delle strutture che si
consolidano e creano degli atteggiamenti).
Egli studia l’inconscio sociale, il fatto che quando viviamo non possiamo renderci conto di tutto
quello che facciamo ma reagiamo ai contesti, e in ogni momento della vita sociale ci mostra che sono
in atto delle dinamiche di “concorrenza o di conflitto”. Ogni attore sociale è portato ad affermarsi, a
farsi valere utilizzando dei meccanismi di dominio.
La tradizione postkantiana tende a dire che l’estetico è il luogo del disinteresse, dove non c’è volontà
di affermazione ma ammirazione disinteressata delle forme. Bordieu afferma che non è vero e che
anche questo si colloca nel gioco dell’affermazione.
Come si esercita un giudizio sempre nuovo o si assume un comportamento nuovo in contesti diversi?
Bordieu inventa una nozione, quella di habitus, termine latino che viene dal verbo habere, abitudine.
L’habitus è un atteggiamento acquisito che rimanda evidentemente a più profonde prospettive
culturali e ideologiche che non ci fa riflettere ogni volta su quello che facciamo e pensiamo ma lo
determina. E’ una seconda natura, una struttura che organizza i nostri comportamenti e pensieri e si
rapporta al contesto sociale (lotte di dominio e dimensioni economo - sociali) e ci muove, organizza e
costruisce dall’interno senza che ce ne rendiamo conto, non è un fatto genetico ma culturale, quindi
sociale.
E’ come quelle conoscenze che abbiamo interiorizzato e reso spontanee che si esercitano senza
troppe riflessioni ma per frutto di esercizio.
Siamo pieni di codici e leggi che organizzano il nostro modo di stare nel mondo e possono essere
lette secondo la categoria di habitus. L’habitus è alla radice dei nostri comportamenti sociali e
definiscono la nostra identità perché ha a che fare con quello che la sociologia chiama Stile di vita.
Bordieu ribadisce il fatto che le idee sono sempre dentro di noi e mettono in gioco desideri, opinioni,
modalità d’affermazione che hanno a che fare con una radice economico sociale, un’identità di
classe.
Bordieu applica il suo metodo nel campo della scuola, luogo in cui si stabilisce da un lato una
relazione di carattere gerarchico, dall’altro è predisposto a consentire una traiettoria sociale che lo
porterà altrove, ad azzerare la differenza sociale, porta alla parità.
Bordieu studia i meccanismi sociali di concessione della parola, in ogni contesto ci sono delle regole
che stabiliscono chi quando e dove può parlare. Studia con molta raffinatezza svariati contesti in cui
si esercita il potere di parlare e di concedere la parola.
Bordieu studia la letteratura e soprattutto che significato ha il formarsi dell’autonomia del campo
letterario, nel libro La distinzione.
La Critica del giudizio di Kant afferma che, secondo l’estetica dell’attitudine formale, quando
applichiamo il giudizio alle forme estetiche lo facciamo in maniera disinteressata.
La distinzione nasce da una ricerca sul campo in cui alcuni ricercatori presentarono un questionario
con domande relative alle scelte estetiche (sulla letteratura, la pittura, la musica, il cinema, i vestiti, i
mobili, i cibi, la fotografia).
Bordieu sottolinea che non c’è una corrispondenza tra il capitale economico e quello culturale ma
un’interazione complessa tra la disponibilità economica e l’atteggiamento culturale.
La distinzione è il distinguersi che i soggetti sociali fanno per se stessi, ognuno di noi vuole rivelare
degli aspetti che lo qualifichino e mostrino i propri meriti. Ogni volta che facciamo un giudizio
estetico compiamo una autopromozione di noi stessi e a sua volta entrano in gioco gli habitus. La
distinzione è al cuore di ogni giudizio estetico.
Bordieu dice ci sono delle condizioni di produzione dei gusti, questi gusti vengono socialmente
prodotti e resi possibili attraverso la dinamica economico sociale e culturale, nella quale rientra
anche la scuola. Parlare di produzione di gusti vuol dire identità di chi valuta e consuma. Ci sono i
consumatori, gli oggetti e i modi attraverso cui ce ne appropriamo.
Quando giudichiamo ci affermiamo, distinguiamo ed entriamo così nella dinamica del potere. La
questione del capitale economico e culturale si intreccia col capitale scolastico, luogo di potere e
democrazia ma ci da anche degli attestati di conoscenza, competenza di valutazione. Il capitale
scolastico interagisce con le capacità di valutazione estetica a seconda dei campi, “titoli di nobiltà
culturale”.
Nelle società dove ci sono dei certificati scolastici c’è da un lato la corsa al titolo di studio e dall’altra
un processo di inflazione, nel quale la laurea perde il valore. Lo paragona a ciò che è successo con i
titoli di nobiltà nell’Ancien regime.
Bordieu ci ricorda che la capacità di esercitare il gusto è in qualche misura di riconoscimento, chi
giudica lo fa perché ha già visto qualcosa di quel campo o già conosce oggetti simili. La capacità di
giudizio si correla a una di riconoscimento, di comparazione ma anche di familiarizzazione in
relazione al fatto che abbiamo familiarità con un certo campo.
Bordieu cammina verso il fatto che c’è una qualche identità sociale nella facoltà di giudicare
esteticamente staccando da ogni tipo di giudizio, la distanza estetica moderna ha a che vedere con la
valutazione della forma e quella della funzione. Questo per poter arrivare all’estetica pura,
mistificazione dell’Occidente.
Il tempo passato carica le cose di esteticità, l’estetica pura è un’estetica della forma che è frutto di
un habitus costruito.
Il giudizio estetico si articola in 3 fasce:
- Gusto legittimo, legittimato da una certa tradizione e stabilito con criteri formali, garantito
da conoscenze;
- Gusto medio;
- Gusto popolare o barbarico, che mette in primo piano la funzione delle cose.
In ogni campo il gusto barbarico è una vivente demistificazione del gusto legittimo, la possibilità di
valutare in senso funzionale è una smentita dell’estetica pura. Il modello di Bordieu ci ricorda quanto
il giudizio estetico sia legato alla società e sia sottoposto a delle differenziazioni interne, il nostro
parlare non è innocente, produciamo azione socialmente rilevanti.
Bordieu propone una metodologia che va in rotta di collisione con Sartre, è orientato a mettere in
questione la libertà della coscienza intellettuale a cui Sartre da peso.
Ulrich
Ulrich, è un filologo romanzo austriaco che fa un discorso che mette in relazione il sistema letterario
con l’editoria usando la categoria di genere.
Mostra come il sistema letterario della modernità abbia sostituito una assiologia (metodo di
valutazione) verticale con una orizzontale. Nel sistema letterario classico dell’Ancien regime stili e
generi venivano collocati in una disposizione dall’alto al basso che avevano a che fare con una certa
idea della società in cui c’erano classi aristocratiche e basse.
Nella modernità si va affermando un sistema in cui si è liberi di fare qualsiasi cosa, questa libertà per
lui si colloca in una nuova posizione assiologica in cui non vale più l’alto e il basso ma il nuovo e il
ripetitivo. Ci mostra che è un atteggiamento caratteristico di una società in cui si sottolinea il
personaggio nella sua originarietà e novità quando prima l’abilità era la capacità di fare riferimento
ai canoni. Lo scrittore moderno deve essere nuovo e originale, pensiero che chiama l’assiologia del
nuovo o nuovismo. Equazione implicita che vuol dire bello significa nuovo, questo mostra quanto nel
sistema letterario della modernità il valore sta dove c’è il nuovo.
L’aspetto complementare è che laddove si veda qualcosa che si è già visto si colloca il negativo, il
giudizio estetico tende a penalizzare a priori ciò che ricorda qualcos’altro. Per cui categorie come
quelle di genere sono state penalizzate perché portatrici di serialità, omologazione e ripetizione,
opera esteticamente non valida.
E’ un’identificazione in cui uno dei punti in cui più si mostra questo è la valutazione della
paraletteratura o trivial letterature, che vuol dire letteratura comune e ordinaria.

In relazione con l’affermazione della libertà espressiva il sistema letterario dell’occidente sposta la
sua asse di valori e passa da una assiologia verticale ad una orizzontale, i valori sono ora legati al
concetto di nuovo. Si identifica il valore con la novità. Si crea un atteggiamento per cui ciò che è
nuovo porta un valore e ciò che è vecchio è un disvalore perché ripetitivo.
Per molti millenni il grande scrittore era colui che riprendeva di riferimento le opere note già scritte.
Il concetto di nuovo e di ripetizione si sono irrigiditi e tendono a diventare una mistificazione, e
questa opposizione tende a diventare una “crepa interiore della cultura borghese”. Perché è una
cultura in cui da un lato si affermano i valori della novità e dall’altro c’è il sistema
economico,culturale e artistico: dinamica complessa di tradizione e innovazione.
Il concetto di genere
La letteratura dal Romanticismo in avanti (fino agli anni 80) ha svalutato il concetto di genere. Gli
scrittori non devono obbedire a delle regole in genere, devono evitare di cadere nei vizi della
serialità del genere letterario.
Ulrich ricorda che nella tradizione occidentale i generi hanno continuato ad esistere, non sono mai
stati cancellati ma innovati. Dal Romanticismo stesso nasce il romanzo storico e quello epistolare.
Quello che è cambiato, spiega Ulrich, è che i generi non sono più prescrittivi, non hanno delle norme
imposte. Tant’è vero che la letteratura degli ultimi decenni c’è stata una grande ripresa dei generi.
“Letteratura di genere” = scadente, commerciale, di serie B
La letteratura di genere, in tedesco Trivial letterature, in francese Para-letterature, che cosa si
intende per queste espressioni?
La tradizione critica confonde l’identificazione del genere, la categoria formale con il giudizio di
valore, un fatto descrittivo con quello valutativo. Mostra quindi la crepa della cultura borghese nella
quale se c’è un’appartenenza del genere implica un’identificazione nel genere e dunque una
mancanza di valore.
L’avanguardia dura poco perché se continua ad imporre un certo modello di trasgressione questo
diventa una regola.
Nel 1980, Il nome della rosa, Eco leader del gruppo 73, dopo aver partecipato a una serie di iniziative
culturali scrive un giallo ma che è un romanzo storico e ha moltissimi lettori. Quindi c’è un recupero
di generi.
Ulrich spiega che è necessario parlare di “post- avanguardia”, sottolinea che un certo tipo di
preclusione nei confronti del genere e della ripetizione è nato evidentemente con il genere del
romanzo. E’ il romanzo a creare una dinamica nuova nel quale il confine tra il culturale e il
commerciale diventa labile e non identificabile. Ha creato un nuovo rapporto tra letteratura e lettori
quindi tra i generi.
Riprende dei riferimenti da Watt e ricorda quanto il romanzo sia peculiare dal punto di vista
mediatico e come abbia creato diffidenza nei propri confronti, si trova spesso da parte dei critici un
atteggiamento di reticenza e diffidenza ritenuto un genere compromesso.
Ad eccezione della poesia che vuol dire di per sé valore estetico benché il romanzo abbia l’egemonia.
Il romanzo è un’esperienza privata, libera di cui a lungo il potere ha diffidato e nel quale il lettore
può assistere anche a scene immorali.
Ulrich cita lo studio di un critico tedesco che ha studiato, nella letteratura francese, ottocento
romanzo del diciannovesimo secolo e ha trovato che tutti questi hanno una prefazione in cui gli
autori si scusano di aver scritto un romanzo (stesso atteggiamento manzoniano).
Il romanzo appare compromesso per il fatto di rivolgersi ad un pubblico molto ampio, incline a
cedere ai gusti della massa, ragionamento che non funziona ma funge soltanto da pregiudizio.
Lui punta l’attenzione sull’interazione, sovrapposizione tra le categorie di genere e i nomi delle
collane.
Le collane editoriali quasi sempre esprimono dei dati che riguardano il genere.
Ci ricorda la differenza tra i critici e gli editori. I critici sono portati ad evidenziare l’unicità delle
opere, che il valore sia nella sua unità, atteggiamento di “nominalismo estetico”, ogni titolo ha una
sua autonomia estetica diversa e rilevante.
Gli editori a controllare il rischio e la divisione della propria produzione in collane. Le collane sono
dei contenitori che danno ai libri delle connotazioni di genere, il genere e la collana sono strumento
di riconoscibilità. Per l’editore conta la riconoscibilità che mostra che quel libro appartiene ai libri
che già conosciamo che per noi hanno già mostrato un valore.
La prospettiva dell’editore valorizza questa componente per ragioni economiche, vendere. Ulrich
afferma che questo rapporto mostra una contraddizione della dinamica dell’innovazione e della
continuità.

Vittorio Spinazzola
Critico letterario, dirige la rivista Pubblico.
Il suo discorso fa riferimento ad alcune categorie di Gramsci e prende atto alla necessità di
riconoscere legittimità a tutti gusti, ricorda che a tutti i livelli della società c’è una maniera di
esercitare il proprio gusto. La società moderna è molto diversificata e nel bacino di lettori potenziali
ci sono molti prodotti, e questa diversità risponde alla diversificazione del pubblico. Spinazzola fa
una critica ai processi di alfabetizzazione, ai lettori e al pubblico.
E’ sempre consapevole che leggere richiede un dispendio di energia, “la fatica di leggere” che ha a
che fare con i processi di acculturazione. E’ chiaro che la modernità borghese ha ampliato gli strati e
ha diversificato i prodotti per venire incontro alle competenze. La pedagogia della lettura implica una
preparazione e una selezione, c’è una complessa dinamica per il lettore.
Leggere è un’attività particolare perché molto privata e sociale. E’ un’attività tutta interiore,
rapporto privato con l’esperienza altrui dei libri ma anche confrontarsi con delle strutture
socialmente condivise. Il lettore moderno non è diverso da quello del passato, deve acquisire delle
strutture che gli consentano di confrontarsi anche con la novità. Il crollo dei sistemi dell’auctoritas ha
permesso la nascita del realismo moderno, che i lettori sanno già decodificare.
Dall’altro ci ricorda che nella letteratura degli ultimi cent’anni l’enfasi sull’uomo ha creato un
atteggiamento in cui accentuano la logica dell’innovazione e mescolano lo sperimentalismo con
l’antico orgoglio di casta degli scrittori.
Bisogna quindi stare attenti a valutare il sistema letterario contemporaneo perché estremamente
articolato in cui i processi di valorizzazione prendono tante strade.
I processi democratizzazione del consumo comportano un degrado dell’esperienza estetica? Bisogna
prendere atto della pluralità e afferma che è chiaro che la nostra esperienza della letteratura si è
modificata da circa 100 anni per vari aspetti:
- Tutti siamo abituati alla comunicazione del cinema, pubblicità di max 30 sec. ecc;
- Fumetti, che ritiene letteratura, siamo abituati a decodificare delle narrazioni fatte per
singole immagini;
- Dimensione della poesia, nella modernità letteraria qual è il suo ruolo;
La poesia è da molto tempo difficile, dal 1857 (Fiori del male) la poesia ha cambiato la sua forma e la
sua funzione sociale. E’ diventata l’area per una ricerca privilegiata e maledetta per diversi aspetti. I
poeti si sono dedicati ad un argomento che non doveva rispondere al pubblico, una dimensione
mistica nella quale il poeta pensava soltanto al proprio linguaggio e non a vendere. La poesia è
diventata luogo di una ricerca della verità che non viene a patti con il linguaggio, in cui soltanto
superando le difficoltà si arriva alla verità.
E’ necessario rendersi conto che il pubblico della modernità letteraria è stratificato ed ampio.
Si potrebbe fare una classificazione del pubblico novecentesco con quattro livelli, dove ogni livello
corrisponde ad un certo tipo di complessità e difficoltà di decifrazione ma a cui non si può attribuire
una scala di valori. Non confondere la morfologia con la valutazione.
Le innovazioni si comprendono se si conoscono le regole che vengono trasgredite.
La differente complessità e l’essere più o meno innovativi non coincide con il valore dell’opera.
Spinazzola segnala che bisogna valorizzare ogni tipo di prodotto senza fare confusione tra i diversi
livelli e valori, accentua così il ruolo del critico che veicola la massa.
I critici letterari sono spesso portati ad avere un atteggiamento apocalittico, che tendono ad
affermare che la diffusione della cultura porta a un degrado.
Spinazzola dice “indietro non si torna” e bisogna rendersi conto che se il mondo cambia cambiano
anche i lettori.

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