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C ORR l ERE D E L L A S ERA
STORIA UNIVERSALE
Volume 7
di FRANCO CARDINI
APPARATI
Bibliograi
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Cronologia 545
ALTO MEDIOEVO
CAPITOLO PRIMO
ORIENTE E OCCIDENTE
NELlA GENESI DEL MEDIOEVO
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considerare che sia in Italia sia all'interno delle province governate
da senatori e da cavalieri la massima parte della popolazione era in
quadrata in distretti relativamente autonomi, amministrati dalle cu
rie delle città a cui i distretti facevano capo: era l'ordinamento muni
cipale, che in Occidente proseguì le autonomie delle città italiche e
delle colonie dedotte da Roma, e in Oriente si innestò sulle tradizio
ni delle città dei regni ellenistici. Le curie, da cui venivano eletti i ma
gistrati locali delle città, erano senati urbani, socialmente formati dai
maggiorenti, forniti di quella molteplice base economica, di quella
cultura umanistica e di quello stile decoroso di vita, che li rende qua
lificabili, nel nostro linguaggio, sia come aristocrazia sia come bor
ghesia. Queste élites, che amministravano i distretti municipali e do
minavano economicamente gran parte della popolazione rurale, die
dero il tono e il volto alle città di cui gli archeologi fanno da secoli rie
mergere templi e tombe, teatri e anfiteatri, basiliche e terme: nella
più schietta tradizione greco-italica ed ellenistica di competizione ci
vica e di munificenza.
Dal quadro ora delineato risulta quanto profonda fosse in età im
periale l'integrazione fra l'apparato politico e i ceti sociali egemoni
ci. Quel compromesso fra l'autonomia delle p6leis e un dispotismo re
gio sorretto dalla burocrazia, che già aveva caratterizzato i regni elle
nistici, si perfezionò in una solidarietà garantita dalla presenza me
diatrice del principe e del ceto equestre, da lui scelto e prevalente
nella sua burocrazia, fra le aristocrazie municipali e una nobiltà se
natoria a dimensioni romano-imperiali. Le ambizioni dei possidenti
che operavano nei quadri cittadini tradizionali, trovavano prospetti
ve di innalzamento attraverso le decisioni del principe nel recluta
mento del ceto equestre; e il servizio prestato dai cavalieri nell'alta
burocrazia dell'impero apriva la possibilità di sperare nell'innalza
mento sociale supremo, ogni volta che il principe immetteva d'im
perio nel senato, in via straordinaria, i più fedeli fra i suoi collabora
tori che già non fossero di nobiltà senatoria. Entro un simile sistema
i contrasti non mancarono fra la potenza militare del principe e l'au
torità prestigiosa del senato, e fra i due ordini sociali supremi: ma i
contrasti non distrussero la normale solidità complessiva del sistema
di fronte alla restante popolazione, dai ceti umili e subalterni delle
città all'immensa popolazione contadina. Le subordinazioni econo
miche, culturali e politiche si sommavano e convergevano nel man
tenere la colorita varietà dei molti popoli dell'impero in una discre
ta obbedienza. Non mancava del resto, attraverso le speculazioni eco
nomiche del mondo cittadino e l'incipiente declino di una schiavitù
non più alimentata da guerr-e conquistatrici e contrastata dalla fre-
quenza delle manomissioni, una certa mobilità sociale. Ciò soprat
tutto si vide nel II secolo d.C., quando gli imperatori filosofi espres
sero al vertice politico le migliori esigenze umanitarie e umanistiche
dello stoicismo aristocratico, agevolando quella tendenza al contem
peramento fra gli interessi più rigidamente conservatori e i bisogni
elementari delle popolazioni, che già era presente da gran tempo nei
ceti cittadini egemonici, in virtù della loro affinata cultura e delle
connesse inquietudini spirituali. Ma questo complesso equilibrio tra
poteri pubblici e ambizioni private e tra sfruttamento economico e
filantropia trovò un limite nella debolezza che un mondo impernia
to sulle città manifestava di fronte alle etnie che dall'esterno violen
temente premevano sull'impero, e di fronte ai problemi che all'in
terno dell'impero nascevano dal conseguente sviluppo di eserciti re
clutati sia nelle campagne �soprattutto di regioni ancora poco ur
banizzate -sia presso le etnie stesse che dali'esterno premevano e tal
volta irrompevano.
Gli urti violenti cominciarono alla fine del II secolo a.C. con la mi
grazione dal nord dei Cimbri e dei Teutoni, che i Romani distrussero
in Provenza e nella pianura padana; ripresero in Gallia al tempo di Ce
sare, che disfece la lega germanica formatasi intorno a tribù migranti
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spose la divisione di ognuno dei due senati nelle medesime classi, se
condo il grado raggiunto dai senatori negli uffici dell'impero, con la
precisazione che la dignità del clarissimato spettava inoltre per ere
dità a tutti i membri dell'ardo senatorio- parecchie migliaia di perso
ne-, anche prima che essi entrassero in senato e indipendentemen
te dalla loro partecipazione o no alle carriere burocratiche.
Fra l'ardo socialmente supremo e l'alta burocrazia non si giunse
dunque all'identificazione, ma certo ad una simbiosi intima, calcola
ta in modo da garantire al governo imperiale il conforto di una clas
se potente e fortemente solidale al suo interno, per la consueta rete
di parentele e amicizie: era la classe dei maggiori latifondisti, che in
quadravano le schiere di coloni e di schiavi non dipendenti dal fisco
imperiale e costituivano, per educazione familiare, un modello di vi
ta e di cultura per tutte le minori aristocrazie dell'impero. La simbiosi
nel medesimo tempo soddisfaceva, in modo più sicuro e immediato
di quanto awenisse nell'alto impero, le ambizioni sociali degli alti bu
rocrati, i quali sempre avevano guardato, come a loro ultima meta, al
l'immissione in una grande nobiltà ereditaria. Fu il perfezionamento
calcolato di un inquadramento sociale a cui si era pervenuti attraver
so molti secoli di esperienze greco-orientali, romano-italiche e roma
no-ellenistiche. Ma il calcolo politico, subentrato alla spontaneità di
formazione delle egemonie di classe, irrigidiva il sistema delle aristo
crazie socioculturali, e ciò aweniva in un disegno generale di pianifi
cazione, con cui l'impero tentava di superare i pericoli di disgrega
zione paurosamente emersi, di fronte all'offensiva del mondo ger
manico, nel III secolo.
Era anzitutto una pianificazione economica che, per garantire le
entrate fiscali necessarie al mantenimento di un esercito permanen
te di quasi mezzo milione di uomini, tendeva a legare ereditariamen
te ogni categoria sociale alle sue attività: i contadini- soprattutto co
me servi della gleba, coloni dei latifondi fiscali e privati -al lavoro del
la terra; gli artigiani e i proprietari-mercanti alle corporazioni con
trollate dai funzionari imperiali; i medi proprietari alla loro condi
zione di curiali, responsabili, come membri dei consigli municipali,
per gli oneri finanziari gravanti sulle città; i veterani dell'esercito alla
professione militare, se volevano conservare ai propri discendenti i
beni loro concessi in godimento. Accanto alla legislazione economi
co-sociale, divenne più sistematica l'articolazione civile dell'impero
nei governatorati provinciali, al cui ordinamento dovette adeguarsi
anche l'Italia, con l'unica eccezione di Roma: governatorati che fu
rono raggruppati in vaste divisioni politico-amministrative, le diocesi,
a loro volta raccolte in poche grandi prefetture del pretorio, conver-
genti su un governo centrale organizzato in uffici preposti all'attività
di cancelleria, alla vigilanza sulla burocrazia, alle finanze.
In questa massiccia compagine sociale e politica - un'impressio
nante risposta alla crescente pressione germanica - anche la cultura
aristocratica, che aveva tradizionalmente permeato di sé l'alta buro
crazia e i ceti egemonici, subì un processo di riorganizzazione unita
ria: nel segno di una fede religiosa imperniata su un monoteismo in
transigente e su una dottrina salvifica di respiro universale. Fu questo
il mutamento più profondo e più carico di avvenire, che l'impero ab
bia conosciuto in quegli anni.
riazioni, non di rado accessibi l i anche alle donne e agli schiavi: dottri
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den te con la divinità, dove a n ti chi miti agrari di morte e resurrezione,
culti esotici e nuov, osmologie e antropologie convergevano in un ap
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ziati alla fede cristiana ed esaminati negli anni di catecumenato, assu
mevano responsabilità di governo nelle proprie città o entravano nella
burocrazia imperiale e, in più casi, a coronamento della loro persona
le carriera, diventavano vescovi. Diventavano tali per il prestigio che la
dignità episcopale ormai conferiva ai singoli e alle loro famiglie, ma tal
volta anche al di là dei loro propositi: Sinesio di Cirene, appartenente
a famiglia greca di latifondisti, intellettualmente formatosi tra i neo
platonici di Alessandria e divenuto celebre in patria per scritti retorici,
poetici, filosofici, per imprese di caccia e per la strenua difesa contro le
aggressioni delle tribù nomadi, fu fatto vescovo di Tolemaide nel 410,
nonostante le sue dichiarate perplessità, riluttando ad abbandonare la
moglie e a rinunziare alle proprie persuasioni sulla preesistenza delle
anime e sull'eternità del mondo.
Sinesio, pur cristiano e giudicato idoneo dai suoi concittadini a ri
coprire l'ufficio episcopale, riluttava ad abbandonare la dottrina della
metempsicosi e quella pienezza di vita che egli sentiva nella conviven
za a cui era consueto. Ciò che a lui avvenne può essere assunto a sim
bolo di ciò che avvenne alla cultura e al costume dell'impero romano
ellenistico nel suo declino verso il medioevo. Quella ricchezza di espe
rienze aristocratiche di cui l'alto clero assunse l'eredità fu selezionata
e rigidamente disciplinata in un solco determinato: così del resto come
furono a poco a poco disciplinate le culture e le usanze dei molti po
poli che costituivano l'impero romano. Il pluralismo delle forme di
pensiero, di culto e di vita che aveva contraddistinto nei millenni il
mondo mediterraneo, fu ridotto in senso robustamente unitario, in
perfetta armonia con la restaurazione che si andava tentando, in for
me irrigidite, dell'apparato politico e del funzionamento sociale ed
economico: un tentativo che in Oriente doveva riuscire per oltre un
millennio e che in Occidente fu travolto dalle invasioni del V secolo.
Nel 406 la linea del Reno era rotta per sempre da un'ondata di barba
ri. Ma se il baluardo militare crollava e l'edificio politico si disfaceva, il
sistema socioculturale sopravvisse nella sua interna disciplina, intorno
ai suoi vescovi, a cui toccò di mediare fra le nuove genti e i propri fe
deli: fra il mondo ancora seminomade e il mondo dei sedentari.
L'ondata barbarica che nel 406 si abbatté con intensità inusitata sul
Reno determinò il fallimento della concezione strategica difensiva del
l'impero. Di fronte all'immensità dei compiti che gravavano sulle for-
ze armate per difendere tutt'attorno al Mediterraneo una linea di con
fine di lunghezza smisurata, era apparsa opportuna, con la scomparsa
di Teodosio I nel 395 e in ossequio alla sua volontà, la definitiva arti
colazione della suprema direzione politico-militare in due corti impe
riali, residenti per l'Occidente a Milano e per l'Oriente a Costantino
poli, mentre si continuava ad impiegare con crescente larghezza l'ele
mento germanico, sia dentro l'esercito romano e le sue gerarchie, sia
stringendo sempre nuovi accordi con le popolazioni disposte a fede
rarsi con l'impero. Riguardo all'ascesa dei singoli nelle gerarchie del
l'impero, in Gallia già nel IV secolo si era giunti a conferire tali pote
ri militari a personaggi di stirpe franca, che fu loro possibile profittar
ne per introdurre i connazionali nella stessa burocrazia civile e per
condizionare le competizioni fra i candidati all'impero; e dal 395, nel
la corte imperiale di Onorio, figlio di Teodosio l, a Milano, il vandalo
•
Stilicone divenne il personaggio più potente non solo nelle supreme
responsabilità militari, ma nell'intera direzione politica dell'Occiden
te. Quanto all'impiego di genti germaniche federate, si trattava ormai
di patti conclusi con raggruppamenti tribali e popolazioni organizza
te che non si riusciva più a mantenere al di là dei confini: i federati
franchi sul basso Reno, quelli alamanni sul medio Reno, quelli goti sul
medio e basso Danubio cercavano di stanziarsi nelle terre imperiali li
mitrofe. La situazione in Oriente si era aggravata quando dalle steppe
euroasiatiche gli Unni - tribù nomadi di gruppi etnici affini a quelli
che nel V secolo travolgeranno l'impero indiano dei Gupta - si rove
sciarono nel 375 sugli Alani e sui Goti del Don, Goti del gruppo ostra
goto, e li spinsero sui Visigoti, Goti occidentali, che l'impero dovette
in gran parte accogliere a sud del Danubio, senza riuscire a discipli
narli. L'impero d'Oriente si salvò per il movimento dei Visigoti del re
Alarico dalla penisola balcanica, largamente ormai devastata, verso l'I
talia, dove minacciarono Milano, provocando nel 402 il trasferimento
della corte imperiale in una città più sicura, perché protetta dalle pa
ludi, Ravenna, che finì col diventare sede permanente della corte oc
cidentale: e in una pausa delle scorrerie di Alarico, si riversarono dal
Danubio in Italia altre orde di Goti e di genti diverse, che l'esercito di
Stilicone, con l'aiuto di forze già richiamate dal Reno, di nuovi fede
rati di stirpe germanica, di Unni e persino di schiavi affrancati, riuscì
nel 406 a distruggere. Ma fu allora che la frontiera del Reno, nono
stante l'apporto della resistenza dei federati di tradizione franca, crol
lò sotto una grandiosa ondata di Alani, di Vandali e di Svevi, prove
nienti in gran parte dalle regioni danubiane percorse dagli Unni.
Dallo schema di questi avvenimenti risulta che il relativo equilibrio
che sembrava delinearsi nel IV secolo fra l'organizzazione difensiva ro-
mana e le genti germaniche, parzialmente controllate mediante patti
militari e marginali concessioni di terre, fu infranto da un movimento
di nomadi, che rientrava in agitazioni più vaste, dalla Mongolia al Mar
Nero, lungo tutta la linea settentrionale degli imperi stabilizzati. L'ag
gressività degli Unni in Europa sconvolse il mondo germanico, che ri
trovò a sua volta una capacità aggressiva disordinata, di dimensioni in
controllabili, per le complicate ripercussioni che il movimento di ogni
popolazione aveva sulle altre. L'impero romano cercò di adattarsi alla
nuova situazione, facendo rapidamente entrare nel proprio giuoco an
che gli Unni, ma quella possibilità di previsione, necessaria ad ogni di
segno strategico, venne meno, nonostante la divisione delle responsa
bilità fra Occidente ed Oriente: la divisione anzi aggravò le già naturali
incoerenze e discordie nella condotta militare di fronte a circostanze
così imprevedibili. Né più si trattava, come nel III secolo, di grandi in
cursioni volte prevalentemente al saccheggio, bensì di scorrerie senza
dubbio devastatrici, ma complicate in radice dall'ansia di trovare stan
ziamenti diversi da quelli sconvolti dai nomadi. Erano intere popola
zioni in movimento organico, pur se tumultoso, verso nuove sedi: si
stematicamente massacrarle, come si era fatto al tempo dei Cimbri e
dei Teutoni o altre volte nei secoli, era del tutto impossibile, per la si
multaneità e la molteplicità di tante irruzioni né di fronte ai loro urti
disperatamente violenti si potevano trasformare le folte e pacifiche po
polazioni di agricoltori delle regioni mediterranee in masse guerriere.
Di qui la continua integrazione degli eserciti addestrati alla romana
con vecchie e nuove tribù di federati. Di per sé questa non fu una stra
tegia mal calcolata: Stilicone, figlio di un barbaro ma romanizzato e
leale verso le istituzioni imperiali, l'aveva appresa da Teodosio e perciò
evitava il massacro dei vinti, quando la vittoria gli arrideva senza dover
ricorrere a una soluzione così atroce, ed anzi cercava tra i vinti qualche
nuovo alleato. Ma avvenne che in quegli anni ciò non bastasse - la
lealtà dei federati franchi sul Reno non valse a contenere le popola
zioni là sopravvenute -, tanto più che a Ravenna, di fronte a sempre
nuove notizie di irruzioni, non tutti erano convinti di una strategia co
sì elastica e l'odio contro i barbari cresceva. Perciò Stilicone, che d'al
tro lato era già oggetto egli stesso - per una certa sua politica di diffi
cile e instabile equilibrio tra le fazioni religiose - di alterne avversioni
da parte ora dei grandi personaggi cristiani, ora di quelli rimasti tena
cemente fedeli ai culti antichi di Roma, fu violentemente eliminato. Ne
conseguì il ritorno offensivo di Alarico, che Stilicone era riuscito a
coinvolgere nella propria strategia: i Visigoti penetrarono fino a Roma,
ne1 410 la saccheggiarono, proseguirono fino all'attuale Calabria, do
ve Alarico morì, corsero poi l'intera penisola in senso opposto, passa-
rono in Gallia e nella penisola iberica, incontrandosi con gli invasori
vandali, svevi ed Alani. Intanto i Franchi dal basso Reno e i Burgundi
provenienti dall'Europa centrale, pur se federati gli uni e gli altri con
l'impero, si allargavano in Gallia essi pure.
La strenua difesa dell' Oriente e quella imperniata in Occidente
sull'Italia riuscirono dunque al medesimo esito: l'orientamento delle
genti germaniche verso le regioni più occidentali, dove finalmente le
scorrerie cominciarono a tradursi in stanziamenti avviati verso una fu
tura stabilità. Era questa l'unica via di scampo e l'unico rifugio - di
fronte alle vaste operazioni imperiali che avevano il loro fulcro nei
ben protetti centri di Ravenna e di Costantinopoli - per popolazioni
di tradizione certo da lungo tempo ormai aggressiva, ma simultanea
mente impegnate in una grandiosa emigrazione. E ciò fu compreso a
Ravenna, pur dopo l'eliminazione di Stilicone, poiché si continuò a
operare con i Germani e con gli Unni, via via adattando ai loro mo
vimenti i rapporti di alleanza e di guerra, nell'intento, sì, di mante
nere il quadro imperiale, ma di farlo coesistere con stanziamenti di
barbari orientati verso la stabilizzazione lungo e dentro i vecchi con
fini. Il maggiore protagonista di questa condotta militare e politica fu
Ezio, un comandante romano che raggiunse una posizione di grande
rilievo accanto ai successori di Onorio. Egli non fece una fine mi
gliore di Stilicone, poiché perì in una congiura di palazzo nel 454,
quando ai confini orientali d'Italia l'aggressione degli Unni di Attila,
contro cui Ezio aveva vittoriosamente combattuto in Gallia, ma con
cui si era pur legato non poche volte, ne rovinò il prestigio: anche
questa volta prevalse l'odio contro chi impersonava una complessa
politica di equilibrio fra guerra e acquietamento dei barbari.
La difficoltà inerente a un simile indirizzo politico fu accresciuta da
un esempio venuto dall'impero d'Oriente. Nel volgere dal IV al V se
colo, quando il movimento dei Visigoti si orientò verso l'Italia, a Co
stantinopoli trionfò l'intransigenza antigermanica: migliaia di Goti fu
rono massacrati nella città e l'esercito fu riorganizzato in modo da im
pedire o ridurre non tanto l'utilizzazione dell'elemento germanico,
quanto la sua ascesa a gradi elevati e la sua concentrazione in reparti
etnicamente omogenei. Fu allora che anche a Ravenna l'opposizione
di ogni politica di compromesso coi barbari crebbe fino alla elimina
zione di Stilicone: ma ciò awenne in una situazione profondamente
diversa da quella orientale. Nei decenni successivi si manifestarono si
multaneamente la ripresa, rappresentata da Ezio, dell'indirizzo di Sti
licone e lo sviluppo di relazioni intense con la corte orientale: ciò non
soltanto per solidarietà fra le due dinastie teodosiane - soprattutto fra
Teodosio Il, successore a Costantinopoli di Arcadio, primogenito di
Teodosio I, e Galla Placidia, figlia di Teodosio I e reggente durante lun
ghi anni a Ravenna per il proprio figlio Valentiniano III -, ma soprat
tutto per il recuperato vigore politico-militare dell'impero d'Oriente,
al cui aiuto Ezio stesso ricorse, prima di essere eliminato da Valenti
niano III, contro gli Unni di Attila. Le riforme militari del principio
del secolo parevano dunque dare i primi frutti in Oriente proprio
quando diventava di assoluta evidenza l'impossibilità di operare in Oc
cidente nel medesimo modo. L'Italia cominciò allora ad oscillare fra
una subordinazione a Costantinopoli - all'impero che dall'originario
nome della città usiamo denominare bizantino - e una convivenza con
le forze militari germaniche, suggerita dagli eventi del restante Occi
dente: l'oscillazione si tradurrà, dal VI secolo fin oltre il mille, nella di
visione della penisola fra due aree di potenza e di civiltà.
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NOTE
che per diciotto anni (535-553) afflisse l'Italia. Già sappiamo del resto
che l'Italia di Odoacre, nel cui solco dal 489 operarono l'ostrogoto
Teodorico e i suoi successori, non sentì più il bisogno di darsi un pro
prio imperatore a Ravenna e formalmente si riconobbe parte di un
impero romano avente ormai il suo supremo vertice a Costantinopo
li: l'avvolgimento bizantino dell'Italia ostrogota nel Mediterraneo do
veva dunque tradursi, permanendo la situazione di eccezionale vigo
re dell'impero, nell'effettiva annessione della penisola all'apparato
politico-amministrativo dell'impero d'Oriente. Ravenna, già sede nel
V secolo della corte imperiale dell' Occidente e poi di Odoacre e di
Teodorico, divenne sede di un esarca mandato da Costantinopoli e
destinato a controllare l'organizzazione militare e la vita religiosa e ci
vile del prolungamento romano-italico dell'impero bizantino. Ciò va
ulteriormente inquadrato nell'interesse che la corte imperiale di Bi
sanzio, ancor prima di Giustiniano, aveva mostrato verso la Gallia in
vasa, conferendo al re dei Franchi Clodoveo al principio del VI seco
lo - quando ormai i Franchi in Gallia erano preponderanti -, le inse
gne consolari e il titolo di patrizio: un riconoscimento formale della
potenza franca, che era nel medesimo tempo un tentativo di subor
dinarla ideologicamente all'Oriente. L'instaurazione di un governo
bizantino a Ravenna, che esercitava la sua azione diretta fino ai con
fini con la Gallia, poteva diventare dunque il tramite per una più con
sistente influenza imperiale fino all 'Atlantico. E quando simultanea
mente si tenga conto del controllo instaurato da Giustiniano sulle iso
le del Tirreno, sulle Baleari e sulle coste iberiche meridionali, risulta
chiaro che nelle prospettive bizantine l'intero mondo latino-germa
nico doveva rimanere condizionato dall'espansione militare avvenu-
ta. La restaurazione imperiale, anziché riprendere la tradizionale ar
ticolazione fra un Occidente e un Oriente equiparati nelle supreme
responsabilità politiche, pareva realizzarsi nella forma di una stretta
subordinazione militare e civile delle regioni conquistate all'unica
corte imperiale, saldamente insediata sul Bosforo, con un contorno,
nell'estremo Occidente, di dominazioni germaniche che si confidava
fossero permeabili alla diplomazia e alla supremazia ideologica del
l'impero orientale.
Le prospettive bizantine furono rese assai presto illusorie da nuo
vi movimenti di popoli che dal Danubio e dalla penisola arabica si ro
vesciarono entro l'impero. L'immenso urto di nomadi e di semino
madi contro le organizzazioni dei sedentari non era ancora al suo epi
logo. L'ottimismo di Giustiniano nel valutare le possibilità del suo im
pero aveva travolto, coi Vandali e con gli Ostrogoti, due avamposti del
mondo germanico, che in realtà fungevano ormai, nel loro processo
di stabilizzazione, come potenziali baluardi contro il dinamismo vio
lento di altre genti barbariche. L'impero, abbandonato alle sue for
ze, dovette ridimensionare ben presto le proprie ambizioni.
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larga influenza politica in Gallia. Nel 406 alcune tribù franche fede
rate all'impero collaborarono animosamente alla disperata difesa ro
mana del Reno, ma poi i Franchi approfittarono dell'invasione per al
largarsi lentamente dal basso Reno verso sud in tutte le direzioni: a
sud-est fino a raggiungere gli Alamanni, sul medio Reno; a sud-ovest
fino ai margini del bacino della Senna, nel quale era organizzato, al
tempo di Ricimero e degli ultimi imperatori di Ravenna, il più im
portante nucleo di residua dominazione galloromana, del tutto au-
tonomo e con centro militare a Soissons. A questa dominazione pose
fine nel 486 Clodoveo, uno dei re a cui il raggruppamento franco ob
bediva. Nei decenni successivi, Clodoveo consolidò la dominazione
franca contro i Turingi, presenti ai confini orientali dello stanzia
mento franco, nelle foreste germaniche dei bacini della Weser e del
l'Elba; vinse gli Alamanni, in movimento dall'alto e medio Reno ver
so nord; intervenne nelle vicende dei Burgundi, federati dell'impero
e dominatori nel bacino del Rodano e della Saona; tolse ai Visigoti la
maggior parte dell'Aquitania; e da Parigi, scelta come sua residenza,
divenne unico capo dei Franchi, fondatore di quella dominazione ter
ritoriale dei Merovingi (dal re eponimo della dinastia, Meroveo, leg
gendario capo di una tribù di Franchi Salii nel V secolo) che, pur di
ramandosi in più regni fin dalla scomparsa di Clodoveo nel 5 1 1 , sep
pe inquadrare politicamente la Gallia per due secoli e additare le vie
della futura espansione dei Carolingi in Europa.
Il dinamismo militare di Clodoveo trovò un ostacolo nella rete di
amicizie e di legami parentali che la diplomazia ravennate di Teodo
rico il Grande riuscì a costruire nelle relazioni con i popoli germani
ci in via di stabilizzazione e con le dinastie che li reggevano: re Teo
dorico diede in moglie figlie, sorella, nipote a principi dei Burglindi,
dei Visigoti, dei Vandali, dei Turingi. Anche con Clodoveo Teodorico
cercò di convivere pacificamente, sposandone la sorella, ma di fron
te alla sorprendente espansione dei Franchi intervenne per conte
nerla e prendere Alamanni e Visigoti sotto la sua protezione. Fu in
quelle circostanze che Teodorico occupò la Provenza, perduta dai Vi
sigoti, per mantenere col regno visigoto un contatto immediato e per
impedire a Clodoveo di raggiungere il Mediterraneo e intensificare i
suoi rapporti con Bisanzio; e accolse gruppi di Alamanni, in fuga a
sud del Danubio, in quelle regioni della Rezia che, insieme con parti
contigue del Norico, con parti della Pannonia e con la Dalmazia, co
stituivano il baluardo militare ostrogoto a nord delle Alpi e ad est del
l'Adriatico, di fronte ai movimenti dei barbari e alle ambizioni di Bi
sanzio. La coordinazione ostrogota fra le genti germaniche e fra il
mondo germanico e l'area mediterranea centro-orientale, in forme
militari di contenimento e in forme diplomatiche di relazioni paren
tali, di trattati e di riconoscimento ufficiale di un persistente impero
romano gravitante su Bisanzio, faceva di Ravenna e del connubio go
to-italico il fulcro di una stabilizzazione universale delle genti germa
niche entro l'ambito di civiltà creato dalla tradizione ellenistico-ro
mana: un disegno che si poneva come alternativo sia agli orienta
menti bizantini verso una rioccupazione diretta dei territori romani
e una sistemazione clientelare delle genti germaniche, sia all'irruzio-
ne dei Franchi al centro del mondo latino-germanico con progetti il
limitati di conquista militare. Ma il progetto teodoriciano, delineato
si nell'incontro del vertice militare ostrogoto col vertice senatoriale
della società italica, scomparve con Teodorico e lasciò di fronte le
aspirazioni dei Bizantini e dei Franchi. La venuta dei Longobardi in
Italia offrì ancora occasione a Bisanzio di stipulare accordi coi Mero
vingi successori di Clodoveo: e questi ne approfittarono per avvolge
re l'Italia dei Longobardi, lungo tutto il confine alpino, di avamposti
strategici, in una prospettiva di dilatazione franca verso il Mediterra
neo centrale. Una prospettiva dunque chiaramente antitetica a quel
la bizantina, nonostante i provvisori compromessi fra Merovingi e Bi
sanzio. E quando nel VII secolo le vicende del Medio Oriente spen
sero ogni possibilità di riprendere i piani di Giustiniano, una sola ri
mase vitale fra le tre prospettive che al principio del VI secolo si pre
sentavano nell'urgenza di un modus vivendi di respiro europeo fra ger
manesimo e latinità: quella dei Franchi. Rimase vitale, perché nel frat
tempo, nel corso del VI secolo, i Merovingi avevano esteso la propria
egemonia, con varia intensità, sui Turingi, sugli Alamanni e su una
stirpe germanica di nuova formazione lungo l'alto Danubio, i Bavari;
avevano incorporato il regno dei Burgundi e la Provenza già visigota
e ostrogota; avevano allacciato coi Longobardi, controllati lungo l'ar
co alpino, rapporti ambigui di amicizia e di influenza politica.
Fu il travaglio interno del mondo franco, con le sanguinose lotte
fra i membri della dinastia merovingia, a ritardare fino all'VIII seco
lo la soluzione franca del problema europeo. Ma fu in pari tempo il
profondo connubio realizzatosi, proprio durante quei torbidi, fra l ' a
ristocrazia gallo romana delle famiglie senatoriali e dell'episcopato e
l'aristocrazia militare dei Franchi a costituire la solida base di realiz
zazione dell'embrionale disegno merovingio del VI secolo. L'esem
pio della collaborazione fra le due aristocrazie intorno al potere re
gio fu offerto ai Franchi dal regno visigoto di Aquitania e dal regno
burgundico, successivamente incorporati nella dominazione mero
vingia, ma la profondità del connubio fu resa possibile dall'introdu
zione dei Franchi in quel medesimo organismo religioso cattolico in
cui già i Galloromani si trovavano inquadrati. A dire il vero, anche i
Burgundi, negli anni stessi in cui le tribù franche di Clodoveo ab
bandonavano il politeismo, passarono dal cristianesimo di credo aria
no al cattolicesimo di credo niceno e si avviarono quindi ad una fu
sione profonda con i Galloromani: in quel regno esteso dal bacino del
Rodano alla parte meridionale dell'attuale Champagne - con princi
pale centro politico a Lione -, che ancor prima che l'arianesimo fos
se abbandonato, conobbe una legislazione regia improntata di cultu-
ra romana e una convivenza pacifica dei Burgundi con la popolazio
ne latina, sempre inquadrata, socialmente e nell'amministrazione ci
vile, dalle famiglie di tradizione senatoriale.
Ma i Burgundi, popolo-esercito, erano numericamente troppo in
feriori ai Franchi e ai Goti per poter competere coi loro potenti vici
ni, e i Merovingi nel 533 li sottomisero, conservando tuttavia al regno
un 'individualità politica franco-burgundica, nell' ambito della domi
nazione merovingia della Gallia, un'individualità sottolineata dal du
plice insediamento di nuclei di Burgundi e di Franchi in mezzo alla
popolazione latina: salvo che la corte merovingia di Burgundia sog
giornò preferibilmente in città settentrionali del regno, sulla Loira
(ad Orléans) o sull'alta Saona (a Chalon) , più o meno prossime cioè
alla zona in cui vi era l'insediamento franco più denso e dov'erano
anche le altre residenze dei re merovingi, cioè Parigi, Soissons, Reims,
Metz. Il cuore politico-militare della potenza franca fu sempre nelle
regioni situate fra la Loira e il Reno, che nel corso del VI secolo si di
stinsero nel regno di Neustria, imperniato sul bacino della Senna e
gravitante per lo più su Parigi, e nel regno di Austrasia, dal bacino del
la Mosa fin oltre il Reno, con centro prima a Reims e poi a Metz: la
Neustria rappresentava il prolungamento franco dell'ultima domina
zione romana autonoma in Gallia e conobbe pertanto una profonda
compenetrazione di tradizioni latine e germaniche; l'Austrasia fu in
vece in gran parte germanica nella popolazione ed espresse quell'a
ristocrazia militare di particolare intraprendenza, da cui uscì la dina
stia dei Pipinidi o Carolingi, destinati a succedere nell'VIII secolo ai
Merovingi. Ma Neustria ed Austrasia vissero sempre in un denso in
trico di rapporti fra loro ed ebbero confini assai fluidi. L'Aquitania a
sua volta conservò una sua individualità civile, con impronta schiet
tamente galloromana e con molto scarsi insediamenti franchi: non
ebbe neppure una corte merovingia sua propria e passò spesso dal
l'uno all'altro dei regni franchi o fu divisa fra loro. La vicenda etnica
in Gallia fu dunque varia e non sempre coincise con la divisione po
litica, ma ciò che a quella varietà di assimilazioni latino-germaniche e
di vicende politiche conferì unità di orientamento storico fu la sim
biosi delle dinastie regie, delle aristocrazie e dei popoli con l'organi
smo ecclesiastico di ascendenza culturale mediterranea. Ai problemi
che questa simbiosi poneva nello sviluppo politico-sociale della Gal
lia, e ai problemi analogamente emersi nella vita degli altri regni del
l'Occidente latino-germanico, occorre rivolgere ora una particolare
attenzione.
4. La simbiosi dell'episcopato occidentale con il potere regio
e con le aristocrazie militari
NOTE
1 Così nell'antica letteratura buddista: cfr. Storia delle letterature d 'Oriente, a cura di
Oscar Botto, vol. III, Milano, Vallardi, 1969, p . 99.
2 Briefe des Bonifatius. Willibalds Leben des Bonifatius, a cura di R. Rau, Darmstadt,
Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1968, e p . 50, pp. 1 40 sgg. (Ausgewahlte Quellen
zur deutschen Geschichte d es Mittelalters, IV b) .
CAPITOLO TERZO
1r11tB
Conquìste arabe fra il 632 e il 661 I l regno dei Franchi nel 750
(prìrnt qua tt ro Califfi)
L'Impero d'Oriente
prima delle conquiste arabe
carattere arabo, già affermatosi nei dissensi sorti a Medina per il rifiu
to ebraico di aderire all'Islam. Via via che nell 'Arabia centrale e set
tentrionale le tribù più aggressive si andavano orientando, attraverso
intese ora prevalentemente politiche, ora più schiettamente religiose,
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che si produsse nella penisola greca, e alla formazione dei temi marit
timi e dei temi in cui si andò articolando la regione più compatta fra
quelle controllate da Costantinopoli: l'Asia Minore. Questa comples-
siva evoluzione dell'impero, dal VII secolo al IX, si effettuò di fronte
ad una vicenda politica islamica di dimensioni geografiche immensa
mente più vaste, e caratterizzata dapprima - fino alla metà dell'VIII se
colo, quando il califfato omayyade di Damasco crollò - da un opposto
processo di unitaria espansione politica, poi da un'articolazione del
mondo musulmano in aree non meno autonome di quelle bizantine,
ma per lo più di vasto respiro territoriale e di forti ambizioni.
Carlo Martello
t 741
NOTE
Da tutto quanto si è detto risulta che nei secoli centrali del me
dioevo la vita delle popolazioni si svolgeva, nelle regioni di ascenden
za carolingia, entro una rete straordinariamente complessa di pre
ponderanze signorili, che ha ben poco a che fare col vecchio schema
storiografico, largamente vulgato, di una gerarchia feudale stratificata
per gradi successivi. Una gerarchia sociale di potenza fra i vari nuclei
in cui l'aristocrazia laica ed ecclesiastica si articolava, indubbiamente
c'era, ma ogni nucleo risultava costituito di elementi economici e di
elementi militari e politici, collegati fra loro e in vario rapporto con gli
elementi costitutivi degli altri nuclei, in virtù di contratti e di succes
sioni, di consuetudini e di violenze, in continua e assai libera modifi-
cazione, dove l'istituto vassallatico-beneficiario era soltanto una com
ponente fra molte altre, anche se di particolare rilievo per l'associa
zione di vincoli personali e reali che essa esprimeva, e per la crescen
te utilizzazione che dopo il mille se ne fece nei tentativi di ricomposi
zione. Non può quindi stupire che fra il X e l'XI secolo, quando l'im
pianto delle signorie locali era ancora in fieri e le transazioni signorili
e i vincoli vassallatici ancora del tutto insufficienti a definire la coesi
stenza di tanti gruppi armati, si siano delineate tendenze chiaramen
te anarchiche, in molte regioni, nel ceto sociale che deteneva beni, ar
mi pesanti e cavalli atti allo scontro bellico: fossero signori irrequieti,
insoddisfatti della loro potenza regionale o locale, e pronti alla guer
ra fra loro e ad invadere terre ecclesiastiche, o fossero quei molti ca
valieri che, malamente ancora subordinati ai signori delle fortezze, in
tegravano gli scarsi redditi delle loro terre allodiali e beneficiarie con
periodiche scorrerie su vigne e campi di agri vicini e lontani, con raz
zie di animali, con spoliazione di mercanti. Donde dalla fine del X se
colo e nel corso dell'XI secolo, soprattutto nei regni di Francia e di
Borgogna, lo sviluppo del movimento di quelle <<paci di Dio>> che, pro
mosse per lo più da qualche vescovo o abate o pio principe e dalle pro
teste contadine, si espressero come riunioni e concordie di cavalieri e
di signori laici ed ecclesiastici di fronte al popolo e al clero, con giu
ramenti sanzionanti promesse minuziose di rispettare le chiese e i lo
ro possessi, l'incolumità di chierici, monaci e laici, se inermi, e l'inte
grità delle loro cose, sotto minaccia di scomuniche ecclesiastiche e tal
volta anche di rappresaglie violente da parte di schiere più o meno im
provvisate di famuli delle chiese e di gente di popolo: di rado, in verità,
con effetti di lunga durata, ma con reale sollievo, sia pure provvisorio,
delle pene della popolazione. Si promossero anche <<tregue di Dio>>,
che erano sospensioni delle ostilità armate fra signori in certi giorni
della settimana e dell'anno, la domenica soprattutto, in onore di Dio
e a ricordo delle sofferenze del Cristo: sospensioni che dimostrano,
quando erano rispettate, come le innumerevoli guerre signorili fosse
ro per lo più ancora condotte, per tutto l'XI secolo e spesso anche ol
tre, in modo empirico, come operazioni di violenza improvvisa, su
scettibili di interruzione e di ripresa frequenti, senza elaborati disegni
di annientamento delle forze awersarie.
� Castel Tasso
a Vipiteno, Tirolo.
XII secolo.
n paesaggio feudale W Veduta del borgo []] Scena di attività
La costruzione di borglù fortificati proseguì di Monteriggioni. agricole nei pressi
anche dopo la fme delle invasioni, È un perfetto di un borgo
sia per l'esigenza di difendersi dalle insidie esempio di borgo medievale.
dei nemici locali, sia perché funzionali medievale. n castello Particolare degli
all'organizzazione sociale. e le mura furono affresclù dei Mesi.
Arroccati sulla cima di colli o su alture costruiti tra il 1 2 13 XV secolo.
difficilmente accessibili e il 1 2 1 9 dalla Trento, Castello
e protetti da difese naturali, Repubblica di Siena del Buonconsiglio.
erano cinti da possenti mura fortificate per sbarrare
al cui interno sorgeva il castello. la strada ai fiorentini
nelle lunghe guerre
tra le due città.
L'economia agricola il consolidamento coltivate determinarono
Nella società feudale del sistema feudale, il un notevole aumento
l'agricoltura costituiva perfezionamento dei metodi della produzione agricola
il fulcro dell'economia. di conduzione agraria e e un conseguente sviluppo
Tra l'XI e il XIII secolo l'ampliamento delle aree economico complessivo.
[!] I!QJ Due scene di vita dei campi.
Particolari degli affreschi dei Mesi
(aprile e ottobre).
XV secolo.
Trento, Castello del Buonconsiglio:
La città medievale a partire dall'XI secolo. 1!!1 San Pietro
L'incremento della ricchezza Le città comunali dell'Italia Alessandrino regge in
e la crescita demografica centro-settentrionale grembo la città di Siena.
furono tra i fattori principali raggiunsero uno sviluppo Particolare di un affresco
del processo di urbanizzazione politico eccezionale e un alto di Sano di Pietro.
verificatosi in tutta l'Europa grado di autonomia dall'impero. Siena, Palazzo Pubblico.
� Veduta di San Gimignano. !!ID Veduta di Gubbio.
Le numerose torri Sulla sinistra si scorge l'imponente
della città erano sia Palazzo dei Consoli. Costruito
uno strumento di difesa tra il 1332 e il l349, rappresentava il
sia un simbolo di prestigio potere comunale- in contrapposizione
economico e sociale. al potere ecclesiastico.
L'economia urbana commercio e su attività delle organizzazioni
L'economia delle città artigianali altamente delle «arti>> e dei «mestieri»
si basava essenziahnente specializzate. e del trionfo dell'iniziativa
su un fiorente Fu l'epoca della nascita individuale.
1!!1 Tavoletta di Biccherna Il] La costruzione con le loro splendide
raffigurante l'allegoria del tempio vetrate e ricche
del Buon Governo. di Gerusalemme. decorazioni, fu resa
XV secolo. Miniatura dijean possibile grazie al livello
Siena, Archivio di Stato. Fouquet tratta di specializzazione
La Biccherna era la magistratura da una traduzione raggiunto dagli artigiani
finanziaria della Repubblica senese. illustrata del manoscritto medievali: maestri
Dalla metà del XIII secolo adottò di FlaviusJosephus. scalpellini, orafi, vetrai,
l'uso di far decorare con dipinti Parigi, Biblioteca carpentieri, falegnami
le copertine di legno Oe cosiddette Nazionale. e muratori, ciascuno
'tavolette') dei propri registri La costruzione appartenente a una
amministrativi. delle maestose cattedrali, propria corporazione.
D <<Tacuinum Sanitatis» ampiamente in Europa, !!ID La preparazione
n Tacuinum Sanitatis dove fu riprodotto in delle interiora.
rappresentava una summa numerose copie miniate. Miniatura da
del sapere scientifico Le illustrazioni raffigurano un manoscritto
medievale. Opera di un gli elementi del mondo del Tacuinum Sanitatis.
medico cristiano di Baghdad naturale e le attività Vìenna,
vissuto nell'XI secolo, a della vita quotidiana legate Osterreidùsche
partire dal XIII si diffuse all'uso delle varie sostanze. Nationalbibliothek.
I!Zl Lo smercio
di vesti di seta
in una sartoria.
Miniatura da
un manoscritto
del T acuinum
Sanitatis.
Vienna,
Osterreichische
Nationalbibliothek.
� La vendita
delle candele.
Miniatura da
un manoscritto
del Tacuinum
Sanitatis.
Vienna,
Osterreichische
Nationalbibliothek.
� La vendita
del formaggio.
Miniatura da
un manoscritto
del Tacuinum
Sanitatis.
Vìenna,
Osterreichische
Nationalbibliothek.
I racconti di viaggio � Marco Polo giunge
n medioevo fu anche al porto di Hormuz.
un periodo di grandi illustrazione del Maestro Boucicaut
viaggi. Coloro che dal Libro delle meraviglie.
tornavano da terre XV secolo.
lontane e sperdute Parigi, Biblioteca Nazionale.
riferivano dell'esistenza n Libro delle meravglie,
i
di incredibili ricchezze, meglio conosciuto
di strane usanze con il titolo di Milinne,
e di esseri fantastici è il resoconto
come uomrm senza dei viaggi di Marco Polo
testa o con un solo nel lontano Oriente.
piede o un solo occhio. Fu scritto sotto sua dettatura
da Rustichello da Pisa,
il compagno di cella durante
la prigionia nelle carceri genovesi
tra il l298 e il l299.
� Raccoglitori � Uomini dalla testa
di pepe in India. di lupo nelle isole Andaman.
illustrazione illustrazione
del Maestro Boucicaut del Maestro Boucicaut
dal Libro delle meravglie.
i dal Libro delle meraviglie.
L'autorità papale universali, dall'altro � Enrico iV Apostolica Vaticana.
In tutto il medioevo il diffondersi in ginocchio davanti L'imperatore
l'autorità del papa dei movimenti a Matilde di Canossa scomunicato
fu minacciata ereticali, nati e Ugo il Grande. è rappresentato
da due pericolosi dalla sentita Pagina miniata dal nell'atto· di 'invocare
avversari: da un esigenza manoscritto vaticano l'intervento della
lato l'impero, di riformare i della Vìta.Mathildis • corìtessa Matilde
� Giotto di Bondone,
La predica agli uaell�
1297-1300.
Affresco della Basilica
superiore di San Francesco
ad Assisi.
� Giotto di Bondone,
L'estasi di San Francesco,
1297-1300.
Affresco della Basilica
superiore di San Francesco
ad Assisi.
n primo giubileo giubilare veniva � Bonifacio VIII
n primo giubileo, accordata apre il primo giubileo
o armo santo, un'indulgenza dalla loggia delle Benedizioni del Laterano.
fu istituito da papa plenaria, Disegno acquerellato su carta
Bonifacio VIII ciò che fece di Giacomo Grimaldi.
nel l300. della città Fine del XVI secolo.
A coloro che si la principale meta Milano, Biblioteca Ambrosiana.
recavano a Roma di pellegrinaggio Riproduce l'affresco di Giotto
durante l'armo per tutti i fedeli. per la loggia del Palazzo del Laterano.
La Chiesa � Santa Caterina � Giovarrna d'Arco
e le donne da Siena. al castello
La Chiesa medievale Affresco di Andrea di Loches.
conobbe alcune Vanni nella Basilica Pergamena miniata.
singolari figure di San Domenico XVI secolo.
femminili: a Siena. Orléans, Centre
sante, mistiche Entrata a sedici anni Jearrne d'Are.
ed eroine che nel!'ordine terziario La 'pulzella
spesero la propria domenicano, d'Orléans', animata
vita tra religiosità Caterina condusse da una profonda
e impegno attivo una vita consacrata fede religiosa, dedicò
nel mondo, anche senza tuttavia la propria esistenza
se il loro ruolo ritirarsi dal mondo. alla liberazione
fu talora contrastato La sua personalità, della Francia
se non addirittura divisa tra impegno dagli Inglesi durante
esecrato, sino politico e intenso la guerra dei 'cento
alla condanna ascetismo, anni'. Fu accusata
per eresia. ne fa una delle di stregoneria
figure religiose più e messa al rogo
rilevanti del!' epoca. nel 143 1 .
La fine del mondo numerose testimonianze, � Una scena della fme del mondo.
Che gli uomini sia letterarie che Miniatura del codice De Predis.
del medioevo credessero figurative, di una visione XV secolo.
davvero nell'imminente terrificante del giudizio Torino, Biblioteca Reale.
fme del mondo è oggetto universale e delle
di discussione tra gli sofferenze riservate ai 1m Le pene dell'inferno: l'acqua fredda.
storici. Restano tuttavia peccatori dell'inferno. Miniatura del codice De Predis.
venuti dinastie ad incremento della potenza temporale delle chiese
di cui quei personaggi avevano assunto il governo.
Non si può tuttavia, per spiegare convergenze e concessioni, postu
lare sempre un disegno regio a danno delle dinastie signorili. Il re cer
cava alleanze dovunque, e molte volte sanzionava con i suoi privilegi si
tuazioni locali di preponderanza ecclesiastica già in atto. Ciò è tanto ve
ro, che in certi casi - in Italia, ad esempio, già al tempo di Ottone I - il
potere regio cercò qua e là di arginare la sfera di espansione della po
tenza temporale dei vescovi, favorendo personaggi laici fedeli con la
donazione di corti e la concessione della giurisdizione comitale: da Ot
tone I fu favorita, fra le altre, la famiglia longobarda dei Canossa, che
ne trasse largo profitto in Emilia. Il giuoco politico era dunque molto
serrato fra il re, le famiglie potenti ed i vescovi. E che gli enti ecclesia
stici - i vescovati anzitutto - vi partecipassero assai volonterosamente,
anche al di là delle esigenze di difesa contro i dinasti e delle esigenze
di supplenza alle carenze dell'ordinamento pubblico, si può spiegare,
quando si consideri la forza interna che privilegiava quegli enti e ne
sollecitava il dinamismo: una capacità cioè di organizzazione che, muo
vendo dalle strutture culturali restaurate fin dalla prima età carolingia,
e nutrendosi di tradizioni religiose radicate nelle singole aree territo
riali ed espresse visibilmente nelle chiese cattedrali e nei santuari, in
vestiva anche la sfera economica, amministrando razionalmente i vasti
patrimoni inalienabili, e .su tale base economica costruiva spontanea
mente, associandovi in varia forma le collettività soggette, aree di au
tonomia signorile. Se è vero infatti che l'impulso al rafforzamento mi
litare veniva dall'esempio dell'aristocrazia tradizionalmente armata, è
altrettanto vero che gli enti ecclesiastici, già dotati di una loro propria
autonomia istituzionale e spesso da tempo muniti di immunità, offri
vano a loro volta ai signori laici il modello di una costruzione signori
le ufficialmente riconosciuta e concorrente, sulla base di un peculiare
dominio fondiario, con l'ordinamento pubblico regio. Se fra i medie
visti divergenze non mancano nell'interpretare gli sviluppi ecclesiasti
ci di età postcarolingia, ciò procede dalla multilateralità dell'influenza
ecclesiastica, per un verso condotta da una cultura teologica di origine
mediterranea a postulare grandi apparati di governo, responsabili del
bene pubblico - di qui lo stretto connubio col regno -, per altro verso
alimentata dalle tradizioni religiose locali e dalla connessa espansione
fondiaria, e in pari tempo sfidata dagli abusi degli ufficiali regi e dalle
iniziative militari dell'aristocrazia laica.
Di qui la contraddizione apparente fra le prospettive in cui stu
diosi diversamente orientati collocano la presenza e l'efficienza delle
chiese in età postcarolingia. C'è chi insiste a rappresentarle sotto il
dominio e lo sfruttamento dei laici, a tutti i livelli dell'ordinamento
ecclesiastico; e chi ne addita i progressi squisitamente politici, prean
nunzio delle concezioni ierocratiche emergenti dal movimento rifor
matore dell'XI secolo. È bene contemperare l'un giudizio con l'altro,
ma liberando la propria mente sia dagli schemi ordinati di vita eccle
siastica, sia dalle esigenze di autonoma vita civile, che suggeriscono
oggi quei contrastanti giudizi. La società postcarolingia normalmen
te accettava l'aggrovigliato intrecciarsi di tutte le istituzioni, anche se
certe difficoltà di funzionamento, alimentando nella cultura eccle
siastica il ricordo di esperienze e concezioni diverse, finirono per su
scitare il problema di un riassetto globale e per dar vita al movimen
to riformatore. Per quanto riguarda l'anteriore processo di asservi
mento e di potenziamento delle chiese, occorre considerarlo nella
sua complessa unità. L'accrescimento di peso politico era tutt'uno
con il loro coinvolgimento sempre più immediato nelle dissociazioni
e riassociazioni dei poteri di coercizione militare e giurisdizionale, un
coinvolgimento che si alimentava, sì, delle forze espansive insite ne
gli enti ecclesiastici, ma, in pari tempo, delle ambizioni e degli inte
ressi di tutti i potenti del <<Secolo» , così da assumere anche l'aspetto
di un asservimento totale: poiché l'aristocrazia militare, disposta ad
assumere simultaneamente compiti di protezione e vincoli di subor
dinazione di fronte alle chiese di qualche rilievo - spesso, al di là del
le Alpi, mediante l' esercizio ufficiale dell' <<awocazia» a servizio di una
chiesa determinata -, promuoveva e insieme sfruttava la sfera d'azio
ne degli enti ecclesiastici. Ma per rendersi conto della spontaneità
dell'incontro fra tanti interessi nella costruzione di composite entità
di radice ecclesiastica, nulla forse è più istruttivo di quella sintesi isti
tuzionale fra vescovo e città, che si andò attuando largamente in Eu
ropa e oltrepassò socialmente la consueta simbiosi fra l'episcopato e
la grande aristocrazia militare.
per il nostro discorso sulla città vescovile importa qui rilevare che in
questi casi , se il comitato assegnato alla chiesa aveva per capoluogo la
città stessa che era sede del vescovo, egli per lo più distingueva la città
con le sue adiacenze dal restante comitato, prowedendo al governo
dell'una e dell'altro con funzionari diversi.
Furono varie dunque le vie attraverso cui, in molte città, il vesco
vo divenne signore temporale, in forme giuridicamente riconosciute
dai re e orientate verso esatte definizioni, in nome della chiesa ve
scovile e dei privilegi per essa ottenuti: signore in un senso meno
informe di quello sperimentato in età merovingia, quando fra VII e
VIII secolo non tanto l'ente ecclesiastico quanto il gruppo parentale
a cui il vescovo apparteneva traeva immediato profitto dalla potenza
acquistata dal presule nella propria città. Ma ciò che più interessa è il
divario con cui in età postcarolingia il potere temporale del vescovo
fu percepito ed esercitato nella città rispetto ai diritti signorili acqui
siti nella campagna. Nel mondo rurale la signoria ecclesiastica o lai
ca, anche quando assumeva sviluppi bannali e creava distretti giuri
sdizionali autonomi localmente ben definiti, era troppo intrisa di rap
porti con il lavoro della terra e di vincoli almeno tendenzialmente
personali, perché l'autorità del signore, a qualunque titolo chiedesse
obbedienza e servizi, non apparisse come un potere più padronale
che pubblico: per questo appunto si andava affermando in molte re
gioni il servaggio e, più generalmente, si andava allargando un ceto
di <<non liberi>> , diverso dall'antica schiavitù e variamente configura
to al suo intemo, ma tutto condizionato dalla subordinazione giuri
dica ai signori rurali; anche se dall'XI secolo in poi le collettività ru
rali via via acquistarono coscienza, come si è visto nel caso di Nonan
tola, di poter resistere all'esercizio arbitrario del potere signorile. Nel
mondo cittadino - specialmente in Italia, dove la città, pur se nell'al
to medioevo decaduta, viveva quasi sempre in una tradizione di con
tinuità materiale e morale con la città antica - il fatto stesso del mag
giore agglomeramento e la natura più libera delle attività economi
che esercitate impedivano che il signore, pur se era un vescovo a cui
il re avesse donato le mura ed ogni potere di coercizione, si atteg
giasse a padrone dei suoi sottoposti. Ve ne è talvolta un indizio negli
stessi diplomi regi, pur redatti nella forma consueta delle cessioni al
le chiese di cose e diritti in perpetuo. In un diploma emesso nel 904
da Berengario I a favore della chiesa vescovile di Bergamo, si confe
risce al vescovo la potestas su torri, mura e porte della città, ma si pre
cisa che la restaurazione delle difese militari deve awenire ovunque
ciò apparirà necessario al vescovo e ai suoi concittadinil2• Il riferi
mento ai concives dimostra che il vescovo appare, nella coscienza dei
contemporanei, non solo come il rappresentante di un'istituzione ec
clesiastica, ma come un membro - il più eminente - della collettività
cittadina: una collettività capace di partecipare alla formazione di una
volontà politica nelle deliberazioni concernenti i più vitali interessi
della città.
Una collettività capace anzi di esprimere una volontà sua propria
in contrasto, talvolta anche violento, col vescovo: come è largamente ·
�
ciale in cui la potenza temporale del vescovo si inseriva, appare con
evidenza nelle lotte interne a Milano, dove si andò determinando la
distinzione fra un ceto militare di cavalierY,ati olato a sua volta in
milites maiores e milites minores, ed il restante popo o, artigiani e mer
canti di varia condizione economica. Il cet< i milit re si definì in base
alle convergenti esigenze di difesa armata del città e della potenza
arcivescovile. I milites maiores, che nel corso dell'XI secolo assunsero
- né a Milano soltanto - la qualificazione di capitanei, procedevano da
famiglie riccamente fornite di propri beni rurali, spesso incastellati,
oltre che di beni immobili nella città: famiglie talvolta già collegate
nel IX secolo col potere regio, e preminenti, nel X, nell'inquadra
mento militare della città ed entrate tutte in rapporto vassallatico, per
lo meno dall'età degli Ottoni, con l'arcivescovo, che ne accrebbe i
redditi dotandoli di chiese rurali e di benefici ecclesiastici. I milites mi-
nores (dapprima indicati anche come valvassores minores e poi sempli
cemente come valvassori) normalmente erano di origine più mode
sta: per lo più discendevano da medi o piccoli allodieri o anche da ar
tigiani ragguardevoli o da mercanti, ed avevano trovato anch'essi nel
l'istituto vassallatico - mediante la subordinazione a monasteri o ad
altri enti ecclesiastici o ai milites maiores - la possibilità di definirsi so
cialmente come ceto militare, distinguendosi dalla restante popola
zione cittadina. Nella prima metà dell'XI secolo si manifestarono ten
sioni e violenze prima fra i due ceti militari, poi fra questi e il popo
lo, tanto che i milites a un dato momento, non sentendosi più sicuri
nella città, l'abbandonarono con le proprie famiglie e la strinsero
d'assedio, finché nel 1 044 si giunse a una pacificazione: un giura
mento di concordia, che dopo molti altri turbamenti, di carattere re
ligioso - era l' età del movimento riformatore ecclesiastico -, sfociò
nella creazione del comune cittadino alla fine del secolo. In quelle
prime lotte fra gruppi sociali diversi l'arcivescovo - Ariberto d'Anti
miano, che governò la sede milanese dal l 01 8 al 1 045 - si trovò in una
situazione molto difficile ed oscillò fra un'azione moderatrice e una
sostanziale solidarietà con i milites maiores, a cui la sua famiglia appar
teneva. Nelle città dunque di maggiore sviluppo demografico e di più
complessa struttura sociale risulta con speciale evidenza che il gover
no temporale del vescovo non poteva esercitarsi come una signoria
incontrastata, ma operava necessariamente nei limiti consentiti da
una cittadinanza ricca di contrasti interni e di volontà politica: fino al
giorno in cui - come avvenne soprattutto in Italia, ma non in essa sol
tanto - i gruppi sociali cercarono in una magistratura laica loro pro
pria, il consolato anzitutto, un fulcro politico-istituzionale diverso da
quello anteriormente così spesso rappresentato dalla chiesa vescovi
le. In questa luce, le concessioni regie di responsabilità militari e giu
risdizionali ai vescovi nelle città si inseriscono, sì, nella tradizionale ri
cerca di clientele politiche, resa più affannosa dal crescente distacco
dei funzionari pubblici a tendenza dinastica dall'autorità regia, ma in
pari tempo testimoniano l'orientamento delle città verso un'autono
mia che trovava nei vescovi una sua prima copertura politica. Ciò è
tanto vero che, proprio nel caso di Milano - il più cospicuo in Italia
nessun diploma regio o imperiale ci è giunto che conferisca all'arci
vescovo il potere temporale sulla città: che fu dunque un potere crea
to a poco a poco dalla consuetudine, in virtù del prestigio religioso e
sociale del prelato, sorretto da una sua clientela vassallatica e dalle sue
aderenze con i maggiorenti. Anche se, si badi, i re e imperatori, quan
do giungevano in Lombardia, non contestavano il potere temporale
così acquisito dalla chiesa milanese nella città e dunque lo conforta-
vano - per le consuete esigenze di equilibrio politico - con il loro im
plicito riconoscimento: ciò anche nel caso che, per ragioni contin
genti, si trovassero nella necessità di dover combattere un determi
nato arcivescovo, giudicato infedele all'autorità regia, come awenne
con grande asprezza negli ultimi anni di regno dell'imperatore Cor
rado II nei rapporti con Ariberto.
Il rilievo che abbiamo conferito al potere raggiunto dai vescovi
nelle città non deve tuttavia far dimenticare che le radiCi della loro
potenza erano in un prestigio religioso e in una base economica, che
si allargavano ben al di là della città in cui risiedevano: si allargavano
in quelle zone rurali dove i diritti signorili di carattere fondiario e
bannale trovavano nelle popolazioni limitazioni molto minori che
nelle città. Ciò aiuta a capire come dall'XI secolo in poi si andassero
formando talune vaste dominazioni ecclesiastiche di notevole coe
renza territoriale, tanto da gareggiare con i principati delle maggiori
dinastie signorili. Si trattava in tali casi non già soltanto di governo di
città, corti fondiarie e fortezze per opera di una medesima chiesa, ma
di un vero e proprio organismo territoriale unitario. Già si è fatto cen
no al conferimento regio di interi comitati ai vescovi di alcune zone,
in tutti i regni postcarolingi: e questa fu certo una via per garantire a
qualche chiesa potente una sfera territorialmente coerente per l'e
sercizio di funzioni di natura politica. Ma in tali sfere, ufficialmente
costituite secondo i quadri suggeriti dalle vacillanti articolazioni co
mitali dei regni, l'esercizio del potere temporale assunse reale e du
ratura coerenza soltanto se l'atto costitutivo si innestò su un processo
politico già in corso, sulla base delle immunità e, spesso, dell'acquisi
zione di spazi forestali di origine fiscale, donati alle chiese dai re e su
�
scettibili di graduale dissodamento e colonizzazione; e se il processo
politico non fu poi disturbato, all'interno della dominazione eccle
siastica, dalla presenza di centri urbani in forte cre{cTt aè onomica e
di forti ambizioni politiche. Valgano ad illustrare la�orte d versa di si
mili atti costitutivi, pur quando innestati su processi già m atto, gli
esempi del patriarcato di Aquileia e del vescovato di- ASti: entrambi
dotati dal re tedesco di coerenti aree comitali nella seconda metà del
l'Xl secolo ed entrambi già da tempo in possesso di cospicui patri
moni fondiari e di ingenti spazi forestali da dissodare - nel primo ca
so in Friuli, nel secondo caso nel Piemonte sud-occidentale -, ma de
stinati l'uno a persistere fino al XV secolo in forme territorialmente
via via meglio organizzate, l'altro a subire la concorrenza politica del
grande centro commerciale di Asti (sebbene sulla città di Asti e sulle
sue adiacenze immediate il vescovo avesse ottenuto il districtus dagli
imperatori tedeschi fin dal X secolo) e conseguentemente come po-
tenza territoriale a sfaldarsi nel corso dell'età comunale. La forma
zione del principato ecclesiastico del patriarca di Aquileia, eccezio
nale nel regno italico per la sua compattezza e durata, ebbe parecchi
riscontri, in quei medesimi secoli, nel regno tedesco - dalla domina
zione dei vescovi di Utrecht nei Paesi Bassi al ducato dei vescovi di
Wiirzburg nella Germania centrale, dal principato degli arcivescovi di
Salisburgo nella Baviera meridionale a quello dei vescovi di Trento
(considerato ora anch 'esso come parte del regno tedesco, non più di
quello italico) -, nonostante la fioritura comunale transalpina: poi
ché soltanto nel regno italico le città comunali espressero vaste am
bizioni territoriali, sostitutive delle costruzioni politiche dei principi
ecclesiastici e secolari.
Ai margini dell'area imperiale itala-tedesca persisteva intanto il
primo fra i principati ecclesiastici sorti nella cristianità occidentale: il
dominio papale, giuridicamente creato nell'VIII secolo dalle dona
zioni franche dell'esarcato di Ravenna, della Pentapoli e dei ducati di
Perugia e di Roma. In questo ambito territoriale la chiesa di Roma
esercitò un potere effettivo soprattutto là dove - come sempre awe
niva nelle costruzioni politiche dell'Occidente medievale - l' autorità
ufficialmente conseguita trovava una base nei legami con le forze eco
nomico-sociali dominanti. Fu dunque essenzialmente nel Lazio (già
ducato bizantino di Roma) che il papato poté dominare politica
mente nei secoli, in continuità con la prevalenza raggiunta fin dall' età
bizantina nella vita sociale, per i rapporti determinatisi - nel funzio
namento della chiesa di Roma e nella gestione del suo patrimonio
fondiario - con l'aristocrazia della regione: una dominazione protet
ta nel IX secolo dai Carolingi, e poi costretta a far sempre maggior
conto delle grandi famiglie di nobiltà militare e fondiaria, soprattut
to con i discendenti di Teofilatto, membro influente della burocrazia
papale al principio del X secolo. Awenne anzi che un figlio di Mara
zia (figlia di Teofilatto) , il princeps Alberico, esercitasse di fatto il po
tere temporale su Roma e coordinasse nel Lazio il potere degli altri
ottimati, rafforzati da una proliferazione di castelli, inizialmente pro
vocata dalle incursioni saracene. I papi stessi furono scelti assai spes
so fra i membri o gli amici della potente famiglia, finché la discesa dei
re tedeschi in Italia portò al crescente intervento imperiale nelle ele
zioni papali. Di un principato ecclesiastico che non fosse una domi
nazione approssimativa, ma si organizzasse con strutture più salde, si
può tuttavia parlare, per il Lazio, soltanto dopo che nell'XI secolo la
chiesa di Roma fu conquistata dal movimento riformatore: in conco
mitanza dunque temporale con gli sviluppi degli altri principati ec
clesiastici dell 'area imperiale. Quanto alle altre regioni assegnate al
papato dai Franchi nel secolo VIII, la presenza politica della chiesa di
Roma vi fu assai debole, specialmente in Romagna, dov'era efficace
mente contrastata da quella dell'arcivescovo ravennate e dove pre
valse per secoli, al di sopra delle due chiese in contrasto, la protezio
ne dei re d ' Italia: sia nell'età carolingia, sia soprattutto in quella po
stcarolingia, anche sotto gli Ottoni, che soggiornarono frequente
mente a Ravenna e vi esercitarono influenza diretta, nonostante, da
un lato, le loro formali promesse di <<restituzione•• della Romagna e
della Pentapoli alla chiesa di Roma, e, d'altro lato, i loro diplomi di
assegnazione di interi comitati romagnoli alla chiesa di Ravenna.
Le contraddizioni che noi possiamo constatare in questa attività
della cancelleria imperiale, non fanno che confermare, in un caso
particolare, la complessità del giuoco condotto dai re di quel tempo
per controllare le forze presenti in una data regione: che erano, nel
caso ora considerato, non soltanto quelle delle chiese di Ravenna e di
Roma, ma le forze locali - aristocrazie militari e fondiarie e colletti
vità cittadine guidate dai loro maggiorenti -, le quali si collegavano
all'una o all'altra delle due chiese metropolitiche per affermare i pro
pri interessi e una certa autonomia.
NOTE
steri tedeschi di cui il re assume la protezione insieme con quella della loro Jarnilia:
Monumenta Germaniae historica, Diplomata reg;um et imperatorum Gerrnaniae, 11/2, p. 433.
7 Di ciò informa una sua lettera mandata da Roma ai vescovi inglesi: è riportata in
Willelmi Malmesbiriensis Monachi, De gestis reg;um Anglorum libri quinque, a cura di W.
Stubbs, vol. l, London 1887, p. 1 22 ( Rerum Britannicarum medii aevi scriptores, 90) .
8 Liutprandi leges, cap. 44, in Leges Langobardorurn, a cura di F. Beyerle, Witzenhau-
sen 1 962, p. 1 2 1 .
Y Monumenta Germaniae historica, Constitutiones et acta publica, l, pp. 4 7 sg.
10 Documento del l 058 in L.A. Muratori, Antiquitates ltalicae medii aevi, III, Milano
1 740, col. 241 sgg., tradotto da P. Cammarosano, Le campagne nell 'età comunale, Tori
no 1974, pp. 34 sgg.
11 Adalbéron de Laon, Poèrne au roi Robert, ed. critica e trad. in francese a cura di
C. Carozzi, versi 1 4-17, 37, 227-305, 366, Paris 1 979 (Classiques de l 'histoire de Fran
ce au moyen age) .
12 I diplomi di Berengario l, a cura di L. Schiaparelli, Roma 1 903 ( Fonti per la sto
DISEGNI DI RIORDINAMENTO
NELL'OCCIDENTE PRECOMUNALE E IN ORIENTE
l. La diffusione del modello imperiale greco, gli sviluppi califfali del Cairo
e di Cordova e l'espansione turca nella simbiosi arabo-iranica
l O N i i,I M
Stati bizantini
lì71li1II
È vero che nel corso dell'XI secolo l' impero entrò in crisi. Fra i bi
zantinisti è oggi assai vivo il dibattito sulle ragioni della crisi interve
nuta dopo una così felice opera di restaurazione dell'impero, qual era
stata quella iniziata al tempo di Michele III e compiuta sotto la suc
cessiva dinastia macedone: adattamento ideologico all'autonomia
dottrinale raggiunta attraverso la lotta delle immagini dali' organismo
ecclesiastico, irradiazione religiosa e culturale dell'ortodossia greca e
del suo supporto imperiale all 'interno e al di là dei confini politico
territoriali, riconquista delle regioni situate a sud del Danubio; una
riconquista che si aggiunse in occidente a quella della Puglia - si
multanea però alla perdita della Sicilia - e che si accompagnò in
oriente alla penetrazione in Armenia e in Siria e alla sottrazione di
Creta e di Cipro ai musulmani. Ma le imprese degli imperatori <<ma
cedoni>> avevano richiesto un accentramento delle forze militari a fi
ni offensivi, con largo impiego di mercenari di ogni razza e prove
nienza, in contrasto col regime prevalentemente difensivo dei tempi,
e avevano acuito le esigenze fiscali e le tensioni fra il potere imperia
le, un'aristocrazia burocratica tendente ad una più vasta base sociale
di reclutamento e un'aristocrazia militare obbedita da clientele in
espansione. Certo è che l'impero non fu in grado di resistere, nella
seconda metà dell'XI secolo, all 'avanzata turca che allora si produsse
dal mondo arabo all 'Asia Minore, né riuscì a impedire la conquista
dell 'Italia meridionale da parte degli avventurieri provenienti dalla
Normandia francese. La dinastia dei Comneni, che resse l'impero
dalla fine dell'XI secolo alla fine del XII, ricuperò il controllo di lar
ghe zone costiere dell'Asia Minore, il vecchio perduto baluardo del
mondo greco, e respinse le aggressioni normanne alla penisola bal
canica, ma l'impero, ridotto quasi soltanto al blocco balcanico e tra
vagliato all ' interno dal problema politico bulgaro e dal proselitismo
di bogomili e pauliciani, non poté opporre all'intraprendenza degli
occidentali - i cavalieri crociati e i mercanti italiani - forze economi
che e militari capaci di sostenerne la concorrenza. Rilevante rimase
l'attività culturale, ma non più in grado, come tradizionale sostegno
dell'ideologia imperiale, di esercitare con l' efficacia di un tempo la
funzione di fulcro di una potenza di aspirazioni universali.
Fulcro di queste aspirazioni essa era stata nei secoli, prima e dopo
la lotta fra iconoclasti e iconoduli. Lo sviluppo missionario aveva tro
vato il suo primo grande propulsore in Fozio, il più illustre intellet
tuale greco del IX secolo, giunto alla dignità patriarcale dopo una fe
lice carriera nell'amministrazione centrale dell'impero, accompa
gnata da una vastissima attività di studio e di comunicazione colta con
gli amici e con i giovani che a Costantinopoli affluivano nella sua ca
sa privata: un sapere in cui teologia e retorica si aprivano - secondo
una tradizione ininterrotta, ma con minore diffidenza religiosa di
quanto avvenisse in passato e di quanto ancora avveniva fra i monaci
iconoduli più intransigenti - a una larga lettura dei classici antichi e
si prolungavano in una molteplice curiosità di sapore umanistico.
Erano gli anni in cui nella medesima capitale insegnava <<filosofia,,
Leone il Matematico, la cui fama raggiunse la corte califfale di Bag
dad: e intorno a Leone fu riorganizzato a Costantinopoli l'insegna
mento pubblico superiore. L'orientamento enciclopedico prevalse
sotto gl'imperatori <<macedoni » , alcuni dei quali non solo protessero
le lettere, ma le coltivarono con opere proprie: fu il caso, fra IX e X
secolo, del figlio e successore di Basilio I, Leone VI il Sapiente, di
scepolo del patriarca Fozio; e poi soprattutto del figlio e successore
di Leone VI, Costantino VII Porfirogenito, che scrisse di geografia
politica, di arte diplomatica, di amministrazione militare e narrò con
eloquenza la vita dell' avo Basilio. Quest'opera di ricupero del passa
to che caratterizzò l'enciclopedismo del X secolo, si tradusse nell'XI
- con la moltiplicazione delle scuole, dei retori e dei filosofi - in un
più ardito umanesimo. Il suo rappresentante maggiore fu un brillan
te professore dell'università di Costantinopoli, Michele Psello, che di
tutto scrisse e nell'insegnamento con tanta insistenza celebrò Plato
ne - pur se in un contesto neoplatonico cristiano da destare qualche
pericoloso sospetto di non perfetta ortodossia: da questi sospetti egli
si liberò, ma da più dirette accuse di eterodossia non si liberò il suo
discepolo e successore nell' insegnamento Giovanni Italo - originario
dell'Italia meridionale -, che l'imperatore Alessio I, il fondatore del
la dinastia dei Comneni, fece condannare. Erano ormai per gli intel
lettuali tempi difficili, nei quali i Comneni, zelanti teologi essi stessi
e preoccupati dei movimenti ereticali dilaganti nell'impero, proce
devano con molta risolutezza: nel disputare dialetticamente e nel
condannare.
Dal IX all'XI secolo si può dunque notare un certo parallelismo
fra Oriente cristiano ed Occidente nell'evoluzione culturale verso un
umanesimo via via più aperto, un parallelismo che conservava nor
malmente al mondo bizantino una netta superiorità intellettuale. Ma
qui la dottrina e la letteratura erano essenzialmente lo splendore di
una grande capitale, che finì per trovarsi soffocata da troppi proble
mi di sopravvivenza. L'Occidente aveva un ben più vasto respiro poli
tico, pur nel caotico intreccio dei suoi disparatissimi centri di potere;
e dalla seconda metà del X secolo, cessate le grandi incursioni sara
cene e vichinghe e organizzatisi gli Ungari nella Pannonia in forme
più stabili, non conosceva ormai problemi di sopravvivenza, protetto
com'era, fra l'altro, proprio dal baluardo bizantino; il quale si ridus
se di estensione, ma si mantenne pugnace di fronte alla profonda
avanzata turca che, utilizzando le strutture dell'impero arabo, vi
infondeva una nuova forza espansiva. La circolazione degli uomini e
delle idee divenne in Occidente, via via che le città in esso cresceva
no e si moltiplicavano, di gran lunga più proficua di quanto fosse nel
ristretto mondo balcanico. Ciò ebbe i suoi riflessi anche sulle istitu
zioni ecclesiastiche. Di queste l' Oriente non conobbe degenerazioni
simili a quelle dell' Occidente, ma in Occidente le correnti culturali
che di monastero in monastero e di chiesa in chiesa si andavano mo
bilitando seppero porsi il problema della degenerazione avvenuta e
finirono col conquistare nell'XI secolo la sede romana, utilizzandola
per una nuovissima ristrutturazione gerarchica di respiro europeo.
L' Oriente bizantino, che da mezzo millennio aveva accettato un pri
mato romano di significato oscillante nell'ambito della pentarchia
patriarcale, si irrigidì di fronte alle nuove fortune di Roma, non più
contenute dalla concezione teocratica degli imperatori di Costanti
nopoli. A metà dell'XI secolo l'anima della resistenza bizantina agli
sviluppi dell'idea papale romana fu Michele Cerulario, patriarca di
Costantinopoli, altrettanto energico propugnatore dell'autonomia
ecclesiastica di fronte al potere del principe - ed anzi pronto a inter
venire egli stesso potentemente nelle successioni imperiali -, quanto
avversario di una supremazia romana che non si mantenesse nei ter
mini di un primato soprattutto onorifico. Il contrasto con Roma fu
alimentato dalla concorrenza fra le due sedi nella disciplina liturgica
e giurisdizionale delle chiese dell 'Italia meridionale, si allargò all'in
tero problema dell'autonomia liturgica greca e si traspose anche sul
piano teologico, in una sottilissima disputa trinitaria (se la terza Per
sona dovesse semplicemente dirsi procedente dalla prima, o non piut
tosto, come nella liturgia occidentale si diceva, insieme dalla prima e
dalla seconda) , una disputa in verità non nuova - affiorò già nel IX
secolo al tempo di Fozio -, ma tale ora da solennizzare uno scisma du
raturo: uno scisma che ovviamente coinvolse il mondo russo, imper
niato sui metropoliti di Kiev, e che si aggravò con lo sviluppo schiet
tamente occidentale della monarchia papale di Roma, nonostante
tutti i tentativi che si fecero per giungere a una conciliazione di fron
te al comune pericolo turco.
Negli stessi secoli IX-XII in cui le due grandi aree della cristianità
andarono precisando una loro via via più distinta fisionomia eccle
siastica, il mondo musulmano conobbe esperienze religiose profon
damente conflittuali, suggerite da forme di sensibilità diverse, in con
nessione sempre assai intima con le fortune delle formazioni politi
che arabe e con l'introduzione di nuovi popoli nell'immensa area del
l' Islam: ma con una complessiva capacità di sviluppo culturale, che
utilizzava l'eredità antica non meno intensamente di quanto avvenis
se a Bisanzio e fra monaci e chierici dell' Occidente, e spesso anzi con
più ardita fiducia intellettuale.
Fin dal principio del IX secolo alcuni teologi di scuola mutazilita
svilupparono razionalmente l'idea dell'unità divina e della sua tra
scendenza fino a combattere come antropomorfica ogni attribuzione
ad Allah di qualità suscettibili di richiamare per analogia l'esperien
za umana e fino a negare al Corano il carattere di parola eterna e in
creata; e predicarono la responsabilità morale degli uomini in quan
to dotati di ragione e di libero arbitrio. I mutaziliti ebbero l'adesione
attiva e intransigente del dotto califfo al-Mamun, di cui sopra abbia
mo ricordato il mecenatismo, ed ebbero contatti col movimento scii
ta, non meno ardito nelle interpretazioni dell' Islam e dunque an
eh' esso con qualche tendenza ali' elaborazione intellettualistica, sia
pure su un piano molto diverso, quello del significato da attribuire al
potere califfale, col connesso problema della discendenza dei califfi
legittimi da Ali, genero di Maometto. Avvenne anzi che i mutaziliti,
avendo destato reazioni nei teologi tradizionalisti e nel popolo, finis
sero col perdere la protezione califfale e fossero confusi con l' oppo
sizione sciita, la quale in realtà, perseguitata com'era e costretta ad
operare clandestinamente, andò sviluppando in certe sue correnti
tendenze esoteriche di carattere messianico, fondate sull'attesa del ri
torno di un imam ( guida religiosa ispirata da Allah) che era scom
parso e che si riteneva fosse miracolosamente nascosto. Fra queste
correnti ebbe particolare espansione l'ismailismo, il cui orientamen
to esoterico generò la prassi di vari gradi di iniziazione, attraverso i
quali si perveniva a una dottrina permeata di suggestioni del pensie
ro greco: vi si accoglieva la credenza - conforme al sistema cosmico
neoplatonico - in una gerarchia di enti emananti dall'Uno, ma a que
sta cosmologia veniva adattata una complessa teologia della storia, do
ve trovavano collocazione logica apparizioni profetiche, occultazioni
di imam, sofferenze e persecuzioni fino al martirio. Gli sviluppi estre
mi dello sciismo in senso ismailita, pur se testimoniavano anch'essi un
notevole impegno intellettuale, divergevano nettamente dal lucido
razionalismo mutazilita, che infatti li combatté ed ebbe i propri ere
di piuttosto nella speculazione di al-Farabi, un Turco vissuto per qua
si tutta la sua lunga vita a Bagdad ed in Siria fino a metà del X secolo,
e del grande Avicenna, medico, filosofo ed uomo politico, attivo in
Persia nei primi decenni dell'XI secolo: i quali contemperarono l 'e
manatismo neoplatonico e l'ispirazione mistica con un enciclopedi
,
smo scientifico d'impronta aristotelica. E interessante osservare che,
proprio quando nell' Occidente latino si accendevano i contrasti fra
dialettici ed antidialettici, anche nell' Oriente islamico si manifesta
vano reazioni - intellettuali, si badi - alle speculazioni teologiche dei
nuovi filosofi: contro al-Farabi ed Avicenna si levò il persiano al-Gaz
zali, che fra XI e XII secolo insegnò a Bagdad ed in Siria e criticò ra
zionalmente gli <<eccessi>> di ardimento filosofico, proponendo un ap
profondimento ascetico-mistico dell'esperienza religiosa, nell'ambi
to di una già viva e peculiare tradizione islamica, il sufismo.
Dall'ismailismo di origine medio-orientale, di intensa ispirazione
comunitaria e missionaria, trasse forza un movimento politico che al
principio del X secolo si alimentò dei contrasti etnici e sociali interni
all'lfriqiya, travolse la dinastia aglabita e vi sostituì la dinastia dei Fati
miti, i quali, sulla base di una loro presunta discendenza da Fatima e
Ali, disconobbero la legittimità degli Abbasidi di Bagdad, assunsero il
titolo califfale e nella seconda metà del X secolo si estesero ad ovest fi
no all'Atlantico e ad est occuparono l'Egitto, penetrarono in Palesti
na e in Siria fino a Damasco, controllarono le città sante di Medina e
della Mecca. Crearono una burocrazia conforme ai modelli islamici
anteriori, e nella capitale fondata in Egitto, il Cairo, rivaleggiarono vit
toriosamente con Bagdad per fasto, mecenatismo, biblioteche, per lo
sviluppo di quegli studi enciclopedici che già anteriormente avevano
accostato sciismo e cultura ellenizzante, ed anche per una prosperità
commerciale alimentata dalle relazioni con le città costiere d'Italia e,
attraverso il controllo del Mar Rosso, con le Indie. Ma lo sciismo ismai
lita, identificatosi con la potente dinastia fatimita nei paesi assoggetta
ti, rimase in essi privo dell'impulso moralmente rivoluzionario che era
parso contraddistinguerlo, nella fase missionaria, né penetrò profon
damente nelle popolazioni dell 'Mrica settentrionale. Qui del resto il
califfato fatimita perdette assai presto l'una dopo l'altra, a vantaggio
di dinastie emirali e di gruppi tribali berberi, tutte le regioni a occi
dente dell'Egitto, nel quale invece resistette contro le aggressioni de
gli emiri musulmani di Siria e contro i crociati cristiani, fino a quan
do, nella seconda metà del XII secolo, qualche tempo prima della ter
za crociata, un capo militare curdo proveniente dalla Siria, il famoso
Saladino, prese il sopravvento sui Fatimiti e restituì formalmente l'E
gitto all'obbedienza religiosa verso il califfato di Bagdad.
Di fronte allo sciismo dei Fatimiti il tradizionalismo dei cosiddetti
sunniti o ortodossi, alieni dalle deformazioni che le esuberanti spe
culazioni teologiche facevano subire, alla originaria dottrina del Co
rano e della Sunna, fu rappresentato, oltre che dagli Abbasidi di Bag
dad, dagli Omayyadi di Cordova, orientati ideologicamente nella di
sciplina morale e del culto secondo l'insegnamento giuridico maliki
ta di origine medinese. Ma poiché i Fatimiti non solo avevano disco
nosciuto la legittimità degli Abbasidi, ma avevano assunto essi stessi la
dignità califfale, anche gli emiri di Cordova, che fino al principio del
X secolo non avevano ancora osato spezzare formalmente l'unità del
mondo islamico, si proclamarono califfi. Il califfato omayyade di Cor
dova durò soltanto un secolo e conobbe una lunga fase di consolida
mento interno; di vittoriosa difesa delle frontiere settentrionali con
tro il regno di Leon (derivato da un' espansione del precedente regno
delle Asturie) e contro le altre signorie cristiane formatesi tra i Pire
nei e l'Ebro; di presenza anche nel Magreb occidentale in una serra
ta lotta di influenza con i Fatimiti. Ma nei primi decenni dell'XI se
colo il califfato di Cordova fu travagliato dalle tensioni etniche inter
ne e finì per scomparire anche formalmente, sciogliendosi in una plu
ralità di emirati musulmani autonomi, che non seppero più fronteg
giare efficacemente le offensive cristiane del Nord.
L'Islam trovò in Occidente nuovo vigore religioso e guerresco nel
la seconda metà dell'XI secolo per opera di tribù di nomadi berberi
provenienti dal Sahara: sotto la dinastia degli Almoravidi esse occu-
parono il Magreb occidentale, animate - in nome di un tradizionali
smo sunnita rigidamente interpretato secondo le dottrine malikite -
dalla polemica contro le «eresie>> musulmane dell'Mrica settentrio
nale; e si allargarono sulla penisola iberica, guidando la resistenza
contro i principati cristiani in espansione. Ma ancor prima della metà
del XII secolo il vasto ed eterogeneo impero emirale degli Almoravi
di, esteso dal Senegal all'Ebro, era già in grave crisi interna e si avvia
va ad essere sommerso da un altro movimento berbero, sorto fra le
tribù delle montagne dell'Atlante e guidato dalla dinastia degli Al
mohadi. In nome di un sunnismo liberato dall'angustia di idee dei
dottori malikiti e ricondotto a un' ispirazione religiosa coranica più
profonda di quanto fossero le prescrizioni contenute nei trattati giu
ridici, gli Almohadi condussero i loro Berberi alla conquista dell'in
tero Magreb e della Spagna musulmana ed assunsero, diversamente
dagli Almoravidi, il titolo califfale, significativo di una pretesa alla di
rezione dell 'intero mondo islamico, in contrasto dunque anche con
i califfi rivali di Bagdad e del Cairo: l'impero almohade si andò poi di-
·
2. La presenza del papato romano e del regno imperiale tedesco nel processo
di stabilizzazione di Slavi, Magiari e Scandinavi
Come ciò poté avvenire? Nel decreto del 1 059 sulle elezioni papali
il privilegio ottenuto dagli imperatori per il controllo di tali elezioni
non era stato ignorato, ma vi si era accennato in un modo alquanto sfu
mato: l 'orientamento era ormai verso una piena indipendenza della
chiesa di Roma da qualsiasi potere secolare. E questo orientamento,
ben manifesto nell'accentuazione del primato di Pietro, si traspose an
che nella discussione del problema dell'episcopato e del clero. La lot
ta contro la simonia divenne una più radicale polemica contro l'inter
vento dei laici nell'ordinamento ecclesiastico, nella persuasione che
responsabili della corruzione fossero gli interessi rappresentati dalle
dinastie e dalle famiglie viventi nel «secolo» : la lotta religiosa divenne
urto contro l'intero assetto della cristianità occidentale e in special mo
do contro il tradizionale rapporto fra il regno e il sacerdozio. Il pote
re regio e imperiale si vide non soltanto ritolto di fatto il controllo di
Roma, ma messo in pericolo il più robusto fondamento rimastogli do
po la crisi postcarolingia dell'ordinamento pubblico: la fedeltà dei ve
scovi - arricchiti dal regno stesso di poteri e di giurisdizioni - e la pos
sibilità di incidere sulla loro scelta. Molti fra i vescovi dell'impero, non
pochi anche di quelli più o meno persuasi della necessità di una rifor
ma, rimasero offesi, nella loro fedeltà al principe e nella loro conce
zione della sua sacralità, dal sovvertimento romano della tradizione.
Il duplice schieramento cominciò a farsi palese dopo Niccolò II,
allorché divenne papa col nome di Alessandro II ( 1 061-1 073) Ansel-
mo da Baggio (presso Milano) , amico dei patarini e vescovo di Lucca
- ancora dunque la scelta di un papa nell 'ambito toscano - e grande
estimatore, nella sua azione papale, dell'arcidiacono Ildebrando. L'e
lezione di Alessandro Il, effettuata dai cardinali vescovi, fu contrasta
ta dall' aristocrazia romana, che si accordò con la corte tedesca e con
l'episcopato lombardo per una scelta diversa. Lo scisma papale durò
qualche anno, ma un nuovo orientamento della corte tedesca e l'aiu
to normanno decisero a favore di Alessandro Il. Prevalse allora sui
consigli moderatori di Pier Damiani, ispirati da una concezione esclu
sivamente sacerdotale dell'autorità della chiesa di Roma, la persua
sione che il papato non potesse svolgere la sua funzione di vertice del
l' edificio ecclesiastico - garante dell' inquadramento episcopale delle
popolazioni e nel teril.po stesso propulsore e moderatore degli orien
tamenti autonomistici del monachesimo riformato - senza irrobusti
re quella rete di alleanze politiche da cui la cerchia riformatrice di Ro
ma aveva tratto la possibilità di sopravvivere agli urti delle forze av
verse. Persino i collegamenti missionari con i popoli che alla perife
ria della cristianità subivano l'attrazione dell'ordinamento latino-ger
manico, dalla Scandinavia all'Europa centro-orientale, e i collega
menti religiosi con le forze patariniche e con quelle che nella peni
sola iberica lottavano per la riconquista cristiana, si colorarono di si
gnificato politico o militare, mediante pagamento di censi simbolici
o prestazione di giuramenti di fedeltà alla sede apostolica. La simbiosi
politico-ecclesiastica che il movimento riformatore romano combat
teva come offesa alla libertas ecclesiae, veniva dunque respinta nella for
ma tradizionale della supremazia regia e imperiale , ma riaffermata di
fatto nella graduale costruzione di una supremazia papale non meno
fluida ed ambivalente.
La successione ad Alessandro II del grande Ildebrando, col nome
di Gregorio VII ( 1 073-1085) , sviluppò definitivamente questa ambi
valenza politico-sacerdotale del papato, poiché la frequenza con cui
il nuovo pontefice, spesso trascurando in nome della supremazia ro
mana le autorità intermedie dei metropoliti e dei vescovi, interveniva
all'interno delle province ecclesiastiche e delle diocesi e sospendeva
i sospetti di simonia o di concubinato, esigeva obbedienza alle con
vocazioni, scomunicava prelati e sacerdoti giudicati colpevoli, offese
tanti interessi e tali consuetudini da rendere sempre più necessario il
sostegno, per l 'esecuzione degli ordini e delle sentenze, di una fitta
rete di amicizie politiche e di un laicato consenziente. Tanto più gra
ve fu quindi la decisione papale di proibire espressamente ogni inve
stitura regia, anche gratuita, dei vescovati: lo scopo era di impedire
per sempre scelte dettate da ragioni non religiose, ma gli effetti del
divieto si prospettavano come dirompenti per tutti i regni della cri
stianità, fondati sullo stretto connubio tra il potere regio e l'episco
pato e su interferenze codificate e reciproche dell'un potere nella sfe
ra dell'altro. Ne conseguì la rottura fra Gregorio VII ed Enrico IV:
un'assemblea di vescovi tedeschi accusò il pontefice di sprezzare l'e
piscopato e lo dichiarò deposto per indegnità: Gregorio, a sua volta,
forte in Italia dell'appoggio della contessa Matilde, figlia di Bonifacio
di Canossa e di Beatrice di Lorena ed erede dei loro beni e delle lo
ro clientele, sospese il re dall'esercizio delle sue funzioni, scioglien
done i sudditi dalla dovuta fedeltà - cosa fin allora inaudita nella sto
ria dei rapporti fra regno e sacerdozio, ma conforme ai princìpi già
da Gregorio VII espressi nel dictatus papae intorno alla supremazia
giuridica del pontefice romano su qualsiasi autorità spirituale e tem
porale - e lo scomunicò.
I conflitti interni al regno tedesco, alimentati dall'ostilità dei Sas
soni alla dinastia di Franconia, indussero Enrico a riconciliarsi col pa
pa, umiliandosi nel celebre incontro di Canossa del l 077 in forme pe
nitenziali suggerite dalla tradizione, per essere liberato dalla scomu
nica; ma gli oppositori tedeschi di Enrico procedettero egualmente
alla scelta di un nuovo re, così come Enrico a sua volta, quando Gre
gorio dopo molte incertezze procedette a una sua nuova condanna e
scomunica, promosse l'elezione di un nuovo papa nella persona del
l'arcivescovo di Ravenna, per opera di un gruppo di vescovi in mag
gioranza italiani. Fu allora guerra in Germania e in Italia fra le due
opposte ed eterogenee fazioni. Enrico IV, entrato in Roma, si fece in
coronare imperatore dal proprio «romano pontefice», ma soprav
vennero i Normanni nella città, mentre papa Gregorio, riparato in
terra normanna e rinnovate le precedenti condanne, finiva i suoi
giorni a Salerno.
La coerenza e l'audacia con cui Gregorio VII combatté l'interven
to imperiale nel funzionamento dell'episcopato; scomunicando gli av
versari senza risparmio e promuovendo o utilizzando rivolte in Italia
e in Germania, trasformò il movimento per la riforma del clero e per
la restaurazione di un'ordinata vita delle chiese, in un grande pro
getto di ristrutturazione gerarchica di tutti i poteri spirituali e tempo
rali della cristianità intorno al pontefice romano: un progetto che con
l 'ultima disavventura di Gregorio VII sembrò concludersi in un falli
mento e neppure in seguito fu mai rigorosamente realizzato, ma che
ebbe tuttavia un'efficacia decisiva nell'orientare il cattolicesimo, in
quanto ordinamento strettamente ecclesiastico, verso una soluzione
monarchico-papale e nel costringere, per reazione polemica, le ari
stocrazie politiche di tradizione militare o cittadina a interpretare la
propria funzione civile in modo più autonomo rispetto all'organismo
ecclesiastico, continuando nei secoli a convivere con esso ma in mo
do più articolato. Già nel corso della grande lotta ideologica che ac
compagnò la guerra fra enriciani e gregoriani - la prima lotta ideolo
gica del medioevo non imperniata esclusivamente su problemi teolo
gici - vi fu tra i libelli di parte regia, normalmente ancorati alla tradi
zione carolingia e ottoniana dell'impero come custode delle struttu
re ecclesiastiche, quella Defensio Heinrici IV regis del giurista ravennate
Pietro Crasso, che pose in parallelo fra loro le due leges, religiosa e ci
vile, destinate a governare gli uomini: il rinato studio del diritto ro
mano suggeriva, di fronte all'aggressione ideologica del papato, di ri
trovare in una tradizione legislativa autonoma, nata in antico al di fuo
ri dell'insegnamento ecclesiastico e proseguita nei secoli parallela
mente ad esso, una giustificazione del potere regio che lo sottraesse a
quella subordinazione intellettuale e morale al sacerdozio, che il gre
gorianesimo voleva ora tradurre in una subordinazione giuridica.
Dopo alcuni anni di crisi l'opera di Gregorio VII fu ripresa, con as
sai maggiore cautela nei mezzi, da papa Urbano II ( 1 088-1099) , un
canonista originario della diocesi di Reims, poi monaco a Cluny, infi
ne vescovo-cardinale di Ostia (dopo Pier Damiani) . La sua indulgen
za di fronte a certe trasgressioni dei canoni si univa a una grande fer
mezza nella professione dei princìpi gregoriani, ed anzi l'ampio uso
ch'egli fece del diritto papale di dispensare in casi particolari dai ca
noni, valse a riaffermare l'idea gregoriana dell'illimitato potere pa
pale d'intervento nel governo delle chiese di tutta la cristianità. Ma la
prudenza e la clemenza nell 'azione pratica non bastavano per avvia
re a soluzione una lotta, traspostasi ormai sul piano della dottrina è
alimentata, nella discussione del problema dei rapporti fra il regno e
il sacerdozio, dalla ricchissima libellistica delle parti contrapposte.
Emerse allora una linea dottrinale intermedia fra le tesi estreme, sug
gerita dalla considerazione che duplice, spirituale e temporale, è la
potenza dei vescovi: donde - rilevarono alcuni canonisti di orienta
mento moderato, fra i quali eminente il prelato francese lvo, vescovo
di Chartres - l'opportunità che ali' ordinazione ecclesiastica del ve
scovo si accompagni un atto di assenso del re, supremo regolatore del
le cose temporali, all'ingresso del vescovo nel possesso dei beni per-·
tinenti alla sua chiesa. Questo sforzo di distinzione fra i diversi aspet- 1
ti della potenza ecclesiastica non convinse Urbano Il, ma si ripresentò
in varie forme sotto i suoi successori, tanto che nel 1 1 1 1 papa Pa
squale II aderì a un accordo con Enrico V, figlio e successore di Enri
co IV, di contenuto sorprendente: il re dichiarò di voler rinunziare a
qualsiasi intervento nella concessione dei vescovati e promise di ri
spettare i beni pervenuti alle chiese da donazioni private e i proventi
connessi con il funzionamento ecclesiastico; il papa si impegnò ad ot
tenere dai vescovi la restituzione di tutte le <<regalie>> , cioè di tutti i
redditi di origine fiscale e di tutte le giurisdizioni e i poteri concessi
in passato alle chiese dai re. Era una davvero razionale separazione
dell'autorità religiosa dalla potenza pubblica: ma troppo razionale e
dottrinaria, troppo rivoluzionaria rispetto al secolare incremento del
lè responsabilità assunte dai prelati nell'esercizio di poteri militari e
giurisdizionali e nella fruizione dei redditi pubblici. L' accordo non
ebbe neppure un principio di esecuzione, perché sollevò la protesta
di tutti gli interessati: che erano i vescovi, ma insieme con essi tutti i
potenti che come avvocati o vassalli delle chiese tenevano in godi
mento dai vescovi, a incremento della propria potenza dinastica, red
diti e diritti di origine regia.
Ad una soluzione si giunse nel concordato stipulato nel 1 1 22 a
Worms (Franconia renana) fra Enrico V e i rappresentanti di papa Cal
listo II, in una direzione sostanzialmente conforme alle idee già da
tempo espresse da Ivo di Chartres e in armonia, per quanto riguarda
la Germania, con la prassi che si stava instaurando nei regni di Fran
cia e d'Inghilterra. Fu stabilito che i vescovi e gli abati delle abbazie im
periali fossero eletti nel rispetto dei canoni - dunque secondo i princì
pi di libertà delle comunità monastiche, o, per l'elezione vescovile, del
clero locale con accessione puramente formale del popolo -, con la
precisazione che nel regno teutonico, diversamente che in quelli di
Borgogna e d'Italia, l 'elezione dovesse avvenire in presenza del re o di
suoi rappresentanti, i quali, nel caso di discordia fra gli elettori, po
tessero confortare l'opera del metropolita e dei vescovi della provin
cia ecclesiastica a cui la diocesi apparteneva, nell'orientare gli elettori
verso un'elezione concorde. Il re doveva poi concedere all'eletto - in
Italia e in Borgogna solo dopo la sua consacrazione religiosa da parte
dei vescovi - le «regalie>> pertinenti alla sua chiesa, mediante la conse
gna non dell'anello o del pastorale, come anteriormente spesso i re
avevano usato, bensì di uno scettro, simbolo di un potere che impe
gnava il vescovo, così investito, ad adempiere verso il re i doveri con
nessi con le funzioni temporali. In tal modo, se per un verso veniva re
staurato un più libero diritto del clero locale all'elezione del vescovo
(un diritto di fatto sempre più rappresentato, nel corso del XII seco
lo, dal capitolo cattedrale, cioè dal collegio canonicale operante in
torno al vescovo) , per altro verso si sanzionava un persistente diritto
del re di influire sulle elezioni ecclesiastiche nel regno tedesco e si
apriva la via - in Italia e in Borgogna, dove per le elezioni discordi non
si prevedeva la cooperazione regia con il metropolita e i vescovi suoi
suffraganei - all'intervento papale in tutte le elezioni vescovili diffici
li. L' Italia, in modo particolare, diveniva la vasta base di operazione di
un papato impegnato a costruire gradatamente un rigido regime di
governo monarchico su tutto l'episcopato europeo e di controllo di
retto di tutto il movimento monastico.
Qualche analogia si può trovare fra gli esiti della conquista nor
manna nel regno inglese e la costruzione di un regno normanno uni
tario nell'Italia meridionale: pur se le vicende furono profondamen
te diverse. Non già una grande operazione condotta da un principe e
dal suo esercito feudale secondo un disegno prestabilito, per riven
dicare la successione ad un regno funzionante da tempo, bensì una ·
NOTE
1 L'ipotesi è di H. AhiWeiler, Byzance: les pays et les territoires, London, Variorum Re
prints, 1 976, Vll art. (riproduce un art. del 197 1 ) .
2 Die Regesten des Kaiserreiches unter Otto /Il, a cura di M. Uhlirz, Graz-Koln 1957, pp.
745 sgg.
� Monumenta Germaniae historica, Constitutiones et acta publica, I, nr. 45, p. 90.
PARTE SECONDA
BASSO MEDIOEVO
CAPITOLO PRIMO
Quasi non c'è aspetto della vita degli uomini dei secoli XI-XIII al
quale non sia stato attribuito un carattere rivoluzionario. Medievisti
più o meno illustri hanno così parlato di «rivoluzione agraria» , «rivo
luzione feudale» , <<rivoluzione commerciale >> , <<rivoluzione industria
le>>, <<rivoluzione urbana>> , <<rivoluzione intellettuale>> . Dalla consunta
visione di un medioevo statico all'immagine di un' età addirittura <<ri
voluzionaria>> dopo la <<svolta>> del millennio? Nessuno può negare
che siano awenuti cambiamenti profondi e persino radicali nelle
strutture economiche, insediative, sociali, politiche e mentali della so
cietà europea di quei secoli. Ma come vedere in essi i caratteri di re
pentinità e, al tempo stesso, di globalità che suscita l'idea di <<rivolu
zione>>? Come attribuire al mille il valore di cesura cronologica deci
siva? Diremo piuttosto che il periodo compreso tra i secoli XI e XIII
trasforma in un'espansione nuovissima i molteplici segni di ripresa
che, passati i gravi sconvolgimenti variamente connessi con le onda
te di grandi immigrazioni, di incursioni profonde di popoli e di azio
ni piratesche, in Occidente si erano manifestati e si manifestavano se
condo processi non lineari e più volte interrotti.
Gli storici concordano sul fatto che, dagli ultimi decenni del se
colo X o dagli inizi del secolo successivo fino ai primi decenni del se
colo XIV, in Europa vi sia stata una forte e generalizzata crescita de
mografica. Le divergenze nascono se si cerca di tradurre in cifre tale
crescita. Persino per l'Inghilterra i calcoli degli studiosi differiscono,
pur disponendo di fonti in apparenza promettenti quali il Domesday
Book, che enumera tutti i concessionari di terre nelle varie contee nel
1 086, e il Poli Tax, che raccoglie le dichiarazioni del testatico dell' in
tera popolazione adulta verso il 1 377: le stime variano di poco per il
secolo XI, da 1 ,3 a 1 ,5 milioni di abitanti, ma di molto per il secolo
XIV, da 3, 7 a 4-5 milioni. Ancor più arduo risulta determinare la po
polazione complessiva ed il tasso medio di crescita degli altri paesi.
L'intera Europa, secondo un'interpretazione prevalente, avrebbe co
nosciuto un aumento di circa 30 milioni di abitanti: da 42 a 73 milio
ni nei primi decenni del Trecento. L'eccedenza media annua è stata
calcolata per l'Italia intorno allo 0,26%, per la Francia dello 0,39 % ,
per l a Germania dello 0,48 % . Tali valutazioni vanno intese come in
dicazioni di ordini di grandezza, come stime congetturali. Livelli di
approssimazione forse maggiore raggiungono i dati forniti da ricer
che condotte su territori delimitati in riferimento a particolari aspet
ti demografici. Per la Piccardia è stato determinato un tasso di crescita
dello 0,28% negli anni 1 1 50-1 1 75 e dello 0,72% nei successivi venti
cinque anni. È stato possibile rilevare l 'accrescimento del numero dei
figli per coppia feconda: le famiglie con più di 2 figli adulti - presso
ché impossibile è accertare consistenza ed andamento della mortalità
infantile - negli anni 1 1 75-1 250 superano il 40% del campione con
siderato, mentre nel venticinquennio 1 1 25-1 1 50 si aggiravano attor
no al 24% . All'incremento della natalità corrisponde una maggiore
durata della vita? e di quanto? esistono relazioni tra i due fenomeni?
È impossibile rispondere a queste domande, poiché soltanto dalla se
conda metà del secolo XIII cominciano serie di fonti, soprattutto di
natura amministrativa e fiscale, suscettibili di essere utilizzate con fi
nalità demografiche attraverso metodi quantitativi.
Anche se con forti disparità tra regione e regione e all'interno di
ogni singola regione, il decollo demico è certo: documentato, al di
là del fatto numerico, da fenomeni insediativi ed agrari, quali l ' e
stendersi delle cinte murarie delle città, la creazione di nuovi inse
diamenti e le modificazioni del preesistente habitat nelle campagne,
l'allargamento del coltivo, la frammentazione e la disgregazione dei
mansi, la progressiva frantumazione degli appezzamenti di terreno,
la moltiplicazione delle transazioni fondiarie. Lo sviluppo della po
polazione si pone, dunque, in connessione con complessi muta
menti che interessano così gli ambienti urbani, come le aree rurali,
anche se furono le attività primarie a costituire il settore trainante
dello sviluppo economico globale: intendendo per settore primario
tutte le attività, non solo agrarie, che riguardano la produzione di
materie prime.
È vero che i musulmani, già dagli inizi del secolo Xl, subiscono
sconfitte militari ad opera di Genovesi, Pisani e Normanni perdendo
progressivamente il controllo delle isole del Tirreno ed essendo co
stretti a ridurre considerevolmente la propria attività piratesca. Ma è
nella penisola iberica che la cristianità occidentale sperimenta le pro
prie possibilità di espansione a danno dell'Islam: una cristianità fra
zionata in nuclei di potere molteplici, tuttavia capaci di coordinarsi
attorno a obiettivi caratterizzati da un elevato livello di idealità, non
disgiunta dalla prospettiva di vantaggi materiali, e inseriti all'interno
del grande tentativo di sacralizzazione del mondo condotto dal mo
vimento di riforma ecclesiastica. Molti sono gli elementi di continuità
e le analogie fra la Reconquista e l'iniziativa per la liberazione di Ge
rusalemme: che l'appello alla crociata sia stato lanciato da Urbano II
nel 1 095 da Clermont, luogo di partenza di uno dei percorsi per San
Giacomo di Compostela più frequentati dai pellegrini, acquista valo
re emblematico.
Appare ormai sufficientemente accertato che le tradizionali ra
gioni invocate a spiegazione della crociata - accresciute violenze con
tro i pellegrini europei e richiesta di aiuto da parte di Alessio I Com
neno a seguito dell 'avanzata dei Turchi selgiuchidi - siano motiva
zioni enfatizzate <<a po.steriori>> . La conquista turca non rallenta di
molto la frequenza dei pellegrinaggi verso Gerusalemme: contribui
sce a meglio organizzarli e disciplinarli, talvolta persino ad armarli.
L'imperatore di Bisanzio, dal canto suo, richiede l'aiuto militare del
l' Occidente non solo per la difesa dell 'Asia Minore e il recupero di
Antiochia, ma per riavvicinarsi a Roma, dopo la crisi che dal 1 054 si
agitava tra la chiesa greca e quella latina, al fine di fronteggiare il pe
ricolo dei Normanni che nel 1 082 erano penetrati profondamente
nella penisola ellenica.
Le ragioni della crociata non sono nell' Oriente islamico, sono in
terne alla cristianità occidentale, all'incrocio di tendenze e tensioni
non facilmente conciliabili fra loro, quali l'esuberante e disordinato
sviluppo di una società, la volontà di inquadramento e di direzione
espressa dalle istituzioni ecclesiastiche - e in primo luogo dal papa
to -, l'affermazione di un vasto ceto che nell'uso delle armi trovava
la sua ragion d' essere, la ricerca della pace come condizione neces
saria all'ordinato svolgimento della vita civile e religiosa.
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partire dalla metà del secolo XII e durate fino agli anni venti del se
colo successivo, coinvolge signori laici, vescovi, monaci cistercensi e
premonstratensi, coloni reclutati nel mondo tedesco e fiammingo,
<<borghesi» e mercanti. Proprio questi ultimi rappresentano il trami
te per l' ulteriore espansione verso le zone nord-orientali: quando l'a
gostiniano Meinardo decide verso gli anni ottanta del secolo XII di
recarsi presso i lontani Livoni «pro Christo et predicandi tantum cau
sa>> , giunge colà in compagnia di «Theutonici mercatores» che attra
verso il fiume Dvina frequentemente penetravano nelle regioni in
terne per i loro commerci8. E mercanti che operavano nel Mar Balti
co agirono congiuntamente ai monaci-cavalieri dell'ordine teutonico
quando questo, sorto ad Acri sul modello dei Templari e degli Ospi
talieri ai tempi della terza crociata, si impegnò nella conquista della
Livonia e della Prussia, affiancandosi dapprima, e presto sostituiten
dosi, alle iniziative dei principi laici ed ecclesiastici e di un altro ordi
ne religioso-militare, quello dei Portaspada o Fratelli della Spada.
Mentre nel secolo XII la grande utopia crociata dimostra in Orien
te la sua fragilità o, meglio, il suo carattere tutto interno a un Occi
dente ancora incapace di progettare e sostenere avventure coloniali
stiche in zone ad esso territorialmente non contigue, nella penisola
iberica e nelle terre slave del Baltico si gettano le basi per l' ulteriore
e decisiva conquista dei secoli successivi. L' ideale religioso entra lo
calmente in connubio con gli interessi di forze politiche ed econo
miche collegate in varia misura al papato, ma in grado di realizzare
autonomamente le proprie finalità: si tratti delle grandi o piccole ari
stocrazie militari, dei ceti mercantili, o, persino, degli ordini mona
stico-cavallereschi.
5. Nobiltà e cavalleria: il definirsi culturale e giuridico di un ceto egemonico
NOTE
IL MOVIMENTO COMUNALE
NOTE
1 Brunetto Latini, Li livres dou Tresor, a cura dij. Cardmody, Berkeley-Los Angeles,
1 948, p. 391 .
" Guibert De Nogent, Histoire de sa vie. 1 053-1 124, a cura di G. Bourgin, Paris 1907,
pp. 1 55 sgg.
1 Richard of Devizes, Chronicle, a cura dij.T. Appleby, London 1 963, p. 49. Cfr. S.
Reynolds, An Introduction to the History of English Medieval Town, Oxford, Clarendon,
1 977, p. 104 e nota 24.
4 Bischof Otto von Freising und Rahewin, Die Taten Friedrichs, a cura di FJ. Sch
male, Darmstadt, Wiss. Buchgesellschaft, 1965, p. 308.
5 V. Colorni, Le tre leggi perdute di Roncaglia ( 1 158) ritrovate in un manoscritto parigi
no (Bibl. Nat. Cod. lat. 4677), in Scritti in memoria di A. Giuffrè, l, Milano, Giuffrè, 1 967,
p. 1 43.
n Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, l, Bari, Laterza 1 966, p. 1 06.
giani (secoli XII e XIII), in Id., Dai servi della gleba agli albori del capitalismo. Saggi di storia
economica, Bari, Laterza, 1966, p. 382 (lo studio apparve in «Le Marche», VI, 1906) .
15 P. Cammarosano, L 'economia italiana nell'età dei comuni e il «modo feudale di pro
duzione»: una discussione, in «Società e storia», n. 5/1979, p. 5 1 5.
1 6 G. Chittolini, La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado (secoli XIV
che in traduzione italiana con il titolo Lo specchio del feudalesimo, Bari, Laterza, 1980 ) .
1 8 J . L e Goff, Ordres mendiants et urbanisation dans la France médiévale, i n «Annales.
� La moschea � Il sogno
di Cordoba. di Nabucodonosor.
IX-X secolo. Miniatura
da una Bibbia
mozarabica.
X secolo.
Le6n, Basilica
di San Isidoro.
� il cortile 1!!1 Particolare
dei leoni nel palazzo del soffitto
dell'Alhambra del cortile dei leoni
a Granada. nel palazzo
XN secolo. dell'Alhambra.
Una monarchia lungimirante: � Un astrolabio. � Pagina rniniata
Alfonso il Savio XIV secolo. da Las cantigas de Santa Maria
Nel Xlii secolo i rapporti Londra, British Museum. di Alfonso il Savio.
fra il mondo cristiano e il Gli Arabi portarono Xlii secolo.
mondo musulmano si fecero e diffusero in Europa Firenze, Biblioteca Nazionale.
più stretti grazie all'opera il loro sapere scientifico Le Cantigas mariane, una
di sovrani illuminati quali insieme a numerose raccolta di canzoni liriche
Alfonso X il Savio. invenzioni tecniche. composte da Alfonso il Savio,
Uomo di grande cultura e Tra queste l'astrolabio, sono di grande interesse
autore egli stesso strumento usato fino storico oltre che artistico :
di alcune opere, promosse al XVII secolo i testi delle canzoni
la traduzione di testi islamici per misurare l'altezza e le loro illustrazioni offrono
in castigliano e poi in latino degli astri sull'orizzonte e un panorama fedele
e francese. conoscere la latitudine. della Spagna duecentesca.
L'iconografia delle grandi battaglie
ll grande arazzo di Bayeux, lungo più di 70 metri
e alto circa 50 centimetri, illustra la conquista
dell'Inghilterra a opera del duca di Normandia
Guglielmo, che nel 1066 sconfisse Araldo
di Wessex a Hastings e si proclamò re.
� Il vascello di Guglielmo � La cavalleria � La cavalleria I!Zl Sassoni
il Conquistatore arriva normanna avanza normanna che fuggono
alla Baia di Pevensey. in battaglia. combatte inseguiti
Arazzo di Bayeux. Arazzo di Bayeux. contro la fanteria dalla cavalleria
XI secolo. sassone. normanna.
Bayeux, Musée de la Tapisserie. Arazzo di Bayeux. Arazzo di Bayeux.
Le crociate i luoglù cristiani � La presa
L'esigenza della Terra Santa di Gerusalemme.
di garantire dalle mani Predella di scuola
il pellegrinaggio dei musulmani fianuninga.
salvifico al Santo furono le principali XV secolo.
Sepolcro giustificazioni Gand, Museum
di Gerusalemme ideologiche che, voor Schone
e di conseguenza alla fine dell'XI Kunsten.
la necessità secolo, motivarono
di riconquistare le crociate.
La guerra dei 'cento anni' � La battaglia navale
Un lungo conflitto oppose i regni di l'Ecluse.
di Inghilterra e di Francia dal l337 Pagina miniata
alla metà del secolo successivo. dalle Cronache della
La guerr� � to anni', dopo una fase guerra dei "cento anni»
iniziale di preponoeranza dell'Inghilterra, di Jean Froissart.
si concluse con il fallimento dell'espansione XIV secolo.
inglese in Francia e con il consolidamento Besançon, Bibliothèque
della monarchia francese. Municipale.
� Giovanni il Buono,
re di Francia, viene fatto
prigioniero dagli inglesi
nella battaglia di Poitiers
del l356.
Pagina rniniata
dalle Cronache della guerra
dei «cento anni» diJean
Froissart.
n potere secolare
� Luigi IX il Santo.
Pergamena miniata.
XIV secolo.
Parigi, Centre Historique
des Archives Nationales.
Fu alla Francia che il papato
fece appello contro la dinastia
sveva. Carlo d'Angiò,
che sconfisse Manfredi figlio
di Federico II, era infatti
fratello di Luigi IX,
il sovrano francese che perse
la vita in Tunisia nel corso
dell'ottava crociata
e fu canonizzato da Bonifacio
VIII nel 1297.
Vita di corte
La fastosità della vita
dei nobili feudali è ben
raffigurata nelle miniature
del 'libro delle ore' del duca
di Berry, considerato uno
dei capolavori dell'arte
della miniatura.
e lione
Come in Inghilterra già tra l'XI e il XII secolo aveva espresso una
precoce volontà di coordinazione politica, fondendo le tradizioni an
glo-sassoni con quelle feudali del continente, la dominazione nor
manna nell'Italia meridionale, integrando . le precedenti esperienze
politico-amministrative arabe e bizantine, al tempo di Ruggero II, re
di Sicilia dal 1 1 30 alla metà del secolo, conseguì una salda unitarietà.
L'aristocrazia militare fu controllata feudalmente. Fu elaborato un or
ganico corpo di leggi regie. Fu costruito un apparato politico-ammi
nistrativo. La corte di Palermo si arricchì di funzionari e organismi: la
cancelleria, le dohanae preposte all' amministrazione dei beni dema
niali e di tutte le entrate del re, un giustiziere a capo delle attività giu
diziarie, un admiratus in veste di primo ministro del regno. Nei terri
tori operarono camerari e giustizieri provinciali, bàiuli. Tale rete di
funzionari centrali e periferici convisse con la struttura del potere lo
cale esercitato dalle famiglie signorili e dagli enti ecclesiastici, in quan
to possessori di feudi e allodi: i quali a loro volta si servivano di propri
agenti per l'esercizio dei loro diritti giurisdizionali. Dopo la confusa si
tuazione tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo connessa con la
fase di transizione dal dominio normanno a quello svevo, gli orienta
menti unitari e le esperienze amministrative del regno normanno di
Sicilia furono ripresi dal governo di Federico II in una direzione deci
samente monarchica. Si ebbe la grande codificazione delle <<costitu
zioni di Melfi,, del 1 23 1 , base del diritto vigente in Sicilia e nell'Italia
meridionale fino all' età napoleonica; si ebbe una burocrazia esclusi
vamente laica, che si voleva disciplinata ed obbediente. Fu consolida
ta e precisata la gerarchia dei funzionari, per i quali si stabilirono sti
pendi fissi, funzionari addetti sia alla giustizia sia all'amministrazione
finanziaria. Al re si affiancò un consilium di Jamiliares, che costituiva la
suprema autorità centrale. L'esuberante sviluppo burocratico del re
gno di Sicilia sotto Federico II fu limitato nella sua efficacia da un cer
to scollamento dalla società, a cui fu sovrapposto non senza rigidità e
pesantezza, e dal fatto di gravare, fiscalmente e politicamente, molto
più sulle popolazioni che non sulla grande aristocrazia terriera. L'ari
stocrazia fu controllata con fermezza da Federico Il, ma non perse i
suoi diritti di esazione e di giurisdizione.
L' esaurirsi della potenza di Scaligeri e Carraresi non deve far di
menticare i processi istituzionali più profondi di cui essi erano stati
protagonisti: la trasformazione cioè delle <<tirannidi>> signorili in sta
bili governi autoritari, analogamente con quanto aweniva nelle città
dell'Italia padano-lombarda. L'esempio più cospicuo è quello di Mi
lano con l'awertenza che anche qui, come ad esempio in Verona, per
un certo periodo la <<signoria>> funzionò all'interno e non al di sopra
del mondo politico comunale.
Ciò appare nei decenni centrali del secolo XIII nell'ascesa della fa
miglia dei della Torre, i quali dali 'inserimento negli organismi di <<po
polo» , sostenendone la lotta contro la nobiltà, trassero la forza per
trasformare una prevalenza di fatto all'interno di uno schieramento
in una prevalenza giuridicamente definita su tutto il comune. Ai del
la Torre per circa due decenni fu affidato per deliberazione della
<<credenza di Sant'Ambrogio» l'ufficio di <<anziano perpetuo del po
polo di Milano» . Ufficio per il quale- dopo un primo momento in
cui la <<signoria» di Martino della Torre, nell259 <<anziano del popo
lo>> , convisse per un quinquennio nella stessa Milano con la <<signo
ria» di Oberto Pelavicino, nominato <<capitano generale del popolo»
su iniziativa torriana - si cercò una Iegittimazione più ampia nel col
legamento con la coordinazione guelfa in Italia. Ciononostante, i de
stini della <<signoria» torriana rimanevano legati alla propria base so
ciale e clientelare. Quando i nobili esuli rientrarono in città con l'ar
civescovo Ottone Visconti, il presule - proclamato <<signore» - agì fa
vorendo la parte nobiliare vincente: fu redatta nel 1 277 una matricu
la nobilium Jamiliarum Mediolani, l' elenco di 1 89 famiglie nobiliari a
cui era riservato l'accesso al capitolo cattedrale - risolvendo una que
stione che aveva suscitato vivacissimi contrasti in passato - e fu fon
data una nuova <<società» di nobili per la difesa militare cittadina. A
Milano, nonostante lo sviluppo dell' industria tessile e metallurgica e
del commercio, non riuscì a emergere politicamente un ceto im
prenditoriale e mercantile coerente. Non è caso se l 'arcivescovo Ot
tone nel 1 287 si preoccupò di far ottenere al pronipote Matteo Vi
sconti il <<capitanato del popolo» per un quinquennio, rinnovato poi
di cinque in cinque anni: l' erede politico del capo dei nobili e del-
l'alto clero dunque come espressione del <<popolo>>? Sì, ma solo nella
misura in cui la <<signoria>>, controllando le consorterie nobiliari e gli
organismi di «popolo», deprimeva l'autonomia politica sia delle une
sia degli altri - mai a Milano venne emanata una legislazione antima
gnatizia -, a favore di un regime che già sul finire del Duecento ap
pariva molto robusto, nonostante talune crisi momentanee alimenta
te dalla politica imperiale o papale in Italia e dalle rivalità all'interno
della stessa famiglia Visconti. La volontà del <<signore>> e della sua cor
te si imponeva sui «consigli>> cittadini, ridotti ad organismi consultivi
e amministrativi, e si esprimeva attraverso una crescente organizza
zione burocratica e militare: l 'orientamento era verso lo stato princi
pesco. Nel 1 294 Matteo Visconti ricevette da Adolfo di Nassau, re di
Germania, il «vicariato imperiale>>, che più volte nel corso del Tre
cento fu richiesto e ottenuto da altri membri della famiglia. Verso la
metà dello stesso secolo si stabilirono le prime norme per regolare la
successione dinastica viscontea. Finalmente nel 1 395 Gian Galeazzo
ottenne da Venceslao di Boemia, re di Germania e imperatore, l'in
feudazione, come principe e duca, del potere, portando a compi
mento il lungo processo di distacco della dinastia dal suo originario
legame con la struttura comunale.
La «signoria>> di Milano procedette dalla trasformazione dell' <<an
zianato del popolo>> o del «capitanato del popolo>> da ufficio conces
so per pochi mesi a carica di durata pluriennale rinnovata a una stes
sa persona o a membri di una stessa famiglia, oppure a carica vitali
zia. Così in altre città dell'Italia centro-settentrionale, anche se i no
mi delle magistrature potevano variare da città a città: «podestà>> , o
<<anziano della credenza>> , o «capitano generale>>, o «conservatore del
la pace>> , oppure altri consimili, oppure semplicemente «signore>> .
Questa fu l a novità della signoria cittadina - novità rivelatrice, in
quanto rafforzamento del vertice del potere di un generale consoli
damento delle strutture politico-istituzionali in senso statale -, piut
tosto che la violenza, come spesso si è affermato, con cui talvolta si in
staurò: i colpi di mano in verità non furono pochi, ma questa era con
suetudine già viva in tutta la vita comunale italiana del Duecento,
quando la concorrenza per il potere si associava alla lotta armata.
D ' altronde fin dalle origini nei comuni italiani per affrontare impre
se eccezionali o situazioni di emergenza sociale e politica si era fatto
ricorso a forme di governo personale senza che ne sortissero « tiran
nidi>> . Quando tra il XIII e il XIV secolo una magistratura cittadina
straordinaria e suprema venne affidata in modo formale a un indivi
duo dagli organismi del «Comune>> o del «popolo>> non solo per po
chi mesi, ma continuativamente, allora si crearono le condizioni per
il consolidamento di un potere personale e per la sua trasmissione
ereditaria, le cui possibilità di durata, almeno in una prima fase , di
pesero in larga parte dalle sue connessioni con la realtà comunale.
In talune città la «signoria» giunge al termine di un lungo periodo
di preminenza di famiglie dell'aristocrazia militare. Ferrara rappre
senta il caso estremo di un centro urbano nel quale il <<popolo» non
si è strutturato in durevoli organismi politico-militari e la lotta politi
ca, già nei decenni successivi alla metà del secolo XII, si è coagulata
quasi esclusivamente attorno alle fazioni aristocratiche convergenti
sui Torelli e sugli Adelardi, ai quali ultimi dal 1 190 circa succedettero
gli Estensi. La bipolarizzazione intorno a due stirpi nobiliari aveva
semplificato i termini della contesa politica e soffocato le iniziative
<<popolari>> , soprattutto in riferimento alle possibilità di autonoma or
ganizzazione armata. L'alternanza tra le due potenti famiglie, che se
guivano direzioni politiche sostanzialmente analoghe, nel controllo
del comune - sino alla definitiva affermazione estense poco prima del
la metà del secolo XIII -, non muta la natura dell'incipiente <<signo
ria». La legislazione anteriormente stabilita da un Torelli per regola
re i rapporti tra proprietari fondiari e coltivatori, ad esempio, passa
immutata, e sotto il nome dello stesso Torelli, negli statuti emanati nel
1 287 dal marchese d'Este. Il predominio estense, fondato su un ten
denziale monopolio della forza militare e su un'estesa rete di cliente
le feudali, dopo il ventennio di Azzo VII, nel 1 264 fu riconosciuto dal
l'assemblea cittadina che proclamò Obizzo <<signore generale e per
manente della città di Ferrara e del suo distretto>> : titolo trasmissibile
al suo erede. Una <<signoria» di fatto si rivestiva di legittimità formale.
Una legittimità che godeva di un consenso successivamente mante
nutosi, se, morto Azzo VIII nel 1 308 e caduta Ferrara sotto il dominio
di Roberto d'Angiò, re di Napoli - ufficialmente <<re di Sicilia>> -, scop
piò nel 1 3 1 7 un'insurrezione il cui successo fece richiamare gli Esten
si, subito proclamati signori: quasi a sanzionare una stabile sintesi tra
la città e la <<SUa» stirpe signorile.
Altri modi di imposizione di un potere personale furono più av
venturosi che non quelli degli Estensi, o degli Scaligeri, o dei Viscon
ti. Merita di essere segnalata l'ascesa politica di Ermanno Monalde
schi a Orvieto nel 1 334, perché fu sì spregiudicata - il suo rivale fu fat
to uccidere -, ma attuata attraverso un sapiente uso della ricchezza
economica e dei meccanismi istituzionali. Quando il «consiglio del
popolo>> dovette procedere alla nuova elezione del <<Capitano» e del
podestà, un sostenitore del Monaldeschi propose una riforma costi
tuzionale che prevedeva la nomina di un organismo di dodici mem
bri dotato di pieni poteri. Il quale, appena riunitosi, trasmise la
<<balìa•• al Monaldeschi, nominato <<gonfaloniere del popolo e gonfa
loniere di giustizia della città di Orvieto» a vita. Tale disinvolta prassi
era stata possibile per l 'appartenenza di Ermanno a una delle più po
tenti famiglie della città - suo fratello era il vescovo locale -, per il ta
cito appoggio della vicina Perugia, come anche per il fatto che nei
quindici anni precedenti il comune si era indebitato nei suoi con
fronti per una somma di danaro davvero ingente.
Gli esempi finora fatti non esauriscono la ricca tipologia dei pro
cessi attraverso cui le signorie cittadine si formarono. Dappertutto la
<<signoria» si afferma, quando si rompe la consuetudine della assai
breve durata delle alte magistrature ordinarie e straordinarie con l'as
segnazione pluriennale o a vita di un supremo potere politico a un
magistrato o signore, mettendolo in grado di trasmettere il potere ad
altri membri della sua stessa famiglia. Ciò avveniva, formalmente, at
traverso una delega data dagli organismi cittadini: una delega che era
una legittimazione dal basso. A ciò seguì una legittimazione imperia
le o, successivamente, per le terre che la chiesa di Roma voleva sotto
porre alla propria coordinazione politica, una legittimazione papale,
espressa per mezzo della concessione del <<vicariato imperiale» o del
<<vicariato apostolico>>. Sul piano formale i <<vicariati» stabilivano un
raccordo con l'impero o il papato. Di fatto sanzionavano dall'alto for
me di potere espressesi in modo autonomo e già ampiamente ope
ranti, favorendo, semmai, il progressivo distanziamento tra esse e la
società che inquadravano. La signoria cittadina da espediente straor
dinario per rispondere ad esigenze di protezione da pericoli interni
ed esterni, di collegamento con altre forze (urbane e non ) , di preva
lenza di un gruppo o di una classe, tendeva a ordinare la struttura sta
tuale. Non fu sempre così. Fino a quasi tutto il secolo XIV in città to
scane, come Lucca e Pisa, e centro-settentrionali, come Bologna, Ge
nova e Asti, l 'intermittente utilizzazione del governo signorile non
spegneva la lotta politica comunale, bensì con essa si intrecciava. Ciò
avvenne pure a Firenze, i cui <<consigli» affidarono la <<balìa» - i po
teri straordinari - per brevi periodi più volte: ad esempio, nel l 266 a
Carlo d 'Angiò in procinto di conquistare il regno di Sicilia; nel l 3 1 3
a Roberto d 'Angiò; nel 1 325 a Carlo duca di Calabria, figlio di re Ro
berto; e nel 1 342 a Gualtieri di Brienne, già vicario angioino in Fi
renze dal l 326 al 1 328, acclamato e confermato <<signore a vita». Tali
decisioni furono prese, all'interno della coordinazione guelfa in Ita
lia, per esigenze sia di protezione militare - l 'incertezza dell'ultima
fase di presenza sveva nella penisola italiana, la minaccia di Enrico
VII, poi del signore di Lucca e Pistoia Castruccio Castracani e infine
della coalizione ghibellina lombarda alleata dei Pisani -, sia di pacifi
cazione interna quando la conflittualità sociale e politica si faceva in
tollerabile.
NOTE
1 In A. Fliche, Dal primo concilio lateranense all'avvento di Innocenza il/, ed. it. a cura
di G. Picasso, Torino, SAlE, 1 974, p. 1 07 (A. Fliche, V. Martin, Storia della Chiesa,
IX/l).
2 G. Tabacco, Autorità pontificia e impero, in Le istituzioni ecclesiastiche della «societas
christiana" dei secoli XI-XII. Papato, cardinalato ed episcopato, Milano, Vita e Pensiero,
1974, pp. 145 sgg.
3 In Migne, Patrologia Latina, 1 94, col. 9 sgg.
4 Le decisioni conciliari si trovano in Conciliorum oecumenicorum deaeta, a cura di G.
Alberigo, P.-P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, Freiburg im Breisgau, Herder, 1 962,
pp. 1 87, 290-294.
" P. Costa, Iurisdictio. Semantica del pot�'Te politico nella pubblicistica medievale (1100-
1433), Milano, Giuffrè, 1969, pp. 269-272.
Il Gregorii VII Registrum, a cura di E. Caspar, l, Berlin 1920, p. 207, n. 55a (Monu-
menta Germaniae Historica, Epistulae selectae, II) .
7 Conciliorum oecumenicorum decreta, cit., pp. 207-209.
" O. Capitani, Introduzione, in Medioevo ereticale, Bologna, Il Mulino, 1977, pp. 24 sg.
" Conciliorum oecumenicorum decreta, cit, p. 200.
10 7èxte zur lnquisition, a cura di K.-V. Selge, Giitersloh, Mohn, 1967, pp. 26-29
(Texte zur Kirchen- und Theologiegeschichte, 4) .
11 P. Zerbi, Discorso conclusivo, in San Fran cesco nella ricerca storica degli ultimi ottanta
anni, Todi, Accademia tudertina, 1 97 1 , p. 250 (Convegni del Centro di studi sulla spi
ritualità medievale, 9) .
12 In R. Manselli, Nos qui cum eofuimus. Contributo alla questionefrancescana, Roma,
Istituto storico dei Cappuccini, 1 980, p. 193.
13 In F. Bock, Studien zum politischen Inquisitionsjnozess johanns XXII., in «Quellen
und Forschungen aus italienischen Archiven un d Bibliotheken», 26 ( 1 935-1936 ) , pp.
50 sgg.
14 A. Niemeier, Untersuchungen iiber die Bezeihungen A lbrechts /. zu Bonifaz VIII., Ber
lin 1 900, p. 1 2 0.
15 In W. Kòlmel, Regimen christianum. Weg und Ergebnisse des Gewaltenverhiiltnisses
und des Gewaltenverstiindnisses (8. bis 14. jahrhundl!lt), Berli n, De Gruyter, 1 970, p. 476.
16
Vita Chunradi archiepiscopi Salisburgensis, in Monumenta Germaniae Historica,
Scriptores, Xl, Hannoverae 1 854, pp. 74 sgg.
17M. We ber, Economia e società, ed. it. a cura di P. Rossi, Milano, Comunità, 1 968 2,
p. 53.
1 8 A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del '400 e '500, Bari, Laterza, 1964,
pp. 3 sgg.
CAPITOLO QUARTO
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scato fin nella lontana Islanda) e acquistano sale, vino e frutta, che ri
vendono nei mercati nordici. Alla metà del secolo XV il commercio
inglese, protetto dal potere regio e animato da un vivace spirito <<na
zionalistico>> , era talmente forte da impegnarsi in una vera e propria
guerra commerciale contro la Hansa. Analogamente all'Inghilterra,
l'Olanda incrementa l'industria laniera, i cui manufatti, prima smer
ciati riei mercati di Fiandra, furono poi commerciati nelle fiere loca
li ed esportati nell'area baltica e altrove, quando i porti di Amsterdam
e di Rotterdam si aprirono a dimensioni internazionali. Nella peni
sola iberica, già entrata da tempo nel novero delle aree mercantili at
traverso le iniziative commerciali delle città di Catalogna e delle Ba
leari - iniziative convergenti con i disegni espansionistici della coro
na di Aragona -, nei secoli XIV e XV l'incremento dei traffici sulla rot
ta atlantica (tra il Levante, l' Italia, la Fiandra e l'Inghilterra) porta in
genti benefici alle aree costiere riconquistare dai Castigliani e al Por
togallo, in particolare ai porti di Cadice, di Siviglia e di Lisbona. La
Germania meridionale, attraversata dalle grandi strade che per via di
terra congiungevano il Mediterraneo al Baltico e al mare del Nord e
dalle quali si diramavano i percorsi internazionali minori, fonda la
sua ascesa in alcune zone sulla produzione tessile (fustagno, tessuti di
lino) e in altre zone su quella metallurgica, che sfruttava il crescente
sviluppo delle attività minerarie ed estrattive della Turingia, della
Boemia e dell'Ungheria.
In quale misura la recessione, che dalla metà del secolo XIII pro
gressivamen te coinvolge l 'economia agraria per proseguire fino ai pri
mi decenni del secolo XV, riguarda anche i settori secondario e ter
ziario? Il commercio, la finanza e le produzioni manifatturiere sem
brano in espansione sino ai primi decenni del Trecento: gli anni com
presi grosso modo tra il l 340 e il 1 380, in concomitanza con l'intensi
ficarsi di epidemie e carestie, sono segnati dalla recessione. Gli effetti
sull'economia delle varie regioni e città europee furono differenti, co
me diversi i tempi e le modalità con cui si uscì dalla « crisi>> . Ne derivò
una nuova geografia e una nuova gerarchia urbana, i cui fattori di mu
tamento non furono soltanto strettamente economici. Le città «capi
tali>> , ad esempio, crebbero in relazione al fatto di essere sedi delle cor
ti regie e principesche; altri centri cittadini patirono invece l 'aggra
varsi delle richieste finanziarie di re e principi. Tra il XIV e il XV se
colo awengono modificazioni di rilievo nella distribuzione dei centri
produttivi e nelle linee del commercio internazionale: modificazioni
che si connettono con evoluzioni politiche continentali e regionali in
teragenti sulle strutture economiche. L'ascesa delle fiere di Lione, ad
esempio, dagli anni venti del secolo XV avviene con il decisivo sup
porto del potere regio di Francia, che le privilegia e le protegge dalla
concorrenza delle fiere della vicina Ginevra, sul cui modello si erano
quelle lionesi strutturate. La «crisi>> europea del secolo XIV non si
gnificò «semplicemente destrutturazione, caduta e crollo, ma destrut
turazione-ristrutturazione, caduta-rialzo, crollo-ricostruzione>> 14. Così,
se a Firenze la produzione di pezze di lana cala dagli anni trenta agli
anni ottanta del Trecento da 70.000-80.000 unità a circa 20.000, pren
de piede nelle maggiori città toscane, a Venezia, a Milano e a Genova
la ricca tessitura della seta, e nella pianura padana la lavorazione del
cotone, talvolta in combinazione con la lana per ottenere il fustagno.
Conversione delle attività in Italia come in Fiandra, ma anche intensi
ficazione o nascita di produzioni in centri minori, fino al Trecento
compressi dalla preponderanza dei centri maggiori. Crisi prolungate
per alcune aree, crescita per altre: le città toscane, fiorenti nel secolo
XIII, agli inizi del secolo XV non reggono il confronto con la ricca pro
duzione manifatturiera delle città lombarde.
Quali gli effetti sociali della <<crisi>> nei centri urbani europei? Se
le città sembrano patire in misura maggiore le carestie, pure diven
nero il luogo in cui tanti affamati si trasferirono per cercare di so
pravvivere, sfruttando le possibilità anche saltuarie di lavoro, oppure
beneficiando dell'assistenza degli enti ecclesiastici, ospedalieri e cari
tativi cittadini. I problemi alimentari furono talora enormi, e la poli
tica annonaria costituì una preoccupazione costante dei governi del
le città: per sfamare la cittadinanza e per calmierare un mercato del
le derrate alimentari in cui i prezzi potevano avere improvvise im
pennate. Adeguati provvedimenti annonari significavano stabilità
economica e sociale. Ma quante città riuscirono a realizzare tale obiet
tivo? Le crisi annonarie di breve periodo offrirono possibilità di spe
culazioni economiche e politiche. Il repentino rialzo del prezzo dei
generi alimentari diminuiva le capacità di acquisto dei salari e co
stringeva ampi strati di popolazione all'indebitamento: e chi control
lava il mercato era in molti casi anche il proprietario delle terre che
circondavano la città, il prestatore di danaro, l 'imprenditore, il mae
stro di bottega. <<Crisi>> significò accentuazione delle differenze eco
nomiche tra i ceti. Non mancarono agitazioni e ribellioni degli strati
medi e inferiori delle popolazioni, quando le condizioni di vita ap
parivano intollerabili. Agitazioni e ribellioni di segno e portata diver
si, che in molte realtà prolungavano contrasti di più antica data.
Quale la situazione delle Università nei due secoli finali del me
dioevo? Nel Tre e Quattrocento non solo cresce il numero dei centri
universitari in Italia, in Francia, nelle isole britanniche e nella peniso
la iberica - i paesi dove da tempo già esistevano <<universitates>> di mae-
stri e di studenti -, ma ne vengono fondati di nuovi nell'Europa cen
trale e settentrionale. Con l 'affermarsi delle dominazioni territoriali le
Università tendono ad assumere una fisionomia meno internazionale
e il principe territoriale vi acquisisce un potere maggiore, fatta salva
l'appro�zione del papato cui spettava il diritto di concedere la licen
tia ubiqve docendi. Nel medesimo tempo prendono rilievo i «collegi>> ,
che d a fon dazioni d i carità per studenti poveri si trasformano i n veri e
propri luoghi di insegnamento di elevato prestigio. La geografia uni
versitaria . d'Europa muta e molteplici sono le vicende delle singole
Università, variamente impegnate a mantenere le proprie tradizioni o
a introdurre discipline, metodi e programmi nuovi. Generale è inve
ce l 'orientamento verso il consolidamento istituzionale e verso un'e
voluzione aristocratica dell'Università. Il potere degli studenti si ridu
ce in modo notevolissimo. Cresce sempre più la forza e il prestigio del
corpo insegnante che si aristocratizza, nel senso sia che il reclutamen
to tende ad essere ereditario, sia che i docenti assumono uno stile di
vita <<nobile». Le <<libertà» delle universitates si avviano a subire drasti
che limitazioni. Valga per tutti l'esempio dell'Università di Parigi che
dal l 437 al l 499 perde progressivamente l'esenzione fiscale, il privile
gio giudiziario - fu assoggettata alla giurisdizione del <<parlamento» -
e il diritto di sciopero: i tre fondamenti cioè su cui le universitates ma
gistrorum et studentium avevano difeso la loro autonomia.
La «Scolastica» conosceva allora i segni di una sclerosi culturale do
vuta a molti motivi: l'irrigidirsi della riflessione teologica e filosofica
in grandi sistemi compiuti ma statici, a cui si contrapponevano cor
renti <<disgregatrici» ( pensiero critico e scettico, empirismo, averroi
smo, antintellettualismo) ; l'allargarsi degli interessi culturali e del
l 'insegnamento a nuove discipline; l'emergere di una nuova figura di
intellettuale, l'umanista. Gli umanisti sono <<letterati» che studiano le
lettere classiche, greche e latine, e più tardi le lingue semitiche, l'e
braico e l'arabo. Sono <<letterati» che partecipano alla <<scoperta» del
mondo e dell'uomo attraverso lo studio della natura e del corpo uma
no. In Italia, dove la «scolastica» aveva messo radici meno profonde
rispetto a Parigi o ad Oxford e dove lo studio della tradizione retori
ca e della poesia latina era stato coltivato con maggiore cura, gli stu
dia humanitatis conoscono il primo e più vigoroso impulso: dagli stu
dia di Padova e di Bologna l'umanesimo essenzialmente attraverso i
canali universitari si diffonde dalla prima metà del Quattrocento a
tutta l'Europa: da Padova e da Bologna dapprima, e poi da Ferrara,
da Pavia, da Firenze, da Pisa, nuovi e vigorosi centri universitari e cul
turali. Con l'umanesimo la cultura si aristocratizza ulteriormente. Ac
canto alle Università, e almeno in un primo tempo non necessaria-
mente in antitesi con esse, si affermano gruppi e circoli culturali in
cui si sviluppa un sapere più avanzato. Le <<accademie» fioriscono at
torno alle corti dei principi e ai conventi. L'umanesimo affascina an
che la cultura chiericale e si diffonde tra le gerarchie ecclesiastiche e
nella stessa corte pontificia: l'umanista Enea Silvio Piccolomini nel
1 458 è eletto papa con il nome di Pio IL <<Umanesimo>> dunque co
me ulteriore aristocratizzazione della cultura e della figura dell'intel
lettuale: aristocratizzazione che troverà riscontro nei processi di dif
ferenziazione della produzione libraria a stampa. Quando dalla metà
del Quattrocento si inventa un metodo per la riproduzione meccani
ca del libro in più esemplari uniformi, si consolidano tendenze ben
presenti nella società: il libro a stampa <<colto» si distingue non solo
contenutisticamente, ma anche sotto l'aspetto tecnico-strutturale dal
libro <<volgare-popolare>> , secondo orientamenti già percepibili nel
l' evoluzione del libro manoscritto nel Tre e Quattrocento. Tra gli stra
ti di popolazione alfabetizzata la multiforme domanda culturale si ca
nalizzava e si stratificava, pur aprendo nuove possibilità di circolazio:
ne e di diffusione della riflessione e della ricerca intellettuale.
NOTE
1 In G. Ostrogorsky, Storia dell 'impero bizantino, Torino, Einaudi, 1968 ( trad. it. del
l'ed. di Miinchen 1 963) , p. 468.
2 F. Guicciardini, Storia d 1talia, in opere, a cura di V. De Caprariis, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1 953, p. 374.
3 F. Guicciardini, Storie fiorentine dal l378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Bari,
Laterza, 1 93 1 , pp. 92 sgg.
4 N. Macchiavelli, Il principe, in Opere scelte, a cura di G.F. Berardi, Roma, Editori
Riuniù, 1 969, p. 30.
5 G. Chittolini, Introduzione a La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello stato
del Rinascimento, a cura di Id., Bologna, Il Mulino, 1979, p. 32.
6 B. Guenée, L 'Occident aux XN et W siècles. Les États, Paris, Presses Universitaires
de France, 197 1 , p. 247.
7 Cfr. G . Tellebanch, L 'evoluzione politico-sociale nei paesi alpini durante il medioevo, in
Le Alpi e l'Europa, N: Cultura e politica, Bari, Laterza, 1 975, p. 57.
8 W. Al>el, Congiuntura agraria e crisi agrarie. Storia dell'agricoltura e della produzione
alimentare nell'Europa centrale dal XIII secolo all'età industriale, Torino, Einaudi, 1 976, p.
1 06 (ed. odg. Hamburg-Berlin 1966) .
9 G. Cherubini, Le campagne italiane dall'Xl al XV secolo, in Comuni e signorie: istitu
zioni società e lotte per l'egemonia, Torino, Utet, 198 1 , p. 350 («Storia d'Italia», dir. da G.
Galasso, vol. IV) .
10 G. Pinto, Ordinamento colturale e proprietà fondiaria cittadina nella Toscana del tar
do medioevo, in Contadini e proprietari nella Toscana moderna, I: Dal medioevo all'età moder
na, Firenze, Olschki, 1979, p. 277.
1 1 In M. Mollat, P. Wolff, Ongles bleus, Jacques et Ciompi. Les réuolutions populaires en
Europe aux XJVe et XV' siècles, Paris, Calmann-Lévy, 1970, p. 193.
1 2 L'affermazione rovescia quella di certa storiografia, soprattutto anglosassone,
che giudica la rivolta inglese del 1 38 1 come «una catastrofe sociale non necessaria•> : su
ciò cfr. E. Grendi, Milletrecentoottantuno, in «Quaderni storici», XI ( 1976) , pp. 793-798.
1 3 M. Berengo, La città di antico regime, in «Quaderni storici», IX ( 1974) , p. 69 1 .
Cfr. M . Luzzati, Una guerra di popolo. Lettere private dell'assedio di Pisa ( 1 494-1509), Pisa,
Pacini, 1973.
1 4 R. Romano, La storia economica. Dal secolo XIV al Settecento, in Storia d 'Italia, II: Dal
la caduta dell'impero romano al secolo XVI/L Torino, Einaudi, 1974, p . 1858.
15 C. Vasoli, La cultura dei mendicanti, in Le scuole degli ordini mendicanti (secoli XIII
XIV), Todi, Accademia tudertina, 1978, p. 458.
16 R. Rusconi, Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Con
troriforma, Torino, Loescher, 1 98 1 , p. 1 1 7.
1 7 G. Volpe, Movimenti religiosi e sette ereticali nella società italiana. Secoli Xl-XIV, -Fi
renze, Sansoni, 1971 (l" ed., 1 92 1 ) , p. 55.
18 P. Patschovsky, K.V. Selge, Quellen zur Geschichte der Waldenser, Giitersloh, Mohn,
1973, pp. 70-72 (Texte zur Kirchen- und Theologiegeschichte, 1 8) .
1 9 O. Capitani, Introduzione, a L 'etica economica medievale, a cura di Id., Bologna, Il
Mulino, 1974, p. 8.
20 J. Chiffoleau, Pratiques funéraires et images de la mort à Marseille, en Avignon et dans
le Comitat Venaissin. Vers 1280-vers 1350, in La religion populaire en Langedoc du Xl/l' à la
moitié du XJVe siècle, Toulouse, Privat, 1976, p. 298 (Cahiers de Fanjeaux, 1 1 ) . Cfr. Z.
Zafarana, Per la storia religiosa di Firenze nel Quattrocento. Una raccolta privata di prediche,
in <<Studi medievali», 3• ser., IX ( 1968 ) , p. 1 024.
21
G. Tabacco, Egemonie sociali e stmtture del potere nel medioevo italiano, Torino, Ei
naudi, 1979, p. 395.
APPARATI
BIBL IOGRAFIA
Per un confronto con le altre civiltà antiche, utili i volumi della Storia uni
versale Feltrinelli, Milano 1 967 sgg. (tr. it. della Fischer Weltgeschichte). Sugli
aspetti elitari di tali civiltà risulta ricca di informazioni la Storia delle letteratu
re d 'Oriente, diretta da O. Botto, Milano, Vallardi, 1 969. Il problema dell'elle
nismo nel quadro generale della civiltà mediterranea è discusso nei saggi rac
colti in G. Pugliese Carratelli, Scritti sul mondo antico, Napoli. G. Macchiaroli,
1976, e in A. Momigliano, Saggezza straniera, Torino, Einaudi, 1980 ( tr. orig.
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Gli Arabi di Sicilia, in Il Mezzogiorno dai Bizantini, cit. (sopra 11,3) .
Per gli sviluppi culturali del mondo carolingio si vedano le opere cit. in 11,2 a
proposito di mentalità e cultura nel monachesimo medievale. Inoltre: Karl der
Grosse, cit. (sopra III,3) ; Iproblemi della civiltà carolingia, cit. (sopra, 11,5) ; La sto
riografia altornedievale, Centro it. di studi sull'alto med., 1970 (XVll Settimana) ;
La scuola nell'Occidente latino dell'alto medioevo, Centro cit., 1972 (XIX Sett.) ; La
cultura antica nell'Occidente latino dal VII all'Xl secolo, Centro cit., 1975 (XXII
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Su nomadi e sedentari nel mondo musulmano cfr. Cl. Cahen, Les peuples mu
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Musset, Les invasions. Le second assaut contro l 'Europe chrétienne (VII•-XJe siècles),
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Per Slavi e Bulgari, alle opere cit. in III, l aggiungere: F. Dvornik, Gli Sla
vi. Storia e civiltà dalle origini al secolo XIII, ed. it. aggiornata, Padova, Liviana
Editrice, 1974 (tit. or. The Slavs, Boston 1956) ; F. Conte, Les Slaves. Aux ori
gines des civilisations d 'Europe centrale et orientale, Paris, A. Miche!, 1986; R. Por
tal, Gli Slavi. Popoli e nazioni dall'VIII al XX sec., Roma, Editori Riuniti 1 975 (ti t.
or. Les Slaves, Paris, Colin, 1965 ) ; Gli Slavi occidentali e meridionali nell'alto me
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Berlin, Akademie Verlag, 19722; Handbuch der Geschichte Russlands, 1: Von der
Kiewer Reicshsbildung bis zum Moskauer Zartum, a cura di M. Hellmann, Stutt
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Per gli Ungari: G. Fasoli, Le incursioni ungare in Europa nel secolo X, Firen
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bert, Les structures du Latium, ci t. (sopra, IV,2 ) , Il. Per l'ideologia ecclesiasti
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pra 11,3) su Milano prima del mille; V. Vitale Breviario della storia di Genova,
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1958; La Venezia del miUe, Firenze, Sansoni, 1965; H. Schwarzmaier, Lucca und
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città meridionale (Salerno, sec. VIII-XI), Napoli, Liguori, 1977. Su Pavia capitale
del regno italico: Atti del 4o Congresso internaz., cit. (sopra IV,2 ) .
Alle opere cit. in 11,2 e III,4 si aggiungano: Sugli sviluppi della sensibilità e
delle consuetudini religiose: J.A. Jungmann, Christliches Beten in Wandel und
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from Bogomil to Hus, London, E. Arnold, 1977.
V. DISEGNI DI RIORDINAMENTO
NELL'OCCIDENTE PRECOMUNALE E IN ORIENTE
l . La diffusione del modello imperiale greco, gli sviluppi califfati del Cairo
e di Cordova e l'espansione turca nella simbiosi arabo-iranica
Per il modello imp. greco e la sua diffusione cfr. le opere cit. in 11, 1 , 11,5, 111, 1
e IV, l . Aggiungere: N. Svoronos, Études sur l'organisation intérieure, la société et
l'éconoimie de l'empire byzantin, London, Variorum Reprints, 1973; A. Toynbee,
Costantino Porfirogenito e il suo mondo, Firenze, Sansoni, 1987 (dall'ed. inglese
del l 973) ; Das heidnische und christliche Slaventum. Acta II congressus internatio
nalis historiae Slavicae, Wiesbaden, Harrassowitz, 1970; La conversione al cri
stianesimo nell'Europa dell'alto medioevo, ci t. (sopra 11,4) ; L. Waldmiiller, Die er
sten Begegnungen der Slawen mit dem Christentum und den christlichen Volkern vom
VI. bis VIII. jahrhundert. Die Slawen zwischen Byzanz und Abendland, Amsterdam,
Hakkert, 1 976; A.P. Vlasto, The Entry ofthe Slavs into Christendom, Cambridge
University Press, 1970; R. Manselli, L 'eresia del male, cit. (sopra IV,6) ; D. An
gelov, Les Balkans au moyen iige: la Bulgarie des Bogomiles aux Tures, London,
Variorum Reprints, 1978; M. Klimenko, Ausbreitung des Christentums in Rus
sland seit Vladimir dem Heiligen, Berlin-Hamburg, Lutherisches Verlagshaus,
1969; F. Dvornik, Byzance et la primauté romaine, Paris, Éditions du Cerf, 1964;
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man, 1984; P. Lemerle, Le premier humanisme byzantin, Paris, P. U .F., 1971; Id.,
Cinq études sur le XJe siècle byzantin, Paris, Centre nat. de la recherche scient.,
1977; A.P. Kazhdan, Change in Byzantine Culture in theEleventh and Twelfth Cen
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chliche profane Literatur der Byzantiner, 2 vol., Miinchen, Beck, 1978; ]. Gouil
lard, La vie religieuse à Byzance, London, Variorum Reprints, 198 1 .
Per gli sviluppi califfali e culturali dell'Islam aggiungere alle opere cit. in
III , l e III,2: Islamic Civilisation, a cura di D.S. Richards, Oxford, Cassirer, 1973;
Ch. Pellat, Études sur l'histoire soci(}-culturelle de l'Islam, London, Variorum Re
prints, 1976; N. Daniel, Gli Arabi e l'Europa nel medio evo, Bologna, Il Mulino,
1981 (dall'ed. inglese del 19792) ; Lévi-Provençal, Histoire de l'Espagne, cit. (so
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Si consultino le opere cit. in IV,1 e V,l. Inoltre: Storia della Chiesa dalle origini,
ci t. (sopra I,3) , VII, 19732; Storia della Chiesa dir, dajedin, ci t. (sopra I,3 ) , IV,
1978; Tellenbach, Die westliche Kirche, ci t. (sopra IV,6) ; K. u. M. Uhlirz,]ahrbii
cher des deutschen Reiches unter Otto II. u. Otto III., II (M. Uhlirz, Otto III. ) , Ber
lin, Dunker u. Humblot, 1954; H. Ludat, Slaven und Deutsche im Mittelalter,
Koln-Wien, Bohlau, 1982; ZJ. Kosztolnik, Five Eleventh Century Hungarian
Kings. Their Policies and their Relations with Rom, New York, Columbia Univer
sity Press, 198 1 ; W. Seegriin, Das Papsttum und Skandinavien bis zur Vollendung
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Nyberg, Die Kirche in Skandinavien. Mitteleuropiiischer und englischer Einfluss im
XI. und XII. Jahrh., Sigmaringen, Thorbecke, 1986.
Agli studi di storia della Chiesa cit. in IV,3 e alle opere cit. in IV,4 e in IV,6
aggiungere: S.F. Wemple, Atto of Vercelli. Church, State and Christian Society in
tenth Century Italy, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1979; Raterio di Ve
rona, Todi, Ace. Tudertina, 1973 (X Conv. del Centro di studi sulla spiritua
lità med. ) ; Renovatio imperii, cit. (sopra IV,2) ; P. Fournier, G. Le Bras, Histoire
des collections canoniques en Occident (XI-XII sec.), Paris, Sirey, 1931-1932: G. Le
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logna, Il Mulino, 1976 (tit. or. Prolégomènes, Paris, Sirey, 1955) ; H.E. Feine,
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vescovili ed ecclesiologia in età pregregoriana e gregoriana, Spoleto, Centro it. di_
studi sull'alto med., 1966; Id., Esiste un 'età gregoriana?, in <<Riv. di storia e lett.
religiosa>>, I ( 1965 ) ; Id., Storiografia e riforma della Chiesa in Italia, in <<La sto
riografia altomedievale», cit. (sopra III,4) ; Id., L 'età pregregoriana, in La Sto
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1956-1960; VIII-XI, Roma, Ateneo Salesiano, 1970-1978: Storia della Chiesa
dalle origini, ci t. (sopra I,3 ) , VIII, 19722 (per gli anni 1 057-1 1 23 ) ; Le istituzio
ni ecclesiastiche della <<Societas christiana>> dei secoli XI-XII: papato, cardinalato ed
episcopato, Milano, Vita e Pensiero, 1974 (Università Cattolica di Milano, At-
ti della V Sett. di studio) ; La cristianità nei secoli XI e XII in Occidente: coscienza
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to, Viaggio intvrno al concetto di medioevo, Roma, Bulzoni, 1977.
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3 G . von. Below, Die deutsche Geschichtschreibung von den Befreiungs-kriegen bis zu un
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4 G. Tabacco, Problemi di insediamento e di popolamento nell'alto medioevo, in «Rivista
storica italiana», 79 ( 1967 ) .
5 L'opera sua più solida è il Deutsches Wirtschaftsleben im Mittelalter, 3 voli., Leipzig
1 886, imperniata sull'analisi delle strutture materiali ed economiche di una regione
della Romania altomedievale.
6 Cfr. H. Pirenne, Le città del medioevo, con introduzione di O . Capitani, Bari, La
terza, 1 9775 (dall'ed. di Bruxelles del 1927) .
7 Cfr. B. Croce, Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, 2 vol. , Bari, Laterza,
1 9302.
8 Se ne veda l'ed. curata da C.A. Nallino, Catania 1933-1939.
9 Cfr. l'introduzione di E. Sestan all'ed. torinese del 1960 (Einaudi) e a quella mi
lanese del 1 966 (Feltrinelli) .
1° Cfr. l ' introduzione di C . Violante a G . Volpe, Studi sulle istituzioni comunali a Pi
sa, Firenze, Sansoni, 19702; e l. Cervelli, Gioacchino Volpe, Napoli, Guida 1977.
11
Cfr. L 'histoire et ses méthodes, Paris, Gallimard, 1961 (Encyclopédie de la Pléiade) ;
Faire de l'histoire, a cura diJ. Le Goff e P . Nora, 1-111, Paris, Gallimard, 1974 (parziale
tr. i t.: Fare storia, Torino, Einaudi, 1981 ) ; L. Allegra, A. Torre, La nascita della storia so
ciale in Francia: dalla Comune alle «Annales», Torino, Einaudi, 1 977; M. Cedronio, F.
Diaz, C. Russo, Storiografia francese di ieri e di oggi, con introd. di M. Del Treppo, Na
poli, Guida, 1977; T. Stoianovich, La scuola storicafrancese: il paradigma delle «Annales»,
Milano, ISEDI, 1 978 (dall 'ed. statunitense del 1977) ; Tendances, perspectives et méthodes
de l'histoire médiévale, Paris, Bibliothèque Nationale, 1 977 (Actes du lOOe Congrès na
tional des Sociétés savantes) ; M. Erbe, Zur neueren franzosischen Sozialgeschichtsfor
schung, Darmstad, Wiss, Buchgesellschaft, 1979; La nuova storia, a cura diJ. Le Goff,
Milano, Mondadori, 1980 (dall'ed. fr. del l979) . Per quanto attiene alla medievistica,
si ponga mente alla vastità di interessi che già il grandissimo Bloch manifestava fra gli
anni Venti e Trenta, quando trascorreva dai Rois thaumaturges del 1924 trad. it., To
rino, Einaudi) , in cui prevale l'attenzione ai problemi di mentalità e di psicologia col
lettiva,_ ai Caractères originaux de l'histoire ruralefrançaise del 1931 ( tr. i t. Torino, Einau
di) , che si collegano soprattutto alla grande tradizione tedesca di storia degli inse
diamenti.
12 H. Grundmann, Movimenti religiosi nel medioevo, Bologna, Il Mulino, 1974 (dal
scienza storica, Bari, Laterza, 197 4, p. 1 5 . Per il problema metodologico della medievi
stica attuale: O. Capitani, Medioevo passato prossimo. Appunti storiografici: tra due guerre e
molte crisi, Bologna, Il Mulino, 1979.
PARTE SECONDA: BASSO MEDIOEVO
Demografia: J.C. Russe !l, La popolazione europea dal 400 al 1500, in Storia eco
nomica d 'Europa, diretta da C.M. Cipolla, 1: Il medioevo, Torino, U.T.E.T., 1979
(The Fontana Economie History of Europe) ; R. Comba, La demografia nel me
dioevo, in La storia, 1 / 1 : Il medioevo. I quadri generali, Torino, U.T.E.T., 1988.
Agricoltura ed economia agraria: R. Grand, R. Delatouche, Storia agraria
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Abelardo, 288, 361 Al-Gazzali, 2 18, 221
Acciaiuoli, Niccolò, 416 Ali, 99, 2 1 7, 2 1 8
Adalberone di Laon, 1 77 Allah, 95, 99, 1 09, 2 1 7, 218
Adalberto, sant', 225, 226 Al-Mamun, 1 24, 2 1 7
Adelaide, 1 64 Almohadi, 220, 273, 275
Adelardi, 393 Almoravidi, 273, 275
Adelardo di Bath, 295 Altavilla, 251 , 253
Ademaro di Monteil, 277, 278 Amalasunta, 65
Adolfo di Nassau, 392 Amalrico di Bene, 359, 360, 361
Adriano I, 92 Amedeo VIII, 358, 425
Adriano IV, 349, 361 Amos, 23
Agilulfo, 60, 80 Anacleto II, 253, 353, 354
Aglabiti, 1 12, 252 Anastasio IV, 361
Agostino, sant', 205, 368 Angeli, 402
Ahura Mazda, 23 Angioini, 415-418
Alarico, 32, 33, 41 Anna Comnena, 278
Alberico, 1 86, 201 Anonimo di Passau, 479
Alberto, re 375 Anselmo d'Aosta, 205, 206, 372
Alberto Magno, 300, 478 Anselmo da Baggio, 239
Albizzi, 399 Apollinare Sidonio, 77, 82
Alboino, 66 Arcadio, 34
Alcuino, 1 27, 1 28 Arduino d'Ivrea, 1 64
Alessandro il Grande, 6, 24, 99 Ariberto d'Antimiano, 1 84, 1 85
Alessandro il Macedone, vedi Ales- Ario, 27, 45
sandro il Grande Aristotele, 360, 477
Alessandro Sforza, 428 Arnaldo da Brescia, 361
Alessandro II, 239, 240, 274 Arnolfo, 1 1 7, 1 18, 1 62
Alessandro III, 349, 353, 372 Arpad, 228, 229
Alessandro V, 445 Arpadi, 228, 229
Alessio I, 216, 276, 278 Asburgo, 305, 328, 435, 441-443
Al-Farabi 218, 220 Astolfo, 8 1 , 87, 90
Alfonso l, 281 Atalarico, 65
Alfonso V, 420, 421 , 422 Attila, 34, 35
Alfonso VI, 274, 275, 322 Augusto, 1 7, 38
Averroè, 477 Brunetto Latini, 295, 297
Avicenna, 218, 477 Bruno di Querfurt, 203
Avito, sant', 8 1 , 82 Brunone di Reims, 290
Avogadro, 390
Azzo VII d'Este, 393 Caetani, papa, vedi Bonifacio VIII
Azzo VIII d'Este, 393 Callisto II, 243, 346
Ayyubidi, 28 1 Callisto III, 435
Cangrande della Scala, 428
Baiamonte Tiepolo, 397 Canuto il Grande, 150, 1 70, 230,
Baldovino di Buglione, 278 248
Baldovino di Fiandra, 402 Capetingi, 378
Bali, John, 459 Carlo d'Angiò, 368, 390, 394, 415
Bardi, 416, 468 Carlo d'Orléans, 447
Bartolo da Sassoferrato, 477 Carlo di Calabria, 394
Basilio, san, 54, 55, 58 Carlo di Lussemburgo, 444
Basilio I, 209, 215, 250, Carlo i1 Buono, 298
Basilio II, 21 1 , 213, 407 Carlo il Calvo, 1 1 4-1 1 7, 128, 1 29,
Beatrice di Lorena, 237, 241 1 33, 152
Beda il Venerabile, 85, 127 Carlo il Grosso, 1 1 7, 153
Belisario, 49, 65, 66 Carlo il Temerario, 446
Benedetto d'Aniane, 198, 199, 202 Carlo Magno, 87, 89, 9 1 , 94, 1 1 2,
Benedetto da Norcia, 58, 1 30, 198 1 1 4, 1 1 6, 1 1 8, 1 25, 127, 128, 1 30,
Benedetto Zaccaria, 467 1 33, 148, 1 60, 223
Berengario di Tours, 205, 207 Carlo Martello, 86-89, 90, 1 0 1 , 1 34
Berengario I, 153, 1 62, 1 82 Carlo IV, 396, 442, 447, 473
Berengario Il, 1 62 Carlo V, 446, 447, 459
Bernard Cui, 369 Carlo VI, 447
Bernardo di Clairvaux, 273, 279, Carlo VII, 439
281 , 290, 350, 361 Carlo VII, 447
Bernardo Primo, 366 Carlo VIII, 434, 435
Bernone, 198, 199 Carlomanno, 86
Bertrand de la Tour, 369 Carmagnola, 428
Bicchieri, 339 Carolingi, 57, 72, 74, 86, 88, 94, 1 08,
Bloch, M., 285 1 1 4, 1 1 7, 120, 1 22, 124, 1 25, 1 28,
Boemondo di Taranto, 277, 278 129, 1 3 1 , 1 34-136, 148, 1 6 1 , 1 8 1 ,
Boezio, Severino, 204 186, 192, 223
Boleslao I il Grande, 225, 226, 228 Carraresi, 390, 391
Bonaventura da Bagnoregio, 478 Casimiro III, 410
Bonifacio, 85, 86, 94, 1 29 Cassiano, san, 58
Bonifacio di Canossa, 237, 241 Cassiodoro, 65
Bonifacio di Monferrato, 292 Castracani, Castruccio, 394
Bonifacio VIII, 348, 375, 376, 377 Celestino III, 348, 351 , 352, 372
Borgia, 435 Celestino V, 368
Boris l, 210, 223 Cencio, Savelli, 352
Braccio da Montone, 428 Cerchi, 395
Cesare, Caio Giulio, 1 6 Edoardo I, 437
Chilperico I , 8 2 Edoardo III, 447, 468
Cibele, 9, 25 Edoardo il Confessore, 248
Cicerone, 29 , 1 28, 206 Egidio di Albornoz, 433
Cipriano, 36 Eginardo, 1 28, 206
Cirillo (Costantino) , 2 1 1 , 223 Elena, 2 1 3
Clemente II, 236 Eleonora di Poitou, 378
Clemente III , 351 , 352, 372 Enrico di Bruis, 361
Clemente IV, 353 Enrico il Leone, 273, 304, 379
Clemente V, 348, 357, 376 Enrico I di Germania, 328
Clemente VII, 358 Enrico IV di Castiglia, 440
Clodoveo, 50, 57, 72, 73, 8 1 , 82, Enrico I d'Inghilterra, 349
90, 92 Enrico II d'Inghilterra, 349, 371,
Cola di Rienzo, 433 372, 378, 384-386
Colombano, san, 60, 85 Enrico III d'Inghilterra, 386
Colonna, 369, 375, 433 Enrico IV d'Inghilterra, 440
Coluccio Salutati, 399 Enrico V d'Inghilterra, 346, 349, 447
Comneni, 215, 216, 402, 403 Enrico VI d'Inghilterra, 447
Enrico VII d'Inghilterra, 447
Corradino di Svevia, 415
Enrico I imperatore, 1 60, 1 6 1 , 1 64
Corrado di Monferrato, 334
Enrico II imperatore, 1 64
Corrado di Salisburgo, 384
Enrico III imperatore, 236, 237, 239
Corrado II, 1 64, 1 70, 1 85, 236, 245
Enrico IV imperatore, 237, 241
Corrado III, 281
Enrico V imperatore, 242, 243
Cosimo de' Medici, 399, 423, 424
Enrico VI imperatore, 414
Costante II, 1 00
Enrico VII imperatore, 394, 441 , 444
Costantino, 19, 22, 25, 27, 28, 42, Éon de l' Étoille, 361
1 33, 1 34, 2 1 3, 350
Eraclio, 47, 98, 1 02
Costantino Mricano, 287 Erik di Pomerania, 441
Costantino VII Porfirogenito, 215 Ermanno Monaldeschi, 393, 394
Costanza d'Altavilla, 414 Ermenegildo, 78
Estensi, 393, 428, 430
Daiberto, 279 Étienne, Marcel, 441 , 460
Dandolo, Enrico, 402 Euclide, 288
Della Torre, 391 Eugenio III, 351 , 361
Demetra, 9 Eugenio IV, 358
Demetrio Ciclone, 404 Ezio, 34, 35, 39, 41
Demetrio di Russia, 410 Ezzelino III da Romano, 389, 390
Desiderio, 91
Dioniso, 9 Facino Cane, 427
Dolcino, 369, 4 1 7 Fatima, 99, 2 1 8
Domenico di Caleruega, 367 Fatimiti, 2 1 8, 2 1 9 , 252
Donati, 395 Federico I Barbarossa, 273, 282, 305,
Durando d'Osca, 366 315, 3 1 6, 3 1 8, 3 1 9, 331 , 349, 353,
Dusan., Stefano, 404 361 , 364, 373, 379, 380, 383, 476
Federico I di Svevia, 3 1 2 Giovanna d'Arco, 447
Federico I l , 271 , 305, 3 1 7, 328, 368, Giovanna I, 4 1 6
374, 376, 383, 386, 389, 390, 414 Giovanni Cantacuzeno, 404
416, 442, 476 Giovanni Cassiano, 57, 203
Federico III di Trinacria, 4 1 7 Giovanni Damasceno, 109
Felice V, 358, 425 Giovanni de' Medici, 399
Ferdinando I d'Aragona, 420, 449 Giovanni di Fécamp, 200, 202
Ferdinando II d'Aragona, 449 Giovanni di Lussemburgo, 444
Ferdinando III di Castiglia, 275 Giovanni Gradenigo, 203
Ferrante, 421 Giovanni Huss, 445
Filippo Augusto, 282, 300, 301 , 378, Giovanni Italo, 2 1 6
379 Giovanni I papa, 77
Filippo di Valois, 447 Giovanni II di Francia, 446, 459
Filippo il Bello, 375, 376, 447 Giovanni VIII, 1 34
Filippo l'Ardito, 446 Giovanni XXII, 348, 369, 376, 377
Filippo Maria Visconti, 422, 423, Giovanni Scoto Eriugena, 1 29, 204,
427, 428 360
Fozio, 212, 215, 2 1 7 Giovanni Senzaterra , 373, 378, 379,
Francesco d'Assisi, 367, 478 385, 386
Francesco Novello, 391 Giovanni Visconti, 425
Francesco I, 390 Giustiniano, 42, 47-51 , 56, 59, 66, 73,
Francesco Sforza, 424, 428 77, 98, 1 05, 209
Fulberto, 205 Goffredo di Buglione, 277, 278
Goffredo il Barbuto, 237
Galla Placidia, 35 Gonzaga, 428, 430
Gelasio I, 1 32, 1 33 Graziano, 347
Genghiz Khan, 405 Gregorio di Nazianzo, 55, 58
Genserico, 48, 69 Gregorio di Nissa, 55, 58
Geraldo d'Aurillac, 199 Gregorio di Tours, 82, 83
Gerberto d'Aurillac, 204, 205, 220 Gregorio Magno, 84, 85
Gerhoh di Reichersberg, 350 Gregorio Palama, 404
Gerolamo, san, 58 Gregorio I, 84
Gesù, 27, 45-47, 53, 55, 56, 1 72, 198, Gregorio VII, 204, 223, 229, 240-242,
204, 205, 276, 277, 281-283, 300, 346, 354, 356
363, 366, 367, 369, 459 Gregorio VIII, 351
Gherardo di Modena, 3 1 8, 319 Gregorio IX, 348, 368, 374, 477
Giacomo Colonna, 369 Gregorio X, 353
Giacomo I di Aragona, 275 Gregorio XI, 356, 357, 358
Gian Francesco Gonzaga, 428 Gualtieri di Brienne, 394, 395
Gian Galeazzo Visconti, 369, 399, Guglielmo di Monferrato, 334
392, 425, 426, 427, 428 Guglielmo di Nogaret, 375, 376
Gioacchino da Fiore, 359, 360, 361 Guglielmo di Volpiano, 200
Giordano Pierleoni, 3 1 2 Guglielmo il Conquistatore, 249,
Giorgio d a Padebrady, 446, 448 384
Giorgio, san, 80 Guglielmo I d'Aquitania, 198
Guglielmo II di Sicilia, 414 Leone iX, 236, 237, 251
Guglielmo Vll di Monferrato, 390 Leone VI il Sapiente, 215
Guiberto di Nogent, 299 Leovigildo, 62, 78
Guicciardini, Francesco 424 Liutprando re, 80, 90, 127, 1 76
Guidi, conti, 333 Lorenzo de' Medici, 399, 424
Guido di Spoleto, 1 62 Loschi, Antonio 399
Gupta, 1 5, 32 Lotario l, 1 1 4-1 1 8
Lotario Il, 1 1 7
Harun al-Rashid, 1 12, 124 Lucio II, 350
Helmold di Bosau, 273 Lucio III, 364
Hohenstaufen, 305 Ludovico di Provenza, 1 62
Holstein, conte di, 304 Ludovico I il Pio, 92, 1 14, 1 28, 1 30,
1 33, 229
Iacopo dal Verme, 427 Ludovico II il Germanico, 1 14, 1 16,
Ildeberto di Lavardin, 207 1 1 7, 193
Ildebrando, 238, 240 Ludovico IV il Bavaro, 369, 376 , 441
Imad ad-din Zanki, 281 Luigi d'Angiò, 410
Incmaro di Laon, 1 33 Luigi di Taranto, 416
Innocenza II, 253, 353, 354 Luigi VI, 301 , 379
Innocenza III, 356, 364, 366, 402 Luigi VII, 281 , 301 , 324, 361, 378, 379
Innocenza IV, 357, 374, 375 Luigi IX, 381 , 384, 414
Irene, 1 04 Lupo, 1 29
Imerio, 475 Lussemburgo, 441 , 442, 446
Isabella di Baviera, 447
Isabella di Castiglia, 449 Maiolo, 1 99, 200
Isaurici, l 04 Malatesta, 428
Iside, 9 Malatesta, Carlo, 427
Isidoro, 79, 8 1 Manfredi, 376, 390, 415, 4 1 7
Ivan, 407 Manuele Comneno, 362
lvan III, 403 Maometto, 95, 97, 98, 1 09, 1 10, 2 1 7
Ivo di Chartres, 243 Maometto I I , 405
Maria, 45, 46, 198, 293
Jacques Bonhomme, 459 Marino Faliero, 397
Jagellone, 410, 412 Marozia, 1 86
Martino della Torre, 391
Kalojan di Bulgaria, 402 Martino, papa, 47
Martino V, 358, 433
Ladislao di Durazzo, 433 Martino, san, 57
Lancaster, 439, 440, 447 Maso degli Albizzi, 399
Lanfranco di Pavia, 205, 206 Mastino della Scala, 390
Leandro, 78. 79, 81 Matilde di Canossa, 241 , 264
Leone il Matematico, 215 Matilde d'Inghilterra, 349
Leone Magno, 36, 46 Matteo Visconti, 391 , 392
Leone III papa, 91-93 Mattia Corvino, 448
Leone III imperatore, 1 00, 1 03, 1 48 Medici, 399, 465
Meinardo, 284 Ottone III, 1 6 1 , 1 64, 176, 1 83, 203-
Meroveo, 72 205, 225, 226, 229, 236
Merovingi, 73, 74, 82, 83, 86-88, 90, Ottone IV, 378
91, 131 Ottone Visconti, 391
Metodio, 2 1 1 , 223 Ottoni, 1 6 1 , 1 83, 1 87
Michele Cerulario, 2 1 6 Ovidio, 128, 206
Michele d a Cesena, 369
Michele Psello, 2 1 6 Pacomio, 54
Michele, san, 80, 196 Paleologi, 403-404
Michele III, 209, 2 1 0, 21 1 , 214 Pallavicini, 430
Michele VIII, 403, 415 Paolino, 127
Mindaugas, 412 Paolo, 42
Mitra, 25 Paolo, san, 85, 352
Monferrato, 334, 388, 432 Paolo Diacono, 1 27, 1 28
Montefeltro, 428 Papareschi, 353
Pasquale Il, 242
Napoleone Orsini, 369 Pepo, 475
Narsete, 66 Pepoli, 425
Nasridi, 273 Peruzzi, 416, 468
Nestorio, 46 Piasti, 224, 225, 227, 410
Niccolò I, 1 34 Piccolomini, Enea Silvio, 424, 482
Niccolò II 238, 239, 251 Pico di Mirandola, 430
Niccolò V, 376, 424 Pier Damiani, 203, 204, 236, 237,
Niceta, 362 240, 242
Norberto di Xanten, 289 Pierleoni, 353
Nur ad-din, 281 Pierre Flote, 375
Pietro, san, 36, 236, 239, 350, 352,
Oberto Pelavicino, 390, 391 356
Obizzo d'Este, 393 Pietro Abelardo, 295
Oddone, 199, 201 Pietro Crasso, 242
Oddone di Parigi, 1 1 7 Pietro d'Amiens, 277
Odilone, 200, 201 Pietro del Morrone, 368
Odoacre, 39, 41 , 50, 64 Pietro di Bruis, 361
Olga di Kiev, 212, 223 Pietro di Corbara, 376
Omayyadi, 99, 1 09, 1 10, 1 1 1 , 1 25, Pietro Orseolo I, 203
219 Pietro III, 417
Onorio, 32, 34, 39, 40 Pio di Carpi, 430
Onorio Il, 348, 353 Pio Il, 424, 482
Origene, 55 Pipinidi, 74, 83, 85-88, 1 1 9, 1 20, 1 24,
Orsini, 369 1 34, 161
Ottone di Frisinga, 3 1 2, 3 1 3, 332, Pipino, 1 1 4
334 Pipino il Breve, 87, 89-93, 127, 1 30
Ottone I il Grande, 1 60-162, 1 64, Pirenne, H., 95, 1 09
179, 206, 223, 225, 228, 235, 236 Plantageneti, 302, 378, 447
Ottone Il, 1 6 1 , 204 Platone, 29, 2 1 6
Pripegal, 282 Sassanidi, 38, 47, 1 1 0
Pseudo-lsidoro, 1 33 Savoia, 1 65, 388, 425, 443
Scaligeri, 390, 391 , 393
Quraish, 95, 1 09 Sciarra Colonna, 376
Seneca, 1 28
Raimondo di Peiiafort, 348 Sforza, 427
Raimondo di Saint-Gilles, 277 Sigismondo, 425, 428, 431 445
Rambaldo di Vaqueiras, 292 Silvestro Il, 204, 220, 225, 226, 229,
Raterio, 235 236
Reccaredo, 78, 80 Simeone I, 2 1 0
Remigio, san, 8 1 Simmaco, 65
Riccardo d i Devizes, 299 Sinesio di Cirene, 3 1
Riccardo I Cuor di Leone, 373, 385, Stefano d i Blois, 278
378, 282 Stefano di Muret, 289
Riccardo Il, 440 Stefano di Serbia, 402, 404
Ricimero, 39, 41, 71 Stefano l, 229
Rinaldo degli Albizzi, 399 Stefano II, 90
Robert Lecoq, 441 Stefano IX, 237
Roberto d'Altavilla, 251 Stilicone, 32-34, 39, 40, 41
Roberto d'Angiò, 393, 394, 415 Svatopluk, 1 48
Roberto d'Arbrissel, 289, 293 Svetonio, 128
Roberto di Fiandra, 278 Svevi, 1 7, 1 8, 32, 38, 48, 50, 6 1 , 62,
Roberto di Normandia, 278 1 14, 3 1 6, 353, 358, 368, 373, 376,
Roberto il Guiscardo, 251-253, 278 383, 414, 415, 437, 441
Roberto il Pio, 1 77
Rodolfo l, 374, 442 Tamerlano, 462
Rodolfo II, 1 62 Tanchelmo, 361
Rodolfo IV, 442 Tancredi d'Altavilla, 277, 278
Rollone, 1 5 1 , 248 Teodolinda, 80
Romano, da, 339, 390 Teodorico, 41, 50, 62, 64-66, 72, 73,
Romolo Augustolo, 39 77
Romualdo di Ravenna, 202, 203, Teodoro, 84, 85
204 Teodoro Lascaris, 403
Rossi, 430 Teodosio l, 29, 32, 33, 35
Rosvita, 206 Teodosio II, 34, 42, 46, 62
Rotari, 68 Teodulfo, 1 27
Rufino, 349 Teofano, 1 6 1 , 205
Ruggero l , 252, 253, 281 Teofilatto, 186, 206
Ruggero II, 253, 355, 386, 414 Terenzio, 206
Timur Lenk (Tamerlano) , 405
Salah ad-din (Saladino) , 219, 281 , Tolomei, 42
282 Tolomeo, 288
Salimbeni, 396 Tommaso Becket, 371, 372
Samanidi, 1 25 Tommaso d'Aquino, 300, 478
Samo, 147 Torelli, 393, 428
Torre, della, 391 Venceslao di Boemia, 392, 445
Totila, 65, 66 Verme, dal, 427, 428
Triboniano, 42 Viduchindo, 206
Tudor, 447 Vigilio, papa, 47
Tulliano, 65 Virgilio, 1 28, 206
Visconti, 369, 391-393, 399, 422,
Ubaldini, 337 425-427, 429, 430
Ugo di Provenza, 1 62, 235 Vitoldo, 410, 412
Ugo Capeto, 159, 1 77 Vladimiro l, 2 1 3
Ugo di Farfa, 201
Ugo di Vermandois, 277 Welfen, 292, 3 1 9
Ulfila, 50 Wyclif, John, 479
Ulpiano, 42 Wynfrith, 85
Umbertini, 1 65
Umberto di Romans, 342 York, 296, 372, 447
Umberto di Silva Candida, 237
Urbano 11, 242, 276, 277 Zaccaria, 86
Urbano VI, 358 Zahringen, 328
Zaratustra, 23
Valafrido Strabone, 1 28 Zenone, 4 1 , 64
Valdo (o Valdesio) , 365, 366 Zeus, 9
Valentiniano III, 35, 36, 39, 77
REFERENZE FOTOGRAFICHE
Erich Lessing Collection/Contrasto: tìgg. 5 , 6 , 24, 25, 26, 29, 32, 33, 34, 39, 42, 44, 45,
46, 47, 49, 50, 54, 55.
Foto Scala, Firenze. Per concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali:
figg. 8, 9, 1 0 , 1 4, 28, 43, 57.
civiltà medievale:
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Da venderSI esclusivamente m abbmamento
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