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WILL E ARIEL

DURANT

LE LEZIONI
DELLA STORIA
© Simon & Schuster, New York
© Araba Fenice, Cuneo 1995

Titolo originale:
The Lessons o/ History
Traduzione di Stefano Vassallo

Fotocomposizione: Tre Punti Grafici snc- Cuneo


Stampa: Tipografia Europa- Cuneo
Marzo 1995
INDICE

PREFAZIONE DELL'EDITORE IX

UNA BIOGRAFIA XI

LE LEZIONI DELLA STORIA

CAPITOLO I: ESITAZIONI 3

CAPITOLO II: LA STORIA E LA TERRA 7

CAPITOLO III: LA STORIA E LA BIOLOGIA 11

CAPITOLO IV: LA STORIA E LE RAZZE 17

CAPITOLO V: LA STORIA E IL CARATTERE 25

CAPITOLO VI: LA STORIA E LA MORALE 29

CAPITOLO VII: LA STORIA E LA RELIGIONE 35

CAPITOLO VIII: LA STORIA E L'ECONOMIA 45

CAPITOLO IX: LA STORIA E IL SOCIALISMO 51

CAPITOLO X: LA STORIA E LA FORMA DI GOVERNO 61

CAPITOLO XI: LA STORIA E LA GUERRA 73

CAPITOLO XII: ASCESA E DECADENZA 79

CAPITOLO XIII: IL PROGRESSO È UNA REALTÀ?. 87

NOTE 95
PRESENTAZIONE
DELLA PRIMA EDIZIONE ITALIANA

La storia è maestra di vita: così ci hanno insegnato i padri antichi


della civiltà classica. A no� eterni allievz: svezzati con i lutti e le mi­
serie dei giorni tristz: sembra lecito rilevare- pur ammirando i cul­
mini raggiunti dal sapere- che non sia stata un'insegnante compren­
siva, e che usando maggiore indulgenza avrebbe forse ottenuto risul­
tati migliori.
Will e Ariel Durant, giunti alle ultime battute della loro grande
((Storia della Civiltà", hanno affrontato questo tema con la consueta,
famosa chiarezza, facendo sentire la voce originale degli autori dai
quali spesso dipende tutta la nostra conoscenza del passato. Sono co­
sì riusciti nell'intento di analizzare i grandi temi dell'avventura uma­
na con la rinnovata serenità di chi non ha più conti in sospeso:
un'analisi che cerca sempre di mettere in luce le ragioni dei vinti ac­
canto a quelle dei vincitori, il valore di quello che si è compiuto ac­
canto a quello di ciò che si sarebbe potuto compiere, le uniche vere /e­
di accanto alle altre uniche veri fedi.
In ((Le lezioni della storia", essi ci propongono alcune riflessioni di
ordine generale che, senz' alcuna pretesa di esaurire gli argomentz:
tracciano il mani/esto filosofico di un approccio non deterministico
agli studi storia: mentre al contempo sviluppano una sorta di ((guida
alla lettura" dell'opera maggiore. Mettendo a confronto la storia con
la biologia, il carattere, la morale, l'economia, il socialismo, la reli­
gione, il progresso, gli autori si limitano in/atti a darci dei suggeri­
menti: la storia non è una scienza, perché non vi sono regole assolute
che siano applicabili in qualsiasi circostanza, e soltanto con la /anta­
sia dei profeti o dei rivoluzionari possiamo scorgere in essa dei fini
prestabiliti. La storia, in definitiva, non ci indica né il cammino da
perco"ere né le mete da raggiungere. I: ultima lezione si trasforma
nel paradigma di un'etica, l'etica laica di chi ha avuto il destino di vi­
vere nella più complessa società multiculturale del nostro tempo: il
rispetto per la vita di chi ci ha preceduto su questa terra è il solo ce­
mento in grado di tenere insieme i fragili ponti fra le diverse forme
assunte dalla civiltà. A ciascuno, collettività o individuo, la scelta nel
divenire quotidiano se attraversar!� chiuderli o distruggerli.

FABRIZIO DUTTO
BIOGRAFIA

Will Durant nacque a North Adams, Massachussetts (USA)


il 5 novembre 1885. Frequentò il St. Peter's Jesuit College a Jersey
City, nel New Jersey, e la Columbia University a New York.
Nell'estate del 19 07 fu cronista per il New York Journal, ma
trovando il lavoro troppo duro per il suo temperamento si stabill
al Seton Hall College South Orange, di nuovo nel New Jersey,
per insegnarvi latino, francese, inglese e geometria. Tra il 1909
e il 1911 entrò in seminario, ma lo lasciò per ragioni personali
che in seguito descrisse nel suo libro Transition. Passò allora dalla
quieta vita di seminario ai circoli più radicali della New York
del tempo, e divenne (1911-13) insegnante alla Ferrer Modern
School, un esperimento di educazione libertaria. Nel 1912 viaggiò
in Europa su invito ed a spese di Alden Freeman, un benefat­
tore con cui era entrato in amicizia.
Ritornato alla Ferrer School, si innamorò di una delle sue
allieve, Ariel, che era nata in Russia, col nome di Ida Kaufman,
nel 1898; rassegnò quindi le sue dimissioni e la sposò (1913). Nei
quattro anni successivi tornò a studiare alla Columbia Univer­
sity, specializzandosi in biologia con Morgan e Calkins, e in filo­
sofia con W oodbridge e Dewey. Nel 191 7 ricevette il dottorato
in filosofia e ne divenne insegnante in quello stesso istituto per
un anno. Intanto, dal 1914 teneva presso la Chiesa Presbiteriana
di New York quelle letture di storia, letteratura e filosofia che,
con frequenza bisettimanale, sarebbero continuate per tredici
anni, fornendogli la materia iniziale per i suoi successivi lavori.
L'inatteso successo de The Story of Philosophy, nel 1926, gli
diede la possibilità di ritirarsi dall'insegnamento (1927). Da quel
momento in poi, i coniugi Durant, salvo qualche breve paren­
tesi, si dedicarono a tempo pieno alla Storia della Civiltà. Allo
scopo di approfondire le loro conoscenze, nel 1927 compirono
un lungo viaggio in Europa; nel 1930 si recarono quindi in Egitto,
in Medio Oriente, Cina e Giappone; nel 1932, infine, visitarono
nuovamente il Giappone, poi la Manduria, la Russia e la Polonia.
Da questi viaggi ricavarono le basi per Our Orienta! Heritage
XII BIOGRAFIA

(L'Oriente, 1935), il primo volume della Storia della Civiltà.


Numerosi viaggi in Europa, negli anni seguenti, prepararono la
stesura di The Li/e of Greece (La Grecia, 1939) e di Caesar and
Christ (Cesare e Cristo, 1944). In seguito, sempre preceduti da
lunghi viaggi di studio, vennero pubblicati The Age of Faith
(L'epoca della Fede, 19 50), The Renaissance (I secoli d'Oro, 19 53)
e The Reformation (La Riforma, 19 57). Da quel momento in poi,
fattosi il contributo di Ariel via via più importante, il suo nome
cominciò ad affiancare da autrice quello del marito: così per The
Age of Reason Begins (L'Avvento della Ragione, 19 61), per The
Age of Luis XIV (L'età di Luigi XIV, 19 63), per The Age of
Voltaire (L'età di Voltaire, 19 65) e per Rousseau and Revolution
(Rousseau e la Rivoluzione, 19 68); quest'ultimo vinse il Premio
Pulitzer per la saggistica.
La pubblicazione de The Age of Napoleon (L'età di Napo­
leone), nel 19 74, concluse cinque decenni di lavoro. Ariel Durant
mori il25 ottobre 1981 , all'età di 83 anni; il marito Will la segul
tredici giorni dopo, il 7 novembre, ormai novantaseienne. Il loro
ultimo lavoro pubblicato era stato A Dual Autobiography, nel
19 77.
LE LEZIONI
DELLA STORIA
Capitolo I
Esitazioni

Al termine di un ciclo di studi, lo storico si trova a fronteg­


giare la sfida: di che utilità sono stati questi studi? Hai trovato
nel tuo lavoro solo il piacere di raccontare l'ascesa e il declino
delle nazioni e delle idee, e di ripetere le "tristi storie della morte
dei re"? Hai imparato sulla natura umana più di quanto possa
imparare l'uomo della strada senza consultare tanti libri? Hai
tratto dalla storia qualche lume sulla nostra situazione presente,
qualche indicazione per i nostri giudizi e le nostre scelte poli­
tiche, qualche difesa contro la mortificazione dell'essere colti alla
sprovvista o le vicissitudini del cambiamento? Hai riconosciuto
regolarità tali, nella sequenza degli avvenimenti passati, da riuscire
a predire come agirà l'umanità in futuro, o il destino degli stati?
E' possibile, dopo tutto, che la storia "non abbia senso" 1, che
non ci insegni niente, e che l'immensità del passato non sia stata
altro che la tediosa ripetizione degli errori che il futuro è desti­
nato a compiere su un palcoscenico più vasto e su più larga scala?
Talvolta abbiamo questa impressione, e mille dubbi investono
la nostra impresa. Per cominciare, sappiamo realmente com'è stato
il passato, cosa effettivamente è accaduto, o la storia è una "favola
sulla quale non c'è alcun accordo"? La nostra conoscenza di qual­
siasi evento del passato è sempre incompleta, probabilmente
imprecisa, oscurata da fonti contraddittorie e storici di parte, e
forse distorta dalla nostra stessa partigianeria di patria o religione.
"La maggior parte della storia è un tirare a indovinare, e il resto
pregiudizio" 2• Anche lo storico che crede di innalzarsi al di sopra
della predilezione per la propria terra, razza, fede o classe, la tra-
4 LE LEZIONI DELLA STORIA
�--------------� ------

disce nella scelta dei materiali, e nelle sfumature degli aggettivi.


''Lo storico semplifica sempre troppo, seleziona sbrigativamente
una minoranza di fatti e personaggi, che può padroneggiare, da
una moltitudine di persone ed eventi la cui immensa complessità
non è mai in grado di abbracciare o comprendere del tutto" 3•
Inoltre, le previsioni sul futuro che possiamo trarre dal passato
sono rese più azzardate che mai dall'accelerazione del cambia­
mento. Nel1909 Charles Peguy riteneva che "il mondo è cambiato
meno dal tempo di Gesù Cristo a trent'anni fa che da allora ad
oggi" 4; e forse qualche giovane dottore di filosofia della scienza
aggiungerebbe che la sua disciplina è cambiata di più dal 1909 ad
oggi che in tutta la storia precedente. Ogni anno - talvolta, in
guerra, ogni mese - qualche nuova invenzione, tecnica o situa­
zione impone un nuovo adattamento del comportamento e delle
idee. Per di più, un elemento di casualità, forse di libertà, sembra
entrare nel comportamento dei metalli come degli uomini. Noi non
crediamo più che gli atomi, e tantomeno gli organismi viventi, reagi­
ranno a.�<:erte circostanze nel futuro come supponiamo abbiano
reagito nel passato. Gli elettroni, come il Dio di Cowper, si
muovono in modi misteriosi per compiere le loro meraviglie, e una
minima variazione di carattere o di circostanze può sconvolgere
equazioni di livello nazionale, come quando Alessandro morl di
congestione lasciando frantumare il suo impero (323 a.C.), o Fede­
rico il Grande fu salvato dal disastro dall'intervento dello Zar, infa­
tuato dei costumi Prussiani (1762).
Ovviamente la storiografia non può essere una scienza. Può
essere soltanto una forma di artigianato, di arte e di filosofia: arti­
gianato nello scoprire i fatti, arte nello stabilire un ordine signifi­
cativo nel caos dei dati, filosofia nel cercarvi la giusta prospettiva
e spiegazione. "Il presente è il passato concentrato in atto, e il
passato è il presente spiegato per la comprensione" 5 - o cosl noi
crediamo e speriamo. In filosofia si cerca di vedere la parte alla
luce del tutto; nella "filosofia della storia" si cerca di vedere il
momento presente alla luce del passato. Sappiamo bene che in
entrambi i casi si tratta di una sorta di precetto evangelico, diffi­
cile da mettere in pratica: la prospettiva totale è un'illusione ottica.
EsiTAZIONI 5

Non conosciamo la storia umana nella sua interezza; ci furono


probabilmente molte civiltà prima di quelle Egiziana e Sumera;
abbiamo appena cominciato a scavare! Dobbiamo operare sulla
base di conoscenze parziali, e accontentarci di probabilità prov­
visorie; nella storia, come nella scienza e nella politica, domina
la relatività, e bisognerebbe diffidare di tutte le formule. "La
storia sorride di tutti i tentativi di forzare il suo flusso in strut­
ture teoriche o solchi logici; essa distrugge le nostre generalizza­
zioni, infrange tutte le nostre regole; la storia è barocca" 6•
Forse, entro questi limiti, possiamo imparare abbastanza dalla
storia da sopportare la realtà con pazienza, e da rispettare ciascuno
le altrui delusioni.
Poichè l'uomo è un istante del tempo astronomico, un ospite
passeggero della terra, una spora della sua specie, un germoglio
della sua razza, un composto di corpo, carattere e mente, un
membro di una famiglia e di una comunità, un credente o uno
scettico di una fede, un'unità in un'economia, probabilmente un
cittadino in uno stato o un soldato in un esercito, noi possiamo
chiederci nei capitoli corrispondenti - dedicati ad astronomia,
geologia, geografia, biologia, etnologia, psicologia, morale, reli­
gione, economia, politica e guerra - cos'ha da dirci la storia sulla
natura, la condotta e l'avvenire dell'uomo. E' un'impresa arri­
schiata, e solo un folle cercherebbe di condensare un centinaio
di secoli di storia in un centinaio di pagine di conclusioni azzar­
date. Noi procediamo.
Capitolo II
La Storia e la Terra

Possiamo definire la storia, nella sua problematica duplicità,


come gli eventi del passato o la loro documentazione. La storia
umana è una piccola goccia nel mare dello spazio, e la sua prima
lezione è la modestia. In qualsiasi istante una cometa potrebbe
passare troppo vicino alla terra e spingere il nostro piccolo globo
a girare sottosopra lungo un'orbita sconvolta, o soffocarne uomini
e pulci di fumi benefici o calore; oppure un frammento del sole
ridente potrebbe staccarsi tangenzialmente- come alcuni riten­
gono sia nato il nostro pianeta pochi istanti astronomici or sono
- e caderci addosso in un selvaggio abbraccio che porrebbe
termine ad ogni affanno e sofferenza. Noi accettiamo queste even­
tualità sul nostro cammino, e replichiamo al cosmo con le parole
di Pasca!: "Quando l'universo l'abbia schiantato, l'uomo sarà pur
sempre più nobile di ciò che lo uccide, perchè saprà che sta
morendo, mentre della propria vittoria nulla saprà l'universo" 7•
La storia è soggetta alla geologia. Ogni giorno, da qualche
parte, i mari sopraffanno le terre emerse o le terre emerse il mare;
città scompaiono sotto le acque, e cattedrali sommerse suonano
le loro malinconiche campane. Montagne sorgono e sprofondano
al ritmo dell'orogenesi e dell'erosione; fiumi si gonfiano e strari­
pano, o inaridiscono, o mutano il loro corso; valli diventano
deserti, e istmi stretti. Dal punto di vista geologico la superficie
della terra è fluida, e l'uomo si muove su di essa insicuro come
Pietro quando camminava sulle acque verso Cristo.
Il clima non ci domina più rigidamente come ritenevano
Montesquieu e Buckle, ma ci limita. L'ingegno dell'uomo spesso
8 LE LEZIONI DELLA STORIA

supera gli ostacoli geologici: egli può irrigare deserti e condizio­


nare l'aria del Sahara; spianare o valicare montagne e terrazzare
le colline di viti; costruire città galleggianti per attraversare
l'oceano, o giganteschi uccelli per solcare il cielo. Ma un tornado
può radere al suolo in un'ora la città che si è impiegato un secolo
a costruire; un iceberg può rovesciare o spaccare il palazzo navi­
gante e spedire un migliaio di festaioli gorgoglianti alla Grande
Certezza. Se la pioggia diventa troppo rara, la civiltà scompare
sotto le sabbie, come in Asia Centrale; se cade troppo copiosa,
essa sarà soffocata dalla giungla, come in America Centrale.
Ponete che la temperatura media salga di una ventina di gradi
Fahrenheit nelle nostre regioni più fiorenti, e finiremmo proba­
bilmente per ricadere nel letargo della vita selvaggia. In un clima
semitropicale mezzo milione di persone possono proliferare come
formiche, ma il calore snervante può assoggettarli a ripetute
conquiste da parte di guerrieri provenienti da ambienti più stimo­
lanti. Generazioni di uomini stabiliscono un controllo crescente
sulla terra, ma sono destinate a divenire fossili nel suo suolo.
La geografia è la matrice della storia, la madre che la nutre
e la scuola che la disciplina. I suoi fiumi, laghi, oasi e oceani atti­
rano abitanti sulle loro rive, perchè l'acqua è la vita degli orga­
nismi e delle città, e offre strade a buon mercato per i trasporti
e il commercio. L'Egitto fu "il dono del Nilo", e la Mesopotamia
innalzò civiltà una dopo l'altra "tra i due fiumi" e lungo i canali
che si dipartivano da essi. L'India nacque dall'Indo, dal Brah­
maputra e dal Gange; la Cina dovette la sua vita e le sue sven­
ture ai grandi fiumi che (come gli stessi esseri umani) spesso stra­
ripavano dal loro letto fertilizzando le zone circostanti con la loro
piena. L'Italia adornò le valli del Tevere, dell'Arno e del Po.
L'Austria crebbe lungo il Danubio, la Germania lungo l'Elba e
il Reno, la Francia lungo il Rodano, la Loira e la Senna. Petra
e Palmira erano nutrite da oasi nel deserto.
Quando i Greci divennero troppo numerosi per i loro confini,
essi fondarono colonie lungo le coste del Mediterraneo (''come
rane attorno a uno stagno" 8, disse Platone) e del Mar Nero, o
Pontò Eusino. Per duemila anni - dalla battaglia di Salamina
LA STORIA E LA TERRA 9

(480 a.C.) alla sconfitta dell'Invincibile Armada Spagnola (1588)


-le rive settentrionali e meridionali del Mediterraneo furono le
sedi rivali dell'ascesa dell'uomo bianco. Ma dal 1492 i viaggi di
Colombo e Vasco de Gama spinsero gli uomini a sfidare gli oceani;
Genova, Pisa, Firenze, Venezia declinarono; il Rinascimento
cominciò la sua decadenza; le nazioni atlantiche accrebbero la loro
potenza fino ad estendere il loro dominio su mezzo mondo. "Il
corso dell'impero ha preso la via dell'occidente" scriveva George
Berkeley verso il 1730. Proseguirà oltre il Pacifico, esportando le
tecniche industriali e commerciali Europee e Americane in Cina,
come già in Giappone? La fertilità orientale, affiancata dalle più
recenti tecnologie occidentali, porterà al declino dell'Ovest?
Lo sviluppo dell'aereoplano altererà nuovamente la mappa della
civiltà. Le vie del commercio seguiranno sempre meno i fiumi e
i mari; sempre più uomini e merci voleranno direttamente ai loro
obbiettivi. Paesi come l'Inghilterra e la Francia perderanno il
vantaggio commerciale di possedere lunghe linee costiere oppor­
tunamente frastagliate; quelli come la Russia, la Cina e il Brasile,
finora ostacolate dalla sproporzione della massa continentale
rispetto alle coste, annulleranno parte dello svantaggio sfruttando
le vie aeree. Le città portuali deriveranno meno della loro ricchezza
della rozza attività di trasferire merci da treno a nave o da nave
a treno. Quando definitivamente il dominio del mare cederà la
supremazia al dominio dell'aria nei trasporti e nella guerra, avremo
visto una delle rivoluzioni fondamentali della storia.
L'influenza dei fattori geografici diminuisce con lo sviluppo
tecnologico. Il carattere e il profilo di un terreno può offrire oppor­
tunità all'agricoltura, all'estrazione mineraria o al commercio, ma
solo l'immaginazione e l'iniziativa dei capi, e la tenace industrio­
sità dei loro seguaci, possono concretizzare queste potenzialità;
e solo una combinazione del genere (come accade oggi in Israele)
può far sl che una cultura si affermi a dispetto di innumerevoli
ostacoli naturali. L'uomo, non la terra, fa la civiltà.
Capitolo III
La Storia e la Biologia

La storia è un frammento della biologia: la vita dell'uomo è


parte delle vicissitudini degli organismi terrestri e marini. Talvolta,
vagando da soli per la foresta in un giorno d'estate, vediamo o
sentiamo il movimento di centinaia di creature che volano,
saltano, strisciano, nuotano, scavano. Gli animali, allarmati, si
dileguano al nostro arrivo; gli uccelli volano via; i pesci si disper­
dono nel ruscello. Improvvisamente percepiamo a quale perico­
losa minoranza apparteniamo su questo imparziale pianeta, e per
un momento avvertiamo che, come i suoi variegati abitanti ci
fanno chiaramente capire, siamo intrusi di passaggio nel loro
habitat naturale. Quindi tutte le cronache e le gesta dell'uomo
rientrano umilmente nella storia e nella prospettiva di una vita
polimorfa; tutte le nostre competizioni economiche, le lotte per
l'accoppiamento, la fame e l'amore e il dolore e la guerra, sono
simili a quel cercare, accoppiarsi, lottare e soffrire che si nasconde
sotto le foglie o gli alberi caduti, o nelle acque, o sui rami.
Quindi le leggi della biologia sono le lezioni fondamentali della
storia. Noi siamo soggetti ai processi e alle sentenze dell'evolu­
zione, alla lotta per l'esistenza che permette la sopravvivenza solo
dei più adatti a sopravvivere. Se qualcuno di noi sembra sfug­
gire alla lotta e alla selezione è perchè il nostro gruppo ci protegge;
ma quello stesso gruppo deve a sua volta far fronte alle prove
della sopravvivenza.
Sicchè la prima lezione biologica della storia è che la vita è
competizione. La competizione non è solo la vita del commercio,
è il commercio della vita - pacifica quando il cibo abbonda,
12 LE LEZIONI DELLA STORIA

violenta quando le bocche sono più di quante il cibo disponibile


possa sfamare. Gli animali si divorano a vicenda senza scrupolo;
gli uomini civilizzati per le dovute vie legali. La cooperazione è
un fatto reale, e aumenta con lo sviluppo sociale, ma soprattutto
perchè è uno strumento e una forma di competizione; noi coope­
riamo all'interno del nostro gruppo - famiglia, comunità, circolo,
chiesa, partito, "razza" o nazione che sia - per rafforzarlo nella
sua competizione con altri gruppi. I gruppi in competizione hanno
le caratteristiche degli individui in competizione: egoismo, combat­
tività, faziosità, orgoglio. I nostri stati, non essendo altro che la
moltiplicazione di noi stessi, sono come noi: essi scrivono la nostra
natura a caratteri più marcati, e fanno ciò che noi stessi facciamo
nel bene e nel male su scala elefantesca. Noi siamo egoisti, avidi
e combattivi perchè il nostro sangue ricorda i millenni in cui i nostri
antenati dovevano cacciare, combattere e uccidere per sopravvi­
vere, mangiando fino al limite fisiologico nel timore di non potersi
assicurare presto un nuovo banchetto. La guerra è il modo in cui
si ciba una nazione. Essa promuove la collaborazione perchè è la
forma estrema competizione. Finchè i nostri stati non diverranno
membri di una comunità più larga realmente protettiva, continue­
ranno ad agire come individui e famiglie allo stadio della caccia.
La seconda lezione biologica della storia è che la vita è sele­
zione. Nella competizione per il cibo, l'accoppiamento o il potere
alcuni organismi hanno successo ed altri falliscono. Fin dall'inizio
alcuni individui sono meglio equipaggiati di altri per superare le
prove della sopravvivenza. Dal momento che la Natura (intesa qui
come la realtà nel suo complesso e i suoi processi) non ha letto con
molta attenzione la Dichiarazione d'Indipendenza Americana o
la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo della Francia Rivoluzionaria,
noi non siamo nati nè liberi nè uguali: bensl soggetti alla nostra
eredità fisica e psicologica, e ai costumi e alle tradizioni del nostro
gruppo; diversamente dotati in salute e forza, capacità mentali e
qualità del carattere. La Natura ama la differenziazione in quanto
fornisce il materiale necessario per la selezione e l'evoluzione;
gemelli identici differiscono per cento versi, e non esistono due
fagioli uguali.
LA STORIA E LA BIOLOGIA 13

La disuguaglianza non è soltanto naturale e innata; essa


aumenta con la complessità della civiltà. Le disuguaglianze eredi­
tarie alimentano disuguaglianze sociali e artificiali; l'individuo
eccezionale effettua o si impadronisce di ogni nuova scoperta,
che rende cosl il forte più forte e il debole relativamente più debole
di prima. Lo sviluppo economico specializza le funzioni, diffe­
renzia le abilità, e rende gli individui di diverso valore per il loro
gruppo. Se noi conoscessimo a fondo gli uomini potremmo sele­
zionarne un trenta per cento le cui abilità combinate eguaglie­
rebbero quelle di tutti gli altri. Ed è proprio ciò che fanno la vita
e la storia, con sublime ingiustizia che rammenta il Dio di Calvino.
La Natura sorride dell'unione di libertà ed uguaglianza nelle
nostre utopie. Perchè esse sono nemiche giurate ed eterne, quando
uno delle quali prevale, l'altra soccombe. Lasciate gli uomini liberi,
e le loro naturali disuguaglianze si moltiplicheranno quasi geome­
tricamente, come in America e in Europa durante il diciannove­
simo secolo, sotto il regime del "laissez-faire". Per limitare la
crescita della disuguaglianza la libertà dev'essere sacrificata, come
in Russia dopo il 1 91 7 . Ma anche quando è repressa, l'inegua­
glianza cresce: solo chi per capacità economica è sotto la media
desidera l'uguaglianza; chi è consapevole della propria superio­
rità aspira alla libertà; e alla fine trova il modo di spuntarla. Le
utopie dell'uguaglianza sono· biologicamente condannate, e il
meglio che il filosofo filantropo possa augurarsi è un'uguaglianza
approssimativa di giustizia legale e opportunità educative. Una
società in cui si permetta a tutte le potenzialità di svilupparsi e
adempiere la loro funzione avrà un sicuro vantaggio di sopravvi­
venza nella competizione tra gruppi, che tende a diventare sempre
più severa nella misura in cui l'annullamento delle distanze inten­
sifica il confronto tra gli stati.
La terza lezione biologica della storia è che la vita deve proli­
ferare. Alla Natura non servono organismi, specie o gruppi che
non riescano a riprodursi abbondantemente. Ha una passione per
la quantità come prerequisito per la selezione della qualità; le piac­
ciono le grandi covate, e ama la lotta che elegge i pochi destinati
a sopravvivere; senza dubbio guarda con approvazione alla corsa
14 LE LEZIONI DELLA STORIA

controcorrente di migliaia di spermatozoi per fertilizzare un unico


uovo. È interessata più alle specie che agli individui, e fa poca
differenza tra civiltà e barbarie. Non si cura del fatto che un alto
tasso di natalità è accompagnato usualmente da un basso livello
di civiltà, e viceversa; e difatti essa (intendendo qui la Natura
come il processo di nascita, differenziazione, competizione, sele­
zione e sopravvivenza) provvede a che una nazione a basso tasso
di natalità sia periodicamente invasa da qualche gruppo più fertile
e virile. La Gallia sopravvisse contro i Germani ai tempi di Cesare
con l'aiuto delle legioni romane, e delle legioni britanniche e
americane ai nostri. Quando Roma cadde i Franchi vi irruppero
dalla Germania e resero Francia la Gallia; se l'America e l'Inghil­
terra cadessero, la Francia, la cui popolazione è rimasta quasi
stazionaria nel diciannovesimo secolo, potrebbe essere sopraffatta
di nuovo.
Se lo sciame umano è troppo numeroso per le risorse alimen­
tari disponibili, la Natura ha tre mezzi per ristabilire l'equilibrio:
la fame, la pestilenza e la guerra. Nel suo famoso "Saggio sulla
popolazione" (1 7 98) Thomas Malthus spiegò che senza questi
controlli periodici il tasso di natalità sorpasserebbe cosl rapida­
mente quello di morte che il moltiplicarsi delle bocche da sfamare
renderebbe vano qualsiasi incremento nella produzione di cibo.
Benchè fosse uomo di chiesa e di buona volontà, Malthus
evidenziò che l'elargizione di fondi di soccorso o sussidi ai poveri
li incoraggiava a sposarsi presto e procreare improvvidamente,
peggiorando il problema. In una seconda edizione (1 803) egli
propagandò l'astinenza, ma rifiutò di approvare altri metodi di
controllo delle nascite. Nutrendo poca fiducia nell'accettazione
di questo precetto di santità, predisse che l'equilibrio tra le bocche
da sfamare e le risorse alimentari sarebbe stato mantenuto, come
nel passato, dalla fame, dalle pestilenze e dalla guerra.
I progressi nel campo della tecnologia agricola e contraccet­
tiva del ventesimo secolo sembrerebbero aver confutato Malthus:
in Inghilterra, Stati Uniti, Germania e Francia nascite e produ­
zione alimentare vanno di pari passo, e il livello di vita crescente
ha elevato l'età del matrimonio e ridotto il nucleo familiare. Con
LA STORIA E LA BIOLOGIA 15

i consumatori si sono modificati anche i produttori: nuove braccia


hanno dissodato nuove terre per produrre più cibo. Lo spetta­
colo recente del Canada e degli Stati Uniti, in grado di esportare
milioni di staia di grano pur evitando fame e pestilenze all'in­
terno dei propri confini, è parso costituire una risposta vivente
alle profezie di Malthus. Se le attuali tecniche agricole fossero
applicate ovunque, il pianeta potrebbe nutrire il doppio della
popolazione attuale.
Malthus risponderebbe, naturalmente, che questa soluzione
non fa che posporre la catastrofe. C'è un limite alla fertilità del
suolo; ogni progresso nella tecnologia agricola viene presto o tardi
vanificato dall'eccesso delle nascite rispetto alle morti; e nel frat­
tempo la medicina, il miglioramento delle condizioni igieniche
e la carità annullano la selezione, permettendo all'inadatto di
vivere e moltiplicare i propri simili. Al che replica la speranza:
i progressi dell'industria, dell'urbanizzazione, dell'educazione e
del livello di vita, in regioni che ora minacciano il mondo con
la loro prolificità, avranno probabilmente lo stesso effetto che
hanno avuto in Europa e Nord America nel ridurre la natalità.
Finchè non si giungerà all'equilibrio di produzione e riproduzione,
sarà un atto di umanità diffondere la conoscenza e i mezzi della
contraccezione. Idealmente la procreazione dovrebbe essere un
privilegio della salute e non un effetto del turbamento sessuale.
Ci sono prove che il controllo delle nascite sia disgenico -
ossia abbassi il livello intellettuale delle nazioni che lo pratichino?
Probabilmente esso è usato di più dalle persone intelligenti che
dai semplici, sicchè le fatiche degli educatori vengono cancellate
ad ogni generazione dalla fertilità degli ignoranti. Ma gran parte
di ciò che chiamiamo intelligenza è il risultato dell'educazione,
delle opportunità e dell'esperienza dell'individuo; e non ci sono
prove che tali acquisizioni intellettuali vengano trasmesse dai geni.
Anche i figli dei laureati devono essere educati e passare attra­
verso le malattie adolescenziali degli errori, dei dogmi e degli
indottrinamenti; nè siamo in grado di dire quanta abilità e genio
potenziali si nascondano nei cromosomi dei poveri disgraziati.
Biologicamente, la vitalità fisica può essere, alla nascita, di maggior
16 LE LEZIONI DELLA STORIA

valore del lignaggio intellettuale; Nietzsche pensava che il sangue


migliore della Germania scorresse nelle vene dei contadini; i filo­
sofi non sono il materiale più adatto dal quale generare la razza.
Il controllo delle nascite ha giocato un certo ruolo nella storia
della Grecia e di Roma. E' divertente scoprire che Giulio Cesare,
nel 59 a.C., offriva ricompense ai Romani che avessero molti figli,
e proibiva alle donne che ne fossero prive di farsi trasportare in
lettiga o indossare gioielli. Augusto rinnovò questa campagna una
quarantina di anni più tardi, senza esiti migliori. Il controllo delle
nascite continuò a diffondersi nelle classi più alte, mentre masse
di immigranti dal Nord Germanico e dall'Est Greco e Semita
rinsanguavano e alteravano la popolazione dell'Italia. Assai proba­
bilmente questo mutamento etnico ridusse la capacità o la volontà
degli abitanti di resistere all'incompetenza dei governi e agli
attacchi esterni.
Negli Stati Uniti la natalità degli Anglosassoni ha diminuito
il loro potere economico e politico; e la maggiore prolificità delle
famiglie Cattoliche fa supporre che, per il2000, la Chiesa Catto­
lica Romana sarà la forza di governo dominante sia a livello fede­
rale che municipale e nazionale. Un processo analogo contribuisce
a restaurare il Cattolicesimo in Francia, Svizzera e Germania;
le terre di Voltaire, Calvino e Lutero potrebbero tornare presto
nell'ovile papale. Cosl la prolificità, come la guerra, può deter­
minare il destino delle teologie; proprio come la sconfitta dei
Musulmani a Poitiers (732) impedl che in Francia e Spagna la
Bibbia fosse rimpiazzata dal Corano, cosl la superiore organiz­
zazione, disciplina, fedeltà e fertilità dei Cattolici potrebbe cancel­
lare la Riforma Protestante e l'Illuminismo Francese. Non c'è
umorista pari alla storia.
Capitolo IV
La Storia e le Razze

Ci sono circa due miliardi di persone di colore sulla terra,


e più o meno novecento milioni di bianchi. Nondimeno, parecchi
visi pallidi furono incantati quando il Conte Joseph-Arthur de
Gobineau, nel suo "Studio sull'ineguaglianza delle razze umane"
(1 853-55), annunciò che la specie umana è composta da razze
distinte intrinsecamente differenti (come gli individui) per strut­
tura fisica, capacità mentali e qualità del carattere; e che un'unica
razza, l"'Ariana", era per natura superiore a tutte le altre.
«Qualsiasi cosa grande, nobile, o vantaggiosa nelle attività
dell'uomo su questo pianeta, nella scienza, nell'arte e nella civiltà,
deriva da un unico punto di partenza, è lo sviluppo di un unico
germe; ( . .. ) esso appartiene ad una sola famiglia, i cui differenti
rami hanno regnato in tutti i paesi civilizzati dell'universo ( . .. ).
La storia dimostra che tutta la civiltà deriva dalla razza bianca,
che essa non può sussistere senza il suo aiuto, e che una società
è grande e prospera solo finchè conserva il sangue del nobile
gruppo che l'ha creata» 9•
Le condizioni ambientali favorevoli ( argomentava Gobineau)
non possono spiegare il sorgere della civiltà, perché lo stesso tipo
di ambiente ( nella fattispecie, fiumi copiosi che fertilizzano il
suolo) che alimentò le civiltà dell'Egitto e del Vicino Oriente non
ha prodotto civiltà tra gli Indiani nord-americani, sebbene essi
vivessero su un suolo fertile lungo magnifici corsi d'acqua. Nè
la creano le istituzioni, poichè essa è sorta sotto una varietà di
istituzioni addirittura opposte, dall'Egitto monarchico alla "demo-
18 LE LEZIONI DELLA STORIA

crazia" Ateniese. Nascita, successo, declino e caduta di una civiltà


dipendono invece dalle qualità inerenti della razza. La degene­
razione di una civiltà è ciò che la parola stessa indica - un allon­
tanamento dal genere, ossia dalla stirpe, dalla razza. "I popoli
degenerano solo in conseguenza dei rimescolamenti di sangue che
subiscono" 10• Di solito ciò avviene per effetto di matrimoni
misti tra membri della razza vigorosa dei conquistatori ed i conqui­
stati. Di qui la superiorità dei bianchi Statunitensi e Canadesi
(che non si fusero con gli Indiani) rispetto ai bianchi dell'Ame­
rica Latina (che si fusero con essi). Solo coloro che discendono
a loro volta da queste debilitanti mescolanze parlano di ugua­
glianza delle razze o credono che "tutti gli uomini siano
fratelli" 11• Tutti i caratteri e i popoli forti hanno una coscienza
razziale, e sono istintivamente avversi ai matrimoni fuori della
propria cerchia razziale.
Nel1899 Houston Stewart Chamberlain, un Inglese che aveva
fatto della Germania la sua patria, pubblicò "I fondamenti del
diciannovesimo secolo" , dove restringeva la razza creativa dal
ceppo degli Ariani al ramo dei Teutoni: "La vera storia comincia
nel momento in cui il Germano con mano possente raccoglie l'ere­
dità dell'antichità''. Il volto di Dante parve a Chamberlain tipi­
camente Germanico; sosteneva di avvertire inequivocabili accenti
Germanici nell'Epistola di Paolo ai Galati; e benchè non fosse
del tutto certo che Cristo fosse un Germano, confidava che
"chiunque mai sostenga che Cristo era Ebreo o è un ignorante
o un disonesto" 12• Gli scrittori tedeschi erano troppo educati
per contraddire il loro ospite: Treitschke e Bernhardi ammisero
che i Germani erano il più grande dei popoli moderni; Wagner
espresse questa teoria in musica; Alfred Rosenberg fece del sangue
e del suolo Germanico il "mito ispiratore del ventesimo secolo";
e Adolf Hitler, su queste basi, aizzò i tedeschi al massacro di un
intero popolo e a tentare la conquista dell'Europa.
Un americano, Madison Grant, nel "Passaggio della Grande
Razza" (191 6), confinava le conquiste della civiltà a quel ramo
degli Ariani che chiamava "Nordici" - Scandinavi, Sciti,
Germani del Baltico, Inglesi e Americani Anglosassoni. Temprati
LA STORIA E LE RAZZE 19

alla resistenza dagli inverni nordici, l'una o l'altra tribù di queste


"bestie bionde" dai capelli chiari e dagli occhi blu calarono attra­
verso la Russia e i Balcani nel pigro e letargico Sud in una serie
di conquiste che segnarono l'alba della storia scritta. Secondo
Grant i "Saci" (gli Sciti?) invasero l'India, sviluppando il
linguaggio "Indo-Europeo" Sanscrito, e stabilendo il sistema delle
caste per prevenire la fusione degenerativa con le genti locali di
pelle scura. I Cimmeri si riversarono dal Caucaso nella Persia,
i Frigi nell'Asia Minore, Achei e Dori in Grecia e a Creta, Umbri
e Oschi in Italia. Ovunque i Nordici furono avventurieri, guer­
rieri, capi; essi assoggettarono o resero schiavi i popoli "Medi­
terranei" del Sud, emotivi, instabili e indolenti, e si fusero con
le calme e acquiescenti genti "Alpine" per produrre gli Ateniesi
dell'apogeo pericleo e i Romani della Repubblica. I Dori si mesco­
larono meno, e divennero gli Spartani, una casta marziale Nordica
che dominava i "Mediterranei" Iloti. La fusione rese più molle
e debole la stirpe Nordica in Attica, e portò alla sconfitta di Atene
nella Guerra del Peloponneso per opera di Sparta e infine al
soggiogamento della Grecia da parte dei più puri Nordici Mace­
doni e della Roma Repubblicana.
Durante una successiva invasione di Nordici dalla Scandinavia
e dalla Germania del Nord, Goti e Vandali conquistarono la Roma
Imperiale; Angli e Sassoni conquistarono l'Inghilterra e le diedero
il loro nome; lo stesso avvenne alla Gallia coi Franchi. Ancora
più tardi, i Nordici Normanni conquistarono Francia, Inghilterra
e Sicilia. I Nordici Longobardi seguirono le loro lunghe barbe
in Italia, si mescolarono alla popolazione locale, e rivitalizzarono
Milano e Firenze fino alla rinascita del Rinascimento. I Nordici
Variaghi conquistarono la Russia, e la governarono fino al 1917.
I Nordici Inglesi colonizzarono America e Australia, conquista­
rono l'India e stabilirono le loro sentinelle in tutti i principali
porti dell'Asia.
Attualmente (deplorava Grant) la razza Nordica sta perdendo
la sua supremazia. Essa cominciò a vacillare in Francia, nel1789 ;
come Camille Desmoulins ricordò al suo uditorio da caffè, la Rivo­
luzione fu la rivolta dei Galli indigeni (''Alpini") contro i Franchi
20 LE LEZIONI DELLA STORIA

Teutonici che li avevano soggiogati sotto Clodoveo e Carlo Magno.


Le Crociate, la Guerra dei Trent'Anni, le Campagne Napoleoniche,
la Prima Guerra Mondiale hanno spossato e decimato troppo la
stirpe Nordica perchè possa resistere alla più elevata natalità delle
genti Alpine e Mediterranee in Europa e in America. Per l'anno
2000, prediceva Grant, i Nordici avranno definitivamente abdi­
cato al potere, e con la loro caduta la civiltà Occidentale si dissol­
verà in una nuova barbarie che scaturirà ovunque, dall'interno e
dall'esterno. Egli saggiamente concedeva che la ''razza'' Mediter­
ranea, pur fisicamente inferiore ai Nordici e agli Alpini, si fosse
dimostrata superiore nei risultati artistici e intellettuali, e ciò in
virtù della grande fioritura classica Greca e Latina; per quanto essa
potrebbe dovere molto al contributo del sangue Nordico.
Alcune debolezze della teoria delle razze sono ovvie. Uno
studioso cinese ci rammenterebbe che il suo popolo ha creato la
civiltà più durevole della storia - uomini di stato, inventori,
scienziati, filosofi, santi dal 2000 a.C. al nostro tempo. Un Messi­
cane potrebbe additare le grandiose architetture delle culture
precolombiane, Maya, Azteche e Inca. Un Indiano, pur ricono­
scendo l'infiltrazione "Ariana" nell'India del Nord più o meno
seicento anni prima di Cristo, ci ricorderebbe che i popoli Dravi­
dici neri dell'India del Sud produssero da sè grandi architetti e
poeti; i templi di Madras, Madura e Trichinopoli sono tra gli
edifici più impressionanti della terra. E ancora più stupefacenti
sono i templi turriti Khmer di Angkor. La storia è cieca ai colori,
e può sviluppare civiltà, in ambienti favorevoli, praticamente di
qualsiasi pelle.
Difficoltà rimangono anche se si applica la teoria limitata­
mente alle razze bianche. I Semiti richiamerebbero le civiltà di
Babilonia, Assiria, Siria, Palestina, Fenicia, Cartagine, e l'Islam.
Gli Ebrei hanno dato la Bibbia alla Cristianità in Europa e gran
parte del Corano a Maometto. I Maomettani potrebbero elen­
care i governatori, gli artisti, i poeti, gli scienziati e i filosofi che
conquistarono e adornarono una porzione sostanziale del mondo
dell'uomo bianco, da Baghdad a Cordova, mentre l'Europa Occi­
dentale brancolava negli anni bui (565-1 09 5 ca.).
LA STORIA E LE RAZZE 21

Le antiche culture di Egitto, Grecia e Roma furono eviden­


temente il prodotto di opportunità geografiche e sviluppi poli­
tici ed economici piuttosto che della costituzione razziale, e gran
parte della loro civiltà è di origine Orientale. La Grecia apprese
le sue arti e le sue lettere dall'Asia Minore, da Creta, dalla Fenicia
e dall'Egitto. Nel secondo millennio a.C. la cultura Greca era
"Micenea", in parte derivata da Creta, che l'aveva a sua volta
appresa dall'Asia Minore. Quando i "Nordici" Dori scesero per
i Balcani, intorno al 1100 a.C., distrussero gran parte di questa
cultura proto-Greca; e solo dopo un intervallo di parecchi secoli
la civiltà Greca storica emerse nella Sparta di "Licurgo", la Mileto
di Talete, la Efeso di Eraclito, la Lesbo di Saffo, l'Atene di
Salone. Dal sesto secolo a.C. in poi i Greci diffusero la loro cultura
lungo le coste Mediterranee a Durazzo, Taranto, Crotone, Reggio
Calabria, Siracusa, Napoli, Nizza, Monaco, Marsiglia, Malaga.
Dalle città greche dell'Italia meridionale, e dalla cultura, proba­
bilmente di origine Asiatica, dell'Etruria, venne la civiltà dell'an­
tica Roma; da Roma venne la civiltà dell'Europa Occidentale;
dall'Europa Occidentale quelle del Nord e del Sud America. A
partire dal terzo secolo della nostra era varie tribù Celtiche, Teuto­
niche o Asiatiche devastarono l'Italia distruggendo le culture clas­
siche. Il Sud crea le civiltà, il Nord le conquista, le getta in rovina,
le prende a prestito, le diffonde: questo è un riassunto della storia.
Tentativi di mettere in relazione la civiltà alla razza misu­
rando il rapporto dell'intelligenza con la forma o la capacità del
cranio hanno gettato poca luce sul problema. Se i neri africani
non hanno generato grandi civiltà è probabilmente perchè le
condizioni geografiche e climatiche lo hanno impedito; avrebbe
fatto di meglio una ''razza'' bianca al posto loro? Si pensi a quanti
neri d'America siano ascesi ai vertici delle professioni, delle arti
e delle lettere negli ultimi cent'anni a dispetto di tanti ostacoli
sociali.
Il ruolo della razza nella civiltà è preliminare più che crea­
tivo. Varie stirpi, stabilendosi in una regione da diverse direzioni
e in diversi periodi, mescolano il loro sangue, le loro tradizioni
ed abitudini le une con le altre o con la popolazione locale, come
22 LE LEZIONI DELLA STORIA

due diversi codici genetici nella riproduzione sessuale. Una mesco­


lanza etnica di questo genere può produrre nel corso dei secoli
un nuovo tipo, finanche un nuovo popolo; così Celti, Romani,
Angli, Sassoni, Juti, Danesi e Normanni si fusero originando gli
Inglesi. Quando il nuovo tipo prende forma, le sue espressioni
culturali sono uniche, e costituiscono una nuova civiltà - fisio­
nomia, carattere, linguaggio, letteratura, religione, morale, arte
nuovi. Non è la razza che fa la civiltà, ma la civiltà che fa il popolo:
circostanze geografiche, economiche e politiche creano una
cultura, e la cultura crea un tipo umano. L'Inglese non fa la civiltà
Inglese quanto essa fa lui: se egli la porta con sè ovunque vada,
e se veste per il pranzo a Timbuktu, ciò non significa che sta
ricreando daccapo la sua civiltà, ma che riconosce anche là il
dominio di essa sulla sua anima. Nel lungo periodo simili diffe­
renze di tradizione o di tipo cedono all'influenza dell'ambiente.
Dopo aver vissuto per alcune generazioni ai tropici, i nordici assu­
mono le caratteristiche dei popoli meridionali, e i nipoti degli
immigrati dall'indolente Sud si conformano alla maggiore rapi­
dità di pensiero e movimento che trovano al Nord.
Da questo punto di vista, la civiltà Americana è ancora allo
stadio del crogiolo razziale. Tra il 1700 e il 18 48 gli Americani
bianchi a Nord della Florida erano prevalentemente Anglosas­
soni, e la loro letteratura era un germoglio della Vecchia Inghil­
terra trapiantato sul suolo della Nuova Inghilterra. Dopo il 18 48
le porte dell'America vennero spalancate a tutte le razze bianche;
iniziò una nuova fusione razziale che necessiterà di secoli per
completarsi. Quando, da questa mescolanza, si sarà formato un
nuovo tipo omogeneo, l'America avrà il proprio linguaggio, diffe­
rente dall'Inglese come lo Spagnolo dall'Italiano, la sua lettera­
tura autonoma, le sue arti caratteristiche; in vari campi questo
processo è già più o meno palesemente avviato.
Le antipatie ''razziali'' hanno qualche radice nell'origine
etnica, ma sono anche generate, forse in misura predominante,
dalle differenze culturali acquisite - di linguaggio, modo di
vestire, abitudini, morale o religione. Non c'è rimedio a queste
antipatie se non un'educazione vasta e aperta. La conoscenza della
LA STORIA E LE RAZZE 23

storia può insegnarci che la civiltà è un prodotto della collabora­


zione, e praticamente tutti i popoli vi hanno contribuito; essa
è la nostra eredità e il nostro debito comune; e lo spirito civile
si rivelerà nel trattare ogni uomo o donna, per quanto umile, come
rappresentante di uno di questi gruppi creativi che ne sono parte­
cipi.
Capitolo V
La Storia e il Carattere

La società è fondata non sugli ideali ma sulla natura dell'uomo,


e la costituzione dell'uomo riscrive le costituzioni degli stati. Ma
qual'è la costituzione dell'uomo?
Si può definire la natura umana come l'insieme delle tendenze
e dei sentimenti fondamentali dell' umanità. Chiameremo le
tendenze più elementari istinti, pur ammettendo che sono stati
gettati molti dubbi sulla loro origine innata. Cercheremo di descri­
vere la natura umana con la "Tavola degli elementi del carat­
tere" riportata nella pagina precedente. In questa analisi gli esseri
umani sono normalmente dotati "per natura" (cioè, qui, per via
ereditaria) di sei istinti positivi e sei negativi, la cui funzione è
preservare l' individuo, la famiglia, il gruppo, o la specie. Nelle
personalit à positive predominano le tendenze positive, ma la
maggior parte degli individui è dotata di entrambi gli insiemi di
istinti - per accogliere o evitare, a seconda dell'umore o delle
circostanze, le sfide o le opportunità basilari della vita. Ciascun
istinto genera abitudini ed è accompagnato da sentimenti . Questo
complesso di istinti, abitudini e sentimenti è la natura dell'uomo.
Ma in che misura è cambiata la natura umana nel corso della
storia? In teoria qualche mutamento dovrebbe essersi verificato:
la selezione naturale ha presumibilmente operato tanto sulle varia­
bili fisiche che su quelle psichiche. Nondimeno, la storia che cono­
sciamo mostra poca differenza nella condotta dell'umanità. I Greci
del tempo di Platone si comportavano in modo molto simile ai
Francesi moderni; e i Romani alla maniera degli Inglesi. Mezzi
e strumenti cambiano; motivi e fini restano gli stessi: agire o ripo-
26 L E LEZIONI DELLA STORIA

sare, prendere o dare, combattere o fuggire, socializzare o isolarsi,


accoppiarsi o negarsi, offrire o risentirsi delle cure parentali. Nè
la natura umana muta in base alla classe sociale: il povero ha grosso
modo gli stessi impulsi del ricco, soltanto con minori opportu­
nità o capacità di soddisfarli. Niente si mostra con maggiore
evidenza nella storia dell'adozione da parte di ribelli vittoriosi
di quei metodi che solevano condannare nelle forze che hanno
scalzato.
L'evoluzione dell'uomo in età storica è stata sociale piuttosto
che biologica: essa è proseguita non per mezzo di variazioni eredi­
tarie nelle specie, ma soprattutto di innovazioni economiche, poli­
tiche, intellettuali e morali trasmesse agli individui e alle genera­
zioni per imitazione, consuetudine o educazione. Consuetudini
e tradizioni all'interno di un gruppo corrispondono a tipo ed
eredità nelle specie, e agli istinti negli individui; esse sono solu­
zioni preconfezionate per situazioni tipiche e frequentemente ripe­
tute . Prima o poi, comunque, si verificano situazioni nuove, che
richiedono nuove risposte non stereotipate; pertanto lo sviluppo,
negli organismi più complessi, richiede capacità di sperimenta­
zione e innovazione - i corrispondenti sociali della variazione
e della mutazione. L'evoluzione sociale è interazione di consue­
tudine e innovazione.
Qui l'individuo dotato di iniziativa - il "grand'uomo" ,
l"'eroe" , il "genio" - riacquista il suo posto come forza crea­
tiva della storia. Egli non è affatto quella sorta di divinità che
descriveva Carlyle; egli è plasmato dal tempo e dalle terre su cui
cresce, ed è il prodotto e il simbolo degli eventi non meno che
loro motore e voce; senza una situazione che richiedesse risposte
nuove le sue nuove idee sarebbe state intempestive e impratica­
bili. Quando è un uomo d' azione, le esigenze della sua posizione
e l'esaltazione della crisi lo innalzano a dignità e poteri che in
tempi normali sarebbero rimaste solo potenziali. Ma egli non è
un mero effetto. Gli eventi hanno luogo per causa sua come
intorno a lui; le sue idee e decisioni entrano in modo vitale nel
corso della storia. A volte la sua eloquenza, come nel caso di Chur­
chill, può valere mille reggimenti; la sua lungimiranza tattica e
LA STORIA E IL CARATTERE 27
----------------���.

strategica, come per Napoleone, può far vincere battaglie e


campagne, e cambiare la fisionomia degli stati. Se è un profeta
come Maometto, esperto nell'arte di ispirare gli uomini, le sue
parole possono sollevare un popolo povero e sfortunato ad ambi­
zioni imprevedibili e a una potenza sorprendente. Un Pasteur,
un Morse, un Ford, un Wright , un Marx , un Lenin, un Mao Tse­
Tung sono effetti di cause innumerevoli, e cause di effetti senza
fine.
Nella nostra tavola degli elementi del carattere l'imitazione
è opposta all'innovazione, ma in molti modi vitali coopera con
essa. Come le nature sottomesse si uniscono a individui domi­
nanti a vantaggio dell' ordine e dell'efficienza della società, così
la maggioranza degli imitatori segue la minoranza degli innova­
tori, e questa segue l' individuo creativo nell'adattare nuove
risposte alle richieste dell' ambiente o della sopravvivenza. La
storia in gençrale è un conflitto di minoranze: la maggioranza
applaude il vincitore e fornisce il materiale umano dell' esperi­
mento sociale ...
L'intelletto è quindi una forza vitale della storia, ma può anche
essere un potere dissolutorio e distruttivo . Su un centinaio di idee
nuove, novantanove o più saranno probabilmente inferiori alle
risposte tradizionali che si propongono di rimpiazzare. Nessun
uomo, per quanto brillante e istruito, può raggiungere nel corso
di una vita tale piena comprensione da giudicare con sicurezza
e respingere i costumi o le istituzioni della sua società, perchè
essi rappresentano la saggezza di generazioni dopo secoli di espe­
rimenti nel laboratorio della storia. Un giovane ribollente di
ormoni si chiederà stupito perchè non dovrebbe dare libero sfogo
ai suoi desideri sessuali; e se non fosse tenuto sotto controllo dai
costumi, dalla morale o dalle leggi, potrebbe rovinare la sua vita
·
prima di essere maturato abbastanza da comprendere che il sesso
è un fiume di fuoco che deve essere arginato e temperato da cento
restrizioni perchè non precipiti nel caos sia l'individuo che il suo
gruppo.
Pertanto il conservatore che si oppone al cambiamento è utile
come il radicale che lo propone - forse ancor più utile, come
28 LE LEZIONI DELLA STORIA

le radici sono più vitali dei rami. E ' bene che le nuove idee
vengano ascoltate, in virtù delle poche che si potranno applicare;
ma è altrettanto bene che siano costrette a passare attraverso la
macina delle obiezioni, dell'opposizione e dell'ingiuria; questa è
la prova del fuoco che le innovazioni devono superare prima che
sia loro concesso di entrare nella vita della razza umana. E ' bene
che i vecchi oppongano resistenza ai giovani, e che i giovani spro­
nino i vecchi; da questa tensione, come dal conflitto dei sessi e
delle classi, proviene una duttile forza creativa, uno stimolo allo
sviluppo, una segreta e fondamentale unità dinamica del tutto.
Capitolo VI
La Storia e la Morale

La morale è l'insieme delle regole per mezzo delle quali una


società esorta (contrapposte alle leggi, per mezzo delle quali cerca
di costringere) i suoi membri e i suoi gruppi ad un comportamento
compatibile con l'ordine, la sicurezza e la crescita interni. Così
per sedici secoli le comunità Ebree entro i confini della Cristia­
nità mantennero la loro coesione e la loro pace interna in virtù
di uno stretto e dettagliato codice morale, pressochè senza aiuto
da parte dello stato e delle sue leggi.
Una scarsa conoscenza della storia sottolinea la relatività dei
codici morali, e conclude che essi non hanno valore perchè variano
nel tempo e nello spazio e talvolta si contraddicono a vicenda.
Una conoscenza più profonda sottolinea l'universalità dei codici
morali, e ne conclude la necessità.
I codici morali differiscono perchè si adattano alle condizioni
storiche e ambientali. Se dividiamo la storia economica in tre fasi
- caccia, agricoltura e industria - possiamo aspettarci che il
codice morale dell'una cambi nella successiva. Nella fase della
caccia un uomo doveva essere pronto a inseguire, combattere e
uccidere. Catturata la preda si ingozzava il più possibile, non
sapendo quando avrebbe potuto mangiare di nuovo; l'insicurezza
è la madre dell'avidità, come la crudeltà è il ricordo, sia pure solo
nel sangue, di un tempo in cui la prova decisiva della sopravvi­
venza era l' abilità di uccidere, come lo è ora tra gli stati . Presu­
mibilmente la mortalità tra gli uomini - che rischiavano così
spesso le loro vite nella caccia - era più alta che tra le donne;
alcuni dovettero prendere con sè diverse donne, e da ognuno ci
30 LE LEZIONI DELLA STORIA

si aspettava che procurasse loro frequénti gravidanze. Aggressi­


vità, brutalità, avidità e potenza sessuale erano vantaggi nella lotta
per l'esistenza. Probabilmente ogni vizio è stato un tempo una
virtù - cioè una qualità favorevole alla sopravvivenza dell'indi­
viduo, della famiglia, o del gruppo. I peccati dell'uomo potreb­
bero essere le vestigia della sua ascesa piuttosto che le stimmate
della sua caduta.
La storia non ci dice esattamente quando l'uomo passò dalla
caccia all' agricoltura - forse durante il Neolitico, con la scoperta
che i cereali si potevano seminare per aumentarne la crescita spon­
tanea. Si può ragionevolmente ipotizzare che il nuovo regime di
vita richiedesse nuove virtù, e trasformasse alcune antiche virtù
in vizi. L'operosità divenne più importante del coraggio, la rego­
larità di vita e la parsimonia più vantaggiose della violenza, la
pace più foriera di vittorie della guerra. I figli divennero investi­
menti economici; il controllo delle nascite immorale. Nella vita
rurale la famiglia era l'unità produttiva sotto la disciplina del padre
e delle stagioni, e l' autorità paterna aveva una solida base econo­
mica. Ogni figlio normale maturava presto mentalmente ed econo­
micamente; a quindici anni conosceva le necessità concrete della
vita come a quaranta; tutto ciò di cui aveva bisogno era della terra,
un aratro, e un braccio volenteroso . Sicchè si sposava precoce­
mente, quasi quanto desidererebbe la natura; non mordeva il freno
a lungo sotto i vincoli imposti alle relazioni prematrimoniali dal
nuovo ordine degli insediamenti permanenti. Infatti per le giovani
donne la castità era indispensabile: perdendola avrebbero potuto
generare figli privi di ogni protezione. La monogamia fu resa
necessaria dall ' approssimativa uguaglianza numerica dei sessi. Per
1500 anni questo codice morale rurale di continenza, matrimonio
precoce, monogamia senza divorzio e maternità numerose si
conservò intatto nell'Europa Cristiana e nelle sue colonie . Era
un codice severo, che forgiò alcuni dei caratteri più forti della
storia.
Gradualmente, quindi rapidamente e in modo sempre più
esteso, la Rivoluzione Industriale cambiò la struttura economi­
ca e la sovrastruttura morale della vita Europea e Americana.
LA STORIA E LA MoRALE 31

Uomini, donne e bambini lasciarono l'autorità e l'unità della casa


famigliare per lavorare come individui, pagati individualmente,
in fabbriche costruite per ospitare non uomini ma macchine. Ad
ogni decade le macchine si moltiplicavano e diventavano più
complesse; la maturità economica, cioè la capacità di sostentare
una famiglia, giunse più tardi; i bambini non furono più un inve­
stimento economico; il matrimonio fu differito; la continenza
prematrimoniale divenne più difficile da mantenere. La città
scoraggiava in ogni modo il matrimonio, mentre offriva ogni
stimolo e facilitazione al sesso. Le donne "si emanciparono" -
cioè, entrarono nei processi produttivi industriali; e i contrac­
cettivi permisero loro di separare i rapporti dalle gravidanze.
L'autorità dei genitori perse la sua base economica a causa dell'in­
dividualismo crescente stimolato dall'industria. La gioventù
ribelle non fu più tenuta a freno dalla sorveglianza della comu­
nità del villaggio; poteva nascondere i propri peccati nel protet­
tivo anonimato della folla cittadina. Il progresso scientifico
innalzò l' autorità della provetta su quella della pastorale; la
meccanizzazione della produzione economica suggerì filosofie
materialistiche e meccanicistiche; l'istruzione diffuse dubbi reli­
giosi; la morale perse sempre di più i suoi sostegni soprannatu­
rali. Il vecchio codice rurale cominciava a soccombere.
Ai nostri tempi, come ai tempi di Socrate (morto nel 399 a.C.)
e Augusto (morto nel 14 d.C . ) , la guerra si è aggiunta alle forze
che premono verso il rilassamento morale . Dopo la violenza e
la disgregazione sociale della Guerra Peloponnesiaca, Alcibiade
si sentiva libero di disprezzare il codice morale dei suoi avi, e
Trasimaco poteva annunciare che la forza era il solo diritto. Dopo
le guerre tra Mario e Silla, Cesare e Pompeo, Antonio e Otta­
viano, "Roma era piena di uomini che avevano perso la loro posi­
zione economica e la loro saldezza morale: soldati che avevano
gustato l' avventura e avevano imparato ad uccidere; cittadini
che avevano visto i loro risparmi vanificati dalle tasse e dall'in­
flazione causate dalla guerra; (. . . ) le donne si inebriavano di
libertà, moltiplicando divorzi, aborti, adulteri ( . . . ) . Una raffina­
tezza superficiale si vantava del proprio cinico pessimismo" 13•
32 LE LEZIONI DELLA -=S�T=Oo.=:RI=A
____
_____ _

Sembra quasi una descrizione delle città Europee e Americane


dopo le due guerre mondiali.
La storia offre qualche consolazione ricordandoci che il peccato
è prosperato in ogni età. Neppure la nostra generazione è ancora
riuscita ad emulare la popolarità dell'omosessualità nell'antica
Grecia, a Roma o durante il Rinascimento Italiano. "Gli umanisti
scrivevano a questo proposito con una sorta di passione erudita,
e Ariosto riteneva che vi fossero tutti dediti" ; Aretino domandò
al Duca di Mantova di mandargli un giovane attraente 14• La
prostituzione è universale ed eterna, dai bordelli gestiti dallo stato
dell'Assiria ai "night-club" delle città Europee e Americane
odierne. Nell'Università di Wittenberg, nel 1544, secondo Lutero
"le ragazze diventano ogni giorno più sfacciate, e corrono dietro
ai compagni nelle loro stanze, nelle loro camere da letto e ovunque
possono, offrendo liberamente il loro amore" 15• Montaigne
racconta che ai suoi tempi ( 1 533-92) la letteratura oscena trovava
un ampio mercato 16; l 'immoralità della nostra epoca differisce
più nel tipo che nel grado da quella dell'Inghilterra della Restau­
razione; e· le ' 'Memorie di una donna di piacere' ' di John Cleland
- una vera e propria catena di coiti - erano popolari nel 1749
come lo sono nel 1 965 17• Sono stati scoperti dei dadi negli scavi
attorno a Ninive: uomini e donne hanno giocato d'azzardo in ogni
epoca . In ogni epoca ci sono stati uomini disonesti e governi
corrotti; in generale, probabilmente ora meno di un tempo. I libelli
letterari del sedicesimo secolo, in Europa , "denunciavano e lamen­
tavano l'adulterazione all'ingrosso di cibo e altri prodotti" 18•
L'uomo non si è mai riconciliato coi Dieci Comandamenti.
Voltaire considerava la storia principalmente come "una colle­
zione di crimini, follie e disgrazie " dell'umanità 19, e Gibbon
faceva eco a quel conciso riassunto. 20
Dobbiamo di nuovo rammentarci che la storia com'è usual­
mente narrata ("peccavimus") è alquanto differente dalla storia
com'è usualmente vissuta : lo storico registra ciò che è eccezio­
nale perchè è interessante - perchè, appunto, è eccezionale . Se
tutte quelle persone che non ebbero un Boswell a ricordarle aves­
sero trovato posto nelle pagine degli storici in proporzione al loro
LA SToRIA E LA MoRALE
�-� ��---�� --- ----
33

numero, avremmo una visione più opaca ma più equa del passato
dell 'uomo . Dietro la facciata vistosa della guerra e della politica,
della sventura e della povertà, dell' adulterio e del divorzio, dell'o­
micidio e del suicidio, ci furono milioni di case ordinarie, matri­
moni fedeli, uomini e donne gentili e amorevoli, timorati e felici
coi loro bambini . Anche nella storia scritta troviamo tanti esempi
di bontà, persino di nobiltà, da farci perdonare, benchè non
dimenticare, i peccati . I doni della carità hanno quasi uguagliato
le crudeltà dei campi di battaglia e delle prigioni. Quante volte,
persino nei nostri lacunosi resoconti, abbiamo visto uomini
aiutarsi l'un l' altro - Farinelli provvedere ai figli di Domenico
Scarlatti, in molti soccorrere il giovane Haydn, il Conte Litta
pagare gli studi di J ohann Christian Bach a Bologna, Joseph Black
anticipare ripetutamente denaro a JamesWatt, Puchberg conti­
nuare a prestarne pazientemente a Mozart. Chi avrà il coraggio
di scrivere una storia della bontà umana?
Cosl non possiamo essere certi che il rilassamento morale dei
nostri tempi annunci la decadenza piuttosto di una dolorosa o
piacevole transizione da un codice morale che ha perso le sue basi
rurali ad un altro che la nostra civiltà industriale deve ancora
foggiare in normalità dell'ordine sociale. Nel frattempo la storia
ci assicura che le civiltà decadono senza alcuna fretta. Nei 250
anni che seguirono l'infiacchimento morale iniziato in Grecia dai
Sofisti, la civiltà Ellenica continuò a produrre capolavori arti­
stici e letterari. La moralità Romana cominciò a "decadere" poco
dopo l' immigrazione dalla Grecia conquistata ( 146 a . C . ) , ma
Roma continuò ad avere grandi uomini di stato, filosofi, poeti,
e artisti fino alla morte di Marco Aurelio ( 1 80 d . C . ) . Raggiunse
l'apogeo della potenza politica all' avvento di Cesare (60 a.C . ) ;
pure, non fu sopraffatta dai barbari fino al 4 6 5 d.C . Possa la
nostra decadenza durare a lungo come quella della Roma Impe­
riale!
Forse la disciplina sarà restaurata nella nostra civiltà dall'ad­
destramento militare imposto dalle minacce di guerra. La libertà
della parte varia con la sicurezza del tutto; l'individualismo dimi­
nuirà in America e Inghilterra al venir meno della protezione
34 L E LEZIONI DELLA STORIA

geografica . La licenza sessuale si può curare attraverso i suoi stessi


eccessi; i nostri bambini, privi di ogni punto di riferimento,
potrebbero vivere per veder tornare di moda l'ordine e il pudore;
l'abbigliamento sembrerà più eccitante della nudità. Per intanto
molta della nostra libertà morale è buona : è piacevole essere
affrancati dai terrori teologici, godere senza rimorso dei piaceri
che non danneggiano noi stessi nè gli altri, e assaporare la
fragranza dell'aria aperta sul nostro corpo liberato.
Capitolo VII
La Storia e la Religione

Anche lo storico più scettico sviluppa un umile rispetto per


la religione, dal momento che che la vede funzionare, apparen­
temente senza eccezione, in ogni terra e età. Agli infelici, ai soffe­
renti, a chi piange un lutto, ai vecchi essa ha portato il conforto
soprannaturale, stimato da milioni di anime più prezioso di ogni
soccorso naturale . Ha aiutato genitori e maestri a formare la
gioventù. Ha conferito significato e dignità alle esistenze più
umili, e coi suoi sacramenti ha contribuito alla stabilità trasfor­
mando solenni convenzioni umane in solenni patti con Dio. Ha
trattenuto il povero (disse Napoleone) dall'uccidere il ricco. Infatti
dal momento che la naturale diseguaglianza tra gli uomini
condanna molti di noi alla povertà o al fallimento, una speranza
soprannaturale può essere la sola alternativa alla disperazione .
Distruggete quella speranza, e la guerra di classe si intensificherà .
Paradiso e Utopia sono come i secchi opposti di un pozzo: quando
uno scende l'altro sale; quando la religione declina il Comunismo
guadagna terreno.
La religione non sembra inizialmente avere alcuna connessione
con la morale. In apparenza (perchè stiamo solo tirando a indovi­
nare, o facendo eco a Petronio, che faceva a sua volta eco a Lucrezio)
"è stata la paura a creare gli dei" 21 ___.: paura di forze nascoste
nella terra, nei fiumi, nei mari, negli alberi, nei venti, nel cielo .
La religione divenne l'adorazione propiziatoria di queste forze
con offerte, sacrifici, incantesimi e preghiere. Solo allorchè i
sacerdoti sfruttarono paure e rituali per sostenere la legge e la
morale la religione divenne una forza vitale in grado di compe-
36 L E LEZIONI DELLA STORIA
-- - - - - - - - - - -----�

tere con lo stato. Essa affermò che il codice morale e le leggi locali
erano stati dettati dagli dei. Immaginò che il dio Thoth avesse
donato le leggi a Menes in Egitto, Shamash l'omonimo codice
ad Hammurabi per Babilonia , Javeh i Dieci Comandamenti a
Mosè per gli Ebrei, e la divina ninfa Egeria a Numa Pompilio
per Roma . Culti pagani e Cristiani proclamarono che i governa­
tori della terra erano designati e protetti dagli dei. Grati, quasi
tutti gli stati condivisero terre ed entrate con i sacerdoti.
Alcuni scettici hanno dubitato che la religione abbia mai
promosso la moralità, dal momento che l'immoralità è prospe­
rata anche in età dominate dalla religione. Certamente sensua­
lità, ubriachezza , volgarità, avidità, disonestà, furto e violenza
esistevano nel Medioevo; ma probabilmente il disordine morale
generato da mezzo millennio di invasioni barbariche, guerre, deva­
stazione economica , disorganizzazione politica, sarebbe stato
ancor peggiore senza gli effetti moderatori dell'etica Cristiana,
le esortazioni dei sacerdoti, gli esempi di santità e un rituale unifi­
cante, rappacificante . La Chiesa Cattolica Romana si adoperò per
limitare la schiavitù, lo sfruttamento feudale e gli attriti nazio­
nali, per dilatare i periodi di tregua e di pace, e per soppiantare
i processi decisi da duelli e ordalie coi giudizi di corti stabilite.
Mitigò le pene inflitte dalle leggi Romane e barbare, ed estese
enormemente la portata e l'organizzazione della carità .
Sebbene la Chiesa servisse lo stato, essa s i proclamava a l di
sopra di tutti gli stati, come la morale dovrebbe essere superiore
al potere. Insegnò agli uomini che il patriottismo non frenato da
una lealtà più elevata può essere strumento di rapacità e di crimine.
Su tutti i governi rivali della Cristianità promulgò un'unica legge
morale . Rivendicando la propria origine divina ed egemonia spiri­
tuale, la Chiesa si propose come una corte internazionale nei
confronti della quale tutti i governanti dovessero essere moralmente
resl? onsabili. L'Imperatore Enrico IV riconobbe questo diritto
sottomettendosi a Papa Gregorio VII a Canossa ( 1 077); e un secolo
dopo Innocenza III innalzò l'autorità e il prestigio della Chiesa
a tali altezze che sembrò che l'ideale vagheggiato da Gregorio di
uno stato morale sovranazionale fosse giunto a compimento.
LA STORIA E LA RELIGIONE ___
37

Questo sogno maestoso crollò sotto l'attacco del nazionalismo,


dello scetticismo e della fragilità umana . La chiesa era fatta di
uomini, che spesso si dimostrarono faziosi, venali o oppressivi.
La Francia crebbe in potere e ricchezza, e fece del papato il suo
strumento politico. I re divennero abbastanza forti da costrin­
gere un papa a sciogliere quell'ordine Gesuitico che cosi devota­
mente aveva servito i papi. La Chiesa si abbassò alla frode
(leggende pie, false reliquie, dubbi miracoli) ; per secoli appro­
fittò di una mitica "Donazione di Costantino" che avrebbe
trasmesso l'Europa Occidentale a Silvestro I, papa dal 3 14 al 335,
e dei "Falsi Decreti" (842 circa), una serie di documenti contraf­
fatti che assicuravano una sacra vetustà all'onnipotenza papale .
La gerarchia spese sempre più le proprie energie riel promuovere
l'ortodossia piuttosto che la moralità, e l'Inquisizione quasi fatal­
mente precipitò la Chiesa nell'ignominia . Proprio mentre pregava
per la pace, la Chiesa fomentava guerre religiose nella Francia
del sedicesimo secolo e la Guerra dei Trent'Anni nella Germania
del diciassettesimo. Essa giocò solo un ruolo secondario nel
progresso saliente della morale moderna - l'abolizione della schia­
vitù. Lasciò assumere ai filosofi la testa dei movimenti umani­
tari che hanno alleviato i mali del nostro tempo.
La storia ha giustificato la Chiesa nel ritenere che le masse
dell'umanità desiderino una religione ricca di miracoli, mistero
e mito. Sono state concesse alcune modifiche minori nel rituale,
nel costume ecclesiastico e nell'autorità episcopale; ma la Chiesa
non osa alterare le dottrine di cui la ragione sorride, perchè
cambiamenti del genere offenderebbero e deluderebbero milioni
di persone le cui speranze sono state legate a entusiasmanti conso­
lazioni immaginarie . Nessuna riconciliazione è possibile tra reli­
gione e filosofia se non attraverso l'ammissione da parte dei filo­
sofi che non si è saputo trovare un surrogato alla funzione morale
svolta dalla Chiesa, e il riconoscimento ecclesiastico della libertà
di credo e di pensiero .
La storia offre sostegni alla fede in Dio? Se per Dio non inten­
diamo la vitalità creativa della natura ma un essere supremo intel­
ligente e benevolo, la risposta dev'essere, sia pure con riluttanza,
38 L E LEZIONI DELLA STORIA

negativa . Come le altre sezioni della biologia, la storia resta in


fondo la selezione naturale degli individui e dei gruppi più adatti
ad una lotta nella quale la bontà non riceve trattamenti di favore,
le sventure abbondano e la prova decisiva resta la capacità di
sopravvivenza . Aggiungete ai crimini, alle guerre e alle crudeltà
dell'uomo i terremoti, le tempeste, i tornado, le pestilenze, i mare­
moti e altri "atti divini" che periodicamente devastano la vita
umana e animale, e l 'evidenza complessiva suggerirà un fa talità
cieca o imparziale, con incidentali e apparentemente casuali
episodi ai quali soggettivamente attribuiamo ordine, splendore,
bellezza o sublimità. Se la storia suffragasse una qualche teologia
sarebbe un dualismo come quello Zoroastriano o Manicheo: uno
spirito buono ed uno malvagio che combattono per il controllo
dell'universo e dell'animo umano . Queste fedi e il Cristianesimo
(che è essenzialmente Manicheo) assicurano ai loro seguaci che
lo spirito buono finirà col vincere; ma di questo esito la storia
non offre garanzie. Natura e Storia non concordano con le nostre
concezioni del bene e del male; esse definiscono buono ciò che
sopravvive, e cattivo ciò che soccombe; e l'universo non ha pregiu­
dizi a favore di Cristo nè contro Genghis Khan.
La crescente consapevolezza del posto minuscolo occupato
dall' uomo nel cosmo ha minato ulteriormente il credo religioso.
Nella Cristianità possiamo datare l'inizio del declino con Coper­
nico ( 15 4 3 ) . Il processo è stato lento, ma nel 1 6 1 1 John Donne
lamentava che la terra fosse diventata un mero "sobborgo" del
mondo, e che ' 'la nuova filosofia mettesse in dubbio ogni cosa ' ' ;
e Francis Bacon, pur facendo occasionalmente mostra di rispetto
ai vescovi, andava esaltando la scienza come la religione del
moderno uomo emancipato. Durante quella generazione cominciò
la "morte di Dio" come divinità estrinseca .
Un cosl grande effetto ha richiesto molte cause oltre alla diffu­
sione della scienza e della conoscenza storica. Anzitutto la Riforma
Protestante, che fin dall'inizio difese il giudizio personale. Poi
la moltitudine di sette e teologie conflittuali all'interno del Prote­
stantesimo, ciascuna delle quali si appellava sia alle Scritture che
alla ragione. Poi il criticismo della B ibbia , che mostrava quella
LA STORIA E LA RELIGIONE 39

meravigliosa raccolta di testi come il lavoro imperfetto di uomini


fallibili. Poi il movimento teista in Inghilterra, che riduceva la
religione ad una vaga fede in un Dio difficilmente distinguibile
dalla natura. Poi lo studio crescente delle altre religioni, i cui miti,
svariati dei quali pre-cristiani, erano penosamente simili alle
presunte basi concrete della fede tramandata . Poi lo smaschera­
mento dei miracoli Cattolici, l' esposizione teistica dei miracoli
Biblici, lo smascheramento generale delle frodi, delle inquisizioni
e dei massacri nella storia della religione . Inoltre la sostituzione
dell'agricoltura - che aveva ispirato agli uomini la fede con lo
spettacolo della rinascita annuale della vita e del mistero della
crescita - con l'industria, che mormora giornalmente una litania
meccanica, e suggerisce l'idea di un mondo meccanico . Si
aggiunga, nel frattempo, la netta avanzata delle dottrine scettiche,
come quella di Bayle, e delle filosofie panteiste, come quella di
Spinoza; l'attacco massiccio dell'Illuminismo alla Chiesa durante
la Rivoluzione Francese . E ancora , proprio nel nostro tempo, il
massacro indiscriminato della popolazione civile perpetrato nell'ul­
tima guerra . Infine, l'imponente trionfo della tecnologia scienti­
fica, che promette all'uomo onnipotenza e distruzione, e sfida
il dominio divino dei cieli.
In un certo senso la Cristianità si danneggiò da sè sviluppando
in molti Cristiani un senso morale che non poteva più tollerare
il Dio vendicativo della teologia tradizionale. L'idea dell'inferno
scomparve dal pensiero colto, persino dalle omelie. I Presbite­
riani si vergognarono della Confessione di Westminster, che li
aveva impegna ti a credere in un Dio che aveva creato miliardi
di uomini e donne pur sapendo in anticipo che, indipendente­
mente dalle loro virtù e dai loro crimini, erano destinati ad un
eterno inferno . I Cristiani istruiti, visitando la Cappella Sistina,
erano sconvolti dal dipinto di Michelangelo in cui Cristo che
scaglia i peccatori, confusi, in un inferno le cui fiamme non si
sarebbero mai estinte; era questo il "Gesù gentile, dolce e
mansueto" che aveva ispirato la loro gioventù? Proprio come
l'evoluzione morale degli Elleni aveva indebolito la loro fede negli
dei attaccabrighe e adulteri dell'Olimpo (''Una certa parte dell'u-
40 LE LEZIONI DELLA STORIA

manità " , scrisse Pla tone, "non crede affatto nell'esistenza degli
dei" 22) , così l'evoluzione dell'etica Cristiana lentamente ne
erose la teologia . Cristo abbattè Jehovah.
La sostituzione delle istituzioni Cristiane con quelle secolari
è il risultato critico e culminante della Rivoluzione Industriale.
Il fatto che gli stati tentino di fare a meno di sostegni teologici
è uno dei molti esperimenti cruciali che oggi disorientano la nostra
mente e sconvolgono il nostro modo di vivere. Le leggi, presen­
tate un tempo come i decreti di un re imposto da Dio, sono ora
francamente considerate gli ordini confusi di uomini fallibili. L' edu­
cazione, che era sotto la sacra giurisdizione di sacerdoti ispirati
da Dio, diviene il lavoro di uomini e donne spogliati di attributi
teologici e timori reverenziali, che fanno affidamento sulla ragione
e sulla persuasione per civilizzare giovani ribelli che temono solo
i poliziotti e potrebbero non imparare mai a ragionare affatto . Le
università, un tempo alleate della Chiesa, sono state espugnate da
scienziati e uomini d'affari. La propaganda del patriottismo, del
capitalismo o del comunismo succede all'inculcazione di credi
sovrannaturali e codici morali. Le vacanze si susseguono. I teatri
sono pieni anche la domenica , e anche la domenica le chiese sono
mezze vuote. Nelle famiglie Anglosassoni la religione è diventata
esteriore osservanza di un obbligo sociale; nelle famiglie Catto­
liche Americane prospera ; nelle classi alte e medie Francesi e
Italiane è "una caratteristica sessuale secondaria delle femmine " .
Mille segni mostrano che la Cristianità sta soccombendo allo stesso
declino in cui precipitò l'antica religione Greca dopo l'avvento
dei Sofisti e dell' Illuminismo Greco.
Il Cattolicesimo sopravvive perchè fa appello all' immagina­
zione, alla speranza e ai sensi; perchè la sua mitologia consola e
rasserena le vite dei poveri; e perchè la fertilità comandata dei fedeli
riprende alla Riforma le terre perdute. Il Cattolicesimo ha sacrifi­
cato l 'adesione della comunità intellettuale e patisce defezioni
crescenti a contatto con l'educazione e la letteratura secolare; ma
guadagna proseliti tra le anime disorientate dall'incertezza della
ragione, e tra coloro che sperano nella Chiesa per arginare il disor­
dine interno e l'ondata comunista .
LA STORIA E LA RELIGIONE 41

Se un'altra grande guerra devastasse la civiltà Occidentale,


la distruzione delle città, la povertà e l'infamia per la scienza che
ne seguirebbero potrebbero lasciare alla Chiesa, come nel 476
d.C . , la sola speranza e guida per i sopravvissuti al cataclisma .
Una delle lezioni della storia è che la religione ha molte vite,
e l'abitudine di risorgere. Quante volte in passato un Dio e la
sua reglione sono morti e resuscitati! Ikhnaton fece uso di tutti
i suoi poteri di Faraone per distruggere la religione di Amon; nel
giro di un anno dalla sua morte essa fu restaurata. L'ateismo galop­
pava in India negli anni della giovinezza di Buddha, e Buddha
stesso fondò una religione senza dio; dopo la sua morte il
Buddhismo sviluppò una complessa teologia che includeva dei,
santi e inferno . Filosofia, scienza ed educazione spopolarono il
pantheon Ellenico, ma questo vuoto attrasse una dozzina di fedi
Orientali ricche di miti della resurrezione. Nel 1 793 Hébert e
Chaumette, mal interpretando Voltaire, istituirono a Parigi il
tempio ateo della Dea della Ragione; un anno dopo Robespierre,
temendo il caos e su consiglio di Rousseau, fece erigere il tempio
dell'Essere Supremo; nel 1801 Napoleone, versato in storia, firmò
un concordato con Pio VII, restaurando la Chiesa Cattolica in
Francia . L' irreligiosità dell'Inghilterra del diciottesimo secolo
scomparve sotto il compromesso Vittoriano con la Cristianità:
lo stato convenne di sostenere la Chiesa Anglicana, e le classi
istruite avrebbero smorzato il loro scetticismo, col tacito accordo
che la Chiesa avrebbe accettato di subordinarsi allo stato, e il
pastore di servire umilmente il proprietario terriero. In America
il razionalismo dei Padri Fondatori cedette il passo a un risve­
glio religioso nel diciannovesimo secolo.
Puritanesimo e Paganesimo - la repressione e l'espressione
dei sensi e dei desideri - si alternano in una mutua reazione
nella storia . Generalmente la religione e il puritanesimo preval­
gono in periodi in cui le leggi sono deboli e la morale deve accol­
larsi il peso della conservazione dell'ordine sociale; lo scetticismo
e il paganesimo (a parità di altri fattori) progrediscono quando
il potere crescente della legge e del governo permette il declino
della chiesa, della famiglia e della moralità senza mettere fonda-
42 ----=L=E'-=L=E=Z::..::_IO.N I DELLA STORIA"-----

mentalmente a repentaglio la stabilità dello stato. Nel nostro


tempo proprio la forza dello stato, insieme ai vari fattori elen­
cati in precedenza, contribuisce a rilassare la fede e i costumi,
lasciando riassumere al paganesimo la sua naturale preponderanza .
Probabilmente i nostri eccessi porteranno ad un 'altra reazione;
il disordine morale può generare un risveglio religioso; gli atei
potrebbero di nuovo (come in Francia dopo lo sfacelo del 1 8 70)
mandare i loro figli alle scuole Cattoliche per instillare loro la
disciplina del credo religioso. Ascoltate l'appello dell'agnostico
Renan, 1 866:
«Godiamoci la libertà dei figli di Dio, ma facciamo attenzione
a non diventare complici dello scemare della virtù che minacce­
rebbe la società se il Cristianesimo dovesse indebolirsi troppo .
Cosa faremmo senza di esso? ( . . . ) Se il Razionalismo volesse gover­
nare il mondo senza riguardo per i bisogni religiosi dello spirito,
l'esperienza della Rivoluzione Francese è là ad insegnarci le conse­
guenze di tale errore» 23•
Sottoscriverà lo storico la conclusione di Renan che la reli­
gione è necessaria alla moralità - che un'etica naturale è troppo
debole per opporsi alla ferocia che si nasconde sotto la civiltà ed
emerge nei nostri sogni, crimini e conflitti? Joseph de Maistre
rispose: "Non so come possa essere il cuore di un furfante; so
com'è quello di un uomo onesto; è orribile " 24• Non ci sono
esempi significativi, prima del nostro tempo, di una società che
abbia mantenuto con successo la vita morale senza l'ausilio della
religione. Francia , Stati Uniti e alcune altre nazioni hanno sepa­
rato il loro governo da tutte le confessioni, ma conservano l'aiuto
della religione per mantenere l'ordine sociale. Solo pochi stati
Comunisti non si sono limitati a dissociarsi dalla religione ma hanno
rifiutato il suo ausilio; e forse l'apparente e provvisorio successo
di questo esperimento in Russia deve molto alla temporanea accet­
tazione del comunismo come religione (o, come direbbe uno scet­
tico, oppio) del popolo, che sostituisce la chiesa come spaccia­
tore di consolazione e speranza . Se i regimi socialisti dovessero
fallire nel loro sforzo di debellare la relativa povertà delle masse,
questa religione potrebbe perdere fervore ed efficacia, e lo stato
LA STORIA E LA RELIGIONE 43

potrebbe vedere di buon occhio la restaurazione di credenze


soprannaturali per quietare il malcontento. "Finchè ci sarà povertà
ci saranno dei ' ' 25•
Capitolo VIII
La Storia e l'Economia

La storia , secondo Karl Marx, è funzione dell'economia­


cioè della disputa , tra individui, gruppi, classi e stati, di cibo,
combustibile, materiali e potere economico. Le forme politiche,
le istituzioni religiose, le creazioni culturali affondano tutte le
proprie radici nella realtà economica . Così la Rivoluzione Indu­
striale ha portato con sè la democrazia , il femminismo, il controllo
delle nascite, il socialismo, il declino della religione, il rilassamento
morale, l'affrancamento della letteratura dai condizionamenti della
protezione aristocratica, il passaggio dal romanticismo al realismo
nella narrativa - e l' interpretazione economica della storia . Le
personalità di spicco in questi movimenti furono effetti, non
cause; di Agamennone, Achille ed Ettore non si sarebbe mai
saputo niente se i Greci non avessero cercato il controllo commer­
ciale dei Dardanelli; l'ambizione economica , non il viso di Elena
"più chiaro dell'aria della sera vestita della bellezza di mille stelle" ,
proiettò mille navi alla volta di Ilio; quegli astuti Greci sapevano
bene come velare la nuda verità economica con la foglia di fico
di una frase.
Incontestabilmente l'interpretazione economica illumina gran
parte della storia . Il denaro della Confederazione Delio-Attica
costruì il Partenone; il tesoro dell' Egitto di Cleopatra rivitalizzò
l'esausta Italia di Augusto, diede a Virgilio un sussidio annuale
e a Orazio un podere. Le Crociate, come le guerre di Roma con
la Persia , furono tentativi dell'Occidente di impadronirsi delle
vie commerciali verso l' Oriente; la scoperta dell'America fu una
conseguenza del loro fallimento . La banca dei Medici finanziò
46 LE LEZIONI DELLA STORIA -�--- - ----

il Rinascimento Fiorentino; il commercio e l'industria di Norim­


berga resero possibile Durer. La Rivoluzione Francese non giunse
perchè Voltaire scrisse brillanti satire e Rousseau romanzi senti­
mentali, ma perchè le classi medie avevano raggiunto la supre­
mazia economica e aspiravano al prestigio sociale e al potere poli­
tico.
Marx non pretendeva che gli individui fossero sempre moti­
vati da interessi economici; era lontano dall'immaginare che consi­
derazioni materiali avessero ispirato la romanzesca storia di
Abelardo, o il vangelo Buddhista, o i poemi di Keats . Ma forse
egli sottovalutò il ruolo giocato dagli incentivi non economici nel
comportamento delle masse: il fervore religioso, come negli eserciti
Musulmani o Spagnoli; l'ardore nazionalistico, come tra le truppe
hitleriane o i Kamikaze Giapponesi; la furia irrazionale e spon­
tanea della folla, come nei tumulti di Gordon del 2-8 Giugno 1 780
a Londra , o nei massacri del 2-.7 Settembre 1 792 a Parigi. In casi
simili i motivi di chi regge le fila (solitamente nell'ombra) possono
essere economici, ma il risultato è largamente determinato dalle
passioni delle masse. Spesso la potenza politica o militare sembra
essere la causa piuttosto che l'effetto di rivolgimenti economici,
come nel caso della Rivoluzione Bolscevica Russa o dei colpi di
stato militari che punteggiano la storia dell'America Latina . Chi
sosterrebbe che la conquista Islamica della Spagna , o la conquista
Mongola dell'Asia Occidentale, o la conquista Mogol dell' India,
siano state l'effetto della potenza economica? In questi casi il
povero si dimostrò più forte del ricco; la vittoria militare conferl
potere politico, che portò al controllo economico . I generali
potrebbero scrivere un'interpretazione militare della storia .
Adottando queste cautele, possiamo derivare ammaestramento
senza fine dall'analisi economica del passato . Osserviamo ad
esempio che i barbari invasori trovarono Roma debole perchè la
popolazione rurale, che aveva rifornito le legioni di guerrieri duri
e patriottici che combattevano per la terra, era stata rimpiazzata
da schiavi che lavoravano svogliatamente in vaste tenute di
proprietà di uno solo o di pochi. Oggigiorno l'incapacità delle
piccole fattorie di usare con profitto i macchinari migliori sta
____
L�- �-T�2�I A E �· :E:s� >� ()� � �
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47

nuovamente forzando l' agricoltura a una produzione su vasta scala


di proprietà capitalistica o comune . E' stato detto una volta che
"la civiltà è un parassita dell'uomo con la zappa" 26, ma l'uomo
con la zappa non esiste più; egli è ora una "mano" al volante
di un trattore o una mieti trebbia. L' agricoltura sta diventando
un' industria, e ben presto il contadino dovrà scegliere se essere
impiegato di un capitalista o di uno stato.
All'altro capo della scala la storia riporta che "gli uomini che
possono manovrare uomini manovrano uomini che possono mano­
vrare solo cose, e gli uomini che manovrano il denaro manovrano
tutti" 27• Così i banchieri, osservando le tendenze dell' agricol­
tura, dell'industria e del commercio, attirando e dirigendo il flusso
del capitale, raddoppiando e triplicando il nostro denaro in inve­
stimenti, controllando prestiti, interessi e imprese, correndo
grandi rischi in vista di grandi guadagni, scalano la vetta della
piramide economica. Dai Medici di Firenze e dai Fuggers di
Augsburg ai Rotschild di Parigi e Londra e ai Morgan di New
York, i banchieri si sono seduti al tavolo dei governi, finanziando
guerre e papi, e occasionalmente fomentando una rivoluzione.
Forse uno dei segreti del loro potere è che, avendo studiato le
fluttuazioni dei prezzi, sanno che la storia è inflazionaria, e il
denaro è l'ultima cosa che un uomo saggio accumulerà.
L'esperienza del passato lascia pochi dubbi sul fatto che ogni
sistema economico debba presto o tardi basarsi su qualche forma
di profitto per incitare individui e gruppi alla produttività. Surro­
gati come la schiavitù, il controllo poliziesco o l'entusiasmo ideo­
logico si dimostrano troppo improduttivi, troppo costosi o troppo
transitori. Di norma e in genere gli uomini sono valutati in base
alla loro capacità di produrre - eccetto in guerra, quando sono
classificati secondo la loro capacità di distruggere.
Dal momento che l'abilità pratica differisce da persona a
persona, la maggioranza di queste abilità, in quasi tutte le società,
è raccolta in una minoranza di persone. La concentrazione della
ricchezza è una conseguenza naturale della concentrazione dell'a­
bilità, e ricorre regolarmente nella storia. La percentuale di con­
centrazione varia (a parità di altri fattori) col grado di libertà
48 LE LEZIONI D E LLA STORIA
-------

economica permessa dalla morale e dalle leggi. Il dispotismo può


ritardarla per qualche tempo; la democrazia, lasciando la massima
libertà, la accelera . La relativa uguaglianza degli Americani prima
del 1 7 76 è stata sopraffatta da mille forme di differenziazione
fisiche, mentali ed economiche, al punto che la spaccatura tra
ricchi e poveri è ora più profonda che mai dal tempo della pluto­
crazia della Roma Imperiale. Nelle società che progrediscono la
concentrazione può raggiungere un punto in cui la forza nume­
rica dei molti poveri rivaleggia con la forza dell'abilità dei pochi
ricchi; l'equilibrio instabile genera allora una situazione critica,
che la storia ha affrontato in modi diversi con legislazioni che
ridistribuiscono la ricchezza o rivoluzioni che distribuiscono la
povertà.
Nell'Atene del 594 a.C . , secondo Plutarco, "la disparità di
ricchezza aveva raggiunto tali eccessi, che la città sembrava in
grave pericolo, e non sembrò praticabile alcun altro mezzo per
salvarla dai disordini ( . . . ) se non un potere dispotico" 28• I po­
veri, vedendo la propria condizione peggiorare di anno in anno
- il governo nelle mani dei loro padroni, e le corti corrotte deci­
dere ogni contesa a loro sfavore - cominciarono a parlare di
rivolta violenta . I ricchi, furenti per le minacce alle loro proprietà,
si preparavano a difendersi con la forza . Il buonsenso prevalse:
elementi moderati assicurarono l'elezione di Solone, un uomo
d'affari di lignaggio aristocratico, alla carica suprema di Arconte.
Egli svalutò la moneta corrente , alleviando cosl il carico di tutti
i debitori (benchè egli stesso fosse un creditore) ; ridusse tutti i
debiti personali, e pose fine alle incarcerazioni per debiti; cancellò
le tasse arretrate e gli interessi ipotecari; fissò una tassazione
progressiva che fece pagare ai ricchi in percentuale fino a dodici
volte la somma imposta ai poveri; riorganizzò i tribunali su base
più popolare; e dispose che i figli dei caduti in guerra per Atene
fossero allevati e istruiti a spese del governo. I ricchi protesta­
rono che le sue misure equivalevano ad una confisca; i radicali
lamentarono che non avesse ridistribuito le terre; ma nel giro di
una generazione quasi tutti concordarono nel ritenere che le sue
riforme avevano salvato Atene dalla rivoluzione.
LA STORIA E L'ECONOMIA
����--------------�
49

Viceversa il Senato Romano, così famoso per la sua saggezza ,


rifiutò la via del compromesso quando la concentrazione della
ricchezza raggiunse in Italia un punto esplosivo; il risultato furono
cento anni di guerra civile e di classe. Tiberio Gracco, un aristo­
cratico eletto tribuna della plebe, propose di ridistribuire le terre
limitando la proprietà a 333 acri per persona, e assegnando il rima­
nente al turbolento proletariato della capitale. Il Senato rifiutò
la sua proposta equiparandola a una confisca . Egli si appellò al
popolo con queste parole: ''Voi combattete e morite per donare
lusso e ricchezza ad altri; siete chiamati signori del mondo, ma
non c'è un palmo di terra che possiate chiamare vostro" 29• In
contrasto con la legge Romana, si ricandidò al tribunato; nei
tumulti del giorno delle elezioni venne assassinato. Suo fratello
Caio, portando avanti la sua causa, non riuscì a impedire il rinno­
varsi della violenza , ed ordinò al suo servitore di ucciderlo; lo
schiavo obbedì, e quindi si tolse la vita ( 1 2 1 a . C .); tremila dei
suoi seguaci furono messi a morte per decreto senatoriale . Mario
divenne il campione della plebe, ma si tirò indietro quando il movi­
mento inclinò alla rivoluzione . Catilina, proponendo di abolire
tutti i debiti, organizzò un esercito rivoluzionario di ''poveri
disgraziati" ; fu sommerso dall'eloquenza astiosa di Cicerone, e
morì combattendo contro lo stato (62 a.C . ) . Giulio Cesare tentò
un compromesso, ma fu accoltellato dai patrizi (44 a . C . ) dopo
cinque anni di guerra civile. Marco Antonio confuse il suo
sostegno alla politica di Cesare con le sue ambizioni e avventure
personali; Ottaviano lo sconfisse ad Azio, e stabilì il "Principato"
che per 2 10 anni (30 a . C . - 180 d . C . ) mantenne la Pax Romana
tra le classi e le province entro i confini Imperiali.
Dopo la dissoluzione dell'ordine politico nell' Impero Romano
d' Occidente (476 d . C . ) , secoli di espropriazione furono seguiti
dal lento rinnovarsi e riconcentrarsi della ricchezza, in parte sotto
l'egida della Chiesa Cattolica . Sotto questo aspetto la Riforma
rappresentò una ridistribuzione di questa ricchezza attraverso la
riduzione dei pagamenti Germanici e Inglesi alla Chiesa Romana,
e l'appropriazione secolare delle proprietà e delle entrate eccle­
siastiche. La Rivoluzione Francese tentò una ridistribuzione

50 �������- LE LEZIONI DELLA STORIA

violenta della ricchezza con le J acqueries in campagna e i massacri


nelle città, ma il risultato principale fu un trasferimento delle
proprietà e dei privilegi dall'aristocrazia alla borghesia. Il governo
Statunitense, tra il 1933 e il 1952 e tra il 1 960 e il 1965 , imitò
i metodi pacifici di Solone, ed effettuò una ridistribuzione mode­
rata e pacifica; forse qualcuno aveva studiato la storia. Le classi
superiori imprecarono, si adattarono, e ripresero la concentra­
zione della ricchezza.
Concludiamo da tutto ciò che la concentrazione della ricchezza
è naturale e inevitabile, e viene periodicamente alleviata da una
ridistribuzione parziale, violenta o pacifica. In questa prospet­
tiva la storia economica è il lento battito cardiaco dell'organismo
sociale, un vasto sistole e diastole di concentrazione della ricchezza
compulsivamente rimessa in circolo.
Capitolo IX
La Storia e il Socialismo

La lotta del socialismo contro il capitalismo è parte del ritmo


storico di accumulazione e dispersione della ricchezza. Il capita­
lista, naturalmente, ha svolto una funzione creativa nella storia:
ha raccolto i risparmi del popolo in capitale produttivo promettendo
dividendi e interessi; ha finanziato la meccanizzazione dell'indu­
stria e dell' agricoltura, e la razionalizzazione del commercio; e il
risultato è stato un flusso tale di beni dal produttore al consuma­
tore quale la storia non aveva mai visto. Egli ha posto il vangelo
liberale della libertà al proprio servizio, intuendo che gli uomini
d' affari, lasciati relativamente sciolti da imposte doganali e vincoli
legislativi, potevano fornire alla gente maggiore abbondanza di cibo,
case, comodità e ozio di quanta non ne fosse mai venuta da indu­
strie amministrate da politici, il cui personale fosse costituito da
impiegati dello Stato, e ipoteticamente immuni dalla legge della
domanda e dell'offerta. Nella libera impresa lo sprone della compe­
tizione, l'entusiasmo e il gusto per la proprietà accrescono la produt­
tività e la creatività degli uomini; quasi tutte le abilità economiche
presto o tardi trovano la loro nicchia e la loro ricompensa nel crogiolo
degli ingegni e nella selezione naturale delle abilità; e una demo­
crazia di fondo governa il processo, nella misura in cui gli articoli
da produrre e i servizi da prestare sono per lo più determinati dalla
pubblica domanda invece che per decreto governativo. Intanto la
competizione costringe il capitalista ad adoperarsi in ogni modo per
migliorare la qualità dei suoi prodotti.
C'è molta verità in queste asserzioni oggigiorno, ma esse non
spiegano perchè la storia risuoni tanto di proteste e rivolte contro
52 LE LEZIONI
----==-== DELLA STORIA

gli abusi del padronato industriale, la manipolazione dei prezzi,


la pirateria finanziaria , e l' irresponsabilità dei ricchi . Questi abusi
devono essere di ben vecchia data , perchè ci sono stati esperi­
menti di socialismo in dozzine di paesi e di secoli. Leggiamo che
in Sumeria, intorno al 2 1 00 a . C . , "l'economia era organizzata
dallo stato . La terra arabile era in massima parte proprietà della
corona; i lavoratori ricevevano razioni dai raccolti consegnati ai
magazzini reali. Per l'amministrazione di questa vasta economia
di stato si sviluppò una gerarchia molto differenziata , e si regi­
stravano tutte le consegne e le distribuzioni di razioni. Diecimila
tavolette di argilla , contenenti registrazioni di questo tipo, sono
state recuperate nella stessa capitale, Ur, e a Lagash, Umma ( . . . ) .
Anche il commercio estero era praticato in nome dell'a mmini­
strazione centrale" 30•
A Babilonia (ca . 1 7 50 a . C .) il codice di Hammurabi fissava
salari per pastori e artigiani, e i compensi per le operazioni dei
medici.
In Egitto, sotto i Tolomei (323-30 a . C . ) , lo stato era padrone
del suolo e amministrava l'agricoltura : si diceva al contadino dove
e cosa coltivare; il suo raccolto veniva misurato e registrato dagli
scribi governativi, trebbiato sugli appositi pavimenti reali, e
trasportato da una catena vivente nei granai del re. Il governo
possedeva le miniere e ne gestiva l'attività estrattiva . La produ­
zione e la vendita di olio, sale, papiro e tessuti furono naziona­
lizzate. Tutto il commercio era controllato e regolato dallo stato;
la maggior parte del minuto era nelle mani di agenti che vende­
vano merci prodotte dallo stato. La gestione bancaria era mono­
polio del governo, benchè potesse essere delegato a società private.
Furono imposte tasse su ogni persona, industria, procedimento ,
prodotto, vendita e atto legale. Per tenersi al corrente delle tran­
sazioni e dei redditi tassabili, il governo manteneva uno sciame
di scribi e un complesso sistema di registrazione delle persone
e delle proprietà. Le entrate garantite da questo sistema resero
lo stato Tolemaico il più ricco del suo tempo. Furono completate
grandi opere di ingegneria , si migliorò la tecnica agraria, e una
larga percentuale dei profitti fu impiegata nello sviluppo del paese,
LA STORIA E IL SociALISMO 53

adornandolo di opere d'arte e finanziandone la vita culturale.


Verso il 290 a . C . furono poste le fonda menta del famoso Museo
e della Biblioteca di Alessandria. Scienza e letteratura fiorirono;
in una data non accertata del periodo Tolemaico alcuni studiosi
realizzarono la traduzione "Dei Settanta " del Pentateuco in
Greco. Presto, comunque, i Faraoni cominciarono ad intrapren­
dere dispendiose guerre, e dopo il 246 a.C. si dedicarono ai propri
vizi privati, lasciando che l'amministrazione dello stato cadesse
nelle mani di furfanti che spremevano i poveri fino all'ultima
moneta . Generazione dopo generazione l'esazione fiscale si inten­
sificò. Le sommosse crebbero in numero e violenza . Nella capi­
tale, Alessandria, la plebe fu rabbonita da donativi e spettacoli,
ma era tenuta sotto sorveglianza da una vasta forza militare, non
aveva alcuna voce nel governo dello Stato, e finì col diventare
una plebaglia violenta . Agricoltura e industria decaddero per
l'assenza di incentivi; la morale si disintegrò; e l'ordine non fu
ristabilito finchè Ottaviano non portò l'Egitto sotto il dominio
Romano (30 a . C . ) .
Roma ebbe il suo interludio socialista sotto Diocleziano. Di
fronte alla povertà e alla disoccupazione crescente delle masse,
e al pericolo imminente dell' invasione barbarica , egli promulgò
nel 3 0 1 d . C . un "Edictum de Pretiis" in cui accusava i monopo­
listi di sottrarre le merci dal mercato per far salire i prezzi, e fissava
prezzi e salari massimi per tutti gli articoli e i servizi essenziali.
Furono intraprese vaste opere pubbliche per dare lavoro ai disoc­
cupati, e si distribuì cibo ai poveri gratuitamente o a prezzi ridotti.
Il governo - che già possedeva la maggior parte delle miniere,
delle cave e dei depositi di sale - esercitò su quasi tutte le prin­
cipali industrie e corporazioni uno stretto controllo. "In ogni
grande città" ci viene riferito, "lo stato divenne un potente datore
di lavoro, (. . . ) schiacciando gli imprenditori privati già gravati di
tasse" 31• Quando gli uomini d'affari predicevano rovina, Diocle­
ziano spiegava che i barbari erano alle porte, e che la libertà indi­
viduale doveva essere sacrificata finchè non fosse stata assicurata
la libertà collettiva . Il socialismo di Diocleziano fu una guerra
economica , resa possibile dal timore di attacchi esterni. A parità
54 L E LEZIONI DELLA STORIA

di altri fattori, la libertà interna varia inversamente al pericolo


esterno.
Il compito di controllare gli uomini nei dettagli della vita
economica si dimostrò eccessivo per la burocrazia in espansione
di Diocleziano, costosa e corrotta . Per sostenerla - esercito,
tribunali, lavori pubblici, sussidi - l'esazione fiscale aumentò
al punto tale che gli uomini persero interesse a lavorare e guada­
gnare, e cominciò una disputa erosiva tra avvocati che trovavano
artifici per evadere le tasse e avvocati che formulavano leggi per
prevenire l'evasione. Migliaia di Romani, per fuggire gli esattori,
si riversavano oltre i confini cercando rifugio tra i barbari . Nel
tentativo di tenere sotto controllo questa elusiva mobilità, mante­
nere l'ordine e facilitare la tassazione, il governo promulgò decreti
che legavano i contadini ai loro campi e gli operai alla loro bottega
finchè non fossero estinti tutti i debiti e le tasse . In questo ed
altri modi ebbe inizio la servitù medievale.
La Cina ha compiuto diversi tentativi di socialismo di stato.
Szuma Ch'ien ( 1 45 a . C . ) ci informa che, allo scopo di impedire
ai singoli ''di riservare a loro solo vantaggio le ricchezze delle
montagne e del mare, per guadagnare una fortuna, e di soggio­
gare le cla ssi più basse" 32, l' Imperatore Wu Ti, regnante tra il
140 e 1'87 a . C . , nazionalizzò le risorse del suolo, estese l'ammi­
nistrazione del governo sul trasporto e sul commercio, impose
una tassa sul reddito e inaugurò grandi lavori pubblici, tra i quali
canali che collegassero i fiumi e irrigassero i campi. Lo stato accu­
mulò scorte di merci, vendendo quando i prezzi salivano,
comprando quando scendevano; di modo che, afferma Szuma
Ch'ien, "si prevenissero i ricchi commercianti e mercanti dal fare
grossi profitti ( . . . ) e i prezzi nell'Impero fossero calmierati' ' 3 3 •
Per un certo tempo, ci viene riferito, la Cina prosperò come
non mai. Una combinazione di "atti divini" e diavoleria umana
pose fine all'esperimento dopo la morte dell'Imperatore. Inon­
dazioni alternate a periodi di siccità causarono tragiche carestie,
e alzarono i prezzi al di là di ogni controllo . Gli affaristi prote­
starono che le tasse mantenevano a loro spese i pigri e gli incom­
petenti. Tormentati dall 'alto costo della vita, i poveri si unirono
LA STORIA E IL SociALISMO 55

ai ricchi nel reclamare il ritorno allo status quo, e alcuni propo­


sero di bollire vivo l'inventore del nuovo sistema. Le riforme
furono revocate una dopo l' altra, e vennero quasi dimenticate
finchè non furono riesumate da un re-filosofo Cinese.
Wang-Mang, imperatore dal 9 al 23 d . C ., era un dotto, un
patrono delle lettere, un ricco che spartiva le sue ricchezze tra
gli amici e i poveri. Impadronitosi del trono, si circondò di uomini
versati nelle lettere, nelle scienze e nella filosofia. Egli naziona­
lizzò la terra, la divise in appezzamenti uguali tra i contadini,
e pose fine alla schiavitù. Come Wu-Ti, cercò di tenere sotto
controllo i prezzi con l' accumulazione e la vendita di scorte .
Concesse prestiti a basso interesse alle imprese private . I gruppi
i cui profitti erano stati danneggiati dalla sua legislazione si allea­
rono per tramare la sua caduta; giocarono a loro favore la siccità,
le inondazioni e l'invasione straniera. La ricca famiglia Liu si pose
alla testa della ribellione generale, fece assassinare Wang-Mang
e abrogò la sua legislazione . Tutto tornò come prima.
Mille anni dopo Wang Ah-shih, primo ministro tra il 1068
e il 1085 d . C ., promosse una nuova, pervasiva ingerenza gover­
nativa nell'economia cinese . " Lo stato", affermava, "dovrebbe
assumersi l'intera amministrazione del commercio, dell'industria
e dell' agricoltura, cercando di soccorrere le classi lavoratrici e di
impedire che siano gettate nella polvere dai ricchi" 34 • Egli
riscattò i contadini dagli strozzini con prestiti a basso interesse.
Incoraggiò nuovi insediamenti rurali anticipando sementi e altri
attrezzi da rifondere coi raccolti successivi della terra. Organizzò
grandi opere di ingegneria per controllare le inondazioni e la disoc­
cupazione. In ogni distretto si affissero tabelle che regolavano
prezzi e salari. Il commercio fu nazionalizzato. Si provvide a sussidi
per gli anziani, i disoccupati e i poveri. I sistemi di istruzione e
di esame attraverso i quali si gestiva l' ammissione al servizio dello
stato, furono riformati: "gli allievi gettarono via i loro libri di reto­
rica" , racconta uno storico cinese, "e cominciarono a studiare trat­
tati di storia, geografia, ed economia politica" 3 5 •
Cosa insidiava l' esperimento? Anzitutto le alte tasse imposte
su tutto per finanziare una crescente massa di impiegati statali.
56 LE LEZIONI DELLA STORIA

In secondo luogo, la coscrizione obbligatoria di un figlio maschio


in ogni famiglia, per rinfoltire gli eserciti resi necessari dalle inva­
sioni barbariche. Terzo, la corruzione della burocrazia; la Cina,
come altre nazioni, si trovò a dover scegliere tra il saccheggio
privato e la corruzione pubblica. I conservatori, guidati dal fratello
di Wang An-shih, argomentavano che la corruttibilità e l'incom­
petenza umana rendevano impraticabile il controllo dell'industria
da parte del governo, e che l' economia migliore era il sistema del
"laissez-faire" che fa affidamento sui naturali impulsi dell'uomo.
I ricchi, colpiti dalle alte tasse che gravavano sulle loro fortune
e dal monopolio del commercio da parte del governo, riversarono
le loro risorse in una vasta campagna per screditare il nuovo
sistema, ostacolare il suo consolidamento e porvi finalmente
termine. Questo movimento, ben organizzato, esercitò una pres­
sione costante sull'Imperatore. Quando un altro periodo di siccità
e inondazioni fu coronato dall' apparizione di una terrificante
cometa, il Figlio del Cielo congedò Wang An-shih, revocò i suoi
decreti, e chiamò l'opposizione al potere.
Il regime socialista di più lunga durata finora conosciuto dalla
storia fu istituito dagli Incas, in quello che ora chiamiamo Perù,
ad un certo punto del tredicesimo secolo. Fondando largamente
il loro potere sulla credenza popolare che il sovrano della terra
fosse il delegato del Dio Sole, gli Incas organizzarono e dires­
sero tutta l'agricoltura, il lavoro e il commercio. Un censimento
governativo teneva la contabilità di materiali, individui ed entrate;
"corrieri" di professione, attraverso un notevole sistema di strade,
mantenevano la rete di comunicazione indispensabile ad un
controllo cosl particolareggiato di un cosl vasto territorio. Tutti
erano dipendenti dello Stato, e sembravano accettare questa
condizione di buon grado come garanzia di sicurezza e sostenta­
mento . Il sistema durò fino alla conquista del Perù per opera di
Pizarro nel 1 5 3 3 .
Al lato opposto del Sud America, in una colonia portoghese
lungo il fiume Uruguay, 150 Gesuiti organizzarono 200 . 000
Indiani in un'altra società socialistica (ca. 1620- 1 750) . I sacer­
doti alla loro testa amministravano quasi tutta l' attività agricola,
LA STORIA E IL SociALISMO 57

commerciale e artigianale. Essi permettevano ad ogni giovane di


scegliere liberamente le proprie attività, ma esigevano da tutte
le persone abili otto ore di lavoro al giorno. Provvedevano alla
ricreazione organizzando attività sportive, danze ed esecuzioni
musicali di migliaia di voci, e addestravano vere e proprie orche­
stre a suonare musica europea. Essi fungevano anche da inse­
gnanti, medici e giudici, e disposero un codice penale che esclu­
deva la pena capitale. Stando a tutte le testimonianze i nativi
erano docili e felici, e, quando la comunità venne attaccata, la
difesero con un ardore e un' abilità che sorpresero gli assalitori.
Nel 1 750 il Portogallo cedette alla Spagna alcuni territori che
includevano sette degli insediamenti Gesuiti. Sparsasi la voce che
le terre di queste colonie contenevano oro, gli Spagnoli insistet­
tero per un'immediata occupazione; il governo portoghese sotto
Pombal (allora ai ferri corti con i Gesuiti) ordinò a preti e nativi
di lasciare gli insediamenti; e, dopo qualche resistenza da parte
degli indigeni, l'esperimento venne stroncato .
Nella rivolta sociale che accompagnò la Riforma Protestante
in Germania, slogan comunistici basati sulla Bibbia furono avan­
zati da diversi capi ribelli. Il predicatore Thomas Munzer istigò
il popolo a rovesciare i prìncipi, il clero e i capitalisti, e a stabi­
lire una "società purificata" nella quale tutte le cose fossero in
comune. Egli reclutò un esercito di contadini, li ispirò con le testi­
monianze di comunismo tra gli Apostoli, e li guidò in battaglia.
Furono sconfitti; cinquemila furono uccisi, Munzer venne deca­
pitato ( 1525). Hans Hut, accogliendo gli insegnamenti di Munzer,
organizzò ad Austerlitz una comunità anabattista che praticò il
comunismo per quasi un secolo (ca. 1530- 1622). John di Leiden
guidò un gruppo di Anabattisti alla conquista di Munster, la capi­
tale della Westfalia; là, per quindici mesi, mantennero un regime
comunistico ( 1 534-35).
Nel diciassettesimo secolo un gruppo di "Livellatori" nell'e­
sercito di Cromwell lo pregò invano di stabilire un'utopia comu­
nista in Inghilterra. Il fermento socialista si placò durante la
Restaurazione, ma risorse quando la Rivoluzione Industriale rivelò
la rapacità e la brutalità del primo capitalismo - lavoro infan-
58 L E LEZIONI DELLA STORIA

tile e femminile; orari di lavoro lunghi a salari irrisori, fabbriche


e bassifondi insalubri . Karl Marx e Friedrich Engels diedero al
movimento la sua Magna C arta nel "Manifesto Comunista" del
1847, e la sua Bibbia nel "Capitale" ( 1 867-95 ) . Essi si aspetta­
vano che il socialismo si sarebbe realizzato anzitutto in Inghil­
terra, perchè l'industria vi era sviluppata più che altrove e aveva
raggiunto uno stadio di amministrazione centralizzata che
sembrava invitare all' appropriazione da parte del governo. Non
vissero abbastanza a lungo per sorprendersi dell'insurrezione
comunista in Russia.
Perchè il socialismo moderno si realizzò prima in Russia, dove
il capitalismo muoveva i suoi primi passi e non c'erano grandi
corporazioni a facilitare il passaggio del controllo allo stato? Secoli
di povertà contadina e pagine e pagine di rivolta intellettuale
avevano spianato la strada, ma i contadini erano stati affrancati
dalla servitù nel 1 86 1 , e gli intellettuali erano inclini ad un anar­
chismo agli antipodi dell'idea di uno stato onnicomprensivo .
Probabilmente la Rivoluzione Russa del 1 9 1 7 ebbe successo
perchè il governo dello Zar era stato sconfitto e screditato dalla
guerra e dalla cattiva amministrazione; l'economia Russa era
collassata nel caos, i contadini tornavano dal fronte carichi di armi,
e a Lenin e Trotsky era stato dato un salvacondotto con gli auguri
di buon viaggio dal governo tedesco. La Rivoluzione assunse una
forma comunista perchè il nuovo stato era dilaniato da disordini
interni ed attacchi esterni; il popolo reagl come ogni nazione reagi­
rebbe sotto assedio - mise da parte la libertà individuale finchè
ordine e sicurezza non fossero ristabiliti. Anche in questo caso
il Comunismo fu un'economia di guerra. Forse sopravvive grazie
al perenne timore della guerra; dopo una generazione di pace sarà
probabilmente eroso dalla natura umana.
Il Socialismo in Russia sta ora ripristinando motivi indivi­
dualistici per dare al suo sistema maggiore stimolo produttivo,
e permettere al suo popolo maggiore libertà fisica e intellettuale.
Nel frattempo il capitalismo soffre un correlato processo di limi­
tazione dell'acquisizione individuale in virtù di una legislazione
semisocialistica e della redistribuzione della ricchezza riassunti
LA SToRIA E IL SociALISMO 59
:_:c_
____

nella formula del "welfare state" . Marx era un discepolo infe­


dele di Hegel: egli interpretò la dialettica hegeliana nel senso che
la lotta tra capitalismo e socialismo sarebbe terminata con la
completa vittoria del socialismo; ma se la formula hegeliana di
tesi antitesi e sintesi è applicata alla Rivoluzione Industriale come
tesi, e allo scontro tra capitalismo e socialismo come antitesi, la
terza clausola sarebbe una sintesi di capitalismo e socialismo; e
il mondo occidentale si muove visibilmente verso questa riconci­
liazione . Di anno in anno il ruolo dei governi occidentali nell'e­
conomia cresce, e la percentuale del settore privato diminuisce.
Il capitalismo mantiene lo stimolo della proprietà priva ta , della
libera impresa e della competizione, e produce una grande quan­
tità di beni; ma l'alta esazione fiscale, ricadendo pesantemente
sulle classi superiori, permette al governo di fornire, ad una popo­
lazione stazionaria per libera scelta, servizi senza precedenti nell'e­
ducazione, la salute e il tempo libero. La paura del capitalismo
ha costretto il socialismo ad ampliare i margini di libertà, e la
paura del socialismo il capitalismo ad aumentare l'uguaglianza .
L' Oriente è l'Occidente e l' Occidente è l'Oriente, e presto essi
si incontreranno.
Capitolo X
La Storia e la forma di Governo

Alexander Pope pensava che solo un pazzo disputerebbe delle


forme di governo. La storia ha una parola buona da dire per ciascuna
di esse, e per l' esistenza di un governo in genere. Dal momento
che gli uomini amano la libertà, e la libertà degli individui all'in­
terno di una società richiede qualche regolamentazione della
condotta , la prima condizione della libertà è la sua limitazione;
rendetela assoluta ed essa perisce nel caos . Così il primo compito
dello stato è stabilire l'ordine; una forza centrale organizzata è la
sola alternativa a forze imprevedibili e dirompenti in mano ai
singoli. Il potere converge naturalmente a un centro, in quanto
esso non è efficace quando è diviso, diluito, e diffuso, come in
Polonia sotto il "liberum veto" ; quindi la centralizzazione del
potere nella monarchia ad opera di Richelieu o di Bismarck, contro
le rivendicazioni dei baroni feudali, è stata approvata dagli storici.
Un processo simile ha accentrato il potere nel governo federale
degli Stati Uniti; era inutile parlare di "diritti degli stati" quando
l'economia ne ignorava i confini e poteva essere regolata solo da
qualche autorità centrale . Oggi si sta sviluppando un governo inter­
nazionale perchè industria, commercio e finanza scavalcano le fron­
tiere e assumono un aspetto internazionale.
La monarchia sembra essere la forma più naturale di governo,
dal momento che applica al gruppo l'autorità del padre in una
famiglia o del comandante in una banda di guerrieri. Se noi doves­
simo giudicare le forme di governo dalla loro prevalenza e durata
nella storia dovremmo dare la palma della vittoria alla monar­
chia ; le democrazie, per contrasto, sono state turbolenti interludi.
62 LE LEZIONI DELLA STORIA

Dopo il crollo della democrazia romana nelle guerre di classe


dei Gracchi, di Mario e di Cesare, Augusto raggiunse , sotto ciò
che in effetti era un dominio monarchico, il più grande obbiet­
tivo nella storia della diplomazia - quella Pax Romana che
mantenne la pace dal 30 a . C . al 180 d.C . su un impero che si
estendeva dall'Atlantico all' Eufrate e dalla Scozia al Mar Nero.
Dopo di lui la monarchià si coprl d'infamia sotto Caligola, Nerone
e Domiziano; ma dopo di loro vennero Nerva, Traiano, Adriano,
Antonino Pio e Marco Aurelio - ' 'la più splendida successione
di buoni e grandi sovrani" - disse Renan - "che il mondo abbia
mai avuto" 3 6 • " Se " , scriveva Gibbon, " si chiedesse ad un
uomo di scegliere il periodo storico durante il quale la condizione
della razza umana fu più prospera e felice, egli nominerebbe senza
esitazione quello che trascorse dall'ascesa al trono di N erva alla
morte di Marco Aurelio. I loro regni uniti sono forse il" solo
periodo della storia in cui la felicità di un grande popolo fu il
solo obbiettivo di un governo" 3 7 • In quell'età splendida ,
quando i popoli soggetti a Roma si rallegravano di essere sotto
il suo dominio, la monarchia era adottiva : l'imperatore trasmet­
teva la sua autorità non alla sua prole ma al più capace che riuscisse
a trovare; egli adottava quest'uomo come un figlio, lo addestrava
alle funzioni del governo, e gradualmente gli cedeva le redini del
potere . Il sistema funzionò bene, in parte perchè nè Traiano nè
Adriano ebbero figli, e il figlio di Antonino Pio morl nell'infanzia .
Marco Aurelio ebbe un figlio, Commodo, che gli successe perchè
il filosofo non riuscì a nominare un altro erede; ben presto regnò
il caos. (Dovremmo aggiungere che alcuni storici considerano l'età
degli Antonini come una "ripresa " senza successo nella decadenza
di Roma . Si veda A.]. Toynbee, "Uno studio di storia " , IV, 60) .
Alla fin fine, il bilancio della monarchia è in pareggio. Le sue
guerre di successione hanno arrecato all'umanità tanto male
quanto bene la sua continuità o "legittimità" . Quando è eredi­
taria è probabile che sia foriera di stupidità, nepotismo, irrespon­
sabilità e stravaganza più di ogni altra forma di governo. Luigi
XIV è stato spesso preso a modello dei monarchi moderni, ma
il popolo di Francia gioì alla sua morte. La complessità degli stati
LA STORIA E LA FORMA or GovERNO 63

contemporanei sembra oltre passare le capacità di ogni singola


mente che cerchi di dominarla.
Quindi molti governi sono stati oligarchie, retti da una mino­
ranza scelta o per privilegio di nascita, come nelle aristocrazie,
o dalla gerarchia religiosa, come nelle teocrazie, o per ricchezza,
come nelle democrazie . E' innaturale (come già notava Rousseau)
che governi una maggioranza, perchè una maggioranza si può rara­
mente organizzare per un' azione unitaria e specifica, cosa che
una minoranza è in grado di fare . Se la maggioranza delle capa­
cità è concentrata in una minoranza di uomini, il governo della
minoranza è inevitabile come la concentrazione della ricchezza;
la maggioranza non può fare di più che estromettere periodica­
mente un membro della minoranza per insediarne un altro al suo
posto. L' aristocratico sostiene che la selezione politica per nascita
è la più sana, rispetto a quella condotta per censo, per scelta reli­
giosa o con la violenza . L' aristocrazia esclude pochi uomini dalla
lotta della competizione economica, che strema e indurisce, e li
addestra fin dalla nascita, attraverso l'esempio, l'ambiente e l' eser­
cizio di uffici minori, ai compiti di governo; questi compiti richie­
dono una preparazione particolare che nessuna famiglia o
ambiente ordinari possono provvedere. L' aristocrazia non è solo
la culla degli uomini di stato; è anche custode e veicolo di cultura,
buone maniere, norme e gusti, e serve quindi come barriera stabi­
lizzatrice contro i capricci sociali, le pazzie artistiche o i rapidi
cambiamenti di natura nevrotica del codice morale. Si guardi cosa
è accaduto alla morale, alle maniere, allo stile e all'arte dopo la
Rivoluzione Francese .
L'aristocrazia ha ispirato, incoraggiato e tenuto sotto controllo
l ' arte, ma raramente l'ha prodotta. L'aristocratico guarda all ' ar­
tista come a un lavoratore manuale; egli preferisce l' arte della
vita alla vita dell'arte, e non si sognerebbe mai di ridursi alle tribo­
lazioni che sono il prezzo usuale del genio . Di rado si dedica alla
letteratura, perchè considera lo scrivere per la pubblicazione come
frutto di esibizionismo o venalità. Il risultato è stato, nelle aristo­
crazie moderne, un edonismo noncurante da dilettanti, una
vacanza che dura tutta la vita in cui i privilegi della posizione
64 L E LEZIONI DELLA STORIA

venivano goduti fino in fondo e le responsabilità spesso ignora te .


Di qui la decadenza di tante aristocrazie. Soltanto tre genera­
zioni trascorsero tra "L' état c'est moi" e "Aprés moi le déluge" .
Cosl i servigi resi dall'aristocrazia non la salvarono quando
essa monopolizzò privilegi e potere troppo strettamente, quando
oppresse il popolo con uno sfruttamento egoistico e miope, quando
rallentò la crescita della nazione con una cieca inclinazione ai modi
aviti, quando dissipò uomini e risorse nello sport signorile delle
guerre dinastiche o territoriali . Gli esclusi si unirono in aperta
rivolta; i nuovi ricchi si allearono con i poveri contro l'ostruzione
e la stagnazione; la ghigliottina tagliò un migliaio di nobili teste;
e fu il turno della democrazia al malgoverno dell'umanità.
La storia giustifica le rivoluzioni? Questo è un dibattito antico,
ben illustrato dalla rottura netta di Lutero con la Chiesa Catto­
lica rispetto alla difesa da parte di Erasmo di una riforma paziente
e ordinata , o dalla presa di posizione di Charles James Fox a favore
della Rivoluzione Francese rispetto alla difesa di Edmund Burke
dell' "ordine" e della continuità. L'inflessibilità di certe istitu­
zioni sorpa ssate sembra rendere necessario un rovescio violento,
come nella Russia del 1 9 1 7 . Ma il più delle volte gli effetti otte­
nuti dalla rivoluzione sarebbero stati raggiunti senza di essa con
la graduale costrizione dello sviluppo economico . L'America
sarebbe diventato il fattore dominante del mondo Anglosassone
senza alcuna rivoluzione. La Rivoluzione Francese spodestò l'ari­
stocrazia terriera a favore della classe degli uomini d'affari che
controllavano il denaro; ma un risultato analogo occorse nell'In­
ghilterra del diciannovesimo secolo senza spargimento di sangue,
e senza disturbare la pubblica quiete. Rompere definitivamente
con il passato significa sollecitare la follia che può seguire lo shock
di improvvise disgrazie o mutilazioni. Come la salute dell'indi­
viduo risiede nella continuità dei suoi ricordi, così la salute di
un gruppo risiede nella continuità delle sue tradizioni; in entrambi
i casi una rottura nella catena invita a una reazione nevrotica ,
come a Parigi nei massacri del Settembre 1 792 .
Dal momento che la ricchezza è più un sistema e un proce­
dimento di produzione e scambio che un accumulo di beni per
---
LA STORIA
---=� E LA FORMA DI GovERNO 65

lo più deperibili, ed è salvaguardata dalla fiducia (il "sistema credi­


tizio") negli uomini e nelle istituzioni piuttosto che dal valore
intrinseco della carta moneta o degli assegni, le rivoluzioni violente
non la distribuiscono quanto la distruggono. Ci può essere una
ridistribuzione delle terre, ma la naturale ineguaglianza degli
uomini presto ricrea un'ineguaglianza di proprietà e privilegi, e
fa salire al potere una nuova minoranza con essenzialmente gli
stessi istinti della vecchia. La sola vera rivoluzione è l 'illumina­
zione della mente e il miglioramento del carattere, e i soli veri
rivoluzionari sono filosofi e santi.
Nel senso stretto del termine, la democrazia è esistita solo
nei tempi moderni, per lo più dopo la Rivoluzione Francese. Come
suffragio universale adulto maschile, negli Stati Uniti, è comin­
ciata sotto Andrew Jackson; come suffragio universale adulto,
nella nostra giovinezza. Nell' antica Attica, su una popolazione
complessiva di 3 1 5 .000 anime, 1 15 .000 erano schiavi, e solo
4 3 . 000 cittadini con diritto di voto. Le donne, quasi tutti i lavo­
ratori e i commercianti e tutti gli stranieri residenti erano esclusi
da questo diritto . Questa minoranza dei cittadini era divisa in
due fazioni: l' oligarchica - costituita principalmente dall' aristo­
crazia terriera e dall'alta borghesia; e la democratica - piccoli
proprietari, piccoli affaristi, e cittadini scivolati nel lavoro sala­
riato che però mantenevano ancora il diritto di voto. Durante
l'ascesa di Pericle (460-430 a . C . ) l'aristocrazia prevalse, e Atene
ebbe la sua età suprema nella letteratura, nel dramma, nell'arte
figurativa. Dopo la sua morte, e la caduta in disgrazia dell'ari­
stocrazia per la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso
(43 1 -404 a . C . ) , il demos, ossia le classi più basse di cittadini, sali­
rono al potere, con grande disgusto di Socrate e Platone. Da
Salone alla conquista romana della Grecia ( 1 46 a.C.) il conflitto
tra oligarchi e democratici fu alimentato da libri, lavori teatrali,
orazioni, votazioni, ostracismi, assassinii e guerre civili. A Corcyra
(l' attuale Corfù) , nel 427 a.C . , gli oligarchi al potere assassina­
rono sessanta personaggi di spicco del partito popolare; i demo­
cratici rovesciarono gli oligarchi, ne processarono cinquanta
davanti a una sorta di Comitato di Salute Pubblica, li misero a
66 LE LEZIONI DELLA STORIA

morte tutti e cinquanta , e fecero morire di fame in prigione centi­


naia di aristocratici. La descrizione di Tucidide ci rammenta Parigi
nel 1 792-93 .
«Per sette giorni i Corciresi furono impegnati a macellare quelli
dei loro concittadini che reputassero loro nemici. (. . . ) La morte
infuriava in ogni forma e, come suole accadere in simili occasioni,
non c' era eccesso al quale la violenza non giungesse; i figli veni­
vano uccisi dai padri e i supplici erano strappati dagli altari o
assassina ti su di essi (. . . ) . La rivoluzione proseguì la sua corsa di
città in città, e negli ultimi luoghi dove arrivò, poichè si era venuti
a conoscenza dei misfatti già compiuti, si portava ad un ancor
maggiore eccesso ( . . . ) l'atrocità delle rappresaglie (. . . ) . Corcyra
diede il primo esempio di questi crimini, (. . . ) della vendetta estorta
dai governati (che non avevano mai sperimenta to un trattamento
equo, nè, in verità, altro che violenza dai loro oppressori) e (. . . )
dei selvaggi eccessi ai quali gli uomini senza vergogna vennero
sollecitati dalle loro passioni ( . . . ) . Frattanto la parte moderata
dei cittadini periva per mano di entrambe [le fazioni in lotta] (. . . ) .
L' intero mondo Ellenico fu sconvolto» 1 B .
Nella sua "Repubblica " Platone condanna per bocca di
Socrate la trionfante democrazia Ateniese come un caos di
violenza di classe, decadenza culturale e degenerazione morale .
I democratici
«pieni di disprezzo hanno rinnegato la temperanza come debo­
lezza . . . Chiamano insolenza l 'educazione, e libertà l'anarchia, e
la devastazione magnificenza, e la sfrontatezza coraggio . . . Il padre
si abitua a scendere al livello dei figli e a temerli, e il figlio a sentirsi
pari al padre, senza rispetto nè timore per i propri genitori . . . Gli
insegnanti temono e lusingano i propri allievi, che disprezzano
loro e i propri tutori . . . All'anziano non garba essere ritenuto cupo
e autoritario, e così imita i giovani . . . E non devo dimenticare
di parlare della libertà e dell'uguaglianza dei sessi nelle relazioni
reciproche . . . I cittadini si irritano al minimo accenno di auto­
rità, e alla lunga smettono di avere rispetto per le leggi, scritte
o non scritte . . . E questo è il bello e glorioso principio da cui sorge
LA STORIA E LA FORMA or GovERNO 67

la tirannide . . . L' eccesso di qualsiasi cosa provoca una reazione


nella direzione contraria . . . la dittatura nasce dalla democrazia,
e la più greve forma di tirannia e schiavitù dalla più estrema forma
di libertà » 39•
Dalla morte di Platone (34 7 a. C .) la sua analisi ostile della
democrazia Ateniese ha ricevuto apparente conferma dalla storia.
Atene riacquistò la sua ricchezza, ma questa era ora commerciale
piuttosto che terriera; industriali, mercanti e banchieri erano al
vertice della nuova piramide sociale. Il cambiamento produsse
una febbrile lotta per il denaro, una pleonexia, come la chiama­
vano i Greci - una smania furiosa di avere sempre di più . "I
nouveaux riches" (neoplutoi) costruivano sfarzose dimore, orna­
vano le loro donne con vesti e gioielli costosi, le viziavano con
dozzine di servitori, rivaleggiavano l'uno con l' altro nelle feste
con cui intrattenevano gli ospiti . La frattura tra ricchi e poveri
si allargò; Atene fu divisa, secondo Platone, in "due città: una
dei poveri, l'altra dei ricchi, ciascuna in guerra con l' altra" 40• I
poveri cospiravano per depredare i ricchi con le leggi, le tasse
e le sedizioni; i ricchi si organizzavano per proteggersi dai poveri.
I membri di alcuni partiti oligarchici, narra Aristotele, presta­
vano un giuramento solenne: ' �Sarò un avversario del popolo"
(cioè, dei democratici) , "e nel Concilio farò ad esso tutto il male
che potrò" 4 1 • " I ricchi sono diventati cosl asociali, " scriveva
Isocrate verso il 3 66 a.C . , " che chi possiede ricchezze le gette­
rebbe piuttosto nel mare che prestarle in soccorso del bisognoso,
mentre chi vive in ristrettezze proverebbe meno piacere nel
trovare un tesoro che nell'impadronirsi dei beni del ricco" 4 2 •
Ceti meno abbienti guadagnarono il controllo dell'Assemblea, e
cominciarono a travasare il denaro dei ricchi nelle casse dello stato,
per ridistribuirlo attraverso imprese e sussidi governativi. I poli­
tici sforzarono la loro ingegnosità per scoprire nuove f9nti di
entrata pubblica. In alcune città il decentramento della ricchezza
fu più diretto: i debitori di Mitilene. massacrarono i loro credi ...
tori in massa; i democratici di Argo piombarono sui ricchi, li ucci­
sero a centinaia, e ne confiscarono le proprietà. Le famiglie agiate
di stati greci altrimenti ostili si allearono segretamente per aiutarsi
68 LE LEZIONI DELLA STORIA

a vicenda contro le rivolte popolari. Cominciarono a diffidare


della democrazia sia le classi medie e superiori, che quelle infe­
riori, considerandola gli uni dominata dall' invidia, gli altri da una
fittizia eguaglianza di voti resa vana dalla palese ineguaglianza
di ricchezza. L'inasprimento crescente della guerra di classe lasciò
la Grecia divisa tra i suoi mille stati e al loro stesso interno quando
Filippo il Macedone si avventò su di essa nel 338 a.C . , e molti
Greci abbienti ne accolsero con favore l'ascesa, preferendola alla
prospettiva di una rivoluzione. La democrazia ateniese scomparve
sotto la dittatura Macedone.
La riduzione di Platone dell'evoluzione politica a una sequenza
di monarchia, aristocrazia, democrazia e tirannide trovò un' altra
illustrazione nella storia di Roma. Nel secondo e terzo secolo
prima di Cristo un' oligarchia Romana organizzò una politica estera
e un esercito disciplinato coi quali conquistò e sfruttò il mondo
mediterraneo. La ricchezza cosl acquisita fu assorbita dai patrizi,
e il commercio cosl sviluppato sollevò ad una lussuosa opulenza
le classi medie superiori. Greci, Orientali e Africani sottomessi
furono deportati in Italia per servire come schiavi nei latifundia;
gli agricoltori nativi, cacciati dalle loro terre, si unirono al turbo­
lento proletariato mantenuto nelle città, per godere dei donativi
di grano che Caio Gracco aveva assicurato ai poveri nel 123 a . C .
Generali e proconsoli ritornavano dalle province carichi d i bottino
per sè e per le classi dominanti; i milionari si moltiplicavano; la
moneta mobile prendeva il posto della terra come fonte e stru­
mento di potere politico; fazioni rivali competevano nella compra­
vendita all' ingrosso di candidati e voti: nel 5 3 a . C . un gruppo
di votanti ricevette dieci milioni di sesterzi per il suo supporto.
Quando il denaro falliva, si ricorreva all'assassinio: capitava che
cittadini che avevano votato nel modo sbagliato fossero picchiati
a morte, e le loro case date alle fiamme. Gli aristocratici ingag­
giarono Pompeo per mantenere la loro influenza; i popolari scesero
in campo con Cesare; la vittoria fu affidata non all'asta delle vota­
zioni ma al cimento della battaglia; Cesare vinse, e stabill una
dittatura popolare. Gli aristocratici lo uccisero, ma finirono
coll'accettare la dittatura del suo nipote ed erede politico Augusto
LA SToRIA E LA l'ORMA m GovERNO 69

(27 a . C . ) . La democrazia ebbe fine, fu restaurata la monarchia;


la ruota di Platone aveva fatto un giro completo.
Potremmo dedurre, da questi esempi del mondo classico, che
le antiche democrazie, corrose dalla schiavitù, dalla venalità e
dalla guerra, non ne meritano il nome, e non offrono una prova
equa del governo popolare. In America la democrazia contò su
una base più ampia. Cominciò col vantaggio dell'eredità britan­
nica: la legge Anglo- Sassone, che, dalla Magna Carta in poi, aveva
difeso i cittadini dallo stato; e il Protestantesimo, che aveva aperto
la strada alla libertà religiosa e di pensiero. La Rivoluzione ameri­
cana non fu solo una rivolta di coloni contro un governo lontano;
fu anche l'insorgere di una classe media nativa contro un'aristo­
crazia importata. La ribellione fu favorita e affrettata dall' abbon­
danza di terre libere e dalla scarsità di leggi. Uomini che posse­
devano il suolo che coltivavano, e che (nei limiti imposti dalla
natura) controllavano le proprie condizioni di vita, avevano una
base economica su cui fondare la libertà politica; la loro persona­
lità e il loro carattere erano radicati nella terra. Furono uomini
del genere che elessero Jefferson presidente - Jefferson che era
uno scettico come Voltaire e un rivoluzionario come Rousseau .
Un governo che governasse il meno possibile era mirabilmente
adatto a liberare queste energie individualistiche che trasforma­
rono l'America da una terra selvaggia a un'utopia concreta, e da
figlia e pupilla dell'Europa Occidentale a sua rivale e guardiano.
E mentre l'isolamento rurale favoriva la libertà individuale, l'iso­
lamento geografico della nazione, circondata da oceani protet­
tivi, ne garantiva la sicurezza e l 'indipendenza. Questi e molti
altri presupposti diedero all'America la democrazia più reale e
universale che la storia avesse mai conosciuto.
Molti di questi presupposti formativi sono scomparsi. L' iso­
lamento personale se n'è andato con la crescita delle città. L'indi­
pendenza personale con la dipendenza del lavoratore da macchi­
nari e capitali che non possiede, in condizioni che non può control­
lare . La guerra diventa più dispendiosa, e l'individuo non viene
aiutato a comprenderne le cause nè a fuggirne gli effetti. La terra
disponibile è finita, benchè si diffonda ancora la proprietà della
70 LE LEZIONI DELLA STOI\IA

casa - con un minimo di terra. Il negoziante una volta auto­


nomo è al cappio del grande distributore, e potrebbe far eco al
lamento di Marx, che ogni cosa è in catene . La libertà econo­
mica, anche nelle classi medie, diventa sempre più eccezionale,
rendendo la libertà politica una finzione consolatoria. E tutto
ciò è accaduto non (come credevamo nella nostra giovinezza) per
colpa della perversità dei ricchi, ma per l'impersonale fatalità dello
sviluppo economico e della natura dell'uomo. Ogni progresso nella
complessità dell'economia premia ulteriormente l'abilità superiore,
e intensifica la concentrazione della ricchezza, della responsabi­
lità e del potere politico .
'
La democrazia è la forma di governo più difficile, perchè
richiede la massima diffusione dell' intelligenza, e noi abbiamo
dimenticato di renderei intelligenti quando ci siamo resi sovrani.
L' istruzione si è diffusa, ma l' intelligenza è perpetuamente ritar­
data dalla fertilità dei semplici. Un cinico fece rimarcare che "non
si deve incoronare l'ignoranza solo perchè ce n'è così tanta" .
Comunque, l 'ignoranza non rimane a lungo sul trono, perchè si
presta alla manipolazione delle forze che forgiano l'opinione
pubblica. Può essere vero, come supponeva Lincoln, che " non
si può prendere in giro la gente per sempre" , ma si può pren­
derne in giro abbastanza da governare un grande paese.
È responsabile La democrazia dell' attuale degrado dell'arte?
Questo degrado, naturalmente, non è fuori questione: è materia
di giudizio soggettivo; e quanti di noi rabbrividiscono ai suoi
eccessi - alle sue macchie di colore senza significato, ai suoi
collages di detriti, alla sua Babele di cacofonie - sono senza
dubbio imprigionati nel passato e insensibili al coraggio dell' e­
sperimento. Gli artefici di queste insensatezze non fanno appello
alla massa del pubblico - che li schernisce come lunatici, dege­
nerati o ciarlatani - ma agli acquirenti creduloni della classe
media ipnotizzati dai banditori e affascinati dal nuovo, per quanto
deforme. La democrazia è responsabile di questo collasso solo nel
senso che non è stata capace di sviluppare standard di gusto in
grado di rimpiazzare quelli coi quali un tempo l'aristocrazia mante­
neva l'immaginazione e l' individualismo degli artisti entro i
LA SToRIA E LA FORMA DI GovERNO 71

confini della comunicazione intelleggibile, l a rappresentazione


della vita e l'armonia delle parti in una sequenza logica e un tutto
coerente . Se l' arte se mbra ora perdersi in '' bizzarreries' ' , ciò non
avviene solo perchè è involgarita dal dominio e dalla suggestione
della massa, ma anche perchè ha esaurito le possibiltà delle vecchie
scuole e forme, e da un po' si dibatte alla ricerca di nuove strut­
ture e stili, nuove regole e discipline.
Fatte tutte queste considerazioni, la democrazia ha fatto meno
danno e più bene di ogni altra forma di governo . Ha dato all'esi­
stenza umana un entusiasmo e un cameratismo che vanno al di
là dei suoi difetti e dei suoi inganni. Ha dato al pensiero, alla
scienza e all 'impresa la libertà essenziale alla loro efficienza e
crescita. Ha abbattuto le barriere di privilegio e di classe, e ad
ogni generazione essa ha promosso l' abilità indipendentemente
dalla sua provenienza. Sotto il suo stimolo Atene e Roma diven­
nero le città più creative della storia, e l'America in due secoli
ha garantito prosperità ad una percentuale della sua popolazione
di vastità senza precedenti. La democrazia si è ora dedicata riso­
lutamente a diffondere e prolungare l'istruzione, e al manteni­
mento della salute pubblica. Se si riuscisse a raggiungere l'ugua­
glianza delle opportunità educative la democrazia sarebbe reale
e giustificata. Perchè questa è la verità vitale che sta dietro ai
suoi slogan: che benchè gli uomini non possano essere uguali, il
loro accesso all'istruzione e le loro opportunità possono essere
rese pressochè uguali. I diritti dell'uomo non sono diritti a svol­
gere certe mansioni o assumere certi poteri, ma a percorrere
qualunque strada che possa sviluppare e mettere alla prova l'ido­
neità a quelle mansioni o quei poteri. Un diritto non è un dono
di Dio o della natura, ma un privilegio che è bene per il gruppo
che l' individuo abbia.
In Inghilterra e negli Stati Uniti, in Danimarca, Norvegia e
Svezia, in Svizzera e in Canada, la democrazia è ora solida come
non mai . Si è difesa con coraggio ed energia dagli assalti di ditta­
ture straniere senza sottomettersi alla dittatura in patria. Ma se
la guerra continuasse ad assorbirne le energie e a dominarla, o
se la tentazione di governare il mondo richiedesse una maggiore
72 LE LEZIONI DELLA STORIA

affermazione e ingerenza da parte dei militari, le libertà della


democrazia potrebbero ad una ad una soccombere alla disciplina
delle armi e della lotta. Se guerre razziali o di classe ci divides­
sero in campi ostili, mutando gli argomenti politici in un cieco
odio, l'una o l' altra fazione potrebbe rovesciare le tribune elet­
torali appellandosi alla legge della spada. Se la nostra economia
di libertà non riuscisse a distribuire la ricchezza con la stessa effi­
cienza con cui ha saputo crearla, la strada della dittatura sarebbe
aperta a chiunque potesse promettere in modo convincente sicu­
rezza a tutti; e un governo marziale, di qualsiasi formula affasci­
nante si ammantasse, inghiottirebbe il mondo democratico.
Capitolo XI
La Storia e la Guerra

La guerra è una delle costanti della storia, e non è diminuita


con la civiltà o la democrazia. Negli ultimi 342 1 anni della storia
scritta solo 268 non hanno visto guerre. Abbiamo riconosciuto
che la guerra è al momento la forma estrema di competizione e
di selezione naturale tra le specie umane. "Pòlemos patèr pantòn"
recitava Eraclito; la guerra, ovvero la competizione, è il padre
di tutte le cose, la possente sorgente delle idee, delle invenzioni,
delle istituzioni, e degli stati . La pace è un equilibrio instabile
che può essere preservato solo da una supremazia riconosciuta
o da potenze uguali .
Le cause della guerra sono le stesse di quelle della competi­
zione tra individui: egoismo, aggressività, orgoglio; desiderio di
cibo, terra, materiali, fonti di energia, dominio. Lo stato ha i nostri
istinti senza i nostri vincoli . Gli individui si sottomettono ai
vincoli loro imposti dalla morale e dalle leggi, e accettano di sosti­
tuire il combattimento con la discussione, perchè lo stato garan­
tisce loro la protezione fondamentale della vita, della proprietà
e dei diritti legali. Lo stato per sè non riconosce alcun vincolo
sostanziale, o perchè è abbastanza forte da sfidare qualsiasi inter­
ferenza al suo volere, o perchè non c'è uno "stato degli stati"
che gli offra quella protezione fondamentale, nè legge o codice
morale internazionale dotato di forza effettiva.
All'individuo, l'orgoglio dona ulteriore vigore nelle competi­
zioni della vita; allo stato, il nazionalismo dona ulteriore forza
nella diplomazia e nella guerra. Quando gli stati europei si libe­
rarono dalla sovranità e dalla protezione papale, ogni stato inca-
74 ----==-=
LE LEZIONI DE LLA STORIA

raggiò il nazionalismo come supplemento alle sue forze armate .


Se prevedeva un conflitto con qualche particolare nazione, fomen­
tava nel proprio popolo l'odio per quella nazione, e formulava
slogan per condurre quell'odio al punto letale; nel frattempo insi­
steva a sottolineare il suo amore per la pace.
Questo arruolamento dell' animo al servizio della fobia inter­
nazionale è occorso solo nei conflitti fondamentali, e ci si è fatto
ricorso di rado in Europa tra le guerre di Religione del sedice­
simo secolo e le guerre della Rivoluzione Francese. Durante questo
intervallo ai popoli dei paesi in conflitto si permetteva di rispet­
tare ciascuno le acquisizioni e la civiltà dell' altro; gli Inglesi viag­
giavano in tutta sicurezza in Francia mentre la Francia era in
guerra con l 'Inghilterra; i Francesi e Federico il Grande conti­
nuarono a stimarsi reciprocamente mentre combattevano la
Guerra dei Sette Anni. Nei secoli diciassettesimo e diciottesimo
la guerra era una disputa di aristocrazie più che di popoli. Nel
ventesimo il miglioramento di comunicazioni, trasporti, armi e
mezzi di propaganda ha fatto della guerra una lotta di popoli,
coinvolgendo i civili come i soldati, e facendo coincidere la vittoria
con il totale annientamento della proprietà e della vita. Una sola
guerra è ora in grado di distruggere la fatica di secoli nella costru­
zione di città, nella creazione artistica e nello sviluppo delle abitu­
dini civili. I suoi apologeti cercano di rincuorarci osservando che
la guerra ora promuove la scienza e la tecnologia, le cui inven­
zioni mortali, sempre che non siano dimenticate nell'universale
miseria e barbarie, potrebbero in seguito allargare le conquiste
materiali della pace.
In ogni secolo i generali e i governanti (con rare eccezioni
quali Ashoka e Augusto) hanno sorriso della timida avversione
dei filosofi verso la guerra. Nell ' interpretazione militare della
storia, la guerra è l' arbitro Hnale, ed è accettata come naturale
e necessaria da tutti tranne che dai codardi e i sempliciotti. Che
cosa se non la battaglia di Poitiers (732) trattenne Francia e
Spagna dal diventare Maomettane? Cosa sarebbe accaduto della
nostra eredità classica se non fosse stata protetta con le armi dalle
invasioni mongole e tartare? Noi ridiamo dei generali che muoiono
LA STORIA E LA GuERRA 75

nel loro letto (dimenticando che sono più utili da vivi che da
morti) , ma costruiamo statue a quelli che ricacciano un Hitler
o un Genghis Khan. E' pietoso (dice il generale) che tanti giovani
muoiano in battaglia, ma ne muoiono di più negli incidenti auto­
mobilistici che in guerra, e molti di loro perdono ogni freno e
si corrompono per carenza di disciplina; hanno bisogno di uno
sfogo per la loro aggressività, il loro desiderio di avventura, la
loro noia della prosaica routine; se tanto prima o poi devono
morire, perchè non !asciarli morire per il loro paese nell' anestesia
della battaglia e nell'aura della gloria? Persino un filosofo, se cono­
scesse la storia, ammetterebbe che una pace prolungata indebo­
lisce i muscoli marziali di una nazione. Nell'attuale stato di inade­
guatezza della legislazione e del sentimento internazionale, una
nazione deve essere pronta in ogni momento a difendersi; e
quando i suoi interessi essenziali sono in gioco, deve poter usare
tutti i mezzi che considera necessari per la sua sopravvivenza.
I Dieci Comandamenti devono tacere quando è in gioco l' auto­
conservaziOne.
E' chiaro (prosegue il generale) che gli Stati Uniti devono assu­
mersi oggi il compito svolto cosl bene dalla Gran Bretagna nel
diciannovesimo secolo, della protezione della civiltà occidentale
dal pericolo esterno. I governi comunisti, forti dell'antica proli­
ficità e di nuove armi, hanno ripetutamente proclamato la loro
intenzione di distruggere l'economia e l'indipendenza degli stati
non comunisti . Giovani nazioni, impazienti di una Rivoluzione
Industriale che doni loro ricchezza economica e potere militare,
sono impressionate dalla rapida industrializzazione della Russia
sotto la direzione governativa; il capitalismo occidentale potrebbe
rivelarsi alla fine più produttivo, ma sembra più lento nello
sviluppo; i nuovi uomini di governo, avidi di controllare le risorse
materiali e umane dei loro stati, sono facili prede della propaganda,
dell'infiltrazione e della sovversione comunista. A meno che questo
processo di espansione non venga fermato, è solo questione di
tempo prima che praticamente tutta l'Asia, l'Africa e il Sud
America siano sotto la guida dei comunisti, e l 'Australia, la Nuova
Zelanda, il Nord America e l' Europa Occidentale saranno circon-
76 ' LE LEZIONI DELLA STORIA

date da nemici da ogni lato. Immaginate l' effetto di un simile


accerchiamento sul Giappone, le Filippine e l' India; immaginate
l'effetto di una vittoria comunista in Italia sul forte movimento
comunista francese . Gran Bretagna, Scandinavia, Paesi Bassi e
Germania Ovest sarebbero abbandonate alla mercè di un conti­
nente in modo schiacciante comunista. Il Nord America, ora al
culmine del suo potere, dovrebbe accettare un simile futuro come
inevitabile, ritirarsi dentro le proprie frontiere, e lasciarsi circon­
dare da stati ostili che controllerebbero i suoi accessi a materie
prime e mercati, lo costringerebbero, come ogni popolo assediato,
a imitare i propri nemici e stabilire una dittatura governativa su
ogni fase della sua vita, un tempo libera e stimolante? Dovreb­
bero i capi dell'America tenere conto soltanto della riluttanza di
questa generazione epicurea ad adempiere una così alta missione,
o anche di che cosa le future generazioni di Americani desidere­
rebbero che essi avessero fatto? Non è più saggio resistere una
volta per tutte, muovere guerra al nemico, combattere sul suolo
straniero, sacrificare, se ce ne fosse bisogno, centomila vite ameri­
cane e forse un milione di civili._ma lasciare l'America libera di
vivere la sua propria vita in sicurezza e libertà? Non è questa
lungimirante politica in pieno accordo con le lezioni della storia?
Il filosofo risponde: sl, e anche i risultati devastanti sareb­
bero in accordo con la storia, soltanto moltiplicati in proporzione
al numero e alla mobilità crescenti delle forze impiegate, e alla
distruttività senza paragoni delle armi usate. C ' è qualcosa di più
grande della storia. Vi sono circostanze in cui, nel nome dell'u­
manità, è nostro dovere sfidare un migliaio di precedenti sfavo­
revoli e osare applicare la Regola d' Oro alle nazioni, come fece
il Re Buddhista Ashoka, o almeno comportarci come Augusto
quando ordinò a Tiberio di desistere dall'ulteriore invasione della
Germania (9 a.C .). Rifiutiamo, quale .che sia il prezzo che dovremo
pagare, di fare un centinaio di Hiroshima in Cina. "La magnani­
mità, in politica" , disse Edmund Burké, "è non di rado la saggezza
più vera, e un grande impero e menti meschine vanno in malora
insieme' ' 43• Si immagini un presidente americano che parlasse
così ai capi della Cina e della Russia:
LA SToRIA E LA GuERRA 77

"Se noi dovessimo seguire il corso usuale della storia dovrem­


mo dichiararvi guerra, per timore di ciò che potreste fare di qui
a una generazione. O dovremmo seguire il tetro precedente della
Santa Alleanza del 1 8 1 5 , dedicando la nostra ricchezza e il fiore
della nostra gioventù alla soppressione di ogni rivolta contro
l'ordine esistente, in ogni parte del mondo. Ma vogliamo tentare
un nuovo approccio. Noi rispettiamo i vostri popoli e le vostre
civiltà come tra i più creativi della storia. Ci sforzeremo di
comprendere i vostri sentimenti, e il vostro desiderio di svilup­
pare le vostre proprie istituzioni senza timore di essere attaccati.
Non dobbiamo permettere alle nostre paure reciproche di condurci
alla guerra, perchè il potenziale di sterminio senza pari delle nostre
e delle vostre armi mette in gioco un elemento non familiare alla
storia. Proponiamo di convocare una nostra rappresentanza e una
vostra in una conferenza permanente per l' accomodamento delle
nostre divergenze, la cessazione delle ostilità e della sovversione,
e la riduzione degli armamenti. Ogniqualvolta, fuori dai nostri
confini, ci troveremo in conflitto con voi nel tentativo di guada­
gnarci la lealtà di un popolo, siamo pronti a sottometterei a una
piena ed equa elezione della popolazione interessata. Apriamo
le nostre porte gli uni agli altri, e organizziamo scambi culturali
che promuovano la reciproca stima e comprensione! Non abbiamo
timore che il vostro sistema economico soppianti il nostro, nè
voi dovete temere che il nostro soppianti il vostro; noi crediamo
che ciascun sistema imparerà dall' altro e sarà capace di vivere
con esso in collaborazione e in pace. Forse ciascuno di noi, pur
mantenendo adeguate difese, può stipulare patti di non aggres­
sione e non sovversione con altri stati, e da questi accordi potrebbe
sorgere un ordine mondiale all'interno del quale ogni nazione
rimarrà unica e sovrana, limitata soltanto da accordi liberamente
sottoscritti. Vi chiediamo di unirvi a noi in questa sfida alla storia,
questa risoluzione ad estendere la cortesia e la civiltà alle rela­
zioni tra gli stati. Impegniamo il nostro onore di fronte all' uma­
nità intera affermando che ci lanciamo in questa avventura in
piena sincerità e fiducia. Se dovessimo perdere la nostra scom­
messa con la storia, i risultati non sarebbero peggiori di quelli
78 --------=
--=
LE LEZIONI DELLA STORIA

che potremmo aspettarci ostinandoci nel perseguire le politiche


tradizionali. Se noi e voi avessimo successo, meriteremmo un
posto per i secoli a venire nella memoria e nella gratitudine dell'u­
manità' ' .
Il generale sorride. "Avete dimenticato tutte le lezioni della
storia" , ribatte, "e tutto ciò che avete descritto della natura
umana. Certi conflitti sono troppo fondamentali per essere risolti
dai negoziati; e nel prolungarsi dei negoziati (se la storia può
esserci di ammaestramento) la sovversione proseguirebbe . Un
ordine mondiale non verrà da un accordo tra gentiluomini, ma
da una vittoria così decisiva di una delle grandi potenze da
renderla in grado di dettare la legge internazionale e imporne il
rispetto, come Roma fece da Augusto a Marco Aurelio . Simili
interludi di pace diffusa sono innaturali ed eccezionali; termine­
ranno presto con i cambiamenti nella distribuzione del potere mili­
tare. Ci avete detto che l'uomo è un animale competitivo, che
i suoi stati devono assomigliargli, e che la selezione naturale ora
opera su un piano internazionale. Gli stati saranno uniti in una
essenziale cooperazione solo quando saranno attaccati in comune
dall'esterno. Forse ora ci stiamo muovendo verso una scala più
alta di competizione; potremmo venire in contatto con ambiziose
specie di altri pianeti o altre stelle; ben presto scoppierebbe un
conflitto interplanetario. Allora, e solo allora, saremo una cosa
sola su questa terra" .
Capitolo XII
Ascesa e Decadenza

Abbiamo definito la civiltà come "l'ordine sociale che


promuove la creazione culturale" . Essa è ordine politico, assi­
curato dal costume, dalla morale e dalla legge, e ordine econo­
mico, assicurato dalla continuità di produzione e di scambio; è
creazione culturale, in virtù della libertà e delle opportunità
offerte all'invenzione, all'espressione, all'esame e alla fruizione
di idee, lettere, maniere e arti. E' un'intricata e precaria ragna­
tela di relazioni umane, costruite con fatica e distrutte senza diffi­
coltà .
Perchè la storia è cosparsa delle macerie delle civiltà, e sembra
dirci, come l"' Ozymandias" di Shelley, che la morte è il destino
di tutte le cose? Ci sono delle regolarità in questo processo di
ascesa e decadenza, che ci rendono in grado di predire, dal corso
delle civiltà passate, il futuro della nostra?
Taluni spiriti immaginosi hanno creduto di sì, enunciando
persino previsioni dettagliate. Nella Quarta Egloga Virgilio
annunciava che un giorno, esaurita la novità del cambiamento,
l'intero universo, per destino o accidente, si ritroverà in una
condizione identica a quella verificatasi in qualche antica epoca
di �enticata, e quindi ripeterà, per fatalità deterministica e in
ogn\ particolare, tutti gli eventi che ad essa erano seguiti.

A lter erit tum Tiphys, et altera quae vehat Argo


delectos heroas; erunt etiam altera bella,
atque iterum ad Troiam magnus mittetur Achilles
80 LE LEZIONI DELLA STORIA ------

«(Ci sarà quindi un altro [profeta] Tiphys, e un' altra Argo che
genererà amati eroi [Giasone ed altri]; anche le altre guerre torne­
ranno, e Achille il grande sarà di nuovo mandato a Troia) » 4 4 •
Friedrich Nietzsche impazzì in questa visione dell" 'eterno
ritorno" . Non c'è niente di così folle che non si possa trovare nel
pensiero dei filosofi.
La storia si ripete, ma solo nelle linee generali e all'ingrosso.
Possiamo ragionevolmente aspettarci che nel futuro, come nel
passato, sorgano nuovi stati e vecchi stati declinino; nuove civiltà
abbiano inizio con la pastorizia e l' agricoltura, si espandano col
commercio e l'industria, e prosperino con la finanza; che il pensiero
(come ragionavano Vico e Comte) passi di nuovo, più o meno, dalle
spiegazioni sovrannaturali a quelle leggendarie a quelle naturali­
stiche; che nuove teorie, invenzioni, scoperte ed errori agiteranno
le correnti intellettuali; che le nuove generazioni si ribelleranno alle
vecchie e passeranno dalla ribellione al conformismo alla reazione;
che nuovi esperimenti morali allenteranno la tradizione e ne spaven­
teranno i beneficiari; e che l 'eccitazione della novità sarà dimenti­
cata nell' indifferenza del tempo . La storia grosso modo si ripete
perchè la natura umana cambia con lentezza geologica, e l'uomo
è programmato per reagire in modi stereotipati a situazioni che si
ripetono di frequente e a stimoli elementari come l'ira, il pericolo,
il sesso. Ma in una civiltà sviluppata e complessa gli individui sono
più differenziati e particolari che in una società primitiva, e molte
situazioni contengono circostanze nuove che richiedono modifiche
delle reazioni istintive; il costume arretra, il ragionamento avanza;
i risultati sono più difficili da predire. N on c'è certezza che il futuro
ripeta il passato. Ogni anno è un'avventura.
Alcune grandi menti hanno cercato di costringere le vaghe rego­
larità della storia in grandiosi paradigmi. Il fondatore del socialismo
francese, Claude-Henri de Rouvroy, Conte di Saint-Simon
( 1 760- 1 825), suddivise il passato e il futuro in un' alternanza di
periodi "organici" e periodi "critici" :

«La legge dello sviluppo umano . . . rivela due distinti e alterni


stati della società: uno, lo stato organico, in cui tutte le azioni umane
AscEsA E DECADENZA 81

sono classificate, previste e regolate da una teoria generale, e il


progetto complessivo dell'attività sociale è chiaramente definito;
l ' altro, quello critico, in cui tutta l ' azione e il pensiero comuni,
tutta la coordinazione sono cessati, e la società è solo un agglo­
merato di individui separati in conflitto gli uni con gli altri.
Ciascuno di questi stati o condizioni ha occupato due periodi
della storia. Un periodo organico precedette quella che noi chia­
miamo l'età della filosofia, ma che chiameremo più giustamente
età del criticismo. In seguito sorse una nuova dottrina, passate
attraverso diverse fasi di elaborazione e arricchimento, e infine
stabilì il suo potere politico sulla civiltà occidentale. La costitu­
zione della Chiesa iniziò una nuova epoca organica, che ebbe fine
nel quindicesimo secolo, quando i Riformatori Protestanti annun­
ciarono l' arrivo di quella nuova età di criticismo che continua
tuttora . . .
Nelle epoche organiche tutti i problemi fondamentali (teolo­
gici, politici, economici, morali) hanno ricevuto almeno soluzioni
provvisorie. Ma presto il progresso raggiunto con l'aiuto di queste
soluzioni, e sotto la protezione delle istituzioni realizzate per loro
tramite, le rendono obsolete, reclamando novità. Nelle epoche
critiche - periodi di disputa, protesta . . . e transizione, alla vecchia
disposizione d' animo sono subentrati il dubbio, l'individualismo,
e l 'indifferenza ai grandi problemi . . . Nei periodi organici gli
uomini sono impegnati a costruire; nei periodi critici a distrug­
gere» 45•
Saint Simon riteneva che l'istituzione del socialismo avrebbe
dato inizio a una nuova età organica di accordo unanime, orga­
nizzazione, cooperazione e stabilità. Se il Comunismo dovesse
dimostrarsi il nuovo sistema di vita trionfante, l' analisi e le previ­
sioni di Saint-Simon sarebbero giustificate .
( Oswald Spengler ( 1 880- 1 936) variò lo schema di Saint-Simon
di v\_dendo la storia in civiltà separate, ciascuna con una durata
e una traiettoria indipendente composta di quattro stagioni ma
essenzialmente due periodi: uno di organizzazione centripeta, che
unifica la cultura, in tutte le sue fasi, in una forma unitaria,
coerente e artistica; l' altro di disorganizzazione centrifuga, in cui
.:::82=---�����-=L E LEZIONI DELLA STORIA

credo e cultura si decompongono in divisione e criticismo, e termi­


nano in un caos di individualismo, scetticismo e aberrazione arti­
stica. Laddove Saint-Simon guardava avanti al socialismo come
alla nuova sintesi, Spengler (come Talleyrand) guardava indietro
all' aristocrazia come all'età in cui la vita e il pensiero costitui­
vano un'opera armoniosa e ordinata di arte vivente.
«Per l'Occidente la distinzione cade verso l' anno 1 800 - da
un lato di questa frontiera, la vita nella sua pienezza e sicurezza,
cresciuta spontaneamente in una sola grande, ininterrotta evolu­
zione dall' infanzia Gotica a Goethe e Napoleone; dall' altro
l' autunnale, artificiale vita senza radici delle nostre grandi città,
sotto forme foggiate dal mero intelletto . . . Chi non capisce che
questo risultato è obbligatorio e non suscettibile di modifiche deve
abbandonare ogni velleità di comprendere la storia» 4 6 •
Su un punto sono tutti d ' accordo: le civiltà nascono, fiori­
scono, declinano e scompaiono - o indugiano come pozze
stagnanti abbandonate dai fiumi che hanno dato loro la vita. Quali
sono le cause dello sviluppo, e quali le cause della decadenza?
Nessuno studente prende più sul serio la nozione, tipica del
diciassettesimo secolo, per cui gli stati sono sorti da un "contratto
sociale" tra gli individui o tra il popolo e un capo. Probabilmente
la maggior parte degli stati (cioè delle entità politicamente orga­
nizzate) ha preso forma attraverso la conquista di un gruppo da
parte di un altro, e lo stabilirsi di una costrizione permanente
sui conquistati da parte dei conquistatori; i loro decreti furono
le prime leggi; e queste, aggiunte ai costumi del popolo, crearono
un nuovo ordinamento sociale . Alcuni stati dell'America Latina
sono evidentemente nati in questa maniera. Quando i domina­
tori organizzarono il lavoro dei loro soggetti per trarre vantaggio
da qualche beneficio ambientale (come i fiumi dell'Egitto o
dell'Asia) , i pronostici e i provvedimenti economici costituirono
un' altra base per la civiltà. La pericolosa tensione tra governanti
e governati potrebbe aver elevato l'attività intellettuale e emotiva
al di sopra delle fluttuazioni quotidiane delle tribù primitive. Ulte­
riore stimolo alla crescita può essere venuto dalla sfida di qualche
AscEsA E DEcADENZA 83

cambiamento ambientale, come un'invasione esterna o una


prolungata siccità - sfide che potevano essere affrontate con
miglioramenti militari o con la costruzione di canali di irrigazione.
Se noi riportiamo il problema ancora un passo indietro, e ci
chiediamo che cosa determina se una sfida sarà o meno affron­
tata con successo, la risposta è che dipende dalla presenza o dall' as­
senza di individui dotati di iniziativa e inventiva, chiarezza di
pensiero e volontà energica (il che è quasi una definizione del
genio) , capaci di risposte funzionali alle nuove esigenze (che è
quasi una definizione dell'intelligenza) . Se ci chiediamo che cosa
provvede un individuo di iniziativa, siamo rinviati dalla storia
alla psicologia e alla biologia - all' influenza dell' ambiente e all'o­
scuro gioco d' azzardo dei cromosomi. In ogni caso, ogni sfida
affrontata con successo (come dagli Stati Uniti nel 1 9 1 7 , 1 9 3 3
e 194 1), se non esaurisce il vincitore (come l'Inghilterra nel 1945),
migliora la tempra e il livello della nazione, e aumenta la sua capa­
cità di superare ulteriori sfide .
Se queste sono le fonti della crescita, quali sono le cause della
decadenza? Supporremo, con Spengler e molti altri, che ogni civiltà
sia un organismo, naturalmente e misteriosamente dotato del potere
di svilupparsi e condannato a morire? E ' una grande tentazione spie­
gare il comportamento dei gruppi attraverso l' analogia con la fisio­
logia o l' anatomia, ascrivendo il deterioramento di una società a
qualche limite intrinseco della sua longevità, o a un declino irrepa­
rabile del suo vigore interiore . Analogie del genere possono offrire
intuizioni estemporanee, come quando paragoniamo l'associazione
di individui con l' aggregazione delle cellule, o la circolazione mone­
taria da banchiere a banchiere in termini di sistole e diastole del
cuore. Ma un gruppo non è un organismo fisicamente costituito dai
suoi componenti individuali; non ha cervello o stomaco, in sè; deve
pe�sare o sentire col cervello o i sensi dei suoi membri . Se un gruppo
o UIÌ(l civiltà declinano, non è per qualche mistica limitazione della
loro vita corporea, ma per l'incapacità degli intellettuali o dei poli­
tici eminenti di affrontare le sfide del cambiamento.
Queste sfide possono venire da una dozzina di cause diverse,
e combinandosi o ripetendosi raggiungere una intensità distrut-
§_�---·· --··· LE LEZIONI DELLA STORIA

tiva. Piogge o oasi possono esaurirsi lasciando la terra sterile e


riarsa. Il suolo può impoverirsi per l'incompetenza di chi lo coltiva
o uno sfruttamento improvvido . La sostituzione di manodopera
libera con schiavi può ridurre gli incentivi alla produttività,
lasciando le terre incolte e le città desolate. Un cambiamento nei
mezzi o nelle vie commerciali - com'è avvenuto con la conquista
degli oceani o dell' aria - può lasciare antichi centri di civiltà
nella quiete della decadenza, come Pisa e Venezia dopo il 1492 .
Le tasse possono salire al punto da scoraggiare gli investimenti
di capitale e lo stimolo produttivo. Mercati e materie prime stra­
niere possono essere perdute a favore della concorrenza più intra­
prendente; l'eccesso delle importazioni rispetto alle esportazioni
può sottrarre metallo prezioso dalle riserve dello stato. La concen­
trazione della ricchezza può disgregare una nazione nella guerra
di classe o di razza. La concentrazione della popolazione e della
miseria nelle grandi città può costringere un governo a scegliere
tra l'elargizione di sussidi, che indebolirebbe l'economia, e il
rischio di rivolte e rivoluzioni.
Dal momento che la disuguaglianza cresce in un' economia in
espansione, una società può ritrovarsi spaccata in una minoranza
colta e una maggioranza di uomini e donne troppo sfavoriti dalla
natura o dalle circostanze per riuscire ad ereditare e sviluppare
livelli eccellenti di gusto e di vita. Crescendo, questa maggioranza
agisce dal punto di vista culturale come una palla al piede dell' é­
lite; i suoi modi di parlare, vestirsi, ricrearsi, sentire, giudicare
e pensare si diffondono verso l'alto, e la barbarizzazione è parte
del prezzo pagato dalla minoranza per il controllo che esercita
sulle opportunità educative ed economiche.
Man mano che l'istruzione si diffonde, le teologie perdono
credito, e ricevono un'adesione esteriore ininfluente sulla condotta
o le speranze degli uomini. La vita e le idee diventano sempre
più profane, ignorando le spiegazioni e i timori soprannaturali.
Il codice morale perde la sua aura e la sua forza perché viene rive­
lata la sua origine umana, e la sorveglianza e le sanzioni divine
vengono rimosse. Nell' antica Grecia i filosofi scalzarono la vecchia
fede fra le classi istruite; in molte nazioni dell' Europa moderna
AscEsA E DEcADENZA 85

i filosofi hanno raggiunto lo stesso risultato. Protagora divenne


Voltaire, Diogene Rousseau, Democrito Hobbes, Platone Kant,
Trasimaco Nietzsche, Aristotele Spencer, Epicuro Diderot. Nei
tempi moderni come negli antichi, il pensiero analitico ha dissolto
la religione che aveva rafforzato il codice morale. Nuove religioni
sono sorte, ma senza ricevere l' adesione delle classi dominanti,
e senza offrire assistenza allo stato. Un'età di annoiato scetti­
cismo ed epicureismo ha seguito il trionfo del razionalismo sulla
mitologia nell' ultimo secolo prima dell'era crstiana, e segue una
vittoria analoga al giorno d'oggi nel primo secolo dopo l'era
cristiana.
Stretta nell'intervallo tra un codice morale e il successivo, una
generazione priva di punti di riferimento si abbandona al lusso,
alla corruzione e a un disordine senza posa nella vita familiare
e morale, eccetto quei pochi che rimangono disperatamente
aggrappati alle vecchie maniere e restrizioni. Pochi animi sentono
ancora che "è bello e onorevole morire per il proprio paese " . La
mancanza di una leader-ship può permettere che lo stato si inde­
bolisca in discordie intestine . Alla fine del processo una scon­
fitta decisiva in guerra può portare al tracollo finale, o un'inva­
sione barbarica dall'esterno unirsi alla barbarie montante dall'in­
terno per porre fine alla civiltà.
E' un quadro deprimente? Non del tutto. La vita non ha
intrinseche pretese di eternità, né per quanto concerne gli indi­
vidui, né per gli stati. La morte è naturale, e se viene al tempo
dovuto è un fatto accettabile e utile, e la mente matura non se
ne sentirà offesa. Ma le civiltà muoiono? Di nuovo, non del tutto.
La civiltà greca non è realmente morta; soltanto la sua cornice
è scomparsa, e il suo habitat è cambiato estendendosi; essa soprav­
vive nella memoria della razza, e in tale profusione che nessuna
vita, per quanto densa e lunga, potrebbe assorbirla interamente.
Omero ha ora più lettori di quanti ne avesse ai suoi tempi nella
sua terra. I poeti e i filosofi greci sono in ogni biblioteca e in
ogni scuola; in questo preciso momento Platone viene studiato
da c�naia di migliaia di studenti che scoprono con lui il "caro
piacere" della filosofia, che infonde nella vita la comprensione.
86 LE LEZIONI DELLA STORIA

Questa sopravvivenza selettiva delle menti c:reative è la forma


di immortalità più reale e benefica.
Le nazioni muoiono. Antiche regioni inaridiscono, o subiscono
altri mutamenti. Ostinato, l'uomo raccoglie i suoi attrezzi e le
sue arti e va avanti, portando con sè i suoi ricordi. Se l'educa­
zione li ha approfonditi e ampliati, la civiltà migra con lui, e
costruisce altrove la sua nuova casa. Nella nuova terra egli non
dLve ricominciare interamente da zero, nè si fa strada senza rice­
vere solidarietà; comunicazioni e trasporti lo legano, come una
placenta nutritiva, alla sua terra madre. Roma importò la civiltà
greca e la trasmise all' Europa occidentale; l'America ha tratto
profitto dalla civiltà Europea e si prepara a trasmetterla, con
l' ausilio di tecniche ineguagliate.
Le civiltà sono le generazioni del suolo razziale. Come la vita
scavalca la morte con la riproduzione, cosl una cultura avanti negli
anni consegna il suo patrimonio ai suoi eredi attraverso i secoli
e i mari. Come se questo destino fosse stato scritto, il commercio
e la stampa, fili e onde radio e invisibili Mercurii dell' aria stanno
legando le nazioni e le civiltà l'una all' altra, preservando per tutte
ciò che ciascuna ha donato in eredità all'umanità.
C apitolo XIII
Il Progresso è una realtà?

Di fronte a questo panorama di nazioni, morali e religioni che


sorgono e decadono, l' idea stessa di progresso assume un aspetto
ambiguo. E' solo la futile e tradizionale vanteria di ogni genera­
zione "moderna"? Dal momento che non abbiamo ammesso sostan­
ziali cambiamenti nella natura dell'uomo in età storica, tutti i
progressi tecnologici dovranno essere interpretati meramente come
nuovi mezzi per raggiungere vecchi obbiettivi - l'acquisizione
di beni, la caccia ad un sesso da parte dell'altro (o del medesimo) ,
il successo nella competizione o nella guerra. Una delle scoperte
scoraggianti del nostro secolo di disillusioni è che la scienza è
neutrale: ucciderà per noi tanto prontamente quanto possa guarire,
e distruggerà per noi più prontamente di quanto possa costruire.

Quanto ci appare ingenuo il fiero motto di Francis Bacon, "La


conoscenza è potere " ! Talvolta avvertiamo che il Medioevo e il
Rinascimento, che davano maggior enfasi alla mitologia e all' arte
che alla scienza e al potere, potrebbero essere stati più saggi di
noi, che continuiamo a potenziare i nostri strumenti senza miglio­
rare i nostri obiettivi.
Il nostro progresso tecnico e scientifico si è tinto di male oltre
che di bene. Le nostre comodità e i nostri agi potrebbero aver
fiaccato il nostro vigore fisico e la nostra fibra morale. Abbiamo
sviluppato enormemente i nostri mezzi di locomozione, ma alcuni
di noi li usano per scopi criminali. Raddoppiamo, triplichiamo,
centyplichiamo la nostra velocità, ma in questo modo ci logoriamo
i Réfvi, e restiamo a duemila miglia all'ora le stesse scimmie coi
calzoni che eravamo quando camminavamo sulle nostre gambe.
88 ---------------=

LE LEZIONI DELLA STORIA

Applaudiamo le cure e le operazioni chirurgiche della medicina


moderna, se non portano effetti collaterali peggiori della malattia;
apprezziamo la tenacia dei ricercatori nella loro folle gara contro
la resistenza dei microbi e la fantasia delle malattie; siamo grati
degli anni supplementari che la scienza medica ci regala, sempre
che non siano un gravoso prolungamento di malattia, invalidità
e depressione. Abbiamo moltiplicato di cento volte la nostra capa­
cità di apprendere e diffondere le notizie del giorno su scala
planetaria, ma talvolta ci accade di invidiare i nostri antenati,
la cui pace era appena turbata dalle nuove del villaggio vicino.
Abbiamo lodevolmente migliorato le condizioni di vita dei lavo­
ratori qualificati e della classe media, ma abbiamo permesso che
le nostre città si degradassero in oscuri ghetti e limacciosi bassi
fondi.
Noi ce la spassiamo nella nostra emancipazione dalla teologia,
ma abbiamo sviluppato un'etica naturale - un codice morale indi­
pendente dalla religione - forte abbastanza da trattenere i nostri
istinti egoistici, aggressivi e sensuali dal corrompere la nostra
civiltà in un pantano di rapacità, crimine e promiscuità? Abbiamo
realmente estirpato l' intolleranza, o l' abbiamo semplicemente
trasferita dalle ostilità religiose a quelle nazionali, ideologiche o
razziali? I nostri costumi sono migliori di un tempo, o peggiori?
"I costumi", affermava un viaggiatore del diciannovesimo secolo,
"peggiorano costantemente andando da Oriente a Occidente;
sono cattivi in Asia, peggiori in Europa, e pessimi negli stati occi­
dentali dell'America" 47; e ora l'Est imita l'Ovest. Le nostre
leggi hanno offerto troppa protezione ai criminali contro la società
e lo stato? Ci siamo arrogati più libertà di quanta la nostra intel­
ligenza possa gestire? O ci stiamo approssimando a un tale disor­
dine morale e sociale che i genitori spaventati torneranno alla
Madre Chiesa e la pregheranno di disciplinare i loro figli, non
importa a quale prezzo per la libertà intellettuale? Tutto il
progresso della filosofia da Descartes in poi ha commesso un errore
non riuscendo a riconoscere il ruolo del mito nel conforto e nel
controllo dell'uomo? "Chi accresce la conoscenza accresce la soffe­
renza, e in molta saggezza vi è molta afflizione" 4 8 •
!L PROGRESSO È UNA REALTÀ> 89

C ' è stato davvero qualche progresso nella filosofia dai tempi


di C onfucio? O in letteratura da quelli di Eschilo? Siamo certi
che la nostra musica, con le sue forme complesse e le sue possenti
orchestre, sia più profonda di quella di Palestrina, o più armo­
niosa e ispirata delle arie monodiche che gli Arabi medievali canta­
vano strimpellando i loro semplici strumenti? Edward Lane disse,
a proposito dei musici del C airo, che "era stato affascinato dalle
loro canzoni ( . . . ) più che da ogni altra musica di cui avesse
goduto" 49• La nostra architettura contemporanea, esagerata,
originale, impressionante com'è, si può paragonare coi templi
dell'antico Egitto o della Grecia classica, o la nostra scultura con
le statue di Chefren ed Ermes, o i nostri bassorilievi con quelli
di Persepoli o del Partenone, i nostri dipinti con quelli di V an
Eyck o Holbein? Se "la sostituzione dell'ordine al caos è l'essenza
dell' arte e della civiltà" 50, la pittura contemporanea in America
e nell'Europa occidentale non è la sostituzione del caos all 'or­
dine col caos, e un vivido simbolo della ricaduta della nostra civiltà
in un confuso sfacelo privo di struttura?
La storia è così indifferentemente ricca che si può sostenere
un argomento a favore di qualsiasi conclusione a seconda degli
esempi che si scelgono. Scegliendo le fonti con uno spirito più
ottimista potremmo indurci a riflessioni più confortanti. Ma forse
dovremmo anzitutto definire cosa significa progresso per noi. Se
significa aumento della felicità, la causa è persa quasi di primo
acchito. La nostra capacità di affliggerci è senza fine, e non
importa quante difficoltà superiamo, quanti ideali realizziamo,
troveremo sempre una scusa per essere magnificamente infelici;
c'è qualche piacere furtivo nel rigettare l'umanità o l'universo
come indegni della nostra approvazione. Sembra sciocco definire
il progresso in termini che renderebbero il ragazzino medio un
prodotto della vita più alto, più avanzato dell' adulto o del saggio
- perchè certamente egli è il più felice dei tre . E ' possibile una
definizione più obiettiva? Noi definiremo qui il progresso come
il controllo crescente esercitato sull'ambiente dalla vita. E' un
crite� he può valere per gli organismi di più basso livello come
per l'uomo.
90 LE LEZIONI DELLA STORIA

Non dobbiamo pretendere dal progresso che debba essere


continuo o universale. Ovviamente ci sono regressi, proprio come
ci sono periodi di fallimento, stanchezza e riposo nello sviluppo
individuale; ma se la fase attuale rappresenta un progresso nel
controllo ambientale, il progresso è reale. Possiamo presumere
che pressochè in ogni età della storia certe nazioni progrediscano
mentre altre regrediscano, come oggigiorno la Russia progredisce
mentre l'Inghilterra perde terreno. La stessa nazione può progre­
dire in un campo delle attività umane e regredire in un altro, come
accade in America rispettivamente per la tecnologia e le arti
grafiche . Se scopriamo che il tipo di genio prevalente nei paesi
giovani come l'America e l 'Australia tende ad essere di tipo
pratico, inventivo, scientifico, efficiente piuttosto che quello del
pittore di quadri o poemi, dello scultore di statue o parole,
dobbiamo renderei conto che ogni età e luogo richiede ed elegge
alcuni tipi di abilità rispetto ad altri nel perseguimento del
controllo ambientale . Non dovremmo paragonare i risultati di una
certa regione della terra in un certo periodo con la selezione del
meglio di tutto il passato. Il nostro problema è se l'uomo medio
abbia accresciuto o meno la capacità di controllare le condizioni
della sua vita.
Se guardiamo al lungo periodo e confrontiamo la nostra
esistenza moderna, precaria, caotica e feroce com'è, con l'igno­
ranza, la superstizione, la violenza e le malattie dei popoli primi­
tivi, non ne usciamo affatto umiliati. Gli strati più bassi degli
stati civilizzati possono ancora differire poco dai barbari, ma al
di sopra di essi migliaia, milioni di persone hanno raggiunto un
livello mentale e morale raro presso gli uomini primitivi. Sotto
le complesse tensioni della vita cittadina, qualche volta ci rifu­
giamo con l' immaginazione nella presunta semplicità dei modi
precivilizzati; ma nei nostri momenti meno romantici sappiamo
che questa è una reazione di fuga dai nostri compiti del momento,
e che il fare dei selvaggi degli idoli, come molti altri stati d' animo
giovanili, è l'espressione irrequieta di un disadattamento adole­
scenziale, di un' abilità consapevole, non ancora maturata, che
non ha ancora trovato il suo posto nella società. Il " selvaggio
lL PROGRESSO È UNA REALTÀ' 91

amichevole e felice" sarebbe delizioso, s e non fosse per il suo


scalpello di pietra, i suoi insetti e la sua sporcizia. Uno studio
sulla sopravvivenza nelle tribù primitive ne rivela l'alto tasso di
mortalità infantile, la scarsa longevità della vita, il minore vigore
fisico, la minore prontezza di riflessi, la maggiore disposizione
alle malattie rispetto a noi. Se il prolungamento della vita indica
un migliore controllo sull' ambiente, allora le tabelle della morta­
lità proclamano il progresso dell' uomo, in quanto la longevità dei
bianchi in America ed Europa è triplicata negli ultimi tre secoli.
Qualche tempo fa una in una conferenza di necrofori si è discusso
del pericolo minacciato a questa attività dal crescente ritardo con
cui gli uomini incontrano la morte. Ma se gli impresari di pompe
funebri sono infelici il progresso è reale.
Nella disputa tra antichi e moderni la vittoria degli antichi
non è affatto scontata. Dovremmo considerare una conquista
triviale il fatto che la fame sia stata bandita dagli stati moderni,
e che un paese possa ora produrre abbastanza cibo da alimen­
tarsi in abbondanza e ancora mandare centinaia di milioni di staia
di cereali alle nazioni bisognose? Siamo pronti ad abbandonare
la scienza che ha cosl diminuito la superstizione, l' oscurantismo
e l'intolleranza religiosa, o la tecnologia che ha diffuso cibo,
proprietà della casa, agio, istruzione e riposo oltre ogni prece­
dente? Preferiremmo davvero l' agorà ateniese o i comitia romani
al Parlamento britannico o al Congresso degli Stati Uniti, ci accon­
tenteremmo di un suffragio ristretto come quello dell'Attica, o
della scelta dei governanti da parte di una guardia pretoriana?
Preferiremmo vivere sotto le leggi della Repubblica ateniese o
dell' Impero Romano che sotto costituzioni che ci danno l'habeas
corpus, il processo tramite giuria, la libertà intellettuale e reli­
giosa, e l'emancipazione della donna? La nostra morale, pur fiacca
com'è, è inferiore a quella del bisessuale Alcibiade, o qualche
Presidente americano ha mai imitato Pericle, che viveva con una
cortigiana riconosciuta? Ci vergogniamo delle nostre grandi
università, delle nostre tante case editrici, o delle benefiche biblio­
tech�bbliche? Ci sono stati grandi drammaturghi ad Atene,
ma ce ne fu qualcuno più grande di Shakespeare, e fu Aristofane
92 LE LEZIONI DELLA STORIA

profondo e umano come Molière? L' oratoria di Demostene,


Isocrate ed Eschine era superiore a quella di Chatam, Burke e
Sheridan? Porremo Gibbon dietro a Erodoto o Tucidide? C'è
qualcosa nella prosa antica di paragonabile alla vastità e alla
profondità del romanzo moderno? Possiamo ammettere la supe­
riorità degli antichi nell'arte, sebbene alcuni di noi possano prefe­
rire Notre- Dame al Partenone. Se i Padri Fondatori degli Stati
Uniti potessero tornare in America, o Fox e Bentham in Inghil­
terra, o Voltaire e Diderot in Francia, non ci rimprovererebbero
come ingrati perchè non ci rendiamo conto di quanto siamo fortu­
nati a vivere oggi invece che ieri - neppure sotto Pericle o
Augusto?
La probabilità che la nostra civiltà muoia come le altre non
ci dovrebbe inquietare troppo. Come Federico il Grande doman­
dava alle sue truppe in ritirata a Kolin, "Vorreste vivere per
sempre?' ' 5 1 • Forse è desiderabile che la vita debba assumere
sempre nuove forme, che nuovi centri di civiltà debbano avere
il loro turno. Nel frattempo lo sforzo di rintuzzare la sfida dell'Est
può rinvigorire l'Ovest.
Abbiamo detto che una grande civiltà non muore del tutto
- non omnis moritur. Alcune preziose conquiste sono sopravvis­
sute a tutte le vicissitudini degli stati: il fuoco, la ruota, e altri
strumenti fondamentali; il linguaggio, la scrittura, l'arte, la musica;
l' agricoltura, la famiglia, la cura parentale; l'organizzazione sociale,
la morale, la carità; e l'uso dell'insegnamento per trasmettere il
patrimonio tradizionale di cognizioni della famiglia e della razza.
Questi sono gli elementi della civiltà, e sono stati tenacemente
mantenuti nel pericoloso passaggio da una civiltà alla successiva.
Essi sono il tessuto connettivo della storia umana.
Se l'istruzione è la trasmissione della civiltà, noi stiamo indi­
scutibilmente progredendo. La civiltà non si eredita genetica­
mente; deve essere appresa e guadagnata daccapo da ogni gene­
razione; se questa trasmissione dovesse interrompersi per un
secolo, la civiltà morirebbe, e noi ritorneremmo selvaggi. Sicchè
la più bella conquista contemporanea è la profusione senza prece­
denti di ricchezze e sforzi per fornire un'istruzione più elevata
IL PROGRESSO È UNA REALTÀ?
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93

a tutti. Un tempo i collegi erano lussi, progettati per la metà dei


maschi delle classi oziose; oggi le università sono così numerose
che chiunque si dia da fare può laurearsi . Possiamo non essere
all'altezza della selezione dei geni dell'antichità, ma abbiamo
elevato il livello medio di conoscenze oltre ogni età della storia.
Solo un bambino lamenterebbe che i nostri maestri non
abbiano ancora sradicato gli errori e le superstizioni di diecimila
anni. Il grande esperimento è appena cominciato, e può ancora
essere sconfitto dalla prolificità dell'ignoranza, involontaria o
propagandata. Ma quale sarebbe il frutto dell'istruzione se ogni
bambino andasse a scuola almeno fino a vent 'anni, e trovasse
libero accesso alle università, alle biblioteche e ai musei che custo­
discono e offrono i tesori intellettuali e artistici della razza?
L'istruzione va considerata non come la faticosa memorizzazione
di fatti, date e regni, nè semplicemente come la necessaria prepa­
razione dell'individuo ad occupare il suo posto nel mondo, ma
come la trasmissione della nostra eredità mentale, morale, tecnica
ed estetica nella misura più piena possibile al maggior numero
possibile di persone, per allargare la comprensione, la padronanza,
la bellezza e la gioia della vita dell'uomo.
L'eredità che possiamo ora più pienamente trasmettere è più
ricca che mai. Più ricca di quella di Pericle, perchè include tutta
la fioritura Greca che lo seguì; di quella di Leonardo, perchè
include lui e il Rinascimento Italiano; di quella di Voltaire, perchè
abbraccia tutto l' Illuminismo Francese e la sua diffusione ecume­
nica. Se il progresso è reale a dispetto dei nostri piagnistei, non
è perchè siamo nati in qualche modo più sani, migliori o più saggi
dei bambini del passato, ma perchè siamo nati con un'eredità più
ricca, su un livello più alto del piedistallo che l' accumulo di cono­
scenza e arte ha eretto a base e sostegno del nostro essere. L'ere­
dità cresce, e l 'uomo cresce nella misura in cui la riceve.
La storia
- è, sopra ogni altra cosa, la creazione e la memoria
di ques tA eredità; il progresso è la sua crescente abbondanza,
conser /azione, trasmissione e utilizzazione. A quanti di noi
studiano la storia non come un mero ricordo ammonitore delle
follie e dei crimini umani, ma anche come la memoria incorag-
94 LE LEZIONI DELLA STORIA

giante delle anime creative, il passato cessa di essere una depri­


mente stanza degli orrori; diviene una città celestiale, dove
migliaia di santi, statisti, inventori, scienziati, poeti, artisti, musi­
cisti, amanti e filosofi ancora abitano e parlano, insegnano e scol­
piscono e cantano. Lo storico non si lagnerà perchè non riesce
a vedere significato nella vita umana eccetto quello che l'uomo
stesso vi pone; il nostro orgoglio sia nell'essere in grado di dare
alle nostre vite un significato che talvolta trascende anche la
morte. Se un uomo ha fortuna, egli raccoglierà, prima di morire,
quanto più può di questa eredità di civiltà e la trasmetterà ai suoi
figli. Ed esalando l' ultimo respiro sarà grato di questo inestin­
guibile lascito, sapendo che esso è la madre che ci nutre e la nostra
vita eterna.
NOTE

l. Scdillot, Re�, L 'Histoire ,·a pas de serrs. 29. Plutarco, Vila di Tiberio Gracco.
2. Durant, L 'Oriente. 30. Encyclo{NJedi4 Bri14nnica, II.
3. Durant, L '�oca della Fede. 31. Paul Louis, Ancienl Rome al Wor�. ..
4. Sedillot, op. cit. 32. Szuma Ch'ien in Granet M . , Chinese Civilization.
5. Durant, La Riforma, VIII. H. Ibid.
6. Durant, L 'avvmlo tk/14 Ragione. 34. Gowen and Hall, Outline Hirtory o/ China.
7. Pascal, PensitTi, 347. 35. In Carter Thomas, The Invention ofPrinting in China and
8. Platone, Pedone. itr Spread Wertward.
9. Gobineau, L'ineguaglilmza delle raue umane, XV. 36. Renan, Marco Aurelio.
IO. Ibid., XV. 37. Gibbon, op. cit., l.
Il. Ibid., l. 38. Tucidide, La guma del Pelbponnero, III; Durant, La
12. In Todd A . J., Theorier o/Social Progresr. Gmia.
13. Durant, Cesare e Cristo. 39. Platone, La Rq,.bblica.
14. Durant, I reco/i d'Oro. 40. Ibid.
15. Durant, La Riforma. 41. Aristotele, Politica .
16. Durant, L'avvento thl/4 Ragione. 42. lsocrate, Opere, "Archidamo".
17. Durant, L 'elll di Voltaire. 43. In Sccbohm, The Age o/ Johnron.
18. Durant, La Riforma. 44. Durant, The Manrionr of Philbrophy; Toynbce, A Study
19. Durant, L'ettJ di Vollaire. o/ Hirtory, IV.
20. Gibbon E . , Decadenza e caduiiJ dell'Impero Romano, l. 45. Vedere Bazard's, Exposition de 14 doctrine Saint-Simo-
21. Durant, Cewre e Cristo . nienne, in T oynbee, I.
22. Platone, Leggi, 948. 46. Spengler, Decline o/ the Wert, l.
23. Renan, Gli Aportoli, XXIII . 47. Anon, in Bagehot, Physics and Politics.
24. Lcmaine, Jean Jacques Rousseau. 48. Ecclt!riarte, I, 18.
25. Duront, Thc Manrionr of Philbrophy. 49. Lane E., Mannen and Curtomr ofthe Modem Egyptianr, Il.
26. Durant, La Riforma. 50. Durant, L'Oriente.
27. Durant, L 'etò del Re Soli!. 51. Durant, Rousseau e 14 Rivolu:tione.
28. Plutarco, ViiiJ di Solbne.

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