LA PROSA LATINA Forme, autori, problemi A cura di Franco Montanari La Nuova Italia Scientifica Scopo di questo libro non quello di offrire una serie cronologicamente ordinata di medaglioni degli autori. ll materiale ripensato come una galleria di problemi, da cui emergono i nodi fondamentali sui quali bisogna riflettere per approfondire lo studio, nell'ambito della letteratura latina, dei generi della prosa ( il volume parallelo, sulla poesia latina, il pi valido strumento per completare il quadro della civilt letteraria di Roma antica). Invece che a epoche storiche parziali e delimitate, i singoli capitoli sono stati allora dedicati alla storiografia, all'oratoria, la retorica e la critica letteraria, alla prosa filosofica, scientifica ed epistolografica, al romanzo, considerati ciascuno nellintero arco della letteratura latina antica come insieme sistematico e come unit problematica, entro la quale vivono sotto una nuova luce figure di classici ancora e sempre irrinunciabili per la cultura moderna: da Livio a Cicerone, da Petronio a Tacito e Svetonio, da Cesare a Sallustio, Seneca e Quintiliano; e intorno a loro arricchisce il quadro la folla dei cosiddetti minori, la cui vivacit prende corpo via via che si penetra nei valori della civilt antica. Fine ultimo del volume quello di proporre una sintesi che possa rivolgersi a diversi tipi di pubblico oltre a quello universitario. Franco Montanari ordinario di Lingua e letteratura greca allUniversit di Genova. Alessandro Barchiesi professore straordinario di Lingua e letteratura latina all'Universit di Verona. Antonio La Penna ordinario di Letteratura latina all'Universit di Firenze. Giancarlo Mazzoli ordinario di Letteratura latina all'Universit di Pavia. Emanuele Narducci ordinario di Letteratura latina allUniversit di Firenze. Altri titoli NIS La poesia latina Da Omero agli Alessandrini a cura di Franco Montanari a cura di Franco Montanari STUDI SUPERIORI NIS/ 108 LETTERE I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a La Nuova Italia Scientifica, via Sardegna 50, 00187 Roma ( telefono O6/4870745; fax 06/4747931) Alessandro Barchiesi Antonio La Penna Giancarlo Mazzoli Emanuele Narducci La prosa latina Forme, autori, problemi A cura di Franco Montanari La Nuova Italia Scientifica I" edizione - settembre 1991 copyright 1991 by La Nuova Italia Scientifica, Roma Finito di stampare nel settembre 1991 per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino PUE- 43 48 58 63 65 75 79 95 95 97 98 100 101 103 105 13 18 24 29 32 34 39 \ | O` \ U` l- l> l1~ l| \ - ^ 8 9 10 1 2 3 ". .U'7 11 12 13 Indice Premessa Antonio La Penna La storiografia Per la preistoria della storiografia latina La nascita della storiografia latina La storiograa latina nelllet di Lucilio Commentari autobiografici La storiograa latina nel periodo sillano La storiografia latina nel ventennio dopo Silla La storiografia latina negli ultimi decenni della repub- blica La storiografia latina fra repubblica e principato La storiografia latina sotto il principato augusteo La storiografia latina da Tiberio a Nerone La storiograa latina nel periodo dei Flavi Tacito e Svetonio Il declino della storiografia latina nei secoli II e III d.C. Bibliografia Emanuele Narducci Oratoria e retorica I caratteri generali dell'eloquenza nell'epoca arcaica La scoperta della retorica Catone e il profilarsi di alcune tendenze fondamentali dell'eloquenza romana L'espulsione dei retori greci e il manuale di Catone L'et dei Gracchi Antonio e Crasso Il manuale di Antonio e la scuola di Plozio Gallo 106 107 108 109 111 114 116 118 122 124 125 128 129 132 133 137 139 145 145 161 168 172 183 187 198 200 201 204 207 211 214 229 229 230 8 9 12 13 16 17 18 19 20 21 22 23 @ @ < @ m+ w - 10. 11. 12. 1 2 10 11 14 15 La Rhetorica ad Herennium Il De inventione di Cicerone Ortensio e l'asianesimo giovanile di Cicerone Le Verrinae e il rinnovamento dell'oratoria di Cicerone La fase matura dell'oratoria di Cicerone Il De oratore e i caratteri generali della produzione re- torica di Cicerone Retorica e filosofia nel De oratore Il movimento atticista e la replica di Cicerone Dionigi di Alicarnasso e l'atticismo greco nella prima et augustea Oratoria e retorica in et augustea Seneca padre e le declamazioni L'eloquenza nella prima et imperiale La Institutio oratoria di Quintiliano L'oratore ideale di Quintiliano Il Dialogus de oratoribus e il problema della crisi del- l'eloquenza romana Il Panegyricus di Plinio il Giovane Bibliografia Giancarlo Mazzoli La prosa filosofica, scientifica, epistolare La prosa filosoca: alla ricerca d'un genere La prosa filosoca: alla ricerca d'un metodo La prosa losoca: alla ricerca d'una forma La prosa filosofica: alla ricerca di un'autonomia La prosa scientifica del periodo repubblicano La prosa scientifica del periodo imperiale La forma epistolare Periodo repubblicano ed epistolografia pubblica La prosa epistolare di Cicerone La prosa epistolare di Seneca La prosa epistolare di Plinio il Giovane La prosa epistolare di Frontone Bibliografia Alessandro Barchiesi Il romanzo Un genere difficile Il Satyricon di Petronio 2.1. Autore - 2.2. Datazione - 2.3. Titolo _ 2.4. Ricostruzione Il Satyricon e la tradizione letteraria 3.1. Romanzo - 3.2. Narrativa comica - 3.3. Satira e satira menip- pea - 3.4. Parodia: epica e romanzo Le Metamorfosi di Apuleio 4.1. Composizione e fonti - 4.2. Problemi d'interpretazione Bibliografia Indice degli autori antichi 1 Premessa Omnes enim trahimur et ducimur ad cognitionis et scientiae cupidtatem, in qua excellere pulchrum putamus, labi autem, errare, nescire, decipi et ma- lum et turpem dicimus. [Tutti invero siamo irresistibilmente trascinati dal desiderio di conoscere e di sapere, e reputiamo bel- lo eccellere in questo: invece cadere in fallo, sba- gliare, essere ignoranti, venire ingannati, lo ritenia- mo cattivo e brutto.] Cicerone, Sui doveri, I 6, 1 Quando, nel maggio 1988, usc il volume sulla letteratura greca curato dal sottoscritto ', era stata programmata la pubblicazione in tem- pi brevi di un analogo volume sulla letteratura latina, progettato paralle- lamente per fare quel che si direbbe a buon diritto una coppia davvero classica. Il progetto si realizza con un intervallo di tempo notevolmente superiore ai desideri sia del curatore che dell'editore, per ragioni che non possono non risultare perfettamente comprensibili a chiunque abbia una certa consuetudine con opere collettive ( dove si incontrano con rela- tiva facilit intoppi che modificano e ritardano i piani). Inoltre, un cam- biamento dell'assetto editoriale si imposto per la ricchezza del materia- le costituito dai capitoli sulla civilt letteraria di Roma antica: il previsto volume sulla letteratura latina stato diviso in due tomi presentati sepa- ratamente, la cui distinzione fra i generi della poesia e quelli della prosa ovviamente soltanto di comodo, e non intacca in nulla l'organicit del- l'insieme. , Ripetiamo anche qui che n in questi due volumi sulla letteratura la- tina n in quello parallelo sulla letteratura greca si deve cercare l'ennesi- ma coppia di manuali sulle due grandi letterature classiche dell'antichi- t. Lo scopo stato piuttosto quello di proporre una sintesi della proble- matica fondamentale nel settore coperto da ciascuno dei capitoli: essi non perseguono quindi la completezza dell'informazione n si preoccu- pano con la sistematicit voluta da un manuale delle notizie erudite di base sugli autori e le opere che menzionano. L'appendice bibliografica 1 G. Arrighetti, A. Barchiesi, G. Cambiano, E. Gabba, M.T. Luzzatto, F. Montanari, G. Paduano, R. Pretagostini, Da Omero agli Alessandrini. Problemi e figure della letteratu- ra greca, a cura di Franco Montanari, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1988. 12 LA PROSA LATINA pi 0 meno sviluppata a seconda delle scelte e orientamenti individuali di chi ha scritto il capitolo, e sostituisce del tutto quello che sarebbe un apparato di note e di riferimenti allintemo della trattazione. Scopo di questo libro non quello di offrire una serie cronologica- mente ordinata di medaglioni degli autori, bens quello di proporre una sintesi. Il materiale ripensato e presentato come una galleria di proble- mi, da cui emergano i nodi fondamentali dei quali necessario avere coscienza e sui quali bisogna riflettere per approfondire lo studio, nel- l'ambito della letteratura latina, dei generi della prosa ( il parallelo volu- me sulla poesia latina il pi valido strumento per completare il quadro della civilt letteraria di Roma antica). Invece che a epoche storiche pre- cise e delimitate, i singoli capitoli sono stati allora dedicati alla storiogra- fia, all'oratoria, la retorica e la critica letteraria, alla prosa filosofica, scientifica e epistolografica, al romanzo, considerati ciascuno nell'intero arco della letteratura latina antica, come insieme sistematico e come uni- t problematica, entro la quale vivono sotto una nuova luce figure di classici ancora e sempre irrinunciabili per la cultura moderna: Livio Ci- cerone Petronio Tacito Svetonio Catone Varrone Cesare Sallustio Apu- leio Seneca Quintiliano Plinio e tanti altri; e intorno a loro arricchisce il quadro la folla dei cosiddetti minori, la cui vivacit prende corpo via via che si prosegue nella lettura, ci si addentra nell'atmosfera culturale del mondo romano, si penetra nei valori della civilt antica. Trattandosi di un libro specificamente dedicato al fatto letterario, sa- r superuo dilungarsi su quello che non vi si deve cercare. Il contenuto dei due volumi copre la letteratura latina antica pagana per il periodo che va dalle origini fino al II- III secolo d.C. circa ( la delimitazione cro- nologica, dati gli intenti non sistematicamente manualistici, non del tutto rigida): rimangono dunque esclusi da una parte gli inizi della lette- ratura latina cristiana, dall'altra i secoli della letteratura latina tardoanti- ca. Nessuno dei capitoli ritagliato secondo un'incisione cronologica: tutti considerano unitariamente l'intero insieme dell'arco temporale sud- detto e offrono una considerazione globale della problematica relativa ai generi considerati. Completando questa impresa, come era nei voti di qualche anno fa, non voglio ripetere quello che scrivevo alla fine della premessa al volume sulla letteratura greca gi ricordato: mi limiter a dire che continuo a ritenerlo valido. ' F. M. Antonio La Penna La storiografia 1. Per la preistoria della storiografia latina La storiografia latina nacque dopo la poesia; anzi solo Catone inco- minci a scrivere storia romana in prosa latina: prima di lui, come ve- dremo fra poco, fu usata la prosa greca. La nascita di una narrazione distesa della storia romana fu una novit rilevante nella cultura latina; ma forme documentarie e anche letterarie per far conoscere ai contem- poranei e tramandare ai posteri eventi e uomini del passato esistevano a Roma da secoli: senza di esse nessuna storiografia si sarebbe potuta co- struire; nel grande cambiamento si scorge anche qualche filo di continui- t. La trattazione che ne dar, sar, come per tutto il resto, rapidissi- ma '. La raccolta di annotazioni storiche e di documenti , sin verso la fine del IV sec. a.C., attivit riservata ai pontefici, particolarmente al pontifex maximus: il che vuol dire che riservata all'lite patrizia: solo nel 254 a.C. verr eletto un pontefice massimo plebeo. Attraverso questa carica il patriziato controlla lo svolgimento dell'attivit politica: infatti il pon- tefice massimo che, tenendo conto della tradizione, fissa il calendario an- nuale; controlla anche l'attivit giudiziaria, poich il pontefice detiene anche le formule giuridiche, note a pochi. Anche la storiografia di cui parleremo rientra in questa cultura riservata, segreta. Ma non si deve pensare a una casta sacerdotale, separata dall'lite politica: cariche sa- cerdotali e magistrature politiche non solo sono tenute da uomini della stessa classe, ma dagli stessi uomini. Una casta sacerdotale non ci fu a Roma neppure in et monarchica: sotto questo aspetto la societ romana molto diversa da societ come quella egiziana o indiana. In che consiste l'attivit pontificale che si pu far rientrare nella preistoria della storiografia? Innanzitutto nella compilazione di un ' Resta in gran parte attendibile la trattazione di G. De Sanctis, Storia dei Romani, I. Roma dalle origini alla monarchia, Firenze 19802, pp. 1- 28; un riesame accurato e ponde- rato dei problemi in E. Gabba, Considerazioni sulla tradizione letteraria sulle origini della repubblica, in Les origines de la rpublique romaine, Entretiens de la Fondation Hardt, XIII ( Vandoeuvres- Genve 29 aot- 4 septembre 1966), Genve 1967, pp. 133- 69. Rimando a queste opere per la bibliografia pi importante ( in parte citata anche nella bi- bliografia che dar in seguito). 14 LA PROSA LATINA elenco dei nomi dei principali magistrati anno per anno, a cominciare da quelli i cui nomi servivano per indicare ciascun anno. Noi non sappiamo n quando incominci l'uso di indicare ciascun anno coi nomi dei magi- strati supremi n da quando supremi magistrati eponimi furono i consoli ( invece del praetor maximus o di tribuni militari investiti di imperium); ma questi elenchi, detti, con lo stesso nome del calendario, fasti, che conserviamo in varie redazioni, incominciano dalla cacciata di Tarquinio il Superbo e, pur contenendo inesattezze dovute a errori e falsicazioni ( queste ultime specialmente per i primi anni della repubblica), sono da considerare ricostruzioni attendibili: ci rende probabile che la compila- zione di fasti incominciasse gi nel V sec. a.C. Al tempo di Catone il Censore esisteva il costume che il pontefice massimo alla fine di ogni anno esponesse al pubblico davanti alla sua casa una tabula dealbata ( cio imbiancata) in cui iscriveva gli eventi dell'anno che considerava importanti. Catone, in un passo polemico ( 77 Peter) 2, indicava gli elementi che lui considerava pi futili: i rincari del grano, le eclissi di luna e di sole, i prodigi; ma da qualche altra testimo- nianza ( Servio, Ad Aen. I 373) sappiamo che il pontefice vi annotava i nomi dei consoli e di altri magistrati e tutte le operazioni militari per singulos dies; ed molto probabile che vi fosse anche altro: per es., leg- gi approvate dai comizi, decreti del senato, consacrazione di templi. Gneo Flavio, un liberto del patrizio Appio Claudio Cieco, uomo dotto che faceva da segretario al suo patrono e che nel 304- 303 a.C. divenne edile curule, innalz un tempio alla Concordia e vi appose una tavola di bronzo in cui ne indicava la data: 204 anni dopo la consacrazione del tempio capitolino ( Plinio, N. h. XXXIII 18 s.), che era avvenuta, secon- do la tradizione, sotto il consolato di Giunio Bruto e Orazio, da Flavio collocato, con lieve errore, nel 507 a.C. ( Polibio III 22, 1). Anche am- messo ( ma la cosa incerta) 3 che il nome di Orazio come dedicante fosse indicato in un'iscrizione del tempio capitolino, Flavio avr contato gli anni in base ai fasti: come segretario di un uomo politico potente, avr avuto la` possibilit di consultarli. E tuttavia improbabile che egli li divulgasse 4. E vero che egli, di origini umili e avverso alla nobilitas, di- vulg non poco di quella cultura ufficiale di cui il patriziato intendeva mantenere il monopolio: pubblic lo ius civile, riposto nel pi segreto santuario dei pontefici, ed espose sul foro il calendario ( fastos) in un albo, perch si sapesse quando per legge si poteva agire in giudizio ( Li- vio IX 46, 5); ma qui deve trattarsi del calendario annuale, di grande utilit pratica, non dei fasti consolari. D'altra parte la conoscenza di 2 Non lubet scribere, quod in tabula apud pontificem maximum est, quotiens annona cara, quotiens lunae aut solis lumine caligo aut quid obstiterit. 3 Da Dionigi di Alicarnasso, Ant. Rom. V 35, 3 n` 1v 'vt@ u ow otfito ua tv m- ygatpv ltae Mgno 'Oguo non si ricava con tutta sicurezza che il nome di Orazio fosse nell'iscrizione: egli si assunse il compito della dedicatio e dell'iscrizione, ma quest'ul- tima4poteva anche non contenere il nome del dedicante. Inclina a crederlo K. Hanell, Probleme der rmischen Fasti, in Les origines de la rpublique romaine, cit., p. 184. La storiografia 15 questi fasti, appunto perch non offriva vantaggi pratici, non sar stata difesa come un grande privilegio. Quando incominciasse il costume di esporre la tabula dealbata non sappiamo; supposizione ragionevole, ma non dimostrabile, che inco- minciasse col primo pontefice massimo plebeo, Tiberio Coruncanio, ver- so il 254 a.C. Sappiamo meglio quando n : sotto il pontificato massimo di Publio Mucio Scevola, che va dal 130 al 114 a.C. E probabile che la fine della consuetudine coincida, press'a poco, con la compilazione degli Annales maximi, unopera monumentale in ottanta libri; si supposto che il redattore fosse lo stesso Publio Mucio. Un'opera cos vasta non poteva essere costruita solo su elenchi di nomi e di fatti; certamente era pi ampia dei testi esposti annualmente sulla tabula dealbata. E ipotesi largamente accettata che il redattore ( 0 i redattori) utilizzasse un mate- riale pi ampio conservato nellarchivio del pontefice massimo: il costu- me di conservare tale materiale sar incominciato sin da quando inco- minci la redazione dei fasti, quindi prima che incominciasse il costume di esporre la tabula dealbata, e, per gli anni in cui questo costume vige- va, sar stato pi ricco di quello reso noto nella tabula. Ma gli Annales maximi non si limitavano ai quasi quattro secoli della repubblica: una parte dei libri conteneva la storia della monarchia; e in questa parte le fonti dovevano essere del tutto diverse. Prima di accennare alle questioni riguardanti la storia della monar- chia sar opportuno accennare ad altre fonti a cui i primi storici latini potevano ricorrere. I documenti storici che ci si preoccupava di traman- dare ai posteri erano rari, e di questi non tutti arrivavano alla fine della repubblica; ma ancora nell'et di Cicerone e di Augusto c'era qualche documento risalente no al IV e V sec. a.C. Erano testi di trattati ( foede- ra) con popoli vicini e con Cartagine e testi di leggi: per es., Cicerone ( Pro Balbo 53) dice di aver letto presso i Rostri il testo del oedus Cas- sianum tra Roma e i Latini; alcuni documenti di questo genere sono ci- tati da Dionigi di Alicarnasso. In certi casi i testi erano iscrizioni esposte al pubblico, in fori o templi, in altri casi i documenti erano custoditi in archivi, all'interno di santuari. Per i fasti e i documenti a cui ho accenna- to, si posto il problema se quelli anteriori all'incendio gallico del 390 a.C. potessero essersi conservati dopo l'incendio stesso, che distrusse pa- recchio materiale del genere ( Livio VI 1, 2); qualche volta se lo posero gi gli storici romani ( cfr. Plutarco, Numa 1, 1). Parecchio materiale do- vette essere recuperato subito dopo l'incendio ( Livio VI 1, 10) o rico- struito in altro modo; oggi si tende a credere che quel disastro non inci- se molto sulla conservazione del materiale utile per la storiografia e che non caus lacune irrimediabili. Oltre il materiale rientrante nell'ambito dello Stato esisteva non poco materiale rientrante nell'ambito privato delle famiglie nobili: iscrizioni in casa 0 anche esposte al pubblico, specialmente iscrizioni funebri, che ri- cordavano la carriera politica e specialmente le gesta militari di perso- naggi pi o meno illustri; elogi funebri ( laudationes) pronunciati in oc- casione dei funerali, che venivano talvolta conservati in archivi di fami- glia; pu darsi che eccezionalmente anche orazioni politiche venissero 16 LA PROSA LATINA conservate. Che documenti del genere fossero poco affidabili a causa di esagerazioni e falsificazioni, lo sapevano gi i Romani. Per i secoli anteriori bisogna dare un posto non secondario alle tradi- zioni orali. Per via prevalentemente orale ( anche se la redazione scritta non va esclusa) si tramandarono i carmina convivalia, poemetti epici che venivano cantati, al suono del auto o anche senza accompagnamen- to musicale, nei banchetti 5. E notevole che, secondo Catone ( citato da Cicerone, Brut. 75), a cantarli non erano poeti specializzati, ma i convi- tati stessi, secondo un'usanza che conosciamo presso i Greci; secondo Varrone li cantavano pueri modesti, giovinetti che saranno stati adde- strati a tale funzione; ci si chiede, per, se i testi cantati non dovessero essere stati composti prima da poeti ( ci vale, specialmente, nel caso dei pueri); comunque non conosciamo presso i Latini una produzione epica come quella degli aedi greci o dei bardi celtici. Oggetto di questi carmi- na erano le clarorum virorum laudes. Essi avranno tramandato le leggen- de sulle origini troiane di Roma, la fondazione della citt, i singoli re, episodi successivi come quelli della conquista di Veio, di Virginia, di Co- riolano. Il patrimonio di leggende e di narrazioni pi o meno storiche era molto pi ricco per let monarchica che per i secoli della repubbli- ca. E molto difficile trovare una ragione convincente della differenza: eroi di et pi lontane, re e tiranni, si prestavano di pi alle invenzioni epiche; d'altra parte la documentazione ufficiale esistente per i tempi po- steriori alla monarchia poneva un freno alle deformazioni. Neppure sui re tutto era inventato ( e oggi la rivalutazione, talvolta spericolata, della tradizione sullet regia non si ferma neppure davanti alla leggenda di Romolo). Esistevano poi, al di fuori dell'invenzione epica, tradizioni sul- le origini di leggi, istituzioni, costumi, ed esse non risultavano inattendi- bili, almeno nel risalire no all'et regia; pi dubbia l'attribuzione a questo 0 a quel re ( per le istituzioni religiose primeggia il nome di Numa Pompilio), ma neppure questa va sempre respinta a priori. Anche se le ragioni non sono del tutto chiare, chi voleva narrare la storia di Roma prima delle guerre sannitiche si trovava con materiale pi ricco per l'et monarchica che per il V e IV sec. a.C. A creare questa situazione avranno contribuito alcuni storici greci. Nel V e nel IV sec. a.C. ben pochi degli storici greci si erano occupati di Roma; accenni occasionali erano in Antioco di Siracusa ed Ellanico di Lesbo. Nel III secolo c', in Ieronimo di Cardia e specialmente in Timeo di Tauromenio, un'attenzione pi impegnativa; Timeo si soffermava su Roma in un'ampia opera storica che riguardava i popoli dell'0ccidente e utilizzava tradizioni locali, descriveva religioni \ e costumi, stuzzicava la curiosit con aneddoti, oltre che con leggende. E naturale che l'attenzio- ne per Roma fosse pi viva nella cultura greca della Sicilia; ma i contatti pi antichi con la cultura greca Roma li aveva avuti in Campania, e tali 5 Cicerone, Brut. 75 che cita Catone; Tusc. I 3; IV 3; Varrone ap. Nonium p. 77 M. = 107 s. L.; Orazio, Carm. IV 15, 25 ss.; Valerio Massimo II 1, 10. Per la storia del dibattito relativo sono utili le indicazioni date da M. Barchiesi, Nevio epico, Padova 1962. passi indicati nell'indice sotto carmina convivalia. La storiografia 17 contatti si rinnovarono e arricchirono quando, negli ultimi decenni del sec. IV a.C., i Romani conquistarono quella regione. Elementi di storia romana riguardanti la fine del sec. VI a.C., cio la caduta della monar- chia, si congetturato che fossero narrati in una Cronaca cumana ( Kv- uoim in FGrHist 576), forse scritta fra IV e III sec. a.C. 6. A proposito di Romolo Plutarco ( Rom. 2, 3- 8) cita un certo Diocle di Pepareto, di cui non si conosce l'epoca ( ovviamente anteriore a Plutarco). Un apporto greco ci fu nell'elaborazione delle leggende romane, so- prattutto di quelle sulle origini troiane e sui re, ma impossibile fissame la misura. lo inclinerei a credere che fosse piuttosto tenue: gli scrittori greci, pi che inventare, raccoglievano tradizioni locali, che, trasmesse prevalentemente per via orale, gli annalisti romani potevano conoscere, a Roma e nel Lazio, direttamente; la configurazione delle leggende romane secondo miti greci fu esagerata in altri tempi ( per es., da Ettore Pais, che la ritrovava anche in parecchie tradizioni storiche), ma si riduce a ben poco; i nomi leggendari generalmente non sono grecizzati ( altra cosa l'analogia dei miti romani con altri miti indoeuropei oppure orientali, analogia da spiegare per altre vie e anch'essa, comunque, forzata oltre ogni misura, per es. nelle grandi costruzioni trinitarie di G. Dumzil). D'altra parte va tenuto conto di un'altra possibile inuenza greca che si collocherebbe pi a monte: possibile che i Romani, nell'elaborare le proprie leggende, subissero qualche inuenza dei miti greci: ci natu- rale, poich rimonta molto indietro l'influenza della religione greca su quella etrusca e su quella latina; persino nelle XII Tavole alcuni scorgo- no qualche traccia di leggi attiche; ma, insomma, i creatori delle leggen- de romane dovettero essere i Romani stessi. Per capire la storiografia necessario tener conto, ancora pi che nel caso delle altre manifestazioni letterarie, dei caratteri e della storia della civitas romana. Innanzitutto la civitas che costituisce l'orizzonte per lo storico romano, molto pi che la polis per gli storici greci: lo storico romano, specialmente all'inizio ( ma ci vale ampiamente anche in segui- to), guarda all'esterno quasi solo in funzione di Roma. La tradizione mi- tica e storica, pi che al diletto dell'immaginazione ( che non , tuttavia, da trascurare), mira a tener saldi i valori su cui si fonda la morale della citt e senza i quali la citt sarebbe esposta alla corruzione: impegno nella vita pubblica, dedizione alla comunit, valore in guerra fino al sa- crificio della vita, giustizia, parsimonia, concordia. Il potere nelle mani di una nobilitas ( dapprima patrizia, poi, dal IV secolo in poi, patrizia e plebea), che cerca di mantenere una certa eguaglianza al suo interno: quindi lotta contro le aspirazioni alla supremazia politica, esecrazione del regnum e della tirannia. Dall'altro lato la nobilt deve difendersi con- tro le aspirazioni di ceti pi poveri, che potrebbero mettere in questione il suo predominio economico ( fondato sulla propriet terriera), presup- posto fondamentale del potere politico. Questa etica va tenuta presente, almeno nei suoi tratti essenziali, perch gi prima dell'annalistica le tra- Cfr. A. Alfldi, Early Rome and the Latins, Leiden s.d. ( ma 1965), pp. 59 ss.; 70 s. 18 LA PROSA LATINA dizioni mitiche e storiche hanno elaborato dei modelli etici, come Numa, Camillo, Cincinnato, Curio Dentato, Fabrizio, che resteranno punti di ri- ferimento indiscussi nella cultura latina. 2. La nascita della storiografia latina A dare inizio alla storiografia latina ( se non in latino) fu Fabio Pitto- re, uomo politico non di primo piano, ma appartenente alla nobilt pa- trizia. La collocazione sociale va sottolineata, perch la provenienza dal- l'lite politica prevalente fra gli storici latini e ne costituisce una carat- teristica che ha indotto talora interpreti recenti a sopraw alutare limpor- tanza della loro esperienza politica e militare 7. Netta , almeno prima di Lucilio, la differenza dai poeti, che sono liberti o nati liberi, ma in mo- desta condizione: i nobili proteggono i poeti, ma non scrivono poesia. La loro attivit culturale si concentra sull'oratoria, che indispensabile per l'attivit politica quale si svolge a Roma. La posizione sociale trova ana- logia in quella del giureconsulto: anche i giureconsulti provengono, fin verso la met del I sec. a.C., dalla nobilitas: una professione nobiliare che pu conferire molto prestigio ( auctoritas) a chi la esercita 8. Sia la storiografia sia la giurisprudenza sono in origine attivit riservate ai pon- teci: poich restano all'interno della nobilitas, si pu parlare di conti- nuit; ma la laicizzazione delle due discipline ( per la giurisprudenza la prima fase importante segnata da Gneo Flavio, certamente ispirato dal suo patrono Appio Claudio Cieco) segna pur sempre rotture decisive nel corso della cultura romana arcaica. E utile notare che la prima opera scritta di giurisprudenza, i Tripertita, si deve a un contemporaneo di Fa- bio Pittore, Sesto Elio, amico di Scipione l'Africano, console nel 198 a.C. La scelta del greco come lingua per l'opera storica non del tutto sorprendente, ma tuttavia difcile darne una spiegazione certa. Le spiegazioni affacciate sono due. La prima che la cultura latina non ave- va ancora una prosa letteraria e che passare dalla secca e rozza cronaca a una narrazione lucida e attraente sembr un salto troppo arduo. E spiegazione ragionevole: anche nella giurisprudenza, come abbiamo visto poco fa, la prosa scritta nacque tardi; probabilmente sul ritardo inu la mancanza di un appoggio nella prosa greca, che non aveva una letteratu- ra giuridica rilevante. Se, d'altra parte, si pensa ai grandi passi avanti gi fatti, e rapidamente, nell'elaborazione di una poesia latina, potr appari- re pi convincente l'altra spiegazione: Fabio ci teneva a rivolgersi a po- poli stranieri, greci e cartaginesi, impegnandosi polemicamente contro 7 Cfr. A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, Torino 19832, pp. 43 ss. 3 Cfr. M. Bretone, Storia del diritto romano, Bari 1987, pp. 153 ss., e la bibliografia ivi citata, spec. il noto libro di W. Kunkel, Herkunt und soziale Stellung der rmischen Iuristen, Graz- Wien- Kln 19672. Sorprende che il Bretone non accenni all'analogia con la storiografia. La storiografia 19 storici greci, in particolare Filino, nell'interpretazione delle guerre puni- che: un romano scriveva per la prima volta una giustificazione dell'impe- ro, e scriveva in greco rivolgendosi a destinatari che non avrebbero potu- to leggere il latino. Era implicito il riconoscimento, molto importante an- che per il futuro, che il greco era l'unica lingua letteraria internazionale. Se questa spiegazione fosse giusta, non sarebbe da sottovalutare la novi- t di uno scrittore latino che si rivolge a un pubblico internazionale. Non sorprenderebbe, invece, l'impegno politico, che sar frequente e cos forte nella storiografia latina, comprensibile in un uomo che aveva partecipato direttamente, sia pure senza avervi un grande ruolo, agli ulti- mi avvenimenti narrati, cio a quelli della seconda guerra punica. E pro- babile che elementi autobiograci apparissero nella narrazione, e questo un altro aspetto rilevante della storiografia latina in quanto espressione diretta dell lite politica; ma vale la pena di notare che Nevio ( non nobi- le) nel Bellum Poenicum narrava una guerra a cui lui stesso aveva parte- cipato: come gli accenni autobiograci di Ennio negli Annales, il riferi- mento si collega a una tradizione diversa, risalente a scrittori greci. Da Livio ( XXII 57, 5) sappiamo che dopo il disastro di Canne, quando la citt si sentiva colpita dall'ira divina e cercava modi per placarla, Fabio Pittore fu mandato a consultare l'oracolo di Delfi per chiedere con qua- li preghiere e sacrifici ( i Romani) potessero placare gli di e quale termi- ne vi sarebbe stato a s gravi sventure . Dovette essere scelto per la sua buona conoscenza della cultura greca. Il racconto del ritomo di Fabio da Delfi narrato da Livio ( XXIII 11, 1- 6) in modo non sbrigativo. Il re- sponso di Apollo delfico, che Fabio rifer a Roma, in parte riassunto, in parte tradotto nella lingua religiosa latina. Egli raccont che, uscito dal tempio, aveva immediatamente sacricato con vino e incenso alle di- vinit indicate dall'oracolo. Nel tempio era entrato con una corona di alloro sul capo; all'uscita aveva ricevuto dall'antistes del tempio lordine di non deporre la corona fino a che fosse tomato a Roma; al ritorno la depose a Roma su un altare di Apollo. Nel racconto faceva osservare che egli aveva seguito tutte le raccomandazioni cum summa religione ac dili- gentia. Si giustamente congetturato che il racconto proviene dall'opera stessa di Fabio. Doveva risultare da Fabio stesso la sua partecipazione alla guerra contro i Galli del 225 a.C. ( fr. 23 P. da Orosio, forse risalen- tc a Livio); un episodio in cui una rondine viene usata per trasmettere un messaggio, un fatto a lui accaduto durante l'assedio di un presidio romano da parte dei Liguri ( forse nel 223 a.C.). Dell'economia dell'opera non si pu giudicare, in base ai frammenti, se non con molte riserve. In alcune citazioni latine compare il titolo an- nales ( fr. 3 P. da Cicerone; fr. 27 da Plinio il Vecchio). L'impostazione annalistica era un forte elemento di continuit con la cronaca pontificale. Al racconto anno per anno inducevano molte condizioni: le operazioni militari erano interrotte, o fortemente rallentate, d'inverno, ma questa non era condizione particolare dei Romani; per i Romani una spinta de- cisiva era nella durata annuale della massima parte delle magistrature. Ma dai frammenti non possiamo giudicare in che misura la divisione del racconto per anni fosse seguita: probabile che fosse ben osservata nel 20 LA I RosA LATINA racconto delle guerre puniche. Certamente non serviva in tutta la parte riguardante la leggenda di Enea, la leggenda di Romolo e la fondazione di Roma, la storia della monarchia, parte che doveva essere relativamen- te ampia. La fondazione di Roma in tradizioni correnti, seguite da Nevio ed Ennio, non era molto lontana dalla morte di Enea: Ilia, la madre di Romolo, era figlia dell'eroe troiano. Fabio Pittore, poich sapeva che la distruzione di Troia era molto anteriore alla fondazione di Roma, mette- va fra Enea e Romolo una lunga serie di re di Albalonga ( fr. 5* * P.): forse questa cronologia meno deformata gli era suggerita da autori greci. Fabio narrava la famosa storia di Coriolano ( fr. 17 P.), ma niente trovia- mo nei frammenti no alle guerre sannitiche. Pu darsi che sul V e il IV sec. la narrazione si riducesse a poco: lo induce a credere l'analogia, che poi noteremo, con altri annalisti, mentre poco rilevante l'analogia con Nevio, probabilmente di poco precedente: Nevio scriveva sulla prima guerra punica e l'archeologia era inserita come spiegazione della mor- tale inimicizia fra Roma e Cartagine: non c'era bisogno di narrare la sto- ria intermedia. La testimonianza di Dionigi di Alicarnasso ( Ant. Rom. I 6, 2), secondo cui Fabio e Cincio Alimento narravano dettagliatamente i fatti che conoscevano per esperienza, i fatti contemporanei, ma somma- riamente gli eventi antichi, successivi alla fondazione della citt, non riesce molto chiara: a rigore la parte trattata sommariamente compren- derebbe anche i re successivi a Romolo ( mi pare assurdo comprendere nel termine uno spazio di due o tre secoli). Certamente gi la cronaca pontificale metteva in primo piano le ope- razioni militari e gli affari di Stato: ci costituiva una condizione favore- vole al futuro incontro con la storiografia pragmatica greca; in Fabio, per, si nota una forte attenzione per costumi religiosi e d'altro genere. Un brano ampio e impegnativo era dedicato alla prima istituzione, nel 490 a.C., e ai riti dei ludi Latini; Dionigi di Alicarnasso ( VII 71- 72 = fr. 16 P.) ci ha conservato la descrizione minutissima della processione. Probabilmente l'attaccamento romano ai riti nei loro minimi particolari, che ritroviamo in tanti testi latini ( compresa l'Eneide), si univa a un vivo piacere della descrizione. Ci conservato qualche altro accenno alla sto- ria della cultura e dei costumi: l'origine dell'alfabeto ( fr. 1 P.); il nascere nei Romani dell'interesse per la ricchezza al contatto con i Sanniti ( fr. 20 P.); la menzione della matrona condannata a morire di fame, perch si era impadronita delle chiavi della cantina custodite sotto sigillo ( fr. 27 P.). I due ultimi frammenti fanno supporre riessioni sui mutamenti e la decadenza dei costumi: siamo molto vicini al tempo di Catone. Interessi di questo tipo possono essere nati all'interno della cultura latina, ma non si pu escludere l'influenza, da alcuni ipotizzata, del greco Timeo. Non c' ragione di non credere che la comunit, la civitas, rimanesse al centro dell'interesse di Fabio; in che misura emergesse linteresse gen- tilizio, inducendolo a dar rilievo eccessivo alla gens Fabia o a deformare qualche notizia per esaltarla, non possiamo vedere dai frammenti, ma la tendenziosit gentilizia stata congetturata in base a versioni del raccon- to storico che si fanno risalire a lui. Le indicazioni singole sono sempre discutibili, ma, data l'importanza che gentes e famiglie avevano nella so- La storiografia 21 ciet romana, dominata da una nobilt, data la presenza di deformazioni analoghe in annalisti posteriori, la congettura , nell'insieme, probabile. Fabio costitu un esempio autorevole, che alcuni storici seguirono, continuando a scrivere in greco. Lucio Cincio Alimento era, press'a po- co, suo coetaneo; aveva partecipato anche lui alla seconda guerra puni- ca, e vi aveva fatto esperienze dure, ma forse utili per il lavoro di stori- co: era stato, infatti, prigioniero di Annibale ( lo riferiva lui stesso nell'o- pera: fr. 7 P., da Livio XXI 38, 2). Pi giovani erano Caio Acilo e Aulo Postumio Albino, che, come Catone, vissero fin verso la met del II sec. a.C. Appartenevano tutti all'lite senatoria, anche se non erano uomini politici importanti. Da una notizia dataci da Cicerone ( Brut. 77) pare che anche il figlio dell'Africano maggiore e padre adottivo dell'Africano minore scrisse una storia in greco, in stile particolarmente gradevole ( dulcissime); Postumio, per, sentiva di non possedere bene quella lin- gua straniera e all'inizio dell'opera chiedeva scusa per eventuali errori. Era segno di un imbarazzo e di una crisi. Gellio ( XI 8, 2), che ci riferisce questa notizia su Postumio, ci riferi- sce anche l'attacco arguto di Catone contro di lui ( ibid. 4): General- mente si chiede scusa quando si errato per impreveggenza o si pecca- to per costrizione; ma nel tuo caso, dimmi, ti prego, chi ti ha costretto a commettere un errore per il quale hai chiesto perdono prima di commet- terlo'? 9. Catone ( 234- 149 a.C.) scrisse la sua opera storica ( Origines) in latino, e in una prosa di vigorosa originalit. Era di nuovo un senatore a scrivere storia, anzi, questa volta, un uo- mo politico di primo piano: in questo senso Catone un caso unico: avremo parecchi altri storici senatori, ma nessuno dell'importanza di Ca- tone. Il posto che egli d all'attivit storiografica, come a ogni altra atti- vit letteraria ( esclusa l'oratoria), era secondario: essa non rientra nei negotia dell'uomo politico, bens nei suoi intervalli di otium; per anche del suo otium l'uomo politico di prestigio deve poter rendere conto: scri- veva all'inizio delle Origines: Ho ritenuto sempre principio splendido ed eccelso che gli uomini illustri e grandi debbono lasciare il conto del loro ozio non meno che della loro attivit politica ( fr. 2 P.) ' . In questa concezione l'et migliore per la storiografia la vecchiaia, quando l'atti- vit politica ridotta o abbandonata; da Cornelio Nepote ( Cat. 3) sap- piamo che Catone scrisse, appunto, da vecchio la sua opera storica. For- se era vecchio anche Fabio Pittore, quando, probabilmente dopo la se- conda guerra punica e dopo Nevio, scrisse i suoi annali; un'analogia pi o meno stretta si ritrover in Sallustio, Asinio Pollione, Tacito. Catone un homo novus, cio un uomo politico entrato nel senato e arrivato alle alte cariche pur provenendo da una famiglia che non aveva dato altri personaggi del genere; in una repubblica aristocratica come 9 Nam petere veniam solemus, aut cum imprudentes erravimus aut cum compulsi peccavimus. Tibi, oro te, quis perpulit ut id committeres quod, priusquam faceres, peteres ut ignosceretur? ' Semper magnificum et praeclarum putavi, clarorum hom num atque magnorum non minus otii quam negotii rationem exstare oportere. 22 LA I RosA LATINA quella romana era molto difcile aprirsi una tale strada, ma le stragi di senatori nella seconda guerra punica avevano creato, per il momento, una situazione meno sfavorevole. L'homo novus non aveva antenati da valorizzare e polemizz contro quelli che lo facevano; la lotta si univa a quella che egli conduceva contro i personaggi carismatici emergenti, in- nanzi tutto Scipione l'Africano. Non mirava minimamente a sostituire o riformare sul piano costituzionale il potere della nobilitas, ma voleva renderla meno chiusa agli uomini di talento provenienti dal ceto dei pro- prietari, rinsanguarla, rinnovarla moralmente e, soprattutto, mantenerla in una omogeneit paritaria, che non lasciasse spazio a un potere perso- nale schiacciante. Fu polemista efficace, tagliente, accanito, ma cedeva scarsamente a meschinit personali; egli partiva da una concezione se- condo cui la grandezza romana era frutto non dell'opera di singole per- sonalit eccezionali, miracolose, ma dell'opera costante, continuativa di generazioni di cittadini energici e disciplinati: la concezione a cui si dato talvolta, non senza buone ragioni, il nome di storicismo romano. Sinquadra in essa la strana e nota norma, da lui seguita, di indicare i capi con i loro titoli ufficiali invece che con i loro nomi, di far risaltare azioni di combattenti umili o, persino, di un valoroso elefante ( fr. 88 P.). Altra novit dell'opera era nell'ampliamento dell'orizzonte, amplia- mento che non portava, per, a mettere in questione la centralit di Ro- ma. La novit indicata gi dalla diversit del titolo: Origines, non an- nales o bistoriae. Il titolo, a rigore, calzava solo per i primi tre dei sette libri, quelli, cio, in cui erano illustrate le origini di Roma ( libro I) e le origini delle citt d'Italia ( II e III); ci non dimostra che il disegno origi- nario dell'opera fosse ristretto a questi limiti: gi i Greci talvolta aveva- no intitolato un'opera intera dal tema iniziale ( esempio famoso l'Anabasi di Senofonte). Interessi per l'etnografia, i costumi, i caratteri di popoli anche fuori d'Italia affiorano in modo vivace e non troppo marginale; si supposto giustamente che uno stimolo provenga da Timeo, la cui pre- senza in Catone meno incerta che in Fabio Pittore; ma sarebbe arri- schiato pensare che tali interessi rientrassero, come in Erodoto 0 Timeo, in una ricerca scientifica autonoma, non ancorata alla narrazione della storia di Roma, al di fuori di un orizzonte romano. Comunque nato anche nella storiografia latina un filone di ricerca che sar duraturo, bench mai preminente. Degli altri quattro libri il IV narrava la prima guerra punica e parte della seconda, almeno fino a Canne; il libro V andava dalla seconda guerra punica almeno no al 167 a.C.; il VI e il VII comprendevano gli altri eventi politici sino alla campagna del pretore Servio Galba contro i Lusitani, del 149 a.C.: dunque Catone, con mirabile impegno, continu lopera fino a pochi mesi prima della morte. A giudicare da questo indi- ce anche Catone dava ben poco spazio agli avvenimenti del V e del IV secolo, che rimanevano, a parte linizio e le guerre sannitiche, secoli qua- si vuoti. Evidente anche la relativa preminenza della storia recente: due libri per l'ultimo ventennio circa. Anche questa caratteristica sar frequente nella storiografia latina ( era notevole, del resto, gi nella sto- riografia greca): ci si spiega da un lato con la politicizzazione della sto- La storiografia 23 riografia, dall'altro con la forte curiosit del pubblico per la storia pi recente ( non c'erano i giornali per seguirla da vicino, e i rapporti ufficia- li che i capi militari mandavano al senato non erano allora diffusi fra il pubblico). Verso la fine dell'opera Catone inser l'orazione con cui poco prima aveva denunziato le rapine di Servio Galba in Lusitania; almeno un'altra sua orazione aveva inserita nel libro V, quella tenuta nel 167 a.C. in difesa degli abitanti di Rodi, che erano stati accusati di tradimento verso Roma durante l'ultima guerra macedonica. Varie le ragioni che possono avere indotto lo storico a un tale procedimento. Certamente, la narrazio- ne degli eventi a cui l'autore aveva partecipato era un'apologia dell'auto- re stesso. L'uomo non era privo di vanit, che mai, per, riusciva ridico- la; ma soprattutto era un energico e instancabile combattente che difen- deva certi ideali e copriva di vergogna e di ridicolo molta parte della realt contemporanea, che contrastava con quegli ideali. Non mancano storici greci confrontabili, come Teopompo; nella storiografia latina l'im- pegno polemico sar frequente, forse mai, per, cos aperto come in Ca- tone. Un'altra ragione evidente la consuetudine degli storici greci, in cui le orazioni erano spesso dei pezzi forti. Queste spinte, per, non sa- rebbero bastate se anche Roma non fosse stata una polis ricca di dibatti- ti politici e giudiziari, una citt, quindi, in cui l'oratoria contava molto. La nobilitas governava cercando il consenso degli altri ceti e metteva l'arma della parola solo dopo la spada; l'uomo politico ideale era buon capo di eserciti e oratore autorevole. L'impegno polemico certamente non trascurava la questione dei mu- tamenti e della degenerazione dei costumi, questione diventata acuta do- po l a seconda guerra punica; alcuni frammenti, per es. ( 113- 115 P., nel libro VII), si riferiscono all'abbigliamento delle donne. Possiamo, dun- que, affermare che con Catone prende posto nella storiografia latina una tematica da cui non si liberer mai e che ne costituisce una caratteristi- ca, la coscienza della crisi e della decadenza. La visione dell'uomo politi- co romano come uomo sicuro del suo potere una visione parziale: egli gravis, ma intimamente inquieto. La lunga esperienza di Catone come oratore non bastava a farne un buon scrittore di storia, ma certo gli giovava molto per diventarlo. Della sua prosa narrativa conosciamo poco, giacch solo una parte minore dei frammenti fatta di citazioni letterali ( nella maggior parte si riferisce il contenuto o si d una parafrasi); ma quel poco che conosciamo d l'im- pressione di un prosatore originale e sicuro di s. Il pezzo pi lungo la narrazione dell'episodio del valoroso tribunus militum Quinto Cedicio ( fr. 83 P.), riferito da Gellio ( III 7). Purtroppo Gellio cita alla lettera solo lelogio del tribuno che Catone d alla fine, mentre parafrasa la nar- razione vera e propria; ma anche la narrazione sembra conservare molto del ritmo sintattico dell'originale. Il racconto di una grande nitidezza e vivacit ( quest'ultima ottenuta anche grazie al riferimento delle battute dialogiche); la sintassi prevalentemente paratattica, come appare anche da alcune citazioni letterali, ma Catone non ha impacci nel ricorso alla ipotassi, generalmente moderata ( si tratta per lo pi di proposizioni rela- 24 LA PROSA LATINA tive, temporali, ipotetiche), talvolta anche complicata. La secchezza della cronaca ( per es., nel fr. 58 P.) obbedisce, come in Nevio, a una scelta deliberata, perch si sente il bisogno di conservare il colore della tradi- zione annalistica; ma Catone aveva anche descrizioni fiorenti di aggettivi ( per es., quella dell'Ebro, fr. 110 P. magnus atque pulcher, pisculentus; cfr. anche fr. 97 P.), caratterizzazioni di popoli incisive e drastiche ( fr. 31 P. sui Liguri; 34 P. sui Galli); la potenza drastica degli aggettivi di Catone si pu ammirare anche in certi particolari in apparenza trascura- bili: per es., in fr. 65 P. in navis putdas atque sentinosas. Non mancava qualche aneddoto divertente e istruttivo: dal fr. 72 P. appare che egli riferiva dettagliatamente, non sappiamo a che proposito, la favola esopi- ca, gi nota a Stesicoro e ad Aristotele, del cavallo che diventa schiavo dell'uomo per combattere il cervo. L'ammirevole vena satirica dell'orato- re non mancava nello storico. Superando la prosa pontificale, scartando- ne alcuni interessi, ma senza negare del tutto la validit di quella tradi- zione, imparando qualche cosa dai Greci alla cui vanagloria voleva con- trapporsi ( si ricordi il confronto dell'episodio di Cedicio, cos poco noto, con quello di Leonida spartano, tanto esaltato), Catone iniziava con ro- busta sicurezza la storiografia in latino, dando una prova che mai i po- steri avrebbero osato disprezzare. 3. La storiografia latina nell'et di Lucilio Dopo Catone l'uso del latino per la storiografia diviene corrente; un suo contemporaneo pi giovane, Lucio Cassio Hemina, del quale non si sa quasi niente ( viveva ancora nel 146 a.C.), scrive annali in latino, di cui sono citati quattro libri ( probabilmente non ne scrisse altri). Lo spa- zio di tempo coperto il solito, dalla leggenda di Enea e dall'antichissi- mo Lazio fino ai tempi dell'autore. Notevoli sono alcune interpretazioni evemeristiche: Saturno era un uomo ( fr. 1 P.), Fauno era un indovino proclamato dio da Evandro ( fr. 4 P.). Naturalmente l'evemerismo prove- niva dalla cultura greca; che un intellettuale romano ne accogliesse qual- che elemento, poteva suscitare scandalo ancora quasi un secolo dopo; il caso pu collegarsi ad altre infiltrazioni di razionalismo nell'interpreta- zione di religione e miti che noteremo in seguito. Tradizioni su fondazio- ni di citt sono presenti in Cassio I- lemina ( frr. 2- 3 P.) come in Catone; dura anche l'interesse di Fabio Pittore per religione e riti. Spiegava ( fr. 20 P.) perch furono dichiarati dies atri i giorni posteriori alle calende, alle none e alle idi ( dies postriduani); descriveva i riti della Magna Ma- ter, accompagnati da canti e musiche strane ( fr. 27 P.); si occupava con impegno dei libri attribuiti a Numa, scoperti nel 181 a.C. e poi bruciati come pericolosi alla religione ( fr. 37 P.). Era attento alla storia dei co- stumi e delle istituzioni: non gli sfugg la prima occasione in cui vennero armati i proletarii ( durante la guerra con Taranto) ( fr. 21 P.); not la prima introduzione, nel 219 a.C., di un medico a Roma ( fr. 26 P.), il greco Arcagato, che esercit la chirurgia come un carnefice. Curiosit del genere, tutt'altro che futili, sono vive nell'annalistica del II sec. a.C. La storiografia 25 Affine a Cassio Hemina per glinteressi fu il suo contemporaneo Gneo Gellio, di cui sappiamo altrettanto poco ( forse il Gellio contro cui Catone tenne nel 149 a.C. un'orazione nella quale difendeva un certo Lucio Turio). Ci sono conservati alcuni frammenti ( frr. 2- 6 P.) sugli in- ventori delle varie arti, la scrittura, le misure, larchitettura, lo scavo e la lavorazione dei metalli; ci d la singolare notizia che Toxius, figlio del Cielo, invent la fabbricazione di case col fango ispirandosi ai nidi delle rondini ( fr. 4 P.). Le leggende sull'origine di Roma, le tradizioni sull'ori- gine di popoli e citt, di istituzioni romane, la storia della monarchia occupavano i primi tre libri. Ci che caratterizza gli Annales di Gellio e costituisce una novit rilevante, la straordinaria ampiezza. Il IV libro arrivava almeno fino al 490 a.C. ( anche Gellio si occupava dell'istituzio- ne dei ludi Latini: fr. 21 P.); il fr. 25 P., sui dies postriduani dichiarati dies atri, che si riferisce al 385 a.C., citato da Macrobio come apparte- nente al libro XV; il fr. 26 P., da riferire probabilmente, col Peter, a un episodio del 216 a.C., citato dal grammatico Carisio come appartenen- te al libro XXXIII; lo stesso Carisio cita un passo del libro XCVII ( fr. 29 P.). Non c' ragione di dubitare di queste cifre tramandateci, che so- no abbastanza coerenti fra loro. Anche in Gellio, dunque, la storia con- temporanea aveva unampiezza relativamente straordinaria: una quaran- tina di libri fino alla seconda guerra punica, una cinquantina per lultimo mezzo secolo circa; ma colpisce di pi la considerazione che il vuoto del V e IV sec. a.C. doveva essere stato colmato: la storia del V sec. occupa- va una decina di libri. Si pu congetturare che Gellio si avvantaggiasse della pubblicazione degli Annales Maximi. Si pu congetturare, inoltre, che egli fosse gi uno storico di tipo diverso: non impegnato nell'attivit politica, egli dovette dedicarsi completamente alla stesura della vasta opera, ricca di erudizione, ma povera, probabilmente, di senso critico. L'ampiezza dell'opera di Gellio restava eccezionale in questo secolo; in confronto gli Annales di Lucio Calpurnio Pisone Frugi, in sette libri ( 0, tutt'al pi, otto), sono un'opera modesta: il I libro arrivava fino alla fine della monarchia, il II si fermava forse prima delle guerre sannitiche; il VII comprendeva avvenimenti contemporanei all'autore. Pisone uno storico senatore dimpronta catoniana; pur non avendo la statura di Ca- tone, un uomo politico impegnato, combattivo: tribuno della plebe nel 149 a.C., console nel 133 e incaricato di reprimere la rivolta degli schia- vi in Sicilia, si oppose decisamente ai Gracchi ed esercit infine, come Catone, la censura. Forse anche lui si dedic alla storiografia da vecchio, una volta concluso il suo cursus honorum. L'Italia non pare averlo inte- ressato molto ( cfr., tuttavia, i frr. 1 e 41 P.), ma di leggende romane si occupa con impegno critico; anche lui attento all'origine di istituzioni, riti, costumi; dibatteva problemi di cronologia. L'austero censore, che ebbe l'appellativo di Frugi per le sue virt, ereditava da Catone la preoc- cupazione per la decadenza morale; per es., si lamentava ( fr. 40 P.) della lussuria dei giovani del suo tempo: adulescentes peni deditos esse: si esprime con la drasticit di Catone, che si ritrover qualche volta in Sal- lustio. L'austerit produce per lo pi opere noiose; ma dai frammenti non pare che la gravitas aduggiasse troppo gli Annales di Pisone: gli pia- 26 LA PRosA LATINA ceva evocare con vivacit episodi, riferire motti arguti. Una volta Romo- lo, invitato a cena, bevve poco vino, perch l'indomani aveva da sbrigare un affare importante; gli ospiti gli fanno osservare che, se tutti bevessero come lui, il prezzo del vino cadrebbe: e Romolo: anzi rincarer se cia- scuno berr quanto vorr: io ho bevuto quanto ho voluto ( fr. 8 P.). Evocazioni aneddotiche nitide e vivaci sono quella di Gneo Flavio nei suoi contrasti con i nobili, che lo disprezzavano per le sue basse origini ( fr. 27 P.), e quella di Caio Furio Cresimo, che, grazie alla sua laboriosi- t ( il cognome datogli doveva riferirsi a questa sua virt), si era arricchi- to su un campicello e aveva per questo suscitato invidie e sospetti di magia ( fr. 33 P.): citato in giudizio dall'edile curule, si present nel foro con i suoi strumenti agricoli e i buoi ben pasciuti: Ecco, o Quiriti, i miei filtri magici, disse: le fatiche del mio cervello, le veglie, i sudori non posso mostrarveli, n portarli sul foro . Cresimo doveva essere un modello offerto ai Quiriti, un esempio preso dai tempi in cui i piccoli agricoltori avevano dato a Roma benessere senza lusso, costumi integri e gloria in guerra. E notevole ( e non so se sia stato notato) il trattamento molto benevolo che il senatore Pisone riserva a due liberti, Gneo Flavio e Cresimo. Difficilmente ci casuale, ma anche difcile ricavarne un significato: forse apertura agli homines novi energici e probi, anche se di origine servile, non inconciliabile col rifiuto di programmi graccani; for- se un ammonimento per i Romani ignavi del suo tempo, che non manca- vano nella nobilt. La tendenza potrebbe inquadrarsi nel suo catonismo. A proposito dell'aneddoto su Romolo, Gellio notava ( XI 14) che simpli- cissima suavitate et rei et orationis L. Piso Frugi usus est; anche tenuto conto della predilezione di Gellio per questi scrittori arcaici, il giudizio non pare gratuito: Pisone dimostrava talvolta qualit di scrittore sempli- ce, nitido e non privo di colore. Sempre all'lite politica appartengono Quinto Fabio Massimo Servi- liano, un po' pi vecchio di Pisone, console del 142 a.C., che combatte in Spagna contro Viriato, e Caio Sempronio Tuditano, console del 129, che ottenne il trionfo per la vittoria sugli lapidi, una popolazione illirica. Degli Annales o Historiae di Fabio Massimo ci restano tre o quattro frammenti. Non molto pi precisa l'idea che possiamo farci di Sempro- nio Tuditano; non conosciamo neppure l'ampiezza della sua opera di storia: l'indicazione del libro XIII, che compare in una citazione di Gel- lio ( XIII 15, 4), potrebbe riferirsi a una sua opera di antiquaria, i magi- stratuum libri ( cio una trattazione sulle magistrature). Se le due opere si debbano distinguere o siano una sola, questione dibattuta; per l'uni- ficazione non sono mancati pareri autorevoli . Tuttavia, frammenti co- me quello sugli Aborigeni ( fr. 1 P.), ricavato da Dionigi, e quello sui Soprattutto quello di C. Cichorius, Untersuchungen zu Lucilius, Leipzig 1908 ( rist. Berlin 1964), p. 183; per la divisione buoni argomenti in H. Bardon, La littrature latine inconnue, I, Klincksieck, Paris 1952, pp. 105 s. Anche il fr. 6 P., sull'enorme bottino di guerra di Tito' Quinzio Flaminino, proviene da un'opera storica; ma per una corruzione del testo di Plutarco, da cui il fr. ricavato, l'attribuzione a Tuditano non sicura, anche se parecchio probabile. La storiografia 27 supplizi subiti da Attilio Regolo ( fr. 5 P.) si collocano male in un'opera sulle magistrature; invece probabile che di origine e storia delle istitu- zioni Sempronio trattasse anche in un'opera storica: la collocazione in Annales da parte del Peter del fr. 2, sull'origine delle nundinae, e del fr. 4 sul numero dei tribuni della plebe non arbitraria; tuttavia, per questi frammenti i dubbi restano, anche perch n in questi casi n in altri vie- ne citato il titolo di un'opera storica di Sempronio Tuditano. Comunque l'unione di storiografia e di interessi per la storia delle istituzioni e, pi in generale, per l'antiquaria non stupisce nel quadro della storiografia del II sec. a.C. e specialmente dell'et graccana. Nella seconda met del secolo gli studi su origine e storia delle magistrature progrediscono; congettura probabile che a proposito della storia del calendario si accen- desse una polemica fra Sempronio e Marco Giunio Graccano ( forse identico con Giunio Congo), autore di un'opera de potestatibus _ Sempronio, come Pisone, era antigraccano. Di questo orientamento politico non scorgiamo traccia nei frammenti, il che non stupisce: troppo poco ci resta ( anzi, nel caso di Sempronio, pochissimo), e non sappiamo neppure se il testo arrivasse al tempo dei Gracchi. Vi arrivava, invece, e delle lotte dei Gracchi trattava ampiamente, e con profondo impegno, uno storico pi giovane, Caio Fannio, legato ai due fratelli e specialmen- te a Tiberio. Sull'identit di questo scrittore v'era una disputa intricata gi al tempo di Cicerone ( cfr. il fr. 9 P.). Lo storico Caio Fannio sicura- mente era amico di Tiberio Gracco e combatte insieme con lui nella ter- za guerra punica; ma va egli identificato col Caio Fannio oratore, genero di Lelio ( e poco amato dal suocero), console nel 122 a.C. con l'appoggio di Caio Gracco, ma rivoltatosi contro la sua politica? Mommsen, seguito dal Peter, sostenne l'identit; ma ricerche rigorose di Plinio Fraccaro in- ducono piuttosto a staccarli . Inutile aggiungere che le congetture sul- l'orientamento dellopera cambierebbero molto secondo la soluzione che si d al problema prosopografico: un'opera scritta dall'ex- console dopo il distacco da Caio Gracco poteva esprimere molte riserve sulla politica graccana. Dalle pochissime testimonianze rimasteci emerge almeno l'am- mirazione per il giovane Tiberio: secondo Fannio egli primeggiava per disciplina e valore fra i coetanei e fu il primo a saltare sulle mura di Cartagine nell'assalto che port alla conquista e alla distruzione della cit- t ( fr. 4) ; insieme con lui salt lo stesso Fannio ( anche nei suoi Annales, dunque, elementi autobiografici). Come gli storici greci, introduce ora- zioni nel racconto, anche orazioni contro i Gracchi, in particolare di Sci- pione Emiliano contro Tiberio ( fr. 5 P.). La persona del secondo Africa- no non era lumeggiata negativamente, se lo storico ne giustificava la dis- simulatio assimilandola all'ironia di Socrate ( fr. 7). Da questi indizi par- rebbe che la narrazione non fosse faziosa. Ne conosciamo, purtroppo, 12 A storia delle istituzioni, precisamente al numero delle trib istituite da Servio Tul- lio, si riferisce anche l'unico frammento dello storico Vennonio, ricavato da Dionigi IV 15, 1; che Vennonio scrivesse nell'et graccana, si ricava da Cicerone, De leg. I 6. '3 La questione riassunta da H. Bardon, La littrature latine inconnue, cit., 1, p. 106, a cui rimando per la bibliografia. 28 LA PRosA LATINA cos poco che non sappiamo neppure se l'opera, scritta in almeno otto libri, incominciasse, come le altre dello stesso titolo, dalle origini; il fr. 3 P., da un passo del libro VIII in cui si parlava di Drepano, parrebbe riferirsi alla prima guerra punica. Improbabile che l'opera fosse una spe- cie di monografia sui Gracchi, mentre possibile che la storia contempo- ranea avesse, ancora una volta, il posto pi ampio e che, quindi, quella dei Gracchi fosse narrata dettagliatamente. Lo stile era giudicato da Ci- cerone ( Brut. 99), che era molto esigente, non inelegante. Per l'impianto compositivo e lo stile la novit pi rilevante si trova in Celio Antipatro. Anzich narrare tutta la storia romana dalle origini ai suoi tempi, ne isol un pezzo importante, la seconda guerra punica, che apparve presto, e apparir sempre in seguito, la svolta pi importante dei destini di Roma nei secoli della repubblica; quella guerra costituiva anche un grande insegnamento, perch mostrava come i Romani sapes- sero risollevarsi anche dopo le pi gravi disfatte. Dalle citazioni si pu congetturare che il titolo era Belli Punici alterius historiae; l'opera si estendeva per sette libri ed era dedicata a Elio Stilone, il miglior gram- matico del tempo, che nell'ambito della grammatica conduceva anche ri- cerche di erudizione e di antiquaria ( nei frammenti di Celio, per, inte- ressi del genere non emergono). Cicerone nel De divinatione ricorse al- l'opera di Celio per ricavarne alcuni esempi di sogni. Vi erano narrati due sogni di Annibale. Dopo la conquista di Sagunto il duce cartaginese aveva sognato che veniva chiamato nel concilio degli di e che ivi Giove gli ordinava di invadere lItalia; lo ammoniva anche a non guardarsi in- dietro; ma Annibale, non potendo vincere la curiosit, si voltava indietro e vedeva un mostro immane che devastava tutto dove passava; alla sua domanda il dio rispondeva che quella era la devastazione dell'ltalia ( fr. 11 P.). Annibale ebbe un altro sogno quando pensava di portar via dal tempio di Giunone sul promontorio Lacinio una colonna d'oro massic- cio: la dea gli apparve in sogno per ammonirlo a non farlo se non voleva perdere anche l'unico occhio che gli era rimasto ( fr. 34 P.). E naturale che Celio ricordasse questi due sogni in un racconto della seconda guer- ra punica; ma ci si meraviglia di constatare che egli vi parlava anche di altri sogni: quello del contadino che aveva indotto il senato a rinnovare i ludi Latini nel 490 a.C. ( fr. 49 P.), e di un sogno di Caio Gracco, narra- to dallo stesso Gracco a Celio: mentre Caio esitava a presentarsi come candidato alla questura, gli era apparso in sogno il fratello Tiberio, che gli aveva predetto una morte uguale alla propria ( fr. 50 P.). Probabil- mente Celio, prendendo spunto da Sileno, uno storico greco che usava come fonte importante nella sua opera, a proposito di uno dei due sogni di Annibale introduceva un excursus sui sogni per rivendicarne la veridi- cit; e probabilmente polemizzava implicitamente contro l'incredulit di altri storici, di Polibio e di altre persone colte da lui ispirate " . La cre- denza nei sogni doveva accordarsi con l'attenzione a prodigi e presagi: N Per la questione rimando al mio studio Polemiche sui sogni nella storiografia latina arcaica in Aspetti del pensiero storico latino, cit., pp. 105- 17. La storiografia 29 per es., Celio, riferendo i presagi che nel 217 a.C. ammonivano il conso- le Flaminio a non impegnare battaglia presso il lago Trasimeno, alle noti- zie solite ne aggiungeva altre, pi strepitose, su terremoti in varie parti d'Italia, citt distrutte, fiumi che avevano invertito il loro corso ( fr. 20 P.). Naturalmente metteva sotto accusa l'empiet di Flaminio ( fr. 19 P.). Con la difesa delle credenze religiose tradizionali contro attacchi razio- nalistici convergeva unaltra ragione, probabilmente pi importante: Ce- lio voleva scuotere il lettore con scene grandiose, talvolta spaventose, av- vincerlo con peripezie. E chiaro un tale intento in ci che sappiamo sul suo racconto della spedizione di Scipione in Africa. La folla imbarcatasi dietro il condottiero era tale che Italia e Sicilia sembravano spopolate; le grida dei soldati facevano cadere gli uccelli dal cielo ( fr. 39 P.). Secondo moltissimi storici romani e greci l'approdo di Scipione in Africa era tran- quillo; secondo Celio, invece, avveniva dopo una tempesta spaventosa, che aveva ricacciato la flotta lontano dalla costa; era mancato solo il naufragio, ma i soldati erano approdati quasi come naufraghi ( fr. 40 P.). Celio, dunque, introduceva nella storiografia latina procedimenti della storiografia tragica dei Greci, di quella storiografia che Polibio aveva messa in ridicolo; e l'attrattiva dei colori tragici si far sentire quasi sempre nella storiografia latina. Ben s'accorda con questa tendenza il tentativo di dare alla prosa storica pi grazia letteraria con una maggiore cura dello stile; Cicerone ( De or. II 54), che fa notare questo sforzo stili- stico e mette Celio fra gli exornatores rerum, mentre gli storici preceden- ti erano stati solo narratores, apprezza pi lintenzione che l'effetto; ma, come nota lo stesso Cicerone ( De leg. I 6), anche sotto questo aspetto egli apr una via. Queste scelte non escludevano l'impegno dell'informa- zione e talvolta il lavoro di vaglio, come si vede dalla discussione sulla morte di Marcello ( fr. 29 P.); come e pi degli storici latini precedenti, aveva buona esperienza di diritto ( Cic., Brut. 102 iuris valde peritus). 4. Commentari autobiograci Sulla posizione sociale di Celio non sappiamo niente: il nome fa pen- sare che appartenesse alla nobilt plebea; probabilmente si astenne dalla politica: dovette essere, quindi, uno dei pi antichi storici letterati. Ab- biamo visto che dopo Catone gli uomini politici di primo piano non scri- vono pi opere di storia; fra gli storici la personalit che pi gli si acco- sta quella di Pisone. Uomini politici eminenti ancora attivi verso la fine del II sec. a.C. si orientano verso un altro tipo di storia, anzi verso un tipo di letteratura che gli antichi ponevano al di sotto della storia e della letteratura vera e propria: i commentarii, cio una raccolta di notizie sulla propria vita, soprattutto sulla propria vita politica, senza la pretesa di quellelaborazione stilistica che ormai si esigeva anche dagli annales o historiae. Un segno di questa esigenza pu essere visto anche nella ripre- sa dell'epica storica: un certo Hostius in et graccana scrisse un poema epico sul bellum Histricum, la guerra in cui, come abbiamo visto, Sem- pronio Tuditano ottenne il trionfo; Accio scrisse annales in poesia. I 30 LA PROSA LATINA commentarii intendevano raccomandarsi per il materiale che fornivano; il materiale, per, se era poco elaborato stilisticamente, era interpretato tendenziosamente: per lo pi sono opere polemiche. Anche il nuovo ge- nere era stimolato da esempi greci: se i commentarii richiamavano i pro memoria che i magistrati tenevano durante la loro attivit, di cui si servi- vano nelle loro relazioni al senato e che talvolta conservavano, pi anco- ra ricordavano i libri di memorie, rtouvr uara, che uomini politici greci, come, per es., Pirro, Arato di Sicione, avevano pubblicati. A Roma il costume di scrivere commentati de vita sua fu inaugurato, per quanto ne sappiamo, da Marco Emilio Scauro ( 162 a.C.- dopo il 90 a.C.), uomo politico eminente del tempo di Mario, che percorse la car- riera politica fino al grado pi alto, la censura: personaggio abile, ambi- guo, molto discusso e diversamente giudicato in vita e dopo la morte. Era di famiglia patrizia, ma politicamente emarginata ed economicamen- te decaduta: il padre, per sopperire alle necessit economiche, si era da- to al commercio del carbone; il figlio, prima di darsi alla politica, fu tentato di fare il banchiere. Queste notizie, tramandateci da un testo tar- do, ma attendibile '5, possono risalire all'autobiografia dello stesso Scau- ro: la povert avr attirato sulle famiglie il disprezzo, ma Scauro faceva risaltare le qualit grazie alle quali egli si era sollevato da quella deca- denza ed era divenuto uno dei principes della citt: anche un patrizio poteva sull'esempio di Catone presentarsi come un homo novus innalza- tosi con la propria virt. Induce a questa interpretazione il fr. 1 P.: egli dichiarava la misera eredit che aveva ricevuta dal padre: in tutto sei schiavi e trentamila sesterzi. Anche nei pochissimi frammenti rimastici emergono indizi che l'opera, non ampia ( tre libri in tutto), era unapolo- gia delle azioni militari e politiche di Scauro: vi si mostrava come un capo militare prudente ( fr. 3 P.), che teneva in pugno l'esercito, ben di- sciplinato nella marcia ( fr. 6 P.) e nell'accampamento ( fr. 7 P.): una vol- ta ai piedi del vallo vi era un albero carico di frutta, che era intatto quando l'esercito ripart . E probabile che ampio spazio avesse l'apologia della diplomazia usata nella guerra giugurtina e, come sappiamo da Sal- lustio, violentemente criticata e delle lotte che aveva sostenute come va- lente oratore nel senato e nel foro. Ancora pi apologetico e polemico era il libro che Quinto Lutazio Catulo scrisse de consulatu et de rebus gestis suis. Egli fu uno dei primi che a Roma si dilettassero di poesia leggera, epigrammi erotici di gusto ellenistico, e stimol altri poeti sulla stessa via; ma questo era per lui un hobby: egli restava sempre un nobile impegnato nella politica. Dopo tre tentativi falliti, divent console nel 102 a.C., ed ebbe come collega Ma- rio. La situazione era gravissima perch i Cimbri avevano invaso la pia- nura padana. Catulo fu impegnato nella campagna militare e guid insie- me con Mario l'esercito nella decisiva battaglia dei Campi Raudii. Mario aveva esperienza e prestigio militare di gran lunga maggiore e si attribu tutto il merito della vittoria: di qui una violenta e astiosa polemica di 15 Il De viris illustribus tramandato sotto il nome di Aurelio Vittore, 72. La storiografia 31 Catulo contro di lui, testimoniataci da alcune citazioni di Plutarco nella vita di Mario, polemica che doveva essere il vero scopo del libro. Nell'o- pera, dedicata al poeta Aulo Furio, Lutazio metteva a profitto la sua educazione letteraria; noi non possiamo documentarlo, ma Cicerone la trovava scritta molli et Xenophonteo genere sermonis ( Brut. 132), giudi- zio che fa pensare a uno stile semplice, elegante, ma poco robusto. Che Senofonte costituisse effettivamente un modello in questo genere lettera- rio, probabile. Figura ben diversa era un altro autore di memorie di questo periodo, Publio Rutilio Rufo, un homo novus eminente, che aveva una lunga esperienza politica e militare: nato verso il 156 a.C., era stato tribuno militare nel 138 nella guerra di Numanzia, legato di Metello nel 109 du- rante la guerra giugurtina, console nel 105. Ma il prestigio non gli era dato n dai successi militari n dall'abilit oratoria: egli era ammirato per l'integrit morale e l'austerit dei costumi: l'antica etica romana era in lui consolidata dalla cultura stoica, che ai suoi tempi era entrata nel- l'lite politica romana, soprattutto grazie alla presenza in Roma del filo- sofo Panezio di Rodi. Per queste ragioni Rutilio era una gura antica e nuova, che avrebbe costituito un modello per i posteri. Vicende parados- sali, ma spiegabili nel clima politico molto corrotto del tempo, ne fecero una sorta di nuovo Socrate. Legato di Quinto Mucio Scevola ( il pontefi- ce) nella provincia d'Asia nel 94 a.C., riscosse l'amore dei provinciali e l'odio mortale degli appaltatori d'imposte ( publicani); nel 92 a.C. essi lo misero sotto accusa per concussione e, poich la giuria era allora forma- ta da equites, cio da persone dello stesso ceto degli appaltatori, riusci- rono a farlo condannare. Rutilio si ritir nella provincia d'Asia, a Smir- ne, ammirato e amato dalla gente della provincia; molto probabilmente fu allora che scrisse le sue memorie ( De vita sua in almeno cinque libri). Passato attraverso vicende importanti, la guerra di Numanzia ( che fu per i Romani un evento traumatico, una specie di Caporetto) e la discussa guerra giugurtina, ne fu considerato un testimone autorevole ( come ci mostrano Appiano e Sallustio); ma scopo preminente sar stato anche per Rutilio la difesa del proprio operato, del suo comportamento sempre fermo e onesto. Drastica era la polemica contro figure e costumi del tempo: ci conservato un frammento di un ritratto satirico del padre di Pompeo, un adulatore del popolo ( fr. 7 P.): Pompeius elaboravit uti po- polum Romanum nosset eumque artificiose salutaret. Lodava, invece, la vita sobria di Scipione Emiliano a Numanzia ( fr. 13 P.). Forse si scorge- va nell'opera l'impronta di Catone. Scrisse anche delle Historiae, in cui gli avvenimenti da lui vissuti avevano un posto cospicuo. L'ispirazione non era diversa: sappiamo che anche l dava un ritratto del padre di Pompeo come personaggio detestabile ( fr. 5 P.); denunciava il lusso e la mollezza di un certo Sittio, forse padre del Sittio dell'et cesariana ( fr. 6 P.). Come gli storici precedenti, era attento alla storia delle istituzioni ( fr. 1 P. sulle nundinae) e dei costumi: per es., segnalava con rilievo la famosa ambasceria dei tre filosofi a Roma nel 155 a.C., che apr ai Ro- mani un mondo culturale nuovo ( fr. 3 P.). Per l'importanza dell'autore e per la maggior ricchezza del materiale 32 LA I> RosA LATINA dovevano avere pi inuenza i commentarii rerum gestarum di Silla, in 22 libri, dedicati a Lucullo, l'amico di cui pi si dava. La vasta opera era scritta in latino, non in greco, come da alcuni si riteneva un tempo, anche se fu aiutato, oltre che da Lucullo, dal proprio liberto greco Epi- cadio. Le origini di Silla assomigliavano un po' a quelle di Scauro: pro- veniva da famiglia patrizia, ma senza gloria: forse anche Silla si vantava di essersi innalzato per virt propria, non per il prestigio degli avi. An- che lui difendeva puntigliosamente i propri meriti; l'antagonista contro cui pi si accaniva la sua polemica, era Mario. Sull'esito della guerra giugurtina era divampata una lunga polemica; naturalmente anche nei commentari Silla rivendicava il merito di aver posto lui ne alla guerra catturando Giugurta. Cercava di offuscare il prestigio di Mario anche a proposito della guerra contro i Cimbri, appoggiandosi a Lutazio Catulo ( frr. 4- 6 P.). Pi dettagliato doveva essere il racconto del bellum sociale e delle guerre civili contro Mario e i mariani. Esagerava senza misura i propri successi: nella battaglia di Cheronea avrebbe massacrato pi di centomila nemici e avrebbe perduto solo 16 soldati, anzi 14 perch due dei dispersi tornarono la sera ( fr. 15 P.); nella battaglia di Sacriporto avrebbe ucciso 20.000 nemici, ne avrebbe fatti prigionieri 8.000, perden- done solo 23 ( fr. 19 P.). Come poi far Cesare, ci teneva a tramandare alla storia il nome di qualche valoroso soldato, per es. quello di Marco Ateio, il primo che sal sulle mura di Atene ( fr. 12 P.): segno dei vincoli di affetto fra il capo e il suo esercito. I meriti del condottiero e del salva- tore della patria non erano diminuiti, anzi esaltati, dai segni del favore divino. Silla costellava le sue memorie con evocazioni di prodigi, presagi, profezie, che almeno dal bellum sociale in poi avevano accompagnato la sua splendida e sanguinosa ascesa ( frr. 8, 9, 16, 18 P.); aveva imparato da Mario questi espedienti di propaganda, ma aveva superato di gran lunga il maestro. Persino la morte gli fu preannunciata da un sogno ( fr. 21 P.): non sar stato lui a scriverlo nei commentari, ma Epicadio, rac- contando il sogno nell'ultimo libro, avr seguito la volont del patrono. Nasceva cos nella cultura latina un'autobiografia con caratteristiche nuove, l'autobiografia che chiamerei carismatica e che trover conti- nuatori in Lucullo e Augusto ' . La cancellazione dei nomi da parte di Catone non aveva avuto seguito; l'et sillana in particolare segn la riaf- fermazione della personalit nella trama della storia. 5. La storiografia latina nel periodo sillano Nei quindici o vent'anni circa che precedettero la morte di Silla, la storiografia non pare sia stata molto fiorente: forse attravers una fase di rallentamento e di incertezze. Conosciamo, tuttavia, uno storico di ri- lievo che scrisse in quel periodo, Sempronio Asellione. La sua esperienza 1 Un accenno sull'autobiografia di questo tipo in A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana, Torino 1979, pp. 122 s. La storiografia 33 non doveva essere diversa da quella degli storici di et graccana: anche lui aveva partecipato, come tribuno militare, all'assedio di Numanzia sot- to Scipione Emiliano; la narrazione, per, arrivava sino al 91 a.C. ( fr. 11 P.), forse fino all83 ( fr. 13 P.): si suppone, dunque, che egli scrivesse l'opera fra il 90 e l'80 a.C. Gellio ci testimonia che egli res . . . eas quibus gerendis ipse interuit, conscripsit ( fr. 6 P.). Gi nella selezione, quindi, c'era una novit non irrilevante: Asellione tralasciava il passato ( o ne trattava rapidamente in una introduzione) e puntava decisamente sulla storia contemporanea, di cui le vicende dei Gracchi erano gran parte. La novit attenuata, non eliminata, dalla considerazione che nella storiograa precedente la storia contemporanea aveva occupato lo spazio pi ampio. In almeno 14 li- bri " la narrazione di poco pi di mezzo secolo di storia doveva riuscire dettagliata, anche se non amplissima. Non dovevano mancare pezzi di storiograa tragica, come sembra indicare un frammento ( 6 P.) appar- tenente alla rievocazione della morte di Tiberio ( lo vediamo mentre, da- vanti al pericolo imminente, raccomanda i gli al popolo). Ma ci che conserviamo del proemio ( fr. 1 P.), indica che la riessione storica di Asellione era orientata in un altro senso. Egli rimprovera allannalistica precedente di essere solo cronaca, di limitarsi a registrare i fatti ( quod actum esset, id pronuntiare); lui, invece, si propone di scavare il consi- lium ( l'intenzione, lo scopo) e la ratio ( probabilmente la motivazione, il calcolo pi che il modo) dietro gli eventi ' . Fornire le date ( quan- do incominci, quando fin ciascuna guerra), elencare i trionfi narrar favole ai bambini ( id fabulas pueris est narrare); per un vero storico contano i consilia con cui le azioni furono condotte; e pi delle opera- zioni militari contano i dibattiti e le deliberazioni in senato, le leggi pro- poste al popolo e approvate. Dunque cercare la spiegazione dei fatti, che Asellione sembra indicare soprattutto nella vvtbun degli uomini, selezio- nare e lumeggiare diversamente il materiale. Il diverso metodo corrispon- de a una diversa funzione della storiografia, che quella di formare luo- mo politico: gli annali non possono spingere nessuno n ad essere pi energico per difendere lo Stato n pi ignavo s da agire senza riessio- ne ( fr. 2 P.) ' . Non senza ragione si scorto in queste considerazioni il fermento del pensiero di Polibio. Asellione oppone il termine historiae a quello di annales; pu darsi che, per scelta significativa, historiae fosse il titolo dell'opera; ma, poich in qualche citazione compare il titolo res gestae, non ne siamo sicuri. Comunque difcile dimostrare che in se- guito l'opposizione semantica sia stata mantenuta. Un indizio che la storiografia di questo periodo cercasse nuove vie, si pu scorgere in un'opera scritta dal versatile Lutazio Catulo o dal suo '7 La cifra XL, che compare in una citazione di Carisio ( fr. 13 P.), generalmente ritenuta corrotta. la Nobis non modo sat s esse video, quod actum esset, id pronuntiare, sed etiam, quo consilio quaque ratione gesta essent, demonstrare. 19 Nam neque alacriores ad rem publicam defendundam neque segniores ad rem per- peram aciundam annales libri commovere quosquam possunt. 34 LA PRosA LATINA liberto Lutazio Dafni, la Communis historia. Il titolo indica che l'opera conteneva notizie storiche ( 0 considerate tali) non solo sui Romani, ma anche su altri popoli ( in realt doveva trattarsi solo dei Greci). I pochi frammenti rimastici riguardano la leggenda di Enea, le origini di Roma e di Napoli. Se Finterpretazione del titolo giusta, si tratta della prima opera storica latina che ha un orizzonte non strettamente romano 2 . Non siamo sicuri, per, che l'innovazione rientri in questo periodo, an- che se l'eventuale scarto non pu essere grande. La stessa incertezza sus- siste per un altro genere di storia che dev'essere entrato in questo perio- do nella cultura latina e vi avr in seguito, anche se non immediatamen- te, una larga fortuna: la biografia. Svetonio ( De gramm. et rhet. 27), attingendo da Cornelio Nepote, attesta che Lucio Voltacilio Pitolao fu il primo dei liberti a scrivere storia ( historiam): retore, egli fu maestro di Pompeo Magno e scrisse in parecchi libri le imprese ( res gestas) del pa- dre di Pompeo ( forse per difenderlo da Rutilio Rufo, che, come abbiamo visto, lo vituperava) e di Pompeo stesso; almeno la narrazione delle im- prese del figlio, se non tutta l'opera, cadr in anni posteriori a questo periodo. Non senza ragione la novit colpiva Cornelio Nepote: non solo senatori, ma liberti scrivevano storia. Io credo, per, che la novit vada ridimensionata: la notizia induce a credere che il liberto scrivesse non storia, ma biografia: come si sa, la diversit di genere per gli antichi non era secondaria. Abbiamo, comunque, anche socialmente una figura nuo- va di storico: il cliente a cui il patrono commissiona unopera storica. Una funzione analoga presso Pompeo ebbe in seguito lo scrittore greco Teofane di Mitilene. 6. La storiografia latina nel ventennio dopo Silla Gli anni dallo scoppio del bellum sociale ( o bellum Marsicum, come era chiamato da alcuni storici) alla morte di Silla ( 91- 78 a.C.) furono anni densi di avvenimenti importanti, non raramente atroci. Presto ne dette una narrazione dettagliata e drammatica Lucio Cornelio Sisenna, ancora uno storico proveniente dall'lite politica, pretore nel 78 a.C. ( quindi nato prima del 118), uno dei difensori di Verre nel celebre pro- cesso del 70 a.C. ( forse prima di Verre aveva governato anche lui la Sici- lia come propretore). L'opera, in almeno 23 libri, era, come quella di Sempronio Asellione, rivolta alla storia contemporanea. Ma tre frammen- ti ( 1- 3 P.) si riferiscono alla leggenda di Enea; poich gi nel secondo libro, anzi, probabilmente ( se nella citazione di Nonio la cifra non cor- rotta), gi nel primo ( fr. 6 P.) si narravano operazioni militari del bellum Marsicum rientranti nel 91 a.C., si pu congetturare che Sisenna facesse precedere la narrazione vera e propria da un'introduzione, analoga al- 2 Rimando a un mio studio sull'argomento, pubblicato in Studi su Varrone, sulla retorica, storiografia e poesia latina. Scritti in onore di B. Riposati, I, Rieti- Milano 1979, PP. 229- 40. La storiografia 35 l'archeologia di Tucidide. L'impianto va notato giacch per i Latini in- comincia di qui una struttura di storia pi simile a quella tucididea: non tutta la storia, ma un periodo recente, a partire da un punto pi o meno significativo. Pu darsi, per, che in questo sia stato preceduto da Sem- pronio Asellione. La distribuzione dei frammenti nei vari libri si rico- struisce senza difficolt, perch i frammenti sono citati in massima parte da Nonio, che d le indicazioni dei libri; ma Nonio cita per ragioni lessi- cali, e solo raramente possiamo collocare il frammento in un contesto storico. L'abitudine dei lessicografi di spulciare soprattutto i primi libri ha operato drasticamente nel caso di Sisenna: dei 143 frammenti conser- vatici ( secondo l'ed. del Peter) 124 appartengono ai primi quattro libri, che non andavano oltre il bellum Marsicum: ben poco, quindi, ci rima- sto sulle guerre fra sillani e mariani, che certamente erano narrate con la stessa ricchezza di minuzie. E probabile che in confronto con Sempronio Asellione l'opera avesse maggiore organicit: sia il bellum Marsicum sia le guerre civili seguenti erano avvenimenti ben delimitabili, ciascuno con un proprio sviluppo. La tendenziosit di Sisenna in favore di Silla ben nota da un giudi- zio aspro di Sallustio ( lug. 95, 2): Lucio Sisenna, il migliore e il pi accurato di tutti gli storici che narrarono quelle vicende, mi pare che abbia scritto con scarsa indipendenza 2. Nella sostanza, se non nella misura, il giudizio attendibile, ma ci non vuol dire che Sisenna fosse un adulatore servile: non detto che egli abbia scritto mentre Silla era in vita; pu aver scritto dopo la sua morte, negli anni in cui la costitu- zione sillana veniva smantellata, e aver espresso le sue tenaci convinzioni sul regime aristocratico. Certamente sottolineava il forte consenso di cui godeva la dittatura di Silla: Molti popoli, moltissime assemblee con adesione e favore concorde si dichiararono per la dittatura ( fr. 132 P.) 22. Non meno forte della tendenziosit politica era l'impegno letterario, che prima di Sallustio probabilmente non aveva l'eguale nella storiogra- fia latina. Sisenna deve aver spinto pi in l di Celio Antipatro il gusto della storiograa tragica per le scene patetiche: un frammento ( 47 P.) ci mostra un personaggio che si aggira supplice di quartiere in quartiere con la barba e i capelli lunghi, il vestito a lutto, in lacrime, accompagna- to dai gli. Sottolineava le scene emotive: sublatus laetitia nimia atque impotentia commotus animi ( fr. 50 P.): imperitum concitat vulgus ( fr. 48 P., da una scena di massa). Il periodo storico narrato era ricco di scene orripilanti: in una di queste rientrava, per es., il fr. 138 P. vitam cum dolore et insigni cruciatu carnificatus amisit. Riferiva il famoso epi- sodio, atroce e pietoso insieme, del soldato di Pompeo ( padre) che nella battaglia sul Gianicolo contro Cinna trovava tra i morti della parte av- versa il proprio fratello e si uccideva per il dolore e l'orrore ( fr. 129 P.). 2 ' L. Sisenna, optume et diligentissume omnium qui eas res dixere persecutus, parum mihi libero ore locutus videtur. 22 Multi populi, plurimae contionis dictaturam omnibus animis et studiis suragave- runt. Non certa la congettura del Peter, nationes per contionis. 36 LA PROSA LATINA Molte erano le peripezie , i cambiamenti rapidi e imprevisti di fortuna: celebre, per es., la fuga di Mario dall'Italia: tutto materiale ottimo per la storiograa tragica. Ma colpiva di pi ( e colpisce ancora nei frammenti) una ricerca stilistica priva di misura e di gusto, che lo portava, oltre che a minuzie descrittive, a una miscela di lessico raffinato, in cui si ritrova- vano gli arcaismi della storiografia, con curiosit della lingua parlata e probabilmente con parole coniate dall'autore. Si capisce come Cicerone ( De leg. I 7) trovasse puerile una tale ricerca. Cicerone richiamava l'e- sempio di Clitarco; certamente dalla storiografia ellenistica provenivano sia l'amore per gli effetti patetici sia lo stile asiano. Dalla secchezza an- nalistica si era arrivati a una prosa fiorita, sovrabbondante, leziosa, trop- po pittoresca, qualche cosa di corrispondente in prosa allo stile di Levio in poesia. Si era arrivati rapidamente da un eccesso all'altro 2* . Sisenna lo stesso che tradusse in latino le piccanti novelle di Aristide da Mileto, che ebbero grande successo; forse lo stile dell'opera storica non differiva molto da quello delle novelle: ormai anche la storiografia poteva essere lettura d'intrattenimento: altro che Polibio! Gli annalisti contemporanei sono meno audaci di Sisenna: Quinto Claudio Quadrigario, Valerio Anziate, Caio Licinio Macro sono pi vici- ni alla tradizione sia per l'impianto compositivo sia per lo stile. Gli An- nales di Claudio sono una storia generale di Roma; tuttavia, siccome i frammenti del libro I incominciano dall'incendio gallico ( 390 a.C.), giu- stamente si ritiene che egli abbia tralasciato tutta la storia anteriore: pu darsi che lo abbia indotto a questo taglio la difdenza per le leggende e le notizie troppo incerte. Entro questo ambito si ritrova la preferenza per la storia recente. I primi sette libri arrivavano verso la met del II sec. a.C.; il IX libro comprendeva, fra l'altro, la guerra di Numanzia; almeno 14 libri erano dedicati agli eventi terribili degli ultimi decenni; ma, an- che in questo caso, conserviamo di pi dei primi libri ( un terzo circa dei frammenti appartiene al libro I). I brani pi ampi si devono all'utilizza- zione da parte di Gellio, a cui piacevano molto la semplicit e la suavi- tas di quello scrittore arcaizzante ( IX 13, 4) e che ne ricav racconti, particolarmente vivaci, di episodi famosi: il duello di Manlio Torquato col Gallo ( fr. 10' P.), il duello di Valerio Corvino contro un altro Gallo ( fr. 12 P.), le vane manovre di Pirro per corrompere Fabrizio ( fr. 40 P.). Sarebbe affrettata l'impressione che gli annali di Claudio fossero una specie di storia oleografica, una galleria di figure eroiche: non si pu giudicare in base a pochi brani stralciati. E giusta, invece, l'impressione che Claudio avesse buone qualit di narratore. La fedelt all'arcaismo chiara nel lessico e nella sintassi ( nel fr. 10b P. due volte is all'inizio del periodo, una volta id, una volta ita), anche se l'uso della subordinazione abbastanza largo e spedito; ma ci non gli ha impedito di conferire 22 Su Sisenna, specialmente per la caratterizzazione dello stile, utile H. Bardon, La littrature latine inconnue, cit., I, pp. 251- 58; cfr. inoltre A. D. Leeman, Orationis ratio. The Stylistic Theories and Practice of the Roman Orators, Historians and Philosophers, Amsterdam 1963 ( trad. it. Bologna 1974, pp. 103- 6); A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, cit., pp. 95 s. La storiografia 37 una grazia semplice, una colorita vivacit al suo racconto, qualit che fanno pensare a certi cronachisti nel nostro Trecento. E notevole la scar- sa propensione verso la solennit, la gravitas, la grandiosit; ma la via sembra diversa anche da quella della storiografia tragica 2* '. Il grande disegno di una storia esauriente dalle origini no ai propri tempi, disegno che era stato di Gneo Gellio e sarebbe stato di Livio, fu realizzato in questo periodo da Valerio Anziate. Poich la massima parte delle testimonianze proviene da Livio, che non cita il libro, la distribu- zione della materia ci scarsamente nota. L'opera contava almeno 75 libri; il XXII comprendeva il racconto della guerra di Numanzia ( fr. 57 P., riferito al 136 a.C.): anche qui, dunque, preponderanza della storia recente e contemporanea ( due terzi e pi sull'ultimo mezzo secolo cir- ca); tuttavia 21 libri dalle origini no alla terza guerra punica costituiva- no una trattazione ricca e dettagliata. Un indizio di interpretazioni razio- nalizzanti si scorge nel frammento su Acca Larenzia ( 1 P.), presentata come una meretrice: questa versione doveva spiegare la leggenda della lupa. Non sappiamo che peso avesse una tale tendenza. Come scrittore non godette di nessuna stima: persino l'arcaizzante Frontone ( p. 114 N. = 132 van den Hout) trovava che scriveva senza grazia ( invenuste). A noi di citazioni letterali resta cos poco che non possiamo contraddire l'esigente retore; chiara solo la fedelt all'arcaismo dell'annaIistica. Di Claudio Quadrigario e di Valerio Anziate non conosciamo la col- locazione sociale; non sappiamo che legame avessero con le gentes di cui portano il nome, che, da s, non garantisce la nobilt; specialmente nel caso di Valerio possiamo dire che un legame sussisteva e inuiva sulla ricostruzione della storia. La mancanza di ogni indizio sulla loro` attivit politica indurrebbe a supporre che fossero degli storici letterati. E, inve- ce, un personaggio della nobilitas, fortemente impegnato nella lotta poli- tica, l'altro annalista di questo periodo, Caio Licinio Macro, tribuno del- la plebe nel 73 a.C.; era schierato nell'opposizione antinobiliare; nel 66 a.C., condannato per concussione in un processo in cui Cicerone era ac- _ cusatore, si uccise; era suo figlio l'oratore e poeta Licinio Calvo. L'ope- ra, in almeno 16 libri, non era delle pi ampie; se nel testo di Prisciano tramandata bene l'indicazione del numero del libro a proposito del fr. 20 P. ( ma qualche dubbio lecito), il II libro arrivava gi alla guerra contro Pirro: quindi la trattazione dalle origini no al III sec. a.C. dove- va essere relativamente rapida. Tuttavia, proprio per questa parte Licinio era considerato un'autorit. Era attento ai problemi istituzionali e costi- tuzionali e ricorreva anche a documentazione inconsueta, come i libri lintei ( cio una cronaca scritta su tela di lino); fossero o no autentici, non detto che Licinio vi ricorresse a scopo di falsificazione. Come 2" Il racconto del duello di Manlio Torquato ( fr. 10' P.) stato spesso analizzato in confronto col brano parallelo di Livio ( VII 9, 8- 10, 13): cfr., per es., A. D. Leeman, Ora- tionis ratio cit., pp. 97- 100. Un esame accurato della lettura da parte di Gellio stato condotto da A. Ronconi, Gellio e la lingua di Claudio Quadrigario, in Da Omero a Dante, Urbino 1981, pp. 257- 71 ( lo studio risale al 1975). Non va dimenticato R. Heinze, Die augusteische Kultur, Leipzig- Berlin 1930 ( rist. Stuttgart 1960), pp. 97- 102. 38 LA PRosA LATINA scrittore fu screditato da Cicerone ( De leg. I 7), che trovava in lui una loquacitas ( forse prolissit, chiacchiera facile) con poca arguzia e senza solida cultura ( nec. . . ex illa erudita Graecorum copia, sed ex li- brariolis Latinis). La storiografia di questo periodo costituisce, specialmente per la par- te non trattata da Polibio, la base pi importante della futura storiografia su Roma; ed generalmente riconosciuto che una base nda. Nella storiografia latina non si era mai affermato un metodo critico confronta- bile con quello, per es., di Polibio; anche la ricerca dell'obiettivit, pur senza un metodo consolidato, era scarsa. In questo periodo ad accresce- re le distorsioni contribu un rinnovato culto per le tradizioni gentilizie, in certi casi oscuratesi negli ultimi tempi; quelle tradizioni contarono molto nel periodo della reazione aristocratica sillana e anche nell'ultimo cinquantennio della morente repubblica. Claudio Quadrigario cur il prestigio della gens Claudia e cerc di abbassare quello dei Fabii; Vale- rio Anziate esalt senza ritegno i Valerii ( per es., risale a Valerio Anziate gran parte dell'interpretazione di Valerio Publicola nella biografia che di lui scrisse Plutarco) e abbass i Claudii; tendenzioso anche il comporta- mento di Licinio Macro in favore dei Licinii 25. Va sottolineato che que- ste affermazioni si collocano su un terreno labile, disseminato di ipotesi e congetture. Dalle citazioni esplicite si ricava poco; ma va tenuto conto di ci che da quegli annalisti passato, senza citazioni, in Livio e Dioni- gi; naturalmente le derivazioni non raramente restano incerte; anche quando sono certe, non si pu trascurare la possibilit che le deforma- zioni fossero gi nell'annalistica del Il sec. a.C. ( un annalista utilizzato da Claudio Acilo, che, come abbiamo visto, aveva scritto in greco). Alle deformazioni stimolate dall'orgoglio gentilizio si univano quelle sti- molate dalle tendenze politiche; e le passioni politiche, dal periodo dei Gracchi fino alla battaglia di Azio, furono molto violente. E ipotesi dif- fusa ( anche se il problema resta sempre aperto, specialmente nell'attuale revisione della storia dei primi secoli di Roma) che la storia arcaica ro- mana abbia subito notevoli deformazioni per inuenza delle lotte sociali e politiche del periodo graccano e sillano: per es., le lotte per il possesso della terra e per l'attenuazione o la cancellazione dei debiti sarebbero state trasposte dalla storia contemporanea in quella arcaica. Anche se la solida certezza si raggiunge' di rado, i dubbi sono tutt'altro che gratuiti. Oltre questi motivi di deformazione resta sempre forte quello dell'orgo- glio romano, dell'orgoglio dei dominatori. Si veda, per es., nei racconti di duelli di Claudio Quadrigario il diverso atteggiamento di Galli e Ro- mani. Il guerriero gallo che combatter con Manlio, vanaglorioso, tra- cotante nella sfida: irride i nemici e tira fuori la lingua in segno di scher- no; all'inizio del duello avanza trascurato e cantando; il romano disci- plinato, metodico, silenzioso. L'avversario di Valerio Corvino, di statura 25 Per questi problemi si pu consultare con prudenza Santo Mazzarino, ll pensiero storico classico, II 1, Bari 1966, pp. 293 ss., 300 ss. per Claudio; 449 ss. per Valerio; 306 ss. per Licinio. La storiografia 39 enorme, coperto di armi splendenti, pieno di superbia e disprezzo; il romano progreditur intrepide modesteque obviam. Con le dovute diffe- renze, si ripete il contrasto fra Troiani e Greci o fra Persiani e Greci. La storiografia romana resta sempre permeata, pi o meno, dall'ammirazio- ne per le virt del proprio popolo. Hanno origine nello stesso orgoglio deformazioni pi gravi, o pi ridicole, come le esagerazioni del numero dei nemici uccisi; era vizio frequente in Valerio Anziate, che nemmeno Livio riusciva a prendere sul serio. 7. La storiograa latina negli ultimi decenni della repubblica 2 Dell'annalistica fra Licinio Macro e Sallustio abbiamo un'idea ancora pi vaga. Continuano a coltivarla intellettuali appartenenti alla nobilt: sono tali, per es., gli Elii Tuberoni. Da una lettera di Cicerone ( Ad Quint. fr. I 1, 10) pare che scrivesse annali Lucio Elio Tuberone, amico di filosofi greci e di Varrone; ma non ne sappiamo niente; pu anche darsi che non li pubblicasse. Pubblic delle Historiae suo figlio Quinto, citato una volta da Dionigi, due volte da Livio ( oltre che in fonti non storiche). Anche lui incominciava dalle origini troiane ( fr. 2 P.). A giudi- care da un paio di passi su Attilio Regolo ( frr. 8- 9 P.), non si lasciava sfuggire le scene fantastiche e sensazionali: la lotta dell'esercito romano contro un drago in Africa, le torture, descritte con una certa minuzia, che i Cartaginesi inissero a Regolo. La mole delle opere, la scarsa viva- cit, talvolta la scarsa cura dell'informazione gettarono discredito su altri annalisti di questo periodo: specialmente su Caio Sulpicio Galba ( nonno dell'imperatore), Ortensio ( il famoso oratore), Tanusio Gemino. In que- st'ultimo doveva essere notevole l'impegno polemico, rivolto soprattutto contro Cesare e Crasso. Cicerone desidero vivacemente che le glorie del suo consolato fossero illustrate in un pezzo organico, tale da assomiglia- re a una monografia, nel corso di un'opera storica generale che stava scrivendo un certo Lucceio ( Ad fam. V 12, lettera molto utilizzata per ricostruire la teoria antica della storiografia). La difficolt di leggere ope- re ampie spinge alla composizione di epitomi: Bruto, l'uccisore di Cesa- re, riassunse Fannio e Celio Antipatro; a Farsalo stava scrivendo un'epi- tome di Polibio. Prima di Sallustio si sentiva la mancanza di storici che avessero forte personalit e qualit di scrittori. Il periodo, per, notevole per la fioritura di interessi pi o meno connessi con la storiografia. Continua e s'incrementa il costume di scri- vere commentari sulla propria azione politica. Il primo scopo di procu- rare il materiale dettagliato per lo scrittore di storia; ma il commentario, anche quando non ha ambizioni stilistiche, generalmente gi un'inter- prefazione del materiale a ni apologetici e polemici. Varrone, oltre a un'opera autobiografica ( De vita sua), pubblic commentari su Pompeo 2 Per questa sezione resta utile H. Bardon, La littrature latine inconnue, cit., I, pp. 260- 90. 40 LA PRosA LATINA e sulla propria attivit di legato nell'esercito di Pompeo ( De Pompeio libri III, Legationum libri III). Cicerone scrisse in greco commentari sul proprio consolato; unaltra opera, De consiliis suis, era una difesa anco- ra pi accanita dei suoi disegni e della sua azione politica, in particolare della repressione della congiura di Catilina; le accuse contro Cesare ren- devano scottante l'opera, del resto incompiuta, che fu pubblicata solo dopo la morte dell'autore. Publio Volumnio, seguace di Bruto, scrisse commentari sulla battaglia di Filippi, che difendevano l'operato del capo in quella tragica occasione. E ben noto il capolavoro di questo genere di letteratura, i commentari di Cesare sulla guerra gallica e sulla guerra ci- vile. La personalit dell'autore, l'importanza dei fatti narrati, la nudit, solidit, limpidezza dello stile hanno collocato, giustamente, quest'opera cos in alto che si fa poi qualche fatica e ricollocarla nel contesto storio- grafico a cui appartiene. L'interpretazione dei fatti d poco spazio a giu- stificazioni dall'esterno e rifugge da grossolanit, s da inculcare l'im- pressione di una solida obiettivit; ma, in particolare nel Bellum civile, Cesare seleziona il materiale, sposta alcuni dati, illumina tutto in funzio- ne apologetica; oltre che a se stesso volle innalzare un monumento al suo esercito, legato pi al proprio capo che allo Stato. Lo stile ufficiale dei commentarii presente, ma non dominante; ne viene eliminata, co- munque, ogni traccia di arcaismo ( si ricordi che l'arcaismo caratterizza- va ancora la storiograa nell'et di Cesare); la lingua quella urbana delle persone colte, ma senza sapore di colloquialismo. Dall'atticismo Cesare prende la chiarezza, non l'esilit 0 l'aridit: cos l'atticismo d nella storiograa, non nell'oratoria, la sua prova migliore. Anche Cesare scrive per offrire il materiale all'elaborazione letteraria e alla riessione dello storico: questa non una finzione: non detto che egli proponesse il suo stile come modello per la storiografia. Del resto il suo stile, anche se ebbe un elogio da parte di Cicerone ( elogio che a noi suona verace, ma che era forse, da parte dell'oratore, un complimento), non ebbe pre- stigio nell'antichit; il suo valore letterario stato riscoperto dai moder- ni. D'altra parte, se Cesare accetta in complesso i limiti del commenta- rio, tende anche pi volte a forzarli con l'introduzione del discorso diret- to e con la drammatizzazione di qualche scena; la tendenza particolar- mente notevole nell'ultimo libro di ciascuna delle due opere. In questo senso si pu sostenere che il commentario un genere instabile. Per lo stile non sono neppure lontanamente paragonabili con Cesare i suoi con- tinuatori. Particolarmente scialbo Irzio, autore del libro VIII del Bel- lum Gallicum e, molto probabilmente, del Bellum Alexandrinum. Scrit- tore non privo d'interesse lignoto autore del Bellum Africum, che, stranamente, scrive commentari con stile arcaizzante e talvolta icastico nella rappresentazione. L'autore ignoto del Bellum Hispaniense ha qual- che reminiscenza letteraria ( per es., da Ennio), ma scrittore stentato: organizza scarsamente la narrazione e lo stile; suscita interesse come te- stimone del sermo cotidianus. Un altro genere che prospera, alimentato per lo pi dalla lotta politi- ca, in parte dall'erudizione, la biograa. Anche questo un genere in- stabile, che si muove fra la storia e l'encomio. In qualche caso la biogra- La storiografia 41 fia scritta da uno stretto collaboratore di un uomo politico importante. Tirone, liberto e segretario di Cicerone, scrisse una biografia del suo pa- drone, svelando segreti, non sempre a onore del personaggio celebrato. Una biografia di Cesare fu scritta da un eques che era fra i suoi collabo- ratori e amici pi stretti, Caio Oppio: oltre le doti del grande capo mili- tare vi risaltavano le qualit umane di Cesare, la gentilezza, la prontezza ad aiutare gli altri; un riferimento a Mario ( fr. 8 P.) probabilmente rien- trava in un ritratto di Cesare, che imitava Mario nella parsimonia e nella resistenza ai dolori fisici e alle fatiche. Ispirata da cesarismo doveva essere anche un'altra biografia scritta da Oppio, quella sul primo Scipio- ne Africano: vi metteva in rilievo le tradizioni sull'origine divina di que- sto personaggio e i suoi contatti segreti con Giove Capitolino ( frr. 2- 3 P.): l'eroe carismatico poteva apparire come una figura di Cesare. E strano che Oppio abbia scritto anche una biografia di Cassio, il pi im- portante, dopo Bruto, fra gli uccisori di Cesare: forse un opuscolo cesa- riano, come i libelli contro Catone, scritto dopo la battaglia di Filippi; ma meglio essere prudenti: Oppio aveva avuto buoni rapporti anche con Cicerone. Su Bruto scrisse una biografia o, pi precisamente, dei commentari Lucio Calpurnio Bibulo, figlio del console del 59 27, e di Porcia ( poi moglie dello stesso Bruto); l'autore aveva partecipato alla battaglia di Filippi. Opuscoli dello stesso genere scrissero su Bruto altri due suoi amici, Volumnio Flacco e il retore greco Empylos, quest'ultimo in greco. La letteratura biografica di questo tipo, che si proponeva l'apo- logia, e talvolta la denigrazione, di questo o quel personaggio, presenta- va qualche affinit con i libelli apologetici e le invettive politiche: noto che una libellistica del genere fu alimentata, gi prima della morte di Cesare, intorno a Catone. In opuscoli pi o meno biografici su Catone e Bruto la morte eroica aveva un rilievo eccezionale: emergono, quindi, affinit con la tradizione letteraria de exitu virorum illustrium, che assu- mer maggiore importanza nel sec. I d.C. Della ricca produzione biografica di questo periodo ( anzi di tutta la produzione biografica latina prima di Svetonio) ci rimasta solo una piccola parte di un'ampia raccolta di biografie di Cornelio Nepote ( intor- no al 100 a.C.- dopo il 31 a.C.), un erudito piuttosto superficiale prove- niente dalla Gallia Cisalpina ( Pavia o un luogo vicino): dell'opera De viris illustribus, in almeno 16 libri, ci rimasta la sezione sui duci stra- nieri ( altre sezioni riguardavano re, storici, poeti, oratori ecc.), e le vite di Catone il Censore e di Tito Pomponio Attico ( l'amico di Cicerone), tratte dalla sezione de Latinis historicis ( di Catone scrisse anche una bio- grafia pi ampia di quella rimastaci) 2 . Le biografie di Nepote per l'im- 27 Per distrazione il figlio viene confuso col padre da H. Bardon, La littrature latine inconnue, cit., I, p. 273. 23 Su Comelio Nepote un saggio breve e succoso, oltre che elegante, stato scritto di recente da E. Narducci come introduzione alla trad. di C. Vitali, BUR, Milano 1986. 42 LA PRosA LATINA pianto compositivo si collocano difficilmente negli schemi pi noti delle biografie antiche, schemi che conosciamo solo in parte e di cui i lologi moderni un tempo esageravano la rigidit. Forse era nuovo il disegno complessivo, che afancava in ciascuna sezione una serie di biografie ro- mane a una serie di biografie greche; Nepote tendeva forse ad affermare la superiorit dei Romani, ma in ci che ci resta .la boria nazionale tra- spare ben poco; anzi al rispetto dei valori tradizionali romani si unisce un blando relativismo etico, che fa notare come la morale cambia secon- do i popoli e che non si pu pretendere una morale assoluta valida per tutti gli uomini. La pi ampia delle biografie di Nepote quella dell'ami- co Attico, un elogio molto signicativo di un nuovo modello etico, quel- lo dell'uomo disimpegnato dalla politica, ma attivo nella societ econo- mica e intellettuale, dedito agli studi, ma non appartato in uno sterile egoismo, anzi fedele a un ideale di humanitas. Nel racconto delle impre- se militari Nepote segue un filo cronologico, ma seleziona senza preoccu- parsi di completezza e precisione. Egli ben cosciente che la biografia non storia e che pu concedere molto all'encomio; ancora pi egli si preoccupa di dilettare con aneddoti e curiosit: questo scopo raramente mancava nelle biografie antiche. Forse l'attivit storica pi seria di questo periodo si pu indicare nei tentativi di fondare pi solidamente la cronologia. Catullo, dedicando a Nepote le sue nugae, mostra di ammirare Nepote per le fatiche sopporta- te a comporre i Chronica: tre libri di storia universale, che dovevano dare alla cronologia la preminenza sugli avvenimenti. Riscosse pi fidu- cia, e probabilmente era pi solido, il Liber annalis di Attico, composto fra il 49 e il 47 a.C. Nepote apparteneva alla cerchia letteraria che fre- quentava la casa di Attico sul Quirinale, la domus Tamphiliana, e in cui comparivano anche Cicerone, Ortensio, Varrone: in questo ambiente linteresse per storia e antiquaria era molto vivo. Forse anche gli Annales di Varrone, in tre libri, mostravano interesse preminente per la cronolo- gia. E congettura verosimile che impostazione analoga a quella dell'opera di Attico avesse il Liber annalis di Lucio Scribonio Libone, un amico di Varrone, che scrisse nel 46- 45 a.C. 2 . Il pi considerevole contributo alla storia Varrone lo diede nelle sue numerose opere di antiquaria. Da giovane si occup di lingua latina; ma va ricordato che i grammatici latini non raramente fondevano lo studio sul lessico con quello su istituzioni e costumi antichi. Pi tardi, e special- mente negli anni del dominio di Cesare, s'impegn a fondo in opere di antiquitates ( Antiqutates rerum humanarum et divinarum in 41 libri, De gente populi Romani in quattro libri, De vita populi Romani in quat- tro libri). Da Fabio Pittore in poi questi interessi non si erano mai spen- ti;dedic anche per valorizzare la vita romana arcaica in un'etica arcaiz- zante che era diffusa nell'lite intellettuale romana, ma che era partico- larmente viva, sulla scia di Catone il Censore, in chi, come Varrone, pro- veniva dalla Sabina ( era nato a Rieti). Sulla religione romana ed etru- 29 Cfr. le argomentazioni di H. Bardon, La littrature latine inconnue, cit., I, pp. 268 s. La storiografia 43 sca, i riti, le istituzioni religiose v' fra i contemporanei di Varrone una ricca oritura 3 . Rispettando la classificazione degli antichi, che si imposta troppo anche agli studiosi moderni, si rischia di lasciar fuori dalla storiografia opere pi importanti dell'annalistica e dei commentari: per es., il De re publica di Cicerone, opera molto importante per la storia arcaica di Ro- ma. Per inuenza di Polibio troviamo qui un tipo di storiograa che eb- be un suo spazio nella cultura greca, molto meno in quella latina: la storia delle costituzioni politiche, alla quale aveva dato l'avvio Aristote- le 3* . Questo tipo di storiograa procedeva per forti astrazioni: non era- no astrazioni vuote, ma erano troppo astratte per suscitare l'interesse della cultura politica e storica latina. 8. La storiograa latina fra repubblica e principato Come ho gi accennato, l'insoddisfazione per il livello della storiogra- fia latina era acuta nell'ultimo decennio circa della vita di Cicerone. L'in- soddisfazione si riferiva soprattutto al livello letterario, non confrontabi- le con quello della storiografia greca 22. Per Cicerone la prospettiva era lestensione alla storiografia del livello raggiunto dall'oratoria ( De or. Il 55); pochi anni dopo nel De legibus ( I 5 ss.) egli introduce nel dialogo Attico che fa pressioni su di lui perch si dedichi alla storia e risponda all'attesa del pubblico clto. Nonostante la vanit di Cicerone, credibi- le che questa fosse veramente l'opinione di Attico e dei suoi amici: Cor- nelio Nepote nella sezione sugli storici latini compresa nel De viris illu- stribus ( fr. 17 P. = 53 Marshall), riferendosi a Cicerone ormai morto, sostiene che egli era il solo che avrebbe potuto e dovuto portare la sto- riografia latina, come aveva gi fatto per l'oratoria e la filosofia, a un alto livello, confrontabile con quello dei Greci. All'attesa si accingeva a rispondere Caio Sallustio Crispo ( 86 a.C.- 36/35 a.C.), ma per via molto diversa da quella che Cicerone e i suoi amici desideravano. Sallustio sentiva anche lui acuto il disagio per la condizione di infe- riorit rispetto ai Greci ( Cat. 8, 3 ss.); tuttavia, non fu questa la ragione che lo indusse a scrivere storia. Sallustio, proveniente, come Catone il Censore e Varrone, dalla Sabina ( era nato ad Amiternum), aveva avuto unesperienza politica non di primo piano, agitata e traumatica: come tribuno della plebe, era stato fra gli agitatori pi accesi della folla dopo l'uccisione di Clodio ( forse anche per inimicizia personale contro Milo- 3 Poich tali opere non rientrano nell'ambito di questa trattazione, mi limito a riman- dare a H. Bardon, La littrature latin inconnue, cit., I, pp. 306- 16. 21 Sulla storiograa di questo tipo R. Weil, Aristote et l'histoire, Klincksieck, Paris, 1960; Philosophie et histore: la vision de l'histoire chez Aristote, in La Politique d'Aristote, Entretiens de la Fondation Hardt, XI, Genve 1964, pp. 159- 89. 22 Per il dibattito sulla storiograa in questo periodo cfr. A. D. Leeman, Orationis ratio cit., pp. 225- 30; A. La Penna, Sallustio e la rivoluzione romana, Milano 19733, pp. 370 ss. 44 LA PRosA LATINA ne); era stato espulso dal senato nel 50 a.C. per indegnit morale ( ma probabilmente per ragioni politiche); aveva rialzato le sue fortune politi- che mettendosi al seguito di Cesare ed era arrivato alla pretura nel 46 a.C. e poi al governo della provincia di Numidia; accusato di malversa- zioni per questo governo, aveva evitato la condanna, ma si era ritirato dalla politica gi prima della morte di Cesare. Rientra, dunque, anche lui fra gli storici senatori che scrivono storia dopo aver rinunciato all'attivit politica. Bench la storiograa a Roma contasse circa un secolo e mezzo di vita e al tempo di Sallustio gli storici non mancassero, lui, uomo pro- veniente dalla politica, sente il bisogno di giustificare l'attivit letteraria in generale e la storiograa in particolare: questo lo scopo degli ampi proemi delle due monograe, il Bellum Catilinae e il Bellum Iugurthi- num, scritte nei torbidi anni che seguirono alla morte di Cesare. Fare storia con l'azione politica compito preminente rispetto allo scrivere storia; ma la situazione politica cos deteriorata per lo scatenarsi di ambizioni e di avidit e per l'inquinamento del senato che non esiste pi spazio per un'attivit politica onesta e utile allo Stato: meglio, quindi, evitare l'0tium ignavo e cercare un otium impegnato nell'attivit storio- graca, che anch'essa frutto della virtus, della parte pi nobile dell'uo- mo, e, in quanto contribuisce alla formazione morale del cittadino, assol- ve anch'essa un compito politico. La scelta della storia , dunque, per Sallustio una risposta alla crisi dello Stato e della societ: quindi, innanzitutto, un'interpretazione della crisi. Invece di dare una storia completa della malattia Sallustio si propo- ne di esaminarne e narrarne alcune fasi acute: perci sceglie la congiura di Catilina e lo scandalo della guerra giugurtina. Animatori della congiu- ra sono elementi corrotti della nobilitas. Specialmente 1'esperienza silla- na ha tolto ogni freno all'ambizione e all'avidit di una parte dei nobili, che, una volta rovinati dai debiti per il loro lusso illimitato, sono pronti a ogni avventura politica, anche allo sconvolgimento dello Stato; ma, se arrivano a disegni del genere, a forme di criminalit politica, perch trovano nella societ romana, soprattutto nella capitale, molta materia inammabile: Roma diventata una sentina di miseria e di vizi, in cui sono conuiti dalla campagna coltivatori che hanno perduto le loro ter- re; anche coltivatori rimasti sui campi soffrono sotto il peso dei debiti; nelle province vi sono popolazioni che non sopportano pi le angherie dei governanti; gli schiavi costituiscono ancora una riserva per le rivolte. Catilina rifiut il ricorso agli schiavi, consigliato da alcuni complici, ma cerc di stringere insieme le altre forze avverse al governo senatorio, le parti della societ pi colpite dalla crisi economica: perci le manovre di pochi sobillatori furono sentite come un pericolo gravissimo per l'assetto sociale, oltre che per quello politico. Se all'origine della malattia c', co- me per Catone il Censore, la corruzione morale ( dunque l'interpretazio- ne della crisi resta moralistica), nell'analisi di Sallustio alcuni fattori eco- nomici e sociali della crisi emergono. E evidente che la repressione sanguinosa della congiura a Roma e in Etruria, dove era alimentata da coloni sillani in difcolt economiche, pienamente giustificata, compresi il senatus consultum ultimum, eserci- La storiografia 45 zio di una quasi- dittatura del senato, e l'uccisione dei congiurati a Roma senza processo. I meriti di Cicerone sono riconosciuti, ma non esaltati: l'opuscolo non fu scritto per denigrare il console del 63 a.C., ma tanto meno per tessere l'elogio del padre della patria. Scopo importante, an- che se non unico, per Sallustio tracciare lo sviluppo della congiura in modo che sia eliminata ogni responsabilit di Cesare nella congiura stes- sa, anzi ogni alleanza, anche precedente, di Cesare con Catilina; non so- no dissipati con altrettanta cura i sospetti su Crasso. Sallustio resta un cesariano convinto; ma non solo in questione la difesa di un grande uomo: lo scopo dimostrare che l'opposizione cesariana al senato non ha niente in comune con l'eversione sociale e politica, mentre dagli av- versari, e specialmente da Cicerone anche dopo la morte di Cesare, si tende a insinuare che il partito cesariano una combutta di catilinari. C, tuttavia, un mutamento importante nel cesariano deluso, ma non pentito: la considerazione per Catone l'Uticense, visto come il vero vin- citore della criminale rivolta. Sallustio ora convinto che per la salvezza della societ e dello Stato le virt di Catone, l'austerit e l'intransigenza che non va in caccia di gloria, non valgono meno di quelle di Cesare, liberalit, mitezza, energia, qualit di condottiero di eserciti. Lo storico ritiene che vada cos superata la lunga polemica pro e contro Catone. La guerra giugurtina lo attir perch si prestava a denunciare gli aspetti pi negativi della nobilitas senatoria. Per anni la nobilt lascia spazio alla tracotanza e allabilit di Giugurta, che ha comprato una par- te del senato; anche nella parte migliore animata da una superbia non intaccabilc, che cerca di chiudere la carriera politica a homines novi di grande valore: tipico il comportamento di Metello, pur elogiato come ca- po militare, verso Mario. Ma lo storico denuncia anche l'opposizione an- tisenatoria priva di freno, quella che ricorre all'agitazione di piazza e alla violenza ( e anche i Gracchi mancarono di moderazione). L'opposizione moderata dovrebbe mirare al superamento del mos partium et actio- num, alla concordia della societ nello Stato; e il governo dello Stato, il senato, dev'essere aperto ai talenti dell'lite sociale di Roma e d'ltalia non ancora entrata nella nobilitas. Il cambiamento dev'essere l'amplia- mento della classe dirigente e la rigenerazione morale, non la rivoluzione sociale consistente in una redistribuzione della propriet e la cancellazio- ne dei debiti. Le stesse tendenze, che danno i criteri per il giudizio stori- co, permangono, anzi si accentuano nelle Historiae, interrotte al V libro ( arrivavano dal 78 a.C. almeno no al 67 a.C.): condanna della nobilt, ma anche della demagogia tribunizia e della rivolta, esaltazione di hom - nes novi, come Sertorio, che s'innalzano grazie al valore militare, non con manovre demagogiche. Le passioni del vecchio cesariano rimangono vive e si avvertono specialmente nella coloritura polemica di Pompeo, un ambizioso privo di scrupoli, incline persino ad adulare il volgo per innal- zarsi. Le due monografie di Sallustio non isolavano solo un tema, ma anche un problema: questa organicit di riessione storica era una novit rile- vante nella storiograa latina. Il tema non veniva isolato, ma collocato rapidamente nel contesto di un'interpretazione generale della storia ro- 46 LA PRosA LATINA mana: la funzione di raccordo era affidata specialmente all'introduzione del B. Cat. ( 6- 14) e agli excursus centrali delle due monografie ( Cat. 36, 4- 38, 4; lug. 41- 42). Come nella tradizione morale almeno da Catone il Censore in poi, alla decadenza di costumi veniva opposta l'integrit poli- tica e morale dei primi secoli di Roma, specialmente dei primi secoli del- la repubblica. La spiegazione della crisi era prevalentemente moralistica, ma Sallustio tenne molto conto anche di un concetto pi razionale che aveva avuto una certa diffusione: la crisi, la cui manifestazione pi peri- colosa era la lotta fra i partiti, si scaten quando venne a mancare il metus hostilis, cio quando Roma non ebbe pi nemici esterni che mi- nacciassero la sua esistenza: la caduta della paura dei nemici esterni fu la fine della concordia interna. La svolta segu presto alla distruzione di Cartagine nel 146 a.C. Il concetto, ancora incerto nel Bellum Catilinae, chiaro nel Bellum Iugurthinum e viene esteso nelle Historiae anche alla storia arcaica di Roma: le prime discordie interne erano scoppiate con la ne della paura che incutevano gli Etruschi, cio col tramonto della po- tenza di questo popolo. Questo importante concetto, che avrebbe avuto fortuna anche in et moderna, fu affermato dal grande filosofo e storico greco Posidonio, ma correva in ambienti politici romani sin dalla ne della seconda guerra punica: l'influenza di Posidonio non fu determinan- te. I Romani dovevano averlo sviluppato partendo da suggestioni greche, che risalivano fino a Platone. L'importanza fondamentale, che per Sallustio aveva, nella storia, l'in- tegrit di tutto il popolo, non eliminava il rilievo dei grandi personaggi. Lo storico ereditava da Catone il Censore e da Cicerone il concetto che lo Stato romano era stato costruito lentamente dalle virt dei cittadini: questo concetto che opera, anche se non formulato esplicitamente, nel- l'introduzione al Bellum Catilinae; ma la sua efficacia limitata, nel cor- so stesso della prima monografia, dal fascino delle grandi personalit, di cui anche la storia recente ( al contrario del momento attuale) era stata ricca; il rilievo delle grandi personalit riconosciuto a proposito di Ce- sare e Catone, prima del famoso confronto ( Cat. 53), e resta, anche se meno evidente, nelle due opere successive, dove spiccano Giugurta, Me- tello, Mario, Silla, Sertorio, Mitridate ecc. Fra i due poli v' una tensione problematica non del tutto risolta. L'organicit del pensiero si unisce a una notevole organicit della composizione. La seconda, per, non nasce solo dalla prima: presuppone un'arte compositiva ellenistica le cui origini ci restano oscure. In ciascu- na delle due monografie l'azione si sviluppa drammaticamente no al punto pi acuto della crisi, dopo il quale si ha un avvio verso la salvez- za; l'excursus etico- politico centrale collocato proprio al momento del- la svolta. Anche excursus di altro genere dividono opportunamente il corso dellazione. Pezzi forti della composizione sono discorsi e lettere, che non sembra abbiano la funzione strutturale degli excursus; Sallustio riesce bene a equilibrare la funzione tucididea d'illuminare situazioni e intenzioni con la funzione drammatica di caratterizzare personaggi. Cu- rato il rilievo dei momenti di pi viva tensione. ll tessuto narrativo era pragmatico, cio costituito dagli affari politici e militari, ma Sallustio si La storiografia 47 preoccupa di dare a tutta lazione vitalit drammatica, una vitalit into- nata con la sua interpretazione moralistica della storia; non manca qual- che ricerca degli effetti della storiografia tragica, ma la ricerca molto misurata, cos misurata da essere sfuggita a molti interpreti 33. Si accorda con questa tendenza, anche se da essa non dipende, larte del ritratto, con le sue pennellate essenziali e decise: un'arte di cui Sallustio fu mae- stro. Il nuovo storico sintetizzava storia pragmatica e storia tragica con una solidit che probabilmente nessuno aveva raggiunta. Ma la novit che colpiva di pi, e che fu anche la pi criticata, era nello stile. Era proprio il contrario di quello che Cicerone e i suoi amici desideravano: non uno stile uido, di un discreto splendore e tuttavia non lontano dalla lingua urbana, ma uno stile arcaizzante, com'era nella tradizione della storiograa, caratterizzato da gravitas, aspro, spesso vo- lutamente disarmonico. Fu accusato di aver saccheggiato il lessico di Ca- tone, e c'era del vero nell'accusa; ma quell'arcaicit era in funzione di una oauvtn tucididea, quell'asprezza era espressione di vigore ed ener- gia, all'armonia del ritmo si sostituivano densit pregnante e agilit se- mantica e icastica; mai l'arcaismo si era unito cos efficacemente con la novit, e il nuovo stile, anche se osteggiato per un lungo periodo, doveva diventare lo stile classico della storiografa latina. Se era netto il distacco dalle aspirazioni dei ciceroniani, ancora pi netto era il distacco dal pre- decessore Sisenna. Di questo storico Sallustio aveva continuato l'opera, che finiva alla morte di Silla. Sallustio ne rifiuta sia il giudizio su Silla sia lo stile: gravitas invece di grazia e raffinatezza lessicali. La nuova storiografia non voleva essere un genere d'intrattenimento. Nel pensiero e nello stile Sallustio os ispirarsi a Tucidide. Dal vigore critico di Tucidide rimase lontano, per i limiti del pensiero storico latino pi che per debolezza personale; il rapporto con un cos grande modello era confrontabile con quello fra Cicerone e Demostene e dimostrava lo stesso coraggio e la stessa consapevolezza delle proprie forze; la nuova storiograa intendeva porsi al livello della migliore storiograa greca: al- meno in questo la via era quella che Cicerone desiderava. Ci non deve nasconderci i limiti della via imboccata: la storia pragmatica tucididea, ornata con coloriture tragiche, emarginava altri interessi, specialmente quelli di antiquaria; se el- iminava curiosit futili, riduceva anche l'interes- se per l'etnografia. La storia guadagnava in solidit e profondit, ma di- ventava meno varia e vivace e, in definitiva, restringeva l'orizzonte. Non sappiamo fino a che punto Sallustio intendesse arrivare con le sue Historiae. Poco dopo la sua morte un'opera di pari ambizioni e re- spiro scrisse un uomo politico di maggiore rilievo, anche lui di estrazio- ne italica ( proveniva dal paese dei Marrucini), Caio Asinio Pollione ( cir- ca 75 a.C.- 4 d.C.): un altro storico senatore, un altro homo novus dell'1- talia centrale, come Catone e Sallustio. Lo stile del suo predecessore non gli piaceva: polemizz contro di lui con una certa asprezza e malignit, accusandolo di essere troppo arcaizzante, oscuro, audace nei traslati; at- Cfr. la discussione da me svolta in Sallustio cit., pp. 350- 7. 48 LA PROSA LATINA tacc anche Cesare come trascurato nello stile e poco obiettivo. Eviden- temente mirava a uno stile nuovo, personale, di cui possiamo farci una pallida idea da un breve pezzo ( fr. 5 P.) contenente un giudizio su Cice- rone 3^ : uno stile secco, non banale, ma privo sia di grazia sia dell'e- nergia che caratterizza lo stile sallustiano; la collocazione delle parole gli d una certa asprezza, tuttavia ben lontana da quella del predecessore; asprezza e oscurit dovevano essere molto attenuate, gli arcaismi erano meno frequenti, ma ci non bastava per fare di Asinio un grande scritto- re. Comunque, non possiamo dare un giudizio in base a poche righe. Il giudizio di Asinio su Cicerone non benevolo, ma, se consideria- mo altre manifestazioni della sua ostilit verso l'oratore date in altre opere, si nota uno sforzo verso l'obiettivit; probabilmente le sue pretese di obiettivit, come quelle che ispirano il suo giudizio sui commentari di Cesare, non erano vane. Il compito di offrire un racconto spassionato e rigoroso era reso difficile dalla materia: naturalmente le vicende da lui trattate nelle Historiae, dal cosiddetto primo triumvirato del 60 a.C. si- no, almeno, alla battaglia di Filippi, cio tutta una fase di guerre civili, era oggetto di controversie e polemiche aspre. Si pu congetturare una sua influenza anche in altra direzione: se le coincidenze fra Appiano e Plutarco vanno spiegate, secondo l'opinione prevalente, con la comune dipendenza da Asinio, si pu concludere che a lui risalgono l'aura gran- diosa e prodigiosa e la drammatizzazione di molti eventi delle guerre ci- vili, per es., del passaggio del Rubicone, a cui egli partecip al fianco di Cesare e che nel Bellum civile di Cesare non ha nessun rilievo. Non vo- glio dire che egli invent quelle tradizioni, ma che ne fu il primo testi- mone autorevole e il primo narratore ad alto livello letterario. Se la con- gettura giusta, vuol dire che Asinio diede alla storiograa tragica spazio molto pi ampio di Sallustio e che fu un anello d'importanza de- cisiva nella storia della storiograa latina. L'opera storica di Asinio era tra quelle che davano spazio all'autobio- grafia e alla testimonianza diretta. Si pu congetturare lo stesso del Bel- lum Parthicum di Quinto Dellio, che Messalla boll come desultor bello- rum cvilium: era passato, infatti, dai cesariani ai cesaricidi, dai cesarici- di ad Antonio, da Antonio a Ottaviano. Della campagna di Antonio con- tro i Parti del 36 a.C. era stato testimone diretto. Non escluso che l'opera fosse scritta o pubblicata sotto il principato; e la stessa incertez- za sussiste per alcuni commentari e biografie che riguardano avvenimen- ti dalla guerra fra Cesare e Pompeo sino a Filippi e che segnaler a pro- posito della storiografia augustea. 9. La storiograa latina sotto il principato augusteo Le opere di Sallustio e di Asinio Pollione erano molto radicate nell'e- sperienza delle guerre civili e nel problema della crisi di repubblica e 3" Breve analisi in A. D. Leeman, Orationis ratio cit., pp. 251 s. La storiograa 49 societ. Con la vittoria dell'erede di Cesare ad Azio nel 31 a.C. e con l'assetto del principato augusteo nel 27 a.C. l'et della crisi, delle guerre sanguinose, del caos si chiudeva e incominciava quella della restaurazio- ne di res publica, societ, religione, morale: cos proclamava il nuovo regime, e cos apparve sempre di pi ai contemporanei e ai posteri. Tut- ta la cultura fu condizionata dal nuovo regime. Un'egemonia sulla poesia era stata gi organizzata da Ottaviano e Mecenate nel decennio prece- dente; l'oratoria politica quasi scomparve, e poco dopo divent fiorente il costume delle declamazioni nelle scuole; la storiografia rest molto pi vitale delloratoria, pi indipendente della poesia, ma sub anch'essa un forte cambiamento. Tito Livio ( 59 a.C.- 17 d.C., ma queste date non sono accettate da tutti 35) incominci a scrivere i suoi monumentali Annales ( in 142 libri, di cui ci sono rimasti 1- 10 e 21- 45) o nel 27 a.C., cio nell'anno stesso del nuovo assetto politico, o negli anni fra Azio e il 27 a.C. ( un inizio anteriore molto improbabile). Era nato a Padova, citt ricca e impor- tante della regione dei Veneti, in quella Gallia Cisalpina che nel I sec. a.C. aveva gi dato molto alla letteratura latina. Probabilmente proveniva dai ceti ricchi e solidi non ancora entrati nell'lite politica, ma impregna- ti di cultura greca e romana. Questa origine provinciale presupposto favorevole, anche se non necessario, a una morale austera, fedele agli antichi costumi: sotto questo aspetto Livio pu essere messo nella tradi- zione di Catone, Sallustio, Asinio. Probabilmente fu uno di quegli intel- lettuali a cui l'accesso al foro e alla politica non era chiuso, ma che pre- ferirono restare fedeli alle lettere. Quasi tutta la sua attivit egli dedic alla sua amplissima opera, che venne pubblicando a gruppi di libri; il successo fu grande, e non solo a Roma: si narr di un suo ammiratore che venne a Roma da Cadice per vederlo e che, dopo averlo visto, non volle vedere altro nella capitale. La mancanza di impegno politico ha indotto qualche interprete a contrapporre Livio, come storico privo di esperienza politica, all'alto li- gnaggio degli storici senatori 3 ; la contrapposizione, almeno nella misu- ra, non convince: Livio ha le sue convinzioni politiche e morali, che coincidono con quelle di gran parte dell'lite politica del suo tempo e hanno molti punti di contatto con quelle dei precedenti storici senatori; ha scarsa competenza giuridica e militare, ma Sallustio nel Bellum Iu- gurthinum non gli superiore di molto; Livio scrive storia con tutto il suo armamentario retorico, ma in questo non differisce da Sallustio e da Tacito, anche se le loro scelte stilistiche sono molto diverse. Una netta distinzione fra storici senatori e storici letterati pi fuorviante che uti- le. Come nei poeti contemporanei, e anzi di pi, l'esperienza della crisi 35 R. Syme, Livio e Augusto, trad. ital. premessa a Livio tradotto da M. Scandola, BUR, Milano 1982 ( l'articolo risale al 1959), pp. 25- 9, ha proposto il 64 a. C. per la nasci- ta, il 12 d. C. per la morte. 3 Cfr. R. Syme, Livio e Augusto, cit., spec. p. 83; una valutazione diversa ho propo- sta in Aspetti del pensiero storico latino, cit., pp. 100- 4. 50 LA I RosA LATINA resta molto viva in Livio. L'ultimo secolo della repubblica aveva una parte amplissima nell'opera: pi di met, 74 libri dalla distruzione di Cartagine a Filippi, era dedicata allultimo secolo della repubblica. Dai riassunti ( periochae) dei libri perduti non possiamo farci unidea della sua interpretazione della crisi, ma che della crisi avesse una dolorosa co- scienza evidente gi dalla praeatio 37: la potenza romana cresciuta a tal punto che ora malata perch schiacciata dalla sua stessa mole ( Prae. 4 ut iam magnitudine laboret sua); da tempo il popolo domina- tore si distrugge con le sue stesse forze ( iam pridem praevalentis populi vires se ipsae coniciunt); la malattia dello Stato e della societ, dopo un processo dapprima lento, poi sempre pi rapido, si aggravata no al presente, in cui sono divenuti intollerabili sia i mali sia i rimedi ai mali ( Prae. 9 ad haec tempora quibus nec vitia nostra nec remedia pati pos- sumus). Risuona l'eco della notte sanguinosa delle guerre civili: suis et ipsa Roma viribus ruit era riessione amara di Orazio in uno degli epodi civili ( 16, 2) 38. L'entusiasmo per la restaurazione, la rinascita non sem- bra aver toccato ancora il nuovo storico di Roma: la coscienza della crisi ancora vicina a quella di Sallustio, di cui Livio tiene presente soprat- tutto il proemio alle Historiae 3 . La coscienza della crisi, se scuote fortemente la fiducia nel futuro, non intacca l'ammirazione per il grande passato del popolo romano. An- cora Sallustio, come abbiamo visto, contrappone al presente corrotto un tempo in cui la societ romana era integra; ma nelle Historiae tendeva a restringere questo tempo felice; per Livio il popolo romano stato il pi grande per potenza, purezza di costumi, parsimonia: l'avidit, l'amore del lusso vi sono penetrati molto pi tardi che presso altri popoli ( Prae. 11). Egli rinsalda una tendenza generale della storiograa giusticando pienamente le conquiste e il dominio di Roma. La storiografia, non me- no dell'epica, aperta alla comprensione, se non all'accoglimento, delle ragioni dei vinti": nelle Historiae di Sallustio, per es., spiccava una let- tera di Mitridate al re dei Parti ( lettera conservataci), che una lucida accusa del rapace imperialismo romano in Oriente. Livio sviluppa abba- stanza questo orientamento: rispetta le lotte di popoli contro Roma in difesa della propria libert e, almeno per l'Italia, valorizza l'ampliamento dello Stato come associazione di uomini liberi alla cittadinanza romana ( cfr. spec. VIII 13, 16, in un discorso di Camillo per la concessione della cittadinanza ai Latini vinti, VIII 20, 10- 21, 10, sulla concessione della cittadinanza ai Privemati ribelli) " . Secondo una tendenza anch'essa ben 37 Per la praeatio di Livio rimando all'approfondita e originale analisi di M. Mazza, Storia e ideologia in Livio. Per un'analisi storiograica della praeatio ai Libri ab urbe condita", Catania 1966, con la quale concordo in gran parte. 3 La suggestione di Orazio confermata dall'eco pi precisa in VI 19, 6 ut suis ipse oneratus viribus ruat, detto di Manlio Capitolino. 39 Sul confronto della praeatio liviana con Sallustio cfr. L. Amundsen, Notes to the Preace of Livy, in Symbolae Osloenses, 25, 1947, pp. 31 ss.; M. Mazza, Storia e ideolo- gia cit., pp. 70 ss. 4 Per ragioni di brevit rimando a una trattazione meno cursoria da me data in Aspetti del pensiero storico latino, cit., pp. 66- 72. La storiograa 51 affermatasi e consolidata da Varrone, segnala gli apporti di altre civilt alla civilt romana 4'. Tuttavia, la centralit di Roma non minimamente in questione: anche se l'impero magnitudine laborat sua, in ci che con- serviamo di Livio difficile scorgere la tendenza a superare l'orizzonte della citt- Stato. La giustificazione dellimpero ha basi religiose e morali. Come nell'E- neide, la formazione dell'impero avviene ool favore degli dei; Virgilio usa il termine atum, Livio generalmente quello pi indefinito di fortuna, ma fra i due termini v' una larga coincidenza concettuale, a cui non bisogna chiedere la profondit di una filosofia della storia. La cultura filosoca, vagamente stoica, si avverte poco; molto pi operante la re- ligiosit tradizionale, del resto conciliabile con lo stoicismo: la si nota anche nella viva attenzione per i prodigi e i presagi che l'annalistica tra- mandava. Qualche punta di incredulit afora anche in Livio, ma non tale da intaccare le fondamenta della sua fede nella divinit e nell'in- uenza della divinit sulla storia. Come nell'Eneide, il favore divino non diminuisce il merito degli uomini: i Romani hanno conquistato il mondo grazie al loro valore in guerra, la loro disciplina, la loro pietas, che soprattutto il culto della famiglia, della res publica, delle divinit. La col- laborazione tra fortuna e virt prevale in Livio nettamente sul contrasto; comunque la sua opera un anello essenziale tra la riessione greca, tucididea, su txn e yvu' | .I] e la riessione umanistica e machiavellica su fortuna e virt. Il popolo nella sua unit, Forganizzazione statale, la morale della so- ciet hanno in Livio una solida importanza: si capisce, quindi, come un latinista illustre abbia potuto dire che il popolo l'eroe della sua ope- ra ; ma non neppure infondato affermare che la sua opera una gal- leria di eroi o di grandi personalit. In realt, come risulta dalla praea- tio 43, egli si proposto il difcile equilibrio fra la rappresentazione della vita e dei mores del popolo da un lato e dei meriti politici e militari dei viri dall'altro: il suo pensiero sulla storia romana era, press a poco, quel- lo di Ennio: moribus antiquis res stat Romana virisque. Ha realizzato l'equilibrio a suo modo, un modo che non pu essere, ovviamente, il nostro; comunque le due esigenze sono sempre operanti nell'opera. Si capisce che egli non amasse le personalit che violavano la tradizione o tendevano a collocarsene fuori: il 'pompeiano' non nutr un culto per Cesare. Un vero culto non nutr neppure per Augusto, l'erede di Cesare, ma i rapporti reciproci furono buoni, certamente senza punte di ostilit. L'eti- chetta di pompeiano, che Augusto appiccic scherzosamente a Livio, non era priva di ogni fondamento; ma gli spiriti repubblicani che lo sto- rico dimostrava, non solo erano compatibili col nuovo regime, ma rien- travano anche nell'ideologia del principato che il restauratore della re- '" Cfr. Aspetti del pensiero storico latino, cit., pp. 133- 9. 42 Cfr. R. Heinze, Die augusteische Kultur, cit., p. 103. 43 Cfr. M. Mazza, Storia e ideologia cit., pp. 107 ss.; ma un'interpretazione pi equili- brata appare a pp. 127 s., 129 s. 52 LA PROSA LATINA pubblica and plasmando almeno dal 27 a.C. in poi e che si caratteriz- zava per il distacco dalle forme cesariane del potere ( come la dittatura), per dissipare ogni sospetto di regnum. Come per gli altri intellettuali contemporanei, difficile segnare il confine tra la convergenza sponta- nea e il conformismo. V'era certamente un consenso spontaneo per al- meno due ragioni: il ritorno alla pace, alla religione e morale tradiziona- le e l'eliminazione della demagogia tribunizia e della lotta fra i partiti, in cui potevano insinuarsi aspirazioni pericolose dei ceti poveri; in Livio mancava anche la spinta al dissenso che operava nei poeti, l'attrazione di valori importanti che si ponevano al di fuori della comunit e della vita pubblica; ma impossibile sapere se egli accettasse per vero tutto ci che di falso vi era nelle forme costituzionali e nell'ideologia. Un inter- vento del princeps nel lavoro dello storico ci fu a proposito degli spolia opima offerti a Giove Feretrio, nel 437 a.C., da Aulo Cornelio Cosso: Livio, seguendo le notizie degli annalisti, narra che Cosso offr le spo- glie, tolte al re di Veio Lars Tolumnio, mentre era tribunus militum; Au- gusto gli fece osservare di aver letto su una corazza di lino conservata nel tempio di Giove Feretrio che Cosso, quando comp il rito, era conso- le ( IV 20). Per Augusto la questione era rilevante: un nipote del triumvi- ro Crasso, che nel 29 a.C., come proconsole di Macedonia, vinse i Ba- stami e tolse le spoglie al loro capo Deldone, chiese oltre il trionfo, che ottenne, anche l'onore dell'offerta degli spolia opima, onore che, attri- buito a Romolo e a Cosso, era considerato molto prestigioso; Augusto per negarglielo apportava l'argomento che Crasso non aveva combattuto sotto auspici propri, non era da considerasi un dux, mentre Cosso, in quanto console, si trovava nelle condizioni necessarie . Livio prefer le conclusioni di Augusto e accett anche il principio, poco fondato, che solo il dux poteva conseguire quell'onore. V' un cedimento ossequioso, ma lo storico non elimina la versione corrente: siamo al di qua di un volgare servilismo. Risalga o no allo stesso Livio, non inattendibile la notizia, data nel titolo della periocha CXXI, secondo cui questo libro ( e, naturalmente, anche i successivi) fu pubblicato dopo la morte di Augu- sto; il libro CXX arrivava sino alla morte di Cicerone: quindi quasi tutti i libri comprendenti la vita dell'imperatore furono pubblicati dopo la sua morte: forse per prudenza; comunque Livio non si affrett a pubblicare panegirici del restauratore della repubblica. Forse ci sono allusioni alla politica augustea nei libri conservati, per es. a proposito di Romolo o di Camillo: in ogni caso nulla di evidente e di adulatorio. Del resto, gi la praeatio una prova eloquente: se si pensa agli inni delle Georgiche per il salvatore della patria, scritti quando Livio incominciava la sua opera o poco prima, la differenza appare enorme. Anche tenuto conto della diffe- renza di genere letterario, bisogna concludere che, pur in un sostanziale consenso col nuovo regime, Livio pi indipendente dei poeti 45. Con i 44 La questione stata dibattuta da molti, specialmente da R. Syme, Livio e Augusto, cit., 35 ss. Sui rapporti di Livio con Augusto l'ultimo capitolo di M. Mazza, Storia e ideologia cit., molto pi attendibile del saggio un po' acre di R. Syme. La storiografia 53 vantaggi e gli svantaggi che ci comporta, egli pi di Sallustio e Asinio Pollione lontano dalle passioni politiche; ancora pi lontano dai legami con le grandi famiglie romane, che avevano provocato storture nell'anna- listica almeno fino a Licinio Macro. Che egli erediti in parte tali storture, un altro conto: ci non diminuisce la sua volont di indipendenza. Anche nell'impianto compositivo dell'opera egli si staccava dalla grande storiograa recente di Sallustio e di Pollione: non pi piccole o grandi sezioni della storia recente, ma, come nella vecchia annalistica, la storia completa di Roma dalle mitiche origini fino all'et contempora- nea; l'ultimo libro, il CXLII, si ferma al 9 a.C., con la morte di Druso: forse l'autore non continu a causa della morte, ma questa solo una congettura. La struttura generale dell'opera non chiara. Gruppi di dieci e anche di cinque libri si possono individuare tenendo conto dei proemi e di certi avvenimenti che possono essere considerati discriminanti: 1- 5 dalle origini fino alla presa di Roma da parte dei Galli; 6- 15 conquista d'Italia fino allo scoppio della prima guerra punica, sembrano formare un blocco a s ( piuttosto che 6- 10 e 11- 20); 16- 20 dall'inizio della pri- ma guerra punica all'inizio della seconda; 21- 30 seconda guerra punica; 31- 40 dalla fine della seconda guerra punica alla morte di Filippo II di Macedonia; ma in seguito la divisione in pentadi o decadi in base ai con- tenuti pare improbabile, tranne che Livio non segnasse con proemi divi- sioni artificiose; sono possibili altri raggruppamenti di cui qui non pos- siamo tener conto ' . Bench la narrazione fosse sempre impegnativa, la storia dei tempi recenti era pi ampia: i libri dal LI in poi, cio quasi due terzi dell'opera, comprendevano gli eventi dalla distruzione di Carta- gine ( la grande svolta del 146 a.C.) al 9 a.C.: ci si spiega con l'abbon- danza di informazione, ma anche con l'interesse dei lettori, che, come ci testimonia esplicitamente la praeatio, avevano fretta di arrivare ai tempi recenti ( Prae. 4 estinantibus ad haec nova. _ .). Livio si soffermato sui tempi remoti pi di quanto il pubblico, forse, non desiderasse; ma in quei tempi egli trovava esempi illustri, materiale per assolvere la funzio- ne pedagogica dell'opera ( Prae. 11 bonis exemplis); d'altra parte in quel passato nobile poteva consolarsi stornando l'anima dai mali del presente ( Prae 5). Il materiale che Livio usa quasi esclusivamente letterario: egli lavo- ra su narrazioni gi elaborate, prevalentemente l'annalistica latina, qual- che volta, come nel caso di Polibio, opere greche; pur essendo vissuto a lungo a Roma ( e non a Padova, come qualcuno ha supposto, anche se a Padova mor ), generalmente non si preoccupa di consultare documenti; a questa debolezza di metodo, notevole anche rispetto alla storiograa antica, unisce la mancanza di rigore critico rispetto alle narrazioni gi elaborate. Queste carenze sono state notate tante volte dalla storiografia moderna che non c bisogno di insistervi; anche se non sono mancate 46 Fra i vari tentativi segnalo quello di I. Bayet nell'introduzione all'ed. delle Belles Lettres, Paris 1940, pp. XI- XVI, e quello di R. Syme, Livio e Augusto, cit., pp. 7- 25. La pubblicazione di un nuovo frammento, del libro XI, segnalata in Bibliografia. 54 LA I RosA LATINA accuse eccessive, una rivalutazione generale di Livio come storico capace di accertare i fatti sarebbe un esercizio sofistico o retorico. Non vero che egli non avesse l'amore della verit, ma questa non era la sua passio- ne preminente di scrittore e, comunque, egli non aveva il metodo per cercarla; lo scopo di informare non emarginato, come dimostrano i molti passi che, con secchezza annalistica, elencano dati ( per es., le liste dei magistrati annuali), ma davanti alle molte incertezze Livio preferisce riferire le differenti versioni; non sempre sceglie e, quando sceglie, argo- menta di solito debolmente. Lo scopo preminente quello di dare una narrazione vicina, s , al vero, ma soprattutto avvincente, dove il fascino letterario si fonde col fascino morale, la commozione col culto dei valori civili. Sull'impianto pragmatico l'apporto della storiograa tragica ric- co, anzi essenziale; spesso il narratore attento non solo ai consilia, ma anche ai sentimenti e alle emozioni dei capi e delle folle; il confronto col testo di Polibio da lui usato, un testo molto pi pragmatico e razionale, uno dei modi pi convincenti per capire la direzione e l'efficacia della sua arte. Su una base che per lo pi umanamente viva, si staccano drammi curati nei particolari, specialmente di personaggi femminili: Tul- lia, Lucrezia, Sofonisba. Lo spazio dato alla storiograa tragica molto pi ampio che in Sallustio; non possiamo confrontare con Asinio Pollio- ne, che sotto questo aspetto offriva di pi; comunque Livio si preoccupa anche di evitare gli eccessi di certa storiografia ellenistica. Il distacco da Sallustio era netto specialmente nello stile. Talvolta gli antichi, e anche critici moderni, hanno contrapposto la coppia Livio- Sal- lustio alla coppia Erodoto- Tucidide; ma l'accostamento di Livio a Erodo- to piuttosto deformante. La scelta di Livio si poneva chiaramente nella prospettiva a cui guardavano Cicerone e i suoi amici: uno stile uido, armonioso, ricco ma non accido, di un misurato splendore, di una no- bilt senza preziosismi. Egli si ispirava chiaramente a Cicerone, ma l'a- dattamento della retorica ciceroniana alla narrazione storica richiedeva un'elaborazione difficile; qui non possibile illustrare il processo di adattamento, ma necessario sottolineare che Livio non un retore cice- roniano: il creatore di un nuovo stile storico, che nell'antichit ebbe meno fortuna di quello di Sallustio, ma che fu anch'esso un modello per la storiograa umanistica e rinascimentale. Esso si fonda su un mirabile equilibrio di gravitas e drammaticit, di nobilt e di intensit emotiva: una sintesi difficile, che talvolta fa pensare al IV libro dell'Eneide. Nei primi cinque libri, per i tempi pi mitici, lo storico non rinuncia ad ar- caismi poetici per dare una patina pi epica al racconto; neppure in se- guito vi rinuncia del tutto, ma li preferisce in parti della narrazione a cui vuol dare tono pi alto; generalmente la gravitas non ricorre a una lin- gua ammuffita ( la lingua di Livio, anche se meno di quella ciceroniana, ha un fondo urbano e moderno); la nobilt mantenuta con mezzi nuo- vi; d'altra parte lo stile drammatico rifugge da colori esasperati e da le- nocini. Come sotto altri aspetti, anche nello stile Livio riesce a realizzare difficili equilibri. Un quadro adeguato della storiografia dell'et augustea dovrebbe prendere in considerazione gli storici greci operanti a Roma, innanzitutto La storiograa 55 Dionigi di Alicarnasso; ma questo compito non rientra nelle mie compe- tenze. Dionigi, che valorizzava oltre misura l'influenza greca sulla civilt romana facendola risalire molto indietro, era in sostanziale consenso col regime augusteo; trov invece difficolt, nell'ambiente della capitale, uno storico proveniente da Alessandria, Timagene, che, menato a Roma co- me prigioniero nel 55 a.C., incontr forti ostilit fra i nobili protettori di letterati e alla fine trov accoglienza presso Asinio Pollione. Accenno a lui perch si supposta una sua inuenza determinante su Pompeo Tro- go, vissuto anche lui in et augustea, proveniente dalla Gallia Transalpi- na e autore di Historiae Philippicae in 44 libri, di cui ci conservata un'epitome redatta da Marco Giuniano Giustino fra il II e il III sec. d.C. La novit dell'opera che non pone al centro della storia universale Ro- ma e il suo impero, ma il regno e l'impero macedone, a cui sono dedicati 33 libri; solo gli ultimi due libri trattano di Roma, della Gallia, della Spagna; inoltre un tipo di storia che d pi spazio all'etnografia, men- tre la precedente storiograa latina tendeva a emarginarla. Nell'impianto e nell'ispirazione la differenza da Livio netta, e ci ha indotto alcuni storici a vedervi un'espressione di quella rivolta spirituale contro Ro- ma che un filone consistente e affascinante della cultura antica; in que- sto contesto stata valorizzata anche l'origine gallica dell'autore. Proba- bilmente questa interpretazione va oltre la giusta misura. Punte antiro- mane affiorano, ma non sono vistose: certamente la lotta contro Roma non lo scopo dell'opera; va ricordato che, come ho gi detto, la critica all'imperialismo trovava espressione, se non giustificazione, nella storio- grafia latina, specialmente in Sallustio. Scopo preminente dell'opera .era rispondere a un interesse per i popoli stranieri che nei ceti colti del mon- do di lingua latina esisteva, come dimostrano, per es., la Communis hi- storia di Lutazio Catulo ( o Lutazio Dafni) e le serie parallele di biografie di Cornelio Nepote, e a cui l'annalistica non aveva risposto. Resta vero, tuttavia, che la storiografia di questo tipo si teneva fuori dell'area con- trollata o ispirata dalla restaurazione augustea. Ad Augusto le preoccupazioni vennero, nel secondo periodo del suo principato ( quello posteriore a Virgilio e Orazio), da una storiografia di tipo pi tradizionale. Gli spiriti repubblicani, pi che tollerabili nel caso di Livio, erano pi profondi e aggressivi in alcuni intellettuali, come il retore Cassio Severo e lo storico Tito Labieno; si aggiunga che nel se- condo periodo augusteo, quello in cui cade la relegazione di Ovidio, per ragioni su cui ora non posso intrattenermi, soprattutto lappannarsi della finzione della repubblica restaurata e l'emarginazione di un abile inter- mediario come Mecenate, i rapporti fra regime e intellettuali si fecero pi difficili e talvolta aspri. La corruzione dell'lite di governo, che pre- dicava la restaurazione morale e religiosa, veniva talvolta denunziata: ci fu una polemica sul lusso di Mecenate; un suo liberto, Batillo, fu attac- cato da Labieno e difeso da Giunio Gallone. Labieno, un intellettuale del ceto equestre, che per la sua aggressivit fu soprannominato Rabienus, scrisse anche unopera di storia, in cui dava ampio spazio alla storia con- temporanea e osava attaccare il regime. Nel 12 d.C. le sue opere furono bruciate per ordine del senato; Labieno per il dolore si chiuse nella tom- 56 LA PRosA LATINA ba dei suoi avi e vi si lasci morire. Il retore Cassio Severo, che pure non amava Labieno, ne aveva imparato a memoria l'opera e, dopo la sua morte, dichiar che per distruggere l'opera di Labieno bisognava brucia- re anche lui. Questi particolari meritano di essere ricordati perch dimo- strano l esistenza di un filone storiografico repubblicano, non elimina- to dal regime, che diventer pi robusto nel oorso del I sec. d.C. e si congiunge a monte con la storiograa anteriore al principato. La grande svolta segnata da Livio nello stile storico non elimin gli ammiratori di Sallustio. Di Sallustio imit pedissequamente lo stile, con un cattivo gusto che suscit il riso di Seneca ( Epist. ad Lucil. 114, 17), Lucio Arrunzio, probabilmente uno dei consoli del 22 a.C. ( piuttosto che il figlio omonimo, console nel 6 d.C.). Arrunzio non ebbe fortuna, ma anche in questo caso utile segnalare la persistenza di un filone che poi diverr prevalente. Un'attrazione, ma molto pi temperata, forse Sal- lustio esercit su Pompeo Trogo; lo lasciano supporre un discorso di Mi- tridate ai soldati, che Giustino conserva con fedelt ( discorso indiretto perch in generale Trogo rifiutava luso del discorso diretto) e la synkri- sis tra Filippo e Alessandro. Pare che tornasse, invece, allo stile disador- no dell'annalistica Clodio L cino, uno dei consoli del 4 a.C., autore di una storia romana ( Res Romanae) di cui non conosciamo l'ampiezza, ma che doveva essere piuttosto dettagliata per i tempi di Scipione lAfri- cano 47. Resta vivo il costume secondo cui gli uomini politici di rilievo si con- tentano di scrivere commentari autobiograci per gli storici. Augusto stesso scrisse un'opera del genere ( De vita sua in 13 libri), che arrivava fino alla guerra cantabrica ( 27- 24 a.C.) e comprendeva, quindi, la parte della vita pi discussa, quella che pi aveva bisogno di apologia. E ow io che l'opera era apologetica. A proposito della nascita sottolineava che egli veniva da una famiglia di non grande passato, famiglia ricca e anti- ca, di ceto equestre, in cui il padre era stato il primo senatore ( fr. 1 P. = 3 Malcovati): forse, come Scauro e Silla, mostrava che la famiglia era salita alla fama grazie ai suoi meriti. Supporre che intendesse mettere in ombra l'eredit di Cesare sarebbe arrischiato, perch ricordava sia la co- meta apparsa poco dopo la morte di Cesare, durante la celebrazione dei ludi in onore di Venere Genitrice ( fr. 4 P. = 6 Malc.), sia la stella appar- sa durante la celebrazione dei ludi funebri in onore di Cesare, stella che egli identicava con lanima del padre adottivo ( fr. 5 P. = 7 Malc.). So- gni, prodigi, presagi costellavano l'autobiografia di Augusto come quella di Silla, specialmente agli inizi; essa rientra nel tipo di autobiografia che ho chiamato carismatico. Notevole la differenza dalla grande iscrizio- ne che egli compose per il suo monumento funebre ( le Res gestae): que- sta non meno apologetica, ma gli elementi carismatici scompaiono: 47 Su Clodio L cino e il dibattito su Scipione l'Africano un'interpretazione discutibile in S. Mazzarino, Il pensiero storico cit., II, pp. 448 s. Tralascio qui altri storici di et augustea che conosciamo solo, o quasi solo, di nome, come Octavius Musa, Octavius Ru- so, C. Fumius, su cui cfr. H. Peter, HRR2, II, pp. XCVIII s. ; H. Bardon, La littrature latine inconnue, cit., II, pp. 92 s. La storiografia 57 lo stile quello ufficiale delle iscrizioni; limperatore si presenta come il magistrato al servizio della res publica, collocato nel quadro costituzio- nale, superiore agli altri magistrati per auctoritas, non per potestas. Commentari autobiografici ( De vita sua) scrisse il pi efficiente dei collaboratori di Augusto, Marco Vipsanio Agrippa, che valorizzava, nel- l'insieme della sua attivit politica, il contributo decisivo dato alle opere pubbliche; rivelava anche qualche particolare poco edificante della car- riera dell'imperatore ( per es., a proposito della battaglia di Filippi), ma certamente non lo denigrava. Una fonte storica di un certo rilievo, spe- cialmente per la battaglia di Filippi, erano i commentari autobiograci di Marco Valerio Messalla Corvino, uomo politico di rilievo prima del prin- cipato e durante il principato. Amico di Cassio, il cesaricida, aveva com- battuto dalla sua parte a Filippi e ne evocava commosso, in un'aura di calma nobilt, lultimo addio prima della battaglia; rivolgeva, invece, una polemica acre contro Antonio, che aveva abbandonato per la sua corru- zione alla corte egiziana e contro cui aveva combattuto ad Azio. Ben collocato nel regime, Messalla era tra i pochi che potessero permettersi una cauta autonomia politica e culturale, che nell'opera autobiografica si dimostrava specialmente nella fedelt alla memoria di Cassio. Dubbia l'esistenza di commentari autobiograci o storici scritti da Mecenate 4. Fra gli scrittori latini non pare che Augusto avesse un biografo note- vole come il greco Nicolao di Damasco. Svetonio cita vari biografi che non ebbero nessuna fama, lulius Marathus, Gaius Drusus, lulius Saturni- nus, Aquilius Niger 4 ; tramandano a volte particolari miracolosi, a volte notizie denigranti: dagli anni anteriori al principato non erano sparite tradizioni biografiche avverse all'imperatore. Forse si collocava tra le biograe edicanti quella di Baebius Macer, citata da Servio e dal Servio Danielino nel commento a Virgilio. Diverse da queste biograe d'ispirazione pi o.meno politica sono le biograe erudite di Caio Giulio Igino ( Hyginus), un liberto di Augusto a cui l'imperatore affid la direzione della biblioteca annessa al tempio di Apollo Palatino ( fondata nel 28 a.C.). Fu amico di Ovidio e dello storico Clodio L cino. Con preparazione, probabilmente, pi ampia e pi accu- rata, non senza intenti edificanti egli coltiv la biografia alla maniera di Cornelio Nepote. I tre frammenti dell'opera De vita rebusque illustrium virorum si riferiscono a Valerio Publicola, a Fabrizio che non si lasci corrompere dai Sanniti, a Scipione Africano. Un contributo non minore alla storia Igino dette con l'opera De origine et situ urbium ltalicarum: era il vecchio tema di Catone, molto arricchito dopo un secolo e mezzo circa, non solo per lapporto latino, ma anche per quello greco: il dotto romano, che proveniva da Alessandria ( secondo un'altra versione dalla Spagna), si era messo di proposito sulla scia di Alessandro Polistore, un discepolo di Cratete di Pergamo diventato cittadino romano al tempo di 48 In senso negativo H. Peter, HRR2, II, pp. LXXVI s.; inclina in senso positivo H. Bardon, La littrature latine inconnue, cit., II, p. 102. 49 H. Bardon, come gi Peter, cerca di identificarlo con Antonius Niger, amico di An- tonio: cfr. La littrature latine inconnue, cit., II, p. 92. 58 LA PRosA LATINA Silla. L'opera doveva essere anche un repertorio di leggende. Igino scris- se anche De familiis Troianis, un tema molto attuale ai tempi di Cesare e di Augusto, gi trattato da Varrone e da Attico. Molto meno rivolti verso la storia e il mito erano certamente i commentari geografici di Agrippa; invece si poteva ricavare molto di utile per la storia delle istitu- zioni e della religione dalle opere di antiquaria, di diritto, di grammatica. Non potendo occuparmidi questi temi ampi e importanti, mi limito a indicare alcune opere: il De verborum signiicatu, i libri Rerum Etrusca- rum, i Fasti Praenestini dell'insigne filologo Verrio Flacco; parecchie opere di Lucio Cincio, che va distinto dallannalista del II sec. a.C. Lucio Cincio Alimento ( De comitiis, De astis, De oiciis iurisconsulti ecc.); il De iure pontificali di Marco Antistio Labeone e altre opere giuridiche del genere. Questa letteratura era una miniera di conoscenze storiche, ma di una storia orientata in altro senso. 10. La storiograa latina da Tiberio a Nerone noto che Tiberio non seppe, e neppure volle, tentare un'organizza- zione del consenso della cultura come quella realizzata, in modo insupe- rabile, da Augusto e Mecenate. Tuttavia, proprio in uno storico trov un celebratore cos devoto come neppure Augusto aveva avuto: lo storico fu Velleio Patercolo, proveniente da Aeclanum, una modesta citt dell'Irpi- nia. Qualche traccia della sua origine italica si pu scorgere, forse, nel- l'attenzione che egli presta all'unificazione dell'Italia intorno a Roma e alla colonizzazione romana e latina nella penisola; comunque sempre a Roma il centro della storia, ed egli ci tiene a sottolineare la fedelt della sua famiglia allo Stato romano sin dai tempi di Annibale, anche nella rivolta dell'Italia contro Roma, cio nel bellum sociale ( II 16, 2 s.). Let- tore e ammiratore di Sallustio, Velleio usa largamente l'idea di decaden- za nell'interpretazione della storia della repubblica romana; ma la deca- denza si fermata dopo la fine delle guerre civili. Augusto ha riportato la pace, l'ordine, la giustizia, i buoni costumi ( II 89); Tiberio ne ha con- solidato l'opera, e di lui lo storico scrive un elogio ancora pi deciso ( II 126). L'esaltazione dei due imperatori, e specialmente di Tiberio, il vero scopo dell'opera. Lo squilibrio compositivo in favore della storia recente, comune nella storiografia latina, qui si ripresenta con evidenza: 58 capitoli prima del consolato di Cesare ( 18 nel I libro, 40 nel Il), 91 capitoli ( nel II e ultimo libro) dal consolato di Cesare fino al tempo del- l'autore ( l'opera fu pubblicata nel 30 d.C. e dedicata al console Marco Vinicio, un nobile della Campania, quindi conterraneo di Velleio): in- somma, sotto il titolo di Historiae Romanae, un compendio diverso dal- l'annalistica che fa da introduzione alla storia contemporanea. La devo- zione all'imperatore toglie distacco storico alla parte che ne racconta le imprese; ciononostante, improbabile che Velleio scrivesse per incarico di un ufficio imperiale della propaganda: l'ispirazione del trattato piut- tosto in un legame affettivo dell'ufficiale verso il capo sotto cui ha servi- to in guerra per lunghi anni, del notabile irpino promosso socialmente e La storiografia 59 politicamente fino alla pretura. Tiberio fu un capo di eserciti che seppe farsi amare dai soldati negli accampamenti molto pi che dai Romani di Roma. Viva anche l'ammirazione per il principale collaboratore di Ti- berio, il potente Seiano; anche in questo caso pi dell'ossequio al protet- tore conta l'affinit che il notabile irpino, ancora ai margini dell'lite po- litica, sente con l'homo novus arrivato a incarichi importantissimi da una famiglia equestre, a cui aveva dato maggior prestigio la madre ( II 127, 3). Lattenzione alle fortune degli homines novi sotto Tiberio una caratteristica dell'opera di Velleio. Egli sensibile anche a certe novit dei personaggi nella storia del costume, in particolare all'emergere dei personaggi paradossali, che uniscono un intenso godimento dellozio con l'energia nell'attivit politica. Lo stesso Seiano, molto severo e molto lieto, ozioso in apparenza e attivissimo in realt, calmo e vigile, un personaggio del genere ( II 127, 4); pi accentuate sono le contraddizioni che egli sottolinea in Mecenate e Caio Sentio Saturnino 5 . Sono, invece, scialbe le sue digressioni di storia letteraria ( I 16- 18; II 9; II 36), che hanno attirato l'attenzione perch non compaiono in altre opere di storia politica; dimostrano, per, un interesse, sia pure senza nessuna profon- dit di pensiero politico, per la storia della cultura e per i problemi di sviluppo e decadenza; si chiede perch i grandi ingegni si concentrino in certe epoche e in certe citt ( come Atene) e cerca la spiegazione nello stimolo dell'emulazione e dell'invidia che ravviva e moltiplica gl'ingegni. La considerazione della storia letteraria escludeva l'et di Cicerone, per il quale nutriva un vero culto, dalle et di decadenza, e confermava la oridezza dell et augustea. Digressioni di questo genere e altre in cui prende posizione e sfoga l'impeto dei suoi sentimenti ( per es., in II 66 l'invettiva contro Antonio assassino di Cicerone) dimostrano anche una sua libert di composizione, che non riesce a creare, per, una nuova armonia. Squilibrato nella composizione, il breve trattato anche diseguale nello stile. Temperatamente liviano nel fondo, lo stile di Velleio non di- sdegna tratti sallustiani e arriva talvolta a concettismi persino ridicoli, che fanno pensare alla prosa asiana dei suoi tempi e dei tempi successi- vi; in qualche punto si lascia travolgere da un'eloquenza pi abbondante e impetuosa ( per es., nell'invettiva contro Antonio). Nell'insieme, per, uno scrittore che, come osservava Norden, sa suscitare nel lettore inte- resse costante 5'. Velleio fece in tempo a pubblicare il suo trattato prima che Seiano, il potente ministro da lui elogiato, fosse travolto in rovina e ucciso nel 31 d.C.; Valerio Massimo pubblic poco dopo i suoi nove libri Factorum vel dictorum memorabilium, una galleria di episodi e personaggi ricavati da opere storiche sia latine sia greche ( anche qui vi sono serie parallele). Egli concilia bene tre scopi: fornire esempi storici a retori e oratori, of- 5 Cfr. Aspetti del pensiero storico latino, cit., pp. 202 s., 226 s. 5' Sullo stile di Velleio analisi attendibili di A. D. Leeman, Orationis ratio cit., pp. 336- 41. 60 LA I> RosA LATINA frire esempi eloquenti di virt e di vizi, dilettare il lettore rispondendo .alla sua curiosit. Lo scrittore ha i vizi, e non le punte stimolanti, delle scuole retoriche del tempo; non privo di colore, spesso pingue e fiacco. Ha, per, un'importanza che non mi pare gli sia stata attribuita: rispec- chia bene valori e disvalori dell'etica del suo tempo, conservatrice e gri- gia, senza la sensibilit al nuovo che afora in Velleio. E una morale che si concilia bene con la sua devozione a Tiberio. Questi ammiratori di Tiberio erano scrittori modesti. Un altro storico fautore del regime era Bruttedius Niger, uomo di buone doti intellettuali, ma molto ambizioso, che fu coinvolto nella rovina di Seiano e ucciso; dalle sue Historiae Seneca retore cita due passi del racconto vivo e ma- cabro della morte di Cicerone: un tema molto ricercato dagli storici di questo periodo. Ma gli storici di maggior prestigio non erano i pi con- formisti. Cremuzio Cordo ebbe una sorte simile a quella di Labieno. I suoi Annales esprimevano ammirazione per Cicerone ed esaltavano come eroi i cesaricidi: dopo la morte di Bruto, Cassio era stato l'ultimo dei Romani ( fr. 3 P.). Aveva recitato qualche pezzo della sua opera davanti ad Augusto, ma sotto Tiberio, soprattutto per l'opposizione di Seiano, fu processato; dopo una difesa in senato tanto accanita quanto vana si la- sci morire d'inedia. Il quadro tetro delle membra dilacerate di Cicerone esposte sui Rostri ( fr. 1 P.) sembra rivelare un gusto che sar comune nella letteratura, e specialmente nella tragedia, del I sec. d.C. Forse la nuova retorica inuenzava il suo stile. Sotto Tiberio il passaggio sangui- noso dalla repubblica al principato al centro dell'attenzione degli stori- ci, e rimarr almeno no al tempo di Nerone un problema scottante: un filo costante unisce Cremuzio Cordo con Lucano. Anche senza un'opposizione cos aspra la storiograa conserva una sua indipendenza: il quadro di Tiberio come tiranno, spesso rifiutato dalla storiograa modema, risale fino a storici contemporanei, anche se non possiamo azzardare indicazioni precise. Probabilmente scrisse con dignitosa autonomia Marco Servilio Noniano, di famiglia nobile, console nel 35 d.C. e morto nel 59, uomo politico di grande prestigio, che Tacito ( Ann. XIV 19) loda per l'elegantia vitae ( cio misurata finezza). Poich fu venerato e amato da Persio, si pensa che egli fosse vicino all'opposi- zione stoica. Non possiamo dire quanto gli debba Tacito per il periodo di Tiberio e di Nerone 52. Quintiliano ( X 1, 102) riferisce che egli giudi- cava Sallustio e Livio pares. .. magis quam similes: si pu supporre, ma solo supporre, che mantenesse il suo stile in mezzo fra i due. Un altro storico notevole che si suppone fonte di Tacito per il periodo di Tiberio ( anche se Tacito non cita n lui n Servilio Noniano) Aufidio Basso, un epicureo di cui Seneca ( Epist. ad Luc. 30) ammiro la forza d'animo dimostrata di fronte alla morte ( avvenuta nel 63 d.C.). Le sue Historiae incominciavano da prima della morte di Cicerone, che anche 52 Su Servilio Noniano cfr. R. Syme, Tacitus, Oxford 1958, I, pp. 274- 7, 287 s. ( e altri accenni elencati nell'indice); sulla famiglia e le relazioni con i contemporanei un accu- rato studio dello stesso Syme in Ten Studies on Tacitus, Oxford 1970, pp. 91- 109 ( lo studio risale al 1964). La storiografia 61 lui narrava drammaticamente, e arrivavano almeno fino al 31 d.C. An- che per lui, dunque, la nascita e l'affermazione del principato restavano problema nodale; ma scrisse anche un'opera in pi libri su un Bellum Germanicum, forse sulle campagne contro i Germani sotto Augusto. Il problema germanico assurgeva a importanza non minore di quello parti- co e avrebbe avuto un lungo futuro, tanto nella politica dell'impero quanto nella storiografia 55. Altri storici di questo periodo rimasero quasi dimenticati dalla storio- graa successiva. Seneca retore da vecchio scrisse anche lui Historiae che cominciavano dall'inizio delle guerre civili ( ma non sappiamo dove collocare l'inizio: forse nel 49 a.C.) e arrivavano fino alla sua vecchiaia ( vi narrava anche la morte di Tiberio, del 37 d.C.). Di quell'opera ebbe fortuna uno schema, non nuovo ( si supposto che risalga a Varrone), che egli applic alla storia di Roma. Egli ne configurava lo sviluppo ri- calcandolo sulla vita umana: infanzia sotto Romolo, puerizia sotto i re, adolescenza sino alla fine delle guerre puniche, giovinezza fino alla mas- sima espansione dell'impero ( forse la conquista della Gallia), infine vec- chiaia. Per lo storico era dunque importante il problema della decaden- za; nella riessione partiva, probabilmente, da Sallustio. Se lo schema era veramente rispettato, il quadro dell'et augustea e tiberiana doveva essere molto meno luminoso che in Velleio; ma meglio non azzardare congetture. Prima di morire Livio ebbe l'idea, forse non molto felice, di indirizza- re verso la storia Claudio, il futuro imperatore. Il rampollo della famiglia imperiale incominci con una storia delle guerre civili; ma la madre e la zia, preoccupate che si compromettesse con una materia cos scottante, lo costrinsero a smettere, cosicch non and oltre il secondo libro; intra- prese allora una storia del principato di Augusto, che condusse a termine in 41 libri. L'opera doveva distinguersi per la sua erudizione, di cui ap- profitt Plinio. Claudio scrisse anche, in greco, venti libri di storia degli Etruschi e otto libri di storia di Cartagine: opere erudite anche queste, ma forse notevoli per il bisogno di uscire dall'eterna storia di Roma 5". In questo periodo la storia molto aperta all'antiquaria, o da collocare addirittura nella zona dell'antiquaria, coltivata da dotti di buona prepa- razione. Probabilmente rientra nel periodo di Tiberio l'opera di Fenestel- la: Girolamo ne pone la morte nel 19 d.C., ma pare pi attendibile Pli- nio ( N. h. XXXIII 146), che la pone alla fine del principato di Tiberio. Dai frammenti degli Annales ( in 22 libri) gli interessi antiquariali sem- 55 Anche su Aufidio Basso cfr. R. Syme, Tacitus cit., I, pp. 274- 6, 288 s. ( e altri accenni segnalati nell'indice). 5 Tralascio figure per noi evanescenti: Tuscus, ricordato con disprezzo da Seneca re- tore ( Suas. 2, 22), delatore sotto Tiberio; Gneo Cornelio Lentulo Getulico, console nel 26 d.C., ucciso per complicit in una congiura contro Caligola nel 39 d.C., noto anche come poeta. E dubbia Fidentificazione di Celso autore di un'opera sulle guerre contro i Parti: forse il Celso enciclopedista ( e in questo caso si tratterebbe di una sezione della sua enci- clopedia), forse Mario Celso, ufficiale di Corbulone, il generale che guid campagne contro i Parti al tempo di Nerone ( cos H. Bardon, La littrature latine inconnue, cit., II, pp. 161 s.), forse altri ancora. 62 LA I> RosA LATINA brano prevalere nettamente: calendario ( fr. 3 P.; 11), magistrature ( fr. 4 P.; 6), storia dei costumi ( fr. 12 P. sull'anello d'oro dei senatori; 13 in- troduzione degli elefanti in spettacoli a Roma; 14 introduzione a Roma delle perle) ecc.; ma ci sono frammenti ( per es., 20- 21 P.) che si potreb- bero' collocare in una narrazione storica. Come una cronografia dove si potevano pescare notizie rare di geografia e di mirabilia, si presentava, probabilmente, lopera di Cornelius Bocchus, usata da Solino e Plinio. Persiste, insomma, un filone di storia che risale a Varrone e Attico e, pi indietro, alla cultura ellenistica. Non viene meno, anche se in questo pe- riodo pi raro, il contributo dei grammatici: per es., di Asconio Pedia- no con i suoi commenti a orazioni di Cicerone e le sue biograe di scrit- tori ( una ne scrisse su Sallustio). Anche questo periodo fu ricco di commentari autobiograci scritti da uomini politici importanti, e alcuni di essi fornirono materiale utile agli storici futuri. Poca fortuna ebbe il commentario di Tiberio De vita sua, forse unautobiografia solo parziale; solo una volta lo cita Svetonio ( Tib. 61): l'imperatore difendeva la rapida eliminazione di Seiano. Certamente pi impegnativi i commentari di Claudio, in otto libri, che non ebbero maggior fortuna. Tacito us i commentari di Agrippina, la madre di Ne- rone, che erano anche un atto d'accusa contro Tiberio. Si pu supporre che Agrippina abbia dato un buon contributo alla formazione del ritratto del tiranno; convergevano nella stessa direzione i nostalgici repubblica- ni e la famiglia di Germanico, che alimentava speranze liberali, presto deluse da Caligola, un tiranno certamente peggiore. Una fonte importan- te, probabilmente usata da Tacito, erano i commentari di Gneo Domizio Corbulone, che sotto Claudio guid campagne contro i Germani e sotto Nerone contro i Parti; il generale non mancava di vantare i propri meri- ti. Agricola, il suocero di Tacito, milit in Britannia, in un primo tempo, al sguito di Svetonio Paolino; non sappiamo se nei suoi commentari Paolino trattasse anche delle campagne in Britannia, ma certamente nar- rava, con coloriture fantastiche, una campagna da lui condotta, molto prima, nel 42 d.C., in Mauritania: si vantava di avere attraversato l'A- tlante per la prima volta ed evocava montagne popolate di elefanti, bel- ve, serpenti. I commentari talvolta avevano il sapore del romanzo dav- ventura. In opere del genere forse Lucio Antistio Vetere, console nel 55 d.C. e poi legato in Germania, illustrava grandi lavori idraulici da lui fatti eseguire nella sua provincia e Tiberio Claudio Balbillo, prefetto d'E- gitto nel 55 d.C., descriveva molto vivacemente la lotta di vari animali contro i coccodrilli del Nilo, ben corazzati sul dorso ma vulnerabili nel ventre molle. Con la storia di ispirazione repubblicana si connette la biografia che celebra i martiri della libert. Una famosa vita di Catone l'Uticense scrisse Trasea Peto, filosofo stoico dei tempi di Nerone, amico di Persio, ucciso nella repressione neroniana del 66 d.C.; utilizz la biografia di Munazio Rufo, contemporaneo e seguace di Catone. Il culto del martire di Utica, fortissimo in questo periodo, dimostra la vitalit delle grandi figure morali nella storia: anche se incidono poco sulla realt, mantengo- no vivi ideali esaltanti. In quello stesso anno fu fatto uccidere, da Nero- La storiografia 63 ne, Publio Anteio, che aveva scritto una biografia di Marco Ostorio Sca- pula presentandolo come un modello di virt ( anche Ostorio per nella stessa repressione). Si scrivevano anche biografie di minore importanza storica: per es., Seneca filosofo scrisse una biografia del padre ispirata da profonda pietas. 11. La storiograa latina nel periodo dei Flavi Tacit us largamente la storiograa scritta del periodo dei Flavi, e ci dovette contribuire a farla cadere nell'oblio. L'attenzione degli storici ora si sposta, come al solito, sugli avvenimenti recenti: il regno dell'ese- crato Nerone, la sanguinosa crisi del 69- 70 d.C.: tumultuose e atroci vi- cende. Un paio di anni prima di morire sotto le ceneri del Vesuvio, Pli- nio il Vecchio aveva scritto una storia di 31 libri A fine Auidii Bassi: non si sa no a che punto arrivasse Aufidio e fino a che punto arrivasse Plinio ( forse no al 71 d.C., anno del trionfo di Vespasiano). Continuan- do l'opera del predecessore, riprendeva un costume che, affermatosi nel- la storiografia greca gi dal V- IV sec. a.C., era stato seguito talvolta an- che dai Romani: per es., Sallustio incominci da dove si era fermato Si- senna. L'odio verso Nerone era anche troppo chiaro, tale da suscitare difdenza. Tacito lo cita poche volte ( tre volte negli Annales, una volta nelle Historiae), ma pu darsi che lo abbia usato spesso, specialmente nelle Historiae. L'autore della Naturalis historia anche nella storia degli uomini era attento a problemi tecnici ( descriveva, per es., edifici), ma Tacito trovava notizie del genere sconvenienti alla dignit della storia del popolo romano: tuttal pi potevano gurare negli acta diurna, i giomali del tempo: certo, infatti, che a Plinio si riferisce la punta sprezzante di Ann. XIII 31, 1. Prima di continuare Aufidio Basso, Plinio aveva scritto venti libri Bellorum Germaniae: gi in questi riprendeva interessi di Au- fidio, che le vicende storiche dovevano aver reso sempre pi vivi nel pubblico 55. Quintiliano ( X 1, 104) nella sua rassegna degli storici latini accenna a uno storico vivente che una gloria di quel tempo: non lo nomina, aggiunge, perch ogni lettore capisce di chi si tratta; l'allusione non altrettanto chiara per i lettori moderni, ma si ritiene quasi certo vada a Fabio Rustico, una fonte autorevole di Tacito per il periodo di Nerone. Da giovane Fabio era stato amico di Seneca e, quindi, suscitava qualche diffidenza per le notizie su questo inuente personaggio; aveva conserva- to vivo l'odio verso Nerone. Per le vicende della corte era una fonte di prima mano 55. Per la storia di Nerone Tacito ( cfr. Ann. XIV 2) usa con pi fiducia un altro storico, Cluvio Rufo, che, dopo aver incominciato la sua carriera politica gi da molti anni, godette della confidenza del per- 55 Su Plinio il Vecchio e Tacito cfr. R. Syme, Tacitus cit., I, pp. 60 s., 179 s., 288- 94 ( e altri passi segnalati nell'indice). 55 Su Fabio Rustico cfr. ivi, I, pp. 179, 289- 94 ( e altri passi segnalati nell'indice). 64 LA I> RosA LATINA verso imperatore, ma senza compromettersi in crimini; con la stessa pru- denza e lo stesso tatto pass da un imperatore all'altro, no a Vespasia- no. Tacito non lo disprezzava: forse lo accostava a quei politici prudenti e non servili, che anche sotto i tiranni sanno operare per il bene dello Stato 57. Tra gli autori utilizzati da Tacito nelle Historiae Vipstanus Messalla, che da giovane prese parte con i Flavi alla guerra contro i Vi- telliani; fu lui a testimoniare l'orribile episodio, accaduto nella battaglia di Cremona ( 69 a.C.), del figlio che si accorge di avere ucciso nella guer- ra civile il padre: un segno delle terribili esperienze da cui nasceva que- sta storiograa. A continuare la tradizione dei commentari scritti dai grandi uomini politici in questo periodo lo stesso imperatore Vespasiano; naturalmen- te nei suoi commentari aveva una parte notevole la guerra giudaica, pro- babilmente la pi raccontata fra le guerre del I sec. d.C. Pi dettagliati, letterariamente pi notevoli, dovevano essere i commentari di Caio Lici- nio Muciano, il potente collaboratore del principe. A parte una citazione di Tacito, le altre citazioni ( una trentina circa) sono nella Naturalis hi- storia di Plinio, che da Muciano ha ricavato notizie geografiche precise, descrizioni di animali, curiosit, mirabilia relativi ai paesi dell'Asia ante- riore: evidentemente lopera era una miniera per cose di questo genere. Un'opera De Iudaeis scrisse Marco Antonio Giuliano, procuratore della Giudea nel 70, che assistette alla conquista di Gerusalemme e al dibatti- to sulla distruzione del tempio: forse un'opera etnografica, come la Ger- mania di Tacito, forse il pezzo di un commentario; certamente anche Antonio Giuliano narrava la famosa guerra. Questa guerra aveva rilievo anche in una biografia che un certo Tiberio Claudio Pollione scrisse su Lucio Annio Basso, un alto ufficiale di Vespasiano che aveva combattuto in Palestina nel 68 d.C. Il regime dei Flavi si inaspr con Domiziano e inaspr l'opposizione di intellettuali stoici, che non si era mai sopita del tutto. Continuava la lot- ta contro la tirannia e, come Trasea Peto aveva scritto una biografia en- comiastica di Catone, cos Giunio Aruleno Rustico scrisse una biografia di Trasea. Aruleno Rustico fu anche lui vittima della tirannia, nel 94 d.C.; altra vittima della tirannia, nello stesso anno, fu Erennio Senecio- ne, che aveva scritto una biografia analoga di Elvidio Prisco, genero di Trasea, ucciso anche lui sotto Vespasiano per ragioni simili. Era sempre la morte eroica ad aver pi risalto in questa letteratura, che, come si vede, era anch'essa parte della tragedia politica. Non tacevano i servi del regime. Si distinse un sinistro delatore, che era anche oratore di talento, Marco Aquilio Regolo, che di Aruleno Rustico scrisse, dopo la sua mor- te, una biografia diffamatoria; Aquilio si esercitava anche in biografie di altro genere: ne scrisse, tra le altre, una su un figlio che aveva perduto. Biografie elogiative pi pacate dovevano essere quella che un oratore ri- nomato, Giulio Secondo, scrisse di un altro oratore, Giulio Africano, e 57 Anche su Cluvio Rufo cfr. iw ', I, pp. 178 s., 286, 289- 94 ( e altri passi segnalati nell'indice). La storiografia 65 quella in cui Plinio il Vecchio narr la vita di un poeta tragico della pri- ma met del secolo, Pomponio Secondo. Plinio era sempre lui anche nel- la biograa, pieno di curiosit: vi descriveva anche una cena offerta dal poeta a Caligola e vi annotava anche i prezzi dei vini: in una biografia, per, cose del genere dagli antichi erano pi tollerate che in una storia. Colloco extra ordinem Curzio Rufo non solo perch diverso dagli altri storici per tematica e orientamento, ma anche perch la sua colloca- zione cronologica incerta. lo inclino a credere, con altri interpreti, che il passo ( X 9, 3) in cui egli evoca, con intensa coloritura retorica, il pas- saggio dalla notte tempestosa alla serenit, si riferisca alla fine delle guerre civili del 69- 70 d.C., non al passaggio dal principato di Caligola a quello di Claudio. Di una stanchezza per la storia romana nel pubblico non si pu parlare, ma aforavano altre curiosit, specialmente nella parte del pubblico meno vicina agli affari politici. L'incursione nella sto- ria extraromana si orient, non per caso, verso il personaggio pi straor- dinario della storia greca, anzi della storia mondiale, Alessandro Magno ( Historiarum Alexandri Magni libri X, di cui i primi due perduti), che attirava la fantasia prima che la riessione. Poich intende pur sempre fare opera seria di storico, Curzio mette un freno alla spinta verso il me- raviglioso, pi libera in altre tradizioni greche; ma l'impresa di Alessan- dro resta una grandiosa avventura; la curiosit per gli elementi esotici, per i paesi lontani, che abbiamo vista affiorare in alcuni commentari, che si trova, per es., anche negli Argonautica di Valerio Flacco, qui era am- piamente soddisfatta. Sono altre le ragioni per cui la costruzione di Cur- zio debole: mancanza di vaglio critico, confusioni, lacune lo rendono una fonte meno attendibile delle fonti parallele greche conservate; tra le fonti, per, egli ne aveva anche di buone. Di ispirazione politica sarebbe fuori luogo parlare; ma lopera di Curzio anche una riessione sull'e- sercizio del potere: lammirazione per il condottiero di eserciti lascia non poco spazio a riserve morali sul comportamento di Alessandro verso i suoi collaboratori; il quadro del grande personaggio non riesce sempre coerente. L'impegno maggiore di Curzio era nello stile, ricco e uido co- me quello di Livio, ma, per inusso della nuova retorica del secolo, pi elaborato e pi carico, talora opulento. La narrazione tende con misura allo splendore poetico; lo sforzo non vano, perch Curzio non manca di forza fantastica; prima di Tacito, e lontano da Tacito, scrittore pi originale e pi robusto di Velleio e di Valerio Massimo. 12. Tacito e Svetonio Il passaggio, nel 96 d.C., dal principato tirannico di Domiziano a quello senatorio di Nerva fu anch'esso traumatico: il tiranno fu elimina- to da una congiura di corte; non era lontano il pericolo di nuove guerre civili. Il pericolo fu evitato dalla prudenza di Nerva e del senato, che cap l'importanza dell'esercito, ma il trauma in parte rest e spinse a una riessione appassionata sul periodo dei Flavi, a cominciare dalle guerre civili. Ancora una volta erano le vicende recenti a dominare nella ries- 66 LA PRosA LATINA sione storica. L'esecrazione del tiranno era, o appariva, generale ( come, del resto, accade comunemente dopo la rovina dei tiranni); generali era- no il senso di sollievo per la libert di pensiero e di espressione e la speranza che la libert, nalmente conciliabile col principato, fosse dura- tura. Pi delicato e controverso era il giudizio sugli uomini politici di rilievo che avevano collaborato col tiranno. Si potevano additare al di- sprezzo i delatori, talvolta abbastanza abili per adattarsi al nuovo regi- me; andavano venerati coloro che avevano affrontato l'esilio o la morte per l'aperta avversione alla tirannide; ma erano rispettabili anche uomini politici che avevano servito onestamente ed efficacemente lo Stato come senatori o come governatori di province: essi avevano potuto svolgere la loro opera fruttuosa perch, senza abbassarsi all'adulazione del tiranno, avevano evitato uno scontro che li avrebbe distrutti. La preferenza di Tacito va chiaramente a quest'ultima categoria; si colloca in essa il suo- cero Agricola, da cui gli vengono la convinzione e l'esempio. Tacito incominci la sua attivit di storico, nel 98 d.C., con una bio- grafia del suocero, biografia che, come permetteva il genere letterario, era anche un elogio. Un tempo si discuteva molto sulla classificazione dell'opera: biograa o laudatio unebris o storia o altro? La discussione non era futile, ma, certo, si esagerava la consistenza dei confini fra i generi. La struttura di base biografica; ma la biografia segue un lo cronologico e d ampio spazio alla storia, in modo non molto diverso da quanto fa Plutarco ( e diversamente da Svetonio); alla biograa cos co- struita si aggiunge un epilogo ( formato dagli attuali tre ultimi capitoli) molto vicino alla laudatio unebris, un genere che, naturalmente, aveva punti di contatto con la biografia: va ricordato che alla biografia la fun- zione encomiastica era generalmente riconosciuta. Della funzione enco- miastica Tacito protta con dignitosa misura; comunque l'opera un elogio ( non un'apologia, di cui non c'era bisogno): elogio di un perso- naggio, e, attraverso un grande esempio, elogio di un tipo di uomo poli- tico, che vive operosamente evitando gli estremi del servilismo e della ribellione sterile. La gloria era venuta ad Agricola dai progressi nella conquista della Britannia, in cui egli si era impegnato in tutti gli anni del suo governo di quella provincia, dal 78 all'84 d.C. La parte dedicata a questo governo e specialmente alle campagne militari di tale ampiezza che il resto sembra una cornice biografica: 30 degli attuali capitoli su 46 ( 9- 12 descrizione della Britannia, 13- 17 la conquista prima di Agricola, 18- 38 governo di Agricola). Solo in parte questa scelta compositiva si deve all'intento di valorizzare il servizio reso da Agricola allo Stato; in parte maggiore agisce la vocazione dello storico, che affronta problemi importanti del governo dell'impero. La scelta dello storico chiara anche nello stile, che non quello dimesso della biografia, ma quello alto della storia e si ispira gi a Sallustio. Anche la biografia, come il commenta- rio, era un genere instabile, e Tacito ha profittato il pi possibile del margine di instabilit. Sotto molti aspetti l'Agricola essenziale per capi- re lo storico futuro. Poco dopo ( forse nello stesso 98 d.C.) Tacito si accost alla storia vera e propria anche per un'altra via, quella della trattazione etnografica. La storiografia 67 ipotesi non assurda, ma indimostrabile, che la Germania nascesse co- me ampliamento di un excursus etnografico destinato a un'opera storica; cos come Tacito ce l'ha lasciato, l'opuscolo autonomo e rientra in un genere che ha una lunga tradizione, anche se molto pi forte fra i Greci che fra i Latini. Il quadro della vita dei Germani, tenuto conto dei limiti dell'informazione di allora, serio e attendibile; l'idealizzazione dei po- poli primitivi, dai costumi incorrotti, vi presente, soprattutto nel giudi- zio, nel commento, ma non tale da causare grosse deformazioni. Nello storico preoccupato del destino di Roma e dell'impero il confronto con la corrotta societ romana si insinua pi volte; tuttavia esso nell'insie- me solo un elemento marginale; pi forte la motivazione del problema germanico come problema di sicurezza dell'impero: dal tempo di Cesare esso 'non era pi uscito dall'orizzonte politico romano e lo avrebbe oscu- rato sempre di pi: in questo senso l'opuscolo aveva radici politiche non meno vive che l'Agricola. Alla storia in senso pi proprio e pi ampio Tacito si dedic pochi anni dopo: nel 105 d.C. alcuni libri delle Historiae erano gi composti e pubblicati, ma il lavoro dur ancora per alcuni anni. L'opera compren- deva probabilmente 12 libri e andava dalle guerre civili del 69 d.C. alla morte di Domiziano, nel 96 ( a noi sono rimasti i primi quattro libri e un pezzo del quinto). L'autore, nato intorno al 56 d.C., forse nella Gallia Transalpina, aveva gi percorso onorevolmente la sua carriera politica: era stato console nella seconda met del 97 d.C., sotto Nerva. Non si era ritirato del tutto dalla politica: nel 112- 113 d.C. avrebbe govemato co- me proconsole la provincia d'Asia: una carica di notevole prestigio. Taci- to , dunque, un altro storico che viene dalla politica e che scrive nella piena maturit. Ha scritto il capolavoro della storiografia latina, ma sen- za operare una rivoluzione letteraria: la sua opera al culmine di una tradizione, ed in essa profondamente radicata e ne conserva in gran parte i limiti. L'orizzonte sempre quello romano, con al centro la citt dominatrice; riconosciuti questi limiti, va per anche ricordato che la citt al centro di un vasto organismo, poco pi ristretto del mondo allora noto, e va riconosciuto che il centro non schiaccia, nella trattazio- ne, l'organismo dell'impero. In una breve introduzione alle Historiae, prima di iniziare la trattazione, egli traccia un quadro per indicare qua- le era la situazione di Roma, quale l'animo degli eserciti, quale il com- portamento delle province, che cosa c'era di sano, che cosa di malato nell'intero mondo ( I 4, 1) 55. Questo quadro indica anche qual , in gran parte, l'ossatura della narrazione nelle Historiae e negli Annales. Nel corso dellet moderna Tacito stato interpretato in modi vari e opposti; nel Settecento e nell'Ottocento fu letto anche come nemico del- la tirannide. Certamente egli non fu nemico del principato: il principato per lui, come per Seneca, una necessit irreversibile: l'alternativa sa- 55 Ceterum antequam destinata componam, repetendum videtur qualis status urbis, quae mens exercituum, quis habitus provinciarum, quid in toto terrarum orbe validum, quid aegrum fuerit. 68 LA PROSA LATINA rebbe la guerra civile perpetua e il crollo dell'impero. In un governo as- soluto molto dipende dalle qualit del principe; ma Tacito non punta sull'efficacia della pedagogia, sull'institutio principis; non crede all'utilit della filosofia: la diffidenza verso la filosofia, gi diffusa nell'lite politi- ca romana, era cresciuta dopo l'esperienza fallimentare di Seneca. E l'e- sperienza politica e militare che forma il buon principe. Tacito subisce ancora il fascino delle antiche virt, integrit, semplicit, parsimonia; ma sa bene che per ben governare esse non bastano: Galba, un aristocratico all'antica, le aveva, ma era un imperatore inetto. Il sistema della succes- sione per adozione, a cui voleva ricorrere Galba, avrebbe potuto essere un buon sistema, purch si sapesse scegliere l'uomo giusto; Galba punt su un uomo integro, ma non capace di governo. Per essere capax imperii bisogna innanzi tutto saper tenere il controllo dell'esercito: questo man- c a Galba, vecchio onesto e avaro, che avrebbe potuto andar bene in una sana repubblica. Otone, uomo amante del lusso e della volutt, arri- v all'impero con arti deteriori, ma, divenuto imperatore, seppe farsi sti- mare e amare dall'esercito e dimostr capacit di governo ( Otone uno dei pi affascinanti personaggi paradossali che appaiono nella narra- zione di Tacito). Giustamente nella valutazione di Galba e nel dibattito sul problema dell'adozione si sono scorti i riflessi degli eventi che porta- rono alladozione di Traiano da parte di Nerva: uno dei casi pi chiari, fra i tanti congetturati, di connessione fra l'esperienza politica diretta di Tacito e linterpretazione storica. Il principe pu essere inuenzato, anche pesantemente, dai familiari e dalla corte. Tacito guarda con attenzione, anche eccessiva, a questo ambiente, che quasi sempre lo spazio in penombra dove si svolge oc- cultamente una lotta perpetua per il potere. Nella storiograa sull'impe- ro romano il palazzo e la corte emergono sinistramente, in modo analo- go a quanto era successo nella storiograa su Alessandro Magno, i Dia- dochi, le monarchie ellenistiche; e mai nell'antichit questo spazio sta- to rappresentato da un poeta tragico del livello di Tacito; qui si colloca- no i personaggi pi drammatici che egli abbia creati, Seiano, Messalina, Agrippina, i potenti liberti di Claudio e di Nerone; vi svolgono un ruolo importante le donne: Livia, la madre di Tiberio, tenacemente attaccata al suo potere occulto; Messalina, che il potere ha liberata da ogni freno morale; Agrippina, che costruisce con tenacia e con tutti i mezzi leciti e illeciti la sua potenza e non sa rassegnarsi alla necessit di dover conse- gnarla al figlio: un saldo blocco di passione e logica politica, che s'in- franger contro le leggi della politica stessa. I consiglieri prudenti, talvol- ta saggi e giusti, come Sallustio ( nipote e glio adottivo dello storico) presso Tiberio, Burro e Seneca presso Nerone, hanno potere pi effime- ro. Il ruolo politico di Seneca non interpretato negativamente, bench non manchino le riserve; ma il filosofo non pu ignorare le leggi che regolano la guerra di corte e alla ne, comunque, fallisce tragicamente. Tacito non il vindex senatus contro il principe: l'lite politica sena- toria nel complesso non suscita ammirazione, non di rado suscita di- sprezzo; nei rapporti col principe il servilismo e la paura sono gli atteg- giamenti pi comuni. Lo storico, per, fa parecchie distinzioni nell'lite La storiografia 69 politica. Ci sono gli uomini che, con leser'cizio delle magistrature, con gl'interventi in senato, servono dignitosamente lo Stato, tenendo una via non ambiziosa e non pericolosa inter abruptam contumaciam et deforme obsequium 55. Tacito molto attento alle qualit oratorie dell'lite politi- ca: nelle opere storiche restano vivi gli interessi dell'autore del Dialogus, interessi che, qualunque sia la data di composizione di quest'opera, risal- gono molto indietro nella sua vita 5 . Pur non essendo pi il centro reale del potere, il senato un luogo dove l'oratoria politica pu dimostrare le sue qualit e le sue diversit; resta sempre importante l'oratoria giudizia- ria, di cui, com' naturale, la storia s'interessa pi raramente. All'opposi- zione stoica al principato Tacito d un giusto rilievo, ma chiaro che le sue riserve sono pesanti: anche nel martirio c' ostentazione; comunque, l'abrupta contumacia non incide sulla realt, politicamente sterile. Tut- tavia, nel suo atteggiamento verso i martiri v', pi che ambiguit, un'o- scillante incertezza. Egli non distingue la politica dalla morale; e la gran- dezza morale, anche quando sterile, simpone anche alla sua ammira- zione, che, per, non costante.\ Credo che oscillazioni si possano segna- lare nel libro XVI degli Annali. E i semplice prendere un atteggiamen- to deciso verso il nauseante servililbmo che verso l'intransigenza, la fer- mezza morale; lautore degli Annali non riesce a cavarsi del tutto dalla mente Catone. Dove l'lite politica d le prove migliori delle sue capacit e della sua utilit allo Stato, nel governo delle province e specialmente nella guida degli eserciti per la difesa e Fampliamento dellimpero. Quando ci si al- lontana dalla capitale, dove il clima spesso metico, gli eventi talvolta miseri, l'orizzonte si amplia; emergono figure luminose, e il racconto as- sume talvolta la serenit grandiosa dell'epica. L'esperienza personale avr contato anche in questo: la prima di queste gure luminose Agri- cola. L'aureola epica che Germanico conserva nello scettico Tacito sar dovuta in parte notevole alle fonti ( Germanico, che coltivava le lettere, seppe organizzare intorno a s il consenso della cultura molto meglio di Tiberio); ma l'aureola riesce a mantenersi pi facilmente perch il con- dottiero opera lontano da Roma. Pur senza aureola, collocato in buona luce, nella narrazione delle sue campagne orientali, un altro capo di eser- citi, Corbulone, L'alone luminoso in cui appare per lo pi Germanico, si deve .anche al favore con cui Tacito guarda alla politica di espansione dell'impero; almeno sulla frontiera germanica egli auspica, per affrontare il problema, una strategia aggressiva. Neppure l'esercito visto come una parte del tutto malata nellorganismo dell'impero. Tacito non lo idealizza; fra le sue rappresentazioni pi acute, e nello stesso tempo pi vive drammaticamente, sono quelle delle rivolte militari. I problemi pi importanti per i soldati sono lo stipendio, la durata del servizio, i premi, 59 I personaggi e i passi interessanti sotto questo riguardo sono stati da me segnalati in Asretti del pensiero storico latino, cit., pp. 233- 46. Qui non necessario trattare del Dialogus e delle molte questioni che ha suscitate; una datazione relativamente tarda della composizone, intomo al 102 d.C., stata sostenuta dal Syme, Tacitus cit., pp. 112 s., 116. L'autenticit oggi generalmente ammessa. 70 LA I> RosA LATINA la preda; come spesso le folle, la truppa una massa emotiva, irraziona- le e mutevole, che non difcile sobillare; e tuttavia l'esercito romano non un'accozzaglia di mercenari: sia nelle guerre contro i nemici ester- ni sia nelle guerre civili mostra disciplina, resistenza alle fatiche, efficien- za, accanimento, e d anche splendide prove di valore. Gli aspetti dete- riori prevalgono, se mai, nei pretoriani, stanziati a Roma. La zona della societ dove quasi impossibile scorgere traccia di grandezza umana, la plebaglia della capitale, pi irrazionale e mutevole che la massa militare, un groviglio nauseante e quasi bestiale, animato solo dal bisogno di sfamarsi e dal piacere degli spettacoli. Le scene di massa evocate nelle Historiae, nella narrazione delle guerre civili del 69 d.C., sono tra le pi vive e terribili che si possano trovare nella storio- grafia di tutti i tempi; e sono quadri attendibili; alla potenza artistica, che si direbbe stimolata dal disprezzo, non si accompagna il minimo in- teresse per ricercare le cause di quella degenerazione; nessuno sforzo di analisi, nessuna distinzione in quel torbido groviglio: la plebaglia un male ripugnante, ma non un problema, n sociale n storico. In questo senso c' un passo indietro rispetto a Sallustio; ma, ovviamente, Tacito non affatto un caso isolato: egli, anche perch deve rappresentare una delle plebaglie peggiori che siano esistite, porta alle estreme conseguenze un atteggiamento generale, che durer a lungo, anche per la sua inuen- za, nella storiografia moderna. ll volgo di Roma, comunque, presente; ma fra l'lite politica e sociale e la plebaglia si apre il vuoto: da Tacito non ricaviamo niente sui ceti attivi e non miserabili delle citt d'Italia e delle province, niente per la storia dell'agricoltura; gi molto se viene riferito qualche dibattito in senato sui rapporti con gli schiavi. Neppure sotto questo aspetto, ben inteso, Tacito caso isolato; , per, uno dei casi estremi: per es., neppure nell'annalistica e in Livio il vuoto cos impressionante. La rappresentazione pi ricca di dettagli e di sfumature , natural- mente, quella dell'lite politica; lo studio di Tacito offre molto a chi vuo- le capire la sua composizione e i meccanismi di ricambio: durata di grandi famiglie, declino di altre ( talvolta attraverso la decadenza econo- mica, che costringe a ricorrere all'umiliante generosit del principe), estinzione di altre ancora; ampliamento della nobilitas senatoria con l'entrata di personaggi provenienti dall'Italia e dalle provincie. La valuta- zione di questa apertura dell'lite politica in Tacito chiaramente positi- va; ci non vuol dire che tutte le vie per lascesa siano considerate digni- tose; per Tacito, in fondo, la via _dignitosa una sola: quella che, attra- verso un servizio utile allo Stato nella carriera politica e militare, porta dalle famiglie socialmente elevate ( ed implicito che il primo presuppo- sto la ricchezza agraria) al senato; Italia e provincie, specialmente la Gallia Cisalpina e le Gallie al di l delle Alpi, la Spagna, sono una riser- va di virt antiche, di nobili integri, laboriosi, capaci. Agricola un mo- dello soprattutto sotto questo aspetto. Questo assetto della societ e dell'impero per Tacito , sostanzial- mente, senza alternative; i margini entro cui si pu scegliere, sono ri- stretti e precari. Ristretto lo spazio fra il principato tirannico e il princi- La storiografia 71 pato liberale, ristretta la via fra il servilismo e Fintransigenza. Per le po- polazioni delle provincie l'impero romano una necessit, se si vuole evitare un dominio straniero ancora peggiore e il caos sociale. Senza la difesa della frontiera a est la Gallia sarebbe sotto il dominio dei Germa- ni; ma per la difesa ci vuole un esercito, e per mantenere un esercito ci vogliono i tributi. Per l'unit dell'impero il principato una necessit: quindi bisogna sopportare gl'imperatori, anche i loro vizi: Vitia erunt, donec homines; bisogna sopportare gli imperatori tirannici come le cala- mit della natura. Se l'impero romano cadesse, si avrebbe una guerra generale dei popoli fra loro 6'. Insomma, l'impero romano l'unica ga- ranzia della pace e dell'ordine: l'altemativa all'obsequium cum securitate la contumacia cum pernicie. Ho riassunto uno dei discorsi pi impor- tanti di Tacito: quello che Petilio Ceriale tiene ai Treviri e ai Lingoni per convincerli a non continuare la rivolta contro Roma ( essi avevano aderi- to alla rivolta dei Batavi guidata da Giulio Ceriale). Come si vede, l'im- perialismo romano pienamente giustificato, ma non idealizzato: i Ro- mani non sono portatori di una missione divina. Dopo Polibio molto difcile trovare un'interpretazione del dominio di Roma pi lucida, pi misurata e meno mistificatoria. Va ricordato che anche le ragioni della rivolta contro Roma trovano in Tacito, e gi nell'Agricola, la loro elo- quente espressione: su questo punto l'eredit sallustiana pienamente raccolta. Dunque, un presente senza alternative, e un presente non entusia- smante. Senza idealizzare il passato ( in questo c qualche punto di con- tatto con Seneca), Tacito ritiene pur sempre che la societ romana, com- presa la cultura, storiograa e oratoria, abbia sub to un processo di cor- ruzione, accentuatosi sotto il principato, e che la decadenza sia irreversi- bile; ma il quadro non privo di luci: Tacito ci tiene a segnalare gli esempi di virt che splendono nei tempi bui, tanto pi degni di ammira- zione quanto pi isolati. La virt , tutto sommato, l'eccezione; ma Taci- to ritiene che la buona pianta non si potr mai sradicare completamente. Egli eredita e accentua il pessimismo tradizionale della storiografia lati- na, radicato nell'esperienza della decadenza dei costumi. Questo pessimi- smo fondato tutto sull'esperienza storica e politica, non sulla filosofia; com' noto, in un famoso capitolo ( Ann. VI 22) egli esprime la sua scet- tica incertezza fra stoicismo ed epicureismo; non nega validit all'astro- logia pi seria, che distingue, secondo un'opinione vecchia di secoli, da quella dei ciarlatani, ma l'adesione molto tiepida e generica. In sostan- za, la concezione generale del mondo non lo interessa, come non lo inte- ressano le dispute sull'ottima costituzione politica. Comunque dalla sto- riografia ha attinto una concezione largamente negativa della natura umana, che gli d una base sufficiente per rappresentare il vizio e so- prattutto per lacerare le mistificazioni di ogni genere sotto cui il vizio si nasconde. Anche quando ammira, come nel caso di Germanico, c' qual- 61 Hist. IV 74, 3 Nam pulsis, quod di prohibeant, Romanis quid aliud quam bella omnium inter se gentium existent? 72 LA PRosA LATINA che punto in cui lo spirito critico produce una lacerazione, e la grandez- za del personaggio diventa teatralit e vanit: il narratore si controlla sempre, non si lascia mai trascinare. Erede di un razionalismo che ha fornito dei li alla trama della storiografia latina 52, Tacito lo storico latino che lo sviluppa pi coerentemente; egli ben convinto dellimpor- tanza della religione e delle istituzioni religiose nella storia romana, ma la sua interpretazione di quella storia non religiosa. Non senza ragione egli stato visto talvolta come una sorta di positivista scettico. In altri tempi si molto discusso se l'interpretazione pessimistica del- la storia si sia accentuata dalle Historiae agli Annales, anche a causa di esperienze politiche deludenti, specialmente sotto Adriano. Differenze ci sono, ma nel fissarle tenderei a ridurle: non ci sono convinzioni di fondo mutate; va tenuto anche conto di quanto vi di convenzionale nell'elo- gio del principato conciliato con la libert. Uno scetticismo vigile lo aiu- ta anche nella lettura delle fonti, che pare una lettura attenta: predomi- nano le opere storiche vere e proprie; ma egli ricorre anche a opere pi documentarie, come i commentari, e a documenti, come gli acta senatus. Di fronte a versioni differenti talvolta si dichiara incerto; ma queste con- clusioni sono lontane, per rigore, da conclusioni analoghe di Livio, che giustappone le versioni. La narrazione storica di Tacito una costruzio- ne artistica, come dimostra gi l'architettura dell'opera, divisa, come gli Annales di Ennio, come l* Eneide, in gruppi di sei libri: due gruppi per le Historiae, tre gruppi per gli Annales ( Tiberio, Caligola e Claudio, Nero- ne), la cui composizione impegn lo storico dopo il ritorno dal procon- solato di Asia fino ai primi anni` ~ 'del principato di Adriano ( incerto lanno della morte, probabilmente posteriore al 120 d.C.). Nel raggrup- pamento degli eventi Tacito, oltre che dall'esigenza di offrire un'architet- tura limpida, era condizionato dal ritmo annalistico, a cui intende restare fedele; occorrerebbe un'analisi ampia, che qui non possibile, per dimo- strare come egli abbia affrontato le difficolt; ma si pu affermare che le ha superate senza eliminare la successione annalistica e senza violare troppo il corso dei fatti con spostamenti. Il metodo narrativo poggia su Sallustio e Livio in quanto ancora una sintesi di storiograa pragmatica e di storiograa tragica. L'equili- brio della sintesi pi vicino a quello di Livio che di Sallustio, cio lo spazio dato al dramma delle passioni ampio, pi ampio che nello stes- so Livio; convergono in questa direzione due motivi, l'uno oggettivo, l'altro soggettivo: da un lato, la storia che ha per oggetto l'et imperiale deve dare pi posto alle personalit dei principi, quindi alla biografia ( ci visibile anche in Dione Cassio); dall'altro lato c una scelta di Tacito, per cui la forza di evocazione anche superiore alla penetrazione dell'analisi. Il capolavoro della storiograa latina una nuova sintesi di robusta gravitas e di tensione tragica. Nessuno storico ha superato Taci- to come poeta tragico delle passioni politiche. Nello stile egli ha accresciuto la tensione dei due termini, per risol- '52 Su questi li cfr. Aspetti del pensiero storico latino, cit., pp. 80- 91. La storiografia 73 verla in una sintesi pi alta. La gravitas, necessaria all'alta dignit della storia, accentuata dal ritorno all'arcaismo e alla nobilt del lessico; la concentrazione espressiva rafforzata, s da far pensare a Orazio lirico oltre che a Sallustio. Ma ci sono mutamenti di direzione non marginali: scompare- ci che di ispido restava nell'arcaismo sallustiano; se asimme- trie e varietas vengono conservate, si attenua, invece, la predilezione per gli hiantia verba, cio la tendenza a spezzare il periodo in modo da dare l'impressione che si fermi sull'orlo di una rupe scoscesa: quando il pe- riodo sembra chiudersi, Tacito aggiunge non raramente una coda, uno strascico, costituito spesso da cola participiali. In compenso, per, questa facies stilistica copre tutta la narrazione, non comporta, cio, ac- canto a s, una sintassi pi tradizionale rispetto alla quale segnato lo scarto, come accadeva in Sallustio; e tuttavia lo stile di Tacito riesce me- no monotono. La facies muta solo nei discorsi, che risentono anche di una tenue inuenza di Livio. Sia in funzione della gravitas sia in funzio- ne del pathos si fa pi spesso ricorso a lessico poetico ( il poeta pi pre- sente Virgilio); e, anche quando il lessico non poetico, vengono scar- tati con cura, oltre il lessico volgare, i termini tecnici; anche la lingua ufciale della politica, cos presente nei commentari, non eliminata dal- l'annalistica, viene spesso modicata e sostituita. Il senso della dignit della storia cos autentico, il pathos tragico cos elevato e nello stesso tempo cos misurato che l'aulicit del linguaggio non si avverte mai con fastidio: cos come l'alta liricit del Leopardi non fa sentire il carattere letterario, aulico del suo lessico, e lo fa sentire, anzi, come necessario. Come in Orazio lirico o in Virgilio, facile avvertire che lo stile elabo- rato, ma il tormento sempre superato nella perfezione della frase. Forte anche la fusione dello stile: per es., spesso risaltano sentenze incisive, ma mai come corpi estranei al contesto. Molto pi difficile avvertire, senza un'analisi minuta da specialisti, le differenze di stile nel corso del- l'opera di Tacito; ma esse sono sensibili tra lAgricola e la Germania da un lato, le opere successive dall'altro; nel corso delle opere maggiori cer- ti usi caratteristici dell'autore si accentuano fino alla prima esade degli Annali, poi si avverte un riusso verso usi pi normali; e si anche supposto che gli ultimi libri degli Annales siano rimasti senza la revisio- ne finale. Si sar notato che la base di partenza per l'elaborazione stili- stica tutta latina. Sallustio si era formato in parte sui Greci, soprattutto Tucidide; Tacito si formato su Sallustio, senza ricorrere ai Greci. An- che per la storiograa, ormai, i Latini hanno i propri classici. In poesia ci era aw enuto a partire da Ovidio; anche nella storiografia l'abbando- no dei modelli greci deve essere avvenuto subito dopo l'et augustea o con lo stesso Livio 55. Dalle lettere di Plinio il Giovane conosciamo i nomi, ma quasi solo i nomi, di storici contemporanei: Pompeo Planta, amico di Traiano, Pom- peo Saturnino, Sardus. Pompeo Planta nella sua opera narrava anche le 55 Per una caratterizzazione meno sommaria dello stile di Tacito rimando ad A. D. Leeman, Orationis ratio cit., pp. 465- 98. 74 LA I> RosA LATINA guerre civili del 69 d.C.; per ragioni che ignoriamo irrit un amico di Plinio il Giovane ( Epist. IX 1), Vibio Massimo, che replic con un'opera apologetica. Commentari, almeno sulla guerra dacica, scrisse Traiano; ma lunico caso noto in questo periodo. Una notevole continuazione ebbe la biografia dei martiti della libert: Caio Fannio scrisse un'opera sulle morti di personaggi perseguitati da Nerone; Gneo Ottavio Titinio Capitone scrisse unopera di exitus illustrium virorum, e fra i personaggi erano compresi alcuni da lui ben conosciuti, dunque dei tempi di Domi- ziano ( Titinio fu segretario ab epstulis di Domiziano, Nerva, Traiano). La morte, che aveva gi risalto nelle biografie dei martiri, finisce per diventare un tema a s; ma la tradizione degli exitus aveva gi una sua storia, risalente fino agli elogi di Catone l'Uticense, che arriver poi fino alla tarda antichit e passer nella agiografia cristiana 5 . La nuova importanza che la biografia aveva assunto dopo l'instaura- zione del principato, si riflette nel modo pi pieno nel biografo contem- poraneo di Tacito ( anche se di lui pi giovane), colui che doveva diven- tare presto, e durare, come il classico latino in questo genere di lettera- tura. Caio Svetonio Tranquillo era un erudito di larghi interessi e molto ferrato; scrisse anche lui unopera De viris illustribus ( di cui ci restano le sezioni sui retori e i grammatici e pezzi delle biograe dei poeti), ma qui c'interessa come autore del De vita Caesarum, cio delle biografie degli imperatori da Cesare a Domiziano ( ed notevole che la lista degli imperatori incominci gi da Cesare, non da Augusto). Svetonio proveni- va dal ceto equestre ( quindi il biografo non uno storico senatore), e agli equites d qualche rilievo nella sua narrazione; tuttavia notevole che i valori, i criteri di giudizio non sono diversi da quelli di Tacito: di unideologia propria del ceto equestre difcile parlare. Essendo perdu- ta tanta parte della biograa antica, che aveva strutture letterarie molte- plici, non possiamo dire quanto la struttura seguita da Svetonio in tutte queste vite sia nuova. Egli d largo spazio e una funzione strutturale alla parte eidografica, cio alla parte che descrive sotto diversi aspetti il ca- rattere e riferisce i fatti secondo che rientrino in questa o quella rubrica; la parte eidografica separa due pezzi che seguono un filo cronologico, il pezzo che va dalla nascita alla maturit e il pezzo sulla morte. Avendo esperienza burocratica ( sotto Adriano, prima di essere coinvolto nella disgrazia del suo protettore Septicio Claro, fu sovrintendente alle biblio- teche e magister epistularum), sapeva dove mettere le mani per trovare documenti e ne fece buon uso. Naturalmente anche per lui l'uso di docu- menti supplementare, non primario; comunque la sua informazione relativamente accurata, come risulta, per es., dal confronto con Plutarco. Lo scopo di informare non per lui secondario e non schiacciato da esigenze moralistiche, che pure non mancano, come non mancano gli orientamenti politici nei giudizi sugli imperatori; nello stesso tempo rac- coglie e sviluppa la funzione della biografia come piacevole genere d'in- 5" Per la storia di questo tema cfr. F. Marx, Tacitus und die Literatur der exitus illu- strium virorum, in Philol., 93 ( N. F. 47), 1938, pp. 83 ss.; A. Ronconi, Exitus illustrium La storiografia 75 trattenimento. La via da lui scelta a questo scopo lontana dalla subli- mit e raramente incontra il pathos; per i casi in cui il pathos affiora ( per es., in scene della morte di Nerone: cfr. Nero 46), bisogna tener conto anche delle fonti. Egli punta su una rappresentazione precisa, ric- ca di dettagli, spesso colorita e vivace, sugli aneddoti e i detti arguti. Lo stile , sotto molti aspetti, il contrario di quello di Tacito: non ieiunus; la sintassi abbastanza articolata, ma rinuncia a ogni paludamento reto- rico, alla ricerca di colori carichi e di lenocini; il lessico quello urbano delle persone colte del tempo e chiama le cose col loro nome, senza escludere affatto la lingua ufficiale e i termini tecnici. Svetonio, al con- trario di Tacito, tende a farsi leggere senza sforzo; poich, d'altra parte, non ritiene di dover ricorrere ad artifici stilistici per aw incere il lettore, realizza un buon equilibrio fra sobriet e vivacit, che una delle ragioni della sua grande fortuna. Solo in parte le differenze da Tacito si spiega- no con la differenza di genere letterario; anche Tacito ha scritto una bio- grafia, e anche dallAgricola Svetonio resta profondamente diverso; Plu- tarco presenta qualche aspetto simile a Svetonio, ma monumentalit e pathos vi hanno un posto senza confronto pi ampio. Molto, dunque, va spiegato con i gusti di Svetonio e del suo pubblico; come Plinio il Giova- ne, Svetonio riette gi un calo di tensione ideale che caratterizza gran parte della cultura del Il sec. d.C. 13. Il declino della storiograa latina nei secoli ll e III d.C. Il declino della storiograa latina dopo Tacito e Svetonio non un fenomeno isolato: tutta la cultura letteraria latina subisce un infiacchi- mento e un impoverimento. Per la storiografia una ragione importante nel tramonto dell'lite senatoria come forza culturale, come ispiratrice di ideali politici e morali. La libert conciliabile col principato non aveva molta consistenza, e diveniva sempre pi chiaro che non c'era alternati- va; comunque il nuovo clima bast a far cadere quella tensione ideale che fino a Tacito si era mantenuta nella riflessione sul principato e la libert, la corruzione della societ, l'impero, il ruolo dell'uomo politico. Il cambiamento, sotto il principato di Adriano, abbastanza rapido, qua- si precipitoso; ma, in condizioni di relativa pace e di relativa prosperit, la coscienza civile e la sensibilit culturale sono cos indebolite che del cambiamento nessuno, dopo Giovenale, sembra accorgersi; come un passaggio nel vuoto, in cui tutti si sentono alleggeriti. All'indebolimento della cultura latina contribuisce la maggior presenza, a Roma, della cul- tura greca, con punte talora aggressive; si aggiunga che Roma non pi l'unico centro della cultura latina: l'Africa romana, molto impregnata di cultura greca, incomincia a essere unarea fertile. La storiografia non il primo genere letterario a tramontare: erano gi tramontate la tragedia viromm in Dm Lucrezio a Tacito, Firenze 19682, pp. 206- 36, e anche in Da Omero a Dante. Scritti di varia filologia, Urbino 1981, pp. 293- 320 ( lo studio risale al 1940). 76 LA I> RosA LATINA ( anche quella letteraria, non rappresentata in teatro), l'epica, la lirica 55. Nel III secolo, dopo i Severi, si aggiunge una lunga crisi politica, che segna un maggior intervento dellesercito nella vita dell impero e non certo favorevole alla vita culturale; ma nella storiografia non c' grande differenza fra il II secolo e il III, anzi nel III la biografia ha maggiore sviluppo. Nell'ambito della storiografia scompare la narrazione storica in senso stretto. L'opera di Tacito sar continuata da un greco, Ammiano Marcel- lino, verso la fine del IV sec. d.C. Ora la storia di grande respiro sosti- tuita da compendi. Pi che un compendio, un breve trattato a s l'ope- ra di Annio Floro, che visse dal tempo di Domiziano al tempo di Adria- no, di cui fu amico. Il titolo con cui essa tramandata ( Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, in due libri, suddivisi nella tradi- zione anche in quattro), non del tutto esatto, perch Floro, se usa Li- vio come fonte principale, ricorre anche ad altri autori, come Sallustio e Cesare, e dispone la materia in schemi di altra origine. Uno schema da lui ereditato quello presente in Seneca padre, cio la divisione della storia romana in quattro et ( qui infanzia e puerizia sono unite). L'esse- re collocato nella vecchiaia dell'impero non scuote in Floro la fiducia e l'ammirazione per Roma: la sua storia attua un disegno provvidenziale e la virt romana non destinata a perire. L'opera un panegirico divul- gativo della storia di Roma e dei suoi eroi. Lo stile colorito, un po' enfatico, ma senza rendere pesante la narrazione, che resta chiara e pia- cevole. Le opere successive di storia sono pi vicine al compendio vero e proprio. E del II o III secolo il compendio di Pompeo Trogo, a cui ho gi accennato, scritto da Marco Giuniano Giustino: non un riassunto conti- nuo, ma piuttosto un misto di riassunti e di excerpta. Forse erano di dimensioni analoghe le Historiae, in 40 libri, di Granio Liciniano; forse la trattazione incominciava con la fondazione della citt. I libri dal XXVIII al XXXVI comprendevano la storia romana dalla fine della guer- ra macedonica ( 167 a. C.) alla morte di Silla ( 78 a. C.); di questo testo, in stile dal colore un po' sallustiano, sono stati scoperti pochi frammenti in un palinsesto. Liciniano utilizzava probabilmente Livio, ma insieme con altri autori latini e greci, fra cui Sallustio e Posidonio. Le Periochae di Livio ( cio i brevi riassunti dei singoli libri) che conserviamo, sono di epoca incerta; le usava gi lulius Obsequens, che nel III o IV secolo compil una raccolta di prodigi; l'autore delle Periochae lavorava gi non direttamente su Livio, ma su un compendio pi ampio. Epitomi di Livio si usavano al tempo di Marziale ( XIV 190) e, data la mole dell'0- pera, probabilmente anche prima; compendi di Sallustio e di Livio scris- se, per l'educazione del figlio, Vibio Massimo, amico di Stazio ( Silv. IV 7, 53 s.) e, come abbiamo visto, di Plinio il Giovane. Pi che una storia 55 Cfr. Aspetti del pensiero storico latino, cit., pp. 27- 40. La storiografia 77 universale, una compilazione erudita di notizie geograche e mitologi- che il Liber memorialis di Ampelio, composto nel III o IV secolo 55. Nel lungo periodo di cui qui si tratta, non mancano commentari au- tobiograci di imperatori; almeno due vi si dedicarono con qualche im- pegno: Adriano e Settimio Severo. I commentari di Adriano venivano attribuiti da qualcuno ( l'opinione riferita in SHA, Hadr. 16, 1) ad un suo liberto, Flegonte; pu darsi che questi labbia aiutato, come Epicadio aveva fatto con Silla; non si pu neppure escludere che Flegonte fosse veramente l'autore ( anche possibile che l'imperatore li pubblicasse sot- to il nome del liberto); comunque Adriano era di cultura rafnata e po- teva comporre da s. Naturalmente l'autobiografia era apologetica: poco dopo l'assunzione al principato Adriano aveva eliminato alcuni concor- renti facendoli massacrare; nell'autobiograa faceva ricadere la colpa sul senato, che avrebbe agito contro la sua volont. Disseminava nella narra- zione alcune malignit o notizie scandalose: Traiano beveva troppo e aveva spinto Adriano a imitarlo; Tito avrebbe avvelenato il padre Vespa- siano in un banchetto. L'autobiografia di Settimio Severo era ricca di accuse infamanti contro gli antagonisti che avevano cercato di rovesciar- lo; dava inoltre rilievo a sogni, prodigi, oracoli che avevano preceduto o accompagnato la sua ascesa al potere: per es. ( fr. 1 P), riferiva un sogno in cui aveva visto Pertinace, il suo predecessore, cadere dal cavallo, che poi si era offerto a lui perch montasse in sella. Dunque era un'autobio- grafia di ispirazione carismatica. Ad Aureliano l'Historia Augusta ( Au- rel. 1, 6) attribuiva un diario ( ephemerides), che fu conservato nella bi- blioteca Ulpia, ma che, forse, non era destinato alla pubblicazione. Natu- ralmente la parentela tra ephemerides e commentarii doveva essere stret- ta. Fino a Settimio Severo o Elagabalo gli imperatori erano abbastanza colti per dedicarsi a letteratura del genere; eppure l'hanno coltivata ben poco; in seguito, nel corso del III secolo, gli imperatori clti furono ec- cezioni. La cultura latina di questi secoli sterili fu pi propizia alla biografia che alla storia: ci si pu affermare, anche se le informazioni che abbia- mo su questa fioritura biograca, provenendo in massima parte dalla Hi- storia Augusta, non sono molto solide. Non si pu dubitare dell'esistenza e dell'importanza di Mario Massimo, di cui stata proposta l'identifica- zione con Lucio Mario Massimo Perpetuo Aureliano, vissuto fra II e III secolo ( dal tempo di Commodo fino al tempo di Alessandro Severo), praeectus urbi sotto l'imperatore Macrino, console per la seconda volta nel 223. Sappiamo da Ammiano Marcellino che a Roma costituiva una lettura piacevole verso la fine del IV secolo. Secondo un procedimento che abbiamo visto applicato da alcuni storici, egli parte dal punto a cui era arrivato il pi illustre dei suoi predecessori, Svetonio: scrive le vite 55 Altri storici restano per noi poco pi che nomi. L'Historia Augusta cita come auto- ri di una historia sui temporis Lollio Urbico e Vulcazio Terenziano, che dovrebbero esser vissuti nella prima met del III sec. d.C. Igino, autore, verso la ne del Il secolo, di un'o- pera di astronomia, la dedica a un certo Marco Fabio, scrittore, fra l'altro, di historiae, che potrebbero anche essere una raccolta di curiosit erudite. 78 LA I> RosA LATINA degli imperatori da Nerva fino a Elagabalo. Di Svetonio conservava, a quanto pare, alcune virt e accentuava alcuni vizi. Doveva avere un'in- formazione accurata e ricorreva non di rado a documenti che citava nel corso della narrazione: discorsi, lettere, pamphlets, forse anche il giorna- le di Roma, gli acta urbis 57. Un margine di dubbio resta, perch l'auten- ticit dei documenti citati non sicura; va presupposto, comunque, che esistesse un tipo di biografia in cui si citavano dei documenti ( costume estraneo, come si sa, alla storiografia antica, ma entrato nella biografia relativa a filosofi e scrittori). Avesse o no a cuore linformazione esatta, Mario Massimo puntava sulla ricchezza e vivacit dei particolari, special- mente della vita privata, e insisteva sulle coloriture negative e deturpan- ti: crudelt, ipocrisia, deformit fisiche ( fra i personaggi pi repellenti Commodo). Un altro biografo che ha rilievo nella Historia Augusta ( a proposito di personaggi da Clodio Albino, uno degli avversari schiacciati da Setti- mio Severo, fino a Balbino, uno degli imperatori del 238), Elio o Giu- nio Cordo; ma si sospetta, per motivi non futili, che sia stato inventato dall'autore della Historia Augusta. Se non uno scrittore fittizio, un biografo affine a Mario Massimo, con qualche vizio in pi. Anche lui cita documenti, della cui autenticit si dubita; accentua la ricchezza e la futilit dei particolari; gli piace ricordare la propensione di certi perso- naggi allforgia pantagruelica, per es. di Clodio Albino e di Massimino ( fr. 4; 8 P.); di Massimino, oltre a ricordare le esibizioni di forza erculea ( fr. 9 P.), rileva l'abitudine di riempire vasi col suo sudore ( fr. 8 P.). Tacito sarebbe rimasto nauseato a leggere cose del genere; si vorrebbe attribuire a biografi di questo tipo la volutt di demistificare e infangare la storia, ma sarebbe attribuire loro troppo: si tratta di un gioco futile per un pubblico che non chiedeva di meglio. L'Historia Augusta cita parecchi altri biografi di cui qui non possia- mo occuparci; dubbia la loro realt e, ammesso che si tratti di scrittori reali, molto difcile caratterizzarli e differenziarli 55. Fra i biografi pos- siamo collocare anche un imperatore, il pi vecchio dei Gordiani: l'Hi- storia Augusta ( 3, 2; 4, 7) c'informa che egli scrisse biografie degli An- tonini; prima, nella sua molteplice attivit letteraria, aveva scritto sugli Antonini anche un poema epico in trenta libri! Alcuni degli Antonini rappresentavano dei modelli di principi e i Gordiani venivano in qualche modo connessi con loro. Non tutti i biografi erano dello stesso livello, e neppure all'interno delle singole biografie tutto era allo stesso livello; si anche supposto che le biografie da Adriano a Caracalla nell'Historia Augusta si basino su un biografo serio e attendibile e che una base della stessa solidit manchi per le biografie successive: dunque ci sarebbe al- 57 Da SHA, Comm. 15, 4 ( = fr. 15 P.) si ricava che Mario Massimo sapeva dell'inclu- sione di azioni turpi di Commodo negli acta urbis; non , per, sicuro che egli li consultas- se direttamente. 55 Rimando a H. Peter, HRR, II, pp. CLXXXIX- CCII e p. 120, 131- 42, 147- 55; H. Bardon, La littrature latine inconnue, cit., II, pp. 274- 9. Alcuni fra questi possono gura- re come storici piuttosto che come biografi. La storiografia 79 meno un biografo molto rispettabile nella prima met del III secolo 5 . Lipotesi non molto forte; gli elementi seri potrebbero anche venire da Mario Massimo. Nel secolo III spunta anche la biografia cristiana, di carattere, ovvia- mente, del tutto diverso. Ponzio, un discepolo di Cipriano, narr il mar- tirio del santo. Noi ne possediamo una relazione interpolata pi tarda. Ponzio limitava la biografia agli ultimi anni della vita e si occupava so- prattutto del martirio: dev'esserci una connessione con una tradizione pagana a cui ho gi accennato, quella degli exitus illustrium virorum. Merita almeno un accenno un tipo di letteratura che ha qualche rap- porto con la storia e di cui ho fatto menzione per altre epoche: quella che d spazio all'antiquaria. Sammonico Sereno ( padre del poeta omoni- mo), un dotto del tempo di Settimio Severo, nelle sue Res reconditae si occupava talvolta anche di storia della religione romana ( per es., delle formule dell'evocatio, il rito con cui si invitavano gli di della citt che stava per essere conquistata, a uscirne e a trasferirsi presso i vincitori). Un dotto di ottimo livello era Cornelio Labeone, di et incerta, ma forse del secolo III: anche lui si occupava di problemi di storia della religione e scrisse un'opera di Fasti. Notevole fu la sua inuenza sulla cultura an- tiquaria e religiosa al tempo di Macrobio e Agostino. Una cronografia che abbracciava un millennio di storia romana ( Xtlttemgi), e un'opera sui Parti scrisse Asinio Quadrato, citato da dotti greci della tarda anti- chit o bizantini e un paio di volte anche nell'Historia Augusta; ma que- ste opere, scritte in greco, erano pi utili per le notizie geografiche ed etnografiche. Il caso di Labeone ci ricorda che in certe epoche la storia pi seria si trova nellantiquaria. Bibliografia Viene data prima una bibliografia generale, poi la bibliografia relativa a cia- scun paragrafo. Per lo pi viene omessa la bibliografia gi citata nelle note. Per gli storici conservati solo in frammenti indispensabile ancora H. Peter, Historicorum Romanorum reliquiae ( citato con HRR), Leipzig 1883- 1906; del I vol. seconda ed. nel 1914; le poche edizioni di singoli autori conservati in fram- menti saranno indicate nella bibliografia relativa ai singoli paragrafi; ivi saranno indicati anche edizioni critiche e commenti degli storici conservati. Degli storici trattano, naturalmente, tutte le storie della letteratura latina; la pi utile per l'informazione e la bibliografia sino allinizio di questo secolo resta quella di M. Schanz, ampliata da C. Hosius; la recente Latin Literature, ed. by E. I. Kenney, W. V. Clausen, Cambridge 1982 ( II vol. della Cambridge History of Classical Literature), di scarsa originalit e utilit; ma si distinguono positiva- mente i capitoli sulla biografia e sulla storiografia del tardo impero, scritti da R. Brow ning. Non va trascurato H. Bardon, La littrature latine inconnue, Klinck- sieck, Paris 1952- 1956. Do qui una bibliografia generale sulla storiografia latina, quasi tutta degli ultimi due decenni: H. Peter, Wahrheit und Kunst. Ge- schichtsschreibung und Plagiat im klassischen Altertum, Leipzig 1911; L. Ferre- 59 Cfr. R. Syme, Emperors and Biography, Oxford 1971, pp. 49 ss. 80 LA I RosA LATINA ro, Rerum scriptor. Saggi sulla storiografia romana, Trieste 1962; Santo Mazza- rino, Il pensiero storico classico, Il 1- 2, Bari 1966 ( opera ricca di problemi, spes- so arrischiata nelle soluzioni); A. Momigliano, Studies in Historiography, Lon- don 1966; IVI. Rambaud, Recherches sur le portrait dans Vhistoriographie romai- ne, in Les Etudes classiques, 38, 1970, pp. 417- 47; S. Usher, The Historians of Greece and Rome, London 1969; M. Grant, The Ancient Historians, New York 1970; E. Burck, Einige Grundzge der rmischen Geschichtsschreibung, in AA.VV., Festschrift K. I. Merentitis, Atene 1972, pp. 49- 66; W. den Boer, Some Minor Roman Historians, Leiden 1972; F. Della Corte, Storiografia, in AA.VV., Introduzione allo studio della cultura classica, I, Milano 1972, pp. 331- 93 ( = F. Della Corte, Opuscula, V, Genova 1975, pp. 95- 157); Klaus E. Mueller, Ge- schichte der antiken Ethnographic und ethnologischen Theoriebildung, I: Von den Anfngen bis auf die byzantinischen Historiographen, Wiesbaden 1973; I. M. Andr, A. Hus, L'histoire Rome. Historiens et biographes dans la littra- ture latine, Presses Univ., Paris 1974; F. Weissengruber, Zum Moralbegri in der rmischen Geschichtsschreibung, in Rm. Mitteil. ( Wien Ak.), 16, 1974, pp. 23- 43; P. Burcke, Untersuchungen zur antiken Universalgeschichtsschrei- bung, Diss. Erlangen- Nrnberg 1974; A. H. Mc Donald, Theme and Style in Ro- man Historiography, in Ioum. of Roman St., 65, 1975, pp. 1- 10; A. Momiglia- no, Essays in Ancient and Modern Historiography, Oxford 1977; A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, Torino 1978 ( 19832); Z. Rubin, Civil- War, Propaganda and Historiography, Brussels 1980; G. A. Press, The Development of the Idea of History in Antiquity, Montreal 1982; C. W. Fornara, The Nature of History in Ancient Greece and Rome, Berkeley 1983; I. van Seters, In Search of History. Historiography in the Ancient World and the Origins of Biblical Hi- story, New Haven 1983; P: Widmer, Die unbekannte Realitt. Studien zur Nie- dergangs- thematik in der Antike, Stuttgart 1983; D. Flach, Einfhrung in die rmische Geschichtsschreibung, Darmstadt 1985; M. Reinhold, Human Nature as Cause in Ancient Historiography, in AA.VV., The Craft of the Ancient Histo- rian. Essays in Honor of Chester G. Starr, Lanham ( UsA) 1985, pp. 21- 40; E. Cizek, Les genres de Fhistoriographie latine, in Faventia, 7, 2, 1985, pp. 15- 33; C. Codoer Merino, Evolucin del concepto de historiografia en Roma, Bar- celona 1986. Contributi di vari autori sono compresi nelle seguenti opere miscel- lanee: Latin Historians, ed. by T. A. Dorey, London 1966; Roemische Ge- schichtsschreibung, hrsg. von V. Pschl, Darmstadt 1969; Geschichte, Ereignis und Erzhlung, hrsg. von A. Koselleck, W. D. Stempel, Mnchen 1973; Ricerche di storia antica, Pisa 1979- 80; Past Perspectives. Studies in Greek and Roman Historical Writing. Papers Presented at a Conference in Leeds 6- 8 April 1983, ed. by I. S. Moxon, I. D. Smart, A. I. Woodman, Cambridge 1986. T. I. Cornell, The Value of the Literary Tradition Concerning Archaic Rome, in AA.VV., Social Struggles in Archaic Rome. New Perspectives of the Conict of the Orders, ed. by K. A. Raaaub, Berkeley 1986, pp. 52- 76; Il protagonismo nella storio- grafia classica, Genova 1987; A. I. Woodman, Rhetoric in Classical Historio- graphy. Four Studies, Croom Helm, London 1988. In particolare sulla biografia: F. Leo, Die griechisch- rmische Biographie nach ihrer litterarischen Form, Leipzig 1901 ( rist. anast. Darmstadt 1965); D. R. Stuart, Epochs of Greek and Roman Biography, Berkeley 1928; W. Steidle, Sue- ton und die antike Biographie, Mnchen 1951; A. Momigliano, Lo sviluppo del- la biografia greca ( trad. dallinglese), Torino 1974 ( con ampia bibliografia); F. Wehrli, Gnome, Anekdote und Biographie, in Mus. Helveticum, 30, 1973, pp. 193- 208; B. Gentili, G. Cerri, Storia e biografia nel pensiero antico, Roma- Bari 1983; A. Dihle, Die Entstehung der historischen Biographie, in Sitzungsber. der Heidelberger Akademie der Wiss., Philos.- Hist. KI., 3, 1986. Raccolta di studi La storiograa 81 sulla biograa latina in Latin Biography, ed. by T. A. Dorey, London 1967. Sul- Fautobiografia antica G. Misch, Geschichte der Autobiographie, I, Leipzig- Berlin 1907 ( Frankfurt 19495); U. von Wilamow itz- Moellendorff, Die Autobiographie im Altertum, in lntem. Wochenschrift fr Wiss., Kunst und Technik, 1, 1907, pp. 1105- 14; W. C. Spengemann, The Forms of Autobiography. Episodes in the History of the Literary Genre, New Haven 1980. Per lo stile della storiograa il meglio si trova in opere generali sulla prosa antica e sulla prosa latina: E. Norden, Die antike Kunstprosa vom VI Iahrhun- dert v. Chr. bis in die Zeit der Renaissance, Leipzig- Berlin 1909 ( rist. anast. Darmstadt 1971); A. D. Leeman, Orationis ratio. The Stylistic Theories and Practice of the Roman Orators, Historians and Philosophers, Amsterdam 1963 ( trad. it. Bologna 1974); cfr. inoltre I. P. Chausserie- Lapre, L'expressi0n narra- tive chez les historiens latins, De Boccard, Paris 1969. Indico qui due opere sulla storiograa arcaica latina ( altre saranno indicate nella bibliografia relativa ai paragra 1 e 2): G. Gentili, G. Cerri, Le teorie del discorso storico nel pensiero greco e la storiografia romana arcaica, Roma 1975; K. Bringmann, Weltherrschat und innere Krise Roms im Spiegel der Ge- schichtsschreibung des zw eiten und ersten Iahrhunderts v. Chr., in Antike und Abendland, 23, 1977, pp. 28- 49. 1. Una discussione ampia e approfondita di tutta la tradizione sull'annalsti- ca pontificale in B. W. Frier, Liber Annalis Pontiicum Maximorum. The Origin of Annalistic Tradition, Roma 1979. Secondo l'autore l'attivit storiografica pon- tificale com' delineata in quella tradizione fittizia; ma lui stesso ritiene non rigorosamente dimostrabile la sua tesi. Nel1'opera c' una buona storia della que- stione e una ricca bibliografia. Cfr. inoltre E. Raw son, Prodigy Lists and the Use of the Annales Maximi, in Class. Quarterly, n.s. 21, 1971, pp. 158- 69. Sulla questione della perdita o meno dei documenti ponticali durante l'invasione gal- lica cfr. M. Sordi, Il Campidoglio e l'invasione gallica del 386 a.C., in "Contri- buti dell'Ist. di Storia Antica dell'Univ. del Sacro Cuore, 10, 1984, pp. 82- 91. 2. Molto viva la discussione su Fabio Pittore nell'ultimo mezzo secolo: M. Gelzer, Der Anfang rmischer Geschichtsschreibung, in Hermes, 69, 1934, pp. 46- 55; Id., Nochmals ber den Anfang der rmischen Geschichtsschreibung, in Hermes, 82, 1954, pp. 342- 8; U. Knoche, Roms lteste Geschichtsschreibung, in Neue Iahrbb. fr Antike und deutsche Bildung, 2 ( 114), 1939, pp. 193- 203; F. Bmer, Naevius und Fabius Pictor, in Symb. Osloenses, 29, 1952, pp. 34 ss.; A. Momigliano, Linee per una valutazione di Fabio Pittore, in Rend. del- l'Acc. dei Lincei, Cl. di scienze morali, stor. e filol., s. III 15, 1960, pp. 310 ss. = Terzo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, I, Roma 1966, pp. 55 ss.; G. Perl, Der Anfang der rmischen Geschichtsschreibung, in Forschungen und Fortschritte", 38, 1964, pp. 185- 9, 213- 8; B. Combet- Far- noux, Fabius Pictor et les origines du theme de la concordia ordinum dans l'hi- storiographie romaine, in Ann. de la Fac. des Lettres de Nice, 11, 1970, pp. 77- 91; D. Timpe, Fabius Pictor und die Anfnge der rmischen Historiographie, in ANRW ( = Aufstieg und Niedergang der rmischen Welt), I 2, Berlino 1972, pp. 928- 69; N. Horsfall, Q. Fabius C. filius Pictor. Some New Evidence, in Li- verpool Class. Monthly, 1, 1976, p. 18. Gli studi del Perl e del Timpe offrono una ricca bibliografia. Il Timpe insiste sulla scarsa omogeneit fra le parti dell'0- pera: la parte riguardante le origini ( ma le origini si estenderebbero no a met circa del V sec. a.C.), la parte riguardante i primi due secoli circa della repubbli- ca, piuttosto povera, e la parte successiva, pi dettagliata. Su Cincio Alimento: G. P. Verbrugghe, L. Cincius Alimentus. His Place in Roman Historiography, in Philol., 126, 1982, pp. 316- 23. 82 LA I> RosA LATINA Delle Origines di Catone nuova ed. di Martine Chassignet, Les Belles Let- tres, Paris 1986; del I libro ed. commentata di A. Schrder, Meisenheim am Glan 1971. Opere generali su Catone: E. V. Marmorale, Cato maior, Bari 19492; F. Della Corte, Catone Censore. La vita e la fortuna, Firenze 19692; D. Kienast, Cato der Zensor, seine Persnlichkeit und seine Zeit, Heidelberg 1954; A. E. Astin, Cato the Censor, Oxford 1978; Fr. Klingner, Cato Censorius und die Kri- sis des rmischen Volkes, in Die Antike, 10, 1934, pp. 239- 63 = Rmische Geistesw elt, Monaco 19655, pp. 34- 65. Su Catone come storico L. Moretti, Le Origines di Catone, Timeo ed Eratostene, in Riv. di lol. e di istr. class., 80, 1952, pp. 289- 302; A. Momigliano, Atene nel III secolo a. C. e la scoperta di Roma nelle storie di Timeo, in Riv. stor. ital., 71, 1959, pp. 549- 55 = Terzo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, I, Roma 1966, pp. 35 ss.; H. Traenkle, Cato in der vierten und fnften Dekade des Livius, in Ab- handl. der Akad. der Wiss. in Mainz, Geistes- und sozialw iss. Kl., 1971, Heft 4; D. Timpe, Le Origini di Catone e la storiografia latina, in Atti dell'Acc. Patavina, 83, 3, 1971, pp. 5- 33; A. Luisi, L'autorit di Catone nei riti e culti romani ( in margine a Livio 39, 8- 20), in Invigilata lucemis, 3- 4, 1981- 82, pp. 161- 86; C. Letta, L'Italia dei mores Romani nelle Origines di Catone, in At- hen., 62, 1984, pp. 3- 30, 416- 39; L. Cardinali, Le Origines di Catone iniziano con un esametro?, in Studi class. e orientali, 37, 1987, pp. 205- 15; C. Letta, I mores Romani e l'origine dei Sabini in Catone, in Convegno di studio: Preistoria, storia e civilt dei Sabini, Centro di Studi Varroniani, Rieti 1985. 3. Sugli annalisti di questo periodo, e specialmente su Cassio Hemina, E. Raw son, The First Latin Annalists, in Latomus, 35, 1976, pp. 689- 717; su Cassio Hemina, in particolare G. D'Anna, Cassio Emina e Virgilio Aen. I, 167- 274, in Riv. di cult. class. e mediev., 17, 1975, pp. 211- 20; W. Suerbaum, Die Suche nach der antiqua mater in der vergilischen Annalistik. Die Irrfahrten des Aeneas bei Cassius Hemina, in AA.VV., Beitrge zur altitalischen Geistesge- schichte. Festschrift Gerhard Radke zum 28 Februar 1984, Mnster 1986, pp. 269- 97. Su Calpumio Pisone, K. Latte, Der Historiker Lucius Calpumius Piso Frugi, in Sitzungsber. der deutschen Akad. der Wiss.", Philol.- hist. K1., 1960, Heft 7, pp. 1- 16; A. Mastrocinque, La cacciata di Tarquinio il Superbo. Tradizione ro- mana e letteratura greca, I, in Athen., 61, 1983, pp. 457- 80; G. E. Forsythe, The Historian L. Calpumius Piso Frugi, Diss. Univ. Pennsylvania, Philadelphia 1984 ( micr_ofilm); L. Cardinali, Primo commentariorum o commentariorum libros? Una proposta di emendazione a Plin. Nat. Hist. XIII 84, in Maia, 39, 1987, pp. 131- 5. Del Cardinali in corso di pubblicazione anche uno studio Quanti libri scrisse Lucio Calpumio Pisone Frugi? Excursus sull'estensione del- l'opera. Su Fannio, oltre le opere segnalate nel testo e nelle note, F. Mnzer, Die Fannius- frage, in Hermes, 55, 1920, pp. 427 ss.; F. Cssola, I Fannii in et repubblicana, in Vichiana, 12, 1983, pp. 84- 112. Notevole questo studio del Cssola, che sostiene Fidentificazione dello storico col console del 122 a.C. Di Celio Antipatro nuova ed. in W. Herrmann, Die Historien des Coelius Antipater, Meisenheim 1979; cfr. inoltre A. Sparti, Celio Antipatro in Nonio, in AA.VV., Studi noniani, VII, Genova 1982, pp. 247- 78; A. M. Biraschi, Quinto Elio Tuberone in Strabone V, 3, 3, in Athen., 59, 1981, pp. 195- 9; A. Sicari, Pomponio e Celio Antipatro, in AA.VV., Studi in onore di Cesare Sanfilippo, Catania 1982, pp. 549- 77. 4. Su Scauro P. Fraccaro, Scauriana, in Rend. dell'Acc. dei Lincei, Classe di Sc. morali, stor. e filol., serie V, 20, 1911, pp. 169- 96 = Opuscula, ll, Pavia La storiografia 83 1957, pp. 125- 147; G. Flammini, Marco Emilio Scauro e i suoi frammenti, in Ann. della Fac. di Lettere di Macerata, 10, 1977, pp. 37- 56. Sulla Communis historia di Lutazio Catulo o di Lutazio Dafni un mio studio in AA.VV., Studi su Varrone, sulla retorica, storiografia e poesia latina. Scritti in onore di Benedetto Riposati, Rieti- Milano 1979, I, pp. 229- 40; sui commentari G. Marasco, L'apologia di O. Lutazio Catulo e la tradizione sulla guerra cimbri- ca, in Gom. lol. ferrarese, 7, 1984, pp. 75- 84. Sui commentari di Silla cfr. C. Vitelli, Note ed appunti sull'autobiograa di L. Cornelio Silla, in Studi ital. di lol. class., 6, 1898, pp. 325 ss.; Ida Calabi, I commentari di Silla come fonte storica, in Rend. dell'Acc. dei Lincei, Classe di Sc. morali, stor. e filol., s. VIII 3, 5, 1950, pp. 245- 302; E. Valgiglio, L'auto- biograia di Silla nelle biograe di Plutarco, in Studi urbinati di storia, filos. e lett., 49, 1, 1975, pp. 245- 81; G. Pascucci, I Commentarii di Silla, ivi, pp. 283- 96; A. Keaveney, Sulla, the Marsi and the Hirpni, in "Class, Philol., 76, 1981, pp. 292- 6. Su Rutilio Rufo Nino Scivoletto, L'oratio contra Galbam e le Origines di Catone, in Giorn. ital. di filol., 14, 1961, pp. 63- 8. 5. Su Sempronio Asellione, M. Mazza, Tematica della storiografia romana di epoca sillana, in Siculorum Gymn., 18, 1965, pp. 144- 63; D. Musti, Polibio e la storiografia romana, Entretiens de la Fondation Hardt", XX, Vandoeuvres- Genve 1974, pp. 125 ss.; R. Till, Der Befehl. Zu Sempronius Asellio fr. 8, in Chiron, 3, 1973, pp. 109- 18; B. Gentili, Storiografia greca e storiografia roma- na arcaica, in Studi urbinati di storia, filos. e lett.", 49, 1, 1975, pp. 13- 38; G. Morelli, Sempronio Asellione e Cesellio Vindice in Carisio, ibid., pp. 81- 94; C. Schaeublin, Sempronius Asellio fr. 2, in Wrzburger Iahrbb. fr Altertums- w iss., N.F., 9, 1983, pp. 147- 55; F. Cavazza, Sempronius Asellio fr. 2 Peter, in Orpheus, 9, 1988, pp. 21- 37. 6. Di Sisenna una nuova edizione stata curata da Giuseppina Barabino, I frammenti delle Historiae di Lucio Cornelio Sisenna, in Studi nonia- ni, I, Genova 1967, pp. 67- 251. Su Sisenna: Ida Calabi, I commentari di Silla ( gi cit. a proposito di Silla); Irmentraud Haug, Der rmische Bundesgenossenk- rieg 91- 88 a.C. bei Titus Livius, II, in Wrzburger Iahrbb. fr Altertumw iss.", 2, 1947, pp. 201- 58; Elettra Candiloro, Sulle Historiae di L. Comelio Sisenna, in Studi class. e orientali", 12, 1963, pp. 212- 26; E. Badian, Waiting for Sulla, in Ioum. of Roman St., 52, 1962, pp. 47- 61; Where w as Sisenna?, in At- hen.", 42, 1964 ( Misc. E. Malcovati), pp. 422- 31; P. Frassinetti, Sisenna e la guerra sociale, in Athen.", 50, 1972, pp. 78- 113. G. Calboli, Su alcuni fram- menti di Cornelio Sisenna, in Studi urbinati di storia, filos. e lett., 49, 1, 1975, pp. 151- 221; E. Paratore, La leggenda di Enea nei frammenti di Sisenna, ibid., pp. 223- 44; R. Scuderi, Il tradimento di Antenore. Evoluzione di un mito attra- verso la propaganda politica, in Contributi dell'Ist. di Storia Antica dell'Univ. del Sacro Cuore, 4, 1976, pp. 28- 49; S. Condorelli, Sul fr. 44 P. di Sisenna, in Nuovi Ann. della Fac. di Magistero di Messina, 1, 1983, pp. 109- 37. Su Claudio Quadrigario: M. Zimmerer, Der Annalist Q. Claudius Quadriga- rius, Diss. Mnchen 1937; A. Klotz, Der Annalist O. Claudius Ouadrigarius, in Rhein. Mus., 91, 1942, pp. 268- 85; G. Mezzar- Zerbi, Le fonti di Livio nelle guerre combattute contro i Liguri, in Riv. di studi class., 13, 1965, pp. 66- 78, 287- 99; R. M. Rosado Fernandes, O episodio dos Trezentos Lusitanos contra mil Romanos e a sua possivel explicaao, in Rev. Ocidente", 72, 1967, pp. 278- 84; U. Bredehom, Senatsakten in der republikanischen Annalistik, Diss. Marburg 1968; W. Schibel, Sprachbehandlung und Darstellungsw eise in rmi- scher Prosa ( Claudius Quadrigarius, Livius, Aulus Gellius), Amsterdam 1971; 84 LA PROSA LATINA I. M. Libourel, A Battle of Uncertain Outcome in the Second Samnte War, in Amer. Ioum. of Philol., 94, 1973, pp. 71- 8; D. Timpe, Erw gungen zur jnge- ren Annalistik, in Antike und Abendl., 25, 1979, pp. 97- 119; S. Laconi Ba- stian, Osservazioni sui frammenti 83 P. e 88 P. di Claudio Quadrigario, in Ann. della Fac. di Magistero di Cagliari", 3, 1978- 1979, pp. 5- 13; Id., Significato del fr. 64a P. di Claudio Quadrigario nel quadro della sua propaganda politica, ibid., 4, 1980, pp. 283- 306. Gli studi citati di Mezzar- Zerbi, Bredehom, Timpe riguardano anche Valerio Anziate; su di lui, inoltre, E. Alfisi, Le fonti dei censimenti romani in Livio, in Rend. dell'Ist. Lombardo", Classe di Lettere, Sc. morali e storiche, 104, 1970, pp. 166- 95; Le fonti dei censimenti romani in Plutarco e Plinio, in Centro di Studi e Documentazione sull'ltalia Romana, 6, 1974, pp. 9- 29; I. von Ungem- Stemberg, Die Einfhrung spezieller Sitze fr die Senatoren bei den Spielen ( 194 v. Chr.), in Chiron, 5, 1975, pp. 157- 63; R. Adam, Valerius Antias et la fin de Scipion l'Africain, in Rev. des tudes lat., 58, 1980, pp. 90- 9; R. A. Laroche, Valerius Antias as Livy's Source for the Number of Military Standards Captured in Battle in Books I- X, in Class. et mediaev.", 35, 1984, pp. 93- 104; I. Moso- vich, Dio Cassius on Scipio's Return from Spain in 205 B. C., in Ancient Histo- ry Bull, 2, 1988, pp. 107- 10. Minore l'attenzione dedicata a Licinio Macro: R. M. Ogilvie, Licinius Macer and the libri lintei, in Ioum. of Roman St., 48, 1958, pp. 40- 6; B. W. Frier, Licinius Macer and the consules suffecti of 444 B. C., in Trans. and Proc. of the Philol. Ass., 105, 1975, pp. 79- 97. E utile anche l'articolo di E. Gruen sui rap- porti fra Cicerone e Licinio Calvo, figlio di Licinio Macro, in Harvard St. in Class. Philol., 71, 1966, pp. 215- 7. Sugli storici trattati in questo paragrafo vedere anche le opere, che saranno poi citate, sulle fonti di Livio. 7. Su Elio Tuberone: R. M. Ogilvie, A Commentary on Livy, Books 1- 5, Ox- ford 1965, pp. 16- 7; G. W. Bow ersock, Augustus and the Greek World, Oxford 1965, pp. 128 ss.; Id., Historical Problems in Late Republican and Augustan Classicism, in AA.VV., Le classicisme Rome aux 1275 sicles avant et aprs I. C., Entretiens de la Fondation Hardt, XXV, Vandoeuvres- Genve 1979, pp. 69 ss.; M. Bretone, Quale Tuberone?, in lura", 97, 1974, pp. 72- 4; A. Valvo, Le vicende del 44- 43 a. C. nella tradizione di Livio e di Dionigi su Spurio Melio, in Contributi dell'Ist. di Storia Ant. dell'Univ. del Sacro Cuore", 3, 1975, pp. 157- 83; A. M. Biraschi, Quinto Elio Tuberone cit. ( nella bibliografia su Celio Antipatro); A. Valvo, La sedizione di Manlio Capitolino in Tito Livio, in Mem. dell'Ist. Lombardo", Classe di Lett., Sc. morali e stor., 38, 1, 1983, pp. 5- 64. Edizioni critiche di Cesare: B. G.: A. Klotz ( Leipzig 1952); O. Seel ( Leipzig 1961; 19685); B.c.: P. Fabre, ( Les Belles Lettres, Paris 19475); A. Klotz ( Leip- zig 1950); A. Klotz, W. Trillitzsch ( Leipzig 1964; 19692). Commenti: B. G.: F. Kraner, W. Dittenberger, H. Meusel, 205 ed. ( Zrich- Berlin 1964- 66). B.c.: F. Kraner, F. Hofmann, H. Meusel, 125 ed. ( Berlin 1959); M. Rambaud ( Paris 1962 ; 19702); ma esistono parecchi commenti a libri singoli 0 a gruppi di libri. Raccolta di studi di autori vari in Caesar, hrsg. von H. Oppermann, Darmstadt 1967; rassegne bibliografiche in ANRW, I 3, Berlin- New York 1973: L. Raditsa, lulius Caesar and His Writings, pp. 427- 56; I. Kroymann, Caesar und das Cor- pus Caesarianum in der neueren Forschung, pp. 457- 87; G. Pascucci, Interpreta- zione linguistica del Cesare autentico, pp. 489- 522; I. Harmand, Une composan- te scientifique du Corpus Caesarianum: le portrait de la Gaule dans le De bello Gallico I- VII, pp. 523- 95. Sulla forma del commentariusz F. Boemer, Der com- mentarius. Zur Vorgeschichte und literarischen Form der Schriften Caesars, in La storiograa 85 Hermes, 81, 1953, pp. 210- 50; Ed. Fraenkel, Eine Form rmischer Kriegsbul- letins, in Eranos, 59, 1956, pp. 189- 94. Saggi e studi: A. Klotz, Caesarstudien, Leipzig 1910; H. Oppermann, Caesar der Schriftsteller und sein Werk, Leipzig 1933; M. Rambaud, L'art de la dformation dans les Commentaires de Csar, Paris 1953 ( 19662); F. E. Adcock, Caesar as Man of Letters, Cambridge 1956; G. Pascucci, I mezzi espressivi e stilistici di Cesare nel processo di deformazione storica dei Commentari, in Studi class. e orientali, 6, 1957, pp. 134- 74; L. Canali, Personalit e stile di Cesare, Roma 1963; D. Rasmussen, Caesars Com- mentarii. Stil und Stilw andel am Beispiel der direkten Rede, Gttingen 1963; O. Seel, Caesarstudien, Stuttgart 1967; F. H. Mutschler, Erzhlstil und Propaganda in Caesars Kommentarien, Heidelberg 1975; W. Richter, Caesar als Darsteller seiner Taten. Eine Einfhrung, Heidelberg 1977. Sul B. G.: G. Walser, Caesar und die Germanen. Studien zur politischen Tendenz rmischer Feldzugsberichte, Wiesbaden 1956; R. 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Ultime edizioni delle due monografie di Sallustio: A. W. Ahlberg ( Leipzig 1919); A. Ernout ( Les Belles Lettres, Paris 1946); A. Kurfess ( Leipzig 1951). Commenti al B. Cat.: K. Vretska ( Heidelberg 1976); P. McGushin ( Leiden 1977); il comm. del Vretska opera impegnativa e notevole; molto meno impor- tante il comm. di E. Koestermann al B. lug. ( Heidelberg 1971). Per le Historiae si deve ricorrere ancora all'ed. di V. Maurenbrecher ( Leipzig 1891- 1893); ma per le orazioni e le epistole estratte dalle Historiae c' un buon commento di V. Paladini ( Bari 1957); cfr. inoltre, G. Garbugino, Il I libro delle Historiae di Sal- lustio in Nonio Marcello, in Studi noniani, V, Genova 1978, pp. 39- 94; B. Bischoff, H. Bloch, Das Wiener Fragment der Historiae des Sallust ( P. Vindob. L 117), in Wiener St.", N.F., 13, 1979, pp. 116- 29. Per la biografia I. Malitz, Ambitio mala. Studien zur politischen Biographie des Sallust, Bonn 1975. Saggi e studi su Sallustio: K. 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