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H.

\NDBOUND
AT THE

UNIVERSITY OF

TORONTO PRESS

y\o'ra.

3RAZI0 LIRICO
STUDI

GIORGIO PASQUALI

OPERA PUBBLICATA CON CONTRIBUTO


DELLA FACOLT DI LETTERE
DEL

R. ISTITUTO DI

STUDI SUPERIOJI IN FIRENZE

>r^-

FIRENZE
FELICE LE MONNIER
1920

pa

Propriet letteraria riservata

Firenze 1919.

Stabilimento Tipografico E. Ariani. (Ord. 2589).

ALLA PURA MEMOWA


DELLO STORICO

ADALBERTO GARKONI
CHE COMBATT E MORI SENZA ODIO

PKEFAZIONE

Questo

libro

nou ha

forse bisogno

di prefazione

in principio e in fine di ciascun capitolo

ho detto

ci

che in esso mi proponevo di dimostrare o credevo di


aver dimostrato, assai chiaramente per ogni lettore
libero da pregiudizi. Bench la mia opera sia venuta
pili voluminosa che io non desiderassi, spero che non
le i)ossa esser mosso rimprovero di mancare di unit
chi la legga di seguito, docilmente, non corre rischio
di smarrire il filo conduttore nonostante qualche giro
:

e rigiro.
Il

libro era tutto pensato e per

quando scoppi

buona parte anche

guerra: durante la
guerra continu e fin la stesura, incominci anche
la stampa. Ma questa dovette ben presto essere sospesa per l'incertezza del mercato librario, i>er l'enorme
aumento del prezzo della carta, che allora si credeva
pjisseggero, per la scarsit della mano d'ojera tipo-

scritto,

gratica.

La stesura

periodi di

non sospesa,

ma

frastornata da

cattiva salute dell'autore e da

militare sedentario,
sere

fu

la nostra

ripresa

un generoso

solo

mn

gravoso.

nell'estate del

un

servizio

La stampa pot
'11),

es-

e solo grazie a

sussidio concesso dalla Facolt di Lettere

dell'Istituto di Studi 8u[)eri()ri in Firenze: e da allora

viri

in i)oi i)roce(l lupidatiiciite. Xelhi revisioiie mi prestarono la loro opera volenterosa per la prima j)arte
lina donna gentile <' l'amico incomparabile alla cui
pura memoria (piesto libro df^licato, ])er la seconda
amici \)\h giovani, studenti torentini.

Qui vorrei chiedere indulgenza per certe scabrezze


nell'esposizione, j)er certe inconseguenz(? nell'ortooratia

specialmente dei nomi propri greci, per gli errori di


stampa, senza dubbio pi numerosi di quel che mi sia
accaduto di notare sinora.
Me ne dispiace; ma sono minuzie, e non temo di
essere a cagiou loro troj)po biasimato. Pi mi dorrebbe,
se iion fosse onestamente riconosciuto

quanta

fatica,

onesta e, spererei, non priva d'intelligenza, io abbia


speso per rivivere nella cerchia di Orazio, per ricostruire le sue letture e risentirle quale egli le sent,
per intendere, cio, il poeta come l'intendevano 1 suoi
contemporanei.

4|i

iti

L_A t^

j fllitli grillili

iHlill,

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1*

* *""'*"^

** ^^

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**' f!^

*^ f* *- ** **

'f

CAPITOLO PRIMO
Orazio e Alceo.
crede

Si

imitato

comunemente che Orazio


tradotto

perfino

poeti

nelle

lesbii

Odi abbia
in

ispecie

Alceo. Se e in qual senso e dentro quali limiti quest'opinione sia giusta, mostra l' interpretazione accurata di

contengono espressioni che hanno


scontro nei frammenti conservati di Alceo.
alcune

odi,

che

ri-

I.

L'ode a Varo

I,

18 e

carmi dionisiaci.

1.

Varo
vita;
Il

Pianta anzitutto
;

il

ma

vino

1'

la

unico

vite

nel tuo

podere di Tivoli,

conforto nelle avversit

guai a colui che abusa del dono

nesso dei pensieri


non ego

te,

fin

qui chiaro.

Segue

candide Bassaieu.

invituni ((nafciain noe variia ohsita frondihiis

snb

divoiii lapiain

saova tene enni Beieeyntliio

cornn tynipana, quae 8nl)sef|uitnr eaecus


et tolleus

vaeuom

arcaniqne Fides
1

plus

niiiiio

|)r()dif^a,

Amor

Gloria verticem

perliwidior vitro.

della

Dioniso

di

sui

>.

_
L' iiitcrjjretazione

commento

nel

questa

non
da

Perci,

nie,

dipitro

Bassareo splendido

supplico,

ti

di

non

troppo in

giovinezza,

di

lungi

tieni

selvaggia,

cui

io

tengono

se e orgoglio vanitoso e ciarle

di

Chi intenda

ci

in

dovr

cos,

non dicono nulla

sia gi stato detto

gi troppo a lungo Orazio


briet, egli

formulata

e.

p.

sfrenatezza

segreti confidati .
ciie questi versi

confessare
nulla che

con

l'ebrezza

amore soverchio

Vraditrici

coni'

coiisucita,

Kiessling e Heinze, a un dipresso

festeggiare

voglio

li

di

y)

nuovo,

di

questa stessa ode

ha vantato

pregi della so-

che pure non suole n ripetersi n indugiare


comun pensiero solo. N s' intende come
i

mentatori possano vedere nominata o descritta l'ebrezza


nei versi che ho trascritto, nei quali, per quanto a me
pare,

menti
la

si

parla solo del

sobriet o

essi

il

corni e di timpani, istru-

tirso, di

che non hanno nulla a che fare con


ubriachezza. E in qual modo spiegano

tutti di culto
1'

sub cUvom rapiam

Che anzi non

lo

spiegano e

traggono per lo pi d' impiccio con espressioni

si

vaghe e

Metonimia che sostipoco significative come questa


tuisce il donatore al dono .
A me sembra che questo passo si possa intendere
Io non voglio prender parte alle processioni
solo cos
:

orgiastiche in onor tuo, Dioniso


al tuo volere
di vizi. I

dietro

ai

un

tal culto contrario

tuoi simboli

commentatori, costretti

cammina un

dalle

corteo

precise parole

Orazio a concedere ch'egli parla qui di un culto orgiastico, credono di spicciarsi poi di ogni difficolt assedi

rendo che questo

culto

un' immagine,

quanto

ai

corni berecintii se ne sbarazzano con tutta faciUt dicendoli tolti di peso dalle Baccanti di Euripide, che

erano gi classiche ai tempi di Callimaco e che Orazio


ha senza dubbio letto, tant' vero che altrove (epist. I,
16; 73 sgg.) ne cita un verso. Il male che qui Orazio

ma descrive un culto
che quindi reminiscenze poetiche non
hanno qui luogo, o, per meglio dire, possono al pi spiegare la forma, non la sostanza. Se non fossero consernon

cita antiche opere letterarie,

del tennpo suo, e

vate

testimonianze

altre

che questo

pure indurre da esso che

in quel

passo,

dovremmo

tempo a Roma era

in

voga un culto dionisiaco

in cui

per cos dire, cibelici

questo caso le parole di Orastesso valore di documento per

zio

avrebbero per noi

la

Roma

del

in

l6

suo tempo che

l'Atene dell'et sua.


di processioni,

erano penetrati elementi,

quelle

poeta romano

Il

ci

di

Euripide

nelle quali istrumenti sacri erano portati

per la citt a suono di timpani e di corni

in giro

ridisce al

veder celebrati nella sua

stranieri.

La

mystica,

spaventosa

Roma

di

vizi,

ai

occhi

suoi

dei vizi

in

inor-

culti orgiastici

turba fanatica, che teneva dietro alla

trasforma

si

per

parla con orrore

cista

una processione

che sogliono esser congiunti

con l'ebrezza.
Il

dente

valore di questa interpretazione affatto indipendalle

storia

la

dei

conseguenze che se ne possano trarre per


culti romani, ne sarebbe strano che di

un culto orgiastico
si

Dioniso nella

di

Roma

augustea non

riuscisse a scoprire altra traccia, giacch noi

sediamo

in

non pos-

questa materia tradizione che non sia fram-

mentaria. Eppure

caso

che noi
impero un
(alito orgiastico di Dioniso attestato da molte iscrizioni (1). vServio c'informa che versi di Virgilio (ecl. V, 29)
il

non aspettiamo. Per

ci

favorisce forse pi

tempi pi tardi

dell'

Daj>hu8 et Armeuias curru subiungere tigris


instituit,

Dapbnis thiasos nducere Bacchi

et follia lontas intcxer^ iiiollilms liaBtas

(1)

passi sono indicati dal

Wissowa.

Heligion^, .103 sg.

_
alludono a Cesare
constai

sacra

Liberi

hoc aperte ad Caesarem pertinet, quem


patris

Fiomam.

tratistulisse

<|uan-

tunque questa spiegazione non possa, nella forma in cui


presentata, cogliere del tutto nel segno, perch il culto
del padre Libero in Roma, com' noto, molto anteriore a quest'et, pure non h lecito trascurare completa-

mente questa testimonianza. Una nota

del cosidetto In-

20 sed si de Gaio Caesare dietimi est, inulti


Venerem
matrem
accipiiud, per thiasos sacra, quae ponper
tifex instituit ci mostra che cosa intenda dire il Servio
terpolatore

vero

al V,

Cesare introdusse in

Roma

un culto mistico, or-

poco importa al nostro assunto,


se Servio abbia inteso rettamente Virgilio o no (l); la
testimonianza di un antico commentatore su antichit
romane ha per noi altrettanto valore quanto quella del
giastico di Dioniso.

poeta commentato

(2).

Ora un epigramma

di

parla di un santuario di Dioniso

Marziale

di uno
che sorgevano sulla Velia poco lontani tra
loro
Jiecte vias hac, qua madidi sunt teda Lijaei et Cyheles picto stat Corijbante tholiis. E proprio in cima alla
Velia fu scoperto alcuni anni sono un pezzo di archi(I,

70, 9)

di

Cibele

ci

(1)

La

tendenza, che ora domina, di restringere assai o addirit-

tura di negare per

le Ecloghe la legittimit dell'interpretazione almi sembra, almeno nelle sue estreme conseguenze, errata
quando a Dafni si attribuiscono invenzioni che non hanno nessuna
relazione con l' indole sua originaria (sulla quale v. Schwartz, Goti.
Nadir., 1904, 285 sgg.), n sono narrate da Teocrito o da altri, la

legorica

spiegazione allegorica pare l'unica possibile.


(2)

certamente vero che

che volta errato

la loro autorit e

ma

gli antichi

loro sbagli

non fanno

lecito

commentatori hanno

non scuotono punto,


a nessuno

([ual-

in generale,

di rigettarla

nei

sin-

goli casi senza alcuna ragione particolare. Contro le esagerazioni del

Dessau {Herm., XLIX, 1914, 521 sgg.


Bakhrens {Herm.. L, 1915, 261 sgg.).

ora

con ragione insorto

il

trave arrotondato con sopra un frammento

monumentale

toninus

Il

imj).

iscrizione

di

...

stituit
|

a destra dell' iscrizione conservata ancora la figura di

medaglioni di
una Menade. Lo Hiilsen ha confrontato
Antonino Pio, che rappresentano un tempio rotondo con
una statua di Bacco nel mezzo (1), e non ha trascurato
neppure l'epigramm.a di Marziale il Wissowa (2) ha citato a questo proposito anche il Servio autentico, A me
pare che l' identificazione proposta divenga assai pi
i

probabile, se
in ispecie se

Essa

s'

il

Danielino e

interpreta rettamente quest'ode di Orazio.

mostra che un culto orgiastico

ci

medesimo che

certo quel

Roma

nella

confronta con l'autentico

si

augustea.

giacche

Orazio conteneva elementi

il

frigii,

giacche

santuari

V uno accanto

Cibele sorgevano

Dioniso e di

di Dioniso,

da Cesare, fior
culto combattuto da

fu introdotto

di

all'altro

ancora nell'et dei Piavi, e vicinanza locale di culto

congiunta

il

pi

delle volte,

come mostrano numerose

analogie, con relazioni pi profonde, sar da credere che


culto dur

lo stesso

fino

che

in

nelle quali

o forse

3, p.
(2)

il

pi

tarda.

interrotto dai tempi

di

Cesare

Da

era scosso in aria,

bambino Dioniso

era

vibrato

stesso (3) ed

Ht'i.SEX, niim. Alitf.Wll, 1502,

(1)
I,

non

Orazio apprendiamo ancora


questo culto avevano luogo processioni solenni,

all'et

!ir>;

il

tirso

era portata in

Joudan-HCi-sex, Topogr.

103.
Kelig.', 303.

difficile seeyliere tisi le duo iiitcrpretazioni, che Kiesslin'GHkinze propongono; il ])rouoino personale le di le qualiam converrclibe
(3)

meglio a un siumlacro
che

fa

pensare

al

di

Dioniso

inf'iinte

d'altra jjarte

il

qitaiiam,

vibrare della culla, quale era iu uso nelle cerimo118), mi pare non si
non sappia che il Xixvov

nie d'iniziazione (Dietkrich, Kleine Schriflen,

addica bene a una processione

non che

io

era portato in giro in cortei nuziali (IIakkison, Journ. of

hell. Stitd.,

t\

giro quella suppellettile che di solito

samente nella

cAsta.

tamente, perch
sub divom
rilievo

la

proposizione nec variis obaita frondibim

rapiam, nella quale


parole sub

alle

divom,

solito era celato a tutti, sia

giro senza
il

caso

cista,

sia

Demetra

cesto di

ritmo d uno speciale?

il

pare indicare

era esposto a sguardi

processioni

diffcile

custodiva gelo-

si

Mi esprimo a bella posta cosi cau-

che
in

che

nelle

che

la cista fosse scoperchiata,

Callimaco

(1);

di

fossero portati in

falli

che

quel

profani

in

come

questo secondo

determinare, se la suppellettile sacra con-

davvero di falli. Non crederei che in fondo alla


un serpente, sebbene Clemente Alessandrino
{protr. II, 22, 4) chiami la serpe appunto opy^ov Aiovao-j
Baaapou e sebbene Orazio nomini qui il candidus Bassareus ; che non mi so immaginare che il serpente rimanesse quieto nella cista scoperchiata e non fuggisse via
dall'apertura. Poco importa che nell'et imperiale la cista

sistesse

cista ci fosse

sia per lo pi rappresentata aperta (2)

gli

artisti

vole-

vano mostrare il contenuto, e la circostanza che questo


una serpe viva, indica appunto che la figurazione era
convenzionale, come conveflzionale dev'essere la rappresentazione della serpe avvolta intorno alla

Se

gli utensili sacri

porre che

il

relazione con

culto

furon davvero
descritto

culti italici, p.

falli, si

cista

chiusa.

potrebbe sup-

da Orazio avesse qualche


e. con quello di Lavinio,

XXIII, 1903, 315), ma portare tntt' altra azione che vibrare. A me


piace di pii la prima spiegazione.
(1) H. VI, 3 sgg. Tv xaXad-ov xaiivxa x^I^^*^ 9-aaslaO-s ^^a/.oi,
dunque o il cesto non
}iY]5' iib ToO isysog (lyjS' tlid-sv ayaoarpS-s
:

aveva coperchio o questo era sollevato. La spiegazione del WilamowiTZ, che il cesto fosse chiuso, ma che pure ci si potesse gettar dentro

uno aguardo
(2)

Un

dall'alto (Reden n.

Vortrag^, 275),

non persuade.

elenco delle rappresentanze d Prin'GSHKim, Beiirage

Gesch. dee eleus. Eultes (diss. di Bonn,

1905).

ziir

nel quale un fallo era portato in giro per citt e campagna su di un carro (1).
Torniamo alla poesia da cui abbiamo preso le mosse.
Il primo verso com' noto, traduzione di Alceo fr. 44

XXo

{XTjv

condo verso

trasporta in Italia

ci

tuto scrivere

ma

uptcpov Svpcov ixrXu).

cp'j-'jarj;

vv. 3-4

(2).

gi

se-

Alceo avrebbe po-

omnia .nam dura deus

siccis

il

'proim-

neque mordaces aliter diffugiunt sollicitudines, non certo

suit,

seguente quis post vina graveni m'ditiam aut paiiperiem

il

che detto senza dubbio con il pensiero ad Alceo,


appunto perci non avrebbe senso in bocca del poeta

crepai,

ma

lesbio.

dovr intendere:

colto,

(1)

Varrone presso Agostino

in generale

cum

e.

non

saltetn

cum honore magno

nam

culto pubblico di Lavinio

tur,

donec ilud

coronam

cui

necease

in

l'i

Lavinio

Agostino riferisce

21.

(soggetto Varrone) sacra


ut

in

honorem pv-

eius

membrum

secreto, sed in

jyer

in

Liberi dies

compitia

et

passa a trattare di peculiarit

unus Libero

oppido autem Lavinio

omues

verbis Jtagitiosissimif^ uteren-

membrum per forum transrectum esset atque in loco suo


membro inhonesto matres familias honestissimas })alam
erat imponere. Eppure dubbio, se Agostino, o per

meglio dire Varrone, sapesse


di

VII,

dicit

hoc turpe

totus mensis tribuebatur, cuius diebus

quiesceret

d.,

impositum prius rure

plostellis

lo

vino l'unico conforto

aUquanto verecundiore

usque in nrbem postea vectabatnr. Di


lei

Il

tanta licentia turpitndinis,

virilia colerentur,

propatiilo exsultante nequitia;


festos

quaedam

in Italiae compitis

Liberi celebrata

dtnda

che Orazio vuole e suppone dotto o per

lettore,

Il

meno

perch

di

difficile

altri culti

credere cbe

italici

simili oltre

dappertutto

il

quello

fallo fosse

Ed

portato a passeggio prima per la campagna e poi per la citt.

chiaro che Agostino ha interesse a mostrare, quanto diffuso fosse tra


i

gentili
(2)

con

un uso indecente.
MitiH

Catullo,

il

mitis vindemia, II,


|itov

Ma

Atvuaog,

suolo di Tivoli, perch mitem educai uvam, per dirlo

LXII,

.50

uras

mitis

Georg.,

1,

non vero che mj<j

31

-1

il

Georg..

scrive Virgilio,

522; milin Baoohua chiama egli


mite Virgilio

il

vino, non

amava questa

sia in latino epiteto fisso di

Haceo.

1,

44S.

Vmparola.

anphe Alceo, dopo aver bevuto, ha spesso dimenticato


la

povert e

esule, di

le

incertezze

mercenario

(1).

v.

11

dolori della sua vita di

G segna

passaggio ad

il

un inno; pater in Bacche pater un attributo schiettamente romano, che fu forse una volta limitato alla
cerchia non larga degli Indigeti (2); decens aggettivo
cos oraziano e presuppone teorie estetiche cos raffinate e cos complicate che non riesce facile immaginare
che un altro poeta l'abbia adoperato in tal senso prima
di Orazio. L'inno, di cui abbiamo udito quasi i primi
accordi,, non si svolge, ma si trasforma a poco a poco
in un' esortazione, che sta meglio in bocca a un cittadino romano pratico della vita e non digiuno di cultura filosofica che non a un cavaliere dei vecchi tempi
giovenilmente avido di godimenti e sfrenato. E quel che
ne rimane dei au[x7ioatax di Alceo, ci conferma in quest'impressione: la moderazione e la disciplina non erano
affare suo.

Anche

la rarit del

mito del

delitto e della

punizione dei Sifoni, che in questa forma s'incontra solo


qui, fa

pensare piuttosto a un'epopea dionisiaca del tempo

ellenistico

La

che a un carme

lirico

parenesi rimane parenesi,

di

ma ha

un antico Lesbio.
pur qualcosa

di si-

mile a un inno; le allusioni a miti rari e in ispecie l'avvicendarsi dei pi diversi attributi della divinit cantata
sono, coni' stato osservato del resto

qualit caratteristiche

che segue,

il

dello

stile

da lungo tempo,

degli

inni.

rifiuto del culto straniero, pio

Anche

com'

di

ci

una

piet severa, la descrizione del tiaso spaventevole dei vizi

che incedono dietro

(1)

ai

simboli

risente della

Kiessling-Heinze sembrano intendere altrimenti,

quella frase proprio in bocca ad Alceo.


del tntto chiare.
(2)

dionisiaci,

AVissowA,

Relig.^, 26.

Ma

le

loro parole

cio metter

non sono

un poeta

fantasia grandiosa e selvaggia di

La

l'impressione di arte moderna.

pittoresca: V Amor sui cieco, la Gloria

come

oscilla a destra e sinistra,

l'acqua al cervello, la Fides

ellenistico, fa

descrizione dei mostri

con

capo che

il

quello di chi abbia avuto

arcani prodiga

pi

traspa-

rente del vetro.

La concezione

della poesia

non pu essere

che possediamo intere poesie di

ora

tettate magistralmente

meglio

di

ma

lui,

di

liriche

Alceo

archi-

semplicemente, noi sappiamo

prima ch'egli non

fu

capace

di

fantasie cos

complicate. Che cosa nel carme oraziano deriva, pu derivare da

Alceo? Certo

ma

quarto,

ch neppure

il

primo verso, forse

il

terzo o

prima strofa d l'impressione

la

di

un carme

esclusivamente greco o grecheggiante. Dunque


zione al principio compie l'ufficio

pu parlare

ma

il

sono come tramezzati dal secondo, cosic-

essi

di

imitazione nel senso

di

motto

comune

(1);

la cita-

non

si

della parola,

pi di un prender le mosse da un poeta greco e pi

al

ancora

sempre cosi,
pagine seguenti mostreranno meglio. E

di contrasto voluto.

come

le

lecito

a ognuno

In Orazio

condannare quest'arte,

di

ma

chi

la

condanna, non dovr dissimularsi che l'arte stessa di


'Peocrito, il quale comincia la seconda poesia dei 7:a:5tx
acoXix

con un verso

'xal Xi^sx',

inni,

l'arte

specialmente

Ma

neppure

Alceo, come

comodit
di

di

si

(1) Il

nulUtm,

(juello

a Zeus.

Vare,

ai

i.

d.

Alt.-

le viste

sacra vite prius severis arbo-

NoRDKN, cho ha trovato per

elegante, Einl.

cor troppo

in

primo verso traduzione letterale di


crede generalmente, com'anche noi, per
il

dimostrazione, abbiamo sinora fatto

concedere

iiiiila

Alceo 'dvo;,,^ to cpfXe na, XYsiat


stessa che vanto di Callimaco negli
di

1'8h.,

negatori dell'originalit.

1,

ipiest'arte oraziiiiia
.504,

mi par che

una

for-

roiicetla an-

corrispondo

%'em

una

in

lo

generale

parola. Orazio

ha

al

44

f'r.

af^g^iunto

non aggettivo n comune

vite,

Alceo, salvo

di

sacra,

ne ozioso;

(1)

in

detto della

che,

ha

seguito in ci un classico, ina un classico romano, non

un greco. Ennio aveva nell'Atamante


Vahl.)

descritto

giovani

onore

in

hi.s

cos
di

canti

Dioniso

Lyaens

tum

])ariter enlian

vitis

due schiere

di

erat in ore liroinius,

illis

128 sgg.

(scaen.

alterni* di

hi.s

UjiooIhis |iiter,

inventor sacrae,

(enhoe euhoe) euliiura

igiiotns invenuni coetns alterna vice

inibat alacris Bacchico insnltans modo.

Anche

qui

si

alternano attributi diversi

la differenza tuttavia

consueto

dai

che ci

in

un inno

grammatici, nei commenti

Dioniso, con

di

legittimo

ai

poeti

greci

che anche Ennio avr adoperato, l'epiteto di Lieo era


tal modo che esso veniva come a contenere
in germe
versi di Orazio sopra il conforto che offre il

spiegato in
i

vino nelle avversit

(2).

Ma

queste somiglianze potreb-

bero essere fortuite; tradisce invece l'imitazione la paroletta sacra, che in


vitis

in

Ennio ha

il

suo chiaro riferimento

inventor sacrae, sacra cio al suo inventore Dioniso;

Orazio invece adoperata in funzione assoluta

in

Dunque Orazio ha fuso insieme una


Alceo con una di Ennio e ha fatto delle
motto solo. Chi abbia pratica dell'arte sua

principio del carme.

citazione

due un

di

e della tecnica ellenistica, sa gi ch'egli non desiderava

che

il

suo furto rimanesse celato

ai lettori,

ma

anzi vo-

leva ch'essi se ne accorgessero ed era orgoglioso

(1)

Virgilio usa secondo gli indici 29 volte

ma.i l'epiteto sacra.


(2) Cfr.

Athen., Vili, 363

viti,

non

le

di

que-

aggiunge

to

lista callida iunctura.

ne saranno accorti pi

lettori se

facilmente di un moderno, perch'essi avevano imparato

che
il vecchio Ennio sui banchi della scuola
divenuto presto poeta classico e rimase tale, finch non lo soppiant Virgilio. Certo, nella scuola si saranno
ma pure queste
letti piuttosto gli Annali che le tragedie
a memoria

egli era

erano rappresentate ancora sul teatro al tempo di Cicerone, che ne sapeva larghi tratti a memoria, ed erano
note nell'et augustea che Virgilio, il quale
da buon epico imita gli Annali, pu imitare un
passo del Tieste, senza tema che la sua abilit nel trasformare sfugga al lettore. La descrizione della pianta vivente
e sanguinante in principio del terzo libro dell' Eneide

ancora

cos'i

di solito

nani qiiae prima solo niptis radicibus arbos


vellitur, buie atro liqnontur
et terrara tabo

sanguine guttae

maculaut

deriva in parte da scaen. 362 sg.


ipse suinniis saxis txns asperis evisceratua
latere

peudeus saxa spargens tabo sanie et sanguine

come mostra
scrittori
dell'

atro.

atro sanc/ui7ie e pi ancora tabo, che

arcaici e classici parola rara.

La

negli

raffinatezza

imitazione consiste nel prendere a imprestito parole

da una celebre descrizione delle sofferenze di un


una pianta, che una volta era
stata essa stessa un uomo, che ha sangue nelle vene
come un uomo e come un uomo muore dissanguata, che
ha sensi umani e umanamente soffre.
celebri

uomo

e nel trasportarle a

2.

Certo, Orazio ha venerato Dioniso,


niso,

un Dioniso che non ha

dell'ebrezza volgare.

<

Non

solo

il

lia

un

altro Dio-

di

conume con

terzo

ma anche

luilla

il

il

dio
se-

concio libro delle odi ha

12

suo epilogo;

il

come

la poesia

del terzo loda l'opera d'arte eterna, ciie non ebbe

filiale

n avr pari, e invita

Musa

la

a coronare

poeta, cos,

il

neir ultimo carme del secondo, Orazio, conscio della sua

grandezza, profeta
cigno apollineo.

nell' immortale
metamorfosi del secondo libro
consacrazione. Orazio immortale,

trasformazione sua

la

Ma

preceduta da una

la

perch Dioniso stesso


ciascuno dato
canti

suoi
di

vedere

alle

di

ascoltare

suoi

ai

solo ai

ineffabile;

(1).

dio, mentr'egli

il

sue Ninfe e

volto

il

ha consacrato poeta

1'

Satiri,

Non

insegna

non a

a
i

tutti

poeta concesso,

e questi giura dinanzi ai pi tardi nepoti, dinanzi ai po-

che per secoli e secoli

steri

poesia, ch'egli

si

inebrieranno

della

sua

ha veramente udito, veramente veduto.

Bacchnm

carmina rupilms

in reniotis

vidi docentera. ciedite posteri,

Nymphasqne

discentis et anris

capripedum Satyrorum

L'anima sua trema ancora


afferra

elle

la

(2).

Ci per

deo

di

me prova
;

che

il

secondo libro fu pubblicato dapprima

l'apoteosi, anzi per giunta un'apoteosi dop-

ha

il

(2)

Plenoque Bacchi pectore va inteso letteralmente, non deve es-

suo luogo solo alla fine dell'opera.

sere degradato a pallida

che

angoscia,

ma,
prova una gioia cupa e
Orazio pieno di Bacco, come
Torbida ancora quella gioia,

(3).

separatamente dal terzo


pia,

inesprimibile

egli

s,

petto

Il

Pitia piena

(1)

dell'

ciascuno in presenza di una divinit

poich ha Bacco in
torbida

aciitas.

immagine e basta a intenderlo ricordarsi


come ogni sacramento, unione, comu;

misteri dionisiaci sono,

nione del mortale con la divinit.


(3)

Tutta questa cerchia

MithrasUturgie^, 93 sgg.

di concetti e illustrata dal

Del resto

il

pensiero che

quasi e riempia di s corpo e anima dell'uomo,

il

Dieterich,
dio

invada

pare singolarmente

13

perch ogni epifania scuote l'anima

perch

bidum,

turhatus

erat

Orazio laetatur tur-

parafrasi eccitazione

la

un sentimento compli-

gioiosa rende troppo semplice

cato. Simile alle sensazioni di Orazio

che (Criton.

puPavtLwvTS?.

il

delirio dei xo-

credono sempre

54'')

di udire

suoni irrequieti del flauto e sono sordi a ogni altro ru-

more. Orazio
di

una

descrive non la visione n

ci

visione,

ma

condizione

la

dianzi degnato dell'epifania divina. Certo,

zione

di

voglia,
sideri

che

il

Ma

le

dio lo tocchi con

di risparmiarlo.

dalla

descri-

mosse un inno
se si
Orazio non accenna ch'egli de-

questo stato prende

un ditirambo.

preludio

il

colui eh' stato pur

di

tirso

il

Qui non espresso

anzi lo supplica

in

modo che

alcun

Dioniso abbia riconosciuto, abbia consacrato Orazio toc-

candolo con

il

come con una verga magica, che

tirso

membro

quel contatto faccia del poeta un

del tiaso rac-

un pari dei Satiri e delle Ninfe, cos


aveva battuto con il tirso il cuore
di Lucrezio (I, 922)
acri percussit tyrso laudis spes magna
meum cor et sirnul incussit suavern mi in pectore amorem
colto intorno al dio,

come

la spes laudis

Miisarum, quo nunc


ragro loca

istinctus

mente

vie/enti

avia Pieridum pe-

nullius ante trita solo. Orazio

si

raffigurato

altrimenti quel sacramento; in che modo, non lo ha voluto dire, che

l'

non deve

iniziato

r indeterminatezza

qui

rivelar tutto al profano,

cento volte

pi

che

bella

non una descrizione minuta.


Solo questo

certo, ciie

principio dell'estasi,
fa

vedere

gioia cupa

caro

al

torbida,

(lui

III,

si

Orazio

non rappresenta

risveglio dall'estasi

il

poeta, mentre

il

nostro poeta:

num. Anello

ma

ancor

tremante,

gioioso

appresta a cantar V inno.

25 coniiucia

([iio

me, Hacchc,

il

ch'egli ci

rapi.y

di

Non

tui pie-

pensare a una volgare ul)riache7.za sareMie un andar

contro alle intenzioni della poesia.

_
ognuno
zio, s,

l'

cantar

pericolo

s(;nza

i)u

Libero colpisce

14

indegno

col tirso

lecito, perch'egli

che

lodi del dio,

le

ma

tremendo,

stato accolto nel

a Ora-

tiaso.

segue r inno.

Questo Dioniso scende assai di rado nelle citt dei


mortali egli si compiace della montagna e delle selve, dei
luoghi dove vivono le divinit della natura. Non ostenta
;

per la strada
farsi

ma

suo vigore genitale e non

il

accompagnare per via da

cortei

di

si

presta

rivela solo al poeta e solo nell'estasi che

si

gente volgare,
vino

il

non pu procurare. Se questo Dioniso sia stato una volta


la divinit del teatro attico marcia di vecchiezza, non
saprei dire; per Orazio e nell'et di Orazio egli

mento a
dica,

ridestarsi,

vigore selvaggio della divinit nor-

il

andato perduto nel

che era

Ateniesi. Egli

dio

il

ancora sonnecchia, pronto ogni mo-

dei poeti, nel quale

un Macedone come

mite Dioniso degli


il

Dioniso delle Bac-

canti.

Questa poesia

tra

pi antiche, perch'essa

le

la

sola alcaica nella quale la legge, che proibisce la cesura

dopo la pentemimera dell'enneasillabo,


malmente laetatur. Eiiioe parce Liber
:

utque

truncis

nodo coerces

sia violata nor;

cantare

rivos
\

Non

viperino.

possibile

credere voluta, sistematica l'irregolarit e supporre che

Orazio cerchi, componendo irregolarmente

un carattere

all'ode

versi, di

entusiastico, ditirambico

dare

perch, se

forma ritmica

egli avesse voluto far corrispondere la

al-

non avrebbe rivestito questi dei


che suonano cos misurati e cos puri. No,

l'ardore dei sentimenti,

ritmi alcaici,
il

poeta ancor giovane

Ma

da Dioniso nella
un programma e

fa qui iniziare

questo carme ha
una promessa.

poesia
di

si

il

valore

di

Orazio stesso stato iniziato dallo stesso dio ad

un mistero maggiore

III,

25 ce

lo

mostra sottratto

alla

15

societ meschina degli uomini

il

ha trasformato

dio lo

nel pi profondo dell'anima e lo rapisce attraverso boschi

non tocchi da piede umano

Non

canta

sue Ninfe (1);

alle

Dioniso stesso l'ascolta

Pure

poeta non ce

il

un mistero.

sto

ma

canta egli stesso

spechi selvaggi, che appartengono

negli alti
e

dentro a grotte montane.

fin

pi egli ascolta Dioniso cantare,

gesta di Cesare, e certo

le

a che fine altrimenti

ratto ?

proposito di celebrare la grande ge-

Il

poeta prima

ha meritato questo nuovo saguarda dall'alto, gi dal


Tracia coperta di neve, la cima del monte

cimentato, gli

si

cramento. Ora egli

Pangeo,

Rodope,

il

perch anche que-

lo dice chiaro,

sta di Cesare, l'assunto a cui nessun altro


di lui

a Dioniso

la
i

beato

si

cui fianchi calca solo piede barbaro, e

sente

si

una Baccante. Ancora una preghiera al dio, ancora la promessa di non cantar pi nella lingua volgare
pari a

degli uomini, di aprir le labbra solo a canzoni

immortali, e

poeta

il

sfrenato; anch'egli ormai

a Dioniso.

Troc/l

vapi)rj-/.o-fpo'..

forze

[Xv

-aOpo'.

non bastino, precipita

ricolOj bello

una

divinit di quelle che fan

Chi segue

corteggio

li

il

-i

(1)

Basta riooidare

le

'^Ay.'/pi,

vaoipocpad- Bpiiio?;

y^si

Xayw

xv

di

qualcosa di

bello

comune con

pe-

il

noto.

dio

il

rievO'e

v.oiXri cftXopvi;, 5ai|iva)v

o' &\iwrniQi(b, ; o xe Bxxj^ai^

xaxapp^jag jipov. Dioniso beve

cassa di Cipaelo (Pana., VI, 9,

crate Rodio (presso Athen., IV, 148') parla di

Sympoeiou, 93.

e colui cui le

cui utensili erano portati

Kcopuxig Tixpa

/(Bpov,

8[>cy,v

adraiato in una grotta sulla

di

Ma

parole della profetessa nello Eumenidi (v.

apco Si Nulicpag. sv5-a

ioxpaTYjYVjasv 9-eg

corre pericolo

questo brivido gioioso.

Questo Dioniso ha altrettanto

sgjT;.)

tiaso,

nell'abisso.

del culto straniero orgiastico,

22

sublimi,

precipita dietro al dio nel tiaso

si

Altre

Baxxix

cvxpa

6),

So-

come

testimonianze raccoglie lo Stl'UNICZKa,

Ib

Roma, quanto le pure orgie


Lo stesso poeta

in processione per le vie di

del poeta con l'ebrezza dell'uomo volgare.

pot scrivere l'ode a Varo e

canti dionisiaci.

II.

L'allegoria della nave

Se Orazio ha potuto

mosse da una citazione


rito

14.

una sua poesia prender le


cui egli ha inse-

in

Alceo, in

di

un'espressione sola, un'espressione, a dir vero, assai

caratteristica

suoi

I,

.di

Ennio,

ha potuto

se

comprendessero

lettori

questo un indizio

che

sicuro

far

gustassero

conto che

uomini

gli

tale tecnica,
colti

della

Roma

augustea conoscevano bene non solo il poeta nazionale Ennio ma anche il lesbio Alceo. Eppure si suol

generalmente credere che Orazio abbia primo tra i Romani letto Alceo perfino uno studioso cos dotto e di
gusto cos squisito come il Norden, ha scritto teste (1):
Nessun Romano prima di Orazio ha, per quanto sappiamo, letto Alceo e Pindaro . Eppure qualche riga
sotto egli giudica cos l'arte di Orazio nelle Odi: La
;

sua tecnica consueta (come gi quella degli Alessandrini,


p. e. di Teocrito 29 e quella di Catullo 51, 56, che deriva
da tali modelli) consist nel prendere a prestito motivi,
ch'egli colloca a guisa di motto in principio e svolge poi

pi o

meno originalmente

Come

due osservazioni ? Un motto pu

si

accordano queste

eccitare

un determinato

sentimento solo in colui che abbia presente all'animo il


contesto da cui esso preso. Noi moderni sogliamo an-

(1)

Einl.

i.

d.

Ah.-Wiss.,

I,

504.


Cora aggiungere

al

17

motto

di

sperare che

il

mentre
diamo l'aria

la citazione esatta, e,

facciamo pompa della nostra erudizione,


lettore riscontri

il

ci

libro citato. Orazio

invece non poteva neppure ricorrere a questo espediente


nell'antichit persino la

nonch
che

in quei

tifica

letteratura prosastica

la poesia, evita di citare

che

tempi uso

letteraria.

una

di

che

pi alta,

esattamente, com'era anfilologia piuttosto

fine,

scien-

dunque, avrebbe Orazio

Roavessero saputi quasi a memani del suo tempo non


moria, quasi cos bene come il loro vecchio Ennio ? E
gi Catullo ha non tradotto ma trasformato, non so se con
intenzione, una poesia, sia pure la poesia pi celebre; di
Saffo, ha rivestito di versi celebri la confessione del suo
amore (1), ci che non avrebbe potuto fare, se non avesse
avuto ragione di supporre che quei versi erano a Lesbia altrettanto familiari quanto a lui. Anzi, com'avrebbe
egli potuto chiamare Lesbia la sua amata, se non fosse
innestato nel suo canto versi di poeti lesbici, se

li

sicuro che tutta la cerchia per la quale scriveva,

stato

avrebbe subito inteso quel nome ? E poco importa che


noi non riesca di stabilire se questi giovani Romani
amanti di arte greca abbiano qui in Roma in comune
letto per la prima volta
carmi lesbii, se li siano forse

spiegare

fatti

gi

nella

dalla Latina Siren, o se

Verona un grammatico

sua

glosse lesbie e versi lesbici;

conoscenza certa. N
letteraria,

che

io

comunque

Catullo abbia
fatto

imparare

acquistata, quella

posso credere che l'educazione

le letture di

un fanciullo romano

dell'et

augustea siano state molto diverse dall'educazione e dalle letture di un giovinetto

di

Cesare e poi

(1)

11

naiiiente
2

di quella

WiLAMuwnz,
(il

Sappilo u. Simonidex, 58-, ha trattato pi

ogni altro di questo carme.

ti-


greco contemporaneo

(1).

18

Si consideri

appunto

la tecnica

Catullo e di Orazio, e se ne rimarr convinti.

di

Questa tecnica del principio-motto stata osserin tempi recenti, e non poteva infatti essere
scoperta, prima che non fosse scomparso il pregiudizio,
qualche anno fa ancor pi diffuso che non ora, che
Orazio fosse un Alcaeus dimidiatus come Virgilio un di-

vata solo

La concezione

midiatus Homerus.
zio

che

difendo,

io

si

dal giorno che la scoperta di


di

di Oraqualche modo strada

dell'arte lirica

fatta in

alcuni versi di un epodo

Archiloco mostr che Orazio non ha nei Giambi, nonch

tradotto

minate,

il

Parlo, neppure tolto da esso situazioni deter-

ma

solo imitato

il

tono e

lo stile (2).

Gi

lo studio

Varo conferma che a un dipresso lo stesso si


deve dire anche delle odi, come hanno gi veduto, per
citare solo alcuni tra i maggiori, il Reitzenstein, il Wilamowitz, il Norden (3). L'analisi accurata, quale ce la
dell'ode a

siamo proposta, delle


servati

riscontri

determinare

nella

poesia

quali sono con-

le

lesbia,

giova tuttavia a

pi precisamente, quale sia stata la rela-

zione tra Orazio e

(1)

altre odi, per

suoi modelli, com'egli abbia conce-

Quintiliano discute seriamente

dei vantaggi

dei pericoli

per l'educazione morale che presenta nella scuola la lettura di Alceo;

sembra dunque supporre che essa fosse consueta

X,

1,

63 Alcaeus in

parte operis aureo plectro vierito donatur, qua tyrannos insectatns mnltum
etiam moribus confert, in eloquendo quoque brevis
gens

et

plerumque oratori

ribua tamen aptior.


pitoli nella quale

similis, aed et lu8it et in

et

magnificus

et

dili-

amores descendit, viaio-

Per questo periodo fa parte di una

serie

di ca-

sono nominati anche scrittori che in quel tempo

certamente nessuno leggeva pi, cosicch sar pi prudente astrarre

da questa testimonianza.
(2) Cfr. Leo, de Archilocho et Horatio, progr. di Gottinga, 1900.
(3) Al Noi?i)EN nuoce tuttavia quel pregiudizio che ho pur dianzi
combattuto.


pito la sua

dipendenza da

19
essi,

come

si

accordino queste

derivazioni con V uso larghissimo ch'egli


presi dalla poesia

modo
la

che

in

quali mezzi tecnici

con

materia tolta da

all'ode
di

ellenistica,

altri.

La

dei

fa

egli

abbia trasformato

nostra ricerca

rivolge ora

si

ritiene imitazione pi servile di

si

Alceo, a un'ode per la quale,

motivi

qual misura e in qual

come

fin

un carme

d'ora occorre

confessare, la formola motto insufficiente e inade-

guata.
Il

carme

14

stato

spiegato allegoricamente gi

dagli antichi commentatori, dai quali attinge Quintiliano

Kukula

^VIII, 6, 44). Soltanto in tempi recentissimi R.

(1)

ha osato negare il carattere allegorico di questa poesia,


che secondo lui un vero propemptico indirizzato alla
nave sulla quale Augusto nell'anno 30 compi la traversata da Samo a Brindisi e ripart poi 27 giorni pi
tardi per le Cicladi e l'Asia Minore
secondo il Kukula
il poeta ha scritto o fnge di aver scritto
l'ode nell'intervallo tra
due viaggi. L' ipotesi attraente, tanto
pi che Svetonio {Aug. 17, 3) ne informa che la nave
che port Augusto da Samo a Brindisi, aveva perduto
il
timone e una parte dei cordami attraente ma errata.
Innanzi tutto nei ventisette giorni Augusto avr avuto
e, se non
cura di far riparare la sua nave ammiraglia
:

gli

fosse

per qualsiasi ragione riuscito, ci che

non

immaginare, di farvi mettere timone e gomene


avrebbe fatto il viaggio su di un'altra nave
siccome, a quel che narra Svetonio, egli era partito per
r Italia con tutta una squadra di navi, e solo una parte
di esse era andata perduta nella bufera, non avrebbe
avuto altro imbarazzo che quello della scelta. Che quegli ch'era ormai il dominatore onnipossente del mondo,

facile a

nuove,

(1)

iViener Studicn,

XXXIV,

1912, 237,

ao

da Brindisi su una nave che faceva acqua,


ne qui giova richiamarsi a una
congettura assurda
pi alta verit poetica. Orazio cadrebbe nel ridicolo,
se dicesse mal ridotta una nave rimessa a nuovo o parsia partito

due navi diverse come se fossero una sola(l).


E
pu incominciare in tutte le ma
o
7iavis, referent in mare te novi fuctus
niere fuorch
dobbiamo forse immaginare che una nave, che voleva
appunto uscire dal porto in mare, avesse poi timore di
ci che voleva (2) ? fortter occupa p>ortum suona ben altrimenti che r E'JTiXooc opjjLGv Ixoizo di Teocrito VII, 62, che
un augurio benevolo, mentre la frase oraziana fa piuttosto l'impressione di un ammonimento severo, cui l'o quid
agis? premesso aggiunge ancora forza; s'j-Xoo: opiJiov IV.oito,
lasse di

poi un propemptico

cos parla chi considera solo in generale

navigazione

una nave
e

fortter

pu

che neppure
lo scoglio

l'

interpretazione del

indicano anche secondo

per meglio dire,

marosi.

Kukula

dell'allegoria, tant' vero

sollicitum qiiae miii taeditcm,

o,

pericoli della

vede

un momento,
un bastimento che in

solo a

riferire

vicinanza del porto combatte con

levis

esclama chi

in pericolo: occupa e l'azione di

fortter si

il

occupa portum

che

Il

peggio

riesce a evitare
le

parole nuper

nunc desiderium curaque non


lui una nausea morale ,

riferiscono piuttosto alla situazione

si

di

Au-

pur sempre preferibile l'antica interpretazione

alle-

politica generale che

non

alla

nave ammiraglia

gusto.

E
(1)

fosse

non

Dalle

parole

menzione

di

del

Kukula

un viaggio

di

parrebbe che nelle nostre fonti

una nave determinata,

ci che

(2) L'interpretazione che

bligo morale

errata

di esporti

da quando

tura etica

in

alla

il

Kukula d
furia della

([ua yXtozx

non hai l'obdubbio


contiene una sfuma-

del v. 15 se

tempesta

cpXtaxavetv

senza

~
gorica. Cos

ha inteso

pure respirava

'l

nostro carme Quintiliano, che

il

la stessa aria intellettuale del nostro poeta.

Orazio stesso accetta altrove


stoici d'interpretazione

(epist.

I,

2)

metodi cinico-

che possono ben

omerica,

dirsi

simbolici, giacche riducono gli eroi a rappresentanti di di-

La nave

versi generi di vita.

pretata

cos

che, in

qualunque

modo

fonti

gi

dallo

di

Alceo

Pseudoeraclito

tempo

ellenistiche

sia

(fr.

18) inter-

{Probi,

vissuto,

liom.

attinge

e riesce difficile

5),

ogni

immaginare

che la Stoa si sia lasciata sfuggire un'occasione cos bella


di annodare considerazioni morali a un testo classico.
Orazio avr dunque letto Alceo in un'edizione commenche

tata,
letto,

anche per

gli sar stata indispensabile

il

dia-

avr trovato in essa V interpretazione allegorica, e

dalla poesia di Alceo intesa allegoricamente avr tratto

r ispirazione

di

questo carme.

Coir interpretazione allegorica molte difficolt scompaiono immediatamente. Il poeta sta sulla riva e guarda
il mare tempestoso. Una nave, ridotta male
dalla tempesta, pur riuscita con grande stento a giungere quasi
alla

onde
si

bocca del porto,


la ricaccia

di

ma una nuova
un tratto verso

furia di vento e di
l'alto

mare.

Orazio

rivolge alla nave: Perch non resisti con pi tenacia

Se non
perduto

riesci
il

ora a entrare in porto, tu sei perduta. Hai

timone, l'albero

travi, che, prive

acqua le
tenevano strette,

spezzato, fanno

ormai delle funi che

le

non hanno pi forza di resistere ai iiutti. Le vele sono


lacere, le immagini degli dei tutelari sono state spazzate
via dalle onde. Per quanto fatta di legno di pino pontico, per quanto nobile e celebre e quantunque ridipinta
di fresco, difficile che ti salvi
una volta respinta di
nuovo in alto mare, sarai zimbello dei venti. Tu che mi
fosti pur dianzi ragion di disgusto, che eri ora la mia
;

cura e

il

mio amore, guai a

te se capiterai nei labirinti

2-2

Ponto menzionato perch il


miglior legno per navi veniva di l, senza che per questo
vi sia bisogno di pensare a una leniiniscenza del celebre
rocciosi delle Cicladi

phaselus catulliano
phaselus ante
saepe sibilum

fiiit

. Il

trucemve Ponticiim simun, uhi

cornata silva;

ediclit

coma.

Che

nam

iste

post

Cytorio in iugo loquente

anzi la reminiscenza

mi pare

esclusa da considerazioni stilistiche. Orazio avrebbe guastato l'efTetto del suo carme, richiamando alla

memoria

un lusus, uno scherzetto poetico. Le Cicladi


sono nominate in questa poesia, perch gli stretti tra
r una e l'altra erano noti per pericolosi e fors'anche
perch erano state spesso cantate dai poeti ma non si
pu dire se Orazio alluda a un passo determinato di Alceo. In simile modo egli menziona altrove l'Egeo (e. Ili,
29, 57): non est meum, si mugiat Africis maliis j^^'oceldei lettori

ad miseras preces decurrere et votis pacisci, ne Cypriae Tytum me biremis


riaeqiie merces addant avaro divitias mari
praesidio scaphae tictum per Aegaeos tumultus aura feret
lis,

Pollux. Il Ponto e le Cicladi sono nominati


con speciale riferimento alla nave il sollicitum taediinn,
il disgusto inquieto , che esprime bene lo stato d'animo
di Orazio negli anni che seguirono Filippi, quand'egli

geminiisque

non voleva pi
in

sentir parlare di politica e di politica era

fondo pi appassionato che mai,

allo

stato

meglio

il

ci che

si

attaglia meglio

nave alla nave conviene


desiderium, perch non si pu desiderare se non
assente cura detto bene di ambedue. Un

romano che

alla

tale conflitto di epiteti inevitabile in qualsiasi allegoria.

L'

immagine corrisponde cos bene alle condizioni


romano (1) negli anni immediatamente pre-

dello stato

(1)

Chiedere con

il

KtiKULA ad Orazio, qnale

rappresentato dal rottame, temerario

mente risposto

ree

Romana.

il

i^artito sia

per lui

poeta avrebbe probabil-

cedenti e seguenti alla battaglia di Azio, che riesce diffcile datare il carme. In quegli anni lo stato romano
sembr spesso essere finalmente sul punto di entrare in
porto, e fu di nuovo respinto in alto mare e sbattuto

pensare

onde.

Si

della

lotta

ultima tra

zioni

contro

dalle

suol

al

momento

dello scoppio

Ottaviano e Antonio, e

le obie-

presentate recentemente dal

questa data,

Hoppe

sono tutte di molto valore. Il Hoppe


(1), non
nega a ragione che l' immagine della nave convenga a
una guerra esterna, ma non si accorge poi che la lotta
tra Ottaviano e Antonio fu soltanto formalmente considerata tale. Certo, verissimo che la guerra si dichiar
all' Egitto (2), che Ottaviano trionf dell' Egitto, non di

Antonio ma questa concezione, che era quella ufficiale,


doveva servire a imprimere il marchio di traditore sulla
fronte di Antonio, che secondo essa sarebbe passato al
nemico e infatti la segue nella descrizione dello scudo
di Enea Virgilio, che voleva appunto bollare il tradimento di Antonio. Ma anche la partecipazione di un
;

naviglio

straniero

nell'opinione dei pi

quella lotta era


le
si

guerra non

alla

carattere di

il

poteva trasformare
guerra civile, che in

Da ambedue

principale e l'essenziale.

il

romani senatori romani


erano dichiarati favorevoli ad Antonio e si erano ri-

combattevano

parti

(1)

N. Jahrb.

(2)

Dio, L,

spyw 8

TiicpYjvav,

d.

f.

4,

cittadini

(lXXov

nXiiiO'j avxixp'jc; mrjyyeiXav.


Kpo7zoX\xf.oi.

7io{Y,aav,
xy'ivtov

xax x

nsp kou

xs'.vev.

cp:oavxo,

xw

xfj

5' "Avxo)vi(p

l'osprosaioiie del
llitto

6,

4,

npcg

4,

xf^

Xy':>

oSv

I^v

ox

KXsoTiixpx xv

5i

xo

Ka'.aapog

w? xal

xr,v

5"^{^e/

xotoDxov

Koi.iiK (Uerm., XI. IX,

ad Antonio.

Antonio)

KXsonxpav spyw 8
oOv KXsonixp-/. 5i xxOxa xv

|i.v

|iv

nSsigav.

irp; xo 'Evostov XO-vxs; Tiivxa xx

vo|ii^|Jisvov

XycjJ

1912, 693 agg.

xs (oggetto

Ti&Xs|Ji.tv

Tiavxg

XXIX,

Alt.,

hi.

izrffys.t.Xci.^.

19U. 290\

di

cpvjxiaXio'j

v.al Tipg

'Av-

tcXeiov '^ri-

Imprecisa

un Laudo

iu-

24

fugiati presso di lui. Orazio stesso,

qui le idee della corte o per lo

il

meno

(juale

rappresenta

della cerchia che

si

raccoglieva intorno a Mecenate, dice altrove chiaramente

che quella guerra fu una guerra

civile.

Quale altro senso

hanno

infatti le parole dell'epodo

IX,

1 1

emaneipahis feminae

fert

valium

Romanus ieu {poet arma miles

steri negabitis)
et

spadonibits servire rugosis potest, interque signa {turpel) mi-

conopium ? In che consiste l' ignominia


che legioni romane combattono in servigio

litarla sol aspicit

se
di

non
uno

in ci

stato straniero

gusto e

la

N gioverebbe

supporre che Au-

sua corte abbiano in tempi diversi concepito

forma giuridica di questa guerra l'epodo


stato probabilmente scritto (1) durante il blocco, che
precedette la battaglia di Azio, e Dione (L, 8, 5) ci
conferma che anche prima di quella vittoria l'opinione
pubblica di Roma giudic cos. Velleio, regnante Tiberio,
diversamente

la

considera quella battaglia

quando Augusto

Roma,

torn a

finita vicesimo

la

pena

post

tutti,

amia

come

bellum

narra

fine delle

Actiaciim

guerre

Alexandrinumque

egli, si rallegrarono,

bella civilia (II, 89).

civili

Ma non

perch'erano
vale neppur

di ricercare l'eco del giudizio della corte

augustea

nello storico o nel poeta, quand'ancora ci sono conservate


le

parole di Augusto stesso. Corrisponde a quelle

norme

guardingo principe osserv per tutta


la vita, che egli ancora nelle res gestae non chiami la
guerra di Azio altrimenti che
guerra di Azio (25, 3)
iuravit in mea verba tota Italia sponte sua et me belli, quo
vici ad Actium, ducem depoposcit. Qui egli non aveva interesse a mettere in rilievo che la coniuratio si riferiva
a una guerra tra cittadini e cittadini. Ma dove si vanta
di

cautela che

il

di

aver posto termine alle guerre intestine, egli ha

raggio

di scrivere,

(1) Gir.

il

co-

senza per vero nominare espressamente

sotto p. 38 sgg.


Azio (34):

ubi civU]ia exstinxeram

b[e,lla

per consensum

Bomani arbitrinm

senatus p)opnlique

in

(1),

rerum oynniiim, rem puhicam ex mea

universorum potitus
potestate

-25

transtuli.

Qui ubi exstinxeram dev'essere congiunto strettamente


con transtuli: Appena io ebbi spento le guerre civili^
resi aj senato e al popolo il potere, di cui conforme
al volere sovrano della nazione mi ero impadronito
:

non

pu unire

si

bella civilia

quest' ultima proposizione

riferire

perch non

Cesare,

di

sori

con

potitus

si

exstinxeram

al castigo

degli ucci-

pu ammettere che Au-

gusto dichiari di essersi attribuiti poteri straordinari proprio

quando

il

pericolo pi grave era scomparso

(2).

Questa concezione ufficiale e cortigiana della guerra


contro Antonio ha anche solido fondamento nel diritto
pubblico romano. Antonio non venne dichiarato hostis
publicus solo perch, come Dione osserva con bella preci-

non ce n'era bisogno, prevedennon avrebbe abbandonato


Cleopatra
non valeva la pena di deliberare l'odiosa
messa al bando, dal momento che si vedeva chiaro ch'egli
nel bando sarebbe da s stesso caduto. Da quando Vabrogatio gli tolse il carattere di magistrato, egli aveva la
scelta tra due partiti, dei quali non si sa dire quale
sione di linguaggio

gi di

dosi

(3),

che egli

sicuro

fosse

peggiore

il

o sciogliere

a discrezione a Ottaviano,

(1) 1

supplementi

il

suo esercito e arrendersi

seguitare a comandare le

sono assicurati dal

confrouto della verniono

fireca
(2) Il
(3)

L,

MoMMSKN
6,

IO)

d l'interpretazione

5' 'Avxu)v((|)

chiarazione di K'ierra)
O'Yjao'.xo

(o'j

Y^P

^^'->

o8=v

a'j|iPxvxog,

vs'.Xsxo.

xax

xyj^

(cio

niente di-

^'j

xai PouX|i=voi xai ax zob-zo TipoasYxaXaat


:ix{ag 7iX|xov ixfov

ictoOiov

T^ i5TcC OTt xai aXXojj tiosjkoxvkjv xl to Kaiaapog ;:patx6'.v |ieXXs)

sti/^yY^^'-^'^

Ti^oio'q,

jjinsta.

8^ft^ev

oi, xt

xv uirp xfic Ayu-

Tia-piSoc;, |jiy,5v; a->x()

SsivoO oixc{>'v

SJqt.

"<1

nonostante Vahroyatio e

legioni

farsi

cos

jerduellh.

Il

colpevole di perduellio passa in virt del suo atto stesso


dalla

comunit dei

cittadini nella categoria dei

della patria, cosicch

la

nemici

dichiarazione che egli

Jiosfis

ha valore non costitutivo ma puramente dichiarativo ed perci i)riva di ogni importanza (1). Dunque,
in certo senso la guerra contro Antonio era anche giuridicamente una guerra civile; di i)i non domander
chi ricordi che hellum civile non un concetto giuridico.
Nel diritto penale romano non esistono guerre civili, ma
delitti di perduellione, che rendono immediatamente il
colpevole straniero e nemico della patria.
Altrettanto ingiustificata l'obiezione del Hoppe, che
in principio del hellum Actiacum lo stato romano non
poteva essere simboleggiato da un rottame, o, per seguir
pi da vicino le parole di Orazio, da una nave gravemente avariata. E vero che Augusto aveva dalla sua

piiblicus,

tutta l'Italia e tutto l'Occidente:

anche

le

ognuna

ma

grandissime erano

forze di Antonio, che disponeva di 30 legioni,

col

numero massimo

distribuite in

modo

di soldati

che poteva avere,

assai abile in Grecia, Cirenaica, Siria

ed Egitto. Ancora ad Azio egli aveva il comando di


100.000 fanti, mentre Augusto in quella stessa battaglia
aveva sotto di se solo 80.000 uomini (2). Anche la fiotta
di Antonio era al principio della campagna molto superiore (3). Roma negli ultimi anni areva sofferto molto
a cagione delle guerre

civili,

e qualsiasi

persona

di sen-

vedendo avvicinarsi una nuova guerra, ch'era lotta


di vita e di morte, doveva temere per la salvezza della
patria. L'allegoria esprime bene questo stato di animo,
no,

(1)

(2)
(3)

MoMMSKN, Strafrecht, 590.


Kromayeu, Herm., XXXIII, 1898, 28. 54. 67 sgg.
Non per nella battaglia decisiva (Kromayer, Herm., XXXIV.

1899, 30 sgg.).


che era comune a
timenti

tutti

prodigi, che

della guerra (Dion. L,

temeva sventure

gosce dei Romani

8),

romani

buoni sen-

di

dissero osservati allo scoppiar

mostrano che l'opinione pubblica


ci descrive chiaramente le an-

(1).

Hoppe hanno anche meno

Gli altri dubbi del

Che

lo spirito del

ben

altre condizioni,

corda bene con

cittadini

si

Dione

27

valore.

poeta fosse nella primavera del 31

come mostra

il

primo epodo,

Appena

data tradizionale.

la

la

si

in

ac-

guerra

il buon cittadino si rassegna all' inevitabile,


non aveva desiderato, ma che non era stato
in suo potere di tener lontano. Siccome il suo protettore Mecenate deve partire per la guerra, Orazio pronto
a seguirlo
ma piuttosto con la rassegnazione che d
il
senso del dovere liberamente accettato, che non con
vera gioia. Il pensiero della possibile morte del suo
caro annebbia l'anima del poeta: v. 5 quid nos, quibus
te vita si superstite iucunda, si cantra, gravis? E che ad
Orazio dispiacesse di combattere ancor una volta in una
guerra civile, mostrano le parole lihenter hoc et onine mi-

dichiarata,

che

egli

hellum

litabitur

tuae

in

spem gratiae, nelle quali hoc

omne per chiunque non sia privo di ogni senso di


significa

questa guerra e una

terpretare

in

troppo

senso

temporali tiuper sollicitum

Orazio
di

non

curaque

sideriiim

taedium

animo dur

nel 40 (2)

egli

in

(1)

L,

(2)

Le osservazioni

8,

non mi paro
s tra re.

l'cujjiKioi

elio

lui

ristretto

La

levis.

di

le

si

1(5)

riescano

se
in-

determinazioni

nunc

de-

patria

era

divenuta ad

ma

questo stato

Ancora
di

nel

presentarsi

Ts x 7ip&|iax|ivov iJivotspiod-ev
di

devono

Filippi,

lungo.

finge (ep.

quae miki taedimn,

giorno

dal

stile

ancora peggiore,

pure una peggiore ce ne pu essere

et

41

forse

dinanzi

ai

|ioi(iif t^v,

xts.

Joskimi Kuoli. (fferm., XLIX, liU4, G29

11.),

i>r(>vare

ci

che esse InttMuiono

tlinio-

- 28
suoi

cittadini

Solone e

in

veste

araldo al

di

modo

incoraggia ad abbandonare

li

del vecchio

a rifu-

la patria,

campi dei beati come si pu


chiamare una tale condizione di animo se non disgusto,
taedium? Ancora verso la fine del 39 egli ha lanciato
verso Sesto Pompeo e verso Ottaviano quel grido
quo

giarsi in lidi lontani, nei

quo

scelesti riiitis,

Anche questo
necchiava,

si

(ad cur

taedium.

dexteris aptantur enses

la

speranza, che in

conditi ?
lui

son-

risvegli solo a poco a poco da quel giorno

fu accolto nella cerchia di Mecenate


dunque dalla fine del 38 o dal principio del 37. Che Orazio
abbia scritto poesie con determinata tendenza politica
negli anni immediatamente seguenti al 37, non dimostrato (1), ne tali carmi converrebbero ad uno che ancora
nel 39 si professava disgustato di ambedue i partiti. Di
una disposizione di animo, che comincia appena a rivelarsi, naturale che si dica mine e che questo mine si
in

cui egli

opponga a un
poetiche

avuto

il

di

tempo

il

mostrare

di rallegrarsi

quand'essa era gi di nuovo

Chi non

si

anche

nuper. Corrispondeva

Orazio

ch'egli

alle intenzioni

aveva appena

della salvezza della nave,


in

alto

dia per vinto e insista con

mare
il

e in pericolo.

Hoppe

sul nuper

opportuno ricordi come Orazio abbia usato nuper di


una vittoria ch'era stata riportata cinque anni prima
epod. IX, 7, ut nuper, actus cum freto Neptunius dux fugit

L'epodo scritto nel 31, Sesto Pompeo fu


Naulochos nel 36.
Mi par dimostrato che la poesia I, 14, si pu riferire
allo scoppio del hellum Actiacum, non tuttavia che non

ustis navibus.

sconfitto a

siano

possibili

altre

ipotesi.

Impossibile

per

quella

proposta dal Hoppe, che questo carme alluda alla guerra.

(1)

La

poesia ad Agrippa,

I,

non

si

pu datare.

d.y

Pompeo e sia stato composto dopo le diClima e di Scyllaeum e dopo il disastro navale
di Messina (App. b. e. V, 81-92). Secondo il Hoppe questa
spiegazione avrebbe il vantaggio che l'allegoria della
nave significherebbe una guerra navale, nella quale le
navi di Augusto avevano gi una volta sofferto molto
nella tempesta. Il profitto a me pare mediocre, perch
contro Sesto
sfatte di

al

Hoppe non

riesce di

eliminare del tutto l'allegoria,

ha il coraggio di spiegare il taediun


per mal di mare o d' immaginare che Augusto sia ripartito
su una nave mal rabberciata. E, ammesso una volta un
elemento allegorico, tant' riconoscere un'allegoria completa che una mezz'allegoria anzi questa mi sembrerebbe
di gusto peggiore. Ma c' di pi la cronologia del Hoppe,
che farebbe risalire quest'ode all'anno 38, inaccettabile, perch'essa contraddice a quanto sappiamo dello

giacch neppur

lui

svolgimento dell'arte metrica di Orazio. Non


portuno indugiare su questo punto, perch
zioni ritmiche

mostrano l'assurdit

molti ne sono stati intrapresi in

di

forse inople

considera-

ogni tentativo, e

questi

ultimi anni, di

cercare nel nostro canzoniere odi giovenili.


Orazio, com' noto,

si

attiene nella metrica delle odi

a una dottrina, secondo la quale tutti


originati
parti

di

versi

lirici

sono

da un piccolo numero di versi primitivi o da


combinati tra di loro per mezzo

questi versi,

diQWadiectio, della detractio, della concinnittio e della pcr-

mutatio, specie di operazioni tra aritmetiche e chimiche.

Di

qui

si

spiega che

nella

sua metrica prendono

un

aspetto fisso e immutabile certi piedi che dai Lesbii sono

ancora formati liberamente; altrimenti la derivazione dal


trimetro o da serie dattiliche, esametro e pentametro,
non sarebbe possibile. Di qui anche le cesure fisse, non
libere

come

nei

Lesbii, perch, per la teoria

segue, la cesura indicava

il

|)unt()

di

sutura

che Orazio
degli eie-

menti
si

una

tale teoria

cordarsi

pi di

lo

imponeva

bene con

eccezioni per

le

gettar via

e ch(; a lui

leggi

sembravano

eufoniche naturali
egli

ha avuto

ceppi della teoria e di

ai

che

forse ac-

alcune

farsi

la

forza

del

tutto

suoi primi tentativi,

che pi probabile, non aveva ancora

tecnica sufficiente per seguirla in

rizia

Orazio

(l).

restrizioni,

tempo o non conosceva ancora quella dot-

egli a quel
o,

verso

alle

riscontrano nelle sue prime e nelle sue

si

guidare dal suo orecchio. Quanto


trina

nel

fusi

buon grado

Dimque da vecchio

ultime odi.
di

che sono

indivisibili,

adatta per

30

esempio nella penultima ode del primo

ogni

libro,

la pe-

Per

caso.

che com-

dopo la presa di Alessandria, nell'agosto del 30,


permette ancora di formare un alcaico endecasillabo senza cesura dopo la quinta sillaba nientemque
hjynphatam Mareotico e un altro con la semicesura invece della cesura antehac nefas depromere Caecuhum
vale a dire che Orazio ancora nell'anno 30 componeva
versi dal punto di vista suo non perfettamente corretti,
cercava, quanto alla ritmica, ancora la sua via. Che
solo in quegli anni egli si sia arrischiato per la prima
posta
egli

si

volta a riprodurre

in

latino

la

strofa alcaica, confessa

chiudendo l'odicina a Lamia I, 26, che


composta anch'essa nel 30 (2), con un invito alla Musa
a consacrare il suo amico con un carme di nuova specie,
stesso

egli

che pu consistere

fdihus novs. In

ritmo

Le

parole

necte fores, necte

(1)

la

novit se non nel

quae fontibus integris gaudes, apricos

meo Lamiae coronam, Pimplei

Fondamentale

sulla questione la

memoria

del

dulcis

Christ

nil

sull'arte

metrica di Orazio alla luce della tradizione antica {Munchener Sitzungsierichte,

1868).

La

prefazione del Kiessling alle odi basta per nna

prima orientazione.
(2)

Cfr. la nota di

Kiessling-Heinze

al v.

5.

sine te mei ijossunt honores

noto,

versi di Lucrezio

fonth atque

dere

clecet
I,

927 sgg. hivaf integros acce-

petere

cajyiti

credere che anche

la

imita-

quest'ode infatti

la tecnica di

ammessa una

volta (hu7ic Lesbio sa-

dopo

Ugualmente

13, e'

II,

1'

Quindi necessario

quarta sillaba del-

la

che altrove evitata

segua monosillabo.
stesso anno,

modo che

tal

fores

unde primo

coronam,

al lettore.

crare plectro) la fine di parola

l'enneasillabo,

decerpere

parole di Orazio aspirino ad avere

le

valore di programma.

ancora difettosa

novos

inde

tempora Musae, e in

nidli velarint

zione non poteva sfuggire

dopo

fidibus novis, hiinc Lesbio

sorores parafrasano, coni'

iuvatque

aurire,

insignemque meo

hwic

sacrare pledro teque tuasque

meno che non

ode dello

un'altra

in

nello stesso verso fin

quinta sillaba, che in Orazio

parola

di

per

meno

lo

assai rara fuorch dinanzi a monosillabo.


di I, 14, perfetta. Ne si ha il diritto
metro diverso e che Orazio pu avere
imparato a padroneggiare prima gli asclepiadei, della

Invece la ritmica

di obiettare

cui

che

il

trattazione

ellenistica,

gli

che non

numerosi

forniva

strofe

la

esempi

alcaica, per

costretto a ricorrere a modelli antichi. Orazio

non ha raggiunto subito


vero che anche nei primi tre libri

asclepiadei

nello

lo iato tra

stesso
il

ferecrateo

vano aurarum
(jenibus

cura. In

et

tremit),
I,

metro che

15,

siliiae

che

il

I,

14,

poesia

anche negli

la perfezione, tant'

delle odi sono

tenute poesie di tecnica imperfetta. In


posto

la

quale era

la

23, che comammesso ancora

I,

gliconeo {matrem

metu; dimovere lacertae

et

non sine
corde

et

poeta pi tardi evita con ogni

il

ode che mostra tracce

d'

immaturit nel-

r idea generale e nell'esecuzione tecnica, la i)ase


volta, contrariamente alla regola,
e

con-

una

formata da un trocheo

non da uno spondeo i(/)iis Iliacas domos.


E davvero probabile che tutte queste odi siano stata
:

composte prima
del 41

a-i

quando l'epodo pi

del 38,

L' inverosimiglianza, anzi

agli occhi.

si

l'

antico,

1(1,

il

impossibilit salta

aggiunga che dei canti della prima rac-

colta quelli che sono databili sono stati composti per lo

immediatamente precedenti a quello

pi negli anni
l'edizione,

il

che come
del 28;

I,

23.
si

Delle 38

odi

del

primo

del 30

detto, imperfettissima,

26;

35, del

I,

29,

all'

libro (1)

del26,

I,

I,

incirca del 25;

2,

12,

I,

probabilmente del 24; I, 21, pare del 23, come probabilmente anche I, 4. Le altre poesie non presentano indizi cronologici.

Delle 20 odi del secondo libro

composta certamente nel

e imperfezioni ritmiche evidenti;


tardi

II,

II,

13,

30, e presenta infatti singolarit

12, certo dopo

il

17,

II,

29, sebbene
verso il 27

scritta

pi

sia difficile dire,

quanto tempo dopo II, 16,


II, 9, nel 27 o
qualche tempo pi tardi II, 2, nel 27 o nel 26 II, 11,
nel 26 o pi tardi
II, 4, nel 25 o in tempo posteriore
le altre odi non si possono datare. Delle trenta odi del
terzo libro le sei odi romane sono composte tra il 28 e
il 26
le altre sfuggono per la maggior parte al tentasi pu solo dire che III,
tivo di stabilirne la cronologia
8, appartiene all'anno 29, che III, 29, non scritta prima
del 27 e che III, 14, composta nella primavera del
24 (2). Violerebbe pi sicuri canoni del metodo chi attribuisse la maggior parte delle poesie non databili appunto agli anni nei quali le databili non furono composte perch contrasterebbe con le leggi pi elementari
della probabilit immaginare che per un caso strano ci
;

fossero conservate odi giovenili tutte impossibili a datare,

(1) Gli indizi crouologici

raccolti

per

lo

pii

nel

commento

di

Kikssling-Heinze.
(2)

provare

Non mi pare che


clie

III,

al

Kiessling

11 anteriore al 30.

e al

Hkinze

sia

riuscito di

33

odi del periodo della maturit tutte

data sicura. In-

di

vece noi dobbiamo concludere che Orazio ha raggiunto


tardi la perfezione metrica, ma che, una volta raggiuntala, se pure aveva composto prima altrettante liriche
quante pi tardi, del che non dubito, le ha escluse quasi
dobbiamo constatare che
indegne dalla pubblicazione
solo negli anni immediatamente precedenti al 23 gli
riuscito di scrivere poesie che lo soddisfacevano del tutto.
Questa conclusione non esclude che alcune poche poesie
;

pi antiche siano comprese nella raccolta, quantunque


si possa, come vedremo, dimostrare che queste poche non
hanno forme ritmiche puramente lesbie ma qualunque
ipotesi supponga che una parte considerevole della no;

stra raccolta sia formata dalle poesie giovanili,

deve

es-

sere respinta.

Queste considerazioni mostrano che la datazione del


insostenibile. Esse non dimostrano che l'ode

Hoppe

non pot essere scritta nel 32, come non fu nel 38, perch non si pu negare la possibilit che a Orazio un
ritmo sia riuscito men bene che un altro, ma non sono
neppure troppo favorevoli a questa data. Siccome per
non v' neppure una ragione determinata per assegnare
l'ode proprio a quest'anno, sar forse opportuno guardarsi
14, ai

intorno e domandarsi se non convenga riferire

tempi della

Augusto

ma

ha,

crisi interna,

com' noto, rinunziato

questo solo

l'

ultimo atto

I,

che segui Azio. Nel 27


ai poteri

di

straordinari

una lunga

serie

di

provvedimenti, per mezzo dei quali egli o intendeva o


fingeva d'intendere di ricondurre lentamente lo stato dal
governo personale alle condizioni giuridiche consuete e
normali. Gi nel 28 egli port

fasci,

che

gli

spettavano

alternativamente con il suo collega


Agrippa (Dion. LUI, 1, 1); nello stesso anno abrog in
generale
suoi provvedimenti del tempo del triumvirato
in virt del consolato,


LUI,

(Dion.

2,

34

Nel 23 rinunzi finalmente anche

5).

al

consolato (Dion. LUI, 32, 2) (1). Dunque nell'atto solenne


dell'anno 27 culmina una tendenza, che aveva gi co-

minciato a farsi sentire subito dopo Azio e che non


appare d' improvviso sull'orizzonte. Che Augusto abbia

dopo

subito
la

la vittoria

sua intenzione

ci

fosse narrato

re p. bis cor/itavit

memor

sinceramente o

a tutti

gli ufici

no,

pubblici e

a vita privata, sarebbe in se probabile, quand'anche

ritrarsi

non

dichiarato,

di rinunziare

obiectum

da Svetonio

immum

sibi

ab eo saepius, quasi

redderetur.

Ne

Mommsen,

la cui autorit

e'

de reddenda

p)er ii^sum starei

ragione sufficiente per rigettare con

ne
il

seguono la maggior parte degli


che non pu esser nata da ma-

questa notizia,

storici,

28, 1)

(Atir^.

post oppressimi statini Antonium,

linteso.

Orazio ha dunque poco dopo Azio creduto alle voci

Roma

sparse in

che Augusto

privata e se ne angosciato

<^<

si

volesse ritirare a vita

Come

? lo

stato

non ancora riparate, e


navicella deve ancora una volta esporsi alle

giunto in porto,

le falle

mare, avariata com'essa


ogni

modo

tarda,

io

malumori

di

non

proporrei
politici

appena

la nostra

furie

del

Giacche nuper consiglia a

? .

una data troppo


tempo
Orazio erano passati da poco. E

attribuire alla poesia


il

di

30 o

il

29

(2),

(1)

Ed. Meyer, Eleine Schriften, 460. 480.

(2)

La data secondo me gmsta

nel qual

stata gi trovata dal

Fraxkk,

ha forse torto di fondarsi siU


ricorrere della stessa immagine nel discorso di Mecenate in Dione,
LII, 16, che composto liberamente e prosegue fini politici attuali,
come ha dimostrato P. M. Meyer nella sua dissertazione de Maecenatis
oratione a Dione ficta (Berlino, 1891). Ma il pensiero del Franke non
poi cos sciocco, come piace rafQgurarlo a Kiessling-Heinze
somiglianze tra le orazioni di Dione e alcuni motivi nelle odi civili di Orazio ne cogliamo anche altrove, ci che mostra che Dione attingeva as
Fasti Horatiani,

153, eccetto che questi

che

strano

citare l'ode

questa controversia non

tutta

in
I,

2,

35

che pure mostra

soglia

si

stessa disposizione

la

animo ed esprime il timore che Augusto voglia ritirarsi


a vita privata. Essa fu composta nell' inverno dal 28
di

al

27

in essa

il

poeta rivolge liberamente

parola

la

Ottaviano, mentre nell'allegoria evita di menzionare nomi

appena appena.
rimane
ipotetica.
cronologia
anche
questa
Ma
Eccoci dunque al nostro assunto principale, la ricerca delle relazioni di questa poesia con il frammento di
Alceo, citato per lo pi dai commentatori. Il Hoppe ha
negato che Orazio derivi in alcuna maniera da Alceo
e asserito che il modello Teognide 671 sgg. ouvsxa vOv
propri: gli anni del taedium erano passati

cppG[ia9-a xaO-*
oiL

ovGcpspYjV.

bxta Xsux paXvxe?

vxXetv

xo'.ywr

{ji'-fOXpwv
(Sepv/jXTjV

|JLv

ypr,|jLaxa

S'

5'

ox O-Xouacv,

xTzz^'^vXXti

[jiXa xcc yjxXzTZwq a(Cexai.

oV

S-Xaaaa

ooo'J'ji-

xo-

ETiauaav saO'Xv, oxtc cpi)Xaxy,v "/V 7T::axa|a.vw;

pTiJ^ouat

piYj.

5'

xajxo?

taoc Y;'vxai q x jJLaov.

cpopxrjyol

xat"j7ipd'v

TTox;

ficile

tivxou vjxxa

ex

Mir^X-'ou

ot[xa''v(i)

iJ-T;

7tX(oXv. 5aa|i5 5' oxx'

vaOv xax

5'

xaxol

S' y.pyo'JC'..
X'j|j.a

ti-'y].

aYaO-Jv

Ma

credere che Orazio, lo studioso dei Lesbi,

si

difsia la-

che non abbia


un carme che lo Pseudoeraclito considera evidenretori
temente modello classico dell'allegoria, da cui

sciato sfuggire un'ode celebre di Alceo,


letto

come esempio; mentr' invece


prova che proprio quell'elegia del corpo

antichi citano spesso versi

manca

qualsiasi

teognideo, che per vero era letto nelle scuole, fosse cosi
nota, e anzi dalla
a Stobeo

dovremmo

mancanza
arguire

supporre che Orazio abbia,

ma

si

sia

il

di

ogni citazione anteriore

dovremmo

contrario.

s,

letto

la

dato ogni cura per evitare

forse

poesia di Alceo,

di

imitarla?

reudevauo bene l'opinione pubblica dell'et auguotea. Un


buon esempio di questa relazione trovasi pi sotto, p. 59.

fonti, che


Certo

legge

le

differenze

3t

sono grandissime, e appena uno

aovxr^lii t)v vi|io)v

[lv

yp

axaoiv

cvO'EV xjia x'jX{v3sxat,


8'

x 8' vO-ev, &|i|isg

v xo fisaaov

vi cpopi^iied'a a-jv |isXa(vq:

iieyaXw [lXa*

y{|i(f);i

|iox9''Jvxes

z=p

yp vx/.og 3xo;i5av

|JLv

xal Xxi83j

iii'(aXoi.i

vtax'

X.ei,

aOxo,

X'iXaiai 5' yxupa'.,

salta subito agli occhi la maggiore. Orazio

una nave che gi in porto,


bocca del porto combatte con marosi

sul lido

cezione simile

al

twv

dunque una con-

lucreziano suave mari magno. Alceo na-

viga egli stesso sulla nave;


auvTTj{it

guarda fermo

o meglio presso la

v|i.wv axatv

in ansia per la salvezza

il

il

primo verso del suo carme


grido del

marinaio, eh'

sua e dell'equipaggio.

Il

con-

trasto determinato dalle condizioni speciali dello stato

romano, che Orazio vuole esprimere allegoricamente. E


in ci egli pi simile a Teognide? Questi ha ^spiJieaB-a
come Alceo cpopr^[x9-a l' elegiaco parla a lungo della stoltezza e dell'ostinazione dell'equipaggio, ci che Orazio
non fa.
La condizione della nave in Alceo descritta in
modo simile ad Orazio, mentre Teognide non ne fa parola
non Ubi sunt integra lintea lo stesso che ac'^o; 5
Tcv C^^OTjXov rpri xal XxcSeg jiyaXa'. xax" aj-o. In Teognide
la nave cammina a forza di remi, perch la furia del
vento impedisce di veleggiare; di vele strappate manca
ogni cenno. La somiglianza tra Alceo e Orazio maggiore che tra Orazio e Teognide; anche questa volta Orazio si dato cura di far vedere che adoperava Alceo.
Certamente la relazione questa volta di natura ben
;

37

diversa che in nullani, Vare, sacra; col un motto in principio, tradotto letteralmente o quasi,

ma

poi svolgimento

completamente indipendente dal modello classico qui


somiglianze con il modello, che non sono mai letterali,
ma si estendono a tutta la poesia. Il lettore non poteva
neppur qui non accorgersi della dipendenza; anzi Orazio
voleva eh' egli gustasse l' imitazione e ammirasse con
quanta abilit e con quanto spirito il poeta moderno
adattava un' immagine antica alla condizione attuale dello
stato, con quanta maestria riempiva di vino nuovo gli
otri vecchi. E che il motivo della nave derivasse da Alceo, doveva scorgere anche il lettore pi ottuso. Alceo
ha spesso cantato di navi in pericolo, come mostrano i
nuovi frammenti. Egli ha celebrato l'epifania dei Dioscuri, che, dritti a cavallo, appaiono nelle tenebre della
notte in cima alle sartie e recano ai marinai luce e salvezza (papiro di Ossirinco 1233, fr. 4). Pi simile alla
nostra ode il fr. S del papiro 1234: siccome il frammento comincia uv cppxtov. bisogner supporre che Almarinai erano stati costretti a
ceo prima narrasse che
gettare in mare il carico. Orazio scrive in un'altr'ode
;

(III,

29, 57)

non

est

meiim,

si

miigiat Afrcis malus proceUis,

votis pacisci, ne Cupriae T>fad miseras preces decurrere


tum me biremis
riaeque merces addant avaro divitias mari
praesidio scaphae tutum per Aegaeos tumiiUus aura feret geminusqtie Pollux. Alceo continua dopo un verso che non
et

si

ancora

xxuTrw]

riusciti

ojA^po)

a supplire

[.l'/safl-at

)(':|jiaTC

xal

x-jjxa-::

T'YP-'l^l

7z'k'y^(t'.o\y.

'J^oi:.'!'

r/J^zy

^apD-

jjippr^v,

Questa nave non ha pi


la forza di combattere. Segue ancora l'apostrofe ad un
amico, un invito a godere; segno questo che il poeta non
s'immagina questa volta di far viaggio sulla nave; egli
siede a mensa cogli amici. Ma par certo che nonostante

'fvT(i) 5' p[jtaii xu7rT0[Xva payrivai.

le

somiglianze

di

quest'ode con quella

di

Orazio, (piesti

38

non che,
non senz' intenzione, egli riprese proprio un motivo
che Alceo aveva pi volte toccato.

si

sia attenuto alia descrizione pi celebre, se

forse

III.

L'ode di Cleopatra

L'ode

I,

I,

37 e l'epodo

37 segue piuttosto la tecnica

sacra che quella di

navis referent

meno fedelmente

cerca

in

ma

somiglianze con un modello determinato,


principio pi o

Nullam, Vare,

di

non va

IX.

di

traduce in

primi versi di un'ode

di Alceo, per distaccarsene poi subito. L'intelligenza di

quest'ode congiunta cosi strettamente con l'interpre-

ma

anche storica dell'epodo V,


non posso risparmiare ai miei lettori una breve

tazione non solo filologica

che

io

disgressione intorno a quest'ultima poesia.

Le ricerche
Kromayer (3) e
chiaro

Bticheler

del
di

punti seguenti: l'epodo

dinanzi alle coste d'Azio su

Friedrich

del

(1),

Paolo Corssen
,

(2),

del

hanno messo in
o si finge, composto

(4)

una nave;

vv. 33 e sgg.

capaoiores adfer huc, piier, scyplios


et

Ghia vina

vel

aiit

Lesbia,

quod flnentem nauseam coerceat

metire iiobis Caeciibum


si

riferiscono al

mal

ancora incominciata

(1)

Coniectanea,

(2) Q.

di

mare, perch

(5).

La viva

Programma

la comissatio

non

descrizione hosiiUumqiie

universitario di Boun, 1878-79, 13 sgg.

Roraiius Flaccus, 26 sgg.

XXXIV,

(3)

Rerm.,

(4)

Horatiana.

1899, 39

])rogr.

del

3.

Bismarckgymnasium

di

Wilmersdorf,

1903.
(5)

gere

le

Che Orazio, sceso

a terra, provasse

mal

di

mare

navi battute dalla tempesta, ha voluto dimostrare

al solo scoril

Cors.sen

latent puppes sinistrorsum citae, qualunque


conseguenza storica scaturisca da queste parole, mostra
che Orazio ha veduto queste navi. Argomenti in contrario mancano del tutto. Mecenate fu probabilmente

navium portu

presente alla battaglia; Orazio

attesta

ci

guerra:

l'intenzione di partire per la

alta naviuyn, amice, yropugnacula

e la

ch'egli

aveva

Lihurnis inter

ibis

prima delle Elegiae

che risalgono forse ancora all'et augumostra che egli rec ad effetto l'intenzione:

in Maecenatem,

stea
V.

ci

(1),

45 sgf. cum

freta Niliacae texerunt laeta carinae, fortis

circa, fortis et ante diicem, militis

erat

secutus, territus

ad

Nili

ragione di dubitare in

dum

generale

questa poesia, quand'anche

mostrato che

fugit

si

ille

Eoi fugientis terga


storica

dell'autorit

di

debba ammettere per di-

poeta qua e l sbaglia

il

Ne abbiamo

capiti.

(2).

d'altra

prova
non avrebbe lasciato immutato il primo
verso del primo componimento di un suo libro di versi,
un passo cio che era in evidenza quanto nessun altro,
se r aspettazione espressa in esso non si fosse adempita.
parte gi

il

passo del primo epodo sarebbe

forse

sufficiente; Orazio

in luce gi dal Biicheler.

Tutto ci stato posto

Ma

l'epodo non stato scritto, com'egli credeva, subito dopo


la battaglia quella stessa sera,

taglia durante

gi

il

Kromayer

il

ma

ancor prima della bat-

blocco, che la precedette,

precisamente il Corssen.
sono ancora dileguate dalQuando berremo il vino della vitsi

l'animo

di Orazio.

toria,

Cecubo, nel tuo palazzo di

il

(p.

Roma, Mecenate?

solo quando^ che espressione quant' altra

A me

15).

la cui

natura

(1)

(2)

ripugna supporr
si

visto

e dimostrato pi

L' incertezza e le ansie non

il

come ha

rispeccliia

sana

coa deliole di nervi


e

il

poeta antico,

vigorosa nella poebia.

8KUTSCH, P. ',, IV, 946 8gg.


Cfr. IIaktmann, de pugna Actiaca.

diss.

mai patetica,

di CJieH^^iii.

liU.".


nare subito a

animo.

farsi

poter

di

tor-

ha l)isogno

lovi ijratum ch'egli

sic

di

Gi una volta poco tempo fa ai)biamo


dopo che avevamo incendiato le

celebrato

una

navi

traditore Sesto

del

non spera

Orazio

basta a mostrare che

Roma;

40

vittoria,

Pompeo

Orazio non

po-

si

Antonio non
in
ispecie
risparmiata
intatta,
ancora dal
fosse ancora
fuoco. Ancora soldati romani sono schiavi di una femmina egizia, di eunuchi egizi . Quantunque anche dopo
Azio soldati romani continuarono a servire Cleopatra,
l'espressione, cos mescolata com' di dolore e di sdegno,
non conviene al carme della vittoria. Il ma che setrebbe pi esprimere cos, qualora

gue

difficile

data

at

huc

non

intendere, se

(1)

frementes

canentes Caesarem

la

(2)

la flotta di

si

accetta la nostra

verterunt bis mille equos Galli

vergogna dura,

ma

gi due mila

cavalieri Galli sono passati a Cesare . Queste parole

un successo

qui senso, se non indicano

hanno

non

parziale,

che importano pi i
di vittoria maggiore
duemila Galli dopo Azio (3) ? Segue hostiliumque navium
che arra

at huc,

(1)
il

adhuc, ad hiinc sono diplomaticamente lo stesso, e solo

senso pu decidere.

cavalli, perch un uomo non


(2) Frementes naturalmente sono
pu insieme fremere e cantare (Corssen, p. 14).
Plutarco, Ani., 63) sia
84, 2
(3) Che il re Aminta (Veli. II,
i

passato a Cesare con questi 2000, non e narrato in nessuna fonte,

ma

congettura del

Kromayer

(p. 23),

mi sembra, probabile. In Dione

racconto della defezione di Deiotaro Filadelfo (L, 13, 5)


precede la descrizione della diffidenza di Antonio verso Aminta (L,
infatti

13, 8)

il

noto eh' egli

solo (LI, 2,

come

in

1)

non narra che questi pass ad Augusto,

che Augusto

gli

lasci

titolo regio

il

del tutto certo,

durante
Il

ma

segue subito

Orazio cos in Dione la narrazione del combattimento navale

con la differenza che Dione mette anzi in rilievo

Non

il

ma

combattimento

Heinze, che crede

il

probabile che

la

contemporaneit.

Galli passarono al

nemico

meuzionnto da Dione, L, 14, 3.


carme composto in Roma dopo la battaglia,
di cavalleria

41

portu latent piippes sinistrorsum

citae;

danno

questi versi

l'impressione che la flotta sia dovuta rientrare in porto,

non

senta pi sicura,

ma

che a ogni

che essa,

forse,

modo

ancora intatta, mentr' invece ad Azio pochis-

sia

si

sime navi sfuggirono


ciale
di

fuoco, secondo la versione uffi-

confermata da Orazio stesso, che ha qui pi valore


I, 37, 13 vix una sospes navis ab igni-

ogni altra fonte

bus.

al

La

descrizione delle navi

si

accorda invece benissimo

con ci che sappiamo della piccola sconfitta dell' antoniano Sosio, eh' narrata anche da Dione, subito dopo
l'episodio di

Aminta

(L, 14, Ij; Sosio, profittando di

mattina nebbiosa, aveva tentato

di forzare

il

una

blocco, e sa-

rebbe anche riuscito nel suo intento, infliggendo cos un


grave colpo alla flotta di Ottaviano, se non fosse sopravvenuto casualmente A grippa con il suo naviglio. Allora
le navi di Sosio furono costrette a rinunziare al
segno e a rientrare nella baia di Ambracia, che
a sinistra di chi faccia rotta verso mezzogiorno.
questo successo di quei di Ottavio perdeva ogni

dopo

la

grande vittoria

Azio.

di

Il

fuga,

81

fosse indotto che

l'

(lotta di

rimane

Anche
valore

poeta continua:

costretto a supporre elio a Koiiia nei primi monieiiti

che solo una piccola parte della

loro di-

Antonio

lo

dalla

aveva

tu

notizia

sey;nito nella

eiiuipnggio delle navi rimaste nella radi

di Azio, disgustato, avesse ricnsato l'obbedienza.

supporre un malinteso nel bollettino

ufficiale

Ma

in

primo luogo

pare ipotesi disperata

non solo non menzionano, ma


dotta si fosse sollevata contro Antonio lo navi
rimangono nascoste noi porto ci che non fa-

in secondo luogo le parole di Orazio

anzi escludono che la

sono ancora

hostiles e

E poi come conviene l'esprescome vogliono Kiessi.ing-Heinzk, essa indica

reljbero, se fossero j)assate al nemico.

sione siniahorsnm citae, se,

che

la flotta

aveva fatto rotta verso

erano rimaste ferme nel porto


i

il

sud, a navi che contro

jier

il

coniando

arrivare a questa conclusione

commentatori devono supporre per giunta che Orazio avesse parlato


punto di vista non suo ma dell'avversario,

di destra e di sinistra dal

ognuno vede con quanta

proba1)ilit.

42

? Eppure tu non hai mai ricondotto


un capitano grande come questo . Pare increche queste parole siano riferite da alcuni a diffi-

tardi ancora, Trionfo


in patria
dibile
colt,

diciamo

cos,

amministrative, che ritardavano quel-

La

chiusa esprime ancora una volta af-

r atto solenne.

fanni, ansie, timori per la salvezza di Cesare.

questa

dopo una vittoria?


Dunque quest'epodo fu scritto prima di Azio. 11 Corssen, cui non sfuggito che secondo Plutarco {Ant. G5)
la disposizione degli spiriti

per tre giorni e tre notti prima della battaglia la bufera


infuri nell'Adriatico,

l'epodo.

Comunque

propone

sia,

pochissimo tempo prima

di

riferire

esso o finge

a questo tempo
essere scritto

di

Dione non
inserisce tra le vicende di guerra presupposte da Orazio
e la narrazione della battaglia nessun altro avvenimento
militare che in Orazio non si rispecchi.
della battaglia, poich

Sin qui giunta finora la ricerca erudita.

ancora

a spiegare

difficili

terra

il

v.

27 e sgg.

Rimangono

marique victus hostis punico

lugubre mutavi t sagura.

Aut

ille

centuiii

nobilem Cretam urbibus

ventis iturus non suis,


exercitatas aut petit Syrtes Noto,

aut fertur incerto mari.

Antonio sino

alla battaglia

navi nella baia di Azio

(1).

La

rimase chiuso con

le

sue

sola spiegazione possibile

(1) Io uu tempo ho pensato anche a scrivere nuiabit per mutavit.


come propose gi, ci che non sapevo, il Lachmann (p. 23 del commento a Lucrezio) petit e fertur avrebbero allora senso di futuro,
;

ci che

non

Futurum im

raro nei presenti dei verbi che indicano


Altlateinischen, 6 sgg.).

Ma

se

moto (S.toGREn.

le difficolt

grammaticali

sono forse superabili, tanto pi che una formazione come iturus, un


qualche cosa di mezzo tra presente e futuro, serve da ponte di pas-

mi pare quella
cessi

si

43

del Corssen (p. 15),

sia sparsa nel

campo

che dopo

e nella flotta di

primi suc-

Ottaviano

voce che Antonio fosse riuscito a sfuggire al blocco.


Plutarco (A?t. 63) narra, non so se con buon fondamento
di verit, che nel consiglio di guerra degli Antoniani,
che precedette la battaglia, fu discusso se non convela

nisse

tentare

anche

le

vicende

nebbiosa riusc

di

anche

poteva

es.

p.

di

un

Sosio,

tale

quale in una mattinata

al

a una fuga

ci si

potesse

si

disegno, mostrano

avvicinarsi inosservato

di

Ottaviano. E, come
sare, cos

Che

fuggire la regina.

far

di

sperare nell'adempimento

si

flotta di

alla

poteva facilmente pen-

poteva facilmente credere.

aver preso l'assalto

di

La

Sosio per un

flotta

ten-

Antonio di sfuggire al blocco. La brevit del


racconto di Dione non ci d modo di giudicare se e
quanto Sosio si sia avanzato in alto mare, se forse una nave
la possibilit di
sia riuscita a sfuggire all' inseguimento
una tale ipotesi incontestabile, poich Dione stesso

.tativo di

narra (14,

2)

che Sosio volse in fuga e insegu

non sopravvenne per caso

di Augusto, finch
di

Agrippa.

saggio e che

Non

ci

sarebbe da far

petit indica piuttosto

le

la

la flotta

squadra

meraviglie, se una

una risoluzione che un'azione

(/-

iurum prospectivum lo chiamerebbe lo Sjgren 32 sgg.), gli ostacoli


he la storia oppone, non sarelbero ancora tolti di mezzo con questo
spediente e infatti, mentre mntabit profeterebbe la prossima sconttta
;

di Antonio, la

buona

riuscita

della

fuga dovreb1)o

piuttosto

essere

concepita come un successo. Antonio stesso, dando battaglia, non ha


mirato ad altro che a forzare il blocco (Kromayer, 29 sgg.\ ed e
quasi certo che Angnsto era stato informato dei suoi disegni dal di3). Si aggiunga che. essendo raris-

sertore Q. Belilo (I)ion., L, 23,

simo nell'et aiigustea il presente col senso di futuro, non corrisponde


alle regole del buon metodo di supporre insieme una corruttela, sia
pure lievissima, e un uso ili lingua raro in un ]>asso che presenta
difiicolt storiche rravi.

nave

trionfo:

al

prendere

fosse riuscita a

largo e a salvarsi

il

(1).

accorda bene con l'invocazione


Trionfo, tu indugi ancora; ma il nemico

Quest'interpretazione

si

per mare

Esso confessava la
non aves
Qui coppe e vino, servo; nel
sero recato un risultato:
vino noi vogliamo annegare le ansie per la salvezza di
gi vinto

per

terra

sconfitta fuggendo, ([uantunciue

Cesare

La fuga
il

riuscita senza grandi perdite

Augustei una confessione

gli

com)attinienti

germe

essendo

di pericoli nuovi,

di vittoria e

di sconfitta,
al

conteneva per
portava in s

ma

tempo

sariamente cadere presto o tardi nelle mani

ma

stesso

pegno

minaccia. L'esercito di terra doveva necesdi

Ottaviano,

Antonio in Oriente era ancora intatta:


quattro legioni egli aveva sotto il suo comando in Cirepotenza

la

di

naica, forse sette

in

Egitto e in Siria

(2),

tutte truppe

bene istruite e fresche, che valevano per Antonio molto


pi che l'esercito abbandonato ad Azio, formato per due
terzi almeno di molli Orientali e rovinato per giunta da
epidemie. Una volta giunto in Egitto, Antonio poteva
riguadagnare il sopravvento. E perci appunto questa
poesia finisce in un grido di ansia.

L'ode I, 37
morte di

la

del 30.

NOv

Il

principio

{x9"jai)-rjV

)(prj

M'jpaiXoi;.

composta dopo

Cleopatra,

Nunc

l'imitazione.

est

xa: xcva

L'identit

del

Ambedue

nell'

le

la

presa di Alessandria

agosto

nel

settembre

hibenclmn deriva da Alceo 20:

7rp(;

[3''av

tlwvyjv.

sTietSrj

metro d maggior
poesie

invitano

y.iO-ave

rilievo

al-

festeggiare

non pu, a qnel che mi pare, indicare V intenzione,,


non snis non pu voler dire se non venti contrnri :
dunque sia clie egli sar portato da venti contrari a Creta ecc.
(2) Kromayer, 49 e Herm., XXXIII, 1898, 65 sgg.
(1)

perch

iturus

il

vetitis

4o

con un convito la morte del nemico della patria, nel


carme di Alceo un concittadino che nelle lotte civili ha
usurpato

il

potere, nell'ode

di

niera che ha mosso guerra a

Orazio una regina straRoma. Ma gi nel primo

verso il poeta romano si stacca dal suo modello delle


due vigorose espressioni |ji\)"jcj^r(V -p: jj-'av egli ha can:

cellato ogni traccia, poich egli giudica grossolano l'ubriacarsi per celebrare

la

morte

di

ha

Orazio

chicchessia.

evitato costantemente nei carmi la parola ebrius, mentre

Sermoni (I, 4, 51 II, 3, 60). Solo


appunto in questa ode, egli l'adopra: Cleopatra ebria, non gi di vino ma fortuna dulci, mentre
di vino l'anima sua lymphata. Teucro non ubriaco,
le sue tempie sono uda Lijaeo (I, 7, 22); i mortali grati
lo7ibenefici di Augusto
celebrano, sia uvidi sia sicci,
l'usa senza scrupoli nei

una

volta,

cum

integro sicci inane die, dicimus uvidi,

una
un nemico ma il

Sol Oceano subest

(IV, 5, 37 sgg.). Solo

volta, per festeggiare

morte

ritorno di

di

proposto: non ego sanius


amico

miii furere est

di

un nemico,

solennemente
lo

(II,

7,

hstis

nome, quasi

lo

sia

non
egli

recepto

si

la

dulce

26).
di

mostrare esultanza per

pure

della

populi Romani.

tenesse

un amico,

Edonis:

bacchabor

cosi pure egli schiva

mofte

il

<<

utinam, du.r bone, ferias praestes Hesperiae dicimus

gas

in

Ne

serbo

regina
tace

in

la

dichiarata
principio

per la chiusa, non

volesse mescolare col lieto invito alla gioia del sim-

Ma

anche nella chiusa, anche dopo che il canto


passato a poco a pco dallo stupore per l'audacia della
femmina orientale nata all'amore, che ha osato gettare
il guanto a Roma, ha osato sperare la rovina della citt
eterna, all'ammirazione per la morte eroica dell'ultimo
rampollo della dinastia macedone, anche nella chiusa,
posio.

dico, egli descrive Cleopatra, la sua indole, le sue azioni

senza dirne

il

nome. Orazio voleva che a chi leggesse

il

4(i

non isfuggisse quanto pi signorile, pi cavalleil cittadino romano che il nobile lesbio.
La poesia comincia: Nunc est hibendum; mine pede li-

principio

resco nella gioia

nunc Saliaribus ornare pulvinar deorum


tempus erat dapihus, sodales. Cos si deve punteggiare, diversamente dai pi, che pongono virgola dopo bibenduni,

bero pulsanda tellus,

punto e virgola dopo tellus, ma a torto perch mine est


bibendum detto in generale, mentre mine pede libero pul:

sanda

tellus si

amici o anzi

rivolge gi

Che

ai Salii,

il

poeta inviti

gli

popolo a danzare, creder solo chi tra-

il

ingenuamente concetti moderni nel mondo antico.


adulti hanno danzato solo in feste religiose; il
ballo per loro non una festa profana ma un rito sacro.
ha
II fossor, che si vendica delle pene che la terra gli
in
ritmo
compie
del
col piede,
un atto
dato, battendola
sporti
I

Romani

culto, e le parole di Orazio gaudet


sor ter pede terram

frasare

danza
i

Salii

cum

parola

la

dei Salii.

(III,

18,

15)

tripudium, che

Secondo Livio

perch marciassero per

tripudiis

soUemnique saltatu.

Vili, 663) narra che

Salii

invisam pepuUsse fos-

non fanno
I,

la

20,

ma

il

verbo

che

dopo, bench

subito

segue

salio,

il

citt

re

esso

canentes earmina

il

cos,

qual frase

di

termine tecnico. Chi non

perch
s

ado-

all'etimologia,

uso comunissimo,

la chiosa tripudio, cio all'espressione

aggiunge

della
istitu

parimenti Servio {Aen.

necessario
sia

non parafisso

Numa

sono chiamati

circa aras saliiint et tripudiant, nella

perato

se

nome

il

si

generale

si

contenti di que-

ed esiga che Orazio sia spiegato solo


con Orazio, legger con profitto e. IV, 1, 28, in morem Saliuni ter quatient iunium, dove il confronto si riferisce appunto al triplice ritmo (1). Perch danzassero durante il
ste te;-timonianze

(1)

La danza

dei contadini latini era originariamente identica con

quella dei Salii e mirava anch'essa, come quella, a eccitare la fecon-


convito,

il

Romano

4/

elegante prendeva in

affitto ballerine

bene conviene all'etra, non


matrona romana, Sempronia secondo Sallustio (Cat.
25, 2) era docta psallere, saltare elegantius quam necesse erat
probae e l'autore stesso chiarisce subito dopo meglio le sue
parole aggiungendo multa alia quae instrumenta luxuriae.
E a che non crediamo che l'opinione pubblica .dell'et
di professioni o etre; ballar

alla

imperiale giudicasse diversamente, per Orazio la fanciulla

che motus doceri gaudet lonicos quella stessa che


amores de tenero meditatur

mal costume
estendeva anche

palestra del

danna

si

ungiti, la

scuola di

e dell'adulterio (1).
agli

incestos

una

ballo

con-

la

uomini; Cornelio Nepote

costretto nella prefazione a difendere le sue

biografie

avrebbe trovato
disdicevole che Epaminonda sapesse danzare. Cicerone
rinfaccia a Gabinio tra le altre scelleratezze di avere
spesso ballato [post red. in sen. 13; j^^^o domo 60; Pis.
18. 22) (2). E si inquieta grandemente che a un suo didi capitani greci dai

Murena,

feso,

si

rimproveri di chi

sia fatta la stessa

accusa:

il

modo come

tenta di confutarlo, mostra in quale stima egli tenesse

dita della teira. L'istituzione dei Salii

(WissowA,

Relig.^,

ditJ'nsa

in

tutto

(1) Dopo la seconda guerra punica iusieme con le


manze greche era stata accolta in Roma anche la scuola

giovane

Lazio

il

555).
altre

costu-

di ballo

ma

sdegnava per l'abbandono delle vecchie tradizioni (Macr., Ili, 14, 7)


cant in ludum saltatorium inter ciaedos
rirgines puerUiue ingenui. Al vedere in una di (|ueste scuole un jiieruni
hulalum letitoriH (l'antica parola per candidato, usata ancora da Orazio) filium non minorem annia duodecim eseguire una danza oscena, si
Scipione

il

si

sente prender da comi)assione per la patria sventurata,

come narra

egli stesso.
(2)

uomini
zare

Macroliio (HI, It, 15) parla ancora con stupore


])olitici

Gabinio,

dell' et.\ ciceroniana,


il

che non

M. Celio difeso da Cicerone

minore del triumviro.

si

di

vergognanuio

tre

noti

di

dan-

o Licinio Crasso, tiglio

48

danza: l'avversario Catone aveva accusato


Murena di aver ballato, non gi di altri stravizi ma
com' mai possibile pensare che uno abbia danzato senza

l'arte della

tempestiva

multiim

convivia,....

quali Comes

est

extrema

deliciarum,

tutte cose

alle

che nessuno danza se non

saltatio,

ubriaco fradicio.

Eppure,

si

Orazio ha scritto

dir,

ne careat pulchra dies nota

neu morem in Halium


opporre che mentre

canta un convito

gono

(|ui

motivi

della poesia.

per

di

Cressa

civile,

I,

36

vecchi amici, che quindi non sconven-

ellenistici,

Ma

stessa,

37 una grave ode

I,

10):

36,

pedum. Si potrebbe forse

requies

sit

(I

promptae modus amphorae

7ieu

che

turberebbero la solennit

questa soluzione, non so se sufficiente

non

risolve un'altra difficolt,

come mai

con la
danza
Salii.
pesante
dei
Anche in un'altra ode (IV,
1, 28) Orazio ha comparato danze, che fanciulli e vergini ballano in onore di Afrodite, con la saltatio dei
Salii, ha per messo bene in luce che il paragone si
riferiva solo al ritmo triplice
illic bis pueri die numen
<^um teneris virginibus tuum laudantes pede candido in morem
Salium ter quatient iumum. Ogni dubbio si risolve facilmente, quando si consideri che nulla obbliga a supplire
cio gli allegri balli conviviali siano confrontati

come soggetto Orazio

suoi amici;

sit

requies

pu essere

detto in maniera del tutto impersonale. Segue neu multi


Danialis meri Bassum Threicia vincat amystide
poi, di
nuovo impersonalmente, neu desini epulis rosae neu vivax
;

Come ad ornare di fiori la tavola


avranno pensato schiavi, cos le danze saranno state
seguite da schiave o da fanciulle leggiere prese in afupiuni neu breve lilium.

ftto

un'etra, Damalis, a ogni

Quanto
riera,

alla

danza

modo

dei Salii essa era

come originariamente

era

anche

presente.

una danza guerla

^uppi'/r;,

che

per ben presto assunse carattere lascivo. Gi Senofonte


{Anab. VI,

1,

12) narra di

scudo danzava nuda

che

una

che reggendo uno

p^iga-pf;,

con

la wjpp'.yr^, certo

fini

Quella ballerina, quantunque schiava

pii.

ballo

senza dubbio

di

tutt'altro

un Arca-

quanto pare, da un Misio

de, era stata istruita, a

di origine greca.

ma

il

danze

infatti

sono rappresentate gi su vasi del principio del

simili

49

come ha mostrato

secolo,

il

Latte nel suo bel libro

danze greche (1). Nell'et imperiale, dimenticato da


un pezzo il nome VwpaS. qualsiasi ballo lascivo era detto
7iupp7jj; ancora lo scoliasta bizantino di Luciano (p. 9,
15 Rabe) definisce il xpa^ in tal modo che si vede
chiaro che quella parola era per lui antiquata, ci indica
.Tiuppi/Y] come l'espressione consueta per la stessa cosa (2).
N si deve credere che la 7:'jpp'>/Y]. divenendo lasciva,
sulle

avesse perduto

armata

suo originale carattere guerriero

il

uno scudo era

di

danzare, cos ancora

appartiene
volgare,

al

il

secondo o

presenta

figure
delle

abiti trasparenti,

come

schiava che Senofonte vide


rilievo di Villa Casali (3), che
la

al

pi al terzo secolo dell'era

femminili

vestite

cosiddette Coae

insieme con uomini armati.

dei

che

(4),

famosi

ballano

Che nome dare a questa

danza a un tempo lasciva e pesante, sensuale e guerriera, se non "'jpp:'/-/] ? Tale danza da Orazio paragonata
con quella dei Salii.
Il principio dell'ode per la morte di Cleopatra non
contiene l'espressione di un irresistibile impulso alla danza,
ma piuttosto il desiderio che Roma provveda a una festa

degna

XIII,

Vorarb.,

(1)

Religiongt6ch

(2)

xp5ag l8o; rtpeiioOg xai aio^P^t*

membri

del

::apa7tX>,o'!af

t^c

Orazio, volgendosi ai

della vittoria.

Vvr.

n.

'2,

40.

^'9"fjfl^*^i

nuppCxTQS.
(3)

Matz-Duhn, AntiU

Bidwtrkc. Ili. 3680

(4)

V. sulle Coae

Properzio,

p.

e.

I,

2,

cfr.

II,

1.

Lattk. 58 sgg.
5.


sodalizio, canta

suo
1

piedi

dei

sciolgano

Le

pii

che

Ora

50

venuto

il

tempo

si

aspetta a ordinare un

bere.
si

lettisternio ?

ultime non vogliono biasimare

parole

di

danzatori, legati sinora dalla guerra,

senato di

il

non avere ancora ordinato la supplicatio. Le parole un


po' vaghe di Dione LI, 19, 4, o); [iiyxoi xal let^vswia aiv
(cio

Antonio)

Tcpoae'jiyjcpaavio

Itt'j^ovto...,

Ka-'iap:

xxl

non dicono chiaro, se il sela morte del traditore Anfesteggiare


ordinasse
di
nato
anche quella della nemica Cleopatra. Le due
tonio
notizie devono essere giunte a Roma quasi contemporaringraziamenti agli dei fosneamente; probabile che
sero offerti per ambedue. Ma le parole che seguono subito in Dione, paiono mostrare che la prima ipotesi quella

atecpvo'jc xal fepc-ixrjVt'a;

noXky.c,

vera: xal auKo xal exepa

xec'vw vtxyj^vxa^

xo'jc

Tipxepov

o'jxs

xal xwv AY'jTtxcwv y^Ycrv

iTitv'v.ia )C

eBoaav xv yp 'Avxwvtov xal

XXou?

La

xo'j?

'Ptojjiaio'j^

xxe,

o'jxe

w; xal

abv

opx^S'.v

forma vernon era


ancora deliberato (l); quelle parole non contengono per
un rimprovero, come non lo contengono lo triimiphe, tu
morars aureos currus et intactas boves. Anzi col il trionfo

a-f? eu' axolc iov.

wvjxaaav.

bale in tempus erat mostra che

scelta della

lectisternium

il

ancora incerto, la supplicazione qui certissima.

Ma

a chi

rivolge queir invito

quale pio

cerdotale

danze

si

Neil' antica

sodalizio

quale collegio sa-

doveva eseguire quelle

Roma come

in

cerimonie di sup-

hanno spesso
una schiera di fan-

plicazione cos in feste di ringraziamento

danzato o solo cori


ciulle dall'

eh'

di

una

(1)
(p.

origine greca,

In ci
14).

il

vergini

parte, di giovinetti dall'altra. Questo rito,

207 e durava ancora

LER

di

CoRSSEN

al

(p.

fu

introdotto

tempo

in

di Orazio,

Roma
come

18 8gg.) ha ragione contro

gi

nel

fa vedere

il

Bl'che-

-olii

carme secolare

meglio

commentar ium

il

scoperto alcuni anni sono

(1).

questa festa

di

Ma puhanda

tellus

non

si

addice bene a tenere vergini. Nella descrizione della pi


antica
reste

di

tali

pompe,

menzione

cesserunt la

fune,

che aiutava

vocis

manus

37, per

pulsu pedum ynodidantes in-

delle dolci voci femminili

della

le

vergini a prendere posizioni gra-

l'

impressione di arte singolare, alla

dando

ziose, toglie,

XXVII,

Livio

in

data virgines sonum

parola pidsus quel certo che di greve che essa forse contiene.

che pidsus com'anche pellere molto meno


che dipinge subito alla mente la pesante

pulsare,

di

Roma

danza religiosa della pi antica


Italia,
i

tripudium

il

ma

Salii

anche per

questo

di

quest'espressione

ma

(2),

Non

Fratres Arvales.

usano spesso

sodalizio

e della pi antica

tripudium attestato non solo per

Il

gi la

loro

solo gli atti

forma verbale

nella

antichissima can-

comando triumpe. Per ne certo


che prima di Azio Augusto risuscitasse a nuova vita
questa fraternit estinta gi da lungo tempo (3), ne vetilena contiene spesso

il

diamo mai ch'essa prendesse parte a feste di ringraziamento e i frammenti conservati dei loro Acta sono tanti
e cos diffusi che in questo caso perfino Vargumentum ex
;

WissowA.

(1) Cfr.

Relig.^,

426;

Dikls,

SibylUnischc

Blutter,

passim.
(2)

Anno

91 succinti nacerdotes carme diceuies tripodavenitit

218 Carmen descindentetf tripodaierunt


(;on

stesse

sicurezza nel nuovo frammento in Klio,


(3) Il

si

le

frammento pi antico
Benndorf, 283 sgg.)

era infatti

jjfi

ponti/ex. Se

il

membro

36, nel quale

1902,

p.

il

nome

Bormann ha
di

anno

suppliscono
277, 11.

dove

supplito {Fest-

Domizio Calvino, che nel 21

del sodalizio e che fu imperator e per giunta

supplemento

HORMANN ha

il

II,

si

del 21. Nel titolo degli atti,

legge ancora la parola imperator,

Hchrifi fiir

parole

come

pare,

giusto,

il

sodalizio,

come

osservato, non pot essere costituito ]>rima dell'anno

Domizio acquist quel

titolo.

52

ha grande valore. Invece la funzione principale


dei Salii consisteva appunto in una danza guerriera. E
assai bene ai loro movimenti si applica pulsare, se pure
a ragione Seneca identificava (epist. XV, 4) saltus fuUo-

silentio

Dunque n

sodali di Orazio ne ver-

niiis

e sccltus saliaris.

gini

ne fratres Arvales sono qui invitati a ballare

ma

della vittoria,

non

se

danza

Salii.

sommamente

Quest'interpretazione sarebbe

anche

la

fosse

verisimile,

qualche modo confermata dalla

in

mine Saliaribus ornare pulvinar


seguente
deorum tempus erat dapihus, sodales. Pulvinar nome coproposizione

stante

del

lettisternio

degni dei

manicaretti

dapes.

Ma

qui dove

sioni proprie un'

contesto, significare o

al

Salii

o lo

stesso che Saliorum

parla di azioni sacrali, tra le espres-

si

immagine presa appunto

cui quelle espressioni proprie

meno che

dapihus pu, conside-

Saliaribus

rato di per se senza riguardo

incomprensibile.

dalla cerchia a

riferiscono, sarebbe

si

Dunque

Saliaribus

poco

= Saliorum.

Noi non sapevamo che i Salii, collegio sacerdotale davvero romano, avesse parte neW Achivus ritus dei lettisterni.
Ma, per quanto ci permette di scorgere la tradizione, assai

frammentaria e manchevole in questa materia, il letha preso il posto di un rito simile italico, del-

tisternio

mangiavano non gi
come gli uomini
nessuna meraviglia, quindi, se, quando le tra-

Vepulum, nel quale


distesi

italici (1)

dizioni nazionali
inestricabile,

anche

gli

ma

su cuscini

si

di

italici

seduti su

confusero con

Salii

furono

ai letti di divinit

sedie,

groviglio

le straniere in

ammessi a prestar

servizio

greche.

Cosi spiegata la prima strofa. Essa prende le mosse

da Alceo,

ma

trasporta a

Roma,

(1)

WissowA,

gi la seconda

met

del primo verso

sostituendo istituzioni

Rel.^,

romane

ci

all'espres-

422 sgg.

53

una gioia che a un Romano libero e bennato


doveva sembrare indegna il lettore romano si sar accorto del mutamento. La seconda strofa riprende il motivo accennato gi dal nunc del principio, ma cita a un
tempo un poeta romano, proprio come in Nnllam, Vare,
sacra, tranne che il poeta questa volta non un antico
sione di

ma

Orazio stesso. Antehac nefas depromere Caecuhum cellis


avitis riprende il motivo di Quando repostum Caecuhum ad
tecum

dapes....

festas

bibam

sub

domo,

alta....

nessuna casa conviene

delle cellae avitae, della cantina ereditata


al

Maecenas,

beate

meglio

la

dagli

menzione
avi, che

palagio del nipote di favolosi re etruschi: vietare laetus

Caesare l'opposto di

dum

funiis et imperio parabat

essa

Captolio regina dementis ruinas

finche la regina fosse in vita,

non avrebbe mai rinunziato a tentar con ogni mezzo

Roma e dell'impero; solo


Roma la sicurezza. Ne

la distruzione di

sua morte

la

poteva restituire a

Cesare pot

vantare vittoria prima del giorno in cui ridusse Cleopatra


in

suo potere

sciolto.
si

(l)

poeta

Il

accorgesse
nel

riaccenna

il

(1)

(p.

Come

contaminato cum

Le obiezioni

del

mutare nell'epodo
vino

al

Corsskn

(jrege

ip.

va;j;a

si

l)cve a sorsi

della vittoria.

il

lettore

il

l'epodo suo
il

principio,

secondo periodo

turpium morbo vrorum

19)

contro

il

spa-

Frikorich. che

il

mente, a quest' iuteritretazione

Caecuhum del

di

Corssen propone

Il

36, perch

v.

Ma

il

v.

riserba

in ([uesto seCecnbo
medicina contro il mal di mare meire

giorno della vittoria.

condo passo una specie di


detto con squisita i)roprict
ora

Orazio era

pensiero che espresso da Romanus....

Ili) ha pensato, sia pure

<liiesto

di

in principio egli cita

antehac nefas mi paiono di non molto conto.


di

voto

dire cos, citava

secondo periodo parafrasa

dell'epodo

il

dato ogni cura, perch

ch'egli, per

dell'anno prima.
cos

allora, solo allora


si

>

il

^cl'r.

per frenar

la

UCciiki.kr, 13)

nausea, scorrer a

<|uesto vino, che


risi

nel convito

54 -

donibus servire rugosis potest.


periodi dell'

uno

appunto

due periodi

dell'altro

riscontri tra due


carme sarebbero

arra sicura delle intenzioni di Orazio, se di arra

bisogno

per

come

un fatto cosi naturale,

Orazio richiami alla memoria del lettore

ci

fosse

che

quello

la bella poesia,

composta un anno prima, era certo gi divenuta


si meritava, ch'egli, ora che i sentimenti
dei Romani, oscillanti fin allora tra l'ansia e la fiducia,
si sono convertiti in pura gioia, ricordi come gi abbia
che,

celebre quanto

imprecato all'onta e affrettato col desiderio

La menzione

della regina

dei suoi

la vittoria.

eunuchi

ritra-

sporta Orazio nella cerchia dei ricordi. Essa rimase fino


air ultimo

La

qiiidlihet

impotens sperare fortimaque

(ulci ehria.

Azio ha non pi che diminuito la sua


temerit pazza, minuit parola bene scelta, perch mostra
che essa sino all' ultimo non si era piegata alla rinuncia
saggia ma vile, parola che fa gi pensare al nobile suicidio. Ne le similitudini frapposte della colomba insesconfitta

di

guita dallo sparviero e della lepre che fugge dinanzi


cacciatore abbassano la figura di

e al cacciatore somigliato non un

Cesare.

Quel giorno

ella

conobbe

intendere quanto pi grande di

lei

che

lei,

uomo
la

fosse

al

allo sparviero

qualsiasi

impar a

realt,

Roma

ma

ma

l'av-

non durarono
a lungo. Essa si fece coraggio e si prepar alla morte
fortuna dulci ehria, e, peggio, mentem lympkatayn Mareotico {) suonano scherno; ma fatale monstrum, collocato

vilimento,

timores, veri timores del resto,

(1) Si

phata,
il

ma

aspetterebbe piuttosto

diilci

Orazio ha qui scambiato

WiLAMOW'iTZ

(nel

commento

all'

merosi esempi nella poesia greca,


di

romanzi francesi moderni

Orazio.

Mareotico eiria e fortuna lym-

gli attributi in

quel

modo

di cui

Eracle v. 883) ha mostrato nu-

latina,

tedesca e fino nella prosa

per la poesia latina fornisce esempi solo

OD

un periodo lunghissimo

COSI in fine di
strofa, indicano

che

del poeta di

un

seguitasse dopo
rare che

sentimento,

il

la

non

xxO-avs MjpacXo;.

non certo esaltando

come Alceo

so

ma

valore e

il

di

disposizione di animo

tratto mutata. Io

^-^'.r^

e in principio

pu giu-

si

coraggio

il

di

Mirsilo dinanzi alla morte. Se ne avrebbe avuto ragione,


non so so che i suoi sentimenti cavallereschi non giun;

gevano a tanta finezza. Orazio ha voluto mettere in luce


che egli non odiava pi, morta, l'invisa nemica del popolo
romano, la regale cortigiana eroica. Al cittadino romano
dal tempo degli Scipioni in gi sensi di umanit vietano
di alzare il selvaggio grido di gioia sul nemico caduto.
Il traditore Antonio non , invece, neppure nominato.
Le strofe seguenti non presentano difficolt storiche
insuperabili per chi interpreti precisamente
regina

dementis ruinas....

tempo

sino alla morte; minuit furorem

in

adurguens.

veros
Il

dnm

si

Capitolio

(1) tutto

riferisce

il

ad Azio.

soltanto mentemque lymyhaiam Mareotic

Pu imbarazzare
redegit

parahat comprende

Caesar ab Italia volantem

timores

Corssen

24

(p.

con adurguens, vorrebbe

remis

che congiunge ah Italia


tutto il luogo al passaggio

sg.),

riferire

Cesare e della sua flotta da Brindisi in Grecia, che


secondo lui avrebbe costretto Cleopatra e Antonio a ridi

tirarsi

nel

golfo

si

Ambracia, rinunziando

di

disegno di assalire

l'

accorda per con

neppure asserire che


tutto chiaro.

(1)

Italia.
le
il

Non

nostre fonti, e non

senso

delle

sue

ma

a torto,

il

Corsskn,

il

si

potrebbe

parole

bens vero che Antonio, se

Diversamente,

a qualsiasi

tutto quel ch'egli dice,

20.

sia

in

si

d retta

Una

simile

espressione anche in Dione, L, 5, 4, jture di Cleopatra ttjV s'Jxtjv xir.v


laeyiafyjv, nxe xt |Jiv'Joi, TiotscaO'at x v x KanixwXio Stxxaai. Se ne

induce che voci intorno a un tale proposito della regiua correvano


veramente in Roma in quel tempo. La frase fu coniata dapprima pt-r
i

Galli,

come mostra

il

NoRDKx.

Kitnius n.

Veifiius,

107.


a Dione (L,

I),

2),

56

gi nell'anno 32 fece rotta verso l'Italia;

ma anche secondo quest'autore, non appena giunto a


Corcira, avendo ricevuta notizia che navi romane incrociavano all'altezza dei Ceraunii, convinto che tutto il
naviglio di Cesare avesse compiuto la traversata, meninvece

tre

una piccola parte

solo

subito

della

flotta

si

era

Patrasso,

mossa
dove svern. Caesar ah Italia remis adnrguens non si
accorda dunque bene con il passo di Dione, il cui vadall' Italia, risolse

lore

storico

del

di

dubbio. Di

assai

resto

ritirarsi

tentativi

of-

non
fanno cenno, e quel che sappiamo degli avvenimenti che
fensivi

contro

precedettero

posteriori

Italia

a questo le

fonti

Azio, esclude qualsiasi supposizione di tal

genere. Del resto, non potendo volantem essei'e adoprato

assolutamente, bisogner congiungere con esso e non con


adnrgueis

Vab

Italia^

come

anche

d'altronde

consiglia

l'ordine delle parole. Si osservi ancora che, accogliendo

l'interpretazione del Corssen, bisognerebbe

Orazio, dopo aver gi parlato

ammettere che

della catastrofe

di

Azio,

che spezz per sempre la potenza di Cleopatra, avesse


aggiunto ancora, congiungendola per mezzo di un qtie,

anteriore che non ebbe alcuna


conseguenza. Quale importanza spettava ormai dopo Azio
a una tale ritirata, a una ritirata, del resto, che probabilmente non mai avvenuta? (1).
la

menzione

di

un

fatto

Redegit in veros timores


della regina

dopo Azio

si

riferisce .invece

(1)

mente sua

che

Kromayer, Herm. XXXIII,


est jioetarnm,

ita nt in lino

quae

fin

miseramente ad

farla signora dell' Italia

1898, 59.

considerazioni non basta l'osservazione del

eum, ut

fuga

Orazio pu dire che essa fugge

ab Italia, perch la spedizione

Azio, doveva in

alla

et locis et

couspectn omnia videres

nulla

contraj)pesftre queste

Corssen

coruprehendisse

temporibus inter
.

se distarent,

oiper Cleopatra, una volta vinta e distrutta

di pi facile

la flotta

di

Augusto, che compiere

e sbarcare truppe in Italia.

la

Invece,

breve traversata

sfuggendo

essa,

al

blocco e dirigendosi verso l'Egitto, rinunzi all'invasione


e

allontan dall' Italia per

si

La

ultima volta.

1'

proposizione che segue alle parole fatale monstrum

non presenta

difficolt,

se

zione retorica del periodo

si

ponga mente

alla costru-

esso composto di due met;

i
di due membri
membri
due met si corrispondono tra loro chiasticamente, quelli della seconda met hanno forma aggettivale. Una proposizione participiale, comune alle due

ciascuna met, alla sua volta,

(bh'

ce')

met

delle

(a),

apre, un'altra aggettivale chiude

il

segue ancora una proposizione participiale

periodo
[d)

(a');

a guisa

di epilogo.
a)

quae geuerosiiis perire ((uaerens

6)

nec mnliebriter expavit enseiii

e)

nec lateutis classe cita reiiaravit oras,

e')

ansa et

b')

fortis et asperas tractare serpentes, ut atruiu corpore

a')

deliberata morte ferocior,

rf)

saevis Liburnis scilicet iuvidens prisata deduci su-

iacenteiii visere

regiam voltu sereno,


[combiberet veneimui,

[perbo non

an

parlano della sua intenzione

mente

del suo stato di animo,

solto di morire
ce

linniilis niulier

hb'

di

trinnipho.

morire e rispettiva-

una volta che aveva

ri-

del suo coraggio dinanzi alla morte;

della sua tenacia intrepida nei propositi formati.

Gli

anelli di questa catena sono saldati cos bene tra di loro


che non lecito riferire alcune proposizioni a un tempo
diverso da quello delle altre.

Nec muliebriter expavit ensem non pu, vero, riferirsi,


gi il Corssen (p. 25) ha osservato, al tentativo di
trafiggersi con un pugnale, che Cleopatra fece subito

come

dopo

morte

la

ordipe e in

perch

Antonio, quando Paculeio l'arrest per

di

nome

in poesia

58

di

Cesare (Plutarco,

non

si

Atit.

79); non gi

possa dire spada per stocco,

ma

perch ciascuno che legga senza convinzioni preconcette


nec muliehriter expavit

Non temette
femmine . Ma quelle

ensem. intender:

combattimento, come sogliono le


si adattano anche meno bene alla battaglia di
Azio. Le strofe precedenti mostrano che anche per Orazio
Azio solo, per cos dire, la svolta che essa non aveva

il

parole

ad Azio ancora ragione di cercare la morte (perire quaerens). Si aggiunga che. avendo Orazio gi narrato la fuga

dopo quella battaglia, tutto ci che segue al quae deve


designare un periodo posteriore della vita di Cleopatra;
qual altro se non la resistenza ultima in Egitto contro
il Cesare vittorioso ?
Cleopatra non ha tradito Antonio
al
vincitore, ha combattuto, senza timore
n si arresa
delle spade nemiche, fino
parranno ancor pi belle, se

all'

ultimo

(1).

Quelle parole

sia lecito credere

che Orazio
che cor-

in esse fa fronte a voci, chi sa se vere o false,

revano gi a quel tempo e sono state raccolte da Dione


e da Plutarco. Secondo queste Cleopatra avrebbe dopo
la battaglia annodato trattative segrete con Cesare all'

insaputa

vincitore

il

di

Antonio

e tentato

suo non gi drudo

ma

anzi di

consegnare

al

marito legittimo (Dione

4; Plutarco Ant. 72), avrebbe a bella


posta fatto cadere Pelusio nelle mani del nemico (Dione

LI, 6,

5;

1,

Plutarco Ant. 74), avrebbe ancora una volta


Antonio nell'ultima battaglia (Dione LI, 10, 5

LI, 9, 5
tradito

8,

Plut. Atit. 76).

Orazio ricusa di prestar fede a queste

calunnie, vuol credere che la regina, non intimorita dalle

armi nemiche,

(1)

sia

rimasta sino

all'

ultimo fedele

Bene, quantunque non iu tutto esatto,

il

Friedrich

al

suo

(p. 113).

Antonio

59

ferma nell'odio contro

Roma

tutto era perduto, abbia cercato la morte

E
oras

cos

pure col suo nec

poeta

il

voluta

fuggire

non

oppone

si

in

terre

(1).

lafentes classe

alla

quando

poi,

cita

reparavit

voce che Cleopatra fosse

lontane,

nei paesi

sogno.

del

che essa abbia trasportato le navi di


l dall' Istmo, che da Antonio le sia stato impedito di
far vela verso l'Arabia . Di un tal disegno narra Plu No,

vero

Mar Rosso

tarco {Ant. 69); che essa volesse rifugiarsi nel

Ispagna,

in

noto a Dione (LI,

6,

quale rac-

il

3),

conta che anche Cesare ebbe sentore che Cleopatra dise-

gnasse navigare con Antonio verso

la

Spagna

e incitare alla rivolta queste province (LI,

o la

8, 5) (2j.

GaUia

chi

non abbia anche avuto notizia della


tradizione raccolta da Dione (LI, 10, 4), secondo la quale
Cleopatra avrebbe rattenuto Antonio ancora dopo 1' ulresti della flotta verso
tima battaglia dal far vela con
la Spagna ? Dione attribuisce l'operato di lei a tradimento Orazio, se ha creduto alle voci che correvano, lo
pu

dire se Orazio

crede frutto di tenacia nei propositi.

Anche

di

le

parole

qui al periodo

seguenti confermano che Orazio allude

tempo immediatamente seguente ad Azio, quand'ap-

punto essa tent di trasportare le navi di l dall' Istmo


di Suez. Ausa iacentem visere regiam voltu sereno, descrive
il suo primo ritorno
al palazzo avito dopo la battaglia
di
(p.

Azio,
112).

(1)

forse

come ha minutamente dimostrato


Giunta

Al mio assunto

disposto che

Groag

non

non impoitii
lo

si

XIV, 1914, '

{h'iio.

il

Friedrich

in Alessandria, essa os, sconfitta, rive-

stabilire,

se

Ottaviano abbia

impedisse di uccidersi,
gg.).

cunie

crede

il

interpretare Orazio occorre solo

tener presente la versione ufficiale.


(2)

intendere cos, quasi come una smentita,

ingiustificati

dubbi del Fiukdiuch

(p.

IH

sg.).

il

passo, appaiono

dere la reggia da cui era partita fiduciosa nella vittoria,

senza sentirsi per ci umiliata. Resist senza disperare,


non gi si rifugi in terre lontane quale una femmina
fantastica.

La

poesia

assomma

si

nell'esaltazione del-

e finisce

morte che

l'orgoglio regale, che accetta piuttosto la

vita oscura, che la

vergogna

di figurare

la

bottino nel corteo

del trionfatore: saevis Libnrnis () scilicet invidens privata

deduci superbo non humilis mulier trinmpho. Triumpho sta


isolato

alla

fine

non

frapposto

tra

esso e

humilis mulier.

badiamo a quella parola,


bito,

come

si

suo attributo superbo

il

Orazio

ricordava l'antico lettore, di

moraris aureos currus

et

da noi che

esige

e infatti noi ci ricordiamo

intadas hoves.

su-

Trivmphe, tu

io

Ormai non

e'

pi

venuto a mancare al trionfo


l'ornamento maggiore.
(piello che ne sarebbe stato
L'ode, assai bella, presenta tracce d' immaturit giovenile (2), non tanto nel trattamento del verso che pure,
ragione di indugio

solo

come abbiamo osservato sopra

30),

(p.

che, quanto nella composizione

nel

non

senza pec-

periodare troppo

Il carme prende le mosse


da un verso di
Alceo per passar subito ad istituzioni specificamente romane; in tre passi diversi esso vuol richiamare alla memoria un'altra poesia di Orazio esprime un mutamento
di disposizione di animo, che in Alceo si cercherebbe
invano, espresso cosi che la differenza salti agli occhi.
Anche i periodi sono straordinariamente complicati. Per
lo pi, quando gi sembrano dover finire, sono continuati

complicato.

(1) saevae

trasportare a

souo

Roma

le

ch non lasciarono un
la

Liburne, nou solo perch' esse avrebbero dovuto

Cleopatra prigioniera,

momento

ma

altrettanto e pi per-

di pace a lei e ad

Antonio durante

fuga (Plut., Ant., 67).


(2)

Cos pare abbia giudicato anche

rum quae

il

Bucheler

in tres libros digestae sunt, videtur

prima

haec ode ea-

fuisse

p. 14).

da

participi

proposizioni
pitolio

t]

reggono

aggettivi, che

nuovo

di

antehac nefas depromere Caecnbum,...

regina....

ruinas parabat, quidlihet

fortunaque dnlci ebria.

Le

intere

dnm

Ca-

impotens sperare

parole seguenti sed mimiit fu-

rorem vix una navis sospes contrastano piuttosto con

l'ul-

tima proposizione participiale del periodo precedente che


con la principale. Similmente in quest'altro periodo, allorch la proposizione principale redegit in veros timores

par gi completa,

ab

participi

ai

volantem

Italia

remis

adurguens vengono ancora aggiunte due proposizioni comparative e una finale. Costruzioni participiali e aggetti-

nuovo cornice al periodo prossimo, che


sua volta continuato, com'abbiamo veduto, da un
fanno

vali
alla

participio

triamo

di

e nella

proposizione che ne dipende, incon-

nuovo due determinazioni nominali

di bel

zione di attributi del soggetto, anch'esse

come

il

fun-

participio, in nominativo. L' intenzione di scrivere

Uno sguardo

in stile alto evidente.

come

in

naturalmente,

Romano xwXa

al

brevi

aVOrator (1) mostra

facessero

l'

impressione

di

pugnali che scintillino un attimo dinanzi agli occhi, un


periodo lungo costruito con maestria quella

di

un

edificio

maestoso.

La maniera

oraziana

far

di

dipendere da aggettivi o

participi intere proposizioni infinitive

mira a formare xwXa

lunghi, che secondo le teorie dei retori conferiscono allo


stile

come Demetrio spiega chiaramente

\ieyzd-0Q.

(1)

quam fortunaa

oportet,
el.

13,

Depretaam,

hrevitas faciet
1)

oixEv....

Cap. 44

Xsw? KoaiwTiv

caecam, iacentem

tua aestimasti

Tipicpspecs ozyoLz
(2)

224 Deinde omnia lamquam crepidint qnadam comprtheusiotie lou-

giore guetineniur.
et

(2).

ipna

Nam

liberiores

x ;:spLo5ix

i his

pedes.

xXa

-coij

domum

pluria quatti

quihus ut pupiuncuUs

Siiiiiliuento
X'-d'Oii

te
itti

Demetrio (de

zoic dvxepsiSo'jat t;

xal 30vxoo3iv.

xwwv

'ny9-&j- x yip

si; xXov Ppax'") xaTao|iixp'Jvi xV^v

xoO Xyou osiivxTjxa.

Tiots

8 xai x

\iy]V.ri

tcv

62

non sar neppiir caso che il xwXov ultimo di solito il


pi lungo ma dimostrer invece che Orazio era seguace
di una teoria che Demetrio espone e l'opera pseudoermogeniana Ttept eupaeojc; combatte vivacemente. Demetrio
;

insegna (cap. 18)


xAov [xaxpTEpov

auvOiToc?

xcdc,

Ttepioocs

TsXe'jxalov

ypri efvac xal oinep Tiep'.ycv xal m^'.z'.Xrf^Q

ouTW yp jAeyaXoTipsuT]? eaxao -/a; aejxvr; -epi'oSo; eJi;


asjxvv xal |ji,axpv Xyjyouaa xtoXov
5 [X7j 7ioxxo|j.[XVT) xal
zlXa.-

-/^

XwXfj

{i,o''a

(1).

Lo pseudo-Ermogene

Rabe), sentenzia severamente


Tf^?

{de inv. IV, p. 179, 1

xoyiac oh ^y^iopoc, xrjv

TceptSou ijiaxpoxlpav Trooyjaat

Tf;(;

Che Orazio abbia dunque

ricercato a bella posta tali

peculiarit nella formazione del periodo, pare a


e l'orecchio dice

che

me

certo

Demetrio e non quella


giusta. Non si deve imputare

la dottrina di

pseudo-Ermogene

dello

uoatv

Txpoxaewg (2).

la

ad assurdit della regola, se

periodi sono in questa poesia

uniformi, faticosi, piuttosto troppo carichi che solenni e


se

preponderare delle determinazioni nominali impeche abbia rilievo ci che pi importa; ma se ne

il

disce

deve piuttosto dar colpa ad eccesso giovenile di zelo nel


difficile, che lo impaccia ancora nel maneggio dei mezzi tecnici. A quelle regole
Orazio ha tenuto fede, ma la sua tecnica anche quanto
al periodare divenuta ogni giorno pi perfetta (3).
poeta, fors'anche al metro

per

contrario nelle prescrizioni

il

ysiv v T^ auvO-asi to

ya-<^'^v.'^ripoc,

sul

genus

tenue (cap. 204) cpsu-

to'jtou 7ip)xov [lv x

yp nv [xf^xo?.
(1) Cfr. anche 206 xai "^p xax

[it^xtj

xtXwv

xtv

IieyaXoTTpsTisg

x xsXsuxaa xxasig

(jLsyaXo-

7rp7CE$.

(2)

L'Ermogeae autentico

pio della sua tSa del xaXog

membri sono brevi tranne


(3)

cita

{de id.,

periodi

307,

21 K.)

come

domostenici, nei quali

esera-

tutti

l'ultimo.

Die romisclie Poesie verdankt ihre Ausbildung der genaue-

was der poetischen Rede ziemt, wahrend die


zum Ausgang der Republik schwaukt zwischen Poesie

ren Eicbtuug auf das,


alte Poesie bis

Nelle odi del

IV

(33

libro egli

ha raggiunto l'apice anche

di quest'arte.

Giacche l' interpretazione di quest'ode riuscita aslunga che non avrei desiderato, sar opportuno
riassumere brevemente quel che pi importa ai fini della
sai pi

muove da un verso di Alceo, ma


primo verso ne riconduce subito nella Roma augustea, conforme a quella tecnica che abbiamo gi osservato in I, 18. La seconda e la terza strofe citano un
nostra ricerca. L'ode
gi

il

carme romano, non per

La

di

un antico

ma

di

Orazio stesso.

sesta strofa e le seguenti sino alla fine ci mostrano

un mutamento
Cleopatra,

il

nella disposizione di

animo

del poeta verso

quale certamente contrastava assai col tono

della poesia di Alceo.

La

parola ultima, posta in rilievo

con arte che par quasi eccessiva, richiama ancora una


volta alla mente l'epodo. L'ode giovanile mostra raffinasoverchia

tezza

nella

tecnica

del

periodo

il

possesso

della metrica ancora imperfetto.

IV.

L'inno a Mercurio

Le poche osservazioni

I,

10.

incidentali del Reitzenstein (1)

su quest'inno mettono cos bene in rilievo


senziali di esso

le qualit es-

che non occorre ormai se non

di

formulare

und Prosa. Solche langen Periodeu, wie Lncrez, I, 930-950, siud eben
der Prosa angeniessen, nicht der Poiisie. Nodi Catnll bat am Anfau<j
dea Gedichtes auf das Haar der Herenike eiiio.... lauge Periodo .
Trascrivo queste belle parole di Moritz Haupt dal commento del
NoRDEN al VI deli' Eneide (p. 369). il Norden vi aggiunge P osservazione

cbe Virgilio ba di rado periodi

quattro esainetri,
grandi opere
costruisce
(1)

ma

di arte,

membri

che sorpassino la misura

che egli sa fare anche di


diflerenziando

e periodi

membri.

periodi

Orazio in quest'ode

troppo simili tra loro.

Zwei religionegeachichtliche Fragen, 69'.

di

pi lunghi

(i4

pi precisamente alcuni particolari. Alceo aveva scritto


un inno a ilrmete nello stesso metro. Quanto fosse lungo,
non possiajno dire; la misura dei carmi rinvenuti ora nei
papiri fa supporre che l' inno di Alceo fosse altrettanto
breve quanto quello di Orazio. Te canam corrisponde
bene alla formula che Alceo ha preso dagli inni omerici

come

e introdotta qui
o

|Ji0C5

o Y^'P

yvvaTO KpoviSa

[J-oc

in parentesi (fr. 5)

B-OiJiog

fjLvrjV,

{jLyetaa 7;a[i,paa''Xr^i.

y.atps

KuXAava;

xv xop'rfat; Iv a-jiac?

Mala

Sebbene Pausania ne

in-

formi che Alceo aveva anche cantato del furto dei buoi,

da questa coincidenza di Orazio con esso non possiamo


conclusioni, perch quest' avventura apparteneva
al nucleo fondamentale del racconto dall'inno omerico
in poi. Altre somiglianze con frammenti conservati non
trarre

si

riscontrano,

ma

la somiglianza del principio rincalzata

dal metro bastava a richiamare alla mente del colto lettore

romano

la poesia di Alceo, a indurlo a riprenderla

in

mano

in

modo

singolarissimo

ad esaminare a che Orazio mirasse, costruendo


cos diversamente la sua ode.
Kiessling-Heinze hanno osservato a ragione che la
composizione di Orazio si attiene alle regole scolastiche
suir ETtacvo? ^ejv, che noi leggiamo nello Pseudo- Alessandro (II, 558 sgg. Spengel). Ma la parte che nel retore
non a caso tiene il primo luogo e che infatti non manca
mai nei modelli pi antichi, il yvo?, trattata da Orazio
:

Mercuri^ facunde

Alceo aveva cantato non


glio di Zeus,
le

nipote

non tralasciando

di

di

nepos Atlantis.

Atlante

uomini

all'uso

sia di, di

ma

fi-

il

menzionare minutamente

circostanze della nascita. Orazio invece non

per nulla

si

il

si

attiene

consueto agli antichi nel pregare sia

aggiungere

rivolgono parole supplici,

il

nome della persona cui


nome del padre. Anzi egli

al

non tace, che Mercurio figho di Giove lo


invoca magni lovis et deortim mmtium, non gi fliiim. Per

vela, se pur


il

Titano egli ha pi riverenza che

per

il

agli
il

(55

uomini
di

figlio

ragione e

la

Giove.

il

rOhmpio, pi

vivere sociale, che non per

fratello

Il

Orazio non solo

quale fu sin dall'origine,

e.

16,

13

particulam

Prometeo, per

di Atlante,

benefattore e

il

nit,
I,

per

rampollo della stirpe antichissima che ha donato

il

protettore dell'uma-

ma anche

il

suo creatore:

Prometlieus addere principi limo coactus

fertiir

undique desectam. Questa

concezione

per noi la prima volta in Eraclide Pontico

(fr.

spunta

25 Voss).

Ma

per Filemone (fr. 89) gi leggenda notissima che


Prometeo abbia foggiato uomini e bestie. Chi oser dire,
quando i vasai del Ceramico abbiano attribuito all'avo
vasai la creazione non solo della femmina ma
di tutti
dell'uomo in generale (1)? La testimonianza non attica
pi antica per noi in Callimaco, che accenna a questa
tradizione come a un racconto proverbiale (fr. 87. 133).
i

Dall'ellenismo in poi essa appartiene alla vulgata mitografica (2). Orazio spiega scherzosamente la sua irosit con

un pezzetto

che Prometeo avrebbe ficcato nello


stomaco del primo uomo gi Filemone aveva dato a Prometeo la colpa della variet dei xpTioi degli uomini (3).
Orazio avr considerato Atlante, che le persone colte
dell'et augustea imparavano dalla mitologia avere inventato r astronomia (4), anche come un benefattore deldi leone,

(1) Cfr.
(2)

WiLAMOwiTZ,

Come provano

Aisohyloa,

passi

115.

raccolti

iu

Puei-lkr-Iobkkt,

I,

81*,

che tuttavia uou sono col disposti nell'ordine giusto: Menaudro narra
Kolo la creazione della donna.
(3)
<li

Siccome questa tradizione pii iintica di Orazio o gi. prima


poeti ne hanno l'atto uso per risolvere (jucstioni pii o

lui altri

meno

serie o scherzose,

LiNG {Fhil. Unlers.


cenate.

La forma

II,

non

iia

ragion di essere

l'

87) che Orazio pensi (|ua al

forse in parto determinata da

ipotesi del IviKss-

Prometeo di Meimitazione di Lu-

crezio, III 29f sgg.


(4)

passi

dello

fonti

soiki

raeeolti

dal

Wkknuki:.

/'.

II'.,

II.

m
rumanit, e dal punto di vista degli uomini del suo tempo
avr avuto ragione, perch la conoscenza del cielo serve
all'uomo comune specie a

come

fini

pratici,

anche

il

L' Interpolator Servii ci narra (Aen.

I,

al calendario,

asserisce

all'agricoltura e

proemio di Arato.
741) che Atlante

insegn l'astronomia non solo ad Eracle, com' tradizione comune, ma anche a suo nipote Mercurio. Non po-

tendo questa notizia essere attinta ad Orazio, giacche


questi accenna soltanto quel che il commentatore narra
per disteso, verisimile che essa risalga a fonti pi antiche e che ad Orazio essa sia gi nota. Mercurio secondo
lui

aveva trasmesso

ai

mortali

Chi abhia letto con attenzione


il Mercurio

doni di suo nonno.


le

sar gi accorto che

nostre osservazioni,

di

si

Orazio diverso dal

dio di Alceo; in altre parole, che perii lettore romano,

che conosceva bene Alceo, il vecchio dio del Lesbio doveva far da contrapposto al dio nuovo, che piuttosto
Titano che Olimpio, e metterlo cosi in maggiore rilievo.

La seconda

strofa

conferma questo modo d'intendere


hominum recentum voce formasti ca-

l'ode: qui feros cultus


tus et decorae

centum,

appartiene

more pcdaestrae

fanno

che
a

sempre

(1).

Le

pi

spiccare

parole hominum re-

che Mercurio

una generazione pi antica di divinit,


non senz' intenzione, con la bibbia della

contrasta, certo

teologia ermetica, con

l'

inno omerico, secondo

il

quale

pargolo divino incontra gi nella sua prima spedizione


notturna un vecchio vignaiuolo. Mentre secondo l' inno

il

il

genere

umano

tichi del dio,


il

e l'agricoltura sarebbero

ancora pi an-

Orazio pare invece supporre che Mercurio,

precettore dell'umanit, sia nato prima di questa. Gi

2125.

La

tradizione del resto cos diffusa che la conosce perfino

coltissimo proletario Vitrnvio (VI,


(1)

7,

l'

in-

6).

L'epigramma CLE. 1528 deriver proprio

dalla nostra ode.

67

primo verso accenna quale attributo convenga a questo


Mercurio facunde nepos Atlantis, dove faciindus sar traduzione di lrj'('.oc. Ermete quale dio della parola ha gi
il

avuto qualche parte nelle speculazioni platoniche, ma


al culto e al sentimento religioso dell'et pi antica. Il Socrate del Cratilo (408 a sgg.) premette all'eti-

ignoto

mologia del suo nome, che vien derivato da etpscv \.-i<i'xzo,


un tal proemio, che bisogna indurne che Platone deve
costruire per la prima volta
di

un dio

del

'>^rj^(oc,

(1)

concetto ignoto fino allora

il

ci

che non imped pi tardi

ai

Hermes

si

teologi, nell'et in cui nell'Egitto ellenizzato

era gi accostato assai a Thoth, di adoperare questo passo

testimonio pi antico (2) della fusione

ai fini loro. Il

(3),

Ecateo di Abdera, vissuto ancora sotto il primo Tolomeo. Nella sua teologia egizia, che conservata in Dio-

elvat xai x ar^^&ko^t

yois xat

xci

Reggio

Tif-pl

Eitukm

(F.

lo scolio

Omero K

fnsamente come siano da spiegare


:

o'zoc,

svai i 'Ep|i.r,5, xai. t

ti

[lv

o5v

zokoc.

npaYfia-

Ermete con il Xyos, madopo aver esposto difdei, asserisce in ge-

pxalog Tidvu

&iiQAoy:oi.q

esaYsvouc; xo 'Pyjy^voo, og npjxos Ypa'{/

i\

67,

nomi degli

a-Jxyj

Vili, 782) che gi Tea','eue

fT'.,

2 Diels) abbia identificato

(fr.

lissimo fondata

nerale

Xycv

xal x xXenxtxv xs xai x TtaxrjXv v

Yopacc^xv uepl Xyou Suvaniv oxi uaa

xeta. L'aft'ermazione dell'

di

eowe

Tox Y

(1) dcXX [ivjv


piJLYjva

mpi

'(>|iy,po')

cv

xai n

xxi. Qni viene

Teagene solo l'uso dell'interpretazione allegorica.


L'inno orfico 28, in cui il dio detto non solo YX(uO(3r,j Seivv uXov e XYoo ^VYjxolot Ttpocpi^xr^g non certamente anteriore all'ellenismo, e l'ambiente pergameno. nel quale fu composto, sub inattribuita a
(2)

flussi egizi; cfr.


(3)

ora Kern, fenethliakon, 87

Certo gi

pi antichi tra

avranno identificato
Hermupols dato alla

Thoth

poterono

influsso

esercitare

Herm..

XLVI,

1911, 431.

Greci, che visitarono

Hermes, come mostra anche

citt sacra di ThotJi

r Egitto divenne un centro


cosmico.

sulla

religione

ma

Egitto,
il

nome

non
non quando
XYOC un concetto

(pieste relazioni

greca, se

di cultura ellenica o

1'

il


doro

(1), si

celebra

5uva|Xvwv wj^zlypyx

()8

Hermes
~>jv

(Diod.

xo'.vv

P''ov,

1,

16) per l'Ttivaa iwv

e in primo luogo viene

menzionata anche qui l'invenzione del linguaggio: Or


TG'j-oi)

TTjV

7rf-(T)xov

xocvfjV

Z'.'jXzv.xov

5'.ap0'ptoi)-f//a:.

che

originariamente egizia, salvo

zione

delia parola rappresentata

mocrito

(2)

plici suoni,

turale in

secondo

la

La concecreazione

la dottrina di

De-

quasi un ordinamento sistematico dei molte-

che

modo

uomini formavano per

singoli

diverso

gli

uni

dagli

istinto na-

Diodoro o

altri.

meglio Ecateo vanta poi l'invenzione della ginnastica


quale necessaria per la bellezza e l'educazione del corpo.

Questa concezione greca, perch i fellah antichi erano


moderni, ma,
altrettanto poco amanti dello sport quanto
i

trasportata in

mezzo a

pensieri egizi, rivela le intenzioni

pedagogiche di Ecateo. Questi menziona poi l' invenzione


lira, che neppure Orazio passa sotto silenzio. Essa
appartiene al nucleo primitivo del mito, ma si presta ad
essere concepita come mezzo educativo Ecateo le attridella

buisce anzi valore cosmico.

A
non

spiegare questa coincidenza di Orazio con Ecateo


e'

bisogno di supporre che quegli abbia letto o

l'opera di questo

o,

peggio,

libri

egizi.

Ed

dubitare, se egli abbia derivato dall'Egitto


curio,

non

lecito anzi
il

suo Mer-

piuttosto l'abbia gi conosciuto sui banchi

Omero ed Esiodo; che


avranno probabilmente spiegato i classici a
quel modo che usa lo Pseudoeraclito nelle sue allegorie
omeriche. La Stoa aveva fatto subito suo pr' della religione egizia di Ermete (3), che le forniva cos largo
della scuola, sentendo interpretare
i

suoi maestri

(1)
(2)

(3)

V. SCHWARTZ, P. w., V, 671.

Reinhardt, Herm. XLVII, 1912, 501.


mio proposito trattar qui della letteratura apocalittica

Non

grecoegizia, che continua questa religione nell'et imperiale

Poimandres del Reitzenstein

ora

anche

Bousset,

GGA,

(cfr.

il

1914,

<^->

campo a svolgere ampiamente


ricamare

la dottrina del yoc e

disquisizioni sulle relazioni tra religione

sottili

endoterica e essoterica. Gi Ecateo persegue

quand'anche non riesca


determinata

nome

il

facile

ascriverlo

fini filosofici,

una scuola

che nel suo epillio sotto


cant Thoth, si professava scolaro,

Eratostene,

(1);

del

Xytoc

sebbene non ammiratore,

di Aristone,

quantunque sospetto

opinioni

di

pur sempre stoico


(2). Apollo-

ereticali

di Atene, che anch' egli fu congiunto con la Stoa


da simpatie, ha trattato a lungo del Xy'.oc nei libri r.t^\
^')v (3). E l'Hermes egizio e stoico continua a portare
questo nome nei compendi scolastici dell'et imperiale,

doro

Cornuto

in

Eraclito

e in

(4)

l'ellenismo in poi l'equazione

15

94,

(p.

Hermes

sgg.)

Xc-yo;

Dal-

(5).

forma parte

costante dell'apparecchio macchinoso della teologia stoica,

non gi

di quell'egizia. Il

quinto Mercurio dell'elenco di

in

che Cicerone riporta nel terzo libro del de natura


56), ancora un mezz'egiziano, nato com'
Grecia ma bandito presto di l in pena dell'uccisione

di

Argo ed emigrato

divinit,

deorum

(III,

Cicerone,

di

H97 sgg.);

in

Varrone

clie

(in

Agostino, de

contemporaneo
civ.

dei VII,

14)

comunit del Pohnandres e tanto pi la Gnosi


Ma egli, qnand'uua volta

la dottrina e la

non hanno nnlla

Ma un

Egitto.

vedere con Orazio.

volle cantare di un 3-si; PaatXeOg acoTYJp, si ricord di Hermes, dio e


insieme incarnazione inviata dal cielo in terra, dunque dio e uomo
:

cCr.

REnzEN.STKix, Pohnandres, 176 sgg.


(1) Jacoby, /'. ir., VII, 27r)3 sgg.
(2)

(3)

'I

SCHWAUTZ, Charaktevkopfc,
La sottoscrizione y; iotopia

II,

82.

Tt^p

tw 'AnoXXocpr; dello scolio

198 non merita tuttavia fiducia, com' d'altronde noto.


(4)

20,

$ oOpavo
(5)

dise.
])iirtc

18 TOYX*v=^ ^
0'.

Kkinuardt,
XXI, 51

Hai.,
di

EpiJi'^C

XYO?

v ov noxsiXav

Tipe,?

7,(1x5

O'SoL

Cornuto.

de

draicontm

theologia,

sgg., clic riconduce i)Pro

2(5

ad

Hrlno Schmidt,
Aiiollodoro

troppa

70

equazione senz'accennare

stessa

riferisce la

all'Egitto;

cos pure gli scrittori posteriori.

Mercuri, facunde nepos Atlantis, qui feros cuHus homi-

num

recentnm voce formasti catus

et decorae more palaestrae,


deorum nuntium curvaeque lyrae
qui tutto composto di un sol getto, e

canam magni

te

parentem;

fin

lovis et

lineamenti antichi del dio

con

moderni, come

teologia

La

essi

accordano armonicamente

si

sono spesso riuniti insieme nella

sua professione di araldo

si adatta benissimo alle dottrine stoiche, sia che la parola venga in-

(1).

tesa quale espressione del

pensiero o anche identificata

con esso, come in Eraclito

(95,

15), sia

che egli

sia detto

yysXoq d-em perch noi

apprendiamo per mezzo di parole


il volere degli di, come espone Cornuto (22, 1).
Di qui
in poi per Orazio vuole tornare di nuovo a percorrere
la via maestra del vecchio mito e non esita neppure a narrare le avventure ladresche del dio; che, per quanto lo imbarazzino non poco (2), avevano radici cos profonde nella
tradizione ch'egli non poteva passarle sotto silenzio. Ma
di necessit fa virt, prendendo in ischerzo ci che non
pu tacere; callidtim quidquid j)I acuii iocoso condere furto sta
in fin di periodo come fatale monstrum, e come fatale monstrum segna un cambiamento nella disposizione di animo

del poeta.

(1)

Cos p.

ginnastica e
(26,

dio voleva solo scherzare, tant' vero che

e.

della

il

fratello

iu

Diodoro

lira,

in

maggiore non

le

ha a male

si

iuvenzioni del linguaggio,

Cornuto

la

lira

della

(25, 9) e la ginnastica

1).

(2)

Perci la maggior parte dei teologi non parla

xXuxvjg.
il

Il

fondo anche

in

Cornuto

quale yXnxst

(p.

saS-'

25, 11)

s'

6xe t^ TnS-avxYjXt xrjv Xy^'&siav,

ma

poco soddisfatto di quest'interpretazione che premette:


axo

TYjv

SuvafiLv

uapStxav.

v.a,i

dell' attributo

ingegna a spiegarlo come di colui

Sta xcv nsjjicpaivvxwv

O-Xovxs^

si

sente cos

7i;apaaxf,aai 8
y.XTTxr/v

axv


ammira

inganno, anzi

dell'

La leggenda secondo

71

furberia

la

di quella birba.

mentre Apollo richiedeva


a Hermes i buoi rubati, questi gli port via con ammirabile destrezza anche la faretra, era cantata anche da
la quale,

Alceo, che non c' ragione di dubitare della testimonianza


di Porfirione

nota

nella

al

v.

Ma, per quanta

(1).

fi-

nuovi frammenti ispirino nell'abilit stilistica di


Alceo, non possiamo credere ch'egli sia il modello anche
formale di questa terza strofa. Essa presenta carattere
ellenistico
con quanta maestria la composizione stessa
ducia

del periodo indica

il

succedersi

rapido, anzi la contem-

poraneit dei due sentimenti opposti nell'animo di Apollo!


te,

olm

hoves

minaci voce

nisi

dum

viduus pharetra

grande minaccia ancora

tello

(1)

dolum amotas, puernm

reddidisses per

terrei,

Mi pare tuttavia

il

assai diilibio che

Apollo.

risii

piccino

di

gli scolii

fra-

Il

ogni genere

AB

all'Iliade

256, che riferiscono la stessa versione, dipendano da Alceo, e non sapoeti lesbii abbiano altrove lasciato tracce nella
prei neppur dire se
i

niitografia.

Siccome Filostrato

il

Vecchio,

che segne d'altronde

la

26, tace dell' invenzione della lira, il Robert


ne vorrebbe {Herm. XLI, 1006, 416) indurre che anche Alceo non ne
abbia trattato. Ma trarre una tale conclusione da quella premessa
non sarebbe prudente neppure se fosse sicuro che Alceo sta a capo
di tutta la tradizione; perch la descrizione della pittura, anche cos

stessa versione (imaci.

I,

dimentica tanto di essere descrizione per correr dietro


si \n\ credere che lo scrittore si sia fatto
scrupolo di sopprimerne qualcuna per non rendere l'opera sua ancora
pili complicata e meno perspicua. Del resto la notizia di Portirione

com' ora,

si

a varie avventure, che non

fabula haec ah Alcaeo fida potrebbe forse

riferirsi

anche

al furto dei

buoi, perclit- lo scoliasta pu aver ignorato che

questo era gi can-

tato uell' inno omerico. Io penso che sia ancora

l'

ipotesi pii

verosi-

timoroso cenno di Apollo nell'inno omerico (v. 51) 8e{5La,


Ma'.doc ut..., [ir; [lot |JLa yCki'i^Xli x'13-ap'.v xa- xap,nuXa t^a sia stato
8o.stituito a una versione piti antica, che narrava il compimento del
furto
e non viceversa, come crede il Robert. Una spiegazione diversa

mile che

il

vien proposta dal Wii.AMOwrrz, Sappho

iiiid

Simonidc, ;U

sg.

^- 72

immaginabile

possibile e

restituisca subito

paura

di

morte, qualora questi non gli

buoi, fa ancora la

al piccolino, lo

voce grossa per far


guarda ancor bieco, e gi non si

sente pi pendere dal fianco la faretra


e ride di gusto.
Questa strofa piena davvero di grazia scherzosa (1) si

ugualmente dal principio solenne

stacca

e dalla chiusa

Similmente Eratostene ha premesso


alla sua apocalissi, ch'era certamente assai grave, il
racconto di un paio di birichinerie del divino bambino:
piena

di

mistero.

mentre la madre e le zie facevano il bagno (fr. 1),


avrebbe nascosto loro gli abiti e si sarebbe fatto pregare
un bel pezzo prima di tirarli fuori (2).
La quinta strofa, meno mossa com', serve, come ha
veduto il Kiessling, di ponte di passaggio tra lo scherzo
spensierato della terza e la seriet cupa dell'ultima: qiiin
et la lega ancora strettamente alla precedente: Tu hai
impiegato la tua astuzia anche al conseguimento di fini
pi alti; per merito tuo e della tua conoscenza dei senquesti,

tieri

pi solitari Priamo, sfuggito

campo

ai

nemici, riuscito a pe-

Achei ed a giungere non veduto


, Quest' Hermes un rjsjiv:oc, che sa per metter bene a profitto l'esperienza del
ladro.
Che quest' pexr^ del dio fosse cantata gi da Alceo, non certo, ma neppure improbabile (3). Che essa si
attagli bene al resto dell' inno, non prova nulla, perch
netrare nel

degli

sino alla baracca di Achille

(1)

Spielend, gracios

chiama

il

Eeitzenstein, Religionsgesch.

Fragen, 69, l'intero carme.


si fonda su uu
sostegno mezzo
una sottoscrizione della forma yj laxopia rtap Tt oelv.. Ma
del mito non conservata altrove alcuna traccia, e queste Atlantidi
che si vergognano della loro nudit, hanno iin' aria cos ellenistica che
non si pu credere a contaminazione.

(2)

L' attribuzione a Eratostene

fradicio, sur

(3)

Il

sicurezza.

WiLAMOWiTZ

(Sapplto unii Simonides, 312) parla con troppa

73

Orazio possedeva l'abilit di costruire


pietruzze gi

adoprate.

stata parte costante della leggenda,


(79, 20)

si

edifici

teologo Eraclito

il

sarebbe risparmiata la fatica

di

L'ultima strofa mostra Hermes nell'atto

anime
egli

nato: tu pias
coPrces

ombre,
bro

si

ma

malvagi, viene soltanto accen-

laetis aiimas

aurea turbam.

Lia,

commentarla.
condurre le

di

da loro meritate. Che

dei buoni alle sedi dei beati

accompagna anche

nuovi con

ogni modo, se non fosse gi

reponis

levis

sedihus virgaque

turba

comprende

leveni

tutte le

mem-

severo coercet mostra che nel secondo

il

parla piuttosto dei malvagi che dei buoni.

Il

Kiess-

ling avr ragione di negare che la strofa derivi da Alceo,


al cui

non

tempo

la

credenza a premi e pene dopo la morte

era, a dir poco,

molto

diffusa. Pias anhnas, laetis se-

ma la promessa
mantenuta, quasi Orazio avesse ritegno a parlare
del xt)-vto?. Superis deorum gratiis et imis riprende il motivo di magni lovis et deorum nuntium, accennando questa volta pure al servigio che Mercurio compie anche
per il Giove dei morti (1). Il tutto fa l'impressione che
Orazio non osi parlar chiaro, come se sulla chiusa della
poesia posasse nebbia leggiera.
dibus par quasi promettere un'antitesi,

non

Lo

stile

mostra che l'ode non giovenile. Quando

Orazio scrisse Nunc

est

bibendum, non sapeva ancora rag-

con mezzi cos semplici.


Ora non pi periodi smisurati, non pi proposizioni participiali accatastate le une sulle altre. La simmetria non
pi pedantesca, non pi petulante. La divisione dei
giungere

effetti stilistici raffinati

coincide

periodi

con quella delle

primo periodo comprende due


in

due

(1)

parti

simile

la

strofe,

prima comprende

almeno

nella

strofe,

ma
il

forma Escliilo

tranne che

il

diviso anch'esso

vocativo con una

('lioeph.,

124

't'^P'^S

74

proposizione relativa dipendente da esso

mincia

canam

te

e continua

con

non

curio, posti questa volta

la

vocativo

in

tivo quali predicato di te] la variazione fa

membro

decorae

ma
s

accusa-

in

che nessun

questo periodo appaia troppo carico. Alle pa-

di

role qui feros ciiltus


et

seconda codi Mer-

attributi

altri

hominum recentum

voce formasti cattis

more palaestrae corrisponde callidum quidquid

placnit iocoso condere fvrto, con costruzione mutata. Tutte


le

dalla

strofe

come

seconda

in

gi sono legate da anafora

il Norden (1) ha
chiamato Du-Pradikation. Bella sovra ogni altra la composizione della terza strofa: dapprima due proposizioni
secondarie ficcate l'una dentro l'altra, che formano un insieme un po' faticoso, quasi un po' asmatico, che dipinge

te-te-te,

esige lo stile di quella che

bene l'eccitamento:

boves olim nisi reddidisses per

te

dnm

amotas, puernm minaci voce


dosi viduus jiharefra

la tensione.

in quest'ode

vuoto

risii

Apollo,

poi

Ciascuna parola accentata fortemente ha


e un epiteto per lo pi non

un complemento

decora palaestra, cio che rende belle le

dolum

una breve apoche scioglie di un tratto

terret

membra,

iocosum furtum, Atridae superbi, che richiama alla mente


tutta la trama dell'Iliade,
bello,

perch

accenna

la

dives

Priamus, singolarmente

volont di

costo la salma di Ettore, laetae sedes.

zione delle parole

squisita;

verbo

Straordinariamente bella anche

la

e pias, che
vicini

(1)
(2)

si

il

la

a ogni
colloca-

solito l'aggettivo e

di

sostantivo incorniciano

riscattare

Anche

la

il

parola reggente.

maniera con cui

laetis

corrispondono nel concetto, stanno anche

(2).

Agnostos Theos, 149 sgg.


Il

KiESSLiNG, Phil. Unters.,

trattameuto del verso


riodo che

il

II,

63 sgg., mostra che anche

saffico fa attribuire

carme secolare e

il

quarto

il

quest'ode allo stesso pe-

libro.


Ma

lo

importa per ora ai nostri fini meno che


navis
lesbio. Qui come in
il modello
verso
un
da
mosse
le
prende
poeta romano non
stile

con

le relazioni

referent

il

Alceo per staccarsene poi subito, ma tenta


scrivere un carme che emuli e soppianti l'ode

determinato

di

piuttosto di
classica.

7d

Anzi

la

differenza nella concezione diviene qui

memoria
nome di
lo
stesso
ha
un
dio
che
il modello antico. A
quello celebrato da Alceo e che pure diversissimo da

contrasto, che deve a sua volta richiamare alla

esso,

si

rivolge in principio

il

canto

poi esso riprende la

via del vecchio mito. Se questa strofa, quella di mezzo,


certo non deriva dal
derivi da Alceo, non sicuro
;

Lesbio il passaggio rapido per stati di animo diversi. Le


ultime due strofe sono gravi, l'ultima anzi cupa, come

aduggiata da un pensiero

di morte.

V.

L'ode dell'inverno

I,

9.

comincia con un verso di Alceo vides vt


alta stet nive canclidum Sorade pu esclamare chiunque
guardi verso settentrione, se non dal Campo Marzio o dai
I,

9 non

colli della

vecchia Roma, donde

Soratte non

il

si

scorge,

da Ponte Molle
almeno dal Pincio o dal
nec iam sustineant onus slvae laborantes conviene cosi bene
ai dintorni di Roma, quali erano in quei tempi, che
non e' bisogno di pensare che i versi di Alceo a noi non
Gianicolo o

conservati che seguivano dopo


jjtyac

y^''(xoiv,

KSTiYaac

5'

xwv

gerito ad Orazio quelle parole.


tosto povero, per
tico assai selvoso.

[lv

usi

(fr.

f/ac

11

Zs-j;,

34),

ex

5'

pivw

abbiano sug-

Lazio, che ora piut-

quanto non privo,

Ancora Dionigi

di

di boschi, fu in

an-

Alicarnasso nelle Inv-

des Italiae, in un luogo cio dell'opera sua che deriva ni

7()

parte da esperienza personale, descrive

(I,

compreso

che

di

ammirazione,

il

bosco

italico,

37, 2), tutto

aggrappa

si

a coste di monti e a pareti di burroni e a pendici incolte


di colli, e celebra la

quantit immensa

mani ne ritraevano per

le loro

navi e

legno che

di

loro palazzi

Ro-

37, 4).

(I,

Strabene rimasto stupito della grandezza dei tronchi che


dall' Etruria erano mandati gi alla deriva per il Tevere

Roma

sino a

(V, 222)

devono essere

Anche

(1).

stati pi boscosi

dintorni

numero

per convincersene anche solo riflettere al


sacri fuori delle porte

gina che

il

Orazio

(2).

della

citt

che non siano ora: basta


(epist.

4, 4)

I,

dei luci

s'imma-

suo amico Tibullo vada a passeggio nel bosco,

tacitum silvas inter reptare salubris, nelle vicinanze di Za-

una regione che ancora


Olevano ancor oggi folto di

garolo, in
di

boschetti,

selvosa:

il

alberi.

territorio

ancor oggi

non sono rari,


Monte Mario

pi, a dir vero, assai modesti,

almeno nella direzione verso


coronato di pini; una pineta,

il

nord

la

Pineta Sacchetti,

(3).

si

erge

non vuol dire, del resto,


foresta vergine. Orazio stesso parla di una silva iugerum
paucorum (e. Ili, 16, 29); egli, che aveva desiderato un
piccolo podere con un po' di bosco, paulum silvae (s. II,
nella Valle dell'Inferno.

6,

3),

rallegra sorpreso che la liberalit di Mecenate,

si

oltrepassando
il

suo fattore

(1)

(2)
telinus,

modo

suoi desideri, gli dia

vilice

silvarum

milvi

et

me

di

chiamare

reddentis agelli

passi sono raccolti iu Nissen^ Italische Landtskunde,

l,

433.

Lucus Furrinae, Alhionarum, Deae Diae, Camenarum, Egeriae, PeEobighns, Stimulae, Annae Perennae, Laveniae

inter

(fnus

Silva

Salariam

Stara-Tkddk

et

Tiberini

nel Boli, com.,

prendo

la

lista

il

lucus pervia-

dall' articolo

dello

XXXIII, 1905, 189 sgg. Tra parentesi

Stara non doveva prendere sul serio

1'

identificazione

lo

ovidiana di

Stimala con Semele.

Per anche nei monti Albani sono splendidi boschi di olmi ;


Albano e Velletri nna grande foresta, la macchia della Faiola.

(3)

e tra

(epist.

I,

14, 1);

anche questa

una selva vergine,


Silva infatti

frutto che

s'

il

ma un

nome

ma

come
da

di quel po' di alberi

inalzavano nel peristilio-giardino dei palazzi

laudaturque

(epist.

10, 22) (2).

chiamano non solo altri scritnempe Inter varias nutritur silva

li

Orazio stesso

columnas
I,

Orazio non sar stata

di terreno alberato,

costante

signorili cittadini. Cosi


tori (1)

di

pezzo

domus,

potuto far distinzione tra

Orazio stesso ha scritto

quae prospicit agros

longos

che

vale obiettare

singolare e

il

il

forse

sia

si

che

plurale,

adiecere bonae paullo plus

artis

Athenae, scUicet ut vellem^curvo dignoscere rectuni atque inter

Academi quaerere verum

silvas

(ep. II 2, 43),

l'Accademia, da quando Sulla

la

mentre pure

devast (Plutarco, Sul-

non era pi un bosco, ma un giardino o


un modesto parco (3). Di silvae Orazio poteva a
buon diritto parlare, sia che egli immaginasse se stesso

la,

12) in poi,

al pi

Vedi Bljmner, rdm.

(1)

ziona

le silvae,

supponendo cio

gare l'espressioue,
nunc,

sigila

42.

Privataltertiiiner,

Gi Ciceroue men-

a proposito della casa di Verre, senza iudiigiarsi a spie-

uhi sunt ?

Verres,

Illa

columnas, omnibus etiam intercolumniis,


vidimue {Verr., II,

un giardino nel

1, 51). Il

peristilio.

essere

di

inteso

quaero quae aiiud


in silva

te

da

tutti

qiiae

nuper ad omnis

dcnique disposita sub divo

contesto mostra ch'egli intende parlare di

La

silva,

non

l'edificio era di

qualche valore

nella domus Tamphiliana di Attico sul Quirinale (Coru. Nep., Att. 13,
(2)

10, 5)

Nello stesso senso egli adopra anche la jiarola nemus

nemus

inter

pulchra satnm teda

2).

(e, III,

cosi ])ure Tibullo, III,

'^.

15

nemora in domihus sacros imitantia lucos. Properzio, I, 14, 5 nemn


unde satas intendat vertice silvas, urgetur quantis Caucasus arboribus semet

bra intendere per nemus

mano

ma

il

passo

si

il

boschetto, per silvae gli alberi che lo for-

riferisce piuttosto a

una

Tevere che a una casa cittadina. Non dissimile


silva

nemus non
(3)

La

villa sulle

Ovidio

sponde del

a. a. III.

6S9

facit.

notizia di

dell'Accademia sotto

Damaselo
lo

(in

scoliarcato

versi cespiti senza stabilire

Fozio,
di

bihl.

Proclo

34l> a

una rubrica speciale per

del resto espressamente detto.

35) sui redditi

somma

insieme
il

pareo,

di-

come

in

sia

citt,

suo carme

Segue

in

78

che componesse o fingesse

una

comporre

di

il

villa dei dintorni.

Queste parole

(jeUique flnmina constiterint acuto.

sono traduzione del

TceTryaat

o'

oxwv

^a:

Alceo.

di

Le

coincidenze anche nei versi seguenti indicano che Orazio,

dopo aver preso

le

mosse da un'impressione, che

avere solo nei dintorni

di

Roma, parafrasa

si

pu

poi Alceo, o

per meglio dire, prende a prestito da questo la forma,

E dubbio se la notizia di
Tevere gel una volta nel 400, meriti fede pi che le altre notizie minute sull'et che precedette la catastrofe gallica; perch per debba essere
errata la tradizione di Dione Cassio (in Zonara Vili, 6,
veste

cui

di

Livio (V, 13,

sensazioni sue.

1)

che

il

16) intorno agli straordinari rigori dell'anno 270, la quale


si

riflette

anche

in

Agostino de

civ.

dei III, 17 (p. 140,

Un

Hoffm.), non riesco bene a intendere.

zionale fu anche quello cantato da Orazio;

appunto

la guarentigia pi sicura

che

inverno ecce-

ma

quest'

poeta attinge

il

il Soratte coperto di neve non


lineamento ne caratteristico ne normale del mite inverno
romano. Quindi io non vedo perch si dovrebbe esitare

qui a vita vissuta, che

a credere che una volta al

tempo

di

Orazio

il

Tevere o

gel o trasport nella sua corrente grandi massi di ghiaccio,

se

il

poeta

lo narrasse;

rola: filmina significa cos

un grande fiume

oat'

esso,

avrebbe usato

dirittura
corsi di
colti nel

(1)

il

senonch egli non ne fa pail


Tevere come uaxo?

poco

se Orazio avesse inteso parlare di

singolare.

spreco dei nobili

nomi

Romani facevano addi

fiumen e amnis per

acqua modestissimi, come mostrano

commento

Non mi

di

Kiessling-Heinze

(1).

passi rac-

Parimenti

arrischio a far uso del passo di Giovenale, VI, 522,

che interpretato rettamente dal Heinze, perch


che questo caso come pure

altri simili

futuri

sono supposti,

mostrano

fittizi.

Orazio


Greci chiamavano
gi

letto

l'anno

piccole fiumare siciliane,

~oto!.\o

tempo

loro

al

7J

era

(1)

di

il

cui

certo asciutto tutto

(2).

La

dunque una
romano pi freddo
del consueto; solo l'ultimo verso riprende uno spunto di
Alceo. Anzi il quadro ha maggior unit che nel Lela pioggia di Alceo non va bene d'accordo con
sbio (3)
descrizione della prima strofa forma

unit e conviene bene a un inverno

il

ghiaccio

pu

La seconda
/c''[iwv'.

[lv

sTil

forse

'Jz:

significare nevica ?

strofa segue
tcO-so;

da presso Alceo

Tip v o

ypov^ axp ixy. y.fja iJiaxov

zip va:;

|x^^C'

o?vov

,3wv/ yv'faXov,

che Orazio introduce un particolare locale,


e sovratutto traduce

modello nel suo

il

che

7il

[lv-v

Ci

la

Sabina diota,
large de-

stile:

dell'antico

poeta,

perch

parole contrapposte sono pi ricche di significato.


l'

intreccio degli aggettivi con

merum

jjii-

tranne

un contrasto pi sen-

ponens-benignius deprome producono


sibile

y.x}}7.1Xz xbv

-^ecoto;

le

Anche

sostantivi quadrimiim Sa-

maneggiato cos, indizio


anche nella disposizione delle parole. E si aggiunga che Orazio ha sottoposto il suo modello a una correzione non soltanto formale, tacendo dei molli cuscini
suoi lettori si saranno
resi facilmente ragione del mutamento.
Thaliarche

bina

diota ,

nuova, che cerca

di un'arte

effetti

scrive lina volta Jhivihia per ^s^pa: frigida parvi fnutiiit

Scamandri

flumina epod. XIII, 14.


(1)

Che

il

clima d'Italia non

dlungen del Pknck, X,


(2)

Queste

2,

osservazioni

KiKSSLiNG, Phil. Unters.,


nides,

imitato,

mostra

sono dirette

contro

Ieko nelle Ahiaii-

il

59.

II,

62 e del

argomenti del

gli

Wilamowitz, Sappho

u.

Simo-

311.

(3)

Lo ha osservato

il

Noni,,

Vochenuchr.

f.

kl.

l'Ini.,

20 sgg., che anche nel resto mi 8eml)ra abbia ragiono contro

i.AMownz.

1915,
il

Wi-

-sovocativo apre gi

li

via

la

alla

parenesi.

Il

nome

Thaliarchus non certo preso da Alceo, giacche r)razio

non prende a

prestito

richiamare alla memoria


OaXtap/o;. signor

uomo

il

tranne che per

chiamarsi solo un

banchetto, pu

del

schiavo assume spesso


di liberi e

beli' e fatti

celebri amasi di poeti celebri.

condizione elevata

di

gi nel

nomi

Se

(1).

nome

pur vero che

lo

del padrone, che in Sparta

nomi
and lentamente scomparendo (2),

secolo, altrove pi tardi, la differenza tra

nomi

servili

bisogna pure

riflettere che restrizioni e riflessioni di quegenere hanno luogo solo quando si voglia spiegare

sto
il

nome

di

un personaggio

storico.

Un

personaggio finto

nome assai scialbo o uno


non pu, quindi, essere immaginato schiavo da Orazio. Esso viene pregato di andare in cantina a prendere un fiasco e a gettar legna
sul fuoco, non perch' egli sia uno schiavo, ma perch i

naturale invece riceva o un

caratteristico, tipico. Taliarco

La Prosopographia

(1)

del

Kirchnkr

registra sei cittadini ateniesi

il VI e il II avanti l'era volun 6aXiapxo5 in Nisyros IG XII, 3, 94 'Ep|JLOxpa)v Qa.\ixpy^o<j


si chiama un Rodio in un' iscrizione anteriore all'era volgare (IG
XII 1, 127, 66). A Cirene un aiap^oj Epu7ixoXs|j.ci) stato dei xptaxa-

di questo nome, sparsi per cinque secoli tra

gare

Tocpxai >SGDI 4833, 21. A Messene un Sgio^


menzionato nell'iscrizione IG V, 1, 1486,

un ESafiiSag
imperiale IG V, 1, 154,

no|x7if,ios
6.

eaXtapxos, viene

In Laconia

membro

il

nome

era

un collegio
nell'et
nella cittaduzza di Tenaro un
7
M. ApYjXioc; OaXiapxog 9aXiocpxou fu eforo ej)onimo verso la met del
terzo secolo dell'era volgare
IG V, 1, 1241. Il nome appartenne gi
al pili antico patrimonio onomastico di questa regione, come prova
il GaXtapxoXa scritto o almeno inteso dal lapicida nell' iscrizione arcaica di Geronthrai IG V, 1, 1134, n meraviglia che in terra dorica,
nel paese dei banchetti degli uomini, predomini questo nome. Anche
altrove esso, come mostrano le iscrizioni, fu portato spesso da persone
diffuso

in Sparta

aXipxo'J fu

di

di alto lignaggio.
(2)

36.

37.

M. Lambertz, Griech.

Sklavennanien,

I,

6 sgg.

II,

28

sgg.

bl

due siedono soli, conversando confidenzialmente, o perch i verbi sono adoperati in senso fattitivo.
La parenesi, che ritrae dalle situazioni attuali una
norma morale o immorale di vita, vien subito nella terza
abbandonarsi agli dei e intanto divertirsi senza
pensare al futuro, che si giovani una volta sola. Ne la

strofe

forma parenetica ne il genere di morale predicato qui


nuovi frammenti di Ossirinco
sconverrebbe ad Alceo
(pap. 1233, col. 2) ci hanno insegnato che egli non dispregiava ne l'una n l'altro; egli vuole inculcare a un
amico la vecchia verit, che si vive una volta sola
i

speri, forse,

Melanippo,
'Axpovxx

5ivvaevT'

^og [OoTSpov

^otPat[g JeXio) xO-apov


c<\isod-{ca)

Da

questa considerazione scaturisce

XX'

ccyi

[XTj

litY^lt))^

Tz\i^7.XXeo\,

l'

che non

invenzione di molli poeti ionici o di

invito a godere
,

come

si

artisti ellenistici

vede,

troppo

stanchi di vita e di cultura. Sisifo, che sfuggito all'Ade,


riuscito solo

morir due

volte,

neir inferno costretto a rotolare

il

e per

masso

ci
:

ora gi

conviene

pi rassegnarsi alla morte e vivere intanto lietamente


xai yp

HXcc xa

voYjoa|j.svoj

KoXuiSp'.g (ov

[S-vaxov

n xpt

[scpa]

AoX{5aic; flaatXeuc;

iiiaocpoc;

vSpwv TiXeaxa

di

cp'jy'i'jv)'

[8ts]

[2iv]vx[]vx' 'AxJpovx' TTspaos, p.[Yv S oLJ


[xfxx](o [i[x]0-ov

'-/(ri'^

[|jis]Xaiva$ yd--^oi;-

Kpovc5atg p[p'jv (ptoe]

XX' yt,

|iy)

x[5' sTiXitso].

Eppure si pu ben pensare che la strofa oraziana non


da Alceo. Per Orazio l'inverno e la neve, come
lui gi osservato il Kiessling (l), sono non soltanto avve-

derivi

(1)
jin

Errata mi parrolibc iina iiitorprotazione, che

senso troppo prej^iiaiito


i;

ai

cipressi

(|iu'sti

volessi attrilmiie

alberi

ijii\

al

tempo

li

S-J,

ma anche fatti interni, stati di animo.


grava sull'anima, sull'anima gli cade la

nimenti naturali

L'inverno

gli

neve: solo chi intenda

cos, riuscir a risentire,

tendere in astratto non


divis celer.

oggi

che

l'in-

passaggio a permitte
;

tranquilli sotto la neve; l'aria

chiara;

fredda,

il

infuriava la tempesta su terra e mare

Ieri

campi giacciono

quieta,

giova,

cielo

il

pallido

ma

sereno.

Che

avverr domani? E inutile chiederlo: vivi ed ama . Ma


vivere e amare s'incarnano per Orazio in scherzi giulivi
di amanti giovani nella tiepida aura di primavera; il poeta,
mentre siede accanto al fuoco, si dipinge dinanzi all'immaginazione le gioie del tempo quando potr passare la

giornata all'aperto.

cenno

al

mare che

Il

sentimento della strofa spiega


infuriava, oggi

ieri

calmo.

l'ac-

Spesso

a Orazio, allorch egli pensa a un'anima torbida e tempestosa, appare l'immagine del mare. Occorre forse sup-

porre che, quando egli cant ut melius, quidquid


seu pluris hiemes

seti tribuit

debilUat pumicihus

conoe

in riva al

Non

solo

il

mare Tyrrhenum,

mare

erit, pati,

luppiter ultimam, quae oppositis


egli

fosse con

Leu-

trattare

il

paesaggio quasi fosse uno stato

ma

anche il trascorrer rapido da


da un sentimento all'altro non
conviene alla poesia del vecchio Alceo. Fin ora abbiano
in ogni caso trovato che un tal mutamento di disposizion
di animo a mezzo dell'ode era una novit oraziana, n

di

anima, ellenistico,

un argomento

pare che qui

all'altro,

si

debba giudicare

altrimenti.

Tutto ci che segue certo nuovo ed oraziano, lo


Orazio non erano in Italia cos rari

clie

sia necessario

pensare a un

ve n'erano in ogni cimitero (epod. 5, 18), ma


Varroue parla (r. r. I, 15) di nn podere alle falde del Vesuvio, che
era delimitato da filari di questi alberi. Anzi gi in Catone 28 essi
sono menzionati insieme con gli olivi, gli olmi, i fichi, i meli, le
giardino:

viti,

non

solo

piante tutte punto rare.

83

non credo che Alceo sapesse trovare un tono cosi cittadinescamente elegante, cos aristocraticamente frivolo.
L'ardito cavaliere avr amato piuttosto un giovane scudiero che un'etra e di

non

si

sar dilettato di

Nelle due ultime strofe


della giovent elegante

Siccome

un amore sempHce
scherzare, come qui
si

riflette

et,

canto

verbo,

si

che

scherza.

invece la vita amorosa

verbo repetantur dipende -

il

e composita hora,
al

si

romana.

tre soggetti, areae legato a lenes siisurri

da

e rude,

come mostra

da

que,

dai

non pi

la collocazione ac-

non soltanto

riferisce

xoivoO

ai

susurri.

si

dovr credere che forse tutto il periodo, ma certamente


almeno la menzione delle areae si riferisce ai convegni
notturni; in altre parole, se queste prime paressero troppo

complicate, almeno

areae

le

susurri e fors'

campus, sono congiunti endiadicamente

anche

il

repetantur lenes

in areis et campo. Si pu aggiungere


che sostantivi di senso cos diverso come areae e susurri
non possono stare in fila l'uno accanto all'altro se non for-

sub noctem susurri

malmente, se non quando


subordinazione.
riferendo

il

Una

la

coordinazione mascheri una

ragione di pi

per

intendere cos,

modo anche ad

sub noctem in qualche

areae,

consiste in ci, che le piazze sono adatte solo di notte a con-

vegni amorosi. Di notte

per vero in solitarie piazze ro-

mane, dove cresce l'erba, s'incontrano ancor oggi coppie]


di amanti, si ode ancor oggi il loro tenero sussurro, ma
di giorno non si fa l'amore in piazza n a Roma ne altrove. Orazio, nel nominare il campus, non pensa qui certo
alla porticus Octaviae o alla porticus Pompeia, ai

delle ragazze

romane

eleganti,

suo discepolo di andare a


stringere

ma

spasso,

una nuova relazione

(. a. I,

a parti pi solitarie, dove

tanto

pili

passeggi

dove Ovidio consiglia

ci

si

al

ogniqualvolta voglia
Ili, 387 sgg.);
poteva incontrare, e

67 sgg.;

a tarda sera, con pi agio e pi

speranza di

84

non essere osservati, ai giardinetti e ai boschetti che erano


sparsi qua e l per tutta l' immensa stesa del Campo
Marzio (1). A ogni modo, comunque s' intenda questo
passo, certo che Alceo non potrebbe aver composto
conn questa strofa ne qualsiasi altra simile. Anche
i

vegni notturni nei parchi e nelle piazze spirano odore


di vita e gioia di vivere cittadina e moderna, cio ellenistica.

E
si

l'ultima strofa mostra un tipo di fanciulla che non

poteva incontrare prima dell'et

ellenistica.

La

bella

nasconde nell'angolo pi riposto della stanza,


forse dietro a un battente di porta, non una comune
bimba, che

La

meretrice.
cos,

ma

si

pi casta delle fidanzate scherzerebbe oggi

gli antichi

giudicavano

minile pi severamente.

in

materia

di

pudore femla Galatea

pur vero che anche

mentre fugge dopo aver gettato un pomo, dema le ninfe sono esenti da certe
convenzioni sociali. A ogni modo a una meretrice il giuocare cos a nasconderelle non avrebbe recato alcun piacere.
Questa fanciulla, al momento di andar via dopo il primo
convegno di amore, fa la schifiltosa, giura e spergiura di
non voler tornare mai pi, e, pur fingendo di difendersi
il
meglio che pu, lieta che l'amante, strappandole
per forza un pegno, la costringa a tornare per ricupedi Virgilio,

sidera di essere veduta,

rarlo (2).

Ne

il

carattere della fanciulla ne questo

elegante di giocare con l'amore conviene all'arte

di

modo
Alceo.

L'amore sensuale si raffinato per la prima volta e per


prima volta divenuto sentimentale nel IV secolo
in Attica si sviluppata precocemente quella che doveva
la

ma

(1)

Strabone, V, 236.

(2)

male pu

il

intendersi grammaticaluieute

anche come elativo,

senso mostra che esso deve qua scemare, non aumentare

tensit dell'azione, e anche quest'uso documentato.

1'

in-

85

poi divenire l'erotica ellenistica,

cune

parti del Simposio.

tosto che le

l-calpai

come ben mostrano

contemporanee, sono

stati

delle fanciulle dei poeti ellenistici e romani.

poeti romani,

come

al-

-als; xaXo'' di quest'et, piuti

precursori

L'amore

quello dei nobili romani,

dei

rivolge

si

a eleganti Ubertinae e a peregrinae dal sontuoso tenore di


vita,

che non lecito ne confondere con

le

meretrici ne

agguagliare ad esse nella disistima.


Chi abbia seguito con attenzione queste considerazioni,

si

sar

convinto sempre pi che Taliarco non

pensato di condizione servile. Quest'ode non


nelle bassure della vita e dell'amore.

Ben

ci

trasporta

altrimenti sono

Sermoni (li, 7, 46 sgg.) le femmine, con le


ha commercio il servo Davo. La parenesi si rivolge qui a un uguale, a un amico del poeta, come del
resto in Alceo. Che al puer venga raccomandato di non
dispregiare la danza, non una ragione in contrario il giovane non deve danzare, ma far danzare altri in sua presenza. Non saprei dire se Orazio pensi qui a una danza
in onore di Afrodite (1), come in IV, 1, 25, dove non vi
cenno che il nobilissimo Paolo Fabio Massimo prenda
parte al ballo, o se piuttosto, come a me sembra pi prodescritte nei

quali

babile, intenda carole di danzatrici

di

mestiere durante

Che un giovine onesto prenda parte a un


non crederei, quantunque quell'azione dovrebbe
sembrare anche ad Orazio pi scusabile in quell'et che
in un uomo maturo.
Riassumo brevemente. L'ode muove dall'impressione
che su Orazio produce un giorno invernale. La coincidenza con uno spunto di Alceo determina altre coincidenze
formali; con parole di Alceo il poeta invita un amico a
il

convito.

xpa^,

ber vino insieme con

(1) Cfr.

sopra,

\>.

lui,

Ki sj;g.

seduto presso

il

focolare.

Ma

hi

8()

fredda giornata d'inverno per Orazio anclie uno stato

animo, ci che per Alceo non era. L'esortazione al


godimento suppone nei particolari forme di vita amorosa, che furono prodotte soltanto dal tenore di vita delle

di

grandi citt e dalle condizioni della societ del periodo


ellenistico-romano. Dalla terza strofa in gi Orazio

si

staccato di nuovo completamente da Alceo.

VI.

lamento della verg-ine

Il

III,

Miserarumst neque amori dare ludum

motivo e
in

rilievo

il

ancor maggiore dalle


alla

del canto di

Alceo

yoiQca

(fr.

mana

V identit del

ritmo inconsueto all'orecchio romano, messo

mato subito

nel suo

12.

59).

mente
ejjle

del
oec'Xav

avranno richia-

dieresi,

lettore
[x

romano

uatav

il

principio

xax,0TTwv izzi-

Orazio avrebbe forse osato esprimere

canto l'aspirazione sospirosa della fanciulla ro-

buona famiglia ad una vita pi libera, meno


da proibizioni di ogni genere, se non avesse gi
avuto in Alceo un modello da cui prendere il motivo
di

ristretta

e la forma letteraria e ritmica

volta non avrebbe forse

poesia d'arte

il

Alceo stesso

ardito rivestire

sospiro di desiderio, che

si

dei

alla

sua

ritmi della

sperdeva nella

clausura della casa lesbia, non avrebbe conferito la nobilt

che solo

la

forma eletta pu dare,

alle parole semplici e

un po' ingenue, della fanciulla educata severamente, se non avesse attinto alla poesia popolare
lesbia, la quale, come facilmente si pu dimostrare, spesso
sincere, anzi

esprimeva con bella franchezza e semplicit i sentimenti


di fanciulle malate di amore. Il lamento angoscioso, se
non di una vergine, almeno di una donna 55'jy. [xv

OcXvva
ce

IlXr/tac;.

y.al

Vvats'jo)

[Jiva

non

TcO-w o(Xtaa

l'axov

' i^'/cx'

52)

(fr.

wpa, ly^
(1),

ma

dalla canzone popolare deriver

90) yX-r/sca

(fr.

-ap

poesia di Saffo

desiderio di libert, che

il

Saffo

di

o vjxtcC.

[liaoc:

canto popolare lesbio.

anche

87

TraTo; [jpaivav

oggi noi udiamo vibrare nella

si

o-j

jjtxsf-,

riflette nella
-jvaixa:

to',

ot'

lirica

poesia

xpxrjv

tv

'A-f po-'xav.

Cos ancor

oraziana

suoni della

poesia popolare lesbia.

Ma
come

gi

le

del linguaggio

mano
che

prime parole hanno preso colore romano

dare ludum cos anche patrua lingua sono espressioni

romano

tutt'e

usuale, forse

due queste espressioni,

come rappresentante

il

linguaggio ro-

del

borghesi e popolane.

cerchie

di

caratteristico

dare ludum e

il

patruos

schietto degli antichi costumi, della

prisca severitas brontolona, appaiano proprio in quell'ora-

zione di Cicerone nella quale egli

si

studia di parlare di

ancori volgari in linguaggio volgare, nella Celiana. Pro-

dove vuol mostrarsi difensore indulgente di costumi un po' liberi, egli dice che l'opinione pubblica
concede ormai ai giovani prima del matrimonio relazioni
sessuali non legittimate
datur enim concessu omnium
huic aliqni ludus aetati ( 28) (2). E alcune righe prima
aveva gi versato a piene mani il ridicolo sulla severit
prio l

eccessiva dell'oratore avversario

dixit

enim multa de lu-

xurie, midta de libidine, multa de vitiis iuventutis, multa de

morihus,

et,

qui in reliqua vita mitis esset

et

in hac suavifate

humanitatis, qua prope iam delectantur omnes, versari periu-

WiLAMOWiTZ, Sappilo ud Simoiides, 75, 1. Efe8tiono cita il


nome di autore, ma dove pure avorio letto nella raccolta
poesie di Sarto
e come altrimenti un tal canto sarebbe potuto

(1)

verso senza
delle

convengono a
(2)
si

Il

riferisce

Ma

le

parole non

iiimia nolo desidiac ti

daif ludum

venire a conoscenza di uno studioso di eotesta et

Sarto.

versd plautino liacch.

1(I8S

similmente alla vita un po' dissipata di Pistocloro.

emide

solerei,

fuit

censor, magister...,

Ma

disserut.

in

88

hac causa pertristis quidam patruos,

multa de incoutinentia intemperantaque

anclie altrove

il

patruos sostiene

stessa

la

parte nella morale sessuale romana, cos

p. e. in

gramma

putruom ohiur-

di

Catullo (74)

Gellius audierat

un

e])i-

dove lo zio
;
godimento sono addirittura concepiti
come due termini inconciliabili. Che l'espressione fosse
proverbiale mostra di nuovo Orazio nei Sermoni (II, 3, 87)

gare

solere,

e qualsiasi

si

quis delicias diceret aut faceret

forma

di

prave sen recte hoc

sive ego

stesso registra tra

iratum patruom

(s.

volui, ite sis

patnios mihi

egli

mali che possono avvelenare la vita

II,

2,

verit dell'et matura:

97)

Persio esprime cos la se-

cum sapimus patruos (1, 11 j (1). Che


anche il fatto che essa

l'espressione fosse popolare, mostra

ricorre cos spesso nel genere letterario basso della satira.

Dare ludum frase romana e volgare pu per forse


Alceo avere usato una frase proverbiale che corrispondesse in qualche modo all' espressione romana parimenti
;

popolaresca patruae verbera linguae

camente

di no,

brontolone invenzione

patruos

recente.

Helm)

ci

Io risponderei fran-

per quanto sappia che


greca,

bens vero che Apuleio {Fior.

narra che Filemone mise in

ohiurgator;

non v' ragione

di

pi credono

il

sebbene piuttosto

XVI,

iscena

p. 24, 17,
il

patruos

dubitare della veracit di

n escluso che Orazio abbia coperto


di una patina ellenistica lo sfondo del quadro di Alceo
ma ci nonostante difficile o impossibile credere ch'egli
sentisse straniera la figura dello zio severo, che era da
secoli proverbiale in Roma; impossibile credere che
questa

notizia,

quel tipo cos diffuso abbia in

(1)

f.

lai.

Questo e

altri passi

Roma

origini letterarie.

souo raccolti nell'articolo

dell'

Otto, Arch.

Lex., V, 374, a cui per sfuggita la testimouiaiiKa forse pi

importante, quella di Catullo.


La

89

letteratura greca dell'et imperiale, che cita con

predilezione la

grande

commedia nuova, non conserva, che

io

che non
ne mancava l'occasione almeno nelle opere che espongono, che predicano in forma popolare etica popolare
sappia, alcuna traccia di questo carattere, e

si

in

Plauto ne in Terenzio n nei frammenti della va

o nelle scene di Menandro venute da poco


nuovamente alla luce compare questo tipo, che, quindi,
non deve essere stato diffuso nella commedia. E forse
non parr inopportuno supporre che esso in Roma derivi
dal diritto, cio dalla vita comune, e non dalla letteratura.

conservati

Gi nelle Dodici Tavole (Giustiniano,


30; Gaio
il

I,

Inst.

17, Cod.

I,

155) lo zio del padre, non quello della

tutore legittimo. Questa prescrizione rende anche

gione, perch sia proverbiale


In Grecia invece

anche

in Grecia

fosse

patnios,

non erano

fratello del

il

preferito

quello

non Vavunculus.

padre a parit

ri-

Bench

cos spiccati.

della

ra-

privilegi della famiglia agnatizia

spetto a quella cognatizia

zioni

il

V,

madre

di

condi-

madre, neppure

in

Atene, nella citt cio della Grecia dove la dignit della

donna era meno

alta,

mancano esempi

cognatizi,

collaterali

di

di

che esercitano

zii

la

materni

tutela

in

qualit, sembra, di tutores legitimi. Cos Diocle (Iseo Vili,

42)

TOTpoTios

dei

figli

della

sua sorella adottiva, Di-

caiogene (Iseo V, 10) parente per cognazione e tuttavia


tutore legittimo, come dicono chiaramente le parole di
Iseo

o'jTO); coixohc,

Tp7iDv (1).

Acxacoyvy]? ouxoal

sYYuxtw

ancor pi importante

rentela cognatizia negli stati dorici

lov

y^vou;

la parte della

secondo

la

izt-

pa-

lettera

che probabilmente genuina,


Dionigi di Siracusa pretese l'epitropia del tglio di sua
sorella e di Dione, sostenendo che essa spettava a lui
platonica VII

(p.

345

e),

fi) LlPSlus, Attisches h'cchl.

Il,

.">L'l

H<;fj.

per legge

(1).

Gortina,

0
ai

tempi

l'antica legge, lo zio paterno e

cui

in

era in

vigore

quello materno ammini-

comune, il patrimonio delTorfana


ereditiera (2), ed certo che Platone ha preso di l o
dalle istituzioni di un altro stato dorico l' idea del consiglio di tutela delle sue Leggi (XI, 924 b), composto di due agnati, di due cognati e di un amico del
padre morto, nominato, pare, dai vo|JLO'fjXa-/.;. quantunque
sia probabile che egli l'abbia sostanzialmente modificata,
aggiungendo appunto l'amico. Nel mondo romano, dunque,
non nel greco ha le radici il tipo dello zio autoritario e

stravano,

sembra

in

brontolone.

anche

romano che

lecito chiedersi se
lo zio si

non

anche particolare

sia

sdegni particolarmente perch la fan-

beve vino Vaiit e il passo di Catullo teste citato


indicano quale debba essere la risposta a questa domanda.
Aiit significa qui in caso contrario e non pu riferirsi che al secondo membro della proposizione complessa
introdotta dai neque ; perch chi amori ludum dedit divenuta etera e quindi non ha pi ragione di temere zii.
Ne consegue che a ogni modo il dulci mala vino lavere
non avviene in un convito, sia che quelle parole rispecchino vita greca, sia che riflettano consuetudini romane
che in Grecia non prendevano parte a banchetti donne ne
maritate ne vergini, e a Roma, se pur la moglie accom-

ciulla

pagna

talvolta

propria

(1)

(2)

marito a conviti o fa

Natura Imente Dione era considerato

morto, percli

V.X -rv

il

(3), la fanciulla esclusa in

casa

agli effetti giuridici

come

cTi|ao5.

XII, 29 xv Ti-cpoa xa
sraxapKiv pxsv

ondi,

t|x [id.zpo'x.
y.a

Tvg

Basta a mostrarlo

il

iy(X\i\iyO'^c,

vuvavxai xXXiaxx

Queste disposizioni sono forse pi recenti che


(3)

gli onori in

ogni caso dal ban-

il

Tipiv

x xp|iaxa
x' n'jisxac.

corpo della legge.

noto passo nella prefazione di Cornelio

Nepote, dove egli confronta usanze greche e romane

quevi

Homano-


chetto

91

Quei versi significano

(1).

sorso di vino

osiamo

se

la

malinconia con

sgrida lo zio

farlo,

non dobun

noi infelici

biamo n amare n mandar gi

Lo

zio

ha dunque sorpreso la nipote a bere di nascosto in camera


anche la fanciulla prova durante il pranzo di
famiglia a farsi versare un sorso di vino di nascosto dal
;

ma

coppiere o dalla schiava complice,

lo zio

fulmina

la

con uno sguardo, ed essa si rannicchia tutta, aspettando


di sentirsi piovere addosso una grandine di male parole
o di scherzi maligni. Lo zio , dunque, contrario a ogni
raffinatezza

aut

dicat

mollezza e

faciat,

solet

con

per dirlo

obiurgare,

si

quale deliciae non pu appunto significar


TcBsta (2).

qui

delicias

verso di Catullo

il

nel

che

altro

i^-j-

Questo motivo presuppone per alla sua volta


di vita e tradizioni romane, non greche.

consuetudini

Alla donna greca, a quanto sappiamo, non era affatto

Non

proibito di bere vino.

e'

traccia di

un

tale divieto

nei noti passi (3) di Aristofane, dov'egli mette in ridicolo

eppure egli
tendenza delle donne all' ubbriachezza
non se lo sarebbe di certo lasciato sfuggire. E la mancanza di testimonianze non pu essere attribuita a uno
la

strano capriccio del caso, giacche


l'et imperiale

fanno

le alte

meraviglie delle poche citt

nelle quali leggi particolari non

rum padet uxorem

tifex, fa

come

e)

luoghi.

donne

in casa del

ijoi-

esse sono in certo senso ma-

matronae sono considerate per ogni rispetto

infatti quali

Lo sposo

il

dio,

il

pontefice

i!

.suo

rappresentante.

Mostra bene l'uso della parola Seleiico (presso Ateneo,


T TtaXatv ov. slvat l^-oj ox' olvov

TidO-siav npoa(fpso9'at,
(3)

alle

intende a notte tai'da.

eccezione soltanto apparentemente

dalla legge.

40

s'

Che Vestali prendano parte a nu banchetto

(1)

(2)

concedevano

ducere in convivium? Cicero meuzioua nella Celiaua

{Vili, 20) uxores a cena redeuntea,

tronae,

dotti ellenistici e del-

P.

e.

Theam.

|yj

fl-swv

ni

nXsiov o~n' XXyjv

II,
t,5o-

vsxa to^zo 8p)vxag.

3}13. 5.">6. (530.

733;

Li/x.

l!)r>,

in

nu-lti

nitri

<H

di bere vino (l). Cos Ateneo (X, 429 a) narra che le


donne a Massalia dovevano bere solo ac(|ua, e aggiunge

che Teofrasto riferiva che a Mileto era in vigore la stessa


legge
a un dipresso lo stesso raccontato da Ebano,
V. h. II, 38. K non a credere che per questo rispetto i
Greci abbiano fatto distinzione tra ragazze e donne macostumi
ritate, quantunque sia per se verisimile che
;

abbiano concesso anche in questa materia maggiore? libert alle matrone. Senofonte narra si (2) che in quasi
tutte le citt elleniche le vergini non potevano bere

ma

vino,

aggiunge subito prudentemente

vino fortemente innacquato

ma

oppure solo

poich nell'antichit

uomini dabbene non hanno mai bevuto normalmente


vino puro, quelle parole dicono soltanto che le vergini

gli

mettevano nel vino pi acqua che non

giovanetti,

com'

del resto naturale. Dionigi di Alicarnasso scrive addirit-

tura a proposito dell'astinenza delle donne


25, 6)

romane

Tivtwv eXy^caxov fxapTrj^ixwv "EXXrp'.

Tipxs^v,

TIC,

TOoOaa

olvov p^iY]

yuYf^.

Uno

(II,

o^eisv

av

greco

zio

non si sar facilmente sdegnato che la nipote tentasse


di mandare in bando la malinconia con un sorso di vino.
La costumanza italica affatto differente. Notizie sicure

(3) riferiscono

che nell'antica

Roma

(1) Altrettanto essi stupiscono della sererit

a questo i)roposito. Coa Polibio

(cfr.

di registrare a parte la singolare


(2)

re.<<p.

Lac.

I,

1,

3 olvou ys

sotto, p.

(4)

era proibito

dei

costumi

93)

italici

trova necessario

usanza romana.
|Jiy]v

T)

TcaiiTiav 7icX0[Jisvag

Yj

OSapsl

Xpwfivae Siaycuoiv (soggetto sono gli Elleni'. L' uso di uSapyjg illustrato bene dal passo di Antifaue presso Atheu. X, 441 b, o-jO-' uSapg

interessante anche come documento della intemperanza


femmine, cb' messa bene in luce pure dalle citazioni che in

o'Jx' cxpocxov,

delle

Ateneo seguono questa.


(3) Raccolte dal Hosius in nota a Gellio X, 23.
(4)

Che

la

costumanza fosse generale nel Lazio, dice Gellio X, 23;


italici, esponeva Alcimo iixsXitXYjs
i popoli

che fosse estesa a tutti


v

T'^

sTnypacpojJivyj

xtov pi^Xtov ^Iio-Xiv,^

(Athen. X, 441

a).

donne

alle

di

bere vino, e

93

pu

ci si

Gli

divieto.

qua!

scrittori

scomparso

imperiale

dell'et

gi

da

secoli.

quando
non cale il

solo chiedere

esse principiarono a tenere generalmente in

considerano

lo

Servio

{Aen.

737)

I,

parla dei maiores nostri; gi Gellio confessa di conoscere


la

consuetudine solo dalla letteratura:


atque

victu

ciiltii

Romani

populi

X,

23,

scripserunt,

qui de

1,

mulieres Ro-

mae atque in Latio aetatem abstemias egisse dicunt, dove


il tempo
di egisse pu forse indicare che il costume era
gi antiquato ai tempi dello scrittore da cui Gellio ricava
queste notizie, senza dubbio Varrone. Che non ne rimain tempi in cui le
matrone avevano smesso il venerabile uso di sedere a
mensa e giacevano liberamente come gli uomini (1), non
pu in alcun modo sorprendere. Ma nell'et di Polibio
l'antico divieto era ancora osservato rigorosamente: ueipr;xat scrive egli ancora (presso Ateneo X, 440 e)
Plutarco {qiiaest. roni. 265 b), che nel resto lo copia, cambia
quella parola in -nzi^r^iiivov f^v
segno che nel frattempo
si era compiuto il cambiamento. Che Varrone nel de vita
populi romani (2) abbia menzionato l' uso come estinto,
non fuor d'ogni dubbio nonostante il passo di Gellio
teste citato
e del resto quegli visse cos a lungo e a
cavaliere tra due et cos diverse che, quando le testimonianze sue non sono precisamente databili, il loro va-

nesse pi traccia nell'et imperiale,

(1)

Cfr. Svetonio,

VII, 712

f,

Calig.

24 e ancor meglio Plutarco qnaext. coni.

invalsa ormai

ohe menziona (|nesta consuetudine quale

generalmente.
(2)
2>ere

Nonio

68, 26

larvo dv

abHtemian mulieres voluerivt

l'opnli

l^ila

ee,

rei

liomaui

Uh.

ex mio exemplo

nuaulv

pot videri

In Varrone lovevano segnire alcuni dei famosi esomiii di <lonue con-

dannate a morte per aver bevuto vino, come prescriveva


attribuita a

mento
feoit,

Romolo (Dion.

II,

del discorso de dote di

mnlieri

iiidc.r

pr censore

25, 7).

Catone
est

Non s'intende

(Geli.

la

Itene se

X, 2S) rir ci

il

legge

fram-

dirortium

imperili), ipiod ridetiir, hnhel, si

quid

94

lore cronologico assai scarso. Cicerone

sua et, quando

alla

si

riferisce per

un passo pur troppo frammen-

de republica scrive (presso

del

tario

magnam

in

Nonio,

10)

5,

ita

habet vim disciplina verecundiae, careni temeto omnes

Che sarebbe del tutto arbitrario


presente un tempo del passato, n deve
mulieres.

sostituire
ispirar

al

dubbi

r uso del vocabolo arcaico temeUim, da lui adoprato solo


perch esso era la parola dell'antica legge, come mostrano
i

passi

Catone (presso Plinio n. h., XIV, 90) e di


costume deve essere mutato solo negli ultimi

di

Gellio.

Il

tempi della repubblica o

Lo

in principio dell'et imperiale.

che si continuino
usi della sua giovinezza (1).
zio oraziano esige

Mentre

l'amore

impedisce di tessere,

motivo che occorreva gi nella poesia

perverse taetreque factum est a muiere

passato o

manza

il

come mostra

lesbia,

multitaiur,

rispecchi

si hibit

presente o solo gli ideali dell'oratore

di quel

(1)

con colori ro-

la severit dello zio dipinta

mani, la fanciulla cui

famiglia gli

in

ma

il

sulla costu-

tempo non pu cader dubbio.

Gli antichi

Romani consentivano per almeno

alle

donne an-

ziane certe qualit di vino dolce cos leggermente alcooliche che ad


essi

non parevano rientrare nel concetto

ferunt loream, passum, murrinam


seguita Gellio, che

ha dinanzi

et

di vino

Ubere autem

agli occhi

de vita populi romani conservato a noi

il

passo del libro primo del

da Nonio (551, 15)

mulieres maiores natu bibebant loram aut sapavi aut defretum

sum, quam murrinam quidam Plautus appellare

gando

solitas

quae id genua sapiant potu dulcia,

solet

antiquae
aut pas-

e continua spie-

maggior parte di queste parole per mezzo di citazioni dallo


stesso libro di Varrone donde, a quel che pare, deriva tutta la nostra tradizione su questa materia (cfr. Plin. XIV, 93 non Inter vina
modo murrinam, sed Inter dulcia quoque nominatam, e, intorno a tutti
la

questi passi, MiJNZEU, Quellenkritik des Plinius 189 sgg.

la sapa

mosto dolce cotto passum vino, come dice il nome, di passerina, la


muriola o murrina secondo Varrone un altro nome dello atesso liquido la Iurta o lorea o lora una bevanda ottenuta macerando bucce
;

di

uva nell'acqua.


frammento

il

VJ5

di Saffo citato pi

sopra

(p.

ma

87),

che

per conviene anche bene alle consuetudini romane. Eros

che strappa alla fanciulla

non greca antica

ma

concezione

conocchia,

la

ellenistica

romana

ma

sostiene qui la parte principale;

il

non

dio

un'espressione sim-

bellezza giovenile di Ebro, come fa sensimmetria delle due proposizioni Ubi qualum Cythereae jmer ales, Ubi telas operosaeque Minervae siudium

bolica

della

tire la

aufertf Neobuie, Liparaei nitor Hebri.

Similmente Eros

rappresentanze ellenistiche e romane per


figura secondaria pi o

meno

decorativa, direi

accessorio scherzoso e nulla di pi.


dell'antica poesia, che

Alcmane

(fr.

in

una
quasi un
pi

lo

Ben diverso

Eros

l'

38) dice ^cyc^, Ibico

l'Eros di Saffo che infuria contro


di
monte, vento procelloso (fr. 42)
Ibico (fr. 1-2), che fulmina il poeta con uno sguardo che
fa tremare; di Anacreonte (fr. 47), che dopo avere martellato l'amante lo tuffa nel gelido torrente montano,
come il fabbro fa con il ferro rovente per temprarlo.

(fr.

1) pc[jivs

gli

alberi su per

"Epw? vfxais

L'

[jisXXcpyjiSo?

sogno
tosto

di

bimbo

canta ancora Sofocle.

Non

cos ci raffi-

Orazio; non l'efebo dell'arte pi antica

che Prassitele scolpi come smarrito

(1), toglie la
il

il

[JLc/z/^av,

guriamo l'Amor
il

O-afXjjTfjC

di

rocca

di

Apollonio

mano
(III,

alla fanciulla,

114 sgg.) che

si

un

in

ma

piut-

diverte

Zeus a giocare a dadi con Ganimede e cui


il
la mamma afferra il ganascino per dargli un bacio
piccino che in pitture pompeiane si libra cos spesso
nell'aria insieme con i compagni o in terra si lascia annel giardino di

dare a ogni genere di scherzi e di birichinerie innocenti.

A
la

un giovane forte disdirebbe il furto scherzoso che


fanciulla non lotta seriamente, anzi si lascia certo
;

(1)

Su

di esso cfr.

Fuhtwangi.kis,

100-101, e L<\VY, ScuUnra greca 81.

Meiiitnirei-ke rSS,

con

lo figure

<m --

portar via la conocchia di buona voglia, digito male per-

La scena schizzata cosi fuggevolmente da Orazio


graziosissimi quadretti degli Amoricorda in certo modo

tinaci.

che rubano ad Eracle

rini

armi

le

(Ij.

nomi "E^poc e No,3(')Xa deriveranno da


Ne
come per il secondo prova anche la forma ionica o
i

Alceo,
attica.

abbastanza verisimile che il secondo sia preso da Archiloco, sebbene un nome formato cosi normalmente da
parole cos comuni poteva essere portato in ogni tempo
da qualsiasi donna di qualsiasi citt greca (2) ed essere adoperato da un poeta, senza che questi avesse la pi lontana
intenzione di coniare un nome. "E^poc, pi raro, pure tutt'altro

che nome

mentatori

Delfi nella

come sembrano credere comuna famiglia borghese di

di fantasia,

esso fu ereditario in

seconda met del

quale teste in

IX
di

atti

di

(,j,ja'.cotr(p}

emancipazione rogati durante

sacerdozio (GDI 2194, 30; 2273, 5; 2284,

nomi

di fiumi

come nomi

pi antica assai raro

Un

secolo avanti Cristo.

II

"E^po? o "E[ipo; "Efipou figura quale garante

di

ma non

colo un Ciziceno chiamato

uomini

inaudito

AfairjTco?

dal

5).

liberi
:

gi nel

nome

o
il

L'uso
nell'et

VI

se-

del fiume

che lo stesso, della divinit del fiume della sua citt


(GDI 5522 b, 2). Porse Orazio ha trovato che il nome
"E^po: era usato nella poesia d'amore ellenistica come
0,

denominazione

fissa di

un

tipo determinato,

allo

stesso

(l L'uso di Eros u scenette di genere era del resto tutfaltro


che nuovo nella poesia romana basta ripensare all'Amorino di Ca;

tullo,

che starnuta ogni volta all'udire

e di Settimio
(2) Il

(e.

le

parole di amore di

Acme

45).

caso vuole che io conosca solo un NspooXog di Hypata, no-

IG IX 2, 13, 11. Il sesso


ha poca importanza, perch la maggior parte dei nomi greci di donna
sono femminili di nomi adoprati per gli uomini, non nomi particoGermani.
lari come tra

minato

in un' iscrizione dell'et di Tiberio

modo

97

com'egli non ha gi inventato

teratura di tal genere

nome

il

ma

attinto

forse davvero ricercato la somiglianza fonetica con


nitidus,

La

come vogliono
descrizione

ellenistica

ha

hr^oc^ic,

secondo

Kiessling-Heinze

pensare ad origine ellenistica

infatti

fa

let-

commentatori.

Ebro

di

Cijrus (l). In Liparaeus

la

menzione della caccia, che nella va svago consueto


ne si pu negare che
dei giovani di buona famiglia
anche gli altri particolari paiono mettere sotto occhio
;

il

tipo dell'efebo, quale dal quarto secolo

fuse

dall'

Attica in tutto

il

in

mondo greco

poi

si

dif-

insieme con

r istituzione militare dell'efebia. Eppure non mi sembra

negar senz'altro che Alceo potesse descrivere un


tipo simile di giovane. Le prove dell'esistenza del gin-

lecito

ginnasiarchia sono per vero piuttosto re-

nasio e della

centi sia in Mitilene

(2) sia in

zione mitilenea in onore di

come prova

Ereso

un

(3)

recente

'^[3apyo; (4)

l'

iscri-

IG XII,

2,

forma delle lettere nella copia di


recenti sono
Ciriaco, che unica ce ne d conoscenza
anche le iscrizioni agonistiche (5) cosicch per questo
rispetto non ci sarebbe difficolt a supporre che l'organizzazione militare dell'efebia sia stata introdotta a Lesbo
da Atene nell'et stessa che in tante altre citt elleniche (6), nel IV o III secolo. Ma bisogna anche riflettere
134,

la

(1) Cfr.
(2)

sotto, cap. II.

IG XII,

2,

208. 211. 232. 244

di

sono dell'et imperiale;

lista di

supplire nell'ultima riga t Tiv Tg [YUnva]o[tapxiaj], tanto


il

82,

numeri ordinali e di somme


danaro, che noi non intendiamo, sicch jmramente arbitrario

che anteriore, contiene solo una

sigma non
(3)

piti

che

neppure sicuro.

IG XII,

(4) Il

Twv

2,

527, 34.

titolo della magisti-atura nella r. 4;

vltov xai T)v cp[dpa)v]


(5)

P. e. 224. 241-251.

(6)

Okhlkk,

l'V.

10 ex twv

V, 2743.

i5(ti)v

v. 6 YW|^vaoi[apx"i^]aacg

nsTtor^xwv YU|ivd[a'.ov].

osche Mitilene ha dato sinora pochissime iscrizioni e che


anche altrove documenti di sodalizi giovenili non risalgono in generale ad et molto antica, mentre pure tali
societ presentano un carattere assai arcaico (I). E la
i

poesia e la personalit di Saffo rimangono inesplicabili,

non

se
lizi

le si

immaginino nate nella

dovremo

sposto sodalizi maschili.


nell'orbita dello

vita

comune

femminili, ai quali impossibile non

non un

ri[ioc,

stato potesse
veaviwv; che,

esistere

soda-

ammettere che

forse

mentre

di

abbiano corri-

un

-pvaixwv

-7;|io;

donne s'inse-

alle

gnava la musica e l'arte della poesia,


giovani
medesima condizione sociale non si esercitassero
i

armi e nella ginnastica

nelle

Per, se anche Alceo nell'ode che dette

lo

spunto ad

Orazio, esaltava forse la valentia del bel giovane


esercizi propri della

della

sua et, Orazio sostituisce

negli

ai parti-

La menzione del Campo


Tevere non prova, presa di per s, nulla,
perch quelle localit possono essere state sostituite a
importa invece mostrare che sono nomilocalit lesbie
nati solo esercizi che al tempo di Orazio erano in voga
tra la giovent romana.
colari lesbii particolari romani.

Marzio e del

La

caccia forse sport originariamente greco

signore

romano

del

tempo

delle

niche affidava agli schiavi

vaggina

il

che nella

suo

desco

Roma

il

primitiva

il

ricco

due prime guerre pu-

compito

ma come

di

fornire

difficile

cittadini,

di

sel-

immaginare

che erano semplici

contadini, abbiano rinunziato a cacciare nei dintorni an-

cora boscosi, cos pure


in voga,

appena

l'

l'

uso

di

andare a caccia torn

influsso greco cominci a farsi sentire.

Dalla notizia di Polibio

(XXXI,

29, 3),

che Emilio Paolo

durante la spedizione di Macedonia aveva incaricato

(1)

UsENER,

Vortr. u. Aitfs.,

122 sgg.

i3x-


CT'.Xc'xo:

macedoni

ma non

cacciare,

insegnare a Scipione

di

suole indurre che

Romani

suo amico

solessero

intendo come

avere svegliato nel

di

passione per la caccia, mentre gli

la

una precoce

con

Ne

si

voglia ricavare dal fatto che

vanta

giovani romani preferivano

bili

di

si

{ibd. 29, 8) si

caccia,

la

queir et non

di

so quanto a ragione.

questa stessa conclusione


Polibio stesso

1)9

abbandonarsi

di

che

attivit politica (1);

no-

altri

alle gioie

solo confronto

il

consuetudini di ragazzi ambiziosi non legittima

le

modo

in alcun

La menzione
un opuscolo pubblicato nel 44
deWaucupium come di occupazioni pre-

osservazioni cos generali.

invece che Cicerone


fa della venatio e

in

un vecchio venerabile,

ferite di

ritiratosi

campagna {Cat. mai.


che abbia valore di documento quanto
ultimi giorni in

a passare

suoi

me

16, 56), pare a

alla

stima

in cui la

non importa che questo


in genere da fonte greca, che egli
lo ha rimaneggiato assai profondamente per farne un
lavoro che si adattasse bene ai Romani. Varrone, forse
alcuni anni prima che fosse composto quest'opuscolo
di Cicerone, sent il bisogno di scrivere una delle sue
menippee contro cacciatori e cacciatrici, i Meleagri (2),
sua et teneva quest'esercizio
suo trattatello

questo della larga diffusione di quell' uso. Al-

indizio

cuni anni dopo


til.

4,

(1)

(2)

del

1)

il

trattatello

di Cicerone, Sallustio {Ca-

narra di s stesso con

orgoglio ch'egli,

eli-

Cfr. anche Plutarco, Paul., 6.


I

frammenti non mi sembra

NoKDKN

accordino con

si

{Fleckeisens Jahrb. Suppl.-Band,

tira contenesse

Io

dipenda

un contrasto

tra

un nemico

non so vedere che espressioni

comodi, 80 non

ci

si

ostili

guadagna nulla?

XVHI,
un amico

29r>-29() a

298 qtiem

la

congeUura

326), che
di

che

la sa-

questo sport.
tino tanti

idcirco

in-

Itna non

cnelum recepii si riferir ad Ercole, come conferma anche il


299: qui viene schernito l'eroe cacciatore, che anche nell'inno
ad Artemia di Callimaco 153 sgg. consiglia mezzo furbescamente mezzo

cepit et
fr.

10<)

minato dalla politica attiva, aveva preferito dedicarsi


a studi storici che non agro colundo aut venando, servilibus offciis, aetatem agere ; ma non lecito attribuire vagenerale

lore

alla professione

fede tutta personale

di

un uomo smisuratamente superbo di s e del suo ingegno e desideroso di vivere e pensare diversamente
di

che pochi altri in (jueiret avrebbero osato


condannare cosi l'agricoltura. E non e' in fondo
neppur bisogno di raccoghere testimonianze altrui, giacch
Orazio stesso parla sovente della caccia lodandola assai
e magnificandola quale sport veramente romano. Per lui
essa anzi (epist. I, 18, 49) un Romanis sollemne viris
opis ; ed egli cos poco conscio dell'origine forse straniera di una costumanza, la quale appariva ormai cos
romana, che non esita a contrapporre la caccia e l'equidagli altri

di

tazione quale milizia

romana

giuochi

ai

della palla e del disco, al graecari


lassus ab indomito vel,

Romana

si

meno

faticosi

leporem sectatus equove

fatigat

militia

adsuetnm

graecari, seu pila velox moUiter austeriim studio fallente la-

borem

seii te

discus agit e cos via (semi,

li,

9 sgg.)

2,

(1).

stupidamente alla dea di andare a caccia di porci e di buoi e di lasciare cervi e altri simili animali, da cui si ritrae troppo poco vantaggio

cos

aveva sempre fatto

finch gli dei, impietositi

300-302

si

dei

rivolgono contro

le

lui,

divenendo una calamit per

mortali,

non

lo

inalzarono in

tutti,
cielo,

cacciatrici e le loro indecenti foggie

di vestire.
(1)

teriale

Sulla diffusione della caccia nell'et imperiale ha raccolto mail

Blmner, 515

sgg.; interessante sapere che Plinio

il

gio-

vane (epiat. I, 6, 1), andando a caccia, si portava appresso gli strumenti per scrivere che un uomo cos poco appassionato per lo sport
non riuscisse a sottrarglisi, mostra che la moda era generale, e a
pensare che da quel passo si suole ritrarre la conclusione opposta
Parimenti errato il metodo di supporre dipendenza da modelli
il che sia osgreci, ogniqualvolta un poeta romano parla di caccia
;

servato contro lo .Jacoby, Bhein. Mus.,

LX, 1905, 75 (nota a

p. 74).


Simile

il

101

contrasto in cartn.

Ili,

haerere ingenuos puer venarique

Graeco iubeas trocho seu e

24,

54

timet,

equo rudis

nescit

dodior seu

ludere

cos via, dove, se

trochus e

il

greco, la caccia dev'essere romana,

E appunto cignali menzionati da Orazio in quest'ode


non erano in quel tempo rari in Italia e neppure nei dintorni di Roma. Gargilio (epist. I, 6, 57 sgg.), ch'era un
buon Romano, fa passare il suo corteo di caccia, reti,
lance o meglio spiedi, servitori la mattina per tempo per
il foro e torna la sera a casa con un cinghiale comprato
i

questa storiella basta a mostrare che a quei tempi nelle

Roma

vicinanze di
ghiali

anche

c'era speranza di

fuori dei parchi e delle riserve

proprietari di terre. Lavrens per

addirittura
finato

imbattersi in cin-

un

il

epiteto fisso del cinghiale.

non apprezzava per

Laurens mahis

est,

ulvis et

Un

5,

28)

palato raf-

carne del Laurens aper,

la

erbe palustri, prendeva fa-

perch questo, nutrendosi


cilmente un sapore cattivo o sciocco
di

grandi

dei

poeta (epod.

serm.

II, 4,

42 tiam

harundine pinguis. Esso, dunque,

viveva rintanato nelle macchie basse della costa (1); il


che non esclude che cinghiali ci fossero anche nelle riserve. Proprio in quel di Laurentum ne possedeva una,
un therotrophium, Q. Ortensio, nel quale, a qiel che narra

Varrone

(r.

r.

Ili,

13, 3),

pascolava grande quantit di


da fossi

cinghiali e cervi. Di tali parchi di caccia recinti

e staccionate e dei cervi, che in essi erano allevati, parla

Varrone

in

generale nella stessa opera

testimonianze antiche

che ora

in Italia

fossero qui

non

si
si

ha

l'

(l)

12,

1.

impressione che

Dalle
cervi,

trovano pi fuorch in bandite,

anche nell'antichit molto pi

ghiali, pure non mancando del tutto

Ancora al tempo di Marziale


dono consueto.

45, 4) era

III,

il

rari

che

che, se fossero

cin-

man-

Laurenit aper iIX, 48, 5; X,

102

non darebbe tante ricette per


l'arrosto di cervo, ne Orazio stesso prenderebbe esempi
dalla caccia al cervo come da uno sport abituale (epist.
I, 2, 05 sgg.). La sua prima ode ci mostra il cacciatore
menar all'aperto vita disagiata lontano dalla moglie pur
di prendere una cerva o un cinghiale, un cinghiale italico, Marsus aper. Cos leggendo in quest'ode celer arto
latitantem fruticeto excipere aprum vien fatto involontaria-

cati,

Apicio (341

mente
quale
si

di

sgg.j

pensare alla caccia con


pratica ancora nella

si

spiedo, venahnnm,

lo

macchia bassa e

stende lungo la costa latina;

catiis

fitta

che

idem per apertum

fugientis agitato cervos iaculari indicher piuttosto la cac-

immense bandite

cia a cavallo nelle

per lo

meno

p. e.

maremmane

(1).

inverosimile che Alceo praticasse un tale

sport

nella sua piccola ed aspra Lesbo, cos

avr

avuto

anche raramente occasione

di

come

egli

nuotare in

grandi fiumi.
lotta

erano invece, com' noto,

eW exercitatio

cainpestris, degli esercizi cio

L'equitazione
parte cospicua
della ricca

la

giovent romana dell'et augustea. Orazio

chiede altrove

venuto

veris atque solis,

con aria

8)

(e. I,

di Sibari, cur

rimprovero che

di

cur ncque militaris

Gallica nec lupatis

sia av-

apricnm oderit campum patiens pul-

temperet

ora

Inter

frenis ?

aequalis equitet,
cir

timet

flavoni

Tiberini tangere ? cur olivoni sanguine viperino cautius vifat,

ncque iam livida gestat armis bracchia


forse esercizi greci

greco

il

Son anche questi

giovinetto al quale Ora-

24 rimprovera (v. 54) di non sapere andare a cavallo e di aver timore della caccia ? No,
i
tre passi si integrano a vicenda
il giovane, che Orazio
zio nell'ode

romana

111,

(1)

Ambedue

queste cacce sono spesso rafiSgurate su sarcofagi ro-

mani dell'et imperiale:

cfr.

2249. 2949. 2956. 2958. 2979.

p.

e.

^Iatz-Duhs, Aniike Bidwerle,

11,


ha

mente,

in

appartiene

Augusto

giovane romano di buona famiglia, che


iucemim costituiti o ricostituiti da

il

ai sodalicia

da esso a continuare nella vita mo-

e destinati

derna antichissimi

anche

103

usi

italici.

Sibari

Il

oraziano abile

in esercizi di ginnastica greca, nel getto del disco:

saepe disco, saepe trans finem iaculo nobilis expedito, perch

l'educazione militare romana di questo tempo aveva ac-

anche generi

colto

come Augusto

originariamente greci, cos

sport

di

nel

risuscitare

iuvenum

sodalicia

italici

aveva avuto l'occhio anche all'efebia attica; ma ci nondimeno rimasto il giovinetto romano, che in et di
quindici o sedici anni, prima di partire da Roma per
compiere nelle province il suo servizio militare, riceve
prima educazione ginnastica e militare a Roma nel
Campo Marzio. L'etra Lidia attira a s Sibari, di.straendolo dai suoi obblighi militari e rendendolo molle; di un
la

altro giovane dalla stessa et e della stessa condizione


s'innamora la vergine Neobuie (1). Il carme della vergine
sospirosa non imitazione di Alceo se non nell'idea ge-

nerale

mano

e nel

principio

(1)

greche.

Il

il

Rostowzeav

passi

A mo'

il

epicurea

come

omni tempore

il

poche parole su
st.ito osservato
alla

monito

vixeris

sa

cria

ha posto

di

II, 3

aequain memento

1'

malinconia, non so se

s9-j}iia.

ellenismo

ci sia

re-

da gran tempo, una


che la

tra epicurea e stoica

di serbare

i>ii

souo

con istituzioni

italico dell' istituzione augustea.

che

che carica di ricchezze e di onori, senz' una ragione


la vita nella

ha trattato

egg.), a cui uoii

Staat der Ilaiker, 44 sgg., 92 sgg.

contrapposta

precede; epicureo b

61

relazioni storiche

le

fondamento

di appendice

bua in arditi. L'ode,

e uelle proviucie

(Bleiiesserae,

oraziani n

Rosknbkhg,

in pih chiara Ince


(2)

Roma

Dei sodalicia iuvenum iu

sfuggiti n

8tH8

resto oraziano e ro-

il

(2).

egregiamente

cria

tutto

Anche
di
al

seu mae-

Alceo

gente

mondo pass

stata nell'antica Grecia; quo

con quel che segue rendono testimonianza deiranu>re moderno per la campagna, del sentimento nostal-

pinna

ingene

albaqite

populua

104

VII.

Orazio imitatore di Alceo?


1.

L'esame accurato di quelle odi di Orazio per le quali


hanno riscontri nei frammenti di Alceo, mostra che
quegli non ha mai n tradotto ne parafrasato questo, ma
che o ha preso da esso solamente lo spunto, il motto,
si

gico che spinge a fuggire dalla citt grande. Pure in quest'ode cos

moderna
spunto

forse inserito

uno spunto

Orazio, scrivendo huc vina

amoenae ferre iuhe rosae, dnm


atra

ricord forse di

si

Tatg uo3-ufit8g Ttg,


(fr.

36

V.

y^Bidxw

All'

sororum

[lv Tiept

fila trinvi patiuntur

Talg Spaiai mpd-izu) ^Xx-

Su

[l'jpov

1-2 sono stati cougiuuti con

tamente a ragione).

non pi per che uno


et ninmim irevia flores

unguenta

ree et aetas et

tkXX' vV^xo)

xa5 Ss

aleaico,

et

v.a.x

tw

ai-qb-soq &[i\ii

seguenti dal Bergk, cer-

aneto Orazio ha sostituito la rosa, che per

Eomani il fiore del convito (cfr. Hehx, Eulturpflanzen^ 255 sg.),


come mostra anche l'ode ultima del primo libro mtte sectari rosa
quo locorum sera moretur, ha schivato di descrivere il modo come si
i

sarebbe fatto versare addosso

l'

unguento, certo perch

gli

spiaceva

minuta di un' azione molle. Ma gli unguenta, cos rari


in lui, fan pur pensare ch'egli derivi qui da Alceo. Nimuiin brevis
res, come a me pare, romano, che
flores gi di nuovo ellenistico
non sar plurale n vorr dire generalmente le circostanze, ma si dovr
la descrizione

intendere nel senso concreto di patrimonio, ricchezza


sei ricco e

godi, finch

giovane e la Parca te lo concede. Le strofe seguenti sino

alla fine sono di


tati dal poeta

nuovo specificamente romane, romani

ma

posseduti dal ricco Dellio

la casa in citt e la villa sul

Tevere

romano

non invenmontani e

lo spettro dell' erede,

che l'obbligo morale, che ognuno ha, di trasmettere

ma non

bei pascoli

il

capitale, usu-

mi pare rispecchi l'ordinamento gentilizio di Roma, che esige che la ricchezza rimanga nella
stirpe. Anche nfima de plebe pare schiettamente romano. L' identit
del motivo tra omnes eodem cogimur, omnium versatur urna seritis ocius
sors exitura e la quarta strofa dell'ode romana III, 1 aequa lege Nefruito

intaccato, intero a chi vien dopo,

105

per passar subito a cantare romanamente sentimenti ignoti


all'et del

Lesbio

o anche,

ma

raramente, ha composto

su argomenti cantati gi da Alceo carmi di tal fatta che


ricordassero al lettore dotto la poesia corrispondente,

non

per simile, del poeta antico, Orazio ha preso spunti non

da Alceo ma, coni' noto, anche da Anacreonte


ha scritto, non soltanto da vecchio, carmi che nello stile
vogliono arieggiare Pindaro e che portano in fronte come
motto la traduzione di sentenze del vate tebano ha inserito ai suoi carmi parole celebri di Ennio. Pure u
antichi ne moderni lo dicono imitatore di Anacreonte, di
solo

Pindaro,

di

Bacchilide,

maggior parte
sere anteriori

di

Ennio.

Ha

rielaborato

nella

non possono esall'ellenismo; eppure nessuno lo chiama


delle poesie motivi che

seguace e continuatore della poesia

ellenistica, o dei con-

tinuatori romani della poesia ellenistica, dei vswxepoc.


scritto su

Ha

argomenti romani odi romane, in cui n un

pensiero n un sentimento n un'espressione potrebbero


essere stati pensati, sentiti, espressi in tal modo se non
da un cittadino romano dell'et di Augusto; nessuno lo
vanta poeta originale. Come si spiega questa parzialit
di giudizio ?

Ne ha
si

forse colpa

l'

interpretazione poco precisa che

suol dare dei passi di Orazio nei quali egli parla del-

omne capax movel urna nomen fornisce


ima riprova. Dunque una reminiscenza da Alceo in un carme
Anche la peuultinia
che vuole e riesce bene ad essere moderno.
strofa dell'ode per il ritorno di Augusto dio et argutae properet Seae.
rae murreum nodo cohibere criuem vuol forse richiamare Alceo 4(5 xXop,a Ttva xv x'P^-'''c* Mvwva xdXsooat, ai XP^ oi)[i7ioaiag n' vaatv |Jioi
YeyvyjaO-ai. Ma Alceo non ha certo aggiunto i per invisum mora ianiiorem fiet, abito, che la pazienza non fu certo la virti principale di
cavalieri le8l>ii, e quel che segue non pu essere stato sentito e detto
eesaitas aortitur insignis et imos,

forse

da

altri

che da Orazio.


l'arte
Il

vale

sua;

pena

la

pi importante e

primo

lil)ro.

Orazio

di

accuratamente.

ponderarli

pi chiaro nell'epistola 19 del

il

si

106

lamenta degli imitatori

e in

primo

luogo di coloro che lo avevano preso troppo alla lettera:


dal giorno ch'egli aveva condannato un genere di arte
che sapesse pi di acqua che di vino, poetucoli romani
avevano preso a inebriarsi giorno e notte. Dal deridere lo scimmiottamento di esteriorit di nessun valore
i

Orazio passa a poco a poco a dileggiare la pedissequa imitazione letteraria: rupif larbitam Timagenis aemula lingua,
larbita, per volere superare

cio

zie,

cui

decipit

non era nato, rovin

exemplar

vitiis

Timagene

se stesso

cio

imifabile,

ammirano

(1).

nelle face-

pi oltre

un esemplare

di

che naturale saltino pi facilmente agli occhi, ed imitano quequodsi pallereni casti, biberent
sti . L'esempio aggiunto
exsangue cumnum mostra che Orazio, ancorch enunci la

degno d'imitazione

essi

solo

difetti,

massima
tori si

in

modo

generale, pensa a se stesso

gli imita-

studiano di riprodurre quelle peculiarit dell'arte

sua delle quali egli

si

ormai spogliato,

le

quali

egli

pems, ut mihi saepe bilem, saepe iocum vestri movere tumuUus; l'operosit incomposta degli imitatori, dei suoi imitatori gli mette addosso
un po' rabbia, un po' voglia di ridere. Chiunque legga
ora condanna:

imitatores, servom

queste parole, intende subito che seguiranno versi nei


quali il poeta contrapporr l'originalit propria alla servilit degli imitatori; e infatti

vacuom

viene appresso:

posili vestigia princeps, non aliena

qid sibi fidet, diix reget examen.

meo

libera

pressi

per

pede

Con queste parole Orazio

rivendica a se stesso l'originalit piena, cosicch esse non

(1)

Nou

che fingono

si

di

devono prendere sul

serio autoscliediasmi di scoliasti,

sapere che, per imitare Timagene, larbita, a furia di

sbraitare, scoppi.

107

potrebbero in alcun modo conciliare con la confessione


suoi imiche il poeta dipenda da modelli greci, come
tatori da un modello latino. La costruzione stessa del
si

periodo seguente Parios ego lrimum iambos ostendi Latio,


numeros animosque secutns Archilochi, non res et agenda

Lycamhen mostra che anche nella mente del poeta


ho introdotto per primo nella poesia latina i ritmi di Archiloco, e ho cercato di riprodurre il tono del poeta Parlo
ma ho scelto tutt'altri argomenti . Poich non vi sarebbe ragione di dubitare della veracit di Orazio, anche
se non ne avessimo le prove, si potrebbe ricavare da
queste parole che egli, come per il primo (che gli esperimenti isolati di Catullo non contano) ha ripristinato in
luogo del senario, adattamento geniale di un ritmo greco
alle leggi di accentazione e alla melodia caratteristica della
lingua latina, il trimetro ionico originario, dando ad esso colore schiettamente archilocheo, non tragico o comico, cos

verba

la proposizione ultima la pi importante. Io

pure

non

si

sia studiato di riprodurre in

lo stile, di

di questo

Archiloco, ed abbia

al

generale

il

tono,

ma

pi preso dai giambi

qualche spunto, senza seguir mai ne per intero

ne da vicino un carme determinato. Pure una conferma


non sar inutile la porge il ritrovamento di un epodo
:

nuovo

di

Archiloco

Orazio nell'epodo
di Archiloco,
dello,

ma

riducendo

dell'odio contro

in

un papiro

X abbia

preso

le

mostrando come
mosse da una poesia

(1),

abbia trasformato del tutto


l'espressione

il

suo mo-

appassionata ed ingenua

un amico, che Archiloco, poich ha

tra-

dito la santit dell'amicizia, vuol vedere naufrago e schiavo

un propemptico in tutta regola per


un nemico letterario, dove non manca neppure la promessa consueta di un sacrifcio alle Tempeste, se non

di barbari Traci, a

1)

lierliner Sitzu)if}berichte,

1899, 857 spg.


gi lo salvino,

ma

ha mutato ogni
sce quasi pi

riodare

Leo

lo

lo

108

mandino

particolare,

in

egli riproduce di

ma

stile

solo

il

poeta romano
non si riconoArchiloco non gi il pemalora.

che

Il

la poesia

tono generale, animos.

Il

ha tentato con buon successo la prova anche


per quelli epodi, per cui o non sono conservati riscontri
si hanno solo in frammenti, e ha dimostrato che Orazio
ha anche preso l' idea dell'epodo II da Archiloco (fr. 25)
ma che ha mutato il metro, sostituito al falegname
Charon la figura caratteristica dell' usuraio, trasformato
le lodi dell'agiatezza modesta nell'elogio della vita campagnola; che insomma svolge motivi quali non poterono
venire in mente ad alcuno prima che si formassero citt
veramente grandi, prima cio del periodo ellenistico.
Parimenti l'epodo VI contiene s un richiamo a un
vanto archilocheo sv S' Tiirjxo!.\i.ca (jLsya, xv Vwaxw? jxs pwvxa
(Ij

Svvoc? (2) vxoL^ti^zod-aLi xoLxolq (fr. 65),

ma

nel resto le mi-

nacce contro gli obirectatores non hanno di


la poesia del Pario altro

che

la la^^ixri

loc

comune con
e

cos gli

epodi VII, IX, XVI, pur riproducendo la situazione, con-

come

sueta al pi antico giambo


del

poeta che, oratore o araldo,

alla pi antica elegia,


si

presenta a parlare

dinanzi al suo popolo, sono tuttavia poesie romane,


derne,

imitazione.
e pi

in

originali,

cui

chiaro anche che negli epodi XIII e

XI neppure

ancora nell'epodo

ma

che

mo-

nessun particolare frutto


la

ca|jLi3i>c7j

di

XIV

'Mfx,

forma
stilistica, in contrasto singolare e bello con la forma metrica, eh' ancora per met giambica, sono prettamente
conservata,

gli

argomenti,

il

tono e

la

lirici (3).

(1)

De Horatio

(2)

et

strano che

ArcMlocho
ci aia

dente della parola corrotta


(3) Il

Leo

Gottinger

Programm

1900.

ancora chi ricusi questa emendazione evidiivog.

dice, troppo ristrettamente, elegiaci.

109

non solo
seciitus
arte
della
sua
anche
equo
estimatore
sincero
.... non res et agentia verba Lycamhen ricordano, ne la
coincidenza sar fortuita, la dichiarazione che Callimaco
mette in bocca al suo Ipponatte redivivo nel proemio

Dobbiamo dunque riconoscere che Orazio

ma

dei coliambi
Lziovxoi.

lunghi

Io

torno al

Bo'jTTas'.ov

xTjV

tratti

(fr.

mondo

cppoy^ Ta|ji^Jov

\i^t:/r^'^

Ora dopo la scoperta


un papiro di Ossirinco

90).

dei coliambi in

di
(1)

possiamo far la riprova e scorger con gli occhi nostri


che Callimaco ha di Ipponatte la forma metrica, non
altro, non lo sprito che Orazio riconosce di avere da
Archiloco, numeros animosque.

Orazio dunque contrappone se agli imitatori e si vanta


di essere stato originale, poich di Archiloco

a voce alta

ha

solo lo spirito e la

forma metrica. Segue ac ne me


quod timui mutare modos et car:

foliis ideo hreviorihus ornes,

minis artem

temperat Archilochi

musam

jjede

mascida Sap-

pho, temperat Alcaeus, sed rebus et ordine dispar, nec soce-

rum

quaerit

quem

famoso Carmine

versibus oblinat afris, nec sponsae

nectit.

La

laqueum

dottrina esposta in questi versi,

non facile (2), va messa in


rilievo maggiore che generalmente non si soglia. Con
queste parole Orazio, checch ne dicano gli interpreti, fa
fronte alla teoria comune gi nelle scuole (3) al tempo di
Aristotele e da questo acerbamente combattuta nella Poetica (1447 b y sgg.), secondo la quale il genere letterario determinato dalla forma esterna, in ispecie ritmica.
nei particolari d' intendimento

(1)

Oxyrh. Pap., VII, n. 1011.

Il

fr.

90 ricoiupare nei versi test

scoperti.
(2) Salto ,

secondo me, detta pede mascula, appunto perch ha

attinto ad Archiloco ritmi tutt* altro che femminili.


(3)

che,
p. e.

Non

com'

c' ragione di credere che Orazio ahlia letto la Poetica,


noto, stata nell'antichit molto meno' ])opolare clie

la Retorica.

non

Ilo

Orazio non

un

riconosce a

criterio

valore ed asserisce l'originalit

bene conceda che

di

cos

alcun

esterno

Saffo e Alceo,

seb-

dipendono da Archiloco quanto


ai ritmi (1). Cos ritoglie in certo modo con la sinistra
quel che aveva dato con la destra: di Archiloco egli ha
gli

spiriti

essi

ma

ritmi,

l'originalit, tant'

ritmi

non importano nulla

al-

vero che nessuno sosterrebbe imita-

tori Alceo e Saffo, i quali pure hanno preso i loro ritmi


da Archiloco.
Continua con htinc ego, non alio dictum prius ore, La-

immemorata ferentem ingenuis


dove volgavi non pu significare tradussi , come non lo significa mai nella
lingua latina dei buoni tempi, ma solo resi noto, pi
noto . Orazio rese Alceo popolare, scrivendo carmi che
lo richiamavano alla memoria; gi la pubblicazione stessa
tinus

volgavi

fidicen

iuvat

ocidisque legi manihusque teneri

meliche latine doveva invogliare

di poesie

sfogliare

carmi

di

Alceo, ai

quali

somigliava nei ritmi, in alcuni spunti


d'ora, nello

^[^rpic,

stile.

anzi

lettori

poeta nuovo

il

e,

diciamolo

Orazio non accenna qui in alcun

ri-

rasfin

modo

contemporaneo, che giungeva a questi

il

versi fresco della lettura del passo su Archiloco, doveva,

non messo

sull'avviso,

necessariamente

intendere

che

Orazio era originale rispetto ad Alceo come di fronte ad

Archiloco

e le parole

che vengono subito dopo, imme-

morata ferentem, non potevano se non confermarlo in que-

intende

(1) Egli

Heinze, che

Lesbii

senza dubbio, come spiegano bene Kiesslinghanno preso dai giambi e dai trochei di Archi-

loco gli elementi costitutivi della strofa alcaica e safQca, e


sulla teoria varroniana,

consueta di ordine, quale


e vuota

su cui v. sopra p.
si

29.

fonda

mi pare troppo vaga

legge nei commenti,

io interpreterei rebus et ordine peduin

si

L' interpretazione

Alceo diverso da

Archiloco negli argomenti e nella disposizione degli elementi ritmici

comuni ad esso con

lui.

sta interpretazione.

non

ego,

didum

alio

Ili

giacche tutta la proposizione hunc

prius ore, Latinus volgavi fidicen fa

perfetto riscontro a Parios ego

primum

ionibos ostendi Latio,

giacch anche nei versi su Archiloco Orazio aveva concesso di derivare da esso quanto ai ritmi,

dere che

le

parole

dobbiamo

cre-

che anche qui confessano in certo

modo una dipendenza, si riferiscano ai ritrai. Orazio dicit


Alcaeum, non alio didum prius ore, perch ne riproduce
i

non per

ritrai,

poesia la parte

altro.

poich

lettore antico,

il

nella

concludererao noi

pi iraportante, egli,

corae avr concluso

non sono

ritrai

sente pienamente

si

originale.

Che

il

metro non

per

sia

Orazio ribadisce nell'ode 32

Latinum,

barhite,

non istrumento,

se

lui

primo

del

Carmen Lesbio primum

libro

age

modulate dvi.

die,

Al-

ceo ha per primo intonato raelodie sue su quelle stesse

corde eolie sulle quali Orazio suona ora canzoni romane


lesbia la cetra, cio
lesbio

il

cpwvsaaa

Non

metro,

il

ma

roraano

principio ispirato a Saffo 45 ye


^(ho'.o,

ma

dissimile

roraani
il

vanto

5r]

canto

il

-/a'j

ol

(l);
\io'.

sensi.
di originalit nell'ode

ultima

prima raccolta gloria di Orazio princeps Aeolium


Carmen ad Italos deduxisse modos. La parola deducere pu
significare o detorquere o pungere, o derivare o comporre;
della

passo dipende dal significato di

la retta intelligenza del

prima vista

aspetterebbe piuttosto Aeolios


modos ad Italum deduxisse Carmen, aver ridotto a poesia

modos.

italica ritrai eolii ,

si

avere rivestito

di

ritrai

eolici

una

poesia latina; e quasi fosse scritto

cos, interpreta la

Ma

Orazio ha scritto e

maggior parte

(1)
al testo

.310;

L'ode
assai

dei commentatori.

del resto sia

controversa

quanto all'interpretazione sia (luauto


Wh.amowitz, Sappho n. Siinonides,

(cfr.

Rkitzknstein, Uh. Mns. LXVIII, 1913,

L'5l

sgg.).


voluto altrimenti

di nmneri,

pecles

112

modi non dunque qui sinonimo di


non indica il metro o il ritmo, come

pure altra volta in Orazio

(I),

ma

Non

prio di melodia o modulazione.


bia,

gi che Orazio ab-

a essere cantate e

in generale, destinato le sue odi

abbia musicate egli stesso

le

sta nel senso pi pro-

(2);

ma

giacch ogni lingua

ha la sua modulazione, la sua melodia particolare, cos,


carmi latini di Orazio
pur rimanendo eolio il ritmo,
i

suonano ben differentemente dalle liriche di Alceo.


modi sono dunque

vanta dunque

melodie latine, suoni

aver composto

latini .

Itali

Orazio

meloanche questa volta di non dipendere da Alceo se non nel ritmo e rivendica a se

si

di

in ritmi eolici

die latine, asserisce cio

stesso l'originalit

(8).

giudicare pi precisamente quale sia

tra Orazio e Alceo, della

la relazione

quale sappiamo solo che non

a determinare qual

nome secondo Orazio

fu

[j,c[xrjat?,

le

spettasse, giova, pi che le disquisizioni teoretiche o

vani/i del poeta,

un passo

dell' epistola

stesso

a Floro, nel quale

argutamente e anzi un po' malignamente


il modo di agire con lui di un emulo non benevolo (epist.
II, 2, 87 sgg.).
Qui a Roma, un tempo due fratelli,
egli tratteggia

giureconsulto l'uno, retore


darsi

l'altro, si

a vicenda lodi smaccate,

(1) Epist.,

I,

3, 12, fidibusne latinis

erano accordati per

da uguagliarsi

l'

un

Thebanos aptare inodos studet

tenta di adattare alla poesia latina ritmi pindarici?

epist.,

I,

19,

27, nel passo trattato dianzi, quod tinud mutare modos et carminis artem, che sono rimasto fedele ai ritmi e al tono di Archiloco .
(2) Solo il

cantato

il

carme secolare fu evidentemente

passo nupta iam dice

'

ego

dis

per essere

scritto

aniicnm

saeculo fesias

modorum vatis Horati (e. IV, 6,


41 sgg.) induce a credere che Orazio ahbia composto egli stesso la
musica.

referente luces reddidi carmen, docili

(3)

Poich

ridurre ritmi a

'

melodie sarebbe concetto assurdo,

deduxisse usato qui nel senso di aver composto.


l'altro a
si

Gracco

sottraggono

mento
essere

e a

113

Muzio Scevola;

neppure

cos

alla pazzia delle societ di

poeti

mutuo incensa-

La storiella dei due fratelli ha tutta l'aria


meno vera che il fatterello toccato al poeta,
.

di

non

di cui

avranno
riconosciuto quei due altrettanto facilmente quanto l'emulo di Orazio: carmina compono, hic elegos: mirabile visu
singolare rilievo, che
il
caelatumque novem Musis opus
Orazio si compiace un po' ironicamente di dare alla finitezza del lavoro, fa subito pensare a un imitatore o a un
questi

si

appresta subito

parlare

lettori

continuatore della poesia ellenistica, a un Alessandrino

osservanza stretta. Segue la descrizione del singoiar


certame, a cui i due erano scesi in una sala di declamadi

zioni.

L'uno e

recitano le loro poesie

l'altro

cum
spectemus vacuam Romanis

adspice primiim quanto

(v.

92 sgg.):

fasfu, quanto molimine circum-

vatibus

aedem

mox

etiam,

si

forte vacas, sequere et procul audi, quid ferat et quare sibi

nectat uterque coronam.

mimus hostem
v. 93, tutto

lento

caedimur

et

totidem plagis consu-

Samnites ad lumina ptrima duello.

formato com'

di

Il

spondei tranne nel quinto

ha suono davvero gladiatorio il dispondeo di cirdue versi, e il pesante vacuam Romanis accrescono ancora l' impressione di mole
schiacciante. I leggieri dattili del v. 95 mox etiam, si forte
vacas, sequere et procul audi esprimono bene la curiosit
premurosa dello spettatore; e il ritmo grave di lento Samnites, la forma arcaica duello ridanno solennit alla chiusa.
Chi legge, s'aspetta che un duello di tal genere non
possa finire se non con la distruzione di uno degli avversari. Segue invece discedo Alcaeus puncto illitis, ille meo
quis? quis nisi Callimachus? Il duello non era se non una
finta, che doveva fornire occasione al riconoscimento vicendevole dei meriti dei due poeti contendenti. Il lettore
ripensa necessariamente, non senza un sorriso, ai due
piede,

cmnspedemus, diviso cos tra


fratelli

cipio.

compari

erano messi

Orazio

lirico

Il

si

114

il

di accordo sin da prinsecondo Alceo; l'altro un Cal-

limaco redivivo. Chi pu aspirare


perzio

(1),

egli

si

nome

non Pro-

se

Mani

di

Filita e di

contenta del vanto

di

aver rinnovato l'elegia

timenti, l'adoratore

al

l'alessandrinissimo cesellatore di versi e di sen-

ma

alessandrina,

dei

vuole avere risuscitato

Callimaco?

la ionica, essere

un Mimnermo redivivo si plus adposcere visus, fit Mimnermns et optivo cognomine crescit. Orazio per, pronto di buon
:

grado a sobbarcarsi a qualsiasi fatica nello scrivere pur


di tenersi buona la genia irascibile dei poeti (la botta va
diritta a colpire la sensibilit eccessiva di Properzio), non
si rassegna poi a subire con volto sorridente letture di
versi freddi e a piaggiare

Di tutto

il

il

versaiuolo declamatore.

passo importa a noi principalmente che

collega di Orazio, pur di essere riconosciuto

il

quale Cal-

limaco e

Mimnermo

nome
come

Alceo; importa Voptivnm cognomen, che mostra


nome di qualche an-

di

novello, concede a lui senz'altro

il

poeti aspirassero allora al

tico, aspirassero cio

a soppiantarlo.

non

Properzio,

a imitarlo

ma

a pareggiarlo e

grande ammiratore

di

Calli-

maco, non l'ha imitato se non nel lavoro sottile dello


stile, che quegli non ha mai cantato il suo amore in elegie (2) eppure, se crediamo ad Orazio, volle essere un se;

condo Callimaco. Quest'uso o questo programma poetico


gi ellenistico, gi callimacheo

Callimaco in principio di

coliambi, che di Ipponatte non hanno ne le res n gli


animi, finge se stesso Ipponatte redivivo (3); il proemio

(1)

Che Orazio

si

faccia qui beffe di Properzio, stato osservato

gi da gran tempo, ed anzi ormai l'iaterpretazione corrente.


dimostrato che
(2) Lo Jacoby {Rh. Mus., LX, 1905, 38 sgg.) ha
nessun poeta ellenistico ha mai composto elegie sui propri amori.
quale si mostra nel
(3) Un Epicarmo convertito alla concisione,

papiro di Hibeh

(cfr.

ora Cronert, Rerm., XLVII, 1912, 102)

tilt-


come

degli Altea narra

vero

poeta

al

sulle pendici dell'Elicona appar-

Muse,

le

115

pronte a rispondere

domande intorno alle


come un giorno avevano
sue

cause

vello Esiodo

le

42), cos

rivelato la loro sapienza al pa-

Esiodo. Callimaco rivendica a s

store

a tutte

(AP. VII,

vanto

il

di

eppure, giacch scrive in metro e in

no-

istile

diverso, non si pu dire che abbia preso dall'antico se non


qualche glossa e il xpKoq, nel senso generalissimo nel
quale questa parola posta nell'epigramma, cui Calli-

maco
5ou

stesso

compose

in lode del

zio\ia yj: b tprco?.

t'

Ma

poema

Arato

di

'Hai-

Arato, pur essendo pi

non Callimaco, quanto non se ne


1' uno e l'altro poemi didasca(che Callimaco, col narrare di s stesso una visione

simile ad Esiodo che

discostai Pure, scrivendo


lici

simile a quella esiodea, dichiara gli Altea


lico),

poema

didasca-

vollero l'uno e l'altro eguagliare Esiodo. Callimaco

procede anzi un passo pi in

l e asserisce

che Arato

pi dilettoso a leggersi che non Esiodo stesso, che cio

non

solo

Sou t
JAY]

t'

un Esiodo nuovo

ma un

eca|ia xal zgTZoc,

'Hae-

y.^(

x [leXr/ptatov tjv sTrwv IioXz^jq Tieji^axo.

Orazio attesta dunque qui


era diffuso al suo
scussi,
gli

Esiodo migliorato

o tv otoov a)(atov, XX'

mostra

tempo

Ennio, come

che questo ideale di arte


che abbiamo gi di-

in passi

di seguirlo egli

Alessandrini? Porse

antichi.

pi

dicono

stesso. Imita

certamente
i

critici,

egli

in

ci

Romani pi
come Orazio

quantunque con un po' di mala grazia,


fu gi un alter Homerus (epist. II, 1, 50). E infatti Ennio
stesso nel primo libro degli Annali aveva cantato come,
cupa ombra piangente, il vecchio Omero gli era apparso
in sogno per rivelargli che nel petto di lui era passata
stesso riconosce,

t'

altra cosa: qui

cui compila.

il

compilatore scompare dietro

ai

poeta antico da

116

l'anima sua e per comunicargli

la

sapienza pi riposta.

da Omero non gi quale imiseguace, ma quale pari o successore, non gi


tatore
quale Omeride ma quale Omero novello e proclama a

Ennio

si

fa riconoscere qui

un tempo ad alta voce che la poesia, che la letteratura


romana non traduce o imita, ma continua e sostituisce
quella greca (1). Ennio proclama se stesso Omero rinato
in un sogno che fonde insieme la visione di Esiodo e
.

quella

Callimaco,

di

cos

come

il

suo

poema

per lo

altrettanto ellenistico quanto omerico, cos come


sua in genere non torna in dietro di secoli e se-

meno
l'arte

ma

quanto di nuovo avevano portato gli


anche
pi
recenti, mostrandosi cos non imiAlessandrini
coli,

profitta di

vera continuatrice dell'arte greca. E forse


omerico, non alessandrino il sogno di Ilia? omerica, non
schiettamente romana la figura dell'amico di Serviho Ge-

tatrice

mino

ma

Romana

la figura qual' Ennio la tratteggia,

ellenistico l'uso di inserire

un

ritratto

minuto

di

un

ma

per-

sonaggio secondario in un poema epico. Parimenti Orazio,


dicendo se Archiloco nuovo ed Alceo nuovo, ripete un

vanto che fu gi dei poeti Alessandrini, ma ripensa al


vecchio Ennio, che fu nuovo Omero; mettendo se alla
pari dei grandi poeti greci, rivendica

poesia

romana

il

a se

stesso nella

suo posto accanto all'archegeta; asseren-

dosi eguale dei Greci, segue la tradizione dei pi grandi

Romani. In

poeti

solo a Ennio,

ma

ci egli pi vicino agli antichi,


al

che non a Catullo, il


tamina senza grande
(1)

mana
d.

non

vecchio Plauto, che non ai vexspot,


quale, quando imita, traduce o conabilit

(2).

Della relazione tra Ennio e Omero, la poesia greca e la ro-

discorre finemente a proposito di questo sogno Fr. Leo, Gesch.

rom. Ut.,

I,

164 sgg.

carme 64, come dimostrer


maldestra di due modelli differenti.
(2) Il

jresto altrove,

contaminazione

Nonostante

gli

sdegni e

tre contro certa rozzezza

mana
essa

117

dispregi di esteta, che nu-

vigorosa della letteratura ro-

primitiva, Orazio per certi rispetti pi vicino ad

che non

grandi Greci

ai

poeti

come Catullo

legato

dell'et

augustea

fronte ai

di

come Plauto ed Ennio, non

sente libero

si

e Calvo, la cui arte egli

del resto

sembra considerare superata e antiquata simius iste nil


praeter Calvum et doctus cantare Catnllum. Anche in ci
Orazio si rivela figlio genuino dell'et augustea, che nella
religione, nelle istituzioni politiche, nei costumi sempre
:

volle e spesso

seppe

rifarsi alle

liche, oscuratesi negli ultimi

Plauto erano

e pi

liberi

antiche tradizioni ita-

tempi della repubblica. Ennio


nel

trattare

modelli

greci,

perch non erano vincolati dalla scienza filologica come

ha a volte nel tradurre e nell' imitare scrugrammatico ma la grammatica, che ha nei suoi
principi inceppato i vewxspot, ha pure liberato Orazio da
Catullo, che

poli di

preconcetti: questi sa che altro

compito del tradut-

il

tore e dell' imitatore, altro quello del poeta.

Quest'aspirazione a divenir l'eguale di un poeta antico


era ai tempi di Orazio diffusissima; Properzio
di
il

aver bevuto

al fonte

ma

padre Ennio,

Eliconio, a cui

si

(III, 3)

era dissetato

aver tentato indarno

di

Roma, che Apollo ne

narra

di

cantare

aveva dissuaso e
Calliope gli aveva spruzzato il viso con acqua Filitea.
Anche qui dunque le sue ambizioni sono solennemente
riconosciute, sono consacrate, e non pi da Filita stesso,
cui pure egli venera (1), ma dalla Musa. Chi dubiti ch'egli
si asserisca originale,
non ha che a leggere nell'elegia

le glorie di

(1)

quaeso,

III,

me

1,

1,

CaUimachi manes

sinite ire

nemuK

quoce pede ingressi

Coi

sacra

Philiiae,

in

restrum,

lrimus ego ingndior puro de fonte saccrdos

Itala per Graios orgia ferre chorox


in antro

et

lo

dicite

quamre

quo paritrr carmeii

bihisiis

aquam'i

teiiuastit


che

prima del HI

la

118

libro

opus hoc de monte sororum

1, 17) (1), Chi non


avvede che l'acciiia Filitea lo rende pari degli alessandrini, non ha che a rileggere l'elegia a Mecenate III,
9, 43 Inter Callimachi sat erit placnisse lihellos et cecinisse
modis, Coe poeta, tids. Callimaco il maggiore, non il minore
chi degno di stargli a fianco, anche un pari

nostra

detulit intacta jMf/tna

via (III,

si

di Filita

ara Philitaeis

certet

naeas urna ministret aguas

descrivendo

il

Romana

conjmbis

Cyre-

et

scrive egli stesso (IV, 6, 3)


simbolico sacrifizio del vate. Non un pa,

reggiarsi di professo a Callimaco e incidentalmente anche

ad Esiodo, ad Omero, a Ennio lo scrivere


se io potessi comporre carmi epici, non canterei n la Titanomachia n Tebe n Troia ne le vicende antiche di Roma,
:

ma

la

tua gesta. Augusto. Purtroppo l'epopea non con-

viene alla mia arte

sottile

mea

pectore Callimachus,

conveniunt duro praecordia versu Caesaris

condere nomen avos

(II,

1,

En-

sed neque Phlegraeos lovis

celadique tnmulfus intonet angisto

39)?

i?i

nec

Phrygios

l'ambizione sua di

ri-

valeggiare con un antico, senz' imitarlo, almeno nel senso,

consueto

(1)

di

Anche

nimento che
pi alto. In
iibistia
jlica
si

questa parola

qui,

(2),

come nei due carmi

collocato apjjresso,
III,

aquam ? In
due grandi

era ambizione di mille altri.

dionisiaci di Orazio,

il

compo-

Properzio chiede ancora agli alessandrini quamve


III, 3

beve egli stesso

ai

due

fonti. In III, 1 sup-

di lasciarlo entrare nel bosco a essi sacro.

fa consigliare e guidare da Apollo, consacrare

spruzzare a uno

il

pare indicare un' iniziazione di grado

viso di

acqua santa dev'essere

ma

In

III, 3

da una Musa. Lo

rito preso dai misteri.

un Linceo (il nome


immaginaria fors'anche la persona) n dialoghi
platonici n carmi omerici giovano nell'amore: iu satius memorem
Musis imUere FhiUlam et non inflati somnia Callimachi (II, 34, 31) .
Giacch narrazioni di sogni misteriosi non sogliono piegare fanciulle
(2)

Properzio scrive non di se stesso

certamente fnto,

ritrose, bisogna intendere

di

Solo elegie

aiutano in amore

119

Properzio scrive a un Pontico che lavorava a una


Tebaide (I, 7, 3) ita sim felix, primo contendis Homero,
sint modo fata tuis mollia carminibus. Questo passo basterebbe da solo a confermar vero ci che abbiamo ricavato da Orazio, che come ambizioni cos complimenti di
tal fatta erano comuni tra i letterati del tempo. Properzio
stesso, l'alessandrino, scrive di Virgilio con ammirazione
sincera ch'egli non solo pareggia ma supera Omero (II,
cedite Romani scriptores, cedite Grai
nescio quid
34, 65)
maius nascitur Iliade. Che Virgilio segue tutt' altre regole
:

tutt' altri ideali di arte che non Omero, ha


primo forse tra i moderni, e dimostrato benissimo
Riccardo Heinze in un libro omai celebre; ne sar sfuggito a Properzio che Virgilio, come Ennio e come Orazio,
non solo rinnova in certo modo la poesia greca antica

e persegue
scorto,

ma

continua quella ellenistica. Ch'egli

valeggiare con Omero, mostra gi

il

abbia voluto

ri-

modo come ha con-

libri non solo l'Iliade ma anche l'Oromana: ne l'una ne l'altra potevano mancare nel
suo poema, di cui tuttavia doveva essere pregio princi-

densato in dodici

dissea

pale la stringatezza, la concisione insegnata nelle scuole


ellenistiche di poetica (1).

Come

si

chiama

nelle

lingue

colui che vuole porre a fianco


opera nuova di bellezza pari,

antiche

Fattivit

di

di

un'opera classica una

si

che la vicinanza del

modello, eccitando al confronto, renda pi evidenti

pregi

moderpa ? In greco si chiama non ^l[xrp:;. ma


CfjXo^, in latino non imitatio ma aemulatio. Pure Orazio, che
loda SI una volta V imitatio di singoli pregi dei pi antichi
comici (s. I, 10, 17), non mai quella di un autore tutt' intero, che chiama imitator colui che riproduce servilmente
di quella

(1)

di

La

emulare

S'^coiula aofistioa,
gli

antichi,

si

elio

pur

si

contenta poi

prefigge
di

anch'essa a parole

imitarli

pedissequamente.

modelli

non gi

illustri (l),

-iu

l'artista

che penetra della sua

potenza creatrice e rivivifica materia gi trattata e foggiata sia i)ure da mille altri, Orazio sembra evitare di
termini aemulari e
proposito di applicare all'arte sua
solo una volta si arrischia a scrivere (e. IV,
aemulatio
i

Pindarum

2, 1)

sV^oOv, che,

dove aemulari sta


mentre porta a rovina

rivaleggiare con

Pindaro, l'imitarlo in

quisquis studet aemulari;

appunto nel senso


sicura

il

voler

di

modo

certa misura e in certo

come

lecito,

infatti

Orazio

pindarico appunto in quell'ode

stesso imita lo stile

(2),

Perch mai tanto ritegno nell'uso di questa parola? Il


perch, ce lo mostrano forse altri passi nei quali Orazio
adopra aemulus, discorrendo di tutt' altro che di letteratura aemula nec virtus Capuae (epod. XVI, 5), riijnt lar:

bitam

Timagenis aemula lingua

(epist.

Roma, Timagene
ischerzi di buono e

era la nemica di

concorrenza

in

animo non certo amichevole

I,

di

anche

19,

e larbita

15).

Capua

facevano

si

cattivo gusto con

la tibia tubae

aemula

dell'Arte Poetica (v. 202) fa concorrenza sleale all'istrumento per natura sua pi sonoro: aemulus ha in Orazio,

come anche
ostile,

in

che non

scrittori

altri

un non

latini,

osserva cos spesso in

si

so che di

Ricercare

^f^^oc,.

questa differenza non forse senz'interesso.


la causa
Per Aristotele lo ^fiXoQ nel senso pi generale della
di

parola un

TiO-og,

giudizio etico,

(1)

hnm

ma

e,

come

tale,

non soggetto

pur tuttavia proprio

A. 131 sgg. puiliea materies privati

in s

al

che

ri-

di coloro

iuris erit, si

nec verbo ver-

curabis recidere fidiis interpres ec desilies imitator in artum, unde

pedem proferre ptidor


(2)
libellos

Un

vetet

aut operis

lex.

concetto di tal genere in Plinio

meos..

cum componerem

orationi Bemostliems
illos,

v.ot.z.

quam

sane,

habui in manibus, ion ut aemularer {improbum

enim ac paene furosum), sed tavien imitarer


diversitaa ingeniorum,

Minore, VII, 30, 4 qui

Mi{o'J confers

maximi

et

et

sequerer,

quantum aut

minimi, aut cansae dissimilitudo paieretur.

tengono

121

raagnanimi

se stessi capaci di cose grandi, dei

e dell'et

1388 a 32)

magnanima,
il

della giovinezza; esso {Rhet.,

dolore che uno prova scorgendo

tali

II,

che a

lui

sono simili per natura, in possesso di beni degni, che


anch' egli potrebbe acquistare, dolore derivato per non
dal possederli altri
si

ma

dal

non possederli anche

contrappone quindi all'invidia, in quanto

lui

lo ^yjXwTcx^

desidera acquistar per se quei beni, l'invido desidera che

non li abbia il prossimo suo. E il senso buono di ^f/.oq non


scompare nella filosofia postaristotelica ancora Plutarco
in un trattatello morale d'intonazione piuttosto eclettica
che stoica, nel quomodo quis suos in virtute profedus setitiat chiama ^f^Xo^ il sentimento di Temistocle, cui i trofei
di Milziade non lasciavano dormire in pace la notte; che
(84 bc) tutti gli Ateniesi lodavano l'ardore e il valore
di Milziade; egli solo, non pago di lodarli e di ammirarli,
si studiava emularli (^rjXoOv) e imitarli. E poche righe pi
sotto egli contrappone l'emulazione non solo all'ammi:

ma all'invidia; che l'emulo onora,


ammira, ama il buono, non l'odia (1). Ma gi alcuni secoli prima che un moralista eclettico parlasse cos, la
Stoa pi severa aveva dato il bando alle perturbazioni
7i9-rj quali contrari alla
dell'animo, aveva condannato
perfezione etica. La lista di proscrizione dei ni.Q'ri, che

razione neghittosa,

non manca mai nei manualetti stoici


gene VII, in Stobeo II, in Andronico
stantemente

lo ^y^loc,,

stesso posto, tra

(1)

il

di
(2),

morale, in Dio-

comprende co-

eh' collocato invariabilmente allo

cpO-vo?

e la ^YjXoiuTOa. Quello definito

Al senso buono di ^riko^ rimane fedele la nomenclatura della

scienza letteraria di Dionigi


t^uX'^S 'i^P^S O-ajJLa -coD

vero solo
(2) I

de im.

1, ir.

3 Us. C^X? axiv svpysia

Soxovcoc slvat xaXoO xivou|iv7)

primo impulso allo ^y,Xoj.


passi nei frammenti degli Stoici dell'Arnim,

per

quest'

il

III 391. 112-

11.

dolore per

beni altrui

122

lo i^y/o;

possieda quei beni che uno non


detto che
l'

anche

definizione,

ha

dolore perdi'
Aristotele

v.

altri

aveva

non ha anche lui , e la soppressione delbasta qui a cambiare del tutto il senso della
sopprimendo a un tempo stesso quasi ogni

distinzione tra

il

concetto dell'invidia e quello dell'emu-

lazione.

Tutta

la cultura

romana

sotto

l'

influsso della Stoa,

pi particolarmente della Stoa di mezzo. Nessuna mera-

romani arrischino

viglia che gli scrittori

rado di ado-

di

prare in senso buono una parola che gi sui banchi della


scuola avevano

con

udito

(Tusc, IV, 17) conserva

Romani

colti,

tra

il

che

stoico da lui ridotto agli

^O-voc e la

'^r^KovjrJ.ci.

un dipresso

dentia e Vobtrectatio; ne d a

nizione

Cicerone

V aemulatio allo stesso posto

occupava nel manuale

lo C^jXoS

usi dei

accezione cattiva.

Vinvi-

la stessa defi-

Egli ag-

ch'era tradizionale in quei libriccini.

giunge, vero, a scarico di coscienza, che aemulatio pu

avere anche un senso buono,

di imitatio virtutis;

ma

assai

verisimilmente non la conoscenza sottile della lingua latina d'uso


gnificato,

comune

ma

lo induce a registrare quest'altro siun'avvertenza simile nel modello che tra-

duce: anche Stobeo nota

{ed. II,

xepw; Z%Xoy |xaxapca[x&v sxXsoO;

92 W.)

lt(t'jb'X'.

(1), xal Iti aXXo);

-/.al

\ii\LrfS'.v (he,

av xpe-'tiovo;;

e Andronico (cap. 2) ha un'aggiunta, che

ma

senza ragione sufficiente, considerata in-

di solito,

terpolazione
per

r^

Neoattici la virt letteraria pi

impressole dalla Stoa

poteva pi godere

(1)

axciir^xo;

^y^Xo; [Jiaxap:a|Ji;

Cos propone

noscritti.

A me

<v)svSsog, che

il

il

il

marchio

alta.

di vizio,

a-'.-y]c

Una

volta

Vaemdatio non

favore di gente che la pretendesse

Wachsmuth

j)are richiedersi qui

ha

1'

nella prosa tarda

di scrivere per

1'

svSso; dei

ma-

un'espressione pi generale, p.

e.

senso di completo, perfetto

il

H3
a filosofo

che anzi

come

passi di Orazio mostrano forse

rimanesse attaccata anche nella


lingua dell'uso comune dell'et augustea. Usano aemuus

quella certa nuance

ed aemulatio

in

le

senso buono solo

retori e

grammatici
che

di mestiere, cresciuti nella scienza della letteratura,

sino alla fine rimase greca,

Quintiliano, Plinio Minore,

Macrobio; Nonio distingue ancora tra aemdatio e


invidia (1). Quindi si spiega come Orazio dica se stesso
Gellio,

secondo Archiloco e secondo Alceo,


tmilus ne dell'uno ne dell'altro.

Lo

Zf/.o^,

ma non

si

vanti ae-

pur escludendo piuttosto che esigendo imi-

tazione di componimenti determinati, presuppone somiglianze, che permettano

il

confronto tra

Orazio adopra, a parlare all'ingrosso,

Xa)[ivoc.

ha composto
perch, avendo trovato

ritmi di Alceo e
narie,

esemplare dell'edizione

che gi
tre

lo ^rp^oiTy^;

sappiamo che

odi in

li

scrisse

critici

stessi

gli

strofe

^Yj-

quater-

avr immaginato

suoi carmi cos,

men-

seguito.

Que-

tutti

di

sta somiglianza basterebbe certo, secondo


renti tra

l'

strofe quaternarie nel suo

alessandrina,

poeta avesse disposto

il

noi

le

le teorie

cor-

romani, forse anche secondo l'opinione

personale di Orazio, a stabilire l'appartenenza allo stesso

genere letterario e quindi

la possibilit dello

L,f,Xo;

hnnc

Ma, confrontando se con


Archiloco, Orazio pone mente anche a due altri elementi
di giudizio le res e gli animi
del Pario egli ha non le
res ma gli animi, che cosa del Lesbio ?
I frammenti che di lui sono stati scoperti nei papiri
di Ossirinco permettono di misurare un po' all' ingrosso
la cerchia degli argomenti comuni. Alceo ha composto

ego non alio dictnm prius

(l) I passi

ore....

sono indicati noi Thesaurua.


come

I:i4

Orazio, oltre che canti di guerra e canti di amore,

carmi

inni a divinit, canti conviviali,

anche, ci che noi

nh

civili

politici,

sapevamo n avremmo im-

maginato, parenesi, poesie esortative

().

a un amico {Oxijrh., X, 1233, fr. 1,


la vita, che non si vive due volte
:

Alceo consiglia

col.

che abbia

solo

il

creduto di essere sfuggito alla morte.

godersi

di

2)

Sisifo, riusc solo

a morire due volte. Quest' morale, sia pure un po' faci-

Iona

dello stesso

stampo

l'etica di Elieu fugaces, Postu-

me, Postume, lahuntur anni, che presenta

il

riscontro mi-

anche per altri rispetti. Tutta quest'ode, che ci


sembrava finora spirare dottrina epicurea, si potrebbe
compendiare in un verso dell'ode, diciamo cosi, di Sisifo
X'ayt [xr] [isYXwv [TOpXXo]. Neppure la narrazione miil contica in forma lirica par che mancasse in Alceo
fronto tra la casta Tetide e la libidinosa Elena mena
gliore

dritto al racconto delle loro nozze, della nascita di Achille,

non

delle gesta dell'eroe. Chi legge, ripensa

daro,

ma

Europa

anche

(III,

alle

27), delle

odi

solo a Pin-

oraziane di Nereo

Danaidi

(III,

11)

(I,

15),

di

e poco importa

se Porfirione abbia torto o ragione di confrontare

il

va-

con la profezia di Cassandra in Bacresta pur sempre vero che non Orazio per il
chilide
primo ha rivestito delle forme metriche della lirica eolica
quegli argomenti che nella poesia pi antica parevano
retaggio esclusivo della melica corale, ma che gi un Eolo

ticinio

di

I,

15

vero, Alceo, l'aveva preceduto.

La

cerchia delle res dunque a un dipresso la stessa,

argomenti
amore abbondano, ma,

se pure la parte concessa ai singoli generi di

certamente diversa. Liriche di

mentre Alceo soleva celebrare, a detta

(1)

di

Orazio stesso

Svolgo qui come sovente in questo paragrafo concetti accenWilamowitz, Neue Jahrhucher, 1914, 230 sgg.

nati brevemente dal


32,

I,

(e.

11),

Lycmn

nigroque crine decorum,

nigris oculis

nella poesia di Orazio

Sar forse cagione

sto.

J25

bei fanciulli

occupano poco po-

questa differenza la sana na-

di

tura del poeta romano, che, nonostante


furores, ch'egli

insieme con

mille

puerorum

puellarum

si

mille

fa rinfac-

Damasippo, biasimatore del resto certo troppo


severo (s. II, 3, 325), inclinava alla forma pi naturale
dell'amore; ma bisogner anche riflettere che gli amori
maschili non sarebbero stati bene nel canzoniere civile
Carmi parenetici,
del vate della romanit rinnovata.
se in Alceo, come si vede ora, non mancavano, prendono in Orazio quasi tutt'un libro (1), e predicano spesso
una etica meno indulgente che non Alceo. Orazio anche

ciare da

in
I

questo

si

tempi, per

sar voluto mostrare fedele al suo Cesare.

un impulso che venivano

dall'alto,

anda-

vano ridivenendo morali, e l'esempio di Augusto esercitava grande influsso sul poeta proclive forse per natura sua a vita leggiera. Basta a mostrare

il

cambia-

mento un confronto tra il primo e il secondo libro dei


Sermoni la satira I, 2, trasportata da quella in questo,
stonerebbe, che ben pi miti, ben meno impudiche sono
la satira di Damasippo e quella di Davo, a ogni modo
le pi audaci del secondo libro.
Carmi di guerra propriamente detti, Orazio ha avuto di rado occasione di
:

campagne che seguirono ad


Roma, e Orazio,

scriverne, che nessuna delle

Azio, mise in repentaglio la salvezza di

non soldato di mestiere, non prese parte a guerre coloniali. Pure egli celebra qua e l, il pi spesso in accenni,
le vittorie di Cesare, n dimentic mai Filippi, Alceo

(1)

Giacch Orazio sul modello di Alceo

poesie di arfi^oiiiento diverso, la


netici nel
])ari

secondo

abbondanza.

lilro

prova

serio

elio

e^li

(v. sotto) Hiiole

alternare

non interrotta di carmi parenon aveva trovato in Alceo

-Ideer soldato di mestiere, cresciuto ancora nel

mondo

della

cavalleria.

Pur tuttavia
per
glio

argomenti rimane su
rimane l'ordine o, per mevariet nella disposizione. Alceo non ha

la

dire,

certo concepito
nati

la

la stessa;

giti

cerchia degli

lo stesso

suoi canti

a essere raccolti

in

come

unit,

uno o pi

non

rotoli

li

ha

a essere

desti-

messi in commercio. Gli Alessandrini o hanno raccolto


sue poesie e

essi le
0,

le

hanno raggruppate a

capriccio,

che parr pi probabile a chiunque ripensi

ci

spetto

di

sommato insieme

raccolte

precedenti,

il

ri-

hanno

solo

compilate a

fini

quella filologia per la tradizione,

non scientifici, da persone che si dilettavano di


poesia, non da scienziati. Orazio ha avuto in mano un
esemplare che derivava da quella stessa edizione alla
quale risalgono i frammenti di Ossirinco di recente scoperti, e, come la divisione in tetrastichi, cos ha imitato
non l'ordine ma il disordine. Il disordine diviene tuttavia,
nelle sue mani, sapiente. Non solo
primi componimenti
del primo libro danno esempi dei metri principali, ma in
pratici,

tutto

il

carmi

canzoniere, tranne forse nel secondo libro

(1),

avvicendano cos varii di metro, d' intonazione,


di argomento che non si ingenera mai noia nel lettore.
E un' altra somiglianza va riferita forse, secondo la
mente di Orazio, alle res ancora pi che agli animi. A
lui era piaciuto in Lucilio non la finezza d'arte, a suo
giudizio scarsa, ma l'evidenza con la quale il vecchio
metteva sott'occhio la vita senz' infingimenti ille velut
si

fidis

arcana

serai,

soclalibus olim credebat Uh'is,

usquam

deciirrens alio, neque

si

bene

neque
:

si

qio fit

male

votiva pateat veluti descripta tabella vita senis. In altre

(1)

Cfr. la nota precedente. L' ordine dei primi carmi del

libro stato mostrato bene dal Kiessling (in Phil.

ces-

ut omnis

Unters. II).

pa-

primo

127

role egli s'interessava per poesia che fosse o


di essere

autobiografica:

non contengono

biografia di Orazio

ancora

Sermoni

sentiti

critico

|ilt,3'.to[jivov

il

romano Catullo canta


profondamente per una donna vera nessun

forse caratteristico dello spirito

amori

Epistole e pi

le

per

Quest' interesse

che fingesse

quanti frammenti di un'auto-

assennato

si

arrischier a volere stabilire, quanto

della poesia di Properzio, di Tibullo, di Ovidio sia dav-

vero autobiografico, quanto finzione


si

l'aria di

ma

cantare amori suoi veri,

timenti eccitati in

da una serie

lui

ciascuno di essi
cantare sen-

di

di casi capitatigli.

Anche Orazio ha dato

al suo canzoniere forma autobioAlceo aveva espresso nelle sue poesie


animo pur anche fuggevoli, aveva cantato in
amori suoi per bei fanciulli e l'odio contro i ne-

grafica. Cos pure


stati

di

esse gli

mici, letizie e tristezze sbite, disgusto e stanchezza. Si

all'uno

che

all'altro

si

potrebbe applicare

Marziale: vitam pagina nostra

sapit.

una buona parte

delle

corali, Stesicoro,

Pindaro, Bacchilide, non

l^^Xoc,

il

motto

di

In ci consiste anche

'AXxaax^ di Orazio.
gli

lirici

presenta-

vano nulla di simile


noi conosciamo il poeta Pindaro,
chi si pu vantare di conoscere l'uomo?
E gli aitimi? o meglio, in questo caso, e V animus?
Se Orazio credesse di avere ereditato da Alceo anche gli
;

non saprei dire certo, se mai, sapeva di essere


un Alceo assai trasformato giacch si sentiva cittadino
romano e non cavaliere lesbio, suddito devoto al principe e non uomo di parte. E ([uesta differenza si rispecchia nella poesia. Gli axaauoitx divengono carmi civili;
le odi romane sono carmina non prins audita, il poeta
Musarum sacerdos Orazio avr saputo bene che Alceo
non avrebbe potuto scrivere di s ne queste parole n
spiriti,

Orazio ha odiato una regina


straniera, che minacciava a Roma servit e rovina, Cleo-

virginihus jmerisque

canto.


patra, quanto Alceo

taco

ma non ha

128

tiranni concittadini, Mirsilo e Pit-

ripetuto

il

invito

lieto

del

Lesbio a

bere e a inebriarsi per festeggiare la morte del nemico,


differenza non sfuggisse al lettore
ha ammirato la morte eroica della regina barbara,
che in vita aveva odiato. Orazio ha saputo dimenti-

e ha voluto che la

anzi,

care gli anni


videnziale

tristi

implacabile. Alceo
(pap. 1234,

delle guerre civili e riconoscere prov-

principato; Alceo dev'essere stato partigiano

il

fr.

parla

in

uno

dei

nuovi frammenti

2) del bere e narra aneddoti ridicoli di

un

banchetto sfrenato, n rifugge da parole che devono appartenere al linguaggio usato nei conviti un po' grossolani dei cavalieri lesbii

mentre Orazio evita

materia qualunque particolare possa prestarsi

questa

in

al ridicolo

anche qualsiasi espressione troppo precisa in tali argomenti i xupta nocciono alla dignit. La poesia oraziana,
di quanto meno fresca e meno spontanea di quella di
e

Alceo, di altrettanto pi dignitosa.

poeta romano, oltre che nei numeri e nelle res,


che forse nello spirito della poesia, emula il lesbio
nello stile. Lo stile di Alceo si serve quasi esclusivamente
Il

oltre

due mezzi, dell'aggettivazione e dell'ordine delle pain alcune poesie nessun sostantivo nudo, a meno
che non faccia esso stesso le veci di determinazione; gli
epiteti abbondano straordinariamente e s'intrecciano con
i sostantivi, cos che la simmetria e il contrasto si percepiscono con l'orecchio prima ancora che si raffigurino alla
di

role

fantasia.

Coc,

Xyos,

xiXo;, cpXoiatv]

T<o)auTav
aociq]

ex

Al(x.v.ih[ccic,

[vxy]X' avi'

epywv] nsppjxw xal

^'

acMXwaa?]

TiO"y]xov] Tcvxai; ?

yixov

S'

izcdili

"IX'.ov l'pav.

[jL[xapac;

yet' ex Nrjpvjo^ eXwv [[JLsX^pwv] upO-svov ^pav

Xppwvos, sX[ua
Xeoc,

xxwv

at-ev Tc-'xpov. 7T;[6pt

ec,

Sg{xov

yva] ^to'[x){xa Trap^lvw cpiX[xa? ya-jw]

xal NrjpetStov pax[as]

ic,

5'

xaXa-

Tlr^-

v:auxov uaSa yvvax' atjjnO-lwv

[xpxcaxov], bX^iov ^avt-av Xx7j[pa tcwXwv]

ecc.

Posto cos in

129

non s'intende se si riferisca a Peleo


o ad Achille; l'attenzione rimane tesa, finch la menzione
del matrimonio dapprima fa immaginare, quella della
casa di Nereo poi conferma che l' Eacida Peleo. Nelle
due prime strofe ogni epiteto disgiunto dal suo sostanti v^o da parole interposte: solo negli adonii l'aggettivo segue subito il sostantivo, s che i due membretti si corriTipOsvov appav richiama alla
spondono perfettamente
mente "IXcov "t'pav; la vergine che divenne madre del diprincipio, Atay/5ai;(l)

struttore di

sta in contrasto con la citt distrutta dagli

Ilio,

mano del figlio di lei, per colpa della moglie infedele. Come Peleo nominato da principio in modo che
non s'intenda subito di chi si parla, cos il nome di Tedi per

tide addirittura taciuto, ex NV^peoc; iieXO-pwv diviso in

due da
altro

eXow,

che non posto

che appunto

fine

si

l,

direbbe, per

dividere, ex

di

nessun

Nr^peo? [xsXO-pwv

colpisce appunto perch privo di epiteto; gli corrisponde


5|jtov

ic,

Xppwvo;, eh' messo in evidenza dalla posizione

che ha, proprio

in

capo

alla strofa.

dei sostantivi e aggettivi alternati


aria, finch

non

ci

va congiunto con

si

Poi ricomincia
:

la

fuga

ayva resta a lungo in

accorge quasi con meraviglia che

le due parole, che stanno in


mezzo, trattenendo l'attenzione, costringono a riflettere
cptXxa;;

all'audacia dell'epiteto,

ya-jo) (2) Jly^Aeoq

camente a

che preannuncia alla sua volta


simmetria qui perfetta anche

cd\iid'ii>yv

nel
il

[xpttaxov]

ritmo,

migliore tra

Chi legga
(1)

(2)

che
i

oXp'.ov

la

il

lettore

semidei
^avi^-v

che necessariamente

Xxr^pa

Nereide migliore.

-'Xtov

Wir.AMowiTZ (p. 23U).


Anche se il supplemento dovesse

conosca bene
altri

particolari

il

che a quel posto non

gettivo.

sente

figlio della

Magistralmente intorno a questo, come ad

stilistici,

certo

risponde chiasti-

NrjpetSwv p-'axa^,

vi

essere

errato,

rimarrehlio

pu essere stato altro che un

ajj-

Orazio,

ripensa

a pias

faciliTiente

animas reponis

laetis

sedibus o a virgaque levem coerces aurea turham

salvo

sizione delle parole la stessa,

che

in

la dispo-

Orazio

il

verbo interposto la rende pi complessa senza toglierle


grazia. L'inno a Mercurio (1), che pure non ha preso da
Alceo, quanto al contenuto, se non spunti, e anche que-

ha profondamente trasformati, presenta quanto allo


stile in tutto e per tutto il riscontro migliore: anche qui
sti

n metafore audaci n larghe similitudini

gli epiteti e la

disposizione delle parole bastano a dar luce e calore

ai

non sono ne nell' inno a


Mercurio ne nell'ode di Alceo cos ampi e cosi complicati come spesso in Pindaro, com' anche in qualcuna delle

fantasmi del poeta.

periodi

odi giovenili di Orazio stesso (2); nessun sostantivo ac-

compagnato da pi
lirica corale,

ma

tranne dove

sottile,

avverbio o ragioni di

nudo

di

un

di

epiteto,

ciascuno ha

come sovente

nella

suo, spesso scelto con arte

il

sostantivo fa quasi le veci di un

il

stile

evidenti consigliano di lasciarlo

ogni determinazione.

Gi gli antichi si sono accorti della somiglianza dello


stile, Alceo secondo Quintiliano (X, 1, 63) in eloquendo
brevis et magnifcus et diligens et pleriimque oratori similis

ha detto subito prima,


qua tyramios insectatus multum
non tutto, aggiunge ora, pa-

la parte migliore dell'opera sua,

sono

le

poesie politiche,

etiam moribus confert.

Ma

rimenti degno di lode, che

im., II, 8)
^51)

(1)

OGOV

Dello

(2) Cfr.

8gg. 60 segg.

lusit et in

amores descendit,

'AXxaiou 5 axTOt x {iSYaXocpue? xal ^pxyh xal

|ix SeivxTjTO?,

(piTjVetav.

et

Dionigi di Alicarnasso scrive (de

maioribus tamen aptor.

axrjc:

stile

ext

Sa xal xou? oyri\x(xxio\iob(; xal xr]v aa-

[atj xfj

otaXxTfo

abbiamo ragionato

xt

xxxo)xat. xac Tipo aT^v-

pii

minutamente a

quel che abbiamo scritto di Nunc

est

p.

73 sgg.

bibendum a p.

5T


xwv x

xtov TioXtxcxcov 7L0irj[ixa)v '^^oc;*

XI? et Ttepcot,

dizi,

-M

come

^Tjxopei'av

gli

altri

v eupoc

7ioAAayo\j y^'JV x [xxpov

TioXixtxr;/.

che in ambedue

Che

due giu-

prece-

scrittori

gli

non sono indipendenti tra loro, fu gi


scorto dallo Stefano; non che Quintiliano, com'egli credeva, abbia tradotto o ridotto Dionigi; ma tutt'e due
adattano ai fini loro uno stesso autore, diciamo pure
un autore ellenistico (1). Baster sommare i due giudizi
dono

e seguono,

per restituire nella sua integrit pristina

il

giudizio

di

non tener conto delle restriQuintiliano, che sembrano dettate dal ri-

questo, salvo che occorrer


zioni etiche di

romana, e tener presente


dall'altra parte che Dionigi conservato in compendio.
Breve Alceo fu di sicuro, perch manca appunto Vornatus,
se ne eccettui gli epiteti saggiamente distribuiti; di Pindaro si loda invece la heaiissima rerum verhorumque copia,
il fliimen eloquentiae. Magnifico o (xeYaXocpur,? detto Alceo
appunto perch la nobilt severa dello stile, che egli de-

guardo

alla severit della scuola

non lo lascia cadere in tono dimesso,


dove sono mescolate espressioni popolari,
l dove egli lascia libere le briglie alla passione
di parte; nel freno dell'arte consiste appunto la diligentia.
'H5? il suo stile, perch n periodi troppo lunghi e complicati n immagini sublimi e violente inalzano e a un tempo

riva dalla misura,

neanche
neanche

stesso affaticano lo spirito del lettore

legato; fph [xex

(1)

oetvxirjxo? (2).

Lo ha veduto bene

edizione bonnense dal uep

l'

pure

egli se lo tiene

Della chiarezza non occorre

Usouev

|ii{iYJaeu)c)

che (nell'epilogo alla piccola

cerca di provare che fonte co-

lmine di Dionigi e di Quintiliano e inoltre di Cicerone nell' Ortensio


nel

De

Oratore e di Dione Crisostomo nell'orazione

di Aristofane

da Hisanzio. Quest' ipotesi

non portava giudizi:


al

Wilamowitz,

XVIII

il

canone

il

canone

Textgesek. der Lyriker, G6 sgg.

Ermogenk

(de id., II, 369,


e della materia.

per

fu

credo, errata

fine proposto, dei m<z/i

(2) fistvtyjc

niente

cfr.

15)

l'uso,

conve-


neppure parlare

i:^:>

come

solo talvolta fan dillicolt a noi.

gi all'autore di Dionigi, parole dialettali lesbiche. Quintiliano

ha tralasciato

le figure,

-oh- ayr/iJta-'.ano'j;

Dionisio

intender parlare appunto dell'ordine delle parole studiato


sottilmente, delle anafore e dei chiasmi, che, avvicendan-

pongono in evidenza singoli concetti, li associano


e li contrappongono appunto l'uso abile di questo mezzo
d allo stile di Alceo un'impronta particolare. Quanto
alla dUiijentia o airsTzcjxeXg, esso da Ermogene quasi
dosi,

identificato col

y.iXo;,,

che consiste specialmente nel

(xeipov e nell'epiJioaiov {de id.,

296, 17), in

I,

|jLTp:a jj,cX(T)v Yjxi [Xp)v [lex' tyj^oiocc,

(296, 25).

a'j|jL-

una certa
Quale

au|j.-

pi

stile

simmetrico di quello di Alceo? Dell'eloquenza politica

Alceo non sappiamo nulla, perch appunto dei carmi


rimangono solo brandelli ma non so perch
non dovremmo credere a un critico che mostra nel resto
di

politici ci

buona informazione e giudizio cos assennato. Non


debbano essere necessariamente brutte, nonostante la condanna severa di critici
di dottrina grande e gusto fine forse una brutta poesia
quo quo scelesti ruitis ? oppure altera iatn teritur ? Eppure
hanno tono l'una e l'altra oratorio. Sono forse brutti
cosi

giurerei che poesie eloquenti

pochi versi che

ci

sono rimasti dell'elegia di Solone su

Salamina, che pure sono un' orazione verseggiata


io oserei

riscontri

condannare intactis opulentir, che ha pure i suoi


non solo in diatribe ciniche e stoiche ma anche

in orazioni di

Romani

antichi

dissipazione. Chi sa che Orazio,

contro

la

quando

lussuria
inser

un

la

tale

carme nel suo canzoniere, non si potesse far forte delCerto il carme di questo avr avuto

l'esempio di Alceo

contenuto molto diverso.


Quintiliano consiglia al suo studente di arte oratoria
letture

non

solo greche

ma romane.

Orazio (X,

1,

96)

lyrcorum.... fere solus legi drjnus, nani et insurgit aliqnando


et i^lenus

est

iucnnditatis

felicissime audax.

Il

1c;j

et variis

gratae

et

fguris

pare ricalcato

giudizio

(1)

et verbis

su quello

che non Quintiliano stesso ma il suo autore, quale lo ricostruiamo dal confronto tra Quintiliano e Dionigi, dava
di Alceo: et insurgit aliquando significa ch'egli, senza

mantenere sempre il [xsYaXocpijc del suo modello, lo raggiunge talvolta; noi non esiteremo a dare un giudizio

La

ancor pi favorevole.

iucunditas e la gratia corrispon-

dono all' -^^56, le variet fgurae agli ayr^\i.:c-io\i.oi Vaudacia,


che si mostra in esse e in parole nuove o adoprate in
senso nuovo o con colore nuovo, sembr forse a Quintiliano maggiore che a noi l'ardire stilistico appare sempre
pi evidente agli occhi di chi sente pi immediatamente la
;

lingua di un tempo, cio del contemporaneo o quasi con-

temporaneo.
3.

Orazio, abbiamo detto, adopra

motivi di Anacreonte

me

similis,

il

yoO.ad-riv'^^

|xYjxp<;

7cxoy^8yj

l'aure

uomo

(fr.

et

oax' iv

che

avvicina

di

il

pi

noXer^Delc; u-o

vano timore
il

X(ov ^p\r/^o<; xai)-5i

88).

(fr.

concetto simile

'

somnos adimnnt, amatqne

tibi

corda e vuole ricordare xoO

Un

povera crea-

2b parcius iunctas quatiunt fenestras iadibus

iuvenes protervi, nec

Simonides, 310.

del-

cerbiatto a un

e ci cresce nell'animo la piet per la

ianua limen, quae prius multimi

(1)

xspoaarjc

'JAr,c

tranne

51),

selva

della

tura sperduta.
crebris

I, 23 vitas hinnuleo
pavldam montibus aviis matrem
silvae metu c{ccmc, dy. xe ve^pv

Cdoe, quaerenti

non sine vano aurarum


veoS'TjXa

liberamente spunti e

principio di

facilis

movebat cardines

|aoxXv v

Che

accennato

1,

iHjpYjOc

27 natis

ihil

in

ri-

ot^f,atv

^a-

usum

hie-

Wii.amowh/., Snppho

ii.

i:u

titiae sct/phis prende le mosse e segue per un buon tratto


Anacreonte ()3, stato gi osservato da Porfrione; T immagine della puledra in principio di II, 5 suggerita ad
Orazio da Anacreonte 75, 7:'T)e (r)r,f-/,ir^ con quel che segue lo stesso motivo ritorna, questa volta non cosi trasformato, in III, 11, 9, in un'ode ch', nel resto, assai
poco anacreontea. Come si accordano queste somiglianze,
;

queste imitazioni col carattere lesbio del


Orazio

canzoniere di

Da nessuna

Anacreonte Orazio ha atmetro egli ha, per dir cosi,


tradotto la materia fornitagli da Anacreonte in ritmi lesbii. Chi consideri quanta parte il ritmo abbia nello stile,
vedr gi che Orazio ha posto studio a che le imitatinto insieme

delle

odi

motivo e

il

di

il

non stonassero troppo nel canzoniere


non solo egli ha mutato il metro ma anche lo

zioni anacreontee

lesbio.

nel senso pi ristretto di codesta parola. Chi con-

stile

fronti

23 col

I,

51,

fr.

dell'aggettivazione

dam matrem

accorge subito che

si

sostituito

al

y.epoaar];

accrescere quella somiglianza con


di

cui

anche

abbiamo
la

teste

mamma

toccato,

una

!J-Tj'p;

pavi-

forse

per

una creatura umana

per far dimenticare che


montibus

bestia;

vano metu sono aggiunti;

la ricchezza

maggiore

Orazio molto

in

d'altra

aviis,

parte, Orazio

non

sine

non

se-

gue Anacreonte nell' aggiungere a un sostantivo pi di


un epiteto ve^pv vsoiV^Xa ^('xX'x^r^'jv. In I, 25 iunctas fenestras, iactihus crebris, iuvenes protervi mostrano anche nell'intreccio dei sostantivi

con

Anacreonte dice

senz'altro, per Orazio

sono

\ioy.Xii

Anche

faciles.

lo

gli

aggettivi colore alcaico:


i

cardines

studio della simmetria deriva da

non da Anacreonte, che si muove pi libero.


Anacreonte 63 permette un confronto pi ampio
ye
Alceo,

5rj,

cpp'

syysa;

Vj|Ji''v,

(T)

''jy.zoz.

Trai.
toc

y.eXs^yjv oxo); jjiuaxiv

r.iv-s.

5'

oTvoo.

7i;po7T::oD,

yjjd-o'jz.

w;

[xv

ox'

vj^p'.a-l ava.

orp-t pa.oox^-f^aoy
Sxu^r/,rjV

tzo'.v

Iv u[ivo:g

meno
zio

uap'

oOio) T^aTayo) te x).ar|X(T)

XX

[jlcT(o(Xv.

particolari

periodi sono

OTiGTuivovxe?

v.o.ol^

pi spontaneo,

meno temperato

ha soppresso

stura del vino.

ocvo)

|jLr/.Tl''

pi fresco

forse

stringato e

simmetrici

rp-zz

y.ye

i;>j

troppo

minuti

divenuti pi

ma

certo

usum. Ora-

di natis in

della mi-

corti e

anche qui quasi ogni sostantivo ha

il

pi

suo

aggettivo, e la giuntura per lo pi assai audace, p.

usum

scjphis natis in

laetitiae

e.

verecundum Bacchimi, a cui

seguente impiiim clamorem. La


Orazio traduce Anadifferenza dello stile evidente
creonte nello stile proprio, che lo stile dei Lesbi raffa

nella strofa

riscontro

finato;

forma

attinge

ad Anacreonte materia, cui imprime

la

(1).

per questa stessa ragione,

come non rompono

poche odi nelle quali troviamo motivi deda Anacreonte, cos neppure stuonano le moltissime che presentano spunti presi da carmi ellenistici
anche queste poesie di Orazio hanno lo stile suo, che deriva da Alceo, per quanto lo stile di uno scrittore grande
pu derivare dallo stile di un altro. Dei motivi ellenistici
nella lirica di Orazio ragiona pi di proposito il secondo
l'unit le

dotti

capitolo del presente libro.

Orazio non ha del classico nazionale Ennio se non

non lo imita, salvo che in certo senso


in I, 18, ma lo cita qua e l, come noi inseriremmo con
orgoglio nella poesia nostra un verso di Dante, ogniqualvolta sentissimo che non stuona tra i nostri le reminiscenze divengono fitte nelle odi romane (2). E dove una
reminiscenza di Ennio si mescola a una di un classico
reminiscenze

egli

(1)

Non imporla

iiiii

osservare

elio

il

sofiiiito

allontana da Anacieonte ancie noi contenuto.


(2) Cfr.

il

caj).

Ili

del nostro lavoro.

dell'oile,

I.

27

si

i:{6

greco, pi libera appare l'arte di Orazio di fronte ai suoi


modelli. Orazio, pur riconoscendo la grandezza di r]nnio,

ha stimato forse il suo stile e la sua arte metrica pi


rozzi di quel che veramente siano (1), imitato la sua arte
non ha mai.
Di Pindaro egli ha reminiscenze molte, ma nessun'ode
della prima raccolta vuole essere pindarica fuorch I, 12
quem virum aut heroa. Ed anche in questa Orazio ha commisurato

respiro

il

periodo

del

all'ambito

breve della

Caratteristica dello stile pindarico appunto, oltre

strofa.

immagini grandiose,

ampiezza del periodo, che si distende a suo agio nella larga strofa; un Pindaro in strofette non pi Pindaro, n a Pindaro conviene la simmetria quasi scrupolosa dello stile oraziano. Nel quarto

le

l'

ha voluto scrivere altrimenti. In IV, 2 per


periodi non sono pi cos brevi, per dirlo in

libro Orazio

esempio

latino, cosi anxii,

ma

corrono, balzano,

si

precipitano, non-

curanti dei freni della simmetria, per strofe e strofe. Orazio nel

Ma

il

IV

non vuol parere pi dUgens ma essere


Pindaro dopo essere stato l'Alceo romano.

libro

essere

^rikQ,

il

quarto libro esige anche per

tazione

particolare.

Noi

tacitamente abbiamo per

altri rispetti

anche

una

trat-

come

ci

riferiamo

lo

pi fatto sinora, alla prima

qui,

raccolta.
4.

Pu venir

mai Orazio abnon per esempio Stesicoro o


Ibico
Pindaro. Risposta adeguata a questa domanda,
come ben s' intende, non si pu dare quest' il segreto
fatto

di

chiedersi perch

bia scelto a modello Alceo,

(1)

Quanto

alla metrica

nou

escluso

che ad Orazio alcune par-

ticolarit prosodiche della lingua arcaica, p. e. le

lunghe conserAate

in sillabe tnali uscenti in consonante e la brevis brevians, riuscissero


pii

ostiche che a noi moderni.

del poeta.

Ma si pu forse

Vi

formulare

la

domanda

altrimenti

non corrisponda
a un buon conoscitore di

e chiedere se lo ^f/.oz 'Axai-.x; di Orazio

bene

allo spirito dell'et sua, se

questa non apparirebbe strano ch'egli avesse scelto

menti

il

altri-

suo modello.

augustea fu non solo classico ma


Antonio volle essere un re ellenistico. Augusto un magistrato romano mentre quegli saliva, marito di Cleopatra, il trono dell'Egitto mezzo greco, Augusto rifiutava il nome di re, che avrebbe offeso gli

Lo

spirito dell'et

classicistico.

come offendeva quelli romani.


che divengono pi tardi corpi di

orecchi dei Greci antichi


I

iuvenum,

sodalicia

paggi

al

modo

ellenistico,

riproducono ancora sotto Augu-

sto istituzioni italiche e attiche

(1).

La

superstitio ca-

rattere dell'antica

Roma

suntuarie, la cura

monim

risuscitano provvedimenti del-

dell'antica

l'era di vScipione e dei Gracchi, e a

l'Atene del quarto secolo

Roma

proprio in

(2).

che

un tempo imitano

Nell'et augustea nasce

l'atticismo, che

lare dalla lingua tutto ci

Atene. Le leggi

di

si

propone di cancelvi aveva portato

nuovo

dagli ultimi decenni del quarto secolo in gii lo svolgi-

mento naturale

mescolanza delle stirpi dell'era ellenistica. Lo studio deir'-fs'.a. che si rispecchia nell'ammirazione per Lisia, si propone di passar la spugna sull'eloquenza fiorita del tempo alessandrino. Il padrone del
mondo, Augusto, esalta egli stesso le sue gesta, come
qualche decennio prima Antioco di Commagene, come
prima del rgolo superbo chi sa quant' altri sovrani ellenistici ben pi possenti, chi sa quanti monarchi orientali
ma lo stile nudo delle res gestae contrasta singolarmente con periodi tronfii dell' epigrafe del Nemrud-Dagh.
e la

(1)

Cfr. sopra

(2)

Cfr. pi oltre, <ap.

ii

p.

loi.

III.

la

volont ferma

romana ma greca
nelle arti figurate

risuscitare

di

classica
:

il

i:8

si

l'antichit

tempo

dei

non

solo

ancor pi evidente

palesa

Neoattici e dell'

Ara

Pacis.

Augusto non
i

a vincere l'ellenismo. Gi sotto

riusc

suoi successori prossimi

il

principato

si

avvia a divenire

regno, Nerone vuol essere, Adriano un

(iaa-.e'j;

greco,

che comanda sur un popolo misto di Romani, di Greci


e di barbari. La reazione si annunzia gi negli ultimi
tempi

di

Augusto

nella politica.

Lo

letteratura prima che

nella

stesso, e
stile tutto

punte e arguzie dei decla-

matori soffoca l'eloquenza severa di Pollione,

di colui

dopo essere stato nella prima giovinezza l'amico dei


v0)Tpoc, nell'et matura recit per primo
suoi scritti
ad invitati, aprendo cos senza volere la porta alle orche,

gie stilistiche dei retori

(1).

Auromano Orazio,
restaurazione augu-

Ovidio, che, ancor vivo

gusto, sostituisce nel favore del pubblico


discepolo dei retori; lo spirito della

che si infuse da ultimo anche in Properzio cos


lungamente riluttante, non ebbe presa su di lui.
Orazio appartiene al periodo pi severamente classico
dell'era augustea. Molto in lui di ellenistico, ma egli,
non che non se ne sia accorto, ma lo ha creduto elaborato
e fuso nel crogiuolo della sua anima di Romano antico e
di Greco antico; noi vediamo forse pi chiaro nel suo spila materia
rito e nella poesia sua che non egli stesso
ellenistica si ribella in lui talvolta alla forma classica.
Ma probabilmente di ci egli non ebbe coscienza chiara.
Il barocco , secondo un grande scrittore moderno di
stea,

storia dell'arte,
di mezzi.

ragione, o

(1)

abuso

di

mezzi;

il

classicismo risparmio

L'arte di Orazio classicistica; e per questa

anche

per questa ragione, egli gareggia con

Seneca, oontr. IV, praef.

139

Alceo, non con Pindaro ne con Stesicoro ne con Ibico,

metrica e nello

nella

quanto discreto
ritmici, confronti

sue riduzioni dalla

Chi

stile.

voglia

veder

Orazio nella scelta dei

sia

cantici di Plauto
va,

questi

chiaro,

suoi mezzi

allarga le

inserendovi liriche composte nei

ritmi ch'egli trae dalla cantata, dall'opera ellenistica

Per farne ritmi

(1).

latini era necessaria sicurezza d'orecchio,

finezza di discernimento per la melodia della lingua propria e per quella della greca, quali nessun poeta posse-

dette pi dopo di lui


solo

Catullo imita ormai per lo pi

(2).

pochi ritmi che trova pi in uso nei poeti

giori ellenistici

solo

una volta

durre un'ode specificamente lesbia

ma non ha

sato a trasportare ritmi pi complicati, quali ora

adoprati da Callimaco nei


attinge

suoi ritmi pi

[xXr]

La

pi

belli

mag-

arrischiato a ripro-

si

mai penvediamo

sfera da cui Plauto

complessi, la

sfera

lamento della donna abbandonata, troppo bassa per l'arte sua, che vuol essere
impeccabile. Orazio trasporta non molti metri lesbii, che
riproduce con severit rigorosissima, quali glieli aveva
insegnati a comprendere non tanto l'orecchio suo quanto
la dottrina metrica varroniana. Chi non vuol sapere ne
di polimetria n di larghe strofe, non pu propriamente
stessa alla quale appartiene

imitare Pindaro,

il

il

ha bisogno

cui stile

di stendersi nel-

l'ampiezza del periodo ritmico: la rispondenza di


brevi

appartiene in certo

modo

quel che detto dei ritmi,


il

si

membri

aU'qjeXc, all'iay^vv.

applica anche allo

largo svolgimento delle similitudini, l'audacia delle

tafore, le

(1) Cfr.

lunghe fughe di

in

epiteti,

Io

me-

periodi ampi, pi che

generale Lieo, l'Iantiniache Cantica.

non ho ritegno ad asserire che l'arte metrica


<inanto a genialit inventiva e a nn tempo a severit, i
dietro di gran lunga qnella di Orazio.
(2)

stile

di

Pianto,

lascia ad-

\M

accurati, della lirica pindarica, le arditezze di pensiero e

forma dovevano sembrare a Orazio, pi che classiche,


di un barocco ammiral)ile ma non facile a imi-

di

barocche,

tare. Pi tardi egli ha pensato diversamente e ha pindareggiato di proposito, ma, per bello che sia il quarto
libro delle odi, nei carmi pi veramente pindarici il con-

brevi numeri lesbii e il respiro largo dello


non appaga appieno. Orazio forse sent pi rettamente di s, quando a se non rivendic altro che spiritrasto tra

stile

tiim

Graiae temiem Camenae.

CAPITOLO SECONDO

Orazio e

poesia ellenistica.

la

Le fonti ellenistiche dei motivi

La

lirica

oraziana svolge spesso motivi attinti a poe-

sia ellenistica

non

lirici di Orazio.

se

ne accorge subito qualunque

sia sprovvisto di

ogni senso per

la

differenza tra ci

eh' greco antico e ci che appartiene al terzo

e lo conferma

grammi

il

confronto tra poesie

dell'Antologia.

in volta, se Orazio abbia

lettore

secolo;

oraziane ed epi-

pi difficile distinguere di volta

avuto sott'occhio

sia quegli stessi

epigrammi che leggiamo noi nell'Antologia, sia altri sinon piuttosto avesse presenti carmi lirici maggiori, di cui gli epigrammi ci hanno
serbato un riflesso, un'ombra, cos come monete bosporane ne aiutano a rappresentarci alla mente quale fosse
l'aspetto della Parthenos fidiaca (1). Se fossimo in grado
di stabilire che Orazio ha sempre o per lo pi svolto in
mili che sono andati smarriti, o

(l)

Il

IvKITZKNSTKIN

con oculata cautela

(/'.

II'.

anche in ci

VI 911
clie

VUgli.l

segue

lettura del suo articolo sull' epifjrraniraa.

io

le

ipotesi

presnppoujio

pOSl>U
atteut;i

14^2

odi
motivi ch'egli trovava contenuti nel giro stretto dell'epigramma, salirebbe in noi assai alta la stima per la
quale mai potenza di stilista sarebbe
sua originalit
i

una collana di epigrammi


di cui una volta (piella

stata necessaria a trasformare


in

odi senza che della

forma,

materia era impressa, rimanessero pi che

Ma

porre cos

una soluzione

il

quesito tutt'uno che

questa fatta

di

lievi tracce

accorgersi che

sarebbe assurda.

as-

anche il cercare una risposta


unica a un quesito cos complesso senonch presentare
a se stesso la domanda non sar inutile, quando stimoli
a gettare uno sguardo sugli scarsi monumenti, conservati in frammenti o riscoperti in questi ultimi anni, di
quei generi della poesia ellenistica nei quali cercheremo le
surdo

sarebbe anzi

fors'

fonti di Orazio.
1.

Con una

certa sicurezza siamo in grado di giudicare

Anche lasciando da parte


carme secolare che, destinato com'era a essere messo in
musica e cantato da un coro di fanciulli e di vergini,
occupa una posizione singolarissima nella lirica di Oradella poesia religiosa, degli inni.

il

zio,

pochi degli

altri inni

possono considerarsi quali

gamenti, quali svolgimenti di epigrammi.


facunde prende

un carme

di

le

mosse,

lo

abbiamo veduto

Alceo, sia pure per

di sopra,

trasformare

ha

nistico

ma

da

dio del

il

Lesbio in un Hermes diverso e quasi opposto


poesia, che ricalca, direi, in senso inverso le orme
ceo,

allar-

10 Mercuri,

ma

la

di Al-

nel sentimento e nei particolari molto di elle-

punto

di

epigrammatico, e ha conservato anzi

pi di ogni altra la struttura dell'antico inno.

12 quem

virum aut heroa ha

21 Dia-

nam

il

largo respiro pindarico

tenerae tutto contenuto nelle formule consuete del

culto,

attribuisce

ai

tre di

cantati

altri

epiteti se

I4:j

che risonavano nella preghiera da secoli e secoli, sino all'ultima strofa, che aggiunge un voto attuale,
romano e oraziano. Il poeta si rivolge al suo coro per

non

quelli

come

invitarlo a cantare,

iptxuosa \i.Xnzx) ^ioi, e

Bacchilide XII 190

p. e.

vctwcv

poeta del peana ad Apollo ed

il

Asclepio di cui possediamo ora una copia anteriore all'et


ellenistica (1) Ilatva z'jTjxrjXcv e-'aais xoOpot, In I 35

gratum Orazio canta

diva,

voga

nell'et ellenistica

tivi

romana

che fu pi in

divinit

la

ma

parte maggiore dei

la

pur qualche aspetto

di

mo-

questa Fortuna

ma tale che ricorda alla lontana non


epigrammi, bens l'inno forse tardo e certo assai rozzo

ellenistico,

di cui ci

Berlino
al

ha dianzi

restituito

dive

(2).

carme

IV 6

un frammento un papiro di
iiroles, che un proemio

quem

secolare, segue nella

prima parte

la foggia del

vecchio inno omerico, in quanto dall'invocazione del dio


passa rapidamente all'esaltazione di una sua grande vittoria, che narra diffusamente. Le ultime strofe aggiun-

gono un invito

alle vergini del coro, a ubbidire al poeta,

mentr' egli batte

tempo, che un giorno saranno orgo-

il

gliose di aver cantato l'inno della festa secolare

da Orazio e

Le ultime
rico

di essere state

ad Apollo;

lirica corale

Un

5' e-j cpspst, xa[jiov


xic,

esemplare del

ni,

171

e.).

Ho

2,

U2.

sgjj.)

01 sfig.)

ouv

o'

La

fan-

carme

se-

cii.rf)VQC,'

cantato

il

XaO-efa

scoperto ad Erytbrae (Wiuno del 97 dopo Cristo a Touno recente ad Atene (/. G.

3(50 a. C. stato

(Plaumann, riokmais,

(2) Klaasikertextr.

a'.WTi-

h^Yipzi X^cpcv Ksca?

un giorno, sposa

i-AMOWiTZ, Nordionische Steiue


leniaide

suggello dell'inno

anche pi da vicino espressioni della


non ricorda la chiusa della terza ode di

xaXftv xal [leXtyXcaaou

ciulla dir

ammaestrate a cantarlo.
ome-

lui

il

ma

chi

Bacchilide up^avn

(1)

da

parole richiamano

composto

modorum

colare docilis

vatis

Morati

Clii

potrebbe imma-

In

ginare condensato in un epigramma questo carme

HI

\'oglia,

di

Mercuri, vtim

sa di ellenistico, sa anzi, se

te

si

Antologia Palatina, che Mercurio ne esaltato

teressatamente n invocato
pericolo,
tra

ma

come

del

sarebbe vano ricorrere all'esempio

che supplica Afrodite

di Safro,

momento

supplicato di voler essere mezzano di amon;

poeta e Lyde.

il

salvatore nel

disin-

gi altra volta era

adempierle

di

scesa dal

il

desiderio,

cielo alle

sue pre-

era offerta a costringere ad amare l'amata


Se Orazio ha pensato a quell'ode, il che
dubbio, si certo studiato di allontanarsi da essa il pi
possibile nel tono. N l'amore per Lyde ostinata su-

ghiere e

si

riluttante.

scita nel cuore del poeta -/Iskt.:


curio,

amabile

come

l Afrodite,

ruffiano

ne

il

il

contegno della

sul serio

qui

confronto della

il

suo Mer-

un dio temibile
colpa delle Da-

menzogna dell'una

naidi infedeli e della splendida

con

|ipi|xvat.

celeste,

piccola etra vuole

fedele

preso

essere

scherzo questo carme, simile in ci

frivolo

a quello davvero epigrammatico

30, o

Venus regina, dove

Mercurio mezzano e appare una Venere indulgente favoreggiatrice di amori leggeri. Ma punto epigramriappare

il

matica, per quanto,

come

si

detto,

leggermente parodica,

l'aggiunta di un mito solenne almeno nella forma.

scorso diretto, che conclude

il

il

mito e l'ode, espediente caro

alla giovinezza di Orazio (1), par piuttosto proprio di

tecnica che,

Pindaro
lirici

come sogliono
si

(1) Cfr. ep.

13

e. I

una

poeti corali, sovr'ogni altro

pensi alla quarta Pitica

materia da epos. Quindi

di-

le

vesta di ritmi

somiglianze con l'Anto-

7; I 15; III 27, tutti compouimeuti che sono

o possono essere giovanili.

Di pi, sn ciascimo

di essi e sul

mezzo

tecnico in essi adoprato, nel paragrafo 6 di questo capitolo e nel caXiitolo

IV intorno

allo srolgiraento di

Orazio

lirico.

supponendo
di Orazio e gli epigrammi
qui davvero melica ellenistica,

dovranno spiegare
da una parte che il carme

logia

si

dell'Antologia riflettano

14.')

questo

in

caso,

considerando che, poich l'Antologia la fonte

dall'altra

principale e per certi rispetti unica, da cui possiamo at-

tingere una qualche

immagine

della poesia alessandrina,

quindi tutto quello oh' alessandrino

si

colora per noi di

Antologia. Pur dianzi in un libro divenuto subito celebre


il

Norden ha voluto dimostrare che

III

(1)

21 o nata mecum,

un epigramma di Poma, poich il carme oraziano pi simile in alcuni particolari a epigrammi pi tardi di poeti oscuri che
non a quello di Posidippo, a me pare si possa stabilire
che Orazio dipende qui non da Posidippo ma dalla fonte
di Posidippo, che pu essere anche un carme lirico (2).
Che rimane degli inni di Orazio che possa derivare da
epigrammi? I 32 poscimus; si quid vacui ha dell'inno solo
l'invocazione; la dea cui esso si rivolge, la lira eolica,
l'inno alla dea bottiglia, deriva da

sidippo,

, cio,

poesia lesbia cui

la

il

poeta romano rinnova;

motivo deriva, come abbiamo veduto di sopra (p. Ili),


da Saffo; del resto l'ode, punto epigrammatica, s'intende
meglio concepita quale proemio che quale inno. IV 3
quem tu, Melpomene, semel prende s davvero lo spunto
da un epigramma sepolcrale di Callimaco, come stato
osservato dal Reitzenstein (3) ma tutto ci che segue o
il

attinto alla lirica corale o riprende

motivi svolti gi

da Orazio nella prima raccolta delle Odi e altrove, e li


ripete cosi che a nessun lettore attento e memore pu

(1)

JgnostOH TheoH Ilo

sfjjj.

La dimostrazione minuta nella


capitolo. Qui, quando posso, non parlo
(2)

neralmente
(.3)

10

di

.seconda
di

mela

di

questo stesso

ciascuna poesia se non ge-

alcune torno a ragionare noi paraj^rati seijueuti.

Nette Jahrbucher 1908,

Sr>.

]W sfuggire che

il

Anche IV

se stesso.

cita

p()(;ta

non presenta

nter-

forme consuete della


lirica religiosa, perch l'invocazione a Venere serve solo
a (lare un giro nuovo alla poesia che deve far da prefazione alla nuova raccolta: Orazio supplica Venere di risparmiare lui vecchio e di recarsi j)iuttosto nella casa di
missa, Venus, din

le

Paulo Massimo, che, devoto com'

Ma

r accoglier di buon animo.

che

vana

supplica

la

amore cantando questa volta


vinetto, Ligurino (IV 10).

sa

dove

gi

r inno

sono

il

il

della

nuovo poesie d
sua passione per un gio-

scrive
la

dea e giovane,
da principia

egli sa fin
di

Chi legge rursus

poeta va a parare,

preludio di una

si

bella tnoves'^

accorge gi che

nuova raccolta

che

di canti,

amore.

in parte di

Che rimane dunque ? Rimane HI 18 Faune, Nympharum fugientum. Qui la descrizione della letizia tranquilla
e degli innocenti sollazzi dei contadini in festa,

dietro subito
strofa, fa

all'

pensare

al

sentimento per la natura morta e per

la vita semplice, quale

per

lo

Anyte,

si

rivela negli

(1),

di

Mnasalca; e pu infatti ben essere che


quegli epigrammi, o piuttosto di uno simile

distici

amebei

inseriti

di

Orazio, sebbene p.

nell' idillio

Pseudoteo-

dello

crito

Vili 41 sgg. rispecchino un sentimento non

mile.

Il

l'ipotesi

dissi-

Fauno dell'epigramma sarebbe stato un Pan ma


, come si vede, affatto incerta. Rimangono an;

cora, oltre III 13 e III 22,

e 31 che insieme con


si

votivi,

di Nicia, di

la lettura di

epigrammi

pi della scuola cosiddetta peloponnesiaca

perduto abbia aiutato la fantasia


e.

che tien

invocazione contenuta tutta nella prima

gi trattato,

due odi del primo

32 poscinus

si

libro I

30

quid vacui, di cui

formano come un gruppo. Orazio ha

raccolto, commentato,
(1) Quel 'che ne resta,
Reitzenstein, Epigramm u. Skolion 123 sgg.

giudicato

dal

147

messo queste tre poesie insieme forse perch, diversisle une dall'altra, hanno in comune di essere inni,
sicch poste vicine contrastano vivacemente tra loro.
sime

31 quid dedicatum poscit Apollinem rappresenta per noi

un

inno, di cui, per quel

tipo di

servato

vesse

dare

poeta

perzio

IV

un

poesia

nella

simile

il

titolo,

chiamerei

lo

nome

questo

6, eh'

che vedo, non con-

ellenistica:
la

gli si

do-

preghiera

del

se

calzerebbe anche bene a Pro-

pure poesia assai differente

(1);

tutti

non a un epigramma ma a un
lirico ellenistico, che ognuno dei due varia per
conto suo. All'ellenismo conviene bene che il poeta si
stacchi COSI nettamente dalla folla, che osi pregare non
per il suo popolo, ma per se in quanto poeta. Tutt' e due
carmi romani menzionati sono scritti non per il canto,
due
carme

poeti attingeranno

ma

per la lettura

o,

che fa

lo stesso,

per la recitazione

alla lettura sar stata destinata la poesia o le poesie gre-

regina.

Il

motivo,

l'

Rimane ancora

30 o Venus
invito a Venere a recarsi con il suo

che che noi supponiamo.

manca Mercurio, in casa


come si detto dianzi, 111

corteggio, nel quale non


etra, ricorda

ambedue
che

il

un

carmi

po',

gli di

poeta stesso sente

di

una

11

in

sono sollecitati a cantare amori


frivoli

ma

in

30

lo stile e la

brevit sono davvero epigrammatiche. 'Il Reitzenstein (2)


ha mostrato che quest' ode deriva da un epigramma di
Posidippo parodia Alcmane,
Posidippo (AP XII 131)
sono cos epigrammatici,
stile
ma, poich e argomento e
converr, pi risolutamente che non faccia il Reitzenstein,
asserire che Posidippo la fonte vera, se pur anche Ora;

Cfr. ora Rostagni, Poeti alessandrini 375 sgg.. oon il luale


non
mi accordo in tutto.
per
(2) N. Jahrb. 1908, 90 sg. I particolari pi sotto ucll' interpreci)

tazione di quest'ode.

lis

ha (li certo avuto presente l'ode antica (1). Questo


an/.i uno di quei pochi casi, in cui si pu esser sicuri che
non una poesia lirica, di cui l'epigramma ci serl)a un riflesso, ma l'epigramma stesso il modello di Orazio. Parimenti di due strofe, parimenti epigrammatico III 22
monfinm cnstos, che consacra a Diana un pino che si ergf*
zio

sulla villa del poeta; tradotta in distici, quest'ode

gurerebbe nel VI

libro dell'Antologia (2).

Bandusiae presenta nelle due prime strofe


la

nell'

innologia antica

virt della fonte.

Con

la

III

non

il

sfi-

13 o fons

la stessa

anaforicamente

terza, invece, ripetendo

consueto

tu,

forma,
cora'

esalta due pregi, due

(3),

promessa

che il tu
forma di inno,

gloria,

di

dell' ultima strofa riveste anch' essa della

Orazio aggiunge se al novero dei grandi lirici greci, che


avevano cantato sorgenti (4). II futuro fies pare a prima
giunta poco epigrammatico, ma anche epigrammi, che
nell'Antologia figurano tra glianatematici, non contengono
pi che una promessa. Io non so se l'epigramma di Theo-

VI

dorida

157, a cui forse Orazio

quantunque

finisca anch' esso

ispirato per III 22,

si

con una promessa,

rpyoto cpXa^ xievwv xs xal ypoO. x^fo

oou 5

cpc'Xou;

'%xi ooi roppl^ec Fpyo; ytjxpow

xal topacouc pvac; n\ Trpo^potc.

non

sere scritto sulla base della statua

"ApTSfx'.;

jiv y.XojTra;

vo|i.a''rj;

fosse destinato
all'

aljia

ad es-

atto della dedica.

In questo caso quella poesia starebbe a cavaliere tra


tipo

non raro dell'epigramma anatematico,

Vien quasi

(1)

ad Orazio da

gramma
(2)

il

il

il

il

pi

dubbio che P ispirazione di III 11 sia venuta


cosi, egli avrebbe attinto all'epi-

pili e

il

meglio.

formano un gruppo come

30-32

segue una diatriba sulla preghiera.


(3)

di cui

30; anche se fosse

III 21-23

NoRDEN, Agnostos Theos 143

(4) Cfr.

yj

^J.t,

sgg.

Reitzenstkin. N. Jahrh., 1908,

H9.

a due preghiere

14U

bell'esempio Callimaco 53 (1), e l'epigramma che non


contiene altro se non la promessa. Tale lo foggia un

contemporaneo

VI 240)
r]

Orazio. Filippo di Tessalonica (A. P.

di

Zrjv; xal Ar^ToO;

xHipoaviTZt

voDaov

^aXjxo'JC to'jc f>tov eXa/s;.

ex paaiXf^oc aO-XoTaxo'j

ovjye^r^v

a'ji)-/][ipv

Trucppopfov oo:

5y^ptc

7i:|j.'|/a'.g

to^t: xo'jpr^. "'ApTtjJL:c.


xr//

'^7.0 \}7ze<p

xaT^pov peco-

Pwjxwv xjjLv Xt^voio OiXtTiixos ^^ec 7waXXcl^uT()v

v|jiov. Qui nulla consiglia di credere che il poeta si rivolga a una determinata effigie di Artemide, dedicandola; no, egli prega la dea Artemide e le fa, non le scio-

un voto.

glie,

senso idillico

Il

della

natura in

III

13

assai simile a quello che anima gli epigrammi della


riscontri particolari sono
scuola peloponnesiaca anche
i

qui pi evidenti che in alcun'altra poesia di Orazio. Fonte

non certamente, un epigramma

sar probabilmente, se pure

perduto.

Nonostante
generale
Kai

(1)

ws

o'jv

le molteplicit delle risposte, la

delinea semplice e netta:

si

TtXtv, EXi^O-ULa,

E'Jxoywiv],

iiaxepov u)Sr;$

(og

XXo

avxooa

[lv

vag s^ot

il

v.pvjg

soluzione

carmi religiosi di

Auxaivi5o; Xd-h xaXs'Jarjg

t5c vv
zi

e\>Xoyoc, wSivojv

uTisp,

6 TiaiSg

peiiHiero (|uesto per ora

di pi

per una grazia maggiore , espresso qui con grande delicatezza,


certo per riguardo
cui

non

si

la formula

non

solo alla da

ma

anche alla piccola nata,

vuol dire cbc la nascita sgradita. In poeti

non nasconde pi

il

suo carattere di mercato

Tessalonica (VI 231)

meno

clV. p. e. Fi-

Tieayo'Js

pp'Joao

itvaooa, XYjX' 'evyjj, S-uosi XP'^3'^"''--PWV xsjjiaSa; Getnlico

(VI 190)

lippo

1160

di

papuYUiov

dcTtcoao vooov,

Cornelio Longo (VI


!)oxovTa
/.apixa.

|i'

sa'4'sai

la

5' ihg

a-j,

vouoo'j,

a|iov,

TtsvirjV, Scou) tz'.uabow

Ajiiv,
s

ci'

mq

'/inu^ow;

poso xa uevtj^, xa lxs ^cu-

a;S'J5oi5 vxiXcrpev xy;v Ti' |s'j

YjV

(VI 238)

formula diviene meno grossolana, quand'^ espressa

come da Agide (VI

generalmente,

501V

XX

iXaasi; xa

y.

In quest' ultimo epigramma un gran signore sembra parlare

A un operaio.
pi

Iftl)
;

S' thq

ili

valenti

S xt [le^ov
eivj

8' g

ScDpYjOirj

Xiyor^ iXl-^ri

Sattiov, r.apg|is9'a.

152) spyouv ^ Xycuv Xy'Iv

xwvSe noXuJtXaota o da Apollonido


yip'.c,' si Ss SiSot^c nXsiGva, xai koXXwv,

xioet

150

Orazio non derivano da epigrammi, se non quando

vocazione

al

una poesia

dio introduce o

l'in-

amore o

d'

la

dedica del dono votivo.


Alla medesima conclusione

passando

tra via,

ma

le

in

si

giunge anche per alcarmi oraziani,

rassegna non pi

poesie ellenistiche,

ma

tipi

ellenistici

di

poesia

che avrebbero potuto servir di modello ad Orazio. Mentre epigrammi amorosi di quell'et, se non sostituiscono,
per

lo

meno

riflettono liriche perdute, e{)igrammi che pos-

condensati si conservano solo in piccolo


numero. Non costituiscono un' eccezione quei moltissimi
epigrammi dedicatorii, che finiscono in una preghiera: questo tipo era antico e diffuso, perch era consentaneo allo

sano

dirsi inni

spirito della religione antita

dio

mercede del dono.

in

che

il

donatore esigesse dal

questa categoria

annoverare quelle poesie, che, se non sono,

si
si

devono
fingono

composte per essere scolpite sulla base del simulacro del


dio, come, oltre l'epigramma di Theodorida teste citato e
pi certamente di esso, uno attribuito falsamente a Nosside che ne una cattiva imitazione, AP VI 273 (1). E
un carattere tutto loro hanno anche quei carmi nei quali
la preghiera maschera intenzioni o scoptiche, come nell'epigramma di Callimaco AP IX 566, che figura messo
in bocca a un poeta drammatico vincitore (2), o erotiche
come negli epigrammi di Posidippo AP XII 131, di Asclepiade AP XII 166 e di Dioscuride AP XII 171. Epigrammi che non contengono altro se non la preghiera e
nei quali la preghiera pi che veste, non mancano per
vero, sebbene i pi siano posteriori all'et pi veramente
classica
basti citare Alceo di Messene AP XII 64, An:

(1)

(2)

Su quest'ultimo, pi difusameute altrove.


Qui la foruia per giuuta anche, anatematica

tazioue pi ])aiticolareggiata altrove.

un' interpie-

151

VI 349, Giulio Polieno IX 7


X 24, Maccio
IX 403 (1). Ma nessuno degli epigrammi citati ha quei
segni, esterni quanto si vuole, ma che negli inni di Orazio non mancano, si pu dire, mai e che li ricollegano,
come vedremo meglio tra breve, alla liturgia (2) la ripetizione, il parallelismo, l' anafora in ispecie, che imprime air inno greco il suo stampo particolare, che, discreta ancora nei principi, risuona sempre pi penetrante
tipatro

Alfeo

9,

25,

Filoderao

IX

90,

Crinagora VI 244 e

all'

orecchio gi nella lirica liturgica del

come ancora

quarto secolo

in quella del pi tardo periodo imperiale.

Nes-

epigrammi prepone alla enumerazione delle


gesta o degli attributi del dio un tu ripetuto ogniqualvolta si aggiunge la menzione di un'altra pexrj, com' di
suno

di questi

regola nella lirica greca; Orazio

si

attiene per lo pi seve-

ramente a questa, ch'egli evidentemente sente quasi legge

dello stile innologico.

un perdersi

in esteriorit

l'avvertire tale differenza paia


:

a6 ripetuto, costringendo a

il

costruire le varie strofe simmetricamente, conferiva all'inno

maest severa;
richiamando

(1) Antifilo

non

perch tradizionale, la paroletta,


memoria, ogni qualvolta risuonava al-

di pi,

alla

IX 404

agli di del culto

un

ma

po' diverso, perch la preghiera

alle

Non manca invece neppure

(2)

di predicati vari alla divinit,

gramma

di Po.sidippo,

si

rivolge

divine api.

epigrammi l'attribuzioue
forma relativa come nell' epi-

in questi

sia in

che abbiamo detto test piuttosto erotico che

forma participiale come in Alceo, Filonominale come in Antifilo e Maccio. Certo, anche queste forme derivano dalla tradizione inuologica,
dal rito (cfr. per le due prime gli esempi raccolti da Nordkn, Aijnoreligioso, e io Alfeo, sia in

demo, Giulio Polieno,

at08

sia in foruui

Theos 168 sgg., 166

Virtfi)

ma

citati sotto a p. ir)3,

non

u la forma

raente propria dell' inno;


il

per la terza p.

caratteristico cho

il

parallelismo, l'anafora.

tv, n,

di

si

corno

e.

1'

inno di Aristotele albi

trovi, se

non

negli opigranmii

predicazione pi partioohirsi

dichiaia meglio nel testo,

\:r2

r orecchio,

dava

voleva o

l)revit

sia quella relativa,

un

sia

o sostituire

li-

che anche

per chi a ogni

introdurre

predicazione

modo non

nessuno

esterno,

criterio

la

nel-

participiale

che pure appartengono propriamente

ghiera canta ex professo


di

questa peculiarit alla

a quelli dell' et augustea di

r epigramma-preghiera

all'inno,

in

riflettere

hanno luogo sufTciente per 1' anafora, come


ha pure consentito agli epigrammatisti elle-

tre distici

nistici

conformarsi

di

rica alta cui

la

una patina d'antichit. N d'al-

dica che la brevit stessa dell' epif^ramma

si

impediva

gli

preghiere pi consuete e pi venerabih',

le

alla poesia quasi

tra parte

la

di

potenza,

voglia acchetarsi a

epigrammi-pre-

questi
i

pregi del dio, com'

regola nell' inno greco e nella poesia pi veramente


Orazio, nessuno esalta le sue

religiosa di

Non

virtutes.

neir inno liturgico ha

le sue radici questa forma letterache pure dell'inno imita qualche movenza, ma, secondo ogni verisimiglianza, nell' elegia. Gi il vecchio
ria,

Solone aveva incominciato un poemetto


jjioauvrjv
\ioi

)(0[JLV(p

che

in

distici Mvtq-

in

xal ZtjV? JOXuixtiiou ya lxva. MoOaa'.

questo principio non

\l:s.p'.cc.

si

/.Oi

debba rav-

visare r invocazione alla Musa, consueta in principio di

ogni carme

dimensioni anche minime, mostra

di

tenuto delle preghiere che seguono oX^ov


jxaxpwv xs xal

Tzpc,

[xc.

iV^v stvac Se yXuxv wSe

cpiXo^c.

iy^^poloi

Ii)'I(o*

ce Tttxpv. xoac jxev

7iv~o)c -jazEpov rp.B'

chiede alle dea del canto beni di

canto

ne

si

perch sono

(1)

Che

del poeta

sia

con-

Tivxwv vO-pwTcwv odti S^av lyziw ya-

alolGv. xoiGi 5 osivv tosTv. )(pr^|xata 5' Ljxsipo) [xv r/ov,

ot -eTiLod-oci ox)x

il

-pc i^ewv

'.'/.r^.

fxwc

Solone

tutt' altra sorta

che

riil

ad esse per altra ragione se non


protettrici del poeta (1). In nessun epi-

rivolge
le

questa

1'

ultima radice della

preghiera ellenistica


gramraa antico, forse

153

nessuno anteriore

in

al terzo secolo,

si

trova la preghiera se non quale aggiunta alla dedica

di

un dono votivo. L'epigramma-preghiera non

che

dall'

uso del culto

sia sollevata a

si

stica,

perch

l'

solo l'epigrafe ritmica,

condensata

ma

composti

nell'

et elleni-

non

del terzo secolo continua

anche, abbreviata, concentrata,

antica elegia.

1'

Di epigrammi-inno,
l'

stati

epigramma

Ma

ha luogo.

dignit letteraria, perch esso nel culto non

epigrammi-preghiera sono

forma

poco a poco a

epigrammi ohe serbano

di

del-

inno la ripetizione anaforica, la struttura simmetrica,

non conosco se non pochi esempi

come par

se

= Kaib.,

818)

ambedue

tologia,

si

io

tenga conto,

giusto prescinderne, della poesia tarda e non

buona, che incisa sur una pietra

229

non

(1),

Paro (IG XII

di

posteriori al

5,

due
tempo pi propriamente
carrai dell'An-

forse soltanto

uno la struttura simmetrica si e anaforme solenni del culto son volte, quasi gio-

ellenistico. Neil'
forica,

ma

le

cosamente, a fine frivolo


trasformata

-j'JiJiiJLayc.

xv

v:cp[jicVov. K'jTrp:.

rsio

Tiopcp'jpsf;)

XpYts, oCo^i

jJic.

l'

invocazione del dio

amato.

21

K-jTrpt

jjL

tv fp'x/iv

nccj-Gr/. xv yj-oi '^u^^/jV


[x,

di

giocoso

K'j-pc.

Naiaxo'j; ipt].

-p;

trsTZzi.

lui,

come mezzo scherzoso

Anohe su questo

cpc-

Xt[ivai;.

poeta sta

il

che, chi avesse letto

epigrammi, sapeva amatore

simbolo del mare anche in Orazio,

(1

KsX-

xv oosvl xoO^a XaXeOvxa,

xXu!I|ivov T^eXcYcC, K'JTrpc cpcXop[xiaxip3c.

per affondare, ha in bocca a


di

primo

cptXvD[xcp.

YaXrjvaiT].

Qui gi r immagine delle onde, nelle quali


suo libro

Il

K'JTipi IIO-cov (if^isp sXoTiocov. KuTtpt.

Tv y^^iaTiaaiov nb xpoxwv
x'.oi

nell'altro

AP X

quello di Filodemo.
KTTpt czauov

in quella del giovinetto

il

frivolo, qualcosa

a[ipare a noi questo


III,

onnin' qiialrhu parolii

26 e

<li

me

tabula

pi ;ltro\p.

ir>i

sacer votiva pnries indicai livida suspendisse potenti vestimenta

maris dea non pu esser detto sul serio, ne alcuno disconoscer la piccola malizia, che si nasconde nel confronto

con

delle semper vacua, semper atnahilis

aequora

gli

comune

per giuochi di questo genere abitudine


ellenistici.

Nel secondo, nell'epigramma

158

lllhov oaTCGtva Oerj upe. ooi

oo'.

{!

nihiXoc. "Epojc:

Xxotat

uTieatpeasv. ^elvov

y'^I^-'^^'^

y^aXtvoc;. tjxs'pw

5 TU)(elv xX:vo;

iigris

Afrodite marina

Servirsi del predicato di

ventis.

aspera

di

in poeti

Meleagro XII,

|i.

BexAet?, jipo-

7il

^''vrj:.

oaixaa?

XX

cpiXtai;-

tv

a-j

axpyovx' TiavatveaL, o5 as {^Xyet o xP*^vo?. o ^uvr^s a-^^oXa

aoi

7i''paxa

Cwr)?

jioi

'5v3c^,

tXa<)-

a(0'^poa'JVYj<;.

cXyji)".-

a yp

xal i-avxo'j

La

imitate molto pi accuratamente.

nale del

au,

della dea ripetuto anaforicamente,

Ed

che anche una

come

primo.

il

hanno dagli
ozio,

del carme.

(Athen.,

potenza del

la

il

inno costituisce

dell'

dio.

ritorni a celebrare

si

Anche Arifrone chiude il suo


XV, 702 a) se gli uomini
:

{xxatp' TyiEca.

x^P^'S

x{>aX

ouzic,

xal

Tivxa

Sa''{xa)v

Fortuna del papiro berlinese

questi due

epigramma

carmi
di

si

pu

X|X7i:

cos

forse

Xapfxwv

pure l'inno

{Klassikertexte.

finisce Tcvxojv yp pyv xal xXog aytov

ripe-

di qualche gioia o qualche ristoro alla pena,

5apor a^v 5

l'altro

il

solo in que-

qui l'imitazione trascende

qui

poema ad Igea

alla

non

come V o,

particella,

davvero esaltata
conforme alla tradizione che la
;

nella chiusa

[At

nome

nell'ultimo distico,

e,

formale e investe ci che

r essenza

dal

quinto verso, l'ultimo innanzi alla preghiera,

il

bipartito
rispetto

ripetizione tradizio-

e lo studio di simmetria si rivela

ste formule:
tuta, e

iv

a'|X(i)V

inno sono

conferisce simmetria alla struttura di tutto

dell' l'XaiH

carme

dell'

epigramma

nell' altro

sostituito

(optaE

f)'v

forme

le

2,

143)

Ix^'-i-

aggiungere anche

Meleagro, che nell'Antologia tien

subito dietro* a quello di cui abbiamo dianzi parlato

<jol

Muaxe,

TO|ji,

TcpujxvTjaca

[icou

vfjTrxa'.,

v aoc

va:

XaXeOvxa

x a&v '^awpv cTicax'JV.ov

Vccy?

5[JL(xaxa, vai {x

o(i,|i,a

yccpbri

pXiT)!; Txoxe, X'[J^<5'

xai

'j'ux^''

x a, xojpc, x xal xw^oac

r:v0[Aa x sccpO-v exc*

oSopxa

r^v

5'

(l), f^v [iot

EXapv

^XlT^Tf,?,

auv-

ipb

Anche in questi versi si rispecchiano, quantunque meno evidenti, le forme dell' inno. Qui pare a

x^YjXev eap.

prima vista mancare

la preghiera,

che del resto nel-

l'inno parte tutt'altro che essenziale; pure essa, se

non

enunciata, accennata nella chiusa, che l'ultimo distico


siimi propizio, e fiorir per

significa:

me primavera

primo verso, che riprende l'ultimo dell'epigramma pre(2), e il giuramento mostrano come Meleagro consideri Myisco davvero qual dio, qual un vo^ "Epw;. La
Il

cedente

struttura anche qui simmetrica, anaforica

potenza

la

dell'amato sul suo fedele esaltata anche qui in

fine.

Tre epigrammi-inno abbiamo sinora trovato; saranno,


non ne dubito, di pi, ma non molti di pi e questi tre
sono tutti parodie o quasi. L'epigramma non imita l'inno
se non per travestirlo.
Perch mai, mentre nell'et ellenistica l'epigramma
erotico fiorisce rigoglioso s forse da aduggiare, certo da
pareggiare l'albero annoso del (x^o;, l'epigramma-inno o
non c' o non ha fortuna? La ragione della differenza
si scorge facilmente, quando si consideri che il [iXoc, el;

lenistico

appartiene alla

lirica

solo

della parola, che esso fu destinato


lettura.

Il

cambiamento

cipio di quest'et

che

separata dalla musica

(1) cpatSpiv rtcax'Jv'.ov e

oxviov
(2)

detto da

Omero

l)an(|Me essi

Meleagro.

si

nel senso

non

moderno

al canto,

ma

alla

nei ritmi annunzia fin dal prinla lirica

vive ormai, in genere,

le strofe

troppo complesse scom-

un iuulace oxynioron, chi ripensi che entil sopracciglio minaccioso del leouo.

(P 136)

aiiccedevauo

in

(|iiest'ordine giii noi libro di

paiono

nuovi poeti, che sono

adoprano per

matici,

:a\

tempo gram-

allo stesso

pi pochi versi che essi stessi

lo

lianno ricavati (hill'analisi dei complessi cantica della

drammatica, o

rica classica, in ispecie


la

li-

ripetendo

rsv.yy/Mi.

stessa l'orma dal principio sino alla fine del carme, o

ag^rup[)ati in strofe i)revi; per (jual ragione se non per-

ch l'avvicendarsi raj)ido

di ritmi trop[)0 varii,

come

legati da responsione,

nelle

monodie

anche non

di Euripide,

procura alla maggior parte degli uomini fatica e fastidio


piuttosto che godimento,

quando

la

poesia non sia soste-

nuta dalla musica; se non perch l'orecchio non avverte


pi la responsione,

meno che

quando

aiuti la

lo

l'intervallo troppo grande,

musica,

lo

aiuti fors'

sta delle evoluzioni del coro danzante che

Fanno eccezione appunto

la lirica

Nelle cerimonie del culto

si

si

anche

la vi-

ripetono (l)?

drammatica

seguit a cantare

e l'inno.

come un

tempo non che imitazioni dei canti del culto in metri


lirici non fossero composte da poeti anche celebri e destinate alla lettura, ma questa rimase pur sempre eccezione (2). Isillo di Epidauro compose verso il 300 il suo
peana in ionici in onore di Asclepio, perch ogni anno
;

il

giorno della festa del dio

lo

cantassero, incedendo in

processione, gli eletti del popolo vestiti di paramenti solenni:


^aJ-iot-c,

il

peana comincia appimto

b/voi.i\ca

alla lettura
in

un

libro,

xaS' 'ETctoaupou.

cos

poco

non dico

il

si

ma

perfino di appenderlo, inciso nel

consultato gliene fa

fa

scrupolo

di pubblicarlo

marmo,

dopo che il dio di Delfo


comandamento per il bene dell'anima

si

risolve solo

L'evoluzione della metrica iu quest'et tratteggiata a grandi

da Fedkuico Leo, Plauiinische Caniica, 65 sgg.


(2) Se ne discorre subito dopo a pag. 165 segg.

linee

poeta pensa

che

nel santuario e ci

(1)

teTiaiva O-ev e:aaT ao:,

157

sua (1). Dei cinque inni scoperti ornai a Delfo, proprio


due pi recenti ad Apollo {Fouilles, III 2, p. 152, 158),
proprio quelli che non risalgono pi in l della met del
i

Il

dei

secolo, ci sono giunti corredati

due

inni di
III

{Fouilles,

Aristonoo,

che trovano

lo stesso

quello gi noto ad Apollo

di

nuovo a

quello

di

meno

217), per lo

{Fouilles, III 2, p.
ritrai

213j

p.

2,

Ma

note musicali.

di

il

Jlestia

secondo presenta

riscontri pi vicini nella tragedia (2)

variare rapido di xwXa diversi, la stessa com-

posizione astrofica, la quale ritorna nei due inni ad Apollo,

meno

garantiscono che per lo


sto

non dico per

tempio prova che

neppure per

quest'inno non fu compo-

la lettura (che gi la
le

consacrazione nel

poesie furono in uso nel culto),

la recitazione, bens per

canto.

il

ma

quel eh'

un inno, deve ritenersi anche dell' altro. Le


due poesie di Aristonoo, a detta dell'ultimo editore, sono
composte nel 222 il peana a Dioniso di Pilodemo di
Scarphie {BCH XIX, 1895, 400 sgg.) appartiene ancora
al quarto secolo. La composizione strofica, ma anche
qui nell'ambito della strofa s'incalzano rapidamente ritmi
diversi
a una pericopa giambica o, eh' lo stesso, coriambica seguono tre ionici a minori, poi gliconei, poi
ancora a mo' di ritornello ionici e gliconei (3). Anche quecerto dell'

(1)

d'r.

Fiiiukel ad

Wir.AMOWiTZ,
IG IV, 9.50.

(2) L'ulliiiio editore,

InijUoa,

il

13.

La data secomlo

Colin, pensa che

1'

l'tiitoif

convenga assegnarli

spettivamente agli anni 148 e 138, nei qnali, come sappianio


iscrizioni Fouillex, III 2, 17 e

Atene mand a Delfo

peana;
.'->29

cfr.

in

18,

il

collegio dogli artisti dionisiaci di

buon numero

anche (Jomptes-rendut de

ri-

<lall(>

l'

snoi

membri

a cantare

il

Aoadcmie den hiHcriptions, 1913,

sgg.
(3) Anciic

membri

r inno a Ilestia comincia con nno ionico

dattilici,

ci

tenter nu' analisi.

s'

e oltre

incontrano ancora giaml)i e gliconei. Altrove


sta poesia scritta per

il

componeva

quali Aristonoo

canto.
i

onoravano Cleochare

Delfi

irs

Negli stessi anni nei

suoi poemi, forse nel 227,


figlio

Bitone, Ateniese,

di

onore del dio aveva composto un


prosodio e un peana e un inno, che dovevano essere can|ie(T)v,

Tioir^TTjv

perch

in

Theoxenie (.%/// 6G2).


mutato
Delfi
dalla
Nulla si era
a
fine dei quarto allo
scorcio del secondo secolo; tranne che la musica era forse
dai fanciulli nella festa delle

tati

divenuta pi complicata con l'andar del tempo, giacche

due
certi

provano, da professionisti del canto, dai tecniti dioAtene.

nisiaci di

N Epidauro ne
ai

Delfo costituiscono eccezione: l'inno

Cureti scoperto nel tempio di Zeus a Palaicastro in Creta

XV,

(Ann. of the Brit. School at Athens,


fu inciso in pietra in

certamente appunto
cora pi antico non
cepiti
l'

note furono cantati, come indizi

corredati di

inni

La

periodo ellenistico

si

pu,

metrica,

perch

quasi

risale

ritenerlo an-

Cureti

antichi

un proemio

strofe ioniche a maiori,

cantato

ma

al

quali personaggi storici,

umanit.

1908-09, 357 sgg.)

tempo imperiale,

sono con-

benefattori del-

giambi seguito da

in

mostra che anche quest' inno fu

e le libert nella responsione degli ionici

si

spie-

ammetta accompagnamento musicale.


\J invito, quasi il comando rivolto al dio, i^ps, mostra
che i sacerdoti danzavano essi stessi. Verso la fine
gano

solo se

si

dopo il 167, i Delii {Si/ll} 721)


decretano onori ad Amphicle di Renea, [louaox? y.al [xeXwv
TiocrjXTJc:,
per aver egli composto un TrpoaStov jxjisX? in
onore della citt, degli dei che hanno sede nella citt e
del secondo secolo, certo

del popolo ateniese e per avere insegnato ai figli dei cittadini Tips Xjpav T [iXos aSetv

(1)

in

(1).

Diversamente dovr essere giudicato

quegli

stessi

anni

Cnossii {Syll.^

poesia per musica

1'

eucomio per

il

quale

722) ringraziano e rendono


si

dovranno

15U

alla stessa stregua ritenere

prosodii,

poeti sono menzionati in primo luogo tra

agoni

gli

Thespie

di

cui

vincitori ne-

che abbracciano un pe-

in iscrizioni

riodo di quattro secoli, dal secondo avanti Cristo al se-

condo dopo (i).


Che poesie nuove fossero composte in ispecie per nuovi
culti, naturale, che le religioni antiche saranno state
i

venerabile per et e si saranno


mostrate poco disposte a sostituirla con canti nuovi, ai
fiere della loro liturgia

mancato

quali sarebbe

Ma

ouore

grauimatico Diosciuide

al

prestigio

il

interessante che per

figlio di

della

nuovi

culti

tradizione

(2).

continu, forse

si

Dioscuride di Tarso, che pare

XXXV 1900, 542) da


twv ko.o' 'Oiir/pqj vo^-ijicdv. Dioscuride aveva
luandato il suo scolaro Myrino TzoiriXiM nwv xa [isXtv a Creta SiaO'Vjai[isvov XX 7ie7toaY|JiaTU|j.sva tc' aTi). Il decreto non dice che Myrino inper sia da distinguere

Wilamowitz, Herm.

(cfr.

colui che scrisse l'opera Tispi

segnasse a un coro a cantare n fa parola di esecuzione musicale,


parla solo di xpoaaei;
dei Cretesi tutti (se no,
Yy.u)|i.iov

xax tv

1'

Onsp

y^t" I^tov

troveremmo

Ttoivjxv,

cio

xi

BCH

(1)

XIX,

la

9-v:os, cio

scritto xxq ^is KXiog), detto

lo

avr declamato, forse

declamazione con qualche accordo

1895.

336

data

(la

che

il

BCR

(2)

IG VII, 1773 BCH XTX,


spiega come negli agoni, mentre

XIX, 338

Cos

si

di cetra.

Nordkn,

Theo 160, attribuisce a quest'epigrafe, mi pare troppo alta)

1760

ma

in lode

secondo Omero. Esso, dnnque, sar

composto in forma esametrica e Myrino

stato

aiutando e sostenendo

.\x(i>

Agnontoit
;

IG VII.

343.
frequentissima

menzione del TiotY]XYji; stcwv, non si faccia quasi mai, fuorch a


Theepie, menzione di un TTOiy]TY)g TxpoaoStou: nelle lodi in esametri della
grandezza della citt, che avevano carattere profano, la novit piala

mentr' essa sembrava disdicovole nel prosodio, ch'era rito

ceva,

ligioso.

Dnrante

il

lo piii seguitato a

punto

cantare

il

peana

non avevano tra

poeti lirici, si poeti epici

Del resto

loro

(tre p. e.

gli agoni,

dell' antica liturgia.

collegi di artefici dionisiaci,

dei concorsi,

51).

ohe introduceva

sacrificio,

si

Per

che erano organizzati

re-

sar per
ci apin

vista

membri, a quel che sappianu),


in quello di Tolemaide Or. gr.

poeti epici o tragici avranno al bisogno saputo scri-

Tero qualche verso lirico.

\iA)

senz eccezione, a comporre musica e poesia

nuova, non

tent di sostituire

si

verso recitativo, o l'encomio

al jiXo;

musica

[)er

l'esametro, che

prosa solenne, che fuori del

in

culto dall'et ellenistica in poi viene sempre pi in voga.

Nel 307

Ateniesi bandirono un concorso per un peana

gli

da cantare in onore del re deificato Antigono vinse,


secondo narra Filocoro (Athen., XV, 607 a) llermocle di
;

Cizico.

La salma

di

Arato

trasportata, per suggeri-

fu

mento dell'oracolo delfico, da Egio a Sicione con accompagnamento di peani e di canti corali. Nelle feste sue
natalizie, che per anni e secoli dopo la sua morte e la
sua eroizzazione vennero celebrate dai Sicionii, un coro di
tecniti

cantava

\iiXri

a suon di cetra (Plut., Arai., 53). In

Arcadia, l'unico paese della Grecia secondo Polibio (IV


20) nel quale l'educazione musicale

suo tempo,

si

al

era rimasti fedeli alla tradizione pi antica,

e non la corporazione prezzolata

cantavano una volta l'anno inni

Che

non era decaduta

ma
in

giovani cittadini

onore di Filopemene.

del resto lo storico arcade esageri per patriottismo

che anche a Delo, come


dei cittadini erano istruiti

locale, parr sicuro a chi ripensi

abbiamo veduto
nel canto. Vero

test,

figli

tuttavia che a Delo, sull'arido scoglio

che ritraeva dal santuario ogni floridezza anche di commerci, i cittadini saranno stati pi zelanti e pi esperti
del culto che non altrove. I Calcidesi, scampati all' eccidio per beneficio di Tito Plarainino, istituirono sacrifici

lui,

durante

quali cantavano

un peana

riporta la fine {TU., 16): tJ.ozivo

yaXeuxtOTxav opxoic cpuXaatv

\iXKt-t

xoOpai

Tw[jiav xe Tt'xov ^' a[xa TwfJtatwv xe r.iaziv

awxep.
stiere

(1)

altri

Anche
(1).

di cui Plutarco

Ta)[JLa''wv a^o|jLv Tv (is-

ii;.z

Zf^va

Tlacv.

jiyav
Co

T:x

qui cantavano cittadini, non artisti di me-

In quegli stessi anni la citt di Teo, istituendo

WiLAMOWiTZ,

presso

esempi di inni cantati

Norden, Agnostos Theos


per lo meno la maggior

,"92,

raccoglie

parte

si riferi-


un culto
che

alla

figli

regina ApoUonide di Pergamo, disponeva

dopo

dei liberi cantassero

fa,jw|x:Gv e le

un -a-

sacrificio

il

vergini incedendo processionalmente intona?-

un inno

sero

161

{Or. gr., 309, 8).

L' inno dunque anche nel tempo ellenistico era rimasto in complesso poesia per il canto e per l'uso pratico:
l'epigramma, che inadatto non dico al canto ma persino alla declamazione solenne, che poesia per la let-

tura

pi per la recitazione, che pu talvolta essere

al

gustato solo da una cerchia di amici, la quale ne intenda


tutte le finezze,

non poteva ne

sostituirlo

(3razio per lo pi nei suoi inni

ne

non ha

fargli

ombra.

attinto a epi-

grammi ellenistici, perch nella letteratura ellenistica


epigrammi-inno non esistevano ha forse attinto a inni
ellenistici, come a prima vista par naturale supporre?
;

assai difficile dare

canza

rende gi

ellenistici

una risposta determinata. La man-

spiccatamente nuovi nei canti liturgici

di caratteri

di

per s sola pi

diffcile la ricerca.

L' innologia di questo tetnpo ha cos poco un' impronta

sua che persino conoscitori di vaglia e di gran nome ritennero ellenistico il peana ad Apollo e ad Asclepio, che
in redazioni differenti era stato trovato a Totemaide e

ad Atene

in iscrizioni dell'era imperiale, finche

epigrafe scoperta ad Erythre mostr che lo


in Ionia gi verso

il

360

a.

C. (1).

una nuova
si

potr stabilire nei casi singoli la dipendenza

singoiar ventura,

quando

si

di

si

di inni ora-

ziani dalla liturgia ellenistica, salvo che'per caso

battiamo proprio nell'esemplare

cantava

Come mai dunque

non c'im-

Orazio? E questa parr

ripensi che la nostra cono-

scenza di questa letteratura dipende tutta da epigrafi,


cio poco

meno che

fortuita.

8ce all'et imperialo, la quale

tuttavia

continuato nel cnlto la tradizione


an;li

esempi da
(1)

11

Cfr.

me

pi

certamente per

lo pi

avr

antica een// innovare. Certo

raccolti se ne potrehbero aggiun^cero molti altri.

Wii.AMOwiTZ, yordioiische

Steive,

11 t<gg.

Si

pu

Uri

andare ancora un passo oltre e domanche Orazio abbia coliturgia ellenistica meglio di noi. Da libri

forso

stessi, se sia verisimile

dare a noi
nosciuto la

forse no. Solo gli inni delfici furono, a quanto sappiamo,


raccolti in

un

libro,

una sola volta in


non da grammatici ma da
Consbr.) cita (juale esempio di

e questo citato

tutta la letteratura antica, e

metrici: Efestione (p. 42, 7

una certa variet


tO-c

di tetrametro

[xxap :piXo'^f/vw; e; eptv

serva nel suo commento

peonico

il

verso

)-j|i/.'//.v

Giorgio Cherobosco

yy/zw^ ih

xtov /,aXoo[JLV(')v A'fi7.'j)v.... [,

ci

con-

notizia che esso deriva

la

o^rj\iy. xo~j

i/.

Ti'j'.r^zr/j,

dunque da una raccolta di liturgia delfica, nella quale le


poesie non portavano nomi di autore. Se la possedessimo
ancora, vi ritroveremmo fors' anche
scavi

ci

hanno

rivelati.

Ma

carmi che ora

gli

non
La mancanza

libro era raro (1), e

il

verisimile che ne esistessero altri consimili.

nomi di autore mette bene in luce che il fine di quei


poeti non era letterario: chi fa incidere in marmo un
suo carme liturgico e lo dedica in un tempio, non si cura
dei

della diffusione libraria,


sia

nota

ai

ma

si

contenta che la sua poesia

devoti del santuario

gli scrupoli di Isillo

mo-

strano quanto poco egli pensasse a pubblicare le sue poesie. Del resto conviene confessare che tutta questa lirica
cos scolorata non avrebbe meritato queir onore.

Pure

le

forme degli inni oraziani sono

in

genere

le

stesse di questa poesia, se pur esse dal genio poetico di

Orazio ritraggono pi luce, pi calore, pi vita.


posizione simmetrica, anaforica,

comune

La com-

anche negli inni

pi antichi, non ha in essi quello sviluppo quasi indiscreto

che

s'

impone

cos

prepotentemente

nella liturgia ellenistica e in Orazio

possono essere

(1)

fortuite.

le

all'

orecchio

somiglianze non

Converr, vero, distinguere tra

Giorgio Cherolioseo copia certo coiuiiienti pi antichi.


le

poesie di Orazio che

16:

rivelano chiaramente compo-

si

ste per la lettura, e quelle

che o furono da lui destinate


le forme di quelle

esecuzione musicale o rispecchiano

all'

scritte per musica.

questo secondo gruppo apparten-

carme secolare e I 21 Dianani tcse anche l'imitazione della liturbasta


a
spiegare
completamente solo le
ellenistica
gia
poesie di questa seconda serie, converr confessare che
essa liturgia pure una delle radici degli altri inni, bench certamente non la radice unica.
Per che via ha Orazio conosciuto canti liturgici, se
essi non erano pubblicati? Io penso che egli li conoscesse
non dai libri ma dal culto. Studente ad Atene, ufficiale
gono

di sicuro solo

nerae dicite virgines.

in

il

Ma

paese greco, in giovinezza avr avuto spesso occasione

cantare in tempii greci, da fedeli e da tecniti,


peana e prosodio. Ma la fonte pi pura non sempre
quella che getta maggior copia di acqua non in Grecia
il poeta ha conosciuto per la prima volta culto e poesia
liturgica greca, ma gi a Roma. Orazio nel carme secolare
di udir

in 1 21, fors'anche in

non

tanto

oscuri

il

poeti

IV

(3,

dive qiiem proes Niobea

continuatore di

delfici

quanto

di

maynae,

Aristonoo e degli

altri

Andronico.

Non

Livio

Augusto per primo dette incarico a un poeta celebre di


un carme latino di forme greche e di farlo eseguire da un coro di giovinetti e giovinette. Gi alla fine
scrivere

del III secolo la liturgia ellenistica penetra in

sieme con

il

ventosi, viene

giro due

Roma

in-

culto greco: nel 207, a procurare prodigi spa-

anche

stabilito

che una processione porti

in

simulacri di Giunone Regina fatti di legno di

due vacche bianche. Nella processione incedono


nove vergini, numero caro alla speculazione greca (l), cantando un carme in onore della dea

cipresso e

tra gli altri tre volte

(1)

DiKF.s,

Silnilliiiischf-

liliilliv,

12.

ICi.

composlf) per (juella solennit da Livi(j Ainlronico {lAv.

XXVII

37, 7,

l)iire in

numero

lontanare

12 sgg.). Sette anni


di

i)ii

tardi

vergini,

le

nuovo per

ventisette, cantarono di

al-

anche questa
tempo celebre,

pericoli minacciati dai prodigi, e

volta lo stato incaric un


P. Licinio Tegula, di

poeta a

(^uel

XXXI

comporre V inno (Liv.

L'uso rimase, come mostrano molti passi

12, 9).

di Giulio

Osse-

(1), che deve far per noi le veci di Livjo pei


tratti perduti. Augusto, disponendo l'esecuzione dei giuochi secolari, tien fermo alla processione delle vergini

quente

e al sacro

numero

ventisette.

storia della religione

romana

pubblica manchevolissima.
che,

come

il

rito

mano sempre

La

tradizione intorno alla

negli ultimi secoli della re-

Ma

noi

dobbiamo credere

greco o achvo divenne nel culto ro-

pi preponderante,

cosi

la

liturgia greca

incominciasse a servire ad altro oltre che a scongiurare


prodigi.

Anche

nel canzoniere di

tenuto un inno a Diana

(e.

amore

di Catullo

con-

34j Dianae sumiis in fide

(2),

che ha tutta 1' aria di essere stato scritto per il culto.


Esso si rivolge a puellae et pueri integri, come I 21 e il

carme secolare; esso riproduce

lirica liturgica

composizione simmetrica e nell'anafora del


strofette di tre gliconei e

un

ferecrateo,

greca nella

tu.

lo

Il

metro,

stesso di

quello del peana ad Apollo di Aristonoo. Orazio, dunque,


in quei suoi carmi che pi propriamente possono dirsi

li-

ha seguito una tradizione non soltanto ellenistica


anche romana. E possiamo anzi esser sicuri che i

turgici,

ma

suoi inni,

come

quello di Catullo,

come gi

forse quello di

Livio Andronico, che pure allo storico Livio sembrava


cos rozzo

da non meritare

di esser

messo sotto

gli oc-

chi a lettori, dell'et augustea, sono cento volte pi belli

(1)

Raccolti dal Diels,

(2)

laterinetato bene dal

ihid.,

43 sgg.

Norden,

p.

151.

H)5

dei canti liturgici ellenistici, composizioni di poeti di terzo

ordine o di musicisti non di altro solleciti che dell' arte


loro.

di

Solo

Roma ha

pio popolo di

il

comporre

la

incaricato poeti grandi

sua liturgia.

Gli altri carmi

religiosi,

pochi che sono epigrammi

quando

lirici,

ne tolgano quei
derivano pure da poesia
se

come mostra la struttura generale delle singole


ma non solo e non direttamente da essa molti dei

liturgica,
odi,

pensieri che vi sono espressi, sarebbero fuor di luogo in

carmi destinati all' uso pratico del culto. Per questi converr pensare ad altro.

Un epigramma-inno non
perch

attecch,

inno

l'

vi fu,

abbiamo

rimasto

era

non

detto, o

per canto.

poesia

Pure non manca qualche eccezione. Proprio

in principio

dell'era ellenistica alcuni poeti, tra cui anche dei celebri,

compongono
che

inno a

si

direbbero

che per un volgo

tori dotti

Soli,

inni che

fiori

Pan

IV

composti

secolo

scrisse

(1),

che

in tal guisa,

podie potevano scambiare tra loro

per let-

Castorione di

di ascoltatori.

verso la fine del

in trimetri

scritti piuttosto

un

le di-

posto senza danno

il

del senso. Nei versi che Ateneo (X 455 a) ci ha conservati di quest' inno, egli si vanta di questo ritrovato o

chiama

la

(1) Il
5'

sua scrittura sapiente e

diflcile

Leopardi ha visto che aitiiartengono a

eOYSvsxag

YjX'.jiopcpoc; ra3-io'.5

codice di Ateneo (XII 512 e) a

Ini

a intendere a
p;Ii

ionici sg'ix"**

p/^fov as T'-iiatai '*pa'lc.Ei attribuiti

un

leipcov di Soli.

Il

zione da Dnride intorno al lusso di Demetrio Falerco; Eliano

racconta del Poliorcota


.ScilMlD (II 113)

non pu

i',

verso che

il

l'

itifallo

essere anteriore al 291,

in

h.

IX, M)

dnl)l)io a torto,

perch Ateneo

chiama

il

suo Demetrio arconte, iv

segue

che abbiamo riportalo;

naturalmente, Dioniso. Poche righe

attribuiscono al .S02

(i*.

quasi con le stesse parole. CiiRisr-

Hfonono Eliano, senza

essersi sbagliato, giacchia

a-nv T^f/jiiaxa, corno


oe

lo stesse cose

nel

passo sta in una cita-

jiii

sotto

Ciirist-Sciimid

onore del Poiorceto.

elie

non

i>no

non

clii

sia sapientfj

TY,'

|iO'jaOTO

/.X'JctV.

culto

"y/.J.stT'

ao'fY,

a tv

'&r^yyyi\u

vafovl-' i'pav.

llv,

y.yrjiyyzV/

tl7^f>.

'Apx)v.

K/^p,

\'^^'rli
'JO'ffo

[t^

CllO

\ltih.-(\i' hlc..

'iz

fosse invocato |aoj707:o;

l-*an

j-j/'ucJ.ov

y.'/.ypt')

5vac. j^yvcoaia

a'Jv>-'';.

st;-/]

vt-foxxnc/i:

,'jcXaT;

yl-v'

parrebbe

liei

iiiipos-

quand'anche il disprezzo del poeta per non iniziati


non mostrasse ch'egli sdegnerebbe di scrivere per una festa
popolare. Degli inni di Simniia Rodio Efestione non ci ha
sil)ile,

conservato che
7ctv:7.

yX'jxh

[VJ/wv

(\).

priiici{)ii (juali

vjii'fv

41,

5pv

Consbr.)

11)

Awp'.

esempi del metro: nTco


/.jjoxtOtoov

( 1

v^^^av' ).''fov

no: |iv 'jt7r-o; 'j-ov.o:

'>

y/ca-a-

wxv a/|iv 'EvjzXlo; e-jaxo-ov X:v (41, 22): ai Tzc-.t


Al; v -naTa vsap xp vEJjpo/^Litov (42, 3)
'az'.cc yv
-' 'j;''vc)v [Aax -o\yw) (20,
J^alia;
xap
16); xafs ava^

o;

jixap

"Hlia;

12) (2).

(21,

ritmi,

peoni e

in

dattili

non gli anapesti, sono quelli della tradizione liturgica


r accumulamento degli epiteti conviene bene

ispecie,

agli

inni cletici

la

posizione delle parole,

assai artifi-

che si aspetta da poeti alessananche quando scrivano per gli usi del

ciosa, tuttavia quella

drini

culto.

di vaglia,

Ma

la scelta singolare degli di cantati fa

a poesia dotta per lettura

(1)

Forse

si

devo leggere (x')

Dioniso, Hestia,

'ripy.-^'

congettura

Hermann

si

(3)

iuteudeif Nereo. Che Do-

ride 8iu cliiamatii essa v;pavo; del mare, nou par possibile.
la

pensare

Eracle

Xoa

so se

trovi gi uella raccolta dei fraiumeuti di Siiiimia di

Fiaxkkl, che ho

lotta

in

bozze,

ma

che ora non

ho

mano.
(J) (nesto

frammento

e citato

da Kfestione sotto

la

denomina-

ma

zione x -'.[inU-Ov, che in se stessa

si

stile lo stesso di quello degli altri

frammenti. Gli scoliasti pi tardi

non hanno saputo ritrovare

riferisce solo al

metro

h>

passo nel libro di Simmia, o forse esso


tempo della composizione dei AeXcpixx.
(3) A questo riferirei il frammento citato quale x 2tiJ.|i{'.o/
di solito scrivono v^/?a; con la minuscola. Non saprei dire a chi Enyail

andato smarrito prima del

lio

abbia concesso la sua lancia.

J07

sono divinit consuete, ma culto di Doride e Nereo non


e' mai stato. Certo, il culto delle Nereidi fu in Grecia
abbastanza diffuso (1); ma il rpwv, che era adorato a
Gytheion, non ha

un

(III 21,

9)

cio per

comune con Nereo

di

dio marino, e

l'

non ha valore

non per

se

tempi della teocrasia

propone con una

se

non

di essere

identificazione proposta da Pausania


l'et del periegeta,

e Pausania stesso la

formule con

di quelle

le

quali suole in-

trodurre le sue speculazioni piuttosto teosofiche che religiose

Quanto a Doride, nulla

(2).

deve concludere da

si

un'espressione cosi vaga come quella che Virgilio (Aeu.


Ili
et

73) adopera di Delo gratissima feJus Nereidiim ynatri


Neptuno Aegaeo, tanto pi che sulla religione delia delle

Nereidi siamo bene informati grazie a un frammento della


-oK'.-t'.y.

Arp.''or/

(Athen. Vili 296

di Aristotele

e),

narra che con esse congiunto nel culto Glauco,

dove

si

(juale

il

possiede col anche un oracolo (8). Per di pi Efestione


dove dice chiaramente e dove fa capire che gli inni di
Simmia erano stichici, ci che non conviene a poesia per

(1)

III

236
(2)

sg.

cfr.

in

Roscukk

cv voud^o'jat F'^Ssxa". FspovTa. oixslv v ^oCkzit^ '^hvo:,

Nyjpa evia
(3)

la Weiszackki
anche Wide, Lakonische Knlte, 221.

Le testimonianze sono raccolte

s'jp'.axov.

Poche righe prima Ateneo scrive

3-; tv rXa'J/.o; U|Jiv(o

IloastSivog aOxv

EvO-v;; d'

uicv

slvat

pa^^'lvcx,

k-.OT.o:>,c,

xa Nai^oj

xe

v xe

viii-^y^;

O- erpco? y.axs-

ji'.Y^,''^'-

x 'ApsiSvig v Aiv] x^

iicpB-y;.

Codesto Euautlie omesso nello storio letterarie e nel Panly-

Wissowa. Siccome

egli detto epico e nell'

ventura pi complicata di
in
tri,

vr,oc;)

iiuel

inno raccontava un' av-

che possa esseie brevemente esposta

un {isXo;, il suo inno sar stata una composizione epica in esamecome gli inni omerici e callimachei. Che sia identico con l'Ev&r^;

MsO-'Juvxto;

%'9-xpf|)l-,

che verso

il

280 ji5'5aTO

tq)

3-S(;>

in

Deh

{liCH VII, 1883, 109) f Ih questo caso egli recit il suo carme aioompagaandosi con qualche accordo di cetra, pii simile in ([uesto ;ii
vecchi aedi omerici che non a Calliraaco.


meno che

musica, a

h.s

canti o meglio

la si

musicale durante

coiiii)agnameiito

la

si

reciti

con ac-

per la

marcia.

stessa ragione non crederemo destinato al canto l'inno (1)


di

Filico

Corcira in esametri coriambici stichici, dal

di

quale Efestione
TE

A7,|jir;xp''

-/.al

(:}(),

22) riporta

(I>cpa-^vr|

che a un carme da

recitarsi dal

polo non converrebbe


<I>iX''xo'j.

Y?3cii|JLax'.xo;',

che Filico

il

il

owpa

verso

r?,

XO-ov:y, h'j7t:x'>.

xal KX'j|ivo) l Sjpa. Si aggiunjja

vanto

popolo o dinanzi

auvO-asto: r?^:

poco importa

-p^; Oix:.

'^po)

al j)0-

xaivoypx'f&'j

stesso, quale sacerdote di

Dioniso, marciasse

nella processione di Tolemeo Filadelfo descritta da Callixeno (Athen. V^I 98 e);


giacche non detto che egli fosse membro di quel collegio e dovesse quindi comporre canti per l'uso pratico;
e se del resto fu membro, sar stato tale non quale poeta
melico, ma qual tragico, giacche in nessun elenco di
collegio troviamo un jjiewv -oirjXTj?. mentre sappiamo che
Filico appartenne alla Pleiade tragica alessandrina. E,
poich composto in priapei parimenti stichici, sar stato
destinato parimenti alla lettura l'inno che, secondo ne
informa il Cherobosco (p. 241, 11), il grammatico alessandrino Eufronio compose in onore del dio di Lampsaco.
Ma nessuna somiglianza di stile ci riesce di scoprire tra i
giuochi abili s ma di una destrezza un po' fanciullesca
in testa agli artefici dionisiaci

di

Castorione e

menti

le

complicati e

Orazio

classici di

Simmia cariche
pesanti dall' una parte, e

invocazioni di

(1)

parlano

Un
i

gli inni

ma non
due liriche anonime, che,
non inganna, appartengono a un periodo po-

di

se lo stile

orna-

dall' altra.

Maggior somiglianza con


liturgica

di

la poesia religiosa

Orazio palesano

inno fu di certo, perch

trattati metrici latini

gralia del nome,

cfr.

ora

uu inno a Cerere e Libera


Caes. Bass. 263, 25. Snll'orto-

di

cfr.

WiLAMOwnz,

Beri. Sitzungsber. Itil2, 549.

ItAl

steriore dell' et ellenistica

intendo parlare dei due

io

frammenti d' inni a Tyche, V uno in dattilo-epiconservato da Stobeo {ed. I 6, 13), scoperto l'altro

inni o
triti

pur dianzi in un papiro berlinese [Berliner Klassikertexte


2, 143), dove compare in una redazione assai lontana da

quella originale,

come mostrano

in dattilo-epitriti

come

numerose irregolarit
metriche e parecchie espressioni, che, mentre paiono a
prima giunta aver qualche senso, ne sono, chi ben guardi,
affatto prive. Appartiene certo allo stesso genere anche un
frammento d' inno, naturalmente parodico, all' oro, conservatoci da Diodoro (XXXVII 80) (1), composto esso pure
il

l'

le

inno alla Tyche in Stobeo, con

quale esso presenta somiglianze notevoli.

hanno conservato

Tutt' e tre queste composizioni

le

forme degli inni liturgici 1" inno di Berlino chiede alla


Tyche, come mai il poeta possa esaltare la sua potenza
e la sua natura, tijs xpr^ tsv a/'jv ts Zilcy,: za: Tsv zi-.v
con quale predicato egli la debba invocare, se Clotho o
:

Ananka

o Iris
quest' un accenno alla -o'jcovu|ji.ta della
dea consueta negli inni cletici (2 Il frammento serbato da
Stobeo ha conservato la struttura simmetrica e l'anafora
:

del fu:

t'j

|Ji7i'.

yjf-y-c

coi'f-v;

xal ao'^:a: ilxxs:;

Zco: av

o' |jLa-/av:'a;

T'J

tura simmetrica

si

spa;;

--.io'y^y.

y.av...

yp'jjiav

xh

-pov zlltz iv XYsa'.v.

trova anche

nell'

La

ex asH-ev
xtx

-Xa-'.YY-

stessa strut-

inno all'oro

-vTWv

Ma, per quanto questi tre inni, diversi del resto tra loro, presentino le forme
comuni della lirica liturgica, si distinguono chiaramente
da essa e si avvicinano alla parte di gran lunga magxpx-t'jTc, ;t7-viwv fjpavvs.

(1)

I-l

-vTa

\\-i'/:;t:z.

l'ramuieuto, che segue ia IJioiloro,

li

un inno

alla

-o-^'.y.

troppo breve e incolore, perch se no possa dare giudizio.


(2) Simile < anche la formnla di passaggio noli' inno omcriio
A))ollo

rcio;

px

a'

'j[iv/,oc'>

::avtto; e'j'jivov vtx.

i-

;ul

ITU

giore delle poesie religiose di Orazio, perch non possono


essere state comj)Oste
in

[)er

uso pratico. E, altrimenti che

ma come sempre

Sjmniia e in Castorione,

Orazio,

in

anche nell'ode che comincia nominando un santuario determinato,

diva f/ratum (juae

rer/is

una potenza cosmica, non pi

il

Antium,

dio che

la divinit

uomo

1'

antico

venera in un' effigie determinata esposta agli sguardi in


un tempio determinato. L'Oro, la Tyche, come la For-

come

tuna,

il

Mercurio oraziano, son qui divinit non

adorate che dal pensiero

(1); pel resto le

somiglianze tra

due inni alla Tyche e l'ode alla Fortuna sono di tal fatta
che converr credere che Orazio dipenda non dai due
mediocri componimenti a noi conservati ma dal loro modello comune.
E ha conservato la forma degli inni liturgici, ier
quanto destinato evidentemente alla lettura, l'inno, scritto
in esametri, di Cleante.

non
umana,

Anche

pi la

ferente dall'

della mitologia

un principio, anzi

unica di cui tutte


ch'essa

il

il

7iv|xa

(2)

in

Ora-

Zeus

lo

principio cosmico,

dif-

di Cleante

divinit

la

non sono che emanazioni, perche pervade il mondo. L'inno era

le altre

celebre nell' antichit

suo carme

come spesso

qui,

persona umana, o poco

zio, la divinit

Arato

lo

imita nel

Orazio, studioso di filosofia,

proemio del
avr cono-

1'

sciuto fin dalla prima giovinezza.

Poesia per

dunque

gli usi pratici del culto seguita

a essere composta, in grande quantit

ma non

con mire

propriamente letterarie, anche nel periodo ellenistico,


senza che dal quarto secolo in poi vi s'introducano novit

notevoli di pensiero e di

(1)

che

Di tale fatto

gi

"Fpw;

forma.

Tentativi

viy.aT \iy.yaw e in certo senso an-

Zs'jg, oaxic, jix' sa-iv.


(2)

Cfr.

il

isolati,

mio articolo su questo

nelle Charifes fiir Leo.

intrapresi nel primo

171

mezzo secolo

dell'

ellenismo, di sol-

levare questo genere a dignit letteraria, liberandolo dai


vincoli della liturgia e trasformandolo in poesia dotta per

non ebbero forse successo felice a ogni


pare congiunto a questi poeti e a questi

la recitazione,

modo Orazio non

carmi da una linea

diritta. Pi tardi questi tentativi furono ripresi con successo migliore in poesie nelle quali il

dio inneggiato, sciolto

contingenze del culto, era


(). A questa lirica faceva
dai primordi dell' ellenismo il carme esadalle

trasformato in potenza cosmica


riscontro fino

tempo

metrico di Cleante, Orazio subisce a un

gli

in-

questa poesia greca emancipata dal culto e delle


ferme liturgiche, quali erano state introdotte ed elaborate

flussi di

romano da

nel culto

poeti molto maggiori che

stati gli oscuri artefici della liturgia dei

Parecchi degli

inni

di

Orazio,

tempi

non siano
ellenistici.

l'esaltazione

oltre

della potenza del dio, che ne costituisce necessariamente


la

parte essenziale, contengono, per lo

pi in fine,

preghiera. Quest' tradizione liturgica; che

gl'inni,

una
di-

ciam pure fisici e cosmici composti per la lettura che


abbiamo considerato in ultimo luogo, o non hanno preghiera di sorta,

come

l'inno alla

Tyche

del papiro ber-

che degli altri non si pu dire,


essendo frammentari), derivano in ci dalhi hturgia (2). I
proemi omerici quando chiedono f>ir',v -s /.%: oX,3ov oppure vx' (of^; [i'.o-ov iS-jjjiv'psa, rillettono secondo ogni
linese, o se l'ebbero

(1) Il

cosiddetto Menandio, in un capitcdo del primo liluo

3Ki5eixTi7.(&v,
il

^uoLxg
(2;

lettore

prescri/ioiii

intorno a un genere spe;iale

nspL

<lell'inuo,

'')|ivo;.

La consni^tudinc dovi- essere generale, se nn uomo di Imumcome Aristide, c>iieliiude il suo inno prosiistieo a Koma con

unii preghiera,
v(ov TioiYjtai,

Keil).

(il

ierelic x^txxioTOv,

e'jxVjV

Parimenti

Tiva 7:poa9-vca

(airp oC'iiti)

twv

SLS-jpauJiicov ts y,xI

xaTax?.yj3X'. xv

la naXivfpSia n'. 2[i'>pvY)

lnisee

in

Xyov

~%;x-

(Il 1-1. S

mia pregliifia.

ri

probabilit antichissimi inni melici.

inni

gli

della

li-

turgia ellenistica non fanno per lo pi altro che tradurre


in stile

termine

il

jjarole, salvo che


che aveva ormai preso un

semplici

quclU;

fiorito

lirico

viene evitato

feiir,,

senso diverso da quello di prosperit


l'^ilodamo chide s'r^pwv xav^e -'.v

Aristonoo chiude

TioXbv

-/([xc

/ops'js'.y.

come

ai'fov

quello ad

fcTta'.v,

0)

Il

peana ad Apollo con

il

[jov il

T^jjLctspo:;

ijjjivoi;

"^([Ac,

(1).

ZiZojc,

ilestia

y.\

le

tjv

^oi^wv

y.y.\

r/o VTa; si :-aj>il'povov n'^l av

ojiJov

vecchie

formule siano

'^/.,j';>;

parole /apsl;
'firo-.:

otoo '|io'.^$ iz -j-'ov

In tutt'e tre questi carmi la parola

le

ritornello di

^'jaa'j*'Ja''f")v:

presenti

t-'jui/.av

o,'5o;

mostra

all'animo

dei

non di trascenderle.
N le trascende la chiusa del peana d'Isillo, quantunque essa non contenga pi la parola tradizionale:
poeti che

studiano

si

di

variarle,

yap' 'AaxXaTi'i, xv av 'ETwi'a-jpov jxaTpT^oXtv ajEov. quest'

parafrasi di
'^pcal

5i'ood psxyjv;

zl a(jxaacv

|ioTu:

il

seguito

svapY'J'i? o'^y^e'-av 7-'.-[jL7:ot;

parafrasa

salvo che al bene

o,3ov.

generico sostituito quel bene specifico che

il

dio Ascle-

pio in grado di concedere, la salute del corpo, e

si

aggiunge qui, dell'anima. Assai pi larga la fine del


secondo tra gli inni delfici corredati di note: XX'w Oo^s.
a(j)^

i^sxxiaxov IlaXXooc axu

x^wv

zrsTzzi

(1)

Kpy]a:wv

In im iuno

che

-/w'jvcv

x'

"/al

Xav xeivv. auv X 0-e

"Apx[x:;

dalla

trae senz'ambagi le conseguenze. L'inno I

che n la
l)ossouo

il

virfcti

far

omerici,

Cal-

mutata

finisce StSou x' pst/jV x'


le

sue parole, mostra

senza la ricchezza n la ricchezza senza la virt

felice

parafrasata,

7.u5:axa,

significazione

poeta stesso, quasi glossando

l'uomo: ojx' psx^g axsp

gsiv, O'Jx' psxv) cpvoio. Alla line


pii

Aax.o

conserva la forma di quegli

limaco prende psxi^ nel senso nuovo


acpsvg x; poi

7^Z

ma

oJ.Jio;

sTiiaxaxa'. cvSpa-

Callimaco ripete la formula non

nel testo originale diSoo

S' pxr;v xe

Anche nella chiusa del Tolemeo di Teocrito (JpsxV;


V. WiLAMOWiTZ, S(q)pho u. Simonides 171^.

-/.ai

sta nel scuso

cXpov.

nuovo.


'rj.izy.z A/.-fcov

v.y).

aTG'jc. By./o'j

i)-'

ma

tt^jAcsiI' a;xa tv.vo'.;

!pov:'xaca'.v

oopcaTSTC-ov xp-i Tto|xa''o)v


cppv:xav;

17;]

nonostante

iiJtaaov y.-'x.-

a'j[ij3''o'.:

tv xs

c|jiV; [xbXzxz TupoaTrota'.,

p/v

numero

il

cate e la sonorit delle parole

yi'JpxTW

a'j^''

delle divinit suppli-

pensiero non

il

B-Xo'j^av

presenta

nuovo. L'attualit ci si insinua soltanto di straquanto il coro chiede agli dei di esser benigni
non solo al popolo Delfico ma anche all'impero di Roma.
In Orazio in fine d' inni che cantano la divinit in
se, sciolta da ogni legame con contingenze del suo culto
terreno, l'attualit si aggiunge nella preghiera con deternulla

di

foro, in

minatezza mirabile

che

desiderio

si

Caesarem

in

iuveniim recens examen Eois

ti-

di particolari; sia

il

riferisca alla salute di Cesare: serves iturum

nltimos

orbs

Britcmnos

et

mendum partibus Oceanoque

rubro

(I,

35), o a quella di

Jiaec

bellum lacrimosuni, lue miseram

pnlo

et

principe Caesare

motus aget prece

(1)

(I,

in

che Orazio supplichi

una

dio di render docile alle sue voglie


cfic

modos,

lui latis

nuptiarum
11)

(2).

Li/de

qnibus obstinatas

equa trima campis ludit


expers

et

Se quest'arte

adirne

a po-

Britcmnos vestra

Persas atque

21), sia

Roma

famem pestemque

il

bella riluttante

adpUcet auris, quae ve-

exsultin

protervo

sia originale,

ynetnitque

cruda

tancji

marito

non saprei

dire

(III,

con

come conchiude spesso gli epinici aggiungendo dopo il mito una preghiera di mirabile
attualit, cosi anche nella chiusa del peana per Abdera
sicurezza: certo Pindaro,

[io[l

5=

7.(o]v

C7[X(T)v

]'j7.Xa

[xpa'v(o]v

}(p'.v|''A[ilrjp

y.y).

impinta clic ([ui la preghiera si amuiaiiti di profezia.


Qui por vero la pregiiiera udii in fiue ma poco dopo il principio. Se si confronta questo carme con I 30, vien fatto di pensare
che Orazio riprenda (ui nna seconda volta con solennit apimrontemeute maggiore il motivo di Posidippo e lo sviluppi, aggiungendovi
un mito che in s serio. l>i ijui l'orse la complicatezza della com(1)

Polio

(2)

posiziono.

aT[faxv] tTiTio/piiav [a ^]ta


y;

Tca-.v

time

Tia-.v

i/j

i)arole,

17-

::'>)i[|i]fj) Te'j[Ta''](|) 7:po|5'.[i;roi;

\v!,r^'-jzt e-'-o'.

non ha, tranne

nulla della formula,

ma

su[)|)lica

nelle ul-

con parole

suoi cittadini in
eponimo di soccorrere
~'j/[('>
l'espressione
l'ultima:
essere
deve
una guerra che

originali l'eroe

quanto ardita

Le

sua

nella

TeEJxa-'o)

fonti

stringatezza

altrettanto

ellicace

(1).

ellenistiche della lirica religiosa

di

Orazio

non breve; modelli della lirica


in poche parole. Questi carmi
sbrigare
civile si possono
categorie, in \xAr^ -o'.t'.-/.'/
si possono dividere in due

hanno

e in

richiesto discorso

ijaa'.Xr/.,

\i.zl'fi

greci

trattatisti

per dirlo

con parola greca, come

d'eloquenza pa^-lavano

Alla prima appartengono

Aiyoi;.

cipio del terzo libro.

non abbiamo

La forma

audita

odi

di esse

un

romane

|jaa'./.:x:

in prin-

originale

noi

diritto di rifiutar fede al poeta, quand'egli

proprio in principio della


prius

le sei

di

Musarum

prima asserisce carmina non

sacerdos

rirginibus inierisque canto,

n questa volta baster a spiegare il passo supporre che


effli si vanti di aver sostituito la strofa alcaica al distico
elegiaco che sarebbe stato il metro consueto di componimenti di cotesto genere. Orazio desidera che tendano
1'

orecchio

(1)
<li

111

al

carme suo nuovo giovinetti

e donzelle

la

tutta ([nesta ricerca intorno alle fonti della lirica religiosa


gli inni in esametri, qnali i callinia-

Orazio ho lasciato da parte

chei,

il

frammento

di

Arato presso Strabene

486, l'inno di

Andro

ad Iside. Callimaco e Arato hanno scritto inni epici; l'inno a Iside


.
tutto, fuorch nel proemio, un vanto che la dea fa di s: io sono
colei che etc, forma prettamente orientale ed egizia, comS ha mostrato il Norden nel suo libro, la quale non ha in Orazio alcun riscontro.

170

menzione degli ascoltatori e


che l'accenno

stra

ma

metrica,

carme.

ai

alla

di questi

novit non

pensieri

si

forma

che dan vita

sentimenti

mo-

ascoltatori

riferisce alla

al

non conviene

l'architettura complessa del ciclo

all'arte semplice e un po' ingenua del vecchio Solone (1).


Basta poi ripensare le condizioni sociali e letterarie dell'

ellenismo per credere, nonch inverosimile, impossibile

che un poeta
questa

fatta.

di quell'et

avesse composto un carme

Orazio parla qui

al

suo popolo, non

di

al so-

vrano; cittadino, non suddito. Cesare s nominato,


anche esaltato il poeta profeta anzi che diventer dio^
:

ma

tutto incidentalmente. Orazio evita qui perfino di ri-

volgere a
lui

lui

direttamente un consiglio che solamente a

poteva indirizzare con efficacia:

si

profezia sul

la

che coglierebbe i Romani, se volessero restaurare Troia, posta in bocca a Giunone, che la pronunzia
durante un consiglio di di. Il poeta si atteggia fin da
principio a maestro del suo popolo, ne per comunicare
triste fato,

con

lui

sente bisogno d'intermediari. Questo ciclo di odi

non poteva essere composto

se

repubblica voleva serbare per

non
lo

in

uno stato che della

meno

le

apparenze.

uomo

elleniistico

invece non cittadino

dito (2). Egli

pu chiamar

se stesso

L'

solo

perch la parola

tico,

per ci

ti-.c

-OJ-zr^z di

ha perduto

che ha conservato

stesso

il
l'

ma

una

citt,,

valore

antico

sud-

an-

signi-

pu essere -oXizr,:; di Teno, di Alessandria,


magari
di tutt'e tre queste citt insieme, ma non
di Soli,
dell'impero dei Tolemei, dei Seleucidi, degli Eumenidi.
grandi imEppure non pi Teno o Alessandria, ma

ficato.

Si

peri sono le unit politiche.

Vita politica e vita

(1)

Al (inalo pensavano Kiossliiig-Hoinzo.

(2)

fanno eccezione

di stati cioi

comu-

cittadini della lega etolica e di (im-lla adita,

che por la -nUnra non contavano nnlla.

17()

naie sono orinai altrettanto distinte quanto in un grande

moderno lo stato-citt morto o condannato alimpotenza solo Rodi fa eccezione. La -/.'.:, Alessan
dria, pu conferire onori ambiti e privilegi redditizi, ma
nulla pi; non pu far politica per conto proprio; neppure
Atene, chi ben guardi. I destini dello stato sono nelle
mani dei re, consigliati, quando ne sentano essi il bisogno, da uomini di loro fiducia. Il singolo suddito di un
grande stato conta cos poco che la lingua ellenistica
non ha inteso il bisogno di coniare un vocabolo che indichi l'appartenenza a un grande impero; n-o|iatVy.o'' (1
sono i soldati, non i sudditi dei Tolemei (2).
Chi avrebbe osato in Egitto o ad Antiochia, forte
stato

l'

solo del

dono della Musa

rivolgersi direttamente

anche

dita

in

e della sua libert di cittadino,

nome

proprio alla nazione sud-

solo ai Greci sudditi privilegiati, per esporre

loro precetti di viver civile, per fornire loro consigli su

una questione

politica ?

La

controversia dei

ozi xhv -^lao-^ov -oXcxc'jsail-a'. (3)

che

scherno,

al

llosofo

suona

La

Sarebbe stolto

cittadine,

cio

muni-

il

negare che poeti

ellenistici

intenzioni e preoccupazioni

abbiano

etiche.

Che

maggiori, Callimaco e Teocrito, non pensano che al-

l'arte

per l'arte, letterati per vero

nuano r antica tradizione greca

minor conto contignomica.

in un'iscrizione di Erythre, Syll. 210, 17.

(1)

Sono menzionati

(2)

Anche qui fanno eccezione

(3)

La polemica

di

di

della poesia

gli Achei.

Epicuro contro

il

suo

maestro Xaiisfane

(presso Philod. rhet. II p. 5 sgg.) certamente legittima;

contemporaneo
il

ti

sola questione che abbia ancor senso, quella.

talvolta avuto
se

filosofi,

quest'et quasi

chiusa la grande politica e

aperta solo la via a magistl'ature


cipali.

in

mondo

si

di Aristotele

era mutato.

non aveva per

il

ma

anche

il

tempo suo ancora torto:

177

G. A. Gerhard, nel libro eccessivo ma dotto e non inutile che ha scritto per illustrare i resti che dei coriambi
del poeta cinico Fenice di Colofone e di suoi correligionari anonimi sono stati

ogni giorno scoprendo

si vengono tuttavia
ha riempito pagine e

scoperti e
nei papiri,

nomi e frammenti di poeti gnomici dell'era


non fortuito che questo genere di poesia
sia usato per lo pi, se non cos esclusivamente come
sembrava al Gerhard, da filosofi cinici cio da seguaci
di quella scuola che pi completamente prescindeva dall'esistenza della citt; la vecchia etica cittadina era morta
una nuova
con il decadere della citt a municipio
etica civile e statale non si era formata, perch nei nuovi
stati autocratici non se ne poteva sentire il bisogno. Fepagine

di

ellenistica.

Ma

nice e

suoi correligionari scrivono

contro

il

desiderio

eccessivo di guadagno e contro gli amori maschili;

anche

strato della sua citt e

pur

dov

ma

magicampo,

legislatore di Megalopoli, Cercida (l), che,

il

essere

comandante

uomo

di

vita

di eserciti in

attiva,

tutt' altro

che

mite contemplatore, nei frammenti ritrovati test tratta


anch' egli a un dipresso gli stessi argomenti al pi polemizza per giunta contro la religione tradizionale morta
da un pezzo negli animi delle persone colte, polemica
tutta che non poteva pi dar ombra a nessuno stato ne
;

della vecchia maniera

comunale ne

della

nuova autocra-

tica internazionale.

Nelle odi
il

romane ferma

Kiessling, sono originali

e contenuto, checch ne dica


originale

il

pensiero di con-

giungere in un ciclo carmi melici composti nello stesso


metro, quasi
sono,

(1)

Su

Hoguente.
12

libri

di

come abbiamo
lui

come

un poema epico originali e


anche ammonimenti,
;

'detto,

8U Fenice qualciio

\tai()l;i

di

\nh

lu-l

attuali

timori.

)>iir:irr;iro

178

non vuole tuttavia escludere


che Orazio nella scelta dei mezzi di espressione abbia
tratto proftto dai suoi studi di lirica greca. Il poeta parla

predizioni. Quest' asserzione

verso la fine di s stesso,

mito i)rende qui


daro, proprio

lo

Ma

mezzo.

il

come

Pindaro, e

talvolta

il

stesso luogo che negli opinici di Pin-

deve

la scelta della favola

ri-

cordare ai lettori un episodio celebre del poema classico di


Ennio. Orazio ricanta qui liricamente una saga gi svolta
epicamente da Ennio, cosi come Pindaro attinge i suoi miti

Ma

alla tradizione dell' epos.

egli,

quasi costellando

suoi

che non dovevano sfugil


quale
aveva imparato a megire al lettore romano,
moria gli Annali sulle panche della scuola, indica, vuole

versi di reminiscenze enniane,

indicare che queste odi sono davvero romane.

il

poeta

s'inganna nel giudizio sull'opera propria, onde converr


a noi trattare delle odi romane nella parte di questo libro
destinata allo studio degli elementi romani nella lirica di
Orazio.

Quanto

alle odi regie sar

parte III 14 HercuUs

rifu,

bene lasciar per ora da

descrizione di

un

corteo, la quale

appartiene a un tipo particolare, e considerare in primo

luogo quelle liriche che o come IV

14 e

15

quae cura

patrum e Phoebus volentem sono tutte un inno al dio imperatore 0, movendo da concetti diversi, in un tale inno
si assommano, quali I, 2 iam satis terris, l, 12 quem virum
aiit heroa e particolarmente lY, 2 Pindarum qnisqnis studet.
Derivano queste odi, come gli inni agli di celesti, da tradizioni pi propriamente liturgiche o da modelli letterari
celebri ?

Certo, quasi
si

titti

concetti svolti o accennati in essi

ritrovano simili in iscrizioni contemporanee, in

titoli

pubblici di citt asiatiche che parlano di Augusto quale


di divinit evidente e presente

egli

ha arrecato

al

genere

ed esaltano

umano.

Il

benefici che

sovrano

anche


il

179

magistrato rappresentante dello stato sovrano,

Roma,

chiamasse anche Verre, soleva ormai da secoli, gi fin


dai tempi di Quinzio Flaminino, essere onorato da Greci
si

quale

e Orientali
ator/,p (1),

rasse anche lui

ricusasse

gli

benefattore

e ricevere

e salvatore, eepY^tr^; xal

divino.

Che Orazio conside-

suo Augusto quale dio vivente e non

il

gli

culto

dovuti a ogni divinit e pi a

onori

quelle incarnate in

uomini, parr naturale a chiunque

consideri la condizione degli spiriti nell'et augustea

senza che per questo

sia

ci

poeta andasse in cerca

bisogno

di pensieri

di

(2),

supporre che

il

e di espressioni nella

liturgia del culto imperiale, quale lo praticavano le pro-

vince orientali

dell'

quelle epigrafi.

Ma

impero e quale lo rispecchiano a noi


con quelle epigrafi Orazio ha comune
non dico tanto il sentimento che, restituita la

ben altro:
pace e la sicurezza nel mondo grazie
potere centrale, una nuova era

umano
orcio,

che

il

al rafforzarsi di

aprisse

per

il

mac/nus ab integro saeclorum

un

genere
nascitur

virgiliano mostra quanto diffuso fosse questo senti-

mento
culto

(3)

romano

quanto l'identificazione, ignota

sin allora al

e tollerata dai magistrati solo

in Oriente,

del mortale pari agli dei


il

si

con divinit determinate, quanto

concetto, pochissimo romano, che la bont dell'impe-

ratore ha fatto della vita

una

festa perenne. Invitano al

confronto con Orazio tre documenti, la lettera del proconsole Paulo Fabio Massimo scritta nel 9 av. C. al con-

(1)

Sulla

Wendland,
(2) Cfr.
(3)

vatore

di

quest'attributo

su di essa lo studio del

Gi nel 62 av. Cr.

Pompeo Magno
mondo {Syll.

pace nel
xoiz

storia

Ztschr. f. neutest. Wisa.

il

demos

vincitore

337)

cfr.

la

geuialo

Nordkn

in N. Jahrb. VII 1901.

dei Mitileuci onorava ((uale sal-

dei
8|i,05

pillati,

aver restituito

per

xv a'JTto

at-cvjpa

xaxaaxovTa; xv oinr^ivav noXjiotg xal xax

Xaaoav.

ricerca del

335 sgg.

y*''

la

xataX-jaavix

'tal

xaxi

S'i-

18()

sorzio delle citt greche dell'Asia, che ordinava loro di

cominciar tutte

il

loro

anno con

natalizio dell'Augusto,

il

decreto di esse citt (Or. 458), e meglio ancora

il

l'iscri-

zione di Alicarnasso, Greek inscr. in the Brit. Mus. 894,


che pare posteriore al 2 av. C. Si confrontino per esempio

con quest'ultima

IV

del

Iscr. d

epigrafe alcuni

passi

regi

libro:
Decreto del xoivdv

Alicarnasso

Orazio IV

2,

37

(Augusto) oO

|ivcv

quo nihil maiua me-

O-avaTOC xo navx;

xo'j? Tipo a'jxo

Ysyo-

liuHve terrie fata do-

cpuaig T nyt jXOv Afot.-

vo[xas sOepYxagTiep-

nei

3-v

i,

altvio;

'/.a.^

npc u7iepPaX?vO'j-

oa^

v-

espYsa.a;

cv xog oo|ivoig X7c'.5[a

Kaioapa tv i;E^aoTv

3oX7?

vsvy.aiivyj
il[i.c,

tco

0:toXi7:wv Otisc-

|j.v

Y^P

tum

aurum

tem-

via exiget

88

sgg.

domus stupris, mos et


lex maotdosum edolaudantur

simili prole puerperae,

culpam poena premit

IV 5,

sXti-

a)v iiv xpi<3'co)v Kp;


u }jL

e:

Ss ctg x Tiapv xwv

29 sgg.

diem

coUibus in suis

et vi-

tem viduas
arhores

et

aut

ducit

ad

miseras inimi-

urbis,

profu ndum

non

qui

Dan uviu

bibunt,edicta rumpent
ldia,

non Getae, non

Seres inUdique Persae.

non Tanain propefiuorti

IV

quisque

condii

redit

cat

nen

Comes.

Tg soxiv ya^-oO,

civilis

odum, non

ira quae lyrocudit en-

nuit nefas,

xs xal cpop uav-

custode rerum Caesare

non furor

nulis polluitur casta

flOVOiZ

IV 15, 17 sgg.

mare

volilant per

IV 5, 21

x [lXXov, 5-

redeant in

paca-

iiavitae

v-jiT^

divi

pora prificum.

19-20

5, 17,

tutus ho8 etenimrura

perambulat...,

xai S-aXatxx,

SVO|l:f

bonique

dabunt, quamvis

Orazio IV

yy]

navere
nec

y.aO-'

eOSa'^iiovi pio).,

EpYjvs'Jouo'.

dXX'o'

Pa]?.|ievog,

^apiaaio

O'ptTiois

carmi

dei

nosque
cibus
iocosi

15,25 Sgg.
et profestis luet

sacris

munera

inter

Liberi

hinc ad rina

cum prole matronisque

al-

nostris vite deos prius

laetus

et

181

xal

TERIS TK M EX SIS
ADHIBET DEUM
te

adprecati

ycaiv

progeniem

multa prece,

pr-

nemus

x xal u[ivois

[se-

sequitur mero

v9-pw7t(ov
o|i.vwv,

v<i:7iX-(^-

guono parole fram-

pateris

mentarie].

tuom
uti
et

te

almae
Venerifi ca-

defuso

Laribus

et

numen,

miscet

Oraeeia

Castoris

magni memor Herlongas

culis.

titi-

nam, dux bone, feria


praestes

Hesperiae

dieimus integro

mane

die,

sicoi

dieimus uvi-

di (1), CMwi sol

Oceano

subest

Augusto non
Tou v-oivoxj xwv vS-pwTJWv '(ivo'jc, ma anche lo
in Egitto egli spessissimo identificato, una

L'iscrizione di Alicarnasso saluta in


solo

il

awTYjp

Zshc, 7raxp(T)oc;

volta anche nella formula

del giuramento, vale a dire

un documento ufficiale (2), con lo Zeb? 'EXs'jO-pco?;


chi non riconnetter subito questi conguagliamenti con
le parole di Orazio che esaltano in Augusto non solo im
beniamino di Giove, ma un secondo Giove, minore solo
del dio supremo (I, 12, 49) gentis humanae pater atque custos, orte Saturne, Ubi cura magni Caesaris fatis data, tu

in

secuhdo Caesare

regnes...,

te

minor laetum reget aequos or-

(1) Chi confronta la chiusa dell'ode 15 (stampata a riscontro) s


avvede che queste parole dicono sotto il principato di Augusto ogni

sera essere festa.


(2)

329.

passi sono raccolti da

Il

Blumenthal

si

Blumextual, Arch.f. Papyrusforschung

proposto di dimostrare

peratori non ricevettero in Egitto culto uticiale,

ma

che
i

primi im-

passi raccolti

lui stesso (cfr. per es. p. 328, 3) provano che per Augusto ha torto,
com'egli stesso mezzo e mezzo confessa; Tiberio fu certamente pi

da

schivo.

hem' (1)

l.>-2

L'ode seconda del primo

libro esalta nel vendi-

catore di Cesare, nell' espiator(3 delle colpe dei padri un

Mercurio ncurusiio: sive mutata iuvenem f(jur(i ales in teralmae filius Maiae, patiens vocari Caesaris ultor.

ris imitaris

La

concezione non ignota neppure

dica dell'

dell'

Urbe una deRoma, menziona

all'

era volgare, scoperta a

primo luogo innanzi a Giove e a Giunone Mercuriiia aeMercurio, come osserv colui che primo la
pubblic, lo Hiilsen {liim. Miti. VI, 1891, 129) non pu
esser altri che Augusto stesso; che altrimenti non s'intenderebbe n la precedenza concessa a lui sugli di maggiori n la qualifica di eterno, che per il Mercurio solito
s'intenderebbe da se (2j. Di qui si spiega come ministri
pompeiani di Mercurio e di Maia divengano ben presto
ministri di Augusto, Mercurio e Maia. L'identificazione
stata portata sino in Gallia, dove sono state trovate
monete che portano sul dritto 1' effigie di Augusto, sul rovescio il caduceo (3). Ma essa proviene dall'Oriente, anzi
pi propriamente dall' Egitto solo in Egitto Mercurio o
meglio il dio Thot che i Greci identificarono con il loro
Hermes, fu non solo un dio ma anche un gran re, cio
in

ternus deus

un

, chi

(4), mentre il concetto dell' incarnazione


ben guardi, del tutto estraneo alla religione ro-

(1)

In apparenza assai simile l'epigramma di un ignoto, sco-

dio incarnato

perto in Egitto (978 Kaib.): dedicato Ka'.aapi tiovtojiSovti xa TCstpwv


xpaTovxt, Zavl

z^ sx Zavg

Tiatps 'EXs'jO-pio)

etc,

ma

lo

Zens iiadre

di Zeus Cesare.
(2)

atov^ios p. es. detto

l'iscrizione di Rosetta;
JViss.

344

sg.

cfr.

altri

anche

Tolemeo Epifaue nel prescritto

esemjd in

Syll.

365

Wendland,

del-

Ztschr. f. neutest.

in principio aTO zb lif^cO-tlow-zr;-

dcO-avaaixg, di Caligola.

HiRSCHFELD, Eleie Schriften 131.


Reitzbnstein, Poimandres 175 sg. e ci che sopra abbiamo

(3) Cfr.

(4)

detto di Mercuri facunde.

183

appunto in Egitto, a Derderah, Augusto fu


con un'altra divinit, a dir cos, mercuriale,
con Helmis (2), cos come gi Tolemeo Epifane nell'iscrimana(l).

identificato

zione di Rosetta (v. 19) detto


I riscontri di Orazio

'Ep'jif^;

con quelle

Non

[J-sy^?

y.at

che

sono essere

fortuiti.

menti

siano tutt'e tre posteriori anche al

citati

delle Odi; nessuno


iscrizioni,

docu-

tre

IV

libro

immaginer che Orazio dipenda da


dall'uso- vivo

invece che

in quelle iscrizioni

fa difficolt

(JLva;.

non pos-

iscrizioni

si

della

poich'essa continua

di quelle iscrizioni,

stico dei sovrani (3).

E non

che

liturgia

e la liturgia pi antica

riflette;

il

culto

elleni-

sorprende neppure che qua

e l nella lirica oraziana s'incontrino pensieri ed espressioni che, pure

avendo tutta

l'aria di essere rituali,

tornano nelle iscrizioni in onore

di

non

Augusto. La tradi-

zione epigrafica frammentaria, e quei concetti

si ritro-

vano in documenti anteriori e posteriori, riferiti a Tolemei e perfino a impiegati dei Tolemei, e a imperatori
romani. Un solo esempio baster Orazio supplica (IV,
lucem redde tuae, diix
5, 5) Augusto assente di tornare
:

bone, patriae

(1)

instar veris enim

voltus

tibi

Cicerone, quando scrive della devozione

Pompeo

{de imp.

aliquem non ex

Cn. Pomp. 41) omnes nunc in

liae

tuos adfulsit p-

degli

iis

orientali

loda Pompeium

urbe missum sed de caelo delapsum intneniur

forma anche nelle espressioni

al

modo

si

per
sietit

con-

di pensare di coloro dei quali

parla.
Il

(2)

materiale raccolto da H. Heinkn, Elio

famiglia

di

XI 1911, 1.^0^. Tutto


e i membri della
di un prospetto

Augusto
Augusto contiene, nella modesta forma

l'articolo suo sul culto di Cesare, Antonio,

cronologico, erudizione squisita e osservazioni assennate e perspicaci.


(3)

Del resto, che

l'

iscrizione

av. Cr., perch parafrasa

ad Augusto dal popolo

il

di Alicaruasso sia

posteriore al 2

titolo pa/cr jM/r/fle decretato in quell'anno

o dal senato,

non

certissimo

che quell'at-

tributo fu spesso usato da privati anche prima del conferimento


ciale (v.

MOMMSKN, Monumentitm Anciranum-

l'A).

uffi-

(jratior

ptilo,

it (ies

che

ritrova, per quel

concetto parr

soles meliiis nitent. II

et

un concettino

a noi moderni
si

184

so,

gusto, appare invece (2) in


iscrizione in onore di

Eppure esso, se non


in documenti in onore di Auforma pi smaccata sia in un
(1).

un maj^istrato tolemaico

grafi in lode d'imperatori pi tardi. Callimaco

cittadini di
astijo

Tolemaide

splendido

ceni, per dire

194, 19, del 42

{Or.

(oaTiep

Xa[X7:p(;

che Caligola

a.

appare

ai

quale

C.)

7ra[jL'|v. I

Cizi-

era degnato di investire del

si

potere regio regoli minori,


b vioq "HXto?....

airjp....

sia in epi-

si

esprimono

auvavaXji'jiat tal;

lo'.yj.c,

cos (%//. 305):

OyaTc xal

-.%c.

ciopu-

Acraephiae
iffEU-c^viac.
in Beozia (IG VII 2713, 353) chiamano Nerone vo: "Hto;
raX|X'|ac xolc, "EXXr^aiv. Quale isola non pi del sole ma del
nuovo sole, Nerone, Rodi celebrata da Antifilo di BirjO-Xyjasv

cppouc

if^c,

sanzio

(AP IX

178).

Ancora

'^aoJ^ocj;.

Quei

di

l'editto del prefetto di

Egitto

Tiberio Alessandro [Or. 669, 8) dice di Galba che


Xa|Ji4'v T^;[irv

sul

Eppure,

atoiyjpia

non possono,

Si

alla liturgia,

pu

umano.

queste

tutte

coincidenze

lo ripeto, essere fortuite, io

tenere che Orazio per

mente

del genere

nonostanti

ma

^aatXix

[xXyj

non

non

che

che

esito a ri-

attinse diretta-

segu modelli letterari

infatti dimostrare

kii-

ellenistici.

poeti romani

dell'et

augustea principiarono a esaltare Augusto qual dio molto


prima che a lui si pensasse di tributare un culto ufficiale. L'ecloga prima di Virgilio si ritiene scritta nel 41
:

in essa

Ottaviano salutato dio in espressioni che mo-

(1) I

passi che Kiessling-Ueinze citano a riscontro dalla lettera-

tura greca e dall'ellenistica sono assai dissimili.


(2) Forse si deve anche intendere cos il titolo ufficiale del sovrano di Egitto, figlio del sole; le iscrizioni in onore di Caligola e
Nerone citate nel testo sembrano porger sostegno a qnest' interpre-

tazione.


strano chiaramente

i^5

come questa

una devozione

sia

sonale del personaggio che rappresenta


cio del

natnque

poeta stesso
erit ille

deus

nobis

mihi semper deus

lutee

poeta,

il

otia

fecit.

per-

Titiro,

Segue

queste parole sarebbero

peggio che vane, se Ottaviano fosse ormai riconosciuto


quale incarnazione di una divinit non solo da Titiro o
Virgiho,

ma

una

notizia

(civ.

da

un

tutti o dai pi.

po'

vaga

di

infatti, se si

Appiano, secondo

132, 546) le citt lol? acps-pct;

viano ventottenne

(1)

eccettua
la

quale

auv'opuov Otta-

d-Eoq

gi dopo la vittoria su Sesto

Pom-

peo nel 36 a. C, a ogni modo dunque cinque anni dopo


queir ecloga, Augusto non fu venerato qual dio se non

dopo

la

conquista di Egitto, quando

il

tempio, che Cleo-

patra aveva destinato ad Antonio, seguit a esser fabbricato,


Virgilio,

ma

in

onore del vincitore (Suid.

dunque, non segue qui

intende, forse,

spianargli

la

chiama pochi

versi

nem, quotannis

bis senos cui

ma

via.

oltre (v. 42)

s.

v.

f.jjii'epY^v) (2).

precede

Di pi

Augusto

il

culto,

ma

Titiro stesso
illuni..,,

iuve-

nostra dies (diaria fiimant.

celebrazione mensile del natalizio e del dies imperii

La
del

sovrano devozione assai consueta nei regni ellenistici (3),


ma non mai, per quanto sappiamo, passata nel culto

romano. Questo particolare prova, come ha ben veduto


il Wissowa (4), che Virgilio non pu dipendere da liturgia contemporanea, e mostra a un tempo che egli attinge
qui a opere letterarie, possiam pur dire a carmi elleni-

(1)

Diche

citt

si

p.nrhi^ Si

\t\\

forse peusaie che ad

Angusto

l'os-

sero allora solo erette statue onorarie in recinti sacri.


(2)

in cui

Che secondo pettegolezzi ancor prima Augusto in una cena


convitati erano vestiti da di consenti, avesse sostenuto la

parto di Apollo (Sueton. Aug. 70), non prova, vero o no, nulla quanto
al

culto.
(3)

(4)

SchUhek, Ztschr. f. iieudsl. Vsh


Henn. XXXVIl 1902, 157 sgg.

II

18

sfrfj.

186

che descrivevano il culto del sovrano, clie, possiamo


ormai congetturare, celebravano il sovrano, il Tolemeo

stici,

dio. Si potrebbe pensare, vero (il Wissowa non


ha pensato), che Virgilio sappia di feste mensili dal
Tol(Mneo di Teocrito, l dove del Filadelfo questi dice che
(|uul

vi

in

onore dei genitori

\ir^o'.y.

xa:'.

[irpl

(v. 127)

TrepLTzXojilvotatv

uo

-tavSivta jiowv l

IpsuvJ-ojjivwv

ma

^wjjiGjv.

tzI

-(z

anche lasciando stare che quei versi attestano il culto


mensile di un morto, non quello di un vivo, che pure
nei regni ellenistici fu comune, resterebbe pur sempre
vero che Virgilio qui non attinse al culto, ma lo precedette. Quel eh' vero per Virgilio, si applicher anche
senz'altro a Orazio. Ch'egli dipenda da liturgia ellenistica, inverosimile, anche perch il culto ellenistico del
sovrano, a differenza di molti altri culti greci, n sotto
Augusto n sotto i suoi predecessori immediati penetr in

Roma;

Italia e in

tata pi sopra,

come

il

dediche come quella a Mercurio,

devono essere giudicate

ci-

alla stessa stregua

passo di Virgilio, quali espressioni di devozione

personale. Ora

non parr pi fortuito ne si potr pi


come sinora ne avevamo il diritto e il
iscrizioni di Asia in onore di Augusto sono

spiegare altrimenti,

dovere, che
posteriori

le

tutti

^aai^r/

[i.ilr^

oraziani.

s'

assumano

anche come questi divengano pi frequenti


pi l'aspetto di celebrazione ufficiale nel

mano Augusto
vrano,

IV

intende

libro;

man

mostra meno restio a un culto del sopoeti romani si sentono in dovere di spianare la
si

nuova anche qui essi precedono, non


seguono il culto. Cos Orazio chiama gi pater Augusto
in un'ode del III libro (24, 27), mentre il titolo gli fu
via alla religione

decretato ufficialmente solo nel 2

(1)

(p.

Poni tuttavia mente

183, n. 3).

alle riserve

C.

(1).

esposte

da

a.

noi

pi sopra


Noi siamo cosi
nimenti letterari

187

ridotti

ad andare in cerca

ellenistici, dai quali

di

compo-

Orazio possa avere

attinto e che d'altra parte abbiano avuto relazioni cosi

con la liturgia contemporanea che spieghino facilmente le somiglianze con quella. Chi rifletta che le formule specie sacrali delle iscrizioni in onore dei Tolemei
e di magistrati tolemaici derivano alla fin fine da concezioni religiose egizie, chi ripensi che l'iscrizione di Rostrette

setta trilingue e che le disposizioni contenute in essa


si

riferiscono a

impossibile che

un culto

egizio,

si

avvede subito esser


componimenti el-

la liturgia copii questi

qualunque essi siano al contrario tanto i dequanto queste opere letterarie riproducono non solo
concetti, ma talora anche espressioni, anche formule fisse
lenistici,

creti

del culto egizio.

culto la fonte prima, per la poesia

Il

romana non attinge direttamente ad


nimenti

letterari,

sentito l'influsso.

esso,

ma

compo-

a poesie ellenistiche, che del culto hanno

Encomi

prosastici, specie

carmi

di

in

prosa in onore del sovrano, non mancarono certo nei regni ellenistici, ed verisimile che questi

per adoprar

1'

espressione dei trattatisti

l'et imperiale, esaltassero


dissimili

da quelle

adoprando

le epigrafi.

retorica del-

di

re qual dio in

dei jSaacXcx

gli stessi concetti,

Orazio e

il

\ii\ri

le

Xyo:,

,3aa'.X'.7.o:

forme

non

oraziani, svolgendo

stesse

espressioni

che

Orazio stesso celia su di un processo

discusso a Clazoraene dinanzi al pretore Bruto, dove l'una


delle

Persio,

parti,

nutrito

evidentemente

di

retorica

romano quello stesso console e con gli astri che abbiamo trovato in
in onore di un alto impiegato tolemaico e

asiana, applica al magistrato

fronto con

il

un' iscrizione

ritrovato in epigrafi

in

lode d'imperatori

cui Orazio stesso fa in qualche

modo

romani, e

perandolo con assai dignit e molto buon gusto


oraziano

si

di

uso, se pure tem:

il

Persio

compiace, invece, tanto del paragone barocco


che estende
[serm.

7,

I,

23)

excepto Rege,

ai cittadini

consUium del pretore, e

nel

Bnitum

Asiae

Non

metafora astrale anche

la

che siedono

188

laudat

appellai

Canem

Brutum laudatque
stellasque

illnm

invisiim

cotortem, solem

appellai

mliihris

romani,

avversario

all'

of/ricolis

siclus,

cotnites,

venisse.

anche questo ini esempio di un ,3ao'./.'y.: Xyo:


volgare ? Pure per molte ragioni non verisimile che
Orazio abbia attinto ad eloquenza ellenistica
mentre
Cicerone cita ancora nei suoi scritti retorici, spesso con
lode, sempre con interesse, gli oratori specie degli ultimi tempi dell' ellenismo, particolarmente quelli che
furono suoi maestri, questa letteratura scompare di un
tratto al principio dell'et augustea. Gi Cicerone stesso

negli ultimi anni di vita costretto a difendersi contro gli


assalti degli Atticisti,

che considerano

suo amore per l'eloquenza

p. e. dei

lui

superato e

Sotto Augusto r atticismo, che non riconosce


delli

non

se

classici,

maggior parte
stica

dei pochi

che ancora possediamo,

perch

al retore

romano

ci

Rutilio

la singolare idea di ridurre a

libro passato

Si

ormai

di

mo-

moda

La

eloquenza ellenigiunta per puro caso,


di

Lupo venne un giorno

uso della scuola latina

il

del retore ellenistico Gorgia.

aggiunga che, anche a voler prescindere dal mutare

degli indirizzi, ogni

nuova generazione

di oratori e decla-

matori rigetta nell'ombra la precedente:

che

Seneca padre ha

dello ai suoi
se

altri

gi sulla via della vittoria.

frammenti

il

Rodii un' anticaglia.

il

suo

persone;

figli,

libro
i

uditi,

Quintiliano

di cui Pilostrato

stene in poi cosa efiraera,

cita

scrive

L'eloquenza
che ha voga e vita

quelli dell'ultima generazione.

Non

declamatori

proposti

mo-

sarebbero a noi perfettamente ignoti,

fosse perito:

sofisti,

ammirati,

verosimile che Orazio, oltre

diato a scuola e letto pi

tardi

altri

tutt' altre

sono
da Demo-

le vite,

di

classici,

un giorno.
avesse stu-

oratori che quelli


dell'ultima generazione.

189

si

consideri ancora

che egli

non
mostra nelle odi quasi libero da
nei carmi per tempo primissimi (1).
pi probabile supporre che Orazio abbia piuttosto
conosciuto e studiato carrai ellenistici in onore dei sovrani, che fossero poesia anche nella forma ritmica.
Per le stesse ragioni per le quali i poeti ellenistici non
influssi retorici se

si

composero
celebrare

il

carrai civili,

sovrano.

sono conservati

l'

essi intesero

Due encomi

uno,

svolge

Hieron,

lo

sister tutto nel contrasto tra

tra.

il

esaraetri

non senza
L'effetto doveva con-

pensiero e la lingua, voluta-

antichi dall'una parte e

Ma

il

verso moderno dall'al-

r esser salutato dio non sarebbe convenuto alla

posizione e alla politica di Jerone,

ghese

in

agli antichi melici cosi certo ai rapsodi,

forse qualche novit nei particolari.

mente

luoghi corauni cari

della pi perfetta arte alessandrina

come

propria

l'opera

esametrici di Teocrito

e,

Tolemeo

di

uomo

nome almeno, magistrato

assai pi

moderno

esalta quali vere divinit se

ma anche
non

di origine bor-

repubblicano.

Il

qui Teocrito non

genitori e gli ante-

nati del re presente, del Filadelfo. Questi

il

primo de-

uomini e nulla di pi non con gli di egli compama con gli eroi discendenti dagli di (v. 5). Il poeta
vuole inneggiare al re, perch gli inni convengono persino agli di, segno evidente ch'egli non lo considera
qual dio. Non il Filadelfo e Arsinoe sono confrontati,
verso la fine del carme, con Zeus e Hera, ma il loro
matriraonio con lo csp; yt.\ioc, del fratello e della sorella
divini. Solo qui dove occorreva velare una bruttura che
doveva assai disgustare sudditi greci, il poeta nel comparare trascende la sfera dell'umano, se pure dell'umano
eroico, esprimendosi del resto anche qui cautamente. E

gli

rato,

{1} V. l'ultimo c;i[)itolo .suUd MvnlgiiniMito dell arie

luna

ili

ra/.io.


mondo umano

nel

tali.

ridiscende la chiusa:

X|xa, a{)'v l'i'f^) Jaa

alle cui schiere

IIX)

-/.al

y.alps

va^

icXXoiv ixvxaoiia'. -/([nfliov. I

Tolemeo vien qui

IIio-

semidei,

erano mor-

ascritto,

Contatti tra Teocrito e la liturgia, dunque, non esi-

stono; con che

non

si

di poeti altrettanto o

nega che

men

carmi
sovrano

vi potessero essere

quali

celebri, nei

il

vivente fosse cantato dio secondo la concezione egizia.

Ma

parr, naturalmente, anche pi verisimile che Orazio

continui qui non poesia esametrica


altre parole

che

ma

la lirica ellenistica

si

poesia melica, in

sia gi ispirata

generalmente orientale. Noi possein onore di un


re nei primi decenni dell' ellenismo (1). Quando nel 290
291 (2) Demetrio Poliorcete di ritorno da Leucade e Cor-

liturgia egizia o pi

diamo ancora un carme melico composto

eira fece

il

Eleusinie,

suo ingresso solenne in Atene

al

tempo

delle

cittadini, come narra Demochare (Athen. VI,

con grande solennit; egli fu conla dea da cui aveva il nome e che
contemporaneamente con lui giungeva in. Atene a celebrare i misteri. In suo onore furono cantati e danzati
prosodii e cori e itifalli. Duride (Athen. VI, 253 d) ci ha
252

f)

lo ricevettero

giunto nel culto con

conservato per lo

meno uno

divinit appaiono insieme

(1)

dei carmi itifallici

(3).

Due

Atene, Demetra e Deme-

in

Del resto gi assai tempo prima nn grande capitano, LisanDuride (presso


nella forma del peana

dro, fu celebrato qual dio

una

Plut. Lys. 18) riporta

strofa xv 'EXXioc, -faS-xe a-cpaxxYv Alt

epuy^pou STidcpxas 6[ivy,ao[isv,

Co

Iv)

Tratolv.

Che non nel 302, ma solo in quegli anni (Wilamowitz, Autigonos 2J:2
Beloch, gr. Gesch., Ili 2, 200) si poteva parlare degli
Etoli come se ne parla in questo carme. Chkist-Schmid, II 1, 113
lo ascrivono al 302 in una pagina nella quale questo non l'errore
(2)

n unico n maggiore.
(3)

Il

frammento

neo XI, 497


(bv

di

e 'Ed'Joajjtsv

Theocle sv
yp

'IS-ocpdXXoig

OT^iispov stoxT^pia

mcbv T Sixspa^ wg tv cptXxaTov paaiXa

conservato da Ate-

TOvieg

Ticipsijit

ol xexv-ai, {isS-'
si

riferisce forse


trio

ma

viene a compiere

l'iina

lyi

gravi misteri di Persefone,

altro ilare e bello e ridente

K6p'/]c [Auaxy'ipcK sf/.^^'

'^"^'''^

^o'i^(<^'(l

xal xaX? xal ^{zkw)

Ticpsaxt,

contrastano con la

aeixvxr]!;

seguita

ed

egli

in

mezzo,

o(j,oig;

'^

x a[xv

xf^?

waTisp xcv 9-ev

osT,

yt^ [lv

5"'iapi;,

Demetrio
dei misteri della dea. Il carme

dove

dovunque appare,

"

gli

waTxsp

tre epiteti di

stanno intorno
oc

cpt'Xo'.

gli amici,

axpsc,

[xv

-/^to?

'Ixstvog . Qui torna ancora una volta nella forma pi genuina quell'immagine che, temperata, anche Orazio ap-

plica ad Augusto. E incerto se in essa s' incontrino poesia


greca e liturgia egizia o se gi verso il 290 l' ignoto poeta
ateniese faccia tributo al nemico dei Tolomei di un' im-

magine che era


tichi re egizi.

coniata dalla liturgia per

stata

A me

la

ecpsYYrjS aXva,

se

aveva cantato

vTipsTTcV

; axptov

di

un

5ia7.p''vi cfr/]....

paragone tra lume di luna


una poesia celebre di Saffo

e luce

il

di stelle era gi in

non

y^p

7rvxai)-Xo'.a'.v

an-

seconda ipotesi par pi verisimile:

che, se gi Bacchilide (VITI, 27)


vincitore^

gli

(fr.

3),

punto naturale mettere insieme brillar di stelle e


fulger di sole, che il sole non si vede mai circondato di
stelle, come il re di cortigiani. Invece il re egizio fin
da tempi antichi era detto figlio del sole, e pochi anni

prima nel 295 (1) il Soter era stato alleato di Atene


(Plut. Dem. 33). Se gi a quel tempo esistessero ^aa:X:x
[j-Xy) alessandrini, che potessero essere noti fino in Atene,
se l'ignoto poeta attico avesse conoscenza diretta del
culto egizio del sovrano, impossibile dire.

carme continua

Il

dite

gli altri di o

Salve, figlio di

Posidone e Afro-

sono lontani o non hanno orecchi o

non esistono o non pongono punto mente a noi

alla l'osta di

ladelfo
(1)

un

v.oivv

staxi^pia

Per

-cciv

te noi

nepl xcv Atvjoov xx.vix)v in onoro del Fi-

fanno pensare

la cronologia cfr.

al

regno tolemaico.

Bei.ocii,

</).

(leseli.,

Ili

1,

223.

vediamo presente, non di legno n di marmo ma vero ".


Segue la preghiera. Le forme di adorazione dei democratici ateniesi esprimevano certo sinceramente la loro graverso

titudine

perfettamente sinceri

Poliorceta;

il

erano nel preferire

di rivolgere le

loro

preghiere

dio visibile piuttosto che ai lontani Olimpii; questa

essi

un
non

solo l'et degli di di Epicuro ritratti negli intermundi,

ma

anche quella

comincia la devozione dei i^sol


che portano nel nome l'esaudimento
rapido, come Sant' Bspedito (1). Ateneo ha dunque torto
^y^xcc/i,

di

in cui

delle divinit

scandalizzarsi

devozione per
nelle grandi

gli

ma

un culto del re, che negasse la


non sarebbe pi stato lecito

altri dei,

monarchie degli

altri

Epigoni, nella seleuci-

dica, nell'attalica e pi particolarmente nella tolemaica,

che ben pi saldamente degli Antgonidi aveva saputo


organizzare una chiesa, che, valido sostegno dello stato,
soddisfacesse

bisogni spirituali di tutti

sudditi.

certamente rimasto oscuro (2),


carme com' tutt' altro che pregevole. Al nostro assunto
L'itifallo ateniese sar

importa stabilire che esso il primo esempio di un genere che alla corte dei monarchi ellenistici dovette avere

grande voga. Quale altro era il dovere civico e l'ufficio


rimunerato dei poeti ellenistici se non di celebrare il sovrano?

Si

epidittica

aggiunga che da Gorgia,


suole

riflettere

la

poesia,

in

onde noi

stenza di Xyoi paacXtxoi ellenistici abbiamo

che
porta anche

indurre

ci

furono anche

riflettere

l'eloquenza

poi

PaatXix

il

[xXr^.

dall'esidiritto

di

qui ira-

che Orazio attinger pi proba-

bilmente a poesia che non a prosa, e considerare che


(1)
(2)

zio nel

Weinreich, Athen. Miti., XXX VII, 1912, 1 gg.


Christ-Schmid (1. e), hanno certo torto di supporre che Oraluogo delle Satire citato sopra imiti proprio questo canto:

non avrebbero senso, se non fosse


asiani abusavano davvero di queste immagini.
suoi scherzi

stato vero che oratori

la lirica pi

atta

193

ogni

di

genere letterario a
non crede

altro

rispecchiare immediatamente la liturgia. Chi

che queste prove possano bastare a colmare la lacuna


cronologica tra un oscuro carme del primo ellenismo e
la lirica

augustea,

come Callimaco,

rifletta

frammento

nel

recentemente scoperto dell'Arsinoe, subito dopo la morte


della sorella e moglie del Piladelfo canti epicamente s,
ma in versi lirici com' essa sia stata assunta in cielo,
{Berliner Sitzungsherkhte
axspcav uTr'jjtaEav

if/t]....

1912,

528, v. 5):

[xXsTitojxvja uap^sc

v[j,'fa

asXva

(1).

limaco, sia pure in tono non di fredda devozione


affezione cordiale,
OcXosXcpoc,

che

si

araldo

fa

dell'apoteosi

ab

[xv

Cal-

ma

di

dea

della

consorte superstite o aveva ordinato o

il

stava appunto allora per ordinare.

Il

carme, eh' mutilo,

sar finito certamente nell' apoteosi, perch

l'

apoteosi

gi implicita nelle parole che abbiamo pur ora trascritte.


In quello

tempo

anzi

carme

stesso

si

narra

come

del re Piladelfo, Philotera

(2),

la sorella perita

che dopo morta

era stata ricevuta nel corteggio di Demetra, accortasi del

fumo che sale dai fuochi di lutto accesi per tutto l'Egitto,
compiuto in un batter d'occhio il viaggio da Enna a
Lemno, faccia col visita alla moglie di Efesto, Charis,
e la preghi di salir sull'Athos per scrutare di l quel eh'

successo in Egitto. Philotera tratta Charis sul piede di


perfetta parit. Arsinoe, la regina potente, la cui morte

pianta in questa poesia, non poteva esser da


sorella, che,

(1) 11

quale

supplemento

lemma

(2)

meno

della

almeno a quanto sappiamo, non ha mai avuto


xSTiioiivoc corto,

perch la parola

.si

ritrova

nello scolio.

Che FiladcU'o

aTeocrito XVII 121


solo ai genitori

le

aveva reso

secondo

ma anche

culto, si

manoscritti

xaXq,

il

sapeva gi dallo scolio

Filadolfo eresse tcmi)li non

SsXcpaig 'Apotvig xal

cpwxfjpa.

Il

TUONNK ha visto che cfcoTVjpa corruttela di 4>iX[oT]px, ch'era


noto qual nome di una sorella del FiladeU'o da Stral)onc.
l.S

Lkgiii

194

party nella politica. x\nche (jnesta considerazione mostra

che nel seguito della poesia c'era l'apoteosi. Callimaco


anche nel cantar questa si sar saputo tener lontano
dall'adulazione, abile coni' era nel parlare dei suoi sovrani
in tono confidenziale

fettuoso

(1).

Chi

ma non

irriverente, e soprattutto af-

nuovo

fa cos banditore del culto

si

di

che morendo diviene dea, non pu essersi lasciata


sfuggir l'occasione di celebrare, con pi o meno fede
ma certo senza mancar di riguardo alla dignit propria,
colei

il

auvvaog della dea,

marito superstite. Orazio adopra

il

anche qui forme non soltanto ellenistiche

ma

proprio ales-

sandrine.

Non

si

deve dubitare

che

abbia adoprate

le

con

libert di cittadino e di artista. Nell'antica liturgia egi-

zia

doveva essere lode

assai

comune

grazie alle sue eminenti virt

Nilo durante
sueto

l'

inondazione

e questo x-oc,

il

per

livello

sovrano che

il

acque del

delle

sia stato pi alto

del

con-

che sembrerebbe dovere essere

ri-

serbato al signore legittimo e consacrato, al sovrano di

anche usato in onore del prefetto di


Egitto Balbillo (verso il 55 d. C): Or. 666 5i x; toutod
diritto divino, stato

)(p:xac;

-/.al

cf/Yca''ac

7tX-/;{X'jpo"jaa

-aiv Y^O-or?

^^

Aly^^'^S,

xc xoO NeiXou owps? 7Z7:Sio\xbnc, xax'exo; ^stopoOaa, vOv jxX-

Xov TiXa'jc

xy^c,

S'wXaiac

a credere che, se

non esito
Callimaco, che hanno

va^xacws xoO ^oO.

non Teocrito

mostrato sempre molto ritegno, poeti

non

parla

una volta

del rifiorire

ellenistici

pi tardi

Anche Orazio
dell' agricoltura sotto Augu-

siano lasciati sfuggire questo

si

lo

-zizoc,.

sto (IV, 5, 17): tutus bos etenim rura peramhulat, nutrit rura

mare

Ceres almaqiie Faustitas, pacatum volitant per

Anche

campi rendon

di pi sotto di lui

navitae.

Cerere e la

(1) Fin qui ha ragione il Wilamowitz, Sitzungsherichie 532, che


ha torto per di dubitare se la poesia fluisse con la consacrazione.


nuova

Faustitas (la parola


E'j-r;p:'a)

195

concedono ad

essi rigoglio.

miracolo, qui descritto

traduzione di

sar, penserei,

un

fatto

Ma

umano

piuttosto che

un

favore degli

il

conseguenza della sicurezza pubblica ristabilita.


Pi sopra abbiamo mostrato come anche Orazio celebri la luce di cui rifulge al popolo il volto del prindi

Anche questo

cipe.

un vecchio

osservi con quanta finezza

direttamente

il

il

soles meliiis nitent (IV,


;

ma

5,

instar

it

dies et

il

nuovo

sole brilla pi lucido, la luce del giorno pi

il

cara agli uomini, quando Augusto presente.


il

sole

Non Augusto

6) (1).

si

comparare

di

viso dell'amato sovrano con

enim voltus ubi tuos adfulsit populo, gratior

veris

sole

poeta evita

il

ma

t-o; orientale,

poeta ha

il

buon gusto

di

Anche

non avventurarsi nella

qui

sfera

pericolosa del soprannaturale.

*
* *

Abbiamo sinora messo come in disparte IH, 14 HerAnche questo carme, ancorch finisca nei pre-

culis ritu.

parativi del convito, deve annoverarsi tra

Esso

^ocactx [isAr].

la descrizione progressiva della festa

che

in

un

primavera del 24 fu celebrata a Roma per il


ritorno del principe assente gi da tre anni. E particolare di quest' ode, come anche di I, 27, natis in usum lac-

giorno

di

titiae scyphis,

che l'azione

si

svolge mentre

il

poeta parla

o finge di parlare (che questa certo poesia destinata alla

poeta

lettura).

11

veda

corteo

il

comporta quale uno

si

svolgerglisi

dinanzi

che
occhi. Poich

del popolo,

agli

quello per lui giorno di gran festa, Orazio ordina allo

(1)

Anche

sol pulcer, o

pii

moilerataraeute

laiidande

canam

si

esprimo

recepii)

il

poeta IV

diesare feii.

2.

16:

<>


schiavo

di

preparare

il

1(^<)

convito e d'invitare

1'

amata

della

Se rifiuter, meglio non insistere: gli ardori dell'et prima sono passati.
Anche quest'ode continua forme ellenistiche. Callimaco nella Pannychis, scoperta test assai mutila nello
stesso papiro di Berlino che ci ha reso l' Arsinoe, negli inni

sua giovinezza, Neera.

V e VI e con

arte pi raffinata nell'inno II

(l),

ha cantato

una festa. L' inno II e la


Pannychis hanno comune con Orazio anche il modo, in cui
poeta spettatore assume a volte il tono di un araldo, di
il
un xf^p'4 volontario della festa. La Pannychis cominciava
cos, quasi in veste di spettatore,

probabilmente

(2): eveax' 'AtoXXcov Xfo )^opo)

xa; xjv 'Epwxo)v

lixi xA'^pooixrj

-((aO-ixr/r

xow.

xf^; X'jpyj;

dopo

e seguitava

pochi versi con la promessa, a chi rimanesse sveglio tutta


la notte, di focaccie e di ricompense,

come

del permesso di baciare fanciulle o, chi

li

nel cottabo, e
preferisse, fan-

ciulli: 6 5' Ypo7rvy,aac;.... xv 7T;upa[iO'JVxa Xr^'ht-ai xal xi xoxx-

Tiapouawv

r^v d-iXei

pta.

7.7,1

xtv

solo

un

araldo. Gli inni li e

in esametri,
in

il

cosiddetti

in distici

Epiroosia

xov

VI
la

O-Xct '^^Ckipt:.

di

Cos parla

Callimaco sono

Pannychis

auvpxr^xa.

scritti

in versi

composti

di

lirici,

un

di-

metro giambico e di un itifallico. Non sar fortuito che


in un metro non dissimile, trimetro giambico H- itifallico,
siano verseggiati componimenti destinati non alla lettura

ma

a essere davvero recitati e cantati in una festa,


onore del Poliorcete e quello di Theocle.

l'

iti-

fallo in

L'arte della descrizione progressiva non era dunque ignota, nonch alla poesia esaraetrica, neppure alla

(1)

Di quest'arte

lio

trattato pi particolareggiatamente nelle mie

Quaesiioms Callimacheae p. 148 sgg. Chi ha detto che io ridncevo


cos gli inni callimachei a mimi, non ha riflettuto che io avero asserito

chiaramente di credere

gli inni poesia

(2) Berline)- Sitzuugsber.

1912, 538 sgg.

per lettura.

alessandrina

lirica

(1).

197

sar puro caso che a noi non

come

siano conservati carmi che, proprio

bravano

la festa del ritorno di

Orazio, cele-

un sovrano assente. Questa

dell'andare incontro al monarca, quand'egli


alla citt,

dei regni dell' est,

storici e

si

avvicina

consuetudine costante della Grecia ellenistica


costante che

cos

racconti degli

decreti delle citt libere ci mostrano che

era formata per queste cerimonie

una terminologia

si

fssa.

L'andare incontro si chiama Tiavxv o Travxv o TivTr^atc


si menziona che i sacerdoti e le sacerdotesse
avevano aperto o dovevano aprire i templi e pregare per il
sovrano, che al corteo, oltre essi sacerdoti che non mancano
mai, dovevano prender parte i ragazzi delle scuole, e cosi
ogni volta

Quando Demetrio torn

di Corcira o Leucade ,
Demochare, descrivendo la festa durante la quale
fu cantato l' itifallo da noi menzionato cos spesso, Tipoa-

via.

scrive

cia xal tO-'jcpaXXot [ix' p-zr^asto; xal

tempo, nel 291,

Demochare ha

le

formule non

Tcr^vxtov aCixo)

'\Of^c.

si

in

erano ancora fissate

quel
;

d'altra parte interesse a raccontare per

ma

e per segno la cerimonia,

bassezza di ossequio

filo

soltanto a mostrare a che

fosse ridotto

si

Ben pi circostanziatamente

ne

il

popolo ateniese.

(XVI

Polibio

25) narra quali

accoglienze festose gli Ateniesi stessi facessero ad AtI nel 199 a. C.


avrebbe degnato la

talo

creto intorno
XoTipETiox;

all'

i'\)rf~f>i'jy.xo

gi fissa e

pi tardi.

Non

Un

Tiepl
i

ma

una

yvo'jc,

visita,

il

re

promulg un de-

uapouaiav axoQ jxsya-

xyjv

Qui la terminologia
medesimi che incontreremo anche
i

tutti

ultimo rillesso

-avxY^aeto:.

xf^c

soltanto

darono incontro,

(1)

incontro

riti

popolo, appena seppe che

Il

citt di

ili

magistrati e la cavalleria
i

cittadini

cu

(jivov oi

gli

an-

xc pyjtc

tale lirica jjiiizza forse ancora nella bolsa

prosa poetica dell'esortazione a festeggiare

il

nuovo imperatore Traiano

ritrovata in un papiro di Giesson (3 K)rn.).

l'JN

s/ovis;

|JiT

tTiTzwv,

T(T)v

TxvtSi;

y.al

le

sacerdotesse e

(p^av

sacerdoti

T^oXtia: ixex xjv


si

presentano

[isx Zz -aOia xo; vao-j; vi-

non manca mai

l'apertura dei tempii

oc

Al Dipilo

Ty.vo)v y.al YiJvaf/.jv -y;/ioiv aTolc;.

in

queste ce-

rimonie.

Un settant' anni pi tardi una citt del regno pergamene, forse Elea, dispone che qualora il re Attalo Filosacerdoti
matore (138-113) la degni di una visita, tutti
aprano i tempii e sacrifichino e preghino per la salute
i

del sovrano [Or. 382, 27 sgg.)


TiXiv

y^jxJv, ....

vxcrjg

xwv

re.

xal

O-ejv

pyoyxy.c, xal xox; Espovc'xai;.... xal

xy;/

xobz.

xv

xou? xs TipoYS-

axpaxyjYO'J?

xo'j;

il

Y^IJ-v^ca-'ap/^ov

^-2''-

[isx

"^'j?

xjv

xal xwv v[wv xal x|v -a'.ooviJiov [xx xw[x r.T.Zor/ xal

'^rjljojv

xo'j;

voi^avxa;

Tiavxf^aai oh aOxo)

xal x; tpefa; xal

tepsT;

7rapaY''vr;-a'. ci;

Ispea?

xc;

xv Xi|java)xv eu/caO-a: per

xal STitO-jovxa;

L' iscrizione continua

Ypajji{XVOu;

oxav....

zal

tcpel;

xo'j;

xal x; [Yuvalxac; xal T^apO-vo'j; 7:v]xa; xal xobz

7i;oXc'xa;

voixoDvxa; v aS-f^at

Le

ax^av(0|ivou;].

l[cc\inp'xXq

forme, almeno in Oriente, erano rimaste le stesse

tempo di Caligola, quando il popolo di Cizico


udendo prossima la visita dei regoli bosporani
Rhoemetalce e Polemone impose ai magistrati di presentargli un decreto di incontro, 'j)r,cp:a[j,a 6-avxr,c703; z'.'jrf/i^aaaO-a: aOxoT;
un termine fisso per decreti
l' esistenza di
ancora

al

365),

{Sijll.

genere mostra quanto frequenti dovessero essere

di tal
tali

occasioni.

porre

uTi

xyjv

vo-'^avxa; x

atwvcou

magistrati

x|ji,vt] ....

otajiovf^?;

xal

si

a-MV

dooo'j

'>/aO'a:

xf^c,

affrettarono infatti a pro|XV

zcr:c,

[xv

xouxou awxTjp'a;.

qui le stesse, spesso letteralmente

grafe tanto pi antica di Elea,

per la salute dei regoli,


del

mondo, da

pianeti

si

xal x;

zffi Faio-J

la

o Travia;....

luce

ip:'a;

Kat^apo:

Le formule sono

le stesse

che nell'epi-

tranne che, invece che

prega per quella del signore

cui essi derivano la loro autorit

riflettono

K'jZ'.xr^vo'j;

cpT;

-sp

del

sole.

UTiavxr^aavxa;

Il

\izxx

decreto

come

seguita

xwv pyvxwv xa-

199

Tjv axscpavYjcppwv aTiaaaOa'' zt


I

ragazzi delle scuole non

anche qui

ii>

scpr^Sou;

xo-j;

l'^r^ljapyov

pi splendidi, quelli

cortei

di descrivere feste,

tro agli di visibili, ai sovrani ? Si

quando Orazio canta


s

ma

modo

al

di origine ellenistica,

quanto

drini (1). Che, per

ha
si

-r^v

iiz:

compiaceva,

si

lasciasse sfug-

si

che andavano incondovr concludere che

ellenistico
1'

Zi

via.

divisi

xal xv 7:a:5ov|XGV

possibile che la lirica ellenistica, che

abbiamo veduto,

gire

qui,

due gradi secondo l'et: ya^slv

b-Av-rp'.v xal tv

lo

e cos

auvr^aO-f/^ai

xjcl

mancano neppur

una

festa,

romana

occhio a modelli alessan-

sia inteso

carme diversa-

il

mente, egli canta un corteo che all'uso greco va incon-

composto

tro al sovrano,

forse, vero,

solo di

matrone

o di matrone e vergini con la moglie e la sorella del


principe a capo. Kiessling-Heinze intendono che matrone

vadano

e vergini

vero che

in processione a porgere agli di

ma

grazia,

di

crifizio

questa spiegazione

in iiistis operata divis

sariamente senso

il

sa-

erronea.

V operata non ha neces-

perfettivo; bastano gli

esempi raccolti nel Porcellini a provare che anche in latino questo


participio, come spesso altri di deponenti, pu avere senso
di presente, e

caico

si

sia

s'

intende facilmente come quest' uso ar-

mantenuto a lungo appunto

significazione sacrale.

che operata

divis

Ma

qui

in

un verbo

non potrebbe mai voler

come

dire,

tendono e traducono scialbamente Kiessling-Heinze:


Dienst der Gotter

>>,

in servigio

degli di,

crificando agli di. Perch venisse

commentatori

(1)

11

aver

Thcoa,

il

solo

ini
:

sa-

senso che

in

uso in

Imon naso,
supponeva che Orazio ado-

152, ha avuto clniKuio

proseliti le iscrizioni,

due xnot ^i

torno del monarca.

fuori

ma

in-

ostinano a volervi trovare, occorrerebbe

NouDKX, AguoslOH

i[uriudo, senz'
prasst qui

si

di

presente non d senso

il

eti\

dlonistiia per

la

tosta dol

ri-


che operata avesse senso

-UH)

di futuro

per sacrificare ,

il

che impossibile. No, Livia ha sacrificato agli di, e ora


insieme con Ottavia, alla testa di una processione di matrone e di vergini, va incontro

ha qui

rata

il

senso

pii

al

consueto

principe reduce

e ope-

di participio perfetto (1).

abbiamo detto, rito ellenistico. Non importa


ma ha tuttavia qualche interesse i)er la storia della cultura, sapere se cerimonie simili non vi fossero anche
nel rituale romano. Certamente vi erano, ma risalivano, credo, a origine greca. Qui V Ouvcyjotg non congiunta con il trionfo, che Angnsto aveva, com' noto (Dio LUI, 26), rifiutato quest'onore decretatogli dal senato. Ma nel trionfo, se non 1' uTidvxyjoig propriamente
detta
che il corteo non andana incontro aW imieralor, ma si formava
fuori della porta trionfale per accompagnare V imperator in citt
(Marquardt, rm. Staaisvertvaltung II, 182 sgg.),
avevano luogo molti
di quei riti che, come abbiamo veduto, erano congiunti con l' Trxvr/;^'.?
nelle monarchie ellenistiche. I templi rimanevano aperti tutto il giorno
(Plut. Aem. Paul. 32); ognuno bruciava incenso in onore degli di (Orazio e. IV 2, 51 dabimusque divis tura lenignis,, Ovid. trist. IV 2, 4).
(1)

L' 7idvf/)aig

nulla al nostro assunto,

Questi stessi

riti si

dei templi p.

e.

ritrovano

tali e

secondo Livio

quali nelle supplicazioni

(XXX

1'
;

apertura

17, 6) nella supplicatio decretata, al

giunger della notizia della vittoria definitiva sui Cartaginesi nel 203
(cfr. anche Liv. XXX 40, 4
XL 53, 6) la libagione d'incenso pure se;

condo Livio (X 23, 1) gi nella supplicazione del 296. Anche da questi


indizi, a cui si aggiungono per vero altri non meno certi, gli eruditi
concludono generalmente (v. Wissowa, Religione 424) che nella sup1'

plicatio

da

fitti

non

antico nucleo

romano

strati di culto greco,

in et storica fosse avvolto e coperto


che gli erano cresciuti intorno. Perch

ritrarre dagli stessi riti la stessa conseguenza per

qui

il

che

il

nucleo romano

il

trionfo

Solo

mette a nudo pi facilmente: romano p. e.


capitano vincitore indossi le vesti di Giove Capitolino, ro-

mano che
romano

si

deponga

egli

o italico che

nostre conchiusioni non

antichissima

le

insegne nel tempio del dio ottimo massimo

soldati cantino versi scherzosi e lascivi.


si

pu obiettare che

il

trionfo istituzione

che noi non possediamo descrizioni particolareggiate cre-

dibili di trionfi antichi. Dalle descrizioni del trionfo di

Romolo

in Dio-

nigi di Alicarnasso (II 34) e di Cincinnato in Tito Livio (III, 29,

per

le

Alle

quali naturalmente quegli scrittori

trionfi del loro

tempo, passiamo suhito

hanno preso

al trionfo di T.

4),

colori dai

Quinzio Fla-

Anche

qui

non

Orazio

2Ui

riproducono a un dipresso
particolari,

un

da questo

tipo,

parativi per

di

nell'

invenzione, se non nei

ne egli si diparte ancora


o forse combina solo con esso un altro,

tipo ellenistico

pure tradizionale, quando


il

diversamente che
Alceo. Le prime strofe

procede

nelle cosiddette imitazioni

ci

trasporta in

convito festivo.

Ma

il

mezzo

pre-

ai

richiamo agli amori

giovanili nelle ultime due strofe porta nell' ode


una nota personale e oraziana. Porse il poeta non avrebbe
scritto neppure queste due stanze, se non avesse letto Callimaco ma sue e nuove esse sono ci nonostante. Ora
suoi

che l'arte con la quale il poeta


corteo, cos come gli passa dinanzi agli occhi,

importa solo
descrive

ebbe

il

stabilire

riscontri, cio modelli, nella lirica ellenistica.

frammenti nuovi mostrano che anche Alceo

carmi parenetici. Noi non conosciamo ancora

non r esortazione a una


Melanippo, che

^Xso,

facile sapienza

tutti

|xr^

dobbiamo morire,

solo tent di sottrarsi a questa necessit.

solo a morire due volte .

Se

egli

di

scrisse

se

lui

\z'(1wj

Itii-

e colui

che

Sisifo,

riusc

abbia scritto molte

al-

gnomiche, impossibile dire, ma parr non probabile a chiunque ripensi come Orazio accumuli molti
carmi di tal genere nel secondo libro, violando cos
quella norma della massima variet possibile, che abbiamo
veduto dominare nella raccolta alessandrina dei carmi di
tre odi

Alceo. Orazio, par

si

odi parenetiche che

debba indurne, ha
non Alceo, che nel

minino, descritto da Livio

(XXXIV

scritto tante pi

distribuirle

non

nn)do del

resto assai

soiuraario e insufficiente, e a qnello di Emilio Paolo (Plut.

Acm. Paul.

32 sgg.

il

testo di Livio

se riscontriamo in

[XLV

52,

4)

in

40] qui lacunoso).

tempi cos recenti elementi

Che meraviglia,

ellenistici

ha pi potuto

attenersi,

come

suole, al canzoniere di co-

ha raccolte tutte insieme. Ma


anche questa sar sempre conclusione non del tutto certa,
perch tratta da indizi forse insufficienti. Ad a.:serzioni
pi sicure conduce l'esame degli argomenti delle odi pamodello e

(piale a

stui

le

renetiche.

L'ode a Dellio aequam memento

II 3,

Postumo

quella a

ehei fuyaces II 14 e sino a un certo segno anche quella


a Sestio solvitur acris hiems I 4, dove per il sentimento
e alcuni particolari sono ellenistici, predicano a un diconviene saper vipresso la stessa sapienza che Alceo
vere e non perder tempo, perch si vive una volta sola.
Gli altri componimenti parenetici (1) trattano temi che,
se non per la prima volta impostati, per la prima volta
furono trattati sistematicamente dalla filosofia morale
:

ellenistica. II 2 nullus argento ricorda a Crispo Sallustio


il

paradosso stoico

oti

[jivo;

ao-^;

-Xo-jaio;.

impossibile

a concepirsi se non da chi avesse appreso, sentito, vissuto la filosofia di Socrate


voc.

[AsaxrjTo;

II

II

10 redius

16 otiuni divos un

iam panca aratro un

vives

un

7:aivo; \^'j[ji:a;

t-x.li

15

un 'i^yo; xpu'^f,; v.y}.


aby^poVvEpSeta;
e contro
18 non ebur neque aureum
Il
l'aa/poy.ps^a si avventa parimenti III 16 indusam Danaem. L' invettiva xa-3c tXo'jxo'j III 24 intactis oindentior
rivela un sentimento, l'ammirazione mista di invidia
per i popoli selvaggi, che non suole sorgere se non in
uomini stanchi per eccesso di cultura. Si invero commesso spesso il torto di disconoscere che in queste odi
parenetiche Orazio attinge a piene mani dal tesoro gnomico dell' antica melica (2) e dell' antica elegia il com'Y^^oz.

Tf^'yJi''(ti

(1)

Escludiamo per ora dal novero

le

consoaiiones,

ohe sono di

tatt' altra natura.


(2)
il

motivo

noto
di

p. e.

che

un carme

di

il

principio di non ebur neque aureum ripiglia

Bacchilide non dissimile neppure nel metro.


mento

203

Kiessling-Heinze, specie nell' ultima

di

raccoglie troppi paralleli da moralisti popolari

troppo

ma

con tutto ci non possibile inganOrazio prende da altri poeti classici, oltre che da

pochi da poeti
narsi.

edizione,
e

cita anche qui, come suole. Ma


r impulso a scrivere carmi tutti gnomici non gli viene
n da Pindaro ne da Bacchilide, per i quali la sentenza

Alceo, spunti e colori

non

non un ponte di passaggio, un episodio, una chiusa, e neppure da Teognide o da Pocilide;


specialmente non deriva, non pu derivare da alcuno di
questi la maniera di trattare ampiamente questi problemi,
sfaccettandoli in mille guise, ragionando di etica eude per lo pi se

monistica quasi

di professo, talvolta

pur troppo pi an-

cora da professore che da poeta.

Orazio non ha potuto prendere dai poeti classici


teresse semifilosofico per problemi morali.

Cicerone e

ma

tempo

rario.

ellenistico,

venuto ora

in-

passi paralleli dei filosofi fanno

vedere che Orazio attinge qui


del

l'

dialoghi di

Seneca mostrano quest' interesse

trattati di

vivo nei Romani

suoi motivi a letteratura

non dicono a qual genere


il

momento

di

lette-

chiederlo. Questo

problema si ricollega con l'altro, se Orazio derivi anche


per la forma da quelle stesse fonti alle quali attinge per
il

contenuto

in altre parole, se

rettamente da Alceo l'idea

di

Orazio abbia ripreso di-

scrivere odi gnomiche, nelle

quali poi per suo conto abbia trasfuso contenuto ellenistico di pensiero, o se invece abbia

formali, pi

vicini

in

avuto modelli, anche

gnomica

poesia

dell'

et alessan-

drina.

Non

si

pu supporre che Orazio, nello scrivere

abbia dimenticato
pulso a comporre

le

letture

le Satire.

ma

Se

il

contenuto etico

Odi,

le

dalle quali ricevette


di

l'

im-

que-

che esclusivamente, epicureo, una particolarit formale, che imprime su alcune


di esse quasi un suggello distintivo, il dialogo con un
ste per lo pi,

tutt' altro

-'

:i04

interlocutore fnto ed evanescente, che salta fuori, scompare, si muta a piacere del poeta, deriva loro, come
noto ormai da anni, dalla diatriba cinico-stoica. Orazio
riprende in esse spesso i motivi e assume il tono del
predicatore che sulle piazze, ritto in mezzo a una cerchia
di

problemi di etica e risponde


che chiunque vuole, gli presenta, anzi ne

curiosi, discute

zioni

se stesso,

quando

gli

vien comodo.

alle obie-

fa egli a

meglio, Orazio di-

pende da rifacimenti letterari di tali prediche popolari,


si pu immaginare, in istile s di conversazione ma pure ben pi alto e pi decoroso di quello
che cotesti filosofi da strapazzo usavano nel disputare per
le piazze. Sarebbe assurdo supporre che Orazio nello scrivere le Odi avesse del tutto dimenticato gli scrittori di
composti gi,

diatribe cari alla sua giovinezza.

Rimane

solo

gli occhi, oltre

il

dubbio, se egli non abbia avuto sotto

questa letteratura prosastica, anche carmi

parenetici alessandrini

limaco

p. e.,

hanno

fatto

(1).

Liriche dei maggiori, di Cal-

certamente no
l'

arte per

l'

che

maggiori Alessandrini

arte senza

preoccupazioni mo-

neppure in epigrammi e in elegie dei minori


avrebbe trovato facilmente modelli adatti. Il libro dell'Antologia che contiene gli epigrammi protreptici, il X,
rali.

uno

126 epigrammi, da cui si deve togruppo dei primi 25, che di componi-

de' pi smilzi

gliere subito

il

menti non parenetici. Gli autori sono tutti recenti, poeti


del tempo imperiale, Pallada e Luciano, o addirittura
dell'era bizantina, Agathia e Paolo Silenziario. I pochi
pi antichi risalgono all'et di Tiberio,

come Basso,

di

(1) lu tutta la ricerca sar prudente non prender mai come pietra
paragone il motivo gi svolto da Alceo
la vita breve, la
morte inevitabile , essendo esso diffuso in tutta la letteratura greca

di

romana

e in ogni genere letterario.

i205

Augusto, quali Antifilo e Bianore. Un paio di apoftegmi


di filosofi ellenistici, p. e. Cleante, qualche citazione di versi
sentenziosi di tragici, di Eschilo e di Euripide, o anche

anche

di Pocilide o

sotto

nome

il

di

una

(^

delle raccolte

Simonide, non mutano

che andavano

comcompo-

carattere

il

Il modo appunto come esso


prova che epigrammi gnomici ellenistici
non ci furono se ci fossero stati, alcuno ne sarebbe conservato nell'Antologia sia pure tra un numero molto maglibri che contengono gli
giore di imitazioni tarde. Cosi
epigrammi sepolcrali, epidittici, erotici sono per la parte

plessivo del libro.


sto, fornisce la
;

maggiore composti di poesie del tempo imperiale, ma contengono anche alcuni dei carmi pi antichi, i quali in
quelle poesie tarde

parente

si

rispecchiano.

un epigramma

di

Orazio a Licinio Murena rectius

di

un' eccezione ap-

Basso congiunge, come V ode


vives

II

stesso ordine che Orazio, con la lode della

fronto dell'

uomo che

che sa evitare cosi


Orazio

la

il

cautus

miitm premendo

Basso AP X 102

ncque

horresois,
litus

con-

retto

al-

|J-VjX;

[is

y:|aaxi

"viog yoc

lum semper urgcndo ncque, dtim


procellas

il

cammino e della nave


tempesta come la bonaccia (I):

batte

10

II

rectius vives, Licini,

10 e nello

iJ-saty;;

ni-

iniquom

[oiS

O-pas'Jj,
-(iX-q'^riz

pY;^S YjOTiaaxiJirjV ty,v rAXi vrjVEjiivjv


a: |j.3jxyjXe; cpiaxar kt, 5i xs Ksrjg'.sg

[vSpwv,

aureum
diigit

quisquis

mediocritatem

y.a

TcaXi |jixpiov sy

tutus, etc.

CM'Tv.
xo'-jx'

Le coincidenze anche
tali

xpxiov y^jTiaji-

nell'

y*'^") 9-^- Aa|ira

espressione sono tante

che, per quanto e la lode della mediocrit e

(1)
9-paa'Ji;

mare.

In Orazio
e

della

il

couironto pi plastico: Hasso parla

VYjV|i'.r],

Orazio dell'attilla ))res8o

al

lido e

il

con-

di-l

tcvxo;

dell'alto


fronto della vita

iiO)

umana con

il

corso di una nave siano

comunissimi nelle letterature antiche (1), par certo

esse

non siano fortuite. Che Orazio e Basso usino tutt' e due


di uno stesso carme ellenistico, sia questo poi un carme
melico o un epigramma, non si pu naturalmente escludere del tutto

ma

un' altra spiegazione parr pi verisi-

epigramma , come
sembra, tutt' uno con lui, vive a Roma al tempo di Tiberio, canta la morte di Germanico (AP VII 391), celebra la leggenda di Enea con gli stessi concetti a cui si
ispirano 1' Eneide e le odi romane di Orazio (AP IX 236).
Sarebbe imprudente dedurre dal nome ch'egli fosse un signore romano dilettante se non fu, fu per altro almeno
un Greco o un Orientale, che, ottenuta la cittadinanza romana, assunse
nomi del suo patrono. E probabile che

mile

Lollio Basso, se

Basso

il

dell'

egli

abbia letto Orazio.

Quanto alle due elegie davvero gnomiche di buon


tempo alessandrino, che ci sono giunte sperdute tra gli
epigrammi dell'Antologia, quella di Leonida Tarentino
La vita breve,
(VII 472) riprende 1' antico monito
quella di Posidippo
quindi forza moderare i desideri
(IX 359
Stob. 98, 57) svolge il motivo doloroso, frequente anche nei pochi frammenti che ci sono rimasti
Ogni condizione umana dolore
dell' antica elegia
meglio non esser nati o esser morti appena nati (2).
:

(1)

secondo

Per
gli

la

xnima vedi

p. e.

l'epigramma auouimo

AP

esempi raccolti dal Gerhard, Phoinix 98 sgg.

oraziani pi completi nel

commento

di

X, 51
;

gli

per

il

esempi

Kiessling-Hrinze a questo

passo.
(2)

Mi par che

lo

1905, p. 80 sgg.) non

Schott

{Posidippi ep'ujrammaUi, diss. di Berlino

abbia ragione di dubitare che questi carmi

non era filosofo di menon giusto esigere da lui che non si contraddica mai. La
metrica, come confessa lo Schott stesso, ottima una contravven-

siano del Posidippo celebre. Poich Posidippo


stiere,

207

Questi due componimenti mostrano che ancora in tempi


alessandrini poeti di vaglia rimasero fedeli agli spunti e

forme

alle

dell' elegia ionica

parenesi filosofica di Orazio

congiunge

due

le

ma

la

un abisso, e nessun ponte

e'

carmi e

tra questi

rive.

In papiri di Heidelberg, di Londra, di Oxford furono

un

scoperti (e sono raccolti ora in

libro ricco di dottrina

da G. A. Gerhard) (1) coliambi filosofici di et ellenistica.


Di un componimento contenuto in un papiro di Heidelberg si conosce 1' autore, il cinico Fenice di Colofone
nello stesso rotolo sono congiunti con questo altri componimenti coliambici di autore diverso, ma di argomento,
;

di

tendenza, di arte simile

Due

(2).

dei tre temi trattati

in questo papiro sono svolti da Orazio nelle odi

simo

dell' ataypoxepsca

saggio.

che

il

bia-

ricchezza giova solo

la

al

papiro di Londra e quello di Oxford contene-

Il

due uno stesso carme, anche questo un ^yo;


Solo il terzo carme del papiro di Heidelberg,
una polemica assai diffusa contro gli amori maschili, non
trova riscontro quanto al tema nelle Odi di Orazio, il

vano

tutt' e

aia/ po'/spoe-'as

zione a una regola che Fosidippo

di

aolito

segue, non

pei" nxilla

pih grave delle molte divergenze che per qnesto rispetto corrono tra
l'uno o l'altro di epigrammi suoi senza dubbio autentici.
di Chares, Xdpvjxog

])rima

met del

Yvcjia!,,

III secolo avanti l'era volgare (G. A.

Abh.

delberger SUsungs'berichte, 1912,


alla

storia della

13)

pedestre

si

quella delle antologie. Chares

poesia originale, a

pu immaginare.

Gkriiakd, Hei-

appartengono, piuttosto che

adatta versi antichi in servigio della scuola, la


lii

Le massime

scoperto recentemente in un papiro dcUn

Nessim

filo

forma quanto

di

congiunge Chares con

Orazio.
(1)

Phoinix von Kolophon. Lipsia 1909.

(2) Il

Gerhard

sce trovare

comandata,

(p.

secondo me,
il

tono dello

103) vi scorge differenze che a


pii

stile

mono

me non

rie-

rigorosa che sia l'ascesi qui rac-

rimane sempre

convers.aziono garbata nui alla buona.

lo stesso,

quello di una

^208

quale, diversamente da quel che fa nelle Satire, qui per


riguardo alla dignit letteraria evita di discutere dottri-

nalmente materie sessuali. Del resto la pederastia non


Cinici del
era forse argomento cosi attuale come per
nelle Odi
tzo:
ricompaiono
Anche
tempo, alessandrino.
non molto mutati. Anche in Fenice la vita umana confrontata con una nave esposta al naufragio, anche qui si
i

parla con biasimo della

chiunque

sia

r^jyo; ab)(poxpo''a?

TcoXX

Iv0"v

Ttpy'^aaetv

xa:

malus

to-j;

non

ad miseras

votis pacisci ne Ct/priae Tyriaeque merces


tias

mari

(III 29,

57 sgg.).

La

versi del

yj [xv ojv,

J)

voiv-Zzo^-v.: yyci'jzb^

7_i)'pouc

verr in mente

procellis,

xal

iJta'JK

tiox' scttsv

inutile del fabbricare.

Orazio nel leggere

heidelbergense 70 sgg.:

f;Xi)"V vO'' r)X9'v,

giat Africis

di

etvai Tap^eOvi'

Ilpvs, pouXo:'[xyjV
Yj

pompa

un po' pratico

Xcov Zs '-^i^zo^

mii-

est tneiim, si

preces

decurrere

addant avaro

et

divi-

differenza consiste solo in

che Orazio immagina che il buttar via il carico, quale


inutile, possa salvare la nave, l'anonimo rappresenta invece il naufragio gi avvenuto, ed distinzione

i,

zavorra
di

poco conto.

chicchessia le

o/.fat

v.

X-'O-ou a[jiapaYO''xo'j

e le axoal 'LxpaxuXoo di Fenice (83 e 85) richiameranno


alla memoria V aureiim lacunar e le columnae ultima recisae
Africa di Orazio (II 18, 1 e 4) o anche la chiusa della

prima ode romana cur invidendis postibus et novo sublime


ritu moliar atrium ? Il male che, come mostra subito
uno sguardo gettato sul commento del Gerhard, 1' uno e
r

altro xTCog

cinici,

ma

sono comuni non solo ad Ora2do e

a un' infinit di

ai

poeti

altri scrittori, tra gli altri

ap-

punto a quelle diatribe cinico-stoiche, a cui sappiamo che


Orazio attinse per le Satire non diversamente che a scrittori epicurei.

Pure io non dubito punto che Orazio, se non proprio


noi, abbia letto altri coliambi
i componimenti giunti a
cinici. Il fatto stesso che in uno stesso rotolo sono con-

209

mi pare, che quenon agli amanti di letteraa gente che aveva per la propaganda

giunti poemi di autori diversi mostra,


ste raccolte erano destinate

ma

tura raffinata

un

cinica

interesse pratico, a persone del popolo proba-

come fanno vedere

bilmente. Orazio,

buongustaio

popolare

quelli prosastici

avr ricevuto

l'

avr letto

stoica

problemi di etica popolare.

lirici

egli

un

era

Satire,

le
;

non meno che


di morale p. e, epicurea. Ma non da qui
impulso a trattare in istile alto e in me-

poetici di etica cinica

trattati

tri

letteratura

di

Lo

Fenice e

stile di

dei suoi correligionari semplice e spoglio di ogni orna-

mento,

il

verso non sostenuto

prosa. Solo

una volta

il

ma

cadente e simile alla

tono del poeta predicatore

si

eleva di qualche grado, quando nel carme heidelbergense


contro r ata)(poxp5ca assevera

l'

esistenza del

veglia sulle azioni degli uomini,

nome

T axGTTsc

|v](Xc

sia
i

5"

di

oa:(xwv,

xaxo)

il

che

buon

xyjV

pena
05

(v.

67 sgg.)

v XP'^^'P

xaxatai'av [Jiopav.

"^^

y^P? ^attv
o xa-ata)(6vec

laxtv

0-eTov

Ma

per lo pi la poe-

riman fredda e vola terra terra. N


cui sono stati ritrovati ora frammenti nei pa-

questi

poeti di

piri,

vendicando

e,

della divinit negata e tenuta a vile, distribuisce

equamente premio
he,

5a''[j.cov

Ioni

costituivano un'eccezione:

Parmenone

di

Bizanzio e

Hermeias di Kurion erano su per gi della stessa levatura. Invece Orazio in uno solo dei carmi gnomici, in
II 2, nulls argento color est adopra lingua qua e l volgare e stile basso
volgarismi 2 lamnae, 13 hi/drops, 24
1' esatacervos sono stati gi da tempo posti in rilievo
tezza medica di tutta la strofa crescit induUjens sili dirus
;

hi/drops, nec sitim

pellit,

nisi

causa

morbi

ftii/erit

aquosus albo corpore languor in un argomento in

vens et

cui

le

voci proprie ollendono, contrasta singolarmente con l'ele-

vatezza

che

di

tono consueta nelle Odi. Qui la dilferenza an-

stilistica,
14

diciamo a i)iacere dalla diatriba prosastica

210

ma

minima;

dai coliambi cinici

quest'ode per ogni

rispetto eccezionale.

In generale, questi coliambi cosi discorsivi e ragionatori ci

aiutano

a renderci conto dell'origine

si

ma

di

alcune

non avessimo altro, dovremmo


concludere che Orazio ha preso s il contenuto dei suoi
carmi gnomici da diatribe ellenistiche, ma stato in-

satire

oraziane,

se

dotto a rifonderli nel crogiolo dell' ode dall' esempio dei

carmi

parenetici

tutto cosi

per lo

del

vecchio

Pure non del


ha cantato

Alceo.

meno un poeta

ellenistico

in metri lirici e in istile elevato, in certo senso pi ele-

vato

di quello di Orazio,

poeta cinico Cercida

di

temi

frammenti del

pongono in grado
capo a questo para-

ci

(1),

domanda formulata

di dare alla

Megalopoli, scoperti pochi anni

papiri di Ossirinco

or sono in

etica.

di

in

grafo una risposta diversa e pi esatta.

Cercida tratta in metro e in

istile lirico

solo di etica

ma

quattro tra

nuovi frammenti dai quali

argomenti non

Ben due

perfino di metafisica.

si

di

quei

ricava qualche

senso, trattano della materia prediletta delle disquisizioni

poetiche dei Cinici. In quello peggio ridotto

(p.

39

fr.

4)

Cercida pare per vero piuttosto incoraggiare che non biasimare gli amori tra maschi, tutt' al contrario di quel che
sogliono

menzione
fu,

suoi

compagni

di setta

dell' efp^wc Zavwvix?,

come ben

che femminili

si sa,

(2).

il

il

testo finisce con la

fondatore dello Stoa

propenso ad amori piuttosto maschili


converr credere che Cercida,

Ma non

nuovi mostrano che


(1) Pap. 1082 (Vili p. 28 sgg.). I frammeuti
Cercida poeta e filosofo tutt'uno cou il legislatore e capitano niegalopolitano, che fior verso la met del III secolo.
nou nai(2) D. L. VII 13 rtaiSapioi? te xprf^o OTravdcog, cTtag 7; tic,

il

5i,axap[w

Ttv(,

malevolmente

Iva
l

5o%oi7j \i.iooyvr,i; slvai. Ateneo (XIII 563 e) esagera


dove trasforma quella notizia cos oHtzozs y^va'-xl
[ir)

xpr]oa.zo, naiSixos 5'et,

co?

"Avtyovos o Kapuaxios lo-cope Iv

icp Tiepl


un argomento

in

211

cosi importante di

morale pratica pro-

fessasse opinioni affatto contrarie a quelle di tutti,


dire,

Cinici

Le

(1).

distanza lc o To[i]auxac

di

si

pu

parole che precedono a poche righe


axsTCToa'Jva?....

\'Q

OTiouov

7t:o'.-

ad-[at],

per quanto mutile, mostrano che Cercida distin-

gueva

tra

due diverse specie di amore. Egli avr inteso


la dottrina stoica, secondo la quale l'amore del
sapiente ha per oggetto non solo il corpo, ma anche
r anima (2), e, accettandola francamente, avr raccomanrettamente

zoo poo aToO


il

ed

certo

che Diogene riproduce qui pi fedelmente

pensiero dell'autore comune, Antigono.

MOWiTZ non commetterebbe pi ora


di

Diogene

l'

Ma

senza dubbio

come lo tradusse quand'era giovane


pi un giovinetto, di rado una ragazza

cos

vizio per lo

il

ingenuit di tradiirre
:

il

Aveva

Wilapasso
al ser-

{Antigouos von

Karystos 115). Qnest' interpretazione appare errata, anche perch nell'antichit

non

schiava

che

Il

Gerhard ha mostrato

al servizio una o due volte una


potevano licenziare a piacere come ora ;
per disfarsene bisognava venderli o donarli. Del resto, a togliere ogni
dubbio suir interpretazione, segue in Diogene ancora una storiella sur
un'avventura amorosa di Perseo e del maestro.
(1)

poteva

si

servi

non

avere
si

(Phoinix 144 sgg.) che

zione solo ciarlatani dell'et imperiale, che coprono col

'

fanno ecce-

nome

rispet-

merce sospetta, oltre Bione, piuttosto che filosofo,


quindi punto rigido nella fede ai dogmi della scuola a cui

tabile di Cinico

letterato e

pur professava di appartenere.


(2)

Esagererebbe malamente chi credesse che

gli Stoici esigessero

nell'amore maschile la castit assoluta, riduceudolo cos a un senti-

mento quasi del tutto


none, specie

tunque

il

intellettuale.

Quel che

si

sa della vita di Ze-

particolare riferito da Diogene, che egli talvolta, quan-

assai raramente,

si

sia unito

anche con donno

per non parer

misogino, basterebbe a mostrare che egli considerava inditercnte


r atto sessuale in s stesso
anche se non soccorressero frammenti
;

espongono chiaramente questa opinione. Secondo


(presso Sesto, Pyrrh. hypotyp., Ili, 205.246) non c' nessinia

delle sue opere, che


lui

differenza

tra

ciare con le

doloro.

Lo

1'

aver

mani
stesso

contatto

sessuale con la

madre

qualsiasi altra parto del corpo di

Sesto (ibid. Ili, 245)

rijiorta

un

e lo stropic-

lei j)er

sedare un

jiasso delle 6ia


dato

di scegliere

sumere che

21-2

un amato,

le cui fattezze

facessero pre-

almeno atto a ricesemi della virt (1). La donna doveva sembrare


vere
meno suscettibile di educazione morale, onde dal contatto con lei r amatore non poteva apprender nulla. Ne
egli

era o virtuoso

sorprende che il Cinico


modello di vita morale

ha adottato senza

dell'

et ellenistica esalti quale

fondatore della Stoa

il

Zenone

quanto a etica sessuale, massime ciniche, fondendole nel suo sistema. Secondo la trascrupoli,

VI 58) si sarebbe congratulato con


un bel giovane studioso di filosofia, perch egli guidava a poco a poco alla bellezza dell' anima gli amadizione (Diog. Laert.

xpi^aJ, uel

quale Zenone eapone che uoa importa se

proprie voglie con TiaiStxa o con

mine. Cosicch non vi sar

quando

scettico,

anche

oi

cavano

uspi

|xr)

j)ropri()

soddisfino le

si

uaiStxa, con maschi o con fem-

ragione di negar fede

riferisce (ibid. Ili, 200)

che non solo

al

medico

Cinici,

ma

xv Ktxisa Zi^vcova xac KXeavd->]v xa XpuotTtnov giudi-

affatto indifferente

1'

ppevop.i;ia.

La parola

Sidcpopov usata

da Sesto sar proprio quella adoperata da Zenone, come conferma


Stobeo ed. II 65

W.

t epv ax

[jlvov

5iaq;opov slvai,

xal uepl cpaJXo'jg. Quindi I'Arnim (Wiener Studien,


sgg.) avrebbe torto a volere integrare

mento

in

modo da

fargli dire

che

vedere certi spettacoli, ancorch

il
i

il

-0x2

1912, 23

principio mutilo del fram-

sole chiude

suoi

sTieiSr; Y'-vstx

XXXIV,

suo occhio per non

il

ingegnosi supplementi non

rendessero necessario, come rendono, di trasporre ijarecchie ijarole in

un passo lacunoso. La dottrina

muove

stoica dell'amore

da quella

platonica e la riproduce anche in punti molto scabrosi, come nel prescrivere che nella citt ideale le donne siano comuni,

ma

fa conces-

sioni molto maggiori alla carne.

D. L. VII, 129 Hai

(1)

paad-T^asofl-at 6 xv oocpv

sp,fatvvxa)v Sia xo s'iSoug xyjv Ttpg psxifjv Ecputav

sta massima sono eitati


Kpf)Z(p

nspl

finizione

B(i)v

dell'amore

n-^atviisvov si

che secondo

Zv^vcov

sv

x'g

UoXizBicf.

xat 'TroXXStopog sv x^
slvai xv

soggiunge xai

gli Stoici esso in

'HO'txf;.

spwxa niPoXYjv
|,y)

xwv

xwv

xal XpuatTrTzog sv xtp

Subito dopo alla de-

cptXonoitag,

elvai ouvouoiag

vscov

quali fonti di que-

XX

5i

cftXtag.

xaXXog

Che an-

genere non pu fare a meno dell'unione

:il

del suo corpo. Non questa appunto la dottrina,


adombrata da Cercida in questo frammento mutilo ? (1).
Anche nel secondo meliambo, che meglio conservato, Cercida tratta di amore, rivolgendosi a un tal Damonomo, a noi del tutto ignoto. Eros spira secondo lui
due venti dalla bocca quegli tra
mortali cui il vento
soffia dalla gota destra del figlio di Afrodite, governa
sicuro in bonaccia la nave di amore con il saggio timone
della persuasione
ma guai a colui cui il vento spiri
procelloso dalla gota sinistra! Costoro avranno da comtori

battere con

il

mare grosso per

tutta la durata del loro

corso. Qui Cercida stesso ci informa che egli

non isvolgere, per vero


Euripide

questi, a quel

due venti

(2)

assai largamente,

che pare, aveva solo parlato dei

senza insistere oltre

nell'

immagine

invece qui svolta fino minuziosamente.

que meglio

carnale,

si

non fa se
un verso di

Non

che
dun-

(3),

seguita Cercida, dei due venti scegliere

vede dall'esempio scelto

di

Tbrasonide che, sebbene avesse

non volle usar con lei, solo perch si sapeva


questo dell'astensione doveva pur sembrare un caso

in suo potere l'amata,

odiato da essa

eccezionale, se a motivarlo occorreva mettere in luce

golare di Thrasonide per

il

rispetto sin-

sentimenti dell'amata. Si scorge chiaro an-

che qui che l'atto sessuale in s considerato indif'erente.


(1)

Lo coincidenze sono molte

e notevoli in tutta questa materia.

Antistene esigeva ancora (Diog. VI, 11) che


creare

figli

ma Diogene

voleva comuni

Platone e Zenone (Diog. VII,


Ili,

206), cos anche

ragione che

3.3).

savi sposassero per pro-

donne (Diog. VI, 72) come


Come Zenone (Sext. Pyrrh. hypot.

Diogene giudicava

Cinico porta in difesa

le

lecite pratiche solitarie, e la

queste (Diog. VI, 46 cfr.


anche VI, 69) quella stessa che (v. sopra p. 211 n. 2) Zenone adopra per sostener permesso l'incesto, non essere maggior peccato strofinare una parte del eorpo che un' altra.
il

(2) 6iao 7ivsu|JioiTa uvei^,

di

'Epwo finora frammento adespoto 187 N

*.

(3) Quest' del resto assai familiare alla gnomica e in genere alla
poesia greca
cfr. Gkrhard, Phoiuix. 98 sgg.
:

^I*

e, maneggiando con sagtimone della y)ersuasione, navigar dritto verso l


possibile il varco con l'aiuto di Cipride ? Qui man-

quello che a noi favorevole,

gezza

il

ove sia
cano sette righe, poi segue il consiglio di tenersi all'Afrodite di piazza, che non fonte n di timori ne di turbamento al prezzo di un obolo ciascuno pu immaginarsi
;

di giacere al fianco di un'


si

Elena.

La concezione che

rispecchia in questi versi, concorda anch' essa con la

morale

stoica,

amore,

1'

secondo

quale

la

una accompagnata da

sono due specie

(I) vi

virt, l'altra viziosa,

di

che

deve essere considerata quale pazzia. Nel tratto perduto


Cercida doveva esporre brevemente che quanto a certi
bisogni vi
farsi

servo

modo

di soddisfarli

della

passione,

prontamente anche senza


anche senz' immischiarvi il

cuore che dev'essere risparmiato per qualcosa

Anche

qui

considerare

il

sessuale quale indifferente

disforme dallo spirito della scuola,

VI

il

consigliava di avvicinare solo

3)

meglio.

come abbiamo veduto

bens,

ma non

conforme a dottrine stoiche,

di sopra,

di

soddisfacimento del bisogno

il

neppure

cui fondatore (Diog.


tali

donne che do-

vessero saperne grado.

Un

altro

biografica,

meliambo

ma non

a quel che pare,

si

direbbe

d'

indole piuttosto auto-

istuona in questa raccolta di carmi,

tutti filosofici.

Che

il

poeta in una poe-

sia parlasse di se stesso, era uso frequente nelle lettera-

ture antiche almeno dal

sorprende che

tempo alessandrino in poi, e solo


carme autobiografico (2) non sia qui

il

proprio in fine del rotolo

(1)

Stob. ed.

psTYiv TToiv
p(j()xo|J.av^
iioloc,

II,

65

anooSatov

xiva.

-cv

com' del resto certo, perch

pcoTiv-v xai iyj^ XiYa%-a.'., xv

vxa, tv 5

Poi dopo

uua

xat

ttjv xav.iav v

i>roposizioue

XysaS'ai zi^ dc^'.o^iXrjXcp xaL o

tw

Su carmi autobiografici

cfr.

'"'?

Tr^v

^"^

mutila xv T'gipaaxov

La;:oXatjaxu>- za/ yLp gtov

OTTOuSatou spwxog, zozo^ slvai gipocaxov.


(2)

xaT

tJ'^YVi

sotto.

segue

la sottoscrizione

Ci vien

fatto quasi di

215

amore Zenoneo.
chiedere a noi stessi, se non fosse

al

raeliambo

sull'

altrimenti nella raccolta originaria delle poesie di Cercida

che r autorit

non

un manoscritto

di

-.

secondo secolo dopo

del

questo riguardo superiore

per

a ogni soche Cercida, rivestendo il suo addio alla vita della forma di un ammonimento a se stesso e al suo cuore, riuscito bene ad
adattarlo al tono degli altri carmi e a dare anche ad esso
Cristo

spetto. Del resto conviene riconoscere

colore parenetico. Altri ha spesso chiuso senza volerlo

occhi al sonno

gli

(1),

Cercida no

il

suo cuore rima-

sto saldo e invitto, e ha divorato ogni cura. Perci nes-

suna cosa bella

gli sfugg, e

ciatore delle Pieridi.

grigio

il

Ora

suo animo fu ottimo cac-

il

capelli del poeta sono bianchi,

mento. Dai pochi versi che seguono ancora nel


si ricava, che il periodo mutilo.

papiro, poco costrutto

Ma

il

senso generale della parte perduta non dubbio:

Cercida ha saputo vivere da savio, ora sapr rinunziare


a speranze mendaci e morire

di

buona

ricorda la fine della epistola oraziana


satis atqiie bibisti:

tempus abire Ubi

l'ideai et pulset lasciva decentius

per
di

me una

est,

voglia.

Chi non

Insisti satis, edisti

ne potum largius aequo

aetas? Questa somiglianza

ragione di pi per credere che questo carme

Cercida fosse una volta V ultimo.


Singolare

mai

gli di

il

primo meliambo.

non tolgano

le

Il

poeta

ricchezze

ai

si

chiede come

prodighi e agli

avari, per concederle a chi rettamente


al

savio

(2).

il

saprebbe usarne,
dubbio angoscioso intorno alle ragioni

(1) [uoXXocJxij 8[ia)-3ls ^pozbc, O'Jit xwv vuol dire (|iie8to, come ha
ben veduto M. Ckoiset, Journ. dea iSavani 1011, 486, seguito dal

Fraccakoli,
(2)

liv. di FU. XL, 1912, 129.


L'Arnim ha ben veduto {Wiener Studien

XXXIV

1912, 13) che

non pu essere se non un uomo che beve da un


cratere unico insieme con altri, un tale cio che appartiene a uu'assoil

xoivoxpaxYjpaxucpos

21 r

della giustizia divina apre l'adito alla

domanda,

Cercida non osa addirittura negarlo

esistano.

se gli di

ma

nel

suo ragionamento sono enunciate pi o meno chiaramente


le due premesse da cui la negazione dovrebbe logica-

mente

scaturire. Chi chiede

TreouaXxwTat

|is

\-!^kox' 0"jv

zLz

i'^^h-

^'/jxc

forse l'occhio della giustizia

si

in-

talpito?, pensa che la giustizia attributo essenziale del

concetto della divinit. Pi sopra detto chiaramente

che nulla potrebbe impedire agli

di, se volessero, di in-

staurare in terra la giustizia: xal

xi

x xwX'jov

f^c,,

oix

x'.(;

uno chiedesse perch non hanno distribuito pi equamente le ricchezze) (1) segue ^eTa yi'p ^ar.
(o}(p' po\i]xo

(se

dazione la qnale ha tra le sue coneuetndini quella del banchetto comune;


ma ha torto poi di pensare che Cercida intenda parlare di un pover

uomo

qualsiasi,

il

quale, per jtoter bere vino, debba riunirsi

ciet con altri a che gli costi

pone costui

caro. Cercida, dal

in so-

momento che op-

allo spilorcio, al p'jnoy.i^o'zv.oy v.aX xsO-vaxox!xxt8ag, e allo

sprecone, al

un savio

men

TzaXiyBv.yj^e^i'zOi.c,

t)v

or egli, per quanto

XTedvwv Xs9'pog, ne fa un virtuoso,

nomo

parte popolare,

di

non poteva

supporre qui tacitamente che ogni popolano e ogni povero mettesse


in pratica la

massima

del

giusto mezzo. Anche per

sono rari in qualsiasi condizione sociale.

Il

Cinici

savi

xoivoxpaxTjpoxocpog dun-

que il savio cinico che mette a disposizione degli amici quel po' di
danaro che basta, xv XXu^ivav SauavuXXav, per il banchetto comune.
La parola che precede xotvoxpaTTjpoxocpoc, smxaSsoTpcbxTaj, conferma
quest' interpretazione
xpiyeiv non pu esser detto dell'uomo del popolo, che costretto dalla necessit, ci provi gusto o no, a mangiare
:

cibi semplici;

ma

pasticcini, ogni

del Cinico che assapora con volutt, quasi fossero

cibo che ha a mano.

La

virt

del y.oivoypaxvjpoxu-

come sembra abbia veduto bene il Fraccaroli, MsxaSwg, come


traduce ingegnosamente Donoua .

cpog ,

egli

(1)

senso

L'Arnim difende

di p|iolxo e

xev&oai e 5p,ev.

grave scapito
xxeX(o)oai
1

Ma

dell'

la lezione del ms. cppoixo, spiegandola nel

facendo

dipendere

da questo verbo gli infiniti


pu conservare solo con

la scrittura del papiro si

che fisa y^p oxi &(}) nv


per parentesi, troppo lungo; e che

eleganza e del senso

XP'^M'' tiI

voOv 6x'

13

dio, l'onnipotente si accinga, tenti di punire

ricompensare,


XTXa<a)ac

Tiv

d-e)

di, se esistono,

La

X9W\

217
^^'-

"^^^"^

^'^'

^Xi

cio

(1)

che

gli

devono essere onnipotenti.

chi asserisce che gli di


devono essere onnipotenti e giusti, e nega poi che giustizia esista nel mondo, dovrebbe negare che gli di

conclusione evidente

esistano. Cercida
ba[\Loyzc,

ojv toI

arrischia

si

[ir^x'

xouv

jjltjx'

ancora a chiedere
Tiv TTSTcajxvoc

tiGc,

ma

'u

in fine

cava con un Xojov [jLsd-jjisv uepl xouttov xoXc jjtexswpoxuot^, dove r ultima parola avr s il senso letterale di
axpoXycc attribuitole da uno scolio marginale, ma indicher in tono un po' dispregiativo
metafisici,
filosofi
teoretici . Questi, seguita Cercida con ironia pungente,
si spera possano risolvere senza fatica una questioncella
di tal fatta. I soli di, che a noi Cinici importano, sono
Peana e Msxaow?, che questa sola da e Nemesi in
Peana il dio che presiede ai frugali banterra (2).
Msxa:')? non tanto la lichetti dei filosofi cinici (3)
beralit, che virt propria del ricco, quanto la partecipazione , il fare agli altri equa parte del molto o
poco che si possiede. Una tale virt, con miglior rase la

tal

concezione

non

che

si

accorda bene con

1'

onnipotenza,

cui

Cercida vuol qui rilevare.


(1)

La congettura

costituito cos

il

testo,

(o>cp'poiTo

del

Wilamowitz. L'Arnim ha

modificando leggermente la tradizione secondo

esigenze metriche.
(3)

L'Arnim

(p.

21)

si

accorto,

credo per

dev'esser qui predicato, come del resto

il

primo, che N|ieoic

mostra in ispecie

la

collo-

cazione delle parole nal Ns(ieats xax yv.


(3)

Secondo I'Arnim, come secondo

piuttosto

il

gli

editori

dio che conserva e restituisce la salute.

inglesi,

Ma

il

sarebbe

Cinico grazie

sua frugalit l'uomo meno esposto a prendersi malattie, e lo


Peana sar duncjuo piuttosto 1' ipostasi divina del naitxv terrestre,
della poesia che si canta levate le mense, prima del simposio. Auolm
MexaSwg , come abbiam veduto di sopra (p. 215 n. 2), divinit conalla

sa.

viviale. Cfr.

ancora avanti

p.

224.

gione che non

la figura

218

mitologica dello stesso nome, pu

esser detta N|xeacs, distribuzione, giusta distribuzione


in

quanto essa corregge

di

fortuna, cancellando

poveri.

ingiusta

l'

ripartizione dei beni

odiosa distinzione tra ricchi e

1'

Seguono ancora poche parole

a onorare costei, nelle quali

poeta

il

si

di

incitamento

rivolgeva certo

ai

hanno bisogno di tenersela da


conto, hanno interesse a far getto di una parte dei loro
averi per salvare il resto. Ma di questo tratto non riricchi (1),

mane

che costoro

intatto che

il

principio

xatav. finch

Q'.%v.. -'.|i-

onoratela .

Le

\iia-f'

ojv

navigate con

ultime parole erano

fondo

rivomitar dal

il

oa:|jifov ojp-.a z'j-

vento

v:i)-v

in

poppa,
cio

h,\i.i'jy:..

certo la ricchezza.

Questo meliambo, assai largo per vero e quasi prolisso,


composto con singolare abilit. Cercida s pur troppo
un poeta ragionatore, ma nel suo ragionamento freme la
egli possiede per cos dire l' eloquenza della
passione
dialettica. In questo meliambo il ragionamento incalza
qua e l con foga che travolge. Che impedisce agli di
di togliere le sozze ricchezze all' avaro e al prodigo e
di concedere al savio quel poco che basta ? Fin qui lo
ma il poeta
stile ancora calmo, largo e sostenuto
preso a un tratto da un impeto di passione, i suoi dubbi
;

lo

trascinano quasi a insultare la divinit. Egli chiede

Dike siano per caso divenuti di talpa, se


Fetonte, il sole, non si sbagli a guardare con la sua unica
pupilla, se Themide, la splendida, non si sia annebbiata.
se gli occhi di

Un
Tzic,

diapason

di

angoscia raggiunto dalle parole seguenti

Ixi 5aip,ov<; o'jv

toI

[Jtr^x'

xouv

{xr^x'

T^v 7:e7ia|xvoc

esi-

stono ancora gli di, se non hanno n vista ne udito

Cercida sta

Ci)

per profferire la bestemmia

ma un

Se u sono avveduti, l'uno indipendentemente dall'altro,

Fraccaroli

I'Aknim.

ri-

il

219

una
Zeus tien dritta la bisolo quand' venuto il giorno dellancia senza piegare
cos
per gli uomini meritevoli, d il crollo (1)
l' Ataa
almeno dice Omero nell' Iliade ma come mai egli non
propende per me, ma piuttosto per i peggiori tra gli
uomini ? (2)
Di qui in poi la passione ricresce a poco
Cercida
asserisce ancora di aver ritegno a dire
a poco
di quanto la bilancia sia falsata. Ma di un tratto prorompe di nuovo E a quali signori, a quali Celesti si
dovr uno rivolgere per aver giusto compenso ai suoi meriti, quando il Cronide, padre comune di tutti, agli uni
si mostra padre, agli altri padrigno ? La risposta sarebbe
una sola gli di non esistono ma Cercida preferisce non
rispondere: Xwov (ji^[iv Tiiepl xo'jxwv xor(; (jLSTswpoxuoc? che
essi sanno risolvere qualsiasi problema. Noi curiamoci dei
cordo omerico

^li offre

destro di ripiegarsi ancora

il

volta su se stesso e di meditare

nostri di, e cos via di seguito.

concatenamento dei pensieri bello e abile Cercida riesce a non dire quello che pure noi leggiamo tra
egli non crede a dio di sorta, ma non si
le righe (3)
arrischia a confessarlo. Forse non lo poteva quale magistrato di un paese ricco di reliquie e di leggende e
assai dedito a culti anche mistici. N del resto certi riIl

guardi sono disformi dalle consuetudini della sua setta.


Antistene fece guerra a viso aperto alle divinit e

Si

(1)

Ti:!.

dovr senza dubbio leggere con I'Arnim

v 'I?.ia6t, psTistv

slTtsv
5'

non a

che

zo^' '0\iripoz

tav ataiiiov |xap vSpaai x'jSaXijio:; e non p-

Omero

perch la citazione da
ci

y.ai

ai culti

precede

cos

aveva

si

riferisco a quel

del

resto

gi:\

che segue e

inteso

il

Frac-

CAKOI.I.
(2) Il

passo ora corrotto ab antiquo, come mostra la variante mar-

ginale del papiro.

mano
(3) Non

qui la

L'Arnim

(p.

17 sgg.)

felice nel correggere.

vuol farlo l'AuNiM (p. 20).

non mi sembra abbia avuto

particolari,

sava

ma non

all'

220

idea della divinit.

Egli profes-

riconoscere un sol dio (1); se non che questo dio

di

non era per

n un padre affettuoso n un giudice se-

lui

vero. Tertulliano {ad nat.

II 2)

narra che Diogene, richie-

sto che avvenisse in cielo, rispondesse:


salito ;

Non

ci

domandato ancora che cosa pensasse

chiarasse di esser solo corto della loro esistenza


dei Cinici, se fu sincera, fu fredda (3)

ma

sono mai

degli di, di(2).

La

fede

Antistene forse

simul per rispetto umano; cos come, non potendo scuo-

poemi omerici,

tere r autorit dei

industri a volgerla in

comodo

tutto quello che tornava

anche

cinico

atatixov

in

ci

per

r||i.ap

giorno della felicit


piatto

dell'

uno

stile di

si

citando

che,

Cercida buon

lui.

Omero,

Omero non, come

ma

il

quando

il

questi secondo
la

svisa (4)

Io

per Cercida,

quello della morte

tracolla,

muore, non gi acquista

Lo

fnse di venerarla e

suo vantaggio, facendo dir loro

l'

antico

poeta

beatitudine.

Cercida misto di elementi assai

varii.

Pa-

non mancano prova ne sia 1' ^enaa'., l'ultima parola che noi leggiamo chiara nel primo meliambo. Anzi esse abbondano
e pur tuttavia prevalgono le

role volgari

espressioni prese dal lessico convenzionale dell' antica

Philod. de

(1)

'AvTioO-vei 5'v

xax S
(2)

fonte

piet.

72

Gomp. (=

Cic.

t $uatx(p Xystai x xat

de

nat.

deor.

32)

Tiap'

vd|j,ov elvai -^loWahc, O'sog

cpuatv va.

solito

una cattiva

qui basta ripensare a Cercida per accorgerei

che l'aned-

Tertulliano per apoftegmi di

ma

|Jiv

li-

doto o autentico

filosofi

di

Diogene o inventato da Cinici

di

di stretta osser-

vanza.
(3)

Sulla religiosit di Antistene

Gomperz

che per non dubita, come me, della sincerit.

Gr. Denlier^ II 134,

Ma

in qualsiasi si-

un dio che non serve a nulla, solo una concessione


all'opinione pubblica
io non ho ritegno di giudicare cos anche gli
stema

filosofico

di di Epicuro.
(4)

L'Arnim

se ne accorto (p.

14).

^i

Ma, pi che elementi

rica.

lessicali, la

composti, specie nominali, d allo


ticolare

io

y.oyaX'Aihoi.c,

90?

e,

stile

intendo espressioni come


T:aXtvex)(u|xev:xa(;

per citare oltre

grande quantit di
un' impronta par-

^utcoxcIjoo-xwv. -ceOvx-

iTOxaSsoxpwxxa? xoivoxpaxYjpax'j-

nomi un verbo,

ai

r.'.\izXoGcc^y.o-S7.-

Tutte queste parole sono nuove, molte di senso e


alcune forse non erano intese
di formazione non facile
facilmente a primo acchito neppure dai contemporanei.
Yv.

oiTcX e

a maggior ragione

sono,

xpcTtX

caratteristici dello stile ditirambico (I)

punto

la X^c? 6c^upa[xptxYJ.

com' noto,

Cercida imita ap-

Assai singolare che egli

si

diverta a formare parole composte cos, cio nobili, con

elementi che, presi ognun di per

s,

sarebbero plebei

pensi solo alla auoTiXouxoa'jva. Il poeta,

fannosamente
effetti

in cerca di disaccordi.

s frequente in alcune

direbbe,

si

Ora

va

si

af-

lo studio di tali

letterature moderne,

ma

non si pu parlare, che specie il primo meliambo , nonch scherzoso,


pur troppo amaro e angoscioso. Non sar fortuito che un
rarissimo appunto nella greca. Di parodia

simile tentativo di intrecciare insieme

colo

si

il

ritrovi in un' altr' opera, la quale,

sublime e

il

ridi-

quantunque non

un ditirambo, ha con questo genere relazioni strettis(2). Timoteo non ha scritto,


almeno
cinque ditirambi (3);
alcun
altro
nomo,
bens
pare,
nessuna meraviglia quindi che anche nell'unico nomo
non si faccia scrupolo di usare di quelle forme e di quei
mezzi stilistici che gli erano pi familiari. Timoteo
che questi
in verit molto pi oscuro che non Cercida
evita le metafore che quegli sceglie ardite e strane e acsia

sime, nei Persiani di Timoteo

(1)

Aristot. a. p.

1459 a y

xtv 8'vs|xx(ov za. \iiw

5i7tX (laXiaxa

ipjixiei xotg SiO-opaiiPot^.


(2)

cida,

Chi volesse scrivere

uou dovrebbe

(3) Clr.

uiu studio

completo sullo

forse diineiiticare uef)piire

WiLAMOwnz,

Thnotheos, 80.

stile

di Cer-

Leonida Tarentiiio.


cumula

222

poi temerariamente le

une

Eppure

sulle altre.

carattere generale dello stile non

il

molto diverso: che

anche Cercida con


suoi composti, non facili a intendersi a prima giunta, sembra volere a bella posta sbai

lordire

zione

per

maggiore

Tf-iTrX

stile

biamo

detto, lo

foggia

studio

ditirambico.

Ma

in

predile-

la

in

Timoteo ancora quasi

come

[jLouao7iaaLo/.'j|iac, xaiaxi-

oiizki

bastino esempi

e cos via.

|xa|ji7:etao/''T(jDy

IJLoxax/jC.

anche

lettore: questa particolarit deriver

il

da imitazione dello

lui

del

contrasto

come ab-

pari ,

se

Timoteo non

suoi composti con elementi volgari

come Cer-

non ha ritegno a immischiare


una scenetta burlesca nel pi bello di una descrizione
commovente l dove tratteggia le sorti infelici dei macida, egli fa di

peggio

rinai persiani sconfitti a Salamina,

un Frigio

ardisce

riprodurre

il

greco spropositato

di

da un Elleno,

chiede merc. Che la mescolanza del

burlesco con

il

gli

le

ingegnato

capelli

sublime derivi anche in Cercida dalla

dizione del ditirambo

contro

che, tirato per

Comunque

sia

di

ci,

intenzioni del poeta chi asserisse


di scrivere in istile

tra-

andrebbe

essersi egli

piano e dimesso. Anche

le

da Omero e da Euripide non saranno sembrate sconvenienti ai contemporanei in un componimento


due

citazioni

di alto

stile

poetico,

rebbe parso a
Il

come parrebbe a

lettori del

noi e

come

sa-

quarto e pi del quinto secolo.

poeta maggiore del periodo alessandrino, Callimaco,

Cydippe non solo nomina l'autore da cui ha le sue


Xenomede, ma sunteggia anche per filo
e per segno tutto il libro di costui e in un altro frammento degli ATxta scoperto di recente (1) cita una frase
omerica proprio come Cercida invitato a un convito,
egli si mise a giacere sul divano stesso che uno straniero

nella

notizie su Ceo,

(1)

Ox. Fap. 1362,

XI

85, v. 9 sgg.


non perch

interessante,

posti fossero stati determinati

cos a bella posta, XX'aivoc


G

Tv

'IsuSr^c. c

rico,

ojjLotov

che un dio

Come

yet

223

'0[i,r,p:7.c.

av o[jigiov

raa vero

conduce sempre

il

il

O-sr.

proverbio ome-

simile al simile

Gercida fa coi passo di Euripide e contrariamente

a quel che fa con la

mostra

di trovar

caso, la

mile a

gnome.

lui

otvoTotscVj

pr^tx-'r^v

Xi'Yq) 'r^^zo

rore di tracannar

xtaau^cw

anche

suo

al

[Jiv

noTWft yavv

si-

a(i'jaTtv

che anch'egli aveva oril


boccale tracio, e

gi a garganella

gioiva di piccola tazza

Cercida

applicabile

cio

suo vicino di mensa era davvero

Il

xal yp o

sua citazione omerica, Callimaco

giusta,

meliambi

intitola

suoi

carmi,

trova

cio

un elemento melico-lirico nei ritmi dattilo-giambici, che


compone non del tutto a orecchio ma secondo un sistema
di dottrine ritmiche gi assai diffuso in quel

stesso a cui

si

La mancanza

attiene Orazio,

il

tempo, quello

cosiddetto varroniano

(1).

una responsione vera e propria ha riscontro nelle monodie di Euripide e nel nomo di Timoteo, in poesie cio destinate all'accompagnamento musicale.

di

Eppure, poich

la poesia ellenistica, se si

astragga

commedie, dai drammi satireschi, che


sono andati tutti perduti, e da canzoni di caff-concerto,
delle quali da alcuni anni in qua abbiamo di nuovo
dalle tragedie, dalle

qualche esempio, stata scritta tutta per


e

per la lettura, anche

carmi perch fossero recitati e


cantati

(2).

contenuto

il

a quei

tempi

suoi

non perch fossero


\.zX(oc\'^oc,

sia

nomenclatura conera vecchia di secoli carmi


la

Sui ritmi e sul titolo tratter pi ampiamente in un articolo

che apparr negli Studi italiani


(2)

Tetti,

poco importa che nella parola

\iXoc

venzionale dei generi letterari

(1)

la recitazione

Cercida avr composto

di filologia.

Fin qni sono d'accordo con

il

FraccaK(1i.i.

234

che s'intitolano ixXrj, erano scritti v.y-y. zv.ypv in metri prettamente recitativi.
Dove Cercida abbia per la prima volta recitato suoi
di Callimaco,

non sapere, indovinare. Il meliambo


primo parla del cratere comune e della dannata spepu

carmi,

si

succia

, del

Ta5wrs in

forse, se

misero contributo

certo

convito con

modo

gli altri,

al

sobrio banchetto. Ms-

la divinit di

Peana

il

chi

si

riunisce

dio del canto conviviale.

discutono di amore, come di amore discute


Simposio platonico. Chi duri fatica a credere che gli
antichi, anche filosofi, a mensa non solo discutessero di
filosofia ma anche recitassero carmi su argomenti etici e
metafisici, ripensi all'elegia di Senofane che incita a lo-

Due meliambi

il

dare chi nel convito tratta di virt e non narra tenzoni


mitiche

non

forse destinata essa stessa,

sofica, a essere recitata nel

mente

xal xXoxsi;

7i;vT(j)v

Qn

libro

l'

elegia

Lo dicono

composto

tutt' intiero

filo-

chiara-

vQv yp otj C7;:eoov xaO-apv xal


con quel che segue.

primi versi

simposio

/.epe?

di liriche dottrinali

per noi del tutto singolare; forse non soltanto per

moderni.

noi

La massima, la riflessione etica o magari megnome occorre s nell'alta lirica, in alcuni

tafisica, la

autori,

come

in Pindaro, quasi

regolarmente in ciascun

componimento; ma essa, altrimenti che nell'antica elegia


e nell'antico giambo, forma col il principio o la chiusa,
o serve di comodo spunto a un rapido passaggio Alceo
fa in qualche modo, lo abbiamo detto (1), eccezione. Eppure Cercida non tal poeta che gli possiamo attribuire
un'innovazione cos profonda; nell'era ellenistica da fi:

losofi dilettanti di poesia,

quale fu anch' egli,

stesso genere dovettero essere composti in


t'

altro

(1)

che scarso.

E non

Cfr. sopra p. 201.

libri dello

numero

tut-

punto strano che proprio

in

zzo

CJ)u>

quest'et gli argomenti gnomici,

ai

quali fino allora erano

recitativi, facciano

ritmi

stati riserbati

anche

irruzione

nella lirica pi alta; che ormai in quest'et anche l'alta


lirica

La

non pi

destinata

al

canto

distinzione rimane quanto allo

ma

alla recitazione.

stile.

Orazio ha preso

le mosse anche qui dal vecchio Alanche qui egli ritrae il contenuto da poesia
ellenistica, in parte da quegli stessi giambi filosofici, che
furono una delle radici della satira romana, ma in parte
anche da componimenti di tono molto pi alto, da libri
del genere di quello di Cercida. Questi non solo gli fornivano la materia greggia, ma anche l'incoraggiavano, per
cos dire, a versarla in forma lirica. La metrica diversa,
perch Orazio segue quanto ai ritmi Alceo; diverso anche lo stile, ma non meno alto di tono. Solo Orazio ha

ma

ceo,

come

evitato
le

certe crudit di effetti cos particolarmente

gonfiezze dello

stile

scrivevano

tutti

letto,

ditirambico, se pure

uno

stile

poeti,

simile a quello

che ha
Cer-

di

cida: Orazio voleva essere non

un seguace degli Alessandrini, ma un classico, un rinnovatore dei Lesbii. Che egli,


del resto, abbia letto proprio Cercida, non mi pare ne

probabile n provato
fu solo

uno

di molti.

sono in verit grandi

che un meliambo

di

come appunto un'ode


neii sit ancillae

ugual

diritto

giambo

si

questi secondo ogni verisimiglianza

Le somiglianze quanto
:

al contenuto
possiamo facilmente immaginare

Cercida principiasse proprio cos


del secondo libro oraziano, la quarta

amor pudori^ Xanthia Phoceic.


pu pensare che cominciasse

Ubi

filosofico p. e. di Fenice.

Cercida tratta

nei

Ma

con

cos

un

Pi importa che, come

meliambi un argomento

metafisico,

l'esistenza degli di, cos Orazio canti in un'ode di un

mutamento,

sia

pur fuggevole, delle sue opinioni intorno

alla divinit e al

mondo

yarcus deorum cultor

quens. Altre liriche di tal fatta,


15

non ne conosco

et

infre-

in tutta

tu')

ch certi cori di tragedia, a cui alcuno penserebbe, sono assai diversi. Ma somiglianze di
parole non si riscontrano se non una sola volta, e questa
volta nella trattazione di un luogo comune, sicch viene
fatto di sospettare che l'espressione fosse proverbiale (1):
Orazio ha senza dubbio letto, se non Cercida, libri simili.
la letteratura antica;

APPENDICE

Cercida
Il

Fraccaroli

{lv.

di

Orazio.

FU,

XL

1912, 127 sgg.) ha

che Cercida un vero

brevemente
precuri
meliambi sono il ponte di passaggio
tra il giambo greco e la satira romana. L'autorit che
questo studioso meritamente gode per l'altezza dell'ingegno e la vastit della dottrina, mi induce a prendere
qui in esame la sua opinione (2),
La poesia di Cercida sarebbe, caso mai
e questo
una
avr voluto dire senza dubbio anche il Fraccaroli
sostenuto

sore di Orazio, e

sola delle molte radici della satira oraziana.

vero, contengono per lo pi disquisizioni etiche

ma anche

terarie,

mento

cio, se

metico

ma

monologo

sermoni,
e let-

un componinon propriamente drammatico, almeno miil

di

Priapo,

anche dialoghi del poeta con interlocutori


fittizi ed evanescenti, che compaiono e

non gi sempre
(1)

Di pi nell'aiipendice che segue subito a questo paragrafo.

(2)

{Boll, di

Tent gi di confutarla M. Lenchantin dk Gubernatis


fil, XIX, 52 sgg.), senoncli 'ai suoi argomenti se ne pos-

sono aggiungerejmolti

altri.

__ 227

scompaiono come fa comodo a


persone determinate, quali
lo

il

bens talvolta anche

filosofo stoico

il

Damasippo

gastronomia Cazio, o tipi caratteristici,


servo Davo
ma anche dialoghi tra personaggi

scrittore

quali

lui,

di

Tiresia, componimenti cio veramente drammatici; ma anche narrazioni di fatti ai quali


il poeta ebbe parte o di cui fu spettatore, come il viagmitici, quali Ulisse e

gio a Brindisi, l'incontro con

nanzi a Bruto tra Rutilio

schiettamente narrativi,-

il

seccatore, la disputa di-

componimenti cio
mescolanza era anche magPersio,

e
la

giore nel predecessore di Orazio, in Lucilio:


di

questo aveva

la

nell'opera

sua parte la disquisizione bonaria

ma

sempre arguta, su argomenti etici, politici,


letterari, persino grammaticali e ortografici
n mancavano componimenti drammatici, che nel libro 17 erano
poste in iscena Penelope ed Euriclea, proprio come nel
quinto sermone del secondo libro oraziano Ulisse e Tiresia; ma, a giudicar dai frammenti, i componimenti narrativi, tutt'al contrario che in Orazio, prevalevano di
gran lunga. Lucilio narrava, con intenti sempre di riso,
processi, veri o inventati, di uomini e di di, banchetti
riusciti bene o male, viaggi e spedizioni militari, colloqui con filosofi. Orazio riprende certo i pi tra questi
motivi, ma non tutti, ed ben lungi dall' accettare tutte
quelle forme letterarie che Lucilio adoperava senza scrupolo si pensi che il libro 22 conteneva epigrammi funeL'opera di Orazio anche
bri per gli schiavi del poeta
o maligna,

come

nelle Satire
di scelta,

satira

romana da Ennio

loro

(1) Cfr.

Odi

classicistica, vale a dire

che intende cio a limitare

linea retta
il

nelle

mezzi.

La

opera

storia della

almeno ad Orazio forma una


Ennio erano ancora quello che

sino

le saturae di

nome

indica nel

suo

significato

Ullmann, Class. PhU. Vili, 1913, 176

sgg.

originario

(1),

Leo, liom. LilA'2S

di vario argomento, drammatiche,


anche didascahche (1), non Hriche per n di
non satiriche nel senso che diamo noi

miste, poesie

poesie

narrative,
alto,

stile

a questa parola.

Satiriche

nel

per grande parte gi quelle

mento

2t

significato

nostro erano

Lucilio; in Orazio l'ele-

di

dottrinale prevale di gran lunga senza riuscire a

cacciare in bando tutti gli

mutamenti
la satira diviene sempre pi una, assume sempre pi un
carattere suo. Ma al principio fu non l'unit, s la molteplicit. A una radice unica del genere non si deve
pensare esso si formato a poco a poco nella letteratura romana da elementi svariatissimi, non tutti, s'inpi romani (2).
tende, e forse neppure
Ma la lirica di Cercida , non che radice nica, forse
neppure una delle radici della satira oraziana. Ben a ragione il Praccaroli ha notato tra l'uno e l'altro genere
di componimenti caratteri comuni; ma dalla sua osservazione si ritraggono tutt' altre conseguenze, quando si
ponga mente ai giambi di Fenice e dei suoi correligioaltri.

Attraverso

che presentano

nari,

Anche
lenza,

che

ti

umane

non

pi.

ne vio-

passioni, la sciocchezza della concezione volgare

un ragionamento tutto mosso, pieno

Leo 206 8g.


Geffcken ha

intitolato s

greca {Xeue Jahrbucher

f.

d.

Studi sulla sa-

XXVII,

1911, 393 sgg.,

Alt.

singoli fattori della

satira si ritrovano nella letteratura ellenistica, solo

creato questo genere letterario.

d'inter-

un sno lavoro

kl.

469 sgg.), lua concliiude confessando che, se

matica

molte

invettiv^a

ragionamento filosofico quel ragionamento


smonta i pregiudizi, che ti mostra l'inanit delle

(2) Il

tira

stesse somiglianze e

ma

della vita;

(1)

le

nei giambi dei cinici trovi

La

Romani hanno

questione della satira dram-

(cfr. ora Ullmaxn, Class. FUI. IX, 1914, 1 sgg.) e quella


menippee varroniane sono troppo coutroverse perch si possano
qui anche solo sfiorare.

delle

1'J

rogativi, tutto figure, pieno di spunti tolti alla vita co-

una

mune...,

Per

comune

vita
xoic,

molto positiva e molto scettica

filosofia

insieme per

gli interrogativi e

vopaiv.

xaX;

ad-T.'.

si

pensi a Fenice v. 92 sgg.


[o

JIoizic>iT:7zt,

y.xzt.zocc,

aii-apaySiTou.

dvlcLc, e-(

X-'O-o'j

verbiali,

come mostrano

un proverbio

tioXwv, [ajOtO'j?

citazioni e

Fraccaroli.

Questi ha

persona determinata

a un Posidippo.

Ma

, sulle

che

il

'^pto; svO-sv

comune a

lo stile dei

coliambografi

di Orazio,

che nella sua semplicit

che invano cercheresti

quali insiste

discorso a qualche

ci sia

si

accosta

perch pi umile.

Orazio scrive alla buona, affetta talora

di

scrivere

alla

squisitezza di arte,

alla

Penice e consorti, importa qui


nostra ricerca. Cercida, invece, anche a detta
in

del Fraccaroli, foggia parole

ditirambici

come

difficile

Cercida

scrive,

pi alta

lirica,

o')

composte all'uso dei poeti


li imita, e non soltanto e

oserei dir io,

non principalmente con

L'

intenti parodici.

la questione della somiglianza metrica.

secondo io credo, in ritmi propri della


ad ogni modo assai lontani da quelli

supplito,

ma

par sicuro

chi supplisce altrimenti nel

verso precedente, <levo acconciarsi a ficcare una zeppa in questo.


(2)

anche i coliambi contro rata-/poun Parno il carme di Penice

senza dubbio di pi a quello

(1)

(2)

almeno
oraziana quanto le

osservato

rivolgere

il

sono indirizzati a

Pi

Gerhard

Xwv ce

72):

(v.

reminiscenze di poeti

Cercida e ad Orazio

poco

o'Orcpy'.v

e la predilezione pei proverbi

altrettanto caratteristica per la satira

xoo'j-

citato dall'anonimo xax' a:a7pcxp''a5 che

[}.^zVj IvO-' ^ld-ey,

buona

ojv]

erano pro-

tre centesimi

passi raccolti dal

precede nello stesso papiro

xpsta

dalla

(1) ctx:a; [iv XcXtf^-

G]\j[i'^Afjrj'/.vj

ypr^{xxwv

xt

[to?

tolti

yaXxwv. Pochi versi prima aveva nominato

Qio'jc x[pt]wv

il

spunti

gli

Phoinix 137.

^S'M

della prosa; l'esametro di Orazio invece assai rotto e

piano, quantunque,

prosa
e

come mi sembra, non tanto da parere


avvicina, com' noto
il giambo si

Alla prosa

(1).

che

gi sapeva Aristotele, assai pi

come

il

dattilo

coliambografi scrivono giambi cui l'allungainonlo dell'ultima breve doveva togliere gran parte dell'effetto
i

ritmico normale. Ora l'esametro nella satira, per cosi

dapprima settenari
un
fa
non
Orazio
certo punto in poi soltanto esametri (2)
se non continuare Lucilio non solo quanto alla scelta del

un succedaneo: Lucilio

dire,

scrisse

trocaici, poi i)romiscuamente senari ed esametri, da


;

metro ma anche quanto al modo di maneggiarlo, 11 trimetro nella satira pi originario che l'esametro.
Questione del tutto diversa se Orazio abbia letto
Cercida. Il Fraccaroli inclina a crederlo il Lenchantin,
;

me sembra

con ragione, nega che si possa provarlo.


Cercida e Orazio mettono alla pari l'avaro e il prodigo
e a

{Mei.

col.

I,

II v.

miglianza tra

5 sgg.; Serm.

II,

3,

due poeti piuttosto

166-67),

ma

di pensiero

la so-

che di

sentenza sar stata patrimonio comune delle


varie scuole ellenistiche di filosofia: Cercida cinico;
Orazio la pone in bocca a un commerciante di oggetti
parole.

la

Damasippo, il quale per non fa se non riragionamento di uno Stoico da strapazzo, Stertinio

d'arte fallito,
ferire

il

tra l'etica cinica e quella stoica corrono molti fili. Il Fraccaroli ha confrontato, e questo riscontro di evidenza assai

maggiore, a
Xy,5,

oxa

yops 'A-f po5:xa xal x

xp-/(^Yp,.o'j cp^o;,

TuvSapoio

(1)

5'

Esso

56-/.i

y^P-??^?

|xyj5v? jiXctv. TraviV.a

oO xapa)(- xozoci

""''''

W^'^ ^-O^

'^oXG)

pi simile, coni' noto, al vecchio

esametro di Ennio

e di Lucilio che a quello classico, che appare a noi per la


nelle traduzioni di Cicerone
(2)

da Arato.

V. Leo, Bni. Ut. 409.

y.ataxXtva;

due versi (125-126)

prima volta

della

23i

seconda del primo

satira

dextro corpus mihi laevoni,

Ilici et

libro haec

Egeria

est;

uhi

siipposuit

do nomen quod-

illi. La somiglianza davvero grande; ma tuttavia


non mi par necessario supporre che Orazio dipenda da
Cercida. E anzitutto mi sembra da escludere che, come fa

libet

intendere

Fraccaroli, Orazio abbia voluto

il

come poche righe

cida,

pi innanzi

citare Cer-

aveva

citato l'epi-

grammatista e filosofo epicureo Filodemo. Questi era


molto pi moderno di Cercida, era in voga nei circoli epicurei frequentati anche da Orazio; eppure il poeta, perch s'intenda di chi sono quei versi, fa il nome dell'autore; quello di Cercida, non lo fa. Non solo; ma invece
di Elena nomina llia ed Egeria: come avrebbero potuto
indovinare che lo spunto era cercideo, se i nomi
i lettori
erano del tutto mutati? Eppure essi non erano tenuti a sapere a memoria i versi di Cercida, mentre invece a scuola
avevano imparato a mente Callimaco ed Ennio (1).

Ma
senza

Orazio,

citarlo.

obietter, potrebbe usare

si

Neppur questo mi sembra

di

Cercida

verisimile. Orazio

continua qui l'esposizione di dottrina epicurea, seguita a


svolgere

che gi contenuto nei versi di


pu immaginare che egli muti qui

concetto

il

Non

Filoderao.

ci si

un tratto di fonte ma converr invece riconoscere che


Cinici ed Epicurei avevano in comune la dottrina che

d'

bisogni naturali fossero assai

vivano dello stesso

xkoc,

facili

preferire le meretrici, pi sicure


alle

donne maritate,

diversa in

(1)

scrittori

(lei

XllI 5851)).

1'

Elena

la

degli

Eleiia

siili'

attica

accattoni

si

ser-

consiglio

di

buon mercato,
coloritura non molto

filosofi,

meretrice

11

e pi a

ritrova in

punto

resto lo scherzo

ventato da Cercida
ntwxs^svyj,

si

a soddisfare e

per sostenerla.

l'

nei

comici

da strapazzo
K(xX}J.jz:ow

Elona

attici.

In

etato in-

era

chiamata

accattona

(Atlieu.


Ateneo

568 d)

(XIII,

-UH

consiglia a un Cinico di far uso

si

il
consiglio con passi della commedia: Filemone esaltava Solone quale inventore dei postriboli: La porta aperta; un obolo; salta dentro (fJOd) .
L'obolo, che pur era il prezzo consueto del biglietto di in-

dei bordelli e

si

conforta

gresso al postribolo

mone

(l), ci fa

stesso precede:

Ma

ricordare Cercida.

Stan

in File-

nude, perch tu non possa

essere ingannato: guarda bene tutto . Quest' tal e quale


l'oraziano adde Ime qiiod mercem shie fucis

fjestat,

aperte quod

venale hahet, ostend'd, nec siquidhonestist, iactat hahetquepalam,

quo turpia

qiiaerit

celet.

Un frammento

di

Xenarco

(ibd.

569 a sgg.) deplora, come Orazio, che


giovani preferiscano esporsi a pericoli, pur di aver commercio piuttosto
i

con

matrone che con

le

mentre queste ofL'adultero qui dipinto con

le meretrici,

frono tanta libert di scelta.


gli stessi colori

che nella satira oraziana: l'entrare per una

scala a pioli o per


tetto

o nascosto

una

finestrella posta proprio sotto al

nella paglia

accoppia bene con la

si

descrizione della paura e della fuga dell'adultero, che

chiude

sermone

il

di Orazio.

Eubulo (569 e) consigliava

l'uso di quelle donne, Tiap' wv


[jitxpou

Tipiaa^aL

mone ha

Da

'^t'^jyAnz

-ffOYl;^/

i-^yjMZ x

come

l'

riscontro nel cinico Cercida, cosi

magno

nel non

ty]V

'/.piJiato?

pretio

dell'epigramma

di

titi-J. ay.

^oX? di Fileil

[l'.xpv

y.ip\x7.

Filodemo.

questi riscontri, che con poca fatica possono es-

sere aumentati,

mi pare

chiaro che la letteratura

risulti

cinica sia epicurea

filosofica popolare, sia

Gerhard 169.
E uon solo cinica ed

(2),

attinge

(1) Cfr.
(2)
l'

Erotico di Plutarco (759

OTt,

SpaxiA^S

Itoci

spiv OTCSjieivs. Il
il

O'j'cs

f)

epicurea
asserisce

auche

iiu

personaggio del-

f^g 'A'^poStxYjg Topyov wviv

71V0V oSeg o'jts xiv5ovov cppoSiaiwv

Ivsxa

prezzo dei bordelli doveva essere aumeutato

Tnog proviene dalla letteratura,

della vita.

ma

}iy)

che

come nutrito dalla pratica

a un genere letterario assai poco filocommedia. Alla commedia attingeva Lucilio,


che pure nel libro XXIX {v. 859), a proposito di mere-

dottrina e

ttio;

sofico, alla

asseriva

trici,

a dir

cos,

corpus solidum invenies,

Me

stare ijapillas

Lucilio che di fanciulli, che erano,

(1);

corrispondente maschile di meretrici, diceva

il

866) qui

(v.

liic

marmoreo

pectore

et

poscent minus

offerte e favori delle

peresne? doce

{v.

praebebunt rectius multo

che consigliava, pare,


matrone at non siint

sine flagitio; Lucilio

alle meretrici

et

ncque dant

quid,

di respingere

cio

similes

dare vellent

si

et

acci-

868).

Orazio dunque riprende nella seconda satira del primo

un motivo che Lucilio aveva


dalla commedia lo aveva

libro

come

dia,

lo

svolge in piena conformit


Heinze, vero, anni sono in

popolare

(2),

una dissertazione meritamente famosa


Orazio negli ultimi versi segue
gli

comme-

attinto la letteratura

le dottrine epicuree. Il

filosofica

con

attinto dalla

Epicurei

veva essere
poeta
tace

piuttosto

poich la dottrina autentica


assai diversa

sostenne che

(3)

Cinici

di

da quella raccomandata qui dal

sostenne, abbiamo detto, che ora nel

su

questo punto, essendosi

congettura non essere

che

Epicuro do-

bene

forse

accorto

fondata.

commento

infatti

la

sua

del

tutto assurdo supporre che Orazio proprio in fine della

cambi fonte

satira

anche

versi che appaiono ora cos

non

demo

(1)

(Rm.

la

chiusa,

simili a

compresi

quelli

di

due

Cercida,

non svolgimento dell'epigramma di Filoo espone qui forse anche Filodemo, autore di
se

La somiglianza

Lit. 410*),

tra Cercida

che ha per

il

Lucilio osservata dal

torto di

non

iiensare,

Lko

come neppure

hanno pensato, alla commedia.


Poco importa so Cercida lo abbia attinto dirottaniento dalla
commedia o lo abbia ricevuto dai suoi maestri cinici.
(3) De Horatio Bionis imitatore (Bonn 1889), p. 22 sgg.

gli altri
(2)

i>:}4

tanti e tanti trattati epicurei, dottrine

non epicuree

ma

ci-

niche? Certo rEpicur(!0 autentico consigliava la massima


moderazione n(dl' uso dei godimenti sessuali. Egli considerava il desiderio di tale volutt quale naturale s ma
non necessario (fr. 450 Us.), e in una lettera a un discepolo giungeva ad esclamare malinconicamente: -fpoiaca oinoxe wvrjaev yaTir^tiv 5

ci [x-q

Ji5a'];v;

la

volutt

non ha mai giovato, uno si dovrebbe gi contentare che non avesse fatto male (1). Ma in quella
stessa lettera egli mostra di non avere in massima alcuna ripugnanza contro piaceri di tal genere allo scosessuale

laro egli consiglia di consentire alle sue tendenze erotiche

solo

quando

verchio

i(x-/.zla\)-xi

v[Aoi)c;

7iuv9-vo(ia''

/cax

xr^v

xcv

\xrfze

XuTif,c;

xaTa xaxavaX'laxYjc;,

x xaXw;

[xy^xs

zr^v

ypw w;

senza dispendio so-

apxa

x:vr^acv 'fO-ovw-cfrOV

evxeu^ov oh o oxav

7ip5 xr^v :ppo5ca:a)v

xaxaXuY];

TcXrjCTiov

aou

ne

senz'offendere ne leggi

possa fare

lo

costumi, senza danno della salute,

eO-y]

apxa

[jO'jXei

y.''jjiva

y,ivf,c

xaxaca''vr,;

-7^

[i,7,x

\ii{iz xo-j;
[iTJxs

xwv

x vay-

otjxc'j Tz^oT.piazi.

Ag-

non incappare in
qualcuno di questi danni ma le parole, che abbiamo riportate di sopra, mostrano che l'usare o il non usare con

giunge, vero, che difficilissimo (2)


;

meretrici era per lui

solo

questione di opportunit

quanto sappiamo della sua etica, il frequentare il bordello avr urtato secondo lui tutt'al pi contro opinioni
vane, S^ac xvai, non gi contro costumi ragionevoli, l^r,
xaXto?

x''{i,va.

Del resto non importano qui tanto le opinioni di Epicuro quanto le dottrine dei suoi seguaci, e Origene {e.
Cels. Vili 63, fr. 535 Us.) informa appunto che gli Epicurei sconsigliavano l'adulterio

(1)

Gnomol.

Vai.

non per

la

turpitudine

51 {Wiener Studien X, 195).

(2) ixiiXO'-'^oy iivxot

t ys hy] oOx ivi y xiv lOJxtv C'jvsx,ea9-at.

235
dell'azione in se,

ma

per

pericoli

che con essa

si

ac-

corapag)iavano, vale a dire per quelle stesse ragioni per

biasimavano comici attici ed Orazio. Anzi un


raffronto accurato mostra tante e tali somiglianze che
forza ritenere che Orazio attinga qui proprio da una diale quali lo

triba epicurea.
Orig.

oi

5i xoizo o
ouotv,

Orazio.

'Eraxo'jpo'j o
iioiy^s'-

Tixovxai

&Ti

37 Audire

est

operae irretium procedere recte

5i T v=vo|ii>cvat t-

qui moechis non voltis, ut omni parte laborent

Xog

aique

5'

T/jV fjSoVYjV, 7ioX?.

navxv xwXoxix

(ICf?

atqtie

illis

multo corrupta dolore voluptas

haeo rara cadat dura nter saepe pericla,

x^ xo [loixsusiv

TjSov^ xal a6-'oxs

Xaxg

hic se praecipitem tecto dedit

cpoy^S

Tj

ille flagellis

cp'j-

ad morlem

caesus;

fugiena

hic deeidit

acrem

>]

praedoium in furiavi, dedit hic pr corpore nummos.

9-avdxou$,

'KoXXd^ic, 8 Ttp xoxtov yal xtvS'jvoug

xa-

132 discincta tanica fngiendumst


ne

nummi

et

pede nudo,

pereant aut puga aut denique fama.

xx7n,x-^psvxTf]v

xo vSpg s|o5ov
.Tz xriz

XV

olxias xat

127 nec vereor

ne,

ianua frangatur,

dum

futuo, rir rure reourrat,

latret canis

xSLVO'J ifpo-

vouvxwv.

Il

confronto cos chiaro che converr oramai ragio-

nare inversamente e asserire che

passi oraziani confer-

mano che Origene riferisce con fedelt la


Epicurei. Non dunque senza ragione da un
Cicerone (Tusc.

V 94)

(1) si

(1) obscenas voluptates....

aetate, figura

dottrina degli

noto passo di

suole indurre che gli Epicurei

non genere aut

loco aut ordine, sed

metiendas putant (cio gli Epicurei).

forma,


davano

gli stessi consigli

appare fedele,

se non

23r)

che Orazio; e Diogene di Enoanda


maestro primo, almeno alla sua

al

scuola, (piando dice inutili alla felicit ricchezza e gloria

civica e

regno e

il

molle e

la vita

il

lusso della tavola,

non gi le volutt d'amore, ma il raffinamento nelle


volutt d'amore (1).
Vero , secondo me, che Orazio, quanto almeno al
che la questione della forma
contenuto della Satira

tutt'

altra

meno

deriva molto

molto pi fedele

dai Cinici ed rimasto

alle dottrine epicuree di

creda comunemente

ma

fu scolaro non di Epicuro

deve immaginare che

quanto ora

si

Solo bisogna ricordare che egli

(2).

non

di tardi epigoni, e

seguaci del Giardino siano

si

ri-

masti per secoli e secoli in tutto fedeli alle opinioni del


maestro senza mutarle in nulla, che sarebbe contro la

natura delle cose

umane

Che difficolt c' ad ammetpropaganda abbiano adot-

(3).

tere che gli Epicurei nella loro

tato anch'essi un'idea diffusa nell'etica popolare e l'ab-

biano confortata di un

commedia

gi svolto dalla

-ztzoc,

attica ?

(1)

bnb

Fr.

XXIII WiL.

xr,; cpuasco; xx'/jaiijsvot

ax 5'Jvaxai uapas/sv
xog po5
(ii^x'

y.%i

XXo
(2)

Si

pu essere

xXog

iiyjts

5ga

xpscns^wv uoX'jxXsia

xi

felici

solo x

8' axi, zo\izo.

uoXsix-.xy) [irjxe ^aatXia


[yjx'

-i^y;-:o'J[jivov

cxt xs jiv^xs
|iy,0-'

-XcOxo;

i^poSiai-

cppoSsiaiwv YX=Yp.iva)v

rfiowfx.1

iirfivj, cpiXoaocpia 5 Tiipmcilisl livvj].

Sulle fonti filosotclie delle Satire spero di tornar presto al-

trove.
(3)

Tra

segnaci di Epicnro sorsero spesso controversie di inno-

vatori con seguaci ortodossi delle dottrine del maestro


nieglii,

ingegnosamente sostenuti

(Riv. di

FU.

XXXVII 1909,
Mits. LXVI

LIPPSON [Eh.

60 sgg.)

ma
le

arbitrari,

v.

contro

del nostro

di-

Bignonk

assennate osservazioni di R. Phi-

1911, 231 sgg.).

237

4.

In quest'ultimi tempi
imhres e specie

24

due epicedi

quis desiderio

romane pi

piuttosto con consolationes

neraria anteriore.

Da

che

precetti

ion

di letteratura fu-

si

noterebbero

professori greci dell'et

periale impartivano nelle loro scuole di retorica


alla

[j.ovq)o:a,

semper

confrontati

certe somiglianze, che essi presente-

rebbero con quelle, da certi riscontri che


tra essi e

stati

tarde, soprattutto

che non con quel che resta

di Stazio,

li

sono

all' TOxcpco;,

al

uapaixut^Yjtcx?,

come

im-

intorno
divide

questa materia il secondo dei trattati attribuiti a un Menandro (1), o intorno all' Tziixrpioc, soltanto, come la com-

prende in un nome unico V ars dello pseudo Dionigi di


Alicarnasso (cap. VI) (2), si voluto inferire che Orazio
attinge qui i motivi della sua lirica da manuali elleniche mette in versi luoghi comuni della retorica (3).
Questa conclusione appare gi a prima giunta sospetta
stici,

parr strano che

l'

della

influsso

retorica su

Orazio

si

scorga appunto quasi soltanto qui; possibile che egli proprio solo quando aveva a comporre, diciamolo pure brutalmente, una lettera poetica di condoglianze, rivolgesse
la

agli studi retorici della sua adolescenza ?

mente

il

ragionamento, da cui quella conclusione scaturisce, viziato

da pi

Sia o

(1)

ambedue

di

un

no costui

errore.

il

retore

Monandro

li

Laoclicea, par certo elio

trattati siano stati composti verso la fine del terzo secolo

dopo Cristo: Schmid, Pauhj-Wissowa VII, 1134.


(2) In verit per (jnesta parto un manuale
nini

Kadkrmacuek,

(3)

hi.

Ali.

nouKG

dell'et degli Anto-

Faulji-fViHsowa V, 969.

Un pensiero giusto e lino del Reitzenstkin


XXI 1908, 82) stato esagerato e travisato
{ibd.

XXV

1910, 271 sgg.)-

{N. Jahrb. f. d.
da M. Sik-

cos


Infatti esso

trine retoriche,

238

non considera che (Jrazio, oltre 1(3 dotpoteva avere ed ebbe probabilmente pre-

sente tutta una letteratura poetica alla

giunge parimenti

quale

ricon-

si

la pratica e la dottrina dell'eloquenza

funeraria dell'et imperiale: anche se non fossero

come

servati,

con-

sono, frammenti di elegie mortuarie di Ar-

chiloco e di treni di Simonido, anche se non solo fossero

andati smarriti tutti gli epitymbii ellenistici, che sono di

natura un po' differente,


notizia di epicedi

sandrini

lirici

ma

si

fosse perduta

ogni altra

o elegiaci composti dai poeti ales-

pure un passo appunto dell'ars dello pseudo-

Dionigi avrebbe dovuto mettere in guardia

Siebourg

il

e rattenerlo dal formulare asserzioni precipitose. Dionigi

Non avremo

scrive:

soltanto

collettivi

pieni di essi, sia

scarsit di modelli per

ma

individuali

che

cosiddetti epicedi, sia

v' grande abbondanza

di tali discorsi in

epitafi

treni; cosi pure

forma prosastica

sia nella letteratura antica, sia in quella pi recente

modo come

Il

lo

pseudo-Dionigi propone

non

carmi sono

(1).

ai suoi discepoli

di retorica indistintamente

carmi e prosa ad imitare, ba-

sterebbe a indicare che

fu

ci

antica e che essa svolgeva a

una poesia funeraria pi


un dipresso gli stessi mo-

che ritroviamo in Orazio e nelle Consolazioni, anche


se non sapessimo che la prosa d'arte, la cosiddetta eloquenza epidittica, quella appunto che s'insegnava a scrivere nelle scuole di retorica, sostituendosi anche in altri

tivi

campi
anche

ambisce di continuarla per ogni rispetto;


termine di [jiovwo'a non dicesse che

alla poesia,

se lo stesso

(1) II 278, 7 Us.

pa8stY|J.aT)v),

tts

~oi

o'jy.

7topr,ao|j.v O'JS tjv Tipg

xal T uotyjiiaxa

o'jTcos Gv&[Jta^[isvo'. ^y7,^/o'. to'


aT'.

TotO'JTWv

[iSVOlg.

XYWV V te

iole,

ixaaxov

{iEox totcov,

cbaatiitog nXo'noc,

uoXg

naXai xai Tog Xcyov

tjv

ci

(scil. 7ia-

my.rfieioi

xaxaXcya5r]v

xi Tipo

7j|ji(j)v

ysvo-


r eloquenza emula qui
euripidei

239

pathos dei canti degli attori

il

(1).

Quindi, che motivi degli epicedi oraziani

con
con
cili

le
i

prescrizioni

dei

accordino

si

magari siano identici

trattati, o

motivi, che s'intrecciano nelle poesie di troppo do-

discepoli della retorica, dell'autore della Consolatio ad

Liviam e

non prova nulla;

Stazio,

di

o dimostra tutt'al

pi che proprio della natura umana, quando


o compiangere o consolare
certi sentimenti e

mettere

rebbe la dipendenza

di

una sventura,

si

vuole

fare appello a

in luce certi pensieri.

Prove-

queste liriche dalla retorica chi

mostrasse che in Orazio ricorrono tutte o quasi tutte


parti che

distinguono

trattatisti

negli

gi nello stesso ordine che essi prescrivono.


cosi:

secondo

gli

insegnamenti dei

le

epicedi, su per

Ma non

trattati parte indi-

spensabile sia dell'orazione funebre sia della consolazione

un encomio

del morto, distinto nelle lodi della schiatta,

della nascita, dell'indole

modo

dell'educazione,

del

dovrebbe seguire un'esaltazione


Che c' di tutto ci in Orazio? Si obiet-

di vita, alle quali

delle opere (2).

(Ij

naturale,

Anche Menandro

cercati nella poesia,

ma

sa cbe

|jiov(o5{a vanno
Omero, cbe introduce Andro-

primi esemiii della

risale sino a

maca e Priamo ed Ecuba a lamentare la loro sorte (p. 434, 11 Sp.).


La derivazione non sorprender chi ripensi die per Platone Omero appartiene al Ysvog au|Ji|JLt>CTOv ma non credo che autori del buon tempo
;

avrebbero chiamato
(2)

Menandro

chiaro, dico

secondo
stessi

ycoy^i;, Tptxgswg,

nell' x(tY>

1'

monologhi omerici.

e lo xisendo-Dionigi coincidono quasi letteralmente:

il

deve derivare dagli


cpaecos,

oiSai

(p.

278, 16), che la lode uell'epitalio

luoghi che nell' encomio

ma

poche righe

pii

si

TtaxptSo;, Ysvoug,

innanzi egli distingue

vatpo-^>^, la nai^sia, gli Tiixi^SeuiiaTa.

Monandro

(p.

420,

10) prescrivo per l'epitafio l'uso dei luoghi encomiastici consueti, ysvot>;,

YEvaswg, cpuoecDg, vaxpocp^S, TtaiSeiac,

7rtT]8eu|jixtt)v;

(420, 25) seguono quale parto principale le upagsij.

che Menandro distingue la Yvsaij dal Y^vog

La

subito dopo

sola difterenza

considera categorie, coor-


non

ter che

minute

ragiono

vi

!240

aspettarsi partizioni cos

di

Ma questa osservazione
che Hrica concettosa non pu dipen-

in lirica cos concettosa.

significa tutl' al pi

dere dalla retorica, ci che anch'


poesia
il

conformi

si

buona

di

poeta, a precetti di

genere,

tal

Stazio nelle Selve. Questi


il

in
ai

K come

credo.

se

vuole

mostra l'esempio

di

accomoder a cantare anche

si

{siv. II, 1, 72 e
quasi con
metter
06
spiritosamente
sgg.)
5,
luce che essi discendono da progenie, relativamente
pi tra i servi, nobile
si
acconcer a celebrare la

servi

di

yvos

le

io

mala voglia,

o di

liberti

parole

stesse

cultura

(II

113 sgg.) e

1,

50 sgg.)

le virt (II 6,

di j;j<en

Menandro (414, 16. 421, 16) e Io pseudo-Dionigi


(283, 8) impongono a una sola voce che alla fine dell'orazione funebre non si trascuri di accennare alle sorti felici di cui le anime buone godono oltre tomba. E la visione
dell'estinto che vive beato oltre la morte, come si ritrova
nella Consolatio ad Liviam 329 sgg. (1), cos manca di rado
delicati.

227 sgg.; II 6, 98 sgg.; V


tutto ci nei due epicedi oraziani

in Stazio (II

Nulla

di

1,

strofa sola sarebbe bastata.


si

dimentichi di impartire

1,

251

sgg.).

eppure una
Menandro prescrive che non

ai

congiunti la debita lode per

che essi ebbero, del funerale e del sepolcro la


Consolatio ad Liviam si distende su questo argomento per
la cura,

quasi cento versi


esaltare

1,

il

208

'^oY'f].

(1)

altre,

La

alcune che per

pure non pare

|ivo5 sXiou

TivTttv

il

stessa lista

sia greca classica

etc.

(fr.

cfr. nei

si

si

(II 1,

lo

157 sgg.

di

II 6,

pseudo-Dionigi sono sottospecie

ritrova ancora in

Menandro

p. 413, 10.

938, cita molti altri esempi di poeti e

sia accorto

che la fonte j)rima la poe-

frammenti dei treni

con quel che segue


131).

non manca mai

85 sgg.;
morto un bimbette schiavo o la

Lo Skutsch, PTT. IV

prosatori

)iv

sia

sgg.),

dinandole alle
dell'

167-264). Stazio

(v.

lusso delle esequie

(fr.

di

Pindaro

lolai Xd|i7:ei

130 ScHR.) e xa

a)|ia

|Jiv

^41

moglie del poeta. Orazio non vi accenna: anche questo

un segno che non si cura di regole.


No, Orazio anche qui ha derivato i motivi non dall' insegnamento scolastico ne da prose contemporanee, ma
dalla poesia. I 24 finisce, com' del resto noto, con una
II 9 riprende il motivo del vacitazione di Archiloco
riare del tempo e delle stagioni, cos frequente negli epigrammi ellenistici, e lo applica all'epicedio. Come non

avrebbe fatto suo pr' dei treni di Pindaro chi scrisse di


lui: flebili sponsae iuvenemve raptum plorai et viris animumque moresque aureos educit in astra
(e.

IV

egli,

2,

oltre

21)? Pu rimanere

che

carmi dei

nigroque invidet Orco

solo dubbio, in che misura

classici,

abbia avuto presente

poesia pi moderna. Quel che sappiamo della sua dipen-

denza da forme alessandrine negli inni e nelle liriche parenetiche ci suggerisce che egli abbia messo parimenti
a profitto per questi due epicedi poesie del III secolo
avanti Cristo, fors' anche pi recenti.
La ricerca presenta per questa volta difficolt ancor
pi gravi che per i due ylvr] di cui dicevamo dianzi:
troppa parte della letteratura poetica che dovremmo confrontare con Orazio, smarrita. La Lyde di Antimaco
che, sebbene scritta da un contemporaneo di Platone,
precorre gi la letteratura ellenistica, perduta quasi per

pochi frammenti conservati non informano se


non intorno a particolari mitologici, cosicch, se la Consolatio ad Apolloniiim, che va sotto il nome di Plutarco
(106 b), non ce lo dicesse, da essi non scorgeremmo neppure che Antimaco scrisse quest'elegia per consolarsi
della morte della moglie con l'annoverare le sciagure degli
eroi, tentando cos di consolare il suo dolore con le sventure altrui (1). I frammenti e il passo della Consolatio,
intero

(1)

16

Ancor meno

si

ricava da Ermosiauatte (ap. Atlien. XIII 508

a).

-24-2

con

mostrano solo che la


che, cio, anche
se fosse conservata, poco ne potremmo ricavare per Orazio. Se il Telefo di Filita fosse un carme in morte del
padre del poeta, che si chiamava infatti cosi, o solo
messi a riscontro

Lyde

gli uni

l'altro,

era piuttosto narrativa che

ima poesia a

lui

lirica,

dedicata, o se piuttosto cantasse

casi

non possiamo determinare in alcuna


maniera; gli epicedi di Arato per il fratello Myris, per
Cleombroto, per Theopropo (2), quello di Euforion(; per
r astrologo Protagora (Diog. Laert. IX 56), quei di Partenio per la moglie Arete, per Archelaide, per Biante,
per Auxithemide sono vani nomi senza soggetto. La forma
metrica, dovunque la possiamo determinare, era elegiaca,
ma spesso neppur del metro abbiamo notizia. Del carme
di Callimaco in morte di Arsinoe Filadelfo, ritrovato
pochi anni or sono in un papiro (3), lirica si la forma
metrica, archebulii non privi ancora dell'antica libert
eolica del primo piede (4) ma ripetuti y-ax oxiyov, lirica
dunque solo nel senso in cui questo nome conviene a
versi destinati alla recitazione o alla lettura, non al
del Telefo mitico

canto

ma

quasi del tutto

presentare e lo
cui

(1),

ispirazione

stile.
il

Dopo

narrativo

il

modo

di rap-

l'invocazione al dio, senza la

poeta non potrebbe nulla, Callimaco

passa a cantare che Arsinoe era gi assunta in

(1)

cielo.

Kagioni di qualche peso in favore di quest' ipotesi sono state


campo dal Cessi (Eiv. di fi. XLII 1914, 283 sgg.).

portate iu
(2)

Maass, Aratea 233 sgg.

(3)

Pubblicato e commentato dal Wilamowitz, Beri. Sitz.-Ber.

1912, 524 sgg.


(4)

Lo schema

-^^-^^-^^-jj^^-^

la

forma con giambo

ini-

un verso, dov' giustificata dal nome proprio;


la cesura o dieresi fissa dopo il terzo anapesto prova che il verso era
recitativo. Il dialetto del carme dorico, come quello dei due ulziale si trova solo in

timi inni.

243

mentre appena incominciava a diffondersi in terra la nosua morte, mentre luci di fiaccole la portavano da un punto all'altro dell'Egitto. Il papiro cos
lacunoso che, quantunque citazioni di Efestione diano
modo di integrare qualche verso, non s' intende del principio se non questo poco che abbiamo detto
anzi, invece di intendere, s'indovina. Dei venti versi seguenti
rimangono solo le ultime lettere. Il primo verso conservato quasi per intero dopo la lacuna mostra che in essa
si raccontava come la notizia giungesse a Proteo. Poi si
tizia della

narra come Piloter, una sorella del Piladelfo morta fan-

da Demetra nel numero delle divinit


Lemno, dove si trovava a far

ciulla e accolta

sue seguaci, scorgendo da


visita a Efesto

alla famiglia,

il

mare

tracio coprirsi di

fumo, s'inquieti e mandi l'ospite sua, Charis, sull'Athos


a vedere se bruci una citt; come questa osservi e rife-

fumo venir dall'Egitto e annunziare sventura:


qualche grande dover essere morto. Il resto manca ma
scorgiamo chiaro che lo stile quello consueto di Callirisca quel

maco

nelle poesie narrative, lo stile che ci diviene ogni

giorno pi familiare,

man mano

della Hecale e meglio degli Aitia


riodi

semplici e

parole

rare,

nuovi frammenti

che

vengono

trapassi

alla luce: pe-

agili

indugiar

lungo su particolari, azione rapida e discorsi che


stendono a bell'agio per versi e
dell'epicedio

leggero

non

vi

traccia;

il

Della

versi.

tono

allegra, quasi burlesca la

si

si

di-

tristezza

direbbe

quasi

maniera come

gli

di sono effigiati qui, del pari che in altre poesie di Cal-

limaco, simili a uomini dell'et sua.

N cordogHo

o so-

lennit erano, chi" ben consideri, richieste dall'argomento:

Arsinoe era stata assunta tra


preghiera ad Apollo

ch

la

tw5'

eteiv....

5uva:|xav

in principio di

gli di,
'(iiii)

non era morta. Poi-

O-ei;,

y^P

^Y''^

^'X^

sarebbe legittima e consueta anche

un carme narrativo,

di lirico

non rimane


se
in

non l'apostrofe; vjn'fa,


mezzo alla narrazione

a|u'ja-:o;],(T)

?;a:|jioT.v

Ui
aj
l'

aTpiav -" na:av

(iv

invocazione

(v, 45j aio

che

p-ayiV^i (1). Piuttosto

gli

t^Tj

5'

e
y//

epicedi

dovranno confrontare con l'Arsinoe poesie oraziane


cum fraheret, nelle quali lo stesso il dissidio tra il metro lirico dall' un lato, il contenuto epico

si

quali Pastor

quasi epico dall'altro.

lo stile

Che rimane
tare con

che

di epicedi ellenistici

si

possa confron-

due carmi oraziani? Dei due conservati nella


raccolta dei Bucolici l' epitafio bioneo di Adonide pare
anch'esso a prima vista piuttosto narrativo che lirico,
sebbene elementi lirici, nonostante la forma esametrica,
vi abbiano parte pi cospicua che nell'Arsinoe callimachea. Bione, dopo l'esortazione ad Afrodite a destarsi e
levar alto il pianto per la morte dell' amato, passa quasi
insensibilmente a descrivere il corrotto della dea e le
i

Due esametri, il cui senso si riassume in breve:


lamento Adonide, lo lamentano con me gli Amori ,
danno come il tono fondamentale della poesia; un esametro
dello stesso senso, di parole un po' diverse, chiude ogni
lassa (2j, fuorch due, delle quali l'una contiene non pi
esequie.
io

(1)

Non

si

potrebbero confrontare apostrofi epiche qnali tv b'&~x-

fisipjievog Tipoas9Y]5, Wj]ia.<. ouptxa.

triche la formula

sempre

ed molto pi densa di

un

Qui

la stessa; in

appunto perch

sijruificato,

me-

in ossequio a necessit

Callimaco l'invocazione varia


il

poeta mira a

effetto lirico.

67 a^u) tv 'ASwviv

(2) 1 sg.
v.a,Xbc,

"AScovig' naia^ouGiv "Epoates

C;o'jat.v

'Epwxss

'

TtwXsto HaXg 'AScovi^'. 'wXsto


6.

15 ai^to xv "AScovtv na-.-

28. 86 'alai Tv KuO-spstav

'alai xv Ku9-spetav v.Xexo

'

sTtoti^ouatv

"Eptrtxeg

ritornello nel v. 39 Knpiog avv spiota xig ox ixXaoasv av alai;

qui precede:
vig'. x''^ ^'

al r.

vxE^aosv 'TitXsxo xaX; "AStovtg'

67.

ma

Afrodite canta 'alai xv KuS-psiav, <ia)Xsxo xaXcg 'Atw-

parte della lassa accenna gi

nano

63

xaXg 'AScovl^'. La forma pi libera del

il

vale a dire l'ultima

ritornello con quelle parole che ritor-

ii4o

narrazione,
(v.

ma

nuovo esortazione

di

(v.

68 sgg.), l'altra

87 sgg.) circoscrive tutta pi distesamente appunto

quelle parole di compianto

Ogni lassa, tranne quelle


due, parimente introdotta da un verso sempre diverso
ma di significato sempre simile. Non strofe sono ma lasse,
di estensione non esattamente pari le une alle altre, ma
di significato compiuto come le strofe della lirica. E anche quel non ritornello ma specie di ritornello di cui
dicevamo, che sta esso stesso all' efimnio dei cori tragici
come la lassa alla strofa, d quasi l'illusione che i versi
(1).

rispondano l'uno all'altro pi esattamente che

essi

in

non facciano. Ha movimento lirico anche l'esametro,


spezzato spesso dalla cesura in due met, che si corrispondono anche nel senso o talvolta, come nella lassa
V. 87 sgg., congegnato cosi che il primo emistichio del

verit

verso seguente ripete o quasi

secondo del precedente.

il

ma

poeta non narra con disinteresse epico,

il

gia le scene, isolate le une dalle altre e raccolte


se stessa

in

merc quegli

ognuna

dicevamo, con

che

artifizi

tratteg-

tanta passione che quel suo rivolgersi in

nome

proprio

ad Afrodite nel mezzo (2) e nella chiusa (3) non istuona


ne meraviglia come noi non ci stupiremmo, presenti a
una rappresentazione teatrale che ci appassiona, se uno
;

spettatore parimenti appassionato interrompesse gli attori

(1)
s-.t

Imeneo canta

TrXov

'cXexo
uoX)

y}

xxXj "ASwvtg

nXov
(2)

Tion pi

O|j.vxiov (v,

68

7]

90);
sv

'

u[iy,v, ujiT^v,

lo

C'hariti

XXaXaLO'.

Spuiictot.

75 pdXXs S

vt,v

aal

'

Xsyoiaai,

y.x

'tv "Atov.v'

lglio

il

5'

'aal'

tv vspa [lpso, Kirpi

oxecpccvoiat

Xsicpaoi, palvs ix'JpOLOiv,


(S)

'

Ti

Cinyra

cg XYovx'-

Tiauva.

|JLr,xx' svL

KuS'peia, x oov vDv vsxpg "AStovig


01

ma

lamentano

97 sg. XvjYS

nocXiv xXaaai, TriXtv

dXX'Ja^w

y(tv,
eie,

72 xt^-s

xa avO'Sot

litipa ::xvxa,

KuO-pJia,

70 Xy.xpo^ xoi,

viv |iaXaxolg vi cfips

77 sg.

fiaive

S viv 2upioiaiv

x av

[l'Jpov

wXsx' "ASiovi;.

x ay^ispov, "iax0

Exog XXo Saxpoat.

xo||jl)v, Ss

zs

^Ji-t)

senza rendere conto a se stesso della sua azione. Ma


tra r arte di Orazio e questa non ci nulla di comune:
un ])oema di tal genere ad Orazio, se egli lo conobbe, dovette sembrare troppo raflinato;

fuggiva da

Il

gusto del

Romano

carme

Hione inse-

di

ri-

sino a che punto di squisitezza malaticcia giungesse

gna

r arte greca verso


qui

il

maturi.

frutti troppi

come

100 av.

il

Cr.

egli tra gli Alessandrini

Orazio mostra anche


non prediligesse coloro

che erano pi lontani dal gusto classico, Bione, Euforione, Partenio.

L'epicedio

di

un discpolo

maestro Bione perito

veleno, assai

di

presenta, esso solo tra

italico

morte del suo

in

inferiore

arte,

di

carmi che abbiamo sinora esa-

uno almeno degli epicedi oramesse in rilievo. L'invenzione di-

minati, somiglianze con


ziani

degne

versa:

il

di essere

poeta invita dapj)rima la natura dei paesi dorici,

quella inanimata
lui la

di

come

quella animata, a lacrimare con

morte dell'Orfeo nuovo

descrive poi

il

pianto degli

campestri e degli uccelli per la perdita

dorica orfana

Muse, Cipri,
Smirne, che

lo
gli

la poesia

le figure

aveva dato

si

Omero;

dell'altro figlio suo, di

dell'antichit

che Bione cant, Galatea,


lamentano; lo piange il fiume Melete
;

natali, lo

le patrie dei poeti

addolorano, non

di essi, per quella di

piange

meno che

Bione. Egli,

il

al

le

di

pari

grandi

per la morte

discepolo, ormai

musa dorica. L'erba muore e nasce


ogni anno; l'uomo muore per sempre. Chi fu cosi cru-

l'erede unico della

dele da
il

avvelenare

poeta

il

Giustizia lo punir.

Egli

discepolo, se potesse, scenderebbe all'Ade per ascoltare

anche col Bione.


poesia siciliana,

mondo

di sopra.

Se, Bione, canterai a

tua conterranea,

ella, la

Anch'

io,

agli Inferni e implorerei

bero

se sapessi

Persefone una

ti

rimander

cantare,

da Plutone che

ti

al

scenderei

lasciasse

li-

^24/

l' esempio
di Orfeo,
carme per gran parte si agnon manca neppure in Orazio I 24. Il discepolo

sono simili

Alcuni particolari

intorno al quale questo


gira,
di

Bione vuole scendere

Virgilio

vere

gli

egli all'Ade

Potrai forse tu, o poeta

di

di

sotterra,

anche

pi soave di quello di Orfeo?

se

Orazio

chiede

sovrano,

commuo-

intonerai

un canto

Cipri e

gli

Eroti cele-

da Bione e Galatea ricercano invano il poeta, cosi


Veritas sanno che passer
il Pudor e la Fides e la
molto tempo, prima che essi trovino uno pari a Quintilio. E queste somiglianze hanno maggior valore di prova,
perch affatto escluso che Orazio pensasse a questo
carme nello scrivere l'epicedio per Quintilio, e perch
poco meno che certo che il discepolo italico di Bione non
ha inventato nulla di suo, ma varia luoghi comuni. La
sua poesia quasi un imparaticcio, sicch la sua pretesa
di esser lui l'erede della poesia di Bione (93 sgg.) muove
quasi al riso. Anche Bione nell' epitafio di Adonide passa,
come abbiamo veduto, da un'invocazione lirica a una narrazione, di cui almeno la forma esterna epica. Ma il
trapasso, che in Bione non offende, perch il suo stile
lirico, anche quand'egli narra, perch la sua anima
sempre presente al suo racconto, appare nel suo discepolo quasi un salto. Neil' epitafio dell'Italico gli esempi
di poeti antichi e di personaggi mitici sono accumulati
come in un catalogo Ascra ed Esiodo, la Beozia e Pindaro, Lesbo e Alceo, Teo e Anacreonte, Paro e Archiloco, Mitilene e Saffo, Siracusa e Teocrito (v. 86 sgg.),
la Sirena, 'Arjowv, XeJvCcov, Ceyx, l'Aurora (36 sgg.); e il
male che non erudizione peregrina
Se potessi,
come scese Orfeo al Tartaro, come un tempo Odisseo,
come prima l'Alcide, anch'io forse discenderei alla casa
di Plutone . La classificazione cronologica fa un effetto
brati

come

quasi burlesco. Delle opere di Bione

si

d un nudo

in-


Le

dice (v. 65 sgg.).

espressioni infelici non

un confronto come quello con


rana canti sempre.

Non

suo canto non bello


nuo,
cos

rana:

la

ma

lenzio coperto dalla terra,


la

ii4

le

le

^\\i

contano:

si

giacerai in

si-

Ninfe hanno voluto che

invidio per ci; poich

il

105 sgg.), vuol essere inge-

(v.

ma fa ridere. Non si pu credere che un poeta di


poca levatura inventasse molto di nuovo (1). Qual-

cuno ha creduto
rito

che

ma

spiegare con

lo fa

di

scorgere in

assomigliare

lui

una piega

precetti dei retori

dello spi-

discepolo dei retori Stazio (2)

al

carme

il

di

un poeta

del principio del primo secolo av. Cr. sarebbe assurdo,

che retorica e poesia non


non si fondono se non nella

congiungono intimamente,
Roma del primo tempo dell' imsi

pero. Bisogner dunque, al contrario, vedere in (|uella so-

miglianza una prova di pi della derivazione dei

luoghi

da fonti poetiche.
Il problema si presenta dunque a un dipresso cosi: Da
numerosi nomi di autori e da titoli conservati si induce
con sicurezza che nel migliore tempo ellenistico fiori una
letteratura poetica funeraria, sia in forme meliche, sia in
distici. Il poco che ce ne rimane non presenta per lo pi
somiglianza con i due epicedi oraziani tranne che un
componimento anonimo del primo secolo, opera non originale di un poeta mediocre, appare a loro simile in alcuni motivi (3). Da questo poemetto si ha il diritto di ar-

retorici

(1)

Sarebbe bello, se

principio,

V invito

si

che

potesse provare

specchi un tipo consueto nella poesia ellenistica,

Ovidio

1'

iuvenzione

agli animali a partecipare anch' essi al lutto,

(^wi. II 6) e

Stazio

(II 4) esortano,

per burla, gli uccelli a radunarsi per alzare

ma non

mezzo ani
il

del
ri-

ci si riesce.

serio

mezzo

pianto sulla morte di

un pappagallo, ma gli uccelli, quali compagni del morto, corrispondono agli uomini e non agli animali degli epicedi umani.
(2)

WiLAMOWiTZ,

(3) L' eijicedio

di

Textgeschichte der Buloiker 68.

Properzio

per

l'amico Peto morto

in

mare

i>4"J

guire che esisterono altri componimenti di poeti maggiori

Con-

e pi celebri che svolgevano quegli stessi motivi.

verr dunque confrontare Orazio non solo con

menti conservati
lationes

di poeti antichi

ma

anche con

poetiche della letteratura romana posteriore, com-

poste alla

stregua dell'insegnamento retorico

converr

davano
anche

ragguagliarlo ai precetti che in questa materia


i

fram-

le conso-

maestri di

retorica

e bisogner aver

poich

alle consolazioni filosofiche (1),

l'

occhio

filosofia

popolare

non sono delimitate da un confine netto, ed


anzi certo che anche i filosofi svolgevano, come i retori,
e retorica

Ma

motivi forniti loro dalla poesia.

in tutto questo

la-

voro non converr perder di vista che coincidenza non


dice ancora dipendenza, che dietro alle consolationes filosofiche e retoriche e ai precetti dei retori

consuetudine artistica

di

si

cela spesso

poeti grandi e piccoli. Decidere

se di classici o di ellenistici,

non

si

pu

se

non volta per

come un motivo in
sua dal modo come Orazio

volta merc l'analisi, che mostri


incolore riceva una tinta

applica al caso particolare o lo trasforma. Quindi

il

s
lo

pre-

sente paragrafo, contrariamente a ci che soglio, quando

mio libro, non pu procedere


due carmi.
non a patto di analizzare
Cominciamo da I 24: qiiis desiderio sit pudor aut modus

posso, in questa parte del


oltre se

tam

cari capitis? praecipe luguhris cantus

quidam pater vocem cum


ritrova qui il tono delle consolationes
cithara dedit.

svolge tutt'altri pensieri e

(III, 7)

ptici, di cui,

si

per cos dire, rovescia

Il
:

Melpomene, cui

Reitzenstein

Orazio

82)

rivolge-

si

confronta meglio con

(p.

li-

propcra-

motivi.

BURKSCH, Consolationum historia critica (in Leipziger Studien


d di queste un catalogo arido ma, a quel dio sembra, comNonostante il pomposo titolo, il Bnrescli va lungi dal segno

(1)

IX

1886),

pleto.

quelle rare volte che tenta di penetrare oltre l'esteriorit

dovrebI)e essere rifatto.

il

lavoro

non parlerebbe a se
nominato solo al verso 10; anche
poeta paro avere la mente ad altro midtis

rebbe gi qui

Ma

stesso.

nel V. 9

la

No,

di

stesso

nulli flehilior fjunm

occdit,

febilis

proghiera alla

proprio,

la

principio a Virgilio,

in

Virgilio

il

bonh

ille

i>5()

Musa

profferita senza

tihi,

^er(/ili.

nome

(lubl)io in

non perch ella aiuti l'amico nel canto fun(;l)re.


Virgilio non ancora parola: Orazio parla a se
esorta s a non vergognarsi del pianto, supplica

Musa

d'ispirargli

canto.

il

Il

pensiero occorreva certo

assai spesso nelle eonsolationes. L'ars dello pseudo-Dionigi


si debbano
dolore dei superstiti e non dargli
subito addosso. Monandro annovera tra gli uffici del di-

prescrive

(p.

281, 8 Us.-Rad.) che nel consolare

far concessioni al

scorso consolatorio quello di mostrare la grandezza della

sventura (413, 6 sgg.) solo nella seconda parte dell'orail retore dovr passare ai conforti (413, 22). E la
;

zione

ad Liviam si attiene cos scrupolosamente a preche di 474 versi ben 329 sono spesi nel compianto, nel i>-pr^vo;. Che Stazio non dimentica neppur lui
questo dovere del buon consolatore, non occorre neanche
consolatio

cetti tali,

dire

(1).

Ma

il

luogo

, se

luogo

lo si

vuol chiamare,

ben pi antico della retorica quella stessa elegia di Archiloco che Orazio cita in fine del suo carme, la pi an;

tica consolatio della letteratura

greca

notizia, incomincia

cosi

pixXsg, ooi iiQ axtov

(fr.

9)

[jisjji-fjjisvo;

di cui ci sia

xifjzv.

O-aXcr^c

|jiv

giunta

axovevTa, Ile-

ii^/hz-%'.

oo -Xtc,

e continua toioug y^P v-ax y.Ojjia 7i:ou'^Xo:a,joto 9-a^aacjr];


la pi
aev, oLSaXoug {icp' ohyrf, lyo].zv 7:vi>[xova; (2).

passata poesia ellenistica non

(1) II 1,

doma

(2)

II 6,

14

nemo

vetat

si

satiare malia

lascia

sfuggire

Menaudro ha

tra

suoi esempi ok

^vjTOvxag TOiotov (p. 413, 20)

questo

aegrumque dolorem

17 quisnam haeo in ftinera missos eastiget


|i[j,"^o(i,ai

r/.X'j-

com-

libertate

hictis ?

:iv9-oDvTa; xxi

la coincidenza quasi letterale

mostra


motivo,

ma

aggiungendogli

lo ripiglia,

chieste dall' etica di

ii31

una

le

restrizioni

scuola filosofica in

voga

ri-

in quel

tempo: Euforione, nel solo frammento conservato d'un


epicedio (20 Scheidw.),

scrive

jxxpca

yjxi

i<])

LvAyoixo. |XxpLa xal vXy/jov.f

cpO'qjtsvo)

tiv.

-/.al

(xv

rl

v.c,

7C7.|j.7:av

oa-

Queste parole raccomandano la (xsconsigliata dagli Academici e biasimano quale


inumana l'indifferenza, 1' aTrS-cta imposta dagli Stoici (1).
Orazio svolge dunque anch' egli un motivo familiare gi
Mopat

xp'jv

7iy][jLYjvavxo.

xpioTiO-eta

ma non

ignoto n alla poesia moe gli


n alla filosofia popolare
per
consolare
non
servendosene
imprime il suo suggello,
altrui ma per far coraggio a se stesso. La forma in cui
alla poesia pi antica,

derna ne

alla retorica

intimamente

egli lo presenta, pi

lirica

che negli

altri

poeti e scrittori.

La prima strofa
Musa la isola, per

un proemio: l'invocazione

quasi

cos dire, dal sguito dell'ode.

non stuona ne urta

(2)

alla

Quindi

che Orazio ricominci quasi dac-

capo: ergo Quintilium perpetws sopor urgel? h^ ergo, poich

prima notizia della


bene in principio: ben a ragione stato confrontato il lamento ipocrita dell'erede nelle Satire (II 5, lOI) ergo mine Dama
sodalis nusquam est? unde mihi tam fortem tamque fidelem?
esprime

lo

stupore di chi riceva

perdita irreparabile

bene corno

tali xkoi

di

persona

discendano

la

cara, sta

iier sentieri

antica alla retorica dell' et imperiale

tortuosi dalla poesia pi

^yj-cIv

coi'risponde al deside-

rium oraziano.
(1)

cons. in Apoll.

102

e o

yp ycoYc

awiicpspojiat TOg u|ivoai tVjv

ypiov xal axXy]pv nad'eiav, ego) xal xo Suvaxo xal xo au|icppovxo5

poche righe pi avanti

ocxv,

seguo subito una citazione


fonte

ox Tto5ox(.|AaaTov
accademico Crantoro, che

xy]v iie*cp'.c7:i5-eiav

filosofo

"

comune

(2)
8(),

del

di quest'opera e del i^rimo libro delle Tiisctiaue.


L'osservazione diretta contro Kikssling (Phil. Unters.

Kkiizknhtkin, Sikhoukg.

Il

252

Ma

appunto per ci ergo conviene a questo luogo, perch tra la prima e la seconda strofa uno stacco. Segue cui Piidor et lustitiae soror incorruptn Fides nudaque
Veritas quando ullum inveniet parem'^ Qui tacitamente
presupposto che il Pudore, la Fede, la Verit siano rimaste orlane in terra. Cosi la morte di Hione rimpianta da Afrodite e dagli Amori, perch' essi non hanno
pi

chi

Motav.

canti:

li

... '/jx\

K'jTtpcs cfcXec

-vca tou

atuYVol

7iox)vJcaxovxa r^lXrpv^.

quis desiderio (1).

pi chi

venti

poia,

aw|jia xs^v
9^

zb

"EpwT:.

-7.

l Tipwav tv "Awv.v

anch'essa intonare:

Cipri potrebbe

Gli di del discepolo di Bione non hanno

non han

operando ne faccia realt

Quintilio, chi

vi-

(2).
il

di Quintilio, a Virgilio; sinora

amico

s; di qui in poi l'epicedio

Le

xXa-'oua'.v

cp:Xrj[ia,

Nella terza strofe Orazio rivolge

ille

owpa

a-JYx-.V.v

canti; le divinit astratte di Orazio

li

morto

pi,

~^^\

ae tzoVj tzXzov

(o

bonis

flebilis

occidit,

si

pensiero al migliore

aveva pianto per

trasforma in consolatio: multis

nulli

flebilor

quam

parole seguenti non sono del tutto chiare

Ubi,
:

Vergili.

tu, frustra

Ovidio in un passo dell'elegia j)er la morte di Tibnllo (Jni.


sembra imitare il discepolo italico di Bione nec minus
confusa Venus morieitte Tibullo, quam iuveni rupit eum fenis in(1)

Ili 9,
est

15)

guen aper.

Tranne la Veritas, tutte queste divinit ricevevano culto al


Augusto alla lustitia egli dedic pi tardi, l'S gennaio del
13 d. Cr., un tempio; della Fides e della Pudicitia plebia esistevano gi da gran tempo santuarii tutt' e tre appaiono su monete.
(2)

tempo

di

Valerio Massimo, che scrive ancor viva Livia, scioglie in principio


del VI libro un inno alla Pudicitia e ne scorge la sede principale sul
Palatino e nel letto geniale di Giulia. Che lustitia e Fides siano sorelle, non , eh' io mi sappia, detto altrove ; ma Valerio tratta gli

esempi di queste due virt in due capitoli consecutivi. Su tutte queste dee, tranne Veritas, cfr. "Wissotva, Eel.^ 133. 333.


plus,

non

heu,

stra pius

non

modo

sebbene Kiessling-Heinze abdarne un' interpretazione errata.

di

gli

di

non ha giovato

con

lui,

togliendogli anzi

Virgilio la piet sua verso

sono mostrati

essi si

tempo l'amico pi
scono

il

Fru-

creditum poscis Qiiintilium deos.

ita

fa difficolt,

biano trovato

^53

crudeli

Talvolta

caro.

frusta pius al morto,

morte

dio nell'elegia per la

non

ma

consolationes

riferi-

cosi Ovi-

ai superstiti:

Tibullo {Am.

di

Ili 9,

37)

Mors gravis a tempensiero compare, nella stessa

vive pius, morere; pius cole sacra


plis in cava busta trahet;

le

il

colenteni

forma

in cui lo presenta Orazio, in consolationes pi recenti

ma

che non possono dipendere da quest'ode: l'autore

si

ad Liviam stempera per una decina di versi


domanda, che mai ad essa sian giovate le insigni virt
41 sgg. quid tibi nunc mores prosimi et puriter aduni omne
della consolatio

la

aeviim...? quidque pudicitia tantum involvisse bonorum'-f con

quel che segue. Stazio comincia

il

lamento per

la

morte

un fanciullo schiavo, che aveva tenuto in luogo di figlio,


con una sfilza di domande alla Musa, che delitto egli
abbia commesso (V 5, 3 quae vestra, sorores, orgia, Pieriae, qnas incestavimus aras? numquid inaccesso j^osui vestidi

gia lucof

num

vetito

luimus tantis?

(jiiem

de fonte bibi? quae culpa, quis error,

La

prolissit retorica

dei

due poeti

posteriori fa gustare di pi l'arte concettosa di Orazio,

quale chiude

rori degli interpreti,

Ma

non

perfettamente chiare.

creditum

ita

difficile.

Chi,

Heinze, asserisce che in quelle parole


zione non pi del tutto chiara
chi,

come

solito

il

luogo

Siebourg

comune
non

data dagli di
questi

hanno

in

il

680),

(p.

delle

diritto

il

fa dire al testo

il

pensiero in due parole, nonostante gli er-

il

cela

Kiessling-

una

rela-

rinunzia a interpretare:

scorge espresso qui

consolationes,

propriet
di

come
si

ma

togliercela

che

in

la vita

prestito,

il

ci

che

quando vogliono,

contrario di quello che in esso con-


tenuto. Certo, Orazio

2r)4

riferisce proprio a quel x-o:

si

(1),

che dall'Axioclio pseudo-platonico (367 b) in gi rliscende


per tutta la letteratura greca e latina, ma per confutarlo.
Cicerone aveva scritto {Tusc. I 03): Via quelle sciocchezze quasi da vecchierelle, che sia una sventura morire anzi tempo! Qual tempo? quello di natura? Ma
questa

concesso in prestito la vita come danaro,

iia

ci

senza stabilire un termine fisso. Che diritto hai dunque


di lamentarti, se ne chiede la restituzione, quando vuole?

L'avevi ricevuta a questo patto

Orazio contraddice

non Cicerone ma il pensiero espresso da Cicerone a No,


non vero, la natura, che ci aveva concesso Quintino, non doveva ritogliercelo cosi anzi tempo . Il sen:

insorge contro

timento
cuore
dai

mente.

contro la

retori?

Non

ragionamenti

dei

anche questo un

parrebbe;

ma

filosofi,

xtto?

il

derivato

che Orazio

verisimile

dipenda qui da un poeta ellenistico. Abbiamo veduto di


come Euforione avesse protestato poeticamente
contro gli Stoici, che esigevano anche nei pi gravi lutti

sopra,

l'-u':a:

che meraviglia, se egli stesso o un altro poeta

di quell'et gridasse

spiegando che
questa, se

ai

la vita

gli

di

filosofi:

inutile consolarmi,

concessa in prestito. Che grazia

vogliono ritoglier cos presto quel

che hanno donato? . Un epigramma funebre, che gli


apici sulle vocali lunghe e la semplicit dello stile mostrano di buon tempo (1001, 3 Biich.), dice

(1) I

passi sono raccolti da

Skutsch, PTT. IV 938

nessuno dei due sembra conoscere

il

come Orazio:

Sikbourg.

Ma

luogo di Cicerone. Pi slavata

l'espressione nella consolatio ad Apollouium 106 f; inVece

il

passo

di Cicerone dovr essere integrato cou l'altro della consolatio ad Jpol-

loninmlllG ab, che dipender appunto dalla stessa fonte

da Crautore
Marc. 10,

2.

il

pensiero

clie

Cicerone,

argutamente modificato da Seneca ad


quod

repefitmn

id

quaeritis,

diem. Tutt'e due

i>55

iaiustus cr editor ante

abstuUt

avranno

poeti, Orazio e l'anonimo,

in

mente lo stesso verso di un poeta, non un precetto di


retore:

l'epigramma anche nello

stile

par libero dalla

retorica.

Segue: quid
arboribus

rere

si

Threicio blandius Orpheo auditam mode-

num

fidetn ?

vanae redeat sangiiis imagini,

quam

virga semel horrida, non lenis precibus fata recludere,

nigro

compiderit Mercurius gregi?

usato in vario

modo

in

L'esempio

di

Orfeo

carmi funebri, e ci in et assai

anteriore a quella delle consolazioni retoriche. Gi Euri-

pide canta nell'Alcesti (v. 965 sgg.) non trovarsi rimedio

contro la Necessit (e

s'

intende la necessit di morire)

nelle tavole tracie che Orfeo scrisse


Yj^pov,

ouS

XI

cpp[Jt,a>tov

Sp-lfjacci-

sv

xpscaaov o^v 'Avyxa^


axv:'atv,

xi;

'Op'feta

xa-

Questo significa in generale: Neppure la


sapienza di Orfeo seppe trovare un rimedio alla morte .
Ovidio scrive {Am. IH 9, 21): quid pater Ismario, quid
mater profuit Orpheo? Carmine quid victas obstipuisse feras?
cio: Anche il cantore mitico, Orfeo, dovette morire^
come te, grande poeta nostro, Tibullo . Qui la forma
speciale dell' esemplificazione suggerita dalla, diciamo
-tf^y.'ltzv

cos,

Yf|pU(;.

comunanza

pi naturale

di professione tra Tibullo e Orfeo.

si

pensi,

come

qui in Orazio, al tentativo

disperato, che Orfeo fece, di strappare con

Euridice all'Ade, alla sua discesa agli


il

Ma

signore dell'oltretomba, reso vano

suo canto

il

inferi, al

patto con

dall'amore troppo

molle del citaredo. Cosi nell'epitafio per la morte di


Bione, nel quale si pu ancora scorgere come il poeta
inetto e pure ambizioso di originalit abbia tentato

modificare
(v.

il

xkoc,

di

tradizionale senza riuscirvi. Se potesse

115 sgg.), egli discenderebbe nella casa

di

Plutone

come Orfeo, come un tempo Odisseo, come prima Alcide:


questo si chiama seminar nomi con il sacco, non con la


mano. Si aspetterebbe
gue invece per vedere,
:

che cosa canti

^2:;

por strapparti agli Inferi

e,

se tu canti a Plutone, per udire

L'invenzione barocca.

Ma

il

se-

poeta-

stro vuole a ogni costo sfruttare sino in fondo la sua eru-

dizione mitologica.

canto

Bione deve cantare

siciliano, e Persefone,

come ha

alla luce Euridice, cos ridoner

carme

finisce:

se

un giorno

restituito

Pione

ai

un

stesso

egli

suoi monti.

11

anch'io avessi qualche abilit nel

suonar

la siringa, anch'io canterei a Plutone . Chi non


vede che qui un zko^ non retorico ma poetico malamente tagliato a mezzo ? che al poeta, disceso all'Ade

per impetrare con

il

canto la restituzione

di

persona cara,

un poeta che scende per vedere e udire


cantare col il suo maestro morto ? che al maestro qui

si

sostituisce

attribuita la parte di Orfeo, quasi questi avesse impetrato

da Persefone la liberazione sua, non quella di Euridice?


che il discepolo non pu tuttavia far a meno di comparare anche s con Orfeo ? Si scorge chiaro che un poeta
pi antico aveva cantato a un dipresso cos
Anche
Orfeo scese all'Ade, ma non pot, se non per poco, re:

Euridice alle aure terrestri

stituire

di Bione, imitandolo, storpia

il

il

motivo

discepolo italico

(1).

Secondo ogni

verisimiglianza Orazio ha conosciuto quel poeta;


lui le

ma

per

anime, sia dei buoni sia dei cattivi, sono apparenze

vane, immagini esangui,


strofe

[iev7]v

xprjva.

Lo

stile della

elegante di un'eleganza un po' ricer-

solito,

il

cata, che ritrae effetti dall'aggettivazione squisita e dal-

bene studiato delle parole.


due ultimi versi tornano al modello

l'ordine
I

(1)

Anche Stazio tenta

tradizionale

adoperare in modo nuovo l'esempio


si fatto intendere da selve

nepj)ure a Orfeo, che pure

e da fiere, riuscirebbe....
superstiti

di

classico, alla

II 1,

11

1,

non
23.

di

piegare

gli

Inferi

ma

di consolare


poesia di Archiloco da cui
diirum,

secl levius

^0/

carme aveva preso

il

patientia quidquid corrigere

fit

le

mosse

est

nefas,

che

assomiglia, nella sua brevit, molto pi alle parole

in Archiloco tengon subito dietro a quelle trascritte a


p. 250, che non alle varie forme in cui quel ttco; com-

pare in poeti e
v.axoTatv,

oj

'-pi'X',

filosofi

ul

tardi (1)

xpaieprjv

XX

0-sol

yp

vr^xcj-oia:

ed-saav

-Xr,[JLoa'Jvrjv

cppjxaxov

aveva spesso sulle labbra una sentenza che pare a prima vista non dissimile, se Svetonio (2)
non inventa, l dove narra essere stato egli solito di dire
che la virt pi utile all'uomo la pazienza e che non vi
Certo, anche Virgilio

sorte cos aspra cui

Ma

non vinca.

forte,

quidquid corrigere

pazientando prudentemente,

manca

proprio quella parte, la

trasforma la sentenza di archilochea

seconda, che
stoica

il

in Orazio

est

nefas dice anzi tutt'

il

in

con-

due spunti classici incorniciano, per cos dire,


l'ode, conforme a un modo che abbiamo avuto agio di
studiare nel primo capitolo.
Su II 9 non semper imbres non occorre spendere tante
parole: Valgio, il mal tempo e l'inverno non durano
trario, l

meno favorite da natura: tu


non canti funebri per il tuo
Anche Nestore cess un giorno di lamentare

eterni neppure nelle plaghe

non

hai, giorno e notte, se

Mystes

(3).

(1) Cfr.

vivxa;
splv

105

Marc.

Stesich. 51 xeXataxa

Ibyc.

27 ox saxiv

2.

6,

Prop. IV 11, 2 sgg.

y.al

animava T0O5 9-a^wg ili cpipjiaxov

nna

Senec. ad Polyb.

67

RiiKi'.

S0UU18

esse patientia ac

erat

ad
2, 1. 4, 1
430 b parrebbe ohe anche Al-

consolatio

npoxiojisv yp oSv oifisvoi,

(2)

homini

Dallo parole di Ateneo

ceo 35 fosse frammento di


xpiiYjV'

yp

rtocpS-^nvoig

passi di tragici e comici citati nella conaolatio ad Apollonium

sgg.

t'

p. e.

%ka.leu

dicere

ntillain aaperani

io

y^pr^

xxxoiai

&'j|iov

-t-

Bx^i.

nullam

virlutem

vommodiorem

adeo esse fortniiam,

qnam

prii-

dentcr patiendo vir forila non vinoal.

liUCHKLER pensava (M. Mua. XXX VII 1882, 231) che Mystes
pseudonimo di nn figlio di Valgio ma paro altrettanto scou-

(3) Il

fosso lo

17

'ia

Antiloco; anclie Priamo e

le sorelle

smisero un giorno

morte del loro piccolo Troilo. Tu canta


piuttosto le vittorie nuovo di Cesare . Il carme, squisito
anche nei particolari, molto pi spontaneo e pi uno
che non l'epicedio a Quintilio. Il sentimento delle prime
strofe affine a quello che si specchia nelle strofe di mezzo
il

lutto per la

di I 9 vides ut alta,

dunque

Anche

ellenistico (1).

qui la

pioggia cade sull'anima, l'anima scossa dalla procella,


il

ghiaccio toglie all'uomo ogni capacit

sentire. E, poich

in

questa

il

l'uomo tutt'uno con

di

poeta riconosce qualit umane:

zati dall'acqua

sono ispidi come

raccolto nel suo lutto, non

di

campi

sfer-

volto di tale che, tutto

il

rade pi ne

si

pensare e

natura morta,

la

si

pettina (2);

che tormentano il Caspio, sono inaequales, come


un padrone capriccioso (3); il gelo iners, come iners
le procelle,

l'uomo

intirizzito;

querceti soffrono, lahorant, ai

degli aquiloni; gli ornelli sono


delle foglie, viduantur,
stretto.

Non

come

non

spogliati

ma

soffi

vedovati

un parente suo

chi perda

pare ancora necessario che

il

poeta abbia

avuto presente un modello determinato ma, se l'ebbe


e
vedremo presto che l'ebbe
esso fu una poesia elle;

nistica.

Lo

stesso

motivo

ritorna,

accennato appena, nella

veniente che un consularis celebrasse un suo


greco, quasi fosse un'amasia o

chiamato con

tico per la perdita di questo sia

amores.

Stazio mostrano quanto spesso

per

affetto

nome

lamento poeparola che soleva

la

esser titolo del libro di elegie amorose,


1'

sotto

figliuolo

un amasio, quanto che


Le

pieri

il

cotisolationes

delicati

di

divenisse

quasi paterno.
(1) Cfr.

sopra, p. 81 sg. Simile lo stato di animo,

dello spirito e del

mondo

esterno, anche in I 7 laudabnnt

il

olii,

consenso
e specie

in I 4 solvitur acris hiems e nel cauto gemello della seconda raccolta

IV

7 dffngere nives.
(2)

L'osservazione del Bucheler,

(3) Il

arbiter

sentimento lo stesso che in I

Hadrae maior,

tolere seu

ponere

ibd.
3,

230.

14 rabiem Noti, quo non

voli freta.

259

ad Apollonnim, dove (103 b) il tempo bello e catcomparato con le sorti alterne e opposte degli
uomini. Ma la coincidenza prova tutt'al pi non gi che
Orazio dipenda qui dai retori, ma piuttosto che le conso-

consolatio

tivo

lazioni dei filosofi e dei retori attingono a carmi elleni-

Che

veramente cos, prova la quarta strofa (1).


e Priamo non piansero eternamente i loro
cari, e s che l'uno e l'altro erano vissuti cos a lungo
per sentire tanto dolore, e s che Antiloco era il pi amabile dei giovani, Troilo l'ultimo dei figli e ancor bimbo (2).
Un discepolo sempre fedele e non di rado servile degli
Alessandrini, Properzio (li 13, 46 sgg.), ha commiscrato
la vita troppo lunga di Nestore. A ter aevo functus.... senex
stici.

sia

Anche Nestore

risponde a capello Nestoris

Segue

Properzio

in

mari,

diceret

non

aut

mors,

visus post tria saecla cinis.

est

Antilochi vidisset corpus hu-

ille

mihi sera venis?

ciir

Cal-

limaco aveva scritto aver pianto pi Priamo che Troilo


Nestore e Antiloco, Priamo e Troilo

(Cic. Tusc. I 93) (3).

decedunt amores nee rapidum fugiente


ha anche un riscontro nello pseudo-Plutarco, ohe (114 e) a tali
che per una specie di pazzia perseverano senza fine nel lutto, vorrebbe
(1) lieo tibi vespero surgente

solevi

Tct'^jS-ylaaS-at

x 'Op,y]pixv

'

|j,'jpo|i.svotat

5= xoat [lXag

ti

eanspog

r^Xfl-s'.

Un'allusione a un passo omerico converrebbe bene a un poeta alessandrino

il

lasciano

modello di Orazio direbbe


pianto, noi no

il

Il

male

gli eroi

a memoria, confonde in uno due versi differenti


po5o5axxo?.05 'Hojg
f,Xd-v

a 423

(2)

La

o 306

109 o

xoioi

l'

come sempre

impube corpus

Htraziato dallo streghe, quale posset

[JiXag

8 TOat
tiI

cpvyj

aTtspoj;

in nuest'odo, squisita:

(e^iod.

13) del fanciulletto

impia mollire

Thraeum peciora
un benia;

fa ripensare all' indole mito, che fece di Antiloco

mino dell'iracondo Polido.


(3) La stossa massima senza nomo
plutarchea 113

ma non

(xupo[i.=vo'.oi

Tpuo|j,Voiai

scelta delle parole,

impuhem Troilou ricorda

V amahilis

omerici, giunti a sera,

che lo pseudo-Plutarco, citando

f.

Lo Schueider

(fr.

apjroda a nulla di I)uono.

di autore nella consolatio pseudo-

363) tenta di farne un trimetro,,

iitU

due esempi, Peleo o Achille,


due non svolti cosi diprolissa
e fastidiosa enumerazione
stosamento, in una

dei mali della vecchiaia, in Giovenale X 24<i sgg.


due esempi
verisimile che (questi dipenda almeno per
principali da una fonte unica. Properzio annovera tra le
si

ritrovano insieme con

altri

ultimi

Laerte e Ulisse, questi

sue glorie di avere rinnovato Callimaco: probabilmente

Fonte prima fu dunque un epicedio callimacheo per la morte di un giovane, che fu


letto ancora da Orazio e da Properzio: Giovenale pu
avere imparato quegli esempi nelle scuole dei retori, ma
questi alla lor volta derivavano da Callimaco (l).
anche

egli lo imita

qui.

Lirica funebre ellenistica

ricostruisce faticosamente,

si

confrontando tra loro imitazioni e derivazioni romane.

Il

caso ne ha conservato, tra

di

ritmo
dei

lirico della letteratura

[iilr^

di

Callimaco

da cui Orazio prese

(2),

lo

pochi frammenti poetici

alessandrina, tra

proprio

il

Una

canoni della sua arte, e


tivi

ellenistici,

ma

cita

pochissimi

spunto del protreptico per Vir-

gilio I 3, sic te diva potens Cypri;

converr parlare.

principio di quell' ode

che proprio

di

spunto

rompe fede ai
non solo rifoggia materia e mole prime parole di un carme di

volta tanto Orazio

Callimaco. Era sua intenzione che

le

parole navis, quae

Uhi creditum dehes Vergilium fnihus Atticis, reddas incolti-

meni precor
alla

et

mente a

(1) I fatti

per, jter

non

serves aniniae
va?,

dimidium meae richiamassero

[lvov ^)iyyoQ \x\y t y^ux-j t? Z,ox;

sono stati tntti osservati e raccolti dal Biicheler, che


so quale timidezza,

si

arrestato dinanzi alla conclu-

sione ultima.
(2)

Raccolti dal

Wilamowitz,

Beri. Sit::HHgsberichte 1912,

540 sg.


'pTra^ac.

t.ov.

Zxv;

modo come Orazio


anche per un

glia

261

XcixevoaxTiw

i7.vu(jiac

tratta

il

altro rispetto a quelle cosiddette

tazioni di Alceo, di cui

114).

(fr,

il

motivo callimacheo. assomi'<

imi-

abbiamo discorso nel primo capi-

tolo del presente libro: Orazio vuole abbellire l'originale,

sostituendo all'immagine
della vita
la

>^

ormai invecchiata

l'espressione pi vivace

quale a quei tempi non aveva ancor perduto

della novit, se pur vero

prima

me

di

un poeta greco

luce

(1)

met dell'anima

che nessuno

il

pregio

l'aveva usata

contemporaneo

Catullo.

fli

pare probabile che Orazio abbia questa volta attinto

a un

epigramma, a quello

che comincia
f][i:a'j

iJLS'j

o'jolo?

Meleagro (AP XII 52)

di

e\i7zvs.'jao(.c,

vy/jxcuc,

Nxo;,

oaspwisc,

quanto naturalpossa escludere che Meleagro abbia non

'J/; ap7i;aav 'AvpyaOov. per

mente non

si

coniato lui quell'espressione,

ma

l'abbia attinta a sua volta

da un carme lirico. La scelta della parola


rapire , forse persino una particolarit di lingua, cio la
mancanza di aumento nel verbo, mostrano che Meleagro
nello scrivere ebbe in mente il carme di Callimaco; Orazio conobbe, con ogni verisimiglianza, tutt' e due
egli
poteva supporre che i suoi lettori avessero presente di
certo il propemptico, probabilmente anche l'epigramma.
I due pi recenti correggono, ognuno per conto proprio,
un'espressione appassionata del grande poeta Callimaco
questi accusava la nave di avergli rapito l'amata o forse
meglio l'amato, e a un tempo la scongiurava di condurlo
salvo in porto (2). Meleagro sostituisce alla nave il vento,
n pi prega, ma narra nel primo distico celebra beati,
egli stesso

(1)

Gil

nell'Odissea Telemaco

dolce luce ;

ti

23, p 41 y,XO-s;

TyjX|iaxs YXoxspv 9x05.


(2)

Quel

XinsvoaTtTZO) e

il

reddas

suftciento che la poesia nilliniachea

incolnmrm oraziano

sono

continuava a un dipresso

arra
cos.

nel seguente, navi,

flutti,

262

venti che portano l'amato

rim-

piange nel terzo di non essere un delfino per poterlo trasportare egli stesso alla mta, Rodi, sul suo dorso. Orazio
ritorna all'apostrofo callimachea; ma, poicli

cozzo

il

di

sentimenti opposti non sembra convenire all'ideale della

sua arte, che

si

una certa grazia

direbbe, quella di

de-

cens, corregge: non rimprovera la nave di rubargli l'amico,


bens le ricorda il dovere di consegnare fedelmente, giunta

porto,

in

il

prezioso

carico affidatole.

Le

parole navis.

quae Ubi creditinn debes Vergilium fmibus Atticis

tano una specie di negozio giuridico, di


di

un

ci

presen-

Pi
rimpianger che Orazio
Callimaco sono anch' io
depositum.

lettore le trover fredde e

abbia mutato cos la poesia di


dello stesso parere;

ma

all'interprete

non rimane

altro

che constatare che Orazio ha voluto qui, come altrove, introdurre in una poesia, la cui ispirazione gli veniva da un
poeta greco, un elemento specificamente romano. Questa
volta non gli riuscito senza danno dell'effetto poetico,

ma

anche per

meno
un'

altri rispetti

questa

lirica

pare a

me

delle

felici.

Invece fu audacia felice quella di trasportare all'amico


immagine che un poeta greco, probabilmente Me-

leagro

luno

(AP XII

52), aveva coniata per l'arcato (1). Taha negato che il dimidium animae abbia qual-

(2)

siasi relazione

con

l'f^jxiau

'|u/jjC,

dell'amicizia, l'altra dell'amore.

(1)

che l'una cosa detta

Ma

le espressioni di

Meleagro riprende a sua volta un motivo callimacheo

tal

Cal-

una met dell'anima e sospetta


si sia rifugiata in un suo amato. Ad Ascleiiiade (AP XII 166) dopo
tanti amori rimasto solo un pezzettino di anima. La concezione
limaco

(ep.

41) sente di aver perduto

forse ispirata al bell'epigramma platonico o pseudoplatouico per Aga-

tone

XYiv

tj'uxviv

'Aya^-cova cpiXwv

rJ.

y^^stXsaiv

ioxov.

f,?.0-s

fiiov u)g Siapy]ao|xvY;.

(2) Cfr.

Kiessltng-Heixze intorno a

qiiesto passo.

yp

r,

tTj-

263

genere che, a indicare le relazioni tra amici, sono adoperate da scrittori anteriori, quella di Cicerone (de ani.
92), secondo la quale amicitiae vis in eo est, tit iinus

XXV

quasi aniniis

ex pluribus, e quella di Aristotele (Diog.

fiat

un'anima che abita


ben pi lontane dalle parole di
Orazio la coincidenza con l'epigramma di Meleagro
invece letterale, non soltanto somiglianza concettuale.
Gi i pi antichi Greci non facevano distinzioni tanto sotAcliille (I 342 sg.) professa di
tili tra amicizia e amore
et molto pi tarda
cpiXslv Briseide. E i loro nipoti di
Laert.
in

1,

20) che la definisce

due corpi

sono

non parlavano diversamente:


'^z\j'(:a[it\l'(x.-

xf,;

cpiXia;

K-jTrpt?

|x:poTpwv

"(iyo^''

vyZoyoc,,

sax'

canto della fanciulla abbandonata;

aVpsa:;-

comincia

Venere,

la

il

venere

Chi vuole alzare un muro tra 1' r,\i'.iu


t];uyf^g dell'amore e il cUtnidium animae dell'amicizia, non
deve farsi forte del mito che Platone nel Simposio mette
non l'anime, ma i corpi degli
in bocca ad Aristofane
uomini, quali sono ora, sono dimezzati. E non ha inteso
bene il Convito chi non si accorge che il suo. significato
garante della

cpiX:a

complessivo proprio questo, che l'amore umano non vai


nulla, se non trascende il suo fine immediato, il com-

mercio sessuale, se non


per l'anima, con la

tutt'

cpiXta

non vede come appunto

uno con

chiude

l'affetto

dell'anima

gli occhi alla luce chi

la popolarit di

questo dialogo

giov a che quella certa nobilt, che propria delle cose


dello spirito, fosse conferita anche a relazioni sessuali,
se

non

illecite,

almeno

illegittime,

anche

agli

amori con

persone di condizione inferiore. La poesia ellenistica di


amore non sarebbe stata qual , senza il Simposio e, se
;

l'ellenistica,
gli

tanto

meno

la

romana. Comunque

sia di ci,

chiamano amicae e trattano


perch ad Orazio non dovrebbe

elegiaci dell'et augustea

quali amiche le loro

amate
una parola che era

esser lecito di riferire

stata

coniata

2(i4

per l'amore, all'amicizia fraterna per

il

poeta grande, cui

doveva la conoscenza di Mecenate? Ne di quell'immagine egli ha abusato la si ritrova ancora una sola
egli

volta nella solenne ode a Mecenate, nella

ferma

canis aeque nec

Mecenate
tello:

quale

voto
morire con lui a,
animae rapii maturior vis, quid moror

Ijartem

il

vivere e

di

il

egli

superstes

aveva

poeta, figlio

si

nec

17, 5). Anche


modo sentimento di

fra-

poveri genitori, ul)bidiva

cenni del potente ministro

ma

(1),

per

lui,

ai

poteva chiamarlo

quale un suo pari; poteva anche dinanzi a

letto,

mene

altera,

integer'^ (Il

in certo
di

te

ricon-

di-

senza

timore di suscitare gelosie o di parere insolente, vantare

che lo avrebbe sottratto alla morte


non ego pauperum sanguis parenticm, non ego quem vocas,

la gloria propria,

dilecte

Maecenas, ohib

(II 20,

5).

Le reminiscenze callimachee

principiano soltanto nella

seconda strofa: che non verisimile che Orazio abbia solo


mutato l'ordine dei pensieri e che il propemptico alessandrino contenesse anche l'invocazione agli di marini.

Quel che conservato del carme callimacheo sono proprio

primi versi, e un' apostrofe di quella sorta non po-

teva stare se non in principio.

Anche

suo propemptico per Mecio Celere


agli di marini;
ci

dall'ode

di

si

obietti

Orazio.

Stazio comincia

(III 2)

che

egli

con

la

pu dipendere

(1)

Quest' certo

(con

il

(2)

rem

al-

ma

il senso di quem vocas; ma pare eccessivo voler


una circoscrizione del concetto giuridico di cieis

BCHELER, Rh. Mus. XXXVII,

1882, 238).

Cfr. p. e. Stazio 8 sgg. con Orazio 1 sg.

Orazio 3

in

Egli aveva di certo letto quel

carme, lo aveva dinanzi alla mente, come provano


cuni riscontri (2), anzi si studiava di emularlo (3);

fare di quelle parole

il

preghiera

Stazio 42 sgg. con

sg.

(3)

Animae dimidium meae diviene animae pariem

(v.

7 sg.).

nostrae maio-


pure egli invoca nomi

che

egli

S65

di divinit delle quali

dunque aveva imparato

nistici 0,

Orazio tace,

dalla lettura di poeti elle-

che torna a esser lo stesso, nelle scuole di redoveroso menzionare in questo genere di

torica, esser

carmi: oltre

Dioscuri oraziani ed Eolo, anche le Nereidi,

Proteo, Tritone, Ino e Paleraone.


egli

si

immagina

modo

il

stesso

maggior parte

l'aiuto della

di

come

queste

divinit, basta, se non erro, a mostrare che egli dipende


da modelH, o segue regole ritratte dallo studio di modelli. Proteo, Tritone, Glauco devono nuotare innanzi alla
nave (v. 35 sgg.) le Nereidi sono pregate di raggiun;

gerla nel suo corso e di prestare su di essa servizio

marinai (13

Monandro prescrive (399,


che salpi per un viaggio

sg.).

scorso per tale

1)

di

di

che nel dimare, non

menzione delle divinit marine, di Proegizio,


teo
di Glauco di Anthedone, di Nereo, che fanno
corteggio alla nave e le corrono ai lati
Stazio le immagina proprio cos; anche qui la retorica avr preso i suoi
TTCoc dalla poesia. Lo spuntare delle Nereidi a fior di acqua
intorno alle navi familiare a chiunque non sia digiuno di
poesia greca (1); i lettori di Stazio lo avranno conosciuto
almeno dalla lettura dell'epillio catulliano (LXIV 14 sgg.).
Stazio, inventando che le Nereidi, non paghe di far festa
alla nave di Mecio Celere, si adattino anche a trasformarsi
esse stesse in marinai per mandarla innanzi pi presto, vuol
ravvivare il sapore di una vivanda omai stantia.
Ma appunto perch l'invocazione agli di marini in
si

trascuri di far

principio era consueta in poesia di questa fatta, Callimaco


l'evit; e

si

rivolse

non

agli di

ma

dola a un tempo e scongiurandola

ei)

D esempi Vahlkx,

(2)

Allo parole parafrasate

iniuiediataniente (p. 399, 7)

opusc.

vj

di

Il

alla nave, ingiurian(2).

Orazio, promet-

22".

sopri'

segue

8s vag S-situ)

in

S-eog

Menaiidro quasi
svaXiYxiov

vSpa

2()G

tendo all'apostrofe la consueta preghiera agli di del


mare, rientra, per cos dire, nella normalit di tale poesia:
dir questo non fare una lode. Lo stile della prima strofa
concettoso e arguto, troppo concettoso e arguto.

sono detti fratres Helenae, perch in alto mare

essi,

sandosi, luci gemelle, sulla cima dell'albero,

quel fuoco unico, funesto alle navi, che era

noto sotto

mati

nome

il

perch contro

devono sostenere aspra

nn augurio

lotta

po-

scacciano

comunemente
sono chia-

di Elena. (1): vale a dire essi

fratelli della loro sorella,

(^ipo'cx,

rie

(^astori

la sorella essi

per la salvezza dei navi-

in terza persoua,

non un'apostrofe o una perso-

nificazione.
(1) Cfr.

Plin. n. h. II 101; Senec. . q. I 1, 13.

L'apparizione

dei Dioscuri, portatori di salvezza nella bufera, gi cantata

Isocr. Rei. 61

un'epifania

nel-

anche Eurip. Hel. 1500 sgg. 1664 sgg. El. 1241


Tlieocr. XXII 8 sgg. Ma i poeti paiono immaginare

l'inno omerico:

cfr.

degli

di

consueto

nel

antropomorfico: Alceo

aspetto

ba inteso i fuochi di Sant'Elmo che


balzano intorno a gomene e sartie e ad essi avranno probabilmente
pensato gli altri, quantunque, rivolgendosi agli di, abbiano messo
nel suo inno

(cfr.

Oxyr. Pap.

59)

in luce piuttosto quella che la loro figura consueta nelle opere di


arte.

La denominazione

funesto,
tra

di Elena per il fuoco solitario, minaccioso e


sembra essere venuta in voga tardi Isocrate, che annovera
:

meriti di Elena quello di aver fatto dei suoi fratelli

dei marinai,

come
pili,

non avrebbe parlato

suole, a

se

il

coy, o

almeno

si

mostrar vera la sua asserzione contro

fuoco di

qixel

nome

gli

salvezza dei naviganti.

d sulla voce, che Elena

le

funesta,

Ma

opinioni dei

compagna

ai fra-

Sosibio (citato nello scolio)

non recatrice

di salvezza. Poich

Sosibio l'erudito spartano del principio del terzo secolo

parlato di Elena appunto nell'opera sul culto

salvatori

gi al suo tempo fosse stato ritenuto

di malaiigurio. Euripide {Or. 1637) celebra l'eroina


telli nell'etere e

sarebbe indugiato,

egli

avr

spartano, nspl xwv v

dovremo indurre che quel nome fu dato al fuoco


probabilmente da taluno che pens come
Elena anche iu vita fosse stata una poco di buono, tutt' il contrario
dei suoi nobili fratelli. Ma quella denominazione non pare sia mai
divenuta di uso comune Plinio ne parla, Seneca no.
Aax5ai|i,ovi 9-uat(Bv

solitario nel quarto secolo,


ganti
la

Quest'

(1).

Nimc
lirici

un carme

in

bibendum, abbiamo notato

est

ma

dotti

stile,

e fa venire

vjxv.oZ^r^doi..

poesia sia giovenile

^liil

non

belli

sino al quarto libro,

sempre maggiore. N

si

al

simili

(2)

Callimaco

Che

educando a semplicit

andato

periodo del trapasso dai giambi

reminiscenze callimachee non appaiano prima

non sorprende

strofa,

nell'ode dell'inverno Vides ut alta

un' impressione del poeta

ricordo letterario,

come

rint acuto richiami alla

Orazio

il

ma

(3).

le

seconda

della

di

artifici

Orazio, dai suoi primi tentativi

melica sconviene quel citare non Alceo o Saffo

alla

il

sospetto che

il

dei pi antichi,

come

ripensi

chi

primi versi esprimano

romano senza mescolarvi alcun

soltanto geluque flumina constite-

mente Alceo. Abbandona

suo modello nelle strofe seguenti

Non

forse

credo

rimpianto della semplicit degli antichi tempi, per-

duta

man mano

che

si

letteratura ellenistica.

derno

sentirsi sazi di

inciviliva

Anche

il

allora,

civilt.

mondo, anima tutta la


come ora, pareva mo-

Che

natura

la

umana

si

appaga di poco e che basta vivere secondo natura per

dogma comune

esser felice,

stiche di filosofia

degli Stoici
lo

ma

pi nel buio

(1)

fralrcs,

(4),

degli

la vita

dilecaelo;

scuole elleni-

le

(5)

non meno che

secondo natura cercata per


che pure

di et trascorse (6). Gli Stoici,

stazio dilucida ottimamente


....

di tutte

Epicurei

il

passo oraziano

v.

10 Oehalii

Iliacae longe nimbosa sororia astra fugate, precor, totoqne exchi-

ma

questa, appunto perch ottima parafrasi, pessima poesia.

(2) Cfr. sopra p. 60 sgg.


{',i)

Vedi

(4) Cfr.
(5)
fr.

il

quarto capitolo del presente libro.

Pohlenz,

nemo de

Charites fiir Leo 76.

tenui victu plura dixit che

Epicuro

(fr.

472)

cfr.

4.9 sgg.
(6)

Bellissime sono lo osservazioni del

denza dei tempi,

Pohlknz

p. 83 sgg., specie 85 sgg.

su

questa ten-

2C)8

credevano l'uomo nato dal fango, indotti forse pi ancora dal s(3nti mento generale che du considerazioni razionali, proiettarono essi pure nel passato pi remoto l'et
quale

dell'oro, l'evo nel

prima

le superflue

COSI

non esistevano ancora

Come

(1).

umano

fessa apertamente che l'ideale

modo

fu attuato nel

danna

la civilt dei

100

stizia (v.

con simpatia

la

scuola,

nuovi tempi non

la vita

retti

pii

da Giu-

descriveva

Recale

Callimaco nella

sgg.).

[iro-

di consorzio civile

pi perfetto in et favolosa, e con-

semplice dell'evo eroico, la pura po-

vert della vecchietta


ospitale offr ricetto a

campagnola, che nella capanna


Teseo e lo rifocill con cibo fru-

(2).

Anche
piange

la

come

Orazio,

Romani

di colori ideali

la

suo tempo, rim-

tanti altri del

semplicit

prisca

voli Greci e

vizi,

alla vita,

utili

furono inventate dai sapienti,

poeta forse pi popolare di quell'et, Arato,

il

gale

davvero

arti

le

di tutte l'agricoltura,

anch' egli,

come innumere-

dal quinto secolo in poi

(3),

barbarie, priva di bisogni

Anche per

degli Sciti (III 24, 9 sgg.).

dipinge
pura di

lui la santit

maggiore del viver sociale fu nel passato ma, pi realista e meno romantico che non Callimaco, che non Tibullo, egli la cerca nell'antichit romana, in Romolo e
nell'intonso Catone (II, 15, 10), nella giovent che com;

(1) Cfr.
(2)

le

nite volte negli

axov del
la parca
(3)

mie osservazioni in Chartes 118 sgg.

Della cfiXgstvos xaliv] parla

il fr.

131

epigrammi degli imitatori

di

essa ritorna del resto

Callimaco

il

Ty&S

infi-

otXy^i-

frammento 41 sar tutt'uno con essa. Che Teseo non sdegnasse


mensa di Hecale, narrato da Giuliano nell'ep. 41 (p. 543, 16).

La leggenda

strani costumi degli

dello Scita

EUeni

li

Anacars,

giudica

che

per

alla semplicit patria, fu popolare in Ionia e

prima che Erodoto la raccogliesse


Bliimner 425 sgg.

ai

molti

meraviglia degli
rispetti inferiori

Sparta anni e decenni

vox der Mhll,

Festg. fiir

liOU

batt e vinse contro Pirro, Annibale, Antioco

(III, 6, 33).

un mondo che narrano, senza crederci,


essere esistito in et lontana, che sanno non essere stato
nel passato, non poter essere mai nel futuro; egli pensa
a modi di vita, che forse era in potere della generazione
Quelli sospirano

augustea rinnovare, purch avesse voluto. Ne, fuorch in

condanna mai

quest'ode, egli

la civilt,

ma

solo certi ec-

rimpiange che Prometeo abbia portato agli

cessi di cultura:

uomini il fuoco da quel giorno tormentarono l'umanit


malanni non mai prima visti e la vita divenne pi breve.
Solo qui (1) egli ammanta il suo rimpianto di veste mitica:
si pu supporre lo abbia fatto perch Callimaco gliene
:

dava l'esempio.
Nell'ode di Orazio l'et dell'oro quel tempo in cui
la

navigazione non era stata ancora inventata: dell'agri-

anche ellenistica che


tutti
mali degli uomini provengano dalla cupidigia,
dalla cptXo)(pY][xaT:''a, dunque dal commercio (2), che nell'ancoltura non parola.

dottrina

(1)

Per meglio

la fantasia del

dire, qui e nel gioveuile

diffusa in quei tempi.

pare

Sertorio

nelle isole dei Beati (v. la nota di

crederei, nelle Canario

La

epodo

Ma

16.

in questo

poeta colorisce soltanto una credenza che fu davvero

felicit, di cui

per

Antonio

godo nella insulae

si

pensasse

davvero a rifugiarsi

Kiessling-IIeinzk
Cleopatra

al v. 41), cio,

cfr.

sopra p. 59.
quella

divites, del resto pari a

dell'et dell'oro, quale la descrive Esiodo.


(2)

at

(Questo motivo bene in luce in Ovidio {Am. Ili 8,

cum regna

senex cadi Saturnus haheret,

omne lucnim

3;")

iciiehris

sgg.)
alta

premchat humus, e pochi versi pi sotto curia 2)aiipcribun chiusasi; dai


ceiisus hoiores

inde gravis iudex, inde severus

giono d'insisterci su, poich

amata

gli preferisca

in

un amatore

quella

eques.

incolto

poesia
s

ma

Il

poeta ha ra-

lamenta che la sua


ricco
Cfr. anche il
!

passo di Properzio citato sotto a p. 272. Orazio, al suo solito, sto-

motivo

ricizza

il

perlam

el sic

niclius

liumanos in usns.

Roma
sihnn.

futura, (juale egli la spera, sar anriim inrc-

cum

terra

celai,

xpenirrc fortior iinam colere

i7U

sempre commercio trasmarino. Il poeta filosofo Arato, correggendo tacitamente


Esiodo, secondo il quale nell'et dell'oro ne si coltivacampi n si navigava, immagina che gli uomini
vano
greca era

tichit specie

(juasi

pi antichi adoprassero
in disparte dal

se Callimaco nel

aratri e buoi,

ma

si

tenessero

Che meraviglia
amato
o un'amata
propemptico per un

mare

110 sgg.)

(v.

(1).

che cimentava la vita sulle onde, riprendendo il motivo


fornitogli dalla poesia filosofica, abbia maledetto la navigazione, origine di tutti i mali della civilt presente?
Egli aveva letto Arato e lo ammirava 'Hatoou x6 x' &v.a^v.
xal 6 TpTTo?: un suo epigramma funebre, il 17, comincia
:

wcpsXs

[JtY]2'

yvovxo

vis;.

d-occl

calli macheo dei poeti

pi

Il

romani, Properzio, nel carme funebre per Paeto perito in


mare (III 7, 29 sgg. 43 sgg.), dove confronta la povert
sicura dell'agricoltore con la vita agitata del navigante,

ha un pensiero
(1)

simile a quello di Orazio in que-

assai

La maggior

parte dei poeti romani rimane fedele alla descri-

zione esiodea dell'et dell'oro

cos Virgilio Georg. I 125 sgg., Ovi-

il coro
dio nell'elegia test citata 39 sgg., Seneca Phaedr. 533 sgg.
della Medea 301 sgg., per contro, parla di tempi felici nei quali l'agri:

coltura esisteva gi

ma non

non norat

opes.

sicch

ancora

le navi,

parvo

dive.s, nisi

patrio.... senex factiis in nrvo,

Anche Tibullo, che

I 3,

ognuno

37 sgg.) celebra gli di

poesia

(II 1,

campestri, che resero davvero

umana

la vita feroce dei

in

consueto,

332)

41 canta l'et dell'oro nel

un'altra

modo

(v.

qnas tulerat natale solum,

primi uomini,

inventando l'agricoltura qui gli di fanno la parte dei savii primi di


Arato e della Stoa. S'intende che ciascun poeta adopra questi motivi
con la massima libert, secondo gli vengono in acconcio. Disposizione
momentanea d'animo e fede non sono la stessa cosa, specie in un ro interessante il modo come un poeta
mantico quale fn Tibullo.
:

nemico acerbo degli Stoici, Lucrezio, trae proitto da questo TTCog. Gli
uomini primitivi, secondo la dottrina di Epicnro e sua, erano tutt'almolti perivano di morte orribile, divorati a pezzo a
tro che felici
pezzo dalle iere ma almeno non in un giorno solo morivano tanti
:

in battaglia o in

mare (V 999

sgg.).

271

st'ode: la morte nell'onde, l'uomo se la cerca da se:


29 sgg. ite, rates curvae et leti texite causas : ista per hiimanas mors venit acta manus; terra parum fuerat fatis,' adie-

cimus undas; fortunae miseras auximus

non pare

egli imiti

Orazio

arte

presente lo stesso carme di Callimaco,


risorge, se

umana

si

dell'ode. Egli

45 sgg.

esclama:

cum pelago?

tihi

(1)

contila te sollers,

nimiiim damnis ingeniosa

samente quid
non et caelum,
tal e

contenta

diverso, sicch

riesce

chiusa

fuisses;

La prima

tertia reggia, petis? (2).

la

e chiede angoscio-

tiiis,

terra

quale l'oraziano caelum ipsum petimiis

con

hominum natura,

simile al passo di Properzio citato dianzi

testo

due avevano
stesso dubbio

confronta l'apostrofe di Ovidio alla natura

nell'elegia An. Ili 1,

fuisti et

lo

Eppure

vias.

piuttosto, tutt' e

diffcile

seconda

la

cur

parte pi

stultita. 11

con-

immaginare che

Properzio dipenda qui da Orazio, Ovidio alla sua volta

da Properzio. Anche questa sembra una conferma che


l' inventore della navigazione sia, nel-

r invettiva contro

l'idea generale, callimachea.

a Callimaco anche per un altro rispetto essa con-

viene.

Il

poeta degli

al'tta

dannose

di altre

egli

renicis

ferro

(fr.

si

35'^):

di

arti

e perverse (3).

contro

scaglia

XaXu^wv

Xovta y.axv cputv

naturale

come

degli upxa:, di supeiac

o'C

[jl:v

(he.

interessasse

utili

(1)

Coma Be-

Chalybi, scopritori del

Da

yhoc.,

^Eid-v/

vxlX-

Callimaco, dunque,

callimacheo Properzio avr attinto l'invettiva

(2)

anche

vita cos

alla

infatti nella

uloizo

e'iiriwoc.y.

s'

(I

il canne gi citato jiifi volto nelle note.


Sogne ancora un TcpoaSxvjTOv, nn' arguzia, che sciupa

ma

fetto patetico,

pure talmente ovidiana che non

s'

il

17, 13):

l'ef-

intendo come

taluno la espunga.
(3)

elio

Sugli

eupYjiJiata cfr.

Lko, Plautinische ForaohiOKjen- 151 sgg.,

senza ragioni sul^icienti credo di avere scoperto nella conimodia

la fonte

prima.

'll-A

a pereat, quicianque ratis et vela paravit primus et invito


(jurqite fecit iter: il poeta finge di scrivere sur una nave
pericolante presso a

una costa selvaggia;

suo

il

in

modo un propemptico per se stesso. L'elegia per


Paeto comincia con una maledizione della '^t^.oyfYjtxaTia
certo

e)-go sollicitae tu

mortis adimus

causa, pecunia,

iter.

vitae,

L'epigramma

di

per

te

Antifilo

immaturum

AP

IX 29

sar, al solito, abbellimento di un carme alessandrino, dunque, nel nostro caso, callimaclieo. Per Antifilo l'inventore non un mortale, ma la Tixa. l'Audacia in persona. Nell'et dell'oro il mare si guardava

due abbellimenti ci lasciano


freddi, ma l'epigramma conferma che anche Callimaco
congiungeva la scoperta della navigazione con la fine
di lontano,

come Hade.

dell'et dell'oro.

Un'altra ragione perch l'idea

dell'invettiva contro

l'inventore della navigazione sia piuttosto di Callimaco


che non di Orazio, ha valore soltanto soggettivo, si che
la presento solo

con riluttanza.

La cagione che muove

li

poeta a maledire tutt' intera la civilt e i suoi ritrovati,


non solo la navigazione ma persmo il fuoco, senza il quale
non possibile alcuna arte, pare un poco sproporzionata
a tant' enfasi
tiva la

ma

fama

sia stata a quei

tempi quanto

si

voglia cat-

del basso Adriatico e delle coste

impiegati e soldati

dell'

albanesi,

impero, studenti e persone

vacanza traversavano ogni momento quel tratto


di mare (1). Tanto j;a^/tos pare sprecato; e non
breve
cos
si riesce facilmente ad immaginare che Orazio si com-

colte in

(1)

Anche

il

Kiessling deve aver sentito quanto poco proporzionata

sia la violenza dello sfogo alla cagione

che lo determina. Dieser

herbe Ansgang scrive egli della chiusa ist -n-eniger in der Situation als in der tiefernstou von Sorgen iiber das sittliche Elend der
Zeit beherrschten Stiramung des Dichters begriiudet . Ma proprio
la chiusa

ha riscontro

in Ovidio.

273

io lo conosco male, o
movesse sul serio per cos poco.
non si pot riscaldare cosi se non a freddo, se non
perch un modello celebre gliene dava l'esempio e gliene
forniva l'occasione. Callimaco invece era molto diverso:
spesso egli parl con accento patetico, eppure con il sorriso sulle labbra. Cos appunto nella Chioma di Berenice
sfoghi che sembrano dolorosi, come quell'invettiva, si
alternano con tratti di eleganza cortigiana, com' l'accenno agli unguenti di cui era profumato il capo della

egli

regina

(v.

con descrizioni quasi lascive

77),

(v.

79 sgg.),

con domande birichine. Mal possiamo credere che il cortigiano, avanzato ormai negli anni ed esperto della vita,
chiedesse sinceramente sia pure alla nuora dei d-eo: cp'.Xnon orbum

et tu

SsXcpot

flebile

discidium ?

Il

luxti deserta cubile, sed fratris cari

tono di questo carme frivolo, come

come

quello di quasi tutta la poesia ellenistica,

mani quello
e

di

meno che mai

di Virgilio.

mutamento

ro-

Par certo che Orazio abbia

preso questa volta un po' troppo sul serio


Il

tra

Properzio e pi di Ovidio, non gi di Orazio

di tono, se,

modo

come

il

suo modello.

credo, ci fu, fu infelice.

anch'essa forse un segno che il carme dei pi giovenili. Particolarit stilistiche confermano questo giudizio
perrumpere, con un
Infelice a ogni

l'enfasi;

fiume, Acheronta, per oggetto, tale audacia quale Orazio

non

permette nelle poesie dell'et matura

si

e forse lo

dovr dire degli iracunda fulmina. Le anafore,


sic-sic in principio, poi qui-qui (18. 19), audax-audax (25. 27)
sono del genere di quelle che abbiamo studiate in Nunc
est bibendum. La strofa settima audax omnia perpeti gens
stesso

si

iumnna

(1)

ruit

per

vetitum

nefas

(l);

andax

L'ordino delle parole iiou mi pare favorevole alla

zioue proiostu dal Rasi (Rendic. deVIsi. Lomh. 1909.


retfnm

lapeti

(uej'tta!).

18

L'92)

genus

interpiin:

niU per

iiy

ignem fraiide inala gentibus

poche

'(-

intulit cos artificiosa

come

Un'audacia, che consiste

altre fuori di quell'ode.

nel sopportare, doveva stupire il lettore. A\V audax del


primo verso contrapposto V audax del terzo, di un verso
che anche ritmicamente risponde a quel primo; alla gens
hiimana si oppone V audax /pe^i ^ew?<s, dove l'intenzione
,

si

scorge nella scelta del collettivo genus per un singolo.

Prometeo;

il

genere

umano

riappare, variato nella forma,

nel verso seguente: gentibus; l'alternarsi di gens

genus

Ignem principia il quarto verso della


il primo
della seguente. Lo
l'ode, non delle
stile non solo artificioso ma prolisso
delle
lunghe che
pi varie nell'intonazione, piuttosto

gentibus h studiato.

strofa

post ignem riprende

non

delle brevi.

Orazio prese l'idea dell'invettiva da Callimaco

ma

il

Noto signore dell'Adriatico,

gli

(1),

Acroceraunii scogli

infami, sono particolari convenienti solo al viaggio di Virgilio,

sono aggiunte del poeta,

imprimere

ha

il

quale ha voluto cosi

suo suggello alla materia callimachea,

fatto spesso

maco avr

il

quella

derivata da Alceo (2);

come
Calli-

parlato di una traversata dell'Egeo o del basso

Mediterraneo.

Anche

la nova

Febrium

cohors,

il

corteggio

di Febbri che segue la Macies, fantasia grandiosa e sel-

vaggia, dello stesso genere della processione di

vizi,

che

tien dietro alla processione dionisiaca in Nidlam, Vare, sacra.

(1)

con

il

Il

confronto, tradizionale nell'esegesi di Orazio, di tutta l'ode

primo stasimo dell'Antigone IloXX

fuori strada

za,

Ssivcc

porta del tutto

questo un'esaltazione dell'ingegno dell'uomo, che solo

morte non sa porre rimedio. Ha ben notato la differenza il Friedrich {Roratius p. 168), che per ripropone una cronologia impossibile.
(2) Quanto alla prima immagine, al Noto, quo non arlUer Hadriae
maior, tollere seti ponere volt freta, si confronti nello odi romane III 3, 5
Auster, dux inquieti turbidus Hadriae
in ambedue i luoghi il vento
un tiranno capriccioso.
alla

275

Orazio ha composto ancora due propemptici


di quello
il

per

il

fetente

Mevio (epod.

Leo. L'altro Lnpios parrae

(III

ma

cui

non ha

dell'uno,

ha detto abbastanza
carme di tipo assai par-

5),

27)

ticolare: canto di addio per un'amata,

rerebbe non partisse

il

che

il

poeta deside-

coraggio di augurare

augura dunque quel bene che essa non merita,


pur nell'augurare cercando senza parere di farle timore a
che desista dal viaggio. Il tono , almeno nella prima parte
del carme, un po' leggiero, quasi scherzoso il poeta fa le
viste d' intendersi di aruspicina molto pi di quello che in
verit ne sappia. Vien fatto di sospettare che egli sia un
indovino da salotto e che la sua scienza serva soltanto

male

le

a quei

fini

cui forse intende la dottrina di

molti

chiro-

manti e cartomanti dell'uno e dell'altro sesso, che la sua


mantica sia poco pi di un elegante giuoco di societ
poesia dunque da amatore ragionevole e da uomo di mondo.
Quale esempio dei pericoli di una traversata scelta Europa; al poeta poco importato che ella, a differenza
di Galatea, compiesse il viaggio non a bordo di una nave
ma in groppa a un toro, sia pure divino. Il mito, se deve
davvero ispirare timore, scelto quanto peggio si poteva
Europa se la cava con la paura, e l'onore di essere sposa
di Giove e di dare il proprio nome a una parte del mondo,
compensa a usura i timori vani giunta a Creta, essa ha
appena tempo di inalzare il lamento sulla sua sorte infelice, che Venere, paga alfine dello scherzo, le fa coraggio,
rivelandole il nome dell'amatore e la gloria futura. Pure
la monodia di Europa trattata dal poeta con gravit
nel narrare il mito egli sembra dimentico di s e delle
sue intenzioni. Al lamento della figlia di re, che teme di
divenire schiava, esposta a tutte le sevizie di una rivale,
moglie e barbara, tengono dietro parole ancora ambigue
aderat quereliti lerfdum ridens Venus et remisso plius arcu.
Il lettore immagina che la dea nella sua crudelt si coni:

570

piaccia della condizione indegna a cui l'amore


la fanciulla

Ma

Venere

regia

ridena

perfdiim

h di miglior pasta

che non

ragione.

creda

si

ridotto

lia

par dargli

suoi

scherzi sono crudeli s ma, in fondo, innocenti. Nella strofa


seguente ella mostra tutt' il suo buon umore: cum Uhi

mette in
infamem mihi

inviaus laceranda rddet cornila taurus riprende e

ridicolo

il

proposito fiero di

mine iuvencum dedat

Europa

si

quis

iraiae, lacerare ferro et franr/ere enitar

modo miiltum amati cornila monstri. Lacerare le corna di


un toro non impresa troppo facile per una fanciulla,
anche se l'animale ci si presta di buon grado. Il carme,
che era cominciato con un sorriso appena appena malinconico, finisce in un bel riso franco, in un riso a bocca
aperta. Chi sa, pensa Orazio, che Galatea non trovi fortuna
oltre mare ? Se non un re, un proconsole o un procurator.
In ordine un po' diverso i motivi della prima parte
del carme ritornano nella prima parte di un'elegia di
Properzio I 8 Tune igitur demens. Il poeta non pu rassegnarsi al pensiero che la sua amata lo lasci per esporsi
ai pericoli del mare, per recarsi a dimorare in una terra
fredda e inospitale, in Illiria. Egli si augura che l'inverno
duri il doppio, che venti contrari impediscano alla nave
anzi va pi oltre e spera che essa, appena abdi salpare
bandonata la sponda, sia cos travagliata dai venti, che
la crudele, vedendo lui ancora sulla riva, lo chiami, pensuoi metita, con la mano. Ma no, qualunque siano
riti, egli non pu desiderarle altro che una navigazione
;

prospera:
notizie.

si

Ma

consoler dell'assenza chiedendo


no, essa

sempre fedele a
Properzio
all'amica che

si
il

non pensa pi a

lui, tant' la

ai

partire,

naviganti

rimane per

forza dei carmi.

ad augurare
compia; Orazio ri-

lascia in principio trascinar

desiderio di

cusa sin da principio

di

cere alla fanciulla che

lei

non

si

sperare in ci che non pu far pia-

ama: ogni bene

egli le

augura.


Ma

Tu

viaggio pericoloso. Motivi a un dipresso

il

eguali

si succedono in ordine inverso. Pure non sembra che Properzio nel primo libro abbia mai imitato Orazio (1), ne
le coincidenze sono di tal sorta che obblighino a cre-

derlo contro ragioni generali di peso grande.

Anche

qui

due dipendono da un esemplare comune. Leggendo, si


ha r impressione che Orazio sia qui pi originale poich
gli empi partano con auegli principia il suo carme
gri cattivi, io non so desiderare il male di chi amo ,
verrebbe fatto di intendere Altri auguri male alla sua
amata, io no , e di pensare che egli voglia, per cos dire,
rovesciare un motivo tradizionale. Fonte comune sar
ad arte ellenistica conviene
stato un carme ellenistico

<'

bene

modo

il

sentimentale

tra

Che anche

l'amore.

la

ferita

scherzoso

anche
mondo. Egli non augura

perzio apparr, a chi ben guardi, a fior di pelle


il

da uomo

suo carme

all'amata la morte, no,


versa

impedisca

le

il

ma

di

trattar

di

aperta nel seno di Pro:

soltanto che la stagione av-

viaggio, che la procella le metta in

cuore, appena partita, desiderio dell'amante, che l'aspetta

ancora sulla sponda. Anche queste sono imprecazioni da


innamorato bonario e di spirito. Porse, se non caso che

l'amata

tutt' e

due

le volte

passi l'Adriatico,

il

modello

comune forse opera di un Greco che scriveva gi in


Roma, che considerava gi il mondo dal punto di vista
romano dunque di un contemporaneo non di Callimaco
;

e di Teocrito

ma

rigorosa non

si

di

Partenio e

di

pu dare, perch

Pilodemo.

Ma una

naturale ogni

prova

Romano

pensasse a quella traversata che era la pi frequente

Cfi-.

(1)

LXV,

litio,

(2)

noi

1(10

noier StudienJX, 1887, 120; Jacouy.

Kkisch,

IVi.

(2).

Mus

211.

Si confronti

il

piiucipio di un'altra elegia di Proporzio,

mine Hadriae vereor mare nascere tecum, Tulle.

ti

278

Ciascuno dei due poeti imprime

il

suggello

proprio

sulla materia ellenistica. In Properzio la disposizione di

animo muta di un tratto l'amata si convince a restare,


tanto in amore possono
carmi Orazio narra all'amica
un lungo mito, che le pone sott' occhio i pericoli del
:

viaggio,

pericoli vani.

La seconda

parte dell'ode ap-

partiene a quella categoria di carmi oraziani che ripro-

duce

e continua poesie epiche di

contenuto e sino a un
forma metrica di queste, che si possono dire ballate , se ballata si prende
nel senso che le davano i romantici, tratta brevemente
il paragrafo 6 del presente capitolo. Il contenuto epico,
che fa sentire maggiore lo stacco tra questa e la prima
parte del carme, spiega come l'avventura di Europa, pure
certo segno di

stile, liriche

nella

narrata cos sul serio, non istuoni

il

poeta epico rimane,

per COSI dire, a certa distanza dalla materia del suo canto.

La

chiusa volge tutto

il

carme

in riso. Quest'ode, nella

quale sono fusi in armonia piena elementi, che sembrano


a prima vista discordare inconciliabilmente
altri,

forse la

pii

festosa tra le oraziane.

gli uni dagli

Il

modo come

Orazio imita, qui del tutto originale.

6.

Di Orazio conservata una sola ode prettamente narI 15 Pasto)' cimi traheret ; ma di un altro carme,
di quello appunto che abbiamo trattato poc' anzi. III 27
Impios parrae recinentis omen, la narrazione mitica riempie
pi che due terzi, cosicch il propemptico, che l'introduce, fa la figura di un proemio personale e nulla pi.
Da quando fu scoperto Bacchilide in poi, si sono spesso
confrontate le due odi, specie la prima, con quei carrai di
questo poeta che, comunque egli stesso li avesse chiamati.
rativa,

:i/U

nell'edizione alessandrina erano intitolati ditirambi

ma

somiglianza innegabile,

abbia imitato direttamente carmi

componimenti non

se

abbiano fornito
epillii

il

lirici

La

del quinto secolo,

poeti

dissimili di

(1).

se Orazio

ellenistici

gli

modello. Sinora non erano noti se non

alessandrini composti tutti in esametri, l'Hylas

l'Heracliscos; se epillio
crito;

pu chiedere

ci si

l'Europa

vati senza

di

nome

di

li

pu

si

Mosco;

l'

dire,

Dioscuri

(2) di

Teo-

Eracle e la Megara, conser-

autore nella raccolta dei bucolici

(3)

due carmi, ai quali


si
ispirato Catullo per la poesia 64 Peliaco quondam
prognatae vertice pinus. E, poich a un occhio attento non
poteva sfuggire che le somiglianze tra Bacchilide e Orazio
sono minori che tra Orazio e alcuni almeno di questi
carmi alessandrini, si era costretti a immaginare che questa poesia epica in forme liriche si fosse svolta a un
cos pure

il

carme, o forse meglio

dipresso cos. Estintosi

Stesicoro, e

l'epos,

Corinna avrebbero rinarrato in metri

lide e

strappati dal tessuto

della

leggenda.

Gli

poi

Bacchi-

lirici

episodi

Alessandrini

avrebbero ancora una volta riversato quella materia in


poemetti esametrici, riproducendo in essi certi atteggia-

menti

lirici

e,

quel che pi conta, la penetrazione

lirica.

Il papiro Ox. 1091 ha chiuso definitivamente la controversia:


FracCaroli, Lirici H 421 sgg.
(2) Sono propriamente un inno, ma l' invocazione agli di non
pi che un cappello, e le formule cos comode dell'inno omerico non
servono qui se non a dar modo al poeta di trattare due episodi

(1)

cfr.

scelti

liberamente senza riguardo al complesso della leggenda; cos pure

nell'Eracle l'artista fa finta di esser

nn rapsodo per poter cominciare,

sospendere, ricominciare la narrazione dove pih gli cade in acconcio.

Com'

noto, Teocrito nella chiusa dei Dioscuri rivendica a s

di avere

emulato l'inno omerico con

vi offro XiYwv jiS'.XiyiJLaxa Mouatov,


o\v.o<;,

oV axal

WiLAMOWiTZ,

vanto

nuovo:

io

rcotpxouot

xa- w?

jij

'jTiapxei .

(3)

il

un cauto suo

Textgescliichtc dcr Bukoliler 19.

sgola

presenza continua, per cosi

getto, Orazio

questa

specie

avrebbe trasfuso
di

ballate ,

dire, del
di

soggetto nell'og-

nuovo

metro

in

di ballate,

s'

lirico

intendo, nel

senso che questo termine ha nella poetica dei romantici


tedeschi e nostri, e non nel significato in cui l'intende-

vano
poeti del dolce stil nuovo (1). Anche chi non
aveva timore dei molti zig-zag, avrebbe dovuto arrei

trare dinanzi alle conclusioni, se avesse ripensato che

ancora conservato, quantunque soltanto in una riduzione


un epillio greco in metro lirico, l'Attis di Catullo: certamente anche il suo esemplare era composto
latina,

in galliambi.

Scoperte recenti danno


dro.

Come mostra un

modo

di colorir

papiro di Berlino

narrato con atteggiamenti

meglio

il

qua-

Callimaco ha

(2),

e in metri lirici la

morte di
turbamento, anzi lo sgomento che
la triste notizia produsse tra gli di, l'apoteosi della regina. I versi sono archebulei trattati con libert davvero
meliche (3), che parrebbero a prima giunta aliene dall'inArsinoe Filadelfo,

il

dole cos severa della ritmica

tono:

il

soggetto, anche questa

una leggenda

il

di

vono nel tempo presente


ancor

volta,

di di e di eroi
senonch gli di sono qui
uomini accolti dopo morte in cielo, gli eroi vi-

fatti mirabili

in parte

alessandrina. Lirico

fissa

ma sul nascere;

leggenda
ben conscio della sua

e a corte, la
e,

non

libert,

appunto dal nulla o quasi dal nulla l'artista, che ne


Il carme conferma
a ogni modo che nel secolo terzo si composero ballate.

la crea

ha

forse ricevuto l'incarico dal suo re.

un dipresso

Eeitzrnstein,

(1)

Cos a

(2)

Berlincr Sitzungsher. 1912, 524 sgg.

il

GGA

1904, 957.

(3) Vedine lo schema nel manuale di Efestione (cap. 8), che ce


ne aveva serhato tre frammenti di un verso ciascuno, quali tuttavia,
avulsi dal loro testo, senza che neppure sapessimo se appartenessero
tutti a un carme, non ci potevano essere di alcun suffragio.
i


oltrech in esametri,

metri

lirici,

ticolari

come

come

:il

quelle dei bucolici, anche in

quelle oraziane; di somiglianze pi par-

con Orazio avremo agio

di

occuparci tra poco.


quella dei Persiani,

Un'
ha mostrato che anche nel quai;to secolo, quando l'epos
tornava a fiorire con Antimaco, la lirica non restava per
ci di narrare. Il nomo di Timoteo conchiuso da un
altra scoperta

epilogo personale, dalla

pi

celebre,

della tradizione, nel quale

a'^^o^yic,

il

vantando i suoi meriti e difendendo l'arte


sua da accuse. Questo carme, quand'era intiero, sar stato
del pari preceduto da jm' invocazione al dio, come sappiamo che erano altri componimenti dello stesso genere (1),
invocazione del resto che di per se sola non basta a imprimere stampo lirico a una poesia, tanto che la si trova
di regola appunto in principio di poemi epici. Ma, nonostante l'invocazione e l'epilogo, la parte maggiore del
nomo narrava, se non un episodio di leggenda, un fatto
poeta parla

di s,

aveva ormai dignit di leggenda, la battaglia


La lirica di Timoteo di una specie tutta
particolare, poesia per musica, libretto se non di opera
che un'opera non si pu immaginare se non dialogata
almeno di cantata ;
e distribuita tra diversi cantori
questo suo carattere spiega alcune particolarit di composizione e la gonfiezza dello stile. A noi non importano
particolari, ma vogliamo solo constatare che anche
qui
storico che
di

Salamina.

nel quarto secolo

si

sia

come

continu,

leggenda e storia leggendaria


pure soltanto quando

nel quinto, a narrare

in versi lirici e in

il

carme

lirico

tono

lirico,

era composto

esclusivamente per mettere in luce l'abilit del citaredo


nel cantare e nell'accompagnarsi con il suo strumento.

tici

Del resto, anche prima della scoperta di Timoteo i criavrebbero dovuto sapere che poesia narrativa in metri

(1)

WiLAMOWnz,

Timotheos 97.

era in fiore nel quarto secolo

lirici

della Repubblica (III

394

generi di poesia secondo

1;),

gli

Platone

in

nel quale distingue

un

altro misto,

come l'epopea

ponimenti, un altro ancora


TiotYjtoOil

eupo'.; 5'

vari

pura imi-

in

e molti altri

com-

axlv.... ot' nxyyz'/J.y.;, cczo'j xoO

v atyjv |xxXtax nou v O-upxixjjOL;. Poich

criterio di distinzione per

se

elementi mimetici, asserisce

che un genere, quello drammatico, consiste


tazione,

quel passo

Platone unicamente questo,

poeta, a cos dire, falsifichi s in altrui forma o no,

il

evidente che per Platone

certi

ditirambi

avevano

(1)

per caratteristica di essere puramente narrativi, mentre


il

mischia sempre

poeta epico
di

retti

personaggi.

soggettiva

il

racconto discorsi di-

al

vero, anche

poeta parla a

nome

in

lirica

puramente

proprio senza prender

maschera altrui; ma Platone, se avesse voluto ciun esempio di lirica pura, avrebbe nominato piuttosto i Lesbii, piuttosto Saffo che non gli insignificanti
ditirambi a questi appunto ricorse perch non aveva
la

tare

di meglio.

stotelica,

del resto la poetica platonica e quella ari-

proprio

perch fondate sulla

gono, come d'altronde noto, dalla


detta.

Ditirambo

Aristotele

li

nomo sono

considera

il

(iLfiYjai?.

lirica

generi

astrag-

propriamente

affini,

tanto che

pi delle volte insieme (2); egli

avrebbe chiamato 5t^upa{i|3w5r]; lo stile del nomo di Timoteo, che per i Peripatetici rumoroso e ditirambico sono
tutt'una cosa {Rhet.

(1)

pi

Non

direi

jjiXtoToc Tcou

il

Ili

1806 b

ditirambi in genere, che l'ottativo

paiono indicare

diretto per Platone

2) (3).

clie la

s'jpo'.;

narrazione senza

un caso eccezionale, che

si

trova

al

discorso
pii

nel

ditirambo.
(2)

Cos Foct. 1447 b 24, 1448 a 14.

(3)

Forse appxmto perch la parola ditirambo era divenuta sino-

nimo

di lirica narrativa, gli editori antichi

tra

suoi ditirambi anche gli 'HtS-sot, che sono

di

Bacchilide

un peana.

inclusero

283

Orazio, nelle due odi che ora consideriamo, tratta una


scena del mito senza riguardo a ci che nella leggenda
precedeva e seguiva egli esige dal lettore conoscenza
piena della favola, vuole che questi, udita appena la prima
:

parola, intenda subito di che

si

tratta: pasfor senz'altr' ag-

giunta deve subito svegliargli nella mente


Paride. Cos pure in III 27

Europa
sulla sponda

gi

tico

teto dolosus

salita

il

ricordo di

mi-

in principio del racconto

groppa

in

al falso

toro, gi

mezzo alle onde. Solo l'epitoro non un animale dei

del mare, gi in

accenna che

il

ma

un'incarnazione di Giove (1): dell'innamoramento del dio non fatta parola; il rapimento indicato
con parole che prendono quel significato solo per chi co-

soliti,

nosca gi

tutt'

particolari di esso; che particolari sono

et

non il fatto
debitae Nymphis

opifex coronae.

chilide

cominciano per

lo pi altrettanto ex ahrupto:

in se: niqjer in pratis studiosa

descritti e

rum

ditirambi di Bac-

bella sposa del divino Antenore, ministra di

doveva seguitare
sciatori

degli

ricevette

casa sua

in

Argivi, Menelao e

fio-

Ulisse

La

Athena , e
due amba La nave

che portava l'intrepido Teseo e i


due volte sette figli degli Ioni, tagliava le onde creprora

dalla

tesi .

questa

l'uso rimasto costante in

rativa: super
Atti,

cernia,

alta

vectus Attis celeri

donde venga, non

rate

detto, perch

perch del resto indifferente

privilegio di distribuir luce e

il

nar-

lirica

maria; chi
il

lettore

lo

lirico profitta del

sia

sa

suo

ombra come crede conve-

niente alla sua arte. Quale diff'erenza dal tono omerico,


dal passo sempre

(1)

Cos in

Nonno

uguale dell'epos!

gli

Ma

perci appunto

animali che contiMigono un dio trasfonnato,

sono chiamati a ogni pi sosiiinto

(J'E'jS/jijlovs;

opi)nre vO-oi

i|ncsti

termini devono essere alessandrini, ch anche per Catullo Atti privo


della ])ofienza virile, Atti infemminito

)iollia

nnilicr (v.

27).

'd^i

Callimaco non voleva che si componessero pi grandi


poemi epici e preferiva tali narrazioni in versi lirici o
anche ballate esametriche. Gli epillii di Teocrito e dei
suoi imitatori trasportano spesso altrettanto rapidamente
in medias rea quanto Bacchilide e Orazio. Cos l' Heraclisco incomincia con la descrizione, come Alcmena mette
a letto i due bimbi lattanti Eracle e Ificle cos il primo
episodio dei Dioscuri, dopo l'invocazione, principia a un
dipresso cos Argo, sfuggita alle Simplegadi, giungeva
ai Bebrici carica di semidei
e ancor pi bruscamente
il secondo episodio
I due figli di Zeus, rapitele, portavano via con se le due figlie di Leucippo, e li inseguivano di forza due fratelli, fidanzati di esse, i figli di
Afareo ; la narrazione comincia a mezzo l'inseguimento.
Anche il principio dell'Europa di Mosco assai brusco:
Una volta Cipride invi ad Europa un dolce sogno ,
e qui il sogno seduttore descritto. Orazio lo fa invece
accennare da Europa a met del suo lamento in modo
anche questa volta non comprensibile se non da chi
;

conosca particolareggiatamente il mito: vigilansne ploro


commissum? an vitiis carentem ludit imarjo vana, quae

turpe

porta fugiens eburna somnium ducit: sono desta, o tutto

un sogno?

passata

gono

il

eleganza,

Chi

sa,

come quello della notte


Megara e dell' Eracle raggiun-

integra:

principii della

colmo della bruschezza; che artisti di minore


che non siano Teocrito, Orazio, perfino Mo-

sco, sentono

meno

il

freno

dell'arte e applicano, quasi

formule, senza discernimento alcuno, procedimenti ed espedienti che

maggioi'i usano con cautela.

La Megara

in-

comincia Madre mia, perch tanto ti tormenti in cuor


tuo? ; com' stato osservato (1), se non lo dicesse il
titolo, non s'intenderebbe facilmente chi parh. L'Hera:

(1)

WiLAMOWiTZ,

edizione dei Bucolici 160.


disco comincia con un

285

5'

xv

Ypwv

|3owv

Ttpoas'.Tis

iiioopoi; poxpsu?
anche qui solo il lemma premesso alla
prima scena mostra che un oratore indeterminato parla
ad Eracle. La seconda scena (che il poemetto si divide
in iscene staccate l'una dall'altra nello spazio e nel tempo)
incomincia: Il Sole volgeva i cavalli alla tenebra, conducendo la sera v x 5' urP^uO-s ixcova ^fjXa ex ^oxi.yri(; vtvxa
fix' aXia x arjxo'ji; xe; quali pecore? e a chi appartengono?
Augia nominato solo venti versi pi in gi (v. 108). Tutto
quel che precede, riempito dalla descrizione del ritorno
;

delle greggi agli stazzi;

il

gna

La

la

prima, con un

pingui campi, subito

citt, Phyleo e la forza


anche riconoscere che

una vaga

farsi

InnKjXrp'.c la rasse-

come

terza scena comincia,

ed essi due, lasciati

pu

lettore curioso

idea di ci che seguir solo dal titolo

si

di

Eracle

il

poeta ellenistico imita la con-

(1). Certo,

qui occorre

suetudine dei rapsodi, di recitare solo scene scelte

come Teocrito

os

avviarono alla

ma

nei Dioscuri volge a questo fine la forma

dell'inno omerico, cos questo poeta

si

serve della libert,

che l'imitazione della rapsodia gli concede, per cantare


ci solo che conviene al gusto moderno, senza i trapassi
convenzionali dell'epopea.

Siccome

(1)

le

primo due scene

liaiino

speciali, autentici

titoli

perche necessari all'intelligenza della poesia,

il

Wii.amowitz crede

(edizione dei Bucolici 165) elio anche la terza parte avesse originariamente un titolo proprio, smarritosi poi nelle vicende della tradi-

zione manoscritta. Io sono convinto che esso non

ci

sia

mai stato

qui un
era

lemma sarebbe stato superfluo, mentre nelle prime due scene


indispensabile. La seconda finisce S-aiiatiov 5'.... uig te Satcppiov
:

^uXsg

La

ol'

Ts....

pouxXoi iXvSpeg,

terza ripiglia

Xsxvjv,

*uXsg xe

'A|i(ytTpu(iJvi,dt8a pivjv

S'

eg

ptyj

0-'

'lIpaxXyjsiY).

L'identit dei nomi basta, aiirhe

senza

titolo, a orientare

ciali,

cio lemmi, essendo scritti in margine,

lasciare

il

uulpoTrXov it'X^c,.

oxu XiTivxe xaiauTS-i 7:(ovag Ypo'ig oti-

x)

lettore.

come pi tornava comodo.

Occorre ricordarsi che


si

puti-vano

titoli

spe-

mettere e


Il

carme oraziano

proj)ria:

di

Venero, saziata

286

Europa ha una chiusa vera e


la sua crudele hrama di riso,

conforta Europa mostrandole che tutt' stato per

carme

suo

il

Nereo finisce cos improvvisamente come


era incominciato, con la fine della profezia. Ma altri carmi
lirici di contenuto narrativo terminano in modo ancor
molto pi brusco. A prescindere dagli esenif)! bacchilidei
che gli Antenoridi sono, sembra, mutili in fondo (1),
e dell' Eracle non conservata se non la prima triade
bench sia certo che Orazio, se lesse Bacchilide, il che
non sicuro, lo lesse in quella stessa forma nella quale
bene;

il

di

conservato a noi

la raccolta dei Bucolici offre parec-

La

chi esempi di ballate piuttosto interrotte che chiuse.

Megara non ha una fine come non ha un principio.


Alcmena, narrato il sogno di funesto auspicio, augura che
volga contro Euristeo. Certo, chi legge,
sente che tutt' vano, poich sa che n la madre n la
moglie rivedranno pi Eracle ma cotesta arte mira ap-

la predizione

si

punto a questo fine, di dar modo al lettore di integrare


con il pensiero quel che il poeta non dice. Le scene
dell'
i

Eracle hanno chiuse altrettanto rapsodiche quanto

principii. Nell'Heraclisco, forse la pi raffinata di tutte

come Eracle strangol

queste ballate, al racconto,


penti,

alla

profezia

di

Tiresia segue

minuta del semplice tenore

di

vita

la

ser-

descrizione

dell'eroe fanciullo.

L'ultimo verso dice: e portava vesti disadorne, che

arrivavano a mezza

gamba

molti

critici

gli

hanno segnato

a me pare bene a ragione, il Fraccaroli, Lirici II 2i,


aveva un tempo giudicato anche il Wilamowitz, GGA 1898,
quale tuttavia pensa oggi altrimenti (Timotheos 103) neppure

(1) Cos,

e cos

135,

il

l'imitazione

dell'uso

rapsodico

esponga solo idee generali.

spiega

come Menelao ambasciatore

lacuna; peccato che

il

novA impedisse di creder mutilo

anche il principio del carme! (1)


L'ode di Nereo , fuori che la prima strofa, tutt'una
il lamento d Europa e poi
profezia, in discorso diretto
conforti di Venere riempiono tutta la seconda met di
i
III 27. I discorsi di Teseo e di Minosse sono anche parte
principalissima degli 'HtO-eoc bacchilidei, che per gli Alessandrini erano un ditirambo (2). In discorsi si svolgeva
tutta, per quanto possiamo vedere, l'Arsinoe di Callimaco:
Philotera, la sorella del Filadelfo, morta giovane e accolta
tra le creature divine del corteggio di Demetra, scorto
da Lemno il fumo che si stendeva sul mar tracio, invita
Charis a recarsi sull'Athos per osservar di l che sia avvenuto Charis le d retta e d' in cima al monte le grida no;

tizie;

Philotera risponde, Charis replica ancora; e la con-

versazione

continuava, pare, nella

Dioscuri teocritei Polluce e

Amyco

parte

si

Nei

perduta.

sfidano a duello con

L'Europa par davvero rautila iu fondo, nonostante le ragioni


Taccone, Atti di Napoli IV, 1915, 52 l'ultimo emistichio interpolato per comijiere il verso, oli, comunque
s'intenda il ttcxs, divenne in un subito madre rimane una goffaggine, mentre nel verso precedente y\ 8 Tcocpo^ xoupY) Zvjv; ysvsx'
aTixa vu|j,cpvj, quella che era sino allora fanciulla, divenne di un
(1)

recate in contrario dal

tratto sposa di Zeus ,

espressione ragionevole.

se pure pensiero

Come negare

sull'altro? I versi caduti sono per


(2)

In verit

erano

un peana

tutt'altro

che

ben pochi.
cfr. Fraccaroli,

Lirici II 422.

Degli Anteuoridi, che nel papiro finiscono anch'essi con


o

principio di discorso,

di

Menelao,

sublime,

che l'nn emistichio foggiato

non

si

un

discorso,

pu tener conto, per

non contenesse probabilmente pi che il


non fo uso del Teseo, che composto unicamente di discorsi alterni in primo luogo non escluso
che sia qui imitata la tragedia, e poi questa forma, puramente
quanto

la

fino

i)erduta

resto di quell'orazione. Cos pure

drammatica, dovette nel ditirambo rimanere per

lo

meno

altrettanto

eccezionale quanto quella, prettamente narrativa, di cui parla Platone.


una vera

esametrica conchiusa, come

av."/oixuO:a

un gruppo

nolla traf^edia, da

288

l'uso del discorso diretto

di

due

spesso

Pi discreto

versi.

nel-

Heraclisco, eppure anche in

l'

questo circa trenta versi su centoquaranta sono occupati


dalhi profezia di Tiresia. Nell'Europa di

Mosco

l'eroina

parla a se stessa, appena destatasi dal sonno; invita con


\in

discorso le altre fanciulle a scherzare con

il

toro;

si ri-

volge stupita alla bestia, quando si trova sola in mezzo


mare, e scongiura Posidone di salvarla; anche il toro

al

risponde a Europa con un discorso diretto.


dell'

La prima scena

Eracle, tranne poche formule epiche di introduzione

e di passaggio e la descrizione minuta dell'avviarsi

due

che ve

allo stazzo e dell'abbaiare, dei cani,

li

dei

riceve,

tutta composta dei discorsi alterni di Eracle e del vec-

chio bifolco

parimenti formata di discorsi la terza scena,

salvo gli otto versi d'introduzione. Phyleo s'informa cauta-

mente
leone

chi sia

il

compagno

suo

Nemeo; Eracle narra

di via, se l'uccisore

la battaglia contro

del

mostro:

il

buona educazione non di


una persona per bene del tempo

specie Phyleo parla con tutta la

ma

un eroe omerico
ellenistico.

composta

di

La Megara, di centoventicinque esametri,

di

due

discorsi,

tranne che, tra l'uno e

cinque versi fanno da ponte

Ne

didascalia in esametri.
introdotto,

come pur

passaggio, quasi fossero una

di
il

tutta
l'altro,

primo discorso

di

Megara

suole avvenire anche nell'epillio, da

pochi versi narrativi. Taluno

(1)

ha voluto considerare

questa poesia esercitazione scolastica del genere

di quelle

di cui ne ha conservato esempi prosastici Seneca il vecxiva; icv


chio, o anche delle declamazioni quintilianee
:

d-oi Xyo'j;

Ma

'f,

Meypa

r^

r^

'AX/.p^vr] in

questo o quel caso.

per componimento scolastico questo

troppo buono; che

(1)

WiLAMOWiTZ,

il

sentimento

vi

carme

ancor

pi fresco e pi

Bucolici 1G6.


non

sincero che

pare che

il

289

soglia in esercitazioni retoriche

a rae

poeta abbia solo esagerato quel carattere mi-

metico, mimetico nel senso che d a

\t.''\J.rp'.z Platone, che


ed era tradizionale come nella lirica narrativa COSI nella ballata esametrica. Platone avrebbe con-

pareva a

lui

siderato appartenenti al suo

abbiamo

(jlixtv

yi'^o;,

come

tutti questi epillii

avrebbe sbanditi
tutti dalla sua repubblica, ma avrebbe colpito con una
condanna pi severa la Megara, che rientra gi quasi
di

cui

per intero nella

detto, e,

apparsi

li

pura.

(x-'jAYja:;

Fin qui Bacchilide e


aio ci sono

tali,

gli

come

Alessandrini

un

sur

Timoteo

sol piano.

e Ora-

Chi aguzzi

due odi oraziane, non che clasfili sottili con


la poesia
pi moderna. Con ci non intendo asserire che Orazio, oltre
Teocrito letto a scuola, abbia dovuto conoscere necessariamente i poeti, oscuri forse anche ai loro tempi, e i
carmi compresi ora nella raccolta dei Bucolici
ma ne
avr letto altri simili che, se prescindiamo dall'Antologia, VAppendix theocritea contiene i soli esempi superstiti
della poesia greca del secondo e del primo secolo.
Il carme Pastor cum traheret per la parte maggiore
vedr che

lo sguardo,

le

sicheggiare, sono congiunte da

costituito di
di

Europa

una profezia;

in

una profezia

tua sectus orbis nomina ducet.

sandra di

Bacchilide

predizioni,

come

in

conteneva
generale

nella poesia ellenistica (basti

finisce

una profezia

sono

il

Anche

tutt' altro

carme

la

Cas-

ma

le

che rare

pensare all'Alessandra

di

Licofrone e alle Chiliadi di Euforione), cos

si

particolarmente nella ballata esametrica.

Tiresia del-

l'

Il

Heraclisco profeta ad

Alcmena

Il

ritrovano

grandezza del

figliuolo.

vaticinio delle Parche, esposto anch'esso in

orazione

la

carme 64 di Catullo. Un sogno, che il poeta con grande cura designa veritiero, d
principio all'epillio di Mosco: dal sogno Europa indotta
diretta, parte cospicua del

19

290

all'aspettazione fiduciosa di fatti mirabili, con

consola

la

La Megara

toro divino.

il

un vaticinio
racconto

finisce nel

Alcmena, sa profetico,
(raa spera davvero o vuole ingannare
se stessa?) che esso prometta male ad Kuristeo e non
a Eracle. Nh sar fortuito che nelT Hluropa di Mosco e
nella Megara il vaticinio stia in fondo, coni' esso chiude
un sogno, che
sebbene si auguri

la

di

ambedue

narratrice,

odi oraziane.

le

In III 27

mito ha intento, per cos

il

dire, parenetico,

poich deve dissuadere Europa dal viaggio. Per verit


esso riesce

al

suo fine solo sino a un certo segno

r Europa del mito ricompensata ad usura

di

vaglio e timore. Orazio, lo abbiamo veduto dianzi

chiude l'ode ben pi festosamente che


facesse aspettare

ma

l'

intento

del

il

di provare, di persuadere.

di Teocrito.

Non

non
pur

Cosi nell'Hyla

soltanto noi cediamo all'amore


i

che

(p. 276).

principio

mito rimane

sempre quello

cono, riassunti in brevi parole,

ogni tra-

di-

primi versi, pure Era-

un fanciullo . Anche qui quel che pi


non ci che d a intendere di voler
provare, ma il mito nei suoi particolari, sebbene le parole
ultime, accennando che Eracle a piedi arriv pur egli al
termine del viaggio, mostrino che chi cede all'amore, non
cle

s'innamor

importa

di

al poeta,

per questo ancora perduto (1).

La

parte pi bella di III 27

Di monologhi
teo:

un Persiano

(1)

che

il

monologo

anche quasi intessuto

il

profferisce vanterie stolte

Come ognuno vedr

facilmente,

io

accetto

di

nomo

Europa.

Timocontro il mare
di

l'interpretazione

Hyla ha proposto il Wilamowitz {Textg. d. Buk. 174 sgg.);


non intendo far mie certe sue formule troppo rigide, come

dell'

con ci
che l'Hylas sia un'apologia del 7rai5ixg spcDg.

(juella

Wilamowitz non ha pensato

all'ode di Orazio.

Del resto,

il


che

gente che annega, lancia un


patria lontana e gli di patrii. An-

penetra in gola

gli

ultimo grido verso la

che

il

il quale, mal pratico


un gergo strano e ridicolo

Frigio,

plica in
i

291

della lingua greca, sup-

mente

che lo trae per


promette oscura-

l'Elleno,

capelli prigioniero, di risparmiarlo

tenersi d'ora in poi lontano, profferisce

di

un mo-

nologo, che l'Elleno non risponde; cos monologico

lamento

di

cito per

comandare

Serse, ancorch questi


la ritirata.

dino tanto in un libretto

il

rivolga al suo eser-

si

Perch

le

monodie abbon-

s'intende facilmente; anche

nell'opera italiana antica le arie sono pezzi di bravura.

Ma

la tradizione del

cos forte

che anche

monologo
l'

nella lirica narrativa era

si

gara

, in

uno

Attis di Catullo ne recita

perpetua anche nella ballata esaraetrica

essa

fondo, composta di

ed

Medue monologhi, che Megara


:

la

in principio del suo discorso la parola ad


Alcmena, e cos Alcmena a Megara, ma ognuna delle
due dopo le prime parole parla per s e per il lettore,
non gi per l'interlocutrice. Nel carme di Catullo l'Arianna dell'arazzo lamenta le sue disgrazie di amore come
l'Europa di Orazio. Questi monologhi o monodie gi in
Timoteo sono per lo pi lacrimosi, proprio come le arie

rivolge

delle nostre opere sono per lo pi patetiche.

La monodia

doveva, del resto, apparire mezzo tecnico assai comodo


agli Alessandrini, anche quand'essa non aveva pi, nell'accompagnamento musicale, la sua ragione di essere; quale
altra finzione avrebbe permesso all'artista di mostrare la
sua scienza del

cuore

monodia, nella quale

Non

umano

cos

facilmente

come

la

personaggio parla a s di s ?
sar neppure fortuito che questi monologhi dolorosi
il

ma ci dipender dall'interesse che un'et raffinata ha per l'anima


pi resta ad aprirsi, men facilmente penetrabile. Ognuno
siano cos sovente messi in bocca a donne,

penser alle monodie del grande contemporaneo e animi-


Timoteo

ratore di

292

Euripide;

(1),

suoi canti iizb

'zvi.ri^f,<;

sono messi per lo pi in bocca a eroine infelici. Euripide, anch' egli fautore della musica cromatica moderna,

avr dato sviluppo a queste arie per ragioni musicali,

ma

avr anche adoprate volentieri quale mezzo ac-

le

concio

tratteggiare l'anima

Non

cata.

come

psicologica,

di arte

l'occasione

migliore di

femminile, cosi complessa e

intri-

a caso l'Arianna di Catullo arieggia in molte

Una

parti eroine euripidee.

delle

monodie

ma

forse quella di peggior gusto,

dei Persiani,

certo nelle

intenzioni

un pezzo di gran d'effetto, messa in bocca a


un Frigio, che parla un greco sgrammaticato; dell'Oreste
celebre la monodia dello schiavo frigio, pur essa di
gusto dubbio, ancorch il carattere orientale dello stile
non urti il lettore moderno quanto gli errori ridicoli
dell'autore

del connazionale in Timoteo. L'Oreste fu rappresentata

nel 408

Persiani

sembra, del primo decennio

sono,

del quarto secolo (2);

il

poeta musicista Euripide ha

Timoteo

rato quella figura al musicista

male

da preoccupazione soverchia

intesa, favorita forse

due

cfr.

(2)

WiLAMOWiTZ, Timotheos

63.

(3)

Il

(1)

Sulle relazioni tra

795

hllca

colorito

dello

misto di sublime

stile,

il

(v.

159),

Frigio

di

quello

S-avxTO'j ppPapot Xyoua'.v, aa,

Euripide

'AaiSt

quelli che annegano.

canta
cpcov^.

ma

Anche costoro invocano

ridicolo,

del

resto

Timoteo sXoasxo 'EXX'

di

imita Euripide non soltanto in quest'aria,

come

gerenda respu-

sit

un Frigio basterebbero a provarlo

riscontri

'Aoiocdi cpttv

pxv

Plutarco an seni

d.

scelta proprio di

mancano

ispi-

l'emulazione

(3);

la

non

IjiTiXxiov

1395) alXivcv

(v.

Ma

Timoteo

anche nei lamenti di

la lontana Ilio (v. 132)

anche costoro supplicano la


salvarli (135. 139), cos come egli invoca disperata-

lo schiavo dell'Oreste (v.

madre Idea di
mente 'ISaia [jLtep

1381)

{itsp pp{[ia ppCfia (v.

1453), ecc.

Hanno

accen-

nato a queste relazioni M. Croiset nella Revue dee iudes Grecques,


XVI, 1903, 335 e G. FKACCAROLr, Lirici Greci, II, p. 537 sg.

293

di effetti musicali, ha indotto questo a peccare contro il


buon gusto. Anche gli intenti -di Euripide nel comporre
le monodie sono, almeno in parte, musicali. Se egli, come
ha ispirato Timoteo, cos sia forse stato ispirato da predecessori di Timoteo, da ditirambografi pi antichi, non
si pu dire con sicurezza.
Al lamento dell'Europa oraziana segue ancora un
epilogo Venere la consola in due parole, non senza darsi
cert'aria di superiorit: ella sa meglio di Europa stessa
quello che le convenga. Anche nell'Europa di Mosco al
lamento dell'eroina tien dietro un breve discorso del toro
:

divino, che mira allo stesso intento, a confortarla, e lo rag-

lamento dell'eroe
seguono ancora le parole di una divinit, Cibele; la quale,
per vero, non si degna di parlare al suo schiavo Atti,
ma lo costringe con la paura a compiere il suo dovere,
mandandogli contro un leone, al quale ella rivolge il discorso: qui l'eroe passa dalla disperazione, se non alla
quiete, a un'amara rassegnazione.
Le vicende della lirica narrativa, da Stesicoro sino
a Orazio, ci si presentano in luce assai diversa che non
apparissero al Reitzenstein. Gi nella prima met del sesto
giunge.

cos nell'Atti catulliano al

secolo l'interesse del poeta e degli uditori

si

affisa

su epi-

egualmente
narrare per disteso era venuto in

sodi importanti del mito, invece di diffondersi

su tutte

le

sue parti

il

uggia, e bisognava, per farsi udire, saper raccontare per


iscorcio.

Anche

il

gusto musicale

si

era

mutato, dive-

nendo pi complicato e pi esigente


pochi accordi
convenzionali, che accompagnavano la recitazione dell'aedo, non soddisfacevano pi. Gli antichi carmi epici
non cessarono per questo d'interessare e di essere ammirati, che nessuno poteva rimaner cieco alle bellezze
dell'Iliade e dell'Odissea; ma epopee nuove non si componevano pi, 0, se ne era scritta ancora qualcuna nelle
:

94

mondo greco, non avevano pi


che locale. Non il poeta epico, autore
della Telegonia, Eugarnraon di Cirene, il classico del
VI secolo, ma Stesicoro, cui gi Simonide (Tr. 58) mette
insieme con Omero quale cantore di Meleagro. Del suo
regioni pi lontane del

altro

sucoesso

stile

possiamo

menti

descrizioni

mulati;

un'idea anche dagli

farci

scarsi

fram-

passaggi sono pi rapidi che non nell'epos,

pi

larghe,

metri ampii rinforzano

le

sono talvolta accu-

epiteti

gli

gli

dello

effetti

stile;

non

sappiamo nulla (1). Le hallate


epiche di Ibico ci sono, se vogliamo essere sinceri con
noi stessi, del tutto ignote
frammenti, che sono tuttavia per lo pi presi da tutt'altri componimenti, ci mocomposizione

della

strano pi spiccate quelle caratteristiche, che


in Stesicoro

reggiano
tardi,

le descrizioni di

sco

ci

di

rileviamo

piante lussu-

e di epiteti. Parecchi decenni pi

di particolari

Corinna compone ballate, che risentono molto meno


nuova che non
carmi dei due Greci di Occi-

dell'arte

dente

animali e

alla

donna beota, quale un papiro scoperto

presenta

la

sua poesia

narra in strofette episodi

di

(2j,

mancava

leggende

locali,

il

di fre-

genio. Essa

che ben altra


piano, senza

potenza poetica avrebbero richiesta: lo stile


voli, senza accensioni di spirito: in questa lirica non senti

punto che l'anima della poetessa partecipi, che


sente alla leggenda da
voli

cantata

lei

n scorci, minuta, e anzi

(1)

Meno

di quel che

non creda

studio della tavola iliaca

del

il

si

sia pre-

narrazione senza

la

smarrisce, talvolta, nei

Mancuso

Capitolino

il

di

aver ricarato dallo

suo lavoro tien troppo

poco conto della storia della mitografia, che mostra come compendi
ai ciclici u ai lirici; a questa

tardi non attingano pi direttamente u

stregua deve essere giudicata anche quella tavola.


(2)

L'edizione pi facilmente a portata di

Supplemevtuv lyricnm del Diehl.

mano

ora quella nel

particolari,

come non

295

suole l'epica, se non forse

meno

dei poeti pi tardi e

quella

detto Esiodo
m' immagino che la lirica
pi antica di contenuto epico, composta forse quando
ancora le antiche forme, per virt d'inerzia, seguitavano
a essere usate, non fosse molto diversa da questa di
Corinna. La poetessa scrive, a quel che sembra, per la
recitazione e per il canto di un solo, non per
cori ciclici (1); n sar fortuito che essa fosse nativa della reabili,

del cos

di certe parti dei Cataloghi. Io

gione in cui era

fiorita la

poesia esiodea, della Beozia.

La

poesia nuova, corale, fiorisce nelle colonie di Occidente,

meno

legate alla

tradizione

geniale. In Corinna, di
si

Stesicoro

nuovo o almeno

di

rileva solo quella certa predilezione per

il

discorso di-

che abbiamo notato essere caratteristica assai no-

retto,

tevole di tutta questa lirica narrativa.


tista

un innovatore
nuovo per noi,

molto maggiore

Bacchilide ar-

nei suoi ditirambi egli narra

ma non s che non si senta l'emozione


anche quando questi si tiene a bella posta un

ordinato e piano,
del poeta,

po' indietro. Egli tratteggia

mente, facendo pur trasparire


per taluno di

essi,

personaggi efficace-

suoi

che egli prova


giovane Teseo. In

la simpatia,

per esempio per

il

Bacchilide troviamo gi nettamento segnati parecchi dei


caratteri che ci riappaiono quale nell'uno e quale nell'altro dei
il

componimenti

prevalere dei discorsi,

genda

di per s soli

seguiva,

il

ellenistici
il

da noi considerati

senza riguardo a ci che precedeva e

cominciare senza proemio,

le fini

brusche.

molto pi semplice, molto meno carico


menti che non in Stesicoro e in Ibico.
stile

(1)

quale categoria ascrivessero questi

alessandrini,
II,

393.

trattare gli episodi della leg-

non sappiamo;

forse al

nomo:

compouimeuti
cfr.

Lo

di orna-

Fraccakoli,

critici

Lirici

La
anche

<m\

rivoluzione musicale del quarto secolo

ditirambo

la lirica narrativa;

trasform

nomo divennero

< cantate

, il testo poetico perdette assai di importanza


all'accompagnamento musicale, discese al grado
di libretto. Il solo poeta di cui possiamo farci qualche idea,
Timoteo, profitta abilmente nel suo nomo di libert che

rispetto

gi

ditirambo pi antico

il

si

era acquistate

discorsi

divengono in lui per lo pi monodie. Il confronto


dei Persiani con l'Oreste mostra che Timoteo, nella sua
riforma, aveva l'occhio anche alla tragedia contemporanea, la quale pure risentiva del grande mutamento del
gusto musicale. Nello stile Timoteo non rifugge da effetti
arditi, da mescolanze di sublime e di comico, quali forse
non disdicono appunto alla cantata; anche per questo
diretti

rispetto Euripide gli forniva l'esempio,

gico

freno dell'arte

il

grafo e nomografo.
sione

senta di

si

ritmi

ancorch nel trapi che nel ditirambo-

non sono pi

legati

da respon-

gi Pindaro aveva, com' noto, scritto ditirambi

astrofici.

Almeno

dalla fine del quarto secolo in poi

alta non pi destinata al canto

mai, alla recitazione.

Ma

ma

cesse alla poesia per musica.

passaggi sono rapidi:

cazione

medias

ma

res

il

Anche

oh

|XV

axeptav

il

uti'

tu sei in cielo non lungi dall'Orsa

carme

discorsi diretti

siano pi monodie,

compagnamento

si

\i.i\f\

libert con-

Arsinoe

nella sua

carme comincia con un'invo-

gi al quinto verso

vu[xcpa

lirica

alla lettura o, caso

Callimaco scrive ancora

narrativi, nei quali profitta di molte tra le

la

poeta entrato in
[ia^av
.

f^r),

Anche

tengono grande parte

spiega facilmente: non

sposa,

questo
che non

in
;

c'era ac-

Lo

stile non ha pi nulla della


Timoteo Callimaco, raffinato com'era, aborriva la musa a buon mercato dei ditirambi
del resto quello stile era, almeno in certi suoi eccessi,

musicale.

pesantezza bt^rocca

di

297

congiunto indissolubilmente con la musica

sparita que-

anche quello si doveva mutare. Appunto perch la


maniera di recitare non distingueva pi la lirica dall'epica,
Callimaco fa risaltare qua e l con particolari espedienti
che egli scrive carmi lirici
gi abbiamo veduto che il
racconto comincia con un'apostrofe alla regina rapita in
cielo; quand' una seconda volta cade in acconcio al poeta
di esprimere lo stesso concetto, ricorre di bel nuovo all'apostrofe, inserita qui arditamente in mezzo alla narsta,

Lemno,

Philotera

era

gi a

ib 5a'[xoaLv puay^-ia.

non sapeva

razione

di . Tien subito dietro

il

5' fjV

aio

7.[ii'jrjzoi'}

di te, o rapita dagli

discorso di Philotera: 'fxo o.

e disse .

Componimenti

soggetto narrativo seguitarono

di

lirici

a essere composti per tutto

il

modello dell'Atti catulliano

si

periodo ellenistico, che

direbbe appartenere piut-

Ma, poich

tosto al secondo che al terzo secolo.

renza tra

lirica

la diffe-

ed epica non poteva essere pi sentita

cos netta dal giorno che


in disuso

il

anche nella

metri non recitativi, sorse

tare in esametri episodi

scelti della

lirica
il

erano caduti

pensiero di trat-

leggenda, senza

ri-

nimziare a quelle libert e a quei comodi che erano ori-

ginariamente connessi con l'uso del verso

lirico

con

l'accompagnamento musicale. Il poeta alessandrino, ogniqualvolta vuol comporre una ballata esametrica, sceglie
liberamente un episodio del mito senza sentirsi obbliprecedenti e con
seguenti, a
gato a connetterlo con
svolgerlo ugualmente in tutte le sue parti. Egli non rinunzia neppure al monologo, per Io pi lamentoso, del
personaggio principale giacche questa monodia esametrica, che l'erede, non so se legittima, della monodia
lirica, dall'un lato gli consente di mettere in mostra la
i

sua arte psicologica, dall'altro conferisce

all'epillio

il

ca-

rattere patetico, richiesto dal gusto del tempo. Del resto.


queste ballate

in

i898

esametri divengono

di esperimenti di ogni sorta

in

quell'et teatro

poeti del terzo e del se-

condo secolo rinnovano e innovano forme a loro talento.


Noi abbiamo pi sopra distinto parecchi tipi di composizione e ne abbiamo cercate le tracce anche nelle due
odi oraziane.

Ma

perch fioriscono

gli epillii

esametrici,

non per questo decadono e scompaiono gli epillii in versi


lirici: Callimaco compose s l'Arsinoe e s l'Hecale; l'Attis
ellenistico

come

parecchio posteriore a

pare, di

Solo, appunto perch

anche

melica faceva uso

la

lui.

di versi

due tipi di composizione era


andata man mano scemando. L'Attis dall' un lato e l'Europa di Mosco e l'Arianna catulliana dall'altro rientrano
recitativi, la differenza tra

nello stesso genere nonostante la diversit ritmica. Orazio,

poich scrive un libro di liriche, compone

ballate in metri

seconda e

le

sue due

Egli sceglie due strofe, l'asclepiadea

lirici.

inconsuete forse nella melica narra-

la saffica,

due carmi non istuonino, congiunti


con gli altri in una raccolta. Del resto, l'uso di metri
eolici non poteva offendere neppure in ballate, perch
narrazioni mitiche, sia pure embrionali, si trovavano gi
tiva, affinch questi

nel canzoniere di Saffo (1).

due odi epiche continua, secondo noi,


consuetudini ellenistiche d'arte, piuttosto che imitare diOrazio nelle

rettamente

gli antichi classici della

poesia corale. Sembra

a prima giunta contraddire a questa opinione un antico


scolio a Pastor

cum

Bacclnjliden mtatur.

di imitazione

il

traheret:

Ma

Porfirione

annota hac ode

quel che segue, mostra che non

caso di parlare,

ma

solo dell'uso di

mezzo d'arte gi adoprato da Bacchilide: nam


Cassandra

facit vaticinari

futura

belli

ut

un
ille

Troiani, ita hic Pro-

teum. L'uno e l'altro poeta mettevano in bocca a un loro

(1)

Cfr. sopra p. 124.

299

personaggio una profezia delle calamit di Troia, ma il


personaggio era diverso nei due poeti. Il nam dice chiaro
che solo nel vaticinio consiste il tertium campar ationis. E

un

sembra indicare che

altro particolare

quest'ode un carme ellenistico


il

vate Nereo, secondo Porfirione

bisogner applicare

il

(1)

fonte vera di

la

secondo

manoscritti

Anche

Proteo.

criterio della lecHo diffcilior, e,

qui

poich

vate marino del mito, mentre Nereo molto pi raro, converr

Proteo

dal quarto libro dell'Odissea in poi,

dar ragione

manoscritti contro lo scoliaste

ai

per Esiodo {Theog. 233)

il

Euripide narra {Ovest. 369) che a Menelao,

da Troia, Glauco, apparso presso

la

Nereo

(2).

-jisuor,; Xrpr^c, vrj(i,pxY,g,

al

cio vate.

suo ritorno

Malea, annunzi, per

incarico di Nereo, l'uccisione del fratello; Glauco detto

FXaxo; l^surj; B-s;; probabile che Esiodo


ed Euripide pensino tutt' e due a una scena dei Naxoc (3),
caduta poi sempre pi in dimenticanza, quanto pi popolare divenne l'episodio dell'Odissea. Se Glauco gi nei
NY]f0); 7:po:pr|tYj(;

Nosti profetasse quale ministro di Nereo, o se Nereo, e non

Glauco, apparisse in quel

contamini due versioni

ma

poema

differenti,

a Menelao, ed Euripide

non saprei

dire di sicuro

seconda alternativa mi pare pi probabile, ripensando che il tragico attribuisce a Glauco un epiteto che da
Esiodo dato a Nereo. La predilezione per la forma pi
rara della leggenda conviene bene a un poeta ellenistico.
la

Come

(I

si

vede,

io

suppongo qui che Orazio non

(1)

Lattanzio Placido {ad Stat.

(2)

Non prova

nulla

Tetide,

vedere

32)

esclami
perch,

al

Proteo

Proteo appunto
(3)

al

nell'Achilleide di

il

vero

verso
.

Troia

La profezia

racconto di Orazio, anteriore

il

vate

pii

Euripide ha

tisso

bene

uoe {Hel. 15) ha

che

Paride navigare

aveva vaticinato

contrariamente

si

Theh. ^'II 330) copia Portirione.

contrario

in

solo

Stazio

con Elena,
un'altra,
al

ratto, e

consueto nel mito.


in

mente che Nereo

in retaggio la profezia <lal

un vate

Theo-

uo antenato Nereo,


a poesia ellenistica,

ispiri

300

ma

che segua, che

riduca

giovenile e imperuna poesia determinata. Il carme


fetto. Che qui e soltanto qui il gliconeo cominci una
volta con base non spondaica ma trocaica, Ufnis lliacas
domus, stato osservato assai spesso. Indizio non certo
3

che

nove

di

fin

strofa e fin

non

che

spesso

strofe

cinque

movimento solenne

poesie che sappiamo essere

siderare

navibus

primo periodo

il

Idaeis

giovenili

pastor cum

Helenen perfidus

come
(1).

hospitam,

senso vanno insieme

il

il

carme

parenetico,

di

Europa

come nelI'Hyla

Ben

(2)

Basti con-

ingrato

qui

il

freta
celeres

Con quanto
che

parole

altra maturit

ma

la

soltanto

traheret per

studio sono divise le une dalle altre quelle

mostra

Ma

dell'epos.

obruit olio ventos ut caneret fera Proieus fata.

per

in

suo verso qualche poca

al

tranquillo

collocazione delle parole cosi ricercata


in

pi

(\\\\

volte

pensare che Orazio adottasse

questo mezzo per imprimere


del

Orazio,

in

potrebbe

si

periodo coincidono

di

sogliano

arte

di

mito ha intento

teocriteo.

Assai simile all'Europa h

III

11, Mercuri,

nam

te

do-

non abbiamo considerato sin qui, perch


la preghiera a Mercurio, d' intonare un canto che pieghi
Lyde troppo dura, pi che proemio, il mito delle Danaidi non pi che chiusa. Anche qui la favola ha valore
parenetico, ainche qui la parte mitica tutta in un discorso diretto. Questo di chiudere il carme con l'orazione
di un personaggio mitico, modo caro alla poesia giovenile di Orazio. Il pi bello degli epodi, il 13, Hor-

cilis

magistro, che

(1)

Cfr.

sopra, p. 60 sgg.

qui
lo credono
))i recente che III 17
ad aquae augur, traduzione dell' OsT|i.avxig euforioneo, Orazio ha aggiunto, per essere inteso, annosa eornix, mentre non sente il bisogno
(2)

Kiesslin'G-Heinze

di glossare

L'indizio

imbrium divina
troppo tenue.

acis

imminentium, ormai familiare

ai lettori..

301

rida tempestas, finisce cos nell'esortazione a dimenticare


le tristezze della vita e

volge

a godere, che

Achille

al piccolo

nello stile e nel metro

si

il

savio Chirone

ri-

un componimento che

del pari,

mostra ancor pi simile agli


I 7 a Fianco Laudabunt

epodi che alle altre odi, l'ode

un

chiuso da

aia,

simile

invito,

compiuti appena lunghi anni


tria dal volere del

di

che Teucro, quando


toccata la pa-

esilio e

padre risospinto in mare, indirizza agli

amici (1). Anche in questi due carmi l'intento del mito


parenetico. Il carme di Europa par rivelare, si detto,
certa pienezza di arte, quello delle Danaidi non si pu
datare (2) cosicch non si pu decidere se Orazio sia
;

matura a una forma di arte cara alla


sua giovinezza, o se l'abbia presto abbandonata del tutto.
ritornato nell'et

Parecchie odi

di Orazio, I 6 scriberis Vario, II

longa ferae, in certo senso anche


e

IV

2 Pindarum quisquis

(3),

IV

12 nolis

15 Phoebus volentem

svolgono a un dipresso questo

motivo: Altri canti in versi epici le gesta degli eroi


che sotto gli auspici di Augusto sottomettono a Roma il
mondo: io non so altro che dire di amore in versi lirici .

(1)

che genere

di

poesia

Orazio

abbia,

attinto quest'uso

di

carme con un discorso diretto, abbiamo detto di sopra, risolvendo forse cos un dubbio che il WiLAMOWiTz{iSapjp/jo u. Sivwnides 806')
chindei-e

il

riteneva insolubile.
(2) Secondo Kiessling-Heinze, anteriore al 30; ma l'indizio sembra questa volta, nonoli insufficiente, insussistente.
(3) H. LuCAS {Festschr. f. Viklen 319 sgg.) ha sostenuto che in questi rifiuti Orazio dia sotto mano quel che nega di voler concedere,

008

come Mark Twain annunziava in lettere autografe ai cercatori


non poterli contentare ma carmi oraziani non si pos-

di autografi di

sono ragguagliare con trovate utnoristicho.

302

genere non imitano modelli classici. Meceprima di Mecenate, anche prima dei ToDinoe non impossibile ch?
Seleucidi,
lemei e dei
epici
canti
menidi e gli Aleuadi abbiano richiesto invano
che vissero alle loro corti. Che noi non
ai poeti grandi

Carmi

di tal

nati vi furono

ne sappiamo nulla, poco importa; con pi ragione

si

po-

trebbe opporre che la concezione della potenza poetica

quale capacit di trattare indifferentemente qualsiasi ar-

gomento

in

accorda con

tempi

lo spirito dei

ellenistici

a menti pi antiche.

si

meglio che non

Ma, comunque
assurdo immaginare che prima dell'et

convenga
ci,

qualsiasi metro, quale cio virt formale,

pensi di

si

ellenistica

lirica e cosi via fossero state

epopea, poesia didascalica,

gi classificate in ordine di dignit, sicch un poeta nel

respingere un

invito potesse scusarsi protestando che la

sua capacit bastava a un genere e non agli altri (1).


Nell'et augustea, invece, avvenne spesso che l'imperatore o uomini di stato e di guerra chiedessero ai poeti
quello che essi non potevano

dare, di celebrare le loro

E poeti se ne schermivano con


quanto pi garbo potevano, confessando s impari al
compito, il loro ingegno sufficiente soltanto a generi ingesta in poemi epici.

Cosi fanno spesso

feriori.

sospinto Properzio

(2)

Virgilio

e Ovidio, a ogni pie

cosi fa Orazio non soltanto nelle

Odi: nella prima satira del secondo libro (serm. Il 1, 10 sgg.)


egli si fa rimproverare: Se non puoi fare a meno di
scrivere, invece di dir
di

Cesare

(1)
il

pili

Aristotele accenna {poet. 1449 a 23) che

vicino alla prosa,

la poesia
(2)

male del prossimo, canta

giambica

Molti passi

duzione a

I 6.

le

gesta

per poter rispondere: cupidum, pater optimey

ma

per lui
sono

il

metro giambico e

nulla mostra che egli ritenesse inferiore


il

metro

raccolti

un

criterio esterno.

da Kikssling-Heinze

nell' intro-

Tu

argomenti non da

vires deficiunt; trattare tali

prima epistola del secondo

303

libro scrive

Nella

tutti.

ad Augusto

245)

(v.

Va-

hai ragione di far gran conto di Virgilio e di

ricompensarli con munificenza; anch'io preferirei

rio e di

celebrare le vittorie riportate sotto

i tuoi
auspici e la pace
comporre sermones radenti la terra, purch
avessi tanta possa quanta ho voglia; ma ne un piccolo
carme conviene alla tua maest, ne la mia modestia osa
tentare un assunto cui le forze non bastano .
La classificazione dei generi letterari secondo la loro
dignit, ancora ignota ad Aristotele, compiuta in ogni
particolare al tempo di Orazio, che infatti ne parla come
di cosa familiare ai lettori. Parr verisimile che, se non

vittoriosa, al

condotta a termine, l'abbiano iniziata


ni (1).

anche

il

infatti gi

Aloe,

un carme elegiaco

(fr.

165-1- 490)

Non

nare non mio,

condanna
xXcxv, e

me un

esigete da

ma

confronti

Zeus

di

poema

del

i^O-aipo)

altro

frammento

un

un poema uno
Apollonio e

che

la

xu-

ctvsxsv

287),

(il

ricusi

contese con

le

qui di comporre

epico, protestandosi anch'egli, certo

(1) Il

7ro''7j{jia

to-

chiuso in un distico,

rifiuto

il

perch'io non abbia composto

immaginer che Callimaco

poema

xo

e continuo , chi ricordi

rifletta

Xkx.

Chi non dimentichi

ciclico

oO)( V siajjta r^vx; r^vuaa,

jjiv.

canto di gran suono


.

ijxo

[x-rp' Ti'

gx

[ii'cx o'fo'j'jav o'.r;V xiV.-sai^-a:- ,3povTv

alessandri-

pi celebre dei grammatici, che fu

pi celebre dei poeti del terzo secolo, Callimaco,

scrisse in
Oi^te

il

critici

un

non sincera-

pi alessandrino dei Romani, Prciperzio, pi frei|nentemente

di ogni altro mette in contrasto,

anche fuori delle excusatioies, epos


ed elegia, riconoscendo sempre la maggior <lignit del primo genere
per confessare che

il

secondo

poich primo contendit Homero


giare Properzio

tu cave

gli
(I

nostra

e pi caro.
7,3),

tuo

pu

Il

poeta epico Poutico,

sentirsi tentato di dispre-

contemnaa carmina fastn

a lui ha vietato di avere a vile tam graciles mnsan

(li

13, S).

Amore


mente, impari

304

cimento, che affetta di credere grande

al

e degno, rivendicando a se l'elegia

perfetta

tenue,

di

forma.

Che stima Callimaco


del

non

{iXo;,

ispiri all'

si

neva

facessero

quindi diffcile sta-

Orazio imiti qui determinati

bilire, se

o se

e la sua generazione

dato indovinare

c'

(jiXr,

alessandrini,

elegia famosa di Callimaco che

conte-

distico dianzi citato, o se forse faccia suo pr' di

il

carrai elegiaci della stessa fatta. Considerazioni

altri

po' sottili

mostrano ammissibili solo

la

prima

un

terza

e la

ipotesi.

Quel

distico pare sicuro appartenesse agli AT.a;

Callimaco pot
pose in

scrivere altri carmi elegiaci,

distici la

sibio,

ma non

nate

in

Chioma

di

che

come com-

Berenice e l'epinicio per So-

poetare una serie di elegie amorose ordi-

guisa da

formare un romanzo autobiografico,

simile ai libri di Tibullo e di Properzio (1); l'elegia sog-

gettiva e autobiografica pare per molti indizi invenzione

romana. Anzi improbabile che i carmi elegiaci composti da Callimaco oltre gli ATxca siano stati raccolti in
un volume intitolato Xeyelai. il nome manca nella tavola di Snida;
e l'eTOvixtov

oltre gli Alita


distici,

sono

e,

che pi importa,

Swac^cov,

eie,

due

soli

il

Bepev^'xr];

7zXy,'x\oc,

carmi calliraachei che

sappiamo di sicuro essere stati scritti in


con i loro nomi particolari, non come

citati

Una parte del fr. 67 citata,


Magnum (s. v. SuaQ (2) sotto il
Xeydoic,, ma l'ultima parola sembra

parti di quella raccolta.

vero, nell'Etymologicum

lemma

KaXXt|jLa)(o; v

piuttosto designare

(1)

Di

(2)

L'articolo

ci

metro che riprodurre

il

titolo,

per

qualche parola pi avanti.


deriva dal Genuino, dove

la

citazione

riappare

non essendo il Genuino ancora stampato, ho


stesso uno dei due mss. principali, il Vat. 1318.

nella stessa forma

scontrato io

il

ri-


il

quale in questa et

frammento parla

si

305

attenderebbe

iXey&'.a.'.c,

ma non

del resto di amore,

Il

(1).

dell'amore

del poeta, sicch sta benissimo a posto negli Ah-.a, che,

come vediamo

frammenti scoperti negli

ora dai lunghi

ultimi anni, erano narrazione intramezzata da riflessioni

personali del poeta. Esso descrive un conforto all'amore,

come un frammento

del

primo

libro

11)

(fr.

un conforto

alla vecchiaia.

Poich quel distico spetta agli

ognuno penser

ATxta.

a prima giunta che facesse parte del proemio

poema, della visione imitata da Ennio


E infatti, secondo l'epigramma anonimo
insieme colla terza elegia

terzo

del

quel

di

da Properzio.
AP VII 42, che

Properzio

libro di

maggior parte degli elementi per la ricostruzione del proemio (2), un sogno rapisce Callimaco dalla
Libia fin suU' Elicona trasportandolo in mezzo alle Piefornisce la

ridi

queste,

(3);

rispondendo

agli eroi pi antichi,

domande intorno

sue

gH espongono secondo l'epigramma

chiama altrove

Callimaco

Cos

alle

suoi

L' imitazioue di Ennio, assai libera (Leo,

7i'(Vwi.

(1)

Xzyo'.

ATia

ofr.

sotto p. 311, u, 2.
(2)

servirebbe poco, anche se non dovessimo

Lit.

164), ci

ricostrnirlu alla sua

volta

faticosamente da poche citazioni letterali e dalle allusioni di Lucre-

dove

la visione di

Non

!.,-

mano

la

Cydippe del Dilthey,

Callimaco ricostruita.

Di questa parte del proemio rimangono solo

(3)
ar]Ot

Properzio, Persio.

zio,

yp

7)>.6-ov

ma

l'anon. 388,

sapSrjv)

versari.

si

che nell'opera

<iuello

o'jy.

sysvovxc

cftXoi)

appartenga

vede perch Callimaco avesse

Perch

il

dello

fr.

un pentametro,

il

lui

al

r)22

(MoO-

Schneider

che appartiene certamente a Callimaco. Che

(vYji5$ d Mo'joyj;

vato^ n

il

fr.

'i

188

sogno, non pro-

a dir male

frammento spettava

degli

agli Alita,

av-

prima persona e inseriva ricordi personali,


aveva occasione di polemizzare anche in altre parti di questo carme
11 ir. auon. 302 &k' 'Aay.pY;i)sv tro[)p(i tenne, perch valga la pena di

il

poeta, che

ragioiuirne.

20

parlava

in

3()6

anche le Cause degli dei beati. Non possiamo immaginare che Callimaco osasse rivolgere, non richiesto, interrogazioni alle dee (1), tanto pi che egli sollevato
suir J!]licona nel sonno, (luindi, in certo senso, mal
suo grado. certo che alle esortazioni delle Pieridi
a cantare in un carme epico
fatti degli dei, egli rispose ponendo innanzi dall'un canto che il metro elegiaco, il solo consentaneo alla sua natura, insuflicente
all'argomento, dall'altro che egli incapace di prender
su di s assunti cos grandi. Proprio qui certamente egli
parlava del tuono di Giove (2). Si pu anche indovinare
che tema le Muse gli abbiano proposto ed egli abbia rifiutato. Properzio a Mecenate, che 1' esortava a cantare
Cesare, risponde del pari nel proemio del libro Lo farei volentieri, ma non sono da tanto: sed ncque Phlegraeos
i

lovis Enceladique tumultus intonet angusto pectore Callima-

chus, nec

mea conveniunt duro praecordia

Phnjgios condere nomen avos

versu Caesaris in

Pochi versi
comporre
un carme epico, non canterei Titani . Seguono ancora
altri argomenti di epopea, ma la menzione della Titanomachia precede sino quella dei poemi omerici, della
prima aveva scritto

(II

1,

Se avessi

39

sgg.).

la capacit di

(1) Il fr.

le altre

331,

Callimaco ocppa as
/.'hz-Q, TxXsioxpifl

il

consta di due

TxXs'.oxp-/)

cfixpuYt-

cxuale celebre, probabile

di Callimaco, si

Genuinum, da cui derivano tutte


citazioni, l' una attribuita a
SsOpo 5xo|J-ai, l' altra anonima cp^-fft^^,

come mostra

testimonianze,

Poich

1'

Etimologo

cita

il

secondo verso

che auch'esso appartenga a Callimaco. Se

trovava negli

Aii-.a,

perch negli Etimologici sono

citati solo passi degli Aix-.a e dell' 'ExdXy], e

questa era in esametri.

Forse Callimaco, esortato dalla Musa Calliope a cantare gli Ali-.a,


la prega di mostrargli con pi voce, cio con stile pi alto, le Cause
degli eroi.
(2)

a torto,

S'intende di solito che Callimaco si rivolga al pubblico:


come mostrano le parole corrispondenti di Properzio.

ma

307

Un

motivo a un dipresso identico


anche in un'altra elegia,
Io non sono buono
diretta del pari a Mecenate, III 9
ad altro che a infiammare giovani e fanciulle, ma se tu
te duce vel lovis arma canam caeloque
mi sarai guida,
minanten Coeum et Phlegraeis Eurymedonta ingis (v. 47).
Anche qui il tuono di Giove e la Gigantomachia sono
in prima fila tra gli argomenti da trattare, e al tema
Tebaide e

dell'Iliade.

ritorna con gli stessi particolari

temi omerici.

sono contrapposti

esiodeo

prima Properzio aveva

versi

arcem

sedisse paternos

nec referam Scaeas

et

scritto

non

Ancora pochi
flebo

in cineres

Cadmi nec septem proelia clade pari,


Pergama ApoUinis arces. Anche qui

Tebaide e Troia nello stesso ordine. Dunque negli AiTta


le Muse invitavano Callimaco a comporre una Gigantomachia ed egli se ne schermiva, supplicandole di aver
riguardo al respiro breve della sua arte.
Che Callimaco qui con certa sua modestia affettata
parlava anche della tenuit del suo stile, mostrano alcune
espressioni di Properzio, angusto pectore qui e non inflafi

somnia Callimachi
tante

sua

in II 34, 32. Il

secondo passo impor-

Linceo, innamorato, non sa pi che farsi n della

filosofia

ne delle sue tragedie ne della sua epopea,


all' elegia. Il sogno di Calli-

ed costretto a rivolgersi

maco non

poesia d'amore, n quindi Properzio

aveva

occasione di menzionarlo qui se non per la forma ritmica.


Tu, epico solenne , esclama Properzio, troverai salsomnia
vezza solo nella tenue elegia ; il non inflati e
stanno in istretta relazione Callimaco nel sogno parlava
del suo stile. In Properzio Calliope esorta il poeta a cani

tare

di

amore, spruzzandolo

Calliope non ha nulla a


il

Romano non pu
(quella

quale

maggiore

la

acqua filitea. Poich


con poesie d' amore,

averla introdotta qui

parte

lasciato

dell'

che fare

delle

che

essa

Muse:

/)

ma

lui,

sosteneva

le

negli

-po-^cpsaxir] iatlv

ha

AVt:x
y.Tzx-

:{()s

awv, scrive Esiodo {theoff. 79).

in

Calliope

esortava Calli

non a cantar d'amore

inaco, ben s'intende,

ma

a esporre

versi elegiaci gli Axv.y. (l).

Come mostra
dendo

anonimo, Callimaco,

l'epigrannna

volere delle

al

Muse

metro elegiaco

(2),

si

ce-

professava disposto a

Cause degli eroi. Se egli


per colmo di benevolenza rivelarono al loro ministro anche quelle degli dei,
non mi pare resulti dall'epigramma. Gli ATxta non contenevano, per quel che sappiamo, e ormai grazie ai papiri
ne sappiamo parecchio, se non leggende e novelle eroiche. Porse l'epigramma risponde alla poesia di Apollonio
grammatico, A P XI 275, dove Callimaco insultato aT-c.o;
cantare

in

le

stesso abbia narrato che le

Muse

6 YP^'I^"? Al'xia KaXoixyo'j.


oitTca

Ma

dove" Alita la colpa;

xal [jiaxpwv risponderebbe

bene ad

il

delitto:

aTtta KaX'.|jLyo'j.

questa congettura.

forse ancora dato d' intravvedere che

poema

di

Callimaco seguisse

che per Persio, che

Muse ha due cime


prolii

vette

Ha

ispira

si

assenso del poeta

a Ennio,

bicipiti

lo

an-

monte

delle

fonte

lahra

sommasse Parnaso memiui.

hanno valore simbolico

quindi ragione

il

prologo comincia nec

il

cahalUno nec in

Le due
(1)

all'

cosa nel

(3),

significano cio

Sebneider di creder ealliniaclieo

e di

suo frammento anon. 114 t>; 5' scpf)Y;axo Kai-ix:


ed probabile cbe parte del Ir. 331 (cfr. sopra p. 30G, u. 1) stesse

collocar qui

il

appunto nel discorso del poeta a Calliope.


(2) Forse apparteneva a questa scena il fr. 481, che, poich
t'ormato li un pentametro, spetta quasi di certo agli Alxia: le Muse,
insistendo, avranno ricordato a Callimaco che loro consuetudine |y]
{isTpsv ax.oivat -spoiSi tyjv G03p-^v, non misurare a canne la poesia. Il
])entainetro allude insieme al

metro elegiaco, quasi mozzo nel secondo


diversamente lo Sebnei-

Terso, e alla brevit.\ degli episodi degli AiTia


der, p.
(3)

115.

Appuuto per

mentre Callimaco

ci

poco importa che Persio parli del

e del pari

Ennio, come mostra Lucrezio

Parn.'iso.

117, col-

309

Ennio il dio Apollo coun sorso dell'Ippocrene.


In Callimaco una cerimonia di tal genere non poteva
mancare nella visione di Properzio, quando il poeta
entrato nell'antro delle Muse additatogli da Apollo, Calliope, rivoltogli un discorso nel quale gli proibisce di
cantare d'altro che di amore, gli spruzza il volto con
acqua filitea. L'epiteto non ha senso, se oltre quella di
Pilita non c'era un'altra acqua. E infatti Properzio, in
principio di quella stessa elegia, finge che, mentre bedue generi diversi

mandava

di poesia. In

forse al poeta di bere

veva a quella sorgente


Apollo ne
visus

linde pater sitiens

Ennius ante

bibit,

avesse rimproverato. L' elegia incomincia

lo

eram molli recubans Heliconis

umbra, Belleropliontei

in

humor equi, e la fonte di Ennio, se pure Proveduto in sua mente un quadro di contorni
precisi, sar appunto l' Ippocrene. A questa distinzione
egli allude in un altro passo, il quale, perch sta in prin-

qua

fluit

perzio ha

cipio di libro ed parte di un' invocazione agli

geti del genere

cui

prega

1),

sco

(III,

1,

coltiva,

egli

Ombre

programma.

deve avere valore

Callimaco

di

concedetemi

di

Filita egli

di

di entrare nel vostro

bo-

prims ego ingredior puro de fonte sacerdos Itala per

Graios orgia ferre choros

Anche

qui non

dere dal fonte della poesia in genere,


certa specie
pariter

di

Carmen

poesia.
tenuastis

Properzio
in

antro

'f

pi

ritorna,

una

precisa,

recusatio (II,

locavano la visioue
concludenti

le

sull'

ricerche

in

di

La

poeta fa

Dicite,

pede

acque

stessa

elegia
le

pu intenuna

si

dal fonte di

seguita

un' altra

IO). Il

ma

(^uove

Dunque,
Quamve bibistis aquam
delle Muse ve n' era pi di una.
in

arche-

di

quo

ingressi ?
di

grotte

distinzione

Properzio,

viste di cedere al

Elicona. Per la stessa ragione non mi seiiiluaiio


lei

Maass {Hn-m. XXXI

topografia del monte delle Muse.

lJ<9t>.

379

<;' "illa

- :m
carme

desiderio di Augusto, disponendosi a comporre un


epico.

questo

Ma....

un'altra

nume

volta

per ora deve ras-

nondum etiam
modo Pe-messi finmine lavit Amor. Qui non la Musa, ma Amore bagna
(^anti nel Permesso;
tuttavia mal si dubiterebbe che il
Permesso, quanto almeno al valore simbolico, debba essere identificato con V acqua Philitaea, che anche per Virgilio esso il fiume della poesia d'amore
il vecchio Sileno canta {ed. VI, 64 sgg.) come una delle Muse al)bia
condotto Permessi ad flumina Gallnm nei monti Aonii e
segnarsi a l)ruciare al

vili

incensi

Aacraeos norunt mea carmina fonte,

seri

come

il

coro

Febo

di

si

sia

levato in

piedi

per

fargli

onore: Gallo era amante e poeta d'amore. Callimaco avr

nominato il Permesso quale fiume della poesia elegiaca;


anche a lui le Muse avranno spruzzato in volto acqua
del Permesso. Solo, poich gli Aixta non erano, nell' insieme, poesie d' amore, quantunque narrassero talvolta
d'amore, il Permesso doveva essere per lui il fiume dell'elegia,

non quello

della poesia erotica

l'identificazione

amorosa romana.
La menzione del fonte prova che tutto il passo deriva da Callimaco, confermando a un tempo la nostra
di elegia e di vita

congettura sul posto, che

il

occupava nella

Gli

visione.

distico ricostruito dal Dilthey

argomenti

cui

alla

tratta-

zione Callimaco finge di essere stato incitato da Calliope,

laGigantomachia e
rici

in grazia di

che parla

al

la

Titanomachia, sono esiodei, non ome-

un verso esiodeo, quella

tra

le

Muse

poeta Calliope; Callimaco considera Esiodo,

non Omero quale archegeta

della sua poesia, perch la

prima che a CalliE Callimaco


maco, le Muse erano apparse sull'
confessava subito in principio quale fosse il suo modello:
visione

ispirata a

Esiodo

lui,

Elicona.

fr.

an.

388 Schn.

t:o'.\iy.

\i.y).y.

vijjtov:'.

7:ap" Tyvcov

^so;

I'tvtiou

311

ox' i^^zioi.'jz^/ (1). E bello che FAlesmosse dal luogo dove per la prima
volta nella poesia greca un poeta proclama divina la sua
'Hat5(|)

Mouawv

sajji;

sandrino prenda

le

arte.

Di pi sulla visione callimachea non forse dato sapere (2)


quel che ne sappiamo, mostra che i Romani
la imitarono di frequente, ma con grande libert. Nes;

suna

pu

elegia di Properzio, neppure III 3

derivare tutta dal proemio

disse

stesso

se

che visione,
quegli che

Acxia;

degli

Callimaco romano, qui, come

in

tutta

r opera sua, intreccia motivi vari, che ricompaiono in


variazioni sempre nuove, senza che mai uno solo sia svolto
sino in fondo. Dovremo credere che
motivi della reAttca
agli
cusatio non attinti
siano stati inventati da poeti
romani? Chi confronti i diversi componimenti, si accorge
che essi attingono a un patrimonio comune. Properzio in
i

principio dell'elegia III 9 rifiuta di cantare,

nate vorrebbe,

grandi

mettendo innanzi che


mittere pondus
zio, nella

concetto

I,

turpe

di
est

Augusto

come Mece-

e se ne scusa,

quod nequeas

capiti

com-

pressum inflexo mox dare terga genu. Ora-

prima epistola del secondo libro, svolge lo stesso


nec meus audet rem temptare piidor, quam vires

ferre recusent.
e.

et

fatti

lo

stesso pensiero ritorna nella recusatio

nos, Agrippa, 7ieque haec dicere nec

stomachum cedere

nescii....

gravem Pelidae

conamur, tenues grandia,

dum pu-

dor imbellisque Igrae Musa potens vetat laudes egregii Cae-

(1)

Froutone narra

maco, perch carico

mane.
(2)

Il

di

di

aver letto

(juei

versi

scuola;

Calli-

erudizione, fu libro di testo nelle scuole ro-

franimento spetta, secondo me, sicuramente a

L' invocazione diretta, pare, alle Grazie

(fr.

lui.

121) SXXxis v5v,

XiYoiai 5' svtcIn^aaaO-s Xirtcaag X^^P^C S|J,oc5, iva |iot tto'jXv |1vo3'.v Itog
sta bene nel passaggio dalla visione alle singole leggende, dove l'h.i

collocata lo Schneidor,

ma

meglio

in principio di tutta

l'opera.


saris et tuas culpa

;il:i

deferere

ntjeni (1).

La

risposta,

cos

una conversazione umana, parrebbe a me di


pessimo gusto in una scena mitologica, in un colhxjuio tra
poeta e le Pieridi, perch troppo i)orghese. Questo
il
motivo non pu derivare dalla visione degli Ama. Ma
dagli Alita non dipende (|uel che
sia pure altrimenti
garbata

in

segue. Properzio

finge

cedere alle esigenze del suo

di

protettore; se egli lo aiuter col suo favore, sapr cele-

brare
perfino

dei

lotte

le
si

Titani

tempi

primi di

cimenter a dire delle vittorie

Roma;

Cesare sui

di

Mecenate lo guidi. La conil


poeta
dizione mostra che il cedere una finta
vuole aver tempo dinanzi a s. 11 motivo ritorna, formulato con meno riguardi, in un'elegia ad Augusto (II 10):
E giunta per me l'ora di comporre carmi epici
io sefati mi riserbino questo
guir le tue armi, o Cesare
Parti e su Antonio, purch

. Chi ode le ultime


che Properzio ha meno voglia di

giorno, servent hiinc mihi fata dem


parole, indovina gi

consacrarsi

all'

subito:

infatti

epos che non voglia far credere.

Come, quando

troppo alto, bisogna deporre

la

il

Segue

simulacro d'un dio

corona

ai piedi di esso, sic uos

nunc inopes laudis conscendere Carmen, pauperibus sacris viia


tura damus . Con queste parole il poeta, mentre assicura
di voler mantener la promessa, ne rimanda l'adempimento
lontano futuro. Qui, se derivano dagli Alxix i due
ultimi versi gi discussi di sopra, Callimaco non poteva
rispondere alle Muse: Vi dar retta un altro giorno .
al pi

Eppure

il

ratteristico

motivo n inventato da Properzio ne


dell'elegia

Virgilio

ca-

canta, in principio

del

io edificher in riva al Mincio


Georgiche
un tempio, con te nel mezzo, o Cesare; e vi offrir Egizi

terzo delle

(1)

tivo

L'aggiunta della Musa vietante accenna forse a un altro mo-

velli subito

appresso p. 314.

313

Nel santuario avranno posto, simulacri viventi, i tuoi progenitori troiani. Intanto cantiamo le selve
delle Driadi e i boschi non violati, tuo comando, Mecee Parti vinti.

. Checche si sia creduto dai moderni, Virgilio non


ha pensato neppur per un momento a cantare epicamente

nate

le

guerre

civili e le lotte

contro

Parti.

L'intenzione e

medesimi che in Properzio. Ambedue i


un carme ellenistico, che non il proemio
degli Mv.x, e che non possiamo neppur dire se fosse
scritto in distici, perch Virgilio, nelle Georgiche esal'artificio

sono

poeti imitano

non pensa alla forma metrica, ma soltanto alla


dignit maggiore o minore dell'argomento.
Neppure l'elegia III 3 di Properzio visus eram molli,

inetriche,

di sopra, deriva per intero dalla visione


Callimaco. Properzio narra d'aver bevuto in sogno a

l'abbiamo detto
di

quella fonte dell'Elicona a cui aveva attinto Ennio e di

aver aperto la bocca a celebrare i fatti della pi antica


storia di Roma, finche Apollo, rimproverandolo, non lo

aveva

distolse dal proposito troppo grave. Callimaco

in-

avessero fatto coragvece immaginato che le Muse


gio a cantare gli aiux /jpwojv. Properzio ha dunque, per
gli

cos dire, rovesciato


le

l'

invenzione callimachea

laddove

Muse incitavano l'Alessandrino a un compito

Apollo ne rattiene

il

che (piesta forma di


invenzione originale

difficile,

successore romano. Tuttavia neanrecusafio,


di

il

Properzio

rimprovero
;

il

quale

del

pure

dio,
le

ha

conferito freschezza e giovent nuova. Orazio principia

una

delle poesie

Phoebus volentem
it/ra,

ne parva

da noi considerate, l'ultima delle Odi,


proelia me loqui victas et urbis increpuit

Ti/rrhenum

surdo pensare che

per

aequor vela darem.

Orazio imiti Properzio

da

lui

dispregiato; pi assurdo, per ragioni, cronologiche,

porre

il

as-

tanto
sup-

Apollo aveva gi rimprotono familiare, Virgilio, quando si accingeva

contrario. Del resto.

verato, in

Mi
a narrare re e battaglie {ed. VI,
proelici, Ci/nthius

aurem

pingues pascere oportet

3):

cum canerem

reges et

admonuit: pastoreni,

vellit et

7'iti/re,

deducttim (1) dicere carmeti; f

oves,

Orazio stesso aveva gi accennato timidamente lo stesso

motivo, senza svolgerlo,

ma anche
pare

la

Musa

in

6,

1,

dove non solo

piidor,

il

potens imhellis lyrae gli vietano di sciu-

Cesare. Dal confronto di questi tre passi

le lodi di

un carme

ricava, secondo me, che in

ellenistico l'autore

si
si

faceva rimproverare da Apollo di essersi assunto un carico


troppo grave.

quella poesia

impossibile determinare la forma ritmica di


lo

motivo compare negli esametri

stesso

Properzio,

delle Bucoliche, nei distici di

nell'alcaica

di

modello con originalit magOrazio. Questi riproduce


giore d'invenzione anche nell'ultima satira del primo liil

bro, l

dove narra che, mentre era tutto intento a com-

porre carmi greci,

sogno,

il

patrio

dio

viet di tentare, lui

gli

Quirino, apparsogli

Romano,

alla schiera infinita dei poeti greci (v. 31

passo,

considerato alla luce

delli greci

liberi

dove pi certamente

si

a cui Apollo, che

lettore,

il

siano

che non

il

dio

doveva
greco,

role atque ego

cum

poeti

si

mo-

presenta

al

alta, era

compiacenza nell'udire
il padre
della gente romana
aveva costretto a rinunziare

sorridere di

ma

era apparso a Orazio e lo


alla fisima di divenir

ispirano a

poeta per distoglierlo dallo scrivere poesia troppo


figura familiare,

Questo

sgg.).

degli altri gi menzionati,

par fatto apposta per mostrare quanto

romani proprio

in

aggiungersi

di

poeta

di

lingua straniera.

Le

pa-

graecos facerem, natus mare citra, ver-

con quel che segue, asseriscono orgogliosamente


potenza della romanit di qua dal mare la cultura

sicidos

la

romana ha conquistato a
(1)
e.

I,

6,

anche

bilingui, ricacciando

Cio tenue, come spiejjaiio scoliasti e ^lo.ssograti


9 tenues graidia.

cfr.

Orazio


la

greca

La

l dall' Ionio.

di

315

nella letteratura greca tutti

continua

satira

come

generi sono stati trattati

Che debbo
Similmente Virgilio, nel
luogo gi detto delle Bucoliche: mine ego, nam super Ubi
eccellentemente, cos oggi

non comporre

far io, se

pi nella latina.

satire ?

enint qui dicere laudes, Vare, tuas cupiant

incomincia l'Ode

6 ad Agrippa

Vario fortis

mili: scriberis

et

condere

tristia

et

continuer a scrivere carmi pastorali

bella,

Orazio stesso

con parole non

dissi-

hostium victor Maeoni carmi-

poco diversamente nella prima


15 sgg.): multi, Roma, tuas lau-

nis alite. Properzio scriv^e

elegia del terzo libro (v.

addent, qui finem imperii Bactra futura ca-

des annalibus

nent

ma

il

nostro volume, per una via ancor non bat-

ha portato gi quest'opera dal monte delle Muse,


in pace tu la legga . Stretto
il suo senche (v. 14) non datur ad Musas currere lata via;

tuta,

perch
tiero,

stretto,

ma

59 sgg.)

suo.

me

il

medesimo poeta

diletti riposare,

sera innanzi, con ancora sul


Virgilio cantare Azio

dice altrove

capo

la

corona

Dunque anche

il

ma

intatti

me non

34,

piaccia a

pensiero: Ge-

neri di dignit superiore sono stati gi coltivati

maggiori

(II,

stanco del convito della

da poeti

meno

restano se non campi

feraci,

diffuso nella letteratura augustea, cio

de-

riva da poesia pi antica, ellenistica.

Per Properzio scrivere carmi elegiaci e menar vita


amorosa tutt' uno a chi gli domanda perch componga
:

distici,

risponde

(II, 1, 4):

ed espone chiaramente
navita

la

ingenium nobis ipsa

de ventis, de tauris narrai arator,

vulnera, pastor

oves

nos cantra angusto

et

di esen^pi:

numerat miles

rersantes

ledo: qua pot

quisqiie, in ea conterai arte diem.

non potr

amare, allora sar giunto

pii

piiella facif;

sua dottrina, valendosi

il

proelia

Quand'egli

tempo

di scri-

vere epopee: aetas prima canal Veneres, e.vtrema tiimultus:


bella

canam quando

scripta puella

mea

est (II, 10, 7).

L'epico

:ilb

Linceo, poich, vecchio com*

mnit (tmores

II,

innamorato {seros in-

, si

dovr darsi

84, 25),

all'elegia.

Properzio,

j)Overo e di famiglia oscura, perch el(?giaco (v. 55 sgg.),

signore dell'amore

il

del

convito.

simile spunta pure nell'Ode ad Agrippa.

Una concezione
Il

carme

finisce:

nos convivia, nos proelia virginum sectis in iuvenes unguibuf


acriim cantamus, vacui

litum

leves

pur mi

canta

le

riscaldo,

conviti

quid nrimur, non praeter

sive

ultime

parole

come

incostante

amori

risce solo a fior di

pelle.

significano

leggeri,

Come

di

freddo

solito

perch

Eros

per Properzio

se

Orazio
lo

fe-

scrivere

elegie e cantar d'amore tutt'uno, cos per Orazio

nar vita leggera e comporre

so-

o,

me-

certo genere di liriche.

Il

primo che ha avvicinato vita imbelle e melica, ha avuto


in

mente un passo omerico, l dove detto che a Paquando morder la polvere, non gioveranno n la

ride,

cetra

luogo e

lo

conosce bene

quel

imita in un carme giovanile, caricando

anzi

cijthara

car-

doni di Afrodite.

le tinte (I, 15, 14):

(jrataqiie

Orazio

feminis

imbelli

mina divides. Ma il confronto con Properzio mostra che


vicino di I 6 ellenistico. Soltanto riil modello pi
man dubbio se gi un poeta alessandrino abbia identificato lirica e vita spensierata, o se Orazio per il primo
abbia trasportato alla lirica, modificandolo, ci che un
pi antico scriveva dell'elegia. Chi crede sia esistita in
tempo ellenistico un'elegia soggettiva, accetter questa

seconda supposizione noi non lo crediamo, perch vediamo che Properzio, dovunque vuol nominare un esempio classico del suo genere, cita gli Araa che erano nar;

propendiamo quindi per la prima. I [lr^ di


Callimaco contenevano anche lirica leggera, e non sarebbe strano ch'egli o un altro Alessandrino celebre avesse
detto: ad altri l'epos; io, uomo di amori, scrivo poesie
meliche . Quegli che primo cant il suo amore in un
razioni, e

ciclo di elegie, forse

317

romano

il

Gallo, avr ripreso

tivo, applicandolo al divario di dignit

secondo

distico

il

lo

amore

in distici .

meno

epici;

parere, e

ma

danno

otium

il

amo, e sfogo

io

mio
am-

il

gli

negotium e negotiiim

la storia dell' elegia

romana

uomini pi

seri

vo-

volentieri a credere ai con-

che per

siderar seria quell'attivit


versa,

che corre tra l'epos

Gallo aveva in verit ben altre

bizioni che quelle amorose,

gliono

mo-

dottrina scolastica: Agli uomini

la

scrivere carmi

gravi

il

gioco e vice-

essi

Ma, perch

Votium.

ignota

nei

rimangono pur sempre punti oscuri anche


che qui ci interessa.

suoi

Esiodo e l'aedo dell'inno ad Apollo sono

nomo

poeti greci che parlino di se; nel

principi,

nella questione

pi antichi

era

citaredico

tradizionale dai tempi pi remoti sino a Timoteo che in

un posto determinato il cantore dicesse dell" arto sua


Teognide d un segno, il nome dell'amato (v. 19 sgg.),

a che

tutti

perbo

di

possano riconoscere

aver fornito

suoi versi

suo diletto

al

(v.

egli

237 sgg.)

suali

che

lo portino sulla terra e sul mare, sicch egli sia presente

a ogni banchetto e tutti


labbra.

Man mano che

veniva pi chiara

la

commensali abbiano

nell'artista, egli sentiva

affermarla anche col dove

il

il

bisogno

didi

genere letterario non sem-

brava consentirlo. Nell'et ellenistica


i

lui sulle

coscienza della personalit

tutti,

pii

o meno,

poeti parlano di s tranne gli epici: per rispetto al loro

archegetu, Omero,

rompere

non osano
non vosenza presentarsi, senza mandare in nome
suoi epigoni alessandrini

cancelli dell'oggettivit.

gliono finire

proprio un saluto
tutti

firmare, e

al

Ma

gli

altri

dedicatario o al pubblico, vogliono

non soltanto nel

titolo,

non soltanto con

il

nome

patronimico.

il

gruppano agevolmente
nere letterario

sua appartenga.

pochi

di questi

tipi,

Gli uni

che non siano alta epopea,

scelto V 'EaiZeioc, () anzich V


si

ge-

didasca-

primo

in

zione

della

come Nicandro:

ambedue

ordine di tempo,
patria

di ospitalit

5poio [xvf^axtv ^y^oiQ, tv


u[xvo7LXoio xal

At?

di

solito

suoi

poemi

l'altro,

poich

la patria

nota, inserisce ancora un'esortazione a

evi)-'

Kat xev

eO'pS'^^e

eaxi

ormai

era

non dimenticare

'0|Ji r^psio'.o

xal etaxc Ntxv-

KXpo'j v/fsaaa noV.yyr^ e

Nixvopo'.o

(j-vf^axiv

lyo'-c,

sioni conferisce loro

due espresuna formula questo


sottoscrizione di una

il

carattere di

moderna. Virgilio, riprendendolo nel commiato del

lettera

suo carme didascalico, lo tratta tuttavia con pi arte

compongo

il

mio carme, mentre Cesare vince

Per Callimaco
egli

Io

sull'

Eu-

spiana la

frate, riconosciuto legislatore dai popoli e si

(Ij

y.al

i^7(jiv

cpuXaao:?. Il parallelismo delle

"izY.oio

tipo assomiglia, pi che altro, alla

proemio

che

x^r^o;

non dimenticare Nicandro ; quello che


Theriaca, aggiunge la men-

finiscono: e

legame

quelli

'0\ir^^:v.>jc,

spicciano con poche parole, rivolte

al dedicatario,

il

possa attribuire, in un senso quasi negativo, dai poeti

avevano

x'

rag-

si

poeta sente o crede che l'opera

il

pi semplici sono usati dai

di distici o esametri

il

congedi

diversi secondo

presa questa parola nel significato pi ampio clie

lici ,

le si

Le forme

in

quale

al

318

suoi Aixia erauo nua poesia esiodea, che nel

altermava se successore di Esiodo. Ennio, pure imitando

Callimaco, rivendica a se

il

vanto di essere originale di fronte

a lui,

nuovo Omero. Se Callimaco avesse considerato epopea i


suoi Alila, come taluno sostiene, non l avrebbe u fatti precedere
da una visione personale n conchiusi con uu commiato egli li voleva esiodei. Gli elegiaci ronuiui hanno seguito quanto ai congedi la

di essere

il

tradizione degli Aixia

Properzio e Tibullo avrebbero probabilmente

ascritto la loro poesia al genere didascalico. Questa osservazione .serve

forse a intendere

V Ars Jmandi

di

Ovidio.

319

via al cielo; abito a Napoli, e son quello che ha scritto

Bucoliche haec super arvorum cultu pecorumque canebam et super arboribus, Caesar dum magnus ad alturn fidminat Euphraten bello victorque volentes per populos dal
iura viamque adfectat Olympo; ilio Vergilium me tempore
le

dulcis alebat Parthenope studiis fiorentem ignobilis

mina qui

tulae cecini

audaxque

pastorum

Itisi

tegmine fagi.

sub

mostra somiglianza collo

inventa,

Anche

il

tempo

te

dei

epistolare. Properzio

stile

tiene anch'egli a questo tipo,

car-

oti,

Titgre,

pa-

verbi
si at-

modificandolo, nell'ultima

da amico qual sei, tu mi


donde io sia. Sono di origine
un mio parente morto nelle stragi di Peru-

elegia del primo libro

Tulio,

chiedi di che famiglia e

umbra, e

. La domanda naturalmente fittizia: che Tulio,


appunto perch amico, avr saputo donde fosse Properzio
ma da Esiodo in poi era tradizionale che carmi didascalici si rivolgessero a una persona determinata, e
anche la poesia di Properzio apparteneva per lui aU"Ha'.oetoc xpTco?. Tulio nominato nel primo e nell'ultimo
carme del libro per indicare che a lui offerto tutto il
volume (1). Anche Orazio riprende questa forma in
un'opera che egli stesso assegnava probabilmente al
oiaxTcxv '(ivoz
nell'ultima epistola della prima raccolta
egli si accomiata non da un amico ma dal suo libro,

gia

dandogli

istruzione

di

dichiarare, richiesto dell' autore,

da cui meglio risalta il valore peranima senza celarne i diconfessarne l'et. Qui la sottoscrizione non pi

l'origine sua umile,

sonale, di descriverne corpo e


fetti, di

presentazione,

'1)

11

Lko

diventa ritratto vero e proprio.

(Golt. Xachr.

congedo, perch
iiiesse ai testi

ma

lo

18i)8,

gindiciiva

469 sgg.) creleva

imitazione

classici nell'edizione alessandrina,

stanno in principio, non in

line.

mutilo qiustu

scherzosa delle
ina (pifi

Vite
,iiot

pie-

o yvr^

320

modo un po' diverso, come ha


un frammento scoperto di recente {Oryrh.

Gli Altea (iniviino in


fatto vedere

Fap.

1011, voi. VII, V. 88):

casa

dei

delk^

Muse

ma

miei signori,

Salve, Zeus, e proteggi la

calcher a piedi

io

; xalf,ZeO. ixya xal

rs'j.

prato

il

5' [[i]v (1)

ao)

olxov

K difficile dire
preannunzino giambi, come ho spie-

vy.TWv. aOtp b() Moualojv

se le parole finali

Tie^c; t::|x'. vo|jiv.

un tempo, o non piuttosto 1' attivit critica di


Callimaco
comechessia, assolto un compito, egli, guardando con compiacenza l'opera compiuta, ne promette
gato

io

degli Amori, dif^hiara

un'altra. Cos Ovidio, alla fine

accingersi a comporre tragedie

nerorum mater

Amonim

corniger increpuit
gri is

post

raditur

thyrso

area maior equis;

mea mansunim
Per altri generi

quaere noviim

Lyaeus

imbelles elegi,

pulsandast ma-

Musa

genialis

fata superstes opus

di
te-

ultima meta meis...;

elegis

Iiic

graviore

votem,

valete,

(2).

venne in voga nell'et ellecommiato. In quel tempo usava

di poesia

forma di
comporre epigrammi che si fingevano destinati a essere
scolpiti sulla tomba di un classico
non necessario citare esempi, che basta aprire a caso il VII libro dell'Antologia. E probabile che almeno alcune di queste poesie
nistica un'altra

precedessero o seguissero

il

testo in edizioni di classici.

mi poeta ellenistico, non sappiamo quale, venne in


mente di chiudere la raccolta dei propri versi con un

(1)

di fatto

Supploiutnto del Wii.amowitz (Sappho


che Callimaco uou Ja qui

il

suo nome,

intendere perch non lo potesse, come

il

u.

Simonides 299).

ma

Sta,

confesso di non

Wilamowitz

asserisce.

Quel che in mezzo tra principio e fine, esprime la compiacenza per il lavoro compiuto questa stessa impronta di s la chiusa
dei Remedia Amoris, dei terzo libro e incerto senso anche del primo
(2)

dell'

Jr Amadi.


epigramma funebre su
pi antico quello

321

se stesso

L' esempio per noi

(1).

visse al principio del terzo secolo

che

locria Nosside,

poetessa

della

(A P VII 718)

Stra-

niero, se tu navighi verso Mitilene dai bei cori per ac-

cendervi

il

che io ero cara


Locride mi dette vita appreso che
era Nosside, prosegui pure il tuo cammino ;

fiore delle grazie di Saffo, di'

il

Muse

alle

e che

mio nome

(T)

^ev'

TU ye

la

nlzXc,

nozl y^.aXkiyopov Muxcvav. xv

)(aptxo3v ocvS-o? vaua{i,voi;. eTtelv

Aoxplc: Y^c xxxev l'aat; 5' oxt

toc,

Mo'joccia'.

xoijvo|i.a

[xot

Asclepiade (A

P VII

dice

500)

Le

uno

di

che passi

tu

a xe

Noaafi;, l^i (2).

formule son quelle degli epigrammi sepolcrali


:

Itocnfo'jc.

x' f^v

cpi'Xa

in-

nanzi alla mia vuota tomba, quando tu giunga a Ohio,


di'

a mio padre Melesagora ch'io sono perito in mare

Uno

di

Callimaco

(ep.

12) imita

questo

di

Asclepiade,

superandolo in squisitezza Se tu capiti a Cizico, poca


fatica ti far trovare Hippaco e Didyme, che nota la
:

famiglia; e dirai loro


io

una parola

triste,

sto sopra al figlio loro Crizia .

Ma

ma

pur

dilla,

Nosside non

che

manda

lontana della sua morte, anzi


messaggio che un'altra Saffo nata
a Locri. L' epigramma sar stato nell' ultima pagina di
una raccolta di versi, probabilmente composta in tutto
o in parte di ixsXy], poich Nosside era celebre quale [s.zXo-

ad avvertire

la famiglia

invia a Mitilene

il

come testimoniano

TioL;,

Saffo, alla quale essa

11

(1)

Wilaiuowitz

si

sono certo

clie si

(2) IvauatJievoc e
|)er

carmi

accender col
sattici

21

come

il

(p.

e poich

233 sgg.

che

ma

gli

sano

lesbico.

lia

imi derivau dagli altri.

e concettoso

poesia saftca, per

nominativo

2!)9)

epigrammi,

dell'altro genere di

sia accorto

non corrotto

la face <lella

"iaaig

tost citata

iiell' o]ior;i

liscorso egregiaraento dell'niio

ma non

lemmi dell'Antologia,

confronta, era famosa molto pi

io

ispirarti

intendo:
<(d;\

.1

per

che per

liriche

le

epigrammi spuri

gli

Di Calli-

(1).

maco sono conservati due epigrammi sepolcrali, composti


in modo che s'integrino a vicenda, l'uno per il padre,
penso che fossero gli ultimi
Similmente Leonida di Taranto, vivendo gi vecchio lungi dalla patria, in un epigramma funebre (A P VII 715) commisera s stesso per la
morte in esilio, ma annunzia orgoglioso che il suo nome
non morr:
doni delle Muse lo annunzieranno, quasi

l'altro per s (21

e 35);

io

del libro degli lmYP^|J.|iaxa

araldi, per tutta l'eternit: uoXXv

x T Tpavioc;
TiXaviwv ^to?
(xeXtypv
paas'u

syw

Tuxprj;,
^io<;-

xoOxo i

XX

o-jvofxa h'

Mouawv

rcvxac

[xe

o\v.

lt:

'\xyjJ.y.c xe'-|Jiai /^^ovc;

Ttcxpiepov O-avtou' xoioOxoc;

(xot

MoOaaL saxep^av. X-jypwv o


Aswvioo'j, aOx

fj(jiua

Iti* eX-'ou;.

giudicare spurio l'epigramma

Non

vi

|j.

sono ragioni per

lo stile quello degli

vxl

fopa xtj-

au-

Leonida lo avr scritto nei suoi ultimi anni,


quando prevedeva che non avrebbe pi riveduto la patria (2). Nella stessa et Meleagro compone due epigrammi funebri su se stesso (A P VII 417. 419): nell'uno egli dichiara di scrivere, avanzato negli anni com',
su tavolette invece che sul sepolcro, confessa cio che
il
suo gioco letterario; nel secondo, con le formule
consuete agli epigrammi funebri, narra che Cos aveva
tentici:

(1) Il secondo argomento da solo non basta, che Nossido poteva


paragonare se con Saifo quale grande poetessa senza pensare ai generi.
(2) Che 1' autore sa che Leonida non mor in patria, 1' argomento principale recato dai critici contro l'autenticit vjiiuas sta in
quel significato con audacia davvero leonidea
cos pure il nXocvtos.
dove ci si aspetterebbe Xccvog, corrisponde ai canoni della sua arte
!

egli

adopera anche

TZKNSTEiN, Epigr.
(li

TrupivEo;, pcpavtog
u. Skol.

147. Il XYjpuyjia delle

Callimaco per Teeteto XXcov

|j.v

Hvjpuxsg

cp^ySovTai, xsivou S' 'EXX^ si aocpirjv,

spesso Callimaco.

per njpivcg, op;(:avos:

come

Muse parafrasa

ti'.

il

cfr.

Rei-

l'ep. 7

ppa^'Jv 0'Jvo|ix xaipv

Leonida autentico

imit.i

ospitato la sua

Questi

vecchiaia.

anch'esso, in certo

senso,

323

due e VII

sepolcrale

un

adatti quale chiusa ciascuno di

(1),

che

418,

erano assai

Corona

libro della

(2).

Orazio nelle odi ultime del secondo e del terzo libro


anch' egli

parla

morte: exegi moniimentiim significa:

di

miei carmi sono

mio monumento, immortale pi


la parte maggiore di me risar. Melpomene, consacrami
capo del lauro ; non usitata vuol

il

che non marmi o bronzi


marr viva finch Roma

cingendomi il
dire
non io son sottoposto al fato comune degli uomini
io non sapr la morte, io figlio di famiglia umile,
io tuo cHente, Mecenate amico. Gi mi trasformo in cigno,
popoli pi lontani tenderanno
gi m'inalzo nell'aria;
l'orecchio alle melodie nuove del mirabile uccello. Il mio
funerale non sia rattristato dal pianto; vani saranno gli
fin

d'ora,
:

onori della tomba, perch io non sar l . E forse troppo


audace immaginare che Orazio abbia collocato ciascuno
in fine d'un libro questi due carmi, nell'uno dei quali il
poeta trascende la morte, nell'altro la nega, appunto per-

ch

il

posto ultimo era riservato, per tradizione, all'epi-

gramma

funebre ? Anche Leonida lancia dalla sua tomba


un grido verso l' immortalit (3).
Ennio aveva scritto nemo me lacrumis decoret nec fa:

nera

ftetu faxit,

cur?

volito vivus

dire se questo distico facesse parte di tutto

epigrammi, o

(1)

se,

per esempio, chiudesse

Esso non dico chiaramente

<li

per ora virum.

difficile

un

libro

le satire:

stare sur un sepolcro,

di

tutt'un

ma

ac-

c(Mina alla patria, alla dimora, alla l'ama di chi parla, conio sogliono

appunto

gli

epigrammi

i'unehri.

(2)

Qnesta supposizione

(3)

Un conmiiato

netica di tutto

ma non

il

stata avanzata dal

alla vita, abilmente

volnme,

si

l'ultimo carme.

abbia raccolto egli stesso

legge anche tra

Del
le

sne

resto,

noi

i)oeHe.

Reitzrnstkin

intonato
i

all'

i:-!'.

indole pare-

raelianibi di

non sa])piamo

Cercida,

se Cercida

3"24

che tanto spesso s' ispirano


epigrammi. Orazio qui prende

libro delle satire di Lucilio,

a Ennio, era composto

da Ennio

ma

mossa,

la

di

trasforma

per cosi dire, pi sensibile

sformare nel bianco

motivo, rendendolo,

il

ancor vivo,

egli

sente tra-

si

vivo

apollineo, ancor

uccello

tra-

scorre alto per l'aria, cantando a popoli di ogni linguaggio.

Ennio non faceva che riprodurre l'espressione convenzionale


degli antichi poeti, per esempio di Teognide aoi |jLv y)
:

av

Tixp' sooxa,

aav cp[xvoc

ueipova tivtov

Iti

ole.

^r^toicoi;'

i>-o:vr,Ci

xal

yjx:

Tvax'ipf^^

^{f^ tzL-

TiapaaYi

tlX(x.n'.yrp>.

Anzi proprio a questo


tranne che volito vivus per

uaatc;. tzoXXoc xe:{ievc; ev axdjjLaaiv.

passo egli pare essersi ispirato,

immagine pi

ora virum

Nel canto

di

per la vita

comune

egli

Orazio

si

felice

di

sv a-f^iiaaiv

xEifAsvo;

un disgusto momentaneo

riflette

degli uomini impacciata di corporeit

vuole spiegare

le ali

alla libera serenit.

*
* *

Qui, a mo' di appendice, poche parole intorno a un'al-

forma di commiato, che direi simbolica. L'ulti.na ode


primo libro dice: Odio il lusso, fanciullo; a me
basta una semplice corona di mirto neque te ministrum
tra

del

dedecet myrtiis neque

amore e convito

me

sub aria

vite

improntano

bibentem. Mirto e vite,

poesia

di

Orazio. L' ultima ecloga di Virgilio finisce: surgamus:

so-

let

esse

gravis cantantibus

venit Hesperiis,

ite,

umbra....

capellae.

vuol dire cessare dal canto

il

poeta bucolico, come

coronato

di

mirto e beve,

haec sat

erit,

il

domum

il

le

saturae,

pecore

commensale che siede

lirico erotico e

in Virgilio,

divae, vestrum cecinisse

gracili fiscellam texit hibisco.

ite

pastore che pascola can-

il

simbolo pi perspicuo

Qui menare a casa

tando,

Il

se tutta la

di

Virgilio

simposiaco.

perch precede

poetam,

dum

ha ereditato

sedet et
il

sim-

ma

bolo da Teocrito,

la

325

forma del congedo non

si

ri-

trova in quel che c' rima&to di poesia ellenistica; eppure essa mi sembra di gusto alessandrino. Il Simposio
di Platone, al
ispirati,

finisce

quale
:

Un

poeti del III secolo


solo

il

si

sono spesso

migliore nel comporre

commedie . Io credo che Platone, parlando


commedia, intenda appunto il suo Simposio e lo contrapponga agli altri dialoghi. Anche questo un commiato simbolico.
tragedie e
di

9.

Alcune tra le odi oraziane invitano amici o amiche a


un modesto desinare (l): tali I 20 vile potabis e IV 12
iam veris comites ; tali I 17 velox amoenum, III 29 Tyrrhena
regum, IV 11 est mihi nonum ; un'altra, III 17, diversa
solo in ci che il poeta non invita altri, ma annunzia a
un amico che egli verr a pranzo da lui il giorno dopo.
Di queste odi l'ultima e pi I 20 hanno la brevit e un
po' anche l'andatura dell'epigramma. Invitare a cena con
un epigramma, dovette essere di moda nell'et ellenistica:
quel poco che necessario scrivere in un invito, fa figura pi graziosa, se lo si riveste di versi impeccabili
e infatti un poeta dell'era ellenistica pi recente, del
quale Orazio, che secondo verisimiglianza lo conobbe di
persona, cita altrove appunto un epigramma (2), Filodemo, quando volle invitare alla festa epicurea dell'exic:
;

(1)

opportuno

ilistinjjuere tiiiesto tijto

l'esortazione a l)ere e a gioire o

si

finge

da quelle odi uelle quali


recitata

durante

il

cimi-

vito stesso.
(2)

Furono intimi

di

Filoderao e suoi discepoli

Lucio Vario, amici ambedue

di

Orazio.

c^uintili)

Vato v

32fi

I^isone, gli mand un epigramnia die


il suo patrono
corda assai I 20 (1). Esso dice (A F XI 44):

ri-

A'jpiov sig XiXYjV 0 xaX'.aSa, 'flXzoiZc. lU'co)/,

g vdxYjc s?.xi [iOuaocptXYjg g-:apo{,

eixda

8t7iv'l!|a)v

o'JS-ata xai

XX' xipo'jg
<Iaiy|Xt))v

5s 7ioT=

y^v

^onsv

E comune
dizionale:

ai

ivtaoiov

uGAsi-j/S'.;

^o'jXj |i.Xiypxpa-

ozpi-\ifi<;

Xixfjg

xaL g Y(P.sag

eixaSa

due carmi

Bench

5'

::avaXvj9-a5, XX' Traxo'JOY;

'|)'.

Y'^-1'C

sv.

ei

Bpo|iiou XtoYsv^ Tipnoo-.v,

il

|jL[iaxa,

Il'!oo)v,

irtoxpvjv (2).

motivo, probabilmente tra-

tu a casa tua sia avvezzo a

mensa

ben altrimenti sontuosa, pure ti contenterai per questa


volta di cenare modestamente da me . Non si accenna
in nessuna delle due poesie alla possibilit che l'invitato
ricusi

che

il

Ma

potnhis,

ecaay.oarj.

o-jieat.

patrono, che gli

Orazio

a un

Il

poeta

si

sente sicuro

tempo amico,

accetter.

ma-

astiene dall'enumerazione minuta dei

si

nicaretti ghiotti cui

penitenza con

lui

Mecenate dovr rinunziare per

far

particolari di cucina stuonano in poe-

sia lirica, sia pure di

andatura modesta.

demo promette compenso

ai piaceri della

Pisone Pilo-

mensa

perduti,

nei colloqui di amici veri: la stima alta dell'amicizia

bocca dell'Epicureo,
sapore
di pedanteria, che a
invito
ha
un
certo
ma in un
Orazio, se conobbe, com' probabile, quell' epigramma,
non piacque quantunque il premettere all' invitato un
-compenso per il suo scomodo fosse di rigore, come model consorzio amichevole sta

bene

in

stra

il

{!)

carme

Il

di Catullo (XIII) a

Fabullo: sed cantra ac-

solo accenno, che io conosca, a tale somiglianza del Rki-

TZKNSTEiN, N. Jakrb. 1908, fi6.


(2) La XtXYj xaXiocs nna reminiscenza della
dell'Hecale callimacliea

(fr.

131).

cpiXocsivoto

xaXif,-

327

meros amores, seu quid suavius elegantiusve est:

cipies

nam

unguentum daho, quod mene puellae donarunt Veneres Cupidiiesque. Orazio promette a Mecenate un vino di poco
prezzo, ma che per lui ha, come si direbbe modernamente,
valore affettivo Berrai vino di Sabina, che io stesso
travasai in una botte, che aveva contenuto vin greco,
proprio quel giorno che tu fosti applaudito in teatro da
tutto un popolo . Mecenate, appunto perch schivo di
onori ufficiali, doveva compiacersi di una popolarit spontanea. L'arte della seconda strofa singolarissima anche
nei particolari pi minuti
Mecenate chiamato eques
:

proprio mentre
il

si

fa risaltare

plauso riservato per

mostra che Orazio, pure suo


qui inferiore

ma

amico.

ille

ego qiiem vocas, dilecte

un

servo,

ma

che

popolo tribut a

il

pi a magistrati superiori: care

lo

in

Maecenas

Orazio pu dirgli

come si
come a un

vocas,

dilecte

Paterno flumine accenna discretamente che

il

fa di
pari.

cavaliere,

che vuole rimanere inferiore alla sua fortuna, sangue


re di antichit favolosa. Filodemo nell'ultimo distico
chiede copertamente un piccolo
il

convito riesca

ger

gli

meno

(1)

non si considera
mente le parole

cliente,

Tornano

lui

di
(2)

aiuto di danaro perch

male. Se tu

ti

degnerai

di vol-

occhi a me, la festa, invece che^^ magra, riuscir

abbastanza pingue . La formula, imitazione delle invocazioni agli dei consuete in fine degli epigrammi dedima il motivo, suggerito
catori, di adulatore smaccato
;

La lezioue mi par

(1)

certa, sellitene

il

\olliuer sia torunto

ina

a scrivere dare cou codici cousiderati inferiori da lui stesso. La difende l'altro passo di Orazio citato nel testo e il cpiXxaxe ITeCacDv di
Filodeiuo. che, avvicinati, provano forse che
viti

mettere in rilievo conio

masse

la

si

soleva in qnusti in-

diversit di condizione sociale non sce-

l'alletto.

(2)

Spiegato giustamente cos dal KAinKi-,

(Greifswalder Projjranim 1885), 25.

l*ltioi1imi rpiifinitninitn

3i28

del resto dalla consuetudine diffusa che

mensa anch'

tasse a

sere tradizionale.

un piccolo dono

egli

doveva

(1),

XIII

Catullo

ricordare

Basti

convitato por-

il

es-

cenabis

mi Fabulle, apud me, si tecum attuleris bonam atqiie


: V arguzia consiste qui appunto in ci che
poeta si rivolge non a un patrono ricco, ma a un po-

bene,

magnam cenam
il

ridotto a cercare

diavolo

vero

per

inviti

sfamarsi

(2).

promette all'ospite vino


fino, ma solo in contraccambio di un vasetto di unguento IV 12, 14 sed pressiim Calibus ducere Lberum
Orazio stesso

in

un

altro invito

si gestis,

iuvenum nobilimn

cliens,

nardo

vina

merebere.

quanto poco

continua scherzosamente, ponendo in rilievo


nardo basti all' ospite ad acquistar tanto vino. Tanto
nardi parvos
quanto basti a sciogliere le cure amare
onyx eliciet cadum, qui mine Sulpiciis adcubat horreis, spes
donare novas largus amaraque curarum eluere efjficax. E
c'insiste ancor su, appunto per mostrare che egli celia:
:

ad
ego

qiiae si
te

meis

properas gaudia, cum tua velox merce veni

immunem

ut in domo.

Ma

(3)

7ion

meditar tinguere poculis, piena dives

Orazio poteva con pi dignit scherzare

cos con un ricco commerciante che con colui al quale


doveva la sua agiatezza e perci appunto, allontanan A te il bere vini
dosi dallo schema fisso, conclude
;

prelibati

(4),

io

non possiedo vigneti

probabile che

un epigramma greco,

(1)

{ad

IV

immunes

uoto

12, 21)
et

il

Orazio
forse

abbia

preziosi .

preso lo spunto da

appunto da quello

passo di Gellio citato anche

cum domuvi suam

nos

da

Kiessling-Heiuze

vocaret, ne omnino.

quaestionum.

Noi portiamo

fiori

(4)

ut

alla

di casa.

(3)

Filo-

dicitur.

aaymboli veniremus, coniectabamus ad cenulam non cuppedias

cihorum sed argutias

(2)

di

Cfr.

XLVII,

6.

Traduzione dell' ajiPoXog conservato da Gellio.


Bibas pur sempre la congettnra migliore.

padrona


demo

329

(1); gli endecasillabi catulliani

immaginare facilmente

possono anche

si

tradotti in distici greci o meglio

che nella letteratura greca metro recitativo.


Epigrammi di questo tipo, inviti del poeta protetto al suo

in faleci,

patrono, apparterranno piuttosto all'et ellenistica tarda,

tempi nei quali

ai

il

centro della vita e dell' arte greca

Roma, che non al terzo


avevano un solo protettore,
era

secolo

poeti

non

alessandrini

potevano permettere di invitarlo in casa propria. Catullo scherza con


un xTio: della letteratura greca contemporanea.
Anche III 29, Tyrrhena regimi pu riprodurre nella
prima parte lo schema di un epigramma, aggiungendovi,
come Orazio usa, moltissimo di personale, ponendosi anzi
qua e l in contrasto con particolari tradizionali. Anche
qui il poeta si rivolge al suo protettore
anche qui subito in principio un accenno, anzi lo stesso accenno,
il

re, e

si

non

alla nobilt regia dell'invitato, la quale contrasta, se

almeno con la modestia della sua poMa, mentre in I 20 il poeta confessava


solo vini ben curati ma di poco prezzo,

colla sua potenza,

sizione ufficiale.
di

potere offrire

qui Orazio dichiara di aver fatto quel che poteva

il

ba-

vino buono aspetta gi

da gran tempo, non


tocco, il nobile ospite
gi da gran tempo attendono le
rose e 1' unguento orientale. A s Orazio non concede
simili lussi, ma li riserva a Mecenate, che, tanto pi
riletto di

alto, gli

fa

r onore

di accettare la

sua ospitalit,

r ordine in cui Orazio ha disposto

le

preceduta non solo da

ma

Vile potabis,

Nel-

sue odi, questa

da

Persicos

odi.

Chi legga la raccolta ordinatamente, deve ricordare che

dopo il 30, ,
(1) Lo stile dell' ode, scritta, a quel che pare,
come nei carmi pi antichi di Orazio (cfr. sopra, p. 60) faticosamente studiato neir apparente seniplicitA, lo parole son disi^ostt con
;

ingegnosit; a indicar!

il

vinosi suceedoiio (|uattro espressioni diverso.

Si)

Orazio per s vuole rose solo nella stagione nella quale


sono a buon mercato mitte sectari rosa quo locorum sera
:

morelur; questa volta estate,

come dicono

le strofe

quarta

e quinta.

Gi da gran

tempo

ti

aspetta

mia

nella

convito, che ho cercato di preparare degno di


di re

eppure tu rimani

da cui contempli

la

tuo palazzo di

nel!' alto

montagna

mutare,

ricchi piace

ai

piace

villa
te,

Roma,

Tuttavia anche

lontana.

una volta

per

un

nipote

la

mensa

Qui Orazio prepara gi di lunga mano il passaggio alla seconda parte dell' ode, che parenetica.
Segue in due strofe congiunte da anafora il concetto

povera

Ormai

l'afa pesa,
Il

l'

altra

mostra

ci

l'estate, a

pastore,

il

dir cosi,

che, mentre

cerca ristoro di ombra e acqua a se e al gregge.

un altro inlam veris comi-

particolare bucolico torna tale e quale in


cui toccheremo subito,

vito di
tes

una descrive

estate. L'

astronomica

nei pouxoXcaaxat

in

in:

ma

xiv'

il

|X'^(i)

Non

pensiero di

un

Quest'

cosi

a5[ivo'. O-peoc

tratto

ricavato

senso della cam-

il

ma

Orazio non agricolo,

neppure con
le

(1).

cantano

estate

cos nel Tirsi

importa notare che

Qui un colpo d'ala:


cipe

una fonte

xpvav

To:5' cctiZov

[ia-t

dalla vita;

pagna

12

pastori di Teocrito nei meriggi di

distesi all'ombra presso

{jLac;)

IV

in

pastorale.

tormentarti con pensieri,

Roma

a te affidata dal prin-

cose vanno per la loro china,

come un

fiume,

senza che l'uomo vi possa far nulla. Bisogna vivere alla


giornata e compiacersi che quanto abbiamo goduto di

(1)

comune

La

fonte ombieggiatu che

epigrammi

di

AnyteAPIX313

nida di Taranto VI 334. IX 326,

ancora

ott're

uella poesia ellenistica anche

al

IV

sec.

XVI
XVI

(Coi.axgelo, Sfndi

ristoro dalla calura,

fuori

motivo

della bucolica: cfr. gli

228, 291, Nicla

IX

315,

Leo-

230. Anyte appartiene

forse

italiani,

XXI, 282

sgg.).

non

bello,

mondo
presa

sono

ci

pu pi esser

occorre vivere

sull'

animo, non

ci

tolto.

La

fortuna domina sul

guisa che essa non abbia

tal

possa togliere

Questo ho fatto
ben maggiore che

veri.

novit

331

io .

Il

non

beni

che

soli

carme congiunge, con


17,

elementi diversi:

animato questa volta di particolari non consi apre a poco


a poco il varco alla
parenesi, che culmina nell'esaltazione della virt stoica.
Il poeta cliente la vede, con beli' orgoglio,
impersonata
in se. Tra il principio, 1' invito quasi umile al protettore,
e la chiusa che addita a questo il poeta quasi modello,
un contrasto di grande effetto. Orazio lo ha ottenuto,
prendendo le mosse da uno spunto convenzionale.
Anche III 17 Aeli vetusto ha qualche cosa dell' epigramma ellenistico, sebbene il senso della natura in temdall'invito,

venzionali, Orazio

pesta, cras foliis nermis mitUis

alga litus inutili demissa

et

tempestas ah Euro sternet, parr

si moderno, ma, piuttosto


che epigrammatico, proprio specificamente di Orazio lirico. Quanto a questo carme noi non abbiamo dunque

modo

di rischiarare
il

dubbio.

il

dubbio rimane anche per IV 12 lam

Quanto abbiamo detto

mostra che

di sopra,

veris comites.

seconda

la

parte dell'ode sfaccetta giocosamente in molteplici variazioni

un T-o; che

si

ritrova

un epigramma

in

del pi

tardo periodo ellenistico e in poesie romane che derivano

probabilmente da epigrammi.

La prima

parte,

scrizione del risvegliarsi primaverile della

nata a invogliare

l'

(1)

A me sembra almeuu

che

le (lue

ffinnte solo

.solo

ritiro

probabile

campestre

(1),

che

iuviti

il

poeta

pare

in-

Virjjjilio

carme acquista vera unit:


descrizione della primavera e 1' inviti), sono con-

se

parti, la

de-

invitato ad accettar la profferta del

poeta e a visitarlo nel suo

in campn<;'iia

una

natura, desti-

s'

inteude cos,

esternamente ihxWudducrv

il

hIh

la

sproporziono

tra

il

tonato

epigrammi

Kiessling-Heinze.

Il

33^

come hanno osservato

ellenistici,

molti che per bocca di Priapo incitano


tentare la fortuna dei

un

solo

Priapo

pi

dai

in tutti,

non manca mai

sembrano modellati

che

sieno

tutti

menzione

la

rondine chiacchierina

Io credo

ri-

antichi sino agli ultimi,

rivela solo in fondo. G' ingredienti sono

si

gli stessi

della

marinaio a

il

ora che la natura rifiorisce

flutti,

e la navigazione aperta (1). Tutti

sur

ne ha serbati

libro dell'Antologia

del fiorire

(3),

imitazioni

sempre

dello Zefiro (2),

dei prati (4).

pi antico, di

del

quello di Leonida Tarentino, che tra gli epigrammatisti


alessandrini fu

Le due
,

sitirn

ricordarsi

scuola

caposcuola

di

pi sguito.

da un verso che
di Alceo
tempora, Vergili. Il mercante Virgilio deve
un passo di classico che aveva letto a
reminiscenza,

cora' noto,

adduxere

uo

il

parti dell'ode sono congiunte

di

cio

Tiaiov

f^po? vO-eixsvxo;

citazione,

iv

pyo[Xvoio....

[xeXcSso? oxxc xy^caxa VwpxYjpa (fr. 46).

7.:pva-

probabile che

e V iuvito ofteuderebbe, se quello fosse soltanto


un ornamento. Io intendo iirimavera, e la natura rifiorisce.
tempo di bere, Virgilio, come canta Alceo vieni dunque da me
in campagna . Il bariletto di Galeno, che aspetta negli horrea Sul-

proemio descrittivo

picm, cio sotto l'Aventino a Marmorata,

sar stato trasportato per

mare da Minturno a Roma, per esser poi carreggiato


villa

Leonida Tarentino

(1)

tario

di

fino alla

Sabina di Orazio.

4, Thyillo,

1,

Antipatro Sidouio

l'amico di Cicerone,

Satyro

6,

2,

Marco Argen-

Agathia 14, Paolo

Silenziario 15, Teeteto Scolastico 16.

Leonida

(2)

/apistc;

tyro Zscpupoio TioTjtxou

Zcpupo^

Marco upyjOYiXws

Thyillo Z--cupog senz'altro

Zcpupog

Sa-

dei tre Bizantini

non tengo conto.


' T^y^sai
AnMarco parlano, come Orazio, del suo nido.
Antipatro Xeijitvcav 8' appi '{e^i
(4) Leonida Xscfitvg S' vO-sai
nxaXa Marco vO-ea 5' vxXXouai xax xS'va Satyro Xsiiivag vO-o-

Leonida XaXaysaa x^^^Sv; Satyro Kexpouidsg

(3)

tipatro e

uno

Orazio avesse presente


forse

non uno

333

di

epigrammi, seppur

tali

di quelli conservati, e, tagliata via la figura

Priapo e l'esortazione a navigare,

di

lo

congiunga con

a cena epigrammatico, consueto nella societ e


i' invito
una reminiscenza di Alceo far
nella poesia ellenistica
;

da ponte

passaggio. Orazio avrebbe qui, a parlar gros-

di

samente, fuso in uno due epigrammi mediante uno spunto


melico. Il resultato non del tutto sicuro non possiamo
;

due parti
ellenistico, ma non

davvero escludere che


nite in

un

[iXo?

le

probabile che Leonida

un

della sua descrizione da

cificatamente a cena,

abbia

ma

si

trovassero gi riu-

vi sono indizi sicuri.

derivato

\iiloc.

alcuni

colori

che non invitava spe-

incitava a godere

la

vita.

11

tardo bizantino Paolo Silenziario, che suole cosi spesso


riflettere

modelli ellenistici, in un

epigramma priapeo gi

paragrafo (X 15) parla dei


navi, tratte in secco nell'autunno, ven-

citato in principio di questo


cilindri su cui le

gono

Xxc u'

antiche

pi

mare (apxt ooupaiocacv iTicoX-'ai^Tjae


}li^(j)'^ le. PmHv Xxo[i.vir)), come una delle

fatte scivolare in

xuX''v5poc;

liriche

grata vice veris

et

di

Orazio,

soivitur

acris

hiams

Favoni, traliuntque siccas machinae cari-

Il metro complicato e raro di quell' ode pare derivato


da modelli ellenistici (1); come si vedr meglio pi
avanti, anche quel che segue, forse ispirato a un carme
ellenistico (2). Ma da queste osservazioni si ricava al pi
che in un' ode ellenistica, composta appunto nel cosiddetto primo metro archilocheo, la descrizione della primavera serviva di incitamento al godere e che Leonida
conobbe e imit quel carme. In I 4 manca proprio il

nas.

(1)
st'

Osservato da Kiessliug-Hi'inze,

ipotesi per
(2)

che

in

Pi avanti

IV

7.

che

hiiuno

presentato

i|iu>-

4.
si

mostrer che Orazio ebbe presente

(|uel iisXo;

an-

334

IV 12, il canto della roncomuni sono presentati in modo molto


che pi importa, Paolo in tutto il resto non

particolare pi caratteristico di

dine

particolari

dissimile;

e,

presenta riscontri con l'ode oraziana,

ma

imita evidente-

mente Leonida. Converr quindi supporre che egli, uomo


colto, abbia innestato nella sua imitazione da Leonida
un particolare ricavato da un altro carme, per lui classico
tutti sanno che egli non fu se non un mosaicista.
:

Orazio fonde qui secondo verisimiglianza, lo ripetiamo,


due epigrammi ellenistici.
Ma qui, dove imita epigrammi, egli pi che mai
lirico e originale. Quanto sia nuova nelle variazioni scherzose di un solo motivo la seconda parte, abbiamo veduto
dianzi: la prima somiglia anche in particolari dove pi
all'uno e dove pi all'altro degli epigrammi in tal guisa
che si direbbe che egli abbia avuto sott'occhio anche
componimenti perduti. Ma egli ha saputo imprimere alla
materia vecchia il suggello di uno stile nuovo, nobile e
tutto suo. I primi versi somigliano, pi che ad altri epigrammi, a quello di un poetucolo anteriore di una generazione, Thyillo, l'amico di Cicerone,

vento primaverile, che


ma
che differenza tra
nelle vele;

accenna
ol\iix

al

xoXTcoOxai [AaXax?

le

5.

Anche Thyillo

scava quasi un seno


molli parole

O-va^ Z-fupog e

il

f/5rj

v*

solenne iam

quae mare temperante impellunt animae lintea

veris comites,

Thraciae.

v.c,

si

Le

dette

aure,

animae con parola in questo

senso propria solo del linguaggio antico o della poesia pi

elevata

(1),

sono qui inalzate a dignit di persona, e di

compagne della primavera,


modo di concepire caro
oraziana; che ognuno leggendo ricorda rabiem

persona quasi divina: sono


le

signore del mare

alla lirica

(1

Cfr.

le

questo

passi, raccolti nel Thesaurus, di Accio,

crezio, Virgilio.

Varrone, Lu-


Noti, quo
freta
(III

(I

335

non arhiter Hadriae maior,


8,

dux

Aiister

4) e

tollere seii

ponere

Thraciae che, attribuito per lo pi a Borea,

3, 15). Il

qui detto dello Zefiro, costringendoci a sostare


e a riflettere, finche ricordiamo

mento

volt

Hadriae

turhidus

inquieti

la patria di tutti

che

la

un mo-

Tracia

venti, c'impedisce di trasvolare troppo

rapidamente sulla strofa anche questa quasi oscurit voluta accorgimento di lirica alta. Dei fiumi che non pi
rumoreggiano gonfi di neve invernale, non menzione
negli epigrammi. Del mito della rondine non v' pi che
un cenno negli epigrammi Satyro (X 6) scrive KsxpoTi'xsc 5' Y;/jat e nulla pi; un poetino contemporaneo di
Orazio, Marco Argentario (1), fa intendere dottamente che
conosce la leggenda chiamando balbo labbra il becco
:

amante

della rondine ed essa

talamo,

r^Syj

xap-^''xy]v

TcrjXooo[it

xal

B-XaiJLov

quanto Orazio, nidiim


avis

et

Cecropiae, domiis

baras regum

est

Pan

suo

nido
ye^Xea'.

fa

umana

la

gemens, infelix

aeternwn opprobium, qiiod male har-

del ^ouxoXtafis (2) arcadico,

il

-y^sXiStov

nessuno

Iti/n flebiliter

La

ulta libidines.

negli epigrammi,

tpauXcIat

ma

ponit

prole e

della

'^cXisxvoc

terza strofa,

pur

non avendo
gusto

concepita nel

dell'

che parla
riscontro

ellenismo

non solo dei poeti bucolici


ma degli epigrammatisti dal HI sec. in gi. Il suo paese,
l'Arcadia, pur non cantata da Teocrito, la terra clastardo.

il

dio preferito

sica della semplice

per Virgilio
quegli, che

e,

vita

pastorale e del canto bucolico

prima che per

lui,

per Erycio e Glauco

visse sino al principio dell'et

augustea, co-

mincia un epigramma (A P VI 96) FXajxwv xal Kopjocov


iJouxoXoviec. Wpxoec jjt-fxspot. attinge cio a
oi v oupeac
:

(1)

Intorno al

(2)

Del PovxoXcao|x$,

tonipi) cfr.

ma

Rkitzknstein,

I'.

IF.

Il

712.

senza accenni all'Arcadia, parla, come

abbiamo veduto, anche una strofa

di

III

2S>.

:3:}6

quello stesso esametro al quale

Ecloghe per
cantare

et

che visse

suo ambo

il

pares

et

si

ispirato Virgilio nelle

Arcades ambo,

fiorentes aetatibus,

respondere parati (1) (VII

4).

Glauco,

primo secolo avanti


Dafni, l' archegeta del

al pi tardi in principio del

Cristo, finge
PouxoXcaa[ji(;,

(A P IX 341) che
incidendo lettere su

dia al suo amatore

pone cio che

corteccie

un appuntamento

in

d' alberi (2),

Arcadia, sup-

sappiano arcade Dafni (3j.


quanto al motivo a una concezione che dell'ellenismo tardo, quanto allo stile in
perfetta armonia colla precedente
come col la rondine
non viene menzionata col suo vero nome, cos qui Pan
indicato con una circonlocuzione dicunt in tenero gramine pinguium custodes ovium carmina fistula delectantque

La

suoi lettori

strofe di Orazio, ispirata

deum

cui pecus et nigri colles Arcadiae placent

per selvosi, pare a

Le due odi I
num (4) sono di

me

audacia

17 velox
tipo

un'amica a visitare

il

amoenum

IV

diverso

villa,

scrizione delle gioie campestri,

neri colli,

felice.

alquanto

poeta in

ma

11
;

est

esse

mihi no-

esortano

allettandola colla de-

qui

invito al convito

l'

(1) difficile che Virgilio traduca in un carme bucolico il verso


un epigrammatico mediocre, e del resto quell' epigramma non
intelligibile se non per chi conosca per fama arcadi Glauco e Corydon,

di

che

nell' idillio

quarto di Teocrito era dell'Italia meridionale. Proba-

bilmente la fonte comune sar stata un

idillio

esametrico, del genere

di quelli che sono conservati nell' Apjjendix Bneolicorum

In ci il Dafni di Glauco imita l'Acontio callimacheo.


Per queste relazioni tra Virgilio e autori precedenti quanto
all'Arcadia confronta Reitzenstein, Ep. u. Skol. 243 sgg. I due passi
citati mi paiono i soli che provin qualcosa gli epigrammi di Erycio
Diodoro Zona, che
e Glauco appartengono alla corona di Meleagro
v. Knaack in
tior al tempo di Mitridate, ne mette in burla uno
(2)

(3)

SusEMiHL, Alex. Ut. II 497.


(4) Di un altro carme, nel quale Orazio mette

grammi

ellenistici,

si

forse a profitto epi-

ragiona nella seconda parte di questo capitolo.

337

IV

insieme richiesta di amore, aperta in

appena

in I 17.

Nulla trattiene pi Pillide

innamorato

Telefo

si

amore

di Orazio. Nella villetta

a temere

l'

un' altra

di

11, dissimulata
in citt,

essa

sar

1'

dacch
ultimo

sabina Tindarb non avr

ira del geloso Ciro.

campagna non sorprende ne un poeta ellenistico ne uno romano il desiderio angoscioso di tuffarsi nella natura divien pi forte
man mano che 1' uomo civile si strania dai campi per
Il

sospiro del cittadino verso la

chiudersi in citt

senso

il

il

natura

della

pari passo con l'urbanesimo.

Diceopoli degli Acarnesi,

contadini

il

di

Trigeo della Pace deside-

rano la campagna per satollarsi

Ma

vergine va

aristofaneschi,

frutta fresca, per go-

di

uomini del terzo secolo,


si rifugiano in seno
alla natura come noi moderni. Callimaco, che visse in
Egitto, regione anche allora povera di alberi, finge che
Acontio, malato di amore, erri per le selve e incida nella
dersi la schiava

quando son

tracia.

gli

travagliati da angosce,

corteccia degli alberi

il

nome

dell'amata

(fr.

101). Nella

sveglia mattutina degli uccelli, che era nell'Hecale, un

rugiadoso descrive l'alba rumorosa della citt


bene solo ad
si attagliano

vicino

grande, con particolari che

Alessandria

Non sono

che gi ardono
esce

come

lampade mattutine

rischiarandosi

casa

di

le

pi in caccia

giudici delle

Vespe

il

le

qua

dei ladri,

cio la gente gi

cammino

gi

mani

colla lucerna,

e l intona la sua

canzone tale che trae su l'acqua dalla cisterna , come


l'asse, scricsi fa ancora dai campagnuoli di Egitto
ha
la sua stanza
chiolando sotto il carro, sveglia chi
;

sulla strada;
gli
il

orecchi

dotto

fal)bri

(1).

schiavi dentro la bottega assordano

Qui parla non un uccello montano,

nato e cresciuto

ai

confini

del

mondo

ma

civile,

<lts Kr:lter:i>gn
(1) 11 testo rreco in Mitlvil. iiux di-r r<ipiiri(><>i((muiluii(i

liainer

VI
22

18!I3, p.

12 dcll'eatratto.

338

sulla soglia del deserto, nella lontana Cirene, e costretto

ora a soggiornare nella grande Alessandria, parla e sfoga


il

Che

disgusto del ciottolato rintronante.

bucolica se non un aprire


cittadini

Ma
l'et

via,

all'

le

finestre

altro la poesia

dei

odore dei prati e dei greggi

Romani

salotti

tropj)0

degli ultimi tempi repubblicani

del-

augustea non sentivano meno il desiderio di fuggir


appena potevano, dalle mura infocate. I ricchi e
i

potenti edificano ville sui colli laziali e sabini; riducono

il

fanno

cortile delle loro case di citt a giardino alberato,

dipingere sulle pareti delle loro stanze vedute campestri,

per godere della

campagna almeno

sono trattenuti in

Roma

l'

illusione,

dalle faccende

(1).

Come

quando
Orazio

campagnuola, ci mostrano, ancor


meglio che le Odi, le Epistole, dove meno poteva su lui
la tradizione letteraria, dove egli con meno ritegno si lasciava andare a esporre i suoi sentimenti sinceri si ripensi solo a I 14 vilice silvarum et mi hi me reddentis agelli
e a I 16 ne perconteris. Nella prima delle Odi, dove ci
descrive colui che gode tranquillamente la vita, alieno
dall' affaccendarsi soverchio, ce lo mostra mine viridi
membra sub arbiito stratus, mine ad aqiiae lene caput sacrae,
cos come una generazione prima Lucrezio aveva cantato
stesso sentisse la vita

felice

il

savio che

(II 29),

disteso sulla molle erba presso

un ruscello al rezzo di un albero alto nella stagione


prati verdi, non
quando la primavera cosparge di fiori
i

chiede altro alla vita.

Il

senso di ci che bello nella

natura era dunque rimasto invariato, cio

idillico.

Ne

si

pensi che Orazio nelle Odi riproduca un ideale letterario


dei

tempi passati: scrivendo

(1)

Cfr.

Friedlander,

al

fattore, egli

Sittengeschichte

IP

compendia

il

199, che raccoglie an-

che testimonianze di questo senso della natura non artefatta.

339

suo tenore di vita nelle parole


prope rivom somnus

et

(T

14, 35)

cena brevis iuvat

herba.

in

L'anelito verso la natura idilliaca, che

non
comporlo
odi,

ci
si

ispir a carmi

ciet di pouxXo:

Teocrito e la so-

ellenistici.

appartiene, celebrano

cui

come mostrano

in villa,

anima quelle

porge un criterio per stabilire se Orazio nel

le

Talisie

le

loro

feste

come voleva

il

nome.

loro
Il

(Ath.

campagna

convito semplice in

gramma

cantato in

del terzo secolo, in quello

XV

673

b);

ma

in

Niceneto

di

un epiSamio

questo componimento, che Orazio

conobbe, poich ne trasse profitto, come vedremo, per

il

congedo del primo libro, manca ci che caratteristico


dei due carmi oraziani, l' invito alla donna, manca ogni
accenno all'amore. Pure io credo di poter asserire che
in I 17 Orazio si ispirato a un carme ellenistico, credo
di poterlo indurre con sicurezza dalla strofe ultiina.
L'amatore si chiama Cyrus, qui come in I 33; qui egli
geloso e manesco, col schiva l'amore della bella Lycoride, per correr dietro all'aspra Pholoe, che non vuol saperne di lui perch brutto. Nessun greco di condizione
libera si chiam Kupog prima dell' et bizantina. Eppure
il

nome

ricorre nella

[xo'jaz

Tracr/.r^

di

Stratone, in

tone stesso (XII 206), che dell'et adrianea, in

Tarso (XII

di

28), in

Frontone (XII

Stra-

Numenio

poco importa se

174),

per l'amatore o per l'amato. Io ne induco che esso era


poesia erotica alessandrina e che a

adoprato

in

Orazio

ispir in

s'

17.

Quanto a IV

11

il

nome

questa

di

Telefo

anch' esso attinto a poesia ellenistica, poich compare

nome di amato pure nella [xoOaa


gramma di un ignoto XII 88. Il carme
qual

tipo di 117, tranne


fici

che elementi, a

prevalgono: Telefo

Lydia suscita

la

il

Tiatxr',,

nell' epi-

presenta

lo stesso

dir cos, autobiogra-

giovinetto, lodando

gelosia del poeta

(l

il

quale

13), lo stosso del

cui


amore brucia Rhodo (IH

340

19); ora

fanciulla ricca. Fillide sar l'ultima

celebra oggi

il

con garbo un carme


mente,

meglio che

dovr esser

canto

in

lei

17:

il

ma

ma

dal

ripromette se non conforto

si

annebbia

che

alla tristezza,

campagna: ben

visitarlo in

di

riu-

senso che quest'amore

delusa ne' suoi amori;

poeta non

il

anche qui

colora

mirabilmente nella chiusa.

l'ultimo, espresso

che anch'essa

di

poeta inserisce

Il

motivi tradizionali. Anzi vi

Orazio chiede alla donna


lo pu,

una

amori, quale, sia pur frammentaria-

della sua personalit


scito qui

di

Orazio, che

di

tipo ellenistico nella storia certo

di

delinea nel canzoniere;

si

amata

Mecenate.

natalizio di

fantastica dei suoi

innamorato

h.

tramonto della sua vita:

il

minuentur atrae Carmine curae.

Non

indizio che il carme a cui Orazio


un epigramma: probabilmente qui, come
nel resto della sua poesia di amore, egli ebbe presenti e

alcun

v'

s'ispir, fosse

continu

]xiXri

ellenistici.

10.

Nel

congedo

del

primo

libro delle

Odi Orazio

rappresentato seduto sotto la pergola, coronato


il

poeta

lirico

ha voluto che

sero bevente insieme

posteri se lo

pensoso

di

solo

conviti

Molti carmi oraziani figurano

si

fa

all'amore.

recitati

(I

nel

il

si

asserisce

di

amore.

di

poeta chiede

27) che confessi

il

11),

^ quis

devium

scortum

elicief

ma

amore,
?i\-

suo amore.

L' invito a bere, rivolto da Orazio a Quinto Hirpino


finisce

di celebrar

convito

discorre

si

Durante un simposio

VOpuntiae frater Megillae

amore. Nell'ode ad

combattimenti

convito prendono parte etre,

al

si

mirto

immaginas-

Agrippa (I 6), lasciando a Vario il compito


degnamente in versi epici le gesta degli eroi,
nato a cantar

di

domo

(II

Lyden?


Venga

ne

celebra

con

allieti

ritorno dalla

il

dianzi morto (III 14),

ordinare per

di

si

cetra

la

Spagna

Cos

il

carme che

Augusto, creduto pur

di

chiude con

non

banchetto

il

341

comando

il

servo

al

vino, unguento,

solo

ma

anche una donna, Neera. Orazio, festeggiando


il
bere a prova con Lyde (III 28).
Nel banchetto per il ritorno di Basso (I 36) questi beve
a gara con Damalis, in cui tutti fissano molli sguardi.
Le amate di Orazio temono le gelosie degli amanti
ubriachi Tyndari ha paura di Ciro, che non esso, mentre Libero combatte con Marte, le metta le mani addosso
e le strappi corona e abito (I 17). A Lydia le immodkae
corone,

Neptimalia, canta tra

mero rixae hanno

segni

lasciato

spalle (I 13).

sulle

ma

lista potrebbe allungarsi a piacere,

gli

La

esempi recati

bastano a giustificare che canti simposiaci e canti amorosi siano qui trattati insieme.

Quest' unione

oraziana
ranei

ma

anche

convito

del

rispecchia
la

dell'

amore

nella lirica

costumi contempogreca
classica, quale era
vita dell'era

non soltanto

come osserva Ateneo

eternata nella melica. Per Alceo,

sua asserzione con meno


passi che non avrebbe potuto, giacche altri ne possiamo
aggiungere noi moderni, ridotti a giovarci di scarsi frammenti -, per Alceo ogni stagione e ogni circostanza della

(X 430

a)

che pur documenta

la

a dire gran parte della


anche per lui il simposio
non aveva allettamenti, se non vi partecipava 1' amato
Mvwva xiXsaaa'.. ai y^pyj j'j|L7ioa.'ac
"/,AO|Jia: xiva xv /ap.'svTa
vita era

sua

buona per

lirica

bere, vale

Ma

era simpotica.

7i

rjyxQ'.^ [xoc -(t^(hrf\)-oi.i

geva

congiunti dalla

Liberum

et

carmi

lira eolica:

46).

Orazio,

come congiun-

et

Li/cum

scritti

nlf/ris

per

il

li

sapeva

Alceo, scrive egli stesso

Musas Veneremque

nim canehat
l

(fr.

sua poesia convito e amore, cosi

nella

et

illi

ociilis

(l

semper haerentem

32),
pie-

nigrnque crine decorum.

convito vissero per secoli

nel

342

cos, con Alceo, Anacreonte: Cantami uno


Alceo o di Anacreonte, dice un commensale nei
AatxaXe; di Aristofane (fr.223), mostra cio che alla poesia
di quegli antichi si dava lo stesso nome, scolio, che ai
canti conviviali dei moderni. Crizia (Ath, Xlll 600 d)
chiama Anacreonte eccitamento dei simposi, traviamento
delle femmine, predice che l'affetto per lui ne invecchier
n morr, finch siano al mondo banchetti e in voga il

convito:
scolio di

gioco del cottabo. Per vero, in Atene norj si cantavano


nei simposi soltanto versi d'amore, ma al tempo di Aristofane e di Eupoli
classico,

ogni

che in origine

era stato corale,

Stesicoro, Pindaro o Simonide


in quell'et

bere, o

sapevano

pi

inventando

di

recitava un carme

convitato

(1).

di

Alcmane

semplici scoli, che

ancora improvvisare tra

sana pianta o rimutando versi

il

noti,

accompagnandosi con la lira o facendosi accompagnare


non erano generalmente di argomento erotico,
ma piuttosto gnomici e politici se almeno possiamo
fidarci della raccolta attica conservata da Ateneo (XV 694
e sgg.), che risale per agli anni immediatamente sucdal flauto,

cessivi alle guerre

persiane,

e credere

che

l'

indole di

mutata in un cinquantennio. Ma carmi erotici prevalsero sempre pi


Aristofane {Equ. 1287) al malvagio Ariphrades d colpa, oltre
che di pervertimenti sessuali d'ogni sorta, di aver composto noXu[jLvr,axta ^oXx>]i.vipxzi7. cantava non si sa bene
chi in Gratino (fr. 305). Se l'antico Polymnesto di Coloqueste improvvisazioni non

si

fosse

fone, cui gi Pindaro (fr. J88) conobbe, abbia scritto davvero cantilene lascive, non sappiamo bene, ma i TIoX-jijlv^^oieca di Ariphrades, forse

chiamati cosi solo perch composti

nei molli ritmi ionici familiari a quel poeta, erano osceni.

(1)

passi dei comici che

comprovauo quest'uso, sono

dal Reitzfa'stein, Ep. nnd SkoL, 30 sgg.

raccolti

Dunque

343

tempo di Aristofane era in voga poesia lasciva moderna; dove la si sar cantata se non nel convito?
In questo tempo divien di moda recitare a tavola ^/.asi?,
al

troviamo

tirate tragiche, quali

metriche

vano luoghi

che

carme

lirico di

qualche tratto
Euripide, dove

un

avessero

Fidippide delle Nubi

sovente nelle parti

di

ma

specie di Euripide,

anche qui

forte sapore erotico

il

1353 sgg.) ricusa di cantare un

(v.

Simonide,

ribella all' imposizione di dire

si

Eschilo, e recita una

di

tri-

predilige-

si

^fp'.<;

dell'Eolo di

trattava di un congiungimento carnale

si

tra fratello e sorella.

Questa

naturalmente esagerazione

comica, ma, per esser gustata come tale, dov pur avere
un fondo di verit. Ogni genere di letteratura erotica,
non soltanto la melica, in stretta relazione col convito.
Non a caso Platone sceglie un simposio quale scena di
ragionamenti d' amore, e non a caso i vari personaggi
prendon la parola V un dopo 1' altro, non in un ordine

ma

prestabilito,
i

secondo ciascuno

sente ispirato,

si

partecipanti a un simposio in cui

chiedono

Anche

coppa,

la

nel convito,

comune, durante

in tanti

quarto

ma

della vita

d' arte

gli

versi.

si

so-

argomenti

medesimi. Epicuro, forse per influsso plato-

(Plut. quaest. conv. Ili 6,

653 b

sonaggi dell'austero Plutarco

disdegnano

commedia

loro

altri uffici

secolo la prosa

nico, trattava proprio nel suo

non

come

improvvisi poesia,

appena hanno pronti

come

qualche modo alla poesia,

stituisce in

rimangono

il

si

di

nuova,

farsi

Simposio questioni sessuali


sgg.).

recitare

perch,

Anche

{quaest. cono.

com'

a
egli

severi per-

VII

8,

712

e)

mensa passi della


ingenuamente si

esprime, l'elemento erotico contenuto in essa in misura conveniente a uomini che hanno bevuto e che tra

poco riposeranno

a fianco delle

loro

mogli

e,

come

spiega subito dopo, senza che occorrano turpitudini


sgustose.

Tanto potere esercitava anche

di-

sui filosofi la tra-

:44

dizione della letteratura conviviale

non che non collaumana, quale

borasse efficacemente con essa la natura


si

rivela, eccitata dal

vino.

Per stabilire qual forma di poesia ellenistica la lirica,


oraziana continui, bisogner determinare quando scom-

parve l'uso

di

cantare o recitare carmi melici durante

il

convito, e forse conviene addirittura chiederci se questa

consuetudine spar mai del tutto, come pure sembra am-

messo generalmente. Certo, gi ai tempi di Aristofane,


pi osservavano ancora la costumanza antica
mentre
di cantare nel simposio, dando solo la preferenza chi
i

air

e chi all'altro genere, chi a carmi dei lirici clas-

uno

commedie moderne,

e chi a cori di tragedie e

sici

vani alla

moda non volevano

genere, e preferivano

tragiche, che

^'Ifssic,

senza accompagnamento musicale.


nato

giovani

dei

guerra peloponnesiaca,
sonar la cetra e

quali

eleganti,

Il

si

gio-

erano

il

pi

raffi-

nell' et

della

antiquato

mo'

bere, a

in

declamavano

modello

Fidippide, giudica

cantar tra

il

pi saperne della lirica

di

il

femmina

generi recitache macini l'orzo. Da quel tempo in poi


per Teofrasto (Char. 27)
tivi prendono sempre pi voga
appartiene alle debolezze dell' b'k\i.o(.d-f,c, non gi il comporre e mandare a memoria in tarda et carmi lirici per
i

il

convito,

mente

ma

^rpz'.c,

ellenistica

il

per

mettersi

Dunque

convito.

il

l'educazione

sessant'anni

sociale

studiare a

in principio dell'era

esigeva

dai

giovani di

buona famiglia non pi che sapessero cantare

ma

che

simposi

dei

filo-

avessero in pronto poesia recitativa.


sofi,

Platone e Senofonte, mostrano che gi nella prima

IV

met

del

sioni,

prendevano

secolo trattenimenti in prosa, libere discusil

posto dei canti conviviali nei ban-

chetti di persone che ora

Non

pare che

le ragioni di

dotti

si

si

direbbero intellettuali.

siano dati cura

di

indagare

questo mutamento di consuetudini. Io credo


che
I

la principale

sia

345

accompagnare
pi

il

canto

secolo

di lirica classica,

gusto raffinato dei moderni

il

della musica.

grande sviluppo

il

semplici accordi, con cui nel quinto

cori di

soleva

si

non appagavano
Euripide e

anche di Aristofane, a esser gustati, richiedevano magmusicale

giore accuratezza e perizia di esecuzione

non

quelli di Eschilo e la Awpol a^jxo-soiXs

sTiaXfAwv uixvwv di Gratino. Scrivere liriche per

che

il

Txtovec

il

convito

non era pi da tutti d' improvvisarne non si poteva pi


esigere da nessuno. Anche altre ragioni avranno avuto
;

il

loro peso

nerali, COSI

l'amore per la discussione di argomenti ge-

IV

vivo nell'Atene del

secolo,

non

lasciare sfuggire quell'occasione, nella quale ci

si

si

poteva

trovava

insieme senza limiti prestabiliti di tempo e con l'animo


sciolto

da cure

come da

l'et rifuggiva,
tica.
si

Anche

in

spirito

lo

altri

libero

della societ di quel-

ceppi, da

ogni

compiti durante

il

tradizione

IV

an-

secolo la prosa

sostitu alla poesia.

Al principio dell'era alessandrina mercenari del Soter,


come mostra un papiro recentemente scoperto [Berliner
Klassikertexte V 2, 56 sgg.), usavano a mensa raccolte
di scolii.
lirica

Lo

stile

quello

ridondante

oscuro

della

musicale del IV secolo; se l'argomento dei brevi

carmi non fosse indicato nel manoscritto stesso, noi non

sapremmo sempre dire qual fosse cos non indovineremmo il nome della dea speciale protettrice di questi
:

antichi lanzichenecchT, Ku'^wpax''?, la pulchra Laverna ro-

mana. Quantunque

l'oscurit della

forma possa

in parte

dipendere dall'abitudine di proporre a tavola indovinelli,

da Clearco (Atheii. X 457 d), lo stile arieggia


quello dei Persiani di Timoteo
e la metrica conferma
ci che lo stile mostra, che questi canti furono composti
non durante il regno del Soter, ma in un periodo molto

attestata

anteriore del

IV

secolo: a gente di condizione e cultura


bassa

la

moda giunge

modo che dopo

la

:/!()

in ritardo.

met

del

IV

papiro prova a ogni

11

secolo,

tudine di cantare a tavola carmi

quando

anzi secondo taluni sarebbe stata morta del tutto,

tava ancora a comporre poesia

almeno

si

terzo secolo dopo Cristo.

Pap.

15

p.

38)

ci

per

il

si

segui-

simposio.

non si
recitavano ancora nel secondo o

nell'Egitto stesso carmi

cantavano,

lirica

consue-

la

era in decadenza,

lirici

Un

conviviali, se

lirici

papiro

ha conservato

di

fini

quell'et (Oxi/r.

e principii di versi

che potevano appartenere soltanto a scolii: esametri zoppi,


il cui ultimo piede cio era non uno spondeo ma un giambo,
un metro cio recitativo. Un altro papiro all' incirca con-

temporaneo (Oxyr. Pap. Ili 425 p. 72) prova che neppur


r uso d' improvvisare era del tutto scomparso, ancorch
forse non si cantasse pi ma si recitasse
leggiamo due
:

ma

versi assai liberi nel ritmo

di

andamento evidente-

mente ionico, con invocazioni sonanti ai navigatori del


mare e ai Niliaci: segue dite su, amici, il contrasto tra
il Nilo e il mare . Chi parla, passa il bicchiere e la parola a un altro convitato (1). Dobbiamo supporre che la
lirica conviviale risorgesse in Egitto a nuova vita ? o
forse che spenta altrove durante l'et ellenistica vivac-

chiasse col fra le classi inferiori

? (2).

Polibio (IV 20, 8 sgg.) celebra quale nobilissima sin-

(1) I versi
V.O.

sono

vaxoci pi)9'OnuiJLaxo5p|j,oi

NstXw-cai, YX'Jxu5p[Jioi. T

ysXwva nJ.sovxsg

CutiNERT

e'inaxe, cpiX&i, KsXyo'JS

xal NctXou.

442) ha inteso per

primo l'ultimo verso.

il

Il

Xiwv

Tpixcovsg

'J5xxa,

(Rheiti.

xyjv

Mus.,

Ssctcdv

a -Y'^piaiv

LXIX

1909,

(2) Plutarco {quaest. conv. I 1, p. 615a sgg.) accenna agli scoli


come a uso passato, come fanno vedere gli imperfetti il Reitzeustein (p. 42') interpreta male. Quanto ai convitati di Ateneo, che
cantano ciascuno uno scolio della raccolta attica, sarebbe assurdo
voler ricavare il costume del temiio da ci che un erudito pedante:

sco fa fare ai suoi personaggi professorali.

347

golarit dei suoi corregionali arcadi la cura che essi an-

cora

suo tempo dedicavano

al

secondo

lui essi soli fra tutti

educazione musicale

all'

Greci, piuttosto che spas-

con iTcei'aaxxa xpojjia-a (1), s' invitavano


reciprocamente a cantare, e chi avesse ricusato, avrebbe
fatto pessima figura. Gli Arcadi del tempo di Polibio
erano in ritardo sulle altre schiatte greche quanto a rafsarsi a tavola

come egli stesso ci narra, erano


ancora in voga tra loro cori di Pilosseno e Timocreonte;
ancora essi imparavano canzoni di marcia, [j.,^aTY,p'.a, come

finatezza di cultura:

gli

Spartani antichi. Pure

di

cantar

meno

lirica tra

il

ci

si

pu chiedere

tendenzioso quando

singolare che Polibio, spesso

Che cosa Polibio intenda con queste parole,

(1)

se quest'uso

bere non fosse anche in quell' et

si

vede bene

dalle Questioni Conviviali di Plutarco, specie dal cap. VII 8, intitolato zia: jjiaXtaxa xp^^xov xpoatiaa;

commensali, divenuti pi comodi,

uap

si

SeItcvov

nelF et romana

fanno recitare

rappresentare

Pluta;rco enuroba di ogni gusto da schiavi o da liberi assoldati


mera mimi, danze, squarci di tragedie e commedie, perfino, innovazione recente e non lodevole, rappresentazioni di dialoghi platonici
Uno dei personaggi, Filippo, non solo approva esecuzioni musif-ali
di lira e tlauto, ma consiglia anche cauto di lirica accompagnato da
questi strumenti ip. 713 b sgg.). Purtroppo per non si capisce bene
se egli voglia introdurre una novit o approvi quello che era gi
costume del tempo, se abbia in mente poesia antica o moderna. Poche
:

pagine prima (711 d)


si

lo stosso

personaggio aveva esposto che taluno

faceva leggere a tavola Satb e Anacreonte. Gelilo (XIX 19,

stra che nell'et degli Antonini questa consuetudine era diffusa


ciulli e fanciulle,

introdotti

'Avaxpsvxeia pleraque
'Avaxpsvxsta sono

le

et

durante

il

convito,

libio

La

mo-

fan-

appunto

Sapphiva^ oltre a distici di poeti recenti

Anacreontiche spurie. Peccato che non

sapere se anche l'et ellenistica prediligesse


poeti!

cantano

4)

casa di Trimalcione era piena di

nel

si

le

possa

convito questi dm-

nei'zoi.y.za.

xpoaiiaxa

Po-

mostra che questo lusso non era ignoto all'et alessandrina. Lo

schiaA^o

oraziano dell'epistola

(nlcc hiboiti.

Floro

(II

2,9) canel iiidoctum

ix'il


vanta

sua patria, non

la

pochissima

la

lirica

un carme melico
il

simposio.

cpi'P.e

e|ji[jivac.

rimasta

ellenistica

ci

conservato

Teocrito, che figura recitato durante

xa XOsa.

comincia

aoX'.xx

y.aiiiJie

[isf^jovTa:

ypy,

sto

seguita rimproverando all'amato la sua capricpresto

l'amatore affronterebbe ora qualsiasi cimento pur


quistar

o:voc.

/.a^-ac;

ammonendolo che giovinezza passa

ciosit

voglia dare a intendere. Tra

ci

primo dei Tlaix

Il

XYcta'.

TiaT.

di

348

lui,

non

di

con-

cos tra qualche anno. Chi canta a que-

modo, parla o

parlare nel convito; questa

fa fnta di

poesia erotica e simposiaca.

Il

dialetto qui,

secondo dei Hawr/. e nella Conocchia,

il

come

nel

lesbico; lesbico

metro, pentametri eolici acatalettici (1) il carme comincia con una reminiscenza di Alceo. Dobbiamo perci

il

dire che esso

come

tale,

sia

unico

tutto

imitazione

di

poesia antica,

e,

anzich raro nella letteratura alessan-

drina? Ma in questa lirica di Teocrito osserviamo appunto quello stesso contrasto tra principio e seguito, tra
spunto e svolgimento, che il primo capitolo del presente
libro ha constatato in una serie di carmi oraziani. Teocrito cita in principio Alceo,

ma

diparte subito da

si

tutto quel che segue, alessandrino e moderno.

il

lui

Moderno

giovinetto viziato, che occhieggia oggi a un amante,

domani a un

altro,

posdomani a un

terzo,

moderno l'ama-

tormenta sino ad amareggiarsi la vita. Il riche ben presto punir l'orgoglio, si


vecchiaia,
della
cordo

tore che

(1)

si

L' imitazione dei ritmi lesbii in Teocrito pi perfetta

tit libera,

spondei

clie

numero delle sillabe fisso a un piede bisillabo di quana una base tengon dietro quattro dattili non sostituibili da

in Orazio. Il

l'ultima sillaba indifferente. Cos

grandi asclepiadei degli

due carmi lirici hanno libere le due prime sillabe e non sono
legati da censure fisse. Orazio, perch dipende da un sistema metrico,
altri

pi rigido e quindi

meno

fedele.

ritrova tal quale in


in odi di Orazio.

meno

349

epigrammi

Alceo

posteriori e

ellenistici e

dovette essere

pi

sensuale e

sentimentale.

Io credo

che quest'ode fosse destinata a essere

reci-

simposio: composta non strofcamente,


tata durante
ma stichicamente, non richiedeva accompagnamento musicale, n quindi valevan per essa quelle ragioni che
nocquero nel IV secolo alla voga della lirica conviviale.
il

La

metrica alessandrina, perch sciolta della musica,

presta alla recitazione quanto

il

al

si

tirate tragiche.

le

primo dei Ilaor/. non si saprebbe disgiungere


secondo, quantunque qui manchi ogni accenno diretto
simposio. Ma anch'esso scritto in dialetto e metro
dal

composto

lesbio,

amore.

Il

fanciullo protervo

vergognoso,

suo cuore.

il

insorgere contro

qui minore,

se

Anche questa

non

invano

di

lo tor-

egli rimprovera,

cuore gH risponde che inu-

Il

giogo

il

sventure

duole del desiderio che

si

menta per un
tile

lamenta

stichicamente,

poeta vecchio

di

Amore. La sensualit

della sentimentalit, della passione.

moderna.

poesia

un epigramma conservato da Ateneo (IV


flautista Theone sapeva bene acil
compagnare rXaxYjc [Ji[j.9"ja[jiva 7ia:YV'.a Mo'jawv anche
il
Corydone teocriteo (IV 31) canta carmi di lei sulla
zampogna. Le liriche di questa poetessa, che gli scolii a

Hedylo

in

176 ed) ricorda che

Teocrito mostrano essere stata anzi tutto citareda, furono

dunque
fa

in

grande voga nel

vedere che ella scrisse

le storielle

fu in

poesie

(li

fama

111

di

secolo.

castit.

fossero

lascive

passo di Hedylo
;

mostrano che non


E assai verisimile che anche le
Teocrito cita insieme con lei

che correvano su essa


di

Il

simposi, cio per simposi

Kaopoltf dal Siskmiiii,, Alex.

lAt.

(1)

II.

."CI.

:J50

Pyrrhes Milesio, scrittore di versi, com' noto, osceni


non saranno stati continenti.
I pochi frammenti superstiti delle poesie meliche del
;

e carmi ubriachi

poeta

celebre

pi

alessandrino,

presentano

Callimaco,

Carmi epico-lirici sono stati ricordati di sopra


il Branche (fr. 36),
in pentametri coriambici, par fosse un inno, nel quale, per, la
narrazione
doveva avere gran parte, sicch si riallaccia con questa
aspetti

svariatissimi.
;

Ma la raccolta dei \xiXq conteneva anche un canto sul vino, dunque simposiaco, in

stessa epica in versi melici.

tetrametri trocaici
^ac cK

o^/Y]pyj>:

obrxvd-qc.

aywv

(fr.

115): ip/exac

AJyatov

conteneva un propemptico

(1);

'.'y-|xv

KoXhc, 3 Ati'^'.t]; toxov vxTap

[X'^op'JC.

X-'o'j

-nolbc, jxv

in

asclepia

l'enfasi

dei maggiori, che, a giudicare dalle imitazioni

si
direbbe composto piuttosto per
non prova nulla
un' amata o meglio per un amato, che non per un
amico (fr. 114): a V7.% a x [xvov cpyYoc sjJtlv x y^uxO x;
Co; apTia^ac rcoxl x Zavc fxvoOjiat XtixevoaxTWo
conteneva
una poesietta m ferecratei su amori leggeri (fr. 118): -ai;
;

:?;

fj

xaxxXstaxoc. x

Icov Xd-pM (2).

,',v

di cpaac

Anche

xszvxe; eOvaiou; ap:a[AO'j; v/d-eiv

questi

come

melici, ripetuti xax ov.yov,


crito,

(1)

sono

figli

della

carmi,

Musa

composti

Ilatr/w a:oXcx di

Attribuisco senza scrupoli

il

frammento
il

ai \iXr\,

tetrametro

recitativo anche svolgendo motivi simili a questo


la poesia

versi

Teo-

simpotico-erotica.

sappia che gli antichi comici adopravano

tura ellenistica

in

melica, tranne

ma

g' inni del

per quanto
quale

verso

nella letteraculto, desti-

nata alla recitazione e alla lettura.


(2)

Checch ne dica l'editore, non seguiva certo un elogio della


i genitori, che la tenevano sotto chiave, as-

pudicizia della fanciulla

serivano che odiasse l'amore

pii

dine artificioso delle parole

(xr,v

alcune di esse (sv^oi


siero.

apioiioi)

della morte, mentre invece.... L'oroi cpaai

xexvxes)

la preziosit

di

contrastano con la volgarit del pen-

351

non

In quest'et l'epigramma, ogni qual volta

teggia a iscrizione sepolcrale o votiva,

d'amore

potico-erotica, tratta

nel convito.

Ma

se

si

indole

at-

sim-

d a credere recitato

si

eccettui Leonida Tarentino, dalla

si

V fino

seconda met del

d'

non si trova
scrittore celebre di epigrammi che non fosse a un tempo
famoso quale poeta melico. Myro di Bisanzio, madre di
Omero tragico, era, come informa Suida, poetessa, oltre
a tutto

III secolo,

il

che epica, di Xeyeta, cio distici, e di [xXrj di essa possediamo ancora due epigrammi. Anyte di Tegea per
:

Stefano

Bisanzio

di

non restano

latina stessa, che ce

volte

il

erano pi celebri dei

ha

li

una

[JLsXoTiot?,

Teysa) una

v.

(s.

che epigrammi;

di lei

f]

[xeXoTroic;

Gli

a noi

nell'Antologia Pa-

chiamata

serbati, essa

XuptxTj.

\iXr].

ma

sei

epigrammi, dunque,

Nosside confronta s con Saffo,

dunque anch' essa, come s' visto, poetessa lirica. Dal


maggiore poeta di epigrammi, Asclepiade, prendono nome
egli, ne dobdue metri gi adoprati dai poeti eolici
biamo concludere, li us, dunque, xax avly^ov in [xsXr] che
divennero celebri mentre molti epigrammi sono scamfu

pati grazie al manoscritto palatino,

Ma

duti.

egli ci

p-Xy] son tutti perappare ancora, quanto alla metrica, un


i

predecessore del Teocrito della Conocchia e dell'uno dei


Ilacx

atoXt/c.

insieme

melici

La

celebri,

senza troppa fatica.


artisti

potrebbe allungare

si

erano intessuti

fossero sirapotico-erotici,

tuito

come
i

molto

medesimi mo-

epigrammi,

loro

sandrini conservati per intero,

come buona parte

di

naturale pensare che tutti questi

svolgessero nella lirica suppergi

tivi di cui
{xXrj

epigrammatisti, che furono

lista degli

gli unici

due HatScx

della lirica di Callimaco.

che Teocrito adopri proprio

gli

che
[il-q

loro
ales-

di Teocrito,

sar for-

asclepiadei.

352

Possiamo ormai considerare pi da vicino il piccolo


problema che abbiamo pi volte accennato. Le odi simpotico-erotiche di Orazio presentano, quanto ai motivi,
singolarissime somiglianze con epigrammi sia ellenistici
sia posteriori, ma tali che parranno facilmente imitazioni o rifacimenti ellenistici a chiunque ripensi fjuanto
spesso nell'Antologia stiano a fianco

un

1'

moquanto sia

dell' altro

dello e imitazione, e dall'altra parte consideri

inverosimile che dilettanti greci della tarda et


studiassero un classico augusteo

Ha

ad

risposta.

la

le cose,

lo

riuscir utile

usa

y.ax

ionici,

in

carmi

lirici

mag-

naturale supporre che Orazio

nelle sue odi abbia attinto ai

Volger

stessi poeti svolsero gli

Gli

epigrammi e

stessi motivi in brevi

stando cos

che dei superstiti furono


siamo andati ragionando sin

perduti

altri

esemplare? In quello che


qui, implicita

giori:

epigrammi

forse Orazio attinto questi motivi agli

superstiti o

romana

(1).

iJir^.

sguardo anche alla scelta dei metri, pu


a convincer meglio della dipendenza. Orazio

maggiore

V asclepiadeo

az'.yov

come avevano

gi fatto

minore e

gli

poeti eolici: rifacendosi

in ci ai Lesbi, egli seguiva l'esempio alessandrino. Dei

versi ionici nel

tempo

ellenistico

diciamo pi sotto;

ma

maggiore era stato adoprato xa-


oviyov, dopo che dai Lesbi, da Teocrito e probabilmente
da Asclepiade. Orazio innova nella metrica romana, ma
in parte secondo modelli alessandrini: egli non adopra
stichicamente se non proprio quelli tra ritmi lesbici che

almeno

l'

asclepiadeo

erano

stati usati

altro caso

cosi dai melici del

compone

III

secolo

in

ogni

a strofe.

Queste considerazioni metriche hanno ai miei occhi


valore sussidiario; lo svolgimento parallelo della lirica

(1)

Un' eccezione

notata

sopra p. 205.

'fi

me

e dell'epigramma per

353

ragione principale. Chi di

la

far bene a considerare attentamente

questa dubitasse,

primo dei Ilacocx acoXtx di Teocrito, confrontandolo


dair un canto con epigrammi del III secolo, dall' altro

il

con

liriche oraziane.

pu riassumere

due parole: In vino


hai mai amato
ti
diverti
a
tormentarmi,
facendo
l'occhiolino
di cuore e
ora all' uno ora all' altro. Sei tanto orgoglioso, mentre
pensiero

Il

veritas

si

dunque

dir

il

vero.

in

Tu non mi

giovinezza passa presto. Ora


cimento per te
qualche anno ancora, e non verrei per te neppure fino alla porta di casa,
anche se me ne pregassi . Il carme di quaranta versi,
eppure questa nostra esposizione potrebbe riassumere tale

dovresti riflettere che la


affronterei qualsiasi

un epigramma

e quale
stile,

quattro

di

r epigramma; nel

\ieXoc,

carme

appunta:

si

r et far su te

amatori
niti

differente

lo

poeta ellenistico lascia libere

il

le briglie alla passione. Il


il

distici:

pi conciso e arguto, pi presente a se stesso nel-

le

sei

sue vendette, e correrai tu dietro

non

io

gli

ritrova sia nelle odi di Orazio, sia in infi-

, si

epigrammi, sfaccettato

naccia

motivo finale, verso cui tutto


giovane e superbo, ma presto

oraziana per

ti

Lyce

non hoc semper

in

innumerevoli modi. La mi-

amer sempre , torna nella serenata


10) in forma coperta e riguardosa,

(III,

erit liminis

aut aquae caelestis patiens latus;

poeta intenda, mostra un carme della seconda

che cosa

il

raccolta

(IV,

18),

che comincia con chiaro riferimento

all'ode pi antica: audivere, Lyce, di mea vota, di audivere,

Li/ce

fis

anics et

tamen

tremulo pota Ciipidinem

vis

lentum

formosa

solliciiaii.

videri....

appare, pi sgarbata che nel TrapaxXaua-'O-upov


zio, in

lirico

neir insieme e

hai compassione di me,

t?j

in

molti

noXi^ ok

particolari

cojxiv.

'

canta

d'Ora-

quello epigrammatico di Callimaco, che gli

somiglia

23

et

minaccia

la

va|jLvy',ao

tu

ras-

non

TaOt as

:354

Gli esempi si possono aumentare, sfogliando


XII dell'Antologia, e pi se ne proporranno
nella seconda parte del presente capitolo. Qui giova aggiungerne uno, di Asclepiade, del poeta che Teocrito
Tivia

v.i\iri .

libri

imit. Teocrito finisce


Xetcc'.c;

piade chiude tale e


Ilu^tc;

Notte)
(l,

(AP

[ii\i'l)oi,ix'

164) xax
ex"

i\).ol<;

25) minaccia la

non

Un

quale

giorno oO^ xasOvTo;

la

oztooi.

di lui,

chos anus

ma

arrogantis

d'

Kcc^

aoi

(il

Tz^od-'jr^oiq

Orazio altrove

crudamente

andr un giorno
:

in

cac-

invicem moe-

angiportu

in solo levis

Ascle-

ha poi lasciato

un amante qualsiasi

flebis

aO-

poeta parla alla

capricciosa, pi

ch'ella

ir.'

per una donna

serenata

7ia)-oja

donna

meno sentimentalmente,
cia

NtxoOs, che, chiamatolo a s, lo

1^;

di fuori

xs. 7:a'ja|jLvo: /aXe-f") -f^oj .

ihj^ocic, 7tpo[xot|X''

Thracio

Anche questa forma

bacchante magis sub interlunia vento.

non ignota agli epigrammi.


Teocrito avr derivato il motivo da Asclepiade, perch
d gli stessi particolari ma per lo meno verosimile
eh' egli, oltre 1' epigramma dell' Antologia, abbia letto
carmi lirici del poeta medesimo, composti forse appunto
predizione

della

solita

in ritmi eolici.

Orazio in un' ode della seconda raccolta (IV

10),

che

meglio di ogni altra delle amorose pu derivare da un

epigramma,
Teocritor' ci

ma

per la quale tuttavia

il

confronto con

induce a non ritenere esclusa la dipendenza

da un carme melico, predice a un fanciullo superbo


eh' egli rimpianger presto la sua crudelt. Gli otto asclepiadei non dicono meno dei quaranta saffici di Teocrito.
Ligurino anch'esso crudelis adhuc et Veneris muneribus
jpotens,
Tivelv

come

(v.

l'amasio teocriteo vO-pwTiwv

19). All'

uno

all'

altro

1'

amori, sopravverr d' un tratto, uplv

ruoTixuaat,

crudezza popolare Teocrito. Orazio, per


dello sputo sarebbe troppo

bassa,

Tip '^ogia,'/ Soxec

et che pone fine agli

il

dice

con

quale l'immagine

scrive

insperata tuae


cum

veniet

piuma

dell'

come

anche,

molti

Antologia, nominare senza

reticenze

Teocrito molto pi garbatamente dice


la

tua bocca molle

anno

fa eri pi

quanto
epigrammi

superbiae, pi signorilmente

locuzione. Egli osa

XII

355

amato

del
^pi^.

per

scongiuro di ricordarti che un

ti

giovane

pensiero che forse in

all'

la

alla

vorrebbe seguitare con un

tali

poesie era tradizionale gi

in

che domani avrai la barba ma continua poi, per non offendere, parlando di s e di tutti
gli altri mortali, che divengono vecchi e scabri, in men
quel

tempo

che non

si

dica:

yripcdioi 7zilo\xey Trplv

'/.(zi

L'amato deve

jio-xoM

/.%'.

che significhino queste


parole trasportate alla sua condizione e alla sua et. Solo
qualche verso pi sotto v' un tenue accenno al tempo
^x)aoi.

in cui anch' egli

scoprir

avr

lui

Questa galanteria,

la gota.

virile

rugiadosa anche nella minaccia, non conveniva alla tempra maschia di Orazio pi del
utuaac.

Quel che segue,

modo volgare

simile nei

Tiplv

due carmi:

-o-

gio-

si

vani una volta sola, e un giorno l'amato dovr rimpian-

gere di non aver saputo


5'

lyeiv TzixXiyxyptzoy ox eav.

5t(5c[ji|Ji(;

mens

papo'jTspoc

est hodie,

mis incolumes

godere

x Trox.j^eva auXXa^Yiv

cur eadem non puero

(1)

non

quel!' et

di

ztpuya; y^?
;

dices

fuit,

vetata

c7ra)[xa5tai;

vel

'

heu....

-^ opel.

quae

cur his ani-

redeiint genae ?

Anche particolari della prima parte si ritrovano negli


epigrammi erotici. Cosi il motivo teocriteo, non esser rimasta al poeta se non met della vita, l'altra met esser
perita, t yp

a|jicau

xc;

Xotuv TiXexo, ritorna

tuita

r anima alla

(ep. 41):

I^otac

r/co C

vita, in

av.

sosti-

un epigramma callimacheo

met dell'anima mia

(1) Incolumes in

xv axv

con poche mutazioni, solo

quella

che respira;

questo coutesto di graude bellezza

ferisce, rovina le gote dell' amasio.

la

barba


non so se
che scomparso .
il

leagro

e,

trasportato

ode

di

Orazio;

tr'

abbia rapito Eros o Hades, tranne

1'

resto

il

356

riafTaccia in Asclepiade, in

si

dall'

amante

all'

amico, in

concetto, del resto,

Me-

un' al-

trova gi

si

in

un epigramma autentico di Platone.


Quanto al secondo componimento il motivo si riassume anche qui in due parole: Ho addosso febbre di
amore per un fanciullo, e ne rimprovero il mio cuore:
Sei vecchio, comportati da vecchio '. Il cuore riChi tenta combatter con l' amore, si mette a
sponde
un cimento impossibile: il suo giogo infrangibile. Esso
ha vinto anche gli Dei, porta noi dove vuole, quale il
vento foglia caduca' . Un poeta virtuoso saprebbe chiudere questi pochi pensieri nell' ambito breve dell' epi-

'

'

gramma.
Il

desiderio di ribellione contro

ogni resistenza vana,

grammi
goiar

(A P XII 120):

tenzone

colga ebbro

senso che

poeta sa

il

ma
:

Eros a sindi

combat-

ben provvisto di
purch il nemico non

Altrove (XII 45) egli incita gli Amori a


se lo vinceranno, acquisteranno

scagliar dardi contro lui

gloria fra g' immortali. Asclepiade

Amori

il

sovente espressi in epi-

sono

armi, che dalla sua ha la ragione

gli

amore

del III secolo. Cos Posidippo sfida

tere mortale contro immortale,

lo

l'

si

seguitino a perseguitarlo:

duole (XII 46) che

che vantaggio

ri-

trarranno dalla sua morte? Seguiteranno a giocare ai dadi,

bimbi spensierati. La disposizione d' animo ancor pi


simile a quella di Teocrito nell' epigramma di Asclepiade

64:

il

poeta grida a

Zeus:

Nevica, grandina, fa

mi uccidi, cesser di amare;


tu mi prepari, prender parte
dio che vince anche te IXxet

tenebra, ardi, fulmina; solo se

ma

se no,

al xwjjio?,

yp

|x'

qualunque sorte
perch mi trae

xpaxwv xal aoO

il

d-zc, .

Queste ultime parole ricor-

dano

il

357

teocriteo laOia y^P- wyaO-e. ^XXstat

d-ebc

xal Aii;

oc;

ea'^aXe jjtYav vov.

PuFQ

il

carme teocriteo ha riscontri anche pi esatti


L'immagine del giogo (v. 28) xal vOv.

nelle odi oraziane.


sa' ^Xo),

yJ^r^ [is

[jiaxpv a)^vxa

xv [xcpva eXxr^v xv

^'0-(y,

tV ox lO-Xco, ritorna nella pi bella delle poesie d'amore,


III 9:

neo?;

quid
e,

si

prisca redit

imparis

Veneri, cui placet

sura

iuga aenea saevo mittere

Che pi importa,
per

il

IlacScxv. Il

rum

cum

formas

atque

cogit ae-

33:

sic

animos

vi-

sub

ioco.

la situazione nelle

Odi del IV

libro

medesima che nel secondo


poeta nella prima Ode della seconda raccolta
esser vecchio e prega Venere di lasciarlo in

fanciullo Ligurino la

confessa di

pace:

Vemis didudosque iugo

parimenti del giogo di Venere, in

desine.... circa lustra

decem

flectere mollihus

iam du-

quanto sconvenga a un vecchio la


me nec femina nec puer
iam nec spes animi credula mutui nec certare iuvat mero nec
vincire novis tempora floribus. Similmente Teocrito: Che
fai? Quale sar l'estremo della tua follia? non sai che
capelli bianchi sulle tempie? E ora di esser savio:
hai
canuto di aspetto, non fare tutto ci che sogliono coloro
che da poco hanno cominciato a godere dei loro anni:
imperiis;

egli sa

vita dell'amore e dei simposi:

[iq Tzokibc,

xv

liccv

tcIXwv Tivx' ep5" oaaaTiep

ol

xwv

ixtov apxc

Quale somiglianza pu esser maggiore? Il


vecchio Orazio tormentato come il vecchio Teocrito
da sogni d' amore uoXX o opyj vuxxc; IvuTivia nocturnis
ego somniis iam captum teneo; iam volucrem sequor te per
gramina Martii campi, te per aquas, dure, volubilis. Gli interpreti, che non sanno di Teocrito, citano un epigramma
di Meleagro,dove il motivo ingrossolanito (A P XII 125):
Eros gli ha recato di notte in sogno un giovinetto diciottenne; ora egli si pasce di ricordanze, e in sogno va
yeye'JtJLvot

358

sempre a caccia del giovinetto


'f^iJiaxo; atv

TtxTjVOj

La

struttura dei due carmi,

pure simile. Prima

veniente

all'

' otivov

l\i\x7.rj:

yps'JtrjV

S'/o).

la

teocriteo e l'oraziano,

il

vergogna per

et senile, poi

sentimento scon-

il

confessione che

la

il

poeta

non sa resistere all' amore. Io non asserisco ohe Orazio


abbia avuto sott' occhio e imitato
TTa'.tx a']o?ax; io voglio solo dire che egli nelle odi simpotiche ed erotiche
ha attinto motivi, pi e piuttosto che da epigrammi, da
ji-Xy] ellenistici, che egli
ha trovato questa materia gi
atteggiata liricamente. Avvertendo ci, n s' intende dii

sconoscere che Orazio

le

abbia saputo dare

prontandola del suo spirito e del suo


cistico

e classico

stile,

a questa ricerca anzi

si

nega che

egli abbia imitato

vixi puellis, la

mento
in

e l

epigrammi.

Ili

26

dedica della sua cetra, quanto all'argo-

e in parte

metro

lirica

qua

classi-

studia di

contribuire la seconda parte del presente capitolo


si

im-

unit,

che

lirico,

anche quanto

ma

allo stile

questa eccezione.

un epigramma
I

motivi della

conviviale e amorosa di Orazio derivano per lo pi

da melica

ellenistica.

Chi questo abbia presente, non pener per ispiegare


certe

somiglianze, anzi identit di motivi tra Orazio e

Properzio, delle quali non ci si pu render sempre ragione supponendo che questo, come pure spesso suole,
imiti quello. L' elegia

deva un tempo,

romana non continua, come

si

cre-

l'elegia soggettiva o, preferirei dire

io,

autobiografica dell' et ellenistica, perch questa non vi

mai stata: che, se mai vi fosse stata, Properzio non


qual suo modello principale Callimaco, che

citerebbe

narr negli

A'ixta

leggende, sia pure

in

gran parte ero-

non si farebbe conferire dalle Muse quello stesso


sacramento che esse in principio di quel carme concessero a colui che doveva cantare in distici fatti mitolo-

tiche;


L' elegia

gici.

ellenistico,

359

epigramma
epigrammi autobiografici,

romana continua
riduce

cicli di

e sviluppa

1'

quali non erano ignoti all'arte ellenistica, nell'unit di


un canzoniere (1), ma gli epigrammi ellenistici riflettono
[iXy]

quindi

somiglianze tra Properzio e Orazio.

le

taluno sembrer incredibile che

poeti

ellenistici

epigrammi si siano serviti di quelli stessi


motivi che svolgevano nei [jlXt^. Il dubbio non appar
fondato
si
ripensi quanto spesso i
poeti di questa
nello scrivere

et

si

divertano a variare

lo

attingendo

motivo,

stesso

si rifletta come proprio nel terzo secolo


voga comporre due epigrammi che si fingono
alle due faccio di uno stesso monumento; si

l'uno all'altro;

venga

in

destinati

consideri quanto spesso proprio

migliori

si

ripetano,

quanta gioia provino nello sfaccettare nei modi pi vari


lo stesso sentimento. Asclepiade ha composto almeno quattro epigrammi sul tema dell' amante che aspetta invano
dinanzi alla porta chiusa,

AP V

145, 164, 167,

189

(2).

Che difficolt ad ammettere che avesse svolto lo stesso


argomento anche in un [jlXc;? E qual tema pi adatto
canto che la serenata? Dinanzi

al

oraziana

rie

mi melici

suona
poeti

la

alessandrini, se

care tutti alla stregua di Teocrito,


era naturale che

(1)

1'

all'uscio

querula tibia

epigramma

Sull' origine dell'elegia

1905, 38 8gg., al quale spetta

il

cfr.

dell'Aste-

Nei

dobbiamo

li

si

7).

car-

giudi-

lasciavano andare;

allettasse,

li

romana

(III

Jacob y,

esigendo da

Rhein. Mas.

LX

merito di aver posto fino a una cre-

denza non confortata di nessuna prova. Dei suoi argomenti mi convince pienamente quello che riproduco nel testo
un altro credo
;

di

averne aggiunto

io,

ricostruendo

il

proemio degli

dopo quell'articolo stato pubblicato


opinione, mi parso persuasivo.
ci che

(2)

Cinque, se

si

un convegno, manca

conta quello in cui


di parola,

AP V

150.

1'

Aixia.

Nulla di

in difesa della vecchia

amata, dopo aver dato

360

mettendo a dura prova la loro


anche nei carmi melici pi disciplibasta confrontare il secondo dei llai'.y.y. con la

loro brevit e arguzia,


virtuosit. Orazio

nato:

prima Ode del quarto

meno

libro, e

parole e pi pensieri, e

si

scorger

differenza

la

parole pi piene di con-

le

appunto sentimenti ellenistici in


non mai cos leggiero come
il suo tono
stile classico
xaxxXeiaxo? Quest' ultimo carme mostra del
in 'H TiaT;

tenuto.

traduce

Egli

-fi

resto

che poesia melica ed epigramma non

vano pi per r altezza


di

ha

del tono,

ma

solo

si

per

distinguelo

studio

prima manca. Orazio non


licenziose, non perch gliene mancas-

brevit arguta, che nella


scritto liriche

dal III secolo in poi non mannon


ne ha scritte, perch quecano epigrammi osceni;
sti argomenti ripugnavano allo spirito della sua lirica,

sero modelli melici,

come

non perch ripugnassero

allo spirito della lirica in genere.

Orazio ha mostrato criterio rigoroso anche nella scelta


dei modelli, che non dir imita ma prosegue. Oltre a
quella lirica, stichica per lo pi e recitativa, di cui ab-

biamo dett

sin ora, fior nell'et ellenistica tutto

tro genere, di lirica mimetica.

Aristocle Rodio (Athen.

XIV

Sapevamo
620 e

un

al-

gi di essa da

segg.),

il

quale cita

quale fonte di parte delle sue notizie lo scolaro di Aristotele Aristosseno,

un dotto

cio vissuto nel primo pe-

riodo dell' et ellenistica. Aristocle narra di cantori chia-

mati variamente EXapfool c7C}jiw5ol jjLaYwSol A'jouooo i diversi


generi sono distinti sottilmente, ma il modo di esprimersi
di Aristocle e le citazioni da Aristosseno provano che
:

uso vari col tempo e oscill sempre.


La distinzione pi stabile sembra quella tra cXapw5:a
e [xaYwaa, delle quali la prima secondo Aristosseno era
dignitosa a guisa di tragedia, l'altra era a modo di com-

l'

media. Ilarodi e magodi cantano in costume,

ma

gli

uni

361

sono vestiti da uomo, hanno corona attorno

testa,

alla

fanno accompagnare sur un istrumento a corda da un


sonatore o una senatrice, non arriscliiano mai movisi

men che decorosi; gU altri si vestono da donna,


accorapagnan da se con tamburini, nacchere e simili,
non rifuggono da gesti indecenti, e imitano talvolta
menti

si

adultere e mezzane,
si

Y.G)[i.oc,

ubriachi

tal' altra

gente che

in

reca a visitare l'amata.

Anni sono fu scoperto in un papiro il lamento di


una donna abbandonata (1), quasi certamente proprio
un esempio di iJiaY0)5''a: una fanciulla, sedotta con mille lusinghe dall'amante e poi tradita,

tempo, e invoca piet dinanzi


sente divenir pazza:

si

avvia a

notte-

lui di

Essa

alla porta chiusa.

pronta a confessare che

suo, pur di placar l'amato; vuole riconciliarsi

si

torto

il

ad ogni

costo con lui: non ci sono amici che accettino di esser

anima della
donna innamorata: la metrica, docmii talvolta di forma
anapestica, alternantisi qua e l con giambi, senza responsione strofica, addita dove si deve ricercare la radice di quest' arte, nei canti ar iy.y]'nfC, appunto di Euripide, che sono cos spesso messi in bocca a donne e
cos spesso rivelano le profondit dell' anima muliebre.
Questo carme poesia di grande sincerit e immedia-

arbitri ?

tezza

Euripide aveva rivelato per primo

certe volgarit di linguaggio

l'

impressione

solo pedanti moderni, che

pubblicato
schi.

Il

(1)

al

di
si

frammiste a parole

non urtano

e costrutti propri dell' alta poesia

accrescono

1'

verit.

Non

se

credono poeti

qui,

giornali quotidiani versi gonfi

in

motivo

si

ritrova anche in

epigrammi

e
di

L'edizione pi alla luiino ora quella del Crusiua

suo Eroda.

Ha

inteso per

Nachr. 1896, 209 sgg.

primo bene

il

testo

il

perch

avvedono
perch hanno
n'

grotte-

Ascle-

in

Wilamowitz,

calce
Giiti.


piade
cos

in

averlo

3f)2

uno (V 164) l' autore all' amata, che, dopo


non gli apre, augura essa possa star

invitato,

un giorno dinanzi

alla

sua porta.

L'autore del lamento poeta grande

ma

forse non
non mi maraviglerei per che anche poeti celebri dell' et alessandrina avessero composto carmi di
tal genere. Ma Orazio, che pure non aborre da liriche
mimetiche, che pure in III 9 finge un dialogo tra se e
r amante, non prende la maschera di una donna se non
in Miserarumst, dove, se lo spunto deriva da Alceo,
colori
sono moderni. E la vergine che sospira di amore ben
altra cosa dall' amante tradita.
Aristocle (Athen, XIV 620) nomina quali cantori affini ai magodi gli fwvixoXyot o xcva^oXYc-L
questa sar

colto

io

stata in genere poesia per canto;

ma

versi maledici e

osceni, che egli cita dal pi celebre autore di


V({jiaxa,

sono

Sotade

Maronea, che visse sotto

di

il

:o)v:y.

-y.-

Filadelfo,

stichici, cio recitativi, tetrametri ionici anaclastici.

Quali celebrit del genere sono da

menzionati, oltre

lui

Sotade e suo figlio Apollonio, Alessandro Etolo, Pyres


Milesio, Alexas
Strabone (XIV 148) nomina inoltre
r atleta Cleomaco di Magnesia, di cui Efestione ci ha
forse conservato due versi appunto ionici. Perfin Teocrito ha ammirato Pyre, se finge (IV 31) che il suo
Corydon ne sappia a memoria i canti, n quindi sor;

prende

di

trovare in questa compagnia un suo

uno tra
pi nobili poeti
che compose x''vac5oc.
i

ellenistici,

amico,

Alessandro Etolo,

moda: un magod il favore di Attalo I di Pergamo, Ctesifonte ateniese, compose di tali ywXa^poi, come ne informa
Demetrio di Scepsi (Athen. XV 697 e). Ancora al tempo
di Ateneo, se si d retta a quel che narra uno dei conIn Asia canzonette lascive rimasero di

gistrato che

vitati, la

Fenicia risuonava tutta di

tali

poesiette cantate

a suon di zampogna.

363

proprio in Giudea, a Marisa, scol-

pito in lettere del II secolo a. C. sulla porta di

posto a dir vero assai singolare, fu trovato

una tomba,
un piccolo

un dialogo fra due amanti, in


da responsione. La donna all'amatore che picchia alla porta, dichiara di aver dentro un
altro (i), e si vanta con lui di posseder in pegno il suo
mantello: egli minaccia di andarsene; quella risponde
che faccia quel che vuole, purch non faccia troppo

carme

di

tal

ionici liberi,

genere

non

legati

fracasso.

Di questa

lirica,

cui pure

si

applica uno dei migliori

ingegni dell'et ellenistica, Orazio non serba tracce. Egli


non prende, abbiamo detto, la maschera di una donna se
non in un carme che muove da Alceo.

11.

Alla

domanda proposta

in

principio

di

questo capi-

possiamo ora dare una risposta, come sin d' allora


credevamo, complessa ma chiara. Orazio attinge buona

tolo

parte dei suoi motivi

nobbe

ditirambica
rici, sia

piti

da poesia alessandrina: egli cogiambi etici e di poesia morale

e fece suo pr di

come

di inni del culto

composti

in metri

disposti a strofe sia sciolti, TioXcXujxva

epiche

si

ispirano a carmi alessandrini

Le

li-

liriche

composti

in

lirici ripetuti xax ax'yov. Egli deriv motivi anche


da epigrammi, ma meglio conobbe e studi la melica
amorosa e conviviale dell'et ellenistica; in questi carmi

ritmi

egli trov la materia sua gi atteggiata liricamente, trov

anche imitato qualche ritmo

qualche movenza degli

antichi Lesbi. Egli os quello a cui gli Alessandrini non

(1)

Meglio che dal Cuoneut {Uh. Mus. LXIV, 1909, 436),

mi pare spiegato dal WUnsch

(iu

una nota

il

alla atessa pagina).

jnisso

si

364

eran cimentati, riprodurre

seppe ricomporre
strofe

eolie;

la

le strofe di

nell'

corrisponde l'unit di

cui

mezzi che non fosse


stile

Alceo e Saffo. Egli

materia molteplice

denso, meglio disciplinato,

uno

parco

pi

quello

dei

classico. Egli traduce

melici

unit delle

uno

nella

stile

pi

scelta

dei

alessandrini, di

motivi della poesia

el-

una lingua nuova, ma in questa si crea uno


stile antico: quanto allo stile Orazio pi vicino ad
Alceo che non fosse Teocrito nei Hacor/. aoXcx.
Lo studio degli epigrammi, degli epyllia, dei giambi,
che presentano somiglianza di motivi con le Odi di
Orazio, mezzo necessario a chiunque voglia sentire il
suo stile, ma solo a patto che non si dimentichi che
quei componimenti non sono per lo pi le fonti di Orazio ma derivano da quelle stesse fonti da cui Orazio attinge la materia, che forma poi originalmente.
lenistica in

IL

Elementi ellenistici del mondo

lirico di Orazio:

interpretazione di odi scelte.

abbiamo considerato soltanto le letture'


Ma una civilt passata, ogniqualvolta la continuit storica non sia stata interrotta, non
opera suU' animo d' un poeta per ci solo che egli stesso
ne apprende leggendo. Non soltanto Orazio, ma tutti suoi
contemporanei, da un certo grado sociale in su, ma molte
Sin

qui

noi

ellenistiche di Orazio,

generazioni innanzi a

lui si

erano formate su opere elleni-

stiche di poesia, di filosofia, di retorica, di scienze esatte,

avevano educato

il

gusto contemplando statue, quadri,

lievi ellenistici; cosicch sin

dall'adolescenza egli

ri-

ritro-

vava nel mondo in cui cresceva, nelle persone con le


quali aveva quotidiani contatti, sia pure in variet mol-

365

teplice di sfumature, quegli stessi sentimenti, quegli stessi


ideali

che aveva

III e II secolo.

attinti alla lettura

di

libri

greci

la facolt d' intendere, cio di

del

amare,

doveva in lui essere aumentata,


pur se ne rendesse conto, dalle so-

la cultura alessandrina

senza forse eh' egli


miglianze che tra

la societ

e l'alessandrina, contro

il

romana

del

tempo augusteo

volere dell'Augusto, inteso a

rinnovare la romanit prisca, intercedevano maggiori che

non

tra la

Roma

viveva e quella del tempo


cio contemporanea
Euergete e di Callimaco (1).

in cui Orazio

della prima guerra punica, la

del Piladelfo, dell'

(1)

Una buona

Roma

storia della cultura

romana

dell'et

imperiale e

segnatamente augustea manca ancora. La nota opera del Ferrer non


giova a chi voglia intendere lo spirito dei tempi, ma appaga solformule parlamentari

moderne applicate a
un monumento di pretenziosa
stupidit. La Sittengeschichte del Friedlander, per quanto buon successo abbia conseguito grazie non solo all'efficacia dello stile ma anche alla fine intelligenza per lo spirito dell' uomo antico che vi si
tanto chi

si

contenti

di

sproposito a condizioni antiche

essa

manifesta, e per utile che sia anche per la copia del

materiale rac-

veramente una storia della cultura. L' autore, che attinge quasi soltanto a fouti letterarie, ha l'occhio molto meglio esercitato all' osservazione della vita individuale che non allo studio di
fatti sociali. Invece i capitoli sull' evoluzione economica, sullo stato,
colto,

nou

volume della Griechische Geschichte del Beloch,


und GeseUschaft der Griechen del Wi
primo terzo dell' opera del Wendland su elleni-

sulla societ nel terzo

la parte ellenistica dello Staat

LAMOWiTZ, anche il
smo e cristianesimo {Htllenietisch-romiache Kultur in ihren Beziehungen
zum Judentum und Christentiim), chi sappia integrarli l'uno con l'altro

e tenga nel debito conto la diversit d' interessi e di scopi che corre

immagine

assai piena e colorita della

la differenza nella

concezione dell' ellenismo

tra questi studiosi, rendono un'

cultura ellenistica.
nei tre

minore che non

ci si

aspetterebbe in spiriti

tutti

e tre

cos

robusti e in personalit cos spiccate.

la

Queste opere ci permettono ora di risuscitarci dinanzi alla iiioiiit"


Grecia ellenistica meglio che non possiamo immaginarci <iuolla del

W Impero

366

romano, da Augusto, forse da Cesare in


sostanza a forma amministrativa: il Se-

poi, retto in

Augusto

nato, per quanto

sia

si

di rendergli l'antico prestigio e

sinceramente

sforzato

l'antica

potenza perduta

non torn mai pi a essere quel eh' era


ombra di s medesimo. E del resto l'entrare a farne parte dipendeva per
lo pi dal volere dell' Imperatore, sia che questi nomisotto Cesare,

stato per secoli e secoli, rimase un'

nasse taluno senz' altro

forza della sua potest cen-

in

che gli spianasse la via al grado, raccomandandolo perch fosse eletto a magistrature che lo quasoria, sia

nomina (1). La carriera procuratoria,


anno stesso che fu fondato il principato (2), nel 27 a. C, menava a posti altrettanto e forse
pi importanti, seppure per la maggior parte meno vistosi: retribuita fin da principio, essa si offriva a quelle
per

lificassero

la

invece, istituita

l'

stesse categorie di persone che battono la via

degl' im-

pieghi neir Italia moderna, alla borghesia provvista

di

qualche istruzione e a corto di danari. Il regno dei Tolemei era retto da impiegati in misura ancor molto maggiore che r Impero

pu

fare a

duato
sono

tal

romano la monarchia assoluta non


un esercito ben ordinato e ben gra:

d'

di funzionari,
ripartiti tra

giunta in

perch

poteri,

che nella democrazia

un numero grande

modo che

di

cittadini

per

l'assegnazione di essi a un gruppo

persone non duri se non un tempo brevissimo, pas-

di

meno

IV

secolo.

Per

1'

Egitto la parte storica dei GrundzUge der Pa-

pyruskunde, che opera del

Wilcken, ne aiata a

colorire meglio

il

quadro. Gi da vent' anni, del resto, aveva spianata la via Helbig,


Untersuchungen
(1)

nomina

Catnpanische Wandmalerei Gap. XVIII, XXIII.

Staatsreeht II 876.

dei senatori nel

porta ai nostri
(2)

iiber die

MoMMSEN,

La controversia

tempo augusteo, non ancora

fini.

HiRSCHFELD,

Kaserl.

sui

risolta,

VerwaltungBheatnte^ 410.

modi di
non im-

sato

quale

il

funzioni, nella

minalmente

un altro gruppo succede in quelle stesse


monarchia assoluta sono concentrati no-

quale

che riguarda

per quel

e,

prema, talvolta anche


alla

367

adoprare

Ne

quali consiglieri e strumenti.

una persona unica,

in

fatto,

di

quindi necessario

direzione su-

la

fortuito

altri

uomini

che

proprio

dall'amministrazione dell'Egitto, anzi perfino dal soggior-

nare in Egitto

Augusto

siano

tutto

del

esclusi

che

senatori,

il governo di quel paese a se e ai suoi


Mentre altrove, anche nelle province asse-

riservi

procuratori.

gnate a lui particolarmente, egli rappresenta il popolo


romano, in Egitto il signore assoluto, successore dei
Faraoni e dei Tolemei. A incarnare i suoi ideali di restaurazione

della

romanit,

poter essere tra

concittadini concittadino, primo tra pari,

tent di por argine


in
di

all'

suoi

principe che

il

ellenismo, ebbe bisogno di essere

una provincia sola, ma nella pi popolosa e pi ricca


tutte, non un magistrato romano, ma un re ellenistico.

La

storia dell'amministrazione

sori

Augusto diviene

di

la

imperiale sotto

storia

succes-

dell'adattamento

di

ambito tanto maggiore dell' Impero, nella misura stessa che il


governo diviene sempre pi personale, la diarchia si riduce sempre pi a moistituzioni

narchia

tolemaiche

(1).

all'

Qui dobbiamo riconoscere

gli

effetti

non

tanto di analogie storiche spontanee quanto di imitazione,,


di

volont consapevole

Ma

il

di legislatori.

trasformarsi della

tcXc?

nello stato amministra-

tivo produce effetti cospicui sia sulla struttura della societ, sia sull'

anche

(l)

orientamento degli

Le ricerche

specie del

di istituzioni imperiali

dal

spiriti. Neil'

antica uXc?,

se questa era retta ad aristocrazia, anzi a oligar-

KOKNEMANN,

Ebil.

Rostowzkw

intorno

alla

dipondenzft

da toloinaiohe sono ora riassunte chiaramente


i.

(l.

JH.-Wixs.

Ili,

272 sgg.


come

chia,

la

Roma

368

repubblicana negli ultimi tempi,

ambizione suprema di qualunque cittadino non dovesse


impiegare tutta la sua attivit a procurarsi il pane (juotidiano (1), era di partecipare al governo. La forma am1'

ministrativa

di

bizione, perch

governo soffoca d'un


ogni speranza

toglie

grande maggioranza dei

cittadini,

tratto

anche per qualsiasi

ragione segnalati. Nel regno dei Tolemei

sono

comunali, che non erano

cariche

le

importanza. Durante
ferisce pi lustro

funzionari o

sono impiegati

militari di professione, o

tranne

Impero

1'

che potere;

quell'am-

appagarla alla

di

di mestiere,

grande

di

la carriera senatoria
i

posti in quella

con-

ammini-

numerosi che fossero, non potevano essere moltissimi, perch mancava l'avvicendamento,
strativa, procuratoria, per

proprio delle magistrature repubblicane

e del resto per

quella carriera occorrevano cognizioni tecniche. Gli honores delle

comunit erano capaci

piccole

ambizioni modeste; chi


per

li

brigava e

pi cittadino romano.

lo

Il

li

di soddisfare

otteneva, non era

cittadino

romano veniva

via via a essere escluso anche dalle forme pi umili di

partecipazione alla vita pubblica e al servizio dello stato.

importanza quanto pi le
riducevano a nomi splendidi, ma
senza soggetto; per giunta, la facolt, concessa al prinIl

diritto

di

voto

perdette

magistrature elettive

cipe,

determinare

di

raccomandarne

(1) Il

con

si

numero

le braccia, fu,

in

eleggibilit

1'

forma

degli

dei

candidati

ufficiale alcuni alla

uomini

liberi

che

si

di

benevolenza

guadagnavano

la vita

per vero, molto maggiore, quello degli schiavi

infini-

tamente minore che non s' immaginino le persone mezzanamente colte,


almeno nei tempi pi antichi. E durante 1' Impero la quantit degli schiavi,

che aveva raggiunto

Repubblica, tende a scemare


208 sgg.

efr.

il

massimo

nell'

ultimo secolo della

Ed. Meter, Kleine Schriften, 171 sgg.

degli elettori
Il

limitava e turbava la libert del voto.

(1),

appariva

militare

servizio

369

cittadini,

ai

raffinati

quindi infiacchiti, piuttosto un dovere gravoso

onore

eppure esso costituisce

ultima analisi

in

damento del diritto


pubere ha facolt di eleggere

suffragio

di

il

fon-

il

maschio

cittadino

come

magistrati

che un

corri-

spettivo all'obbligo di difendere con

le

Ma anche

militare della costi-

il

fondamento, a dir

cos,

armi

la

patria.

tuzione politica era venuto da tempo a mancare: com'

noto

da Mario in poi
maggior parte

(2),

di

sono, di fatto, costi-

le legioni

di volontari cittadini per lo pi

tuite per la

bassa estrazione, per quanto nella legge l'obbligo del

servizio militare per

Augusto
anima

abolito.

zione, che

da chiunque

ogni

anzi,
il

non

cittadino

conforme

suo governo,

lo

ribadisce, esigendo

aspiri a entrare nella carriera sia senatoria

sia equestre, cio procuratoria,

che abbia prima prestato

servizio nell' esercito quale tribimus militum


stesso

mai stato

sia

allo spirito di restaura-

non ha

osato,

quanto

ai

(3).

Ma

egli

soldati semplici, ricorrere

non raramente,
Che del resto
Augusto, nonostante le sue tendenze conservatrici, non
intendesse imporre al popolo romano un peso a cui esso
non era pi n avvezzo n forse atto, si scorge evidente
reparti di non cittadini,
da ci, che appunto egli rende
alla coscrizione obbligatoria di cittadini, se

o forse raramente ne ha avuto bisogno.

gli auxilia, pari, o quasi, di


legiones,

quali

milizie

legionari

(1) Cfr.

cittadine;

persone

MoMMSKN,

di

numero

rm. Slauturecht

ad

casi,

nominando

(2)

MoMMSKN,

(3)

HiKscHKKM),

egli stesso

JI

J^tl

si

ammette

e peregrini

in

Quando

co-

sj^-;.

fece scrupolo di

magistrati.

Slaatarecht III 298, rOm.


Verivatuigubeami-

egli

latino

diritto

mizi furono turbati da tumulti, Aujjuato non


tituirsi

e d'importanza alle

appunto

che

(leseli.

117 sgg.

Il"

191 sgg.

so-

:70

grande numero, quantunque con restrizioni di scelta e


cautele particolari, conferendo loro la cittadinanza in
virti della coscrizione medesima (1). K anche il breve
periodo di servizio da ufficiale, che nell'ordinamento
augusteo condizione necessaria alla carriera civile, pi
simile al nostro volontariato d' un anno o all' istituzione
dell'allievo ufficiale, che non al cursus honorum repubblicano, carriera militare insieme e civile. Nella costituzione

augustea l'identit

si

risolve in successione per scomparire

del tutto sotto g' imperatori seguenti: sotto


cipe,

per

le

il

primo prin-

persone di condizione media o elevata

il

un periodo pi o meno spiacevole


della vita che, una volta passato, non tornava di regola pi. E quanto ai militari di truppa il sistema
augusteo non pi la nazione armata, come nell'antica
TzXic, ma l'esercito permanente di tipo non continentale
ma inglese: quindi non servizio attivo breve e numerose
servizio militare era

classi

in

momento,

congedo,

ma

che possono essere richiamate ogni

volontari

cittadini

non

cittadini,

con

diritti graduati secondo l'origine e le condizioni locali,


con ferme, carriere e paghe diverse; il numero totale
non grande, perch il nemico minaccia solo alcuni tratti

alla periferia dell'impero;

mancano

riserve istruite.

Il si-

stema militare dell'Egitto tolemaico pi simile al nostro


continentale. 1 soldati non ottengono un pezzo di terreno solo dopo spirato il termine dei loro obblighi, come
in investitura, mentre
i veterani romani, ma lo ricevono
sono ancora soggetti al richiamo. Pochi soldati stanno
sotto le armi i pi, in congedo provvisorio, coltivano i
campi assegnati loro dal re non in propriet, ma in pos;

sesso trasmissibile per consuetudine ai


diretti,

(1)

che sono anche


MOMMSEN, gemmm.

loro discendenti

loro successori nella milizia, in

Schriften VI, 20 sgg. 33 sgg.

371

un possesso dunque, il quale, con V andar del tempo e


col sostituirsi di nuove generazioni alle antiche, si va
sempre pi avvicinando alla propriet (1).
Nel regno dei Tolemei la carriera civile non neppur formalmente congiunta con la militare. Ma queste
differenze sono di natura tecnica, pi che non producano
alla struttura sociale importa solo che
effetti sociali:
l'esercito, perch permanente, diviene una classe distinta
dalle altre, che il cittadino comune non pi, come un
tempo, soldato in quanto cittadino; come, perch uno si
renda conto delle somiglianze tra la societ ellenistica
d'Egitto e quella augustea, importa solo vedere come il
cittadino

comune

sia

sempre pi escluso dalla partecipa-

zione al governo, riservata ormai da una parte a poche


famiglie senatorie, dall' altra a tecnici.

Nel tempo
dizioni

di

Augusto la distinzione tra le varie consi va facendo, abbiamo detto, pi

professioni

netta anche per cittadini di

mischiava passione e lotta

una

famiglia

Fin

cospicua.

perch in ogni causa di qualche importanza

lora,

professione,

di parte,

ma un mezzo

per acquistare noto-

doveva

vita

pubblica, sia che facesse parte

ricorrere chiunque volesse farsi largo nella

della nobilitas, sia

che aspirasse a entrarvi. In principio

WiLCKKN,

Gviuidziuje

tutions milUairex

da

fi

sgg.,

])rinci)io

maico in reparti

Impero muta

dell'

280 sgg. La soinigliauza tra

stemi sarebbe ancor maggiore,

stati tin

se,

come

g' indigeni

sostiene

della

duo sii
Lesquier, Itisii-

casta dei

ammessi a prestar servizio

speciali, proprio

il

fossero

\iix'-V'^

nell' esercito

Ma

pochi casi noti d' indigeni che fnrono soldati sotto

vero che Polibio (V 107) fa

movimento nazionalista

al

gli

me paro

primi Tolemei, debbano avere avuto carattere eccezionale, se

il

tole-

come nell'ordinamento angnstco

auxilia formati d 2)ere(jrH stanno accanto alle legioni.

invece che

al-

fram-

l'avvocatura non era

cui,

riet,

(1)

si

"^

tre

pur

Filopatore colpa di avere incoraggiato

egizio,

ammettendo

g'

indigeni nell'esercito.

372

anche l'ordinamento giudiziario: il Tiberio di Dione Cas(LVI 40) loda Augusto di aver tolto al popolo incompetente il potere di giudicare; e infatti da Augusto
sio

in poi

discussi

processi criminali,

dinanzi

quale per altro

non dice per

ma

a farlo

delega

altri

in

lo

dinanzi

modo,

altro

cosi ufficio tecnico.

Anche

lista.

Un

un

decise

Repubblica, ravvisa

mento dell'eloquenza appunto


dizi .centumvirali.

le

dice la facolt di fargli

audiioria

et

la

non

tutto un popolo intento,

un paio
nominare la

stretti

pi

foro,

pi

ma

al

che

le

equamente

cagioni del decadi-

nel preponderare dei giu-

domande

voce nel

tahidaria

che

diventa

La procedura non permetteva

patrono di parlare quanto volesse,

non alzava pi

giudicare

po' a denti

cause col sistema presente eran


la

il

una

civili, di

personaggio del dialogo tacitiano

(cap. 38), pur confessando

che sotto

su

di

cause

le

presi anch' essi, a quel

ai centumviri,

sembra, dalla stessa

il

pi giustizia egli stesso,

riveduta e integrata dal principe;

solito,

vengono

imperatore,

all'

suo nome, o anche dinanzi a

giudici scelti, sia a sorte sia in


lista

comizi,

sottratti ai

senato o dinanzi

al

ma

conferiva

pi al
al

e interromperlo.

ma

luoghi

in

pendeva

dal

giuEgli

chiusi,

suo labbro

dibattimento a-sistevano

Tacito non

ha occasione di
da questa il
pubblico era escluso. Egli ci informa che di innumerevoli orazioni tenute dinanzi ai centumviri una sola era
stata pubblicata, appunto una di Asinio Pollione, un uomo
della vecchia generazione: le orazioni giudiziarie non
erano pi pubblicate, supporremo noi. perch esse da
opere di eloquenza eran divenute comparse conclusionali.
Questo cambiamento dell'ordinamento giudiziario ha per
effetto che anche l'ufficio del difensore diviene professione;
solo

che,

come

di

spettatori.

cognitio imperiale e senatoria:

al cittadino

uomo

politico era

succeduto

piegato amministrativo di carriera, cos parimenti

il

l'im-

pa-


trono

373

trasformasse nell'avvocato di mestiere. E,

si

come

avvocato non manca ci che caratterizza la professione, la rimunerazione pecuniaria.


Quintiliano, uomo tutt' altro che d'opinioni avanzate, si
domanda se l'avvocato debba accettare un compenso per
i suoi servizi
e conclude che, se ne avr bisogno, patietur
sibi gratiam referri (XII 7, 9)
purch non patteggi dapprima la somma, purch non mercanteggi. La mercede
ammessa sia pure un po' copertamente, quale onorario;
ma anche nel mondo moderno, tanto pi spregiudicato
al proairator,

cos

all'

in fatto di danaro, avvocati buoni eviterebbero di fissare

anticipatamente

gnato

il

catura sar stata


l'Atene del
pecuniari

non

che

compenso. Cicerone

si

sarebbe vergo-

prender quattrini. Nell'Egitto tolemaico l'avvo-

di

IV

professione

remunerativa, se gi nel-

una societ che contro compensi


aveva ben altra ripugnanza
mondo ellenistico, il logografo, meteco del

per
il

secolo, in
servizi

resi

resto per lo pi, scriveva orazioni per danaro


II

diminuire d' interessi e

media

classe

(1)

Non mi

l'

istituzione

romana, che segu


governo amministra-

del

arrischio a parlare dell'onliuaineato giudiziario del-

et tolemaica, perch

il

materiale

troppo controverse nonostante

mbra. Almeno

(1).

ambizioni politiche nella

e alta della cittadinanza

necessariamente

l'

d'

le tre citt

troppo scarso e

libri recenti dello

le questioni

Zucker

e del Se-

greche, Alessandria, Naucrati e Tolemaide,

erano rimaste fedeli all'antico principio del tribunale collegiale di giurati cittadini;

Del pari

in

ma

nella X"'?*

^''

erano, pare, anche

Roma, come abbiamo

soppianta del tutto

tribunali giurati;

procedure sono nello stato

ma

che dinanzi a tribunali popolari


si

le

le

relazioni

ancora

tolemaico

l'Alessandria del terzo secolo, come nella

che vi

tribunali

regi.

visto, la cognilio dei magistrati

Roma

oscure.
del

fra

le

Certo

non
due
nel-

principato, an-

cause evano discusse e decise senza

immischiassero indossi politici

che col a divenire funzione tecnica

il

giudicare

si

avviava an-

dovette agevolare la via alla formazione anche

tivo,

una

:J74

classe di letterati. Sino

pubblica

tiobiles,

se

si

agli

ultimi tempi

di

della re-

eccettui l'cdofjuoiiza forense, parte

non
si erano occupati di letteratura che da vecchi, o quando
particolari contingenze li escludevano per qualche tempo
dalla partecipazione al governo: neppure l' attivit filosofica di Cicerone va considerata altrimenti (1). Sotto
l'impero anche persone di condizione elevata si dedicano
alla letteratura, e non la praticano soltanto da dilettanti,
essenziale,

quale
tutt' e

meno

come abbiamo

detto, della

un giorno Cornelio Gallo. Tibullo


due cavalieri, hanno dunque tutti

pratica,

Ovidio son

e
i

requisiti

per la carriera procuratoria; eppure non

attirare

da essa, trattenuti

inmno verba tonare

si

forse dal timore di

troppo borghesi, e preferiscono far versi.


vieta

vita

foro (IV

1,

al-

lasciano

divenire

A Properzio Apollo

134); probabile che

anch' egli avrebbe potuto per nascita aspirare a impie-

uno che divenne console, Valgio Rufo, scrisse


elegie, poemi epici, trattati di retorica, perfino un' opera
sulle virt delle piante. Si pu pensare a prima giunta
che la poligrafia sia qui indizio di dilettantismo; ma,
non conoscendosi di lui azioni politiche di qualche imghi. Perfino

portanza, legittimo supporre che egli per predilezione


fosse letterato, e la dignit consolare gli fosse attribuita

per r importanza della famiglia.


Sotto Augusto gli honores diventano onori nel senso

mentre la potenza solida cade a poco


procuratores. Orazio, figlio di padre
dei
poco
nelle
mani
a
amice Valgi. Cinquanlibertino, tratta Valgio da collega
t'anni prima nessun poeta avrebbe osato parlare cos a un
nostro, decorazioni,

(1) Di Lucrezio nou sappiamo nulla, seguo che fu di condizione


umile; Catullo, agiato, era tuttavia provinciale; Lucilio escluso dalla

vita pubblica romana, perch socius nominis latini.


membro
ciale

dell'

ingegno.

scema importanza

stato

perch apre a persone


dere

ora

Augusto

il

nuovo ordinamento

Il

umili

di

natali la via

hanno sollevato

e Tiberio

A Orazio

primo principe

stesso,

offr

classe so-

di segretario particolare.

come narra

ad ascencari-

liberti a

intende, procu-

s'

la vita svetoniana,

epistidarum,

officiiim

dello

anche

alle distinzioni gentilizie,

che altissime, quantunque pur sempre,


ratorie (1).

una

formata

si

quale la signorilit della stirpe

letterati, nella

meno

conta

ma

del senato,

di

375

Secondo Svetonio

il

posto cio

stesso {Aug.^^)

primo prefetto d'Egitto, Cornelio Gallo, era infimo loco


natus. Se prestiamo fede a una notizia, celata in una
lettera dell' imperatore Giuliano (2), prima che a lui
il

egli
il

avrebbe offerto

suo direttore

quella

carica a

di

famiglie provinciali penetrano


nel regno dei Lagidi

la

nuovi

re,

poco, perch

di esserne gelosi e

meno che

usciti

nel senato

da

avevano ragione
un go-

essa,

le distinzioni

ogni altro regime

412.

di casta

lo

procurator

lraefectuH

singolart-

mostrino chiaro

dover essere considerati quali magistrati


dell'

ma

tali

sono

sguardo

strana tale scelta chi poche righe sopra ha osservato come


titoli di

Anche

(3).

a umiliarla. Sotto

interesse

in

fin

HiKSCHFELU, Vernaltunyvbeamte

(1)

greco,

filosofo

nobilt vecchia dovette contar

verno puramente autocratico


sentite

un

coscienza Ario Didymo. Ben presto

che
i

del

trovi

modesti

impiegati

non

quali aiuti e mandatari

imperatore, privi di posizione ufficiale. La potenza di privati

appunto un contrassegno del governo personale: l'uomo pi potente


del tempo, Mecenate, pur discendente da favolosi re etruschi, era ufficialmente un eqiies come un altro.
(2) L'ha tratta in hicc Lumhro.so, Arch. f. Fap.-Forsch. IV, ''JX.

sparsa

tuttavia
tra

escluso

filosofi,

che

sia

(juesta

solo

leggenda tondeuzio:i

ohe sfruttavano in gloria maggiore della loro

casta le buone relazioni che corsero davvero tra Augusto e Ario.


(3)

Dkssau, Herm.

XLV

1910,

sgg.

370

sovrano nobilita ogni cosa su cui si poggia. E, conforme


a quello che per queste riflessioni dobbiamo aspettarci,
letterati foranche nell'Alessandria del III secolo a. C.
marono una classe sociale a s^. Il poeta errante Teocrito, il quale non si vergogna di chiedere copertamente
danaro ai suoi protettori, trattato da pari a pari da
Callimaco, nipote di un generale cireneo e cresciuto tra
i

paggi della corte alessandrina.

Il

carattere

professio-

nale della condizione del letterato tuttavia per certi


spetti pi spiccato nell'Alessandria dei primi

Roma

nella

augustea:

poeti romani, se

ri-

Tolemei che

non hanno del

come gli elegiaci cavalieri, vivono della liberalit


un protettore, dal quale dipendono in tutto e per tutto.
Che a Orazio talvolta certe esigenze di Mecenate siano

loro,
di

riuscite gravose,

ricaviamo da parecchi luoghi notissimi

specie delle Epistole. Augusto, nella stessa lettera in cui


offriva a Orazio la cura

epistulanim, chiamava, sia pure

scherzosamente, parasitica la mensa di Mecenate, cui

il

poeta era costretto a sedere. I dotti poeti alessandrini


percepiscono invece stipendio dal re, ossia dallo stato,
per servigio regolarmente prestato in qualit di bibliotecari o maestri: cos Callimaco, Apollonio, Eratostene
;

il

letterato nel III secolo a. C.

come nell' Italia


Lo scemare degl'

cos

animi un altro

gli

retti

(1)

effetto

Vien fatto

(1).

su

gli spiriti

di

eletti si

ritraggono

Alessandria (LXVII 794) uu

x auoaixiov twv [sxsxvtcov xoO Mouoeio'j cpiXoXycov vSpv.


d' intendere

comune come

felloivs

che
di

e nel Peripato.

pensionati del

un

banchetti periodici come nei


e.

professore, appunto

pi diretto. Nei grandi stati

strabene ha veduto nel Museo


^

il

interessi politici suole produrre

a governo personale

salone v

p.

XX

del

fa

college;

O'iaao;

ma

Museo avessero lueusa


pu pensare anche a

si

scientiflci

greci, nell'Accademia

dalle cose di fuori, per

vita

guadagna

nell'agora

ripiegarsi

comunit

nella

su

quando

profondit,

di

ma

Socrate passa

377

medesimi.

se
si

ristretta

La

svolge non pi
di

amici

fidati.

giornata in giro per Atene a discorrere

la

con chiunque incontra; Protagora, Ippia, Prodico raccolgono intorno a s numerosi uditori stupefatti, sicch
casa

che

ospita, pare un porto di mare.


una scuola e l'organizza quale
un' universit moderna, pur non rinunziando ad attuare
il suo sogno, lo stato ideale, per mezzo dei tiranni sicila

di

Platone

liani.

Callia,

Ma

il

li

fonda

invece

filosofo pi

rappresentativo dell'et ellenistica,

Epicuro, vive per gli amici e per


riparo dalla tempesta.

La

nel sodalizio di poche

anime

ditativo ad approfondire

l'

se,

felice di essere al

vita raccolta tutta e contenuta


sorelle invita lo spirito

me-

indagine psicologica, vivendo in

animo non frivolo prende cos l'abitudine


medesimo. Anche Platone si occupato
di psicologia, ma, come mostra la Repubblica, interessandosi delle anime singole solo in quanto la loro varia
costituzione modifica variamente il viver comune: a lui,
dell' uomo importa il valore sociale. La psicologia di

solitudine; ogni
di scrutare s

Platone, in quanto psicologia empirica, scienza preli-

minare

alla dottrina della costituzione politica, a un' etica

sociale;

appunto perch

lelo

nature

priori

le

di

si

propone

di

mettere in paral-

umane con un numero determinato

forme

di

r infinita variet delle anime a pochissimi


arbitrariamente.

Platone manca ancora

Le

per la personalit.
distinzioni

in

che Aristotele

tipi

costituiti

interesse vivo

divisioni e suddivisioni minute, le


affini,

eppure diversi,
Etica, mostrano

tra

matica del maestro.


preparazione

l'

numero cos grande nell'


non si appaga pi della

sottili

che troviamo

governo, essa riesce solo a ridurre

virt e vizi

Anche per

all' etica,

ma

in

lui la

tipologia siste-

psicologia empirica

senso ben differente che

378

Platone: per Aristotele la morale stessa, pi ohe


normativa, fenomenologia, osservazione e distinzione

per

delle forme di attivit etica; essa

si

cologia. Aristotele fu maestro di Alessandro


visse gli anni migliori della sua vita
egli raccolse

le

meteco

comuni

dei

costituzioni

sue lezioni di scienza politica cerc

dettami della ragione,

ma

tato Platone.

Il

non
il

mise

paradiso,

psi-

Magno, ma
in Atene
:

greci, e

educare

di

vani generazioni a ordinare e governare


a trasportare di cielo in terra

nella

scioglie

lo stato

con
le

le

gio-

secondo

mano egli stesso


come aveva ten-

suo scolaro, Teofrasto, ha vivo e caldo

quell'amore della personalit, che contrassegna l'uomo


ellenistico. I suoi Caratteri mostrano chiaro che l' era

che ora spunta, non

ma

si

riesce,

sforzer

d'

s'

interesser pi per l'uomo tipico,

intendere

battendo quella

via

l'

individuo.

che

Teofrasto

conduce

sola

quale

per

oltre

vi
le

scienza

porte chiuse della

personalit,

rimane

rappresentandola cio artisticamente.

ineffabile,

la

la

Ogni capitolo dei suoi Caratteri porta in testa il nome


un vizio, ma se a quello si sostituir un nome di
persona, avremo dinanzi agli occhi il ritratto parlante

di

di

tale

TOLoOic

sta

che pot esistere, che esist veramente. Solo il


saitv waxe con gli infiniti che gli tengon dietro,
a ricordarci che questa forma d' arte ha avuto

origine dalla contemplazione astratta dei tipi possibili di

anima umana, quali essi si rivelano nella direzione generale che imprimono alla loro attivit. Grazie a Teofrasto quegli

e di

schemi vuoti e freddi

riempiono di vita

si

sangue caldo, palpitano.

L' etica della Stoa e in certo modo anche di Epicuro torna a essere pi rigorosamente normativa e meno
descrittiva

che non

quella

dei

Peripatetici

per ci l'interesse psicologico.

scema
dell'altra scuola

si

immergono

ma non

filosofi

gara

dell'una

nell'anima

umana. Gli
li

Stoici,

379

perch vogliono estirpare

gli

affetti,

sviscerano fino a metterne in luce le radici pi pro-

Tcepl 7i:a0-wv
non furono composti
Perch aspirano a far propaganda,
essi scrutano le anime, che vogliono conquistare, con
acutezza spietata dello sguardo, pur pronti a fare ai loro
adepti quelle prudenti concessioni che nessun direttore
di coscienza cattolico pu ricusare ai suoi penitenti senza
mettere a repentagUo l' influsso proprio su loro. Gli Epi-

fonde

quanti trattati

dal III secolo in poi

brama

curei sono costretti dalla loro stessa

a calcolare sottilmente se
sensazioni

un

piacevoli

sia

di
la

godimento

somma

di

quella di dolorose che consegue

momentaneo.

piacere

maggiore
Il

a ogni costo

deliberato

loro

propo-

induce a esaminare
quanta parte di volutt si celi anche in sensazioni spiacevolissime, quanto dolore nasconda in s il godimento.
Qual altro esercizio pi atto a raffinare la sensibilit?
Essi, perch vogliono soffrire quanto meno possibile,
sito di essere felici

li

prediligono gioie calme, evitando piaceri grossolani. Epi-

curo

rappresentato di animo delicato anche dagli

ci

avversari, da quelli

buona

e pi in
sottile

almeno che furono meno passionati


pu dire quanto l'epicureismo

fede. Chi

generazioni

di

generazioni

di

persone ricche

contribuisse ad affinare la societ ellenistico-romana?

La

direzione generale del

pensiero filosofico

Roma

quantunque

la stessa nella

nuovi manchi

la

augustea,

vena produttiva

dei pensatori originali.

mani, accogliendole
lit propria,

di

filosofi

le

le verit astratte,

ultimo

che

Romenta-

adattano alla

dall' ellenismo,

cultura dei

mestiere,

cognizioni.

giovano
Per

che

giovani
cio

un nucleo centrale verso

altre

filosofi
1'

bastano a quel compito a cui destinata

filosofia nella

spirito

Ma

Posidonio

rimane

ai

la

il

non

la

diverranno

costituire

nello

quale graviteranno

conoscenza della

societ

3()

antica poco importa, quindi, che nell'et augustea Stoa

ed epicureismo, distinti n(;ttamente nel

secolo, ten-

III

Le somiglianze nei precetti morali


tendenza psicologica compensavano facilmente

dano a
nella

fondersi.

diversit essenziali nei fondamenti

e
le

e metafsici, |)er-

fisici

ch della filosofia la morale e la psicologia applicata interessavano sole

la

comune

dottrina giovavano del


generali,

e,

L'una

degli uomini.

pari

a dare

e l'altra

gusto delle idee

il

che pi monta, l'abito dell'osservazione sotIl genere di vita favoriva nella

e dell'introspezione.

tile

Roma

augustea,

denza degli

come

spiriti

mondo

nel

a cercare la

ellenistico,

questa ten-

ricchezza in s

propria

medesimi, ritraendosi dal mondo esterno. Orazio e Virgilio,

come

filosofi del III secolo,

come
non

poeti alessan-

nel foro. Chi con-

drini,

vivono

sideri

questa propensione dell'et all'esame

in sodalizi di eletti,

di

coscienza,

non si maraviglier che anche Augusto, cosi freddo, cos


poco mistico, cos scarso di scrupoli, si tenesse in casa
un filosofo stoico, Ario Didyrao, quale confidente, quale
direttore spirituale. Tre secoli innanzi, Zenone aveva rifiutato di assumere lo stesso ufficio con il principe macedone Halcyoneo, delegando in sua
scolaro Perseo, che vi si acconci fin
grado. Quegli che fu nel senso migliore
i

Romani, l'Emiliano,

si

vece il proprio
troppo buon

di

il

pi greco tra

era tenuto in casa, consigliere

aveva saputo
amare con tutto l'ardore dell'anima libera da pregiudizi
di razza e sociali. Anche Augusto volle bene a Didymo,

filosofico, politico,

militare,

Polibio,

Io

e per cagion sua grazi la patria di lui, Alessandria

L'educazione

(l)

Le

notizie intorno ad Ario

nna lunga
Polibio manca,

p. 82^

mani

filosofica ,

Didymo

in Diels, Doxographi 80,

lista dei confessori di re greci e di

forse perch

(1).

dunque, fondamentalmente

non

grandi ro-

considerato filosofo.

381
identica nell'et ellenistica e in quella augiistea, ancor-

qualche poco del suo cal'insegnamento del

in questa abbia perduto

ch

Anche

rattere scientifico.

del

Anche

retore.

cia per udire

grammatico

Roma, come ad Alessandria,

pi celebri

filosofi

di

Orazio stato stu-

Ne

dente ad Atene come Callimaco.

ne

del

scuole prime in patria, recarsi in Gre-

le

Roma

ultimo, dopo quello

filosofo vien per

moda, percorse

Romani

antichi

conoscevano ancora quest'

Greci preellenistici

istru-

zione superiore: l'educazione consisteva per tutti e due


i

nell'addestramento del corpo;

essenzialmente

popoli

quanto

allo spirito,

scrivere.

s'

insegnava

ragazzi

ai

a leggere e

Greci imparavano per giunta a cantare, ac-

compagnandosi sur un istrumento musicale,


mare passi di poeti classici. Ma dalla met
secolo in poi
ellenico

studiare

l'

della cultura

Le commedie

figliuoli.

ne

chi

ha

a decla-

del quinto

diffonde rapidamente per tutto

si

ideale

il

di Aristofane,

sentenze euripidee, certi passi nei

pi

mondo

mezzi, fa

antichi

alcune

dialoghi

nuova non andava


temevano che lo svegliarsi

platonici mostrano che questa cultura

ancora a genio

ai

pi,

quali

dello spirito critico scotesse la fede negli antichi ideali.

Come
IV

quest' educazione prendesse

come

secolo,

rigidamente
scolastica,

si

svolgesse

organizzate,

non

sempre pi piede nel


forme sempre pi

in

divenisse

ogni

giorno

pi

qui nostro compito mostrare, ed d' al-

tronde assai noto.

Roma

dal

tempo degli Scipioni

accoglie r ideale ellenistico del

TCcTiace'jjxvo^,

in

poi

accetta la

scuola che dalla grammatica attraverso la retorica con-

duce il giovane della buona societ fino alla filosofia.


Questa cultura nuova, riservata alla classe agiata (che
gli umili, costretti a guadagnarsi presto la vita con
l'opera delle mani, non hanno modo di procurarsela),
acava pi profondo l'abisso fra le varie classi sociali. In

382

Grecia dal IV secolo in poi, in Roma diffcile


quando, ma su per gi dall'et dell'Emiliano,

ricchi

dovettero apparire

Ma

come

ai poveri,

differenza di cultura

la

che quella

di ricchezza,

ora, persone istruite.

pi difficile a cancellare

perch subiti guadagni

ogni tempo e in ogni paese,

stati in

V arricchito che

si

da

dir

mentre

non

agli studi,

sono

vi

V '\i'.[i7.^l,q,

per

riesce

lo

pi

non a rendersi ridicolo. Leggendo Orazio, noi non


dobbiamo mai perder di vista che egli pu supporre nei
lettori conoscenza dei classici e delle opere pi in voga
se

della letteratura alessandrina.

La sua

poesia

a uno strato, a quei tempi non pi tanto


sone della buona societ,
sovrastano

di

che,

avendo

fatti

lunga anche per cultura

gran

rivolge

si

sottile, di pergli

studi,

sul

volgo

indotto.

Anche V

aspetto della citt in

cui

il

poeta vive,

si

rispecchia nel suo spirito mobile, che egli voglia o non


voglia. Orazio s'interessava

scenette che a ogni


suoi sguardi. In
ci

narra quanto

pie

profondamente

sospinto

Roma

un sermone a Mecenate
si

dilettasse

di

andare

alle

scene e

presentava
(I

6,

ai

111 sgg.)

giro

per

il

mercato informandosi del prezzo delle derrate, di passeggiare per circo e foro osservando. Poesie quali Ibam

non possono essere scritte se non da chi senta


profondamente la citt grande col suo fascino e le sue
miserie. Orazio, in tempi diversi, am la regia Roma non
meno che il vaciiom Tibtir: presente, come sempre era, a
se stesso, nel suo spirito seppe gioire di qualunque luogo
in cui si trovasse, campagnuolo in villa, cittadino a Roma,
se pure talvolta, come avviene ad anime mobili, rimpianse in citt la campagna, in campagna la citt {epist. I

forte via

8,

12).

Ma

la

Roma

pi simile anche

nell'

di quell'et

aspetto

all'

era per molti rispetti

Alessandria contempo-

ranea e a quella dei Tolemei che non all'Atene periclea.


Roma

era citt grande,

ancora nel mezzogiorno

come

383

fabbricata
di

Europa.

al

modo come usa

La

popolazione non

moderne, di abitare il pi
lontano possibile dal centro in calmi sobborghi campestri,
cercava,

nelle capitali

buona parte della


giornata per sbrigarvi gli affari. Mezzi di comunicazione
mancavano: tranvai elettrici e ferrovie sotterranee non
erano ancora state inventate e la legge imponeva lisalvo a trascorrere in questo

centro

miti ristretti

anche pi

all'

uso dei cocchi, che avrebbero intralciato

la circolazione nelle strade strette e affollate.

Distanze mediocri, come dal Quirinale all'Aventino, parevano a Orazio immense: intervalla videi Immane com-

moda,
(Il 2,

esclama
70).

egli

partamento

quindi di

si

una casa a un

permettevano

un

peristilio-giardino

pi vivevano ammonticchiati gli uni su gli

samenti

di

molti piani

(I).

ap-

possedere una domus,

di

solo piano con

trovare un

pi centrali della citt;

d'affitto nelle parti

pochi ricchi

nell'epistola a Ploro

ironicamente

Ognuno procurava

Non

altri

in ca-

Vitruvio, che descrive

Pompei,
piccola citt di villeggiatura dove lo spazio abbondava,
ma gli scavi recentissimi del sobborgo marittimo. Ostia,
hanno insegnato come abitassero veramente i Romani
dell'et imperiale, popolo e borghesia (2). In una citt

una dimora

fabbricata

enorme

di ricco signore,

cos

il

movimento

Orazio stesso parla

Il

rovine

delle

vie

Bki.och, stiulioHo quanto

di

doveva essere

{epist. II 2, 72),

certa esagerazione comica, di

(1)

le

sia

intraprenditori

inai

pure con
di

lavori

alieno da esagerazioni, atzi

talvolta sin troppo incline a diUidaro delle cifre tradizionali, calfola

{Bevolkerung der altea

Velt

401 sgg.) che la popolazione di

Roma

in

questa et fosse di 870.000 abitanti, densit quasi pari a quella della

Napoli odierna.
(2)

Sulla casa

romana

cfr. Studi

il.

d.

fil.

N. S.

1.

7.

384

che si affrettavano per le strade con muli e facchini, di


gru che sollevavano j)ietre e travi, di cortei funebri che
s' incontravano e intralciavano con barrocci di carico, di
cani

rabbiosi

maiali che

scorrazzavano liberamente.

buon conoscitore e fedele imitatore che sia


stato di Orazio, non attinge da esso, ma riproduce la
realt di ogni giorno osservata direttamente, l dove dipinge (III 239 sgg.) la folla che si pigia innanzi e indietro
a ogni passeggero, il procedere a spintoni non senza pericolo che qualche distratto ti urti il capo con una trave.
A dar retta a Seneca (c? ehm. 1, 6. 1), per le vie pi larghe
si correva rischio di essere schiacciati, se s'incontrava un
ostacolo: esagerazione questa, mal' ottetto delle cose esterne
suU' animo del poeta tutto nell' impressione, non nella
loro realt oggettiva. Citt di questo genere non si confanno ai nervi di tutti, e anche Orazio stanco del rumore
Giovenale,

[)er

continuo e della vita troppo irrequieta, cerc spesso pace


in

campagna

ma

esse sono pur

sempre

Si pensi ai rioni pi popolosi di Napoli,

vato pi fedelmente V aspetto

che gremiva

le strade,

le

pi pittoresche.

che hanno conser-

di citt antiche.

Ma

la folla

era pi pittoresca e pi variopinta

che nella Napoli moderna. Per Giovenale (Ili 'A) Roma


una fjraeca urhs: Greci famelici sono grammatico, retore,
geometra, pittore, maestro di ginnastica, augure, funambolo, medico. Ma la citt greca insieme sira pare che
:

rOronte sia divenuto un affluente del Tevere; da Siri e


specie da Sire erano esercitati mestieri vili e infami di
ogni genere;
Salta

agli

Siri

occhi

sonatori di

che

il

poeta

tibia.
si

Sire

le

meretrici.

lascia trascinare ini

po' dalla rabbia, un po' dal gusto delle tinte forti. Ma


anche queste esagerazioni non sono prive di valore per
Io storico, come
hanno fondamento, per quanto non
debbano essere prese alla lettera, le asserzioni di Seneca {ad Helv. 6, 2), che la maggior parte degli abitanti


Roma

di

da

tani

Roma

si

studi,

com'

Ma

peregrini.

che capitale, era porto


cacciati,

suo paese, cio nata altrove.

dal

fosse esule

Appunto Augusto

385

noto,

Roma

la

di tener

mare, cosicch

di

tornavano da ogni parte:

essi

pi

rere

numerosi

mondo

del

di

che fossero. Anche quanto


sembrare un compendio

quel

abitato, un'

rdxo\i,r^

in

stabilire quanti

dei primi Tolemei,

un passo lacunoso

abitanti

mentre siamo

troppo dal vero, calcolando che


tasse

come

oty.ou[xVY]?,

xr^q

Alessandria era anch' essa una grande

dell'

dovevano pa-

Roma doveva

chiama non si sa bene chi


neo (I 20 b).
possiamo

stranieri,

gli

del resto, per

mestieri un po' piazzaiuoli che esercitavano,

alla popolazione

lon-

augustea, oltre

essa

citt.

avesse

di

la

Ate-

Noi non
nell'

et

non allontanarci
tempo di Cesare con-

certi di
al

un 500.000 abitanti, fosse cio la seconda citt


impero (1). Sotto i primi Lagidi, anche se la popo-

importanza della citt era


ancora maggiore: che, se Antiochia e Seleucia rivaleggiavano con essa, non vi erano nel mondo ellenistico
citt grandi quanto la Roma augustea. Le vie non erano
n strette n tortuose (2) Alessandria non si era andata

lazione assoluta era minore,

1'

mutando a poco a poco da borghetto agricolo in capitale,


come Roma, ma era sorta di un tratto dal suolo per volont consapevole di un sovrano, era stata creata,

si di-

Ma

anche le vie pi larghe


erano anguste al traffico del maggior porto del mondo:
Callimaco nell' Recale fa descrivere agli uccelli montani
il risveglio rumoroso di una citt grande e di gran movirebbe noi, per decreto reale.

1)

(2)

pire

Bklocii, BeviUkerung 250.

La

larfjhezza dello strade della citt medioevale

l'Arabo Ibn Giobeir, che la visit

Jroh. /. Fap.-Forsch. IV 321.

25

nel

1183:

efr.

faceva stu-

Limbroso,

38<>

mento (1) quale altra conosceva se non Alessandria?


Se lo strepito era gi tale sull'alba, molto doveva cre;

r avanzare

con

scere

del giorno,

pi per

levarsi

solessero

ancorch

tempo che

noi,

gli
il

antichi

clima

di

Alessandria inviti piuttosto alla siesta che a dormire la

mattina sino a

tardi.

Gi sotto il Filadelfo Alessandria era, quale apparve


pi tardi a Strabene (XVII 708), ixY'.aiov i|i-ptov xf^;
otxoi)[jivr]?
Se la Roma imperiale poteva dirsi un compendio del mondo, gi Eroda esprime su Alessandria
proprio lo stesso giudizio l dove (I 26) per bocca di una
sua donnicciola asserisce che tutto quanto o nasce nel
.

mondo, si trova in Egitto. Il commercio di esportazione


era immenso: l'Egitto era non solo il granaio del mondo,
ma anche la sede di un'industria attivissima, organizzata
ingegnosamente da un governo che era il primo capitalista del paese e sapeva difendere senza scrupoli i propri
interessi contro

la

concorrenza privata e straniera, mo-

nopolizzando.

Lo

operai, liberi

per lo

pi e

diritti

pi

tolto

uno dei

del domicilio, sia

stato, sia direttamente

rimunerati

cari all'

per mezzo

dei

uomo

tempii,

mezzo

per

ma

cui

di

era

libero, la scelta

stabilimenti di

importanza anche economica, esercitava quasi ogni industria: sfruttava cave di pietra, preparava e spacciava
sale e salnitro, ricavava oli da ogni genere di piante,
forse
fabbricava stoffe, unguenti, carta, conciava pelli
;

monopolio regio concessionata dallo


stato era l'arte dell'orefice; al re appartenevano le banche. Una popolazione operaia fa sempre pi chiasso che

anche

una

di

la birra era

contadini,

anche

se

questi

abitino

raccolti

in

Puglia e in Siciha. In
Egitto molti agricoltori, nel tempo assai lungo nel quale

centri cittadini,

(l) Cfr.

come oggid

sopra p. 337.

in

387

suolo beato non esige alcuna cura, si riversavano


ad Alessandria per guadagnare lavorando nelle fabbriche. La variet dei mestieri era tanta che nel 1899,
quando non era ancora uscita quasi nessuna delle grandi
raccolte di papiri, si poteva mettere insieme una lista
lunga sette pagine (1) con nuli' altro che i nomi nudi e

quel

crudi delle varie occupazioni.

tazione, per quanto prevalesse,

il

commercio

espor-

di

come aveva gi notato

Strabene (XVII 793), non era il solo molte delle industrie che fiorivano in Egitto, ritraevano le materie prime
:

dal

Sud

Anche

e dall' Oriente.

il

commercio

era importante: prima del taglio dell'istmo

navi non potevano fare a


dria; le merci

dovevano

meno

di fermarsi

transito

di
di

Suez

le

ad Alessan-

essere scaricate, trasportate at-

traverso r istmo e ricaricate.

Il

commercio con l'Oriente

comincia presto: gi il Filadelfo fonda fattorie di caccia


lungo la costa del Mar Rosso; sotto l'Euergete, cui bi-

sognavano

gli elefanti

per

le

sue guerre, ne sono state

Bab-el-Mandeb

(2). Commercianti arabi,


dovevano vedersi ad Alessandria ogni
giorno, ma a conferire alla citt aspetto esotico non
erano necessari mercatanti venuti di terra lontana: anche
coloro che 1' abitavano, erano per buona parte orientali.

stabilite fin oltre


siriaci,

persiani

Polibio

(XXXIV

distingue

14)

mercenari stranieri e 'AXsEavpsc

mina

in questo passo

suscitare durante

l'

infami e in pogrom.

nella popolazione Egizi,


n'.-(xZzc.

Impero odio, che


I

ed egli non no-

Giudei numerosi e invadenti


si

da

sfogava in accuse

Greci di Alessandria, mescolatisi con

popolazione indigena, avevano preso l'aspetto e il fare


degli Orientali, erano divenuti levantini (3). E gli Ales-

la

(1)
(2)
(3)

WiLCKEN, Oatraka I 688 sgg.


RosTOWZKW, Arch. f. Pap.-Forach. IV 301 sgg.
La scoperta dei Aixaujiata di Halle uou aumenta

le

cogaizioui sulla composizione etnica del popolo alessandrino.

nostre


avevano

sandrini

388

come mostrano

levantini,

dei

nianze antiche, l'acutezza d' ingegno

prontezza di

spirito,

che

si

manifesta

ma

e in ingiurie sfrontate

Post. 35)

(XXXIX,

1'

Egitto

il

58) dice gli Alessandrini

e pronti sempre

insolentissimi

maldicenza arguta

delle fallaciae, dei mimoriim argu-

praestirfiae,

menta. Dione Cassio

in

pittoresche, l'attivit instan-

Per Cicerone {Pro Bah.

cabile.

paese delle

testimo-

volta alla frode, la

qualunque cosa

dire

venga loro in mente. A ciascuno dei loro re essi avevano affibbiato un soprannome (1), cosi come a nessun
prefetto romano hanno risparmiato frizzi sanguinosi (Seneca ad Helv.

antichi parlano di loro

19, 6). Gli scrittori

come certi settentrionali moderni dei Napoletani. Ma gli


Alessandrini aggiungevano alle altre qualit l' operosit
senza posa e la sete di guadagno di Ebrei orientali. La
lettera di Adriano {Vita Saturnini 8, 5), poco importa
se non autentica, parla chiaro sul carattere della popolazione

genus iominnn seditiosissimiim, vanissimum, iniu-

riosissimum ; civitas opulenta, dives, fecunda, in qua nemo vivat


otiosus: aia
fiones,

omnes

vitrum conflant.
certe

aliis

cuiuscumque

charta conficitur,

artis et videntur et

alii

lini-

habentur

podagrosi quod agant habent, habent caeci quod faciant, ne


chiragrici

quidem

nummus: hunc

apud

Christiani,

eos

otiosi

hunc

vivunt: unus

Iiidaei,

illis

deus,

hunc omnes veneran-

compensa a usura, quanto al movie pi larghe e il numero minore

tur gentes. Quest'attivit

vimento della

citt, le

degli abitanti.

Del resto

le differenze

saranno state pi piccole che

non paia a prima giunta. Certo, a Roma,


mentre

vi erano grandi greggi di schiavi,

non proprio

in Alessandria, per la

quale

citt di lusso,

in Egitto,

industria e agricoltura erano quasi interamente in

(1)

LUMBROSO,

ibid.

IV

67.

se

papiri tacciono,

mano

Ma

di liberi (1).

zione

schiavi

tra

389

intorno alla propor-

concetti volgari
e

Roma

in

liberi

antica sono senza

dubbio errati (2): dobbiamo credere che proletari, che


vivevano a stento delle distribuzioni di frumento si permettessero
a

Roma

uno o pi servi? Certo,

lusso di alimentare

il

popolino aveva pi tendenza a bighellonare

il

la citt nostra, da quando citt


pi che prodotto. Ma laconsumato
grande, ha sempre
voro anche nella Roma augustea non mancava: appunto
nei primi tempi dell' Impero si butt gi e si rifabbric
molto, come conferma un passo di Orazio citato dianzi.
Come nella Roma moderna, una parte ragguardevole delle

che ad Alessandria:

maestranze
inoltre

esercitava

che

rimane

tarsi,

mestieri. Se si getta
nomi di corporazioni profesha ricavati dalle iscrizioni,

sugi' indici dei


il

Waltzing

stupiti a

di artigiani liberi si

Roma

(3)

vedere quante specie

guadagnassero

artigiani e

di

la vita col

lavoro nella

imperiale. Prevalgono appunto, com'era da aspetle

arti edilizie,

coctores calcararii',

di lusso,

come

fahri ferrarli,

ma non mancano

cianti di unguenti, aromatarii,

giuoco, l'ars tessellaria lusoria.


tare r industria in grande,

Le molte

Wii.CKBN, Oslraka,

V. segnatiiiiieiito gii studi

nomico del mondo

()81

antico e sulla

cuoiai

nella

lavoratori

commer-

dovevano

Roma

eserci-

moderna.

sarto, sagarii, cen-

Sfjg.
ili

Ed. Meyer sullo sviluppo

scliiilviti,

Schri/ten.
(7orporati<>n pro/esivitellen.

fabbricanti e

specialit del mestiere del

(1)

fabbricanti di pedine da

come

(2)

Ugnar ii,

tignarli,

fabbricanti di oggetti

doratori, hrattiarii inaurafores,

di legni fini o ebanisti, citrarii,

(.3)

Ma

attivit di molteplici

1'

uno sguardo
si

edilizia.

bisogni complicati e raffinati di ogni citt grande

alimentano
sionali,

vari rami dell'arte

Ili

;25.

compresi

nelle

eco-

Kleiutn

dm
tonarii e cos via,

cata.

Anche

sono indizio

organizzazione compli-

di

Roma

per questo rispetto la

era una grande citt

dell'et

augustea

moderna come l'Alessandria

dei

Tolemei.

*
* *

Fin qui noi

siamo studiati

ci

somiglianze che intercedono tra

di

mettere

in

luce

le

la civilt ellenistica del

tempo dei primi Tolemei e quella della Roma augustea.


Nessuna dottrina filosofica sull'essenza dell'opera d'arte
pu toglier valore al fatto cos spesso osservato che somiglianze d' ambiente per vie non tutte note operano
con certa uniformit sulla concezione

dell'artista.

Chi

lo

negasse, dovrebbe necessariamente andare

un passo pi
in l e ricusare di riconoscere che le opere d'arte composte in un determinato periodo di cultura, pur avendo
pregio soltanto per la loro personalit, hanno tutte tra loro
un'aria di famiglia;

che Euripide, per diverso che

sia

non dico da Sofocle, ma da Aristofane, somiglia a essi


pi che a Menandro. Da questa considerazione consegue una nuova difficolt nello studio del problema che
ci siamo proposto. Quanto nella lirica di Orazio ellenistico
perch deriva
egli stesso,

uomo
unica,
lari:

da

ellenistico?
si

lirica

quale
Il

risolve

con l'aiuto

ellenistica ?

cittadino

della

quanto,

Roma

perch

augustea, era

problema, pur non ammettendo risposta

senza gravi

difficolt in

dell'Antologia

talvolta di Properzio

e'

Palatina,

casi

partico-

con l'aiuto

dato scorgere che Orazio ricev

l' impulso
da un carme ellenistico. Ma
anche qui necessario tener bene a mente che il poeta
era egli stesso un uomo ellenistico per intendere come
queste derivazioni non siano riproduzioni fredde, com'egli
sappia colorare di ellenismo moderno i motivi creati da

a una certa ode

poeti

dell'

ellenismo

pi

391

antico,

dell'ellenismo

del

III

secolo.

quel che diciamo qui, sembri contraddire alle con-

fimo

clusioni

del

abbiamo

detto, volle trascendere

l'

capitolo del presente libro. Orazio,

antica lirica greca,

essere

L' intenzione, evidente,


neir uso

si

egli

1'

ellenismo, rinnovare

poeta

stesso

classico.

manifesta caratteristicamente

motti presi dalla lirica non alessandrina,

di

lesbia. Nelle

Odi

la

forma, per dir meglio, lo

e per lo pi riesce a esser classico, antico

sono per la maggior parte o

ma

ispirati alla vita

ranea, che, nonostante gli sforzi

ma

intende

stile
i

motivi

contempo-

dell'Augusto, non

riu-

sciva a celare, a negare quanto in essa era di alessandrino,


o attinti alla letteratura del III secolo e adattati al sentire

moderno. Tra materia e forma v' nella lirica di Orazio


una specie di contraddizione solo nei carmi migliori egli
riesce a superare il contrasto dei due termini, fondendoli
;

nell'unit superiore dell'opera d'arte.

Di qui

in poi noi

analizzeremo alcuni carmi di Orazio,

neir intento di mostrare quanto in ciascuno di essi sia di


ellenistico nei motivi e nel sentire.

II

nostro fine esige

che queste liriche vengano raggruppate un po' diversa-

mente che nella prima parte di questo capitolo, l dove


proponevamo di determinare le forme di quella poesia

ci

ellenistica dalla quale Orazio

attinge motivi.

Col

noi

disponevamo quelle forme per generi letterari, secondo


cio un canone che Orazio stesso aveva appreso a scuola
e riconosceva valido. Qui, perch ci importa non pi la
forma dei modelli, ma la maniera come alcuni sentimenti
si

atteggiano nelle odi di Orazio e

le

informano

di s,

prendiamo quegli stessi sentimenti quale criterio di classificazione, pur non ignorando che l'un criterio insufficiente quanto 1' altro, e ambedue tollerabili solo perch
nessun altro adeguato.

AMORE.

a) L'

Nos

392

nos proeliu virginum cantamus, vacui sive

cotivivia,

quid urimur, non praeter solitum

queste parole,

sincero,

prima raccolta

mente
fiamma senza
alla

convengono

di odi: qui egli


ali.

Non

r esame

ben

anche nei

Ma

(1).

nei primi tre libri

rado fremere quegli accenti

di

scuotono sino in fondo

La

vi

ragione di

storia dell'

amore

anima

delle Odi

di

particolari, dalla

udiamo

passione, che

ci

nella poesia di Catullo.

di Catullo ricostruita

come

dalle sue poesie,

all'

come mostrer

tra questi canti di amore,

alcuni

di

motivi siano spesso derivati,


letteratura

perfetta-

vola di fiamma

varie Lydie, Lyce, Lyde, che egli canta,

le

siano figure soltanto letterarie, per quanto,

meglio

scrivendo

Orazio,

leves.

esse

bruciarsi le

in

credere che

ed

con sicurezza

del resto la intuisce facilmente ogni

lettore sensibile e intelligente; molti critici, specie, strano

dirsi,

francesi,

hanno tentato

di Tibullo e Properzio,

con

amori

di ritracciare gli

mediocre successo,

perch

non hanno riflettuto che in poesia cos complessa e riflessa non lecito ritradurre grossolanamente ogni carme
in un avvenimento reale senza tener conto della tradizione e dell' intento letterario la lirica di amore oraziana
non ha neppure invogliato, ci che significa molto, a
;

^tentativi siffatti.

Le poche
brano invece

poesie di
di

amore contenute negli Epodi

passione

pi

ardente.

La

vi-

stanchezza

amante, che non deriva gi dall' avere


operato, ma lo rende essa stessa incapace di agire, di
pensare, di vivere, il dominio di uri' immagine sola che
acquista tanto potere nell' animo dell' innamorato che

profonda

(1)

p. 339.

dell'

Intorno

ai

nomi

dei personaggi

erotici di

Orazio

cfr.

sopra


egli

si

muove

393

per la vita senza vedere ne udire

attraverso tenebre cieche e sorde, non

rappresentate da poeti

sono

come

state

mai

con altrettanta efficacia

antichi

quanta da Orazio nell'Epodo 14: mollis inertia cur tantam diffuderit imis oblivionem sensibus, pocula Lethaeos tit
si

ducentia somnos avente fauce traxerim, candide Maecenas,


saepe

occidis

L'amico che

rogando.

lo

scuote da questo

sonno, simile a quello di chi abbia inghiottito a grandi

una bevanda oppiata, l'uccide senza saperlo

sorsi

Cosi nell'Epodo

15 l'etera che gli

stringe

si

(1).

addosso

come l'edera all'elee, e cos anche nell'Epodo 11 (2) la vergogna per le ciarle, che intorno agli amori per Inachia
correvano per la citt, non hanno riscontro nei tre libri
delle Odi.

rino

Nel

libro quarto l'amore per

rappresentato

il

fanciullo Ligu-

con colori vivi: IV

adhuc per vero una variazione

crudelis

10,

tutt' altro

che originale

un vecchio motivo, ma nella prima ode Orazio vecchio non ha ritegno a descriverci gli effetti che su
sur

lui

produce

gli

scorrono per

nel

parlare,

la passione per

le

il

giovinetto, le lacrime che

gote, la lingua che

gli

si

impaccia

sogni che non gli danno tregua e lo co-

stringono anche dormente a continuare


del fanciullo amato.

veduto pi sopra

(p.

se

357),

1'

l'

inseguimento

ultima strofa, come abbiamo

ha riscontro

un carme

in

di

Teocrito, Orazio questa volta molto pi appassionato.

Taluno forse vorr tradurre in avvenimenti reali anche questo scemare e riaumentare di calore nella poesia

benevolo senza intenzion3 nascosta, ooutrastii


mi vuoi bene e mi fai sottriro le pene di morte .

Candidile,

1)

coli' occidis

questo pensiero ailonibrato in


(2)

(jnell' ejiteto.

Questo nei particolari abbonda per vero

nistiche,

come ha

fatto vedere

il

Leo,

giudicare un po' diversamente che

ma

egli

di

reminiecenze

nel complesso

non facesse.

1'

epodo

elle>

da

394

che egli giovane si lasci


che giunse nella prima virilit a
compostezza perfetta, la perdette di nuovo da vecchio.
Una tale spiegazione sembra a me quanto grossa altrettanto lontana dalla verit. La differenza , secondo me,

amorosa
andare

di

di Orazio, e sosterr

alla

stile.

passione,

Epodi, ove vuole emulare Archi-

Orazio negli

loco, lascia libere le briglie alla passione, e

passione amorosa ma, e pi ancora, specie

solo alla

Sul modello del Pario, artista sincero e

venili, all'odio.

uomo

non

in poesie gio-

pane al pane e vino al vino,


mostrano nella rappresentazione della cosa e nella
scelta dei vocaboli gli Epodi 8 e 12. Il primo canzoniere
anch' esso un frutto dello ^ri^oc. per Alceo, come gli
sfrenato, egli osa dir

corrie

Epodi dello
arte

sono

hanno

Cy^Xo;

per Archiloco;

divenuti

in

risentito anch' essi gli

augustea: come

ci

ma

questi tre
effetti

siamo studiati

libri

di

suoi principii di

pi

della

mostrare nel primo

atteggiamenti poetici sono

capitolo del presente

lavoro, gli

qui pi composti e

meno sciolti che non


modo che opere di

lesbici,

complicati,

restaurazione

a quello stesso

nei canzonieri
arte neoattica

ma meno
Come abbiamo ve-

presentano figure e movimenti pi dignitosi


liberi

che non

rilievi

attici

duto, Orazio in quegli

antichi.

stessi

passi di Alceo, che, quasi

motto, inserisce nei suoi carmi, suol correggere quel che


gli pare raen degno di un Romano e di un famigliare di

Augusto. Per queste stesse ragioni nei primi tre libri delle
Odi egli atteggia il suo amore con minor libert e maggiore compostezza che non i suoi modelli formali, i poeti
lesbici, che non i lirici ellenistici da cui attinge tanta
copia di motivi.

Nel seguito della presente ricerca noi troveremo confermato quel che abbiamo del resto gi dimostrato in
generale (p. 352 sgg.), cio che la lirica erotica di Orazio
presenta riscontri cos evidenti con epigrammi di Asole-

395

piade e di Posidippo che par lecito pensare egli


motivi, se non da

attinto

quegli

contemporanei, da carmi

lirici

Eppure

abbia
epigrammi, da carrai
forse di quegli stessi

lirici

un genere che Orazio

nelle Odi
mentre quei due, e specie Asclepiade, non
si lasciano sfuggire gli effetti che facilmente se ne ricavano, il genere osceno o anche solo lascivo. Nelle Odi
di Orazio non troverei alcun accenno, nonch al xcr^x''autori.

non

vi tutto

tratta piai,

(Asclepiade

Cetv (1)

neppure

202),

turni (Asclep.

quella

dell'

{Asclep.

AP V

si

7,

AP V

203; Asclep. o Posid. (2)

150).

Anche

mantello che

unico

AP V

Asclepiade

AP V

lampada, testimone degli

alla

un'

copre

agoni not-

immagine come
i

due

amanti

169), troppo lasciva per la lirica oraziana.

compiace

di porci sott'

occhio

il

suo

Amore

163,

Amori scoccanti dardi (AP V 194 (3), XII 105, 162,


166), e ci non soltanto in epigrammi mezzo scher-

zosi,

ma

o gli

anche

in altri in cui la

passione parla sincera e

profonda. Per Orazio Venere mater saeva Cupidnum

IV

(I

19,

ma

Cupido non apparisce altrove che nel cor5);


teggio della dea, e sempre quale figura scherzosa, sia
che, mentre la madre e le Ninfe ridono dei fortunati
1;

1,

spergiuri di Barine, egli in servigio della bella

aguzzi sulla cote

le

frecce

(II, 8, 14),

sia

mendace

che voli intorno

anche questa volta ridente, insieme con lo


(I 2, 34). Neil' un caso e nell' altro la
limitazione pu essere stata imposta da ossequenza al
modello classico Alceo non aveva n scritto carmi propriamente lascivi, n cantato gli Amorini, quantunque
a Venere,

Scherzo, con locus

(1)

Vedi invece nel diacorso dello schiavo Da\o senn.

(2)

Piuttosto Asclepiade che

^pigrammata

(diss. di

(3) Anclie

Asclepiade che

queat'
:i

Posidippo:

cfr.

II

7. "jO.

Sciiott, Posidippi

Berlino 1905), 91.

epigramma appartiene

pifi

probabilmente

Posidippo, cui puro ^ attribuito: Sciiott, 90.

ad


avesse celebrato Venere

:J96

UH semper haerentem puerum.

et

Nonostante le derivazioni ellenistiche, Orazio non voleva


che le sue odi rinnegassero o celassero l'ispirazione lesbica.

Ma

siffatta

considerazione non giova a spiegare

un'altra differenza: dei non molti epigrammi conservati


di

Asclepiade parecchi appartengono alla Musa puerilis;

Alceo non cantava, pare, se non puerorum amores, tant'


vero che Orazio non sa caratterizzare meglio la poesia
di lui Qhe citando il suo amato, Lyco, Lycum nigris oculis
nigroque crine decorum.
si

a quali particolari intimi Alceo

spingesse nella rappresentazione di

amori, mostra

tali

un noto passo di Cicerone (1). Orazio nei primi


delle Odi non canta mai amori maschili, mentre

tre libri
li

cantati senza scrupolo negli Epodi: nunc gloriantis


libet

amor

mtilierculam vincere mollitia

Converr ravvisare
poloso del decorum

in

Lijcisci

questa differenza

dell'arte, cio

aveva
quam-

me tenet (11, 23).


uno studio scru-

una tendenza, pi che

classica, classicistica (2).

Appunto questo

spiega, a

parer

come Orazio

mio,

nelle odi erotiche dei primi tre libri ci

faccia

l'

impres-

sione di rimanere, per cos dire, un po' a distanza dalle

sue creazioni. Asclepiade mette a nudo senza ritegno

suo

cuore e

si

duole

che

sentano del suo tormento

le

(AP XII

46)

ventidue anni e sono stanco di vivere.


questa tortura

perch

mi ardete

se

morr, che fa-

rete ? Certo, Amori, giocherete spensierati ai dadi

(1)

De

nat. deor. I 79.

Sngli amori di Alceo

vazioni del Fraccaroli, Lirici,


(2)

Anche

il

nelle Odi.

motivo romantico della vita

(p.

e.

1,

cfr.

le

come

giuste osser-

164.

resa felice dalla presenza dell'amata, che

mente da Tibullo

il

non si riNon ho ancora


Amori, che

esterne

cose

sgg.

5,

povera

svolto

21 sgg.),

campagna

in

cos

incantevol-

manca

del

tutto

prima

Egli

convito

397

mostra senza pudori

si

(AP XII

appende corone bagnate


Orazio ne nei suoi

dalle sue

7iapa7.Xa'ja''{)"jpa

suo pianto, fuorch una volta

come scansa

la

piangente

nel

50) o dinanzi alla porta dell' amata, cui

in

lacrime

(AP

145).

n altrove parla del


I
14, dove il modo

parola propria, mostra che egli non sa

confessare lacrime di amore a testa alta: umor


nas fiirtim labitur.

Asclepiade

et

un epigramma

in

in ge-

erotico

(AP XII 166) parla di ci che gli rimasto di anima;


Orazio, come abbiamo veduto sopra (p. 260 sgg.), apphca
all' amore ma all' amiciepigramma Asclepiade dice s inari-

questa bella parola antica non


zia. In

quello stesso

dito nei patimenti, svsaxXrjxw? v'at; (l); Orazio confessa

macera {epod. 14, 16; ci 13, 8).


Nel quarto libro, lo abbiamo veduto, la passione si
sfoga con minor ritegno. Ma appunto nel quarto libro
molte altre particolarit annunciano che Orazio non
rimasto fedele agh ideali austeri di arte che reggono e
pi che

al

contengono

amore

1'

l'

lo

ispirazione nella prima raccolta.

motti lesbii

mancano quasi

In esso

del tutto. Orazio, invece,

qua e l pindareggia, se pure con la discrezione del


buon gusto. E nel quarto libro accanto alle poesie pindariche, subito dopo due carmi che promettono gloria a
coloro ai quali sono indirizzati, trovi una poesietta per vero

(1)

A.

RosTAGNi

finisce cos

Poeti alessandrini (Torino,


jrli

bruciano

il

cuore.

Bocca

Eppure

capitolo su Asclepiade

il

191(5),

e<^li

si

237:

Vino, amore,

dei

suoi

volutt,

avvolgeva nella sua rosea atmosi faceva un trastullo

sfera di arguzie e di sogni, e di quei travagli

a servizio dell' immaginazione . Io trovo l'atmosfera dell'arte asclepiadea piuttosto torbida che rosea, sento in quell'arte assai pi sen-

timento che immaginazione. Al Rostagni non riesce in fondo di prender sul serio la tenerezza e le nuilinoonie di un giovane che vive solo
per l'amore e per

gli

amori: ([uesf incapacit fa pi onore alla sua

seriet giovanile che alla sua esperienza.


quasi insignificante

accennato per

IV

398

crudelis adhuc, nella quale

10,

prima e ultima volta in tutto il canzoniere oraziano un motivo veristico, quello deWa. piuma che
render

meno

la

desiderabile

timo libro

di

spontaneo,

meno

Odi

il

corpo dell'amato. Quest'ul-

insieme, lo abbiamo detto, pi

nell'

a ideali teorici

ligio

di

meno

arte,

con-

non primi tre. Negli anni pi tardi


Orazio ha ritrovato non gi la passione ma la libert
scio di se stesso che

artistica degli anni suoi primi.

Orazio
il

dipinge giovani e fanciulle che vivono per

ci

convito e per

1'

amore.

Le

fanciulle sono rappresentate

capricciose, volubili, avide talvolta di danaro,

glierebbe a partito chi

le

ma

si

sba-

ritenesse meretrici, nel senso

almeno pi ristretto della parola. Le donne di Orazio


hanno libert di scelta: Lycoris ama Ciro; questi, che
non la pu soffrire, corre dietro a Pholoe che non gli
d retta (I 33). Pyrrha si adorna e si atteggia in tal
modo che 1' amatore ingenuo si ripromette da lei fedelt
Barine

giura a tutti fede; la giovent che le


bazzica per casa, non sa staccarsi da lei per quanto spesso
lo minacci. Questi amatori sono detti servitus, essa do(I 5).

(II 8)

mina; neppur
di consolare

rotto fede

pubblica

lei donna volgare. Orazio si studia (I 33)


Albio Tibullo dolente che Glycera gli abbia

chi

si

aspetta, chi esige fedelt da

La Lydia

di

13,

Cum

tu, Lijdia,

una donna

Telephi, tor-

menta

il poeta lodando la bellezza di un rivale. Cinara,


dopo aver vissuto qualche tempo con il poeta, un bel
giorno scompare lasciandolo in asso (epist. I 7, 28): mter
vina fugam Cinarae maerere protervae. Nec uno contenta

(epod. 14, 15) gi

espressione

La Lydia

non

tutte la meritano.

dipinta quale meretrice,

bordello,

se

si

di I

ma non

pu permettere

segno che
25 parcius iunctas

ingiuriosa,

di

quale femmina

dormire

di

tranquilla,

mentre
e

giovani battono con sassolini alla chiusa finestra

sfogano in lamenti dinanzi alla porta. Anche mere-

si

vere

trici

per

appaiono

proprie

Neaera che

il

banchetto insieme con

il

nella

poeta per mezzo

(III 14),

la

Lyde

scortum

(II

11, 21);

La

399

senatrice di

ma

l'

lirica

oraziana,

la

uno schiavo si ordina


unguento e con il vino
di

lira,

scortum, se pure deviurn

esse sono accessorio, nulla di pi.

differenza di tono sensibile.

Anche
simili. La

Cynthia properziana dipinta con colori


gelosia che afferra Properzio, ogniqualvolta
vede, nonch falsi parenti, ma la madre e la sorella della

l'amata baciarla
essa fosse

(II 6,

7 sgg. 11 sgg.), sarebbe ridicola, se

una donna pubblica. L'aver essa preso parte

un convito
favori
nuovo
e abbandonata
a

in

sua

(II 9, 20),

le

quasi egli potesse accampare

un tempo temuto che


tro

ceHbato

il

li

l'aver

sollecitato

di

che gi una volta l'aveva amata

di colui

assenza,

le

rinfacciato
diritti

su

lei.

da Properzio,
I due hanno

Augusto con-

leggi preparate da

dividessero, quamvis diducere amantes non

qiieat invitos luppiter ipse

duos

(II 7, 3).

L'amore

qui rap-

come una convivenza non sancita da


poich pu finire ogni momento per volont

presentato

legge,

che,

di

dei due, conserva perenne

spontaneit
(1)

il

uno

pregio della novit e della

(1).

Non tutte
IV 7 p.

properziane rispecchiano

le elegie

la stessa

conce-

Cynthia morta appare al poeta in sogno per


ricordargli 1 tempi quand' ella, appesa a una fune, discendeva di
nottetempo dalla finestra della sua casa della Subnra per abbracciare
l'amante. Qui 1' amore dei due clandestino, furtum. Non si sorprender di tale contraddizione chi ripensi come n Cynthia sia uTia
personalit storica, n le elegie un libro di memorie: dovremmo anche
zione

in

e.

prendere sul serio la finzione romantica che

morta

di veleno (IV 7, 36)

tolti dalla realt:

letteraria.

Ma

1'

amata

di

Properzio sia

nel canzoniere sono anche elementi

tutto sta a saperli disceruere

da

ci che finzione

Per quanti elementi


Cvnthia, questa classe

4()0

siano

letterari
di

figura

nella

di

donne che vivono per l'amore,

pur non essendo meretrici prezzolate a tanto per notte,

non esisteva soltanto nella fantasia accesa di poeti.


primi due libri dell' -4r.s Amandi ovidiana espongono
mezzi per conquistare e rattenere

siffatte

donne,

il

I
i

terzo

fornisce a esse le armi per rivalersi, per prendere e te-

avvinti

nersi
al

amatori.

gli

primo assalto

Donne

cederebbero

volgari

meretrici non respingerebbero le lettere

amatore senza leggerle, sia pure con l'intenzione nascosta di render pi tormentoso 1' amore, negandogli soddisfazione (I 469, III 473 sgg.); non si schermirebbero dalle
prime insistenze, pregando di esser lasciate in pace (I 483).
Tempore difjfciles veniunt ad aratra iuvenci, tempore lenta
pati frena docentur equi (I 471 sgg.): a che perdere tempo
con una sgualdrina? Sobbarcarsi per tali donne a un
dell'

lungo

tirocinio,

sarebbe

sono naturalmente

non

ai regali,

pazzia.

tutt' altro

Le

cos per che anche

il

al

danaro e

povero, se fornito

non possa, superando

di spirito, di audacia, di pazienza,


difficolt

fanciulle di Ovidio

che insensibili

innumerevoli, conquistarle e tenerle

(1

161 seggi).

ma Orazio nell' et
Esse cedono facilmente al ricco
matura si consola, ricordando di esser piaciuto nella
sua giovinezza elegante a Cinara rapace senza bisogno
di doni
quem tenues decuere togae nitidique capilli, quem
;

scis

immunem Cinarae

Meretrici

Ovidio

placuisse

rapaci (epist.

14, 32).

chiama l'amante respinto, meretrici le dice


dove mette in guardia il suo amatore povero

le

contro

le

mali

arti

che esse sanno adoprare per spillare

danari

(I

435)

(1).

Ma

(1)

Nei Tristia

per altre donne

che

il

(II 303)

nel terzo libro, nel quale rivolge

Ovidio protesta di non aver scritto l'Ars

clie solis meretricibus :

qui gli importa mettere in luce

suo libro non era destinato a corrompere se non gente corrotta.


ad

esse

come

la

2mella

401

parola

blando

chiama

la

maestro, sono dette puellae,

sua amata Catullo

un passo

degli Amores distingue con precisione quasi scientifica la

sua donna e

compagne

le

dalle meretrices:

meretrix certo cuivis mercabilis aere


quaerit

opes;

quod vos

10,

21 stai

miseras lusso corpore

et

devovet imperium tamen haec lenonis avari

facitis sponte,

coada

facit.

Le une

schiave,

et

le

queste scelgono, quelle no. Domina e amica


nomi in bocca all' amatore galante Catullo
dice del suo amore per Lesbia, morto per colpa di
tum te noti tantum ut volgus amicam, sed palei: dilexi
altre libere

sono

loro

(LXXXI

ter ut natos diligit et generos

3) (1).

Il

termine

commedia, dove tuttavia non si trova


adoperato l'astratto, massime con tanta gravit dolorosa
quanta in aeternum hoc sanctae foediis amicitiae (CIX 6);
qui tutto il contesto mostra quanta dignit il sentimento
profondo possa conferire all'unione non legale. Dobbiamo
forse riconoscere qui una tendenza romana? Il greco, se
gi noto alla

ha, che

manca

sappia, dal terzo

io

secolo in poi, amica,

cpiX?],

un termine corrispondente a domina (2).


romani non si intendono, se non si ha presente nel leggerli 1" indole di tali unioni compenetrate
del tutto di

Gli elegiaci

di

sentimento.
(1) Cfr.

'Iojv(?t

\i-f\nox'

CX

iinche

Quanto

(2)

1.

amica

ail

sxeivYjS s^stv

Callimaco ep. 25

clr.
|J.r,TS

cpfXov

xpasova

wfxoas KaXXiYvu)T&;

|jiVjts

Il

cfiXvjv.

passo

importante, perch mostra l'origine del termine: l'amica succede


l'amico di quell' erotica omosessuale del IV secolo,

come mostra

anche

fini

ciulla

abbandonata ha subito

toy(_oc,

morali,

dopo

tyiv

cptXiyjv

il

Simposio.

in principio

xiixcog

'Epws

Il

xf,(;

precede, non segue la congiunzione carnale.

1'

che

si

lamento della

cptXiYjg

al-

preiij,'ij

fan-

Kiipij lax' ivx-

impulso di amore che

Ma

il

foedua di Catullo

riporta amicitia al suo significato originario del patio contrattuale tra

due, cheli impegna per tutta

AT V

209.
2i>

la vita.

V. anche Asclepiade o Posidippo

40!2

che condizione sociale appartengano le attrici dei


minuscoli drammi artiorosi di Orazio e dell' elegia, ben
noto: lo dice chiaramente, sia pure in forma negativa,
Ovidio

Amandi:

in principio dell'Ars

este procul, vittae te-

nues, insigne pudoris, quaeque tegis medios instila longa pe-

des

(I

31) (1)

dunque non

slazione e pi dai costumi


Ci furono

donne

iade? Ce ne furono nel

matrone

le
(2),

amori

ma

di

(jifese

dalla legi-

libertine e peregrine.

tal

fatta nell'antica El-

mondo greco

Delle etere della Grecia pi antica

dell'

et ellenistica?

noi

dobbiamo con-

vogliamo essere sinceri con noi stessi, di saper


poco; le amate del poeta antico che ha pi ceduto ad
amori femminili, Anacreonte, non erano da lui trattate,
per quel che vediamo, n con stima n con rispetto (3).
Le etere dei vasi attici non sono che carne. La donna
a cui la maggior parte dei lettori avr subito pensato,
Aspasia, ci , nonostante le molte notizie che intorno a
essa abbiamo, del tutto ignota; che lo scherzo, lo scherno,
fessare, se

la

leggenda

sono cos

si

presto e cos completamente

impadroniti della sua figura da


realt storica.
cle

non

ci

sopraffare del

Caduto

il

tutto

la

verosimile che la TraXXaxrj milesia di Peri-

appaia etera se non perch

riconoscendo

(1)

connubio con

la

legge attica, non

la straniera, lasciava libero

iu disgrazia ed esule, Ovidio cita in sua difesa questi

versi {Trist. II 243 sgg.), a ragione: cli

1'

Ars Amandi

non

fatta

per corrompere se non chi sia gi corrotto. In fondo un' opera assai innocente, il cui pregio consiste nel contrasto intenzionale tra la

forma saccente dell' insegnamento dottrinale e la tenuit dei contenuto. Un' Jrs Amandi in miniatura gi in Tibullo I 4 la risposta
di Priapo al poeta.
(2)

et;

il

La Lesbia

catulliana,

tempo ultimo

donua maritata, appartiene

restaurazione augustea. Del resto anche in

quel

un'eccezione scandalosa, come mostra la Caeliana.


(3)

a un' altra

non la
tempo Clodia era

della Repubblica fa molto pi libero che

V. Fracoarolf,

Lirici.

II 270.


campo

403

maldicenze dei nemici e ai frizzi dei comici. Del quarto secolo possiamo illuderci di sapere qualil

alle

ma

cosa di pi,

documento

il

do-demostenica contro

Neaera,

orazione pseu-

1'

trasporta

ci

impenetrabili al sole dell' arte.

della vita

donne

principale,

non

augustea

et

dell'

in bassure

Del

troverebbero

quelle distinzioni cos nette e secche tra eTapat,


(cap.

'(uvaly.zc,

intorno

all'

intorno
altro,

amore

Il

spiritose

569

vo'jaat

a)

(1)

(571

conserva

d).

le etere di

aneddoti,

quanto

si

cui
s

ma

si

narrano facezie

tutte

jiY3cX|iia8-oi

sempre

pur

cortigiana celebre

thaina pagata a notte (581 b)

dimenti consueti

materiale,

sono

voglia,

Anche una
di quelle

tzocXXocy.'X.

gran lunga maggiore


pi che di

e per la parte di

Ma

le

in

XIII di Ateneo, che tutto

libro

meretrici,

alle

di curiosit.

spesso
(p.

122).

resto

posto

[jiiaO-ap-

come Gna-

corrisponde

ai

proce-

signore che ella richieda per

giovane una somma favolosa a un vecchio orienche par poco pratico di Atene; essa pronta, del
resto, ad abbassare il prezzo, appena si accorge che il
la figlia
tale,

satrapo pi esperto di quanto essa credesse. Gli episodi

che

Machone narrava

di

lei

portati

in

Ateneo,

nelle Xpscac, quali sono

mostrano

che essa

ri-

concedeva a

si

chicchessia senza scegliere e che gli avventori la tratta-

vano senza troppi riguardi


romani della

dei personaggi,

agiatamente

ancorch

vi%,
si

(2).
si

In

Menandro

e nei riduttori

vantino spesso

rispecchiano per

ma modestamente

lo

le

ricchezze

pi cerchie sociali

borghesi.

Le amate

dei

romani sono libero, quand'anche libertine; le amate


di Plauto, anche quelle che per amore di un giovane
riescono a tenersi pure, sono o vengono ritenute schiave,
poeti

(I)

L'opposto

(-J)

V.

in

ispt^cic

ai
p.

rti

-)v oxyj[ixitov

r.so

i.

(ji.

liJS

di,

iiuadraiittiiiaf.

che

padrone,

il

il

404

Uno, affitta o pu affittare

al

miglior

offerente.

Gli

epigrammi

di

sono

Asclepiade

per

loro

natura

troppo frammentari, espressioni fuggevoli di momenti


fuggevoli, perch sia possibile dir molto sulle donne del
poeta; pure chi tutto inaridito dalle sofferenze, non

si

stanchezza della vita fa

contenta di amori
vedere che il poeta ha posto nell' amore tutto l'animo
suo. 1 pochi epigrammi erotici di Callimaco ci introducono
in un mondo simile a quello della lirica oraziana e delfacili,

la

romana: questi giovani che sono o vogliono


parer poveri, non cercano nell'amore soltanto uno sfogo
del senso, ma amano con tutta l' anima. Il poeta protesta
che la fonte pubblica non per lui (ep. 28), vuole che
nascosto agli altri (ep. 29). Epicyde
il suo bello rimanga
l'

elegia

ha disgusto

suma

della preda troppo facile (31), Cleonico

tutto (30),

l'amore segreto

si

si

con-

manifesta in sospiri

profondi (43); gli amati si insinuano con mille moine (44),


fuggono per ritornare (45). Ma l'oggetto di quest' amore
sempre

un

giovinetto,

non una fanciulla

gli

di Callimaco sono sacri alla cfiX-at; vao;.


Pure considerazioni generali e indizi certi

epigrammi
mostrano

che donne simili a quelle della poesia augustea esisterono

nel

mondo

ellenistico.

moderna insegna che

il

libero

risce nelle citt grandi: in

L' osservazione

amore

campagna

di

tal

della vita
fatta

fiori-

e in piccoli centri

agricoli la distinzione tra la ragazza onesta e la meretrice


ancor oggi cosi netta come nella Grecia antica. Ma

come abbiamo veduto teste, aveva carattere


non meno che Roma; essa era anzi in
grande
di citt
certo senso pi moderna di questa, perch viveva di industrie esercitate piuttosto da uomini liberi che da schiavi.

Alessandria,

Viene spontaneo di pensare che anche qui amore libero


come nella soe urbanesimo andassero di pari passo,
almeno per il
Alessandria,
per
non
Se
ciet moderna.

405

non manca del resto un esempio illudi donna di cui qui parliamo. Nosside Locria fu donna di gusto squisito e di buona cultura, come mostrano gli epigrammi conservati di lei

mondo

ellenistico

stre di quel

genere

nell'Antologia. Tutto essa pot essere fuorch un' etera

volgare, eppure in

un epigramma celebre

(1)

(AP

170)

essa fa intendere francamente, anzi non senza un certo


orgoglio, di conoscer bene

piaceri dell'

amore

Nulla

pi soave di amore: ogni altra beatitudine pi pic-

anche

cola:

miele d nausea.

il

Questo

dice

Nosside.

Quegli cui Cipride non abbia baciato, non sa quali fiori


le rose . La poetessa parla per esperienza propria;

siano

a che, se no, quel firmarsi in fondo all'apoftegma sulla

amore? E la proposizione Cui Venere


non abbia baciato , appunto perch posta subito dopo,
beatitudine di

mette in rilievo che essa, la poetessa, stata baciata


da Afrodite. Nosside ha non si sa bene se piet o dicostui come se
chi non sappia l' amore
non conoscesse le rose. Chi parla, non una
meretrice comune, ma una docta pnella, come le amate

per

spregio
tra

fiori

dei poeti romani. Ovidio esige dalle fanciulle a cui sono


rivolti

precetti dell'ars

Amandi

(III

329),

conoscenza

dei poeti classici, degli Alessandrini pi celebri, dei

mo-

voga Nosside non solo ha pratica di poesia,


ma ne compone essa stessa. Le donne di Orazio (p. e.
Ili 28, 11; 9, 10) sanno cantare accompagnandosi con

derni in

la

cetra;

cosi

le

discepole

di

Ovidio

(III 319).

Anche

questa forma
una [jLO'jao'jpy^?
del meretrasformazione

senza
dubbio
una
di amore
tricio, e meretrici sono le flautiste che prendono parte
ai conviti su vasi attici. Ma via via che la cultura non

Nosside

la

soltanto

musicale

[xzXor.o'.c

data allargando e

(l)

V. sopra

\t.

di

fu

questo genere

allnando,

:<2l.

esse

di donne si era anavevano preso una

iOf)

posizione sociale diversa. Gli scherzi delle meretrici an-

Mania

di

ticiio,

fanno ancora
raffinato,

ma

e Gnathaina, messi in versi

l'efTetto di

da Machone,
tutt'altro c\ui

Nicarete di Megara fu scolara del filosofo

Stilpone (Athen. XIII

596

avere pi che una vernice

compagne di Epimeno Leontion dovette

Delle

e).

curo e dei suoi scolari per


tribuiti, sia

spontaneo

spirito

lo

cultura, se a lei erano at-

di

pure da malevoli,

dell'amante contro

libri

Teofrasto (Epicurea 101, 30_sg.); eppure secondo la fama

talamo del grand' uomo, non cess per

essa, inalzata al

questo di concedersi anche ad

(Athen. XIII 588

altri

b).

compagna del
poeta, Neil' et alessandrina si conosce per lo meno un
esempio di un' etera che ha saputo amare di amor vero
Alcifrone (IV 16) ci ha conservato di Lamia ateniese
una lettera galante insieme e appassionata a Demetrio
Poliorcete la favorita ammira il re potente e il grande
Nella poesia augustea

l'

amata

la

capitano ed sinceramente riconoscente

dell'

amore

cui questo l'ha degnata, sollevandola sino a se.


tera nella sua

forma presente

tentica, o per lo

rifacimento

meno composizione

di

La

di
let-

una au-

elaborata su fonti

antiche e buone (1), certo non invenzione dello stolido retore

una volta schiave e meretrici, viuomo che 1' ha comprate e manomesse,

Alcifrone. Donne, che

vono ora con

1'

senza cu-

per spontanea propensione e per gratitudine,

guadagno, non mancano perfino nella commeditali la Philematium della Mostellaria di Plauto,

rarsi del

dia

Filemone

cio di

(1)

strauo che

(2).

il

Wilamowitz, pur ammiraudo

ha tradotto da par suo {Henn.


le

etere di questo secolo {Staat u.


(2)

gli

XLIV

Come mostra

la

Gesellschaft 197).

scena terza del prim'atto, l'Habrotoaou de-

Epitrepontes menandrei

e di scaltrezza, v. quel

la lettera che

1909, p. 466 sgg.), stimi cos poco

un misto

di aftettuosit

seutimentale

Roma XX,

1917, 187 sg.

che ne dico in Atene

4f)7

Ha la poesia alessandrina cantato 1' amore libero con


una donna che l'amante, amando, rende sua pari? Il lamento della donna abbandonata ci mostra la tradita
che insegue l'amato,

umilia a

si

lui,

pronta a

subire

qualsiasi trattamento, pur di riaverlo.

Questo che qui


non mercenario: la donna

amore libero,
immaginata fanciulla di famiglia onesta, sedotta dalle
arti audaci di un uomo senza cuore. Cos la Simaitha
teocritea si data per amore, ma a un uomo solo
essa
sta pi in alto anche delle donne oraziane. Quanto a
elementi sentimentali in amori pi leggeri, una risposta
chiara ci data, del resto, anche per la societ ellenistica
dall'esame dei carmi oraziani stessi, nei quali donne di
quella fatta che abbiamo delineata nella prima parte
tratteggiato,

questo paragrafo, sono congiunte indissolubilmente


con motivi che ragioni interne palesano alessandrini. Si

di

pu

tutt' al

timentale di

pi supporre che
tali

l'

intimit e la libert sen-

amori divenisse maggiore presso

Ro-

mani, che questi nell'amor libero portassero pi ricchezza

non a caso un'espressione come f/ow/a


abbiamo veduto, nel linguaggio erotico dei Greci,
nel quale pure la donna pu chiamare padrone l'amato (1);
la parola non si trova del resto nelle odi di amore del
di

vita interna:

manca,

lo

troppo equilibrato Orazio,


descrive gli affetti con

ma

negli elegiaci, la cui poesia

meno

Ma

ritegno e pi passione.

concezione dell'amore quale amicizia assai frequente


nella letteratura alessandrina
l'epigramma di Callimaco

la

(1)

Nel

Jameuto dellu dunna abbuudonata

noxexXsifivvjv, Segai

|i',

sciar fuori, (aiiinii entrare:

sione ,

chiama
erotico.

il

xupis,

Ovidio (Avi.

jiyj

\i'

V'fiS

non mi

la-

accetto di essere schiava della mia pas-

.seduttore di condizione

domiiinif

It)

s5ox(jj, ^YjXtp SouXeustv: Sij^fuore,

Ili 7,

pi
11)

La sna l'amiullu
momento di spasimo

elevata.
in

un

donde e come essa

citato sopra (p. 401) mostra

col alla

fa ricontro

y-'XT)

40S

sia sorta:

nell'erotica maschile

'^O^oi;;

il

IV secolo, cosi ricca talvolta di elementi spirituali,


come mostra il Convito, l'amato insieme un amico, pu
divenire, come appunto nel Convito, pii ancora un amico
del

che un amato.

ora passiamo a considerare

luogo quelle animate da

spiriti

in

primo

prettamente

elleni-

alcune
pi

odi,

stici.

1.

La

riconciliazione degli

Due che

si

sono amati,

s'

amanti

(III

9).

incontrano a caso

sono

primo osa parlare l'uomo: finch hai voluto bene a me pi che ad altri, sono stato
pi felice del gran re . La donna pi ardita e nomina
riafferrati dal desiderio

la rivale

che

non mi

celebre com' ero

lice,

zio

finche

che

il

lettori,

Chloe,

preferisti

io

per virt dei tuoi carmi

fui
.

fe-

Ora-

poeta, parlando qui della gloria, ha voluto

messi gi suU' avviso dal

nome

di

Lydia,

comune, doveva ricordare loro la- Lydia


lasciva, dura, capricciosa del primo libro (I 8, 13, 25), inOrazio accetta
tendessero che l'amante proprio lui
la sfida: S, vero, appunto Chloe mi tiene, dotta nel
canto nel sonar la cetra; purch' ella viva, son pronto
il

quale, pur

a morire

Dir l'altra abile nella musica, vuol dire ne-

gare questo pregio a Lydia

momento

aperti a mezzo,

si

cuori

che

erano

si

richiudono ora,

ma

la

un
ma-

mostra che l'amante fa forza


a se stesso. Lydia risponde con orgoglio pari amo ricambiata Ornyto di Thurii; purch egli viva, sono pronta
a morire due volte . Anche puero una malignit: egli
lignit stessa delle parole

un

fanciullo,

tu

invece....

Ciascuno dei due mente,


non solo

all'

ma

altro

r altro r inganna e
rappresentazione di

non

pelle pelle,

409

si

a s stesso, e ciascuno sente che


inganna espressioni cos forti nella
amori che non sogliono ferire se non
trovano che l dove l'amore attizs'

zato da un altro sentimento, l dove l'orgoglio cerca velare


il

Ma

rimpianto.

noa ne pu

Orazio

pi e osa, di nuovo

per primo, esser sincero, quantunque con certa timidezza:

che

l'

bronzo? se
a

Lydia?

amata nuova,

alla

proposta

la porta
.

si

e ci riattaccasse

richiudesse a

passaggio

Il

gagliardo

cos

che

Chloe,

dall'affetto

affronta

la

per

morte,

rinnovare l'amore morto, per timido che

di

quel quid

sia
si

di

riaprisse

si

amore tornasse

diresti se l'antico

giogo

al

si,

cos brusco,

che

lettore

il

ripensa

convince sempre pi che Orazio non stato sincero,

che

il

suo cuore, se pure ha amato Chloe, non

appagato

di essa,

far dispetto.

Ma

che

il

ma, come sogliono

il

ghiaccio rotto

tu

pi

mai

Lydia acconsente,

donne, non senza porre in luce

le

grandezza della sua rinunzia


stella,

si

poeta ha parlato cos solo per

leggiero del

egli

pi bello di

sughero, pi

la

una

iracondo del-

l'Adria; eppure con te vorrei vivere e morire . Qui essa


sincera: se desse ascolto alla ragione, rimarrebbe con
il

pi giovane, con

il

pi bello, con

il

pi costante dei

due; eppure il sentimento la trascina, che l'antico amore


r ha tutta riafferrata. Le espressioni sono qui, sebbene
pungenti, pure di urbanit squisita: egli pi bello di
ormai in et matura e brutto ; segue invece, volubile e iracondo .
Accuse contro il carattere offendono un amatore assai

una

stella ; si aspetterebbe:

meno gravemente che


zione avvenuta,

ma

tu sei

taccia di bruttezza.
il

La

riconcilia-

lettore sa che Orazio rimpian-

ger presto Chloe, Lydia, Ornyto.

L'ode

piaciuta

fra tutte le oraziane,

ad Alfredo de Musset che, essa sola


1' ha
una volta tradotta, un' altra


ridotta.

410

romantico ha sentito congeniale a se e alla


viveva, lo spirito che anima questo carme.

Il

societ in cui

Non

verisimile che egli gustasse sinceramente

classica,

ma

ha scelto

l'ode che in tutto

meglio

il

ammireremo V

noi

il

istinto sicuro

con

poesia
il

quale

canzoniere di Orazio esprime

sentire ellenistico.

Wilamowitz

Ulrico di

scrisse anni

sono

(1):

Anche

donec gratus eram Ubi deve derivare dalla lirica antica

".

Se queste parole non vogliono dire soltanto che il contrasto tra amatore e amato si trovava forse gi nei lirici classici, esse contengono un errore non facilmente
perdonabile. Non vogliamo per ora dir nulla della forma,

ma

gli

sono ellenistici

spiriti

tezza che non

ci

ellenistica

l'

irrequie-

lascia trovar pace nell'amore presente

e facile ad appagare, e ce ne

rimpiangere

fa

un

altro

che credevamo morto per sempre; ellenistico lo squilibrio passionale per cui gli amanti vedono il meglio e

come

da forza

si

appighano

Il

sentimento che anima quest'ode, assai affine a quello

che ispira

al

peggio,

tratti

l'epigr. 31 di Callimaco, wYpsuxy^?

irresistibile.

come

il

cac-

preda gi colpita, cos l'amante


dietro
chi
fugge.
Un' amata non riluttante non ha
corre
a
pregio per Lydia come per Orazio la discordia e l' abciatore passa oltre

la

bandono passato danno un sapore acre


dell'

amore.

mentali

Il

che

gusto per
io sappia,

le,

al

rinnovarsi

diremo, complicazioni senti-

estraneo alla lirica classica,

nulla nei frammenti conservati permette anche soltanto

immaginare che dai poeti antichi si trattasse nulla di


simile. Lydia non solo un istrumento di piacere, come
r etera di Anacreonte, ma una donna pari a Orazio, perd'

(1)

Gottinger J^'achrichien 1896, 225

ba modificato

la sna

^
;

egli,

opinione in un lavoro

piti

come vedremo
recente.

subito,


che vive degli

411

sentimenti

stessi

della

stessa

senti-

mentalit.

Un

poeta della generazione precedente, conosciuto e


stimato da Orazio, Filodemo, rappresenta drammatica-

mente in un epigramma (A P V 46) l' incontro di un


giovane con un'etera: Salute! . Altrettanto . Come ti
chiami? ^>. E tu? . Non te ne incaricare (1). Neppur te. Hai qualcos'altro? Sono a disposizione
chiunque mi ami . Vuoi cenare questa sera con
me? . Se ti fa piacere . Va bene; quanto vuoi per
venire? Nulla in anticipo . Quest' strano. Ma
quanto ti sembra giusto dopo, tanto dammi . Ci tieni
di

alla

giustizia.

Guarda

Voglio subito

Dove abiti? Ti mander a chiamare


Quando verrai? All'ora che vuoi

Fammi

sono lasciati sfuggire


frivolezza. In

un

il

altro

strada

posteriori

non

.
.
si

motivo cos elegante nella sua

epigramma anonimo (A P

101)

giovane ferma, evidentemente per istrada, la cameriera


che accompagna l'etera e attacca con lei discorso (2): Sa-

il

lute,

fanciulla!

precede?

Altrettanto .

Che

t'

Chi

Ho una

importa?

colei

che

ti

ragione per do-

mandare . La mia padrona . Si pu sperare?


Che cosa vuoi da lei? Una notte . Che porti?
Oro . Fatti coraggio . Tanto . Non riesci a
nulla

La cameriera

persona pratica di

tali

risponde
affari,

secca

prezzo proposto troppo inferiore


lascia in asso l'insolente.

(1) cpiXarro'jSoj
(2)

il

Un'

ma

spiccia,

non vede che

finch
alla

da
il

merce, e allora

altra variante dello stesso

codice, ^iXoz-oiiz: Kiiibel.

Assicurarsi dell'ancella

drona, consiglio anche ovidiano

priui.i di
(./.

A.

cominciar l'assalto
351)

per intenderlo

all;t

pa-

l>iso,!;na

riponsaro che anche libertine non volgari >ion uscivano so non aecoin-

pagnatc da ima diicua.

\1>

motivo repigramma anonimo AP XII 156. Uno schiavo


intrattiene con la meretrice o pi probabilmente con

s'

fanciullo

il

un'altra volta

Non

(1).

parlarmi

arrischiare

ti

cos

Che colpa ne ho io? Egli mi ha man-

dunque ripeterlo anche una seconda


mi ha detto: Va; ma sbrigati, ti
si aspetta . Prima sapr chi , e poi verr; la terza
cosa la conosco da tempo . Nei due epigrammi anonimi
si vede chiara l' intenzione di variare, di aggiungere una
trovata, un particolare nuovo, desunto dalla vita comune
ma non ancora rappresentato dalla poesia. Il secondo epigramma maneggia pi liberamente il tipo tradizionale;
.la finzione che i due s' incontrino a caso, sostituita da
dato

Oserai

volta?

Certo; egli

^t

quella che lo schiavo ricerchi per conto del suo padrone

l'amato: nelle intenzioni dell'autore l'arguzia finale consiste

probabilmente nel cambiamento brusco del fanciullo,

che appena

non

si convince che qualcuno lo vuole sul serio,


mostra pi offeso della proposta audace e bada

si

non compromettersi
epigramma anonimo

solo

L'altro

lodemo,

di

cui

riproduce

In tutt'e tre identica

(1) 11

uou
in

persino

fanciullo

ma

le

intenzione

motivo per cui l'epigramma

proprio evidente,

un

l'

agli occhi

mondo

del

(2).

pi simile a quello di Fi-

formule di saluto.
realistica,

collocato nella

le affettate

che in una meretrice;

ritrosie

s'

identico

Musa

puerilis,

intendono meglio

la pederastia in

et

romana

tarda era considerata infame e punita gravemente.


(2)

L'oscuro nptxov xsvov spYjaw

da intendere
drone;

il

cos

Lo schiavo ha

"jC^^y

^^ ^ sano,

ricusato di dire

il

mi pare

nome

del

sia

pa-

fanciullo, sollecito del suo onore, tnge di sentirsi offeso della

proposta insolente, finch non

ma, prima di venire

al

si convince che essa fatta sul serio,


convegno, vuole ancora scovare con chi avr

a che fare. Quanto all'atto egli confessa a quattr'occhi di esserne pi


esperto che

1'

altro

non creda. La cautela nel trattar 1' atarft, quasi


e pericolosa, indica, come abbiamo accennato,

questione assai delicata


et tarda.

modo

il

cio
chi

rappresentare

di

legge, non

cambiamenti
l'epigramma

(1):

sono tutt'e tre epigrammi,

per la lettura, eppure non

poesiette
li

413

li

tono e perfino gesti:

di

di Filoderao,

guarda

lascia

gli schiavi

mai cadere Una

il

gustano se
risparmiare

-/.a-ajjLvO-av

non

non accompagnato da un movimento


tica la tecnica a botta e risposta:

locutori

si

recita a se stesso senza

s'

della

del-

intende se

mano. Iden-

nessuno degli inter-

frase dell' altro.

Poich

intermediari portano nei due epigrammi ano-

nimi una complicazione di tono un po' maggiore^ essi


saranno posteriori a Filodemo. Questi, se non ha inventato il tipo, probabile lo abbia improntato profondamente di quelle forme che gli rimasero: gli epigraimiii
posteriori sembrano, direttamente o indirettamente, imitar

Fors'anche

lui.

r epigramma
senso

il

di

motivo, ispirato a esso?

Io credo lo
di

carme oraziano, che ha comune con


Filodemo la forma dialogica, in certo

il

Filodemo

si

debba

nulla a che fare con

timentale

e,

senz'altro negare

chi

il

cuore.

Il

(2).

L'epigramma

l'amore non ha qui

realistico e frivolo:

carme oraziano sendue personaggi sen-

ben guardi, grave:

tono sinceramente, ancorch

il
loro sentimento sia tutche una grande passione. Nei particolari l'ode ha
finezze di sentimento e di espressione ignote a Filodemo.

t'altro

(1)

L'epigramma A P V 308 presenta analogia grande

tuazione e nella trattazione.

Un

nella

si-

tale 'tenta di attaccar discorso per

istrada con nna bella, le fa proposte, le offre danaro, invano

ma

d per vinto, che sapn\ bene superare le ritrosie la prossima


volta; per ora addio. L'epigramma non e dialogioo, perch la donna
non d retta, ma la tecnica mimetica , nonostante il personaiigio
.id
muto, la stessa. Il carme attribuito dal codice a Filodemo
Antitilo; imitazioni da Pilodemo provano che di Antifilo.
non

si

<i

Non credo abl)ia


XXI 1908. 83, cui

(2)

biicher

miglianza.

inteso asserirlo

spetta

il

il

Rkitzknstf.ix.

.V. .luin--

merito di aver accennato alla so-

comune

Di
l'

ili

come abbiamo

o' ,

detto,

l'

invenzione

del-

incontro casuale e la tecnica <lialo<^ica introdotta nella

poesia

l'epigramma

se

lirica,

corto senso, poesia lirica.

in

Ma

Filodemo, ha rovesciato, a cosi

manda

di

Filodenio pu

di

dire,

potremmo aggiungere che

composta per

mande

lettura.

|)ur dirsi,

ha imitato

E anche

non

se

motivo: col do-

il

amore, qui riconciliazione.

nica dialogica non identica se


logica,

Orazio,

in

tec-

la

che dia-

ci

dialogica

in poesia

Del resto, mentre Filodemo ha do-

e risposte, brevi, precise, secche,

che intendono

una conversazine affrettata per


via, dove gli interlocutori non vogliono dar troppo nell'occhio, in Orazio, ogni volta che uno dei due parla, le
sue parole occupano tutt' intera una strofa, e le strofe
a riprodurre lo

si

stile di

corrispondono a coppie nel pensiero e nella struttura


Espressioni ripetute alla lettera o con varia-

sintattica.

zioni abili nei membri ritmici e sintattici corrispondenti


aumentano ancora l' impressione di concinnit. Ciascuno

due amanti ripete, applicandola a s stesso, la frase


dell'altro, con un'aggiunta che ne accresce il valore
dei

sentimentale

questo

si

direbbe un raffinamento

della

tecnica del carme amebeo.

L'osservazione esatta della tecnica permette forse di dare


risposta pi adeguata alla

domanda che

ci

non dico intorno

ma

precedenti

alle fonti

ai

Ma

in

(1) Io ci'edo

di ritenerli corali

che

il

Fraccaroli {Lirici II 201 sgg.) abbia ragioue

contro quella che forse

zione di Catullo nel carme

1'

opinione dei

eloc.

LXII amebei erano


;

dai frammenti. Pure evidente che Demetrio,

non

di Alcmane,
carme 17 di Bac-

un' opera drammatica, nell' ultima parte

fondandosi sulla descrizione di Demetrio {de

parole,

let-

troviamo forse nel partenio

certo negli epitalami di Saffo (l) e nel


chilide.

siamo posti

dialogo non estraneo all'antica

terari! di quest'ode. Il
lirica corale: lo

intorno

in possesso di

167) e

iiii,

ma

suU' imita-

di certo, come si vede


come appare dalle sue

una tradizione sicura

sul

modo

di

reci-

415

delle Ecclesiazuse aristofanee (952 sgg.)

riscontra, svolto

si

un duetto melico, un motivo assai simile a quello


dell'epigramma di Filodemo: un giovane e una giovane
si offrono e si chiedono scambievolmente amore. La situazione, lo abbiamo detto, simile a quella di Filodemo, quantunque
due non s' incontrino per caso, ma
la donna aspetti alla finestra un amatore. L' amore
tutto sensuale, dipinto con colori ardenti, non con la
in

leggerezza galante
gliante

all'

Filodemo.

di

corrispondenti che nel

le strofe

La

tecnica pi somi-

oraziana, tranne che forse, se

guono, devono essere

contemporaneamente

state, o

intendo bene,

dei codici

testo

almeno

in tali casi in libretti

se-

si

intendersi, recitate

moderni

di

opera, nei quali tale procedimento comunissimo, le due


parti sono
ritornelli,

dei

due

ma

moderno:

come

le

mezzo

sola volta in

recita,

in OraziO;

parole comuni,

alla

una

parte identica, appunto

seconda
tarli,

stampate a colonna;

una

lo

pagina

(1).

[ixXXv

sazi

o5' iv apiJLaat Tipg tv y^opv

Yj

7rotf,iJiaxa
tiooc,

xyjv

ma

strofa intera,
-^'jjxv.ov,

xaxa
Xpav,

5iaXsxxix$. 8i osservi quel jiXXov cos cauto o

un

S.a/.sYsaS-a!.
s

e.

la

ritornello.

induce dall'esame dei carmi, come farebbe

a'jx^^

p.

Ognuno

lir^xt?

tilologo
yj

eV/]

osiv,
y^opog

quel potenziale.

Ma

carmi interi ed era uomo assennato, cosicch


Demetiio leggeva
possiamo fidarci del suo giudizio. Anche il celebre fr. 28 s 8' r,)(eg
connesso erroneamente gi da Aristotele con
eaXctv "ijjicpov yj xgcXcov,
Alceo, nel quale una fanciulla ricusa amoi'e, doveva appartenere a un
i

dialogo,

ma pu

riferendosi le parole conservate a

una proposta precedente,

aver formato parte degli epitalami. Se invece

il

dialogo era

un carme per so, donec gratiis sarebbe gi;\ in certo senso forma lesbica, come sospetta il AVilamowitz {Sainho u. Simonides 113), ben
pi cauto ora die non venti anni sono, ma solo nel senso che il dialogo di amore si ritroverebbe gi nella lirica monodioa di Salto. Spirito e tecnica rimangono in ogni caso diversi.
(1) Suppongo questo per spiegare come nuli 1' nomo nella prima
coppia di strofe insista perdio l'amata eda, mentr' essa
oll'erta

inteso,

ma
pu

si

questo del parlare per conto proprio come se non


e.ssero

procedimento convenzionale.

era
si

gi
fosse


Nella

])riina

coi)[)ia

41C)

donna

la

recita

l'

invito al passante

ad avvicinarsele e a dividere con lei il letto, che ella


presa da amore; l'uonio prega lei di scendere ad aprirgli le porta, che se no, egli cadr e rimarr disteso l,
tanto desiderio

lo

angoscia. Le prime parole sono iden-

tiche nelle due strofe:


ritornello

che

le

ler favorire le

osOpo

t^,

Zt^^o

Sr^;

segue, una preghiera ad

brame

identico

Amore

il

di vo-

Nella seconda cop-

degli amanti.

con pi fervore da lei; egli con


una serie di apostrofi ne vanta la bellezza: comune
anche questa volta il ritornello: aprimi, abbracciami,
io soffro per te , bench 1' aprimi , chi volesse guardar sottilmente, non conviene in bocca all'uomo, diretto
alla donna. Questa leggera inconseguenza, 1' uso del ripia l'invito ripetuto

tornello, le ripetizioni,

metri

per lo pi

facili,

mettono

e trochei assai semplici,

in

giambi

sospetto che Ari-

in questo carme che, se pure le strofe furono


contemporaneamente,
ben pu dirsi araebeo, imiti
cantate

stofane

motivi e tono della poesia popolare.

Anche

l'imitatore di Teocrito che

compose

l'

idillio 8,

con l'intento evidente di imitare canti popolari,


che i suoi pastori si rispondano l' un 1' altro in lasse di
gual numero di distici: anche qui la responsione molto
accurata, ancor pi che in Aristofane, quasi quanto in
Orazio: baster, a mostrarne un esempio, trascrivere una
finge,

coppia di lasse, 33
ai Tt Msvxa; TzrjzoyJ

sg.:

ad

ay/.sa xal

TzotafJio'',

O-eov

yhoz,

aup:x-? 7cpca:piXc aas \xiXoi, '^i^y.y.r

iy.

xg fjLvSas corrisponde, fin nelle spezzature del pe-

t|;i))(5

riodo, fin nel

modo con

cui le proposizioni grammaticali

si

incastrano nelle divisioni ritmiche xpvao xal poTavat.

yl'j-

ai tz.^ &|j.otov [xo'jogobi Acpvt; ~aTa:v rpo'/ioi,

toOto

xepv cpuxv,

x ^ouxXiov TitaiVcTS.
{xrjov

eXaaaov

a'43i)-ova

-vxa

eyo'.

r;^

risponde

vjjio'..

Come

i ~oy.'
y.rjv x:

sv9-Trj

Aiyvt; yjiav SafiXa:,

McvaXxa;

in Orazio,

irp' ^^YQ. yjxipor^

manca

il

ritornello.

_
non

che, se

forma propria della poesia per canto,

erro,

mentre questa, come quella

Come

tura.

417

in Orazio,

di Orazio, poesia

per

let-

ciascuno dei contendenti cerca di

lo stesso motivo ma aggiungendo una particolarit nuova: i due amatori di


Aristofane non lo potevano, perch erano d'accordo sin
da principio, anche, credo io, perch cantavano contemporaneamente. Gli argomenti sono naturalmente pastorali,
quindi diversi da Aristofane e da Orazio qui il mutamento dei motivi consegue necessariamente alla finzione

vincere

l'

avversario ripetendo

bucolica.

In conclusione, io penso che gi la

poesia popolare

greca pi antica avesse cantato in carmi amebei


r amore, forse la forma pi semplice dell' amore,
chiesta che, respinta

che

una

altre pi complicate.

recitava, o

Per questo canto


1'

era fissata

si

un interlocutore

fingeva che recitasse la prima strofa,

si

ri-

e vince, fors'an-

volta, insiste

a poco a poco una tecnica speciale;

lirici

la

l'al-

tro la seconda, nella quale era ripreso lo stesso motivo,

in corrispondenza sintattica e ritmica

con r aggiunta di un
di trascendere quel

strofa introduceva

terza

come

alla

prima, e cosi via.

detto che T interlocutore recitava o


tasse:

non

vi

ignoti

alla lirica

questa non parla sempre

ammettere che
parti diverse,
tisti di

lo

ma

studio

si

Abbiamo

fingeva che reci-

nessuna necessit di supporre che questi

contrasti fossero
in

la prima,

che nella prima era detto. La terza


un motivo nuovo, la quarta stava alla

seconda

la

con

nuovo, con

particolare

il

il

monodica, che anche

poeta.

Che

difficolt

cantatore o recitatore sostenesse

come vediamo

fare

ad
due

anche oggi a canzonet-

strada?

Filodemo applica questi procedimenti alla pittura realistica di un mondo frivolo, riduce tali contrasti a un
piccolo
27

mimo

elegante

per lettura. Orazio

li

trasporta,

418

perfezionandoli, alla rappresentazione di anime

meno sem-

complicazioni sentimentali. Io credo che qui un

plici,

di

[iiXoc

ellenistico

abbia fatto da mediatore tra

lui

la

poesia popolare, non Aristofane, cui pur egli aveva letto

meno

a scuola, tanto

come implicata una

quell'ode

motivo

Nel

la poesia lesbica.

di

certa sentimentalit molle,

estranea normalmente all'anima di Orazio,

la

quale pure

Se egli in questo carme


pi romantico, pi ellenistico che in qualsiasi altro, noi
osiamo concludere, anche senza che riscontri ci aiutino,
che quel motivo- fu gi trattato da un lirico ellenistico,
che questo rappresentato qui uno stato d' animo passeggero eccitato dalla lettura. Lo stile anche in que-

ha ben conosciuto

la malinconia.

st'ode preciso e conciso

come

nelle pi belle di Orazio

nessuna parola messa a caso, e ognuna piena di


significato. Sentimento romantico e stile classico: solo
r arte pi perfetta fonde il contrasto, sicch noi non ce
ne accorgiamo se non ragionando, se non notomizzando.
L'ode perfettamente una per l'impressione, per l'emozione del lettore. Orazio ha saputo questa volta traspor-

un carme

tare in istile classico


Il

ha voluto

Reitzenstein

ellenistico.

vedere

Lydia

nel

multi

nomini s un allusione precisa a un distico celebre di Asclepiade: questi aveva fatto dire a Lyde, la donna celebrata
dal poeta
o'

Tzb

Lyda

Antimaco

Kpo'j
di

AuSyj

asjjLVOipy]

nome

rcaawv

e di razza,

pi nobile di tutti

-/.od

ma

yivoc d[i\ xal to-jvojxa- twv


el\xi

oi'

'Avti|jiaxov

grazie ad

discendenti di Codro

son

Antimaco sono
.

Ile^v; per

vero nobile, mentre multi nominis corrisponde s al latino


nobilis, ma in italiano piuttosto che con nobile , che
corrisponde

al latino generosus, si

lebre, glorioso

anche

il

esprimerebbe con

ce-

resto della strofa oraziana con

quel clarior riguarda piuttosto la fama che la nobilt.

motivo non

raro negli erotici. Properzio,

tradito

Il

da


Cynthia

(II

5,

la

3),

419

minaccia che

ch'egli un'amante: inveniam tamen

qaae

nostro Carmine

fieri

nota

velit.

con Asclepiade assai grande:


superare

di

Romana

la

si

sapr

trovare au-

e miiltis fallacibus

la

Pure
Lydia che
la

imam

somiglianza
si

vanta

corrisponde a capello alla

Ilia,

che si confronta con le discendenti di Codro, il re


che qual padre di Neleo divenne nella leggenda

Au5rj

attico,
il

un nome romano
procedimento, come abbiamo veduto nel

capostipite degli Ioni

Il

(1).

a uno greco
primo capitolo del presente
liriche;

nelle

posto per

il

un'allusione

sostituire

libro,

cos

caro all'arte di Orazio

dotta, pur

cos fuor di

nostro gusto in una poesia di amore, cos atta

a toglierle ogni immediatezza,

Pu

non sconviene

alla

sua arte

citi non
un classico ma Asclepiade ma anche in un altro carme
egli non ha ritegno di prender uno spunto da un principio
celebre di Callimaco (2). Tuttavia all' allusione io non
credo: una minuzia, una pedanteria, credo per non vana,

dotta e riflessa.

al

pi sorprendere che egli


;

me

ne sconsiglia

Lyde
amata, come fa
strofa alla

se egli avesse voluto alludere in quella

di Asclepiade,

in altri carmi,

avrebbe chiamato la sua


non Lydia ma appunto

Lvde.

// -apaxXa'ja''9"jpov (III

Il

10).

poeta canta, immaginiamo facilmente, di nottetempo,

dinanzi a una porta chiusa, implorando che lo

si

faccia

motivo attinto non solo alla tradizione


letteraria ma alla vita. Tra
Greci il T^paxauatO-jpov divenne consuetudine, non appena l'amore di meramente senentrare. Quest'

(1)
(2)

TOKi'FFKK, Attische Genealogie


Vedi sopra p. 26(t, 27 J.

23'^ sgg.

420

suale divenne anche sentimentale. Dinanzi alla casa di quel


fanciullo cui Anacreonte, certo in

una canzone a dispetto

perch egli ormai, appassito

il primo fiore,
pu dormire a suo agio senza aver tirato il catenaccio,
si saranno spesso
fermati y(.(~)\ioi, cortei giocondi di gio-

(fr.

88), irride,

vani usciti allora allora dal banchetto con


di

vino e di desiderio;

ranno

stati cantati,

ma

le

uapaxXauat^upa per

vene gonfie
lui non sa-

che egli non soleva lasciar fuori

gli

momento in
cammino per fer-

amanti. Se quei giovani capitavano in un


cui esso era occupato,

avranno ripreso

marsi dinanzi a un' altra porta

saranno entrati con

la violenza.

o,

il

se erano troppo

Pure

lo stesso

ebri,

Anacreonte

un ammonimento a un fanciullo troppo


Perch cos in alto voli, o tu che ti sei bagnato di
unguento il petto pi cavo di una zampogna di canna? E, se non TiapaxXauai'O-upa, domande sentimentali di
amore, che annunciano gi i xko'. della poesia ellenistica, si trovano nel cos detto secondo libro di Teognide,
9)

(fr.

vano:

rivolge

che, a giudicare dalla rozzezza di

non

molti versi, contiene

primo (1). Pure il Pausania del


d notizia (p. 183 a) di un modo di
fare all'amore, che in Teognide non troviamo ancora: giovani di buona famiglia si contenevano con l'amato, un
parti

posteriori al

Convito platonico

ci

fanciullo di condizione sociale pari, quasi fossero stati suoi

giuravano e spergiuravano, lo supplicavano qual dio,


pernottavano sulla sua soglia; in queste consuetudini di
servi,

vita

amorosa ha radice

il

7:apaxXuaiO'upov.

Le

Ecclesia-

392 o nel 389, ci mostrano che


anni
viveva
di vita rigogliosa: il duetto
quegli
in
gi
esso
che abbiamo esaminato dianzi, non un 7:apay.Xauc;:0"jpov
zuse, rappresentate o nel

(1)

Il

Fraccaroli,

Lirici oreci 1 175 crede tutto

il

libro pi antico,

lu raccolte di tal genere converrebbe esaminare la tecnica di ciascun,


gruppo di versi di per s. Teognide stesso appartiene forse del resto
al principio del

qninto secolo.

421

r uomo non ha ragione di piangere, perch trova la giovane sin troppo pronta alle sue voglie pure egli esprime
un pensiero che nel TtapaxXauat't-upov , come vedremo subito, consueto, anzi tradizionale Se non mi apri, cadr
steso qui e morr xccxaTieajv x''aop,at. Questo subito in;

tenerirsi
di

sorprende alquanto, a dire

ma

amore calda

gioconda: non

il

si

vero, nella richiesta

pu non pensare che

Aristofane attinga qui a una tradizione costante, a quella,


vien fatto di supporre, dei TiapaxXauafO-'jpa popolari; popolareggianti sono ritmo e tono di tutto

L'uso continua per tutta


plautino (V.

perch

il

duetto.

l'et ellenistica.

sgg.) l'amatore scongiura

147

al pi presto

mandino

Nel CurcuUo
i

catenacci,

fuori l'amata; pochi versi

pi sopra aveva sparso vino dinanzi alla porta con

l'in-

tento confessato che la vecchia Lacaena, sentendo l'odore,

avvertisse la sua presenza (80 sgg.). Qui


dire, della

ma

porta volto in ridicolo,

il

culto, per cos

perch

lo

scherzo

abbia sapore, necessario che l'uso esistesse o nella vita

almeno nella
di

letteratura.

Chi ripensi

alla descrizione

Pausania, trover pi naturale che Menandro o chiun-

que

altri fosse

l'autore del modello

attico del Curculio,

scherzi qui sugli eccessi affettuosi degli amanti, di quel

che non metta


a

in caricatura poeti, ])er

quanto

letterari ellenistici siano giunti fino a noi

l'i'jpx

numero.

Un

canto

come

Trapay-Xx-j-

in

buon

alessandrino delhi fan-

quello

abbandonata, ha troppo evidentemente intenti misi possa immaginare che non riproduca una situazione che era possibile nella vita di
ciulla

metici realistici, perch

donna esclusa canta essa il -xpaxXaua-'iS-upov: ruminazione sua consiste nell' abbassarsi a
ci
(;he noiruomo era normale.
ogni giorno. Qui

la

Lucrezio mostra che non solo


l'arte

ma anche

rosa di

il

motiv^o era passato nel-

che i!;\\ usi erano passati nella vita amoKoma: il suo amant(> escluso , 7ioxxXi{jivoc

4^i:i

comporta con ancor meno dignit dei giovani attici


Pausania solo la passione
rende scusabili: at lacrumans exclusus amator limina mepe
si

del Simposio, clie pure secondo

floribiis

amaracino

postesque siperbos nnguit

et sertis operit

sgg.)- Per quanto


figit (IV 1177
anche nella dottrina dell'amore Lucrezio rispecchi opere
greche, non si pu dubitare che egli non farebbe appello,
quasi a fatti di esperienza comune, a consuetudini che
non fossero quelle del suo popolo, mentre il suo carme
et

foribus miser oscula

aspira a conquistare proprio


trina che sola

viva e cerchi
ricadono

come

16) essa conversi

(I

le

scolpare

di

pubblico romano alla dot-

Questo culto, per cos

s,

in Catullo

con

(67) e in

samente da quello
bacia

di

Pro-

come persona

passati

su cui, sebbene innocente,

colpe della padrona. L'amante

che pu parere figura


anch'egli

il

alla felicit.

porta spiega

dire, della

perzio

mena

letteraria,

non

si

properziano,

comporta diver-

Lucrezio, che ritratto dal vero

gradini

della porta (v. 42), anch' egli

appende a essa ghirlande (v. 7). Neil' ode ad Asterie


(III 7) Orazio non descriverebbe il suo Enipeo quale giovane romano primeggiante negli esercizi che sono propri dei tirocinia iuvemcm, l'equitazione nel

il

nuoto nel Tevere, se

quale egli

il

lo dipinge, fosse

simile

si

tibia,

ignoto alla notte romana e

nulla pi che reminiscenza letteraria.

mento molto

Campo Marzio

suono lamentoso della

La

tibia o

ritrova in Aristeneto

(I

un

14)

istru-

Phile-

mation rimprovera all'amante di rompersi le gote a furia


di soffiare nella siringa, mentre doni di danaro sarebbero
a lei pi accetti che non suoni e canti. Il tardo retore ri-

com' noto, se non l'elegia, a cui molti pensarono, almeno letteratura erotica, poetica e prosastica, di
tempo alessandrino. La vita e la letteratura romana continuano anche per questo rispetto vita e letteratura elspecchia,

lenistica: quindi

riscontri.

423

dunque, rappresenta qui una scena quale


poteva osservarsi ogni notte per le vie pi lontane dal
Orazio,

centro e pi scure della

Roma, dinanzi a

sua

libertine ricche e superbe

della

loro

bellezza.

case di

colori

romani non mancano infatti nel quadro, ma sono cos


ben fusi con gli elementi derivanti dalla tradizione dei
poeti ellenistici, che non si avvertono disarmonie. Una
leggera ironia, sparsa su tutto il carme, gli conferisce

un carattere tutto suo Orazio prende, si direbbe, lievemente in giro l'amata e se stesso, mentre sospira per lei
uomo moderno, egli sorride del suo amore in quel punto
:

stesso in cui lo sente pi tormentoso. In ci egli assai

degli Alessandrini, segnatamente

pi riflesso

di

Ascle-

abbandona tutto agli affetti del momentoIn questo carme di Orazio noi sentiamo pi chiaramente che in ogni altro quella certa distanza, che egli,
come abbiamo avuto occasione di notare poc'anzi, frappone tra se e la sua creazione almeno nelle liriche
di amore. S' intende quindi facilmente come in questo
carme di amore manchi del tutto la menzione dell'atto
che anche Lucrezio considera proprio dell'amante rassepiade, che

si

gnato

durezza ingiusta,

alla

prendere alla porta

il

deporre sulla soglia o ap-

corona. Asclepiade ne parla senza

la

scrupolo, trasformando con la sua consueta

gesto di disperato in galante


le

egli supplica

eleganza

(A

PV

il

145)

corone bagnate delle sue lacrime, pendenti ora a lato

che non scuotano via troppo presto le foglie,


perch quella pioggia, la sua pioggia, stilli sul capo
biondo dell' amata, quand' essa esca la mattina di casa.
ai

11

battenti,

motivo doveva essere usato e abusato, se si poteva


Romani parlano dell'atto
(1). Tra

giocar con esso cosi

Lo

(1)

corone

(A P

ritrova per

si

appese
02)

il

sono

colmo

is.

trofeo

di

in

Meleaiirii

amore,

dell'orjjojjlio,

(A

3XopY''lS

quando

la

1'

V UU), per
per

oxOXa.

donna calpesta

le

cui

k-

Kiitno

corone


Tibullo
re(ji

(I

cum

meminisse decet quae plurima voce pe-

14), te

2,

supplice,

4-24

posti florida serta darem, e Properzio, se

quelle sue parole

porta ante

alla

tuo quotiens verti me,

perfida, postis, dchitaque occtdtis vota tuli


si

devono, come pare, intendere

manibus

non firmate. Pochi versi sopra, la


mentato et mihi non desimi turpes pendere

corollae

et

exclusi signa iacere faces.

troppo poco

Orazio

non

quindi

virile

(I

16, 43)

diremmo noi,
porta stessa aveva la-

di offerte,

l'atto

semper

doveva parere

conveniente alla sua

lirica.

un nome che compariva, in


poesie greche, poich Erodiano, che spogliava testi, non
si curava della lingua viva, parla del modo di accentarlo
(I 313, 31 L). Poich il TiapaxXauatO-upov per sua natura

L'amata

del poeta porta

poesia cantata, qui ancor

siamo

certi

pi che in ogni altro caso


che Orazio ha attinto l' ispirazione a melica

carmi lirici che si riflettono nei numerosi TcapaxXauai^upa epigrammatici dell'Anellenistica, forse a quegli stessi

tologia, p.

in quelli di

e.

probabile che proprio

ma

serenata ellenistica,

Asclepiade e

Lyce
Ja

si

chiamasse

Lyce

di

Callimaco.

la

donna

del poeta,

come

in

una

gi l

prima strofa accenna, la seconda e pi la terza fanno


vedere chiaramente, divenuta una signora della societ
romana, forse una libertina, maritata a uno sposo compiacente, che non chiede altro se non che la moglie usi
a lui quella stessa indulgenza che egli pronto a mostrarle. Essa abita in una casa edificata secondo i dettami
dell'ultima moda con un peristilio arborato nel bel mezzo.
Se tu bevessi l'acqua del Tanai, sposa a uno Scita

peudeuti dalla

8!i

di strappare la

anche

in

a porta.

quest'atto:

all'ira cos.

L'amatore

corona che voleva

di Teocrito (III 21), clie

nn cittadino

non

si

minaccia

mostra rustico
sarebbe lasciato andare

offrire all'amata,

si

crudele, pure, Lyce,

qui

4^26

piangerebbe l'animo

ti

r estremo nord sono a casa loro


i

lasciarmi

di

della porta, zimbello degli Aquiloni che nel-

fuori

quella

particolari

tradizionale

l'amante disteso sui gradini,

tano gelido.

Il

comincia:

Possa tu

La scena

la notte d'inverno,

dormire, Conopion,

dormire qui nel tuo vestibolo

tramon-

il

23)

come mi

fai

Callimaco (A

uapaxXauai'O-upov di

con

porta chiusa

la

in tutti

Asclepiade, lasciato

(1).

contrariamente alla promessa, invoca (V 164), a testimonio del giuramento violato, la notte, Anch'egli parla

fuori,

nominata
(1)

Tivcaaig.

iXou

xot[jL''^ig*

tn dormire,

cbg

sguita

o'jTojg

8'

piet ueppure

spontaneo

rabilmente

sogno.

canizie

par

xiaaag

sionato

u)$

xiv

30 S'oS'vap.

si

lasci

pxaxrjv

pi

il

che

y.ot|j,^sig

(oc;

bello,

perch

patetica
stesse

po-

parole

tioie? xo'.|ia&a.

i|jis

Xio'

8'

o8' vap

e
;

r^-i-

Par quasi che un improvvisatore appas-

le associazioni delle idee,

cenno

ai vicini assai

senza

quell'abbondanza

ma anche

nou

il

contrario. L'ac-

naturale; della canizie vendicatrice


di

particolari che spesso disgusta

senza

le

reticenze

li

altri

sapienti di Orazio,

sensibilit poetica sogliono ora dir jnale, assai

dotto, assai pi spontaneo

parla

si

in

Callimaco, l'Alessandrino di cui anche uomini d'ingegno e di

men

possa

trasportare senza reluttauza dall'onda dello parole,

che queste suscitino

opigrannni,

xjjtyj

pi fresco, degli ej)igramrai; esso arieggia mi-

il

degli stessi giri di frase: oOxcos OrLVtaaig

wg xv

oixxs'po'jo'.*

richiamer presto alla

ti

questo

polaresca, non artificiosa qui la ripetizione delle

oOxto; 'jTtvcaaig

-i'^xp^^S

ama; tu uou hai


hanno compassio-

ti

vicini

andatura della poesia popolare

I'

ysT^a...

xo'.|jia3'ai

'{tm^zc,

dormire chi

fai

ia

ma la
A me

neppure per sogno,


mente tutte queste cose .

ne, tu

pili

xal

dixcoxaiv),

'j;:va)aa'.g,

o J5' vap Tjvxtaaag.

come tu

crudele,

conosciuto la

noiBiq

s\it

51 axix' ivafivi^ast xatd as Tivxa

tioXiyj

y)

Kwvcni&v,

upo9"jpot.s.

05' cvap.

[xaxprj

yjE,

Qui, invece del vento,

pioggia che bagna l'amante fino alle ossa;

la

o'JXisC,

tzoLprx

spaaiY)v

il

189):

Tcp jz^od-poic, v'aaofiac ^ievo?.

xoiGB

5'

tempo (A P

cattivo

del
-/.y)

meno

(^ui

molta

riflesso, assai

Orazio: gli Alessandrini, dill'amati

quali ostentatori di sapienza accattata, avevano interesso e senso per


poesia popolare.


in

un

sono

42()

altro suo 7i:apay.Xa'ja'>upov

congiunti

ux;

r,v

y.al

(V

vjE...

vento

107) pioggia e
-/.al

jiofr^;

']^'J7.?''^5-

ST'^i

vento che qui infuria, quello stesso


della poesia di Orazio, il tramontano tramontano e pioggia stanno, per vero, male insieme, ci che mostra come

Anzi

5 [xvo;.

il

Asclepiade abbia j)iuttosto cercato un effetto patetico


che non osservato la natura, e fa vedere a un tempo
che proprio il Borea doveva esser tradizionale in tale
poesia, se veniva in mente e nella penna anche un po'
fuor di proposito

vano

cos in

miii

pigra

un

(1).

Notte d'inverno e pioggia

uapaxXauaid'upov di Tibullo

nocent

hihernae

multa decida imber aqua


Properzio

(I

iacentem frigidaque Eoo

(1 2,

29)

mediae nodes, me

me

dolet

non

non mihi cum

uno

notte, gelo e vento in

ine

16, 23);

frigora noctis,

ritro-

si

di

sidera piena

aura gelu: qui ritratta

una notte serena d'inverno, come

in Orazio

(2).

L'accenno alla spietatezza dell'amata, cui la piet degli estranei d maggior risalto, era pure tradizionale. Callimaco nomina i vicini ^d.xo'^tc, oxxecpoua:, ab o' oo ovap.
Onesta menzione, cos naturale com', ha tutta l'aria di
esser presa da canti popolari i vicini, vedendo il sup:

plizio del poveretto, esposto tutta la notte alle intemperie,

non nulla, l'amata no


una barbara dell'estremo
nord, tenuta per giunta in riga dal timore di un marito
con cui non si scherza, pur soffriresti di dovermi lasciare
s'impietosiscono, essi cui pur egli

Orazio scrive invece: Se tu

fuori . Gli Sciti sono

(1)

Non

si

fossi

pensati qui crudeli

pu uaturalmeute escludere che qua

ma

l,

di co-

per parri-

olarit della posizioue geografica, venti che spirauo su per

giti

dal

nord, portino acqua.


(2)

Il

verso precedente turpis

et

in

tepido

stra che la menzione della cjjuxpxvjs della

Callimaco, era tradizionale.

limine

somnus

soglia, quale

si

erit

mo-

trova in


stiimi illibati.

primitivi vien
classe

Di concepire idealmente la vita


fatto naturalmente a qualsiasi
selvaggi

nazione,

sono venuti in voga nella

Giacomo Rousseau

Gian

di

popoli

di

persona satura e stanca di cultura. Nel

sociale,

mondo moderno
Francia

427

mondo

Saint Pierre. Nel

e di Bernardino di

antico, per- cui pure

giustis-

simi Iperborei erano sin da et vetustissima modello


virt,

moda

venuti di

tempo

al

dei sofisti, o forse gi a quello

non diremo filosofi ma


che immaginarono come

dei primi

coloro

Savi cos quella


queste
in

Anacarsi (1):

di

ragionatori

leggenda dei Sette

la

maturit precoce

queste generazioni

stirpi e di

manca

si

che per

per Erodoto

lo

pi

Lo Scita Anauna figura ben nota, per quanto

si

creda nient' affatto in dovere

di

tutto quello che la tradizione narra intorno a

ha

di

manifesta anche

tuttora ai popolani dell'et nostra.

non

egli

di

ionici,

la

quella capacit di criticare se stesso,

carsi

di

popoli viventi realmente nell' estremo nord sono

inteso

parlare

(IV

23) di

tutta

una

credere a
lui.

trib

Ma

egli

di Sciti,

che si nutrono, come gli Ipermescolato per vero a un liquido scuro


che stilla da un albero: anche questi Calvi sono un popolo di sapienti, poich gli altri Sciti si rivolgono a loro

gli 'ApYiuTcaoi

borei,

di

o Calvi,

latte,

in qualsiasi controversia,

e di santi, poich chiunque

si

rifugia presso loro, rispettato. Gli Issedoni, sebbene ab-

biano l'usanza

di

invitare gli amici a cibarsi della carne

del padre morto, mescolata con quella delle vittime, sono

(IV 26) XXw; 5''xaiot, in tutto il resto persone dabbene. A


EIrodoto propriamente non tutte le ijsanze scitiche piacciono, ma l'abitare in carri di legno (IV 4G) invece che in
citt murate gli pare un'invenzione sapientissima, perch

(l)

V.

Quanto airantiohit

VON DKK MChli-,

Fxlg.

di iiuestii vii. lo ossrrva/.ioiii assoniiato di


/'.

Jiliiiniier,

12.")

sfi.


li

428

rendo invincibili e irraggiungibili, assicurando loro

come non potrebbe nessuna

pi piena indipendenza,

tuzione

popoli

di

respirare

1'

verso un

pi

colti.

sentiamo

Nelle sue parole

ansia di tale che pur non rinnega la civilt,

mondo

pi libero e pi puro. Tanti secoli dopo,

Orazio in una diatriba poetica,


esalta degli Sciti quella

trovato

la

isti-

grazia

agli

III 24,

Intactis opulentior,

particolarit

stessa

che aveva

occhi di Erodoto: campestres

melius

quorum plaustra vagas vite trahunt domos, vivunt.


Tra Orazio ed Erodoto la cultura era andata, sia pure
con qualche zigzag, sempre crescendo, e di pari passo
con la cultura il disgusto per la cultura. La diffusione
della leggenda dello Scita Anacarsi un buon indizio
della forza delle tendenze romantiche avverse alla civilt:
egli diviene un santo prediletto dei Cinici. Nel tempo
Sc/thae,

augusteo,
proseliti,

come
cos

il

Cinici

rinati

disgusto per

guadagnano ogni giorno


la

cultura

si

fa

sentire

sempre pi forte: le catastrofi delle guerre civili dovevano ispirare a molti odio per istituzioni sociali che,
complesse e raffinate com'erano, non avevano potuto
impedire tanti orrori. Orazio sogn anch' egli nella sua
giovinezza romantica un'isola dei beati in cui trovassero
rifugio
pochi pii non macchiati dalla corruzione g-nerale, ed espresse il suo sogno in un carme di mirabile
i

eloquenza (epod.

Roma
tal

sogno

nella

16).

Dieci anni

pi tardi

si

susurr in

che Cleopatra vinta avesse anch'essa sognato un


(1),

Roma

di

tanto diffusi erano stati d'animo di tal fatta


quel tempo. Qualche decennio pi tardi Se-

neca dedica tutta una lettera

(epist.

90) a lodare

sel-

vaggi e a confutare Posidonio, che aveva attribuito agli


antichissimi savi 1' invenzione delle arti necessarie alla
cultura. Tacito nella

(1)

Cfr. sopra p.

59.

Germania

esalta

non pi

gli Sciti


ma

Germani,

Romani

il

4-29

popolo giovane, l'ultimo con

Queste considerazioni

spiegano

mini nientemeno che

donna barbara con

femmina

dello Scita

poesia

ellenistica

alla

che non ha inventato nulla


scorso (cio

noto

il

risposta di

uno

di suo,

discorso)

chiama

scitico ,

una donna all'amato,

vuol persuaderlo per via


lei

sprecarle.

di

come

rigidi,

no-

confronto beffardo della

gli Sciti. Il

la

ignoto

resto affatto

con

quale

perfettamente

Orazio nella sua serenata, pensando a costumi

f;acv la

il

fossero entrati in contatto.

non era del


Aristeneto,

(II

xr;/

20)

y.Kb

il

di-

Sx-j^-wv

nella quale essa

proverbi che spender parole

Ma

menzione

la

un popolo

di

quasi favoloso a proposito dei costumi di una signora di

non poteva non sonare non diciamo scherno

tal calibro

ma

scherzo

scherzo, tuttavia

esempio
dell'

di estranei

amato,

nominare
pressione

solevano

si

vicini,

saevo

che pure
in

nupta

viro,

un suo

tramontana

la

diritto,

amaro, specie

componimenti di tal genere


confermano quest' im per quanto crudele fosse

uomo

di

mondo;

a casa sua

ed

travagliando chi di notte

uscire in istrada

(1).

quale

se,

impietosivano della sorte

particolari

tuo marito ; invece


nibus,

si

incolis

Aquilo-

esercita

quasi

arrischia

Tutte queste minuzie sarebbero

di

si

non avessero intento scherzoso. Lo ha


ben inteso Lygdamo, se ha avuto dinanzi agli occhi Orazio, quando ha scritto (Tib. Ili 4, 91): te non ha genecattivo gusto, se

(1)

Ricercare con Kikssling-Hkixze anche in usperaa forte (jual-

che cosa di

pifi

contrasto tra

che

nn' espressione per

il

durum

limeii,

rozzi usci dei carri-capanne scitici e hi

vedervi un
bclKi

porta

Roma, mi pare eccessivo; neppur gli usci romani saranno stati soffici. Dura la porta, come dnra la donna che excliidil
domiiae dulces a limine duro
cfr. Tib. II fi, 47 saepe ego cnm
della casa di

(Kjnonco voccs
e

il

passo di

Prop.

II

Lygdamo

20,

li3

interea

iiobi

citato nel testo.

tionninnijiiam

ianita mollis,

rato barbara
et

ticc

vso

Scythiae tellus horrendave

domus

dnris >ton habitanda

et lorif/e

Sirtijs,

ned eulta

ante alias omnes mitis-

sima mater. Se non avesse pensato a questo canne, sarebbe

ancor meglio dimostrato che noi


nel credere alessandrino

il

ci

siamo bene apposti,

confronto con la Scizia

e de-

una poesia alessandrina sarebbe in questo caso


passo, poich anche la strofa seguente ha riscontro

rivato da

tutto
in

il

Lygdamo. Ma

La

l'altra ipotesi

lievo gli splendori della

poeta e
notte

pare pi probabile.

strofa seguente mette, quasi di

la bella

stellata

inter pulcra

civilt in

passaggio, in

mezzo

alla

ri-

quale

il

vivono, pur dipingendo di proposito la

(1)

quo strepitu

audis

satum teda remugiat

et

ianua, quo nemus

positas ut glaciet nivis

imroniumine luppiter? I tecta sono una bella casa di citt,


il nemus non gi cresciuto selvaggio, ma stato piantato
da mano umana nell'interno del palazzo. Pure anche nel
peristilio

chiuso da quattro

vento, che scuote la porta

pida camera

parti

penetra

pure anche

di

muggendo

il

dentro alla te-

neve ghiacciata scricchiolare sotto


il piede del viandante (2).
Alla preghiera segue la minaccia velata di consiglio
ingratam Veneri pone superbiamo ne currente
benevolo
retro funis eat rota. La minaccia nel Tiapa/cXauai't'upov
si

ode

la

parte essenziale

(3): di solito

l'amante dispregiato ricorda

all'amata che la vecchiaia viene per

sime nei poeti


il

meno

abili e

meno

(1)

Lo

stellato

si

Non

ritrova,

mas-

delicati, la descrive

suo accompagnamento di canizie e

mente, villanamente.

tutti, spesso,

di

con

rughe, minuta-

fu cos in origine

come abbiamo veduto,

lo

pseudo-

in Properzio.

Perch non si possa intender cos, ma occorra invece ricorrere


a non so che figura grammaticale, non chiarissimo.
(2)

(3)

Manca

talvolta nel pii spontaneo degli Alessandrini, nel

ligio a schemi, in Asclepiade.

meno

431

Teognide (II 1303) ricorda all'amato soltanto che non a


lungo esso conserver i doni di Cipride coronata di violette.
Ancora Callimaco scrive semplicemente La canizie ti
:

richiamer in mente tutto ci

Anche

Teocrito nel primo dei Ilaioix

aoX'.x

pi riguardoso

(XXIX

25):

Io

che or
fa un anno eri pi giovane, e che diveniamo vecchi e
grinzosi prima di sputare , cio in un attimo. Il poeta
ti

scongiuro per la tua molle bocca

accomuna

di ricordare

dove parla d'invecchiare, perch il ricordo della canizie e delle rughe non l'offenda.
Ma un poeta posteriore a Orazio, che pure ci serve bene
s all'amato, l

nelle nostre ricerche, perch tratta spesso gli stessi motivi

mentre certo che non lo imita, Rufino (A P V 103),


dopo il primo distico, che esprime il pensiero: Fin quando
rester qui a cantare il TrapaxXauxiS-upov ? , aggiunge solo:

Gi

ti

assaltano

capelli bianchi, e presto tu darai a

. Un altro suo epigramma,


che non un vero -apaxXauat^upov ma che pure si duole
della durezza dell' amata, finisce un po' meno sguaiatamente, quantunque neppur esso con molto garbo (A P

me come Ecuba

92):

rughe

Priamo

e vecchiaia spietate, venite

affrettatevi: voi persuaderete

tivo con gli stessi

particolari

Rhodope
si

un Bizantino, del console Macedonio (A P


una donna che rimanda di giorno in giorno
con il poeta e intanto prodiga il suo amore ad
ae

xio
A

sa-Ep; iaii

stesso

mo-

ritrova nell'epigramma

di

a-cpi-/j

pi presto,

Lo

'{xr/.'.y.Oyr. 'p,p'x.;.

V
il

233), per

convegno

altri: l'\)o\ixt

iJLETpv^xo) Tir^-

ha dett Ti vedr questa

Qual
la sera delle donne?
sera , il poeta chiede:
La vecchiaia piena di rughe infinite . Gi il Ti
vedr questa sera dopo il Ti vedr domani sa ili
appiccicatura la riflessione cos generica sul tramonto
T>[ivov ^ui-'ot.

lei

che

gli

della belt femminile


teocritei (v.

120)

(jui

Philino

ricercata e fredda. Nei OaXuaix

pii

molle del cedano, e

le

432

donne gli gridano Ahi, Philino, il tuo bel fiore se ne va.


In un giovinetto questo avviene con la pubert. In altri
epigrammi il consiglio di profittare della giovinezza
confortato dell'esempio dei fiori, che hanno pregio solo
:

per breve tempo, poi appassiscono. Talvolta


largo, l'enumerazione prolissa,

come

doteocriteo (XXIII 27), che riproduce, non

con uguale

confronto

il

neir'EpaaK'jf; pseu-

dappertutto

poesia popolaresca: l'amante rustico,

abilit,

ormai risoluto ad appiccarsi, baciando

l'uscio dell'

amata

per prenderne congedo, dice: So quel che avverr: anche


la rosa bella, e

sce

tempo

il

e presto invecchia;

l'appassisce; e bella la viola,

giglio bianco, e anch'esso appassi-

il

dopo un confronto con

, e,

del fanciullo

ma

bella,

poco

non molto valore sanno dare

poeti di

tono elegante: cos Rufino (AP V


all'amata una corona intessuta da
fiori di

la bellezza

Talvolta anche

al

confronto un certo

74),

inviando in dono
descrive

lui stesso, le

cui intrecciata: essa, mettendosela in capo, pensi

umane. Pi vivo a un tempo

alla caducit delle cose

pi garbato

non

anche

la neve,

vive

so se

vuoi bene,

l'

con ragione a Platone,

(A P

di essi

carmi

di questi

Io

79):

accettalo

ti

epigramma

ma

lancio

concedimi

certo

pi antico

un pomo:
la

attribuito

se tu

mi

tua verginit;

se

pensi quel che io non vorrei, presolo, considera quanto

breve

sia

posto, sia

giovinezza. L'artista squisito che l'ha comegli


no il filosofo, sentiva la differenza di

tono che conviene osservare, quando

non a una meretrice

ma

si

chiede amore

a una vergine.

Oltre a questi motivi che, colorati diversamente,

trovano
cui

si

tutti,

discorre subito,

anche un zko; che


quali
,e

si ri-

com' naturale, nelle canzoni a dispetto,


s'

proprio degli

dovremo ragionare

presto vien la morte

di

incontra nelle richieste di amore

in altro

inviti a godere, dei

contesto: la vita breve

a^che imporsi severit

di vita?


perch non godere
risparmi

Asclepiade scrive (A

verginit.

la

433

85)

Tu

che pr? che scesa all'Ade,

non troverai chi ti arai. Tra i vivi il diletto


amore nell' Acheronte giaceremo ossa e cenere .
ognuno viene in mente l' invito di Orazio a Sestio

fanciulla,
di

incohare

summa

beate Sesti, vitae

14):

(1 4,

lorujam

iam

brevis

spem nos

vetat

premei nox fabidaeque Mayies

te

et

(omus exilis Plictonia, quo simul mearis, nec regna vini sortiere talis

nec tenerum Lycidan mirabere, quo calet iuventiis

et mox virgines tepebunt. Ma il '/.tio^z^-y. di Ascleprima persona plurale posta cosi in fondo, fa
bene sentire all' amata che quella sorte comune, che
l'amante non parla per malevolenza, poich i suoi ammonimenti hanno tanto valore per lui stesso quanto per
lei
in Teocrito abbiamo osservato pur dianzi uno stato
d' animo assai simile (1).
Orazio nella forma particolare della minaccia si attiene
a un altro motivo forse pi antico egli scongiura l'amata
per bene suo
che egli fa come se si dimenticasse di se
di non offendere Venere.
stesso per pensar solo a lei
Un eccesso di castit una bestemmia contro la dea,
perch sminuisce in qualche modo il suo regno. La concezione antica: su essa si fonda la leggenda di Ip-

nunc omnis,
piade, la

polito,

dite

si

quale

Euripide l' accolse dalla tradizione. Afrovendica di Ippolito, perch egli con la sua castit

Tutti,

(1)

si

pn

dire,

motivi del TnapaxXa'jaCO-opov

nell'esposizione sistematica dell'ultimo erede


lenistica di amore, Ovidio

godere
le

dell'etil a.

a.

tutti

Ili 59 sg.

rose cadono, lo spine restano

agli
nizie

amanti
;

li

sospirer

serpenti

Henza rinnovarsi.

mutano

pelle,

la

gli

altri,

conlliiiscono

della poesia el-

contiene l'invito alle fanciulle a

gli

anni scorrono come un tnme

donna che

tien

chiusa la porta

invano. Presto vengono rughe e cai

cervi corna,

Nonostante la grazia

.iccumulati gli uni su


L'8

presto

li
:

romano

tediano.

le

donne invecchiano

di molti particolari,

lirot,


sovrumana

le fa torto,

spregiano:

il

ci,

che

434

puniscono quanti

e gli dei

peccato del giovane

egli

L'altro peccato,

xo

reverenza,

rifiutarle

il

Xv.Tpa

vx''viat

14)

(v.

li

di-

trezenio consiste in
'^jauei

'{7.\H})v.

sparlar di

lo

lei,

non sono che manifestazioni naturali e necessarie di una


mente aliena dall'amore. Il motivo nei TcapaxXauaiO-upa e
nei carmi afini non frequente, e la ragione di questa
sua rarit chiara: oltraggia Venere chi resta vergine;
le donne della poesia ellenistica eran tutt' altro che
modelli di castit. Esso compare, come hanno notato
nell' 'Oap'.aiu^ pseudoteocritea: questa
assai vivi appunto come un giocolori
con
rappresenta

Kiessling-Heinze,

vane pastore

e riesca

tenti

cedere alle sue voglie.


simile

tra

una

a indurre

fanciulla

situazione qui in certo senso

dell'Ippolito, e perci qui rinasce quel

quella

contrasto

La

Afrodite

Artemide,

tra

l'

-f po^taioc

anima la tragedia di Euripide: al


giovane che l'ammonisce di badare all'ira di Afrodite
V^xB\xGioq

(Theocr.
o'jye.

'^ioc,

che

XXVII

15),

protezione di Artemide:
xEficc

ir\.

cpeO

cpej

xwpa, la giovinetta

xc

risponde

figliuolo la poesia ellenistica

pseudo-teocriteo

)(Xov ^so

facendosi forte

x'^'-?^'^^

Di altri dispregintori, se

Xlacp-'a?

ITacpta- [Jivov

iXao? "Ap-

non della dea,

conosce l'efebo

anche costui

(v.

5)

y.al

della

del suo

dell' 'Epaaxr^s

non sapeva che

mano, che amari dardi


Eros se ne vendica atrocemente, facendogli cadere addosso la propria statua. Tutto
di una
il componimento, cos atroce nell' invenzione,
maldestrezza sovrana nei particolari.
E Orazio si mostra assai malizioso nel rivolgere un
ammonimento cosi solenne a una maritata, che la dispregiatrice dell' amore, non la sposa che dell' amore
dio sia amore, quale arco abbia in

scagli anche contro Zeus

gioisce

castamente,

poeta innamorato

si

ha a temere

dell'ira della dea:

foggia la divinit a suo modo.

il

435

Segue ne currente retro funis eat rota: l'imiiiagine


com' noto, da un ingegno, per mezzo del quale,
girando una manovella, si inalzano pesi; se' il carico
troppo forte, la fune va indietro, la ruota si muove all' incontrario, la manovella sfugge all' operaio e gira altolta,

l'indietro per

conto suo.

La metafora vuol

che Venere sdegnata non capovolga

con termini meno coperti:

lare

presto

il

Bada

Guarda che non venga

che correrai tu dietro all'amante

giorno

frequentissimo,

TTTo;,

dire

la situazione , a par-

come avremo agio

Il

di vedere, nelle

canzoni a dispetto, anche in quelle oraziane, non raro

neppure nei 7rapaxXaua:8'upa Il primo HatOLxv teocriteo,


dopo aver detto a chiare note che si giovani solo una
volta e che rimpiangere la giovinezza non serve, finisce: se tu lascerai che le mie preghiere vadano disperse ai quattro venti...., ora per te andrei sino ai pomi
.

un giorno,
non verrei per te neppure sino alla porta di casa, neanche se mi chiamassi .
Asclepiade, escluso da un'amata (A P V 164), invoca la
notte a testimoniare che egli venne chiamato, e prega
che Pythias debba un giorno star cos sul vestibolo di
delle Esperidi e al custode dei morti Cerbero;

libero dall' angoscioso desiderio,

La somiglianza con Teocrito

lui.

gi nel pseudo-Teognide

(II

grande.

1317),

il

(juale

11 motivo
augura a un

giovinetto crudele: Nessuno, vedendoti, voglia aniarti

Ma

il

particolare

del vestibolo fa pensare che Teocrito

sia ricordato di Asclepiade o che derivino tutt' e due


da un modello comune. Un po' diverso l'augurio che
egli grida (A P V 1G7) contro il suo amato Moseho, che

si

egli'

possa un giorno errar

pioggia, senz' aver

amante

come

lui

di

notte,

molle

innanzi ad alcun uscio.

'EpaaxYj? pseudo-teocriteo

dice

di

Cos

amato

all'

Verr un giorno che anche tu amerai


fanciulli sono nell'et del Lycida oraziano, \^ov

(83sgg.):
sti

dell'

requie

.
il

Quei\\\:\\o

436

perde ora

la testa tutta la giovent


presto, divenuti puproveranno essi stessi le pene di amore. Anche in
questa forma il motivo antichissimo, perch l'amore
sentimentale nasce in Grecia prima tra uomo e giovinetto
che tra maschio e femmina: anche un poeta del secondo
libro della silloge teognidea cerca di
piegare l'amato,
ricordandogli che egli presto sentir amore (v. 1307)
:

beri,

\.y\Koxt

xal

zios-iq

y^aXeTOov, wcjTsp

CT pnr^asat, o^ptixe

vOv w5'

-,'()

insieme ingegnosamente

izaioiv.

KuTrpoysvoO;

rcl

o'

Ipyov

v-

Tibullo combina

ao:.

motivo, diciamo pure, maschile


con quello femminile nell'elegia a Pholoe (I 8, 71): la
donna fa male a tormentare cos il povero Maratho
il

come

una volta sprezzante, soffre ora le pene di


amore, cos un giorno essa rimpianger la sua crudelt:
hic Marathus quondam miseros ludehat amantes, nescius ulquesti

torem post cajmt esse deum....; nunc omnes odit


displicet

UH quaecumque

poena manet, ni desinis


'evocare

diem

esse sicperba

solente a viso aperto

la

cupies votis

te

hunc

te

Peneopen

Penelope,

per riguardo

aveva

Venere (come

l'ira di

di

in-

difficilem procis

del suo alto lignaggio,

sdegno

ma

pi soltanto malizioso,

non

Tyrrhenus genuit parens.


di sfidare lo

quam

nunc
at

Quel che segue, non

buona fama

fastiis,

dura sera

oppositast ianua

forse

alla

ragione

Venere contro

sposa fedele sia un'invenzione impertinente del poeta,

abbiamo detto

padre era Toscano

teste); tuo

riguardo allo

al padre, per

stile,

il

Anche

poeta conferisce una

specie di dignit mitica, chiamandolo, invece che Etriiscus,

Tyrrhenus;

ma

la parola

solenne non poteva ingannare

alcuno. Gli Etruschi avevano nell'antichit

polo

lascivo

(IX

16) citato

oltre

il

fama

di

po-

passo di Dionigi di Alicarnasso

da Kiessling-Heinze, vale

la

pena

di leg-

gere quanto sui loro costumi narravano Aristotele, Timeo


e specie

Teompompo

(Athen.

23

d,

XII 517 d

sgg.).

437

Molti particolari sanno di leggenda, sebbene


essi

modo come

il

solevano rappresentare in pitture funerarie

dell' altra vita,

dere che

mente

il

piaceri

da

far cre-

pettegolissimo Teoporapo esageri qui maligna-

e svisi

munque

mostri popolo sensuale,

li

non per inventi

(1),

sana pianta. Co-

di

meritata o no fosse la loro fama, essa era cos

un Romano

tempo di Augusto l'udir vantare la virt di un'Etrusca doveva far la stessa impressione
che a un Toscano del trecento il sentir parlare della castit delle donne bolognesi. Orazio dall'ammonizione scherzosa passato all' ingiuria mal coperta; senz' effetto, che
la porta resta chiusa. Ma l'amante tenta ancora uno sforzo,
supplica ancora: Bench nulla ti pieghi, abbi compassione
quamvis neque te mimer nec preces nec tinctus
viola pallor amantium nec vir Pieria imelice saiicius curvai,
diffusa che a

del

suppUcihus tuis parcas, nec rigida mollior aesculo nec Mauris

animum

mitior

Le comparazioni ultime hanno

angicibus.

l'aria di specificare

con arte peculiare

(2)

motivi popolari

pi importante all'effetto complessivo la

con quamvis.
che

il

doni, le preghiere,

pallore degli amanti,

freddo della notte tramuta in pavonazzo

(1)

K(JRTK, r.

(2) Il

Ma

palientior

africani

V.

VI

stanno

(3),

754.

confioiito della rigidit dell'amata con la diuezza

getti iuauimati

doveva esser comune:


Sicano,

erano

licei

8il

presenti

alla

el

di

parentesi,

si

sit

licei

chahjhe. I

et

di

og-

et

saxo

serpenti

Orazio anche altra volta

fuggimmo

Canidia adjlasset peior serpentihus a/ris

sia detto Ira

16, 29

Proj). I

ferro durior

mente

secondo libro dei Sormoni tnisce:


illis

il

proposizione

ritrova in un

Il

il

quelle vivande, velut

motivo del

epigramma

di

iiato fetido,

Lucilio

1'

XI 239.
(3)

KiKSSLlNG-HiciNzic o altri intendono che

solo caratterizzare
leiiH

il

i)alloi(^

virgiliano, detto di

ticheremo che qui


invernale.

dogli amanti,

ma

un pallore che sfuma

parla

un

il

linclns viola ddilia

nonostante
in violetto,

il

viola /i/-

non dimou-

amante che passa all'aperto

la notte

438

solo per introdurre l'ultima parte,

con una

disce, e per giunta

con una
nei

ma

7iapaxXai)a:0%)pa,

Romana

ziano.

forse

marito

clie la tra-

Questo motivo non si ritrova


che io mi sappia, tutto ora-

Chloe.

'Iliressa

il

flautista o citaristia qualsiasi,

invenzione del

1'

per la donna maritata con un

;:apa-/.Xa'ja{0-jpov

marito compiacente. Del

si augura che Delia gli apra senza far ruda non far sorgere sospetti nel marito (12, 31 sgg.).
Nulla, per quanto so, prova che i liberti e la loro prole

pari Tibullo

more,

SI

avessero in Grecia

quegli

n da credersi che

come

una

nel romano,

costumi che

stessi

mondo greco

essi nel

classe

malizioso di Orazio pare a

sociale a parte.

me

Roma,

in

formassero,

tocco

Il

felicissimo.

Ancora una minaccia chiude il carme, quella che sola


poteva metter paura a una signora di quella risma: non
hoc

semper

liminis

erit

Kiessling-Heinze

mente ambigue
gliersi la vita.

xXauauS-upov.

tempi
pure

credono che

caelests

patiens

ultime parole

le

poeta minacci

il

donna non contrasta

in

nulla

1'

adempimento

domanda d'amore
xaxaTzsatov

t'era gi la
-52)

forza della tradizione.

finisce quasi
o

con

Tisawv, xal xo\

la stessa

cit del pastore

piglia

innamorato

cos

sul

serio

Il

y.tiao\iyj.,

KG}\i.oq

piut-

tan-

di Teocrito

formula: o/x" siow,

wos

X'r/,o'.

Yuxl) zoTo xax Pp)(i^oto yvoixo.

egli

Tiapa-

com' ovvia, cos era tradizionale sin dai


il giovane
delle Ecclesiazuse, cui

del suo desiderio, finisce la sua

(III

to-

di

vero che questa chiusa del

tosto baldanzosa che disperata

7vcau[xai

latns.

intenzional-

Aristofane:

di
la

Ed

aquae

aiit

trovano

Qui

\i'

l'

eSovtat.

w^

(xXi

zoi

ingenuit, la rusti-

manifesta anche in

ci, che
un motivo ormai antiquato.

si

Teocrito vuole che l'avveduto lettore sorrida del giovinetto che vuol mettersi gi e aspettare cheto cheto che
i

lupi lo divorino. Si

in atto

il

pu esser

certi

che egli non recher

suo proposito, e male interpret

le intenzioni


del suo modello

quando

fnse

il

che

rozzo imitatore che compose


il

suo

vr^p rzoX'y^iXz^oc,

soglia dell'efebo crudele.


chi

439

giornale anche

'Epaa-y,;,

s'impiccasse sulla

fa torto al poeta alessandrino

attribuisce un' invenzione, che da

gli

1'

cronaca

di

ad astrarre dalla chiusa, dalla statua di

Amore che salta addosso all' efebo mentre questo fa il


bagno, e vendica l' indifferenza sua verso il morto, uccidendo lui. Properzio accenna un volta il motivo: II 17, 13
num tacere e duro corpus iiivat, impia, saxo, sumere et in

Ma

nostras trita velena manus.

non dice

quel che segue, mostra che

sul serio: nec licet in triviis sicca requiescere luna,

aut per rimosas mitiere verba fores.

che questi confort^

carme finisce col distico seguente: quod quamvis ita sit, dominam mutare cavebo; fum
in ine senserit esse fidetn. Dunque non diceva
fiebit, cum
da senno.
per uno che vuol morire?

11

No, n il suicidio conviene quale chiusa a questi


amori cos moderati e cittadineschi, n le parole di Orazio
sono ambigue. Esse vogliono dire: Io mi stancher una

buona volta

forse senza modelli.


ti

Uvano,

si

Anche questa chiusa non


Man mano che costumi si ingen-

di farti la corte .

affievolivano anche le passioni: ai tempi

Teocrito la minaccia

di

per un amore di quella

di uccidersi

non ricambiato, sembrava pazzesca, sicch egli


l'adopra solo per mostrare l'ingenuit rustica di un pastore vero. L dove il poeta non vuole far sorridere di
pastori veri, ma dipinge poeti vestiti da pastori, nei Thalysia (v. 122), egli d all' amico Arato un consiglio di

fatta

altro

genere

Non facciamo

Arato, n consumiamoci
il

triste

(1) Il

pi

piedi;

il

la

canto del gallo metta

torpore (1) addosso a un altro


torpore

cagionato

dal freddo, n s'intende

perdio

guardia alla porta,

Questo un con-

non solo dalla staiichozza ma


il

Wilamowitz

{Goti.

Xachr.

aiiclio

lSi)l,


sigilo di

440

Simichida, cio di Teocrito, ad Arato. Immagi-

niamo che Arato

lo

segua

a se stesso o

ripeta

lo

all'amante, e ne verr fuori una chiusa di

7T:a(>a-/.XauaL0upov.

L' intenzione di

Simichida appunto quella di indurre


non senza un fine egli ha poc' anzi
supplicato e minacciato il dio protettore d"ei pastori, perch aiuti Arato nell'adempiere il desiderio; non senza un
Philino a cedere

fine

ha pregato

gli

Amori

di colpire Philino.

Philino, riflettendo che l'et

buona

perch

sul finire, ceda, egli

chiamato da Simichida (xaax(;(v. 105) e Ti-'oio TieTir'icpo;


qui il poeta accenna un motivo che, lo abbiamo veduto,
comunissimo nel 7T;apa>tXa'ja''i)'upov
la stagione buona
passa presto, dunque profittane , ma lo tratta con de

licatezza e con malizia particolare, facendo le viste di

non

trovar desiderabile quel che l'amico non vuole avere e

che egli di tutto cuore


andarsene dev' essere

di

gli

Anche

augura.

presa dalla

minaccia

la

del ua-

tradizione

paxa'ja:i)"upov.

Le canzoni a

La

dispetto

(l

25, III 10,

raccolta delle Odi contiene tre

IV

13).

canti a scorno di

donne che divengono o sono vecchie nell'uno il poeta rinunzia all'amore della femmina superba di una giovinezza
che gi mezza sfiorita, e le augura con compiacenza
dispettosa vicini i mali dell'et; in un altro celia crudelmente su una vecchia che non vuol darsi vinta e tenta
:

invano gareggiare con

giovani

le

186) ueghi questa seconda causa

il

il

Pohlenz

terzo

(Charites

si

rallegra

filr

Leo 102)

ha ricordato opportunamente che per Galeno (VII 143 K.)

il

tor-

pore deriva appunto da umidit o freddo. Questa doveva essere opinione comune nell'antichit, ed del resto fondata.

441

che egli aveva espresso in un Ttapa/.Xaua:0-opov, si sia adempito. Il motivo doveva allettare
era compiaciuto di descrivere
il poeta, che, giovane, si
la libidine ributtante di vecchie megere; ma il freno

un

che

augurio

severo quale egli se lo era imposto nelle poesie

dell'arte,

due odi meneffetti troppo violenti. Il carme del


quarto libro ricorda gli epodi molto pi da vicino, come
molti in genere nella seconda raccolta. Orazio tornato
in certo modo al romanticismo suo giovanile, o, per meglio

prima raccolta,
zionate per prime gli
delle

dire,

ha

poeta,

si

gli

ha vietato

nelle

lasciato pi lenta la briglia alla sua

mostra pi libero da

indole

men

restrizioni volute,

gio a un ideale classicistico. Solo in quest'ultimo


egli osa descrivere in

metro

lirico la

di
li-

carme

bruttezza della sgual-

non osano se

drina vecchia, mentre le altre due poesie

non accennare all'impressione che essa produce.


I

25 Parcius iunctas contiene implicitamente, abbiamo

detto,

una rinunzia

alla richiesta di

villanie dettate dall'odio


vecchia,

gna:

il

che quel che

si

si

amore. Attraverso le

scorge chiaro che Lydia non

dice di

lei

esagerazione mali-

poeta non osa negare che stuoli

di

giovani ubriachi

gettino ancora sassolini contro la sua finestra, che amatori


pi sentimentali e pi sonnnessi cantino ancora serenate

nanzi alla sua porta: parcius quatiunt, audis minus


iam, nulla di pi.

Un

giorno,

quando, andr essa


l'amatore dispregiato

in

moechos anus arror/antis

flebis;

non
il

erro, assai

(l)

in

noscere

Sembni
verit
elle,

se

poeta non osa egli stesso

cum

saeviet.

La

situazione

se

somigliante a quella dell'elegia che chiude

libro terzo di Properzio, III

mino

di-

minus

casa degli amanti: quel giorno, e


riconosce, non ancora venuto:

dir

lo

ma il

et

24-25

(1). Il

poeta

si

accorge

evitlcuto elio <[uesti duo carini, separati in N, no

nno solo. Anche l'nltinio editore,


non N, l'arelietipo eoiiuiiio di N e

lesina,

dei^li

t'or-

deve rico-

altri

iiiss.

iu>

u^
per la prima volta che l'amata che lo disprezza, non vale
quanto egli si immaginava. La colpa o il merito delia
scoperta, l'ha tutto la donna, che l'ha suggerita all'amante,

mostrandoglisi crudele: questo in Properzio detto chia-

(XXV

ramente

com' proprio della


ma anche

fletum iniuria vincit,

7):

sua arte tutt'altro che parsimoniosa di parole;


Orazio

lo lascia

intender bene

invicem moechos amis ar-

dunque sinora avevamo pianto

rogantis febis; invicem,

E non

noi

neppure senza significato


che, come l'elegia di Properzio chiude un libro, cos nel
libro primo delle Odi, mentre Lydia in I 8 e I 13 era
rappresentata nel colmo della sua potenza, essa non riper la tua arroganza.

compaia pi dopo
libro

per tornar solo a spuntare nel

25,

nella riconciliazione

terzo,

anche

Odi

le

di

Orazio simulano, per cosi dire, un' autobiografia poetica.


Tutt'e due

sono
i

Nella prima met Properzio conferma che

bipartiti.

pregi dell'amata esistevano soltanto nella sua immagi-

nazione

seconda,
si

carmi, quello di Properzio e quello di Orazio,

noster
il

amor

talis trihuit Uhi,

Cynthia, laudes; nella

cui principio contrassegnato da

descrive nelle forme

chiezza dell'amata

at

dell'
te

un

forte at,

augurio quale sar la vec-

celatis aetas gravis

urgeat annis.

Anche Orazio

descrive prima a colei che

non

misericorde, la vita sua presente, quale

gli

rese

il

proprio amore

spogliata degli orpelli, uno sfiorire incipiente;


poi

una

vecchiaia triste e turpe.

Il

profeta

le

futuro della profezia

ancor pi che l'ottativo dell'augurio, perch pi

ma

profezia e augurio

curo di

s,

effetto,

affrettano

faceva un'elegia sola.


si

accorto che

avvenimenti desiderati

La

il

penultimo

situazione iu 24 e 25 identica: l'amante

pregi dell'amata erano un'ilhisione sua e

libero dall'amore: nnnc

si-

riescono allo stesso

demum

si

sente

vasto fessi resipiscimus aesfu sta in 24,

eppure non conviene che all'ultimo carme

di

una raccolta

di

amore.

Properzio has Ubi

verso

di

diras,

considera

cio

ma

in

IV

mea pagina

cecinit

fatcds

componimento

il

Orazio, non qui

incanto.

443

minaccia

13, cita la

mea

del suo 7iap7.xXaua''0'upov cos: audivere, Li/ce, di

Lyce

divenuta vecchia pi

un

stesso quale

vota:

presto per l'augurio suo.

non ho ritegno ad asserire che un carme celebre elquel che abbiamo ragionato nella prima
parte di questo capitolo, un carme hrico, abbia ispirato
Properzio e Orazio: Orazio appare anche qui il pi libero,
il pi originale dei due. Lo mostrer, se non m' inganno,
il confronto della chiusa di Properzio con l'epigramma di
un Bizantino, Giuliano prefetto di Egitto (A P V 298).
Il carme comincia con un tocco moderno
Lydia non
abita nella modesta casa greca antica n nel basso villino dei signori Romani, nella domus vitruviana a un
Io

lenistico, per

piano con

le

stanze disposte intorno alla corte, atrio

sguardo del pubblico;


camera d sulla strada, ma talmente alta sul
peristilio, inaccessibili allo

di

questa che

non risponda,

la

sua

livello

giovani passanti, mal tollerando che ella


per farsi sentire non

che lanciare una manata


chiuse delle finestra

(1).

trovano

di

di sassolini contro le

Questa casa quella

meglio

imposte

in cui vi-

vevano nella Roma augustea borghesi e poveri, costruita


da speculatori per essere affittata, divisa in piccoli appartamenti con una scala a se per ogni piano gli scavi
recentissimi di Ostia ce ne pongono sott'occhio molte di
questa specie. La casa in cui Lydia abita a pigione,
non soltanto moderna ma forse specificamente romana
:

che, se nelle citt ellenistiche vi erano case a pi piani,

Roma, come mostrano


di

Giovenale, era unica o infame per raUi'//;) dei palazzi

(1)
<A'v.

noti passi specie di Marziale e pi

le

Anche

mie

uolla coniuifclia

osservazioni

Si.

il.

nuova
d.

III.

il

honlcllu ora

clasn.

'^
.

al sei-oiulo
1

''.

piano:

di affitto (1).

Properzio

ianua spezzata da

i44

(III 25, 9)

mano

parla dei limina e della

irata: la finestra battuta dai sas-

giovani impazienti e insolenti un tratto

solini dei

reali-

che Orazio ha desunto dall'osservazione della vita


moderna. I xa)[x^ovx; dell'antica lirica si sfogavano a dar
pugni all' uscio chiuso, come nell' iporchema dell'antico
stico,

Fratina, dove si ordina al flauto


comi e nei pugilati di giovani
[xvov

xw|jLOtc
Sjjijjievat

f)"jpa[x-/o'.L:

da condottiero nei

far

di

contro

alticci

Truy^x/iacac vwv

xs

porte:

le

O-Xc.

7iapo''vfj3V

axpaxY]Xta5

Cos Orazio, con arte che abbiamo studiata in esempi

anche pi cospicui nel primo capitolo del presente libro, sa render moderno un motivo che, sia pure attraverso un carme ellenistico, deriva dall' antica lirica
che la prima strofa e la prima parte della seconda, par:

iunctas quatinnt fenestras iactibus crebris iiivenes p'o-

cius
tervi,

nec Ubi

somnos adimunt amatque

ianua limen, quae

un passo
un amasio

prius multum facilis movebat cardines, riproducono


di

Anacreonte

xoO

[JioxAv

(fr.

{)"jp-(]C7t

88)

dove questi diceva

i^fpiv ^aXjv

'r'ii'jyoq

com' ben chiaro, ha presente anche


e lo

cita (2),

pietruzze

ma

gettate

il

di

Orazio,

xaO-s'jOsc.

passo di Anacreonte

oraziane sono, lo abbiamo veduto, le


contro

le

imposte

dell' alta

finestra;

moderno del pari, cio ellenistico, quell' uscio che, un


tempo facile, ora ama il limitare la porta qui una persona viva, che ha un carattere suo, mutabile solo con
:

(1)

Nello stesso articolo

(p.

sgg.), a proposito del

carme 64 di

Catullo, ho raccolto appunti su abitazioni borghesi e popolane nell'antichit.

KiESSLiNG ha per pi'imo osservato

il

carattere

romano

dell'abi-

tazione di Lydia senz' insistervi su ne trarne conseguenze.


(2) Il

motivo diffuso nel primo

ellenismo

Dioscuride

scrive

un bimbo (A P XII 14) Se Demophilo sapr, Afrodite, baciare gli


amanti cos, nel tempo suo bello, come ora, bimbo, mi ha baciato,
la porta delia sua mamma non avr pace neppure di notte .
di


l'andar

porta

solo

e la porta

infatti

personificata, anzi

test, solo in

credo, la distinzione tra

di forzar la porta (cos

tempi

minus

aiidis

deificata,

come

ellenistici. Ellenistica

giovani

avr avuto

tore sentimentale, che lamenta

casa chiusa:

la

catenaccio, non poteva proseguir cos;

il

abbiamo veduto
,

poich non nomina

tempo. Anacreonte,

del

ma

44o

che cercano

7i:potva
il

modello), e l'ama-

suo dolore dinanzi alla

il

minus iam: me tuo longas pe-

et

reunte nodes, Lydia, dormis. Queste parole

creontee ne nel sentimento che

le

non sono anaanima ne nella forma.

Anacreonte non avrebbe passato senza speranza lunghe


notti dinanzi a una porta chiusa, e il perire, che diviene
azione continuativa, , se il mio gusto non m'inganna,
moderno, come l'audace me tuo non s'intende se non in
bocca del Romano, che chiama l'amata domina. La seconda parte della profezia augurale trova, l'abbiamo detto,
riscontro in Properzio. Questi

per

rughe

del corpo vecchio e sulle

insiste sullo sfacelo

Orazio non

di cui in

donna
che umili altri, non per Properzio se non la conseguenza ultima del suo scadimento, per Orazio tutto.
qui parola. L' umiliazione a

cui

sottoposta la

Properzio

nei particolari segue dappresso, lo abbiamo


un carme ellenistico, come mostra il confronto
con un epigramma del tardo (1) prefetto di Egitto, Giudetto,

liano (A

P V

298).

Properzio.

At

te celatis

Giuliano.

aetas giavis urgueat


[aunis

etveuiat foriuaenigasiuistra

tiiae;

veliere tiim cnpias albos

l'are

debba

Jlapir^

iXX

\x-z';xXi':-zx;-

[|ji-:i/,9-o'.;

xivrj;, ::-vx

a tirpe
[fapillos,

(1)

'lnspxTj

|iV]

Aixv;, it|j.-ov .fi,vo-

S-ava-cqi, paaiXs'.a,
[-

xo 6' \ir^iXi\,

Tp'xx;

v,=0'.

ritenersi ([Ucllo slesMu dio era in utlioio nel

Canta luci, LI, Memorie

de' Lincei

(Serie (|iiinta) XI

\'

:S!t.

;S(t

increpitante tibi,

Bpcc'iilo ni^'iis

-iW

'{ifio.'jq,,

? puxi?ag

oxXt,pciv xoito

[piO'Os-

excliisa iii<iue

vicem

patiaro

fastu.s

Ta5= daxpux-

t'Iciiocv Tio-.ai

[siipei'ho.s

ot,(iMaefec8ti, factaqueraris anns.

L'accordo

^'"X^S iJinXax'lYiV, atxiov jinaxivjj.

Properzio

fra

-x'/X/.o;

['j::o//>i

Giuliano

mostra che

la

poesia ellenistica dava alla descrizione della vecchia la

forma dell'imprecazione, delle dirae, cio pai, come Properzio chiama la sua elegia. Orazio ha trasformato l'imprecazione in profezia. Il carme antico parlava, come s'in-

duce delle coincidenze tra Properzio e Giuliano, della


canizie e delle rughe. Properzio ha reso pi piccante il
motivo, immaginando che la donna, man mano che incanuti che va scoprendo. Il confronto
vecchia, si strappi
tra Properzio e Orazio mostra che nel carme ellenistico
si augurava alla donna superba che le
fosse un giorno
reso pan per focaccia il passo del Ilatotxv teocriteo e gli
epigrammi di Asclepiade fanno vedere che il motivo era
comune (1). Giuliano, a cui importava pi di spiegare la
i

sua virtuosit miserella nella descrizione della bruttezza


fisica,
stile

ha soppresso l'accenno. Orazio, che per ragioni

di

rifuggiva ancora da particolari di corporale orrore,

l'ha allargato, togliendo

via

il

resto.

Ma

la

sua pittura,

pur rispettando il decorum, grande di spietatezza. La


sgualdrina vecchia che aveva lasciato fuori gli amanti,
ora aspetta nel vicolo solitario

(1)

maschio
tira

L'ha Filippo

(APXI

36);

il

iu

una canzone

casa

l'amante per la veste,


Soji; kzspoic, xb

dell' antico

l'amore di cui

si

a dispetto,

la

tramontana,

composta pure per un

fanciullo che era stato sprezzante, ormai sfiorito,

dopo che quegli ha dato ad


[A/jV Scop?;,

mentre

(2),

ma

questi non vuol saperne della stoppia

altri la

messe

^^oQ. Qui,

amante,

ed

da

come
lui

vv cpiXov sXxwv, tyjv xaXociu Teocrito, l'amato

respinto

come

in

va in

Teocrito,

cauta, maschile. I due carmi sono parenti stretti,

sebbene l'uno sia una domanda, l'altro un rifiuto d'amore.


(2)

Toglie ogni efficacia alla descrizione chi con Kikssling-Heinze

che

soffia

rompe,

la

Non

bisogno

per la notte ventosa, cui nessun raggio di luna

gela sin dentro

che giovani
lei.

447

ma

sete di

le ossa;

piange non gi

essa

che vecchi ammogliati non


guadagno la tormenta, ma

fisico incoercibile,

curin di

si

libidine,

un

quello stesso che fa impazzare

un bisogno fisico e il dispetto per 1' abbandono in cui vive. Pure in questa descrizione cos possente
Orazio ha saputo evitare ogni volgarit: la donna che
una volta fu sprezzante, accetta ora chicchessia, ma non
si abbassa sino a piangere, essa, come la vecchia di Nicarcho, forse un contemporaneo pi giovane dell' Alessandrino (A P XI 73), la quale vuv lO-Xet ooOvxt |xcaO-v eXaule

cavalle,

vo(i,vy].

Invicem moechos amis arrogantis

angiportii,

in

flebis

solo

levis

Thracio hacchante magis (1) sub interlunia vento,

cum Ubi flagrans amor

libido,

et

quae

solet

matres furiare

equorum, saeviet circa iecur ulcerosum, non sine

quod pubes hedera

virenti

qiiestu laeta

gaudeat pula magis atque mgrto,

uridas frondes Jiiemis sodali dedicet Euro.

Il

confronto della

vecchia etera con cavalle e con cavalle non pi giovani,


matres equorum, un' ingiuria atroce men grave che a
;

noi paia, nonostante

intra

il

iecur ulcerosum

non ancilla tnom

18, 72):

saeviet,

Orazio ha

un giovane amico senz'ombra d'ingiuria

consigliato a
(epist.

il

marmoreum venerandi limen

ulla

iecur ideerei

puerve

amici.

spieghi che es.sa sia rimasta nella sua cameretta e di

li

tenda invano

avvenga nel vicolo; a che in questo caso la


menziono della tramontana o dciroseurit? E qual mai senso avrelihe
l'orecchio a

Vili

quel

nella proposizione in solo jlchia anrjiporlnf


(1)

Mafiia giusto: era credenza antica che la lino e

al avo5o'., dei

Theophr. de
l'orlirione

inventi,
><uo

che

mesi, s'intemle

veni.

17.

Di solito

mesi
si

cita, invece di questo,

che appunto, da solo, d adito

come fanno

autore.

principi,

lunari, fossero pi tempestosi

al sospetto

che

un passo

di

lo scoliasta

commentatori, ([uesta credenza per ispiegare

il


L'ultima strofa sta

grandiosa e spietata

vecchia ha torto
tabile:

di

448

perch

l,

giovani preferiscono

carme dopo

il

la profezia

chiuda con accordi pi pacati. La


dolersi di ci che naturale e inevi-

si

corone fresche

le

ai fiori

motivo era tradizionale, quantunque gli epigranunatisti non sogliano adoprarlo con tanta abilit,
quanta Orazio. Lo abbiamo veduto usato per confortare
domande di amore; ma una canzone a dispetto del solito Rufino (A P V 28) dice: Mi saluti ora che il tuo
appassiti.

Il

volto se ne andato, quel tuo volto, dispettosa,


scio del

marmo;

me

scherzi con

pi

li-

ora che hai perduto

le

chiome erranti tutt' intorno al collo altero. Non ti avnon acvicinare a me, vana, non mi venire incontro
cetto in luogo della rosa la spina (1). Prima di Rufino
Alceo di Messene, il contemporaneo e nemico dell' ultimo Filippo di Macedonia, aveva applicato a un giovinetto la stessa immagine della rosa e della spina (A P
XII 29).
Orazio ha preferito il mirto alla rosa, al fiore che per
la poesia greca simbolo di giovinezza. Del resto anche
:

il

mirto era tradizionale in confronti

epigramma anonimo (A P

nisio preferisce me, fatelo. Grazie,


fiorire; se

ama un

tradizionale

per

lui

mirto

il

corone

perch

pensa

gettano

nell'

immondezza

alle-

il

di

il

di

bel Dio-

nuovo

ri-

me, possa esser but-

con
che

tutt' altro

egli

la

spazzatura

abile, varia

emblema
esso

di

un

Il

x-o;

caducit,

conteste, che

si

giorno seguente al convito.

lu un epigramma di Diocle (A

P XII 35), imitato da Stratone


un fanciullo, il quale non risponde ai saohe verr un giorno die non risponderanno al saluto suo Diocle.

(1)

{A P XII
luti,

un giorno

altro trascurando

tato via, mirto di ieri mescolato

poeta anonimo, artista

simil genere. LTn

di

107) dice: Se

186), si profeta a

com' noto, visse sotto Augusto.


sempre verde. Egli
con un'altra pianta

viva; aridas frondes

lo

sparger

pi

Ma

congiunge, dicendola jmlla, scura,

la

tinte pi vivaci

di

coloristico

dell'anonimo.

anche perch

la pianta della giovinezza,

Per (3razio esso

bell'effetto

449

si

per ritrarne un

Qui Orazio pensa

(1).

riferisce alle corone,

alla pianta

come

il

mirto

aridas frondes hiemis sodali dedicet Euro,

ben pi nobile, ben


quello descritto nell'epigramma: quello ufcorona

la

lirico di

ai venti,

atto

di servi.

ficio
Il

donna vecchia che invano tenta

tipo della

reggiare con

buon gusto,

giovani,

le

in tutta

una

serie di

dell'Antologia (66-74). Gli


cilio,

apfjartengono

ritratto,

di

ga-

con pi colore che

epigrammi del

libro

autori, Antifilo, Myrino,

XI
Lu-

per quanto se ne sa, all'ultima

tutti,

et repubblicana e a quella imperiale. Nicarcho, poich

appare

in

questa compagnia, sar l'omonimo

dell'Alessandrino

(2).

giovane

pii

particolare di queste poesie, che,

come in III 15 Uxor pauperis Ibt/ci e diversamente che


in IV 13 Audivere Luce, non l'amante ma un indifferente
derida la donna un tempo bella, che non amore offeso

ma

non dubito che il motivo sia ellenistico: un poeta contemporaneo


di Cicerone, nei cui carmi abbiamo trovato spesso somiglianza grande di motivi con le odi oraziane da una parte,

buon gusto

con poesia
per

ecciti

il

disprezzo e lo scherno. Io

ellenistica dall'altra.

cosi dire, inverso, la

haimo presa

(3),

e la

Filodemo, tratta

sessantenne su cui

gli

il

xno;,

anni non

vanta disinteressatamente agli amici

Osservato da Kiessung-Hkinzk.
Di questi epigrammi (piello di Aiitiiilo piobabiliueute preso
dalla Corona di Filijpo. Anche Myrino, a giudicare dalla compagnia
in cui in altre parti dell'Antologia si trovano i smii carsi epigrammi,
(1)

(2)

pare appartenere alla stessa raccolta,

ma

il

materiale non basta a una

conclusione sicura.
(3)

Riproduce

il

motivo l?asso

29

di

Smirne (A

1'

.\I

7-'*.

(A

450

che

13): verisimile

due motivi formassero, come

spesso avviene nella poesia epigrammatica, ima coppia.


Antifilo e peggio

non sono capaci

suoi continuatori

d'in-

ventar nulla.

Pure Orazio, se

come

lenistici,

si

anche qui

ispirato a modelli el-

credo senza poterlo questa volta provare

modo

rigorosamente, rimasto del tutto originale nel


risentire

il

ma

dizionali,

di

suo argomento. Alcuni particolari erano tra-

anche a questi Orazio

Egli osa immaginare che

non a una giovane

la

toglie ogni rozzezza.

vecchia voglia far concorrenza

ma

qualsiasi

alla propria figliola (1).

Anche Nicarcho, in uno dei suoi epigrammi pi volgari


(A P XI 71), parlando di una vecchia che si atteggia a
bimba, accenna alla tomba vicina, come Orazio, ma non
sa dir altro se non questo, che la vecchia antidiluviana

dovrebbe cercarsi piuttosto una tomba che un uomo


Niconoe fiori; anch'io Iodico: anch'essa fior, quando
Deucalione vide innanzi a se acque infinite. Questo noi
non sappiamo di certa scienza, ma sappiamo che essa
ora dovrebbe cercarsi non un uomo, ma un sepolcro .
L'accenno al x-^o; (2) limitato in Orazio a un vicina
:

ormai a una tomba non immatura


Orazio

se

ci

si

perdoni

il

No,

disgusto

il

a lui dispiace veder la vecchia sgambettare tra

(1)

Questo della madre e

sione, particolare realistico


(v. sopra

anche la
(A

P V

Tibullo

f.

403)

sar stata

si

(I 8,

69) e che era

una

stessa

essa stessa a

stessa

profes-

risma; nuO-.g

i]

Nixo^

che Pholoe quella cantata da

pnella casta\ Auclie la

mamma

giovi-

arte: o matre pulehra fiUa piilchrior

della

donna

di

Ascle-

famosa.

In un ejiigramma a dispetto di Kutno (A

paragonata

la

le

pensi a Guathaina e Gnathainiou

164). Volluier (nell'indice) sa

l)iade tglia di
(2)

caro alla sua

mamma

che esercitano

tglia

di

gusto

bisticcio, di miglior

un

sepolcro,

passiamo innanzi come a uu sepolcro

come

P V

nella

21) la vecchia

commedia

ti


come

nette e

451

velar di nebbia lo spettacolo amabile, e su

quest'immagine graziosa egli si sofferma. Da iixor pauperis


tandem nequitiae fge modum tuae famosisque lahoribus,
che contiene un accenno coperto all'infamia della donna

Ibijci,

essa maritata
sare

suo

il

modo

decentemente
vergini
et

marito non pu sostentarla

egli passa al

quadretto della danza delle

desine funeri inter ludere virgines

nebulam spargere candidis. Che differenza

stellis

linguaggio basso degli epigrammi e

l'ode!

immagine graziosa

dalla

scu-

il

maturo propior

tempo vuole quasi

e nello stesso

di agire

lo

tra

il

nobile del-

stile

egli passa a

una

ardita,

a dipinger la fanciulla che entra per forza nella casa di

un giovane che non ne vuol sapere: non siqnid Plioloen,


te, Chiari^ decet: filia recfius expugnat iurenum domos, pulso Thjias uti concita tijmpano. Gi il Bentley aveva
notato che l'amica che viola la consegna ed entra per

satis, et

forza da chi

non

la

doveva esser

vuole,

tutt' altro

che

caso raro in quella societ, se un severo moralista, Cri-

termine di paragone

spo Passieno, se ne serviva quale


in

una lezione

Secondo Seneca

di etica.

che

praef. 6) egli soleva dire

gli

all'adulazione senza inchiavarlo,

quae

come

impulit, grata est; gratior,

si

(quaest. nat.

IV

uomini chiudono l'uscio

si

si

farebbe all'amica,

effregit.

Chi leggeva,

doveva trovare audace ma non isconveniente alla giovane bellezza quel contegno: il confronto con la Baccante
il

ci

mostra Pholoe

confronto,

che

pii

segue,

desiderai)ile

con

il

che mai. E cosi


mira a

capriuolo non

in ridicolo la fanciulla: illam cogit amor Notfn


simdem ludere capreae. ^Vnche il carme per una
fanciulla nel primo fiore, nel pi desiderabile, comincia
con uno spunto anacreonteo: vitas liinnuleo me similis

mettere

lascivae

Cdoe.

Lo

scherzo, e scherzo atroce, consiste nell'

ginare che la
figlia,

il

mamma

lettore

si

imma-

non solo una giovane, ma la


sperde tutto nt'lle inmiagini e non bada
imiti


alla malizia,

(nch

madre:

te

Per

4r)2

non

l'ulLiina strofa

sarebbe

tempo

il

prendere, coronata, parte a banchetti

nuovo con grande nobilt

di stile

te

Non che il filar


vecchiata, come dicono

non

di

Questo detto

di

lanae prope nohilem

tonsae Luceriam, non citharae decent nec


sele (1).

richiama alla

lo

di filar la lana,

flos

purpureus

ro-

lana convenga alla meretrice in-

commentatori, che anzi Toccupazione consueta della madre di famiglia (2), ma per

una donna
non

genere ridursi a lavori donneschi sibuona ad altro. Peggio ancora per

di quel

esser pi

gnifica

mercede:

essa, se, costretta dalla povert, lo fa per

mente Tibullo dice


abbandonano (I 6,

della
77)

quae fida fuit

et

gramma a

dispetto, smarritosi per

(A P VI 283):

dedicatorii

Iti'

paaxal?

fj

non

di

batte con la povera spatola tessuti,

senza

non

(3) e Trsv./poT;

{xiaO-ia

Orazio, consigliando con

un

Qui

la

so che equivoco tra

KY.yj^olc,

menava vanto

colei che prima

manit.

t Trplv v.-/r,o%oy. izohjyyj'jo'.z

vOv auaO-ioi;

\i'.ad-iy.

nulli, post, vieta

Cos in un anonimo epi-

parola pi importante inops.

simil-

infedele, cui vecchia tutti

tremul a stamina torta

inops

senecta, ducit

donna

ci

7:y]v:a[xaxa

amanti

xpost,

ora

ricchi,

opera mercenaria ,
sarebbe arguzia. Ma

sorriso crudele all'etera vec-

chia l'occupazione della matrona, non ha bisogno di ag-

giungere per qual motivo essa debba accettare un lavoro


cosi poco

consono

alla

sua indole: non a caso avev^a detto

in principio uxor pauperis Ihycil

(1) Sulla rosa


(2) Il

filar

stica della caste,


c/(2

quale emblema di giovanezza

lana era anzi nella

come mostrano

commedia

v.

sopra

p.

104

ii.

particolarit caratteri-

luoghi raccolti dal Leo, Plaut. For-

1442,
(3) |iia9-i si riferisce

mente l'azione
ficio di

del

grammaticalmente a

Trvjvi^S'.v,

accusativo interno a

mercenario di tessitura.

del tessere,

ma

Jir^vbiaaTa,

che propria-

nella proposizione fa

xpo'jsi, essa batte,

1'

uf-

compie battendo lavoro

453

L'ultimo tocco, nec poti vetulam faece tenus cadi, maMentre il sonar la cetra e il coronarsi di rose
convengono a giovani, non cos del bere tracannar

gistrale.

come a

gi vino fino all'ultimo gocciolo sconveniente

ma

vecchie cos a giovani,


giovani.

Uanus

pi frequente in vecchie che in

commedia, quale descritta

della

passo del Cureulione citato poc'anzi

Uno

epigrammi

(p.

p. e.

nel

(1), vinosa.

421)

Nicarcho (XI 73) descrive appunto una vecchia che, bevuti tre o quattro sestari, perde
del tutto il pudore. Orazio conosceva bene questa tendenza naturale delle vecchie, ma simula di non saperne
nulla
a Chlori non conviene bere fino alla feccia del
barile, appunto perch vecchierella
se fosse giovane...
L'ironia non potrebb'essere ne pi atroce ne meglio disdegli

di

simulata. Se, scrivendo qui, in fondo all'ode, de' cadi bevuti sino alla feccia, Orazio abbia

pensassero alla vita cui


sino

non

cos originale

lettori

con desiderio troppo incomposto, se quei

alla fine

cadi prendano qui quasi


dire, anzi

voluto che

vecchietta ha voluto godere

la

un valore

allegorico,

non saprei

Comunque sia, Orazio di rado


come quando adopra con arte cos libera

lo credo.

elementi tradizionali.

carme interessa anche per la parsimonia dei mezzi


un epigramma di Antifilo, appartenente al ciclo
abbiamo
che
detto (A P XI 66), si sfoga a ritrarre le
Il

usati

pratiche
ciosa,

tentate

^axevta,

per ridistendere la pelle rugosa


dice

il

greco) e ridare

occhi privati di palpebre e

il

mentare il numero di questi con


Myrino (A P XI 67) si diletta

(1)

11

Itei'e

a gara, conio fa

tervia che inteinperaiiza.


si

chiama Dipsas ed

ex re

Ma

nomen

(cenagli

color nero ai capelli e auriccioli

di

Damalis

la

fulgore

il

appesi alle tempie.

inventare che la vec-

(I 3(,

lo), e

vecchia nifliaiia
habel.

di

piuttosto pro-

Ovidio i./m.

S>

chia bamboleggi, Laide molle che insieme

Ecuba

nacchia, nonna di Sisifo e sorella di Deucalione

, si

e cor-

com-

piace d'immaginare che essa, la ritinta, dica a tutti tata

come un neonato. Orazio


fantasie,

non

si

da queste

tenuto lontano

ma

crudeli della sua

j)ii

cattivo gusto,

di

anche nella sua poesia pi recente, dove ha allargato alfreni dello stile.
quanto
In IV 13, Audivere, Lijce mi par di sentire, attraverso
la prolissit delle sette strofe, un'ispirazione un po' stanca.
i

Il

ma

quarto libro contiene carmi maravigliosi,

pochi

di

amore paiono a me scolorati e alquanto convenzionali. Cos


anche questo, dove, nonostante particolari felicissimi, mi
sembra di scorgere che Orazio non ha pi la sua bella
indipendenza

di fronte alla tradizione.

Il

principio richiama

una poesia precedente, appunto il r:aj>axXa'ja''i^)'i)pov III


Gli dei hanno ascoltato la sua imprecazione, ed ella
fatta vecchia
fasi

10.
si

questo pensiero espresso con molta en-

audivere Lf/ce, di mea vota, di audivere, Li/ce.

L'unire in una raccolta di


una canzone a dispetto che
le predizioni e gli

versi

con un

auguri del primo,

agli epigrammatisti greci,

come

quale, appunto perch non

zapaxXa-jatii-jpov

mostrando avverate
espediente non ignoto

lo citi,

fa

vedere

il

solito

Rufino

pone spesso diamorfo quei motivi


che ritroviamo atteggiati originalmente da Orazio. Nel
libro di Rufino, all'epigramma da noi spesse volte citato
(A P V 103) che comincia \xiyy. z'^^o;. Ilpoiy.rj. -apaxaao
\xx'.
e prosegue constatando con compiacenza che gi i
canuti son l l per saltarle addosso, seguiva, certo non
immediatamente, quest'altro che nella raccolta del Cefala
lo precede (A P V 21): Non ti avevo detto, Prodice:
il

nanzi agli sguardi

in

originale, ci

istato, direi,

invecchiamo; presto verranno

()

al iaX'J3Cfi},0i

sono femminili.

8ono

e le

le separatrici degli

rnghe e

amici? (1)

capelli liianchi, che in greco


Ora sono arrivate

rughe e

le

4-00

la canizie, e

cioso e la bocca non ha pi le grazie di

qualcuno

pi, superba,

adulazione

di

come
che

Ora

avvicina? o

corpo cen-

un tempo. Forse

rivolge preci piene

ti

passiamo dinanzi senza fermarci

ti

tomba.

dinanzi a una

io

ti

il

L'effetto di questa realt

soglio chiamare autobiografica, era accresciuto nel

in

contemporaneo dal trovare la canzone a dispetto


una raccolta che usciva ad anni di distanza da quella

in

cui

lettore

era'

il

Orazio

Tapaxauaiit'jpov.

alla fine dell'ode

richiama ancora una volta amori suoi giovanili.


In Orazio segue una pittura simile a quella ([iiWiwor

panperis

Ibijci.

giovane, e

Anche Lyce vecchia

vuol

sembrar
danzare e bere, e quando ha bevuto,

perde ogni ritegno.

Ma

qui

studia di

si

mancano

figure delle gio-

le

manca, prima di ogni altra, la


figlia. I verbi
sono accumulati un po' l'uno sull'altro,
sicch le immagini non hanno quasi tempo di formarsi

vani che danzano con

lei,

dinanzi alla nostra mente. Solo la vecchia che con tre-

mula voce

un amore che non vuol venire,

sollecita

ci

richiama in mente una scena vigorosa delle Ecclesiazuse,

che pi sopra abbiamo visto essere contesta


popolareschi.

Una

vecchia

(877 sgg.)

uomini non vengano. Anche

una canzone

sola

ludit

ionica, cio oscena:

uomini non vengono?


sto

qui

si

lei

gi da

ad aspettare senza

far

cuno

dei passanti.

tando per

con

(1)

motivi
gli

canticchia sola

Perch mai

tempo sarebbe

ora.

gli

io

nulla, impiastricciata di

belletto, vestita di giallo, e canticchio per

canzone. Eppure potrei

di

duole che

me

sola

una

miei canti afferrare qual-

Muse, venite qui sulla mia bocca, inven-

me una canzoncina

di

(judle ioniche

La can-

zone lasciva e triste con cui la meretrice di strada, spesso


ebra, inganna a un tempo la vana attesa t^ tenta richiamare amanti, un motivo doloroso ohe la j^oesia. sia
(1) Kx{,'o'jj' oiK;

mi

ii.iit^

la

lezione inij^littrc

A'iV

popolaresca, sia rallnata, ha spesso preso dalla realt e


volto in suo uso. Se Orazio

ricordasse di Aristofane,

si

che pure allora nei primi decenni dell'atticismo era autore

non saprei

scolastico,

Ma

nome

il

dell' amore trasporta Orazio in


vede Cupido volar via dalle guance

del dio

tutt'altre sfere; egli

della

dire.

donna che avvizzisce

vane

flautista

ille

e posarsi su quelle della gio-

virentis et doctae psallere Chia pulchris

excubat in genis, importunus enim iransvolat aridas quercus


et

refugit

te

quia luridi dentes,

nives. 1 particolari

vecchie o

sono

gli exoleti.

quia rugae turpant

te

soliti

Amore

degli

et capitis

epigrammi contro

vola oltre

le

le

querce inaridite,

dice Orazio: il Myrino della raccolta, pare, di Filippo, in un


epigramma(l) nel quale finge che un vpyuvov, raggiunta
l'et in cui avrebbe dovuto morire, appenda a Priapo gli

strumenti delle sue grazie pretenziose, gli abiti meretricii


e i capelli finti e il belletto e la cassa delle molli vesti di
quercia di Venere:
il suo eroe molle
pensa a quelle querele che, morte ormai, divengono
mollicce per una specie di carie che le divora, quali
cotone, chiama
egli

ciascun
boschi.

di

noi

Delle

ha spesso

rughe e dei

visto e toccato

con mano

capelli bianchi

in

non occorre

dire quanto spesso ricorrano in questa letteratura. Solo


Orazio ha tentato qui nella descrizione della bruttezza

un'audacia
pant

stilistica,

capitis nives. Il

me

pare con buon successo: tur-

commento

di

Kiessling-Heinze ricorda

che r immagine era dispiaciuta a Quintiliano, asserisce


che essa compare in greco per la prima volta nel contemporaneo Antipatro di Thessalonica (A P VI 198)
do(hq ajx!,c TioXij)
y'/P^- vt'^ijievov, accenna per che si

veva trovare in letteratura pi


carme o tradotto dal greco o
(1)

Citato da Kiesslixg-Heinzi

un
due carmi

antica, se Catullo in
rifatto

di su

Parche

greci, scriveva delle


vittae

(LXIV

457

A me

309).

roseae nlveo residebant vertice

pare che

arditezza non sia

1'

tanto nell'immagine quanto nel congiungere le nives con


il

turparunt: la prima neve insudicia

Il

particolare pi schifoso, dei denti gialli, raro

capo della donna.


anche

il

epigrammatica cosi scarsa di riguardo


al buon gusto: Rufino nell'epigramma a dispetto citato
(V 21) parla in genere della bocca che non ha pi la
grazia di prima: il Bizantino Macedonio scrive (XI 374):
Non aprir la bocca; chi ci ficcher con inganno di farmaci la fila dei denti? Solo Properzio nella canzone funebre per una ruffiana, che comincia non gi sit Ubi terra levis,
ma terra tuum spinis obducat, lena, sepidcrum, descrive con
compiacenza, tra gli altri particolari schifosi della tisi
che consum la donna che gli aveva fatto male, anche i
in

questa poesia

denti cariati
collo

IV

67

5,

sputaque per dentis

certo imitato Orazio,

l'idi

ire

ego

rugoso tiissim concrescere

cruenta cavos: qui egli

come mostra

tutto

passo

il

non ha
(1).

Ma, se i particolari sono ellenistici, la figura dell'Amore


che vola via dalla donna vecchia e si ferma sulle gote
della giovane, doveva ricordare ai lettori una strofa di
Saffo, che stata ritrovata test, mutila pur troppo
{Ox. Pap.
p. 29, pap. 1231, fr. 10). Sono conservate

solo le ultime parole di ciascun verso

[x9i^aaxc

Tixaxai

oi'y.wv,

che nel carme era parola

(1)

di

ma

xpa Y^^P^? ^i'^''i


a stabilire

bastano

una vecchia; che qual-

Ragioni cronologiche, in contrario, non ve ne

qnarto libro delle Odi

i)

uscito,

vero, solo nel

1',^,

delle elegie properziaue era stato pubblicato giil nel

Ma

non

alla

pu diro

pubblicazione,

venisse
libro.

si

sott'

occhio

di

e
a

sarebbero:

il

mentre l'ultimo
1(5

o l'orse

1").

quanto la composizione di IV 13 sia anteriore


non inverisiniile cbo un canuti dell* emulo
Properzio audio prima di fsscr dato fuori in


cimo

458

aggirava intorno, volava inseguendo: chi se non

si

Amore? (l).
La strofa

seguente,

vesti

le

lusso

di

le

gemme

preziose che non riescono a mutare V et consegnata a

memorie
tutto
noti

il

sin

me

note, pare a

troppo

la

[)ii

scolorita di

carme; l'espressione, nonostante la malizia dei


nonostante l'arditezza del tempo che volando

fasti,

chiude r et passata
immediatezza, priva
riporta

in

un

libro,

di vigore.

mi sembra scarsa

Ma

l'accenno

non pu ripensare senza rimpianto:

come osservano
colei

di

passato

poeta alla sua lieta giovinezza, alla quale egli

il

dono, su

al

di

che

lei,

lo

egli s'intenerisce,

commentatori, ma non, come essi crema su di se. Essa non per lui se non
i

aveva rubato a

quo fuyit venu?,

se stesso:

heu, quove color? decens quo motus? Certo

grazia nel danzare


tutto ci

riferisce in

si

non interessa

non perch
quid habes

gli

ricordo della

primo luogo a

non impietosisce

ricorda giorni che per

illius,

il

il

furono pi

lui

belli:

quae spirahat amores, quae me sur-

illiiis

puerat mihi felx post Cinaram notaque


facies? Nella poesia oraziana,

et

artium (jraturnm

dovunque compare Cinara,

essa simboleggia la giovinezza amorosa del poeta:

mo carme

ma

essa,

poeta, se

il

pri-

del quarto libro, che proemio e quindi pro-

gramma, distingue

dall'et presente quella in cui Orazio

Per fare intendere a Mecenate


che Orazio non pu pi stargli sempre a lato, perch non

erat bonae sub regno Cinarae.

pi giovane, egli lo invita a rendergli

il

petto forte,

pelli neri e folti fin sulla fronte: reddes dulce loqui,

ridere

decorum

et Inter

vina

(epist. I 7, 28); perfino

il

ca-

reddes

fugam Cinarae maerere protervae

pianto per

1'

infedelt dell'amata

perch parte di tempi migliori, in cui egli


poteva piacere senza doni a una donna avida. L'Orazio
gli caro,

(1)

L'interpretazione

del

Wilamowitz,

yi'iicJohrhucher 1914, 228^.

459

di Cinara il giovane della vita elegante e sciolta:


quem tenues decuere togae nitidique capilli, quem scis immunem Cinarae placuisse rapaci, quem hihulum liquidi media de
luce Falerni (epist. I 14, 32), quello stesso deve ora contentarsi di un pranzo breve e non pu rinunziare alla

siesta: la giovinezza passata.


Il

carme par

troppo presto

Ma

finire in

un

sed Cinarae

sospiro:
hreves

Cinara

annos

con arte che abbiamo mostrata

fata

tutt'altro

morta

dederunt.

che mcon-

sueta in Orazio (v. sopra p. 60 sgg.), il periodo che sembrava chiuso, seguita inopinatamente con un aggettivo
verbale che introduce a sua volta una proposizione da cui

ne dipende ancora un'altra: serratura din parem


vetulae temporibus Lycen, possent

ut

iuvenes

cornicia

visere

fervidi

multo non sine risu dilapsam in cineres facem. Orazio non

non per ischernire:


fati non hanno
ucciso anzi tempo Cinara se non per conservare (nel serratura si sente l'intenzione) Lyce sino a una et di cornacchia. Il confronto poco galante con la cornacchia longeva
quali si
frequente negli epigrammi contro le vecchie;
compiacciono anzi di formare nuove espressioni con la cornacchia a fondamento; la Themistonoe di Lucilio (AP XI
si

intenerito

se

(39)

xpixpwvo:. tre volte cornacchia ; l'ottocentenne

celebrata da Myrino (A

cornacchia e

di

P XI

Ecuba, Axi

hanno mostrato che

l'

67) una Laide mista di

xopcDVExxpr^.

immagine

del

Kiessling-Heinze

tizzone

si

trova in

Meleagro (A P XII 41): Non pi scrivo bello Theron, n


Apollodoto che un tempo rifulse (jual fuoco, ora un
tizzone . Ma tutto il quadro della giovinezza che ride
al veder la rovina di chi le ha nociuto, si ritrova anche
presso un altro poeta latino, deriva quindi da poesia ellenistica: Tibullo prosegue cosi la descrizione profetica
di colei quae fida fuit nuli, ridotta ora a sostentarsi cun
il

(lare la

lana

(1

0, (SI):

liane

animo (/andante

ridenf in-

460

venum/jue catervae commemorant merito

tempo

In complesso (luest'ultimo per

tot

tra

mala ferve senem.


carmi oraziani
i

a dispetto, pi libero coni' da troppo razionali

produce tuttavia

d' arte,

minore che

impressione

canoni

una freschezza

d'

due.

gli altri

L'ammonimento

l'

al fanciullo sprezzante

(IV

10).

Dove abbia compagni il Ligurino di


crudelis adirne,
abbiamo mostrato chiaramente nelle pagine precedenti
:

forse in Anacreonte,

nei

teocritei,

TZT.iZ'.y.x

scorno delle quali

grammi

certo

nello

pseudo-Teognide,

nelle canzoni a

7iaj>a7.Xaua''i^'jpx

mandano- come un

ci

dell'Antologia.

pi

sfiorire della bellezza puerile,

si

riflesso

parlano

antichi

ma

epi-

gli

dello

si

guardano bene

l'accennare senza veli al particolare disgustoso della

Una

nei

dalilpi^.

generazione pi recente e pi lasciva mostra minor

disgusto e

meno

riguardi

parecchie

filze

di

epigrammi

dell'Antologia sguazzano con compiacenza non dissimulata nella descrizione

fanciullo

riluttante

la

ripugnante,

sia

giovanetto che fu sprezzante. C' chi

genericamente che

cennare

che predicano

al

pubert, sia che la rinfaccino al

il

si

contenta

di ac-

bel fiore ormai sparso

un ignoto Thymocle (A P XII 32), o


ci sono, come Filippo di Thessalonica in un componimento che abbiamo in parte riportato di sopra (A P XI 36), come il suo coetaneo Diocle
(A P XII 35), come un anonimo (XII 39) e come lo specialista e raccoglitore della Musa puerils, Stratone (A P
XII 186 (1); cos un poeta della Corona di Filippo, Auper terra,

che

(1)

peli

come

fa

verranno o che

due epigrammi ultimi sono riportati da Kiessi.ing-Hkinze


tomedonte

di Cizico

(A P XI

quello pi copertamente

326), e

(^p.t-s;

appagano

un anonimo (XI

51),

con

questi

eaoj |xv5prj;),

buona stadel fanciullo un adolescente, con il tempo

pi franchezza,
gione, che fa

461

che trasforma

si

il

di confrontare la

capretto in caprone. Questi sono ancora

ma appunto

la Musa piierilis contiene due o


epigrammi, dove il mutamento enunciato
brutalmente e decomposto gelidamente nei suoi elementi.
E meno male quando si distinguono solo gote e femore,
i

raffinati,

di

tre filze

di Phania (A P XII
Corona di Meleagro,

come nell'epigramma
partiene ancora
dell'

ignoto

XII 36)

alla

Asclepiade

sospetto

che apquello

in

(A P

Adramytteno

Un epigramma (A P XII

30), attribuito nella

Palatina ad Alceo da Messene, che in

abbiamo conosciuto poeta

31),

altri

componimenti

delicato, fa di peggio.

Kiessling-Heinze credono l'ode di Orazio derivata da

epigrammi

tali

dell'et

augustea e della repubblicana ul-

tima. Io penso che essi abbiano ragione e che veramente

questo componimento

grammi che con

si

ricolleghi piuttosto

Lo

odi perdute.

con

gli

epi-

fa sospettare la brevit,

inconsueta nel canzoniere oraziano. Inoltre, Orazio parla

chiaramente delle xp'.yzc, come soltanto gli epigrammatici


recenti che abbiamo detto, non
poeti ellenistici
come
i

essi,

altro

distingue

carme

il

egli

nessun carme

volto dal resto del corpo. Porse in nessun

segue cosi servilmente

suoi modelli (1);

comporta, oseremo dire, pi passivamente rispetto all'ispirazione che la mancanza di origi-

in

si

nalit sia qui indizio di sincerit naturale e incoercibile,

(l)

Punioeae rosac saroblto secoiulo

pindiirica (.po.vixopSoij

Ki^y!^lin<J-lIeiIl/^)

svi Xsiiitvsaai),

tradizionale in questo genere


l'epi<:;ramma di Stratone (A

cfr.

P XII

ma

il

reiiiiiii.si'oiiza

confronto lon

la

msa

passi di Dioclr e di Kiiliim r

234).


che

4t)i2

non riesca a esprimere un sentimento che

egli

era ignoto e che simulava solo

per affettazioiK?

gli

lette-

raria?

Pure certe minuzie rivelano l'unghia del leone. Gli


epigrammatisti dozzinali, da Alceo (XII 30) ad Asclepiade
Adramytteno (XII 36), da Phania (XII 31) a Meleagro (XII
33), nominano con basso compiacimento le parti del corpo
cui
peli infestano. Orazio dice castamente piuma come
parlasse di un uccello nidiace che si copra a poco a poco
di lanugine tenera tenera, senza precisare di pi: insperata
i

tuae cimi veniet lliima superbiae (1).

Nei poeti e poetucoli

ho ben veduto, manca del tutto un altro particolare, il pi grazioso del carme, le chiome svolazzanti gi
per le spalle del fanciullo, che cadono ora sotto le cesoie.
Kiessling-Heinze ricordano il costume dei Greci di ta-

greci, se

gliare e dedicare agli dei

entrare

nell'efebia, a

me

riccioli

del

fanciullo

al

suo

pare non opportunamente, per-

ch, se sono

conservati epigrammi di due celebri poeti

ellenistici, di

Rhiano ed Euforione (AP VI 278 e 279) per


da un giovane, i riccioli non sono mai
moltissimi epigrammi dell'Antologia sulle

la

chioma

offerta

ricordati nei
xp''y^.

Io

penso che a Orazio quest' aggiunta elegante sia

romana del suo tempo


bimbi
che andavano a scuola, erano chiamati cirrati o capillatiy
come mostrano passi di Persio (I 29) e di Marziale (IX
stata ispirata dalla vita

29,

7.

62,

2).

lunghi gi per

savano

(1)

la

toga

fanciulli

romani portavano

capelli

sinch, venuti a pubert, indos-

virile (2):

quest'ultima cerimonia, forse pi

pari e castit

mito e uu gorgoglio,

maggiore uu poeta moderno ha

in-

Pubert, fonte segreto che spicci senza un tre-

ma

che di tenero musco vesti insensibilmente lo

scoglio .
(2)

le spalle,

Cou grazia

vocato la pubert

Bl'mxki!, R!im. Frivatultrrtiimii-, 271.


solenne che nel

463

mondo greco

l'iscrizione nel registro degli

non sempre, congiunta con


della chioma e della barba a una divinit.
efebi, era

spesso, se

l'offerta

5.

monito alla donna tentata

Il

(III 7).

Perch, Asterie, piangi per morto Gyge, che vivo


serba fede? Invano nella lontana Orico un messag-

ti

gero della sua ospite, Chloe,

lo tenta, facendogli spavento


con storie mitiche, che mostrano quanti pericoli minaccino
chi ricusi inviti di donne. Tu piuttosto non guardar tanto

Enipeo, troppo bello e troppo elegante; chiudi

la finestra

non ne
quadro colore
locale: Asterie abita al secondo o al terzo piano in una
stanza che d verso la strada, appunto come la Lydia di
I 25, se per vedere ci che avviene per via, deve despicere
(v. 30), rivolgere lo sguardo verso il basso. Enipeo uno
dei soliti giovani eleganti, che, prima di andare a compiere il servizio miHtare in provincia, adempiono agli ol)blighi pi che altro sportivi dei sodalicia augustei (1):
e gli orecchi alle sue serenate . Modelli ellenistici,

conosciamo; Orazio

sono nominati

il

si

studiato di dare al

Campo Marzio

il

Tevere,

due centri

Roma. Serenate non saranno


mancate nella Roma augustea, come non mancano mandolinate in quella moderna; allora come adesso si saranno
fatte sotto le finestre non delle signore ne delle ragazze
di buona famiglia, ma di quelle cos cosi; la lamentosit
degli esercizi ginnastici in

{querula

tibia,

dice

il

poeta) propria della musica popolare

del Mezzogiorno e dell'Oriente.

men

Le note

delle migliori e

volgari canzonette napoletane paiono

(1)

V. sopra

1).

102.

me

tristis-

sime, anclu! (juando

parole sono allegre.

le

Gyge sverna

a Orico, come conviene soltanto a un viaggiatore di commercio romano o almeno italico che torni di P)itinia, non
a un Greco.
Dell'uso delle favole mitologiche a fine amoroso, delle

pu

2)eccare docentis hisioriae, si

asserire con sicurezza che

esse risentono lo spirito libero dell'ellenismo. Colui che per

primo escogit di adoprare quale eccitamento al peccato


le storie che originariamente erano destinate a esaltare
la

saviezza e la castit di eroi celebri, dovette vivere

un' et in cui la piet per

il

mondo

in

leggenda era

della

morta e sepolta. Le parabole rovesciate , p. e. quella di


Lazzaro e del ricco epulone, sono invenzioni di gente che
al cristianesimo non crede pi: la fede nel Vangelo
morta nella coscienza di Gabriele d'Annunzio, per quanto
compiacimento estetico egli ricerchi e trovi nelle forme
di un cattolicismo molliccio. Le due storie di Bellerofonte
in tutt' e
e di Peleo (1), per quanto scelte abilmente
due la moglie del padrone di casa tenta l'ospite, come apreluttano ancora al mal uso
punto Vhospita Chloe Gyge
loro:
ne
Anteia n Hippolyte riedi
far
di
tenta
che si

scono nel loro intento


gono, grazie

non

la

morte

frivolo la

ma

Bellerofonte e

si

aiuto di

all'

la gloria

mitologia, p.

un dio benevolo,
e.,

Peleo
alle

sfug-

insidie

Volge a uso
dove il suo pa-

loro retaggio.

il

Teocrito, l

store giovinetto (III 40) tenta indurre Amaryllide a darglisi,

citando esempi favolosi di pastori mitici, Hippomene,

Biante, Adonide, Endymione, ai quali

dee hanno

(1)

concesso se stesse

eroine

ma non

si

pu

perfino
dire

che

Quella raccontata, com' noto, nell'Iliade, cxuesta da Esiodo

nel carme di cui venuto alla luce

papiri di Strasburgo (Herm.,


daro, Kem,, IV

.5ti,

2(>

sgg.

XXXV

un frammento nella raccolta


1900, 80).

dei

Esiodo attinge Pin-

si

faccia qui violenza allo spirito della leggenda, ancor-

ch
il

465

metta in

si

che a esso non convenga,

rilievo, pi

carattere pastorale degli amanti fortunati

(1).

N pecca

pi gravemente contro la santit del mito l'ardente giovinetto dell'

'Oap'.aT'j;,

che, per vincere la fanciulla ripu-

gnante al suo amplesso, asserisce Elena aver baciato spontaneamente, non rapita a forza, il pastore (v, 2); che Elena
ha gi nei poemi omerici cattiva fama. Gli esempi di Elena,
di Venere stessa e Pasiphae, di Danae (II 32, 31 sg., 55sgg.)
servono a Properzio di comodo pretesto per iscusare le infedelt della sua donna: egli non desidera altro, s' intende,
che di esser costretto a perdonare. La mitologia per
lu taitum stuprorum examen {v. 41). Un'altra elegia (III 19)
d la prova che la libidine ancor pi femminile che maschile, citando

nomi

di eroine e storie mitiche.

carme va ancora un passo pi

Orazio in questo

perch non solo adopra frivolmento, come


egli stesso altrove, in

ma

TU

25

27,

oltre,

come

gli altri e

(2) e peggio in ITI

1 1

(3),

svisa coscientemente la leggenda. Quest' osservazione

mostra di per se sola abbastanza chiaramente che Tode


deve annoverarsi tra quelle animate da spiriti ellenistici (4).

L'imitatore

(1)

di piegare

per

clie

llo

(2)
(3)

non antentico

V. sopra p.

l\o'jy.oV.z-Aoc.,

ha sentitn

il

il

l>isogu(>

Endymione

fos-

uno

cre-

siitatta che basta, a

carme.

2tK).

Qui Mercurio

ma

il

La dipendenza

sero davvero pastori.


dere, a provar

ha scritto

per segno come Adonide ed

addirittura

pregato

di

jiegare lui

il

cuore di

ahueno il signilcato profondo della leggenda


delle Dauaidi, che deve ricercarsi appunto in antichissime credenze,
.secondo le (piali vive infelice oltre tomba chi muore senza aver ricevuto il "zXo^ yap.ot>, il sacramento del matrimonio. La concezione
risale a un' et in cui si credeva ancora che all'anima del morto ikhi
Lydia,

rispettato

potessero dare
(1) Gli

uu'oml>ra di vita

vita galante !iell'./r.i minnidi di


:i()

.se

non

le otl'erte

dei suoi discendenti.

dei nominati quali prototipo insieme e giustihcazione della


()\idio,

sono

tgli

dellt> stessn

spirito.

46<)

pu dire, due uomini, l'artista cresciuto nella contemplazione spregiudicata della bellezza
In Orazio vivono,

si

cittadino romano fedele a^li antichi


nuovo por volere dell'imperatore; in

il

ideali,

ora messi

coesistono lo

lui

spirito dell'ellenismo e lo spirito della restaurazione

gustea. Al suo ingegno e

au-

suo gusto squisito riuscito

al

disarmonie nei singoli carmi; riuscito anche di


dare unit allo stile; ma egli non ha neppur cercato, ne
di evitare

importava, di comporre il dissidio tra motivo e motivo


componimenti diversi.
Io non so se quest'ode sia imitazione o riduzione di
un carme lirico ellenistico; i suoi presupposti mi paiono
cos complicati che mi sembra impossibile Orazio li abbia tolti di peso da un componimento di un poeta pi

gli

di

antico.

Esso forse originale,

zione, e pi

il

modo come

zio supplica Asterie di

tanto

le

vivo

ma

ma

ellenistica la situa-

situazione sentita: Ora-

ama, e incuore, rivelandole che Gyge

rimaner fedele a chi

mette l'inferno

s,

la

in

1'

esposto a una tentazione assidua

la ten-

e sottile
donna sotto il cui tetto e^li dorme
il mezzano (1) mille vafer tnodis, se sa rivolgere ai suoi
fini leggende composte un tempo in onore dell'eroe casto

tatrice la

e rispettoso del focolare

ospitale

Orazio pare voglia

acquietare la donna sulla fedelt dell'amante, ma le parole


di consolazione finiscono in un adhuc di cattivo augurio

frustra

sino a

nam

scopidis siirdior Icari voces audit

quando

subito dopo

ammonisce

adhuc integer

Asteria a es-

Kiessling-Heinze ricordano la nutrice della tragedia. Mal'uso


da vecchie donne durava nell'et
ellenistica, come mostra il primo mimiambo di un osservatore acuto
dura ancora in Oriente e, per esempio, tra
della realt, Eronda
gli Ebrei polacchi. Il particolare pu essere in Orazio altrettanto
realistico quanto letterario.
(1)

di far trattare atfari di tal genere

4(i7

ma

con parole che sembrano studiarsi di metanche pi del necessario quanto forte sia
tentazione. Enipeo vicinus, come Chloe hospita: le

sere fedele,

tere in rilievo
la

occasioni del peccato sono quindi molte. Alle parole enigmatiche at Uhi ne.... plus insto placeat cave (qual il iu-

segue subito, introdotta da un quamvis, una coni


pregi di giovent e di destrezza di
Enipeo: quamvis non alius flectere eqiiom sciens aeque conspistiim?)

cessiva che esalta

qnisquam

citur (jraniine Martio, nec

Chi decanta

alveo.

tali

citus

aeque Tusco denatat

virt di soldato e di aristocratico

all'amata di un commerciante, sia pure di


ciante in grande

cui le

un commerlunghe navigazioni,
viaggi in
i

paesi lontani conferiscono


sa bene quel che

si

fa

1'

aureola quasi di esploratore,

aiuta l'ufficiale elegante a riportare

la palma. Anche la fine, con quel suo consiglio di chiuder


casa gi all'imbrunire e di non guardare in istrada, mentre la tibia lamentosa, stringendo il cuore, lo dispone a in-

tenerirsi,

(ha

con quel suo insinuare che egli

proprio torto

?)

dura, pare

me

chiama spesso

la

assai

maliziosa.

motivi romantici sono appena appena accennati,

punto

in questo toccar

far intendere

appena senza

qualche cosa

di diverso

sul labbro, consiste la finezza,

ma

insistere, in

da

consiste, se

questo

che

ci
la

ap-

si

ha

parola sia

concessa, l'ellenisticit del carme.

Un' elegia

di

Properzio,

III

12,

Postume, plorantem,

motivo, per cos dire, complementare di questo. A


Postumo che partito per la guerra partica, si descrisvolge

il

vono

come

Asterie,

dano

le

timori, fortunatamente vani, di Galla (anch' essa,

teme morto

il

marito lontano)

tentazioni cui Galla,

cuore

Galla

come

gli si ricor-

ma

Asterie, esposta,

perdoner l'abbandono e gli rimarr fedele, ancorch l'amato dovesse rimaner lontano

gli si fa

gli

tanto

tempo quanto Ulisse da Penelope.

lizia,

se

pur

e' ,

men

Ma

palese, sebbene

si

qui la

maun

insista

H'S
po' troppo

corruzione (juasi

sulla

inevitabile

in

Roma,

sebbene il confronto con Penelope perseguitata dai Proci,


che ai Proci riusc a sottrarsi solo a grande fatica jier
virt di mille sottili accorgimenti, metta in evidenza la
gravit del pericolo.
Ae.lia

Ma

l'

ultimo verso

vincit

Penelopes

Galla fidem suona cosi franco che tronca netto ogni

sospetto.

a sospetto non vi sarebbe adito alcuno, se Po-

stumo ed Aeha Galla

fossero personaggi reali, che con

non si scherza cos. Di ci tutdue


pu dubitare, sebbene Aelia Galla porti
nomi dell' onomastica romana. La si crede di solito parente o del Gallo congiunto di Properzio morto nella guerra
Perugina (Prop., I 21), o di quell'altro Gallo, a cui sono
dirette o di cui parlano le elegie 5, lU, 13, 20 del libro
tali

e specie con possenti

tavia

si

primo; ma quest'ultimo non se non un'ombra poetica,


r innamorato, e nulla pi. E a dubitare della sua realt
induce anche l'elegia prima del quarto libro: qui l'indovino si vanta di aver predetto la morte in guerra dei gemelli Luperco e Gallo figli di Arria. Dovremo credere che
Properzio scherzi cos sopra

suoi parenti periti

bat-

non piuttosto Gallo anche qui nome fittizio, adoprato appunto perch incolore ? E lo stesso si
dovrebbe dire di Aelia Galla, nonostante il doppio nome
che vuole appunto convincer meglio il lettore, che essa
sia persona viva anche al Gallus di IV 1 non si fa grazia
ne di una mamma ne di un fratello. Cos nel secondo libro
di Marziale Gallo (47, 56) e Galla (25, 34j sono un uomo e
una donna ridicoli e infami. E parimenti della realt di
Postumo s pu dubitare. Postume, Postume, grida Orazio
a un pater familias qualsiasi (li 14), invitandolo a profittar
taglia ? (1) o

il)

Il

R0THS.TEIN che crede Arria e famiglia

serva che questo

modo

strano per

nostro sentire.

il

di

compiangere

persone

reali,

os-

morti in una poesia sclierzosa,


del

469

tempo per godere a un Postumus


;

Giovenale sulle donne come mai


vano tra
loro amici un Postumo
di

indirizzata la satira
tutti

quei poeti ave-

? (1).

Per sovrappi

una
me rogetis, qui sii Postumus in meo libello, segno che Postumo era
qui un pseudonimo. In quest' epigramma egli si riferisce a
una poesia precedente (II 21), in cui Postumo il nome di
un amasio non desiderabile ma in un altro carme dello
stesso libro (II 67) egli un seccatore, in un altro (II 72)
un infelice schiaffeggiato. E la lista si potrebbe aumentare con poca fatica. Non s'intende perch il Postumo
Marziale, che fa spesso uso di quel nome,

volta

(II

23) di dire chi sia

non dicam

rifiuta

si

licei usqite

properziano

debba giudicare a un'altra stregua

si

con

tificare

il

pretore Q. Propertius, Q.

f.

T. n.

e iden-

Postumus di

augustea (CIL VI 1501),


quantunque naturalmente non si possa negare che l'appartenenza di (juesto alla gens Propertia faccia pensare a
un'iscrizione

con

relazioni

romana

il

dell'et

poeta, sia

dunque favorevole

all'identifi-

cazione.

ogni

modo

ritrovare

il

complementare a quello

di

un motivo, abbiamo

Asterie nel poeta tra

pi ligio all'imitazione ellenistica, in Properzio,


far

ma

perzio,

rebbe cosi

gnere

di quello

con libert ben pi grande. La mutazione saprofonda che la scoperta

che Properzio per

ci

farebbe apprez-

la

Ma

1)

11

realt

ijulibi

di Orazio.

JiLCiiKi.i,!;,

d Postumo

ne certo

sua mediocre elegia abbia preso

spunto da un carme greco, n escluso che

carme

el-

che avrebbe ispirato Pro-

zare di pi l'originalit del lirico romano.

la

potrebbe

pensare che Orazio avesse trasformato un carme

lenistico del

al

Romani

ci

detto,

Il

ihe

si

terminus ante quinu per

Mas.,

XXXVII

lo

sia ispirato
la

j)ubbH-

ha

iirj;aio

oraziano e {jiovLMialiano, non mi par

abliia

^A'/((;^

su rnu'lia dei ju-rsoiia^iicio iiroperziaiio.

1S81>, 2')

47)

caziono del libro terzo coni' noto,

23

il

nel 28 usc

prima raccolta di carmi oraziani. Properzio per nei


crocchi letterari poteva averne conosciuto qualcuno anche
prima della pubblicazione: alcune imitazioni sue da Orazio
la

sono note e certe; pi se ne troveranno, se pi

si

cer-

cher.

La

ricerca

Del resto

la

deve questa volta

finire

in

un non

questione delle relazioni tra l'elegia

di

liquet.

Pro-

perzio e l'ode di Orazio per noi affatto secondaria:

basta aver messo in luce

gli

ci

elementi della seconda, che

mostrano questa volta piuttosto essere ellenistico il mondo


poetico di Orazio che derivar questo suo carme da modelli ellenistici.

L'amante fedele

il

lupo

(I

22).

L'uomo onesto- e di coscienza sicura non ha bisogno di armarsi come un Mauro, qualunque paese egli
debba traversare che un lupo ha avuto paura di me ed
fuggito, mentr' io in Sabina passeggiavo cantando Lasia nella zona torrida
lage. Ora conosco il mio potere
sia nella glaciale, amer Lalage >>.
Il poeta narra un prodigio avvenutogli, ma in ben altro
tono che non faccia l dove canta come un fulmine a ciel
;

sereno

gli

richiamasse dal pi profondo dell'animo

la re-

tempo soffocata dalla critica


dove favoleggia di palombe che ripararono

ligione degli anni primi, da


filosofica, o l

presagio di gloria futura, lui fanciullo


Qui Orazio scherza: Arellio Fusco un mattacchione che si diverte a finger di non capire chi con
cenni degli occhi e con strette di mano supplica di esser
di fronde novelle,

dormiente.

liberato da

un seccatore (serm.

I 9,

60

sgg.),

che

degli Ebrei circoncisi (ibd. 69) con espressioni

si

beffa

piuttosto

471

sanamente allegre che decenti. Non a lui Orazio avrebbe


un miracolo vero. Ma un lupo che fugga via
dinanzi a un passante, a un uomo per quanto inerme,
non spettacolo da far meraviglia sul serio. Al pi pu
sembrare strano che Orazio incontrasse di pieno giorno
un animale che va in giro solo di notte, sia pure per le
balze rocciose e ripide del Monte Gennaro.
egli ha
inventato la storiella, o, se gli capitata davvero, ha fatto
del suo meglio per darle un aspetto terribile, che in verit non le conviene. Ricordare le armi dei Mauri, il giavellotto e l'arco con le frecce avvelenate, a proposito di
un lupo, esagerazione di quelle che non si dicono se
non per ischerzo. Orazio vuole, crederei, che
lettori,
udendo 1' avventura capitatagli, pensino al fondatore di
Cirene cantato da Pindaro, a Batto dinanzi a cui {Pyth.
V 57), per volere di Apollo, anche i leoni fuggirono. Cos
il poeta, l dove narra delle fronde nuove di cui le palombe lo ricopersero, ha in mente la leggenda di lamo
(Oli/mp. VI 52); ma il tono , si gi detto, ben altro.
Qui quel parlare per una strofa intera dei Mauri e delle
loro armi, quel mettere le Sirti al primo posto tra i paesi
pericolosi per belve, quel tornare a discorrere due strofe
sotto ancora una volta della Mauritania, insistendovi su
con una perifrasi suggerita dalle vicende politiche pi
recenti, ampliata con un oxijmoroi ardito, quasi un confessare l'origine del motivo. Finendo la strofa in cui narra
del suo incontro con il lupo, col chiamare la terra di
Giuba leonum arida nutrir, Orazio invita quasi il lettore
che aveva studiato Pindaro, a confrontare lui con Batto.
confidato

Pure, parlare di parodia, di allegra derisione

peggio

di derisione di

un luogo comune

tanto

della poesia ero-

come fanno Kiessling-Heinze, pare a me


Orazio non schernisce qui le leggi del mondo

tica,

costruito dai poeti ellenistici, perch le accetta

eccessivo.

fantastico
e,

sia

pure

4-/"J

un sorriscLto sulle labbra, no la suo pr deriderle


non converrebbe a uno le cui creature sono cittadine appunto di quel mondo. Orazio, se qui sorride, sorride di s.
fo non mi so immaginare che, sia l'avventura di Orazio in
Sabina vera o no, prima di lui un poeta ellenistico ne abbia cantata una simile di ah: tutto ci che, se non e, si

con

vuol dare per


trasportato

[[jCf.o[Xvov,

per vita vissuta, non pu essere

impunemente da un soggetto a un
di lamo, perch una
confronta con

feriva di Pindaro, ed egli

si

trove, con piena coscienza.

Ma

egli avesse preso

da

altri

Orazio

altro.

narra di se la leggenda

simile

si

ri-

qui e

al-

lui,

sarebbe assurdo pensare che

l'invenzione dell'amante puro

che s'incontra non nelle Sirti ma in un paese abbastanza


civile, se pure un po' aspro, non con un leone ma con un
lupo, bestiaccia infine, ed egli doveva saperlo, tutt'altro
che esuberante

di coraggio.

proprio vero, Fusco, che chi ha la coscienza pura,

non ha nulla da temere

Secondo Tibullo

l'amante pu girare intusque sacerque anche


la pericolosa

Roma

Amore non permette


neppur

I 6,

che egli sicuro


tamen

media sic,
oris,

est

da Pilodemo (A

in

per

che

(III 16,

anche

mezzo

ai

P V

25) e

11 sgg.) canta

sulle strade pi

barbari di Scizia:

quisquam, sacros qui laedat amantis: Scironis


;

quisquis amator erit Scytliicis

licet

ambulet

Ma non vi
vediamo riflessi in questi
abbiano inventato che, nonch barbari, anche le

nemo adeo
i

ut noceat harharus esse volet.

poeti ellenistici che

belve risparmino

un

anche

simile,

pericoli ^della strada

ai

di esser rispettato

licei ire via

traccia che
passi,

pensare

25 sgg.),

di notte,

un pensiero

13 sgg.). Properzio

infestate dai ladroni,


nec

di

di notte, espresso

Ovidio {Am.

s'intende.

(1 2,

tale

gli

amanti, che abbiano narrato

prodigio quale Apollo aveva riservato

niamino dei
Orazio osa

fati,

al

fondatore della citt possente.

inventarlo, anzi

se

di
al

supporlo noto e ovvio.

be-

Ma

47:i

proprio vero, Fusco, che....

l'invenzione conforme

mondo erotico dei poeti


che uomo buono e amante sono

alle leggi del


ci,

identici.

augustei anche in
senz' altro pensati

ricompensa che secondo

Cosi da Tibullo quella

r opinione comune del tempo destinata dopo morte


buoni, riservata agli amanti:
la

sede riservata a essi

nero

sum semper Amori,

I 3,

ipsa

campi

Elisi

57 sgg. sed me, quod faciUs

Venus campos ducei

ac iuvenum series teneris immxta puellis ludit


la

miscet

amor

illic est

te-

in Eli/sios....]

adsidue proe-

et

cuicumqtie rapax Mors venit amanti,

insigni myrtea serta

et gerit

ai

divengono

coma

Parimenti Properzio (IV

7,

55 sgg.) nomina tra

si

portarono bene o male in amore.

beati e

chi ben guardi, sono parallele

dannati solo donne che

Le due

concezioni,

per Orazio la cosa cos

ferma neppure a spiegare come mai


il passeggiare oltre il
termine del proprio podere con Lalage in mente, cantando Lalage, sia atto di piet.
A Lalage egli rimarr fedele pi che mai ora, che ha
la prova della potenza dell'amore. Questo pensiero che,
se lo si prende sul serio, diviene assurdo, non neppure
ovvia che egli non

enunciato,

ma

si

come

implicito nel passaggio dalla quarta


Mettimi nella zona glaciale o nella

alla quinta strofa

torrida, seguiter

ad amare

dolce voce.

La

la fanciulla dal

dolce

descrizione delle pigre stese polari che

nessun aratro ridesta, nessun albero rallegra,

Giove

ostile

riso, di

la

nebbia e

aduggiano, posta nel primo luogo, perch, se

dopo 1' accenno alla terra di fuoco


umane, l'impressione scemerebbe di
molto. La distinzione delle zone abitabili e inabitabili non
ancora al tempo di Orazio un'anticaglia poetica. Forse
gi Eratostene, certo Polibio e Posidonio avevano negato
che la zona tropica fosse disabitata, ma Cleomede narra
di Stoici di stretta osservanza,
quali, non dandosi per
vinti neppure dinanzi alle notizie dei viaggiatori che si

fosse collocata subito

negata

alle abitazioni

erano spinti nelle regioni

474

^
polemizzavano ap-

e(|uatoriali,

punto contro Posidonio (Ij. Cleomede, che pure visse nd


secondo secolo dopo Cristo, d loro ragione. Per Orazio
chi cerca i confini del mondo, vuol vedere qua parte dehacchentur if/nes, qua nehuue phiviique rores (111 3, 55j.
Disopra abbiamo negato che la storiella del lupo possa
avere modelli ellenistici

ne ha, credo, questa seconda parte

carme ellenistico, di cui ci sono conservati riepigrammi,


due
esprimeva in forma imperativale,

dell'ode, l'n
flessi in

come
io

Orazio,

pensiero: <<Pa di

il

continuer ad amare

me

potranno impedire

lo

la

me

quel che vuoi, Giove,

natura ostile ne

Asclepiade sfida

fulmine

il

(AP V

04j:

Nevica, grandina, fa scuro, lampeggia, fulmina, riversa

mi ucciderai, cesser; se mi lasci in vita anche dopo avermi fatto di peggio, seguiter a condurre vM\xy.. poich mi trae colui che
comanda anche su te, ubbidendo al quale una volta tu, Zeus,
penetrasti oro attrav^erso pareti di bronzo . L'epigramma,
certo inferiore quanto a finitezza d'arte, di un anonimo
sulla terra tutti

canta

(AP V

nembi

ribollenti

168): Colpiscimi

anche, se vuoi, con

con

se

il

fuoco e con la neve,

fulmine, gettami in un precipizio

il

domato da amore,
consuma neppure il fuoco di Zeus versatogli adNel carme lirico dal quale questi due epigrammi de-

o nel mare; chi rifinito dal dolore e

non

lo

dosso

rivano,

il

soggetto degli imperativi era Zeus, che solo egli

padrone di fulminare

l'anonimo ha indebolito, lasciando

indeterminato quello a cui rivolge la parola. Asclepiade

mostra del pari pi fedele al modello primitivo, perch pi vigoroso, l dove dice: Non mi vincerai; co-

si

munque

ridotto, finch vivo,

moderni che l'amore e

(1)

Bergeu,

Gesclt.

505 sgg., 553 sgg.

<.

il

amer, se pur dispiace a noi

xw[ji^:v

ri^soinch.

siano per

lui

tutt'uno,

Erdkiinde der (hiechen.

'Sd3 agg.,

4/0

come, confrontato l'anonimo con Orazio, vien voglia


credere che non

fo'sse

comune.

nella fonte

Ma

di

l'inven-

Neppure il fulmine consuma chi


da amore come me troppo languida.
La chiusa, con Danae e la trasformazione di Zeus
in oro, un po'troppo arguta e troppo poco in armonia
con lo stile del resto. Offende che il Capaneo dei primi

zione dell'anonimo
cosi

mal

ridotto

versi discenda qui a dire motti di spirito,

ma

si

facilmente la stessa concezione di vita che nel

L'anonimo, come non ha


chiusa

il

7.'~jjxo:,

cos

manca

riconosce
7.w[xao[jLa:.

questa

di

forse anch' essa un'aggiunta di Asclepiade.

Orazio, accogliendo

il

ttio;

dalla tradizione ellenistica,

ha trasformato di Zeus rimane una lieve traccia in


quel mezzo personale malus Iuppiter urget, ma il pensiero
delle zone tutto suo, caro alla sua lirica, come abbiamo
lo

veduto.

E, in ispecie,

il

tono

tutt' altro,

quale richie-

deva l'unit della poesia, che comincia con la storiella


mezzo scherzosa del lupo. Gi il mettimi , impersonale
o quasi, sostituito alla sfida titanica degli epigrammi, d
un'altra intonazione alle due ultime strofe: queste s'indugiano con tutta serenit a dipingere diffusamente le regioni inabitabili che pur non impediranno al poeta di cantare la sua Lalage, mentre negli epigrammi
membretti
gli imperativi accumulati gli uni sugli altri non lasciano
riposo, perseguitano implacabilmente. Pure la dipendenza
mi pare altrettanto evidente quanto l'originalit.
E anche nella chiusa Orazio pare essersi ricordato di
un carme ellenistico, non so se di quello stesso da cui derivano l'epigramma di Asclepiade e quello anonimo. Aristeneto finisce cos una di (luelle sue lettere di amore (II
21) nelle quali dipende spesso da poeti ellenistici: Possa
io avere un solo grato ufficio, di amar Delfide ed esserne
amato, di parlare con la bella e di udirla parlare
satw
i

>^

mi y.zl'j^'y.'.

z<x.'jxy,z

y,7.:

a/.s'./

xay,

tv,

-/.ai

Xou

xc-js-.v /.7./.oj^7j:.

(jiiesta chiusa, con la sua promessa di fedelt, assai simile

a tiuella dell'ode oraziana: dulce ridentem Laluf/en antabo,

loquentem

'lutee

Lesbii,

Ma

non gi

il

gi nel

canne

ricordato a
-(tX'x'.rsy.c

non

sciupato

ellenistico

la

il

suo

proprio AaXYT], aveva

letteraria celebre.

Ma

il

si

dei suoi
Saffo, se

di

riso,

modello

fanciulla

l'uso vivo, distingue dal

tempo

jjiepcv

che nelle sue regole ha

lage. Erodiano,

classiche,

si

-/.al

poeta ellenistico menzionava

Aristeneto ha

bile

il

Orazio

dell' 'j 'fwvcaac

l'

ina-

Forse

(1).

chiamava La-

in vista le

nome comune

dunque trovato questo

opere

Xa^ayri

un'opera

in

poco verosimile che questa fosse anche forse sino a tutto il quarto

teriore all'et ellenistica:

secolo XaXsv

ha

significato ciarlare ,

non

parlare ,

chiamato AaAyrj una sua amata non avrebbe


inteso farle un complimento (2). Anche qui, come per
Lyce, Erodiano ci mostra che il nome era noto alla lirica
ellenistica. Sarebbe strano che Orazio non avesse fatto
e chi avesse

uso appunto

di

quel

componimento

in

cui

si

celebrava

Quel carme, o forse l'imitazione oraziana,


in un altro carme di Orazio stesso
dette voga al nome
Lalage una fanciulla ancora restia all'amore in Properzio (IV 7, 45) una schiava troppo fedele alla memoria
di Cynthia (3).
V

Xoi.Xojo(x.

-ffh

(1)

HELM

Il

coufrouto tra Orazio e Aristeueto stato fatto da Fk. W'il-

{Rhein. Mas.

LVII 1902, 606

sgg.), a cui sfuggita la

porta da Erodiano. Egli non fa jiarola u di Asclepiade ne

conferma
dell' epi-

gramma anonimo.
(2)

altri

Questo non toglie che

derivati da soprannomi.

antica di Thera I

G X

3,

il

nome' potesse essere in uso, come tanti

Un

.VaXag in un' iscrizione abbastanza

817; recenti e forse di coudizione bassa

AocXo; di Mitilene XII 2, 376 e quello del cimitero di Domitilla a

XIV

il

Roma

1375.
(3)

Nell'ultimo libro par che egli

l'emulo mettendo

nomi

delle sue

si

diverta a prendere in

amate a fanciulle

giro

di bassa estrazione


carme, nonostante

Il

perch unico

Io

477

la

stile,

Pur dove prende

espressa.

copia di reminiscenze, vivo,

unica
lo

la disposizione

d'

animo

spunto da poesie appassio-

nate, esso spira serenit.

La
giuramento

Il

rita sotto

bella spergiura (II 8).

imprecazione contro se stesso proffe-

determinate

con(l,izioni

particolare, confondendosi

l'asserzione solenne,
lo

spergiuro non

babilmente

che

gli dei

adopra

vano

che

giorno che

non
in

promessa

la

con

sia

all'ira degli dei

contro

creda pi. Gli innamorati hanno pro-

fatto, primi fra

loro

il

si

il

esso perde la sua natura

con

sia

si

nome

tutti gli

muovono

uomini, l'esperienza,

cosi facilmente

per asserire

nessun' altra cosa

il

falso

piii

contro chi

o promettere in-

che

in

amore

si

usa

abusa a cuor leggero del giuramento. Ma gli antichi,


che erano attaccati con tutta l'anima a una credenza che

si

aveva tanta parte nella loro religione, nel diritto e nella


vita comune, corsero ai ripari per ingannar se stessi: in
amore s, poich lo si vede ogni giorno avvenire senza
consegifnze, lecito giurare
resto

no.

Un

il

falso

senza pericolo, nel

poeta esiodeo, probabilmente l'autore ^-

una ragione mitica dell'impunit degli


Zeus per primo aveva giurato a
non aver avuto relazioni con Io, onde egli rese

rAy'iAio;, escogit

innamorati spergiuri

Hera

di

migliore

<)

file si

vanta

di

meno

cio

trovano

in

Mhx.

il

uomini

pericoloso, agli

coiulizioni penose e ridicole

aver ajjevolato

liiciiici.KU. Rhetti.

parto

XXXIX

ditlrtcile

IHHi,

di

l'Jti.

il

suo

Ciinira

[W

il

giura-

indovino
1.

t!>)

efr.


mento intorno

alle

liV^y.cV [i.'vova

Nel

478

opere sepjrete di Cipride

vflpfTrotac

voa"f::Vov

epY"^"'

>

una parte messa a sacco da

in

tici, il

discorso di Pausania (183b),

pi, ottener solo lui

tutti

tempo

al

(2).

di

1'

dei,

giuramento

Noi non abbiamo ragione

ap-

poeti ero-

dimostra esser

si

perdono dagli

giuramento, poich, dicono,

opxov

K-j-p'-o: (Ij.

~-P'

cita all'amante ogni cosa, fondandosi su

porta pena

"

pi antico di amore, nel Convito, per

trattato

punto

toO

/.

le-

che dicono

ci

quando violi il
amore non

di

di

dubitare che

Platone quella concezione fosse popolare

proverbiale era gi al tempo dei poeti esiodei, che, pieni di

non avrebbero certo inventato


una credenza di tal genere, ne l'avrebbero accettata
se non fosse stata loro imposta dall'opinione pubblica e
se non fosse venuta loro in acconcio per iscusare una
azione scandalosa di Zeus. Platone ne fa uso anche altrove {Phileb. p. 65 e), e questa volta con isdegno non
dissimulato. Ma probabile che il passo del Simposio
scrupoli morali cora' erano,

essi

l'abbia diffusa ancor pi contro le intenzioni dell'autore.

epigramma narrativo di Callimaco (ep. 25) il proverbio ha forma un po' di versa: Una volta Callignoto
giur a lonis che non avrebbe mai tenuto pi a caro di
lei ne amico n amica, ma hanno ragione di dire che i
giuramenti di amore non arrivano agli orecchi degli iramortali ora egli si consuma di amore per un maschio,
e dell'infelice sposa nessuno si cura pi, come dei MeIn un

garesi
cpiXov

spcoxt

(1)

KaXX''Yvwto; 'Iwv:oi

wijLoas

xpaaova

^r^xe

opxo'jc

[17]

-^{Xr^v

w[jioav.

O'jvsiv

o'jax'

[it^tto-'

XX

ec.

t/.^'^n^c

Xsyo'J^'-v

S-avscxwv.

scs'.v

{jLr,-

kr^^ix xob^
vOv

5'

versi esiodei nello scolio al Simposio platonico 183 bc.

jiv

in-

forma in che contesto stessero, la Biblioteca apollodorea II 5.


{2) Leggo ou cpaaiv ^sfiTioivipiov) slvai, perch lo scoliasta non pu
aver aggiunto questa jiarola di suo.


o Xc/yo;

479

cO' ptO'jjic (1).

Un

poeta del III secolo che anche altrove prende


spunto da Callimaco, Dioscoride (AP
52),

spesso

lo

rovescia, a dir cos, la storiella

dona l'amata,

ma

non pi un amante abban-

la fidanzata lascia in asso

per isposare un altro

l'innamorato
l'amatore sospira e prega che Ime-

neo, ostile al talamo novello, oda da esso invece di


canti risonare grida di dolore.

Un amore

giuramento comune, un giuramento

ispir a

lieti

noi offrimmo

Sopatro fede

nell'amore di Arsinoe. Pure essa ment, e vano fu

il

ramento

ma

invece rimase fedele

egli

potenza degli dei non

suo amore,

al

manifestata

giula

Imeneo, tu

che
talamo traditore, possa tu udire lamenti
presso la porta di Arsinoe . (2) Qui l'espressione singolarmente attenuata per ora gli dei non si sono fatti
vivi; pure Sopatro, mutato in odio l'amore, spera ancora, e
prega che Imeneo, il quale aborre il tradimento, volga

hai rigettato

si

il

(1)

L' espressioue era proverbiale:

il

giovinetto

iuaamorato che

l'amata, impermalita da un suo sfogo brutale, ha lasciato in asso, dice


(Teocrito XXIV 47) quasi con le stesse parole di Callimaco:

x\x\3.ez

5'o'JXs

YW t.vg ^ioi o'jx' p'.^[jiY,xoi, 'jaxy,vo!. Ms-^ap-^sg xi|ioxaxyj vi [loipTj.


1 Megaresi erano stimati un po'dolci di sale. Aristeneto (II 20) La forse
in mente proprio il passo callimacheo, dove fa dire a una donna nel
respingere un giovane Voi stessi dite che i giuramenti non giungono
agli orecchi degli dei. Nella stessa lettera abbiamo osservato sopra
:

(p.

429) un'altra coincidenza con Orazio.


(2)

s'

Il iiriucipio difficile

intende "Eptoxt,

ma

opxov xotvv

'Ep'jz" vsd-rjxxjjiev; di solito

l'elisione dell'i del dativo sconviene a

sificatore cos raffinato, e vax'.9-vai opxov

oonie
gli
si

ha ben veduto dk Giikcori,

innamorati abbiano dedicato

St.

un'

il

Imeneo

participio mi

pare

biasim, respinse

si

un ver-

inconsueta,

it. IX 1901, 167. Io intendo che


immagine del <lio sul cui nome

erano giurati fedelt eterna. Nella chiusa

dxv]

espressione

7ia3T(I)

|i|i']^a!ivo; :xpo-

possa lasciar com', se s'intende ch

quelle nozze, perch frutto di tradimento.


ili

-iso

lutto le nozze. Ncircli di Orazio ([uel

sembrare ormai vieto (1).


Til)ulIo non ne fa uso se non
posta in bocca a Priapo

(1 4, '2\)

tazione dottrinale dei mezzi

j)ii

in (jueila

<lo\'evu

sua Ars

lOui'h'

qui nella scherzosa trat-

conquistare

atti a

promessa solenne

della fanciulla, la

motivo

arma indispensabile nella lotta


poteva mancare: iec iiirare Urne : tener is

sar sempre

irrita

per terras

freta siimma ferunt

et

vetuit i)ater ipse valere, iurasset cupide

perque suas impune


perque Minerva suos

sinit
(2).

Didipnna

Ma

il

cuor'-

fedelt, che fu e

di

amore, non

di

peruria

venti

gratia maijna Jori:

quidquid

ineptiiH

amor:

sayittas, adfirmes crinca

a un artista di gusto raffinato,

per grazioso che quel motivo fosse, esso doveva ormai,

da

ripetuto e risvolto per secoli e secoli


riuscire uggioso.

poeti

dell*

per dir cos, a capovolgerlo

fingono

di

divertono,

si

aver fede che

gli

neppure amore li
castigo, e insistono su questo punto per esi-

spergiuri

sian

sottragga

al

puniti dagli di e che

gere dalle loro belle,

nell' interesse loro, fedelt,

per giu-

Gi Plauto l'avo va adoprato volgeiulolo iu comico: la inezzanii

(1)

Laenis

abili e inabili,

et augustea

(Cist.

cium, dove
(2)

si

472) dice simlest us Uirandiim

scherza sull'altro senso di

Ovidio imita ([uesto

piter ex alto perinria ridcf

amanium

iun

quasi hts confnxi-

(sugo, brodo).

jasso di Tilmllo uell'o. a.

amantum

et

inhet Aeolioif irrita

633

sg;:.

lup-

ferre Notox : per

Siycia limoni falstim turare solehat Iiippiler, exemplo iinnc farei ipse suo.

Naturalmente

egli

non

si

lascia sfuggire l'occasione di aggiunger di suo

un'arguzia: Giove stato, a cos dire, l'inventor primo, l'3)pstYjg, dello

Lygdamo

spergiuro.

amantum

ridet

dice con le stesse parole ([Tib.] Ili

Iiippiter et ventos irrita ferre iubet.

meno

(,

49) periurin

Ovidio, fra tutti

poeti

da trivialit, aveva gi adoperato il ttts; in


forma un po' diversa in due i>assi degli Amores, assai somiglianti tra
loro
I 8, 85 >iec, siquem falles, tu periiirare timeto: commodat in lusm
augn.stei

il

alieno

numina surda Venus, e


divina di

II 8, 19 tu, dea, tu iuheas animi perinria puri

mare ferre Notos qui \'enere


colui che, cedendo alla potenza di lei, giura

Carpathiim

tepidos per

la
il

protettricifalso.

481

stifcare la gelosia propria quasi fosse solo

nel primo libro

pu

spergiuro

non punite

il

agli

di

28 e

il

26, lo spunto

il

menzogne

le

25 desine iam revocare

Cjnthia, et oblitos parce movere deos.

fra

in-

xtzoc,

ricordare
15,

nel loro

con certa timidezza gi


troppo stroppia il rinnovamento dello

teresse. Properzio usa questo

prime

tuis perinria verbis,

Nel secondo, composto


e svolto con una

ripreso

aggiunta curiosa Cynthia ha tradito il poeta ricongiungendosi con il pretore reduce d' Illiria guai a lei. Le
:

procelle non infuriano a caso

seguita proprio

le fanciulle

il

fulmine

spergiure

per placidus peiuros ridet amantes luppiter


aure preces
aetheria

et

tiinc

et

47 non sem-

surda neglegit

vidistls toto sonitus perctirrere caelo

desiluisse

aquosus Orlon, nec


rus

Giove per-

di

li 16,

ille

solet

ipse deus. L'

domo
sic

de

punire

fulmi?iaque

non haec Pleiades faciunt ncque


niiilo

fidminis

piiellas,

ultimo verso par quasi

elegia citata dal primo libro

di

ira

cadit

periu-

deceptns quoniam fevit

una

risposta alla

Tibullo, pubblicato ap-

punto in quello stesso torno di tempo come l Giove


perdonava, conscio di aver dato lui il cattivo esempio,
:

cos qui punisce per dispetto degli inganni in cui egli

caduto.

La

spiegazione fantastica delle tempeste autun-

mostra che Properzio prende qui in giro Cynthia,


lettori. Un'elegia che segue questa nel medesimo
libro, sta con essa a un dipresso nella medesima relazione
che la seconda ode a Lyce con la prima: quel che il poeta
ha presagito all'amata, si purtroppo adempiuto; essa
malata; non tanto ne ha colpa la stagione inclemente
quanto gli spergiuri II 28, 1 luppiter, affectae tandem miserere puellae ; tam formosa tuum mortua crimen erit; venit
enim tempus, quo torridus aestuat aer, incipit et sicco fervere
nali

s e

Cane;sed non tam ardoris culpa est ncque crimina caeli,


quam totiens sanctos non Imbuisse deos : hoc perdit miseras, hoc
terra

perdidit ante puellas; quid quid iurarunt, ventus


31

et

unda

rapit,

482

e cos via di seguito. In quello stesso torno di anni Tibullo,

che pure nell'ars amandi aveva trattato il motivo vecchio,


introduce il nuovo in una delle sue pi complicate e capricciose elegie: Maratho l'ha abbandonato, violando giurai

menti, per cupidigia del danaro offertogli da una donna

un giorno se ne pentir (1). 11 poeta ondeggia tra l'odio


e l'amore. Il carme comincia con parole di timore e di
compassione I 9, 1 quid mihi, si fueras miseroa laeaunis
amores, foedera per divos clam Violanda dabas? La puni:

zione inevitabile: a

tamen

sera

Poena

tncitis

primo periuria

niiser, et si quis

ceat,

Pure Tibullo ha

venit pedihus.

in-

teso dire, e spera sia vero, che spergiurare lecito ai belli,

ma

per una volta sola:

pune

licere

j9arc<7e

mimina formosis

caelestes

sin ora compassionevole, colto


si

rappresenta inevitabile

aequom

est

laedere vestra semel. Qui

il

im-

poeta

il

da un impeto d'ira; egli


se ne compiace

castigo e

malizioso com', egli lo scorge non in un intervento so-

prannaturale della divinit

vane
di

cui

la vita

femminile

gli

militare

rimaneva

visque decorem detrahet


facies,

urentur

Tibullo non
di

si

et

ma

uomo

nel farsi

toglier

presto

iam mihi

gio-

del

che

tutto ci

persolvet poenas pul-

ventis horrida facta

coma

sole capilli, deteret invalidos et via

iiretur

longa pedes.

rassegna ad abbandonare un motivo prima

aver ricavato da esso tutto quel profitto che pu:

la

sua fantasia poetica oscilla continuamente tra due o tre


pensieri,

Ora

si

che

gli

appaiono ogni volta sotto luce nuova.

ricorda di aver

ciullo di

non

quis violavit

tradirlo

un giorno raccomandato
mai

per danaro

amorem, asperaque

est

illi

al

divitiis

suo fancaptus

difficilisque

si

Venus.

Questa un'altra delle tante variazioni dell'antico motivo,

(1)
si

Creder taluno alla realt anche di queata

storiella

non

accorger che motivo e trattazione sono pnra letteratura, lontana

mille miglia dalla vita

483

adoprato con tutta libert dai poeti, secondo


loro

destro

il

lo

induce per danaro,

probabile

ne viene

spergiuro contro l'amore, se uno vi


il

meno perdonabile

che, prima che a

si

di tutti.

un elegiaco romano,

mente a un arguto lirico ellenistico di inmotivo che Paolo Silenziario avr


dinanzi agli occhi, come suole, un modello classico, dove
capovolge anche lui in certo modo, quantunque assai diversamente dai poeti romani, il xnoc, tradizionale (A P V
254); egli aveva giurato di starsene lontano dall'amica
sua dodici giorni, e gi il secondo non pot resistere. Tu
almeno, cara, prega gli di che non incidano questo giuramento sul dorso del libro delle pene (qui s'immagina
che gli dei tengano un registro a doppia colonna sulle
azioni buone e cattive degli uomini). Ma intanto blandisci il mio cuore con la tua grazia, che non mi bruci
insieme la frusta tua e quella degli immortali . Qui non
giuramenti di amore: ansi fa eccezione neppure per
che il violar questi punito dagH dei memori forse tuttavia una bella donna pu ottenere da essi perdono, o
pu almeno con le sue grazie compensare l'amato anche
del danno incorso per il falso giuramento.
sia

venuto

in

vertire cosi l'antico

Orazio rimane fedele

al

motivo antico,

ma

lo ringio-

vanisce inserendolo in una situazione nuova, combinandolo con il ricordo di una superstizione innocente, svolgendolo con disinvoltura galante. Una donna famosa per
la sua potenza sui cuori ha offerto amore al poeta e

giura eterno

glielo

la parola antica,

delt

in

ma

egli respinge cortesemente, citando

sa trasformare

della spergiura, Ti crederei,


il

il

un' esaltazione devota della

rimprovero

di infe-

bellezza

perfetta

ma, bench questo non

sia

giuramento tuo primo, tu non porti tracce dello sper-

giuro

non

hai n

un solo dente nero u una sola unghia

segnata; chi mi garantisce che non menti anche con

me?

484

Quella superstizione era cosi diffusa nel mondo antico che


aveva lasciato traccia nella lingua comune: macchie bian-

che sulle unghie erano da alcuni dette ipaaxa''


rati, noi diremmo voglie di amore, da

menzogne

(1).

innamo-

altri

'\>z-'jri

due nomi dovevano parere equivalenti

a chi riflettesse che dir bugie e fare all'amore sono azioni


inseparabili l' una dall'altra. Ija generazione che invent

secondo nome, non dovette prender molto sul


serio l'ira degli dei contro gli spergiuri: che, se anche un
solo dente scuro sciupa la bellezza di una donna giovane,

almeno

il

una macchiolina bianca

(2) sull'

unghia o non si vede o


negando che Barine

quasi un' attrattiva di pi. Orazio,

abbia anche soltanto un

tal neo, la glorifica perfetta:

men-

zognera si, ma perfetta. Noi possiamo immaginare che le


parole del poeta carezzino, pi che non feriscano, l'orecchio dell'ascoltatrice donne di tal fatta non possono sof:

che

frire

ma

si

rinfaccino loro difetti

fisici,

o,

sanno bene che mestiere fanno e non

peggio, l'et,
si

dolgono se

con i debiti riguardi.


Orazio rincara la dose essa non solo non ha sofferto
della fede mancata, anzi a ogni giuramento falso divien pi

lo si ricorda loro

ed esce per le vie accompagnata da un corteo sempre maggiore di giovani nel publica cura si sente l' ironia,
che per si rivolge molto pi contro gli adoratori che non
contro la bella donna, la quale fa, e ha ragione, i suoi
bella,

Queste parole si trovano nelle raccolte peripatetiche di proche correvano nell'antichit sotto il nome di Aristotele e di
Alessandro di Afrodisia: i passi sono raccolti, pi completamente che
(1)

l)lemi

nel commentario di Kiessling-Heinze, neir articolo

col

citato

di

USENER, Eh. Mu8., XXIV, 1869, 342.


Kiesslixg-Heinze,
(2) Non vi ragione di credere, come vorrebbero
che Orazio, o in genere i Romani, credessero macchie nere, non bianche, indizio di frode o di amore: in dente si nigro fiereti rei uno tur2nor ungili nnlla indica che, oltre a uno, anche ngro stia rCo xoivo.

interessi.

buono ingannare

fa

lei

485

le ceneri della

madre

e le stelle, che rifulgono tacite nel cielo notturno, e gli

che non sapranno mai il gelo della morte. La scena


il giuramento per la tomba della ma-

di,

della terza strofa,

dre sotto

aveva

e atta a ispirare

uno spunto che

trattato nella sua romantica giovinezza (epod.

nox erat

1):

romantica

Orazio riprende qui

cielo stellato,

il

misteriosi.

terrori

XV

minora

si-

laesura cleorum in verba

iti-

caelo fulgebat luna

et

sereno

inter

dera, ciim tu

magnorum numen

rabas mea.

confronto basta a confutare chi spiega oper-

tos

Il

poco pericolosi quanto


morti, anche sepolti, sono

sepultos e quindi altrettanto

Per

le tacite stelle.

numi che non


quanto

si

gli

antichi

silenziose, sono di

terpreti

per

carentes

le stelle,

s,

la circonlocuzione ricercata gelida morte

far venire al lettore la pelle d'oca.

possibile che

il

per

Del resto questi inaggiungendo che Orazio

visibili.

contraddicono da

si

usa per immortales

offendono impunemente;

im-

tono muti cos a met strofa, impossibile

che un que smilzo smilzo annunzi tanto stacco. Solo Vin-

quam della strofa seguente avverte il lettore,


ganno dalla solennit del quadro, che tutto

tratto in in-

era scherzo

forza di

il quale pur si
aguzzare dardi ardenti sur una cote, che, a
fregarsi a essi, si macchia di sangue, non solo per-

donano

ma

Venere,

le

compiace

Ninfe del suo corteggio, Cupido,

di

si

divertono dello spergiuro

Quel che segue,

la

Le Ninfe sono dette

(1)

giovent, anzi

(1).

la servit (2)

cre-

simplices, perch, esse che per \o pi

si

vendicano iitroceuiente di chi

le

dendolo

impazzandolo, qnesta volta i)ordonano:

facile
(2)
vilin

v.u.zoy^o-,

Nimphae

vu|icpdXyjnTog,
rinere,

ollende impossessandosi di

Ini,

ren-

scrive Virgilio {ed. Ili 9).

L'interpretazione di Kiks.si.in(J-Hkixzi';, secondo la qnale m

r-

nova sarebbe predicato del soggetto j>H?>t' omiiin, non accettabile:

come avrebbe
quod puben

latto

anche nn lettore antico ad accorgersi

libi crenrit

oiiniis, ucrvitits

crvucit

naca

ciie

in

adde

duo nominativi, che

486

scent<^ o^ni giorno nelle sale della

donna

bella, gli schiavi

quanto spesso minaccino di lasciare in


asso la padrona che, senza alcun riguardo al loro orgoglio,
senza misericordia nessuna, accetta sempre nuovi e nuovi
adoratori pur non rompendo con alcuno, non ha riscontro, che io sappia, in alcun luogo conservato di poeti
devoti,

quali, per

Io penso che Orazio rifletta

greci.

sentimenti della

capo chino
trice,

la

donna,

sia

questo adorare

spietata alieno,

letteratura del III secolo

pur traditrice, sia pur dispregia-

questo darsi con mani e piedi

una padrona

immediatamente

qui

giovent augustea

la

legati in

mi pare,

potere di

dallo spirito della

parola stessa domina manca,

abbiamo veduto, nel linguaggio amoroso dei Greci. A


in mente il parco

Menagerie
so bunt
della Lili goethiana:
Ist doch keine
als meiner Lili ihre
Sie hat darin die wunderbarsten
wie
Thiere, und kriegt sie rein, weiss selbst nicht wie.

lo

molti nel leggere questa strofe verr

sie hiipfen, trappeln,

die

mit abgesturapften Fliigeln zappeln


in nie gelschter Liebesqual .

armen Prinzen allzumal,

ma

Parlar di imitazione sarebbe assurdo,

il

tono simile

anche qui tratteggiata una societ galante dove la donna


regna, dove una creatura bella merc il potere della sua
bellezza tiene prigionieri insieme molti rivali, senza che
alcuno di

essi le si ribelli.

nella poesia ellenistica,

si

Proprio la galanteria
trova,

manca

come mostrano anche

Tibullo e Properzio, nella romana.

Congiunta indissolubilmente con

la

precedente,

come

questa molto probabilmente del tutto originale, l'ultima

stanno in posizione identica dinanzi al

creseit ripetuto,

non sono pa-

No, pubes e servitus sono tutt' e due soggetto il lettore si


avvede subito che il servidorame composto appunto dei giovani ado-

ralleli ?

ratori, verso

quali la novella Circe pu permettersi qualsiasi spre-

gio senza dover temere che essi le sfuggano.


strofa,

il

487

quadro della confusione

donna fatale piomba la


hanno ancora figliole da

in cui l'apparire della

societ timida delle

madri che

collocare, dei vecchi che

temono

figli, troppo prochvi a vita elegante, intacchino il


che
patrimonio avito, delle spose novelle che vedono i mai

riti

ritardati dal

venticello

d'

amore spirante da questa

donna

(1). Io non so se il verso te suis matres metuunt iunon rispecchi condizioni sociali piuttosto romane che
ellenistiche. Nel mondo ellenistico, quale ce lo presenta
la commedia, i matrimoni di amore sono del tutto eccezionali, poich avvengono soltanto quando un giovane,
ritrovata una fanciulla da lui violentata ^;6'r vinum et vinolentiam, o riconosciuta libera e cittadina una concubina
che credeva schiava o straniera, la sposa. Anche nelle
commedie antiche adattate al teatro romano da Plauto
e da Terenzio il parentado di solito conchiuso senza
riguardo alcuno all'amore. Il ricco Megadoro dell' Aulularia sposa s una giovinetta povera, ma perch le indotatae hanno meno pretese delle ragazze ricche (v. 165 sgg.),
anche, se si vuole, per dare un buon esempio (v. 475 sgg.),
non gi per amore. Nella Cistellaria il padre di Alcesimarco gli sceglie una moglie senza curarsi dei suoi desideri (v. 99 sg. 195); il giovane ha promesso s a una

vencis

ma

fanciulla destinata al meretricio di sposarla,

senza un

caso fortuito, un riconoscimento di quelli che avvenivano


certo pi spesso nelle

commedie modellate

sulla tragedia

euripidea che nella vita vera, non vi riuscirebbe mai. Nel

Trinummo

(1)
il

Ama

il

non

giovane modello Lysitele non sa trovare

l'odore,

ma, come hanno veduto Kiesslino-Heixze,

veuticoUo che, spiiiindo dalla donna bella, ritarda

verso casa. Si confronti ora

il

reggiatamcnte quel i)ensierodi


(cfr:

sopra p. 21 3X.

mariti avviati

modo come Cercida svolge itnrticolal'Euripide: Tu spiri due venti, Amoro


altro

se

modo

non

di

488

per venire in soccorso a un amico rovinato,

sposare la sorella

senza esiger dote

l'amico

rovinato, pur di dotarla, non esiterebbe a spogliarsi dell'ultimo poderuccio

Anche

rimastogli (v. 507 sgg.)-

non in giuoco l'amore,

ma

qui

dall'una parte generosit de-

verso un amico, dall'altra rispetti umani. Era lo

licata

Roma? Si suole insegnare che anche qui l'amore


matrimonio non avevano nulla di comune; ma converr distinguere tra le diverse et. Ai tempi di Augusto
stesso a

il

matrimoni d'amore dovevano avvenire, se proprio una lex


lidia, citata dal giureconsulto Marciano (^Dig. 23, 2, 19),
figli e le figlie contro l'arbitrio del padre che
proteggeva
i

non volesse senza giusta ragione consentire a un matrimonio da essi desiderato. Le relazioni tra Mecenate
e Terenzia sono descritte da Orazio stesso non diverse
dalla vita comune di due amanti. Il poeta conferma a
Mecenate che la Musa volle che egli dicesse il canto di
lei,
suoi occhi fulgidi, il petto fido agli amori mutui
II 12, 13 me dulcis dominae Musa Licymniae cantus, me voluit
:

dicere lucidiim fulgentis oculos et bene

mutuis fidum pectus

chiamata con nome greco Licymnia


modo come portano nomi greci le amate, non

amoribus. Essa
nello stesso

certo mogli, dei poeti contemporanei. Di

non

solo la prontezza

di spirito

grazia che, fanciulla, aveva

lei

il

poeta vanta

nel conversare,

ma

la

dimostrato nel danzare, sia

ionicos ma balli pi adatti a una ragazza


buona famiglia, la quale danzando pensi solo a compiere un dovere religioso quam nec ferve pedem dedecuit

pure non motus


di

choris nec certare loco nec dare bracchia ludentem nitidis vir-

ginibus sacro Dianae Celebris die.

Avrebbe cent'anni prima

un poeta romano osato lodare abilit di


una donna, in una fanciulla ? Orazio osa
le arti

che essa sa adoprare per aguzzare

genere in

tal

di

pi, esalta

e per irritare

l'amore o diciamo pure la sensualit del marito

flagran-


detorquet

tia

ad

489

oscula cervicem aut facili saevitia negai quae

pascente magis gaudeat eripi, interdum

parole ultime ricordano

pignus dereptum

il

male pertinaci, salvo che

gito

pi franchezza della moglie

non facesse col


se
d'

il

.Q\\2i

matrimonio

amore

r amore e

di

rapere occupet.

il

lacertis

di-

poeta parla forse qui con

dell'

amico e protettore che

puella indeterminata. L'avrebbe fatto

Mecenate non

fosse stato

L' abisso che in civilt primitive

matrimonio, era colmato,

il

aut

Le

si

matrimonio
si

vede

apre tra

bene

di

qui, nell'et augustea.

L'ultima strofa dell'ode oraziana che pi particolar-

mente studiamo, suppone, mi pare, una societ nel


senso moderno. Le donne ellenistiche, per quanto sappiamo,
non partecipavano n a banchetti ne a conversazioni, se
non erano regine o etere le signore romane erano per
questo rispetto pi libere. La differenza non era sfuggita
a uno scrittore dell'et ultima repubblicana, buon cono;

comparatore dei due popoli, Cornelio Nepote, che


accenna nella prefazione della sua opera sopra gli ecquem enim Romacellenti capitani forestieri (praef.
7)
norum piidet uxorem ducere in convivium? aut cuius non
mater familias primum locum tenei aedium atque in celehriscitore e
vi

tate versatur ?

quod multo

in convivium adliibetur nisi

fit

aliter in

Graecia,

nam

propinquorum, neque sedei

neque
nisi

in interiore parte

aedium quae gynaeconitis appellaiur, quo

nemo

propinqua cognaiione coniunctus.

accedit

itisi

8.

L'amore per

Non

la schiara

(Il 4).

vergognare di amare una serva haiuio fatto


lo stesso prima di te gli eroi omerici, Achille, Aiace, Agamennone . Lo spunto si ritrova, riferito non ad un amico
ma al poeta stesso, in un epigramma del solito Kulino

ti

(AP

18)

(1).

sto le schiave

ciamo
Xioa;

490

primo distico dice: Scegliamo piuttoche le superbe, noi che non ci compiacIl

dei furti dispendiosi

xXeyiieaO-a

o\

[xr]

toTs

[xXXov kTjv aoliap^fov z%z ou-

aTraxXots

xX[JL(Jiaat

Xcp-|jivot.

L'ultimo distico contiene l'esempio mitico: Imito Pirro


figho di Aciiille, che prefer alla moglie Hermione la
schiava Andromaca: [i:jxoO|jiai Il'jpf/ov xv 'AxtXXo:. o;
Tipoxpcvcv 'Ep|j,t6vr^;
il

confronto con

gii

Xxou

xr^v

eroi della

Xxp-.v

'Av5po|xyjjV.

Anche

guerra troiana era dunque

tradizionale.

Tra

due parti che nell'ode di Orazio si seguono


senza intervallo, Rufino frappone considerazioni sugli unguenti che mascherano il colore vero della pelle delle
le

signore maritate, sul loro cipiglio severo che le fa cremen pronte ai desideri dell'amante, sui peri-

dere spesso

coli a cui l'adultero si espone,

e le padrone

II

confronto fra

ha indotto Rufino a

le

schiave

ficcar qui riflessioni

assai utilitarie e realistiche sui vantaggi degli amori an-

Questi due

cillari.

di Orazio,

ma

trovano riscontro non nella

lirica

nella seconda satira del primo libro,

dove

distici

nel confronto del valore erotico delle meretrici con quello


delle

matrone

tre

punti

(vv.

40

fetto,

si

pongono

in luce a

accennati da Rufino,

sgg.),

un dipresso

pericoli

gli stessi

dell' adulterio

veli di cui le signore, per far migliore ef-

circondano

la stessa loro

le

membra

(v.

83

sgg.), le difficolt

che

condizione oppone a un amante troppo ar-

dente

(v. 120 sgg.), Rufino mette qui le mani nell'armamentario dialettico adoprato dai Cinici dell'et ellenistica

non solo in scritti prosastici ma anche in opere poetiche,


non soltanto in giambi terra terra ma, come mostra l'esempio di Cercida (2), in carmi

(1)

(2)

lirici

di stile

alto,

per pro-

Quest'epigramma non era sfuggito a Kiessling-Heinze.


V. sopra p. 213

sg.

491

Ma

vare reccellenza della Venere da piazza.

biamo veduto

evita nella sua lirica

(1),

Orazio, l'ab-

classicistica

trattare pareneticaraente argomenti sessuali.

che non Rufino

di

verisimile

primo abbia rivolto all'esaltazione

per

dell'amore ancillare un x-o; destinato originariamente a

raccomandare l'amore delle meretrici verisimile che in


un carme lirico ellenistico l'esempio mitico seguisse, come
in Orazio, subito alla raccomandazione. Se in questo carme
il poeta consigliasse un amico o lo consolasse pi o meno
scherzosamente, non ci dato discernere con sicurezza;
ma il confronto con Rufino mi par che mostri come Orazio
prenda qui lo spunto da un poeta alessandrino.
;

Non
il

particolare di questo poeta^,

ma

tradizionale era

rivolgere a fine parenetico insieme ed erotico gli an-

tichi miti,

il

mostrare

che non

vili

ne hanno dato

esempio

(AP

Filodemo

sa cantare

se osca e

di Saffo,

versi

Andromeda, che era indiana


ventato gi

un

un epigramma
una
Flora di nome e non

finisce

anche Perseo s'innamor

di

(2). Tradizionale, cio insi

possa dimo-

particolare, che arresta per io pi l'attenzione del


di

Briseide era niveo


l'Iliade,

vergo-

eroi antichi ce

Alessandrini, mi pare

dagli

memore

lettore

di

132), in cui esalta parte a parte la bellezza di

donna, scrivendo

strare

ragione

o strani, poich gli

gnarsi di amori
1'

c'

Omero: donde ha appreso Orazio che


corpore? Il particolare non si trova nel-

n l'epopea

si

compiace

individuali di bellezza:

il

di

mettere

tipo ideale di

in risalto pregi

donna

in essa

convenzionale ed espresso da pochi epiteti convenzionali.


Ancora Tucidide ritrae 1' animo e l'intelletto degli uomini di stato e dei capitani, non ce ne rappresenta l'aspetto.

(1)

e Ir. sopra

(2)

Audromctla ora etiope,

p.

208.

ma

fili

fltiopi votiivano,

identiticati con ))opoli dell'ostrcnio sud-est o snd-ovest.

com"- noto,

492

Anche

qui l'et ellenistica segna

nuovi

nelle

commedie

loro modelli ellenistici,

destarsi di interessi

il

Plauto e

di

Terenzio, cio nei

di

trovano regolarmente

si

ritratti di

personaggi, elenchi minuziosi, per lo pi in forma agget-

grandezza delle va-

tivale, della forma, del colore, della

corpo

rie parti del

(1).

comici descrivono naturalmente

ma

non persone determinate,


segnate con

tali

maschere digrande
scienza fisiognomica. Gi

tipi,

di osservazioni singole la

mole

cio

le

caratteristiche quali ricavava da

verso la fine del quarto o

il

principio del terzo secolo,

aveva

scolaro diretto di Aristotele, Dicearco,

imo
mi-

ritratto

nutamente un personaggio mitico, Eracle, effigiandolo tale


quale le teorie fisiognomiche esigevano che fosse un uomo
di quel carattere (2). Possiamo supporre che in tempo
alessandrino anche la bellezza di Briseide sia sfuggita al
fato di essere analizzata cos minutamente ? Per Ovidio

come Andromeda

Briseide la bellezza chiara,

HI 189)

(a. a.

2^uUa decent niveas

il

cenno fuggevole

Briseide ad Andromeda,
era celebre per

Chi non

si

il

Orazio rendesse celebre quel

Ovidio

inducesse

particolare

di

scura

Vogliamo credere

alba decent fuscas: albis, Cephei, placebas.

che

la

Briseida pulla decehant;

che,

a unire

e contrapporre

come vedianlo da Filodemo,


nell' erotica

colore scuro

contenti di quest' indizio,

si

ellenistica ?

appagher forse

un altro un romanzo greco, conservato s soltanto in


una tarda redazione latina, ma che nella sua forma gedi

ego dicam Ubi caqua forma esse aiehant


(1) P. es. Mere. 638
num, varum, ventriosum, mcculentum, hreHcumn, snhnigris otmis, oblon:

gis malis,

pansam aliquantulum.

(2) Il FiJRST,

buona

che nel suo bel lavoro su Ditti lia schizzato una


intesa la parola in questo senso, si con-

storia del ritratto,

traddice da se l dove
flussi

egizi.

Il

(Pliiol.,

LXI

materiale del First

maggior parte raccolto nel libro del

1902, 405' fa tanta parte a insi

ritrovava, del

Rohde

sul

resto,

per 1

romanzo greco, 151

493

nuina sembra appartenere al primo secolo dell' era volgare (1) o forse anche pi antico, il cosiddetto Darete

una

Frigio, contiene, tra l'altro, tutta

serie di ritratti di

personaggi

della leggenda troiana, composti nel

teste detto.

ritratti si

modo

ritrovano nello storico bizantino

Giovanni Malalas, con diversit che mostrano che questi


non attinge a Darete, ma a una fonte adoprata anche da
quello (2), appartenente cio secondo ogni probabilit alla
et ellenistica. N Darete (cap. 13) ne il Malalas tralasciano di ritrarre Briseide: per quanto la maggior parte
dei caratteri siano diversi,

due essa

in tutt'e

Chiunque abbia presenti

Xeuxi^.

candida,

passi di Orazio e di Ovi-

dio (3), ritrarr dal confronto che Briseide era celebre per
il

color niveo gi nella letteratura alessandrina.

Orazio riproduce dunque


TTzoc,

in principio di

gi svolto da un poeta alessandrino, e dalla lette-

ratura ellenistica prende anche certi


si

quest'ode un

confronta l'ode con

l'epigramma

corge subito quanto diverso sia


sul serio

scherza:

Ma,

Rufino,

si

ci

avvede

se ne

mostra l'altezza stessa dello

lo

ci

Rufino

tono.

il

propri consigli; Orazio,

particolari.
di

stile, la

se

ac-

prende
subito,

nobilt

epica di quel patronimico Telamone natum, la disposizione,


nella sua simmetria, artificiosa delle parole, la complicatezza del pensiero e delle espressioni nella terza strofa:
barbarne postquam cecidere turmae Thessalo vietare

et

ademp-

(2)

Otiimar Sciusskl vox Flkschenbkkc;, Darea-Studien, 128 sg.


Lo ha dimostrato lo Sciiisskl 19 8j;g., i ispecie 59 agfj.

(;{)

Non

ii)

no

so

t)

rioordato lo Sciiipski. cho

(p.

54 sfig-K poicli

la

descriziono del Malalas diverge in altri ])articolari da quella di Darete, dubita 80

antichi,

si

questa sia genuina.

Ma

chi ripensi

avvedo che candida, sebbene

sia iu

di altro

donno, deriva da tradizione antica.

non

fatto

lu)

stompeiare

il

uso

di

Ovidio, Ain. II

carme oraziano.

8,

come

noi ai poeti

Darete qualit anche


In tutta questa ricerca

perdio (luest'elegia senil>ra

494

tus Hector tradidit fessis leviora

tolli

Pergama

osservi la finezza di ademptus, V audacia con

Grais.
la

Chi

quale

detto che Ettore, tolto via, lasci agli Achei stanchi Per-

gamo

pi leggiero orinai a tor via di mezzo, sa gi, se

conosce

il

suo Orazio, che

lo

scherzo eromper ben pi

infatti suona quasi scherzo


matrimonio
supporre che il
(badate, il matrimonio!) con
la bionda schiava far forse onore a Xanthia, che lo render certo genero di un re il poeta ha fatto tutto quel
che poteva perch la differenza tra nescias an te generum

libero nella strofa seguente.

il

beati Phillidis fnvae decorent parentes e

fosse sentita, perch

si

osservasse

nel congetturare crescesse

come

il

la

man mano che

diveniva assurda. Perch n Xanthia n


abbaglio,

regium certe (jenus

il

sua sicurezza
la

congettura

lettore

prendano

poeta mette in mostra nella strofa seguente

una ragazza cos fedele,


cosi disinteressata non pu esser figlia di mala madre.
Gli indizi sono.... un po' tenui, e Orazio fa di tutto perch ci non sfugga al lettore.
Queste due strofe non hanno riscontro, che io sappia,
le

ragioni della sua supposizione

nella poesia ellenistica: l'ironia, in fondo bonaria, ci riellenistici, un poco


Moderno mi pare an-

Corda l'autore delle Satire, e non poeti


sentimentali anche quando sorridono.

che l'accenno alla discendenza da re, specie se si consideri


anche che la schiava bionda. Orazio fa intendere che Phyllide non discende da prosapia di schiave urbane (1), ma che

una prigioniera

meglio

il

di

guerra: a intender cosi, calza molto

confronto con Briseide, Cassandra, Tecmessa

non a caso una almeno

Tecmessa,
detta captiva, cio at)^[jiX(oxo?. In quel torno di anni i Romani conducevano di nuovo guerra contro un popolo barbaro e per giunta contro un popolo barbaro biondo: i gee

(1)
ii

delle tre donne,

de scelesta plebe in bocca di Oi'azio, nato di padre libertino,

impertinenza doppia.


nerali di

Augusto non

si

495

contentavano pi

Germani in
arditamente il Reno

alle periodiche scorrerie dei

di fare argine

Gallia,

ma

oltre-

passavano spesso
(l).
Da queste
punte avranno riportato, se pure di rado, figlie di
reges, spesso bionde schiave
capi
qualche decennio pi
tardi le signore romane si facevano intrecciare parrucche
di biondi capelli di Germane
nunc Ubi captivos mittet Germania crines, scrive Ovidio (Am. I 14,45). Del resto gente
della risma di Phyllide si compiace ancora adesso di dif;

fondere mirabili storie sui propri natali; quale donna di

moderna non vanta

piacere

se stessa figlia di

buona

fa-

decaduta ? Neil' antichit mettevano in giro tali


ingenue invenzioni perfino uomini un liberto di Trimalrniglia

cione (cap. 57) narra di esser figlio di

re, ridottosi in ser-

vit volontaria per divenire per questa via cittadino ro-

mano,

che era

di tributario

Ma Xanthia

adira

si

il

troppo

stroppia, ed egli so-

spetta ormai che Orazio sia egli stesso innamorato della


schiava.

tima

Ma

strofa,

no il poeta ha passato i quarant'anni. L'ulche sta cosi bene in armonia con il tono scher:

zoso di tutta l'ode, serve a Orazio per dare anche a questo

componimento colore autobiografico, colore di vita viscome le due precedenti gli erano giovate per in-

suta,

trodurre nel quadro ellenistico particolari moderni.

9.

La
Albio,
di

perch tu non

Glycera, non

il

Seguono esempi

(l)

SCHILLKR,

coiKixiista

catena di amore
ti

(I

33).

ricordi troppo del tradimento

tuo amore solo rimane senza ricambio


presi dalla cerchia galante

Rom.

Kniaerzeit,

210.

composta verso

il

2").

si

quale

Lo grandi campajjuo

sono posteriori a quoat'odo, dio, conio

strofa, stata

nella

di

sror-jc dall 'ultima

496

Tibullo e Orazio vivono: Lycoride brucia per Cyro, quebrutto: appunto

corre dietro a Pholoe, che lo trova

sti

questo intrecciarsi di amori non ricambiati si diletta


Venere nella sua crudelt. La poesia finisce con il solito
accenno ai casi del poeta: mentre una donna di migliore
indole e di natali pi alti <^\ corre dietro, egli non sa staccarsi da una libertina irascibile. Le parole ultime, il confronto tra l'animo di costei e la violenza dell'Adria, comdi

piono quasi

firma, tanto spesso l'immagine del

l'ufficio di

mare e particolarmente di quel mare ricorre in Orazio


non a caso egli finisce qui parlando della costa del pro:

prio paese, della Calabria.

questo carme

Si suole considerare

di

Orazio quale imi-

tazione di uno di Mosco, conservato, certo per intero, da

Stobeo

(f.

2 Wil.)

T^paxo Ilv

axtpxaT Saxpo), lixzupoc,

Too"^ Ijivjpoc, cpXyev 'Ax.w,


a[JL'j)(x'

oo"^

\ioi^x-

oaaov y^p

'^iXypd-e;

cptXTjXc,

zie,

zxay

vpaxo'.;.

xoic

-cz

5'

yciTovc?, rapato

A-joa.

AOoa

xal

xy',va)V

cpcXcov r^y^O'a'pxo.

\iG)C,

x ot57.Y[xaxa

"Ay&q

o' 71(jl vivaio

[x''ac

izo'.s.'..

xv

"

o-

"Epco;

'^'Jkioyza.

xaOxa

xo;

'Ayw

5"

"Ar/) xv Ilva,

2ax'jpiay.ov

axpYX

Pan amava

w;

a'((j)

'^lovxa;.

xaTiaiv
l'v'

r^v

Eco, Eco Sa-

la sua vicina

impazzi per Lyda; quanto Eco Pan,


infiammava Eco, e Lyda il Satirello; ed
Amore a vicenda li struggeva (1): che quanto ciascuno

tiro saltellante, Satiro

altrettanto Satiro

di quelli

mil

(1) Io

passivo,

odiava chi l'amava, altrettanto era odiato,

modo amando, ed

amore

intendo

qual

deponente, che,

a prenderlo per

ne cava un senso ragionevole che mai significherebbe


struggeva a v'icenda ? Ma poich dei non molti esempi

non
si

lafiOysTO

in si-

era ricambiato di ci che faceva.

se

di oivr/^za^ui nessuno in senso attivo, tutt' altro che escluso clie


si

debba leggere so[xuxsv;


con il Wilamowitz

fiot^

la

congettura par nuova. Sia che

e s'intenda

il

di tutta la proposizione, sia che si legga

senso rimane lo stesso.

si

scriva

nominativo quale apposizione


\io'.'^7.

con

altri editori,

il


Questi ammonimenti,

io

li

497

rivolgo a coloro che rimangono

insensibili; accettate l'amore di chi vi

amati, quando voi stessi amate

due carmi non

La

Ma

ama, per esser poi


la relazione tra

forse cosi semplice.

Mosco inventata di sana pianta o


per la maggior parte: non escluso che l'amore
tutta
non ricambiato di Pan per Eco fosse gi noto prima di
lui, giacch esso menzionato anche altrove, sebbene gli
scrittori che ne parlino siano tutti pi recenti di Mosco e
mitologia

di

nessuno

lui;

ma

di

che abbia attinto direttamente


Eco innamorata di un Satiro o Satirello non

sia inverosimile
di

sappiamo nulla, men che nulla degli amori tra il Satiro e


Lyda. Il Satiro cos in singolare, quasi ce ne fosse uno
solo, assai strano. E chi Lyda? una ninfa o una mortale di cui

hanno

il

Satirello

l'aria di

voleva,

si

invaghito ? Tutti questi

come Mosco confessa

mitici di persone insensibili

per cui

gli di

amori

essere stati inventati su due piedi da chi

non erano

a trasportare nel

di volere,

ai

se

proporre esempi

dardi d'amore.

Un

non ornamento,

si

poeta
rivolse

mondo

mitologico questo motivo, che


chiameremo volentieri della catena d' amore . Non

questo un

segno che

chiava nella

la

vita quotidiana, quale

lirica erotica,

si

gliene porgeva esempi

spec-

non
dobbiamo, in altre parole, supporre che il motivo fosse
da Mosco non inventato, ma trasportato di terra in Oliiupo,
tanto pi che il poeta si vede costretto a mutar lui l'Olimpo,
a rend'-rlo sentimentale e irrequieto anche

in

amore, come

era la societ contemporanea? Io credo quindi non che


Orazio abbia applicato agli uomini un motivo che Mosco

aveva inventato per


libert

che

lentipri nel

gli

dei,

ma

poeti alessandrini

disegnare

il

cielo a

si

che Mosco, con quella


prendono spesso e vo-

immagine e somiglianza
Olimpo un motivo co-

della

terra,

abbia

mune

'iella

letteratura erotica del

3L'

trasportato in

terijo.

498

10.

Uaddio

Ho amato

all'amore (III 26).

tempo ora appender armi e


cetra nel tempio di Venere Marina; ma tu, Venere, colpisci con la tua frusta una v^olta sola Chloe arrogante .
spianato la via a intender questa
Il Reitzenstein (1) ha
ode, cosicch a me non resta se non di allargare la sua

Anch'era

dimostrazione, apportando, pi
poeti che egli non poteva
breve di una conferenza.

che argomenti, passi

citare, stretto

di

com'era nel giro

L'artigiano invecchiato soleva, accomiatandosi dal lavoro, dedicare gli strumenti al dio protettore del suo

me-

r uso era consacrato dalla letteratura, come mostiere


strano innumerevoli epigrammi dell' Antologia. Orazio,
sentendosi vecchio, depone nel tempio di Venere Marina,
;

di Iside, le

armi dell'amante e quelle del poeta

la fiac-

cola che di notte rischiarava a quello la via nelle sue corse

randagie per la

leva con cui esso aveva dis-

citt, e la

serrato a forza porte ostinatamente chiuse,


cetra.

Questa non

defuhcta

bello di

meno arma

quelle

di

ma

amore, non

anche

la

meno

poeta di amore e amante sono

Orazio vorrebbe ringli ha concesso un


che
buoni
successi
graziar la dea dei
tempo, del placido riposo che gli concede ora, ma, senza
quasi che egli se ne accorga, riassalendolo il desiderio,
per la poesia ellenistica tutt'unp (2).

il

ringraziamento

flagello, colpisca

(1)

N. Jahrh.

f.

si

muta

in preghiera

una volta

d.

l.

Alt.

levato in alto

il

sola Chloe troppo riluttante.

XXI

1908, 91 sgg.

Nell'epigramma di un ignoto (A P V 201) un'etera offl-e ad


Afrodite una cetra in ricordo di una notte vegliata con l'amante.
(2)


La

non un epigramma dedicatorio: gi

poesia

prime parole

499

nuper idoneus

vixi puellis

militavi

et

le

non sine

quel ripiegarsi del vecchio su se stesso per con-

gloria,

compiacimento misto di rimpianto la vita


hanno colore lirico. L'epigramma di Filodemo
112) confrontato dal Reitzenstein una lirica in
non l'iscrizione di un monumento: Ho amato,

siderare con
passata,

(A

iscorcio,

no

chi

Ho

condotto

vm\oi, chi

inesperto di yM[iO'.?

Ho

menato vita pazza per volere di chi se non di un dio ?


Ora via tutto ci, poich ormai la canizie minaccia, an;

nunziatrice dell'et savia, di prendere

Finch fu

neri.

non

il

tempo

il

posto dei capelli

scherzare, scherzai

di

Ho

tempio e

da che

immagina

pi, seguir consiglio migliore. Orazio

di trovarsi nel

confessarsi a se e alla dea

di

appender le armi a questa parete a


destra della statua di Venere Marina. Egli finge di rivolgersi agli schiavi, che lo seguono portando gli istrumenti (1): Posateli qui ; poi prega la dea. Ma santuario

vissuto, ora

e statua

zione

pu

dirsi tale

La

nella

sua immagina-

non mimica, se non


un carme destinato alla

nel senso in cui

schiavi, esistono

solo

la poesia

lettura.

Venus marina, la protettrice insieme della naviga-

zione e dell'amore, divinit prediletta dell'et e della

poesia ellenistica. Al principio di essa o forse gi verso


la fine del

IV

secolo,

Anyte (AP IX

144) canta la

tua che sorge sur una collinetta in riva


per ispirar fiducia

ai

naviganti.

epigramma d'ignoto {App.

in

Pian. 249), destinato del pari

a ornare un'altra statua di Afrodite Marina,

amore
Dillo, non
di

(1)

ma

Venere

del

Rudens

di

uomo

ancora

cos.

libero,

non

])orta \wW\.

fa parola

si

Plauto, cio di

solo protegge dalla furia dei (lutti

Orazio,

Sicilia,

la

sta-

mare quasi
questo n in un
al

pescatori

lu Orii-nto,

jiorsino in


che inalzano preghiere
del

mare

che

suo altare collocato sulla riva


anche salva Palaestra dal-

al

ma

presso Cirene,

l'esoso lenone (1),

50()

nessun poeta, nel pregare

la

la sia

mare

nel

(AP

resa propizia,

17),

perch

amore Antipatro
promessa di aiutare

dell'

la

favorevole sia

spirandogli

amore. Gaetulico

sia in

lo aiuti nella

qui in poi

onde, dimentica

dea delle

che essa anche la protettrice


le mette in bocca (A P IX 143)
chi se

Da

vuole sfruttare.

la

le

offre

modesti doni

navigazione che

lo

con-

durr nelle braccia dell'amata; l'ultimo verso chiama la


custode dei frangenti marini signora dei talami e delle

spiagge

Filodemo,

dea (AP X 21),


da crocee alcove.

la

invocare benigna

nell'

ricorda che egli

le

si

suo viaggio

al

strappato a forza

motivo doveva diventare pi consueto, man mano che prendeva voga il confronto dell'amore o anche della donna con il mare: quest'ultimo
era stato gi accennato dal vecchio giambografo Simo-

ma

nide Amorgino,
particolari

Il

moderni

Orazio
nell'

ode

r ideale della donna con

lo ripiglia

di

la

con sentimento e

Pyrrha,

semplicit

moderno

connaturata

come scrive di un'altra etera molti secoli dopo Orazio,


ma desumendo colori da libri ellenistici, Aristeneto (I 12);
moderno , dico, l' ideale di donna che Pyrrha, procellosa
in

cuore quanto il mare, pare a prima vista incarnare (2).


Ma Orazio, facendo Afrodite signora di Menfi, esaltan-

dola regina, ^aacsca, e marina,

ha ben

(1)

visto

Che

il

a'.tare e

ragione probabile

tzsXcc^('.!x,

la identifica,

Reitzenstein, con la dea pi in

al

come

voga nel

tempio siano esistiti davvero, pare non senza


Thiele, Rerm. XLVIII 1913, 529: Difilo mostra

di avere idee molto chiare sulla Cirenaica.


(2)

bene

Nel commento di Kiessling-Heinze sono raccolti e giudicati


sicch di quell'ode non accade

jiassi ellenistici di tinta simile,

qui parlare

pii

a lungo.

501

demi-monde romano, con Iside

come

vota,

perzio

Delia tibulliana

la

(II 33).

Appunto

deve con un colpo


petto a Chloe, che

(1).
(I

Chloe

le

3,23) e la

mossa a piet

essa,

sar stata de-

Cynthia

del suo fedele,

della sua frusta infondere


sua.

Come

ellenistica, cos la chiusa

derivata dall'antica

Pro-

di

amore

in

l'impostatura del carme

moderna; classica forse, cio


Anacreonte

l'idea prima: che

lirica,

aveva pregato con certa frivola timidezza, forse piuttosto


simulata che sincera, un dio, Dioniso, di esser buon consigliere al suo amato e di proteggere l'amore del poeta:
KXeOjSo'jXw " yai^; YsveO o'j\l'^o\)Xoc xv (iv 5' spwx'. w Ae'jv'ja, /^saO-ac. La preghiera di Saffo ad Afrodite ha tutt'altro tono.

11.

La

il

preghiera a

Venere, lascia

le sedi

Venere

da

30).

(I

te predilette e vieni

con

tuo corteggio a prender dimora in casa di Glycera, che

t'invoca devota . L'odicina stata illustrata con tanto


ingegno e garbo dal Reitzenstein (2) che non varrebbe
la pena di tornarci su, se io non mi dovessi discostare da
lui

qualche importanza.

in particolari di

Posidippo (A

P XII

131) invita similmente Afrodite a

discender dal cielo nella casa di una donna bella e facile

"H

KuTxpov

y\

T K'jf)'7jpa xal

^opi-qc, CTCTroxpTOu

axYjv oizoT

(1)

Io

otx,''fov

foasv arc

non credo per che

si
:

7i;pof)"jp(i)v

debba con

xv ipa-

che spesso vi-

cercare una speciale

Romani per

basta a spiegare come Orazio nel circoscrivere

della fredda Tracia

(2)

lui

la predilezione dei

laxvxog M|icpij di Bacchilide dia alla


tril)fi

tu

r]

N. Jahrb.

/.

<.

kl.

xaXv

Mi7.r,xov iizoiyylc xal x

otieov, sXiS-o:; iXaoc KaXXiaiuo,

tnezza in SUhonia nivc carenlem


toti geografici

^j

opi-

l'xs'.-

neve uu aggettivo preso da una

all'Olimpo egli non pensa davvero.

AH. XXI 190H, 90

sg.

siti

502

Cipro e Citer e Mileto e

il

bel suolo

di Siria bat-

tuto dai cavalli, vieni benevola da Callistio, ciie non re-

spinse mai dalla sua porta un amatore


nelle invocazioni

Alcmane,

Posidippo imita

come ne informa il
chiamava Afrodite da Cipro,
quale,

il

Menandro (334, 29 Sp.),


Cnido, Siria e da molti altri luoghi; che la menzione della
Siria, che non nei poeti domicilio consueto di Afrodite,
come sono Cipro e Citer, mostra dipendenza. Secondo
il Reitzenstein Orazio ha
presente il carme di Alcmane,
imitato del pari da Posidippo: non altrimenti secondo lui
si pu spiegare che egli nomini qui Cipro e Pafo, un'isola
e una citt nell' isola, l'una accanto all'altra, come pi
crudamente faceva Alcmane nel fr. 21 K-7:pov C[jip-v
retore

AcTioTaa xal Ilcpov Tispcppiav,

gramma

di

che

il

confronto con

1'

epi-

Posidippo mostra appartenere allo stesso carme.

male che anche Saffo nomina in im' invocazione alla


dea (fr. 6) Cipro e Pafo, l' una accanto all' altra, sicch quell'argomento non prova nulla. Io penso che non
Alcmane, lo avesse Orazio presente o no, ma Posidippo,
che deriva certo da Alcmane, abbia fornito lo spunto a
Orazio, Posidippo il cui epigramma secondo il Reitzenstein non sarebbe neppur certo fosse noto a Orazio. Per
quanta serenit e sincerit di vita rifulga nei frammenti di
Il

Alcmane che danno qualche


difficile

immaginare che

senso, specie nel partenio,

l'antico poeta invitasse

con cos

pochi scrupoli e cos pochi riguardi Venere a prender

di-

mora nella casa di una donnetta leggera: egli non era n


un Anacreonte n un Posidippo. E pi probabile che egli
invitasse la dea a scendere a Sparta per mostrar grati-

tudine per

invent

lui

il

culto che col le

si

rendeva

Posidippo

quella variante un po' sacrilega, Orazio la

pigli con gioia.

(1)

(1).

Wide, Lalonische Kulie 136

sgg., 140.

ri-

Come
di tal
il

di Afrodite,

x5[xo;

Il

mente a Posidippo un pensiero


come ha ben veduto

sar venuto in

genere

503

Reitzenstein, dipinto con colori presi dalla tavolozza

epitalami di Saffo Afrodite

lesbia. Negli

nella casa

con

nuziale

come narra

nella sua prosa

Imerio (II,

4, 19).

di

si

un coro

le Chariti e

presentava
di

pessimo gusto

il

Amori,
sofista

Grazie e Ninfe sono spesso congiunte

da Orazio itinctaeque Nymphis Gratiae decente (e. I 4, 6)


Gratta cum Njmphis (IV 7, 5). Del resto non escluso che
:

Ninfe facessero parte del corteggio di Afrodite gi in


qualche epitalamio lesbio; che Imerio spaccia/ s per invenzione propria (I 1, 20) la partecipazione delle Ninfe

le

alla festa
di

ma

chi lo conosce, sa che egli

immaginar nulla

Non

di

capace

nuovo.

parr strano che la dea Giovent sia invitata a

prender dimora stabile, eterna in casa

Mercurio

non

Mercurio, per

TOt-aXaixixr];,

il

il

di un' etera.

Reitzenstein,

dio del lucro.

Pu

piuttosto

Ma
che

essere: l'augurare

guadagni buoni a una donna che vive del suo corpo e non
ne fa mistero, non sarebbe poi offesa troppo grave. Ma
mette sospetto che Posidippo, checche ne dica il Reitzenstein, nella chiusa ben pi cortese che il ricordare che
Callistio non lasci mai fuor della porta un amante, per
un poeta odiatore di donne non pi caste ma pi capricciose piuttosto complimento che parodia. Mercurio, come
hanno veduto Kiessling-Heinze, ha qui 1' udcio che in
Imerio tocca a Jlec^-w: deve posarsi sulle labbra della bella,
perch non ne escano altre parole che soavi. In un epigramma del solito Rufino (AP V 70) a una donna si attribuiscono la bellezza di Cipride, la bocca di Peitho. E
anche quanto a Mercurio non inverosimile che fosse
nominato in epitalami lesbii, poich egli era il TrpsSpo;, il
:

compagno

di culto di

Afrodite suppergi in tutta

Posidippo aveva con

la (Irecia.

solenni epiteti alcmanei suppl-

504

cato Afrodite di discender nella casa di un' etera,

prima

come

l'avevano cantata presente con


il suo corteggio a nozze bene auspicate di
mortali. Orazio, che ha inteso bene lo scherzo, ce la mostra accomdi lui poeti lesbii

pagnata da quel corteggio con

il

(}uale,

soleva presentarsi a feste nuziaH. Qui,


stica la

prima strofa

la

richiamare in mente

seconda

ai lettori

si

secondo Saffo,

direbbe, elleni-

lesbia, cio destinata a

colti descrizioni celebri

di

Saffo.
12.

Uinnamorato vergognoso
Porfirione osserva di quest' ode

(I

27).

cuius sensus sumptus


Noi possiamo verificare
l'osservazione, essendoci conservato in Ateneo (X427a)
due strofe di un carme anacreontico, delle quali la seconda,
est

ab Anacreonte ex libro

come mostrano

le

tertio.

somiglianze, ha fornito lo

spunto

Orazio. Imita Orazio Anacreonte anche nel seguito del-

Prima di rispondere a questa domanda, mi sia perbrevemente come intenda io il carme, essendo
messo
controversa tra gli interpreti la spiegazione di pi di un
l'ode ?

dir

passo

(1).

Orazio entra nella sala del simposio mentre arde una


rissa

non siedono pi distesi a met sui letpresso, con l'un gomito appoggiandosi sui cu-

convitati

tucci cubito

scini in quella posizione nella quale in

presentazioni sepolcrali vediamo

a banchetto; rizzatisi,

contrassegnano
uni contro gli

il

chetto non un

(1)

Ha

convito

altri.

Il

campo

sbrigliato; per

lanciarsele gli

poeta cerca metter pace:


di battaglia,

spiegato beuissimo

Giosu Carducci,

innumerevoli rap-

morto eroizzato sedere


brandiscono le tazze pi capaci, che
il

il

il

ban-

combattere a mensa

quest'ode iu quasi tutti

Parini minore, 193 sgg.

particolari

un

sacrilegio contro Dioniso.


distratta dalla contesa,

tati,

a ora tarda capita con


alterati dal vino
severi

fermata su Orazio, che

mente chiara in mezzo ad amici


a una voce gli gridano in faccia,

la

tutti

L'attenzione dei convi

si

applicando severamente

codice conviviale:

il

rimaner qui senza prender parte

lecito

bere del Falerno Orazio


a una condizione

armi

505

amore, deve

di

si

Non

convito, senza

al

sottomette all'esigenza,

un giovinetto, che

ma

alle

sue prime

dirgli all'orecchio chi la

sua amata.

ma

invano

poeta insiste un poco


non ha ragione di vergognarsi
del suo amore, che non pu essere se non nobile, se non'
per donna nata di genitori liberi. Il ragazzo si sente punto
sul vivo la donna per cui si macera, libertina. Ma, poiQuello

schermisce,

si

furbescamente

il

certo egli

ch

il

siste

come

poeta, che informato di tutto,

per poco perspicace che


ancora, facendo

sia,

giovane,

essere all'oscuro di ogni

le viste di

cosa; negare non giova pi a nulla.

nome

il

facilmente indovina, pure infratello di Megilla

Il

un orecchio a Orazio. Il poeta


contraccambia magnificamente la fiducia, ma, pur tenendo
sussurra alfine

per s

il

il

in

segreto affidatogli (del resto

rebbe superflua, che

lo

conoscon

indiscretezza sa-

l'

tutti),

non sa trattenere

un grido

di compassione per l'inesperto invischiato in


da cui nessuna forza umana potr districarlo.
Io intendo nella terza strofa severi per nominativo, non,
come si suole, per genitivo. La distinzione fra due spereti

cie

Falerno, pi asciutta

di

aaxYjps

7.7.1

Y^'-^2c^wv

ricercata e inutile.

l'

una, pi

(Athen.

Come

26

di

umanit,

(1)

sono

cos

mentre bevono graeco more

l'altra, 6

severo quel giudice che ap-

plica letteralmente la legge in tutto

riguardi

dolce

mi parrebbe qui

e)

(1),

L'espressione graeco niorc

secondo

hil"-re

suo rigore senza

il

severi
le

convitati che,

leggi simposia-

in Ciceioiu'

'crr.

L'H,

(jG).

noe

che vigenti nella buona societ greca sin da tempi antichi (1) e trasportate presto in Roma da iuvenes graecansottometta senz' altro a esse un poavventura a notte alta tra loro a stomaco vuoto e bocca asciutta. Il simposiarco poteva dare
ordini e farli eseguire comminando pene ai ricalcitranti:
poteva, p. e., imporre al convitato che non avesse saputo sciogliere un indovinello di quelli che si solevano
proporre nei banchetti, di trangugiare del sale mescolato
tes,

esigono che

ver uomo, che

si

si

bevendo

nel vino (2); poteva,

costringer gli altri a seguire

comandare a

danzar nudo, o

correre intorno

braccio (Lucian. Sai.

Sofocle in un

(1)

egradito

poteva

(3);

Qui,

4).

dramma

^-^

come mostra

satiresco (fr.

Ateneo (X 428

peso la

di sollevar di

casa trasportandola in

alla

a),

il

plurale

x Tipg piav nivstv

che leggeva

il

contesto,

passo subito dopo una protesta attribuita a Senofonte contro

rigidi costumi conviviali di Dionigi di Siracusa. I

strano

codici del bere in pieno vigore

che Eryximacho presenti


(2) Cfr.

di

il

passo del

Ateneo (X 458

del ratto a

un

d.

due Simposi

pone

troppo
ci

mo-

sia lecito a

176 d).

Ganimede
f sgg.)

in quello di Platone occorre

una proposta speciale perch

ciascuno bere a sua voglia

mento

voltis,

655 N.) diceva del pari

bere per forza e l'aver sete per forza

il

taov Jtcpuxs xcp Sup'^v


il

suo esempio

il

chi volesse di gridare alto accuse turpi con-

tro se stesso, o di
flautista

una quantit immensa,

egli

il

di Antifane (II 41 K.)

con

il

com-

padre del giovinetto chiede conto

servo, che si schermisce dal rispondere alla

domanda

padre e minacciando allo schiavo la frusta,


questo osserva che a chi non sa risolvere enigmi tocca solo mandar gi un bicchiere di liquido salato. Il padre par che consenta alla
enigmatica; insistendo

pi-oposta,

aggiungendo

condizione

senza

ijoter

(3)

che

solo,

scrive (Ath.

ma un

per render pi crudele

schiavo beva tenendo

respingere da s

Alesside

simposiarco

lo

il

il

le

supplizio, la

il

mani dietro

la schiena,

calice ne trarre respiro.

431 e): Chairea non

carnefice, poich i^ropinaA'a venti

crudelt consisteva in ci, che tutti, anche


seguire l'esempio del simposiarco.

meno

era pi
cyathi .

resistenti,

un
La

dovevano

507

tutta la lieta

adunanza esige a una voce da Orazio che

non rimanga

egli solo

a far rispettare

il

senza bere la sua parte, salvo poi

suo volare per mezzo dell'autorit le-

gittimamente costituita

Anche

simposiarco.

del

ora, in

paesi e riunioni in cui hges insanae, per dirla con Orazio


II G, 69), sono in vigore e rispettate, non vi
maggiore che rifiutar di bere la propria parte chi
ha avuto a che fare con studenti tedeschi, ne sa qualche

stesso

(s.

delitto

cosa.

KiessHng-Heinze credono che nella terza strofa Orazio


il fratello di Megilla a nominare ad alta voce la sua
amata, percii si possa bere alla sua salute. L'uso bene

inviti

attestato sia per

ha nulla a che

Greci che per

Romani

con questo passo.

fare

quidqtiid habes, age, depone tutis aurihus,

(1),

ma non

Chi dice subito

non esige

dall'in-

namorato che dia il suo segreto in pascolo a tutta un'assemblea di briachi, ma si contenta che quello sussurri il

nome

al

suo orecchio sotto

suggello del segreto.

il

le

compianto mezzo ironico sulla sorte deluna maliarda, faranno un


elfetto molto maggiore, se si supporr che Orazio finga
di recitare a gente che ignora il nome della donna faultime parole,

l'

il

infelice invischiato nelle reti di

noto soltanto a

tale,

lui.

Messi in chiaro, per quanto era possibile, questi punti


oscuri, converr ora esaminare i vari motivi che s'intrecciano nell'ode, per stabilire quanto derivi da Anacreonte.

Della poesia di questo

(X 427

(1)

a)

Ai passi

citiiti

63) sono conservate da

(fr.

due pericope

ys

(Tlu'ocr.

5/^.

XIV

'.pp'

:?,|j,:v.

18, su fui si

(o

tix.

Ateneo
xcX.3t,v.

fonda forse

l'in-

terpretazione volfrare, iterch anche qni nna donna brindando rivela


l'aiuoro suo segreto por

Hor.

e. Ili

Fast.

II

uu giovinetto; Antiphan.

ap. Athen.

X 423

e;

19, 10) si possono aggiungere, p. e., Til). II 1, SI: <>vid.,

(537;

Martial. IX

!)3,

3; XI

'M\.

7.


Sxw;
vou

|i'jattv TipoTtiio,

xui^'ouig,

o)?

portaci, servo,

brindi in

la

io

rf)xz.
ol'vf;)

[xrjxx'

torni

outw

[jiXX(o[xv.

di

a infuriare
xe

Tratyr;)

XX xaXot5

tzwz

'jaro^. z.

v orfm ^aaaapy^ao)

infusivi cyathi per dieci parti

vino, sicch io

\ib^ r/.' i'C/iccc

vu^p-'aiwi;

che

508

un

" oT-

su via,
celebe,

sorso, la

acqua, per cinque

senza violenza

x6(}.y.lr^x)

di

e ye

7:a:v Tiap'

Sx'ji)-cxrjV

67ro7T;''vovx<;

^[xvciog

or

su

non pi cos esercitiamo modi scitici di bere con rumore e con grida, ma bevucchiando adagio adagio tra
belle canzoni . Si suppone di solito che le due pericope
non si succedessero immediatamente, perch Ateneo tra
E nel ser una e l'altra frappone un suo commento
il
bere vin pretto .
guito, TtposXfl'iv, chiama bere scitico
Ma ne l'osservazione del grammatico del tutto giusta,
come ci mostra anche quel poco che egli ci d del testo
di Anacreonte, che la barbarie, la sciticit, per cos dire,
del simposio, consiste evidentemente non nelle proporvia,

zioni della miscela,

ma

nel

clamore e nel disordine dei

banchettanti, fors' anche nella rapidit del tracannare, op-

posto qui

pi civile centellinare,

al

67i:o7r'vov

(1)

tzoozX-

^wv vuol dire qui altro che continuando , significa


altro se non che la strofa seguente, com' di per se stesso
chiaro, rappresenta un'altra scena, un periodo successivo
del convito. E il parallelismo dei due ayE -f] (che Anacreonte in Btj'jxs, comunque l' abbia scritto, avr inteso
chiaramente

due componenti) mancherebbe

se le parole uguali e poste in pari

periodo

(1)

parola

si

al

suo effetto,

dinanzi a un

introdurre un' esortazione, venissero

L' aggiunta di

ca'sse soltanto

modo

il

Tiap' oivtp

= v

aujiTioato).

a stare

inutile se Ttaig indi-

bere in senso ristretto, prova, mi pare, che

riferisce

quella

genericamente al banchetto, quindi anche al con-

tegno dei banchettanti


rebbe un prosatore.

|j,'i^

ax'jO'iaT

at>[iuoaia^coiJiv

X' XXyjvioTi di-


troppo lontane
consecutiv^e

509

une dalle

le

altre.

Le due pericope sono

(1).

Orazio finge anch'egli, come Anacreonte, di

trovarsi

presente a un convito disordinato, anch'egli ne pone quasi


sott'occhio lo svolgimento: la situazione simile

perch pur
stumi pi

come

egli,

il

poeta antico,

si

anche

fa araldo di co-

contro usi e abusi propri, piuttosto che

civili

(2). Somiglianze
seconda strofa di Anacreonte (Traxcyw
TE xXaXrjxoj, impiiim damorem) provano che le coincidenze
non sono fortuite. Ma Orazio, come suole, ha saputo anche
questa volta adattare al canto nuovo il ritmo antico, trasformandolo profondamente, eppure in modo tale che il

di

gente di paese mite, di barbari nordici

di parole

con

la

romano lo riconoscesse. La prima pericopa


Anacreonte non ha riscontro in Orazio Anacreonte
un convitato come gli altri, bramoso come gli altri di
divertirsi, solo pi iilieno da diletti grossolani e pi esperto
di forme raffinate di vita. A lui che sin da principio del
banchetto giace cubito presso sul letticciuolo, a un certo
punto, quando gi il vino ha sciolto le menti e lo scicolto lettore
di

tendo benissimo integrarsi

un verso,
abbiamo forse

])onesHe caduto

Ma

strofa.

(2)

1914,

Non che

il

vcrlio

il

di-

participio lo richieda, po-

Tciotv jieXsxfiv oO -y.u9-txrjv


si

TtepixoTai aviaoi, che lasse?

XLIX

il

seconda pericopa: bevucchiando tra bei canti

lettiamoci, savia, con misura.

Jferm.

un verso con

Secondo alcuni manchereblic aliueuo

(1)

iuito iu fine della

ma

se si sup-

restituirebbe la responsione con la prima


diritto

li

aspettarci qui strofe invece che

Probabilmeute no:

cfr. tuttavia

Ivi:iii;iiaiin,

181 sgg.

Ammonimenti a non attaccar contesa durante il convito non


come sono nella poesia

prOver('l)bero per s soli nulla, fre(jucntissimi

antica, specie appunto nella conviviale: Teognide (v. 49S) scrive Opstj
'

VOI

'"j

|ji)3-cLa9-3

y^o'jxo)

presso:

il

convito

le

Tioi.p.

jtpyjifjpt

ai>|j,Tcatov

pacifista

jivovig,

XXVjXwv pi5ag

5V,v dtn:p'jx'>|iE.

yivsxai ox yapi; per Hacchilide v. subito ap-

Senofane vietava pertino

antiche lotte

niiticlif

(Ir.

1,

21) di cantare nel

510

linguagnolo, vien voglia di fare un brindisi: pronto a

vuotare

uomo

di

un

quido troppo

come

sorso,

soleva, la sua coppa,

si

che essa non

civile, esige

sia riempita

Ancora un momento,

forte.

un

di

ma,
li-

convitati,

levano alte le grida egli li ammonisce


da usanze scitiche e, perch torni il buon
ordine, prega che si canti in coro. In Orazio la prima
pericopa e il primo momento non hanno riscontro forse
eccitati dal vino,

di tenersi lontani

il

poeta romano

nutaglia

del

si

sentiva imf)arazzato innanzi alla mi-

dosamento

delle miscele, e certo

bere a

il

garganella, sia pure una coppa di grandezza mediocre e

riempita di vino assai annacquato, gli sembrava non convenisse a un carme di tono, nonostante l'argomento, elevato.

Ma

queste sono ragioni, per quanto

il

lettore in

mezzo

al

si

creonte, porta con s

un tratto

tumulto, non menarvelo per

adagio adagio, come fa Anacreonte.


quel rhomento che

secon-

efficaci,

darie; pi importa che egli voleva trasportare di

La

mano

soppressione di

prima pericopa di Anadi non dovere aggiunnon poche che si succedono

riflette nella
il

vantaggio

gere ancora una scena alle

come

nel carme oraziano, cos

ora.

La

descrizione par-

ticolareggiata anche dei preliminari dell' azione che il


carme riproduce liricamente, avrebbe nociuto all' unit
dell' efTetto,

dire,

costringendo

il

lettore a sparpagliare, per cos

r attenzione. L' ode, composta cosi com'

appare

molto pi una.

Per giunta, quando Orazio si affaccia alla


ora, poich gi si beve maximis pocidis (1),

(1)

Perch mai

gli antichi,

prima

tamente, chiedevano tazze maggiori


tato nell' ultima parte

quando gi

il

gallo

di

passare a bere

tre soli

Cicerone narra con

y.

cptaXvjS [j.syj^'JS.

in

un pranzo, che Apronio

convitati

sbriglia-

pii

L'uso ampiamente documen-

del convito ritratto nel

ha cantato,

sala, a tarda

Venerii

non

Simposio platonico
vinti dal vino

scandalo (Verr.
si

IH

bevono

105) che

fecero dare nella citt di

511

devono aver commesso eccessi maggiori che non fossero


il rumore e le grida di cui nella parte conservata parla
Anacreonte. Essi sono gi sul punto di scagliarsi gli uni
addosso agli altri le coppe. In una parola, Orazio andato in cerca qui di effetti maggiori, e il carme comincia

Etna, maximis pooulis ministiaiatur Orazio stesso (s. II 8, 35) narra


che in un banchetto, per bere di pi, uno degli invitati, Yibidio,
chiede calici ranggiori, con grande spavento del padrone di casa. Non
oso servirmi di un altro passo della Verrine \1 66), perch gi i com.

mentatori antichi non sapevano se in poscunt maioribus poculis


scunl significhi incominciare a bere o se

il

po-

debba sottintendere un

si

bibere, come a me pare pi probabile. Ma le ragioni delVien natnrale di pensare che si possa bere poco anche da bicchieri grandi. Certo la quantit del liquido raccolto tutto insieme in-

verbo come
l'uso

vita: lo sapeva bene

che

coli calici,

il

Socrate senofonteo

che raccomanda

(cojir. II 26),

infondano, quasi gocciolino di frequente

servi

perch non

il

liquido costringa

il

convitati

vino in pica inebriarsi.

L'Alcibiade del Simposio platonico, per contro, nominando s re del


convito (213

vaso in cui

e',
si

chiede un

il

un grande

di pi di otto xoT'jXat,

'|uxxY,p

teneva in fresco

vino da mescer poi nelle tazze dei

un sorso. Ma la forza di attrazione


non basta a spiegare la costanza dell'uso

convitati, e lo tracanna tutto di

del bicchiere grande pieno


la ragione

vendo

principale

consisteva nella consuetudine di brindare be-

l'intera tazza senza rifiatare e nell' obbligo di rispondere alla

cortesia. Ateneo (V 193 a) osserva che

tosto

un

Ttpoeitixiev

Alessandro

morto per aver prima brindato

il

npoTtivstv dei

Grande (Athen.

il

moderni

piut-

434 a) sarebbe

Protea e poi risposto


comico Nicone nel Citaredo (Athen. XI 487 b) fa nari-are da un. suo personaggio di aver brindato con un vaso di cinque cotyle a che la capacit, se non lo tracannava tutto f Quel personaggio dice di s s5sgoc|i>]v cio, crederei,
al brindisi di costui

con un

egli al bevitore

TtoxT^p'.ov Si^o'jv. Il

risposi all'invito .

L' uso durava ancora in tempi recenti

piano del banchetto

Ateneo (X 44

di

di

Antifano che impongono

meno che

f)

1'

Ui-

brinda a un collega con versi

di scolare gi di

un

sol fiato tutta la

coppa;

pedanteschi dell'erudito arcaizzino anche nei costumi. Ancor oggi gli studenti tedeschi, quand'hanno tra di loro un
a

ospite

sofisti

cui vogliono onorare,

kommen

ihvi

vine

Ganziu

voi\

80 l'et e la salute gli(lo jtornu't louo, riciiniliia la irli--i:i

e i|iM'sti,
Kicssliii:;-

512

gi con un diapason pi alto di quello che Anacreonte

raggiungeva per gradi (1).


Questo in genere quanto alla situazione, ma anche
particolari sono diversi. Il carme anacreonteo comincia
con un lieto comando al coppiere, l'oraziano con una massima grave almeno in apparenza: Natis in usum laetitiae
scyphis pugnare Thracumst. Noi vediamo il poeta, unico
lucido in mezzo agli annebbiati, (^uasi tentato di ritrarsi
indietro e prorompente poi in un'esclamazione indignata.
La sostituzione dei Traci, che Anacreonte non poteva,
ancorch ne avesse avuto voglia, nominare con ispregio
in una poesia in cui si proponeva di imitare le Bassare,
le baccanti tracie, deriva non tanto forse, come mostrano
di credere Kiessling-Heinze, dall'influsso di un passo callimacheo (2), dove si parla con orrore d-ell'usanza tracia
di bere a garganella vin pretto, quanto all'esser gli Sciti
divenuti per Orazio un modello piuttosto di costumi rigidi che di sfrenatezza: campestres meliiis Scythae vivimi (3).
Lo stile gi in questa prima sentenza assai pi vigoi

roso e incisivo, assai pi lontano dal linguaggio


della conversazione, che

non

sia quello di

comune

Anacreonte,

il

Heinze osservano opportunamente che secondo Ateneo (XI 498 f), o


eittadino e nessuna

piuttosto secondo Asclepiade di Myrlea nessun

persona di vita moderata e civile beveva dallo oxcpog.


cbo, che

fior

nel terzo secolo a.

durante un banchetto

di

C,

Ma

Hippolo-

narra (Athen. IV 129

e)

che

uoz/e macedone un altro Proteo, nipote del

la bella prodezza di vuotare d' uu sorso un intero


Macedoni erano appunto rimasti lurchi.

primo, compi
:jV.xoc,:

(1)

Non

sato, poich

Anacreonte nel seguito narrasse di risse.


diapason gi, nonch raggiunto, sorpas-

probabile che

Nella seconda pericopa


il

il

poeta cerca modo, proponendo

il

canto, di quietare

il

tumulto.
(2)

Fr

109; l'elegia di cui quel

ora negli Oxyr. Pap.


(3) V.

sopra

p.

XI
428.

85, u. 1362.

distico

fa

parte, pubblicata

513

quale non presenta in nessun luogo arditezze pari alle tazze

nate in servizio della gioia. Gi in quel che segue nella

prima strofa, il convito rappresentato, pure molto audacemente, quale un sacramento: chi non vuole la pace, offende Dioniso, nume verecondo: tollite barbarum morem,
verecundumque Bacchian sangidneis ])rohibete rixis. Nello
scrivere queste parole Orazio avr senza dubbio pensato,
sorridendo, al

cit

le

dramma

di

Euripide

14 e pi chiaramente

(e. II 19,

Baccanti

che anche altrove,

epist. I 16, 73) ricord e

moderno, quale

suo Bacco, dio

il

esigeva la coscienza religiosa rinnovata, odiava


gue. Egli, che altrove etio pacis mediusqiie
28),

ha qui

lucernis

in orrore la guerra.

in forma pi concisa e concreta


in
si

Bacchihde XIII (XIV) 12:


confanno la voce della lira e

banchetti

lo

san-

il

belli (II 19,

Quel che segue, vino

Medius acinaces immane quantutn

Ne

cori di

strepito del bronzo .

et

discrepai, riproduce

un pensiero che

lo

si

trova

alle battaglie luttuose

Il

suono acuto, ne

riscontro

ai

non prova

che Orazio abbia pensato a Bacchilide, tanto pi che il


motivo doveva esser comune nell'antica lirica. Quel che

motivo della strofa precedente; impium


clamorem, intelligibile perch gi nella prima strofa il
poeta aveva ammonito di tener lontano Bacco dalle risse,
rimane assai audace nulla meglio di queste audacie di
espressione mostra quanto vigorosa sia la personalit stilistica di Orazio proprio l dove imita.
Pu derivare da Anacreonte la situazione o anche
solo qualche particolare delle quattro strofe rimanenti ?
Io credo che si possa risponder di no con tutta sicurezza (1). Anacreonte non solo non rifiuta di bere, ma
assegna egli stesso le proporzioni della miscela e propone

segue, riprende

il

(1) Ila risposto di

Cahducci

no

{Parini minore,

con
li'"))

aniniirabilo
elio

dirittura

puro non ora un

di

^indi/io

jjrooista.

il

il

modo

del simposio

sembri a

514

quindi

tutti sufficiente la

il

suo carme, anche se non

ragione che

ci

induce a cre-

seconda
dere che dopo
non poteva seguitare con un' accettazione del comando
legata a condizioni che la fanno somigliare a un rifiuto.
Questa considerazione sembra a me provi di per s sola
l'assunto; ma anche il giovane presente al convito solo
con il corpo, mentre l'anima si consuma silenziosamente
in un amore cui egli si vergogna di confessare, il giovane che, mentre pi si studia di apparir lieto per nascondere il suo stato vero, non riesce a celare le sue
condizioni a un occhio esperto, tutt'altro che un tipo
anacreontico. Per quanto poco ci sia conservato di Anacreonte, noi vediamo chiaro che egli fu spirito elegante
strofa tutto tornasse in pace,

la

e grazioso

ma

ne profondo ne ardente: ne

accorto di un amore che cova cos sotto


i

suoi contemporanei

si

egli

sarebbero vergognati

cio di avere relazioni sessuali con

si

sarebbe

la cenere,

una donna,

amare,

di

solo per-

ch essa fosse liberta.


Il motivo del giovinetto sentimentale, il quale nasconde
con grande studio la sua passione senza riuscire a sfuggire al poeta, che, appunto perch poeta, esperto di
amori, ci appare nella poesia ellenistica non probabile
che esso sia anteriore al quarto secolo, che il Convito
platonico, come ho accennato disopra, il documento
pi antico della concezione sentimentale dell'amore. Gi
;

Clearcho

(Athen.

XV

669)
conosceva una credenza popolare secondo la quale agli
innamorati le corone non rimangono intatte sul capo, ma
lo scolaro di Aristotele,

si

sciolgono e

tentava

di

gioni pi

si

sfogliano, e nei suoi

spiegare

meno

di Soli

il

amore

trattati di

fatto, accettato per vero,

con ra-

metafisiche, cio cattive. Asclepiade e

Callimaco traggon profitto con molta abilit da questa


superstizione.

Asclepiade

canta

(A

P XII

133)

olyoq


epcoTog IXeyxo?

xaxrjcp? |3XeTC.

o-jx

-/(o a-^iyxx^'elc

sarono Nicagora,

innamorato, che

il

gli

vjataas (1) xa!

xal

axcpavo?

[XV

capo e guardava un po'

le

io

vino

il

molti brindisi accu-

quale assicurava a noi

vennero

Xc-

Tioal

ai

fjXaaav

fjjxv

xa yp 5xpDav

paragone dell'amore;

la pietra di

il

pveu[Xvov

p3iv

xayprjv TtpoTiaets

515

non essere

di

lacrime agli occhi e pieg

corona stretta

triste e la

torno alla testa non gli rimaneva

al

posto

qui la descrizione del giovinetto innamorato

il

in-

Mirabile

quale, preso

da queir intenerimento che si impadronisce spesso di


uomini deboli quando hanno bevuto, d a divedere la
sua tristezza; il particolare della corona d'importanza
secondaria:

rebbero

al

poeta

bastati.

contegno samotivo asclepia-

gli indizi ricavati dal

Callimaco riprende

il

deo con la mira palese di procacciarsi il vanto di avere


aggiunto finezza a un componimento che gi ai contemporanei dovette apparire
scrive (ep.

43)

xoc;

pv 7uV|xa Ol aiyjO-wv

insuperabile per finezza.

e'/wv

(zlec, ;)

^Tvog

Xvi)-avv

vrjYayExo, x xpi'xov

x 0 pa '^'jXo^oXeOvxoc xvop?

'rSo

ya{ia''- WTixYjxac [xsYa or, xc. tx a''[i.ova;,

Egli

toc,

vtT]-

-f^yix

Ek'.ve,

axc'^vcov -vx' iyv^ovxo

ox arc

^'jajxoO x!^to.

non ci eravamo accorti che


lo straniero avesse una ferita. Con che affanno (hai visto?)
ha tratto a s il fiato mentre beveva per la terza volta,
petali, sono finite tutte dalla sua
e le rose, perdendo
corona in terra! Arde di un gran fuoco; per gli di, non
congetturo a casaccio, ma, ladro, conosco le tracce del
cpwp; 5 l'evia

'f jjp

[iaO-ov

(1)
viisit

La parola

ritonuta coiimni'iuente

corrotta,

caput, aiicorcbii senz'altro esempio (v. Kaibim,,

511 che, specie per questa ragione, vuol leggere


parola del resto da

Ini

mostra l'etimologia (da


constatare

come un poeta

zione pi primitiva

ilie

zk\'^'{tt.Qe

costruita), per vuoTaasv


veo)).

noi

pii

il

senso de-

siugbiozzi,

originario,

come

rimane altro elio


una parola in acce-

moderni non

del III secolo adopri

prosatori

ma

Uerm. XXII 1887

antichi; v' da stupirsene?

516

. Mentre Asclepiade espone una scena osservata


un giorno durante un banchetto, Callimaco riferisce al-

ladro

l'orecchio di colui che gli giace accanto nel convito, quello

che ha scoperto dianzi, quello che va scoprendo ora.


nel

carme

di Orazio, la lirica

accompagna, per

Come

cosi dire,

passo passo lo svolgimento dell' azione (l). Il tono dell'amico che incita un altro a osservare qualche cosa di
curioso, reso mirabilmente;

si

pensi a quell' hai visto?

che sorprende, per cosi dire, a volo un sospiro. I particolari sono rappresentati in modo assai pi concreto e
pi vivo che non

da Asclepiade insuperabile per evidenza la maniera come espresso che le rose, perduti
a uno a uno i petali, gi non cingono pi il capo, ma
sono in terra. Maravigliosa anche l'abilit nell'evitare la
cruda parola pv, sostituendole espressioni equivalenti
del linguaggio sentimentale

esser ferito, bruciare, o pi

propriamente essere arrostito da un gran fuoco.

Ma

Cal-

limaco, pi che di queste bellezze particolari, sar stato


fiero dell'invenzione dell'ultimo distico.

Fin

l si

poteva

sentire in quella descrizione e specie in quelle espressioni

compassione un po' ironica dell'uomo maturo ed esperto


il giovinetto ancora alle prime armi, ma
due versi ultimi mostrano al lettore che l' ironia, se pur
v'era, era quella dell'uomo sentimentale, il quale ama
scherzare pi su se che su ogni altro. Callimaco confessa
neir ultimo distico che, appunto perch si trova o si
la

della vita per

(1)

Ci sar bisogno di ripetere ancora una volta che

io

non

j)eu9o

punto a rappresentazione mimica, che io credo e questo epigramma


e l' ode di Orazio composti per la lettura, ancorch essi siano adatti
anche a recitazione monologica e non si veda perch p. e. il poeta
antico

non

li

abbia declamati in salotti alessandrini e romani.

Non

pu dir lo stesso anche di lirica moderna? E poi si vuol asserir


tutto ai moderni il vanto di aver drammatizzato la lirica , scrive il
Carducci. Ma grecisti moderni si sdegnano che si osi interpretare un

si

inno di Callimaco quale lirica drammatica, in questo senso drammatica.


trovato

nelle

sorridendo di

condizioni

517

stesse di quel giovinetto, egli,

sorride di se stesso.

lui,

poeta

Il

si

serve

un suo amore
quale a un uomo moderno che

dello spunto asclepiadeo per far parola di

modo

in quel solo

nel

faccia professione di qualche seriet, lecito confessare

un

certe debolezze, con sulle labbra

sorriso per

com-

prima che per ogni altro, per se.


Nell'ode oraziana non v' traccia alcuna della senti-

pagni

sventura

di

e,

ma

mentalit callimachea,
vela con

mentre pi

segreto, proprio

che

lo stesso

tipo del giovinetto che ri-

il

suo contegno durante una festa

il

studia

si

suo amore

il

dissimularlo,

di

Asclepiade e in Callimaco. Sebbene

in

poeta romano abbia del

il

tutto rinunziato a ricavare ef-

fetti poetici dalla superstizione

greca, simile anche la

situazione; l'uso, diciam pure, della tecnica progressiva

che

lo stesso

Callimaco. Voglio

in

perci che

asserire

Orazio in quest'ode attinga all'epigramma callimacheo

Neppur per sogno, ma


confronti con
poeti ellenistici
mostrano com'egh senta ellenisticamente la sua figura,
i

mettono meglio
Anacreonte.

in luce

il

contrasto tra l'arte sua e quella

di

Il

una
di

fratello di Megilla

liberta

Opuntia

Orazio in quest' ode sia

tutt'altro

com'esso sia ellenistico soltanto


nistica

si

vergogna

si

questa pennellata mostra come

che

perch

la

il

di

amare

sentimento

anacronistico,

cultura elle-

continua senza stacco e senza salto

in

quella

augustea. Noi non troviamo nella letteratura greca che


i

poeti

si

da loro

preoccupino pi che tanto dei natali delle donne

amate; o

schiava e libera
h

tutt'al pi, essi

(1).

romano; romana

Il

fanno

differenza tra

contrasto tra lihertimis e ingenims

conforme

alla

natura un po' rude di

Orazio la libert, la brutalit dello scherzo sull'amore


per una libertina.

(l)

V. sopra

p.

IHy 8gg.

518

E neanche il confronto della femmina rapace e tenace con


mostri celebri della favola sar preso da Anacreonte: che esso, se non erro, appartiene a quello stesso
i

tempo a
stica di

cui risale

Omero

l'

e in

interpretazione allegorica e morali-

genere

di

ogni mito. Infatti

le

etere

non hanno soprannomi presi in prestito da tali portenti se


non nella commedia di mezzo. I commentatori sogliono
opportunamente citare un passo della Nsotti? di Anaxila
(Athen. XIII 558 a sgg.), nel quale le etere sono prima
confrontate in generale con dragonesse o con la Chimera
spiratrice di fiamma o con Cariddi o con Scilla tricipite,
con la Sfnge, l' Idra, una leonessa, una vipera, le schiatte
alate delle Arpie, e poi ciascuna delle pi famose etere
attiche comparata in particolare con uno di questi mostri
Plangon mette a ferro e fuoco i barbari come
la Chimera; solo un cavaliere scamp da essa la vita,
lasciandole tutte le sue suppellettili e fuggendo di casa.
Nannion Scilla, perch, divorati due compagni, va a
caccia del terzo, e buon che questo si salvato con remo
di abete! Ma Frine poco lontano fa la parte di Cariddi,
e, afferrato il nocchiero, se lo inghiottito con tutta la
nave . Anaxila contemporaneo di Platone noi vediamo che questo nei suoi dialoghi combatte contro persone che ricercavano nei poemi omerici le Tcvoca:, significati profondi e riposti {lon. 530 e, se autentico Resp. II
378 d e altrove). Il suo contemporaneo pi vecchio, Antistene, che aveva composto su Omero una quantit quasi
:

VI

incredibile di opere (Diog. Laert.

personaggi omerici a
pi

tardi

(I)

gli

tipi ideali di

Stoici,

Cfr. gli scolii al

come Orazio

primo verso

17-18), riduceva

virt e di vizi

dell'

come

stesso nella seconda

Odissea

librato suir iuterpretazione omerica di Autistene

Leipziger Studien,

(1),

giudizio equi-

d Ernst Weber,

226 sgg.


primo

epistola del libro

519

Non siamo

(1).

certi che, proce-

dendo ancor oltre, egli allegorizzasse, umanizzandoli, anche mostri omerici. Pure, o egli stesso o qualche sofista
contemporaneo o di poco anteriore deve aver fatto questo
passo, se Anaxila e forse i belli spiriti della societ attica di quell'et identificarono i mostri con meretrici,
certo servendosi a fini scherzosi di metodi che la scienza
prendeva sul serio. E infatti per il pi grave storico del
mostri omerici, almeno il Pitone
quarto secolo, se non
chiamato drago per la sua
ma
un
uomo
drago,
non un
i

crudelt

(2).

Nella letteratura posteriore

tali

interpretazioni

una yyn, y.x-e.xaaaa /.al o tyjd-oc, o'jvo[x' r/ouax, una donna di mal affare
e che non portava a torto il suo nome: egli intende qui
certamente parlare non della Scilla omerica ma della figlia
dilagano: per Callimaco

(fr.

184) Scilla

del re di Megara, Niso, che trad a


la patria,

ma

Minosse

espressione non ha alcun

1'

il

padre e

sapore se non

per chi sappia

come

omerica fosse

diffuso. Dall' et alessandrina in poi. quel

genere

di esegesi

il

confronto tra cortigiane e la Scilla

invade anche

compendii pi o meno

scolastici: perii cosiddetto Eraclito de incredihilihus (p. 73,

13 Festa) la Scilla omerica un'etera; una cortigiana


pure la Chimera per lo scoliasta townleyano dell'Iliade
(Z 161). Meleagro finisce un

epigramma (AP

190), in

paragona s a una nave che va alla deriva per il


mare di amore: Vedremo di nuovo Scilla lussuriosa ,
cio torneremo all'amata da cui ci credevamo liberi per
sempre. Ne fa maraviglia il favore di cui godono spiecui

gazioni cosi puerili

lo

scorgere nei mostri omerici, ogni-

qualvolta sono di sesso femminile, donne belle e lascive,

(1)
(2)

Cfr.

anche

WirPKKCHT,

(Tubingen 1908),

la

quinta satira del secondo

'/i('JcA/MHf/

p. 9.

libro.

dir rationalistischen

lulhetidetitung II

520

conveniva perfettamente a gente che faceva dei re del


passato benefattori dell'umanit, la quale riconoscente

tri-

buta loro culto; Leone di Fella ed Ecateo di Abdera si sono


fatti paladini di questa concezione, che grazie ai romanzi
di

Euemero

da

e di Dionisio Skytobrachion (1)

impadronirsi di

tutti gli spiriti


;

la fede di Orazio: Caelo

Musa

venne

in

voga

questa fu anche

beat: sic lovis interest optatis

con quel che segue.


seconda parte dell'ode oraziana rispecchia

epulis inipiger Hercules

Tutta

la

il

sentire proprio della societ e della letteratura ellenistica

La nostra analisi ha messo in luce


che qui Orazio esprime il mondo lirico suo, ricco di elementi ellenistici, senza attingere a carmi determinati.
ed ellenistico-romana.

Rimane a dire una parola sulla tecnica della composizione. Che Orazio finga di cantare, mentre l'azione gli si
svolge dinanzi
dell'Augusto,

non

agli occhi,

arte consueta in lui,


III 14,

fa maraviglia:

come mostra

il

questa

carme per il ritorno


credevamo questa

Herculis ritu. Noi

tecnica invenzione ellenistica: Callimaco descrive spesso

liricamente corteggi e

Ma

riti,

man mano che

si

svolgono.

quel che conservato dell'ode di Anacreonte, mostra

chiaro che gi gli antichi Ioni conoscevano e sfruttavano

abilmente

artifici di tal genere. Poich non il caso di


pensare a rappresentazione, poich questa non arte mi-

ma

metica,

riproduzione,

ma

stilizzazione

letteraria

di

forme mimetiche da quel carme si dovr conchiudere


che gi Anacreonte pensa, scrivendo, al libro, quando
anche
suoi carmi siano stati sovente recitati davvero
;

in banchetti.

(1)

Intoruo allo svolgimento del sistema,

cfr.

nell'

Enciclopedia

Pauly-Wissowa, l'articolo dello Schwartz su Dionysios Skijtobraehion e quelli del Jacoby sn Sekataios von Ahdera ed Eumeros.

di

SENTIMENTO DELLA NATURA.

IL

h)

521

Pensieri e sentimenti di Orazio lirico sono spesso de-

terminati

natura che

dalla

circonda: egli o

lo

sente

si

con essa o si ribella alle impressioni


che da essa riceve. Ai soffi tepidi del vento di primavera,
in accordo perfetto

insieme con

non appena

il

gelo, che stringeva

venti

cam-

ghiaccio, che copriva pur dianzi le

il

pagne, fonde

hanno cessato

cuore del poeta

il

di

torna in pace anche l'animo. L'avvicendarsi ra-

ornelli,

pido delle

stagioni, l'alternarsi incessante

della

vita e

morte nelle cose che diciamo inanimate, invita


poeta a profittare dell'ora. Il rumore delle onde che
della

infrangono

sugli

lo eccita

scogli,

nell'amore difesa contro


il

le

a cercare nel vino e

cure del domani;

ma

dall'anima

il

fuoco e

il

freddo, che sale a essa dalla con-

templazione del paesaggio nevoso. Orazio


tura

(1),

perch gode con

dipender da

Ma egli

con

Del Sentimento

ma

lei

non sa

della

dei

quando

vale a dire, egli sente

in

genere, con se

uscir di s per sprofondarsi

natura in Catullo ed

una dissertazione

scritta nel 189.5.

le espressioni

sente la naribella

si

connette la natura con l'uomo

Vattiisso in

sano),

perch

lei.

stesso in particolare;

(1)

lei

ella lo invita a rattristarsi

M.

il

si

vino devono aiutarlo a mettere in bando non solo dal

corpo

di

scuotere cipressi e

Orazio

di laurea pubblicata nel

L' autore raccogli

tutte le

due poeti connesse con fenomeni

vagliare quanto di esse sia bagaglio

tradizionale,

lia

discorso

1910 (Pos-

immagini

naturali,

senza

quanto manifesti

sentimenti del poeta. Del metodo infantilo non faremo carico a uno
studioso che

ha

fatto

opera cos utile in altre parti delle scienze sto-

riche. Il vecchio libretto di

chen Naturninn

Karl Wokumann,

dir (iriechen u.

finezza pur sempre insuperata,

bra equo.

Iliimer

ma

il

(Monaco,

Ueber

dm

hinducha/tli-

1871) pare a

me

di

giudizio su Orazio non mi sem-


tutto in

lei.

campagna

Nella

allo spirito stanco,


ai

522

vita

egli cerca riposo e sollievo

pi conforme che

ragione non

dettami della

la

cittadina

corrotta. Nulla h per

lui

pi dolce che starsene sdraiato nell'erba alta, all'ombra

porgendo tra il sonno l'orecchio al morun ruscelletto. Per contro, egli non sa
contemplare con gioia profonda il cader della neve e la

fitta di alberi,

morio uguale
furia del

di

mare

e la lotta dei venti nel bosco,

sguardo solo

fisa lo

un momento

e ne

ma

vi af-

lo ritorce via su-

bito con raccapriccio, per gustare meglio, con gioia

more

l'amore. Nel paesaggio egli

mit,

me-

ben riparata, il vino,


ricerca non maest n subli-

del raccapriccio, la stanza

ma

amoenitas.

conforme a questa disposizione del suo

rappresenta quasi sempre paesaggi

idillici,

spirito egli

bucolici.

Come

non descrive, tranne un'unica volta, della quale presto


discorreremo, l'alta montagna, se non quale sfondo lontano, cos non si compiace di mostrarci l'ondeggiar delle
messi, ma ci pone piuttosto dinanzi agli occhi monti boschivi di altezza mediocre, prati declivi, fonti ombreggiate spiccianti dalla roccia viva. Egli non sembra sentire ci che in natura pi grandioso. Nel carme per
molti indizi giovanile, nel quale vanta Tivoli sopra ogni
altro soggiorno pi ricco di ricordi e

pi favorito dalla

(I 7), non trascura di nominare il bosco sacro di


Tiburno e il santuario della dea Albunea risonante di
acque correnti (1); s'indugia con amore sui frutteti fre-

natura

(1) I
lit

versi di Virgilio, {Aen. VII 82 sgg.) lucoscpie sub alta consit-

Albunea, nemorum quae maxima sacro fonte aonat saevamque exhalat

opaca mephitiin, mi sembra che mostrino esser Albunea piuttosto la


ninfa del bosco che del fonte,

nome che

il

quale poteva, a dir vero, avere

come osserva

lo

Servio. Kiessling-Heinze

as-

seriscono che donius sigHfichi qui la grotta descritta da Virgilio,

ma

stesso

questi di grotta

il

bosco,

non

fa parola.

ogni

modo

il

sacello di

Albunea

5^i3

schi dell'acqua dei ruscelli che corrono gi verso l'Aniene

per precipitarsi in essa con lieve salto: uda mobilibiis po-

maria

rivis;

invece per

le cascate,

la cui vista fa a noi

moderni scorrere piti veloce il sangue nelle vene, non


ha che due parole sbiadite: praeceps Anio (1). Il poeta
antico ferma con compiacimento maggiore lo sguardo
sulle coste di Taranto ricche di viti, di olivi, di sciami
di api
o canta una fonte pi lucida del cristallo, che
scaturisce da una roccia cui un'elee sovrasta; o descrive
;

un pendio

di

monte coperto

di

boschi: nel

dentra una valle solinga chiusa

ai

monte

si

ad-

raggi della canicola,

donna che col voglia, cantando sulla cetra facili


canzoni e bevendo vino leggiero di Lesbo (2), dimenti-

atta a

care le vicende tumultuose della vita e degli amori cittadini.

Orazio anima

il

pi delle volte di figure le sue

cam-

pagne, appunto perch'esse non sono per

lui che sfondo


quadro ma proprio le figure che egli sceglie, sia di
uomini sia di animali, accrescono l'impressione bucolica
che in noi eccitano
paesaggi, quali li descrive nella
sua lirica. Nelle odi compaiono non contadini quanto armenti e pastori. Nell'ode, per cos dire, tarentina II 6, Septimi, Gades, , prima ancora che il miele e la verde bacca,
nominata la corrente del Galaeso cara alle pecore coperte
di pellicce. Sul Lucretile (I 17) errano, senza timore di

del

non ha che fare con


topografi antichi e

A me

non

(1)

il

la

cascata

riuscito udir qui

La cascata

Deasau (CIL.

dubbio

XIV

debba cercare cou


Acque Albule.
acque correnti.

se lo si

nessun rumore di

era diversa e minore, perch

in quel tratto sotto Gregorio

p. 135) presso le

XVI; pure

il

fiume fu regolato

(luche ai tempi di Strabouo

(V 238) esso formava una cateratta, gettandosi da grande altezza


una gola profonda e lioscosa.
(2)

vini Leslii erano

in

raccomandati dal medico forse pi auto-

revole dell'et ellenistica, Erasistrato: Pliu.

n.

It.

XIV,

7l.

5^24

serpenti velenosi e di lupi, le mogli


odore, cercando corbezzi e timi: la

del marito di forte

zampogna

di

Fauno

riempie sempre quelle solitudini. L'opera giornaliera dei

pu dire, ignota ai carmi oraziani: gli


agricoltori non compaiono nelle odi se non per ballare
un trescone la cui pesantezza pari soltanto all' ardore
dei danzatori (III 18); dei campi egli nei carmi non parla
con particolari se non in una sola ode, dove l'enumerazione dei pericoli cui i colti sono esposti, giova a dare
contadini

si

amabile della

rilievo alla figuretta

figlia di contadini, la

rustica Piidyle (III 23), dalla quale gli di


di vittime

ma

soltanto purit

nell'altro passo la
di

non esigono lusso

d'intenzione; nell'uno e

vita agricola fa parte

del

quadretto

genere.

Solo in un epodo

lavori campestri, gli umili diletti

dei contadini, le loro consuetudini semplici sono tratteggiati

Alfio:

con

affetto, proprio

non che qui

nell'epodo che beffa l'usuraio

sia deriso

l'amore per quel genere di

prende giuoco solo della poca sincerit


tempo facevano pompa di quel sentimento. Pure vari passi dei Sermoni e delle Epistole
mostrano che l'affetto per il paesaggio piuttosto bucolico

vita; Orazio

si

dei molti che al suo

che rurale era radicato profondamente nell' anima sua,


che egli non esprime nelle odi sentimenti puramente
idillici solo in ossequio a leggi di stile. Il podere che egli
accett in dono

da Mecenate, che

egli,

possiamo bene

supporre, desider gli fosse regalato da Mecenate, posto

com' era in una valle ombrosa che divide due monti (1),
ricco di querce e di elei (epist. I 16, 5 sgg.), era eviden-

(1)

Non ho ragione

di

occuparmi della controversia sul luogo

preciso del Sabnum di Orazio; la regione di Roccagiorine ancora

boscosa e pi adatta alla pastorizia che all'agricoltura, aucora tutta


bucolica.

525
temente pi adatto agli armenti e alla vita idilliaca di
quel che non rendesse a chi voleva coltivarlo pregio
principale una sorgente sana e fresca. Egli aveva desiderato (semi. Il 6) un poderino con un orticello e acqua
di melius
corrente, con un po' di bosco per soprappii
fecere. Eppure quell'angolo di mondo avrebbe prodotto
ancor pi facilmente pepe e incenso che uva (epist. I
14, 23). All'amatore della citt, Arelio Fusco, egli vanta
secondo il solito (epist. I 10, 18) i sonni tranquilli, i colori e gli odori dei prati, l' acqua limpida e leggiera.
Nella vita che conduce l in comune coi suoi contadini
servi, gli piace la famigliarit libera da convenzioni soegli si rallegra di potersi quanto
ciali (serm. II 6, 63 sgg.)
vuole cibare di vivande grossolane, di bere a suo talento,
sciolto da ogni legge conviviale; si rallegra che i bnnbetti schiavi nati in casa sentano cos poca soggezione
di lui che divengono quasi insolenti. Ma dei lavori campestri, anche in questi componimenti in cui non lo impacciava il riguardo alla dignit o anche alla stringatezza
dello stile, non parla altrove che nell'epistola, poco importa se fittizia, diretta al fattore che voleva scambiare
il posto in villa con uno in citt (I 14). Qui, insieme con
:

il

ballo pesante dei popolani e degli

sembra,

al

cuore del poeta, sono

schiavi, cos caro,

tratteggiati

anche

la-

vori campestri (v. 2G sgg.). Orazio, per dare al castaido

un buon esempio, gli ricorda che anch'egli, il padrone,


servi a smuovere zolle e sassi,
non isdegna di aiutare
i

per quanto ne ridano

vicini, rident vicini (jlaehas et saxa

moventem. Chi legge, tentato d'immaginare che Orazio

avr lavorato nel campo

di

non proprio con

la

chi sa se
Il

rado e per breve tempo, e

mira

sentimento del paesaggio

quasi soltanto bucolico.

Non

si

di

maravigliare

in Orazio,

dica n

si

abbiamo

creda che

contemporanei non potessero sentire altrimenti

vicini.

detto,
i

suoi

la natura.

5^20

poeti dell' et augustea

Degli

altri

giore,

aveva

almeno uno,

timento assai

mag-

il

del paesaggio e della vita campestre

un sen-

vasto e pi profondo, pi antico

pi

in-

sieme e pi moderno. Virgilio anche nelle Egloghe, dove


per lo pi imita poesia teocritea, mostra qua e l di sen-

maniera differente dal suo modello


et iam summa procul villariim culmina
fumant maioresque
cadimi altis de montibus umhrae (I 82 sgg.) fa pensare non
al terreno frastagliato di Cos o della Sicilia, quale lo
rappresenta Teocrito, ma a una pianura sulla quale lo
sguardo spazia liberamente nell' aria quieta della sera,
a un paese disseminato di casali, a un orizzonte chiuso solo
per un certo tratto da altissimi monti lontani, appunto
alla valle padana, nella quale, come mostrano allusioni
personali, si svolge l'azione. Teocrito non ha mai, che
tire

paesaggio

il

io sappia,

in

come

descritto

pendio molle molle


se

subducere

(IX

7).

colles

dall'

colli

sollevano con

si

immensit della pianura

incipiunt tnolUque iufjum demittere

Chi osserva con

qua
clivo

tanta acutezza quel che pi

caratteristico delle forme di

ama.

primi

anche

un paesaggio pianeggiante,

che popolano questo paesaggio, bestie e uomini, sono sentite diversamente


da quel che non soglia la poesia teocritea la vaccherella che, stanca di aver cercato tutto il giorno per
lo sente e lo

le figure

boschi un giovenco,

si

butta gi nelle erbe palustri che

crescono in riva a un ruscello, e riman


accorgersi che intorno a

nemora
rivum

atque

altos

lei

annotta,

a lungo senza

fessa

iuvencum per

quaerendo bucula lucos propter aquae

procumbit

idva perdita, nec serae

meminit

decedere noeti (Vili 85 sgg.), creatura fornita di

ragiqne

quasi

viridi

in

umana, come suole immaginare

contadino.

La campagna

zio delle api,

verso rauco

ma

di Virgilio

suoi

piena

animali
s

il

del ron-

anche del canto dello sfrondatore, del


delle palombe, del gemito delle tortore di

527

sull'olmo: hinc alta sub rupe canet frondator

tamen interea

cessabit turtiir ab

tono davvero
nell'idillio

ulmo

56

sgg.).

Tra

rumori che

vicinanze di una fattoria,

nelle

suo pur

(I

ad auras ; nec

cura, palumhes nec gemere aeria

raiicae, tua

meno

si

sen-

Teocrito

bucolico e pi rurale, in quello

che odora davvero di estate pingue e di raccolto, fa


menzione per vero anche del gemito della tortora eaTSve
xpuywv (v. 141). Ma quanto men sobrio il quadro
Teocrito descrive il concento che un gruppo di amici ode
disteso all'ombra di pioppi e di olmi, su giacigli di giunco
e di pampini freschi, mentre ai loro piedi e ai loro fianchi rotolano gi dagli alberi mele e pere, mentre rami
carichi di prune si curvano sino a terra; si ode di lon:

tano
i

il

grido della calandra

cicale fanno

le

il

verso per

rami; cantano allodole e cardellini; volano, ronzando,

sciami di api. Qui la voce della tortora non che una


tra molte;

pascono

Virgilio, oltre al ronzare della

in

le api, la

accompagnano

solo

siepe cui

verso rauco di un

il

uccello che sta al cuore del contadino, di un uccello di

palomba, e

cortile, la

l'umile lavoro.

che tanta ricchezza


artificiata,

il

Leggendo

canto

umano che accompagna

Teocrito, vien subito in

non

di particolari , se

falsa,

mente
almeno

che quella campagna fatta apposta per

la

brigata cittadinesca, la quale, quando, attratta dalla pro-

messa

di

una

citt sino al

festa,

podere

un bel verziere,
si

si

di

avventura per una volta fuor di


un amico, vuol trovare per lo meno

ricco di acqua, di canti, di odori, in cui

possa meriggiare

al fresco

con

tutti

comodi. Virgilio

con incomparabile parsimonia di mezzi, quasi soltanto


ricordando voci di uomini e di animali, ci trasporta nella

campagna quale

essa davvero, abitata e coltivata da


uomini che vivono non della comoda pastorizia ma dell'opera assidua delle loro mani.

Nelle Georgiche

Vii-gilio,

smessa

la

veste

idilliaca,


che del resto non
a

di vita

stava bene addosso, dipinge modi

gli

cari per

lui

048

il

ricordo dell' infanzia e dell'ado-

campagnola. L' indole precettistica delgli impedisce per lo pi di ritrarre luoghi deterl' opera
minati
pure due tocchi rapidi ci mettono sott' occhio
la pianura intorno a Mantova, tutta prati, per
quali il
Mincio serpeggia lento lento, popolato di cigni: et qualem
lescenza

sua

infelix amisit

Mantua campum pascentem

mine cycnos

(II

lattiginosa

cum

7iiveos

herhoso fiu-

198); quest' paesaggio

ben diverso da
quelli oraziani. E Virgilio sente profondamente spettacoli naturali ai quali n Orazio n i poeti bucolici sembrano avere rivolto attenzione: la pioggia di primavera,
che cade incessante sul campo di grano, irto di gambi ancor verdastri con in cima la spiga non ancor soda, ancora
:

et

turgent

il

(l

313);

imhriferum ver, spicea iam campis cum


cum /rumenta in viridi stipula lactentia
pampino che a primavera, senza paura

ruit

messis inhorruit

dell'austro o della pioggia che gli aquiloni tiran gi dal


cielo,

butta fuori

tuit surgentes

le

gemme

e spiega le fronde

pampinus austros aut actum

gemmas

lonibus imbrem, sed trudit

vendemmia che

(Il

333); la mite

fin

dentro su per

et

caelo

nec me-

magnis

aqiii-

frondes explicat omnes

ai soli

sassosi colli solati

d'autunno

si

cuoce

alte mitis in apricis

coquitur vindemia saxis (II 522). Nella lirica di Orazio acqua,


alberi, bestie

sono elementi decorativi; nelle Georgiche

forze vive e creature fornite di senso.

come

non
tenue soave mormorio

Virgilio la descrive,

che con

il

sdraiato tra le erbe della sponda,

che scorre per

il

canale e per

contadino in servigio dei

colti

il

L'acqua corrente,

ruscelletto limpido,

invita al sonno

ma

il

il

poeta

liquido di vita,

mille canaletti scavati dal


:

mentre

sul

campo

arso

ogni vegetazione langue prossima a morte, egli trae fuori


dal ciglio erboso di

tando gi per

un

clivo

sassi levigati,

l'onda;

questa,

precipi-

ne cava un mormorio rauco


campi

e porta soccorso ai

inducit rivosque sequentes,


aestuat
illa

assetati

deinde satis

tramitis

clivosi

cadens raucum per levia murmiir saxa

arentia temperai arva

rami fecondi verso

nuove

frutti

Il

undam

ciet,

elicit

cielo e

non suoi

ammira

novas frondes

va

toro vinto in duello se ne

regno avito, lamentando

con

egli stesso le fronde

ad caelum ramis
non sua poma

ingens exsilit

scatebrisque

106). L'albero innestato balza

miraturque

felicibus arbos
(li 80).

il

(I

fluvium

exustus ager morientihiis

ciini

et,

ecce supercilio

ierhis,

529

et

in esilio via dal

amore, che l'avversario

gli

ignominia e il suo
ha rubato senza che egli possa

vendicarsene

La

societ delle api dipinta nel

(III 224).

propria

la

quarto libro con colori umani. In Arato

gli

animali non

sono che segni del tempo buono e cattivo, concessi agli


agricoltori e ai naviganti da una provvidenza benevola.
Virgilio in

una parte

deriva certamente dai

del primo libro (v.


<l>atv[jLva (1), fa,

851

sgg.),

che

dei segni, creature

viventi, senzienti, pensanti. Arato, poich gli sta

davvero

a cuore insegnare, ordina sistematicamente ed elenca mi-

nuziosamente tutti i versi e tutti i movimenti di qualunque animale da cui si possano ritrarre prognostici; Virgilio descrive soltanto quelle voci e quegli

che paiono meglio rispecchiare

l'

anima

Le vacche

dipinge queste con molto pi colore.


(v.

prima che cada

955),

la pioggia,

in alto, l'aria, jz

ac^po; wa-f py,aavxo

giUana tenta

atterrare le aure

di

patulis captavit naribiis

auras

(I

atteggiamenti

delle bestie,

fiutano,
la

con

376). In

guardando

muccherella
le

ma

aratee

vir-

larghe narici,

Arato

all'

avvi-

narsi della tempesta la cornacchia, tra molti altri segni,

(1)

zione del

passi corrispondenti sono

Maass;

indicati

delle Georgiche etata spintji innanzi con

Jahn, non

stata studiata l'arte

la materia grezza.

accuratamente

nell' edi-

negli ultimi tempi, mentre l'analisi del contenuto

con

la

zelo

felice, specie

da

P.

quale Virgilio anima di poesia

530

che essa d e che Virgilio tralascia per non guastare


l'unit dell'impressione, si aggira presso l'acqua, gracidando
a voce piena, aipcpsiai uap'u5wp Tta/a xpw^o-jaa (v, 953).
descrive lo stesso segno cos: La cornacchia
maligna con voce piena chiama la pioggia, e sola con se
stessa passeggia sulla rena secca ; tum cornix piena pluVirgilio

viam vocat
harena

(I

improba

388).

voce et sola in

sicca

secum

spatiaUtr

corvi di Virgilio al ritornar del sereno

fanno strepito tra loro negli alti nidi tra le foglie, nescio qua praeter solitum dulcedine laeti (I 412): essi godono,
passata la pioggia, di rivedere la piccola prole e
nidi, iuvat imbribus
sere nidos.

actis

Arato scrive:

credere che

si

progeniem parvam dulcesque

Qualcuno

rallegrassero

(v.

alle lor grida

dolci
revi-

potrebbe

1006)1

Pure un sentimento della natura cos esteso e cos


rimane nell'et augustea un'eccezione. I pi
sentivano allora la campagna in modo non diverso da
Orazio i grandi di quei tempi villeggiavano quasi soltanto in riva al mare o su colline non troppo guaste dalla
civilt e dal lavoro umano (1), andavano in cerca della
amoenitas. Le pitture dell'et augustea scoperte a Roma,
quando non rappresentano fantastici paesaggi esotici, le
rive giuncose del Nilo, popolate di pigmei e gru, mostrano
non pingui colti, non campi di grano o vigneti o frutteti,
ma contrade rocciose e boschive, rinfrescate da ruscelli,
animate da greggi e da pastori, disseminate di altari e
di rustici santuari (2). Paesaggi di tal genere, montani
e idillici, ci son posti sott'occhio dai due freschi del triprofondo

(1)

DBR,

Lo mostra

1'

Sittengeschichte
(2) Il

elenco delle villeggiature

*,

romane

in

Friedlax-

II 108 sgg.

materiale ora riprodotto in figure assai belle e studiato

da RosTOWZEW, Hellcnistisch-romische Architelturlandschaft (in Eom.


Mitt. XXVI, 1904, 1-185); il Rostowzew ha ritratto da esso quanto
si

poteva per la conoscenza dell'arte

e della cultura.

531

Livia sul Palatino e dagli


della Farnesina (1). Questo gusto per-

clinio della cosiddetta casa di

stucchi del soffitto


sist tra

Romani anche

ture pompeiane

del

sembra, coincidono

che

seguente

nell' et

terzo

stile,

con

1'

cui

nelle

principii,

era volgare, la

pit-

a quel
predile-

zione per gli sfondi lontani, per V acqua corrente, per


stante obiezioni recenti, certo,

sono creazioni originali,

ma

come, nono-

campestri ancor pi spiccata. Se,

sacelli

pompeiani non

freschi

copie e imitazioni di quadri

indicano almeno che il gusto dall'era


tempi romani non era gran che mutato, che,

ellenistici (2), essi

ellenistica ai

come

tra la cultura dell'impero

romano

e la cultura del

regno tolemaico e del seleucidico non vi stacco netto,


per quanto Augusto si studiasse di restaurare la romanit, cos il pubblico romano seguitava ad avere quanto
a paesaggio le stesse predilezioni di Teocrito e dei suoi
lettori.

Non

a caso nomino, a proposito di Orazio,

pi propriamente

sono detti

poeti che

paesaggio del
fons Bandusiae, il ruscello limpido che sgorga dalla roccia ombreggiata da un pino, si trova tale e quale, come

(1)

Figg.

2,

dei

e di santuari si ritrovano sia (p. 114

pergameni del III secolo,


detta a torto

meno

alessandrina,

sia
i

(p.

100 sgg.)

Il

Rostowzew.

11, 12, 13 nell'opera del

Rostowzew mostra che alcuhi

(2) Il

case

1,

bucolici.

tipi

arcliitettouici di

sgg.) in

vasi

a rilievo

una

serio

di rilievi

in

cui esemplari pi antichi risalgono al-

al principio del III secolo.

Lo sfondo

roccioso

rappresentato

non conviene punto all' Egitto. Delle formo architettoniche


pitture romano e pompeiane, mentre alcune si riconoscono fa-

in questi

delle

cilmente egizio, altre ])aiouo derivate dall'Asia Anteriore. Noi secondo


stile

due olemouti hanno

jionderano
stile,

che

(juelli
<"

non appaiono

se

non

stile prc-

nel quarto

posteriore a Orazio (p. 98, 127 sgg.j. Si vede chiaro ohe

le pitturo di
stici,

ugnalo importanza; nel terzo

asiani; ville italiclie

ma non

paesaggio dell'et augustca riproducono

quadri elleni-

soltanto e non provaU-utt'uiento alessandrini.

532

vedremo meglio, nei primi versi del primo idillio


le prime due strofe dell' odicina oraziana
di Teocrito
paiono quasi uno svolgimento di un verso di quella
presto

poesia

|ja)|iv

gida cornibus

5'

ah^^ti xepas Tpyo;

ci'jto;,

frons tur-

cui

Ubi rubro sanguine rivos. Colui che

inficiet

non disdegna dormire ad aquae lene caput sacrae (1), ricorda un verso di un idillio, che, quantunque non teocriteo, come io credo ancora fermamente, era gi letto
da Virgilio nel suo esemplare
o

ol)

tw

scontri a
imiti, 0,

d-i^Eoc,

Ttap' liwp

me non

di Teocrito, l'ottavo
atO-ptoy.G'.xerv.

f>ov

pare consegua in

vogliamo

modo

dire, citi Teocrito,

Da

78

v.

questi

ri-

certo che Orazio

sebbene non

si

possa

me sembra

dubitare che l'abbia letto e studiato; a

solo

che essi mostrino quanto conformi fossero nei due poeti


sentimento e comprensione della natura. Ma, giacch,

come provano appunto


quei tempi molti, anzi

non

quadri

i
i

secolo,

il

pi sentivano cosi

vi ragione di credere

prestito

romani

pompeiani, a
paesaggio,

il

che Orazio abbia preso in

suo sentimento della natura da poeti del terzo

quantunque non

possa dubitare che

si

egli, leg-

gendoli, lo abbia nutrito.

Ma

qualcuno potrebbe voler negare che

della natura, quale

si

il

sentimento

manifesta in Orazio e nella mag-

gior parte dei suoi contemporanei, sia in qualsiasi

connesso storicamente con quello che fu proprio


lenismo, obiettando
antichi in

che

Greci di ogni tempo, che

genere preferirono

dall'un canto

all'

alta

paesaggi

montagna,

che presentasse troppo

tale

modo

dell'el-

idillici,

dall' altro

evidenti

gli

bucolici

campagna

segni del

lavoro

umano. Questo tale da un' osservazione in s giusta ritrarrebbe conseguenze errate. Non importa che Orazio e

(1)

heria.

Cfr. epist. I 14, 35 cena breva iuvat

et

prope rivum somnus

in

533

suoi uguali descrivano paesaggi bucolici,

descrivano, gustino, intendano

saggi di

solo

genere. Gi l'Iliade descrive,

tal

compiacimento,

si

epigrammi dell'Antologia e

in Teocrito:

uspl

v^i^-(^vr\v

essi

pae-

con evidente

ritrova le mille volte negli

h^ohc, -/aia ^l^ohc,

XriGaac, v.t.zi^ccc, xaXfj tz

305 sgg,

fi[ie(<;

spoixev O-avxo'.a: ~z-

uXatavcaxw, oO-sv V aYav u5(op,

Nell'Odissea la grotta di Calypso

da un bosco

che

solo

santuario posto all'ombra del bell'al-

il

bero presso la sorgente, che


5' a[JL'^l

ma

quasi

(e

68 sgg.) attorniata

pioppi e olmi e cipressi, sui cui rami

fitto di

di ogni specie. S' aggrappa aluna pianta di vite; quattro fonti di


acqua chiara bagnano molli prati. Omero ha coscienza
di descrivere uno spettacolo di grande bellezza, perch
aggiunge in fine della descrizione che perfino un immor-

sono appollaiati uccelli


l'

ingresso dell'antro

tale

si

sarebbe fermato a contemplare e avrebbe stupito

Hermes, che deve recarsi da Calypso, rista


non abbia
osservato bene tutto. In Teocrito il Ciclope (XI 46) si
Vanta che presso la grotta siano cipressi e la vite e una
sorgente: Teocrito si ricordato evidentemente (1) del
passo omerico, ma V imitazione cos bene intonata al
resto della sua poesia, che la grotta del Ciclope pare a
noi compendi in s quasi tutto intero il paesaggio teocriteo. Ma, mentre le campagne teocritee sono, si pu
dire, tutte simili l'una all'altra. Omero descrive con gioia
non minore sia un tenimento grande presso le rive del
in suo cuore.

a lungo e non entra nel sacro speco, finche

Xantho
(M 313),

bello di piantagioni e di solchi portatori di

cadendo

in

attraverso l'aria tranquilla, copre

di

sia la neve, che,

monti e distese

(1) jiTisXoj

-^

di prati e colti,

yX'v.v.oLpTZQZ

r,\isp'.z.

grano

un giorno d'inverno
poco a poco cime
si spande sui porti e

534

sulle spiaggie, tutto ricoprendo fuorch le

onde (M

cos

poeti

seguenti

scrivono con interesse

sino a tutto

il

27(S).

secolo

de-

piacere palese tutti quegli og-

getti e quegli spettacoli di natura

che piacciono anche


Nonostante l'edera, il narciso, il croco,
bosco impenetrabile ai soli e ai venti, il

a noi moderni.

nonostante

il

canto degli usignoli,

1' acqua
del Cefso scorrente per
non potrebbe dirsi bucolica la descrizione di
Colono ricca di olivi nella tragedia di Sofocle, non quello
un paesaggio che inviti al riposo e al sonno. Per la selva

mille rivi,

incede Dioniso con

le

sue nutrici;

insonni, auTivot. Del pari,

con

quale Aristofane

il

canta

rivi del Cefso


il

negli Uccelli

Pace

selva, negli Acarnesi e nella

nei quali

non diremo bucolico


i

sassosi

sono

sentimento

grande

la

campi

solati!

contadini attici passano la loro vita tra lavoro

aspro e divertimenti un po' rozzi. Gli uccelli e in genere


animali sono per Aristofane non elementi decorativi,

gli

ma

creature vive, osservate talvolta dal poeta con occhio

quasi di zoologo; le sue

odore di viole,

La

suoi

campagne non esalano

non sono

natura cantata dai poeti

soltanto

bifolchi all'acqua di rose


attici

non

(iy.

un posto creato

dalla provvidenza per gli uomini di stato e per


cittadineschi, perch, obliate le cure, vi ritemprino

poeti

nervi

consumati e lo spirito stanco.


Il sentimento
della natura si restringe, si specializza
nel corso del quarto secolo. Agli uomini di quell'et non
piacciono pi senza distinzione campi carichi di messi e

non sorride che certo genere di campagna. Riandando con la mente i prosatori
di queir et, non mi riesce di ricordare pi di due devigneti, prati e oliveti; a essi

(1)

pagine

Sul sentimento della natura


il

Romagnoli,

St.

it.

in

di filai.,

Aristofane

ha

scritto belle

XIII, 1905, 233 sgg. 250.

scrizioni particolareggiate di

quanto

al

sentimento che

535

paesaggio

le

anima

In principio del Fedro, Socrate


del discorso di Lisia

230 b

(p.

e) ascolta la let-

intorno all'amore, sdraiato tra

l'erba alta e odorosa al rezzo

di

fonte di acqua chiara e tresca

cicale.

l'una e l'altra

potrebbero parere scritte in et ellenistica.

lari descrittivi

tura

(1);

e quanto ai partico-

un platano presso una


tutt' intorno stridono le

Alcune statue fanno argomentare che il luogo sia


Il gruppo di amici che me-

sacro alle Ninfe e all'Acheloo.

riggia, discorrendo e cantando, disteso tra l'erba all'om-

bra degli alberi presso una sorgente, ricorre in Teocrito a


ogni pie sospinto: il primo idillio comincia descrivendo
pino presso la fonte. Ogni verso aggiunge
un particolare nuovo la fonte cade da una roccia alta
facendo un dolce rumore (v. 7); non lontano un declivio coperto di tamerischi (v. 13); chi immagini pitto-

lo stormire del

ricamente, penser che esso formi lo sfondo del quadro.

Non

lontano sorge anche un platano: sotto esso

incontro al busto di Priapo e


sedile pastorale

e la quercia,

ai
si

(v.

21)

corbezzi,

dove

accordano

di

sedere in-

il

due amici. Il meriggio di estate indicato, come


nel Fedro, chiaramente (v. 15). Anche nell'inno ai Dioscuri, che non bucolico, Teocrito non sa fare a meno
di fingere che il barbaro Amyco meriggi anche lui come
un pastore presso una fonte perenne, che spiccia limpida
da una roccia non mancano neppure qui le solite piante
ombrose, pioppi bianchi e platani e cipressi (XXlI 37 sgg.).
Importante nel Fedro la menzione del santuario.
Le pitture romane e pompeiane, specie del secondo stile,
hanno molto spesso nel centro un modesto sacello rustico,
sieme

(1)

non

si

particolari l'antastici (lell'IIade, quale dipinto uel Fedone,

compongono

in uuitj\ di

paesaggio.

530

consistente talvolta soltanto in

statua o

tua un

una colonna con sopra

la

busto del dio; talvolta corre intorno alla sta-

recinto

manca

ma

il

circolare

quasi mai

(1).

di statue, xpat te

semicircolare,

Anche Fedro

l'

albero non

parla non di

xal yaXiiaia.

Nella

poesia

edifci,

l'im-

magine sacra nel mezzo del quadro bucolico, ignota, se


non erro, agli antichi, appare negli epigrammi della scuola
che ha precorso i Bucolici, la cosiddetta scuola peloponnesiaca. Anyte (AP IX 314) finge che un'erma che sorge
in un trivio presso un arioso giardino, inviti a riposare
il viatore stanco
accanto versa fresco liquido immacolato una sorgente (2), Il santuario dell' Afrodite marina
cantato da Mnasalca (IX 333) ha una sorgente all'ombra di un pioppo; il modello, una poesia di Anyte (IX
144), non faceva menzione della sorgente e degli alberi.
Poich l'epigramma di Mnasalca ha tutta l'aria di una
esercitazione letteraria, noi non supporremo che esso si
riferisca a un altro santuario della dea cantata da Anyte,
:

ma

crederemo piuttosto che santuario campestre, fonte,


ombra fossero ormai inscindibili. I due pastori del primo
idillio teocriteo siedono dov' Pripo ; qui Priapo
e sedile pastorale appaiono congiunti. Porse il t-wxo?
era un basso recinto semicircolare, entro cui si trovava
r erma

del dio,

una cosiddetta

schola quale

parecchi esemplari sul fregio giallo della


di

appare

in

casa palatina

(3); su di esso sedevano forse i pastori. Un tale


con nel centro un rozzo Priapo, che era pur dianzi

Livia

recinto,

(1) Il

KosTOWZEW d esempi numerosi

alla letteratura egli

non

ha posto mente.
(2)

Nel tradurre seguo una congettura del Reitzenstein, Epi-

Skolion 125. Nella poesia di Nicla (AP IX 315) che ha a


modello questa di Anyte, presso la fonte ombreggiata da pioppi non

gramm nnd
un busto
(3)

di

Tav.

un

dio,

ma una tomba

1 e 2 nell'opera del

anche la tomba
Eostowze\t.
:

un santuario.


un truncus

gramma

ficulnus,

4,

pur qui

537

rappresentato minutamente nell'epi-

che non vi ragione di ritenere spurio. Nepcala gi dalle


il ruscello perenne, che

manca

ombreggiato di alberi e frutici sempre verdi, ai quali


aggiunge la vite: la descrizione non ci fa grazia
del concerto degli uccelli, merli e usignoli. Leonida di
Taranto, l'epigrammatista principe della prima met del
III secolo, celebra (AP IX 326) un santuario di Ninfe,
che il gemello di quello descritto da Platone: un fonte
che spiccia dallo scoglio; rozze statue di Ninfe scolpite
da pastori, 7zoi\lzy.v.% ^ava; quegli stessi xa[jiLa xcjpta, cio,
come suona comunemente questa parola, xopoxa{ica, quelle
immagini delle dee collocate sulla sponda che nel Fedro
sono dette xpat (1). Non dubbio che tali santuari ru-

rupi,

qui

si

stici fossero assai diffusi in quell'et;

ma

gusto del tempo necessario mettere

in rilievo

ogni paesaggio

del III

secolo, sia

a intendere

il

che quasi

nelle arti figurative,

sia nella letteratura, disposto tutt'intorno a tali sacelli.

La

semplicit arcaica delle forme mostra

campestri

ma

di tal fatta ci

solo dal

IV

secolo

che santuari

IV

furono anche prima del

secolo;

in poi essi interessano tanto

gli

artisti.

Pi che qualsiasi particolare

importa

la

concezione

generale della natura, quale nel passo platonico. Fedro


va, com'egli stesso dichiara

(p.

227 A), a passeggio fuori

ha prescritto il medico, un
di porta, un po' perch
po' anche, come Socrate suppone e non s'inganna, per
quattro nuiri di
riposarsi dallo studio, che durava tra
una stanza ininterrotto sin dal primo mattino, ma a un
tempo per riandare in pace nella memoria le cose stuglielo

diate.

Le

stiche per

(1)

ragioni dell' escursione paiono a


il

nuovo sentimento

Di Leonida

cfr.

luiclu'

della

l'opifjramiua

AP

me

caratteri-

natura. L'

VI 334.

uomo

538

stanco dall'eccesso di lavoro cerca nella campagna quiete


e ristoro

cittadino stanco di cultura cerca nella na-

il

tura quel che primitivo, quel che pi lontano dalla

che con la civilt si accoppia necessariamente, quel che meno gli ricorda questa civilt:
civilt e dal lavoro,

non

la pastorizia,

l'agricoltura. Gli

frutto di vita cittadinesca:

mattutina degli

uccelli del

laboriosa e affannosa di Alessandria

sentimento bucolico del IV secolo


dialogo, mi

tura

(2)

Teocrito son

idilli di

suoi personaggi,

com' noto,

Callimaco nella Recale contrapponeva

letterati travestiti.

alla sveglia

sembra dar ragione

che collegano

del senso della natura,

lo

Il

(1).

si

Briletto

modo come

il

presenta in questo

agli

storici

svolgimento, come

come

V alba

direi io, di

della cul-

essi dicono,

questo speciale

rumorosa e
sempre pi complicata delle citt grandi, con l'urbanesimo sempre pi crescente. L'amore della campagna disenso della natura, con la vita sempre pi

viene gi nostalgico in Aristofane, costretto dalla guerra

mura di Atene.
Poich Fedro si maraviglia che Socrate non conosca
un luogo cos ameno, evidente che l'uso di passeggiare
in campagna, che il bisogno di cercar riposo in seno alla
nella cerchia delle

(1)

WiLAMOWiTZ, Got Unger

Nachrichten, 1893, 735 sg.

(2) Cito solo quella che pur sempre la migliore storia della
civilt ellenistica: Helbig, Untersuchungen ilher die campanisclie Wand-

malerei (Lipsia, 1873), p. 270 sgg. Il

Beloch,

Griech.

Gesch., Ili X,

nega che il popolino delle citt grandi


senta la nostalgia della campagna. Ma i treni che ogni domenica da
Parigi e da Berlino riversano nei punti pi ameni dei dintoi*ni mi544^ di altra opinione

gliaia di viaggiatori,

egli

non sono

stivati solo di grassi borghesi.

Il

sen-

timento di questa gente idillico; Parigini e Berlinesi cercano la


foresta. Perch i Romani del volgo vanno, quando possono, a bere
fuori di porta e
ria

urbana

non preferiscono di starsene a loro agio in un'oste-

539

Platone, fingendo che

natura era diffuso in quei tempi.


Socrate

si

soltanto

scusi

con

il

non

uomini,

gli

suo desiderio

apprendere, cui

di

terreni e gli

alberi possono

un uomo, nel suo freddo


singolare: egli non nasconde n a

soddisfare, mostra nel suo maestro

razionalismo,
se

ne

agli

affatto

altri

che Socrate era quanto al sentimento


contemporanei. Platone si

della natura diverso dai suoi

non essere come lui.


mostrano
che egli, se per
A ogni modo le sue parole
caso il testimonio pi antico della nuova piega che il
sentimento della natura andava prendendo, non niente
forse rallegrato in suo cuore di

affatto

La

un precursore.

nuta nel nono

non

gola di Tempe, che era conte-

descrizione della

libro delle Storie Filippiche di

conservata in

forma

originale,

ma

Teopompo,

la parafrasi del

segue, almeno
da vicino il suo modello (1) che possiamo fidarci di essa per quanto riguarda generalmente
il sentimento della natura, se pure non per tutti i particolari descrittivi. Esso si rivela non soltanto idillico, bucolico, ma idillico, bucolico di maniera. Fin da principio
Teopompo mette particolarmente in luce che la valle del
Penco, la quale pare pi di ogni altro creata per l'uomo,
affinch egli vi possa passare giorni beati, non opera di
mano umana, ma dell'eterna natura. L'edera si arramsofista del ITI

secolo Eliano

{v.

h.

Ili 1)

in principio, cos

pica sugli alberi

alti

con

festoni,

come

viti

s'inerpica per le rupi ombreggiandole; tutto

Anche

nelle parti piane sono disseminati in

lo

smilace

verdeggia.

buon numero

boschetti e rifugi, che nel colmo dell' estate offrono delizioso rifugio ai viandanti, irrigati

percorsi da rivi

di

Dk

Stickani,

l.

di

fonti e

fresche acque. Sulle sponde del Pe-

nco s'erge una vera selva,

(1)

come sono

ph.

che

Wochciischri/t,

si

pu navigare per

1011, 92.


il

540

fiume all'ombra dei rami sporgenti sulle acque, senza

tema

L'elemento sacrale singolarmente esagesi fanno in quei luoghi beati dagli abitanti dei paesi circostanti, i quali vi convengono per gozzovigliare, che tutta la campagna ne odora A meno che
almeno questa stranezza di cattivo gusto si debba imputare a Eliano, ci che a me sembra probabile. Chi non
si accorge che la descrizione del paesaggio ameno qui
gi divenuta coavenzionale? Dopo aver letto questo passo
di Teopompo nessuno si maraviglier che le poesie di
Anyte secondo studi recenti (1) debbano essere attribuite
alla seconda met del secolo IV. Piuttosto, se anche i
del sole.

rato: tanti sacrifici

particolari pi bislacchi risalissero a

da

che tra

stupirsi
Il

sentimento

lu e

della

Longo

Teopompo,

ci

sarebbe

Sofista corrano tanti secoli.

natura

nella

lirica

oraziana, in

quanto quasi esclusivamente bucolico, rispecchia, abbiamo


detto, sentire ellenistico, civilt ellenistica. Pure diff'erenze notevoli si scorgono anche qui, che Orazio non
riceve mai senza dare, anzi trasformare, che la cultura
augustea non mai copia di societ passate. Diverso ,
se

non

erro,

il

senso del mare. L'Achille omerico, ferito

da Agamennone, si rifugia
mare, perch dal mare, dalla cernia madre,
aspetta soccorso. Il Dafni della bucolica ([Theocr.] Vili
in cuore dall'offesa recatagli
in riva

63

al

sgg.), in

un passo che piaceva

rebbe volentieri
di

Oeso,

ai

al

al

Carducci, rinunzie-

regno del Peloponneso,

piedi veloci

come

l'amata in braccio, guardando

il

vento,

mare

alla ricchezza

pur

di

tenere

Dal mare
Dafni non si ripromette nulla (2): il suo puro amore
di bellezza. Il Teocrito autentico mostra quanto rozzo sia

(1)

COLANGELO,

(2)

Il

p. 74.

St.

confronto tra

it.

il

siciliano.

XXI, 1915, 292.

Omero

e lo pseudo-Teocrito in

Wrmaxn,


il

Ciclope, facendogli dire che egli

Galatea preferisca alla terra

(XI 49, 60

di bello

che
i

541

intende

ricchi

Romani

anteriore

della

Orazio gode del mare non

sua et e gi

sono fabbricati

si

spirito colto,

meno

della

ville proprio in riva al

ma

mare, quantunque non facesse poi

come non ne

freschi

met

dell'

palesano

secolo

(1).

risalgono forse alla prima

abbondano

volgare,

dell'era

gusti del signore

della vista del

fondo gran conto

in

ancorch derivino da modelli

essi,

e a

fa di altri spettacoli naturali

Esquilino, che

primo

del

marine:

mare.

fondo poco poetico, Cice-

in

rone, parla della bellezza, dell'amabilit

di questo,

generazione

umano, aperto a ogni sensazione

ogni sentimento nobile,

perch

Bucolici. Sarebbe maraviglia che fosse altrimenti:

Uno

sgg.).

non

mare, che cosa vi trovi

il

romano a

di

ellenistici, ci

cui quella

casa

La predilezione per rappresentanze del mare


continua nella pittura pompeiana del III e IV stile. Ma
apparteneva.

il

mare

in bonaccia, quale dipinto in

descritto o presupposto dai

questi quadri e

poeti bucolici,

anch'esso

amoenum^ anch'esso agisce sui cuori degli uomini riposandoli. Anche la povera Simaitha delle Oapp-axeuiptai, sedotta e abbandonata da un uomo senza scrupoli, sente
r invito, sia pur vano, alla pace salire a lei dalla grande
calma marina sente che il mare e il suo spirito agitato
da cure non sono in armonia: ecco tace il mare, tacciono
venti, ma non tace dentro al mio petto la mia
pena (II 38) (2). Orazio si compiace di rappresentare il
;

(1)

Ad

Att.

XIV

13

XII

9,

dove

lode fluisco con le parole,

hi

per noi moderni inconcepibili: sed neque haec


Il

passo pi entusiastico,

n. d.

II

digita loiigioribus Utteri.

100, rillette

un

filosofo cllonistico,

forse Posidonio.
(2)

Gii\ la

sieme con

il

Danae

l)iml>()

ben costrutta.

di

il
mare a dorniin- inmadre ali" onda nella' cassa

Sinioiiido invita

alliandonato con

la

mare

in

tempesta,

trettanto quanto

onde, sconvolto dai venti, al-

irto di

amano

poeti ellenistici

dal

mare

sia

metafore, cos spesso che

tempesta

in

b'I

immagini,

egli trae
il

citare

la

bonaccia

sia similitudini,

vari passi su-

L'ode a Leuconoe (I 11) mostra forse la ragione


profonda di questa differenza: ut melius quidquid ert, pati,
pliiris hiemes seu tribuit luppter ultimam, quae nunc (yppositis debilitai piimicibus mare Tyrrhenum. Il tumulto lontano
perfluo.

onde che s'infrangono contro gli scogli del lido, Io


gh mette in cuore un desiderio infre-

delle

eccita a vivere e

nabile di piacere,

sua forza.

come per

Il

mare

aumentando
in

in lui la coscienza della

tempesta per l'anima di Orazio,


uomo moderno, un elemento,

quella di qualsiasi

per cos dire, dinamico.

Quanto

alla

campagna,

si

osserver che la simpatia

per la natura circostante, di cui abbiamo assai parlato pi


sopra, non diviene in Orazio mai molle, ma resta sempre

scevra di sentimentalit. Quantunque le stagioni dell'anno,


il rifiorire e lo sfiorire, il sereno e la pioggia lascino ogni
volta traccia nell'animo suo, quantunque gli oggetti morti

prendano talvolta
vive

(l),

egli

natura

nella

partecipe di

meno

al

suo sguardo

non esprime mai


l'

s.

sembianti di persone

bisogno

il

di

riversare

angoscia o la gioia esuberante, di farla


I poeti ellenistici si erano contenuti molto

in Teocrito le cose naturali

partecipano molto pi

delle vicende umane. Dafni, mentre

si

scioglie a

poco a

poco nella morte, invita gli animali della selva, le fonti


e i rivi del bosco, a compiangerlo (I 115 sgg.), esige dalla
natura che essa, cancellando le sue leggi, metta confusione nella continuit

delle

morire (132). Quand'egli

(1)

Cfr. sopra p. 258.

si

specie,

poich egli sta per

era innamorato

di

Xenea,

le

543

querce avevano coramiserato

le

sue pene (VII 74)

gi divenuta frase

al lutto

Nel
natura

(l).

discepolo di Bione la partecipazione di tutta la

vuota. L' Acontio callima-

cheo, rifugiatosi nella selva, scrive sulla corteccia degli


alberi

nome

il

nifestare

il

dell'amata (fr. 101) questo modo di masentimento troppo molle, perch possiamo
;

aspettarci di trovarlo nella letteratura prima dell'et el-

molto che un uomo del V secolo abbia


mai pensato a sfogare cosi la sua passione. Ma gi gli

lenistica: dubito

Sofocle parlano a valli

eroi di

scogli e caverne,

esse simpatia

selve e fonti,

viventi, e implorano

da

che pronunuccidersi, Antigone condotta a

(2). Si pensi

Aiace prima

ziano

monti,

come a persone
di

solo

alle parole

morte, Filottete nel punto di partirsi per sempre dall'isola

che

aveva

lo

abbandonato dagli uo-

ricettato infermo e

mini. Edipo (0. R. 1398) chiede al trivio e alla valle na-

scosta e al bosco, l dove egli ha ucciso

suo padre, se

si

ricordino, sente che questi luoghi, quasi persone vive,

lo

perseguitano chiedendo a

La

lui

il

letteratura ellenistica, quanto

cende umane cose morte

prezzo del sangue

(3).

all'intrecciare alle vi-

in cui sente forze personali vi-

non se non l'erede della poesia del V secolo.


Orazio non ha nulla, nulla di simile. Non si pu dire
che questa sia mancanza del sentimento della natura,
venti,

perch Orazio l'ha molto sviluppato, e neppure che

(1)

morati

Gli alberi sono pensati creatalo


1'

uno

la che nella
(2)

gi,

Che

dell'altro gi

primavera
terra e

il

mare

umana

e,

inna-

crederci,

dove (ynb. 1008>

o<:li

platano bisbigli all'olmo.

dormano,

ridano, cime o boschi

com' naturale, nella poesia greca

buire anima

senzienti

da Aristofane,

sia

allo cose,

pifi

antica;

ma

altro

si

trova

>

attri-

altro introcciaro l'anima loro alle vi-

cende dell'anima propria.


{3j

Le

restrizioni del \\'(iriiiann (p. Il) sono

er nic inintelligibili.

544

romana;

cos tutta la poesia

periodo augusteo, certo

un

altro

poeta

meno romano

e pi

ellenistico

che

del

aver abbandonato l'amata

di Orazio, Properzio, pentito di

per cercar fortuna oltre mare, parla agli alcioni

17, 2);

(I

lamenta le sue pene nel bosco solitario (I 18, 1 sgg.)


invoca a testimonio della fedelt i faggi e i pini, sulle
cui cortecce egli, non immemore di Acontio, aveva inciso il nome di Cynthia (I 18, 19 sgg.). Anche in Roma
vi erano spiriti i quali si lasciavano andare ad affidare
;

ai silenzi della
i

personaggi

selva

di

sentimenti loro pi riposti,

Teocrito e

il

come

Orazio non

non voleva bene a Properzio

di questi; egli

troppo grave era

(1),

perch

dissidio dei loro ideali d'arte.-

Questo

austeramente

sostenere

Ma

Callimaco.

di

piena del sentimento senza

la

concederle di erompere, in Orazio, crederei, intenzione:

qualunque arte aspira a essere classica, qualunque arte


cio, piuttosto che classica, classicistica
che la clas-

vera inconscia

sicit

di s

sfoghi sfrenati della passione,

medesima

ama

aborre dagli

lasciar travedere, piut-

tosto che mettere in mostra, l'affetto esuberante.


I

paesaggi oraziani

Nelle

descrizioni

sono assai

teocritee

specie di uccelli, alberi,


brio.

Le capre

nulla pi

le

si

fiori

cibano

fronde che

di

la

Fauno,

le

laggio,

non sono altrimenti

scarsi

di particolari.

nominata un' infinit


(2). Orazio molto pi

corniole e di timi

sparge

selva

erbe dei prati sui quali

si

in

di

so-

(I 17, 5),

onore

di

spassa l'intero vil-

specificate.

Una

ragione di

questa sobriet consiste certo nella concisione delle Odi


la lirica oraziana non ha tempo di soffermarsi sui par:

ticolari,

92

perch essa corre senza

(.1)

V. sopra p. 112 sgg.

(2)

V. p.

sgff.

e.

I 21 sgg.,

e cos via.

riprender

fiato,

106 sgg., 132 sgg.; IV 25;

non

si

55 sgg.,

545

adagia comodamente su qualunque sedile essa incontri,


come l'idillio teocriteo. Un'altra ragione bisogner cercarla
nella povert lessicale delle Odi, cosi conscia di se mede-

come

ben diversamente
che nelle Epistole e specie nelle Satire, adopra pochissime parole. Ogni lingua, per divenir classica, deve far
sima

nelle Odi,

getto di

come

una parte

noto, Orazio

del suo lessico

le sorti della francese,

l'ha ridotta e peggio la vorrebbe ridurre l'Accade-

mia, forniscono una chiara prova di questa osservazione.

agli artisti,

per lo pi

Anche

quando aspirano a

lo stesso

esser classici, avviene

che alla lingua nazionale

per questo rispetto

si

in genere.

mostra efficace quella legge

del risparmio dei mezzi che per molti altri

abbiamo ve-

Ma

duta (1) dominare nell'arte di Orazio lirico.


due ragioni non paiono a me sufficienti.

queste

Chi si chieda a che fine intenda tanta ricchezza di


nomenclatura negli idilli di Teocrito, dovr rispondersi
che essa mira a effetti coloristici. Pur troppo la maggior parte delle volte i nomi specie delle piante nominate da Teocrito non dicono nulla ad alcun lettore o
almeno a quello che non sia assai pratico di campagna.
Ma in quelle descrizioni che s'intendono per intero in
ogni particolare, evidente il desiderio di comporre un
quadro di colori vivaci cosi nella descrizione della radura nella quale
Dioscuri trovano Amyco. Una fonte
:

chiara sotto la roccia; nel fondo

argento;

cristallo e

tutt'

intorno

bianchi e platani e cipressi e

come

qui siano

versi

non

scelte

solo nelle

contrastino

ciottoli

fiori

somigliano a
abeti e pioppi

odorosi. Chi

non scorge

piante di fogliame e tronchi di-

forme

ma

anche nel

colore,

che

Teocrito, colorando cos, non fa che seguire

le tradizioni della

(1)

alti alberi,

V. sopra

p.

poesia classica,

188 8gg.

senza del

resto rag-


giungere

1'

546

di questa. Pindaro,

ardire

stra spesso di avere studiato,

si

che Teocrito mo-

cimenta

audacie co-

in

non raggiunte neppure dall'arte dei nostri contemporanei. Teocrito non ha mai rischiato nulla
di simile al quadro del bimbo lamo, nascosto nel giunco
e tra i rovi, bagnato il molle corpo nei raggi gialli e
loristiche forse

purpurei delle viole. Molto pi discreta la tavolozza dei


prire di tinte

sono

nella

vivaci

le statue.

gli di sia detto

alle rose (III 15,

purpureum
15) e al

(II 12, 3),

tendo insieme

(III 3,

mentre, applicato

splendido,

mare insanguinato

tella

il

con quello pi vivo

bedue

dalla rotta

pioppo bianco

(II 3, 9),

un modesto contrasto di colori;


dove (I 25, 17) congiunge il verde

ricerca forse
l'ottiene l

Ma

Orazio

lo ricerca e

della

dell'edera e contrappone

effetti

mor-

am-

secche, trastullo del

al color rossastro delle foglie

vento autunnale.

modesti.

significher rosso di porpora. Met-

pino e

il

pi

Augusto accolto tra


cigni; che
12) come

volto di

il

quell'epiteto vorr dir qui

cartaginese

rico-

gli effetti coloristici

molto

ancor

oraziana

lirica

Assai poco significa che

Ma

amava

che

poeti ellenistici, lontani ornai dall'et

molto pi vivi

dal contrasto di forme e colore tra piante e

ritraggono
fiori

diversi

Meleagro e FiHppo, dove spiegano come sono composte


le loro corone (AP IV 1, 2). In un'ode giovanile (I 7, 19)
sono contrapposti lo scintillio delle aquile nell'accampamento e l'ombra densa di Tivoli nello stesso carme il
bianco Noto (1) terge via dal cielo oscuro le nubi (v. 15).
Orazio un poco pi audace, dove parla del mare: negli Epodi aveva chiamato caerula la donna del mare, la
;

donna che era tutt'uno con

domum

caerula

(2)

te

il

revehet.

mare:
Nelle

(1)

Nero

(2j

L'espressione piaciuta a Properzio

l'Euro in epod. 10,

13,

Odi

16 nec mater
egli

dipinge

5.
:

II 9, 15 caerula mater

547

l'Adriatico scuro tutto ravvolto nella caligine biancastra


dello scirocco
sinus

III 27,

18 ego quid

ater

sit

Hadriae novi

quid albus peccet lapyx.

et

Qualche

cosa di pi

cercando,

potr trovare

si

ma

rimarr saldo che Orazio sobrio nel ritrarre fenomeni


poeti leEppure proprio
emulati, proprio, se non Alceo, Saffo aveva

atmosferici ed effetti di luce.

da

sbi

lui

rappresentato la notte illuminata dalla luna in

modo che

noi leggendo laviamo l'anima in quel chiarore argenteo.

piacque singolarmente dipingere

lei

astri

Le

minori di fronte

impallidir degli

l'

maggiore essa aveva cantato


luna nascondono d' un tratto il

al

stelle intorno alla

volto lucente, quand'essa, piena, pi illumina la terra

Qui

quasi per vergogna

menti berlinesi
dita,

di

il

volto

compagna

dinanzi a una

donne

(1)

al levarsi della luna,

pi bella.

salso insieme

il

sole, la

astro, diffonde

sulla

campagna

Orazio non ha nulla

che vuole confrontare

astri

il

come

dei nuovi fram-

di

luna dalle rosee

suo lume sul mare

fiorita,

bella rugiada, e fioriscono le rose e


.

Uno

parla di un' amica che brilla tra le

Lydia come, calato

vincendo ogni

meliloto

sono sentite come creature vive, che celano

le stelle

si

moUi

simile

spande

la

timi e florido
:

le

due volte

maggiori col minore, egli usa

forma sbiadita che quel paragone aveva preso nella


egli non si ricordato di Saffo, n negli'
l
dove descrive le notte testimone del
Epodi (15, 1)
giuramento non mantenuto dall'amata nox erat et caelo
fdgebat luna sereno inter minora sidera, n nelle Odi dove
(I 12, 46) compara Io splendore della gens lidia con quello
la

lirica corale

delle stirpi

men

celebri

micat inter

velui inter ignis luna minores.

omne^i

lidium sidus

Quest'ultimo passo rammenta

piuttosto Bacchilide, che celebra cos un vincitore (Vili

(1)

Bdliucr

Kl(tsiLirtvxir,

2,

IH.

28): TievxaO'Xo'.'jiv '{^ svTipETZcV


r/o\xriY.ooi s'^eyY',;

Orazio abbia letto

548

t'o-

y.rJZ^A'r/ o'.axf'vci

vjxtc-;

'^r^

Ma, quantunque paia certo che


Bacchilide, poich in questo carme

asXva.

Orazio pindareggia e poich in quella stessa strofa pre-

cede una metafora presa

peso da Pindaro,

di

si

supporre che quella similitudine, appartenendo


della

glio tradizionale

che

spalla di Chlori

Il

forse

al

baga-

trovasse, oltre

lirica dei cori, si

in Bacchilide, in Pindaro.

pu

confronto della bianca

18) con lo splendore della pura luna

(II 5,

mare notturno pare a me scarso di effetto cos pure


che in II 11, 10 nominata quale esempio di un fenomeno passeggiero.
Persino del motivo romantico della notte buia, del
quale Orazio si era giovato negli Epodi per aumentare

nel

la ruhens luna,

nell'animo dei lettori

terrore e l'orrore

il

nerie crudeli di Canidia

(5,

49 sgg.)

(1),

per

le

strego-

egli fa nelle

Odi

uso molto pi discreto. In un'ode, che sta ancora assai


vicina agli Epodi per il metro (2) e in cui il sentire alessandrino si palesa con minor ritegno che in qualsiasi altra, I 4,

tre la

men-

solvitur acris hiems, nella notte primaverile,

luna pende

sui*

capi,

Grazie congiunte alle Ninfe

Venere conduce carole

e le

battono la terra con piede

alterno: iam Cytherea cioros ducit Venus imminente luna

iiin-

Nymphis Gratiae decentes. Quasi le stesse parole


tornano nel canto di primavera della seconda raccolta,

ctaeque

(1) Cfr.
5,

5,

15; 15, 1 sgg. Anche le pratiche di magia narrate in

45 sono notturne.
(2)

Come mai

o beate Sesti mostri che Sestio fosse in quell'anno

console, onde convenga

assegnare

zione della prima raccolta,

il

23,

il carme all'anno della pubblicanon mi riesce ben chiaro beatus


:

romano agli occhi di un poeta povero, quale era


Orazio. N credo che un console sarebbe stato lusingato nel vedere
che 1' ode a Virgilio precedesse quella a lui uomini di stato non si
sono in nessun tempo stimati da meno di poeti.

qualsiasi signore

549

7, dif[ii(jere nives, cos simile a questo primo; ma insieme con Venere scomparsa la luna, e nulla dice pi
che le dee danzino di nottetempo
Gratia ciim Nymphis

IV

geminisque sororihus audet ducere nuda choros. Negli Epodi

Odi rappresentato un giuramento di


fedolt, che un'amata presta di notte, invocando luna e
stelle a testimonio; ma, mentre nell'epodo O'{v. 12 sgg.)
il poeta ricorda quella notte per minacciare vendetta, sia
pure allegra vendetta, alla spergiura, nell' ode (II 8, 9)
del pari e nelle

egli, nel

momento

stesso in cui ricorda le taciturne stelle

e
di che non sanno la gelida morte, mostra di
non prender sul serio n la maest della notte ne il
giuramento n gli di invidiosi del giuramento n quelgli

l'amore.

non

Altrove la notte

pi.

contiene

con molto maggior rigore che non

mente

la

sentimento

il

ingenua-

poesia

classica.

Un carme
di sentir la

di

Orazio, abbiamo detto, mostra un

natura del tutto diverso da quelli

nora abbiamo avuto occasione

una poesia
Il

amanti,

d' estate l'ora degli

classicismo conscio

Il

d'alta

dio che lo

montagna,

ha riempito

di parlare.

III 25,

di

modo

cui si-

Orazio ha scritto

quo me Bacche rapis

di s, lo

ha rapito

sui

(1).

monti

coperti di selve, scavati di spelonche. Dall'alto, lontano


ai

rumori degli uomini,

egli

guarda

come una Baccante

r Ebro e

Tracia candida di neve e

la

le ripe

il

vuoto

stupisce contemplando

bosco, cos

il

monte Rhodope,

tpiel che
non detto da altra
bocca. Egli trasfigurato, ormai non pi uomo, ma
compagno delle Ninfe e delle Baccanti e segue il dio
per rocce e vette. Orazio mostra in questo carme quello
stesso senso della montagna, che unicamente e di rado si

cui solo piedi barbari calcano.

gli

avvenuto,

Orazio sa che

singolare, nuovo,

(1)

V. Hopia p.

so;j,'.


riscontra

nella

550

letteratura greca classica. L'orgia dioni-

siaca ha rivelato agli Ateniesi dell'et classica la

tagna

alta.

L'uomo normale

campagna opulenta

di quell'era

mon-

compiace della

si

o dei prati ombreggiati e irrigati, e

non sa immaginare che

si

rifugino nelle foreste

montane

che scalino le pi alte vette se non


femmine frenetiche. Quelle che il dio trace ha reso folli,
di pini e di abeti,

non

il

buona famiglia e di posizione sicura,


buone tradizioni e serba intatto il senso
misura, s'intende bene che fuggano dalle loro case
cittadino di

che rispetta
della

le

per passare negli

alti

monti giorni e

cantando, dan-

notti,

zando, cadendo poi in un sonno profondo, da cui

si

ri-

svegliano solo per cantare e danzare di nuovo. Dinanzi


ai loro

passi zampillano dal terreno rivi di latte, di vino,

Le

di miele.
alti alberi

deboli

mani

con tutte

delle

donne invasate strappano

le radici (1).

Le Baccanti

di Euri-

che esprimono miticamente il senso dionisiaco della


vita, sono, s, un inno alla montagna; ma a colui che le
ha composte, la montagna non ha versato in cuore serepide,

nit,

come per

ebbrezza
nato,

lo pi ai

di vita intensa,

moderni,

durante

ma ha
la

infuso smaniosa

quale taluno, alluci-

non ripugna dal sangue. Parimenti

il

carme

ora-

ziano di cui diciamo, appunto perch dionisiaco, ditirambico, canta la natura pi selvaggia.

Una
provato

sola generazione in tutta l'ra antica pare aver


il

piacere dell' orrido, la generazione che fra tutte

era la pi malata, la pi stanca dell'eccesso di cultura,


la

neroniana

Seneca

{de tranq. an. 2,

13) descrive rac-

animo perennemente inquieto, ricercano, stanchi dell'amenit della


capricciando ricchi signori che, per ingannar

(1) Cfr.

1'

Eurip. Bacch. 33, 135 sgg., 689 sgg. 734 sgg.


Campania,
Calabria
Il

libro,

tato

551

squallide solitudini della Basilicata e della

le

(1).

sentimento che anima l'ultimo carme del secondo

non , chi ben guardi, identico. Ennio aveva cannemo me dacrumis decoret, nec fiinera fletu faxit: curi
Orazio riprende

per ora virum.

volito vivus

noto a ciascuno dei

quest'epigramma,

sformandolo

lo

tra-

pianti e
che risparmino
che sar cenotafio,
cigno, voler non per le bocche

anch'egli prega

spunto di

suoi lettori,
i

gli onori sul suo sepolcro aperto (2),

mentr'egli, trasformato in
degli uomini,

ma

per

cieli

(3).

Il

sospiro per la libera

serenit dell'aria nei Greci ben pi antico che l'amore

per l'alta montagna, e non ha nulla che fare con l'esal-

gambe

tazione dionisiaca. Alcmane, malfermo omai sulle

danze delle vergini, si augura


d'onda, cerilo con le alcioni, scevro

e incapace di guidare le
di poter volare a fior
il

cuore di pene

(fr.

quando disperano
terra

ci) Il

(4).

Del pari

gli eroi

euripidei, solo

sventura che li
non aver le ali per volar via
probabile che colui che in un frani-

di potere sfuggire alla

rimpiangono

opprime,
dalla

26).

di

passo citato dal Frieolandeu, Sitleng.

215, che cerca

comodo alla credenza che gli antichi non ricercassero nella natura se non l'ameno.
Del senso dionisiaco della montagna egli non parla le prime ediper smiiiuirue

1'

importauza, uoii

toruauclo

esso

zioni della sua opera sono, del resto, anteriori ai libri del Nietzsche

e del Rohde.
(2)

rato

Solone, in un carme che Orazio certo conosceva,


21) di addolorare

(fr.

(3)

morendo

era augu-

torto Kiessliug-Heinze citano a proposito di Orazio

di Teognide, nel quale questi


ali

si

gli amici.

per volare

in terra e

mare

si

(v. 237)

in cigno,

ha preso

spunto da Toognidf,

ma

al

il

passo

suo amato

Orazio parla della sua tra-

quindi di un miracolo, non della

sformazione
lo

vanta di avere fornito

Orazio

iia

fama. Ennio

trasforumto

il

motivo

enniano.
(4)

passi di

Euripide sono ractoUi dal WiiitMANN, p. 47.


mento

552

che Orazio mostra

dello stesso Euripide (903 N.),

qui di conoscere, canta la sua trasformazione in uccello,

un

sia

come
noi,

infelice cui gli di

spesso in fine dei drammi, alla sua pena. Cos pure

ignorando

mao

sottraggono con un miracolo,

che contesto fossero


un personaggio

in

sofocleo, nei quali

versi dell'Oino-

augura

si

di di-

venire aquila per volare di l dall' infecondo etere verso

mare turchino

sebbene Aristofane {Av. 1337) li


che non gi tenta di sfuggire a un'anfaccia citare da
goscia, ma dichiara di aver addosso la pazzia uccellare,
il

(1),

tale

possiamo bene immaginare che nella tragedia quel personaggio fosse uno sventurato, cui la metamorfosi avrebbe
sottratto a sorte peggiore. Ma, se per lo pi nelle tragedie rimpiangono di non poter volare uomini che hanno
ragione di essere stanchi di vivere, almeno un passo
Aristofane, certo per molti rispetti
poeti

del

secolo,, fa

vedere che

di

pi moderno tra

il

Greci

di

quell'et

provavano anch'essi quello stesso sentimento, misto di


sdegno per la vita terrena e di desiderio di contemplar
le cose dall'alto, che si rispecchia nelle tante liriche popolari moderne, dove uno si rammarica ingenuamente di
non aver ali le Nubi (v. 280 sgg.) esaltano la loro beatitudine, perch dalle vette chiomate delle montagne esse
scorgono cime che splendon da lungi, e la santa terra
rigogliosa di frutti e il rumore dei fiumi e il mare cupomuggente. Un sentimento simile anima Orazio qui, dove
immagina di contemplar dall'alto nel suo volo, ben pi
sicuro che quello d'Icaro, e i lidi del Bosforo e le Sirti
:

e le pianure degli Iperborei

(2),

Greci sentivano

come

Euripide avr pensato all'uccello chiamato aquila marina.


Secondo Kiessling-Heinze il volo ricondurrebbe Orazio nella
sua dimora, tra gli apollinei Iperborei. Ma nulla nel carme indica
(1)

(2)

che

gli

minati,

Iperborei siano
il

il

termine del viaggio

poeta riprende me Colchus

et..,.

Dacus

anzi,
et

dopo averli no-

ultimi noscent

Oe-


noi

desiderio di

il

l'alto

Pure molto

tardi e di

loro anelito a orizzonti pi liberi


in imprese

contemplare dalrado questo

librarsi in alto, di

paesaggio.

il

553

che

alpine,

indusse a cimentarsi

li

poche ascensioni delle quali

le

dall'et ellenistica in poi ci giunto ricordo, furono per

imprese per ragioni

lo pi

scientifico o

anche

bravano miracoli

di

utilit pratica o di interesse

fenomeni che

di curiosit per

(1).

L'uomo

antico non riesce a supe-

rare l'orrore che prova dinanzi alla foeditas

non

sem-

Alpium,

se

una

fe-

invasato da Dioniso.

1.

// sacrificio alla fonte (III

Questo carme forse composto


schiettamente romana,

sta

13).

alla vigilia di

Fontanalia

(2)

senza preconcetti, intende subito che anche


e

legge

dolce vino

dei quali la fonte degna, le saranno offerti

fiori

chi

il

il

appunto per
i
Fontanalia l'uso di gettar fiori nelle acque attestato
da Varrone {l. l. VI 22). Non che esso fosse del tutto
ignoto al culto greco, sebbene, che io sappia, ne sia fatta
menzione una sola volta in un passo di Strabene (3)
giorno seguente insieme con

capro

il

ora

Ioni e cos

via.

terra

Iperborei

definii

pre pi remoti,
se stesso

dove

pii

finir

le Sirti si
!

trovano sulla

il

il

alla
scui-

n cliiedere a

sno viagjjio. Aggiungere, interpretando, troppi

un po'

vaglie,

peccato mor-

buon gusto.

pochi esempi sono raccolti dal Fkikdi.anmku,

(1)

(2)

Ne haduIitato

iy08,

mena

in paesi

clic

inaccessibili, senza dire al lettore

particolari a fantasie per loro natura


tale contro

strada

No, Orazio inunagiiia di volare

il

IvKii/KNsrKrN,

A'.

.Jahrb. /.

<l.

Il

21H

sgg.

hi.

At.

XXI,

81).

(3)

conforto di credenze

nicherebbero tra

secondo

lo

((uali

loro sotterra, Strabone (VI 210)

molti

liumi

narra, n>n

comusenza

554

ma

insieme con i fiori vieu promesso alla fonte vin pretto,


merum, che la parola qui, in un passo di significato sacrale, dovr avere il suo valore preciso, quand' anche
Orazio

la usi

di vino

non mescolato sono estranee

altrove senz'altro per vino

demone buono, consueta

neir invocazione del

giuramento, forse nel

chetti, nel

libazioni

e le

tranne

al culto greco,

rituale

dei

mentre non sappiamo che nel culto romano

ban-

nei

ci

morti

(1),

fosse

una

tale restrizione.

Ma, se
incarna,

Come
mai

il

rituale

romano,

Bucolici, cosi

poeti di

paesaggio

la descrizione del

come abbiamo veduto

dianzi, ideali

ellenistici.

epigrammi non finiscono

la limpida gelida fonte che, spicciando

di celebrare

dalla viva roccia su cui

si

erge un albero

alto, offre ri-

storo agli armenti e ai pastori. Gi in alcuni tra

molti

epigrammi nei quali Anyte ha svolto quel motivo, il


quadro quasi completo uno {App. Pian. 228) invita il
viatore stanco a sostare sotto l'olmo: Riposa le membra affaticate, straniero, sotto l'olmo, che un venticello
:

soave mormora tra


fresco zampillo

grande calura
(A P IX 313)
questo

le

Gli stessi motivi

lauro e attingi

membra

riconfortare le

mostrare

una certa

il

grato ristoro dalla

tornano

Siedi sotto le belle

bevi alla fonte

verdi fronde, e

quest' ai viandanti

in

un

altro

foghe rigogliose di

dal bel rivo dolce bevanda,

per

ansanti dalla fatica d'estate, per-

diffidenza, che, se si gettano corone

nello spro-

fondo arcadico dal quale scaturiscono PAlfeo e l'Eurota, esse ricompaiono in quello dei due fiumi che si invocato nel gettarle.

KiKCHER, Salvale Bedeutung des Weis {Eeligionsgesch Vers, u.


IX 2) 22^ Stexgel. Opferhrduche 186. Libazioni di vino puro
occorrono anche, come il Kircher rammenta, nel culto didymeo di
(1)

Vorarh.

Apollo,

ma

1'

sia pregreco.

idolo in

forma

di pilastro fa qui

pensare che

il

rituale

ODO

cosse ora dal soffio di zefiro

(App. Pian.

XVI

230) avverte

fermer allo stagno,

ma

Leonida

(1).

Taranto

di

viandante che, se non

il

si

spinger qualche passo oltre

si

vacche pascono, presso il


pino pastorale (2), egli trover un rivo che sgorga attraverso la roccia ricca d'acqua, pi gelido della neve
di Borea. E anche altrove non omette di ricordare che
la sorgente scaturisce dalla roccia presso un pino
A P VI 334. Come il fonte di Bandusia balza gi cavis
saxis, cos la fredda sorgiva di Leonida da una pietra
doppia (A P IX 326), TtxpY;; ex o^aar^?. L'ombra fitta
della fonte perduta tra il verde esaltata in un com La valle vicina
ponimento anonimo, A P IX 374
stilla una fonte perennemente pura in servigio di chi
sopra l'alta vetta

che solo

le

passa

coronata

io rinfresco

tutt'

intorno di platani e lauri coltivati,

questa chiostra ombrosa

tempo d'estate cacciata la


riposo anche la stanchezza della via
oltre in

onde non passar


con il
Quest'epigramma

sete, conforta

pare piuttosto recente, sia per uria certa esuberanza

di

particolari estranea alla poesia ellenistica pi antica, sia

per la compagnia in cui nell'Antologia

tornano in

stessi particolari

di

Cicerone: Belli davvero

zefiri,

della stanchezza e della


Koay.'Ati

(1)

(2)

cui

A P IX

lo stesso

ma

gli

contempora-

un bosco verdeg-

del sole

7^''po(xov.

quadro,

ma

con

aXxap

tz'jx-.vv

ott.-

abI)ondiiiiz:i

5'

Xao;

o'''|y]c

xal

minore di

31J, App. Pian. 291, tutti di Anyte.

Cio cui 80UO appese oterto di pastori

un seggio pastorale

notfisvta Tiixut.

il

manoscritto

viandanti rimedio della sete e

fiamma

X'f^Xtd-xo'/, Z.f^-jpoi'j'.v

Descrivono

particolari,

ai

il

lauri, e bella scaturisce

dal fondo l'acqua, e folto l'ombreggia


giante, corso dai

trova

si

che

13,

che a Satyro, a Thyillo,

attribuisce, oltre

neo

APX

(cfr. sojra p.

'^'A'y) ?

11

oppure

presso

greio ha ~p

x'.va

550

Qui

xa|ixou xal cp^oy? f^eXfou.

risentiamo

il

te

flagrantis

atrox hora Caniculae nescit tangere. Proprio la Canicola

nominata

un epigramma (X 12), anonimo, s, ma


buon tempo, a giudicare dalla discretezza dell'arte: in esso una statua di Hermes, dopo aver promesso ai
passeggeri stanchi che venticello e sedile ben ombregche par

in fine di

di

giato e la fonte sotto la roccia riposeranno la stanchezza

grave

membra

alle

, finisce:

E, sfuggiti all'ansito meri-

diano del Cane estivo, venerate, com' ben giusto, l'Her-

mes
toc.

della via

O'ixig,

svov oh cpuYvts;

'Ep\xr^v svocov x-'eTe

Ticop'.voO

/.jv;

aaO-ixa,

(I).

Non che Orazio descriva di maniera poich sul fonte


Bandusia sorgeva un'elee, un'elee egli canta, mentri
:

di

pure

poeti

ornano

ellenistici

loro fonti di

le

pini,

di

pioppi bianchi, di platani, di quegli stessi alberi che anche


lo stesso

Orazio nomina quando vuole dare un' immagine

della vita riposata che

si

pu menare

in

campagna

quo

pinus ingens albaque ppulus umhram hospitalem consociare

amant ramis? (H
pinu

iacentes (II

dere che
qualcuno
i

egli nel
di questi

Poich

riscontri.

oppure sub

3, 9),

11,

13).

E non

alta vel platano vel hac

neppur necessario

cre-

comporre l'ode avesse presenti tutti o


epigrammi, per sorprendenti che siano
il

gusto era rimasto

lo stesso dal terzo

secolo in gi, egli vede nel paesaggio principalmente quegli

elementi di bellezza che

N mancano

altre differenze

logia, poich per lo pi

(1)

A me

gli
:

epigrammatisti esaltano.
gli

epigrammi dell'Anto-

sono o fingono di essere sia

sembra di riconoscere qui

la

mano che

lia scritto

l'

in-

App.

Pian. 227: quest'epigramma composto del pari di quattro distici; in

ambedue Hermes esorta

viandante

il

al riposo

il

quadro

simile,

tranne che nella seconda poesia manca la fonte. L'ultimo distico


xa[ia

5'

Tiwpivolo cpoy^v %'jvig Xcog fisists a'jpiov. "Epfisivj xoOt' sv-

che

due componimenti formassero una coppia^

Tiovxi ^tiO-su.

Si direbbe

come spesso

nella poesia ellenistica.

./

un

vito che

dante,

un uomo pietoso rivolge a un vian-

dio o

pi raramente,

sia,

il

ringraziamento di tale che la

fonte ha ristorato, parlano dei benefici che l'acqua reca

uomini

agli

Orazio dipinge un quadro di natura morta

tu frigus amabile fessis vomere tauris praebes

Gli epigrammisti
in

zio

pecari vago.

descrivono dal principio alla

forme molteplici tutta

Ora-

invece compone

ticolari,

che

fine,

poesia mira sempre a

questa

sempre, chi ben guardi, pittorica


il suo inno in tal modo che

ecfrastici,

fini

et

par-

presentandosi dinanzi alla nostra mente l'un dopo

come

sono, da pro-

l'altro

molto a

messe

di vittime e di gloria, solo in fine si

dinanzi

ai

rilento, intramezzati,

compongono

nostri occhi in unit di quadro.

Un

inno egli ha voluto scrivere, come mostra la paronomasia del te, che dell' inno contrassegno esterno
:

hora Caniculae nescit tangere; tu frigus ama-

inficiei tibi...; te

praebes;

bile....

fies

nobilium tu quoque fontium; eppure l'inno

d a noi l'impressione

di

un epigramma. Delle promesse

l'una soltanto, quella di vittime, vera promessa

poeta cJonferisce gloria alla fonte


promette, solo nominandola.

che consistono unicamente

in

Ma

atto stesso che

nell'

pu

sono pure epigrammi


una promessa, come quello

forse mostrare probabile

gramma

porre quest' inno.

Il

148).

infatti

che proprio da un epi-

Orazio abbia preso

celebre

mosse nel com-

le

primo epigramma

di Teocrito dice

Queste rose rugiadose e questo fitto serpillo son


le

Muse

per

te,

Peana Pythio, son

che

il

lauri

li

per

dalle

la roccia delfica;

tuo altare questo capro cornuto, velloso,

or rode l'ultimo

(1)

quei

nere foglie, poich essi a te consacr

insanguiner

il

la

vi

di Filippo di Tessalonica citato sopra (p.


si

che

Se Teocrito facesse

ramo

di

briicar' al

x ^lx

pistacchio

>

suo capro

pistacchio, piTih

proprio la resina odorosa di ijuclla jtianta

il

fosse usata

(1):

come incenso

xa O(^ooozvxy.

'aol:

a xaxaTi'Jxvo;

'EXixo^viaiv

xal

ETiel
O'jxoi;

x:v.

XcTa:

ll'jih

5' yl\iylt'.

[ia)|Jiv

xa;

Ila'.v,
y.cf a;

[xaXc, xepixiviJ'Ou xpwyoiv ia/axov xf-enva.

carmi

sf-TiuA/.o;

cy/^vai

|Jie|jicpuXo'.

Tixpa xox xot YXtaev

AeX'f l?

xpyoc

ambedue

sx'.va

In

sono distinte dalle

vegetali

le offerte

ambedue, mentre alle prime si accenna, le


seconde sono promesse chiaramente. Che tutt'e due le
volte la vittima sia un capro, cui gi sono spuntate le
gli animali che pi comunemente
corna, pu esser caso
si scannano in onore di un dio, si riducono a poche specie (1). Ma non sar fortuito che in ambedue i carmi
cruente

in

torni l'espressione:
l'altare, l'altra
ficiet

le

capro insanguiner

il

acque

Ubi rubro sanguine rivos)

nam

5' a:[ji^t,

(^a)|jLv

l'una volta
gelidos

in-

tranne che Orazio con arte

molto maggiore ha ricavato da quella formula un effetto

quantunque, come suole, discreto, mettendo


quasi in contrasto l'acqua chiara e il rosso sangue che la
chiazza (2). E meno che mai fortuita sar la coincidenza
in ci che a tutt'e due i carmi d una fisionomia propria
pittorico vivo,

di fronte agli infiniti votivi

pietre.

Il

cor bruca

conservati nell'Antologia o su

capro di Teocrito ancora vivo e vegeto, an-

un cespuglio

scivi suboles gregis

ma

sar l'ultima volta

per l'amore e per la lotta contro


frons turgida cornibus primis
Il

La

la-

entra ora in un'et che le d le armi

sentimento, misto di

et

rivali

venerem

et

invano;

cui

proelia destinai.

devozione serena e punto senti-

nel culto, non saprei dire. Il sacritcio di certi animali spesso ri-

tenuto dagli anticLii punizione di loro delitti contro qualche dio.


(1)

242

(2)

Capretti e agnelli

3, 18) in

ceae

sono

offerti

alle

Ninfe gi nell'Odissea,

una capra in Teocrito V 12.


Anche 1 Diecimila scannano una vittima

modo che

immolano

corso di acqua.

il

sangue

coli

{SijU.' 615, 35)

nelP acqua

alcune

al

fiume {Anah. IV

del pari quei

di

vittime sulla sponda di

Myun

559

mentale, alla divinit e di rimpianto per la forza giovane

che non

del bell'animale,

rilevato in Orazio,

glio

gli servir

a nulla, assai me-

anche
l'epigramma fu

evidente

Teocrito.

in

Secondo il Wilamowitz (1)


scritto sotto
a un quadro l' ipotesi non parr necessaria a chiunque
:

ripensi che questa poesia tutta descrittiva, anzi pitto-

Orazio ha con

rica.

l'epigramma

tutta probabilit letto

nel suo Teocrito.


2.

La
I

Fauno

festa campestre di

(ITI

18).

pastori teocritei sentono, quanto lontani

gH

Olimpii,

il dio
Pane, con il quale essi si
permettono famigliarit di ogni genere, sino a ingiuriarlo
e minacciarlo, se non esaudisca la loro preghiera, cosi
come popolane di Napoli fanno ora con santi pi moderni. Neil' idillio VII Simichida (v, 103 sgg.) augura al
dio che, se egli conceda ad Arato la grazia di condurgli tra le braccia il suo amore, i fanciulli Arcadi non

altrettanto vicino a s

sua statua, come solevano in un

picchino la
gli

scoliasti

ci

danno

notizia

tutto

il

di cui

corpo dalle

che abbia a passar


zia.

rito

non esaudisca

male che possa esser lacerato


unghie e dormir sulle ortiche,
inverno in Tracia e l'estate in Beo-

l'amico, gli impreca ogni

per

se invece

l'

Simichida, poich lo stesso Teocrito, travestito

un poco, ma in tal modo che lo si riconosca sotto la maschera, non ha ragione di affettare troppa piet conmandriani del primo
tadinesca e pastorale ma anche
subito in
idillio trattano Pane quasi come uno di loro
i

principio

canto,

(1)

il

bovaro promette

un dono
Textgeschichtc

al

capraio, ricompensa

inferiore solo a quello

dei'

inkoliker 120.

che avr

il

del
dio.

500

(iiiesLi pastori, appunto perch Pan sempre preanche perch'egli pu ogni momento mescolarsi
nella loro vita, Io temono l)en pi che gli altri di, e si
guardano bene dallo stuzzicare la sua ira. Verso mezzogiorno, nell'ora che d'estate la pi silenziosa, Pan, stanco
Ben lo sa il
della caccia, si riposa. Guai a disturbarlo
capraio e risponde al bovaro che suoni e canti verso

Eppure

sente,

quell'ora sono

pericolosi

iroso

salta l'ira al naso, e allora....

Del pari
naturale

Pan

e facilmente

gli

(1).

poeti augustei, che

del paesaggio

avevano educato

leggendo

Bucolici,

il

senso

ogniqual-

con l'animo di bivenerano nel silenzio misterioso della


dio Fauno. Il nome rombano, e senza dub-

volta tentano di mettersi all'unisono


folchi e di pastori,

campagna

il

una divinit pastorale

bio

di

rogava, ben prima che

mano

tutto

il

mondo

Pan

il

nome con

questo

propri ricevette culto e impart

vaticini

chi

caratteri
l'

inter-

man

arcade, conquistato

Roma. Ma

greco, giungesse a

nel-

augustea gi da gran tempo Fauno era tutt'uno con


Pan Orazio (I 17) si rallegra che Fauno, lasciato il Lycaeo, protegga dall'estate e dallo scirocco le sue caprette.
Virgilio invoca in principio delle Georgiche i Fauni, agre-

l'et

stium praesentia numina

il

conmiento del cosiddetto Probo

a questo luogo narra che Fauni sono stati spesso visti


proprio nei pressi di Roma. Io non dubito punto che contadini e pastori latini conservassero la
loro

Fauno

italico

devozione per

credo benissimo che

dela, celebrando la festa di

Fauno

il

pastori di

il

Man-

giorno delle nonae

Nell'epigramma 5 della raccolta teocritea un pastore propone


auouare appunto per disturbare il sonno di Pan,
che dorme, pare, nell'antro. Qui un imitatore sembra aver voluto
(1)

all'altro di cantare e

rappresentare la famigliarit che corre tra


le tinte

per superare

il

modello.

il

dio e

pastori, caricando


decemhres non

accorgessero

si

5()1

di

mescolar con

lui

nel rap-

un dio arcade ma
parola praesens ricorda un concetto che
mente

presentarselo alla
in Virgilio la

la figura di

capitale nella religione ellenistica, rs7::-^y:a o meglio la

nume (1); le Dryades sono


Pan o dei Pani con le Ninfe

del

uapo'ja.'a

l'unione di

divinit greche,
pi consueta di

qualsiasi altra nell'arte greca.

Orazio

abbiamo

sa,

detto,

che Pane protegge

armenti brucanti corbezzoli e timo per


cretile, sa

lupi,

che

appena

suoi

pendici del Lu-

le

sue caprette non temono ne vipere ne

le

le valli e

sassi lisci del costone di Ustica

risonano del dolce suono

di

una

misteriosa

fistola

nec

metuont colubras nec Martialis haediliae lupos, utcum-

viridis

que dulci,

Ttjndari,

personiiere saxa

(I

giunge or no, di
presente. Questo
tardo, che certo
sa quanto a chi

fistula valles et

17, 8 sgg.).

una zampogna

Fauno
non ha

il

Usticae cubantis

levia

Nel suono lontano, che or


il

poeta ravvisa Fauno

Pan greco

letto Orazio,

sa quanti carmi

un

novelliere

ma ha

attinto chi

bucolici

ora

perduti,

immagina che una schiera di soldati, la


Longo
quale ha recato ingiusto danno a pastori devoti del dio,
sia ammonita di riparare al misfatto da molti segni dell'ira di Pan, tra questi un misterioso suon di siringa che
s'ode venire da una rupe scoscesa, non dilettoso tuttavia
come di siringa, ma minaccioso come di tromba (II 26, 2)
fnge che non appena il capitano si accinge all'espiazione,
da quegli stessi sassi si senta di nuovo la siringa, non
pi guerresca e paurosa ma pastorale e quale suol menare al pascolo le mandre (Il 28, 3). E gt-eoo per molti
segni il Fauno di (juest'ode. Greco il dirlo Veneris sodalis, ch l'accoppiamento di Pan con Afrodite, ignoto a
Roma e non frequente nemmeno nella religione greca,
Sofista,

(1)

V. Hopni

Mi

p.

179

sjr<>-.


si

di

562

trova pure, oltre che in alcune opere, d'arte, nel culto

come mostra Pausania (V 15,


come testimoniano un'iscrizione

Olimpia,

attico,

e in quello

6),

Strabene

(1):

due divinit riunite forse appunto


in un carme attico, probabilmente in uno di quei cori
di tragedie che cos spesso cominciano invocando questo
dio. Greco 1' immaginar Pan in caccia di Ninfe
non
che noi lo vediamo sovente su rilievi o in isculture affannarsi dietro a un'amata, ne che udiamo di tali inseguimenti da poeti, che le Ninfe sono per lo pi facili e
non lasciano altri a lungo per se sospirare ma quella
concezione doveva esser diffusa nell'antichit pi che da
Orazio avr trovato

le

noi

non

scorga, se gli Stoici furono costretti a ricor-

si

rere alle loro

allegorie,

solite

come solevano

qualvolta non s'arrischiavano a dar

di

fare ogni-

cozzo contro cre-

denze popolari. Per Cornuto (27, p, 49, 14 Lang) le Ninfe


da Pan simboleggiano le emanazioni umide

inseguite
della

terra,

quali

delle

tutto gode, perch senza esse

il

Del resto, che l'uiia


non potrebbe sussistere
ninfa. Eco o Siringa, relutti all'amore di Pan,
!

detto altrove
il

dio

solito

il

non cessa mai

di

noia alle Ninfe Epimelidi

Longo

o l'altra
si

trova

asserisce che (II 39, 3)

molestare

le

Dryadi e

di

dar

Anzi, la prima strofa del carme oraziano getta forse


luce nuova su concezioni religiose greche. Orazio

prega
Pan, che corre all'impazzata per monti dietro alle Ninfe,
di badare a moderar la corsa quando passa per il podere del poeta, e di rimaner lontano dai capretti teneri:
i

questo significano
(1) I
il

le

parole

passi sono citati dal

confronto pare a

me

per la quale nec desunt

manca vino

al cratere

Heinze citano solo

il

Fanne nympiarum fugientum

Gkuppe,

favorisca

1'

Griech. Mijth.

ti.

EtUgionsg. 1396;

interpretazione accettata nel testo

Veneris sodali

che mesciamo

vina craterae

in

passo di Pausania.

onore

di

vuol dire

Pan

Kiessling-


amator,

meos

jjer

finis et

563

aprica riira lenis incedas abeasque

parvis aeqiios alumnis. In molti testi greci e latini espressa

credenza

la

mente

che

armenti

gli

dimagrino

Pan

infurino per malefizio di

misteriosa-

Fauno

di

o di

cui spiegato meno


(1). Nei pochi passi (2),
oscuramente che parlar chiaro degli effetti terribili dell' ira di un
dio imprudente, perch pu irritarlo, pare
evidente che Pan tormenti sino alla pazzia mandando

Silvano

in

come

sogni e visioni spaventevoli

mandrie.

Ma

un'altra credenza

suo piede

morranno. Qui

consumeranno

si

Pan

corsa di

la

Greci

tutt'uno

non

antichi

dai popoli occidentali dell'evo medio. Nel fru-

scio delle foglie morte, nel

schi e forre
di

essi

selvaggia temuta dai

la caccia

meno che

mentre Pan inparano sul suo cammino


guai

si

ai capretti sfiorati dal

con

agli

guai alle capre che,

furia dietro le Ninfe,

man mano

uomini cos alle


mostra che vi era anche

la strofa oraziana

mugghiare

del vento per bo-

contadini antichi sentivano

Artemide o

di

Hecate, cos

di

il

come

passo,

Pane. Pan cacciatore

pazzamente per i monti, ha,


come esse, ninfe a compagne, sia pure che talvolta esse
si ricusino alle sue voglie
com'esse temuto dai mor-

com'esse,

corre anch' egli

tali;

com'esse pi pericoloso nell'ora meridiana

KoscnKH,

(1)

Ephidltcs (iu Liipzitjer

Abhandl. XX',

(3).

s;^>;..

N
70.

72 sgg.
(2)
(.3)

''M

ROSCHEK, p. t>9 sgg.


Caulo Dimiiky hu forse per

che corre per monti


lei

il

XXV

primo {Rh. Mus.

1870,

sgg.) riconosciuto la cacciatrice nell'Arteruido dell' inno omerico 27,

le

vette scuotendo

1'

arco

tremano

cime dei monti, risuona la selva dei gridi

vidiscono terra e mare.

punto Diana

''M).

(v.

gi per Teocrito

col p.
;

1'

di>llo

dinanzi a

fiere,

rabbri-

vedono nel demone meridiano apPan , per cos, dire demone meridiano

Cristiani

inno omerico in suo onon,

il

10,

t-

assai

simile

interpretazione che Kiessling-Hcinzc danno del jiasso di Orazio, ])are a me troppo vaga.

al 27. L'


si

deve dimenticare che

una

festa

564
il

carme

di

Orazio scritto per

invernale, della sta^^ione in

infuriando sui monti sabini, suscita

cui

vento, pi

il

mille rumori

miste-

riosi (1).

Orazio, fermatosi solo un

vaggia, ne storna poi subito

momento
sguardo,

lo

sulla caccia

come

orribili cose, per volgerlo alla festa presente.

si

sel-

suol dalle

Fauno, non

podere nelle tue corse sfrenate, tienti lontano dai miei capretti, se noi festeggiamo il giorno tuo secondo il rito . La vetus ara, il santuario campestre s' incontra a ogni passo, in forme svariate, ma tutte semplici, tutte

mi rovinare

il

primitive nella pittura di paesaggio dell'et ellenistica (2).


Orazio mostra pure altrove di sentire anch' egli questo

romantico per

amore un

po'

la lettera

dell'

araator della

le

rovine di vecchie cappelle:

campagna all'amatore

della

Fusco, dettata post f animi putr Vacunae (epist. I, 10,


La descrizione della danza rozza dei contadini, che

citt,
49).

sembrano
rea di

gioire di calpestare

aver dato loro tanto

olandesi di paesaggio.
il

paesaggio

idillico

con

piedi pesanti la terra

affanno,

Appunto

ricorda

pittori

quadretti

che riscoprirono

per l'arte moderna, amarono

collo-

care nel centro del quadro persone di aspetto rude, mal


vestite, di gesti incomposti.

Natura morta

e animali sono

carme pi intensamente che Orazio non


soglia, e quindi pi profondamente umanizzati. In altre
poesie essi non hanno altro valore che di elementi dequi la selva non spogliata contro sua voglia
corativi
dal vento d'autunno, ma sparge essa stessa di buon grado
non solo buoi hanno vale sue fronde a onore del dio

sentiti in questo

(1) Conci non intendo punto accettare l'identilcazione di Faunus


on Favonius, proposta ora per ragioni fonetiche dall'OxTO (P. W. VI,
2057) i venti decembrini non preannunciano la primavera.
;

(2)

V. sopra p.

ii35.


ma

canza,

perfino le

565

mandrie si vedono scherzare sul


uno spettacolo al dio il lupo
gli agnelli, che mostrano di non

prato, quasi volessero dare

avanza pacifico tra


temerlo. Questo un miracolo che Pan e Fauno sogliono
ambedue fare Orazio lo ha accennato, nascondendo quasi
quanto in esso di prodigioso, in I 17: appena si sente
si

la fstola del dio, le

romano

Lupercus,

appunto quello
e

la festa dei

caprette cessano di temere.


il

Il

Fauno

suo compito, cio, era in origine

di tener

lontano

Lupercalia, che

il

lupo dagli stazzi (1);

Augusto (Sueton, Aug. 31)

rinnov, mostra che questa concezione era viva sino in

tempi tardi. Ma, come narra Eliano (/*. a. XL 6), nei monti
di Arcadia era una grotta sacra a Pan, dentro la quale
le greggi avevano rifugio sicuro dai lupi, che non osa-

vano penetrarvi per


e)

rispetto al dio.

LA RELIGIONE.

Augusto, vincitore sull'Oriente ad Azio, mise subito

mano

a restaurare nella vita pubblica o negli

religione.

Non

tuttavia che egli

dare di spugna su secoli

si

storia e ricondurre

di

poranei ad adorare nelle forme originarie


nerate dai contadini della prima

Roma.

di erano, com'egli sapeva, morti per

spiriti

di

illuso

sia

le

la

poter

contem-

divinit ve-

pi tra quegli

sempre; n

la

ri-

cerca erudita del pi grande conoscitore di antichit patrie,

Varrone, poteva riconquistare loro la venerazione

dei moderni.
lette

Le

soltanto

Antiquitates rerum divinarum saranno state

da persone

anzi dotte, da quelle


aveva spento ogni ardore

colte,

stesse nelle quali la filosofia

(1) L. DKUNKK(Jrc/(. /. i:<Vujionsn-'mi'ncluift XIII 1910, 481 9g>j.)


ha difeso beue l'etiraolof^ia di Lupercus da iipiim arer, mostrando che
cerchio majjico
i
riti pi antichi della festa mirano a disof^nart nn
ln])i non pos'^oiio entrare.
dentro il (piale
i

di

ingenua

fede

il

56()

popolo, sul quale

utiicainente ogni

riformatore convinto fa assegno, non poteva interessarsi

n per

la

recondita dottrina storica ne per

che, applicando

principi

di forze naturali, n per l'etimologia,

minare l'essenza

di

ogni

dio.

il

simbolismo,

voleva ravvisare

stoici,

che doveva

negli
illu-

L'autore stesso, stabilendo

categoria, forse molto

sulle quali

numerosa, di divinit
non era potuto giungere a risultati sicuri,

di

confessava

un' intera

incerti,

in

modo che

certo

il

suo

libro,

quantunque dedicato a un uomo grande, che,

se la morte
tempo, avrebbe riformato anche
la religione, a C. Cesare, era opera di ricerca, non di fede,
intesa a esporre il passato, non ad agire nel presente.

gliene avesse lasciato

Augusto, debole

di

il

nervi e cagionevole di salute, in-

clinava a timori superstiziosi. Superstiziosa chiameremmo


noi moderni

anche

di ogni specie (1)

la

sua fiducia in sogni e in presagi

a buon diritto, purch non vogliamo

credere che egli fosse un mistico


fatta sono

comuni appunto

che credenze di quella


uomini di stato

in capitani e

oscuramente in se
un qualche cosa di irrazionale, che trascende la
natura umana, s'immaginano, senza confessarselo chiaramente, che cielo e terra partecipino alle vicende della
loro vita. N su questa fiducia di Augusto nei presagi
filosofi che egli si era scelti
avranno trovato a ridire
a consiglieri, ascritti alla Stoa, quantunque certo, come
grandi, in persone le quali, sentendo
stesse

(1)

Della delicatezza di Augusto

e delle sue frequeutissime

lattie parla Svetouio uei capp. 81 e 82

ma-

della sua paura dei fulmini

nel cap. 90; della sua fiducia iu tiomnia e omina nei due capitoli seguenti. Nell'autobiografia di Augusto

cua, come mostrano ancora

presagi avevano parte cospi-

frammenti 4 e 5 Peter
a essa risale
la narrazione dei miracoli che annunciarono e accompagnarono la sua
nascita secondo Dione XLV e Svetonio 94 (Blumexthal, jriencr
Siudien,

XXXV,

1913. 122)

567

tutti in quell'et, inquinati di eclettismo,

suoi

Theone

Dionysio

figliuoli

(1)

la

Areio Didymo

Athenodoro,

Nicnore,

Stoa faceva uso della mantica senza scru-

poli,

grata alla Prov^videnza che avesse concesso all'uomo

una

stella per guidarlo attraverso

gusto, se ebbe Stoici

che modo Stoico


pensato,

egli

come Varrone

il

mare

Au-

della vita.

direttori di coscienza, fu in qual-

Della religione egli avr


Agahd), che la forma sua
non possa uscire dalle quattro

stesso.
7

(fr.

pi vera, la theolof/iapJu/sica,

pareti della scuola e scendere in piazza senza mettere a

Per un principe che pensi


governo il primo imj)eratore si sar accorto, ben prima dei sagaci organizzatori
dei grandi stati moderni dell'Europa centrale, che appunto la forma amministrativa dello stato, da lui inauperiglio l'ordine della societ.

cos, la religione

gurata, doveva,

di

che qualsiasi

piti

legami. In fondo

Varrone

mezzo

cuore

al

altra,

restringere quei

Augusto avr pensato, come

54 a, 55), che, poich gli di veri ne accetne si commuovono per preci, il filosofo, se
toccasse a lui di fondare una citt nuova, dovrebbe or-

tano

(fr.

sacrifici

dinare

il

culto a

perch egli

si

norma

di

natura, cio

di

trova sempre a essere cittadino

verit,
di

uno

ma

stato

nel quale le forme religiose sono tradizionali, suo ob-

bligo tenersi alla tradizione e procurare per giunta che

volgo

la

il

veneri anzich dispregiarla. Forse Augusto, cre-

mezzo a una generazione romantica, avr senuna certa vaga simpatia per la religione romana,
perch essa era stata parte di un mondo che tutti sospiravano scomparso e si illudevano forse di poter risuscitare. Ma anche quest'afi^'etto, se vi fu, non aggiunse molto

sciuto in
tito

calore alla sua fede.

Un
(1)

riformatore

Le notizie su

che

essi

ragioni

sono raccolte

cosi

<ial

freddamente,

non

niKl.s, Do.rttfiniphi, 80 seg.

568

corre molto rischio di lasciarsi trascinare a inseguire chimere. Augusto ne tent di riportare la religione romana
alle sue origini, n cerc di liberarla da quei moltissimi

elementi greci che in

avevano coperto

ma

lungo volger

tutt' intorno

in questo stesso

nucleo

si

non solo

secoli

di

nucleo primitivo di essa,

il

erano addentrati, fonden-

dosi con esso sino a divenire

una cosa sola. Egli si content dall'un canto di porre argine a culti orientali, che,
adoprati abilmente da innovatori
tuto traviare

spirito pubblico

lo

sugli animi, affinch


si

si

politici,
;

avrebbero podi operare

dall'altro

rivolgessero alla piet, dalla quale

erano alienati durante

blica.

gli ultimi decenni della repubSvetonio (Aug. 31) asserisce che egli nonnulla ex

antlquis caeremoniis paidlatim abolita restituit, e gli storici

moderni sogliono attribuire grande valore a questa testimonianza, senza chiedersi quando mai codesti riti si fossero perduti. Se si esaminano gli esempi recati da Svesi vede
chiaro che quelle cerimonie erano
omesse solo negli ultimi venticinqu'anni o meno,
che solo un sacerdozio non era stato pi coperto sino

tonio stesso,
state

dall'et sillana.

Il

l'anno 87, cio

da quando

flamonium Diale

rimase

L. Cornelio

vacante dalMerula si era

ucciso nel tempio del suo dio per isfuggire alla crudelt
di Cinna e Mario vincitori, sino all' 11 a. C. (1)
le osservanze sacrali, che inceppavano la vita del flamen s da
allontanarlo dalla societ, rendevano poco ghiotto quel
:

posto cos onorifico.


29, era stato

ancora

Ma

Vaiiguriuni salutis, restituito nel

preso regolarmente nell' anno del

consolato di Cicerone, 63

(2).

Quanto

al

sacrum Liipercale,

esso fu celebrato sino all'anno della morte di Cesare, 44,

nel quale

(1)
(2)

il

15 febbraio, proprio durante

Dio Cass. LIV 36; Tacit., Ann., Ili 58.


div. 1 105
Dio Cass. XXXVII 24

Cic, De

il

compimento

LI 20.

569

del rito, Antonio offr pi volte al dittatore la corona (1),

Quanto

che Augusto richiam in vita


sappiamo che al tempo di Cicerone i
erano in grande voga tra le classi inferiori

ai ludi Comjntalicii,

trasformandoli,
Compitalia

popolazione

della

perch

cittadina;

senato tent di abolirli,

il

peggior feccia

circoli e circoletti formati della

di Roma, che si erano assunti l' incarico di quella festa, si


giovavano di quel pretesto per riunirsi a preparare torbidi
ma non vi riusc per gli intrighi di Clodio che di
;

quelle organizzazioni

serviv^a ai suoi fini (2).

si

probabile

che quelle societ siano durate sinch Cesare, come narra


Svetonio {Caes. 42), sciolse tutti
collegi praeter antiqiiitus
i

constiiiita.

Dione Cassio (L
Ottaviano, come
di

Bellona

riti

libri

narra, quasi fatto mirabile, che

compi

preliminari

contro Cleopatra.
i

4, 5)

feziale,

Ma

nel tempio

egli stesso

alla dichiarazione di

guerra

tempo in cui Varrone componeva


(V 86) i feziali, se non erano pi

al

de lingua latina

spediti in istati stranieri a chieder soddisfazione,

minac-

ciando guerra se essa fosse negata, prendevano parte alla


conclusione di trattati di alleanza: ex
teqiiam conciperetur {belliim),

etiam mine

ft

foedus.

ancora pubblicati

nel

qui

libri sulla

mitfeba>ifur, an-

his

res repeterent, et

per hos

lingua latina non erano

45. Si suol credere

che

collegi

vetustissimi dei fratres Arvales e dei sodales Titii fossero

gi scomparsi in tempo molto pi antico

ma

quest' opi-

nione contrasta con la chiara testimonianza di Varrone

che degli uni (V 85) dice qui sacra publica faciunt, parla
(1) Suet.
[2)

Oic,

Caes.

iid

Fi.

70, 2.
8,

e gli

altri passi citati

da \Vi>>u\va,

/.'t7.

Dal luogo ili Cicerone si ricava che Compitalia furono oelrbrati


in citt.^ ancora nel 58. I Compitalia festeggiati in caniitagna dalla
l'amiUa rustica avevano tutt'altro carattere e non furono corto toccati
172.

dai divitti.


di uccelli (1)

qualcosa

di

auguriis certis observare

mostra

feziali

r>7()

solenf.

che

simile,

di

secondi

passo citato

II

dianzi sui

Varrone sapeva ben distinguere

che

in

tra

passato e presente.

Quanto a

riti

Svetonio

stranieri

che

dice {Au(/. 93)

l'imperatore distingueva tra antichi e introdotti di fresco, in altre parole tra greci e orientali
iniziare

mente

ai

mentre

misteri eleusinii e ne rispettava

si

faceva

scrupolosa-

da escludere il consiglio e il pubblico


una causa intorno ai privilegi dei
sacerdoti di Demetra Attica, non volle durante un viaggio in Egitto veder l'Api, e approv che suo nipote G. Cesare non avesse supplicato nel tempio di Gerusalemme.
Il principe, che volle trascendere
l'ellenismo, mostra
chiaramente nei culti da lui fondati o rinnovati o calsegreto

il

dalla discussione

di

deggiati di prediligere
ritus Achivus.

novensides

di origine

Egli ordin di bruciare

le

greca e

raccolte di

il

ora-

che correvano per le mani del pubblico (2), certo


perch avversari astuti non ne potessero approfittare per
coli,

rivolgere contro di lu

la vittoria,

ma non

si

suo governo, presagita a essa

il

arrischi ad assalire l'autorit dei

eppure la raccolta
messa insieme soltanto nel
andata a fuoco Si content
Sibillini

mostrando voluta dagli

creduli,

di l'opposizione contro

puliti dalle interpolazioni

ufficiale

di

non

ordinare
vi

testo di far rivedere criticamente


^curato

che fossero

tolti

da esso

di

essi

dopo che un'

76,

il

(2'

TI

12).

le

Le

ri-

dubbio che, col pretesto,

Augusto avr

passi pericolosi.

libri

Palatino

qui lacunoso.

Sull'opera di Angusto quanto ai Sibillini e agli oracoli

in ispecie

era

che fossero

cos espurgati ripose sotto la base dell' Apollo

(1) Il testo

era stata
altra

testimonianze di

difificolt

cfr.

Svetonio (Aug. 31) e di Tacito {Ann.

cronologiche uOu

importano al nostro assunto.


per accrescere

571

santit del suo dio

la

Ai

famigliare.

Si-

quando volle, celebrando feste secolari,


solennemente dalla religione che il suo
principato apriva un'era nuova. I frammenti epigrafici
billini (1) ricorse,

far

confermare

dei

commentari

mostrano che

(2)

furono

colo greco,

greci:

lettera ai quindecemviri a
S-solg

non gi

[jiiXc/''ot:,

prodigivas Achivo

Augusto
fare

a un ora-

ispirati

esorta nella

11)

(r.

offerte

milkhes,

deis

ai

immola (r. 91) \hostkts\


Moerae, non alle Parcae sa-

agli Inferi;

ritu alle

invoca

crifica deis Ilithjis e

riti,

Ilithjia

con

il

nome

suo

greco,

non con il romano. Orazio, poeta e quindi persino nel


carme ufficiale, che fu cantato nell'ultimo dei tre giorni
da un coro di fanciulli e fanciulle, meno ligio alle formule che il Cesare sacerdote usava nel sacrificare, ha
identificato, sia

pure con qualche scrupolo,

Ilithijia

con

la

Lucina romana: Ilitlujia,... sive tu Lucina probas vocari sex


Genitalis; ha inalzato la preghiera alle Parcae senza far
menzione del nome greco ha detto Ceres la dea che Augusto, traducendo il Faa dell'oracolo, aveva chiamato
;

Non

Terra mafer.
nie secolari

calcolare

il

ma

il

ellenistico,

la festa.

che pi

Come

cerimo-

rito delle

orientale, cio ellenistico,

secolo

anima

cetto che

soltanto achivo

il

modo

importa,

il

di

con-

attesta Censorino in

una

parte della sua opera in cui attinge largamente alle Au-

humanae

tiqtiitates

di

Varrone

(17, 18), era

credenza dei

Romani, come gi

dei pi antichi Etruschi, che

uomo

vivesse oltre

anni durasse

()

uso

Augusto adotta un calcolo

se-

conservato da PlieU'jyon (Macrub.,

4i v

saeculum.

testo dell'oracolo

11

(1)

Zosiiuo II

il

deli'

nessun

cent' anni, in altre parole che cento

cdiziouf critica del DiELS,

Sibiiliniuric

ISIiilter.

133 8gg.
(2)

Adopro

epii/raphica,

32323

8<rg.

l'edizione

Vili 22

sjjg.

coninieiitata
;

le

del

Mommsi;n

iscrizioni sono

in Kpiiciniiii

ristampate

in

CIL VI

condo cui

secolo

il

opera pubblicata

comprende 110

nel 43,

Varrone

anni.

Peter), riferiva l'opinione dei genetldiaci che


si

ripetesse

la

giungesse con

il

in

de (jente populi romani

il

una
4

(fr.

dopo 440 anni

palingenesia, che cio l'anima

si

ricon-

corpo con cui era stata unita un tempo

440 anni fanno quattro volte 110 anni, cio quattro dei
secoli augustei. La coincidenza non pu essere fortuita.
Perch dall'un canto gli antiquari, Livio, Verrio Fiacco,
lo stesso Varrone (1) sembrano aver sostenuto la durata
centenaria del secolo, cara ai padri romani e accettata
nelle feste secolari anteriori a quelle augustee, dall'altro
i

non possono essere

gemthliaci, cio astrologi,

se

non

dovr riconoscere che due


concezioni opposte, occidentale l'una, l'altra orientale, dn
qui di cozzo l'una contro l'altra. Augusto prefer quella
seguaci di dottrine orientali,

orientale

orientale,

abbiam

si

detto,

ma

forse

non errerebbe

che negli antichi documenti


di questo paese ricorre a ogni passo l'augurio possa tu
vivere centodieci anni , il massimo cio concesso a un
chi dicesse senz'altro egizia

uomo

(2).

Dalle parole citate del de gente populi romani

non

si

ricava punto che Varrone partecipasse alla credenza dei


genethliaci nella palingenesia
egli,

come

respinse

loro segni (3).

Ma

il

pare

se pochi

avranno creduto

ritorno predicato dagli astrologi, la

avvento

di

all'

eterno

fede nel prossimo

un salvatore, che avrebbe istaurato una nuova


tempo molti non solo

serie di secoli, era diffusa in quel

Orientali

verosimile che
non desse fede ai

anzi

loro calcolo, cosi

ma Romani

inclinavano a prestare

presagi che suscitavano nei cuori speranze

orecchio a

morte

mille

volte durante gli anni torbidi della guerra civile e ognora


^1)
(2)

Fraccaro, Studi varroniaH (Padova, 1907), 105.


Reitzexstkin, Oottinger Nachricliten 1904, 324.

(3) Cfr.

le giuste

osservazioni del Fraccaro, p. 104.

573

risorgenti. Quella credenza orientale.

non era

vero,

quando dopo

la morte
44 apparve una cometa, dichiar che
quella segnava la fine del nono e il principio del decimo secolo, e che, mentre profetava che egli sarebbe
morto per aver rivelato contro i voleri degli di questo
arcano, cadde esanime {Interpol. Serv. in Bue. IX 47).
Ma si dovr riconoscere che all'aruspice non erano ignote
dottrine orientali, se si ripensa che pochissimi anni pi

orientale quell'aruspice Volcatio, che,

di Cesare nell'anno

cant l'avvento dell'era nuova con

tardi, nel 40, Virgilio

da profezie. Che

colori presi

padri Cristiani non avevan

un luogo celebre

torto neir asserire conformi a

di

Isaia

(XI 6-8) le predizioni dell'ecloga quarta. Passi di Filone (1)

luoghi della raccolta, conservata in manoscritti me-

quale infetta di influssi giufanno vedere che Giudei su per gi contemporanei

dioevali, dei Sibillini, la


daici,

avevano

di Virgilio

combinato con

raccolto, sviluppato,

altre speculazioni la profezia di Isaia in

modo

simile a

(2). Ma, poich delle altre letterature greco-orientali di quell'era non ci rimane, si pu
dire, nulla, sarebbe troppo audace asserire che Virgilio

quello tenuto

abbia porto

Giudea

I,

(3).

nell'ecloga

1' orecchio
a voci che veniv^ano appunto di
Questa era un paese povero e fuori mano, e

(1)

A me

(2)

Le prove souo

pare specialmeute importante

1898, 119 8gg. iu


utile

raccolte dal

iiu

Makx,

articolo iiuportauto

tir
JS'.

prncm.

et

poen. 18.

.Jahrb. f.

d.

kl.

Alt.,

qualche riscontro nuovo

.Mus., LIV, 1899, 476 sgg. Le


LVI, 1901, 'M sgg-, non mi paiono

aggiunto dal Nordp:n, Eh.

obiezioni mosse dal SiDiiArs,

ihi<.

di grande momento.
(3) Lo ha pensato
narra Giuseppe Flavio

il

Mar\. Egli ricorda

(uiit.

iitii.

XIV

1588),

che Erode, come

(p. 121

lu a

Roma

nel

4(i

durante

il

consolato di colui a cni

la

il

quale anche

ebbero pi tardi, pure secondo Giuseppe

(XV

suoi

tigli

343), legami di ospitalit.

cacciato dal suo regno, e

da

quarta ecloga ^ dedicata, PoUione, con

il

fare che occuparsi della

Ma

il

regolo che

suo seguito avevano a

propaganda

di

profe/ir.

l'arti

avevano

Roma ben

altro


la

Roma

con

tempo aveva scambi molto pi

quel

di

la terra

574

pi

ricca

mondo

civile del

intensi

ellenistico,

r Egitto, anche prima che Augusto, con(|uistatolo per se


e non per il senato, facesse di esso il fulcro delia sua

Roma

penetravano concetti giudaici, essi


saranno stati trasmessi all'Occidente dalle numerose e
ricche colonie giudee dell' Egitto. L'attesa di un redentore, che inaugurasse un'era novella, la devozione per il
potenza. Se in

tempo vive

dio presente erano del resto in quel


l'Oriente,

come mostrano

in tutto

confronti con le iscrizioni,

una parte anteriore del presente libro (1).


Augusto accett di buon ora queste credenze
non abbiamo ragione di ricusar fede allo scoliasta

isti-

tuiti in

Bucoliche, secondo

il

noi

delle

quale egli narrava la morte prodi-

giosa di Volcatio nel secondo libro dell'autobiografia, e

non

probabile

che l'imperatore abbia pensato soltanto

pi tardi a interpretarla e sfruttarla

questo come molti


sare,
tali

altri

cos.

che negli ultimi anni

si

lasci celebrare dagli Orien-

comune

quale dio presente e salvatore

umana,

cio

cett che

redentore del

Romani

Egli eredit

atteggiamenti da suo padre Ce-

mondo

(2)

della vita

che nel 45 ac-

inalzassero nel tempio di Quirino

una

statua intitolandola al dio invitto (Dio XLIII, 45, 3); che


negli ultimi anni di vita permise che

un tempio comune a

lui

flamini degli di maggiori

che infine non ricus

(1)

e alla
si

V. sopra p. 178 sgg.


1' iscrizione
di Efeso

dente di Ares e di Afrodite,


^01) ataxfipx.

gli

imperatori dal 48

a.

Roma
ai

aggiungesse un flamine suo;


chiamato luppiter Julius

i^ssv

CIG

La sua

2957, che

sTiicpav^

e le altre testimonianze
2.

erigesse in

di esser

(2) Cfr.

Klio XI, 1911, 129^, 132

si

sua Clementia e che

xal

lo

/to'.vv

raccolte da

onora
xo

discen-

vS'pcoTtivo'j

Hubert Heixex^

tabella cronologica del culto de-

C. al 14 d. C. rende

buoni servigi.


XLIV

(Dio

6,

Ottaviano, dichiarando solennemente

4).

subito dopo la morte

Cesare

di

XVI

paterni (Ci. ad Att.


di

575

di

15, 3),

un giorno l'immortalit;

conseguire

non un

dio, se

Fin dalla

venerato tale;

qualvolta

le

un

quale altro

pi

tardi

ogni-

abilmente da trarre in inganno

moderni, pure, chi ben guardi,

rotta. S'

circostanze Io esigevano, seppe dissimulare

le sue aspirazioni cosi


storici

diritto

giovinezza sua
guardingo qual

se,

primi tempi e anche talvolta

nei

era,

dio redentore

egli volle esser

il

divenire

di

giorno merc l'eccellenza delle opere un dio

prima

agli onori

aspirare

rivendica a se

ei

non

gli

mut mai

intende facilmente com' egli osasse pi nelle Prosi mostrasse pi schivo


coi Greci

vincie che neir urbe,

che con

gli Orientali,

ma non

vero che

Egli (Dio

cices.

pi con

LUI

Romani che con

Greci^

abbia ricusato onori divini dai

egli

27, 2-3) rifiut nel 25

ad Agrippa

il

permesso di erigergli una statua nel tempio detto pi


tardi Pantheon e non volle che esso fosse intitolato al
suo nome. Ma nel Monumentum Ancyranmn si vanta senza
ambagi: nonien meum senatus consulto indusuyn est in SaCarmen.

liare

L' inserzione

nome

del

che comprendevano soltanto

litanie,

del

sovrano nelle

di, significa l'apo-

Dione sembra aver veduto pi giusto dei moderni,


dove (LI 20, 1) scrive: e lo introdussero nei lora

teosi.

inni al pari degli di .

anni

soltanto

Paflagoni

giuravano fedelt a

Ora

ma

a.

(1)

il

C, imporre che
/.Ve.

(.

cittadini

in

nome

romani col dimoranti

degli di e di lui stesso

Augusto

il

(1).

ristoratore della re-

nessun magistrato repubblicano avrebbe mai

osato, rinnovando

12

ma

lui nel

moda vedere

di

pubblica,

Questo avvenne gi nel 29. Molti


C, nella lontana Gangra non

tardi, nel 3 a.

pi

f:t.

(jr.,

culto dei Lari, com' egli

fece nel

nei crocicchi dell'urbe, nei compita^

XIV,

IJIOI,

US.

r.

!>.

57()

due Lari si venerasse il suo Genio (1); nessun cittadino avrebbe mai osato, com'egli fece assumendo il
pontificato in quello stesso anno, fondare una cappella di

oltre

A^esta nel proprio palazzo e aprirla al culto pubblico (2j.

Non

si

potrebbe far sentire pi chiaramente che

Augusti ormai la casa dello stato,

seconda Vesta puhlica

il

la

domus

suo focolare una

Romani, che principe e stato

jopuli

sono d'or in poi tutt'uno. Per questo rispetto Augusto


accett senza esitazioni l' eredit di Cesare le parole
sfuggite al giovinetto precoce dinanzi alla statua del
:

padre ucciso,

ch

miii parentis lionores consequi Uceat,

ita

per-

assolutamente sincere, rivelano quali sin d'allora ^fos-

sero

suoi disegni. Porse Ottaviano avr negli anni se-

guenti rimpianto spesso di essersele lasciate sfuggire,


rinnegate con l'opera sua non

Augusto accett

la

le

mondo

si

sarebbe

un possente sceso

di cielo

credenza che

/presto rinnovato per virt di

ma

ha mai.
il

anche perch essa gli era vantaggiosa volendo


governo amministrativo e personale, egli sentiva il bisogno di una devozione che avesse radici pi profonde che l'autorit umana del magistrato. Ma io credo
fermamente che egli fosse in certo senso sincero. Quello
stesso uomo che, ammaestrato dalla filosofia, considerava
la religione popolare un pio inganno, utile al popolo altrettanto quanto ai reggitori, aveva una sconfinata fidunon riesce a trasformare il
cia nella propria personalit
reggimento politico del mondo se non chi crede in se
stesso. Augusto dovette sentire in s qualche cosa di
sovrannaturale, qualche cosa che trascendeva la naiura
in terra,

istaurare

il

(1) Ovid.,

4.a

Fasi.

epigrafiche raccolte

145, Horat.

da Wissowa,

Heixex, j). 161


(2) WissowA, Eel.,
".

161.

e.

Bel.,

IV
172

5,
:

34,
la

le

testimonianze

pi antica illustrata

o/
/

comune deirumanit. Svetonio

mmn

(31, 5) dice di lui

proxi-

a dis immortalihus honorem memoriae diicum praestitit

romani ex minimo maximum reddidisL'alunno della Stoa ha coltivato il culto degli eroi,

qui imperium populi


sent.

li

ha emulati sino a

sentirsi

dio.

per quella di pi severa osservanza,

Per

la

Stoa, anche

savio, cio l'eroe,

il

mezza strada tra l'umanit e la divinit secondo Crisippo r anima di esso sopravviver al corpo,
finch questo mondo non perir consumato dalle fiamme
per dar posto a un altro.
Si suole generalmente asserire che Augusto caldeggiasse culti greci e rito greco solo finche non pot af quasi a

ferrare le redini della religione pi strettamente nazionale,

finch nel 12

a.

C.

il

finalmente a morte.

pontefice

La

massimo Lepido non venne

spiegazione pare

me

insuffi-

Augusto, se avesse creduto non poter compiere


la riforma religiosa tranne che occupando quel posto,
avrebbe saputo far tacere gli scrupoli e toglierlo al pi
stolido dei nobili romani. Gli se ne present il destro pi
volte
la prima nel 36, quando Lepido fu deposto dalla
magistratura mondana e il popolo esortava Ottaviano a
levargli anche la dignit sacrale (1). Se a Ottaviano non
era forse ancora lecito osar tanto senza esporsi a grave
rischio, lo poteva certo pi tardi, quando il popolo torn
ciente

a incitarlo a togliere
15),

il

pontificato all'indegno (Dio

forse gli sarebbe riuscito restaurare

culti

LIV

romani

anche senza occupare quel sacerdozio se non pontefice


massimo, egli per grazia del padre era pontefice sin dal
tempo della battaglia di Parsalo, cio dal 48; e che cosa
non avrebbe potuto anche l'ultimo membro di un collegio sacerdotale, anche contro il volere del suo capo, quando
;

questi era del tutto screditato, quegli raccoglieva in

(1) I

37

passi dejfli autori in

Mommskn,

res tjestae*,

ji.

4r>.

so

578

pienezza di autorit che conferiscono

la

cipe e di

sono pi profonde
simboli parlava

cerimonie romane

achivo con

rito

il

suo apparato di

il

sensi pi efficacemente che le austere

ai

concezioni greche ed

le

erano ben pi famigliari


semplici

molte magi-

le

contemporaneamente e titoli di prinAugusto? No, le ragioni di quella predilezione

strature esercitate

idee religiose

bisogno di adorare

moderni che

ai

dei padri

le

troppo

cittadino sentiva

il

ellenistiche

non

la personalit eroica,

ignota

il

urbe

all'

finch questa era stata la capitale di uno stato di pastori


e di agricoltori.

Augusto, come
nel determinare

il

sua riforma religiosa:


i

Ambedue

erano

quale

nella

Virgilio,

il

si

stati

mezzi della

nobili della nazione,

gli spiriti pi

poeti Virgilio e Orazio,

nuova.

mano

successo mostra, ebbe felice la

termini e nello scegliere

fecero banditori della parola

educati nell' epicureismo

decima

(1):

delle Ecloghe, di quella

medesima raccolta che pure contiene la promessa messianica, aveva posto in bocca al Sileno una cosmogonia
epicurea, ancora nelle Georgiche

sovra ogni altro


si

chi;

(Il

apprendendo

le

490) celebra

beato

ragioni dell'essere,

liberato da ogni timore dell'oltretomba: felix qui po-

rerum cognoscere causas, atque metiis omnis et inexorahile


fatum subiecit pedibus strepitumque Acherontis avari. Nel
tiit

poema che vuol

essere l'Iliade e l'Odissea di

egli inserisce un' escatologia, e

xaia^as:?

?g

nuova,

delle

solite

"AiSou^ intessute delle favole tradizionali in-

dispensabili nei

tomba

Roma

non gi una

poemi

epici,

ma una

descrizione dell'oltre-

ispirata alle dottrine mistiche dello stoico platoneg-

giante Posidonio

(2),

(1) I passi dei paxiiri

le

quali furono in

voga

in

ercolauesi di Filodemo, iu cui

Roma
loro

nomi

sono integrati con molta verosimiglianza, sono raccolti dal Philippsox,


Festschrift des
(2)

del

Gyrnnasimn zu Alagdehurg (1911), 83 sg.

Intorno alle fonti del VI libro dell'Eneide, v.

XoiOKX

al

suo commento.

l'introduzione


mondo

nel

tempo

in quel

579

e ancora per secoli, e contri-

buirono forse pi largamente che anni sono non

sup-

si

ponesse, alle immaginazioni dei padri cristiani sull'oltre-

tomba. Pure, conchiudendo

viaggio di Enea agli

il

Inferi,

non si sa tenere dal significare che tutto ci che


l'eroe ha col veduto, sogno. Enea esce dall'inferno
non per la porta di corno, -/ipa^, per la quale, come aveva
egli

cantato

che
cui

Omero

X'j|j.a

si

(t

562

spargono

IXecpaipovxac (1).

sgg.),

ma

xpaivouaiv,

per

il

passano

per quella

mondo

sogni veraci, quelli

avorio, eXI-^ac,

di

da

ingannevoli, che

sogni

L'Epicureo, desideroso di estirpare una

re-

ombre sulla serenit della vita,


pensava ormai, ammaestrato dall' esperienza triste del
contemporaneo decadere della fede e dei costumi, come

ligione atta solo a gettar

quegli Stoici dai quali deriva nel secondo capitolo della

uomo

sua opera Diodoro,


rispecchia

pensieri

senza immischiarvi molto


-p;

di proprio

fi

sy^O'jax

xwv ev "A:oo'j
t^o'klt.

xal oixa'.oavTjv (2)

sOajjS'.av

jx-j-

a'j[Xjjx-a'.

la descri-

Hade, pur essendo di contenuto invenporta grande vantaggio gli uomini quanto a piet

zione favolosa
tato,

suo

al

oxoXo^(7. XTjV 'jrcS-a'.v Tis-Xa^iivr^v

Tol; v8'pw~o:;

per ci appunto
tempo fedelmente,

volgare che

comuni

dell'

e giustizia .

Orazio non ha

mai

rinnegato

nella filosofia di Epicuro

(1)

Cos ha inteso Servio.

{retaziono per la quale, poich

sua

la

11
i

Xoudex

fede giovanile

massima epicureo

egli era in

H3;M atlothi una iutor-

(p.

sogni ingannevoli vengono prima di

il luogo viene a diro che Enea torn alle cure viprima di quell'ora. Ma, se il poeta avesse voluto esprimer quenon si sarebbe indugiato tanto sulla materia dello duo porto o

mezzanotte, tutto
tali
sto,

sulle categorie Avi

sogni alle quali ciascuna

d;\

passaggio; se

si

do-

vesse intendere in cotesto modo, egli avrebbe voluto tirare in inganno


il

messo in guardia dal giuoco di parole, irivo di senso


non poteva non rammentare il passo omerico, dove dell' ora

lettore, che,

in latino,

non

si

fa

f2)

Il

menzione.
passo citato dal Noudkn, a

i>.

:>.

580

ancora negli anni nei quali compose


Epistole.

Ma

opposte, dei

filosofi ellenistici

man mano che

all'etica spicciola.

si

libro delle

erano andati smussando,

Orazio

si

allontana-

rivolgersi all'etica e per lo pi

non fu mai pi che


dove (epist. I 1, 14) si

in filosofia

dilettante di studi morali: l

dichiara

primo

savi di mestiere e dilettanti

vano dalla metafisica per

un

il

contrasti vivaci fra le scuole diverse, anzi

addictus iurare in verha magistri, egli in-

nulliiis

tende far professione non gi di originalit, ma di eclettismo. I versi seguenti mene aglis fio et mersor cioilibus undis, virtutis

verae custos rigidusque satelles

fiirtim praecepta

gere conor

la

mostrano che

egli

mine

in Aristippi

non me rebus

relabor et milii res,

non prendeva troppo

Stoa ne se stesso. Per un

uomo

siihiun-

sul serio

della sua condi-

zione, escluso dalla vita pubblica, l'immergersi nelle


civili

una pura immaginazione,

leggere trattati

di

finisce esaltando

e tutti

il

onde

e significa poco pi che

morale cittadina. Quella stessa epistola


savio stoico, provvisto di tutte le virt

pregi, specie sano,

meno quando

tormentato

dal catarro.

Convertito egli non

si

mai, checche ne abbia fan-

di

un moderno Francese, ricco di immaginazione e


acume quanto povero di gusto e scarso di senso per

le

sfumature,

tasticato

Edmondo Courbaud

(1).

Nella prima rac-

maggiore cersi trova


delle
Epistole,
prima
composta
anche
tamente
moltissimo
pi che non sembri a prima vista, ma non
di specificamente epicureo: gli inviti ad amare, a bere,
a godere della vita, che cos breve, non hanno nulla
colta delle Odi pubblicata e per la parte

di epicureo

di filosofico,

ma

si

ricollegano con

una

tradizione lirica molto pi antica della filosofia ellenistica

anche

(1)

le

esortazioni a contentarsi del poco potevano es-

Horace: sa

rie et sa pense

a l'epoque des

piires.

Parigi, 1914.

581

sere accolte con simpatia anche dagli Stoici, per

quali

ricchezze e fama sono in s cose indifferenti, upoyjYJiva,


desiderabili soltanto se

si

presentano circostanze favore-

non buone in senso assoluto. Tuttavia neppure il


Courbaud ha osato ravvisare nelle odi civili la poesia di
un convertito, e ragionevole questa cautela che appunto una delle odi romane contiene massime epicu-

voli,

ree

Ma

(1).

che nella

il

senso fine dello

lirica

insegnava a Orazio

stile

pi alta non v' posto per ci che di pi

crudo nella dottrina

di quella scuola.

canta di un prodigio che scosse per un


vinzioni sue pi solide; per

quale

si

ragiona

Orazio, pur

di

momento

un momento, che

di filosofia nelle

anche quello stato

Liricamente egli
con-

che

mostra

Epistole,

animo pass senza

le

tono nel

il

lasciar traccie.

rinnegare l'epicureismo della sua

senza

giovinezza, cant la religione, sembra a me, con sincerit

poetica perfetta. Per vero, se gi Epicuro aveva mostrato


attitudine assai conciHante rispetto al culto ufiiciale
387),

suoi discepoli, quanto pi

tanto pi riguardosi

si

crescevan

di

saranno mostrati verso

le

169,

numero,
tendenze

consuetudini dei pi. Del pari, mentre Zenone

e le

(fr.

(fr.

264)

proscriveva dalla sua citt tempi e statue degli di,


Stoici posteriori, specie

come non

tradizionali e

venerare

gli

accettavano senz' alcuna

dozi e magistrature
di

seguaci romani

rifiutavano di

sacrali, cosi

metter d'accordo con

ritirarsi dalla vita

gli

dottrina,

nelle

forme

difficolt

sacer-

di

s'ingegnavano perfino

la filosofa la religione

interpretandola. Nessuna scuola, se

poteva

della

voleva

far

popolare,
proseUti,

e sottrarsi alle esigenze di que-

Ma

in Orazio sentiamo un calore maggiore che, non


negH Epicurei, ma perfino negli Stoici cittadini e
nobili romani dello stampo di Varrone. privilegio del-

sta.

dico

[1]

Coni' lUDstroremo nel

terzo capitolo.


l'artista

degli

poter mettere l'anima sua all'unisono con quella

il

altri,

ha
doveva

il

risentire per

Ma

in cuore.

altri

582

riuscir

momento

ini

a Orazio

difficile,

perch

natura assai pi religioso che

che

non

se

per

epicureo, era

egli,

suoi maestri,

ci

religione

in

sentir la

come

dal contegno da lui tenuto dinanzi al prodigio

si

vede

qualcosa

Romano superstizioso sonnecchiava anche in


egli amava ardentemente la patria, e, come

del vecchio

Di pi,
da giovane, facendo getto
lui.

fondamentali della

di principi

sua scuola, dimentico o incurante del

O-c [jcwaa;,

aveva

abbandonato la quiete dei giardini ateniesi (1) per impugnare le armi in difesa della libert, cos nell'et sua
virile, riconciliato con l'Augusto, scorgendo l'unico scampo
della civilt e della romanit nel governo personale ed
amministrativo, di cui la pietas era parte cospicua e principale sostegno, cant la religione con simpatia piena.

Ma

lui e per la sua poesia che Auforme del culto greco, che non tenrisuscitare una religione morta per sempre,

ventura per

fu

gusto prediligesse
tasse n di

le

ne di sbandire concezioni ellenistiche radicate profondamente negli spiriti. Gli di pi cari ad Augusto erano i
pi famigliari a Orazio dall' et sua prima

Diana aveva

letto infinite volte in

visti infinite volte riprodotti in

marmo

omaggio

(1) Il

non

la
al

li

aveva

sentendo

bellezza loro. Ri-

preghiera a Dioniso, egli sapeva di rendere

nume

protettore dei poeti,

Philippson

(pp. 80-82)

e,

uomo

ha sostenuto che

antico,

non

egli iu quegli

anni

fosse ancora epicureo e fosse divenuto tale solo pi tardi, al suo

ritorno iu Italia, per opera degli amici Vario e Virgilio

che egli

narra

(epist.

II 2, 45) di

aver voluto in Atene

Academi quaerere vernm. Come solevano


a un tempo corsi di professori diversi

Apollo e

di

e bronzo,

ogni volta ammirazione nuova per la

volgendo

carmi greci,

Romani,

ma

egli

ed vero
inter silvas

avr seguito

nelle satire pi

antiche

epicureismo sembra radicato profondamente nelP animo del poeta.


si

583

faceva scrupolo di concretare in una

persona

divina

quel che di trascendente, di sovrannaturale egli pure do-

veva

Le

sentire nell'ispirazione.

come

rivolge;

lasciano

astrazioni, alle quali

culto augusteo, cosi

il

moderni

freddi noi

ma

dei grandi imperi, che

Roma

fu introdotto in

nome

gusta dal

aveva

mondo

il

{Cresph.

retto dal

a. C.

in istorici

rapido decadere

cenno della

e negli anni seguenti,

culto della Pace, chiamata

il

sacro del Principe

ma

la

a
fr.

lei

Au-

dea Eirene

tempi ben pi antichi ricevuto culto

in

tica (1)

leggendo

sorgere e del pi

Fortuna. Sotto Augusto, nel 13

si

canto del poeta,

Orazio aveva appreso

dalle vicende del passato, in ispecie


ellenistici del rapido

il

in

At-

avevano inneggiato Aristofane ed Euripide

453)

(2)

con

Eunomia

le sorelle

e Dice, figlie

aveva invocata Pindaro in principio della


tredicesima Olimpica Bacchilide aveva celebrato i suoi
benefici. Io credo che Orazio, annunziando nel carmen
di

Themis,

1'

saeculare (v. 57)

il

suo ritorno, avesse dinanzi agli occhi

r immagine della statua

nano

Fede

in terra la

lungo trascurata.

Virt cosi a

Con la Pace
Pudore prisco

di Cefisodoto.

e l'Onore e

il

culto

Il

della

tor-

e la

PudicUia,

Roma, non deriver certo n da quello


n da quello spartano dell' At;, pure antichi (3);
ma Orazio, facendo discendere di nuovo con i suoi compagni il Pdor di cielo in terra, voleva che gli ascoltavetustissimo in

attico

(1)

Dkubxer

in

RoscHEUS

Lexikon, III 2182, che registra anche

altri culti di Eireiie, dei quali imo,

a Erythrai uella louia, del terzo

secolo.
(2) Cfr.

(3) Il

ancho Bacck. lUi sgg.,

secondo

del Convito (Vili

>

3."));

giii

Ore!.

1082, Siippl. -488 sgg.

noto a Senofonte o a chiunque sia l'autore

Demostene,

li

dove

(jt

Arislog. 25, 35) asserisce

che presso tutti gli uomini hanno altari Dice od Eunomia e AiSc,
penser, anche a un culto patrio, tanto pi cht< quest'ultimo ^ menzio-

nato anche da

altri scrittori, sia

pure pi tardi: DiuiiNKit, 2127.


carme

tori del

a scuola (Op.

584

ricordassero del passo di Esiodo, letto

si

D. 197 sgg.), dove

et

si

narrava che

al prin-

Nemesi, abbandonato questo


Olimpo. Mentre la Virtus, ac-

cipio dell'et del ferro Ato)? e

mondo,

erano rifugiati in

si

Roma sin da et abnon fu onorata, a quanto sappiamo, di culto pubblico in paese greco, se non in tempo
romano nell'Asia Minore (2). Ma Simonide (fr. 58) aveva
cantato la dea che non si rivela al mortale se egli non
coppiata con VHonor, venerata in

bastanza antica

(1), 'Apsxrj

giunge, faticando,

al

sommo

del valore; Aristotele l'aveva

invocata, celebrando la sorte di chi per

che pi importa,
presentata

pittori e scultori

l'aveva dipinta

l'avevano a gara rap-

figlio di

Pausia, Aristolao

scolpito

dea incedeva accanto a quella del re


figurata 1' 'Apety; era divenuta quasi
pria di chi

pu disporre

del popolo sovrano di

di se, del

Atene;

Nella tradizione

(3).

la virt civile, pro-

sovrano

di

civile, di militare

stata in origine, quale forse nel


la Virtus

morisse. Ci

un gruppo colossale di Arete


nella processione del Filadelfo una statua della

Euphranore aveva
e Hellas

il

lei

carme

Egitto

quale era

secolare, diviene

oraziana almeno nella seconda delle Odi romane

Virtus, repidsae nescia sordidae, intaminatis fulget honoribus.

Ma

dea che spregia con

la

ricorda

1'

'Apsx/] di

inaccessibili.

Iqxic,

l'ala fuggente l'umida terra,


Simonide che abita in alto su roccie
non un' antica divinit greca, che

Deubner, 2154 sg.


Deubner, 2128. tuttavia dubbio se il culto asiatico sia
romano o greco, che a Pergamo 'Apsir^ congiunta con Htucppcouvv}
(1)

(2)

(cfr.

Deubxeu

2074). Si consideri

mai avuto una dea T'fii^.


(3) Le testimonianze

in

tuttavia che

non

si

(XXXV

Greci

non lianno

Deubner, 2120 e 2122 secondo lui Ariil Demos di Atene


ma dalle

stolao l'avrebbe effigiata congiunta con

parole di Plinio

137j Virtus, Theseus, imago plebis Atheniernh

ricava che un quadro solo comprendesse le tre figure.


solo

uno

nel

le

carme

Fortuna

della

panno, perch con

la

(prov. II

consacrarono un santuario

Roma

culto di Fides in

il

romano, Dlogeniano

scrittore del periodo

80) sa che gli Ateniesi

Invece

585

descrive

la

mano

antichissimo

velata

cosi coperta

romano. Conforme

si

(1).

Orazio

bianco

di

sacrifica a lei

romano la fa
Pure una relazione tra Xliax:? ed 'EItzc. non ignota neppure all'antica poesia greca. Secondo Teognide (v. 1135 sgg.), che
fonde qui a suo libero arbitrio due diverse favole esiodee, esse furono un giorno compagne sulla terra, dalla
quale poi la Fede, gran dea, e Sophrosyne e le Grazie
secondo

il

rito

compagna

insieme con Spes

al

rito

della Fortuna.

volaron via, lasciando sola la Speranza. Spes parimenti


divinit dei

Romani

ma

culto greco;

antichi, 'EXro^

manca parimenti

molti epigrammi di et varia

nel

(AP IX

70) dicono addio alla Speranza e alla


Fortuna con parole che sanno di proverbiale sicch verrebbe voglia di credere che il culto romano, congiun-

49, 134, 146, 172

gendo

le

due dee, profittasse

Con quasi

di

sapienza popolare greca.

tutte quelle astrazioni, concluderemo, Ora-

aveva preso famigliarit, guardando sculture e quadri


classici, leggendo di esse in carmi greci, piuttosto claszio

sici

che

ellenistici.

Quelle

forme che a noi

paiono cosi

vuote, cos scolorite, non lasciavano freddo

mano educato
il

suo

Ad

soffio

all'arte greca, la

quale

il

in esse

poeta roinfondeva

vitale.

accogliere in se la religione che per noi moderni

la pi difficile a risentire,

quella del dio

nato e presente, Orazio, nudrito

seguace

di

uomo

incar-

di letture ellenistiche

Epicuro, era disposto pi che

altri

mai.

Le

odi nelle quali celebra la divinit di Augusto, paiono a

(1)

Delo

cio *la devoti

inalzata una statua nel i)7


uu culto romano: Syll.' 822.

le ^
<li

a. C.

da conipitalisti,


me

delle pi sincere. L' Epicureo

meno

nerazione n tanto
gli

586

intermundi sereni

gioso che

non pu

affetto per

ma

sentimento

riversa quel

uomo non volgare

ogni

sentire n ve-

suoi di ritirati ne-

reli-

spesso senza

])orta,

saperlo, celato in cuore, sul mortale che liber

il

mondo

non poteva
del suo amore per l'uomo la

dai timori vani dell'oltretomba. Lucrezio, che

amare

gli di, parla (ILI 5)

cui parola

aveva abbattuto

mondo. Egli non

le

mura che rinserravano

perita di gridare (V 8) deus

si

il

fuit,

ille

deus e di vantarlo maggiore dei mortali che per virt dei


benefici recati
nit,

si

son conquistati

come Epicuro, ha donato


(III 23) ?

chi

il

culto della grata

da uomini

sono trasformati

si

al

ha trasportato

mondo

in di.

la

Chi

pace degli animi

la vita dalla

tempesta e dalle

tenebre in tanta tranquillit e in luce cos chiara


I

popoli di Oriente

uma-

di loro,

avevano venerato

dii

presenti

ben prima che giungesse loro un solo affilosofi del tempo


spirito e di civilt greca. Ma

loro sovrani,
flato di

con consapevolezza la religione della


pi antico, gi quegli che ancora

ellenistico coltivano

personalit

gi

il

due re, Aristotele, professava apertauno stato uno sopravanzasse gli altri
non
fosse neppur possibile il confronto,
virt
che
per
s
quest'uno dovrebbe non gi essere sbandito, come soglion
fare le citt rette a popolo con i cittadini loro migliori,
ma riconosciuto pari a un dio tra gli uomini, sciolto da
ogni legge e ubbidito (1). Il tono amaro, qua e l quasi
ironico, nel quale Aristotele espone il suo pensiero circondandolo di cautele e di restrizioni, mostra che egli
in fondo al suo cuore non credeva che in terra civile,
cio in paese greco, quest' ideale potesse mai essere inal confine tra le

mente

che,

carnato.

Ma

(1) Polif.

se in

gli Stoici

Ili

chiamano

1284 a 3 sgg.

senz' alcuna restrizione

1288 a 15 sgg.


o cautela

divino

conforme

129), e questa dottrina era cosi

de div. II

Cic.

(Diog. Laert. VII 119;

savio

loro

il

587

romano che perfino un filosofo cos libero da


ortodossia come Seneca (epst. XLI 3 sgg.), la fa

alio spirito

ogni

sua e la svolge con parole ispirate

adora la natura

si

non

nelle sue manifestazioni pi grandiose, e

un uomo che, non

da

sbigottito

pericoli,

si

venerer

intatto

da cupiguarda

digie, felice nelle avversit, placido nelle tempeste,


gli altri

uomini dall'alto,

gli di

da pari a pari?

(1),

Callimaco, cantando la divinit visibile e presente di

Tolemei che avevano ottenuto il regno in eredit, non


l'avevano conquistato con meriti singolari, rispecchia non
solo lo spirito della plebe di razza egizia,

impiegati, soldati,
tutto

coloni greci

popolo greco

il

(2).

Pure esso

l'ideale aristotelico o stoico

suetudine del tempo

giorno
tutto.

filosofia, si

non solo degli

dell' Egitto,

ma

forse di

assai lontano dal-

se egli in ossequio alla con-

aveva,

il

che certo, studiato un

era affrettato a dimenticarla quasi del

Ma Augusto

pot sembrare

questi ebbero pur sufficiente

ai

pratica

contemporanei, se
Aristotele, che

di

non era a quei tempi ancor popolare, corrispondere a


pello alla concezione del maestro di Alessandro
se questi

cio alla

ca-

Magno

aveva conquistato l'Asia pi remota alla civilt,


grecit, quegli aveva davvero ridonato al mondo

dibattentesi nelle tenebre, dilaniato dalle discordie civili,

luce e pace. Orazio, preparato dalla devozione della scuola

epicurea per

il

suo fondatore, accett

beneficando

(1)

in

gli

Da Epicuro

uomini

come Ercole

{ep. Ili i:i5)

il

buon grado

di

religione della personalit e vener dio


e

il

la

cittadino che,

Dioniso,

savio dotto dio tra

^li

si

era

uoiiiini

senso un po'diviTso, quanto cio^ alla Itcatitudin'.


(2)

V., quanto alla popolarit di

])rianu'nti' detta,

sopra

p.

ll'O.

tuli coiicc/iotii ntilla

(irocia pio-


sollevato da terra in cielo

Lucrezio

niso

di

sopra

(p.

proprio con

Ercole

Dio-

aveva paragonato Epicuro (V 14

sgg.,

21 sgg.). Orazio

forme

588

ispirato nei suoi

si

,3aaiX'.x

alle

|xXr^

carmi alessandrini, come abbiamo veduto di


184 sgg., 199 sgg.), ma vi ha infuso lo spirito

nuovo.

1.

L'inno alla Fortuna

(I

35)

il

fulmine a del sereno

pensiero della prima ode semplice

(I 34).

Fortuna, tu
a noi salvo Cesare, che sta per
portar guerra nella lontana Britannia, e i giovani che
partono per l'Oriente, desiderosi di assoggettare a Roma
Il

sei

grande

restituisci

Parti e Arabi. Noi siamo macchiati della vergogna delle

guerre

civili,

no

essi

rifoggia tu

incudine nuova

su

ferro smussato nelle lotte fraterne e vigila contro

Roma .

mici di
terris

stesso

lo

L' ultima parte

stesso

il

contrasto tra

arieggia
le

senso del peccato che grava

il

I 2,

lam

safis

due generazioni,
i

il

ne-

lo

coetanei del poeta

sin dalla loro giovinezza, la stessa la riverenza per l'et

nuova, immune, per sua felicit, da tali colpe. In ambedue i carmi ricorre, quantunque rigirata in maniera al-

quanto diversa, l'immagine del ferro: audiet


ferrum, quo graves Persae
vitio

parentum rara

melius perirent,

iuventiis.

civis acuisse

audiet pugnas

In tutt'e due le odi, sul lab-

bro del poeta, non appena egli ha confessato con amarezza la colpa comune, si incalzano brevi domande angosciose. Tutt'e due

presente

carmi finiscono supphcando un dio

qui la Fortuna, col Cesare, che vendicher sui


Parti l'onore del nome romano. Orazio, che pure, anche
:

nella poesia di cui ora diciamo, parla con accento di

mozione

sincera,

si

com-

sar accorto, artista qual era ben con-

sapevole

589

ancora una volta

di s e dell'arte sua, di trattare

un tema frequente nella sua lirica in modo a lui consueto, quantunque con qualche novit di particolari. Pi
alla Fortuna, che
occupa sette delle dieci strofe del carme (1).
Erra chi, solo perch quest' ode principia
diva gratum quae regis Antium, la intitola Alla Fortuna di Anzio
scrittori e iscrizioni votive mostrano concordi che
in quello che era stato un giorno il porto dei liberi Volsci e divenne durante l' Impero la villeggiatura marina

orgoglioso egli sar andato dell'inno

forse pi in
si

voga

adorava non

tra

il

pubblico romano e pi sontuosa,

soltanto

una Fortuna

monete romane,
due profili

dell'et suppergi di questo carme, effigiano


di

un diadema, coperto

dee, coronata l'una di

capo

un elmo

di

(2).

cetto del poeta chi

Augusta

Ma

rimpicciolisce

chiama

carme

il

meno incautamente,

o,

altra

1'

del pari

Inno alla

il

Fortuna

che

asserisce

il

connella

ultima parte la Tu/jj ellenistica, signora del mondo, re-

con la divinit protettrice


dell'imperatore, alla quale la devozione di un privato
forse gi nel 19 a. C. eresse un tempio in Pompei, uffi-

gina della

storia, sia identificata

ciato pi tardi, dal 3 d. C. in poi,

legio di ministri (3).

precorso culti e

(1)

riti

da un

poeti di questa et

pubblico col-

hanno talvolta

accolti in seguito dalla religione dello

Sul congiuugimeuto

doli'

inno

con

la

preghiera,

frequente

nella sua arte, t. sopra p. 173 sgg.


(2)

WissowA,

Religione, 259

prodotte dal Babelon, Monn. de

troppo;

rUsKNKU

{h'k.

due monete

la rp.

Mm., LVIII,

di Q. Kustio

sono

ri-

rom., II 412, che fantastica

1903, 202 sgg.) ha

un'altra moneta del mt-dcsimo magixter, sulla ([uale

riprodotto

manca rattributo

dell' clnu).
(3)
clie

Hkinkn,

Klio, XI, lidi, 157, 171.

certo che prima del tempio di

molti altri.

Naturalmente

Pompei ne saranno

poco nicn

stati edificati

590

stato (l), Orazio qui no (2)


qui egli non fa se non invocare in fine del carme benigna a Cesare la grande dea
Fortuna, e non soltanto a Cesare, ma del pari ai giovani
;

quali laveranno nel sangue dei barbari il ferro romano


macchiato dalle stragi civili. Ma questa dea nella parte
prima dell'ode non esaltata esclusivamente quale proi

tettrice del sovrano, quale Tu/'/j

aveva imparato a venerarla

come credono

probabile che,

vantando

dea jjraesens imo

la

pus, pensi e voglia

che

schiava, che ascese

il

trono di

(3).

commentatori, Orazio,
de gradii

tollere

lettori

come Augusto

|3aa''Xta,

dai sovrani ellenistici

mortale cor-

pensino al

Roma

figlio della

e dette

prisca la sua costituzione, Servio Tullio

alla citt

che mortale

cor-

quantunque non voglia dir altro che mortalem hominem, ha in s una sfumatura che conviene, meglio che
a ogni altro, a un servo (4), e ciascun Romano aveva

pus,

presente quanti tra

Fortuna fossero

gli

innumerevoli

attribuiti a Servio

culti cittadini della

Tullio

(5),

grato alla

Vedine un esempio piti indietro, p. 185.


Per prevenire interpretazioni fantasticlie sar opportuno notare che, sebbene gi Augusto e Tiberio prediligessero il soggiorno
di Anzio, pure non noto che le Fortune di quel santuario fossero
connesse in qualsiasi modo con la famiglia imperiale, prima che a Ne(1)
(2)

rone nascesse col una figlioletta (Tac, Ann. XV 23).


trattato tra Magneti e Smirnei Or.
il
(3) Cfr.
Greci di Mylasa
Tyji del re,
(4)

invocavano gi

come prova

Come

la dedica

CI 2693

uno schiavo

229, 61. I

b.
a&\xoi.

/Spstov yjvai-

una schiava,

cos

sogliono adoprare la voce corpus particolarmente dov' pa-

appunto stanno perdendo

rola di uomini

non

liberi o che

Liv. Ili 56, 8

qui

libernm corpus in

postero die Ubera corporei dictator


cani in servorum etiam
rctoriae cerneretur.
(5)

<jr.

tempi del dominio persiano la

nelle iscrizioui greche e nei papiri

xsov indicano rispettivamente

Romani

ai

sul)

noxiorumque

servitniem

addixissei

corona rendidit
corporihus

amor

la libert
;

22,

Plin., paneg. 33
laudis et cupido

Molti esempi sono raccolti in Thes^ IV 1016.

L'elenco forse pi completo dei templi della Fortuna da lui

fondati dato da Plutarco {de fort. Foni. 322 f sgg.).

591

lo
aveva sollevato di basso grado. Ma gli
commentatori suppongono, credo con altrettanta

dea

che

stessi

ragione, che, nel

leggere

parole seguenti

le

vel superbos

ognuno venisse in mente il


vincitore di Pydna, L. Emilio PauUo, che perdette due
figli nel giorno del suo trionfo
non dunque un re, ma
un cittadino eminente di Roma repubblicana. Certo, lei
temono madri di re barbari e tiranni ravvolti nella porvertere fimeribus triumphos, a

pora
teri,

ma

del pari inalzano a

lei

mobili case

agli Sciti dalle

cuore

ansioso

del

preghiera popoli

la

dai pi civili ai selvaggi, dai

fieri

pari la supplicano con

contadino povero

il

in-

Latini ai Daci e

l'

avido

mercante.

Essa abbandona non soltanto i re, ma anche possenti


privati, che hanno usato dei suoi doni senza scrupoli e
senza discrezione.

Questa dea

si

anche, come mostra

carme, quella Fortuna che

suoi adoratori romani sfac-

cettavano in mille innumerevoli


ciascuno da un
puhlica

dea che

Fortuna

bona mala, dubia

uomini romani che


Tu)(Y],

gli antichi Greci, e

concezione

stabilis,

poeti

virilis,

dux redux,

Jnihis dici, perfino barbata e viscata,

nelle prime strofe essa la

una

muliebrs

spezza in tanti esseri quante sono

si

le famiglie, gli

rata

contrassegnati

aspetti

proprio. Fortuna

2)t'ivata, equestris,

respiciens brevis,
la

nome

seguito del

il

la

le genti,

vogliono per

s.

Ma

quale l'avevano vene-

con profondit maggiore

quale nell'era ellenistica

le

di

vidende

incredibilmente rapide e varie di privati e di regni ave-

vano

di

nuovo

rivelata al cuore degli uomini (1); la figura

enigmatica che dominava nella storia


nota a noi se non da frammenti
opere di Dionigi e

di

Uiodoro,

ora perduti hanno ritratto

(1)

Sulla

del KoiiDK,

fatti

concozioiie clhMiistica

Roman,

27()

sfjg.

di

ciuelT et

non

che domina ancora nelle


le quali

da quegli

e pensieri

iloUa T-r/r, cfr.

scritti

il

potere oc-

le

lidio pajjino

592

culto sul cui eternamente alteyio cozzare e accordarsi con


la forza del volere

merito,

1'

umano

disputa

pexr^,

dirittamente regolato, con

Plutarco, trattando del re

il

che,

mentre sembrava tener la dea pi che mai in pugno, fu


da lei colpito a tradimento, Alessandro, e della citt
nella quale essa ha ormai fermato il volo per sempre,

Roma.
ha voluto comporre un carme romano,
non pu essere infatti riduzione o traduzione di una poesia ellenistica. L'ode prende le mosse
da un antico culto latino; e accenna subito nella prima
strofa a un re e a un capitano romano che furono esempio
Certo, Orazio

e la sua

cospicuo del

potere della

Fortuna.

Non

saprei dire se

nello scrivere praeseis {l) vel imo tollere de gradii mortale

corpus Orazio

Ennio {ami.

sia

si

rammentato

di

un passo

312), imitato anche da Lucrezio

del

romano

(III 1035), in

il concetto, per
dir cos, complementare espresso
con parole simili: mortalem summtim Fortuna repente reddidit esumino regno ut famid infmus esset. Dall' un canto
il pensiero che la Fortuna fa scambiar posto alle cose pi
alte con le pi basse comune (2), perch implicito nella
concezione della dea e qual cosa pi sublime che un
re, quale
pi vile, per gli antichi, che un servo? Dall'altro mortalis per uomo, quantunque con sfumatura un

cui

(1) I
l'

commentatori

me

interpretano jraesens

= poiens,

ma

hanno

al-

perch Orazio ha scritto proprio praesens ?


non pare improbabile che egli qui incarnasse in quella parola

ingrosso ragione

concetto che

mano appunto
u'4jov

Yj

Greci esprimono

con

Ti'.qpavyg

A
il

liei di Mylasa chia-

una Fortuna, quella del re. Un snicpavi^;


non sorprenderebbe nessuno in un carme greco.
inno alla Tyche, scoperto in un papiro di Berlino,

ira.favyjg

xaTtcvov

(2) Cos uell'

abbiamo discorso a p. 169, si dice della dea Tu abbassi a


avvolgendolo di nubi, ci che splende in alto ed venerabile,
sollevi spesso in alto sulle tue ali ci che basso e vile.
di cui

terra,

593

e infimus coincidono nei

due carmi.

Ma

po' diversa

(1),

immagine

del rovesciamento della colonna che unica so-

stiene

il

nio, e

il

regno,

trovava, prima che in Orazio, in En-

si

poeta nuovo, pur

grandezza,

la

vuole, per

dipingendola con

cos dire,

citare

il

ben altra
poeta antico
:

Ennio {ann. 348) aveva cantato regni versatum summam


venere columnam
soggetto saranno stati
cives.
In Orazio la Fortuna stessa, rovesciando con un calcio la colonna, d il segnale della ribellione, mentre il
popolo, radunatosi in folla, incita
dubbiosi a impugnare
le armi (2j. Nel trasformare le immagini, Orazio ha avuto
forse rocchio alla tragedia greca, che spesso canta di un
movimento sdegnoso del piede con il quale una divinit
getta di un tratto in terra ci che sembrava pi solido
i

cos nell'Antigone (v. 1274)

il

dio percuote Creonte rove-

sciando la gioia e mettendosela sotto

piedi

-a:av

Concezioni italiche prevalgono ancor maggiormente,

pur intrecciandosi con

greche,

nelle

strofe,

seguenti

che pongono sott'occhio, quasi un rilievo, l'incedere, tra


mezzo alla Speranza e alla Fede, della Fortuna, preceduta dalla Necessit che sua schiava. Se la Fede (3)
modo con la Speranza in un passo

congiunta in qualche
di

che non

Teognide, essa,

fu, del

Greci se non quando prevalse nel

Roma,
(1)

st.ibilit
(2)
I

mondo

potenza di
con un particolare

qui dipinta alba velata panno,

morlule corpnx, conio inliMulo

/ninni hifimuH',

ma

mortatm

iji

adorata dai

resto,
la

in. coiritipuinlfrulihc

niimiintin

il

pititto.sio

moilalim preaniniiu'iji

l'in-

della sorti-.

Kimjiiccolisfc

il

concotto

chi, coni'

Kii:ssi,in(;-1Ii.i.\/k,

ri-

hianiandosi a nn altro passo di llnnio, dn' non ha nulla a che tare


Oli

quest'ode, intcndoL 'o/uHiHa di

rano- elio la folla rovesci,


(:<)

V. indietro,

i>.

.S.".

un

monumento

appena destatasi

.i

iui>rario

riliellione.

del so-

cio che allude a

594

Roma

del culto tributatole in

riti

in

un tempio sul Campidoglio a pochi passi da quello di


Giove (1). Se 'EXtt:''? e TO/v] sono come affratellate in un
proverbio greco, le due dee appaiono congiunte solo in
epigrafi latine
un altare della Tu/jj ejeTt'.;, come si
esprime Plutarco [de fort. Rom. 323A), sorgeva solo nel
Vicus Loncjus di Roma (2). Dal culto italico Orazio ha
ricevuto l'impulso a far della Speranza e della Fede le
;

compagne

Fortuna, che esse appaiono congiunte

della

una dedica

tutt'e tre solo in

di

Capua (CIL

Necessitas, la costruttrice dell'edificio pi

saldo

3775).
(3),

La

for-

nita da Orazio di arnesi dell'arte muraria, cunei e chiodi e

piombo

commentatori dicono italico il simil clavus


trabalis compare in un
proverbio romano citato da Cicerone (Verr. VI 53) e Petronio (cap. 75), e perch sur un sarcofago etrusco (4) la
Parca Atropo figge un chiodo nella testa del cinghiale
al di sopra del capo di Meleagro, certo per indicare che
con la caccia di Calydone il fato dell'eroe compiuto.
Ma la tragedia, e proprio la tragedia viene in mente a
chi legge quest'ode di Orazio, adopra la medesima imliquefatto

bolo del chiodo, perch

magine per esprimere


plici di

proposito, dice (v. 440)


y.aatv,

medesimo concetto. Nelle Sup-

il

Eschilo Pelasgo, per indicare la fermezza del suo


e di

nuovo pi

^(ey6\i-^(a-cai

WissowA,
WissowA,

p.

133 sgg.

(2)

p.

330

(3)

'Avxyxa e

Ty^ot.

(1)

axT.'foc.

sotto (944) twvos

aipspXatac vauu-

Cf)r,XwiaL

Topw?

y<^I^"

2.

sono

ideutiticate

uell'

inno

del

papiro di

Berliuo.
(4)

V. Kiessling-Heikzk ad III 24,

5.

Cfr.

auclie

intorno

al

chiodo che, ficcato nel muro del tempio volsiniense della dea Xortia
o di quello

romano

di Giove, chiude

126, 288, e in generale per


nell'Alta Italia e in

Koma

1'

anno o

il

secolo

Wissowa

"

numerosissimi chiodi trovati in tombe

GiiiuAUDiNr, Collezione Baratela, 147 sgg.

epos oia\i-Zy.c,

papxto;

[XV:v

595

il

chiodo passa da parte

mio proposito, sicch esso rimane ben


il nemico ficcando il chiodo in
una tavoletta di piombo; il Romano chiama la stessa
l'immagine era comune alle due lingue
azione defigere
e ai due popoli. Ma Necessitas non in quest'ode di
Orazio soltanto il fabbro dei fati, ma ha anche funzioni
di littore, o, per parlare pi modernamente, di boia.
Mentre il servo segue il padrone, essa precorre la Fortuna, come il littore va innanzi al magistrato romano
e il suo iincus non soltanto la grappa adoprata dal muratore per unire pietra a pietra (1): che l'epiteto di sevents, il quale, applicato a questa, non avrebbe senso^
a parte attraverso

fermo

al

Greco

Il

y.y.-xtl

conviene soltanto

al raffo, con cui il boia trascina per le


cadavere del delinquente giustiziato (2). Questa Necessit, ben distinta da quella di III 1, 14, la (^uale tutt'uno con la Morte e con la Parca (3), fonde in s, in-

vie

il

sieme con

1'

'Av-f/.-^

greca,

divinit vendicatrice. Per

la

Nemesi

qualche altra

retore, scarso di personalit

il

ma

appunto perci particolarmente atto a rappresentarci


pi in voga al suo tempo, che ha scritto quella
declamazione che ora figura sessantaquattresima tra le
opere di Dione da Prusa ( 8, II 149, 24 Arn.), la Fortuna
Nemesi e
insieme Nemesi, Speranza, Moira, Themis
Fortuna si vanno sempre pi confondendo nella religione
le idee

posteriore

Da

(4).

poich ha a sua disposizione

Orazio la Fortuna,

un esecutor

di

giustizia, concepita

vendicatrice, quale giustiziera.

La

essa stessa quale

scuola filosofica che

(1)

Cos intende p.

(2)

Kiksslixg-Hkinzk danno

Qi)

Tyclio e IClotlio sono identificato anello noli' inno di ISorlino.

(1)

PosxANSKi, ycmcsi

e.

1'

IIssani noi .suo coniniontt.

11)1(1

1'

interprctaziono giusta.

Atnmlcia,

't'2

iS-

Wi>^<>NVA, 1577 s^.

:m
moda

era di

vano

tempo, la Stoa, quale almeno l'avePanezio e Posidonio, non immaginava alsuo discepolo fedele, Polibio, narra (XXIIl

in quel

ridotta

trimenti.

Un

Filippo di Macedonia

sgg.) che air ultimo

10

la Tr/y,,

quasi esigesse da lui il fio dei molti delitti e delle molte


empiet commesse, invi p^vO; xxl zo^v; -/.al 7:j>o7xpo7:a(o'j;
di coloro che egli aveva fatto morire, e che questi spi-

tormentarono

riti

colpevole giorno e notte sino a morte,

il

uomini dovessero riconoscere che esiste


davvero un occhio della giustizia e che ninno pu tenerlo a vile. Polibio, mentre si ingegna qui di parlare
s

che

tutti gli

ma

poeticamente, cade nella retorica,


fatte

si

vede chiaramente che per

giustizia

immanente

attraverso

lui Tu/j^

ai fatti storici;

il

:{jiapjxvrj

egli l'avrebbe

della

in altre parole, della

necessit che per la Stoa insieme provvidenza

ed

le frasi

nome
:

-pvoia

chiamata, se avesse scritto un

compagni di credenze filosofiun pubblico largo (1).


non dissimile da Poin
modo
immagina
come
Orazio,
severo trattato per

un

che e non

suoi

libro di storia per

come

COSI avr pensato

libio,

lui

che

la F'ortuna giu-

Ma non necessario che egli in quest'ode, che non


ha nulla di filosofico, dipenda proprio dalla Stoa un frammento adespoto di tragedia, che, a giudicare dallo stile,
si direbbe appartenga all'et classica, forse al quinto secolo (fr. 505 N.), chiama Tuyy] colei che invigila eternasta.

(1)

dirige

il

Sulla credenza di Polibio a una forza da lui detta Tyjq, che

mondo

un

867 sgg., 899, 901 sgg.

fine,
:

v.

Hirzel,

Gi Crisippo, che concepiva altrimenti la


videnza

2G9, 13 Arn.)

(Il p.

Didymo 465

sgg. Diels).

tanto verbale

Untersuchungen su Cicero II

sulle sue relazioni con Panezio, v. p. 882 sgg.

La

Ty^yj, ideittitca

distinzione tra Polibio e Crisippo sol-

quegli chiama vj^y]

siiiapiJivyj

nifesta nella storia in forme che trascendono

degli viomini.

fato e prov-

cos in generale tutta la Stoa (v. Ario

in

quanto essa

intelligenza

si macomune


mente

597

sulle cose divine e sulle mortali, e distribuisce

ciascuno di noi la sua parte secondo ch'egli

si

merita.

Orazio pu aver letto della Fortuna giusta, oltre che nei


filosofi stoici;

di

esprimere

Pohbio

nei poeti.
il

tando modelli

si

suo pensiero in

sforza,

modo

non felicemente,

poetico, cio

imi-

poetici.

Si direbbe di nuovo concezione romana il fingere che


Fortuna abbandoni il palagio del potente immiserito
per accompagnarlo, seguita solo dalla Fides, nella sua
abitazione nuova che cos bisogner interpretare il passo
se non si vuole incappare in contraddizioni insopportabili. In che la Fides si distingue dal volgo infido e dalla
meretrice spergiura, in che dagli amici, che, per non subire il giogo dell'avversit insieme con il potente caduto,
come avevano con lui assaporato la gioia, si disperdono,
bevuta la tazza sino alla feccia, se non in questo, che
ella tien dietro all'infelice, dovunque egli si rechi ? Pure
essa non rifiuta di esser compagna della Fortuna. Dunque la Fortuna qui immaginata accompagnatrice costante dell'uomo in qualsiasi contingenza della vita. Questa non la T-j/y] dei poeti e dei filosofi greci, rettrice
la

capricciosa del

mondo

o vendicatrice giusta delle colpe,

ma

italica,

sorella, per cos

la divinit

dire,

del Genio,

che prende ogni volta un nome nuovo dalle famiglie o


dagli uomini a cui si accompagna, per seguirli nelle loro
vicende dal principio alla

fine, colei

che noi vediamo invo-

cata Crassiana, luveniana, Torquutiana e cos via da


miglie e da uomini

pii

insieme e ambiziosi

L'uomo che aveva adagiato


del sistema epicureo, colui
altari se

^l>

non

di rado,

WiSSOWA,

2()0.

lo

spirito

che non

si

fa-

(1).

nella certezza

avvicinava agli

non offriva se non con parsimonia

598

il costume e adempiere un dovere di


non gi ubbidendo a un impulso del cuore,

e solo per seguire


cittadino,

costretto a ripiegarsi su se stesso, a chiedersi se le fole

che aveva appreso da fanciullo, fossero, per quanto as-

aveva spesso ripetuto a se stesso, con


un sorriso altezzoso, la domanda di Lucrezio
Se Giove esiste, cur nunquam caelo iacit undique
puro luppiter in terras fiilmen sonitiisqiie profundit ? Giove
ha raccolto la sfida egli ha spinto ^;er jurum
questa
surde, vere. Egli
sulle labbra
:

parola

cita,

per cos dire,

Lucrezio cavalli

e carro alato,

e la terra ancora (1) ne trema sino nel pi profondo.

poeta
oggi

riflette

non

incredibile

che un dio esista


il

se lo sente portar via di testa

ha rapito a

volo,

capo; per quanto

si

diverte ora

berretto dei re orien-

niere,

la

Fortuna che
su un

a posarlo

glielo
altro

Orazio, poich ha ordinato egli

innanzi

11

come

prodigio, COSI ogni giorno la storia grida la sua

il

potenza; tale che aveva in capo


tali,

stesso

il

sue canzo-

non senza ragione avr collocato questa poesia


infatti
al carme di cui abbiamo parlato teste
:

praesens imo

tollere

de gradii mortale corpus par

quasi

ri-

motivo del berretto regio tolto a un capo ed


imposto di sorpresa a un altro. Pur tuttavia si sostenuto (2) che le due Fortune non siano identiche 1' una

pigliare

il

sarebbe la divinit ellenistica, protettrice

dei

sovrani e

dea romana, con poca medell'altra non


detto che sia provvista di penne. A questa seconda
differenza non conviene attribuire troppa importanza se
dei regni; l'altra sarebbe la

scolanza della Tuyr] greca. L'una alata

T'jyy]

non compare alata

(1) Il

nelle arti

figurate tranne nel

presente non cos scolorato come sembra a

Herm. XLVIII. 1913, 443.


(2; Jaeger, p. 448.

W. W. Jakger,

periodo pi tardo

dell'

impero, tale la dipingono poeti e

declamatori almeno dall'et ellenistica in gi.


ali

della

Le auree

Fortuna sono cantate da un poeta anonimo

(fr.

adesp. 139 Bergk), che, a giudicare dai ritmi, dattiloepitriti

che vogliono esser pindarici, e dalla lingua, la quale


con qualche inconseguenza il dorico della lirica

imita

non pi

corale, scrisse

tardi dell' et alessandrina. Nel-

l'inno del papiro di Berlino la dea solleva in alto sulle


ali

quanto

di

pi basso e di pi misero.

ali

alla

dea Plutarco nella declamazione intorno alla fortuna dei


Romani (p. 317 f sgg.), la dice volucris Petronio ( 120
V. 78). Forse per puro caso le rappresentanze antiche
giunte a noi non ce la mostrano pennuta: Frontone (f/e
or.

al

157 Nab.),

il

quale avr in mente una tradizione che

suo tempo durava forse gi da secoli, annovera

tra gli attributi pi consueti delle statue della

Orazio non

le

nomina

in Fortuna,

le ali

Fortuna

(1).

gratiim, forse soltanto

perch n egli n i lettori immaginavano mai la dea altrimenti: che altrove (III 29, 53) egli la rappresenta mentre celeres qtiatit

pennas e

si

libra a volo,

portando via

al

savio tutto ci che un giorno gli aveva concesso.

Se questa differenza di poco momento, l'altra si direbbe quasi non sussistere. Anche in I 35, come in I 34,
Orazio contempla la potenza della dea, pi che in qualsiasi altro specchio, nella storia
anche qui essa la
forza inaccessibile alla ragione umana, che presiede alle
vicende dei sovrani e dei regni. Poich l'unica strofa di
I 34, che ci mostra la dea, ce la presenta proprio tale,
possiamo pi facilmente scorgere in quest'ode che Orazio adotta un modo di concepire che ellenistico. Anche
Plutarco immagina, come Orazio, che essa porti in giro,
;

(1)

Lo U'stimonianzu

letterarie si trovann

dello .Jaojjer, cui solo sfuggito

l'

r.'iocolte

inno di IJerliuo.

iiell'

articolo

600

sulle ali da un popolo all'altro, il domimentre il poeta con il suo solito garbo
schiva di far della dea un facchino o una bestia da soma,
filosofo immagina l)izzarramente che essa porti in
il
giro addosso non la tiara, insegna del potere, ma addianche il popolo a cui essa dona di volta
rittura l'uomo
egli narra come Tr/r^, abbandonati
in volta la signoria
i
Persiani e gli Assiri, trascorsa in rapido volo la Mace-

trasportandolo
nio

soltanto,

scossosi presto di dosso

donia,

un

giro

essa

pili

Alessandro, abbia

per Egitto e Siria, portando con s regni


di

una volta abbia

qua ora

in l,

sembra,

il

Cartaginesi

fatto

come

sollevato, volgendosi ora in


;

come

infine abbia fermato,

volo in Roma, quivi abbia deposto

ali

e cal-

zari, qui per la prima volta sia discesa dalla palla infida

e volubile.

facendo

Petronio

allude

alla stessa

immaginazione,

dea che essa si comsua natura, trattenendosi troppo a lungo

rinfacciare da Dite alla

porti contro la

Romani. Un poeta o forse uno storico, ma pi


verisimilmente un poeta ellenistico, ha concepito per primo
questo volo della Fortuna, dea della storia, che passa
con il suo dono, il regno, di popolo in popolo. Ma, come
mostra l'inno di Berlino e il carme III 29 di Orazio, non
soltanto la Fortuna politica corredata di penne.
Per Orazio, come gi per gli Stoici, da Panezio in gi,
e per Polibio, come molto prima per il tragico anonimo
del quinto secolo, la Fortuna, lo abbiamo veduto dianzi
(p. 596), capricciosa e maligna solo in apparenza. Con

presso

tutto che essa

si

compiaccia

di levar via di sorpresa la

con tutto che essa (III 29, 49) sia saevo laeta neludum insolentem ludere pertinax, pure, come ritogliendo al savio quei beni esterni che gli ha concessi
non pi che in prestito, non gli nuoce, perch'egli si avvolge nella sua virt, cos anche nella storia essa opera
provvidenzialmente. Per ci appunto essa per gli Stoici
tiara,

gotio et

601

identica con Giove. Cleante nei versi conservati da Epit-

Zeus e

Fato a condurlo doche seguire


dovrebbe a ogni modo aye o
w ZeO. -/.al auy' fj HsTipw^xvY] oKoi TcoO-' ujxv sqjLL aaTxaY[Jivo; Qui, come mostrano
e il verbo al singolare e il concetto, Zeus e il Fato sono
considerati nomi diversi di un solo essere, che per un dio
personale non rimane spazio nel sistema stoico (1). Con
Zeus, cio con la ragione comune del mondo , Crisippo (li 269, 13) identifica con chiare parole Fede e
Provvidenza, le due forze cio che per lo storico Polibio sono tutt'uno con la T'j/yj Gli Stoici posteriori, come
sogliono, ripetono, mutandole di poco, le parole del caposcuola
quel pensiero si ritrova tale e quale in un
frammento del consigliere filosofico di Augusto (465, 1
Diels). Seneca svolge eloquentemente lo stesso concetto,
nominando per non soltanto il Fato ma nroprio la P"'ortuna egli spende due capitoli, il settimo e l'ottavo del
quarto libro de benefciis, a dimostrare che natura e fato
e Giove e Libero e Mercurio ed Ercole sono tutti nomi
di un essere solo. Quid alind est natura, chiede egli, quam

teto {man. 53) esortava

vunque volesse:

seguirebbe

li

il

volentieri,

jjl',

deus

et

divina ratio

seguita: quotiens

toti

voles,

nostrarum eompellare,

Tonantem

voca, fatum,

fortunam

rie utenfis
il

la

tibi licet aliter

r*

lame auctorem rerum

lovem illum Optimum ac Maximum


sic nunc
e poco sotto
naturam

omnia eiusdem

sua potestafe

suo Giove con

portibusque eins inserta

et

dices et

rite

mando

(2).

dei

nomina sunt vaanche Orazio

Identifica forse

Fortuna?

forse

il

tuonare a

oiel

sereno solo un'espressione convenzionale per imlicare


potere misterioso che

T-V/rj

esercita

sullo cose

triiilucinido iiuci
(1) A buon dritto Seneca,
ha soppresso ITeTipwtJivyj.
(2) Lo Jiiger, che ha raccolto questi ])assi,

quello di Crisippo.

umano

versi iiell'opisf

si

il

107,

lasciato st'uujiire

Il

parcua deoriun cultor

et

60->

infrerjuenS)

mondo grande

e ter-

del miracolo lo induce a

riflet-

ripensa a quanto avviene in questo


ril)ile.

La contemplazione

scosso dal prodigio,

tere sul mistero delle cose

umane, suggerendogli che su

domina un qualche cosa che, perch sottratto ai


umano, pare ostile, sembra prendersi beffa di noi. Questo qualcosa egli lo chiama Fortuna, come T'j/Y] lo aveva chiamato Polibio. Jam valet
tutto

calcoli dell' intelletto

ima summis mutare

et

insignem attenuai

deus ohscura pro-

non pu esser riferita che a Giove^


poich la Fortuna non stata ancora nominata; quei
versi rendono del resto, com' noto, un passo del proemio
delle Opere e Giorni, famigliare probabilmente anche al
^sta ' p-'^r^^ov
lettore romano
Esiodo aveva scritto
7nens

la parola deus

Ma

questo stesso potere era attribuito dai poeti

sofeggianti non pi a Zeus


di Berlino,

con

[lv u'ic'^af^

axt'.ovj,

cosi

l'

filo-

inno

y,oC:

fondono

poich

parole che,

con altre prese dallo splen-

dall'altezza

tolte

dore, ricordano ancor pi

Fortuna

alla

che nella sua forma presente posteriore a

Orazio, invoca la dea

immagini

ma

il

poeta romano
yv

a[xv.... uV^piza; Tiotl

'-paOXa y.x\ xaTTSiv.... s:;

vi'^o;

u']>o;

che Esiodo

ix-^'.b-r,y,y.[>.h[oc

^iti^ocQ

11

pub-

romano, leggendo Orazio, non poteva sorprendersi di


trovar subito dopo nominato non pi Giove ma la Fortuna,^ perch sapeva che Giove e Fortuna sono nomi diversi di un ente solo, il d-zlov. Il Pseudo-Dione proprio
da quei versi esiodei argomenta (II p. 150 Arn.) che
Zeus e Tyche sono una sola cosa (1).
blico

(1)

Lo

Jiiger

role seguenti,

malamente

xaTs^w

[jlv

cita toOto

apa

mostrano che

costruzione, glossema, sia pur sensato


stesso.

f,v

Zau;,

Tuxy,
:

il

r,

T'jyy,

le

pa-

poich interrompe la

senso generale rimane

1(


La

603

libazione della villanella ai Lari (III 23).

purch tu non

Phidyle,

dimentichi

di inalzare

ai

Lari la preghiera ogni volta che la luna nuova, pur-

ch tu bruci

in loro

sacrifichi tutt'al pi

campo

onore incenso,

una

offri loro le

primizie,

scrofa, guastatrice dei colti,

il

non soffriranno danni. I buoi


sono riservati alle cerimonie dei pontefici da te gli di
del poderuccio, piccoli com' piccolo questo, non aspettano
ecatombi di pecore adulte, ma si contentano che tu cotuo

e le tue greggi

roni le loro statuette di

porta solo che una

desta

di

mano

un innocente,

rosmarino e mirto. A loro impura tocchi Tara l'offerta mo:

farro e grani

riesce ai

di sale,

Penati pi accetta che vittime sontuose offerte da


che essi disdegnano .

Secondo

interpreti

gli

quest'odicina

tale

rispecchierebbe

pi fedelmente di ogni altra costumanze e religione ro-

mana. In

molto

quest' osservazione

rappresenta qui

le

veramente

suo tempo.

al

di

Orazio

vero.

pratiche devote dei contadini, com'erano


I

delle plebi agricole italiche,

Lari sono divinit


alle

proprie

quah non corrisponde

nulla di simile nella religione greca (1); e alle


(1)

tini

Al Lar famiUaris deirAuliilaria e del Triuummo

corrispondeva negli esemplari greci un r^pw:, un

piccole

(v. 39) plau-

y,ptus

il

nome

a una commedia di Monandro. Ma il Lare non nella casa di citt


ve lo hauuo poru originario u genuino (Wissowa, Rei., 1(38)
:

tato

servi

campagna ad aumentare la fnmiia urlmna a


man mano clie nei padroni cresceva con 1' agia-

venuti

di

pese della rustica,


tezza

anche

il

bisogno di

in citt

comodit.. Glie sia cos,

sono celebrate

non ha in citt,
campagna segua

clie
1'

io

le feste

altrt'.

vede dal luogo


:

il

dove

compUum

sappia, alcuu valore giuridico, mentr'esso

in

come costumi

intorsera/iouo

legge italica esigevano, corrono


tnitandola dallo

si

maggiori dei Lari

di'i

tutt'

viu/^J, che,

intorno a una propriet,

dcii-


statue di
i

giori, e

che sorgevano nei crocicchi

esse,

campestri^

campi attigui avranno ripreghiera con maggior fiducia che a di magperci appunto pi lontani dall'anima loro come

proprietari e

volto la

()(j4

lavoratori dei

ancor oggi

contadini pregano, con pi effusione di cuore

che nelle chiese, dinanzi ai tabernacoli della Madonna,


alle maest , che hanno sostituito i sacelli dei Lari

campagna. Phidyle compie lo stesso


che con quelle stesse forme in quello stesso giorno
molte altre figlie di agricoltori celebrano. La legge saai

canti delle vie di

rito

crale,

che permette solo

mente con
crifici, non

in

lui
si

padre

di

famiglia

applica al culto dei Lari.

religione degli umili

Un

al

e,

sua vece, alla matrona di

ciascuno ha

il

La

congiuntaoffrire sa-

religione loro

diritto di suppli-

non certo proclive ad assegnare troppo


posto nel culto anche domestico a servi, Catone, concedeva, anzi imponeva a una donna di condizione servile,
la vilUca o fattora, di onorare
Lari; come mai quest'eccezione, se non era radicata negli usi ? Nel de agrcultura
( 43) al severo divieto rem divinam ne faciat neve mandet qui pr eo faciat, iniussu domini aut doninae, dove
iniussu si dovr intendere senz'ordine espresso , dopo
una frase che ribadisce ancora la proibizione, dicendo
chiaro che anche dinanzi agli di conta solo il padrone,
scito dominum pr tota fumilia rem divinam facere, segue
carli.

antico,

kalendis, idibus, nonis, festus dies ciim erit, coronam in

cum

fo-

indat per eosdemque dies Lari fayniliari pr copia siip-

plicet.

Le Calende sono appunto, originariamente, il nopoich Tibullo, come Orazio, menziona solo una

vilunio

indurremo che solo il


Calende era considerato di stretta osservanza e indispensabile. Forse proprio alla ragazza di casa
se non vogliamo accettare
era affidato il culto dei Lari

unica festa mensile dei Lari, ne


sacrificio delle

senz'eccezioni

testimonianza del Lare plautino {Aid,

605

professa grato delle libagioni quotidiane

23

sgg.),

di

incenso e vino, delle corone offertegli dalla

che

si

quale

nandro, nel

Tibullo

stico,

10,

(I

che accompagna
di

si

il

Medome-

pu render qui un passo

famiglia, perch Plauto

di

parlava del culto dell'eroe

22 sgg.)

la figlia piccola

mostra

ci

di

figlia

padre, mentre questi porta all'idoLetto

legno una focaccia, segno

animo grato per un

di

fa-

vore ricevuto.

Anche
suo

nelle

interprete

Phidyle o meglio il
agli usi. Plauto (1)

piccola

offerte la

Orazio

conforma

si

{AuL 23, 385; Trin. 39), Tibullo (I 3, 34), Giovenale (XII 89)
mostrano concordi che ai Lari si solevano appunto offrire
incensi e corone di fiori. Lo stesso Tibullo in un altro
passo

spighe

10, 22) parla proprio di serti di

(I

nale altrove (IX 137),

La consuetudine
qualvolta

le

di

offerte

che delle corone,

oltre

consacrare

ai

Giove-

farro.

di

un porco, ogni-

Lari

incruente sembrassero

insufTicienti,

ricordata da Orazio, oltre che in questo luogo, in uno

Sermoni

dei

(II 3,

solito, Tibullo.

impinzati

1G5)

si

accorda con

Per Properzio (IV

1,

lui,

secondo

crocicchi, cio la sede del culto dei Lari, era

consuetudine della prisca

Roma. Di

maiali vi

essere nell' Italia antica grande allevamento, se

erano

Un
manda
che
(I

personaggio del liudens plautino


di far preparativi

egli

1,

vittima pi consueta nel culto privato

la

ha gi

per

il

il

(v.

(1)

La

la

suini

1206 sgg.) co-

porci, gli agnelli. Tibullo

ai

Lari un vi-

modestia della propria condiziono che

cui testinioiiiaiiza

lia

valore per

confortata da quella di altri autori.


(2)

(2).

lusso del suo avo, che per la

salvezza di innumerevoli giovenchi offriva

con

dovette

sacrificio ai Lares familiare^i,

in pronto, oltre

19 sgg.) confronta

tello,

il

23) lustrare con porci

WissowA,

;.'</.,

111.

gli

usi roiuani,

solo

non

.st>


gli

permette

()06

un agnello

d sacrificar loro pi di

doveva essere rara eccezione

dell'avo

(1).

due passi aiutano a intendere pi precisamente


terza e quarta dell'odicina oraziana.

che pascola tra querci ed

La

quella

Questi

ultimi

le strofe

vittima consacrata,

nevoso o cresce su
non una pecora, ma V hostia maxima, il bue. Solo di un bue si pu ve pontifciim
securis cervice tinguet, che n buoi n pontefici hanno nulla
per

elei sull'Algido

prati dei colli Albani,

a che fare con

il

culto domestico dei Lari. Tutta la strofa

terza significa: Nutrir mandrie di buoi conviene ai pon-

non a

tefici,

ma

blici,

te,

che non hai obbligo


tenerti buoni

devi solo

strofa seguente,

te

di

pub-

sacrifici

Nella

tuoi Lari .

multa caede biden-

nihil attinet temptare

tium, parvos coronantem marino rore deosque fragilique mjrto,

alcuni interpreti intendono bidentium in generale di vit-

time adulte secondo

il

valore originario dell'espressione,


(2), e non
come pure solevano adoprare
non eruditi e poeti. Quest'in-

noto ancora agli antiquari romani di quell'et

propriamente

di

quella parola

pecore,
prosatori

terpretazione erronea

Lari non
e agnelli

sessore di
lui

si
;

dai testi citati

si

ricava che ai

solevano sacrificare altre vittime che porci

l'offerta di

un

vitello indica per Tibullo

innumerevoli mandrie

il

pos-

di buoi, vale a dire,

per

una singolarissima eccezione. Orazio non pu quindi

parlar qui di altro bestiame che d'ovino, che sacrificare


ai

sarebbe stata una stranezza. Il poeta inAi pontefici allevare armenti di buoi per i sa-

Lari buoi

tende

(1)

Forse solo iu un caso

po' maggiore. Cicerone

si

sacrificava

{de leg. II .55)

ai

Lari uua vittima

pare prescrivere

un.

al padre, di

famiglia di scannar montoni ai Lari per ribenedire la casa contami-

nata da nna morte


(2)

Le

ma

il

passo non chiarissimo.

loro disquisizioni intorno all'uso di questa jiarola

vano raccolte da Gellio (XVI

6);

il

si

tro-

capitoletto messo a ruba dagli

autori delle compilazioni erudite posteriori.


orifizi offerti

da

607

popolo romano

essi per la salute del

che hai obblighi solo verso

te,

buon numero anche soltanto

di

tuoi Lari, scannare

pecore adulte

per

un

sarebbe

gi troppo; basta un'agnella, e un'agnella sola.

Ogni particolare delle consuetudini ritratte si attaglia


bene a contadini italici, quali veramente essi erano. E
probabile che a lettori raffinati, che vivevano in citt e
non avevano molta pratica di usi rustici, questo carme
facesse lo stesso effetto che a noi
recci di

Giovanni Pascoli

volutt

come

poemetti

certi

che anch'essi

rapire a volo e tufTare in

si

una

neppur sospettata, che tuttavia per virt

ville-

sentissero con
vita da loro

dell'

intuizione

destata in essi dal poeta riconoscevano reale. Pure que-

prende le mosse, li riprofondamente,


animato
specchia fedelmente e li risente
da un sentimento che, piuttosto che italico, originariamente greco, pur convenendo bene a uomini che, senza
sto carme,

il

quale da usi

italici

cessare di essere Romani, avevano accolto in s lo


rito

spi-

greco ed ellenistico di umanit.

La

religione

romana considera

le relazioni

con

gli di

alla stessa stregua che quelle tra uomo e uomo, come


rapporti giuridici. Il iiis divinum, nettamente distinto dalin et storica, si svolto parallelamente a esso,
per opera della stessa magistratura a cui erano affidate
anche le norme fondamentali di quello, affinch con-

l'umano

sigliasse

nei

casi

dubbi,

Chi profferisce

pontefici.

un

voto, stipula un contratto, obbligandosi a dare un determinato oggetto al dio, (qualora questo a sua volta adempia certe condizioni. Stipula in certo
il

magistrato

per

il

dola,

il

bene della
s'

modo un

contratto

quale offre alla divinit la propria


patria, sese devocet

impegna a procacciar

la

il

vita

nume, aceettan-

vittoria

al

popolo

ro-

mano. Del pari, il console, che, prima di dare l'assalto a


una citt assediata, evoca da essa gli di, garantisce loro-

culto pubblico in

Roma

608

in

contraccambio della loro riche fino allora essi

nunzia alla venerazione del popolo

avevano

protetto, nella citt in cui

domicilio.

che un contratto

sentimento interno dei contraenti,

male

Livio

giuridico.

dell'atto

ma

(I

Numa,
con

Un

stabil

quali

importa non

il

la perfezione for-

20, 5)

stesso re che primo ordin le istituzioni

avevano

fino allora

sia valido,

che

narra

umane

di

lo

Roma,

da quali magistrati e con quali vittime


formule

dovessero essere onorati

una preghiera

voto nullo,

infruttifera,

di

gli

se

certe

parole non sono pronunziate in un ordine determinato e

accompagnate dai gesti prescritti, cos come nel diritto


romano la forma pi antica del contratto, la stipulazione,
non valida, se non sono profferite le formule solenni,
se non eseguito dalle parti un piccolo mimo simbolico.
La coscienza comune dei Romani non ha mai, pare,
trasceso questo

concetto della religione, quanto chiaro,

altrettanto ristretto e utilitario.

Le

intenzioni^ la dispo-

animo, l'altezza morale di chi sacrifica o sup-

sizione di

non hanno valore alcuno per gli di di Roma. Un


contemporaneo di Orazio, Tibullo, proibisce (li 1, 11 sgg.)
di intervenire al sacrifcio a chiunque non sia casto, perch casta placent superis, ma la castit, checch asseriplica,

scano interpreti benevoli, intesa q^ui in senso affatto


poich l'atto sessuale, comunque compiuto,
materiale
:

contamina, escluso dal


notte precedente concesse
indossi abiti puliti o

non

si

rito
le

colui a cui

sue gioie,

sia lavato

Venere

nella

non
mani prima

al pari di chi

bene

le

di toccar l'ara.
Il

culto

romano apprese

dalla civilt greca a

sfog-

giare lusso. Nei tempi ultimi della Repubblica e ancor pi

durante

l'

Impero

le

confraternite antiche,

non pi paghe

delle hosfae soUemnes prescritte dalla legge sacra del sodalizio,

che parevano meschine

non osando cambiare

alle

ricchezze aumentate,

gli statuti venerabili

per l'antichit

G09

consacrata dalla religione, aggiungevano a quelle tradizionali altre vittime,

non

ma
Roma

neppure vietate

richieste

dal rituale, hostiae honorariae. In


timi tempi della Repubblica

filosofi,

soltanto negli ul-

asserendo che la

di-

bada alle intenzioni e all'animo di chi offre, non


numero delle vittime ne alla sontuosit del sacrificio,
raccomandano semplicit anche nel culto. La religione
non diviene di formale intima, se non assai lentamente,

vinit
al

Impero. Altrimenti in Grecia, Polibio (VI 56,


6 sgg.) ammira la Efjioxtixovia romana, perch atta a ribadire nelle menti della plebe insieme con il timore de-

durante

l'

ma

tempo d a divedere
strano compiere
trovavano
greci
contemporanei
suoi

alla ragion di stato,

-che

leggi morali, e conforme quindi

r efficacia delle

gli di

nello stesso

con tanto scrupolo pratiche esterne;

tai5at[xov:a

gi per

Greci della fine del quarto secolo indica superstizione bacchettona, e, come mostra un Carattere di Teofrasto, coni

siderata difetto ridicolo.

popoli primitivi, avranno


utilitario

come

come tutti
modo cosi
Omero applicano

Greci pi antichi,

inteso la religione in

Romani. Gli

eroi di

senz'ambagi all'attitudine loro verso gli di il do ut des:


Nestore dice chiaro nell' Iliade (1 497 sgg.) che questi,

come
si

gli

uomini, perdonano qualunque

fallo,

quando

quantit sufficiente di incenso e vittime

plachi con

li

appunto quei versi movevano a sdegno Platone {Rep. 3G5 e). I Greci poterono romper presto le pastoie di questa concezione cosi bassamente commerciale,
perch essa non si era, come in Roma, cristallizzata nelle
formule rigide di un sistema giuridico. Verso la fine del
secoli dopo,

<luinto secolo
gli

Ateniesi

chezza delle
(1)

migliori, cent'anni pi tardi tutti


almeno
sapevano che gli di non badano alla ricofferte, ma all'animo di chi cifre (l). Seno-

Nel raccoj>licro

4U IlAKUV ScHMiDT,
'

lcli(jionsgech.

39

Ver,

testi

veteri'n
it.

mi

iia

reso si-rvigii)

philonophi (iiiotmxo

'onirl),,

IV

!).

il

lavoro accurato

iii(}ic(trrrin(

<lr

prtciltiit

Old

fedelmente che non soglia,

fonte riproduce forse pi

pensiero di Socrate, l dove (Meni.


egli,

3) gli fa dire

I 3,

povero, sacrificando povere offerte, non

punto da meno dei ricchi

il

che

sentiva

si

quali offrivano vittime molte

non ritraendo profitto dagli uni


sacrifici pi che dagli altri, tengono pure in maggior
conto quelli dei buoni
che se non fosse cos, la vita
non varrebbe la pena di esser vissuta. Un bigotto non
tocco da alcun soffio di modernit, com' tratteggiato
l'Euthyphron del dialogo platonico, non confessa se non
e grandi

poich

gli di,

a malincuore e stretto dalle domande

come scienza

crate che la santit,

pregare, un'arte commerciale (14

incalzanti di So-

del sacrificare e
e)

del

un giureconsulto

romano, e i Romani colti dell'et repubblicana erano


tutti buoni conoscitori del diritto, la scienza nazionale,
non avrebbe esitato un momento a far sua quella defiche Euthyphron non si attenta a pronunziare,
evidentemente proprio perch essa urta la coscienza dei
contemporanei di Platone giovane. Testimonianze di un
contemporaneo pi vecchio di Socrate mostrano che quel
sentimento cominciava gi nel quinto secolo a impadronizione,

nirsi di

uomini

di

scrive
{)"jYj.

(fr.

946)

rjYx.3^v:

animo

ma non

giori problemi,
:

sj

l'av)-'

awtrjp-'ac

fine e preoccupati si dei

oxav

Euripide

x:? 0a,3)v d"'rQ O-eoT;.

y.av {xr/px

di

sappilo bene,

crifica agli di, ottiene salvezza,

mag-

professione.

filosofi

quando un

pio sa-

ancorch piccolo

sia

il

vedo spesso i poveri essere assai


pi saggi dei ricchi, e gente che sacrifica agli di piccole vittime operar pi puramente di quelli che scannano
buoi . Il concetto divenne ben presto triviale, se lo ripete perfino un poeta comico della prima met del quarto
secolo, Antifane (fr. 164). In forma molto pi ardita lo
esprime quello che fra tutti i grandi del IV secolo fu
forse il pi restio ad accettare novit, almeno per quanto
sacrificio.

altrove: Io


riguarda

il

611

pensiero puro (che in politica egli fu un

in-

un profeta)
Isocrate non si perit {ad
Nicocl. 20) di avvertire un principe ciprio, di un paese
cio il quale apparteneva solo a mezzo alla civilt greca,
che, per quanto sia dovere del sovrano rendere culto
agli di secondo le tradizioni dei padri, nessun sacrificio
riesce loro altrettanto accetto quanto una vita giusta e
novatore, anzi

buona.

Non

so se alcun altro tra gli antichi, tranne Pla-

tone, concepisse

la

religione in

modo

altrettanto spiri-

tuale.

Sarebbe

errato

credere che, perch

blica riponeva ormai la devozione

giudicava dal fasto delle

offerte,

cuore

nel
il

l'opinione pub-

non

la

culto pubblico sce-

masse di magnificenza le descrizioni di feste ellenistiche, che leggiamo in Ateneo, farebbero piuttosto pensare
:

il

contrario.

Non

r.oyj^z iii'^i'j/fov

senza ragione Teofrasto nel libro -tp\

faceva propaganda

(1)

perch

il

culto uf-

da concedere anche al
pi povero di parteciparvi senza n disagio n vergogna. Ma nel mondo greco dalla fine del quarto secolo
divenisse pi semplice,

ficiale

in poi la religione di stato

tanza, mentre ne

si

scema sempre pi

va man mano acquistando

la

d'

impor-

devozione

prettamente personale.
Il

concetto nuovo e pi profondo della preghiera, del

sacrifizio, della religione in

mente

strada nell'animo

cenni della repubblica.

primo

genere

romano

si

va facendo lenta-

soltanto negli ultimi de-

Quello stesso Cicerone, che nel

libro del de natura

deorum

(I

suo Cotta, filosofo academico come

116) fa
lui,

ripetere

antiquate

al

defi-

pedantescamente giuridiche della santit e della


piet, introduce nel secondo libro lo stoico Balbo a
esporre (II 71) che il culto migliore e pi casto e pi

nizioni

^,(l)^F,RXAYS, Theophraxtos'

Schrift iibcr Fromini(ikiif, TI.

612

santo e pi pieno di piet consiste nel venerare gli di


con sempre pura, integra, incorrotta mente e voce. Nel
de ler/ibus (II 19) Cicerone comincia il codice che egli,
sul modello dei Njjloo platonici, compose parte a parte
per

Roma

caste,

rinnovellata in suo pensiero


opes amovenfo

pietatem adhibento,

ad

divos adeunto

commentando

(II 24 sgg.)
singoli articoli, spiega che per
deve intendere qui prevalentemente, per quanto
non esclusivamente, una qualit morale che a Dio (notate bene, a Dio, non agli di) accetta la probit dell'offerente, inviso il fasto, perch egli non pu non volere
aperta a tutti la via che mena a lui. Ma dubbio, se
queste massime cos elevate trovassero immediata risonanza negli animi alcuni decenni dopo, un coetaneo di
Orazio, Tibullo, intende ancora la castit sacrale nel vecchio senso, come sopra abbiamo veduto. Orazio, anche
per il concetto ch'egli ha del sacrifcio, appartiene ai pionieri della religione nuova.
Ovidio, pi giovane del resto di una generazione,
scrive in una delle lettere poetiche composte nel suo esinec quae de parvo pauper dls lilio pontico (IV 8, 39)
bai acerra, tura minus grandi quam data lance valent. Forse
la sventura e la solitudine avevano reso pi profondo un
uomo di sua natura piuttosto leggero. Ancora qualche

pi itmanzi
castit

si

decennio dopo,

filosofi e

poeti filosofi paiono lottare con-

un pubblico indifferente alle idee nuove e non sollecito se non di donar molto agli di. Persio finisce la
satira seconda cosi: compositum ius fasque animo sanctosque
tro

recessus

cedo ut

mentis

et

admoveam

incocttim

religiosi simt,

(I

6, 3)

honesto

haec

Seneca scrive

itaqiie boni

etiam farre ac

templis, et farre litabo.

nell'opera sui benefici


fitilla

generoso pectus

mali rursus non

effiigiunt

quamvis aras sanguine inulto cruentaverint.,


se scrivendo del farro l'uno o l'altro

impietatem,

diffcile

abbia avuto

in

dire,

mente


il

613

passo oraziano o non piuttosto

ricordasse di una sin-

si

golare dottrina di antiquari neopitagoreggianti, secondo


la quale

Romani

di altri sacrifici

Abbiamo

pi antichi non avrebbero offerto agli

che incruenti

(1).

come

sin qui ragionato

se

ultima strofa

1'

cesse chiaramente che gli di accettano pi volentieri

modesta dell'innocente che

ferta

il

indegni. L' interpretazione di essa

ma

versa,

nis arani

senso generale pare a

il

si

tetigit

sacrificio

costruisca (2)

1'

me

blandior hostia

apodosi (che intenderla non

modo

solo),

l'

di

immu-

chiaro. In

manus, non siimptuosa

fondo, se non in un

fastoso

a dir vero, contro-

mollivit aversos penatis farre pio et saliente mica,


si

di-

l'of-

comunque
si

pu, in

immunis della protasi

dovr essere spiegato innocente con Porfirione e la magquantunque quest'accezione non


si trovi, a quanto sembra, in testi classici. Chi si ostina
a intendere senza doni, costretto a immaginare che
Orazio chiami senza doni una mano nell' atto stesso
che mette in rilievo com'essa faccia doni sia pure di poco
gior parte dei moderni,

valore.
3.

V inno

alV anfora

(III 21).

Negli ultimi anni quest'ode stata interpretata con

buon

frutto

corto per

il

da studiosi eminenti. Il Norden (3) si acprimo che Orazio scherza (pii con le formule

(1) I iJassi (le^fli


(2)

antiquari sono iiidicati dal \Visst)\vA.

La pi ragionevole mi

soiubra

struzione proposta dal Rasi (Rend

aram

si

tetigit

manus {non 8umi)tnona

penatiti fan-C pio et nalienlc mii-a,

che Orazio abbia ficcato

in

Tivon,

1 III

Ini.

1'

Lomh.

% 4U)'-.

/i'(7.

interpunzione e co190i^, i^Ol)

btinilior IioiIk

Hobbone riesca

.'),

mollirii

diticile

immunis
(ircrsos

innnajjinare

ima sola strofa una durezza sintattica

un' irregolarit ritmica o prosodica.


(3) Jfjnostos

d.

ancora

sgg.

i'

014

molti nomi
molte virt,
davvero una divinit, come
avevano fatto in epigrammi prima di lui Posidippo (A P
V 134) e un anonimo (AP V 135) e, a un dipresso negli
stessi anni di Orazio o poco dopo. Marco Argentario (AP VI
248, IX 229, 240). L'Ussani (1), esaminando l'interpretazione del Norden e accettandola nella parte pi sostanziale, ha osservato, e con ragione, che, per quanto l'ode
della

celebrando

liturgia,

le

dell'anfora, quasi essa fosse

parodia degli inni sacri

sia festevole (2), considerarla

andar troppo in l. Orazio, come riconosceva nell' estasi


il dono
ora provvidenziale, ora funesto di un dio, cos

doveva scorgere nel vino una forza irrazionale


dente, divina

e trascen-

quindi nel senso unico nel quale uno spi-

poteva ammettere e concepire

rito cos orientato

come non

vinit; ne era per lui corpo vile,

suno degli antichi,

vaso

il

zione era formato della

fttile,

stessa

che secondo

di-

la tradi-

uomo, per
vaso fittile che un

materia che

opera dello stesso fabbro, Prometeo

la

era per nes-

il

1'

da Aristofane nelle Vespe, personifica per farlo contendere con una donna; che persino
Paolo nella lettera ai Romani non disdegna appaiare con
apologo

sibaritico, narrato

l'uomo.
Il

Norden e

1'

Ussani hanno detto tutto quello che era


carme. Tuttavia

necessario per gustare questo

s'ingann su un particolare

condo
attinto

lui (p.

147) Orazio,

stico: Kt'/.^oK'.

me

come

(1) Eiv.

egli

non

epigramma
di fil.,

XLII

la cui

avrebbe

cio, se

scrive nel primo dixuLy.a

By.x/o'j. ^av"

devo arrischiarmi a

grazia consiste solo in espres-

1914, 35 sgg.

Questo non intender negare neppure l'Ussani,


si

primo

Posidippo; quest'opi-

Xyuvc -q'joocjov

opoai^aO-d) aujjijSotxrj TipTCoj:;

tradurre un

gli altri poeti,

di

errata. Posidippo

f/avc

il

qualche importanza. Se-

motivo all'epigramma

il

nione pare a

(2)

di

esprima cliiaramente.

quantunque

audaci e in giuochi di parole

sioni
pio,

61,3

il

bevanda per

rugiada la

condo

piovi,

liquore rugiadoso di Bacco, piovilo


brindisi

il

vaso cecro-

stilli

comune

gi qual

(1).

Il

se-

da parte per un giorno la


filosofia e a pensare solo all'amore. In quest'epigramma
la iagoena personificata solo in quanto le si rivolge la
parola, che chiamar piemontese o magari, in poesia,
subalpina una bottiglia di Barolo, non ancora un
distico

divinizzarla

incita a lasciar

imitazione

stile liturgico si

di

pu riscon-

trare al pi nell'anafora del fxvs, pur cos modesta, e nel-

due parole dello stesso ceppo,

l'uso studiato di

non
e
canta l'una dopo

come

del vaso,

zione

tutte

l'altra

-oX'jZ'^o'^o:;,

L'epigramma adespoto, invece,

in altro.

opoai^s-jd-a'.,

qualit, tutte le virt

le

fa Orazio, le canta

di predicati nominali,

in

lunga enumera-

come Orazio non pu

vietandoglielo la natura della lingua latina, aliena da

ma come

fare,
tali

Marco in due almeno (VI 248,


IX 229) dei tre epigrammi. Ne mancano somiglianze particolari tra questi due epigrammi e quelli dell'anonimo:
se sar incontro fortuito l' insistere che fa Marco, come
composizioni,

fa

l'anonimo, sul collo lungo del


esso poteva
pensiero,

suggerire a
potr

si

meno

ambedue scherzino

vaso, poich la forma di

ciascuno dei

due poeti questo

facilmente attribuire al caso che

in pari

modo

sul gorgoglio del vino,

che fa ressa per uscire dalla bocca stretta della /a(7o<?nrt


uyp'^QoYY^ scrive Marco nell'un epigramma (VI 248), eAaXs nell'altro (TX 229), l'anonimo con pi evidenza aTsivo)
;

'^\)-z'(Yj\i.hr^

in

a-:|jiaxc.

IX

All' Yj-jYcAoj; di

questo corrisponde

il

anche il carme di Orazio ricorda


qualche particolare proprio l'epigramma adespoto: come

7tj>r/jYa);

(1)

di

229.

ooii^oXi>tV) npTCoGig

il

hrimlisi di cui ciascuno

assumo un'aliquota di spese per suo conto, dun<|Ui',


di osteria, una bicchierata alla romana.

tlei

in jicri^o

convitati

moderno

OIC)

--

quello congiunge Libero, Venere,

invoca

la

Che

ikpciT]?.

lagoena Bxyo'j xal


in

le

Grazie, cosi questo

^fcuaso)"/ laprj y.ip'. xal

Orazio Muse e Grazie

si

Kj-

alternano, noto

tutti.

Chi avr letto con attenzione queste poche osservazioni,

stato

converr facilmente che Posidippo, nonch essere


modello di Orazio, non pu aver ispirato ne il suo

il

carme ne gli altri epigrammi. Ma taluno potrebbe facilmente pensare, parendo l'adespoto, come d'arte pi pei fetta, cos pi antico di Marco, di rimediare all'errore del
Norden, supponendo che solo per caso quell'epigramma,
un giorno famoso, sia giunto a noi privo del nome dell'autore, e che esso sia modello comune di Orazio e di

Marco

(1).

Pure non cosi l'epigramma dell' anonimo,


chiedendo come mai il vaso sia bagnato,
bevitore secco, secco, mentre il bevitore ba:

poich finisce

mentre

il

gnato, scherza frivolmente; Orazio parla sul serio o quasi,

sebbene in tono festoso. L'ignoto descrive, evidentemente


con l'intenzione di suscitare il riso, le qualit esterne del
vaso Orazio celebra con certo calore la virt che l'anfora, ossia il vino, esercita sui cuori umani. Nell'anonimo
non sono tracce di quell'anafora del tu, che d l'impronta dell'inno all'ode oraziana. La parentela dei due
;

pi lontana che non paia a prima giunta, e non quella

che unisce padre e figlio. Ambedue


le mosse da un carme perdute.

le

poesie prendono

Solo supponendo una fonte comune, appunto questo

carme,

si

spiegano bene

tra l'ode oraziana e

le

somiglianze che intercedono

un epigramma

del console

Macedonio

chiesto egli stesso se l'epigramma


(1) Il Norden deve essersi
anonimo non fosse la fonte comune, perch ammette che esso, contenendo i predicati nominali della liturgia, i quali mancano in Posidippo, doveva esser noto all'Argentario ma egli non ha saputo ri;

nunziare

al

nome

celebre.

()17

sfuggito al Norden. Orazio scrive nella quinta strofa

spem reducis mentibus anxiis, virlsque


peri, post te

che

ncque trementi

et

recjuni apices

tu

addis cornua pan-

neque miiium arma',

vino aiuti

il povero a superare le timidezze a lui


che esso infonda coraggio, non detto nello
epigramma adespoto. Ma questi due motivi
e di essi almeno uno, il primo, tutt'altro che volgare
ritornano
del pari nella poesia del console bizantino. Questo (AP
XI 63) comincia vcps; oiai |JijJir/.V -v'ixovo; opy-^c By/z./oj.

il

consuete,

eXticciv rjjicpiowv

le

ranze che

grappoli infondono

succinta tale e quale

voi

poeta annunzia

segue

cratere,
TZOLio:

aav

KavaaTpatoi;

|i.:X'./ov

a combattere,

se

dele o

fulmini, poich

pavido

Bromlo infonde

esatta tra quel post


lare, e l'aOti/.a.

duto,

non ha,

te

-tjv

i^sr,"

r,v

r^oxhv
il

oO

distico, in cui

ce

-pojJito

c'/wv

fanciulli Canastrei ,
il

mare

ho l'audacia fiduciosa, che


Si

dal

iVx7-

i^-pao;

Tap|iiv',-ou

osservi

la

crul'im-

corrispondenza

oraziano, a prima vista cos singo-

L'epigrammatico, attingendo

si

ma

Auxxfcj

7.p7]tf^px

Giganti, ne temo

vi-

cratere di Lieo, son pronto

voglia, con

come sembra, con

dopo un

f [isipoco

-/sj^auvo-j;.

tu

le spe-

bere non dalla coppa,

subito dopo bevuto

BpoiJLiou:

cio,

'

[jtpvajjia'..

oxc.

che avete a cura

povert con

Quest' in forma pi

pauperi.

di voler

aO-;'xa

la

spem reducis mentibus anxiis,

tu

cormia

risque et addis
il

-cv'r;;

xr//

'^':hy.zt

opere del mite Bacco, cacciate

al

carme

per-

direbbe, fatto altro che omettere la prima

parte, l'invocazione,

e,

come

sogliono gli imitatori, cari-

care un po' le tinte, fingendo un bevitore che accosti

labbra al cratere invece che alla coppa e facendogli

dare non
di

potenti della terra,

ma

Giganti e

il

le

sfi-

fulmine

Zeus.

probabile che Marco abbia avuto presente non sol-

tanto l'anonimo,

mostrare

certe

ma

carme perduto, come paiono


coincidenze con Orazio, che non hanno
anche

il


riscontro nell'anoniino
seii

()18

Orazio scrive nella prima strofa

(1).

tu quefellaa sive fjeris iocos

seri

rixam

et

insanos amores

seii

somnum. L'Argentario chiama (VI 248)


la acjoena jx-jar. cptXo-jvtwv ^j'.'jxr^. ma V accordo pu esser
qui fortuito. Un poco pi conclusivo mi paro un altro
riscontro
come Orazio nell'elogiare l'anfora non esclude
che essa porti ai convitati non solo ardite facezie, iocos,
ma anche liti, rixam, cos l'Argentario in quello dei tre
epigrammi che del resto si allontana di pi dal solito
tipo (IX 246), finge che il vino scorra dai fianchi squarciati della lar/oena, e soggiunge
f// 5 '^Dm;,
zt:: io: y.x:
facllem, pia

testa,

axw|JLnaTa -'jy.v

cio,

p'j,3o:.

corsero

si

frizzi,

xa: to; i; xpwv Y'vjievo;

T-j-e-'ar, (2)

d-i-

molto quando tu fosti colpita, e fitti


e molto tumulto suscitarono i commen-

rise

effetti non desiderabili del vino non avr tacarme smarrito. Se da esso e dall'anonimo dipendano due epigrammi di Filippo (IX 232 e 247), non
considerati neppur questi dal Norden, difficile dire

Di

sali .

ciuto

il

in

ambedue

detto

ixzX-'.yr^o'j;,

cjXaXo; e
aiiiatc

parla

vaso

il

nello stesso

'x(p-^^o\'-(o;

dall'

nel primo

dall'

collo dell'anfora

il

modo come

Argentario o

anonimo. Pi importa

che

vaso detto

il

a-eivf zd-fC(oiihr^

finzione

la

del

carme, secondo la quale, anche spezzata, l'anfora serve


lap

una
anonimo

sostenendo

Dioniso

Xt.-^:

dell'

dall'ultimo distico:
9poupo)|Xv Tj.axK

(1) Il

lo

nutro

che richiamato

vov r/w-p^ofisv;

7j

svolgere

davvero

r,

io

La

B/./ou

orecchio

YSpy.v

ma

iu

cos alte-

IX 229

sfi^s usviyj; ppa/jjou|j.?oXs [luaii.

correzione, per

yxp

sono sem-

vecchio lo custodisco fedelmente,


due epigrammi provano a ogni

non oserei trarne conseguenze

^hiama la lagoena av

il

all'

Xa-piotxsv

motivo della povert torna anche in Marco,

rato e scolorito che

(2)

pare

zoi Bpo\i'.ct)

odz'.

pre ministro di Bromio

giovane

vite,

T'jTr{a/,g

del codice,

mi

iiar certa.

egli


modo che

619

la personificazione

dell'anfora era motivo an-

Norden non credesse.


del
presente libro, dopo quello che
Il lettore docile
abbiamo ragionato a p. 141 sgg., non dubiter un momento che la poesia perduta fosse piuttosto un carme
lirico che un epigramma
un epigramma non poteva conche pi diffuso che

il

tenere tutti quei motivi che, confrontando tra loro le poesie dei

posteriori,

bra spettare

siamo

Quanto

fonte comune.

alla

questo carme esso sem-

periodo alessandrino.

al

ad attribuire

indotti

stati

all'et di

L' uso libero, anzi

forme dell'uso liturgico convien bene al


terzo secolo, all'et di Callimaco, il quale nell'inno ad Artemide osa profondere a piene mani celie sulla ghiottoneria di Heracle, su Hermes groom dell' Olimpo, che si spalma
irriverente, delle

il

volto di cenere per metter paura alle bimbe degli di,

ogniqualvolta queste non ubbidiscono

spavento
Ciclopi.

antica

fanciullesco che

lirica.

Bacchilide

l'estasi dell'

ebbro

l'ode oraziana:

riscalda

di

quando

allo

20 Bl.-Suess)
ci

la

cuore, e la

motivi svolti gi dalla


in

un carme

giunto intero, descrive

con parole che possono

il

(fr.

non

mamme,

alle

Ninfe provano a vedere

Quel carme faceva tesoro

bellissimo, che purtroppo

scossi

le

rammentare

dolce violenza dei calici

speranza

Venere pene-

di

tra l'animo, mescolata ai doni di Dioniso, e in alto essa

solleva

gono

pensieri degli uomini e scioglie

le citt,

e ogni

uomo

e di avorio

scintillano le sale

portano per

il

mare

veli

crede che diverr re


;

che
;

e navi cariche di

cin-

di oro

grano

brillante ricchezze innumerevoli sin

tali pensieri agitano il cuore di chi beve.


Venere e Libero sono appaiati anche qui il
povero sogna ricchezze, rumile si crede pari ai re; ma
diversa la forma nella (luale ciascuno di questi motivi
appare, diverso il loro accoppiamento
mancano sovratutto quelle particolarit che danno all'inno il suo stampo,

dall'Egitto:

Anche

qui


manca

(luoireleiiiciiLo,

sfi

non

evidente anclie nel canne


far dell'anfora

Il

mecum

nata

Non

ziano.

CrlO

di

di

burla, di scherzo, che

Orazio.

una coetanea

del poeta, l'invocarla

consnle Manlio h invenzione di

ragione di credere che

v'

stampo orapoeta

il

greco

parlasse del sonno e che chiamasse confidenzialmente

vaso
si

coccio pio . Orazio,

pu

dire, tutti gli

uomini

debole
di

di nervi,

nata e ansiosa, avr spesso cercato invano


poesia ha un tal fascino di intimit quale
forse

aut facilem, pia

meno

certo molto pi grave e

la

festa,

Ma

verso pi originale del carme.

il

sonno.

raffi-

La

sua

greca non

somnum

tutta l'ode

non

frivola che

il

erano,

pensiero della sua et


il

possiede in pari misura

come

fosse

l'ori-

ginale.
fO

Non

LA FILOSOFIA.

ogni parenesi filosofia

tare dell'ora,

l'

l'

esortazione a profit-

ammonimento a non dimenticare che

si

vive per breve tempo e una volta sola, sono, quanto ovvi,

ben pi antichi della filosofia.


Siamo nati una
(fr. 204)
dovremo non
volte
non
dato
nascer
due

sola,
volta
e
esser pi per tutta l'eternit. Pur tu che non sei padrone
del domani, rimandi il godimento la vita di tutti si conaltrettanto

antichi, cio

Epicuro, vero, ha insegnato

suma neir
tempo
awva

indugio, e ciascuno di noi

Y^T*^'''^!-'--'^

iirf/.ix' eivai'

yjxXpov Se tvxwv

aTra^,

ab

51?

oOx

zr^Q a'Jp'wOV o'jy.

^l'o; |jiXXrja|X(y)

muore senza trovar

'ox:

wv

^(Z'isx^'y.'.-

zi xbv

x'jpio: va^Si/.r,

TzapaT^XX'jxat, xal

el? sxacrxo;

Ma il filosofo non fa qui


non dar forma pi concisa e pi arguta, pi atta quindi
a rimaner fissa nella memoria, pi propria dell' insegna-

f^|ji)v

axcXo'jpLSVo; Kod-rrpxti (1).

se

(1)

Nel dare

il

testo

ho tenuto conto delle ottime lezioni fornite

dal Gnomologio Vaticano {JViener Stiidien,

1888, 192, 14).

mi

mento catechistico, a massime che, chiuse in proverbi,


sonavano da secoli e secoH sulle labbra del popolo, e
che invano altre filosofie avevano cercato di sbandire
dalle menti e dai cuori.

Molti

secoli

prima

di

Epicuro

un poeta non certo impegolato in studi astratti, Alceo,


aveva cantato, come abbiam veduto pi indietro (p. 80 sgg.),
che la morte, per quanti sforzi uno faccia, inevitabile, e
che quindi pi savio godersi la vita senza star troppo
a pensarci su. Poich esortazioni di questa fatta prendono
nella lirica oraziana

faremo
segue

per lo pi attuali e romani,

colori

brevemente parola nel breve capitolo che

di esse

presente nel nostro

al

Anche

libro.

che di sentenzioso
rimane nella raccolta dei canni non tutto filosofico in
ugual grado. Per le considerazioni esposte pi sopra
(p.

detratte queste poesie, quel

201 sgg.)

credo fermamente che Orazio abbia rice-

io

a comporre carmi

vuto r impulso

diatribe in prosa

da quei

[xilt]

ellenistici,

la scoperta di

una cer4a idea

ma

e versi,

che erano perduti per noi sinch

Cercida non
;

io

ha consentito
reputo probabile, per non

che molti poeti del periodo


esso,

abbiano composto

della

jxsair^;.

ctiiis

vives, Il 10.

composti

ci

ellenistico,

interi

come Orazio

Ma

filosofici non solo da


anche da poesia pi alta,

farcene

di

dire certo,

nessuno prima di

carmi per cantare

fa nell'ode a Licinio

le

lodi

Murena, i?e-

pensieri che in essa sono raccolti e

in equilibrio di

forme grazie

cinnit che contrassegna la lirica del

all'

accurata con-

nostro, liamio

ri-

scontro ciascuno in uno o pi poeti e prosatori di tempo

ha posto per primo la mediet tra due


fondamento di un sistema scientifico di

diverso. Aristotele

eccessi opposti a

morale,

prima

ma

di lui

la

sapienza popolare dei Greci gi da molto

celebrava la misura. Sarebbe

tare le innumerevoli
jxTpov 3cpca-ov dei

forme nelle quali

il

superfiuo ci[ir^sv

ayav e

il

Sette Savi, di Pittaco e di Cleobulo, com-


paiono nei poeti gnomici;
12, o distici teognidei

zviojv

yasTiv,

cumulare

ptaxo:

pi esposto

ai

trito

0'

mare

di

colpi

(1).

trivialit dette

u^piv E^s'

epigramma (X

Che

malva,

ma sa

strofa,

vai la
si

il

gi

51).

[JLEy^'axac

r^

Sp'jag

volte

mille

|jl7-

^^

-'^*jxv x'.v-jvo'jc

7Z7.'(Z'.y,

saepius

ventis agitatur

capello in

r^

le

"/^[i-a

xa-

giunco n

la

Tiaxvouc olZz

il

un

|j.a/7]v

querce e

platani pi

Quel che nel carme oraziano tien dietro alla terza


non n pi originale ne pi caratteristico. Non
pena di analizzare un carme intessuto di massime
ritrovano in tutti i tempi e in tutti i generi della
(2).

Pi interessanti sono per noi


rivela epicureo

parola

stancata di ri-

si

meno che a

bene gettare a terra

letteratura antica

si

alto,

motivo e immagine
Erodoto e nei tragici ne

vento non rovescia mai

xY:v:

alti .

chi pi sta in

122) del solito Lucilio: oO ^p-jov. oO

lc o

umana

un mediocrissimo epigramma

finisce

ingens pinus corrisponde poco

7io~.

Poco giova ac-

fortuna,

di

anonimo dell'Antologia (X

ve|i(;

y^v -j-cstv

[ir,v

confronto della vita

il

yp apcatov, keI x% ^v icxpa

e.o-/jxxoc

a,jcrv

pc-y^v, 7;/x

vfl-prTifov

epigrammatica pi recente

petere queste

che

401)

(v.

'^'(\x7.'jv/

ritrova a ogni passo in

la poesia

zriQ

K'jpv',

molti passi di tragedia che elogiano la giusta

Non meno

con un viaggio
si

ayav a-cOe'.v

(v. 335) nr^v

^'.:,

anche come

7.at{/; 'Til Tta'.v

che

-ojx aaaiv piata di Focilide

importante perch mediet e virt sono gi quasi

identificate,

misura.

il

come

apiaxa xal o'jko;

|jit'

{}2

ancor

non soltanto

pi quelli nei quali

s'intrecciano con dottrine e

analizzando queste poesie

si

il

poeta

volgare della

pensieri

della Stoa

massime del Giardino. Solo


pu forse giungere a deter-

(1)

Molti esempi u ha raccolti

(2)

noi moderni parr

carmi in cui

nel senso

Gerhard,

PtoinLc, 98 sgg.

strano che appunto quest' ode e forse

soltanto questa sia imitata nella poesia greca

v. sopra p. 205.

(523

che misura Orazio avesse l'orecchio aperto a


di altre scuole oltre che della sua. E a questo compito noi non vogliamo qui sottrarci, sebbene crediamo lecito dichiarare con tutta sincerit che per molte
ragioni lo studio dei carrai pi schiettamente gnomici di

minare

in

insegnamenti

Orazio non

ci

invoglia gran che. Io credo di poter con-

vergogna che questa


oraziana morta per

fessare senza

e soltanto questa parte

della lirica

me

tempi nei quali

poeti classici erano ridotti a servire alla puerizia e alla

adolescenza quale specchio

vanno man mano

di virt, si

le massime verseggiate, che i nostri nonni


avevano imparato a memoria docilmente da ragazzi, che

allontanando

ancora nella pi tarda vecchiaia ritenevano e recitavano

non richiesti a noi fanciulli con ardore di cui


non sapevamo renderci conto, non dicono pi nulla ai
nostri cuori. Ne si pu dire che il sottentrato interesse

richiesti e

storico o scientifico,

comunque lo si voglia chiamare, supmancanza di simpatia cordiale

plisca in questo caso la

speranza vana
203
sgg). Pure saper le
(p.
premmo volentieri come Orazio conciliasse in s la Stoa
con Epicuro; ma le odi, se vogliamo essere sinceri con
noi stessi, non ce lo dicono. Uno Stoico, e, nonostante gli
accomodamenti che la vita impone a chiunque non ri-

Ricostruire

modelli

di

Orazio, sarebbe

ragioni esposte disopra

nunzi a primeggiare nella societ e nello

Stoico

stato,

quantunque non della pi stretta osservanza (1),.


vSeneca, adempiendo pur da lontano l'ufficio scabroso di
direttore di coscienza verso un suo amico convertito di
sincero,

fresco alla Stoa,

(1)

chiude

ciascuna

delle

prime

solido buon senso romano ej?li ai prendo liuoco (t'/ijsf.


jjlo Nessun male
un sillogismo paradossale di Zenone
morto gloriosa dunque la morto non male del pari

Con

82, 9) di
rioso

Lucilio,

la

in ep. 83, 9.

">

{JM

trenta lettere, quelle appunto nelle (juali ha inaf^f^ior

guardo
per

presa da Epicuro o

neca stesso

accorge una

si

volta

citare gli avversari, piuttosto che

meravigliare

dubbio da
est

tamen

una gnome
da Epicurei. Se-

debolezze del suo allievo, con

alle

pi essa

lo

ri-

non

che
i

questo continuo

propri,

non pu non

ma

insospettire Lucilio,

scioglie

stesso proposto, osservando (ep. 8, 8)

lui

qufire

tu istas Epicurl voces putes

esse,

il

quid

non pu-

blicas? qiam inulta (1) pnetae dicunt, quae pJiilosopliis a ut


dieta sunt aut dicenda!

capita

s talvolta^

ma

Seneca ha messo il dito sulla piaga:


quanto di rado! che una sentenza

coniata in tempi ellenistici o pi tardi riveli


filosofiche dell'autore.

Le

le

opinioni

scuole discordavano quanto ai

fondamenti metafsici, quanto alla fisica, quanto


ma, smussate presto
rio supremo dell' operare
;

al critedall' at-

con la vita certe asprezze paradossali, non pi tollerabili dal momento che quelle dottrine avevano incominciato a far proseliti anche tra uomini che non erano
trito

disposti a rinunziare al
cetti

mondo per

divenire

filosofi,

desimi in
]p pi

di

pre-

Chi ha voluto
filosofi di

morale erano divenuti suppergi


metutte le scuole le distinzioni erano ormai per
nomenclatura: nominihus, non rebus dissidehant.

spiccioli di

ricercare

queir et

si

come

le

opinioni

correnti tra

rispecchiassero in Orazio, ricorso,

ed ha avuto ragione, piuttosto


in cui Orazio ragiona, che non

ai

Sermoni e

alle Odi.

alle Epistole,

Nell'ultimo tren-

tennio lo studio della diatriba cinico-stoica, cio della


filosofia

al'

(1)

hanno

popolare ellenistica, stato in gran voga, anche


multa ha scritto tra

codici,

ma

il

le

righe uua

mano

recente in L: multi

confronto con quel che segue qiianfitm

discrtin-

simornm verstuim inter mimos iacet! quam multa PuhliUL... coturuafis


dicenda sunt mostra che, poich la determinazione di quantit si riferisce,

com' del resto naturale,

congettura

giusta.

alle

massime, non

ai testimoni,

la


perch spogliare
loro patrimonio

625

testi di moralisti per

comune,

immagini, esempi,

il

mettere insieme

il

corredo tradizionale di precetti,

lavoro

pi

noioso,

ma

certo pi

non indagare il sistema di un pensatore


degno di questo nome. Poich i dotti che hanno compiuto
quest'opera tutti con diligenza, molti anche con senno e
discrezione encomiabili, avevano famigliare Orazio per
professione, insegnanti com'erano quasi tutti, le Satire e
le Epistole sono state messe a profitto assiduamente. Ma
agevole

che

per lo pi in questi lavoi'i lo studio di Orazio era mezzo,

non

Da

fine.

ultimo uno studioso valentissimo di Epicuro

Roberto Philippson,

e degli Epicurei,

ha esaminato

di

proposito in un articolo ingegnoso e utile l'attitudine di

Orazio rispetto alla

Pure a me sembra che

vita.

troppo sul

continua

con

filosofa (1) nei vari periodi della

pii

serio,

sua

prenda Orazio un poco

egli

che tenda troppo a vedere

evoluzione

dove un lettore comune scorgerebbe, forse


ragione, un oscillare senza conseguenze gravi tra
l

opinioni che possono parere tutte altrettanto ragionevoli,

uno non le riconduce


fondamento sistematico. Il Philippson, quantunque con maggior discrezione di altri che non ha ne il
suo ingegno n il suo gusto, pare dimentichi qua e l un
tutte altrettanto accettabili, finche
al loro

po' troppo

Hullius
I

che

la professione

add ictus

risultati

oraziana tutta negativa

iiirare in verba magistri.

insomma mediocri

delle ricerche

compiute

intorno alla filosofia delle Satire e delle Epistole non in-

vogliano a

estenderle

reno, e pochissimo
di conclusivo.

Le

si

alle

potrebbe

brevi analisi

seguono, sono pubblicate da

(1)

Uova:' Sti-Uinuj zur

tclni-djiniiiiisiiim

40

hi

Odi

15)11.

solido

il

ter-

scoprire di nuovo, poco

due carmi, che qui

di

ine, pii

l'iiilosopltir^

Moftthhinii,

meno

in

che

altro, j)pr isgra-

Fcslsrhri/I dis Kiniins

Vil-

626

perch esse, non foss' altro, mostrano


certe immagini che possono parere
epicuree, siano patrimonio comune di molte scuole, dalvio

(li

coscienza,

dall'una parte

l'altra

che,

come

come massime che a prima giunta sembrano

stoi-

trovino riscontro in Epicuro. Qui, pi che altrove,

mi sono studiato

di

essere quanto pi breve potevo, per-

ch l'argomento mi pare

minor conto che quello dei

di

paragrafi precedenti.
1.

// biasimo della cupidigia (Il 2).

L'argento non riluce finch sotterra: solo l'uso


moderato gli d lustro ben lo sai tu, Crispo Sallustio,
proprietario di miniere e uomo liberale. L'animo paterno
verso i fratelli assicura a Proculeio eterna fama . Mentre la lingua di quest'ode, come abbiamo avuto occasione
di osservare (p. 209), popolare, mentre lo stile da diatriba, il motivo delle prime due strofe sembra derivare
da antica lirica. I commentatori citano per lo pi il passo
di Bacchilide (III 13), nel quale la folla chiama tre volte
beato ierone, perch non ha involto di tenebra, come di
nero manto, la ricchezza accumulata
ben a ragione,
purch non presumano di riconoscere proprio in questo
passo il modello delle due strofe oraziane. Bacchilide
non congiunge la liberalit con la fama altrimenti Teocrito in quelle poesie nelle quali segue pi da vicino la
:

tradizione, negli encomi.

che giova chiede egli nel-

r'Ipwv (v. 22 sgg.) r innumerevole oro chiuso in casa?

Conviene saperlo spendere, e in ispecie onorare i santi


delle Muse, affinch tu abbia fama di buono,
giacerai nell'Orco, e non pianga senza
quando
anche
gloria in riva al freddo Acheronte, come un miserello che
abbia le palme incallite dalla marra . Qui la larghezza
ministri

mi

intende in ispecie di doni fatti ai poeti non diversamente nel Tolemeo, dove (v. 106 sgg.) si loda il re, perch non versa V oro inutile nella pingue casa, corno
s'

ricchezza di formiche eternamente faticanti

Dove

na-

scondono le formiche i tesori raccolti se non sotterra ?


Segue, dopo pochi versi in cui si accenna alle varie
specie di liberalit con parole similissime a quelle del
N venne durante il sacro
passo citato dell' Hierone
agone di Dioniso alcun uomo ben esperto nell' inalzare
r acuto canto, al quale egli, il re, non concedesse dono
degno dell'arte. E ministri delle Muse lodano Tolemeo
in contraccambio del beneficio
qual sorte migliore pu
avere il ricco che acquistar fama tra gli uomini? Questa resta agli Atridi: le molte migliaia che impadronitisi della
grande casa di Priamo, tesoreggiarono, sono avvolte dalle
tenebre, l donde non dato tornare
Ma che Orazio
dipenda qui da Teocrito, altrettanto poco probabile
quanto che riproduca Bacchilide. Anche Pindaro non
si stanca mai di congiungere 5a-zva e fama
cos nella
sesta Istmia (v. 10 sgg.) dice beato un uomo, se, go:

dendo della spesa e della fatica, esercita divine virt, e


a un tempo la sorte fa germogliare in lui amabile gloria (1). Gli antichi poeti corali non potevano per lo
pi esaltare altro merito

personale dei loro nobili

alle-

vatori di cavalli che la spesa assunta e sostenuta di

buon

grado e senza piccinerie. Ma il poeta cavaliere, che canta


il vanto estremo di un mondo che sta per isparire, mentre vede diventare sempre pi possente una borghesia
arricchita, cui certo fasto deve necessariamente parere
inutile e condannabile, apprezza la liberalit, la cortesia >, anzi la loda virt precipua anche in signori che,
come Hierone, per ben altre ragioni erano benemeriti

(1)

Cfr. aiicho

/,s//(i.

tlT.

64N

della nazione greca. Cosi la prima Pitica esorta verso la

90 sgg.) il signore di Siracusa a non i)adare a


spese, pur di conseguire la gloria.
Quel motivo, quanto dill'uso nell'antica poesia, altrettanto poco consentaneo , chi ben guardi, alle dottrine
di Epicuro. Il banditore del xtli ,j'.:;7.; non poteva far
gran conto della gloria, e infatti sappiamo di lui che egli
fine (v.

metteva

in ridicolo

(fr.

559, 560) le gesta dei grandi ca-

pitani ateniesi Temistocle e Milziade

che chiedeva con

meraviglia come mai Epaminonda avesse preferito

pas-

seggiare per mezzo Peloponneso, piuttosto che restarsene


a casa con in capo la berretta da notte.
gloria

non

La stima

della

discorda invece dagli insegnamenti degli Stoici,

tranne forse

pi rigidi

a stare a quello che

Diogene

Laerzio (VII 106) asserisce in genere per tutta la scuola,


la S^a era per essa un Tpor^yiisvov, cio tal cosa che, senz'essere bene, conviene
/in. Ili

17, 57)

bilonia

preferire

ad

altre.

Cicerone

informa che, se Crisippo e Diogene

che per

sostenevano

di

{de

Ba-

non vai
a meno che da essa

ottener

l'

tZol'.y.

neppure la pena di alzare un dito,


posteriori, costretti dalla polemica
non sgorghi utilit
concessero
che essa praeposita et sumenda,
di Cameade,
cio -porjYjAvov, per s medesima. Cicerone rileva che sOczz'.y. significa piuttosto buona fama che gloria, e la medesima distinzione si dovr probabilmente applicare anche alla il% di Diogene. Ma gli scolari romani della Stoa
andavano ancora un passo oltre sino a pregiare il giuSeneca {ep.
dizio, nonch dei contemporanei, dei posteri
93, 5) dice beato chi, pur morendo presto, ad posteros
usque transUuit et se in memoriam dedit. Pu venir fatto
;

a prima giunta di pensare che la retorica abbia qui preso


la

mano

alla filosofia

ma non

cosi

come ricaviamo

da un altro luogo dell'epistolario (102, 3), egli aveva scritto


una lettera ora perduta per provare che la chiarezza ot-

629

tenuta dopo la morte un bene, claritatem quae post mortem coniingit, bonum esse: la claritas la lode non di tutti

come

la gloria,

ma

dei buoni (102, 17). Alle parole tra-

scritte

va innanzi

que

riprodurre e di sostenere

Un

di

; Seneca sa dununa massima stoica (1).

id qiiod nostris placet

poeta stoico avrebbe potuto accettare la responsabi-

lit

di quella strofa oraziana,

un epicureo

no.

Nella terza stanza Orazio passa dalla lode della liberalit al

biasimo della cupidigia non contenuta:

avidum domando spiritum qiiam


iungas

et

uterque Poenus serviat

maginoso,

di indicare la

ricco per

il

civis

il

vano posseduti Anyto

Roma non

Fin dal tempo

di

Roma

come

attuale

non

quest'et

chi pos-

nel quarto secolo ne ave-

Demostene, ma il grande proprie mai stata citt industriale (2).

tario di terreni.

in

ricchezza romano e

nohilis di

sieda fabbriche e opifici,

latius regnes

Lihgam remotis Gadihus


uni. Il modo, pur cos imsi

Cesare investimento

mobile

di capitale

e in Italia era permesso soltanto a quei

sena-

che potessero dimostrare di avere in propriet terreno italico di valore maggiore (3). Gli antichi

tori o cavalieri

legislatori,

come ancor oggi

molti Italiani delle provincie

mosembrava
loro
campata
in aria. Ci non toglie
bile, che
che molti anche in quel tempo arricchissero prestando a
interesse (4). Quanto all' immagine,
commentatori so-

meridionali, diffidavano istintivamente della ricchezza

gliono citare

il

vanto

di

niungere agellis Siciliam

(1)

Solo

j^li

stoici

sto pulito pili severi

(Itl

Trimalcione (cap. 48)

volo, ut

cum Africam

nunc

co-

lihuerit ire, per

seconilo .secolo ridivengono audio su ipu-

l'asceta coronato

Marco Aurelio (IV

19-L'O, ;>o)

considera inane, nonch la gloria, la buona stima dei contemporanei.

(2)

Bklocii, Zdtschrifl

(3)

Lo prove sono raccolto da M()MMsi;n,

J'iir

.")9.").

{{)

.M(iM.M<i:\,

\'

t)Il

si,'^-.

Socialwim<enncutJ't,

II,

1899,

Goiumiiii

Itr

24.
Schrflni,

meos

fines

6:}()

navigem. Queste parole servono qui a caratte-

rizzare la vanagloria insolente del pitocco rilatto,

ma quel-

r immagino usata dai filosofi popolareggianti anche


dove non mirano al ridicolo. Seneca {ep. 89, 20) apostrofa

non

ricconi, ai quali qualsivoglia ricchezza poco, se

abbiano

cinto

fattore (e intender

l'Adriatico e

l'

mari

un

dei loro

Ionio e l'Egeo

latifundiis vestris

latifondi, se

maria

quoque panini

ioc

vilicus recpiat.

La

oltre
nisi

est,

Hadriam

cinxistis, nisi trans

nium Aegaenmque vester


in tal maniera che non

loro

il

non regni

fattore schiavo)

lo-

et

frase rigirata

pu supporre che Seneca si


Declamazioni vane ? Ma
proprio dei paesi nominati, di alcuni almeno, noto da
altre fonti che erano terra di latifondo. Tanto Orazio
quanto Petronio parlano dell'Africa: la met dell'Africa
proconsolare, se Plinio {n. h. XVIII 35) non esagera, sasi

sia ricordato del passo oraziano.

rebbe stata divisa tra

Solo grandi capi-

sei proprietari.

potevano o esercitar

che non davvero profcua, se non quando uno possieda molti armenti

talisti

la pastorizia,

molti pascoli, o dissodare

era

stato

l'

impero

di

d'altronde, in principio dell'

nuova

terra

Cartagine

Impero

vi

quello che

in

infatti,

come

si

sa

erano nella proil sovrano

vincia Africa due sole categorie di proprietari,


e

poche famiglie senatorie

(1).

Seneca accenna all'Oriente:

nell'Asia Minore lo stato romano, sottentrato ai re e re-

immense quantit di tercome noto, a ricche

goli spodestati nella propriet di

reno coltivabile,

lo

aveva

affittato,

e possenti societ di publicani.


dizioni

mutano almeno

in parte

Da
:

la

Cesare in poi
"/wpa

man mano venduta ma chi poteva comprarla


grandi capitalisti ? E grandi capitalisti avevano
;

vestito denari col,

(1)

KoSTOWZEW,

non soltanto prendendo

Koloiai, 31b<, 320.

le

^aaiXcxr,

se

con-

vien

non

gi in-

in afftto dallo

631

ma comprandone da citt e da privati, come


mostrano parecchi passi delle lettere e delle orazioni ciceroniane. Augusto possiede nella pianura sardiana grandissime tenute, che prima erano forse state di Antonio
ma poco probabile che i magnati del periodo pi re-

stato terreni,

cente della repubblica siano stati in qualsiasi


imperatori

dagli

destati

Tacito sa di

proprietari di latifondi nell'Asia Minore

modo

privati

spo-

romani

Le condizioni
meno semplici,

(1).

della propriet agraria paiono in Egitto

abbondano per quella provincia

forse soltanto perch

documenti che scarseggiano per le altre ma papiri parlano anche col chiaramente di grandi proprietari romani
i

nomi

dei

grandi

poderi, o complessi di

parte dai nomi di

ricavati in gran

cJ7;ai,

poderi,

detti

membri

delle

famighe imperiali dei Giulii e dei Claudii o di senatori


e cavalieri che ebbero grande potenza a Roma sotto
primi imperatori, primo tra loro Mecenate, fanno supporre che essi furono costituiti da Augusto e dai suoi
i

primi successori, togliendo terreni alla X'pa

nandoli a parenti e favoriti


Plinio

(.

h.

XVIII

35)

(2).

p'xoil'.y.-l^

e do-

Le parole commosse

di

latifundia perdidere Ifaliam, iam

corrispondono alla verit, se non quanto


quanto almeno all'estensione dei latifondi

vero et provincias,
ai

mali

effetti,

nelle provinole

aveva ragione di preoccusempre maggiore tra la ricchezza dei

in Italia egli

parsi del contrasto

latifondisti e la miseria dei loro piccoli fittaiuoli (3).

Se r immagine del ricco latifondista che possiede


reno

tutt'

intorno a mari,

che maggior regno


saper imporre il freno

(1)

Per tutto

(2)

KosTowzr.w,

(3)

MoMMSKN,

ci v.
IIJ

pii

alla

romana

Schri/tcn.

il

propria avidit

'2Xi

8i;jj;.,

128.
III,

.".Slt

sht.

2!>0.

che

ter-

pensiero

vasto, osa dire Orazio

Ro.siowzr.w,
sgjj.,

e attuale,

l'

il

esser


proprietario di

immense

cm

stese di terreno,

forma nella quale Orazio

lo

come raccomandava caldamente

epicureo. Epicuro,

semplicit del vitto,

esaltando

per

piacere che procurano all'assetato

pane, polenta, perfino ghiande


fr.

s^1'

la

e per gli altri

il

acqua, all'affamato

(1) (fr. 181,

459;

ep.

IH 131;

467, 466), vantando quale cibo singolarmente delicato

(fr.

un pezzo
un limite

182)

di porre

erano secondo

di cacio, cos in

alle cupidigie

com' noto,

lui,

turali e necessari, altri

adempiere

secondi non

uno pu facilmente

Gnomologio Vaticano

Una

denaro che

mena

di

eccessivo ritegno nello

(fr.

Epicuro

135)

scriveva

gli

uni na-

necessari,
facilissimi

e tali d'altra parte


di

altri

ad
che

appagarli senza sof-

diritto all' ingiustizia,

in

spendere, la

una

lettera a

ma

sozza spi-

Idomeneo

Se vuoi far ricco Pythocle, non aumentargli

ma

scemagli i desideri . Mala metafora del regno


che sappiamo, famigliare a Epicuro. La Stoa lo-

denari,

non

primi

desideri

nuove massime del


condanna non solo quel-

anche

lorceria.

sgg.).

delle

43)

l'avidit
1'

454

ma non

meno

(nr.

generale prescriveva

di tre fatte

difficili

fare a

456, 468, 469).

frire (fr.

(fr.

naturali

ancora n naturali n necessari

almeno nella

presenta, piuttosto stoico che

Timone

di

Fliunte scherzava, a quel che racconta Ateneo (IV 158

a),

dava,

al pari

sull'abilit di

sippo

(1)

(fr.

di

Epicuro,

Zenone nel

il

vitto semplice

fare e condire la polenta. Cri-

mor. 706) aveva sempre in bocca due versi di

Se pure Porfirio {de

abst. I 48),

celiando su

pi degli Ej-

sembrano contentarsi di pane


e di ghiande, ed empiono gli scritti spiegando di quanto poco si
appaghi la natura , ha conservato, come crede 1' Usener, le parole
originali di Epicuro, e non piuttosto ha sostituito maliziosamente,
come crederei io, le ghiande alle frutta e alla verdura, delle cui lodi
erano piene le opere di Epicuro secondo il passo di Girolamo trascritto subito dopo dall'Usener.

picurei, che a cominciare dal loro capo,

633

Euripide, che vogliono mettere a pane e acqua

il genere
mentre permetteva al savio di guadagnarsi
a modo suo quel poco che gli bastasse per menar la vita,

umano.

Egli,

considerava

la

-^iapY'Jp'-3c

(fr.

424) quale una malattia del-

l'animo: necessariamente, poich d'accordo con la scuola


(fr.

377, 479)

condannava

siderio varcasse
parli.
il

gli affetti,

cio qualunque de-

prescriveva di estir-

limiti di ragione, e

Proprio stoico, caratteristicamente stoico appunto

confronto con

il

re

come per

Greci antichi

il

gran

impersona la felicit, cosi per i Romani regna chiunque domina su larghe stese di terre. Seneca nel passo
dianzi citato riproduce esagerando e volge in riso il sentire e il modo di parlare del Romano comune, facendo
regnare oltre mare non solo il latifondista, ma perfino il
suo fattore. Gli Stoici (1) si compiacciono di enunciare
un paradosso, chiamando re il savio, cio appunto colui
che ha saputo domare avidiim spiriticm Orazio che nella
chiusa della prima epistola si diverte a scherzarci su: ad
re

summam

sapiens uno minor

est love, dives, liber,

honoratus,

pulcer, rex denique regum, prnecipue saniis, nisi ciiin pifuifa


molestast, fa

come da

sua in quest'ode la massima

fondamentale,

con buon gusto. Ogni lettore non incolto doveva riconoscere che il poeta citava
lui

pu

aspettarsi,

qui, per cos dire, la Stoa,

delle

non Epicuro. Seneca

prime epistole a Lucilio

(t),

20) cita quale

in

una

gnome

Epicuro si cui sua non videntur amplissima, licei totius


mundi dominus sii, tamen miser est; e parafrasando subito
dopo queste parole con le seguenti miser est qui se non
beatissimum iudicat, licei imperet mundo, si scusa di servire
non verbis, sed sensibus. Possiamo facilmente immaginare
che egli sentisse nell' imperare, che ])oy un Romano o un
di

(1)

Aiiconi

se stesso re.

il

niai'stni di

Sciici'ii

\(p.

lOS,

l'.i

Aitalo

oliiamava

(:}4

Greco dell' Impero traduceva perfettamente il [iaa-.PvS'k'.v


di un originale greco, un concetto famigliare ai suoi Stoici,
che a Epicuro, che si accorgesse di tradurre Epicuro nel linguaggio della Stoa proprio in quella lettera

pi

non

egli

finisce

curo e poeti.

mai

di celebrare l'accordo tra Stoa, Epi-

molto pi rigidamente

In un'altra lettera

ed esclusivamente stoica (113, 29 sgg,), dopo aver compianto Alessandro, che, vinti tanti nemici, soccomb all' ira e alla tristezza per non aver frenato gli affetti, dopo
aver commiserato gli uomini che cercano domini transmarini,

conclude

imperare

maximum imperium

sibi

est.

Nulla indica qui che egli ricordi Orazio.


confronto della cupidigia non mai saziata

11

sete

dell'

idropico cosi diffusa nella

filosofia

con la
popolare

che non se ne possono ritrarre conseguenze di sorta.


Kiessling-Heinze citano uno Stoico e un Cinico, Polibio
(XIII 2) e Bione (Stob. 97, 31). Ma con ugual diritto si
potrebbero

citare tra

pi recenti cinici

Telete

(Stob.

degli
pi antichi Diogene (Stob.
tra
45)
romani posteriori a Orazio ha la stessa immagine
Seneca {ad Helv. XI 3). Pi importa che (1) essa adoprata anche da Epicuro (fr. 471) Nessuno degli stolti ,
93, 31),

Stoici

scriveva
si

egli,

si

contenta di ci che ha,

addolora per ci che non ha

citanti per malizia della loro

ma

piuttosto

come dunque

malattia hanno

febbri-

continua-

anche coloro che hanno l'anima in catmancan sempre di tutto . Ma


caratteristicamente epicurea quella similitudine non dav-

mente

sete, cos

tive condizioni di salute,

vero, sicch

il

lettore antico pratico

di filosofia

dovesse

necessariamente accorgersi che Orazio abbandona qui la


Stoa per passare nel campo di Epicuro. E piuttosto stoi-

che che epicuree diremo pure

(1)

le

due ultime

Ci che non pare sinora rilevato.

strofe,

quan-

tunque anche Epicuro elogi


e la sicurezza che in
dalla fortuna

(1).

lui

Ma

635

beatitudine del sapiente

la

infonde

stoica

r aspirazione a restituire

tatori,

il

sapersi indipendente

come notano

alle cose

vero, popiilumque falsis dedocef uii vocibus

(2)

il

commennome loro

stoico

il

con-

fronto tra re e savio sul quale Orazio torna a insistere.


Il

poeta combatte da filosofo contro

popolo

come

filosofi

pi felice de' mortali nel gran

dando
il

Parto nemico

di

politiche

presenti,

re,

credenze del

Roma, che sedeva


:

tenta

il

Virtus, discor-

cosi la

numero

dalla plebe, toglie dal

trno degli Achemenidi

le folli

antichi ricusano di riconoscere

dei beati Prahate,


in

quel tempo sul

Orazio, accennando a vicende


di

infondere un po' di vita in

quest'ode che ne scarseggia.

L'invito a Mecenate (III 29).


Nipote di re etruschi. Mecenate, in casa mia gi da
gran tempo tutto pronto per riceverti strappati al lusso
del tuo palazzo, che si erge fino al cielo, cessa per poco
di contemplare da lontano il profilo dei monti, di guardare dall'alto il fiume e il tumulto di Roma. Spesso una
cena semplice e pura in casa del povero iia disteso le
:

rughe del ricco. Qui tutto dorme sotto il solleone tu,


per quanto imperversi la calura, non cessi di tormentarti
con cure di grande politica. Ma un dio cela il futuro ai
mortali, e ride se questi trepidano per tempi di l da
:

jil

(1) V. iu ispocic la lettera a Meuoeceo, dove si promette (^ 12lM


giovaue di farlo divenire subito vecchio quanto all' deporta tcv

H.sXXvxtov,
(2) Si

rale,

che

fv.

490,

191, 489.

ricordi the per gli Stoici


la

il

linguaggio era prodotto natu-

parola esprimeva necessariamente la cosa.


venire.

gi per

Pensa a quel che


la

reno, ora in
ci

()36

ti

sua china, come

magra ora

tocca da vicino
il

in piena,

il

resto

Tevere corre verso


senza che volont

possa nulla. Beato colui che pu dire

il

va

Tir-

umana

checche avvenga

domani, nessuno mi pu togliere le gioie di ieri. La Fortuna ha presa sulle cose di fuori io son pronto a riconsegnarle ci che essa mi concesse e ad avvolgermi nella
:

mia virt come in un manto. 11 navigatore sorpreso in


mare dalla tempesta preghi e prometta doni agli di, pur
di conservare il proprio carico: la mia nave leggiera corre
sicura tra il tumulto delle onde.
Della forma dell'invito abbiamo detto pi sopra (p. 329
sgg.) quant' era necessario
del pari abbiamo ragionato
del sentimento della natura, com'esso si rispecchia anche
;

in quest'ode.

stoico

noi qui importa solo vedere quale sia, se

epicureo,

il

fondamento del discorso del savio,

e in qual maniera, ci che a prima giunta non chiaro,


esso discorso

si

riconnetta col resto del carme. Di un unico

discorso crediamo che

debba parlare, nonostante che


interpungano dopo vixi, s da
lasciare al potens sui solo quella paroletta e da mettere
tutto ci che segue in bocca al poeta. Ma vixi richiede
un complemento ho vissuto non ha senso, se non
segue: domani sia pur nuvolo o sereno, avvenga qualsiasi cosa, non perci sar vano quel che fino a oggi
avvenuto . Il pensiero procede compatto e senza stacco
sino almeno a tutta la strofa dodicesima, quod fugiens
semel iora vexit. Ma neppur la seguente si pu separare:
molti editori, forse

si

pi,

nunc

niihi

mine

al savio ? e

alii

benigna

come mai

a chi

si

riferisce mihi se

d'un tratto salterebbe su a ragionare in

Ma
le

non

Orazio, non chiamato in causa, qui

questa strofa, se la

si

lascia al savio,

nome

si tira

proprio

dietro tutte

seguenti sino alla fine del carme. Quest' interpunzione,

cio interpretazione,

non esclude

affatto

che per bocca

637

ragioni Orazio, che questi

del sapiens

attribuisca a

pensieri e sentimenti propri, che faccia intendere a

cenate com'

Orazio, sia d' accordo con

egli,

lui

Me-

sapiente,

il

poco importa ancora se stoico o epicureo. Anzi, l' unit


del carme si scorge bene solo cos, se non ci si fa ingannare dalle apparenze e si tien fermo che esso non si
allontani da Mecenate e da Orazio, se non in apparenza.
Converr ora esaminare o almeno sfiorare con il ragionamento quelle tra le strofe antecedenti al discorso
del savio nelle quali sembra gi far capolino una concezione filosofica. Un dio per nostro bene, prudens, ha
avvolto nelle tenebre della notte il futuro, e ride qua-

lunque volta noi ci affanniamo per sapere ci che saper


dato . Questo dio non appartiene alle schiere beate
che vivono negli intermundi sereni, non tocche dalle miserie umane. Ma esso non neppure la zpvoia stoica,
checch ne faccia a prima vista pensare quel lrudens
la -pvota , come ben sapeva il nemico acerrimo della
Stoa, Velleio, nel de natura deornni ciceroniano (I 18), una
anus fatidica e gli Stoici di pi severa osservanza hanno,

non

piuttosto che vietato, incoraggiato

dagare

il

stoica.

si

si

loro

proseliti

a in-

eccellenza

del pari piuttosto con Epicuro che con la Stoa

accorda

paragone, che subito segue, delle

il

mondo con un

questo

futuro: la mantica disciplina per

riversa oltre

possa far nulla.


oO

TxvTa '^f-ai

le

fiume, che ora in

sponde, senza che la volont

Non

per gli Stoici,

TTpovoia.

XX

x/r,

cose

di

magra, ora

umana

ma

per

xal

aTOiito)

gli

ci

Epicurei

oppure

prudens deus fosse la Provvidenza, Orazio


r asserirebbe col solo per negarla subito nella strofa

E'.xfj

(1).

Se

seguente.
gnificare

(1)

Cfr.

il

Esso sar solo un' espressione mitica per si E fortuna per


gli uomini non conoscere il

lL'v

iinTo esempio pp.

:>.">.">,

l'2,

liT.

l's.


futuro

Questa massima

accorda bene con Epicuro

si

crucciarsi del futuro

nani neque vetustate minili mala nec

praemeditata leviora, stultamgtie elium

fieri

malum omne, cnm

quidem.

ne futuri

futuri mali forlasse

illud

ei fieri

vero ne futurum quidem

si

esse

Satis

meditationem
esse

Qui autem semper

venisset.

accidere posse aliquid adversi,


;

riferiva Cicerone [Tusc. Ili 32), egli sconsigliava dal

come

lum

()38

sit,

odiosnm

cogitavissef

sempiternum ma-

frustra suscipi miseriam

voluntariam.

Fin qui Orazio dall'invito a Mecenate passato, per


ambagi non frequenti nelle Odi, a consigliargli con molta
cautela di espressione di non pensare al futuro, che non
in nostro potere

conoscere, nonch disporne a nostro

grado. Ora dice beato nella sua sapienza colui che sa di non

dipendere dal futuro, cio dalla Fortuna. Le due ultime


strofe svolgono, come, paragonandole con coliambi elle-

abbiamo veduto sopra (p. 208), motivi fada esse converr astrarre

nistici di Cinici,

migliari alla filosofia popolare;

nel tentativo di determinare quali dottrine rifletta l'ora-

zione del savio.

Rimangono

mezzo

tre strofe nel

del di-

scorso e la presentazione del sapiente. Costui detto non


solo laetus mapotens sui, cio

Heinze,

s'jO-uixo;

stoico. Certo,

sippo e

ma non

curo scrisse
di

Kiessling-

soltanto stoico. Se

Zenone

o Cri-

loro seguaci (Diog. Laert. VII 127) gridavano

a una voce aOxpxr]

punto

come bene spiegano

e axpy.r^;. L'aOxpy.eoa , dicono essi, ideale

(fr.

eivat

xr^v

px]v

povert e ricchezza parla

strofe seguenti.

Tipo; sOca'.tJiovcav,

476) Tto-jjtwxaxov aOxpXcia


il

Trvxcov

Epie ap-

savio oraziano nelle

L'aOxpxeta del savio vantata in

una

sentenza del Gnomologio Vaticano, nella quale (nr. 36)


un seguace di Epicuro chiama la vita del maestro, comparata con quella degli

altri,

una favola

di

mitezza e aO-

xpxsta.

Venendo

dalla presentazione, per cosi dire, al discorso^

639

altrettanto epicurea quanto stoica l'aspirazione a liberarsi dal

timore della fortuna. Per

gli Stoici

il

savio,

noto, beato in qualsiasi frangente della vita,

ha nulla da temere

dalle cose esterne.

come

n quindi

Ma, come Zenone,,

.che ringraziava la sorte

(fr. 277) per averlo risospinto al


suo xpi^wv, chiamava non solo beato, ma ricco il men-

dico, purch fosse saggio (fr. 220), cosi Epicuro considerava ricchezza grande una povert lege naturae composita (fr. 476). Anche Epicuro promette, lo abbiamo
veduto poc'anzi (p. 635), di infondere nel suo proselite
'^o^:a

dini

xtTjv

jjisXXvxtov.

ad Men.

{ep.

Egli consiglia semplicit

p. 64, l

toglie ogni timore della sorte.

natura

di

consuetu-

sgg. Us.), appunto perch questa

Secondo

lui

(fr.

489)

la

insegna a considerar piccoli

i
doni e i danni
a saper essere sventurati, quand'ancora siamo
in buona fortuna, a non far gran conto della buona,

di

ci

natura

quando siamo

in cattiva, ad accogliere imperturbati i beni


fortuna e allo stesso tempo ad armarci contro quei mali
appunto che da essa vengono essa ci ammaestra che
di

fuggevole il bene e il male dei pi e che la sapienza


non ha nulla in comune con la fortuna . Altrove (K. 5. 16}
egli diceva pi

ha
al

sui saggi.

domani

ingrata

est

precisamente che poca presa la fortuna


Per lui (fr. 490) si accosta con pi piacere

chi del
et

domani non abbia bisogno

stulta vita

trepida: tota in futurum ferttir {. 491): chi

leggendo questa massima, non ricorda Vultra fas trepidare


oraziano

Fin qui pare impossibile discernere se Orazio parli da


Stoico
da Epicureo. A decider la controversia occorre

sguardo sul principio dell'orazione del


polmn Pater occupato vel sole
puro; non tamen irritum quodcumque retro est,effciet neque
diffnget infectumque reddet quod fugiens semel bora vexit.
meglio

fissar

savio

vi.ri,

lo

cras vel atra nube

Epicuro, e solo Epicuro, prescrive di cercar sicuro rime-

dio

dio ai dolori presenti o futuri nel ricordo delle gioie pas

sate.

ricordarsi dei mali passati giova pi che ogni

Il

soavemente , soleva egli dire. A torto


padri della chiesa mettono in ridicolo il suo principio,
mali presenti sono mitigati dalla mesecondo il quale
moria dei beni passati (fr. 437). Quel principio insegn a
Epicuro a morir bene, e questi rimase a esso fedele fin
sul letto di morte
dal quale egli inviava agli amici suoi
pi cari una specie di circolare (fr. 122, 138, 177), informandoli che quello era il giorno ultimo e insieme pi beato
della sua vita, perch, sebbene fosse tormentato da dolori
vescicali e viscerali tali e tanti da non consentire aumento, essi erano pienamente compensati dalla gioia che
il suo animo provava ripensando i colloqui avuti con gli
amici. Io non oserei negare che egli nel giorno della sua
morte posasse, ma una posa cosi eroica non dispiace,
perch sgorga da una fede sincera e da una volont
altra cosa a viver
i

invitta.

E ormai
l'invito a

tempo che ci chiediamo come mai Orazio dalMecenate a onorare di una visita la sua villetta

passi a mettere in bocca al sapiente parole con le quali


egli

dice pronto a restituire tutto ci che la Fortuna

si

una povert onesta. Non oscuro


come pensiero rampolli qui da pensiero, come Orazio, ammonito l'uomo politico di non curare troppo il futuro,

gli

ha dato,

e a cercare

gli faccia osservare

tema

che

felice solo colui

il

della fortuna, vive nel passato, colui

quale, senza

il

quale in-

dipendente dalle cose esterne, pronto a spogliarsi della


ricchezza. Il nesso logico chiaro ma il lettore moderno,
;

esperto

dei

modi

della lirica oraziana,

non pu

fare

meno di chiedersi perch mai Orazio si lasci andare cos,


come non suole nelle altre sue liriche, nelle quali egli
tiene rigidamente a freno l'ispirazione, e

che

il

resigno

di

sospettare

quae dedit con quel che segue, pur posto


in

bocca

al

641

savio epicureo, copra

un avvertimento

Orazio a Mecenate. Con ogni probabilit cos


lippson, in

assennato

un
(1),

articolo,

ha

come

tutti

suoi,

il

di

Phi-

ingegnoso e

confrontato con espressioni del savio

pensieri e parole di un' epistola rivolta del pari da Ora-

Mecenate,

zio a

vio dice

la

settima del primo

delle sue relazioni

con

la

libro.

Come

il

sa-

Fortuna sino allora


mea virtute me involvo

a lui benevola resigno quae dedit et


prohamque iiauperiem sine dote quaero, cosi Orazio dichiara
:

al

suo protettore, che

lui (v.

troppa assidua opera esigeva da

34): cuncta resigno, e aggiunge, con lo stesso di-

spregio per la ricchezza: nec otia

divitiis

Arahum Uberrima

muto. L'ode nata in quello stesso giro di anni entro al

quale fu composta l'epistola

Mecenate, trova modo

che

egli, perfetto

stola parla

me
(1)

Orazio, invitando Tepicureo

di insinuare

anche pi chiaro. Quest'interpretazione sembra

probabile.

Eh. MuH.,

con tutta gentilezza

epicureo, non dipende da nessuno; l'epi-

LXIX

1911, 739 sg.

CAPITOLO TERZO
elementi Romani della

Gli

lirica di

Orazio.

Il capitolo presente, a chi abbia ponderato i pensieri


da noi esposti nelle due prime parti del volume, sembrer,
e non senza ragione, quasi superfluo: chla prima parte,
se mi si consenta di adoprar ancora una volta parole gi

usate disopra, intende a mostrare

come Orazio prenda

dai poeti dell'antica lirica lesbia, e segnatamente da Alceo,

soltanto lo

spunto e

il

motto, per passare poi subito a

cantare romanamente sentimenti ignoti


egli

abbia voluto porre a riscontro

di

Lesbio;

al

come

opere classiche una

opera novella, acciocch la vicinanza del modello, invi-

tando al confronto, rendesse pi evidenti i pregi di quella


moderna. E del pari nel secondo capitolo mi sono studiato di mostrare

come

Romano

talvolta Orazio,

dell'et

Augusto, segni dell' impronta del suo tempo e propria


que'raotivi che derivano dalla letteratura ellenistica; come
tale altra la somiglianza tra carmi suoi e componimenti
di

di

tempo alessandrino

stico,

che

sforzi

consapevoli

la

sia originata dal carattere elleni-

augustea conserv nonostante

civilt

ma

cauti del sovrano.

Il

gli

capitolo pre-

sente non pu quindi proporsi altro intendimento che di


studiare

particolarmente, ubbidendo a un cenno del poeta

stesso, quel ciclo di

carmi che, poich tratta argomenti

attuali di politica interna ed esterna e

si

rivolge pi

di-


rettamente

643

conteraporaneo e

al

connazionale in quanto

al

cittadino, suole appunto chiamarsi delle odi romane.


Del carme secolare ho preferito non trattar qui per disteso, ma dir solo poche parole nel capitolo seguente e
ultimo, convinto come sono dall' un canto che in esso,
nella cantata

composta per

la festa

di

rito

achivo, gli

meno evidenti che nelle odi roche su esso sia stato gi detto bene tutto
ci che importava. Ho voluto che la trattazione delle
odi romane fosse preceduta da un brevissimo cenno intorno a una almeno di quelle odi, le quali, trattando un
elementi nazionali siano

mane,

dall'altro

motivo che di ogni tempo e di ogni luogo, invitando a


goder della vita, paiono a prima giunta affatto incolore,
e che pure a chi le guardi con occhio scaltrito e meno
distratto, rivelano colori ancor pi schiettamente romani
che molte

altre.
1.

U invito

a godere

(II

14).

volano: lusso di sacrifici non ritarda ne la


vecchiaia ne la morte. Invano ci terremo lontani da ogni
Gli anni

pericolo

morte

la

ci

priver di tutto

ci

che avevamo

pi caro; un erede consumer senza riguardo ci che noi

avevamo risparmiato gelosamente


Nella parafrasi,

poich essa studia

a bella

posta di

non riprodurre dell'ode se non


concetti, e questi stessi
quanto pi possibile in forma generica e astratta, non
si pu scorger nulla che non sia universalmente umano,
nulla che sia specificamente romano. Lo si vede subito,
se ci si addentra amorosamente nei particolari. Lasciamo
i

pure stare se

il

nome

del padre di famiglia troppo cauto,

troppo sollecito delle cose sue e


rivolge qui

suoi consigli,

non

di s,

al

quale

indichi, piuttosto

Orazio

che una

644

persona, un tipo, una maschera frequente nel genere


di letteratura

fabula togata,

consapevolmente romano, la
con buoni arun personaggio di commedia converrebbe

scenica

pi

come pure

stato sostenuto

gomenti (1). A
bene la superstizione gretta che Orazio gli attribuisce, sia
pure per ischerzo e in una frase ipotetica, l dove suppone che egli, per isfuggire o ritardare la morte, sacrifichi ogni giorno a Plutone la vittima pi costosa, un toro.
E s' intenderebbe male che Orazio, descrivendo con tanti
particolari l'oltretomba quale esso era figurato nella mi-

men-

tologia, paresse quasi cercar di spaventare l'amico;


tre

si

capisce facilmente coni' egli

scrupoli

un

tipo

buffo

metta

tradizionale

(2).

senza

in ridicolo

Pure

cosa

la

48 sgg.) sa di persone che, esuli


dalla patria e bandite da ogni commercio umano, macchiate di turpi condanne, colpite dalle pi gravi sventure,
sacrificano agli Inferi, certo perch prolunghino la loro

incerta

Lucrezio

(III

vita miseranda. Se vero che Giovenale, indirizzando a

un Postumo
una persona

la satira contro la

reale, se

donna, non ha

vero che Marziale

in

mente

dichiara

(II 23)

epigrammi di quel nome


pseudonimo
d'altro canto ne il Pocome di un comodo
stumo di Marziale ne quello di Giovenale indicano il
padre di famiglia agiato e guardingo o anche soltanto
un tipo determinato, ma essi designano un Tizio qualdi famiglia di
siasi. E lasciamo pure stare se un capo
francamente

di servirsi nei suoi

quella fatta non fosse pi facile


di

a trovarsi nella

quel tempo che nella Grecia ellenistica

che

al

potrebbe sospettare difetto nazionale dei Romani

il

Roma
pi

si

modo

Il i-addoppia(1) Dal BuECHELER, Bli. Mus., XXXVII 233 sgg.


mento Postume Postume sembra a me non provi nulla.
(2) Questi due argomenti sono sfuggiti al Biieheler, che giudica

a torto indizio di inesperienza giovenile

gico

le

il

tono grossamente mitolo-

reminiscenze greche: com'era l'oltretomba romano?


un

645

po'raercantile di concepire

pi significativi

si

sacrifcio (1). Parbicolari

il

trovano dalla quarta strofa in gi.

I pericoli
maggiori per la vita e la salute sono, secondo quest'ode, l'Adriatico e i giorni sciroccosi dell'autunno. Non molti Greci, prima che Roma divenisse il
centro del mondo, avevano occasione di far quella traversata lo scirocco ancor oggi rende pesante e rendeva
a quei tempi insalubre il settembre romano consuetudine romana, non greca, che io sappia, di allontanarsi
;

per ragioni di salute

dalla

citt

proprio

nell'

autunno.

Orazio, che aveva in s molto pi del suo

non

volta

rischio

il

esser costretto

babbi e

quale

nel

Postumo che
una
di guastarsi con Mecenate, pur di non
a passare in citt il settembre, il tempo

convenga qui confessare, corse

gli

figlioletti (2).

noverato tra

mammine

impallidiscono

per

loro

Se un Greco avrebbe cos francamente ani

beni dai quali pi duole a chi muore di-

una piacente moglie, non


non me ne vengono in mente. Gli
staccarsi,

che riguarda

(epist. I 7, 2)

il

oserei decidere:

esempi

Elleni, in tutto quello

sesso e la vita di famiglia assai pi vi-

Romani, parlavano, mi sembra,


i
poco volentieri delle loro donne, come poco volentieri se
ne parla tuttora nelle parti d'Italia che pi a lungo furono greche. I matrimoni erano del resto tra loro, almeno
nelle classi alte, per lo pi piuttosto di convenienza che
genitori ridi amore: la commedia nuova mostra come
servino a s il diritto di accasare figlioli. Un Romano, non
cini

agli

Orientali che

un Greco, Seneca, nomina


la

sorte

ci

tra

beni pi cari, dei quali

pu spogliare ogni momento {ad Marc.

sopra

10,

007.

(1)

\'.

(2)

L'agoato doveva esser finito o quasi, i|u;uul'cgli sorisse

1.

lettera: HcxlHem fotum desideror.


di Koiiia

1)

autunnale sono

Altri passi oraziani

citati nei eoinnicnti.

<|iu'lla

sul!' iiisalulrit!\

nohilisant formosa coniux.

64G

Un

come

poeta romano, epicureo

Orazio, a Orazio ben noto, Lucrezio, fa sospirare all'uomo

stoltamente timoroso della morte

894):

(III

neque

iixor

Ma

nean-

optima nec dulces occurrent oscula nati praeripere.

che su ci vorrei insistere. Prettamente romane, tali quali


nessun Greco avrebbe potuto ne concepire n scrivere,
sembrano a me le parole che seguono subito dopo pla-

harum quas colis arborum, te praeier invisas


dominum sequetiir. Il cipresso non era
Greci albero funerario non pu sorprendere che,

cens uxor: neque

cupressos ulla brevem

per

poich

il

legno di quella pianta quasi incorruttibile,

una volta da Tucidide

narri

(II

34) che ossa

Ma

erano conservate in arche

di cipresso.

che quell'albero fosse per

essi sacro a

rale,

come per Roma

XVI

139).

Aen.

Quasi

mancano

Eneide

VI

in
i

ci

si

morti

di

non sappiamo

Dite e quindi fe-

attesta chiaramente Plinio

(w. h.

nessuno dei funerali descritti nella

cipressi

Varrone (presso Servio ad

216) andava in cerca della ragione perch

le pire

solessero circondarsi di cipressi, e credeva di averla tro-

vata nell'odore acuto di quella pianta, che avrebbe dovuto soffocare il puzzo del cadavere l' uso, se aveva at:

tirato l'attenzione del


patrie,

doveva

esser

maggior conoscitore

delle antichit

generale e nazionale.

probabile

che Servio attinga al medesimo fonte l dove {ad Aen. Ili


64) indica quale costume romano, se pure antiquato al
suo tempo,

il

collocare

un ramo

di

cipresso

dinanzi a

una casa contaminata dalla morte, perch non vi entrasse


il pontifex, che doveva rimaner sempre puro (l).

per caso

Intende meglio Vinvisa chi legga tutto


questi non sa trattenersi dal mostrare

questa pianta

di

il

passo di Plinio

suo odio contro

malaugurio. Le prescrizioni accurate di

Catone mostrano quanto secondo

(1)

il

lui difficile riuscisse in-

passi di Servio sono raccolti in Kiesslixg-Hkinze.

647

trodurre questa pianta straniera nelle nostre terre

dalla

di- opinione che non


Essa ha bacche di un brutto colore
scuro, baccis torva, foglie amare, odore violento, non d
ombra piacevole. Al Romano vero, ancora a quel tempo
non andava a genio che l'albero di malaugurio fosse col-

sua descrizione

ne valesse

si

ricava che egli era

la pena.

nei parchi
eppure gi Varrone {d. r. r.
mostra che esso sul Vesuvio era cos comune che
i
proprietari di campagna se ne servivano per cingere i
confini dei loro campi
Il Greco di Sicilia Teoci'ito no-

tivato con cura

I 15)

mina invece

il

cipresso quale, pianta bella, senza malin-

(1). L' amico greco di Orazio, Filodemo, che pur visse in Italia, in un trattato che svolge
lungamente pensieri non dissimili da quelli accennati in
quest'ode,fa menzione del cipresso (-spi ilav-rcj IV, col. 38,
35 Mekl.) solo per deridere il vecchio che, quasi non dovesse morire da un momento all'altro, pianta tali alberi
di cui non godr l' ombra.
Se nella lirica greca anche del tempo ellenistico sj

conie n ripugnanze

parlasse molto di heres, per lo


parola piuttosto rara,

un erede universale

meno dubbio

xXy;povjjio;

non senza ragione. L'

istituzione

ignota al diritto greco

la legge
molte altre
parti della Grecia di quel tempo, non permetteva anzi di
far testamento, se non quando mancassero figli maschi

di

di Solone,

come probabilmente

le

leggi

legittimi/ e, ogniqualvolta vi fossero,

di

prescriveva che

patrimonio fosse spartito fra essi in parti uguali.

quando

vi eran figli maschi, di disporre

tariamente del proprio senza gravi restrizioni

(1)

lo so

lette toscane
(2)

(li

iiutfiitici Ixoiiiaui di

oj^gi

ai (luuli

ornate di liproasi motto addosso

Mutkis, (irumhUijc

dir l'ain/runkinidi

la
II,

il

per-

che non fosse

fino nel diritto dell'Egitto ellenistico pare


lecito,

testamen-

(2).

L'erede

hi vista tU-lIr

triste/za.
1,

l'iS.

vil-

f>i8

che non aspetta se non la morte del vecchio nelle cui


grazie si insinuato con arti indegne, per godersela a
sua voglia con
quattrini di lui, figura consueta solo
i

nella letteratura dell' impero.

troppo leggermente

si

Con che non

suolo ammettere

(1),

detto,

che

il

testamenti fosse vizio ignoto all'et ellenistica.

come

carpire
Il

Peri-

plectomeno del Miles Gloriosus rimasto celibe per viver


meglio a suo agio, senza molestie di moglie e cura di
egli sfrutta senza scrupoli i molti parenti che spefigli
rano alla sua morte di ereditare (v. 705 sgg.) Prima
che faccia giorno, vengon da me a informarsi come io
abbia dormito.... Sacrificano: mi danno una parte maggiore che a se stessi, mi conducono ad assaporare le vi:

scere

m' invitano a colazione, a pranzo. Quegli si stima


gaaltri che mi ha mandato di meno

pi infelice degli

reggiano nel farmi doni, e io mormoro tra me Han sete


delle mie ricchezze e intanto a gara mi nutrono e mi
:

. Il personaggio di Periplectomeno non


da Plauto, perch esso con l' indole qui ritrattata necessario all'azione (2). Pochi versi sotto quei
citati r interlocutore, lodando il suo carattere e augurandosi che uomini siffatti vivano a lungo, nomina gli
agoranomi; se Plauto avesse aggiunto lui questa scena,
parlerebbe degli edili. Essa , dunque, ellenistica. Ma non
rimane men vero che il tipo davvero pi comune come

colmano

di

doni

inventato

nella vita cos nella letteratura durante

mano che a dispetto


man mano che il

delle leggi

capitale

si

il

numero

l'

Impero,

man

dei celibi cresce,

concentra sempre pi in

poche mani. Pochi anni prima di Orazio proprio un suo


correligionario e amico, Pilodemo, metteva in ridicolo
col. 24, 5 Mekl.) gente che si cruc(Tcepl d'avxou, IV,

Helm, Lucian

Menipp, 204.

(1)

Per

(2)

Leo, Planiinische Forschungen^, 182.

es.

d:i

u.


clava per la mancanza di

dover lasciare

il

649

quale

figli, la

li

costringeva a

patrimonio a eredi, quasi questi non po-

tessero esserne degnissimi.

Viene

in

mente proprio Vhe-

e Orazio pu infatti aver letto quel libro.


Pilodemo un Greco vissuto in Italia.
Il Cecubo vino italico; i banchetti dei pontefici erano
proverbiali per l'opulenza, ben a ragione, come mostra la
lista, conservata da Macrobio, di uno di essi. Io non so
se alcun moderno abbia cercato d' immaginarsi quanto
ardita dovesse sembrare ai contemporanei di Orazio quest' immistione di elementi attuali, quanto violento
fosse
l'effetto estetico che il poeta ne ricavava. Le cene dei
pontefici sono per noi una curiosit erudita,
come Gerione, Tityo, l'Eolide Sisifo; per il Romano di quel tempo,
mentre i mostri e i peccatori dell'Ade erano leggenda
non creduta, quei banchetti erano realt attuale, che faceva stupire il volgo indotto, sorridere l'uomo di buon
res dignior

Ma

gusto

(1).

2.

Le Odi Romane

(III

1-6).

All'intelligenza di questi carmi ha nociuto


zelo e

acume che

pigrizia di interpreti.

piuttosto

Storici e giuri-

hanno posto a gara alla poesia domande alle quali


essa non sempre poteva dare risposta
gli uni hanno
cercato di attingere alle odi romane informazioni sui disegni di politica estera che Augusto aveva formato negli altri hanno tentato di ricagli anni intorno al 27
varne una data per provvedimenti legislativi sul costume:
gli uni e gli altri hanno spesso fantasticato ed errato.
Prima che ci addentriamo nell' interpretazione non solo
sti

(1) SaKtriliiix

ihipihitn

ha

in'l

contesto tiilt'altro roloi-f.

050

verbale di luoghi e segnatamente


pi non aspiriamo, che

il

di trapassi oscuri

commento

Kie.ssling e Hein/e, risolve la

migliore, quello

maggior parte

a
di

dubbi,

dei

che pure vengono ogni momento riproposti, come se esso


ci sia consentito di esporre
non fosse stato mai scritto

poche osservazioni preliminari.


Le sei odi romane non sono state composte per esser
cantate in una lesta pubblica dal poeta o da un coro chi
prende alla lettera la dichiarazione della prima strofa car:

mina.... vircjinihus pueri^que canto,

dovrebbe, se volesse esser

membro

conseguente, supporre che Orazio,


di sacerdoti delle

a un'assemblea di

un

di

collegio

Muse, cantasse per suo incarico dinanzi


soli fanciulli e fanciulle

Lo

Quest' ipotesi

non quello della


ha
sappiamo,
una sola volta in
che
noi
cantata. Orazio,
vita sua scritto la cantata per una festa, e questa volta
ha anzi con tutta probabilit diretto egli stesso l'esecuzione (1). Ma nel carme secolare il poeta, come mostra
specie l'ultima strofa, si nasconde dietro il coro, non parla

assurda e ridicola.

stile delle odi

per bocca di esso in persona propria,

vano osato

come

spesso ave-

fare gli antichi poeti corali. Qui, invece, egli

canta di se stesso senza riguardi; questa, se altra mai,


Il ciclo dei sei carmi destinato alla

lirica personale.
lettura.

fantastico

pensare

(2)

che

Orazio

lo

composto per la cerimonia dell'anno 27, nella quale,


il

principe stesso

ci

abbia

come

narra {mon. Anc. VI, 18-23), in onore

Augusto, fu appeso nella curia lulia,


nel palazzo del senato, uno scudo d'oro con un' iscrizione
di lui, riconosciuto

(1)

Non

so iiiteudere altriiueuti le parole di

IV

Leshiiun

ser-

xate pedm meique pollicis ictiim.


(2)

DOMASZEWSKi, Abhandlungen, 111

Der Festgesang

mi pare, pi

des

Soras auf

sgg.

Il titolo dell'articolo

die Begriindnng des Pr'tncipates, contiene,

quel ciclo non ne un Festn canta V istituzione del principato.

inesattezze clie sostantivi

gesang u in fondo un Gesang,

Col

<;he attestava esser esso conferito dal senato

polo

romano a

per le sue virt

lui

e dal

po-

clemenza, giustizia,

Se le odi fossero composte per la festa della fondazione del principato, di questa si parlerebbe in esse
pi che in accenni se esse dovessero celebrare il titolo
di Augusto, questo non sarebbe nominato una volta sola
di passaggio. Un canto di festa non pu finire con pa-

piet.

role di triste presagio

mox

neqiiiores,

aetas parentum, peior avis, tulit nos

daturos progeniem vitiosiorem. Nulla

indica

che il volere dell'Augusto abbia dettato al poeta i carrai,


sebbene egli in essi esprima per lo pi ci che insieme
migliori del suo popolo attendevano dalla colcon lui
laborazione del sovrano con il popolo, talvolta ci che
egli ed essi lodavano nel sovrano. Del popolo romano,
dei suoi vizi e del suo avvenire, si parla molto pi che
del principe: le odi romane non hanno, checche se ne
i

sia-

detto da un grandissimo,
I

carmi non erano

sei

forse nell'ordine nel quale

Pu

li

leggiamo

un

(l):

sol getto,

pure

ne

essi co-

lettore

moderno che,

prima ode contiene, tra sentenze

di altre scuole,

stituiscono un'unit.

mentre
massime epicuree,
la

carattere cortigiano.

stati scritti in

urtare

il

le lodi della virt

eroica nella seconda,

(1) Quanto alle date proposte nel commeutario di Kik.s.slixc-Hkix/k


aia stata scritta jn-oprio nt-ll'aiino
nou mi i)ar certissimo che l'ode
20 non del tutto sicuro che Orazio a cantare ri(iiii lrilaunon hi>I

HpitihuK feros c( luetiim equino Hanyttine Convaniiiii sin stato indotto pro-

quoH'anno j^ucrrcggiava

prio dai disij^ni di Au<justo, vw

aspettando
ini

il

momento

di errare per

passare in Britannia.

di

conto suo tra

popoli

jioeta

in

Spagna,

immagina

lontani e barbari,

piti

non gi

Il

chi'

prender parte a spe<lizioni militari. Piii certo mi pare che l'ode sesta non possa essere
a prima giunta pare impossibile che Anstata composta dopo il 13H
gusto iibbiii ristorato in un solo anno ottaatadue templi, e si preferi])ure lo rispettavano

perch poeta,

di

rebbe pensare che egli avessi'


l'opera,

ma

in

nuell'iiiino posto soltanto nuino

la testimonianza delle

/.'(

tjentac

(IV 17) esplicita.

al-

652

per vicine l'ima all'altra che fossero

stima del savio come in molti

altri

le

due scuole nella

problemi morali, non

possono chiamarsi se non stoiche. Ma gli antichi erana


meno sensibili che noi a lievi discordanze. Uno il sentimento

vada

di tutto

ciclo,

il

non

in rovina, se

il

si

timore che la civilt romana


provvede a tempo. Proprio

quel carme nel quale questo sentimento forse men


chiaramente espresso, congiunto con il precedente da
vncoli pi stretti

la

scende caelo, riprende

il

prima strofa dell'ode quarta, demotivo dell'ultima del carme pre-

cedente, desine pervicax referre

sermones deorum. L' unit

del sentimento in tutt'e sei le odi


l'unit del metro.

La prima

messa

in rilievo dal-

strofa del libro serve di proe-

mio a tutta questa sinfonia

lirica.

La

finzione liturgica

del poeta sacerdote, che parla dinanzi a un'assemblea di

giovani non tocchi ancora dal male, sarebbe sproporzio-

nata a un breve carme, che finisce con un cenno personale, edonistico, epicureo

ricchezza non d soddimia solinga villa sabina


vita ? E in un' ode di cos

Se

sfazione, perch dovrei lasciare

e mutare

il

mio tenor

di

la

la

lo stacco profondo tra la


prima stanza e le successive ne sar facile trovare un
altro carme di Orazio fornito di un proemio vero e proprio. Se anche carmina si pu riferire a un componimento
solo, con qual diritto tuttavia osserverebbe il poeta che
quella prima ode un canto non mai udito ? Nessuna
persona di buon gusto vorr credere che la novit qui
esaltata consista nell'uso del metro alcaico, adoprato da
Orazio cosi spesso per componimenti di ogni genere.
Soltanto se carmina non prins audita va riferito a tutte
e sei le odi, Orazio ha ragione di esaltare la propria originalit non abbiamo motivo di credere che alcun poeta
prima di Orazio avesse immaginato un ciclo lirico di
composizione cos grandiosa, nel quale le massime di etica

breve

estensione

urterebbe

civile, attinte

ora al pensiero degli

Stoici ora a

quello


di Epicuro,

s'

653

cos tra loro e

intrecciassero

nuova

con

miti

Giunone seguisse con trapasso COSI alato l'ardita saga moderna, che colora di maraviglioso l'infanzia del poeta; nel quale con un colpo d'ala
altrettanto possente si passasse a cantare la leggenda
nazionale del console martire, che aveva patito al tempo
della prima guerra punica; nel quale in ultimo la santit del
passato fosse cosi eloquentemente messa a riscontro della
nel quale alla profezia

di

corruzione del presente. Chi potr credere che

1'
-

antica

elegia, cos semplice nelle sue forme, presentasse gi edi-

tanto

fici

complicati

aveva certo
miti del Tebano

struiti

quando compose queste

Orazio,

letto

odi,

carmi di Pindaro e riflettuto sui

ma anche gli epinici maggiori sono cocon architettura pi snella e spontanea, ma meno
;

grandiosa.

Non conviene naturalmente


rispetto dell'unit

si

per

vantaggio

che

sia fatto sfuggire

poema

la divisione del

credere che Orazio

in

carmi

lirici

il

separati gli offriva,

che abbia rinunziato al diritto di sostare, di staccare


un'ode dall'altra
non conviene immaginarsi i vincoli,
l'una
con
l'altra
che
congiungono, stretti sempre a un
modo. Ma erra chi si immagini che Orazio in ognuna
delle odi esalti una virt, o ancor peggio una delle virt
attribuite ad Augusto
ad Augusto di cui qui si fa pa;

rola cos di rado

dall' iscrizione del

clipeo d' oro, chi

supponga quasi che il poeta, prima d' incominciare a poetare, come uno scolaretto prima di svolgere il suo tema,
abbia scritto sur un pezzo di carta una lista di virt
da esaltare
trapassi da ode a ode sono molto pii liberi e vari che non consenta una fantasticheria di tal
:

genere.

E
gara

nocivo cercar nelle

(i)

l\"j,go di

tulli

come pure hanno fatto a


con mancanza compassione-

odi,

Italiani e stranieri (l)

11. ,lii;i;.\K.\,

Phiohxjm,

LMl,

1898, 289

sgj:.


vole

(li

])erch,

gusto,

scherzi e

come mostrano

mito in

sente

il

poeta,

appunto

di senso

di

stile

da

far

a
mitiche non mancheranno, perch

di facezie in liriche sublimi. Allusioni discrete

fatti attuali nelle parti

siffatte poesie rispecchia

qua e

il

nome

un simbolo, perch
tche, vedeva negli

ma

umorismo

Satire ed Epistole, fornito di spi-

non scarseggiava tanto

rito,

pompa
il

(iai

di

un

appunto

la realt pre-

dio sar ridotto quasi

Orazio, scaltrito dalle dottrine flosodi

nomi

di forze naturali o etiche

erra chi cerca in questi carmi allegorie vere e

pro-

Orazio non poeta medievale di molteplice signi-

prie.

ficazione.

Il

proemio ha trasportato

adunanza

di devoti,

la fantasia dei lettori in

come sogliono

una

poeti ellenistici e

nell'inno ad Apollo e
L'ode prima prende le mosse dal
nome del dio supremo, come secondo Pindaro {Nem., II
2, 1 sgg.) i rapsodi erano usi di premettere alle recitazioni di canti omerici un proemio in onore di Zeus consuetudine questa seguita sul loro esempio dagli antichi
loro imitatori romani, Callimaco

Properzio (IV

6)

(1).

(fr. 2) e Pindaro, come dalla poesia esatempo alessandrino, da Arato. Orazio, conformandovisi, dichiara in certo modo ancora una volta di
aspirare a comporre poesia alta. Da Giove e dal cielo
egli discende con rapido trapasso, non in genere in terra,

lirici,

Alcmane

raetrica del

I re della terra ispisul Campo Marzio di Roma


rano paura a greggi di sudditi schiavi su loro, come su
schiavi, domina Giove, vincitor di tiranni, che regge il

ma

mondo con un cenno


(1)

Quid

Al novero

si

(edicatHin posclt

del

sopracciglio.

potrebbe aggiungere

Molte e

grandi

anche Orazio stesso

Apohiem egli liba da vate al dio.

in


sono

differenze tra

le

come

sente,

pi

il

655

soggetto

umile,

morte. Nelle delizie pi raffinate non


dell'empio che lo teme

ma

romani,

cittadini

legge

alla
si

appaga

dorme placidamente

pi pos-

il

il

della

cuore

chi,

con-

tento del poco, non ne ha paura. Quanto pi vasti sono


desideri congiunti indissolubilmente con questa paura,

vano fuggire se stessi


uomo. Se il fasto non
mitiga le cure, a che costruirmi una casa pomposa di
lussi nuovi e lasciar la pace del mio poderetto sabino ? .
altrettanto pi gravi gli affanni

in luoghi negati dalla natura

all'

Negherei assolutamente che, come pure viene asserito, la prima strofa abbia colorito romano, nonostante
le parole imperium e triiimphus : Roma non domina sulle
genti come re su greggi di schiavi, almeno secondo il
poeta convinto della missione affidata dalla provvidenza
al

suo popolo.

suono
i

Re

nella

Roma

di

reges signori di greggi

re barbari,

purpurei

allora era parola di

mal

umane innumerevoli sono

tiranni dell' inno

Fortuna.

alla

Ancor peggio sbalestra chi vede in questo Giove simboun cattivo servizio avrebbe reso il
leggiato Augusto
:

per

quale,

al

fondo

all'animo ad accettare, insieme

principe,

premo, anche
di

il

il

nome

regio

popolo nemico

di quella parola.

sudditi sono

re orientali

ma

con

il

pensato cosi

in

potere su-

pure doveva studiarsi

(1),

non sembrare troppo

celare questa voglia, di

mitologia,

che fosse

incline

poeta

re a

un

mandre di
supremo della

re signori di

Giove

come

il

lo

dio

concepivano tutte

quelle tra le persone colte di quell' et nelle quali, tra-

sformata, era pure rimasta qualche fede in una divinit:


esso la legge
vita,

senza

che

somma che domina


gli

uomini

conto come essa operi

(1)

V. soprii

p.

'.

provvidenziale nella

possano por

lo

pi rendersi

tutt'uno, quindi, con la

Fortuna


dell'

650

inno o con la Necessitas di questo carme.

parole

Giove esprime qui

miticamente

in altre

che pochi

ci

versi pi sotto Necessitas filosoficamente.

Udendo regum timendorum


ipsos imperiumst lovis

il

non era ignoto (qual

fjreges,

reges

in

romano, cui Pindaro


che non conoscesse Pindodicesima ode del primo libro

lettore colto

lettore,

daro, poteva gustare la

Quem virum

in proprios

aut heroa?),

sar ricordato dalla chiusa del-

si

prima Olimpica, dove


Altri
poeta ammonisce il re di Siracusa, Hierone
grande per altro
l'estrema vetta toccano i re, non

l'epinicio forse piti celebre, della


il

jx^' Xloioi 5" XXo'. \xeyy.Xoi- x h^ zoyjxzov

cercar pi in l;
xop'j-^oxai [jacjcXeOa:

[xrjx,x'.

TixTitaiVc

Tebano

Orazio par

Tipjoov (1).

non ci che
Giove, ma
re sono nulla rispetto a Giove .
Il pensiero procede in questa prima parte del carme
non so se conforme alla legge della logica pi severa,

quasi rispondere al

Sopra

re

che esigerlo sarebbe


disinvolto.

far torto

re infieriscono

sono alla merc

di

Giove.

dagli altri per ricchezza,

ma

alla poesia,

contro

loro

Romani sono

nobilt,

chiaro

sudditi,

ma

diversi gli uni

buon nome, autorit

non contan nulla dinanzi alla Necesche li uccide da un giorno all'altro a suo capricPerch le odi vogliono essere romane e moderne,

queste differenze
sit,

cio .
le

umane sono

gare

esemplificate

nei contrasti

del co-

mizio, nella lotta dei candidati per quelli che a tutta la

vecchia e a molta parte della nuova generazione pare-

vano

soli

sandria

le

erano per

Il

(1)

lecito

honores

Ad

di essere agognati.

magistrature dovevano contar poco


lo

Ales-

ad Atene

pi xXrjpwta', attribuite a sorte, se pure sur una

riscontro

a corcare

Pindaro.

degni

nel

sfuggito al

poetucolo

Jurenka,

Orazio

di soUto

imitazioni

mal

troppo
riuscite

sol-

di


lista di

prescelti,

s/.

657

KpoxoiTcov

La

non apriva
non
nelle monar-

generositas

nella Grecia classica l'adito alle cariche pubbliche se

poche

ad aristocrazia
sguardo del sovrano, che basta a nobihtare, poteva fermarsi su ogni Macedone e ogni Greco.
La turba clientum concetto romano la cura esagerata
della buona stima dei concittadini conviene bene al carattere di un popolo COSI severo nei costumi, cos incline
in

citt doriche rette

chie ellenistiche

lo

a biasimare tutto ci che paia offendere

Un

concetto

la dignit.

secondo me, tutto quel


personale
Teme meno la

unico informa,

che segue sino all'epilogo


morte chi meglio /rena le sue brame (1). Alcune strofe
paiono allontanarsi da quel pensiero non riesce a prima
giunta chiarissimo come il poeta dal commiserare il ricco
:

che della Necessitas ha paura, dall'esaltare il povero che


non ne ha timore, passi alle lodi del desiderans qiiod satis est, cui la modestia dei desideri esime da molte cure.
Ma subito dopo, il quadro di colui che invano si adopra
per fuggir se stesso, mentre il Timore e la Minaccia e
la Cura gli tengon dietro dappertutto, mostra che anche
quei versi interposti devono in qualche modo collegarsi
con la paura di morire. Cosi infatti conviene solo volgere un momento lo sguardo, ci che i commentatori
:

trascurano di fare, all'etica epicurea per convincersi che


proprio di massime edonistiche Orazio

monire

il

suo popolo a restringere

si

fa forte per

desideri.

am-

Cupidigia

smodata e timor della morte sono per Epicuro e per


sua scuola legati indissolubilmente brama insaziabile
:

la

di

vivere e desiderio di ricchezza e di gloria nascono dalle


(fr. 458)
pochissimo basta a contentare

stesse radici

(1) Cos, tra gli altri,


a)>l)iaiio

posta

al

ha inteso

il

Pascoli

interpretato Kikssling-Hkinzk, porche

carme

i|ni>.sta

non so
1'

di certo

com

introauziono

pre-

volta nn-iw lucida del solito.

G58

bisogni della carne, e anche se quel pochissimo manchi,

non turba

ci
si

fidi

chi

di ricavare

apprenda a morire
il

certamente colorite

parti pi

(fr.

di

chi

non

epicureismo schietto del

platonico Porfirio intorno

trattato del

470j.

pensiero autentico di Epicuro dalle

all'

astinenza dal

mangiar carne, un Epicureo ortodosso, Lucrezio,

forni-

non
honorum caeca cu-

sce gli stessi pensieri svolti per disteso in contesto


interrotto

59 denique

III

avarities et

pido, quae miseros homines cogtint transcendere finis iuris

interdum

socios scelerum

atqiie

ministros

noctes

atqiie

et

dies

ad summas emergere opes, haec voi'


nera vitae non minimam partem mortis formidine aluntur. E
seguita a descrivere come da timore della morte o, che
fa lo stesso, da brama insaziabile di vita derivino la sete
di onore e di ricchezza e l'invidia, che spingono ai de-

niti praestante

litti

pi

labore

orribili,

come quel

terrore

sia

(v. 82) fonte

di

ogni cura. Per questa filosofia il piacere quanto semsecondo Lucrezio la Natura
plice altrettanto uniforme
potrebbe con ogni diritto rimproverare all'uomo di ago:

gnare

alla vita,

perch

il

piacere di un

momento

e quello

omnia
945 eadem
semper; si Ubi non annis corpus iam marcet et artus con fedi
languent, eadem tamen omnia restant, omnia si pergas vidi un'eternit

vendo vincere

sono identici

saecla,

atque

svnt

III

etiam

nunquam

potius, si

sis

morituriis. A che scopo, dunque, struggersi la vita con i


desideri, se ognuno in ogni momento pu conseguire quel

piacere, che, poich essenzialmente unico,

non mutare?

si

pu solo

biasimo del lusso ambizioso e della


cupidigia delittuosa e il pensiero della morte sono congiunti cosi anche in un altro carme di Orazio, che si ag-

ripetere,

Il

gira nella stessa sfera di pensieri, in II 18


si

vergogna

giar fasto

di frodare

il

il

ricco

non

vicino povero per potere sfog-

n\dla certior tamen rapacis

Orci fine destinata

aula divitem manet erum. Tutti attende la morte.

659

A chi abbia presenti questi concetti l'ode non presenter


grandi

empio colui

difficolt:

sul cui

capo pende Vensis

non soltanto perch la strofa allude alla stoDamocle e Dionisio II, e quegli, come si vede
principalmente dal frammento di Timeo citato nei commenti (Athen. VI 250), era una parassita di sciagurata
bassezza, questi un tiranno senza scrupoli
ma, e principalmente, perch chiunque teme la morte, fatalmente,
destrctus,

riella di

secondo gli Epicurei, trascinato al delitto (1). Gli agrestes


viri, appunto perch non temono la morte, sono, lo sappiano

no, savi epicurei

secondo

del resto

precetti del maestro

(fr.

il

savio di Epicuro,

570), vivr in

campa-

gna, e non detto che quegli agrestes siano proprio po-

non

veri contadini, e

intendere a s e agli

senso che rusficus d a

rustici nel
altri

di

uomo

voler divenire un

peggiore risma, l'Alfio del secondo epodo.

11

di

concetto delle

conservata da Porfirio e

una massima epicurea (fr. 207)


da Seneca: Meglio star di buon

un

pagliericcio che avere letto d'oro

due

strofe trova riscontro in

animo

e giacere su

e tavola sontuosa,
ao', \)-y.^^zXv

yjlYf^i

/.al

Come

ma

k\ azt^^'/Zo; xy-Taz'.ixsv;)

Le

(l'i

y,

y.ozl-.xoy

-xoxz-.tji^-x: /o'jaY/; v/yr,y.

-outcXt^ tp-i^av.

taluno

(2)

abbia

neir immagine degli

Sioiilite

xpxrtE'a

o'/.'/.oi:l%

esser turbato in cuore

(apea

voluto

scorgere uno

alberi, che, accusati

erano famoso

j^i

al

detto nella Repubblica (IH

vita sontuosa del

primo

Dionisio.

IDI

menzogna

di

tempo

di

scherzo

l'iatoiiu

d), torso

uriuni

sione

alla

l'untuH

erano, al tempo di Orazio, di attualit, come provano

(li

il'J-

con allu-

lilhartiitfHi
i

passi

l'orse ricordato,
da Kkssling-Heinzk. Del resto Orazio si
<|uanto all'espressione, di un passo di Lucrezio, dove questi asserisco
clic la natura contenta .lnciu^ senza che rllliuiar rthodiit liujutata

raccolti

i-

(iiirittaqw}

dorme

teda (II 2X). In liUcrczio sejjue la descrizione di tale

disteso sull'erba.

(2j Jii!KN-K.\,

p.

L'M:>.

elio

proprietario,

dal ricco

gione iniqua,
st'

ode,

mi par

si

scusano accagionando

la

sta-

intendere. Cercar facezie in que-

difTlcile

uno

tutt'

600

con l'andar a caccia

doppi

di

sensi osceni nell' inno di Mameli. Orazio usa qui del suo

rappresentare

diritto di personificare, di sentire e

come ha

umana

anche altrove son forse


scherzosi anche i versi dell'epicedio a Valgio non semper....
aut mare Caspium vexant inaequales proceliae.... aut aquilonibus querceta Gargani lahorant et foliis viduantur orni ?
Del pari pervertito il gusto di chi scorge una facezia
nei pesci che si sentono ristringere il mare iactis in altiun
molibiis, dai moli sui quali doveva sorgere il palazzo
del ricco, che fugge la terra per fuggir se stesso. Quel
la natura,

tale

fatto spesso

opera per Orazio, filosofo epicureo,

pando

il

mare che essa natura ha

Lo

dell'abisso.

non

lui

(II

ma

il

che

buon gusto.

apostrofa chi maris

18, 20) egli

obstrepentis urget submovere litora,

ripa]

ricconi

danaro e lavoro, doveva*


poeta, perch'esso offendeva

solo concezioni razionali,

altrove

usur-

tesori di

dare particolarmente noia al

Anche

uocpc 7J7tv,

riserbato alle creature

spreco insolente e frivolo di

profondevano nel mare


in

parum

Bais

locuples continente

nella quale espressione l'ultimo inciso certamente

sarcastico: che

il

rubar terra

non

segno di prodigalit,

danaro necessario

Anche

mare costa
;

non rende,

per procurarsi

il

sue pazzie, costui non esita a spo-

alle

stare fraudolentemente
e fastoso.

al

di avarizia

campo, sordido insieme


abbiamo ora dinanzi agli

limiti del

nel passo che

occhi, Orazio penser proprio a Baia;

come

a Baia pen-

ser Seneca in un'epistola poc'anzi citata (89, 21), dove

rimprovera

ricchi

ubicumque

in

aliquem

sinum

litus

fundamenta iacietis, nec contenti solo


mare agetis introrsus. Il lusso, nonostante l'ammonimento del poeta, non era, e s'intende,
diminuito. Proprio sul lido di Baia una diga mirabile.

curvahitur, vos protinus


nisi qiiod

marni

feceritis,

661

separava da tempo

la via Herctdanea,

mare dal lago Lucrino


sappiamo da Plinio {n.

Non

rava a restaurarla.

immemorabile

appunto

in quegli anni,

h.,

XXXVI

125),

lungi di

il

come

Agrippa lavo-

dinanzi a Pozzuoli,

l,

un molo grandioso difendeva dalle furie dei marosi il


porto, dove sbarcava il grano egizio necessario a nutrir
Roma. Gli epigrammatisti greci, Filippo (A P IX 708) e
Antifilo (A P VII 379), esaltano a gara le mura erette
nel mare da braccia oiclopee, le moli radicate nel profondo.

privati, a sfogo di vanit,

scimmiottarono

lavori

che lo stato compieva per regolare viabilit e


commercio delle coste dentro le quali si addentravano
il porto commerciale e quello militare
forse pi importanti per la vita e la sicurezza di Roma, Puteoli e Misenum.
Virgilio ha veduto spesso cader nel mare un'enorme
pila di sassi, sollevarsi acqua e rena, ha udito rimbombare l'aria fino a Precida, e ne ha tratto una similitudine per l'Eneide (IX 710).
Altrettanto attuale era al tempo di Orazio il tedio
titanici

che spinge l'uomo irrequieto


in

di

luogo

mare, senza che la nera Cura

guire

il

fuggente

fin

in luogo, di terra

cessi

perci

di

inse-

cavalcare dietro

sulla nave, di

Questa specie di spleen, propria


di civilt sature e gi un po' stanche, compare, per quanto
so, la prima volta nella Roma dell'ultimo secolo della Relui sullo stesso cavallo.

pubblica

passa

(1).

(III 1057 sgg.) gente che


mutar luogo, quasi potesse deporre il

Lucrezio conosce

vita a

la

peso del cuore: tale che

si

annoiato di

rimaner

in casa,

esce spesso dal suo palazzo per tornarci subito, accortosi

appena che non

alla

sua

villa,

sta meglio fuori che dentro

stimolando a rapidit precipitosa

quasi volesse portar aiuto alla casa

(1)

Con

i-lio

non

si

rsL-lmlc cIh- ioss(>

in

>;!i

lianmn'

-,

fllcni-slica.

corre

cavalli,

sbadiglia


subito,

appena toccata

6Gi>

la soglia, e o

a dormire e nel sonno cerca

appesantito

l'oblio, o

rivolge alla citt e vi ritorna

anche

Anche

sta descrizione cos vivida congiunta

a deporre

in

si

getta

fretta si

in

Lucrezio que-

con l'esortazione

timore della morte, che di questo stato d'animo cagione precipua. Anche in un'altra ode (Il 10,
il

17 sgg.) Orazio

chiede: quid brevi fortes iar.iilamnr aevo

multa? quid terras

mutamus? pai riae quia


Anche Lucrezio aveva scritto

alio calentis sole

exsul se quoque fugit ?

(1).

lioc se quisque modo fuquem scilicet, ut fit, effugere haut potis est. Ma Orarazio non elabora soltanto un motivo attinto alla letteratura filosofica egli conosceva quella malattia per triste
esperienza di amici, del grande viaggiatore BuUatio, al
quale rivolge l'epistola I 11, dove ricorrono parole somiglianti a quelle di queste odi
caelum, non animum mutant qui trans mare currunt : strenua nos exercet inertia :

in quella descrizione (III 10G8):


gitat,

navihus atque quadrigis petimus bene vivere.

ancor meglio, nervoso

che dal

egli

Romae rus
levis (2).

Ne

Davo

serv^o

optas

':

com'era,
si

fa rimproverare

absentem rusticus

quella forma,

La conosceva

per esperienza propria,

osiamo

urbem
pur

(s.

tollis

dirlo,

IL 7, 28):
ad astra

di

stenia cess nell'et auffustea: anzi essa crebbe e

(1)

linquit,

Segue scaiuUt

aeratati

odor

agente nimbos odor Euro.

eervis et

Heinze espuugouo questa

citiosa navia

nevrasi

dif-

Cura uve tiirmas eqiiitiun reAncora Kiesslixg e

strofa, quasi imitazione maldestra del passo

commentiamo. Tanto varrebbe considerare spuria tutta


l'ode
che quasi ogni strofa lia paralleli nel primo carme romano.
A somnnm agrcstiiim lenis virorum non humilis domos fastidii corrisponde la descrizione di colui al quale nec levis somnos timor aut cu])ido sordidiis aufert ; al desiderantem quod satis est, in certo modo, il
laetns in praesens animus. Ambedue i carmi parenetici e un po' astratti
finiscono in un epilogo personale, che mostra il poeta povero ma sodoi'aziano che
;

disfatto della sua povert.


(2)

V. anche

epist.

1,

8 3 sgg.

663
una

fuse insieme con l'ansia di vivere


divenire,

potrebbe

si

epidemica

dire,

Di quella malattia soffriva


sue lettere

le

egli

mutationihus inquietaris

torn a lamentarsi

Lucilio

con

tanta variet di luoghi


la tristezza e

non

cielo

fuga non

si

ben presto

direttore di

co-

Credi

che

1)

e te ne meravigli come di cosa


che neppur con un viaggio cos lungo e con

a te solo sia accaduto

ma

suo

il

scienza, che cerca di guarirlo cos (28,

nuova

Seneca

sicch

gi nella seconda lettera: non discur-

lui

nec locorum

ris

Nerone.

di

credeva guarito

si

gi in principio della corrispondenza,

congratula con

tempi

Lucilio a cui Seneca dirige

il

era detto

si

vita piena, fino a

ai

ti

il

ti

sia riuscito di scuoter dall'animo

peso della mente

e poco pi sotto

Devi mutare animo,


perch

Chiedi

questa

giovi? Fuggi portando teco te stesso

(1).

motivo ritorna in principio della lettera 69


Non voglio che tu muti luoghi, e passi dall'uno all'altro (2). Noi moderni, meno intellettualisti dei filosofi
antichi, ci rassegnamo al pensiero che codesti mali non
siano guaribili
Seneca scrive tutto un dialogo ad Serelo stesso

nimi de tranquiUitate animi, cio,

mio,

7:pl 'jO"j|x''a;

(1)
il

(3),

come dichiara

nel proe-

per curare proprio questa malattia,

Qui e nella lettera 104, 7 citato un apoftegma

quale a un tale

che

si

viaggi, avrebbe risposto

non dir autentico

ma

ili

aver tratto

joco

si

lamentava

dai
,

aver impa-

di

Socrate rispondeva che solo lo


la niassiina cosi

di Socrate,

prolitto

Se l'aneddoto

Portaci teco te stesso .

antico, quel tale

rato i>oco viaggiando,


libera dall' ignoranza

lagnava

studio di

intesa convione

bene

al

So-

crate del Fedro, che confessa di essere uscito di rado fuori di porta,

perch

gli alberi

non

gli

possono insegnare nulla

gico errare senza posa non


(2)

V.

(3)

Seneca confessa

3'")9-'jjiia
iiiiis

nella

ep.

otiiiii

si

attaglia a

noiiiiiii

iiu^itre

un nostal-

del quarto secolo.

55, 8.
(2,

3)

che amili tnniiiuilUtnH

scive nello stesso senso Orazio in II

lettera a Huilalio.

luiiini

U>

traduce

utiiiios

uui-

cm
che egli tratteggia efficacemente nel secondo capitolo
chi ne colpito, assomiglia quell' infermo che non pu
trovar posa in sulle piume, ma con dar volta suo dolore
scherma (2, 6), finch la stanchezza non gli d pace.
:

Ogni luogo gli sgradito: dall'amena Campania si rifudi l a


gia in Lucania e nelle solitudini del Bruzio (1)
Taranto, lieta di cielo sempre sereno; corre a Roma: tutto
;

invano.

condanna delle case nuove eccessivamente


motivo letterario e attuale. Abbiamo veduto di-

Anche
fastose

sopra

la

208) com' esso ricorra gi nei giambi dei Ci(2), come al novo sublime ritu atrium

(p.

nici dell'et ellenistica

corrispondano
Phrygius

Ma
in

il

in

lapis, in

Penice
certo

axoal

le

modo,

lusso di colonne e di

Roma: come mostra

il

xsipax'jXoi

'/J.%-oc,

marmi

(v.

85),

presto

fu introdotto

po-

l'esempio degli Stati Uniti,

poli giovani divenuti troppo

al

^jiapavoiTr;; (v. 83).

rapidamente

colti e ricchi

grandeggiano quanto alle dimensioni e al materiale degli


edifici e in genere di ogni opera d'arte, senza curarsi
(1)

Quanta importanza abbia il passo perla storia dol .sentimento


abbiamo rilevato pi sopra (p. 550).
In una certa forma esso anche pi antico Demostene nt-l-

della natura,
(2)

l'Aristocratea (XXIII 207


dei notabili

una

di

confronta la modestia delle abitazioni

sj^g.)

volta con

lo

sfarzo

delle case

odierni, la bellezza degli edifici pubblici del miglior

con

dei

demagojibi

tempo

di

Atene

la miseria di quelli che si fabbricavano allora. Pensieri ed espres-

sione somigliano alle parole oraziane (II


scripium

et

1.5,

10): non ita Romiili prae-

intonsi Catonis ausjiciis veterumqnc

8US erat brevis,

commune magnnm

portictis excipiehat arcion, nec

norma

privatnx

nulla decempedis mciata privuts

illi

cen-

opacam

fortnitnm gpernere caespiteni Icges sinebant.

oppida publico snmptH iubentes

et

deornm tempia novo decorare saxo. Ma,

nonostante la somiglianza e quantunque Orazio abbia senza dubbio


letto Demosteue-^i sui banchi della scuola, non vi ragione di pensare che

il

poeta abbia cercato lo spunto in un'orazione privata per


le democrazie di ogni tempo hanno in uggia concit-

quanto celebre

tadini di consuetudini tropjjo sontuose.


pompa

troppo se

gusto. In un

rebbe stato,

665

e proporzioni colossali soddisfino

tempo
nonch

in cui eccesso di lusso

inviso,

mal

tollerato,

il

buon

privato

dopo

sa-

la distru-

zione di Cartagine, durante la censura di L. Muramio. fu

dorato
si

tempio

soffitto del

il

vanta

(II

18,

1)

Giove Capitolino. Orazio

di

non ebur neque aureum mea renidet

in

domo lacunar con parole che ricordano, s. com' noto,


un celebre passo di Bacchilide XP'J^' o iJi-fava t \xxo\iyJ.po'jaiv 017.0'.. ma alle quali
d colore moderno il preciso
lacunar, la menzione cio della parte della casa che al
tempo di Augusto pi soleva esser fastosa. Dalle parole
di Plinio che ci danno notizia di Muramio, si ricava che
ancora al suo tempo quell'uso non era insolito in ricche
case private. Ma, per quanto proclive a declamazioni contro la corruzione del secolo

un

fazioni

bri dell'opera

confessare
nel lusso
del primo

si

mostri l'erudito nelle pre-

che suole premettere ai singoli lisua messa insieme da schede, egli deve

po' verbose

(XXXVI

8)

meno smodati

che

contemporanei erano

suoi

meno

sguaiati. Verso la

secolo innanzi Cristo,

M. Scauro, che,

met
edile,

aveva eretto 360 colonne nello sfondo di una scena di


un teatro posticcio, aveva fatto collocare nell'atrio della
sua casa palatina colonne marmoree alte 38 piedi, di tal
peso da rovinare le fogne per le vie per le quali furono
trasportate (l).Unagenerazione innanzi, l'oratore L. Crasso
s'era fatto per

primo costruire per

piccole colonne di

marmo

sua casa poche e

la

straniero,

Tlymettiae,

attiran-

scherno. Al tempo di Orazio il marmo dell' Hycai)itelli: le colonne nemetto non buono se non per
gli atri delle persone che si rispettano, devono essere di
dosi

(1)

Scauro

V. aiKiho Plinio,
>

ii.

I,

X.XXVI

111

XXXVII

colui cho, coniplict' Siila, niiast la

romani, intaccata

<;i

ma non

distrutta jirima

11.

Ter Plinio

stiM|>lirit dei
ili

lui.

costunii

giallo antico

noji

()6

prcmunt coliimnas

trabes Hymettiae

tima recisas Africa. Nell'et di Plinio


dispregiato

il

marmo

peregrini marmoris columnas, egli scrive,

mettias tamen.

Questo cambiamento

tuttavia a credere che

moda non

di

ul-

attico

////-

autorizza

andasse senza posa aumentando dall'ultimo secolo della Repubblica in poi. Le


parole di Plinio, che subito seguono, mostrano il contra-

Se

rio.

invece,

le.

lusso

il

riforme legislative non riescono

man mano che

in

un popolo o

ciale l'agiatezza diviene antica,


goli

il

in

mai a nulla,
una classe so-

lusso impronto di sin-

ne sbandito sempre pi severamente.

di sfarzo

contro

quali Orazio mostra

che sar stata ancor pi estetica che

etica, risalgono per

lo

pi all'et sillana o alla cesariana, sicch

si

dovr

postes,
di

intendere con

che precedono,

si

marmo Numidico,

introdusse in

Roma

novo ritu

riferiscono (1) a soglie e stipiti

M. Lepido,
(II

il

certa discrezione. Gli invidendi

(XXXVI

49)

che fu console nel

78-

quali secondo

Nell'ode spesso citata

vari generi

una ripugnanza,

18) Orazio

Plinio

si

scaglia contro

riccone che secanda marmora locat sub ipsum funus


d'

incrostar

di

condo Plinio

marmo

(XXXVI

le pareti risalirebbe,

48),

il

l'uso

sempre

se-

che cita Cornelio Nepote,

al

famigerato praefectus fabritm di Cesare, Mamurra. Forse


gi durante l'et augustea gli spiriti pi fini sentirono
disgusto della

pompa

proclive l'austero

eccessiva

ne alla pompa sar stato

principato di Tiberio. Nell'et di

Ca-

Nerone l'esempio degli imperatori folli non sar


stato senza qualche efficacia almeno nelle cerchie dei cittadini cospicui, che frequentavano la corte. Al tempo di
Plinio
gusti ridivenivano semplici. Orazio, combattendo
il lusso privato, sapeva di esser di accordo con Augusto
che, cqnie informa Svetonio {Aug. 89), ripubblic in un

ligola e

(1)

Come notauo Kiesslixg--Heixze.

667

suo editto l'orazione de modo aedlficiorum,

che verso la
secondo secolo aveva tenuta Rutilio, il nobile
romano seguace della Stoa il quale, per aver combattuto
fine del

a viso

aperto

ruberie dei

le

cavalieri,

fu

condannato

per concussione.
L'epilogo dell'ode la quale comincia esaltando
di Giove,

una dichiarazione personale:

rebbe procacciarmi ricchezze e sfoggiar lusso, se

non addormenta
zio,

nei cuori

il

potere

che mi giove-

timore della morte

il

fasto

Orapoich nel proemio comune dei carmi romani ha preil

sentato se qual sacerdote delle Muse, ha immaginato di parlare alle generazioni nuove,

ode di questo
leggenda che

pu qui cantar

ciclo, la quarta,
il

prende

le

di se.

Un'altra

mosse da una

poeta stesso arditamente foggia intorno

alla sua fanciullezza mirabile

pure

si

direbbe quasi che

Orazio, narrata la riconciliazione tra Giunone e Romolo,

abbia maggior diritto

di

vantare

presagi con cui gli di

benigni coprirono e difesero la sua culla, che non in fine


della prima ode,
ciato. Io

dove

1'

alto

canto appena incomin-

non dissimulo che l'ultima strofa non mi ha mai

soddisfatto interamente; che, ogniqualvolta io la rileggo,


ci

sento

meno
passa

come una disarmonia,

la

quale tuttavia offende

l'orecchio e l'animo, perch l'attenzione del lettore

senza

fermarsi

primo da legami

La

al

secondo

carme, congiunto

al

strettissimi.

non sopisce le cure , dice la prima


ode gi il fanciullo impari mediante la milizia a voler bene alla povert come a un'amica canta la seconda.
E il carme passa a esaltare la pura bellezza della vita

ricchezza

del soldato.

Il

soldato qui tutt'uno con l'eroe, che basta

se stesso, indipendente

com' da ogni cosa

estorna.


Premio
che

della vita dura

timore perfuso d'ammirazione,

il

nemici hanno per

romano

moglie e fidanzata

lui:

barbari tremano per la vita


soldato

68

dei

loro

infuriare dinanzi alle mura.

Il

re

di

vedendo

cari,

il

lettore della

scene omeriche, doveva sentire l' epiche legionari romani menavano ai confini

Iliade, ricordando

cit della vita


dell'

impero nel tempo presente, remoto a prima vista da


La strofa quarta canta la bella morte di chi

ogni poesia.

ha senso pi lato:
romano impersona per Orazio l'eroe, o, che

perisce in guerra. Nella seguente virtus


il

soldato

il sapiente stoico, cui appunto


la virt libera
da ogni capriccio del popolo. La virtus conseguir anche
una ricompensa oltremondana. Le labbra del poeta si
aprono gi all'apocalissi; ma il tempo di parlare non

lo stesso,

ancor giunto

guai a chi rivela

spesso ha punito, nonch


sino chi con lui
di

rado

la

pena

trovava

si

si

segreti degli di

Giove

divulgatore degli arcani, per-

il

troppo

in

lasciata sfuggire

stretto contatto
il

peccatore.

L' interpretazione qui proposta non in tutto quella

comune, ne"

me

io

voglio darla per sicura: quest'ode pare a

la pi difficile, forse la sola difficile di tutto

il

ciclo.

Particolarmente oscura in se e nel suo nesso con la pre-

cedente la penultima

stanza

intenderla, se pure intenderla

se

non attraverso
Orazio,

come

carme parla a
il

si

et

fideli

tuta sileni io.

pu, non giungiamo

l'esegesi esatta di quelle precedenti.


in

tutto

quelli tra

il
i

ciclo, cos

anche

suoi concittadini

orecchi per udirlo, in ispecie per

Ma

est

le fanciulle e

in questo

che hanno
i

fanciulli.

poeta sarebbe stato ingenuo, se avesse creduto che

lirica cos

difficile

sarebbe mai divenuta popolare:

in

ve-

rit egli rivolge il canto e il pensiero a una minoranza preparata a intenderlo da studi e da consuetudini di vita. Nel
sistema augusteo, come abbiamo veduto disopra, nonch
cittadini romani
tutti i sudditi di Roma, neppure tutti
i

669

prendono parte all' amministrazione della citt. Durante


r Impero impieghi di grande importanza, se non di uguale
dignit, erano affidati a procuratores, a uomini per lo pi
di condizione equestre, ma talvolta anche libertina, che
operano quali strumenti del volere del sovrano, responLe magistrature cittadine, sino
al consolato compreso, divengono sempre pii lustre vane

sabili solo dinanzi a lui.

Orazio

per giunta, proprio verso quel tempo nel quale

lavorava

al

suo

poema

informa Dione (LUI 21,

nome,

nel 27, Augusto,

lirico,

come ne

restringeva, di fatto se non di

7),

poteri dei comizi, riservando a se

il

diritto di pre-

sentare, commendare, candidati per alcune magistrature (1).


Del pari la milizia non rimane, se non di nome, dovere
e diritto

comune

ogni cittadino. Augusto fu acclamato

di

salvatore per aver liberato

il

popolo romano, come dagli

orrori della guerra civile, cos dai pesi del servizio mili-

Per alleggerire

tare.

gli

obblighi dei cittadini,

primo

il

principe istituisce in difesa dell'impero accanto all'eser-

un secondo

cito dei cives, alle legiones,

tanza non minore,

anche

legioni

nelle

annessione

sudditi di di-

ammette senza troppo ritegno

peregrino, e

ritto latino

esercito di impor-

formato da

gli auxilia,

soldati che solo

in forza di quella

acquistano la cittadinanza. Di fatto, se non

romani poveri non avr prestato


non chi non avr altrimenti voluto
o potuto guadagnarsi la vita o assicurarsi un pane sicuro per la vecchiaia. La prima strofa del secondo carme
non parla di popolani, ma di figli di senatori e di cavalieri (2). Sarebbe ridicolo o crudele augurarsi che un bimbo

di

nome, dei

cittadini

servizio militare

(1)

anni

se

Mo.MMsi'.N, Stdu In reciti, Il

tlrll'

impero

><ii.l

nn.

Viitx connivndalioiiiH si

K coul riverso
estendesse

alli*

s'

noi primi

elezioni con-

solari.
(2)

Noi ^iimL^iamo a incsta conelnsione fondamloci su

non erano

noli a

molti,

])riina

die

il

Mommsen

Catti

(|U!ili

nella sna eeleliri'

me-

670

proletario coniiiscat angiistam cimice pauperiem pati; mi invito di tal genere

non

non s'intende, se

la rimiiizia richiesta

volontaria. Inoltre, e questo pare a

pi importante, per

il

me argomento

legionario la milizia non comincia

non quando la puerizia finita invece, proprio in


Augusto esigeva dai ragazzi delle classi alte
che essi dal quattordicesimo al diciassettesimo anno prestassero un servizio militare, che, almeno secondo le sue
intenzioni, non era di pura mostra. I pueri romani di buona
casata erano obbligati, come abbiamo veduto disopra, ad
se

quegli anni

ascriversi

iuveniim e a compiere nel

sodalicia

ai

Campo

Marzio esercizi ginnastici faticosi. E proprio della iuventus dei sodalicia Orazio adopra anche altrove parole simili:

come

qui

il

mente, acri

suo cittadino puer deve imparare volontariamilitia,

troppo tenera

a vivere povero, cos in

dell' ingenuos

rioribus studiis (1). Solo di

augurare
quel tempo, soltanto
:

24

la

un ragazzo della nobilt

Parthos ferocis vexet eques


il

III

mente

puer deve essere formata aspe-

giovane

pu
;

in

di nascita equestre o se-

natoria autorizzato e insieme obbligato a


vizio di ufficiale nell'esercito

si

metuendus hasta

il

prestar ser-

cavallo attributo co-

stante dell' ufficiale, la sua detta costantemente militia


eqiiestris (2).

pochi cavalieri, forse 120, aggiunti a eia-

moria sulla coscrizioue duraute l'impero li raccogliesse, collegasse,


illuminasse. Pure lo storico di Roma, quando ha voluto spiegare questo passo di Orazio, l'ha inteso, secondo noi, male. Per lui si parla
qui del soldato della monarchia, del cittadino romano povero che

dopo vent'anni di servizio, se non gli toccato in sorte di morire


per la patria, trova riposo nella calma della vita borghese quale sotcominciava
tutilciale in pensione. Ma ne il servizio dei legionari
venire in
jjoteva
condizione
di
quella
uomo
un
nella puerizia, n a

mente di presentarsi candidato.


(1) Spiega bene il nostro luogo, solo fra tutti, il Rostowzew,
(Bleitesserae, 63); d'interpretare l'ode nel suo complesso egli non
aveva col occasione.
(2)

MoMMSKX,

Staatsrecht, III 543.

671

cav^alleggeri iscritti
(1) non contano nulla;
non sono nati cittadini. Eques e pi chiaramente puer escludono che Augusto inviti qui il giovane
proletario romano ad arrolarsi nelle legioni. La vista
non di un gregario ma di un capitano rimescola il sangue alla fidanzata del re barbaro.

scuna legione

negli auxilia

La morte

del valoroso dolce e

onorevole, ne fug-

gendo uno si sottrae al proprio fato, seguita la quarta strofa


con parole, che, come stato pi volte annotato dagli
interpreti,

devono risvegliare

ftegmi celebri

Le

uno, di Simonide.
filosofico:

il

nel lettore

di antichi lirici greci e

strofe seguenti

valoroso diviene qui

il

ricordo di apo-

particolarmente di

hanno colore pi

virtuoso, con trapasso

il

una lingua che distingue male tra


Dei premi del valore si parla qui, ma essi

facile a chi pensi in


vpsi'a e pst/j.

sono

che

gli stessi

seguaci abbiano

la

Stoa promette a quanti tra

suoi

raggiunto virt, ossia saggezza.

noeducato da esercizi severi ad amare


le privazioni, esponendosi per la patria ai maggiori rischi
negli anni della giovinezza, si rende indipendente dai
11

bile, sin dalla puerizia

crosci di

mano

della folla. Egli trova ricompensa alla sua

virt in essa stessa,

non

nei suffragi dei comizi.

Le

pa-

role Virtus repidsae nescia sordidae intaminatis fulget honoribus nec siiniit aut ponit secnris arbitrio popularis aurae

vogliono, no, sconsigliare

una volta compiuta

magistrature
militia

chi
se

schiude

adito a esse

il

popolo capriccioso

(1)

, ma

DoMAs/KWSKi

{Ahh.

stato iiu'dianto

il

il

neghi giustizia

iiiaj:;fii(rc,

112) ossa

iiidii-a

II

alle

anche

(2).

tJ.

fraintoiuloiio la strofa
la

la

dicono chiaro che

in ci stesso premiato,

MAIIi^rAKDl', Slddlirri-irallinni,

(2) Gli storici, aiiciit

non

gli

candidatura

augusteo appunto

nel sistema

ha militato con onore,

non

giovane ottimate dal porre,

la militia, la propria

che
l'

il

MoDaroliia

(|iialo

consolato annuo e perpetuo del prinrijio.

jur

l'oniia

Ma

il

ili
-jli

spii'na corno dill'oloi^io (h'Il'iiHicialc e del soldato, clu' :ini<c!iia


Certo, chi

accolto in
glieva

giudica

)7t>

freddamente dei comizi,

cos

magistrature curuli gran

alle

iia

della riforma augustea, che to-

se lo spirito

importanza, e mostra per l'equit e

la

parte

della

loro

ragionevolezza del

che si manifesta nel


da Augusto [)roprio in quegli anni. Orazio consiglia qui al giovane nol)ile che, soffrendo e operando ai confini dell'impero, si acquistata

suffragio

stessa diffidenza,

(juella

ius commendationis, ristabilito

la virt, di fare degli onori tributati dalla folla quel conto

che

ammanta

pensa ad allontanare da quella

pubblica che era rimasta,

di vita

dalla costituzione
si

ma non

meritano,

essi

ombra

un paradosso caro

di

da

nell'et repubblicana

Il

(1).

concetto

11

agli Stoici, coniato forse

direttori greci di coscienza per

consolare in sventure elettorali

romani.

soli qualificati

nuova a prendervi parte

loro protettori e alunni

savio per Crisippo sempre re: Orazio stesso,

che nella chiusa della prima epistola

si

fa

giuoco

di

quel

paradosso, in un

carme (IV 9) di colore specificamente


anche altre espressioni ricordano l'ode da

stoico nel quale

la vita per la patria,

chiede

alla

MOMMSEX

siano nessi

ci

qui

(p. 172)

passi a esaltare

si

che

lirica

dice

si

principe. Forse egli uon

il

tra strofa e strofa

Secondo

il

che il soldato chiamato a meglio

che a far iJolitica che gli onori del valoroso non hanno nalla che
fare con sudici intrighi elettorali
che egli non prende e depone le
scuri dei littori secondo il capriccio delle folle . Questa esegesi
;

per

lo

vero,

meno conseguente

ma

poteva forse

cittadino

il

lungo servizio un posto di sottufficiale, poteva


gistrature maggiori ? Chi parla di repulsa, si

uon ad

agenti

romano po-

nel concetto augusteo era riserbato dopo

luello stesso a cui

egli aspirare alle

ma-

riferisce a candidati,

elettorali o a votanti prezzolati.

Anche

quell' inter-

pretazione assurda.

Anche Epicuro,

(1)

con

zelo

maggiore, consiglia ai suoi

guaci di tenersi lontani dalla vita pubblica


loro quale esempio se stesso

curea:

la virtus

onorata.

di

(fr.

Epicuro non

187).
ai

Ma

(fr.

la

se-

551 sgg. \ e propone

massima non

qui epi-

consegue con milizia fedele e


noi

commentata

(1),

673

esaltando l'animo di Lollio, prudente,

costante in ogni pi dubbio e pi avverso

caso, alieno

dalla cupidigia, lo dice consul non unius amii.

mula, come

Ma

la for-

ben pi antica di Orazio:


Cicerone in un passo delle Tusculane (V54) citato dai commentatori, a proposito della ripulsa che tocc a Lelio,
accennato,

si

dichiara: ciim sapiens


fjiis

bonus

et

praeteritur, populus a

vano popolo repulsam

vir,

qualis

ille

Qui come nell'ode

feri.

fiiit,

suffra-

quam
romana

bona consule potius

ille

sup-

posto quel principio che nel carme a Lollio enunciato:

anche cadendo

nelle

perch era

Al Lelio ciceroniano, che incarna

gi.

elezioni,

savio diviene console,

il

la Vir-

potrebbe applicare tale e quale la strofa oraziana


che qui trattiamo: anch'egli, ignaro della ripulsa (2), fulge
tus,

si

di onori

ad
il

incontaminati e non prende e depone

le

scuri

arbitrio dell'aura popolare. Nella letteratura posteriore

motivo rimane vivo,

ma

forma diviene meno paranon pi Lelio, ma Catone.

la

dossale, l'esempio consueto

(1) (luraimiue callet pauperieui pati

non

ille ]iro

patria timidus perire.

Anche per ohatantis


ode di Regolo.
(2)

Non

caten'as ricorda

soltanto di

dere Kiesslino-Heinzo
pili,

mia

angnstani paiipcrieiu pati coiKliscat....


dulce ft decornnist pr patria mori.
il

ilintocit ohHtantif! jiyojiimiuoii (U'ila

ripiilaa disonorante,

corno jiaiono inten-

che (inalsiasi rcpulad nordida nella stima dei


come mostra un passo dello Epistole, dove al solito interlocutore

fittizio si

dice (I

J,

iarpcmquc repulsam
ripnlsa. Questi

42): qiiae

ma

il

maxima

commentatori, che

oraziano, paiono a

me

credi esse maa,

savio, secondo

(iiiol

exignom cinifum

paradosso, non anbisce

puro hanno citato

1'

scrivono che l'ammonimonto di Orazio va inteso nel senso


lore dell'uomo

altro

luofo

esprimersi oscuramente e inesattamente, l dove

non dove dipendere, come nell'et ormai

ohe

il

eliiiis.i

vadel

governo dogli ottimati, dalla capricciosa aura pupularii< . Qui proItriamente non si parla della costituzione mutata, che i)er mozzo della
commendano iiholisco di fatto o restringo grandemente il sullVagio, ma
lei

da

nobile che, educato dalla milizia a

quel sullriigio.
4:5

virti,

si

reso indipciidfnic

074

Seneca, che parla spesso della imperturbabilit di questo,


quand'egli cadde nelle elezioni per pretore o per console
{ad Helv. 13, 5;

ep.

Ti, 8. 11

pi che quella fosse ripulsa,


lo spirito
si

104,30) (1), non contesta


nega che fosse ignominia:

elegante del filosofo politico e

uomo

mondo

di

studia di attenuare, magari soltanto illustrandole, as-

serzioni che

ripugnano

al

senso comune.

In terra premio alla virt l'indipendenza dalle cose


cio in fondo la virt stessa

di fuori,

sottrae

il

e poi ? Poi la virt

savio alla morte. Per quello tra gli Stoici pi

sappiamo che cosa pensasse su


sopravvivono al
corpo e menano vita propria, sinch il mondo non si risolver in fiamme; ma Diogene Laerzio, il quale (VII
157) ci ha serbato notizia di questa opinione, aggiunge
subito che Crisippo restringeva quel privilegio ai sapienti;
Crisippo il rappresentante unico della Stoa in vari luoghi di Orazio, che non nomina mai n Zenone n Cleante.

antichi, del quale meglio

questo

La

punto, Cleante, tutte le anime

dottrina di

Crisippo

fu

accettata,

modificata,

svi-

luppata dal pensatore che, fondendo col realismo stoico


il

misticismo platonico, impront

di s filosofia e religione

dei tempi avvenire, Posidonio. Seneca, nel mito

in fine

della consolatio ad Marciam, finge (cap. 25) che l'anima del

virtuoso figlio di Marcia, purgata per breve

tempo

sotto

il

cerchio della luna dalle scorie dei peccati, sia accolta in

colass contempli il mondo, sinch questo, e


con questo le anime beate (26, 6. 7) non siano consumate
dal fuoco per rinnovarsi. Questa fantasia di un purgatorio
aereo posidoniana essa ricorre in altre opere di cui
noto che si ispirano alle dottrine di Posidonio, nel mito

cielo e di

escatologico del de facie in orbe liinae plutarcheo, nella descrizione virgiliana dell'oltretomba (VI 887), in

(1) Cfr.

anche

ep.

118, 3.

forma un

po' diversa in

un passo

675

Sesto

di

Empirico (IX

ma non della
E pensiero o

rispecchia dottrina stoica,

73),

che

Stoa ortodossa

Zenone e Cleante (1).


immaginazione
posidoniana che le anime migliori siano dopo morte assunte subito in cielo le peccatrici, secondo il Somnium
di

com' noto, intessuto di pensieri e


non vi giungono se non dopo secoli.
E invece per lo meno dubbio se Seneca riproduca Posidonio, l dove dice che anche queste anim.e saranno un
giorno distrutte dall' ixvi'jpwatc, o non piuttosto cerchi di
accordare, ligio com' alla dottrina pi ortodossa della
Stoa, questa con quelle immaginazioni mistiche. Cicerone
nel Somnium Scipionis finge (13. 16) che almeno ai benefatScipionis (29),

che,

fantasie posidoniane,

tori della patria

sia

riservato in cielo,

nella via lattea,

E vi sono inche questa fosse veramente l'opinione di Posidonio.


Varrone nelle Antiqiiitates rerum divinarum (Augustin., eh
civ. dei, VII 6) diceva (2) tutto il mondo pieno di anime:
un luogo

uhi beati aevo sempiterno fruantiir.

dizi

tra

il

cerchio della luna e la regione dei venti soggior-

nano anime
misticismo

agli occhi dello spirito, dette

solo

visibili

eroi e lari e geni.

Questa dottrina, poich

un

platonico in

trattato

introduce

stoico,

si

il

sarebbe

dovuta dire posidoniana, anche se non collocasse nelanime dei morti. Ora, essa collima perfettamente
con un passo di Plutarco {de def. orac. 415 b), nel quale
si parla di uomini che divengono eroi e da eroi di, come

l'aria le

la terra si

trasforma in acqua, l'acqua

in aria,

l'

aria in

pu provare che deriva da Posidonio, confrontandolo con uno


scrittore tardo, che, come ricerche recenti hanno mostrato,

fuoco

e proprio di questo passo plutarcheo

(1) I

}^Ho dal
{'2)

passi sono ra('colti

NouDKX

nel

lai

commouto

Lo SciMKKKi, (MittUre

rone attinge spessissimo

in

IIkin/.k,
al

VI (IM'

Xenokralin,
Kiuidr, p.

Sion, 137 s^jj.

[neiropna

Iha

si

L'U

sj^;;.

o iiu-

'2'.).

(linioatrato ohe Var-

al Tipl S'scbv di rosidotiio.

07)

attinge per rivoli al fiume posidoniano, Nemesio di

anche per Nemesio

elementi

gli

proprio nell'ordine stesso

tro, e

mutano

si

(1).

Da

deriver anche quel vA\e segue subito

dmoni, poche anime

in

purgate, raggiunsero

la

evidente, sono sottratte,

Emesa:

l'uno nell'al-

Posidonio, dunque,
in

Plutarco

Da

molto tempo, merc

la loro virt

divinit. Queste

anime, pare

come

all'

eterna

vicenda delle

Posidonio, seguendo Platone, insegna, cosi

nascite, che

La dimostrazione sembra sufficiente;


pu rincalzare, mostrando che anche da altre
fonti apprendiamo aver Posidonio insegnato che anime
umane possono per loro eccellenza essere dopo lunga
stoica.

all' xTi'jptoat;

ma

la

si

purgazione trasformate

in di.

Il

raccoglitore delle opi-

ha un lungo capitolo intitodove si riporta la


dottrina dei soli Stoici intorno a questo tema. E manifesto che l'autore della raccolta ha sunteggiato un'opera
di tutt'altro argomento e di disposizione affatto diversa;
perch, piuttosto che indicare donde gli uomini abbiano atnioni dei
lato

filosofi,

TOi)'v

Aetio

svvotav layjov

(I 6),

xS-eiv

avS-pw-o'.,

tinto la nozione della divinit, qui

si

distinguono varie

giamento entusiastico

si

definisce

il

dio unico

categorie di di singoli. L'atteg-

ammirazione che l'autore assume


dinanzi alla natura, ben diverso da quella certa freddezza propria degli Stoici pi antichi, d a divedere che
ragionamento ed enumerazione derivano da filosofi non
di

il Timeo di Platone
citato come scritto di
grande autorit, ci che non avrebbero fatto n Zenone
n Crisippo; Posidonio, invece, scrisse un commento proprio al Timeo. L'autore divide, come Varrone, che di-

ortodossi:

ci)

Jager,

GER uou

si

N^enesioa

von Emesa ^Berlino, 1914), 72

ricordato del passo

pliitarcheo,

che,

uoto ci che Nemesio espone, poteva fargli comodo per


strazione.

sgg.

poich
la

Il

Ja-

suppone
sua dimo-


pende da Posidonio,
e civile.

la teologia

quest' esposizione

In

di di, ultima

gorie

677

in naturale, mitologica

sono distinte sette cate-

quella dei benefattori dell' umanit

Dioscuri, Dioniso. Qui, in


nati uomini, come Heracle,
un passo che per altre ragioni pare risalire a Posidonio,
i

supposta quella stessa dottrina dell'anima che con insigni meriti conquista l'immortalit, la quale

conosciamo

da Plutarco. Le stesse categorie si ritrovano nel Protree, con aggiunta di considerazioni assai simili a quelle di Aetio, nel secondo libro
tanto in Cidel de natura deorum di Cicerone ( 49 sgg.)
cerone quanto in Clemente gli uomini trasumanati vengono per ultimi; gli esempi sono gli identici di Aetio, tranne
che vi si aggiunge Asclepio (1).
In altre parole
Orazio con Virtus, redudens immevitis
mori promette un'apocalissi, annunzia che egli riveler le
letsorti delle anime dei saggi. Leggendo tali parole,
tori, poich precede una strofa strettamente connessa con
questa (2), nella quale la virt e
suoi premi terrestri
sono dipinti con colori stoici, aspettavano non solo un
ptico di Clemente (cap. 26)

(1)

opera
lo8.,

I,

tre luoghi souo stati confroutati tra loro e riooiulotti

di

Posidonio

TiepL S'Scov

dal

Wkxdi.and, Arch.

alla

f. dench. d. Phi-

1888, 200 sgg. Egli non pons al de defeotu oracnlornm.

parallelismo tra la ricompensa terrena e la celeste

(2) Il

nu-ss

da un'anafora a nostro gusto sin troppo accurata. Di ciascuna delle due stroft^ formano come la spina dorsale due proposiin rilievo

zioni coordinate
ri8 e

inttiinina(8 J'utjet

najata temptat

iter

honoribitn nic xiiinit uitt poiiit <<-

via cuetunque culijaris

vt

adain spernit hiiniinn.

In tntt'e dne la Virtus sta in princiitio, seguita subito da un

nominale

tutt'o due le strofe la seconda proposizione complessa,


verbo nell'una, con dopjiio oggetto nell'altra snmit uni
:

tiiH

vnlijariH et iiddiu huniiim.

ci che

inciso

rrpuleae nescia Hordidae e leclndeim imincritiii mori cailinn. In

])iri

Orazic

t>

cov-

importava far sentire, anche in

granimaticalt? nell'espressione,

])remi terreni e i|uelia dei celesti.

con dojipio
poiiit,

il

nesso tra

l.i

si

iuta dei

ma

mito,

meglio

un mito conforme

di quella

678

alle

scuola stoica

dottrine della Sioa, o

che concedeva l'eternit

agli spiriti grandi, ai benefattori della patria e dell'umanit,

Posidoniani. Posidoniana forse persino l'imma-

che solleva essa stessa al cielo l'anima


( 25) Scipione Africano esorta l'Emiliano a non curarsi della gloria mondana, che aura
gine della

eletta: nel

vana

V7'tus

Somnhim

ma

e fuggevole,

illcebris ipsa virtus

solo della

vita eterna. Coetus vulgaris


s,

in

celeste

ad venim

trahat

udam

et

s/s te oportet

decus, e intende alla

spernit

humum

significa,

primo luogo appunto questo, che la Virt solleva


ma spernit non detto a caso:
il suo protetto,

al cielo

nella posidoniana visione del

contemplando dal

Somnium Scipionis l'Emiliano,


si vergogna della picco-

cielo la terra,

romano

ma

l'Africano ( 20) gli


mostra che solo rare e strette parti della superficie terrelezza dell'impero

stre

(16),

sono abitate, quasi macchioline separate da solitudini

immense. Chi ha attinto il cielo, dispregia l'umida terra,


quantunque per meritarsi il cielo abbia dovuto operare
sulla terra.

Io non voglio, bene inteso, asserire che Orazio nel


comporre, non dico un'apocalissi, ma questo proemio di
apocalissi, abbia avuto presente una visione di Posidonio;
non affermo neppure che egli e i suoi lettori abbiano letto

grande mistico

il

libro del

meno direttamente

trasfonde subito negli

noti,

pensatori pi

'perch

scritti

il

de' minori,

loro

che

celebri sono

pensiero
il

si

pubblico

legge pi volentieri e pi spesso che le opere dei grandi.


Ma intendo dire che Orazio promette qui al buono, al
savio, all'eroe delineato a

compensa che
di.

Posidonio,

solo
i

forma dell'ideale stoico

una scuola

la

ri-

stoica gli assicurava, quella

cui insegnamenti erano del resto popolari

Roma di quel tempo.


Orazio promette, abbiamo detto, un'apocalissi, un mito

nella

679

una rivelazione sui novissimi dell'uomo virpromessa non adempita se non pi tardi
e in altro contesto, nell' ode terza, dove si accenna, pi
che non si descriva, come Polluce, Heracle, Dioniso,
Romolo, abbiano acquistato, come il secondo Romolo, Auescatologico,

Ma

tuoso.

la

gusto, stia per acquistare


merces

silentio

il

poeta

scrupolo di rivelare

1'

si

immortalit. Est
ripiega su se

stesso

arcani degli immortali

gli

fideli tuta

et

ha

egli

quali,

come

premiano

chi, iniziato, sa tacere

niscono

sacrilegio nel colpevole e talora nell'innocente.

il

Questo, secondo me,

l'

senso delle due ultime strofe

il

Esse sono intese per lo

(1)

come, interpretando con

il

educazione della giovent

loro misteri, cos pu-

Ka.si:
, si

(1).

ben diversamente. Ma non


Anche la piet religiosa serve

pii

so

al-

possa connettere questo pensiro con

Ma ancora un'altra virt


ha valore e consegue il suo premio. Un'altra virt? La Virtus le
comprende tutte. O si deve intendere Anche la Fede una virt
ed quindi premiata Ma est et fideli tuta Hilcntio pare introdurre
nn pensiero nuovo. Pure in questo modo spiega il Mommskx (p. 173)
i

precedenti. KiKssr.ixG-IlKixzK spiegano

quale riforireblic quello parole, pi particolarmente, alla virt propria dell' impiegato di carriera, del procuralo)-, allo scrupolo nel conil

servare

segreto d'ufficio.

il

Ma come

il

poeta, dopo aver parlato della

virt eroica, che sottrae chi l'esercita al fato

ridisccnderebbe

Mommsen

qui a discorrere dei

comune

minuti doveri

degli nomini,

dell'

impiegato

conferma che, spiegando cos, non si fa onoro alDel resto fideli giUutio non poteva inl' ispirazione lirica di Orazio.
dicare intelligibilmente la carriera procuratoria neppure negli anni
nei (uali essa, istituita appena, era forse argomento !> redi letto di
discorso.
Secondo il Domaszkwski ip. 111) le ultime strofe alluIl

stesso

dono

non cadde

Egitto, sembra,
ntlcio

ma

delitto e alla punizione di Cornelio Gallo;

al

le

in disgrazia

il

prefetto di

per aver rivelato segreti

parole di Dione (LUI 23, 5) noXX

tli

yp xai [ii-xt.a.
sic, Tv A'')'{0'jjzo' TiE'.Yjpet significano solo che egli disse male dell'Augusto a maldicenza pare alludere anche Svetonio, dove (Au<j. 6(>)
chi-

|xv

parla di animo ingrato e malevolo verso


ilia

li

Ufi generica.

spiegare

il

testo,

poi,

il

il

sovrano

la frase dei Tri-

Domaszewski rinunzia,

confessatulo che

il

in

fondo,

ti'apasso dalla ^'i^tus alla Fidrs

()H0

In questa chiusa vibrano

culazione mistica di

motivi non pi della spe-

ma

moderni,

filosofi

antichi e solenni poeti greci.

della lirica di

stato notato

da

molto

tempo che est et fideli tuta silentio merces riproduce letteralmente un verso di Simonide che Augusto adopr pi di
ima volta (fr. 66): eat: xai ^ly: 7.''v^'jvov yox;. Ma quelle
parole tornano poco mutate anche in Pindaro Tfr. 180)
:

Non

aprire a chicchessia inutile discorso: talvolta la via

del silenzio la pi sicura:

oxs TicaioTa-a a'.y; c .

s-jf)-'

In che occasione Simonide e Pindaro parlassero cos,

sappiamo bene,
nici

ma movenze

conservati

Olimpica

ce

fanno sospettare.

lo

non

e trapassi analoghi in epi-

Nella

seconda

espone quali premi, secondo la dottrina dei


misteri, aspettino i buoni nell'oltretomba
ma a un tratto
egli

si

riprende

il

gomito dentro

(v. 91):

Molti veloci dardi ho in pronto sotto

alla

intende, cio per

bisogno di interpreti

La

a mezzo un'escatologia.
di offender

quinta

la

Nemea

cacciasse in

s'

ma

(v. 16).

il

il

il timore
chiaramente nella

pi

Egli non vuol dire qual sorte mai

bando Peleo

intende per che

per

ragione del silenzio,

piet, espressa

non immediatameute chiaro

che hanno

voce per chi


volgo hanno
Anche qui queste parole troncano
faretra,

gli iniziati;

Telamone

Seguono parole

Mi fermer: non

t'autastiche e assurde:

suddito deve la Fides a colui che in se

iui-

Domaszewski intende al principe. Ma di doveri verso V imperatore Orazio non pu far parola, perch tutta la
l^rima parte dell' ode si riferisce al giovane cittadino di buona casata, non al sovrano. Il Doniaszewski non si cura di spiegare i carmi
nel loro complesso, ma, strappata dal contesto qua una strofa, l
persoua la Virtus

, e

il

un' altra, vi insinua allusioni storiche seuz' alcun riguardo

poetico e logico dei pensieri,

ma

di trovare dappertutto sentimento monarchico.

che io sappia, pare abbia spiegato beue

il

Unico tra

passo L.

un programma di Treveri del 1892, che conosco


del JuREXKA (p. 29.5)
tra i nostri il Pascoli.
;

al

nesso

con uua certa voglia, forse inconscia,

solo

gli stranieri,

Pppelmaxx

in

da una citazione

681

ogni verit sincera porta vantaggio maggiore, scoprendo


il

volto, e spesso

il

tacere per l'uomo

il

pi savio con-

due avevano commesso un delitto, uccidendo


Phoco. Orazio imita una movenza dell'antica lirica greca.
Nel commento di Kiessling-Heinze si trovano raccolti passi
siglio .

di tragici e di Callimaco, assai simili per concetti e per

immagini a
isdem

vetaho qui Cereris

quasi luogo

che questo

bile

sacncm

volgarit arcanae. sub

trabihus fragilemve meciim solvaf pliaselon.

sit

comune

proba-

poesia fosse

della

da qualche antico melico o elegiaco. Anche

svolto gi

che saepe Diespiter neglectus incesto addidit integrum concetto, quanto estraneo alla filosofia ellenistica, altretlo Zeus di Solone
tanto familiare all' elegia pi antica
:

ma

aspetta a punire,
se

il

colpevole

x:vo'jjcv

Yj

una buona volta arriva

castigo

il

^ars; -o'j-fov

7,

i^o^r'ao).

Y^^''^^

tragici parlano di un' -taS-Tiou;

che essa k

(IV 16) asserisce

a sfuggire (XIII 31), vaiTiot spYa

riesce

se

per primi

Solone stesso

gi

A'V.r],

xpvo) Tiv-to;

y,X{)-"

Tior.ao-

Con ci non si vuole naturalmente affermare che


Orazio, componendo quest' ode, avesse in mente proprio

|iv^.

proprio Solone

quei passi pindarici

imita un atteggiamento consueto

muove
liari

in

una cerchia
pi

air elegia

immagini

prima e

le

mente

lettore

il

tivi lirici,

e,

di concetti e

antica.
terribili

Pure

l'

poi,

si

di

scuotono

irresistibil-

Orazio risente profondamente quei moperch l'anima sua era pi congeniale agli
:

antichi poeti che

non

ai

filosofi

mistici, la chiusa la
il

carme.

terza ode non pu essere cosi strettamente colle-

gata con

perch

greca e

immagini famiaccenno misterioso

parte pi poetica e pi calda di tutto

La

afferma che egli

si

alla lirica

lo

la

seconda come cpiesta con


strofe della seconda

ultime

la

prima, appunto

tagliano

brusca-

682

mente, anzich continuare,

il

procedere del pensiero. Ora-

mosse, come nella seconda ode,


dal savio, la cui imperturbabilit egli esalta in immaj^ini
grandiose
n forza di popolo n volto minaccioso di
zio

prende

nuovo

di

le

il fulmine
di Giove lo smuovono dal suo proposito (l). Quest' dottrina generale di
anche il savio di Epicuro non ha ratutti gli Stoici
gione di temere le cose di fuori, che egli, anche disteso
suU'eculeo, anche chiuso nel toro di Palaride, beato
epicureo non tenax propositi.
(fr. 601); ma il sapiente

tiranno n furio di vento n

Invece

il

comune

virtuoso della Stoa, secondo la dottrina

compendiuccio nel secondo libro delle ecloghe di Stobeo(Chrys. fr.mor.567 Arn.),


non pu essere costretto n impedito n sforzato n padella scuola, quale la rispecchia

droneggiato. Lattanzio

il

577 Arn.) deride

(fr.

che

tori della gravitas e della constantia,

nullis terroribus de sententiae proposito posse

ratteristico per lo spirito

Greci,

compiacciano

si

rosi

solida

vir

voltus

di

instantis

fronte ai rischi pautyranni mente

quatit

ad omne

bonus sine ulla cunctatione procurret:

stet

illic

carnifex, stet tortor atque ignis, perseverahit. In un'altra

licei

lettera (79, 10)

gusto

si

confessa

AUusioui politiche,

(1)

Secondo

il

il

di Azio.

Mommsen

(p.

Ma

particolari
;

d'

ignorare se la vetta dell'Etna

iu questo principio

non ve

l'Adriatico

so scorgere.

Aunominato a cagione
Augusto non stato mai in

non tornano

sarebbe

l'Adriatico nella lirica di Orazio

pestoso, anche dove

le

174) l'uomo giusto e tenace del proposito

tiranno, Antonio

balia di Antonio

testo

ca-

Seneca ritorna ogni momento

sono come commentate nell'ep. 66, 21

pidchrum

descrivere questa costanza im-

di

che persevera

parole non

le

depelli.

romano che Romani, pi che

perterrita. Nelle lettere di


la figura di colui

esalta-

gli

essi asseriscono

non

si

pensa ad Azio.

mostrano quale concezione

si

il

mare

pii

tem-

passi di Stoici citati nel

rispecchi qui nella lirica oraziana.

Orazio, quando accenna problemi politici attuali, lo fa chiaramente,

come avremo agio

di

mostrare spiegando questo stesso carme.


si

683

ma

erger cosi in alto per l'eternit,

si

dichiara di saper

bene che virtutem non fiamma, non mina inferius adducet:


haec lina maiestas deprimi nescit. Catone rimase calmo
mentre la repubblica precipitava, perch sicuro di rimanere in piedi, ancorch tutto cadesse scit se unum esse
de cuius statu non agatur : non enim quaeri, an liber Caio,
:

sed an inter liheros

stanza

viri

la sua era l'invitta conon lahantis (1). La per-

(95, 71):

sit

inter puhlicas ruinas

tinacia del sapiente oraziano dinanzi ai fulmini di Giove

pu parer sacrilega, e sembrer a chi abbia troppo buona


memoria, non accordarsi bene con la piet verso il dio
supremo, quale espressa in principio della prima ode.
Ma uno stoico romano, Sestio, a quel che Seneca stesso ne
riferisce (ep. 73, 12), soleva dire che Giove non pi potente
dell'uomo buono. Un imperatore romano, Marco Aurelio
(Vili 41), rivendica all'uomo la libert, se non delle sensazioni e delle tendenze, per lo meno di ci che forma
il

nocciolo dell'animo,

l'

dichiarando questo

intelletto,

in-

tangibile al fuoco, al ferro, al tiranno, all'ingiuria.

Sulla descrizione Orazio

non

tocchi gli bastano, perch egli

ferma a lungo:

si

si

affretta verso

il

due
motivo

escatologico, troncato efficacemente alla fine dell'ode pre-

cedente. Questa via sola, nessun


diente conduce
sto

mezzo

(1)

(2)

mortale

il

Ci)iu iiotain

amici,

altro

mezzo n espe-

immortalit, solo

Polluce ed Heracle, che pass

coimnt'utatori, jji Tooifiiide

cielo gli rovini addosso,


gli

all'

nnooere

ai

pur

di

notnii'i.

con quela vita

in

aiif^ina clic

si

il

non dovor rinunziare a beneficare


L' inunagine

'

la

tessa,

il

pensiero

diverso.
(2)

Fa

i)oiia

veder

hi

.liirenka,

buon conoscitore

riia greca, ataniiarsi a spiegare (p. 297) che av ha

di greco e di

Egli stesso ha trovato la parola ellenica corrispondonto,

s'anche
lire

il

suo Pindaro, quando

una piacevolezza^

eliiariia

Ileratii'

li-

colore comico
|iy;5(avy,

fVpa:j)|ia-/xvoj,

for-

vuol

84

dove
Augusto trasfigurato solo viaggiando instancabile per il mondo, Dioniso, nato mortale,
merit che le tigri indocili traessero un giorno il suo
faticose peregrinazioni, raggiunsero le rocche celesti,

gi riservato luogo ad

carro in cielo; solo cos, Quirino sfugg, tratto dai cavalli


di

Marte,

all'Acheronte,

lenne consesso degli

con

concesse

parola

che Giunone nel so-

giorno

il

di,

pacato l'odio contro

profetica

Roma, sinch questa non volesse


tetti di
Il

Troiani,

dominio del mondo a

il

ricostruire

aviti

gli

Troia.

motivo

immortalit qui appena accennato,

dell'

come passaggio

quasi solo

alla profezia di

Giunone. Gli

di greci che furono mortali, sono qui quelli elencati, da

Posidonio

(1)

che pure da
che

il

manca

come manca

Asclepio,

in Aetio.

Posidonio deriva. Importa osservare che an-

padre Bacco non qui nato mortale e divulgatore

di civilt

z'altro, e

veneravano

Greci pi antichi

nato da Semela non quale

non sapevano nulla

Dioniso figura anche

iHiz.

/.pw:

ma

in origine

quale

d-t;

del suo viaggio in

il

sen-

India;

cataloghi posidoniani. Ora-

lui nei

ha aggiunto all'enumerazione posidoniana Augusto,


che sin da fanciullo aveva dichiarato di aspirare all'imzio

mortalit e alla divinit, Augusto, che proprio in quegli


anni,

ombra, aveva

per non dare

che pur segretamente agognava,


gusto, al quale questo stesso

il

nio di Giunone.

Ma

cui

aveva voluto avere

(1)

V. sopra p. 677.

di ritenere che

Orazio

nome

e,

il

suo

oltre

lo aiuta

gi prima di
rjoo);

al

nome^

secondo Romolo, Au-

nome prometteva,

pi che umano, V immortalit

giunto Romolo,

rinunziato

di

^tz,

Augusto, ha ag-

a passare

lui la

dicendolo

al

religione

un

vatici-

romana

pari degli

di

La coincidenza mostra che avevamo ragione


si

alle fantasie di Posidonio.

rappresentasse col l'oltretomba

conforme

685

come

nati mortali de' Greci: egli, qui

nomi

altrove, accetta quei

Cicerone

dalle sacre tradizioni del suo popolo (1).

nel secondo libro del de natura deoriim ( 62) enumera i


grandi che fama e volere dell'umanit, grata a loro dei
benefici,

aveva inalzato

lapio, Libero,

Romolo

in cielo

Ercole,

stessi

gli

libro ( 39) (2). Nelle sue leggi (II


si

venerino quegli di che

in

cielo

Quirino

Ercole,
qui

Esculapio,

Libero,

ancora una

elenchi derivati dal

T^spl

volta

che

hanno collocato
Castore,

ritornano

Polluce,

nomi

degli

aggiuntovi

Posidonio,

di

O-scov

Dioscuri, Escu-

19) egli prescrive

meriti loro

sono nominati nel terzo

Romolo.
L'apoteosi di

Romolo era

stata cantata da Ennio. Nel

Annali era descritto un consesso di di


nel quale Giove concedeva a Marte di soUev^are il proprio figlio, e lui solo, al cielo
Unus erit, quem tu tolles
in caerula caeli tempia. Il verso citato anonimo da Var-

primo

libro degli

rone doveva esser celebre, perch Ovidio ne fa uso due


volte,

nelle Metamorfosi

(XIV

812) e nei Fasti

485),

(II

due le volte rappresentando la stessa situazione,


quasi tema di allontanarsi da una tradizione classica, da
quello che per lui vangelo. Esso apparterr dunque a
Ennio e quindi al primo libro degli Annali, In Ennio Romolo scompariva misteriosamente agli sguardi del suo
popolo, tant' vero che questo rimaneva costernato e perplesso(v. llOsgg.), sinch qualcuno gli annunziava (v. 115):
Romulus in caelo cum dis (/enitalibus aevom degit. E j)rotutt'e

(1)

Cfr. epp. II 1,

")
;

in

carni.

sotto per luale ragioniv Y. iinche

cano

^2)

IV

<S

;ii;j;iiiiit()

Vorjj;., Aeii.

VI 801

Kaco, vedremo
sgi;.,

dove

iiiau-

Dioscuri.

Alabaudo,

primi qui,

Tenue,

appartouf^oao

Ino-liiMicotliea d l'alaenione,
tutti,

<lualltunt|ut^

Ino e

il

ajjjiiunti

liglio

si

ai

dicano

adorati in tutta la Grecia, all'erudizione mitologica piuttosto che alla

nligionc veramoute

.sentita.


babile che

il

tolles

686

posto in bocca a Giove sia da inten-

dere letteralmente, e

debba quindi concludere che anche

si

secondo Ennio Romolo Martis

Romolo

o Quirino

ghiera del primo libro degli Annali

Horamque

venerar

Acheronta

equis

fiigit

Davvero nulla indica che

Quirine pater

(v. 117),

Romolo

invochi

Quirini,

(1).

la pre-

indiato e la

sua sposa Hersilia, e non piuttosto


numi del Quirinale
non ancora identificati con il fondatore della citt Quii

Romolo non sono per noi agguagliati innanzi al


secolo primo avanti Cristo. Con tutto ci io credo fermamente che r identificazione sia anteriore, perch Cirino e

cerone, che per noi

come

senta

il

tradizionale

pi antico testimonio, ce la pre-

Nel de republica

(2).

(Il

20),

che

una breve esposizione della vita


di Romolo, narrando che questi apparve al contadino
lulio Proculo sul Quirinale, imponendogli di riferire che
egli era dio ed esigeva gli fosse eretto un tempio su quel
del 54, egli conchiude

Questa leggenda qui narrata senz'alcun indizio

colle.

di dubbio,

come parte

essenziale della biografia tradizio-

nale di Romolo. Nell'introduzione al de legihm


storiella

supposta nota,

(I 3)

chiede ad

tanto che l'autore

Attico se sia proprio vero che

quella

Romolo apparve a

lulio

Proculo proprio nei pressi della sua casa. Pi importa


notare che Cicerone nelle leggi sacre da lui composte
(II

19)

impone

venerare

ai cittadini di

ollos

quos endo cae-

merita locaverint, Herculem Liberum Aesculapium

liim

storem PoUucem Quirinum. L' identificazione

di porre

Qui-

quale mortale indiato, alla pari degli di della

lista

generalmente accettata, se
rino,

(1)

Ca-

doveva essere

si

poteva osare

Cos ha concluso, beu a ragione,

il

Yaiilkx a

p.

clxv

della

seconda edizione del suo Ennio.


(2)
(/iou^,

Al

che

non

ha badato

sulhcientemeute

WissowA,

i?eZf-

155'.

687

posidoniana, che av^evano in Grecia culto da secoli e secoli

me

questa per

ma

iare (1),

la

testimonianza di maggior va-

alla stessa conclusione

mina un luogo

del de

ofjficiis

(III 41).

giunge, se

si

esa-

si

Qui Cicerone, avendo

Romolo per

biasimato, sia pure con qualche reticenza,

il

o fa le viste di voler acquetare la co-

fratricidio, vuole,

scienza sua e dei lettori, scongiurando

l'

ira del dio

Quirhii vel Romiti i diann.

cavit igitur.

pace

vel

non serve

qui,

come neppur

chi propriamente sia

il

La

pec-

7:oX'jwvj[ji''7-

altrove, a spiegare al lettore

dio invocato,

ma

a rendersi pro-

pizia la divinit, ricordandogli l'estensione del suo potere,

come

suol fare in ogni preghiera solenne. Perch l'iden-

si

Romolo con Quirino

tificazione di

tempi

di Cicerone,

era gi tradizionale ai

perch essa congiunta con la

riella della visione

apparsa a Romolo,

la

un

ricorrere in Ennio, che negli Annali fingeva che

svelasse al popolo l'apoteosi; sembra a

gi per Ennio

Checche

si

Romolo

me

si

tale

verosimile che

e Quirino fossero tutt'uno.

pensi di questa congettura, rimane

che a Ennio Orazio

sto-

quale doveva

ispirato per l'apoteosi di

certo

Romolo;

ha voluto risvegliare nella mente dei lettori la


di un passo celebre del poema nazionale. Anche in Eimio l'ascesa di Romolo al cielo era deliberata
in un concilio degli di. Se in questo medesimo o in uno

che

egli

memoria

tenuto dinanzi alle guerre puniche o dinanzi all'ultima

guerra punica Giove


zione di Cartagine,
I

promettesse ai Romani
come ne informa Servio

20), difficile dire. Orazio, a

la

distru-

{ad Aen.

ogni modo, ha voluto far

notare che egli ripigliava motivi che avevano gi vibrato


nella

forma

maggiore canzone
e

e nuovi.

(1)

di

gesta

contenuto del discorso

Suo

anche

il

L'altra dr imi. (hor.,

di

dell'antica

Roma

Giunone sono

ma

originali

pensiero di far vaticinare la glo-

II

{VI,

non ne ha

ncssinit

688

Roma dalla nemica dei Troiani, che loro


discendenti in Roma avrebbero venerato regina. La dea
che ostacol gli inizi di Roma (1), parla con passione
Una donna straniera e un giucontenuta ma ardente

ria futura di

dice

empio hanno ridotto

rovina dal giorno in cui

ormai giustizia fatta

in

polvere

gi sacra alla

Ilio

Laomedonte frod
Paride e la casa

gli

di.

Ma

Priamo non

di

Giunone desister daU' ira e permetter che il


'
figlio del figlio proprio e della Troiana entri nella sede
degli di e goda della beatitudine eterna. Ma Troia non
deve risorgere finch capre pascolino e fiere nascondano
loro piccini nelle rovine che furono tomba inonorata
Romani dodi Priamo e Paride, star il Campidoglio, e
mineranno sul mondo dal polo all'equatore. Ma guai se
vorranno riedificare Troia I fati di Troia, compiuti una

sono

pi.

a svolgersi, se Troia rinascer.

volta,

torneranno

stessa.

Giunone, guider

se tre volte risorger

il

le

schiere nemiche a

muro, tre volte cadr,

Ella

vittoria

tre volte

la moglie prigioniera pianger morti marito e figh.

Nel lungo discorso i quadri" si succedono ai quadri.


II poeta da Romolo assunto in cielo discende a rappresentarci il mare che infierisce tra la Troia nuova e Tandalla solitudine desolata di rovine, alla quale danno
tica
vita soltanto armenti e fiere, passa a mostrarci il fulgore
;

del Campidoglio dai tetti d'oro. L'aria africana

solcata

immaginano la zona torNord hanno parte in


questo canto vi ricompaiono immagini omeriche come
rafforzate dall'arte nuova. Pure al lettore non capita qui
mai di incespicare nel cercarsi la via da una strofa al-

di

fiamme, come

rida

(2),

gli antichi

s'

e le torbide solitudini del


;

(1)

cfr.

le
(2)

Essa era ideutiticata con la signora della rocca di Cartagine


osservazioni di Kiesslixg-Heinzp: ad II

y. sopra, p. 473.

1,

25.

689

da un pensiero all'altro. L'orazione, animata da


un sentimento unico, una, e i nessi sono chiari
essa
costrutta con quella lucidit anche logica che induceva
talvolta antichi critici a domandarsi se i classici della
loro poesia fossero pi poeti o pi oratori. Giunone profeta a Roma grandezza eterna, sinch Troia non risorger vaticina a Troia nuova rovina, se Roma la far
risorgere. Altre condizioni non sono aggiunte: aurum irl'altra,

repertum,

et sic

melius sitimi ciim terra

ceiat,

spernere for~

quam cogere humanos in usus omne sacrum rapiente dextra,


come mostra anche la sintassi, non condizione (1), ma
fior

Giunone profeta

vaticinio.
di

innanzi a essa

qui

al

stessa,

popolo caro agli di, caro


che le schiere conquista-

pi lontani non fggeranno lo sguardo


trici dei paesi
cupido sul suolo che nasconde tesori di oro e di argento,
che rinunzieranno a ridurli a uso umano, nonch osare
di

stender la

mano

sulle ricchezze

consacrate

templi

ai

o protette dalla religione del focolare domestico

Avaminime Romanum vitium, ripete qui Orazio per bocca


Giunone: fu per lo meno alieno dai cittadini pi ve(2).

ritia

di

ramente romani, che conquistarono alla citt l'impero.


uno stoico romano, Seneca, rimprovera lo stoico greco Posidonio {ep. 90, 12) di avere
nella sua storia della civilt immaginato che i savi delCos, molti anni dopo,

l'et prisca

inventato

avessero

dello

l'arte

scavare mi-

niere.

La

profezia di

Giunone

ju

avere senso politico,

Come voiTol>l>er<) p. cs. Kii'.ssmn;


Omne xacnim e si'comlo me oggetto

1)

(2)

i)er-

Ikixzk.

solo

<li

rapicnlv

;\

oufiere

devo sottiuteinlero quale complemento innnm intpcrtum. Molti iiiteiuiouo omne suerum della riccUezza celata ancora
nella terra, ma omne paro riferirsi a (puilsiasi cosa sacra .
Per
kiiiiKinos in

usuv

si

il

MoMMSKX

che non
41

(p, 17J) la strofa sigiiilicliorebbe

tassi

siulditi

ioesia ([nesla

.'

die Ivoma

ilomina

ji

69f)

che a darglielo non necessario spiegare neanche un

sol

verso allegoricamente, ne asserire che Romolo sia Augusto


di

nuovo tornato

che Vadultera La-

in grazia agli di,

caena simboleggi Cleopatra, Paride Antonio, e cosi via

L'interpretazione politica necessaria per ragioni

(1).

di arte:

una collana di carmi civili romperebbe troppo violentemente l'unit un carme destinato quasi tutto a vituperare appassionatamente un disegno del tutto fantaGiunone farebbe una magra figura, accanendosi
stico
contro una Troia che nessuno pensava a far risorgere.
Qui il Momrasen (p. 175 sgg.) ha veduto giusto Orazio
respinge il consiglio di gente che, riprendendo un disegno attribuito con ragione a Cesare, voleva trasportare
in Oriente la capitale dell' impero, trasformando cos anzi
tempo il principato romano in un regno ellenistico. Il restauratore della romanit temperata, Augusto, non prest
orecchio a costoro; ma quel pensiero cosi avventuroso doveva essere diffuso, se non a caso Livio, in un libro dell'opera sua composto proprio in quegli anni, pone in bocca
al leggendario Camillo una lunga ed eloquente orazione,
nella quale, l'ichiaraando gli obblighi che congiungevano
Romani con il luogo della loro citt e mostrando vani
taggi della sua positura, confuta chi voleva trasportare
a Vei la sede della repubblica romana. Un discorso di
quel genere non pu essere attinto agli annalisti. Sulla
interpretazione del Mommsen, accettata ormai universalmente (2), non vai pi la pena di spendere parole.
in

(1)

Nou paia irreverenza ormai

odiosa verso lo storico che ha

saputo iaterpretar meglio di ogni altro quest'ode,

traviamenti quasi incredibili


essi

che la peregrina muier e

tra e Antonio
(2)

st'ode.

Kiesslixg

il

famosus

il

notare certi suoi

Hkinze credono anche

liospes

simboleggino

Cleopa-

documentata

uell'

introduzione di Kikssling-Heixze a que-

La

691

profezia di Giunone

abbiamo

quanto

detto,

non per
che noi non scorgeremmo probabilmente qua e l reminiscenze enniane, se gli Annali fossero conservati almeno
pensiero e a

invenzione di Orazio

stile libera

una ne vediamo, sebbene


cerone cita due volte, quasi

sieme con

resti di essi

classico

siano scarsi. Ci-

l'una

due inun esametro

delle

certamente enniani
che per queste ragioni stato giustamente rivendicato agli
xlnnali (302 Valli.) Europam Lihyamque rapax ubi dividit
linda Orazio a quel verso avr pensato scrivendo
qua
altri versi

medius liquor secernit Europen ab Afro (1).


Nel carme secondo il poeta aveva troncato

tema
commentiamo,

il

suo dire,

commettere empiet in questo che


il motivo escatologico accennato
rapidamente. Nell'ultima strofa Orazio fa di nuovo le viste
di lasciare a mezzo il suo dire
alla sua Musa non conviene riferire discorsi di di e col tenue metro rimpicciolire argomenti degni dell'epos o degli epitriti pindarici. Che gli antichi lirici greci, primo Pindaro, talvolta sogliono riprendersi cos a mezzo il corso, stato
osservato da un pezzo (2). Quegli incita se stesso a fermare il remo e gettar l'ancora (Pi/th. X 51), o si chiede
se una folata di vento l'abbia allontanato dalla sua rotta,
come fa di una barca sul mare {Pyth. XI 38). Ma in Orazio
cerchiamo invano l' immagine, e la ragione del silenzio
quasi per

di

un'altra.

(1)

Quanto

abbaglio del

ai

particolari oacgctici sia qui locito notare

Mommmkn

(p.

180)

sucoudo

lui

ffgnanio beali vorrebbe diro che alla poteuza di


80 taluno sfuggito a

Armenia.
tani

Ma

lei

gli cxsiiles

regni altrove , e

sono

da Troia, dominatori
(li)

.IlKKNKA,

p.

liity.

del

lioniaui,

mondo.

si

un

unaUbet essuhs

y^rosso

in

ptirlr

Roma poco importa

riferirebbe ad Artaxe di

banditi di Troia,

e, lncln- l)n-

692

L'ode quarta

congiunta con la terza cos strettaseconda con la prima. La terza finiva


ammonendo la Musa a non indugiarsi a cantare discorsi
degli di, impresa superiore alle forze del poeta; la quarta
incomincia invitando Calliope a discender di cielo in terra

mente come

la

per trattenervisi a lungo


lontani,

di udire

gannarsi

si

aiiditis?

(1).

Orazio par

concenti della Musa,

di udire

ma teme

an me Judit amabilis insania?

rivolge ai lettari in genere, alle Vergini e

ai quali finge

anche

pur

di cantare, se

proemio

si

\j

suoni
di in-

auditis

giovinetti

ai

crede che egli rivolga

suo pubblico giovenile, e non al collegio delle Muse (2). No, non s'inganna: davvero egli
si vede trasportato sui monti, sulle alture che coronano
la sua

il

Venosa. Col

lauro e mirto
balia

al

dotta

il

di

le palombe coprirono di fronde di


bimbo allontanatosi dalla casa della sua
fiabe e addormentatosi poi, una volta

stanco di giocare, per terra


e

miracolo che stup

pastori

contadini di quei luoghi. Dal giorno di quel prodigio

Muse: sacro

egli fu sacro alle

alle

Muse, ei vive lontano


sponda del mare

dalla citt in recessi alpestri o sulla


le

Muse

hanno protetto il
quando un albero

Filippi e

una
in

fiera procella,

rischio

(1)

loro favorito

rotta di

schiant sul suo capo e ui

si

che mise la nave che

d'infrangersi

nella

contro

gli

lo

scogli

trasportava,
lucani.

Esse

melos parr a noi moderni grecismo ardito e quindi pi scou-

veaieiite a

niera.

Ma

Mnse,

tibia

un'ode romana che phaselos, nome straniero

di

nave

stra-

gi Ennio (ann. 299 j aveva nsato melos per l'armonia delle

Musanim

a quello di Orazio

pangit melos, in

Lucrezio

un contesto dunque

usa due volte

(II 412,

assai simile

505)

il

plurale,

formato alla greca, di questo vocabolo.


(2) Alle
il

JUKEXKA

quali con troppo rigor di logica vuol rivolta l'apostrofe


(p.

299).

proteggeranno

693

poeta nella zona torrida e nella glaciale,

il

dovunque lo accompagnino, egli


andr senza paura. Esse, come lui, cos proteggono Ce-

tra

barbari pi atroci;

sare,

castigo toccato a

il

lotta dei Titani

temperanza modera, vince

la forza cui

violenza bruta
lo

La

questo consigliano clemenza.

prova che

sulla

di ed eroi violenti

mostra con evidenza.


Orazio, narrando

mette a pari con


Platone,

ai

prodigio

il

sua

della

naturale aveva presagito grandezza. Ma,

giustamente

gli interpreti (l),

alla sua invenzione dall'

che fu trovato
tra

il

giunco e

il

meno

un pubblico

colore.

Ma

di lettori fin

docilit di fantasia

prima giunta

lo

bagnato

spunto

VI, 54

{01.

nascita,

purpurei delle viole.

poeta poteva

il

lamo pindarico

'quinto giorno dalla

e quasi incredibile a chi

che

si

come rilevano

Orazio ha preso

tra rovi impervi,

dai raggi gialli

Orazio

puerizia,

grandi poeti greci, Pindaro, Stesicoro,


quali fin da bimbi un avvenimento soprani

sg.),

nascosto

molle corpo

il

Nella

scena

di

l'audacia del poeta parr grande

com'

ripensi

troppo colti e

egli

scrivesse per

critici

essa prova

esiger dai contemporanei

maggiore

quel che noi non attribuiremmo a

di

uomini dell'et augustoa. L' idillio montano, collocato in mezzo tra la sublime profezia di Giunone e la Titanomachia, deve riposare un momento in

immagini
(1)

agli

alpestri lo

Po(;i>

cliiaraiiiiiiitt!

spirito di chi legge (2).


(iiiesta

volta

biogralia dei poeti por io pi un'ape


eiiio e

(2)

si

commiMito

il

ferma sulle

mif^liorc.
laldira

Xelia

ilei

pie-

poaa in bocca un favo.

<{1i

pi <r uno parr in(;redilile elio

il
.Icukxka {\. 30()) veda
che gindielii canzonatoria la
piccola, che ^nardam il miracolo,

in quol prodigio intenzioni ntnoristielie,

menziono

dei bor^hesueei di

basse parole (inali

per colmo,
ioii

siile din

Willdehl

'>

ejjli

(tittil

nidiis e huinilia

(come avrebbe dovuto

traduca con espressioni del

(iiiimomis infiinx

mit Verlanb

linguajjjti'o

dire.'),

che,

pi familiare

i! dei- ric'iiifi- l'in

li.-l.i

ii>


passaggio

Il
^<

Vostro

vostro,

scena seguente

alla

Camene

sono,

io

dovunque

694

viva

io

e s'intende

un po' faticoso.
da quel giorno;

nominano

, e si

le

residenze

come
enumera

pi care a Orazio, luoghi tutti degni del poeta che,


il

suo

dio,

somno gaudet

et

umbra. Poi

Orazio

scamp da rischio di morte


due sono state cantate da lui
in carmi che precedono le Odi romane nella nostra raccolta. Porte della protezione delle Muse, il poeta pu affrontare qualsiasi viaggio
zone desolate e popoli barbari,
proprio quelli che ai confini del mondo esercitavano altre occasioni nelle quali egli

solo per grazia delle dee

lora la pazienza e

impero romano, sfilano dinanzi agli occhi della fantasia. Il motivo


dell'innamorato poeta, incolume in mezzo ai pi gravi
valore dei custodi

il

dell'

pericoli grazie alla sua purit, ricorda Integer vitae, a pro-

carme ne abbiamo discorso pi larga-

posito del quale

mente

(1).

L'enumerazione delle grazie accordate dalle Muse a


Orazio ha la forma di un inno all'inno conviene la ripetizione e l'anafora del pronome: vester, Camenae, vesfer...
:

vestt'is

amiciim fontibus...; iitcimque mecum vos

erits,

il

pa-

membri, le determinazioni accumulate l'una


sull'altra. Le due strofe seguenti, che non parlano pi
di Orazio ma di Cesare, non sorprendono il lettore, appunto perch egli in esse sente continuato F inno, la lode
delle Muse vos Caesarem aitimi.... recreatis, vos lene consirallelismo dei

lium

et

datis

sintattiche

(1)

pone

mera
Il

il
i

gaudetis

dato

et

catene, per

le

cos dire,

congiungono cosi strettamente queste

strofe

Nulla mostra che Orazio abbia qui avuto presente, come sup-

JuuENKA,

il

passo di Alcmane

(fr.

118), nel quale questi enu-

popoli lontani, ai quali spera di giungere sulle ali della gloria.

pensiero diverso, tant' vero che

porre grottescamente

che

aveva dinanzi agli occhi

il

il

Jurenka

Orazio abbia frainteso


testo che

il

costretto a supil

greco,

Jurenka non ha

egli

che


con

precedenti che

le

salto del pensiero

Le Muse, come proteggono

pena.

principe desideroso
antri

il

695

di

pace

(1),

si

avverte ap-

Orazio, cos ricreano

accogliendolo

il

loro

nei

immagina trasportato misteOrazio in un carme da noi studiato,

negli antri di Dioniso

riosamente se stesso

Ma

III 25.

Muse non sono

le

danno

soltanto le dee della poesia:

anche sapienza, quella sapienza (2) che consiste nella misura vos lene consilium
et datis et dato gaudetis almae. Augusto, caro alle Muse,
clemente. Il principe si compiacque di questa lode, egli
che quasi in principio delle Res Gestae si vanta della mitezesse

protetti

loro

ai

za

Roma

cittadini, verso

con quelle sole limitazioni che

gli stranieri

di

senza restrizione verso

(3) esercitata

esigeva:

I,

13-15 [B]ella

salvezza

la

mari

terra et

c[ivilia

exfer]naque toto in orbe terrarum s[uscepi] victorque omnibus


civibus peierci

[superstitib]us

externas

gentes,

tufo

quibifs

quam excidere m[aui].


A quei versi, introdotta da scimus ut, segue subito la
narrazione della Titanomachia. Essa non allegoria, come,
malamente esagerando, vogliono parecchi n Giove
[ignosci i)ot]ui[t, c'jonservare

(l)

A me

scorger in quelle parole Kiesslixg

Augusto, ogni(inalvolta

Hkinzk

sentiva stanco degli

si

Aurome vogliono

in finire qiiaerrntem labore>< che

non pare espresso

gusto in questi anni sentisse intenso desitlerio

di pace,
:

Orazio dice solo che

all'ari di

stato, cercava

riposo nella i)oesia.


(2)

ye Orazio

si

sia

ricordato

47) accorda a Thrasybulo,

Nonostante che

semhra dubbio.

del

vanto

pensiero

il

Y,^av SpTtcov, ao'ftxv 5' iv iiuy^oai lI'.spi3o)v

sono del tutto diverse:


si

lascia
(3)

ii\

come indovinare
Il

riscontro con"

DoMASZKWSKi
menza. Che ci
monumento,

(p.

22,

{l'ijlh-

VI

Orazio

la

.li

5txov ox' nfonXov

sia assai simile, le parole

sapienza non

nominata,

mala

al lettore.

monuintiilutn,

evidente,

non autorizza

il

a considerar l'odo quale un inno alla Cle-

con la Clemenza la liberalit


non riesco a intendere.

entri poi

III

il

1I(> 8g.)

che Pindaro

come sostengono Kiessling-Hkinzk, mi

vantata nel


Augusto, ne
Sesto

il

o,

peggio,

formula esattamente,
Orazio ha detto che le Muse go-

pensiero, se lo

No

diviene ridicolo.

dono del

Titani simboleggiano Antonio,

Pompeo

G96

lene consilmm, e

si

mito mostra appunto come

il

il

sempre misura, vinca la forza


bruta. La strofa che prima segue alla Titanomachia, riprende la parola e il concetto vis consili expers mole ruit
consilium, l'intelletto, che

sua; virn temperatam di quoque provehunt in maius

omne nefas animo

odere viros
eterne,

e,

perch

eterne,

si

Oriente barbaro contro

dell'

applicano anche
1'

(Ij;

idem

Queste verit sono

moventis.

all'

assalto

Occidente, di Cleopatra e

Antonio contro la romanit. E, fatti accorti dalla menzione di Augusto, i lettori avranno inteso
l'allusione; ma pi che allusione non . Il fregio pergadel suo drudo

meno simboleggia molto

pi

de' Galli aggressori dello stato

precisamente la sconfitta
bene ordinato degli Atta-

Orazio aggiunge ancora testimonianze alle sue sentenze le pene inflitte a coloro che furono violenti con-

lidi.

mostrano queste vere. La chiusa, come pervasa


da un fremito di terrore, fa riscontro, in certo modo, a
quella della seconda ode.
Questo carme , quanto a struttura, il pi pindarico
di tutt'e sei questi carmi, che tuttavia nel loro complesso
mostrano un'architettura pi complicata, non dico pi

tro gli di,

armoniosa, del pi complicato epinicio pindarico. La favola della Titanomachia contiene, per cos dire, lo ab-

biamo gi veduto

come spesso

di sopra, l'illustrazione a

miti pindarici. Parole tra loro simili intro-

ducono e conchiudono

(1)

Come

queste

mortalit, sa solo
altro,

una sentenza,

il

parole

la

narrazione

ijossaiio

DOMASZEWKi

esse siguificauo che

il

(p.

successo

vos lene consilium et

contenere nua promessa d' im116)

per me, e credo, per ogni

buono arride

quale la forza guidata da moderazione.

alia parte nella

datis et dato gaudetis

697

almae;

mole niit sua.

consili expers

vis

mito della prima Olimpica comincia e del pari


termina con parole che significano come la gloria di
Cos

il

Hierone

Olimpia, colonia di Pelope

in

brilli

yXioc V s'jxvcpc Aoo-j MXotzo^


xTjXOsv

oopxs

consiliiun iene

del consilium

'OXujxTOwv

xv
le

proprio lo stesso
alla

se essa

vis,

che implica giusta misura

di

aiuta a riconoscere l'una nell'ajtra idea, ag-

ci

giungendo nel secondo luogo a

vis

consili expers

temperatam. Caratteristica' della

posto, vini

Zi

t Zz yj.ioz

col consiglio di clemenza, qui in-

telletto, intelletto tuttavia

Orazio

X7.\xT.t'.

93

v 5p[xoc; IlXc-o; (1). 11

Muse danno, non


che importa non manciii
che

non deve rovinare


s.

-o:x'!a e v.

proprio la clemenza.

Il

vis

il

suo op-

temperata h

poeta romano riproduce

meno

ar-

ditamente e pi riflessamente un atteggiamento caro alla


lirica pindarica, la

quale

ama

di

usare la stessa parola in

senso fluttuante o doppio, agevolandosi cosi

il

passaggio

da un pensiero all'altro. Cos, per citare solo uno degli


esempi pi cospicui, nella
Olimpica (v. 9) 'i-^o; inteso prima di una pietruzza, o meglio collettivamente della

ghiaia
l'onda,

ma

dicpov Xtaaojxvav Ti x'j|jLa kaxaxX'jaas: ^0V,

scorrendo,

sommerge

inchiude in se anche

il

la

talora

'<

ghiaia rivoltolandola

concetto di conto,

>>
;

come mostra

onX T y.oivbv "kyov xs-'ao^isv c. '/i^'-'^, pagheil sguito


remo il conto tutto intero , cio capitale o interesse (2).
E anche il testis mearum..., sententianmi ha in certo modo,
come gli interpreti osservano, riscontro in Pindaro; chi\
:

a provar vera

la celebre

sentenza sulla

cosa sovrana, induce la testimonianza

(1) (.^tiiosto
lai

(2)
(I

il

FuACOAUOM
llli).

<'soin|>i

sua rinnovata tra(ln/.ion

Anche quest'ostMupio con

legge di ogni
Heracle, che

cosilal to iirociMliiin'iilo

altri
iK^lla

ili

di

altri

tifi

uno

ili

smio

l'indan

fitMioro in

liici-olt
I

ITiii.

FUAtrAuoi,!

cm
aveva

nome

in

di Gerioiie

Ma

del diritto del pi forte rubato le greggi

-eyjia'^oiia'.

non solo

'Hpay.Xo;

l^'^r^irjr^

intenti estetici e

pensare a Pindaro

Orazio

mezzi

109).

stilistici

fanno qui

anche

forse ispirato a lui

si

La Gigantomachia

nella scelta del mito.

(fr.

serve nella ottava

Pitica a illustrare due massime: la prima (v.

15), la vio-

lenza col tempo trae a rovina anche chi sia fiero

grandezza;

,3:'a

asserisce che

B' TTxav

T'.;

uno abbia

[Xtc-/ov

fitto in

vince

la 'Ha'r/:'a

vtov u7iavT::a:7a xpscxst

sua

La seconda

altre parole, vis consUi expers mole ruit sua (l).


(v. 8)

di

jxeyia'j/ov eo-^ylzv Iv xpvfo. cio in

-/.al

xtov ivcXarj,

xapo:'a

u^piv Iv avxXo)

Tct-el^

cuore

tracotanza: tu

la

-pay^sta

e tu,

uanc-

quando

immite, fattati incontro aspra

ira

alla forza dei nemici, rigetta nella stiva la loro tracotanza ,

come

si

fa

dell'immondezza. Le sentenze sono nel pen-

non nella forma, assai simili a quelle oraziane. Pindaro enumer dei giganti soltanto Porphyrion e Typhos;
da Orazio Typhone nominato nel primo verso, Porphyrion nel secondo. Ma egli ha allargato il quadro,
fondendo in un' unica schiera di creature immani, che
siero, se

tentano

di

dar la scalata

tribuendo loro una gesta,

cielo.

al

Pelio sov rapposto all'Olimpo,

il

che Omero narra degli Aloadi.


zio in
figli

un antico poema epico

dell' abisso

contro

sola scena gigantesca

(1)

SecDudo

il

JrKEXKA

Giganti e Titani, at-

prima di Oracombattimenti dei

forse gi
i

vari

Olimpi erano

gli

fusi

in

una

Certo, Pindaro, Euripide, Aristo-

(p.

301). a cai spetta

il

merito di aver

canne di Orazio cou quest'ode, ma che si poi lasciato


sfuggire proprio le parole pindariche da noi dianzi trascritte, in ri9

confrontato

consili

il

expers

Orazio riprodnrrehbe,

V) yp t ^x?v9-axv spgai xs

fraintendendoli,

v.%1 uaS-stv p.)S

riia-uaaa-.,

vv.

6 8gg.

in cni x [xa-

in verit, non tristezza ma gioia. Il JurenkA, prima


immaginare Orazio ignorante o disattento o stupido, avrebbe do-

S-ocxv indica,

d'

vuto leggere con attenzione tutto

il

passo pindarico.

699

fan, poich alludono a lotte di singoli di contro singoli

Giganti, come a fatti noti, hanno in mente una Gigantomachia epica, secondo ogni probabilit quella stessa
che ApoUodoro (I 36 sgg.) (1) rinarra per filo e per segno.
Come mostra l'accordo tra la Biblioteca e Pindaro {Nem.,
I 67 sgg., VII 90), gli di non avrebbero vinto a Flegra
senza l' aiuto di Heracle, che uccise Alcyoneo [Isthm.,
VI 32 Nem., IV 27). A quel poema attinge forse anche
Orazio. Il combattimento di Encelado contro Pallade era
celebre nella poesia e nell'arte arcaica, appunto perch
;

cantato in quest'epopea scomparsa. Mimante

meno noto

ma

Euripide sa {lon 215) che egli fu fulminato da Giove,


Apollonio Rodio (III 1227) ne fa un avversario di Ares,
sua, perch in combattimento con Ares
mostra la Gigantomachia della coppa berlinese di Ergino e Aristofane, che della fine del V secolo. Il Rhoetus, che qui nominato, e di cui Orazio narra altrove
(TI 19, 23) che Libero in forma di leone lo ributt gi dal
cielo, sar, come vide il Bentley, tutt'uno con 1" Euryto,
ucciso da Libero con un colpo di tirso secondo ApoUodoro.

e non di testa
lo

Ma

anche Orazio ha avuto presente un' altra Gigantomachia, a Pindaro egli si ispirato per le sentenze,
se

per la scelta del mito che


lustrarle.

La scena

di mostri,

nudi o corredati

non dicon nulla

se

le

illustra,

in Orazio piena di

non a

di epiteti

vive dinanzi agli occhi,

immaginiamo saldo

sulle

il

modo

movimento

di

il-

nomi

un po'generici. che

chi sa delle

loro terribilit, sono intraiiezzati

per

loro gesta, della

da figure che vediamo

come quel Porphyrione, che ci


gambe un po' divaricate, e quel-

l'Encelado, che scaglia tronchi d'albero sradicati contro


l'egida di Pallade, la (|ualo ne risuona. Cos nvidic^ J'olcnniis

(1)
l'2l>

N'oli

il

ragione, soooiulo me. M. M.wki:

sjkO tajjlia a pozzi la luurazioiu' di

((i'i</<i;i/(i(

ApoUndoro.

ii.

rHnnen,


e matrona luna

non

brilla fulgido di

ci

7(K)

dicon nulla,

ma

pur tra

Apollo.

due

etnici

bellezza

gli

di

aggiunti

nome

e copulati tra loro, con costruzione a prima


dura e strana, Delins e Patareus Apollo si spiegano meglio, se si suppone con gli interpreti che Orazio volesse ricordare l'invocazione a Febo della prima

suo

al

un

vista

Pizia

po'

(v.

39)

-xpvav cptXcov.

Ma

la strofa oraziana,

volte pi evidente

esprime

AiloC vxaaoy^

A-jx^e xxl

meno

nimquam humeris

il

passionatamente

l'

"

austera, mille
positiirus .arciim

che

effetto

Ilapva'jao'j

(I>oT,j

il

suo infuriare

nella battaglia suscita negli spettatori: chi l'ha visto cos,

penser che egli non cessi mai

Tu

che ami Castalia, fonte

dalla

del Parnaso

di vita ellenistica

il

dio che, sciolti

bagna nell'acqua pura.

in Lt/ciae tenet

dumeta

Il

nudo

->

diviene

(ini

una scenetta cio

rare puro Castaliae lavit criim solutos,

li

Lo scarno

lotta.

capelli lunghissimi,

trasforma qui

A'jxts si

natalemque silvam. L'intera descri-

zione deve fare riscontro all'immagine di Giove qui terram


iierfem,

qui

stia divosqne

mare temperai ventositm

urbis regnaque tri-

et

mortalisque turhas (1) imperio regit unus aequo

allo spettacolo terribile

succede rapidamente un quadro

sereno.

Movimento anche nell'enumerazione


puniti. Gygas centimano (2) testimonio
(1)

L'argomento

fatto valere dal

Rasi

dei

peccatori

delle sentenze

Jil. class., J.y 280)


tnrmae termine troppo

{Bull, di

contro questa lezione non mi par sufficiente

particolare delle milizie romane.


(2)

di

Poich la variante Fy/j; ricorre, ben sostenuta da autorit


dove quel nome appai'e nella Teogonia.
i luoghi

mss., in tutti

non

necessario scrivere

Gjas nel

testo di Orazio;

Quando

CTygii>

Centimano, alleato, protetto, sgherro di Giove, qual nella TeogoGigante esso , oltre
nia, si sia mutato in Gigante, non si pu dire
esempi nell'articolo
che per Orazio, per Ovidio, Seneca, Erodiano
del Weicker {PW VII 1966). La somiglianza di suono tra riya? e:

r'jyr,;

pu avere agevolato

la trasformazione.


del poeta

mato

701

testimonio Orione,

che tent Diana

dalla saetta della vergine. Poi

la Terra, di cui

destino di essi

Giove ha coperto

piange sul

figli,

dell'adoprar

l'audacia

pindarica qui

suoi

e fu do-

cambia

costrutto

il

dea i figli che


essa, elemento, ricopre. Cos nella settima Olimpica (v. 13)
persona e isola Rodi, nella prima Nemea Ortygia in-

due

terra in

sieme ramosoel
quarta

piangere alla

sensi, nel far

(v. 14) e

Siracusa e sorella di Delo

di

nella

nona

Pitica (v. 55)

cos nella

Libya

insieme

segue una costruzione


negativa bipartita ne al fuoco spirato dal Gigante sepolto sotto l'Etna riuscito di consumare il monte, n
l'avvoltoio carceriere di Tityo lascia in pace il suo fegato; poi viene ancora: Trecento catene tengono stretto
In Orazio

e paese (1).

divinit

Pirithoo amatore di Persephone.

Non

ricordato un passo di Pindaro (P>/th.

Tityo

che

fu

oserei asserire che,

IV

92), in cui si

colpito dal dardo infallibile

lv iv yrrx-']) ciotxtwv

s-'.a'j-.v

spaiai.

Ma

il

narra

Artemide

di

perch taluno ami tenersi ad amori possibili

tando,

abbia

cos conciso amatorem, Orazio

nello scrivere quel

, o-^oa -:;

Romano, can-

senza nominarlo, del fuoco che anela a con-

[)ur

sumar r Etna,

si

rammentato, come

suoi lettori

di

allora, della

grandiosa descrizione dell'Etna, che illumina

di s quella

prima Pitica che anche sopra egli ha sfrutGigante sepolto non sia nominato, che non

Che

tata.

il

neppur

sia

detto se l'Etna

ne ricopra uno o

pii,

non

importa.

Vincoli tenui congiungono


cedente.
tani

(Ij

il

Il

quinto comincia

C^>iiosti

il

carme quinto con

il

pre-

quarto aveva esaltato Giove vincitor dei Ti-

fsciniii

sono

rilali

Come
(l:il

il

fulmine

rK.vccAUoi.l

(l

di

V^'>),

Giove

70-2

per noi arra di sua potenza, cos Augusto sar per

noi

impero Brinon
.
divinit
donata dal
di
Parti
La
promessa
tanni e
popolo ma acquistata solo per meriti propri rispondeva
ai convincimenti del principe, che, giovinetto, fece voto
la credenza
di conseguire un giorno gli onori paterni
dio presente

il

giorno che avr aggiunto

all'

nella Ttapouai'a di di visibili,


tale e pi pervaso di
ellenistica (1).

ra-^avET;,

pii vi-

sentimento sincero nella religione

pensiero della

Il

concetto

il

potenza che

Roma

rin-

novata acquister nel pi lontano Oriente, risveglia nel


poeta il ricordo del disdoro di ieri, di una macchia non
ancora lavata. I soldati di Cassio poterono rassegnarsi
alla prigionia fino a sposare donne barbare, dimentichi
di

Roma

e di ci

che in

Roma

era pi sacro

(2)

que-

Giove Capitolino regna nel mondo e


Roma sta? Eppure Regolo aveva insegnato quale conto
aL nemici, egli che
si sia arreso
si debba fare di chi
consiglio
con morte atroce,
il
pagare
di
pur sapendo
consigli di non redimere n s n gli altri prigionieri e,
tenuto il suo discorso in senato, si avvi sereno alla nave
e alla morte, conforme al giuramento .
sto mentr'ancora

Fa

senso

violenza al

delle

letterale

parole

chi (3)

scorge in questo carme un invito a rinunziare alla ponon dissuade il sovrano da spedilitica di conquista
:

concede l' immortalit a condizione


domi Britanni e Parti. Pure il discorso di Regolo
non ha sapore e quasi senso, se, non dico simboleggi la
storia presente (che la poesia di Orazio non allego-

zioni lontane chi gli

che

rica),

ma

alluda a

nati prigionieri

sta,

fatti attuali.

che

moderni, introdurrebbe

(1)

Per tutto ci v. sopra

(2^

Avevauo

p.

fine Orazio,

nomi-

l'antico eroe

di

178 sgg.

obliato la toga, perch vestivano all'orientale

perch sedevano a un focolare straniero, come fosse


(3) Con il MoMMSEN (p. 178 sgg.).

il

loro.

Te-


Roma

703

a sconsigliare dal redimere prigionieri antichi, se

nessuno in quel tempo avesse pensato a riscattare


Carrhae

Un

passo di Giustino (XLII

vinti

consente
forse di spiegare quest'ode meglio che non abbiano fatto'
sinora tutti, credo, gli interpreti
Tiridate, cui Phrahate^
di

5) ci

aveva cacciato di trono, si rifugi da


quel tempo soggiornava in Spagna, sup-

aiutato dagli Sciti,

Augusto, che in

plicandolo di ridonargli

pegno, un

il

regno e consegnandogli, quasi

Phrahate sottratto

figlio di

Phrahate

padre.

al

mand ad Augusto un'ambasceria, richiedendo


Tiridate.

Augusto neg a Tiridate

un lauto appannaggio, lasciandogli


il

figlio

senza accettare riscatto.

ria sicuro

del 27.

La

Augusto

ma

narrazione di Giustino,

incerta

ci

nei

laggi e

partico-

modo

Parti e Roma. Che meraviglia, se cittadini


buon cuore vollero che si pensasse ai soldati

ancor prigionieri

Phrahate

se

ne

furono trattative tra

sieme con

figlio e

assegn

tempo dell'ambasceSpagna verso la fine

sostanza; e a ogni

ricava che in quel torno di tempo

gli

libert; rese a
Il

part per la

lari (1), veritiera nella

aiuto,

il

di

troppo

di

Cassio

provvedesse a riaverli in-

si

bandiere perdute, anche a patto di qual-

le

che compenso

Allora non

diere e prigionieri furono,

si

giunse a conclusione

com' noto,

restituiti

ban-

nel 20,

quando le condizioni politiche e militari permisero ad


Augusto di dettar pace al re dei Parti. Ma le trattative
di sei anni prima naturale che mirassero allo stesso
intento.

Non

necessario pensare che

Parti chiedessero

cambio denari, che auro repensus nell'orazione di Re Bei soldati da riscattare a peso
golo atroce ironia
in

d'oro

; forse

gionieri, i)ur
i

particolari

(1)

Parti olfrirono tutti o alcuni di quei pri-

riavere

(li

non

Mo.M.MSKN,

si

pu,

re gcHtac^,

il

figlio

del loro

ma

solo se

l'

sgj.

si

re.

Indovinare

tenga conto della


narrazione

di

forza e sapore
di quegli

(Giustino,
:

704

racconto

il

di

Regolo

esso diviene un exemplum per

exempla

tratti dall'

antica

storia

acquista
presente,

il

che Augusto,

come narra Svetonio {Aug. 89, 2), amava proporre ai


contemporanei. Il mito romano di quest'ode fa riscontro
al

mito greco, direi pindarico della precedente.

leggenda in quella forma in cui


essa nota a Cicerone, che la cita, si pu dire, a ogni
pie sospinto (I). Regolo anche secondo lui viene a Roma
presenta

Orazio

la

per trattare non la pace,

ma

uno scambio

come narra Livio

di prigionieri

passi di Cicerone, in cui questo espone

steso la leggenda, de

perfino di parole,

off.

39

e III

come vedremo

abbia attinto da Cicerone e dal

tempo

doveva

si

esser formata

(/jer.XVlll) (2j,

anzi tra Orazio e

un

99 sgg., vi

subito.

de

due

accordo

Non che

offciis

po' pi per di-

Orazio

gi in

una tradizione

quel

costante.

Se essa risalga all'annalista dell'et graccana Sempronio


Tuditano, difficile dire, perch Gellio (VII 4, 1) ci ha
conservato della sua narrazione solo un particolare, na-

turalmente proprio quello che, perch non

si

trovava nei

pareva all'antiquario il pi curioso (3).


Orazio ha composto l'orazione liberamente in Cicerone (111 100) Regolo sconsiglia freddamente dallo scambiare con lui alcuni nobili prigionieri, perch essi erano
buoni capitani e giovani, egli vecchio e disutile. Orazio
immagina che il suo Regolo mostri dispregio per la vita

posteriori,

dei prigionieri. Oltraggiando essi, egli vilipende in certo

modo

se stesso (4).

(1)

Un

Il

confronto con

lungo elenco dei

luoghi

la

nel Ituon

lana che ha per-

articolo

del

Klebs,

7F II 2088 sgg.
(2)

z'io

quindi erronea Passerzione di KiES8LiN(r-HEixzK, che Ora-

Livio seguano la stessa versione.

(3)

(4)

Ci non pare avvertito dai commentatori.

questo non ha riflettuto

il

Klebs.

705

il colore naturale, il paragone anche pi oltraggioso


con la cerva si applicano anche a lui: anch'egli, il console
romano, piuttosto di morire, si affid a nemici perfidi

duto

anch'egli senti le sue braccia strette da cinghie,

legate dietro

il

tergo libero

port

anch'egli tem la morte e

mescol pace con guerra, arrendendosi

L'eloquenza

le

Cartaginesi.

ai

Regolo commuove, perch'egli parla con-

di

tro se stesso.

Secondo

quale

la tradizione,

ce la

riflette

Cicerone

nel passo citato, egli espose nella seduta del senato

ma

proposta,

esprimere

rifiut di

la

suo parere, perch

il

nemico da un giuramento,
non era pi senatore (1). In Orazio Regolo si accorge
di essere capitis minor, di non aver diritti, al momento
che moglie e figlioletti gli porgono il volto per il bacio
Ma invano egli incrudelisce contro se stesso il consUium
Hiuiquam alias datum e la morte, a cui muove intrepido,
10 rifanno degno di Roma, ed egli si avvia alla partenza
avvinto

egli, finch' era

al

</regius exsul.

Anche questo

ih-

'inoiii

off.

relineretar

strada a forza tra

farsi

renti e gli amici era tradizionale

pa-

confronti

si

Orazio

:!!

pyopin.qiii><

et

alqniscicbattinarnibihailxinistorior

ah amicin, ad Hxpplicium rvdhr ma-

pararci,....

lamcn dimovt owianiix

Juit.

prupiiKiiios

ci

ra II te III

popuhini

rcdiliiit

iih-

confronto del console antico, che si fa largo tra parenti


e annniratori per andare alhi morte, con l'avvocato moderno, il quale, sbrigate le cause lunghe e tediose, si apre
11

la via a

(1)

fatica tra gli ascoltatori e

straut)

l'In'

siiliild

dopo

Forse lo storico a cui Cicerone


gaase inline alle insistenze dei

(',u;li

ilia

iittiii'^e,

coilejilii.

il

sollecitatori,

che

pari-ro lilVrito

narrava come

l{ej;olo

lo

iliaiizi
si

\c-


premono

7()()

d'intorno, per avviarsi a

doveva

una

delle villeggiature

audacia moderna: anche Virgilio predilige nelle similitudini la mopi in voga,

essere

sentito quale

dernit. Nella chiusa di quest'ode

sarcasmo contro
gi

d'allora:

si

il

come una punta

di

Roma

vivere inquieto e torbido della

annunzia l'angoscioso e desolato stato

d'animo dell'ultimo carme.

L'ode sesta si collega con la precedente, perch ambedue sono animate dall' indignazione contro
costumi
dell' ultima et repubblicana e dall' ammirazione per la
santit degli uomini che abbatterono Cartagine. Ma in prin Tu
cipio del carme Orazio prende un nuovo abbrivo
sconterai, Romano, delitti non tuoi, sinch non riedificherai
santuari che
tuoi padri hanno lasciato cadere
in rovina o consumare dal fuoco . Queste parole mostrano
che Augusto pensava a ricostruire i templi, non escludono che egli avesse gi messo mano all'opera. Tu regni nel mondo, perch sei umile dinanzi alla divinit .
Qui l'apostrofe Romane si allarga repentinamente: Bomaniis non pi n soltanto n principalmente il cittadino
della generazione presente, la quale anzi non ha ancora
adempiuto a un obbligo santo. La pax deorum spiega la
i

fortuna
pio

tutti
lia .

-i

incredibile di

gi per Polibio

Roma

agli occhi dello storiografo

Romani sono

c'.aioaLaoviaxaTO'. fra

popoli. Gli di trascurati punirono la triste Ita-

qui

cedente,

si

riaffaccia

le sconfitte

I Parti gi

il

motivo che pervade l'ode

partiche,

ma

in

pre-

variazione nuova.

due volte hanno spezzato impeti

nostri

non

da regolari auspici, e vanno orgogliosi del bottino conquistato su noi . Monaese e Pacoro mostrano che
non si allude a Carrhae, ma a pi recenti spedizioni di
Antonio da Crasso in poi gli di ebbero sempre raag-

favoriti


gior ragione di torcere

espiata

ma

volto da

Non

suscita colpa.

tanto non fortunatos

il

707

Roma
non

auspicatos

sta

la colpa

significa

in preciso senso

non
sol-

sacrale

non pu compiere atti sacramentali


validi. Gli auspici di Antonio sono nulli come quelli di
Cesare, appunto perch questo non ha riacquistato la pace
chi scomunicato,

Augusto, solo Augusto,

degli di.

placa

superi.

Come

operando

la terza strofa

piamente,

riferisce alle

si

in-

spedizioni partiche di Antonio, cosi la quarta alla

felici

guerra civile

con concezione giuridicamente

la quale,

almeno non inaccettabile

esatta o

(1),

ma

che, trasportata

qui nella poesia, chiude in s ironia atroce, considerata


rivolta di genti inferiori contro

Roma

Antonio

scom-

pare qui, come in Nunc est bihendiim, dietro la regina


barbara quale damnatio memoriae pi atroce ? E gli
;

Cleopatra macedone, sono Etiopi,


nonostante la potenza, la ricchezza, messi alla pari con

Egizi
e,
i

stessi, sudditi di

poveri Daci del lontano, desolato Nord.

Le generazioni passate hanno inquinato le schiatte:


rovinando, hanno trascinato seco la citt .

le famiglie,

Erra chi

(2)

un trapasso na-

asserisce brusco e difficile

turale e perspicuo.

La mancanza

piet e la profana-

di

le due radici, fitte ormai profondamente nel suolo, del danno e della vergogna presente.
Le stesse generazioni, quelle dell'ultima Repul)blica, che
non badarono pi alla religione, violarono pi sfrontatamente la santit dei costumi. Anzi, come la stessa parola santit mostra, il non aver riguardo a vincoli di
famiglia, un peccare contro la religione, perch il ma-

zione del matrimonio sono

(1)
(2)
ili

V. sopra

Con

(|iiost'o(l('

Huiuor

il

Il

1).

2S.

.liKKNKA

()).

voltila volta

IJOh.
il

C!lit<

iliri>

Satiicutoii

di

un
i"

iiitcproti' ilio

un

rorcn

liiliciisw iir<li;riu

708

che per noi, che ci


sposiamo anche o soltanto dinanzi al sindaco, sacramento,
la famiglia; ben pi che per noi, che non sentiamo pi

trirnonio per gli antichi, ben pi

messa n diciamo pi
crale,

il

rosario

comune, societ

in

sa-

tenuta insieme dal culto domestico. Orazio dice

chiaramente che

il

rilassarsi della disciplina

l'amore sfrenato del piacere,

il

domestica,

quale impedisce

al matri-

di conseguire il suo fine, cagione per lo pi anche della sconfitta militare: fecunda culpae saecula nu))tias
primum inquinavere et genus et domos : hoc fonte derivata
clades in imtriam populumque fluxit. Quacchero Orazio non

monio

ma anche a un uomo di amori fa disgusto la fanciulla


buona famiglia che, appena pubere, impara danze la-

era,
di

il
matrimonio le
non dico coglie un momento in cui il marito sia distratto o addormentato per
concedere abbracci furtivi a un giovane della sua condizione e di sua scelta, ma con il consenso del consorte
bene informato, che siede al suo fianco, si leva da tavola
mercantile o di un
al cenno di un capitano di marina
venditore ambulante arricchito.
La strofa seguente mette di nuovo sott'occhio quel
legame tra buon ordine e potenza di guerra che gli interpreti non vogliono concedere a Orazio di esprimere, e
serve insieme a passare dal quadro della famiglia moderna cittadina a quello dell'antica famiglia rustica, dove si
viveva austeramente di lavoro, mentre il padre combatteva e vinceva per Roma. Le parole della quartultima
strofa richiamano ancora alla memoria l'et delle guerre

scive

(1)

e le

mette

in serbo

sinch

ridar la libert; che pi tardi,

(1)

Sul conto che

p. 46 sgg. I motus ionici

Romani facevano

della danza,

sono evidentemente

xaxTSXva

danzatrice asiana cantata da Automedonte in


dagli interpreti (AP
iicro

129)

come

la

Romana

si

veda sopra

oy^r,\ixzo(.

nn epigramma
incestos

della
citato

amores de

tt-

mediiatnr angui, cos quella ballerina g a/iaXwv y.ivuTai vu/cov.

709

puniche, cantata nel carme precedente, l'et nella quale

Roma

assoggett

mondo

il

non

his iiiventus orla

Punico P/jn'humque

tibus infecit aequor sanguine

Antiochum Hannibalemque

cecdif

prole di contadini che aveva imparato

vanga

vesciare con la

et

ma

dirimi (1),

paren-

ingentem

maschia

per tempo a ro-

zolle su per gli aspri pendii di

le

stanca del lavoro giornaliero, mentre la notte,


calando, portava riposo ai buoi, faticava ancora a porSabina,

e,

madre

tar legna alla

carme

Il

severa.

un grido

finisce in

angoscia

di

nerazione peggiore della precedente.

nostri

Ogni gevar-

figli

ranno meno di noi. Roma sull'orlo dell'abisso . L'ultima strofa, checche se ne dica, non contraddice alla
secondo la concezione comune degli antichi
prima
le colpe si cumulano, perch ogni generazione eredita
:

non

espiati

Forse

precedenti.

delitti delle

proprio

in

editto

(2)

quegli anni Augusto ripubblicava in un suo


l'orazione con la quale duecent'anni prima

il

censore del

131, Metello Numidico, cercava di convincere tutti


tadini romani a prender moglie

cit-

argomenti un po' cappuccineschi avranno prodotto qualche effetto almeno sul


popolino. Che gi dieci anni prima della lex lidia de maritandis ordinibus, che del 18, Augusto facesse approvare o anche promulgasse

il)

Il

.Ii'itKN'KA

[[>.

re

o sostiene (he

lo
(2)

Gellio
(.3)

Come
(I

ma

dimostrato (8);

di t^nsto

vtMlt>

farit-atura (It'll'attriltnto Mutfiiitx di quosU)

Annibale

chiama duccm

di autorit propria leggi sui

(OH la solita s(|uisitezza

SOt)

ima

sia fjni detto lUiun pcrelii"

chio solo, confortando la sua

che

gli

me pienamente

costumi, non pare a

in hujcitlem Anliochiim

lueiititi

npininno con

un

])asso

aveva nn oc<li

(iiovcnale.

riferisce Svetonio,

Luj.

Sii

et-

no const-iva dno

tratti

(?).

Come ha

tentato

hurijer FeniHchrifl fiir

Paulo

Theodor

.d'ii;-,

KliifjrMitzt'

Momiiixcii,

sjjjj;.).

din .liiyuxlus
I

snoi

Mai-

arijonicnt


naturale che
in

il

in

intromettere

di

favore

il

suo dovere

il

una mutazione

di

il

diritto

persuadere con

tentasse di

pubblico a compiere

propaganda

della

sovrano, prima

il

materia cos delicata,

buone

710

le

fallimento

nel tener di

che ciascuno doveva riconoscere necessaria, avrebl>e

vita,

nel caso peggiore legittimato provvedimenti odiosi, perch


lesivi della

neppure
cipe

di

egli,

chiaro

il

libert
dire

come

molti tra

rischio a cui

goscioso un

Con

personale.

che Orazio
si

sia qui

andava

Romani,

se

incontro.
fosse

fato ineluttabile, chiuderebbe troppo

ci si

sogna

portavoce del prin-

migliori

ammonimento

non

ci
il

II

vedeva

grido an-

profezia di

male

il

un

ciclo delle

odi nazionali.

me in buona parte incerti p. es. motus (laceri gaiidet Ioninon allude certo allo stuprum^ qual definito uella legge Giulia,
a una precoce educazione al futuro adulterio. Anche il tempo del-

paiono a
eoa

ma
l'

ode III 24, nella quale si esorta chiaramente il sovrano a promulsenza scrupoli di libert leggi sui costumi, tittt' altro che

gare

sicuro.

CAPITOLO QUARTO
Odi giovanili e canti delia maturit.
I.

Le odi pi antiche.
carrai raccolti nei primi tre libri sono stati composti,

come

si

visto di sopra (p. 32), in

breve giro

tempo

air incirca dal 30 sino al 23. Divari di


e l'altro, ogniqualvolta
databili,

mancano

allusioni a fatti storici

riconoscono non tanto dallo

stile

dal sen-

quanto dall'ossequenza pi o meno docile


severi canoni ritmici che il poeta si imposto. Alcune

timento
ai

si

di anni,

tra l'uno

odi

si

lirico,

distinguono fra tutte

le altre

ma

tanto diversamente trattato,


per

lo stile,

per

l'arte,

per

il

per

metro, non sol-

il

essenzialmente diverso,

senso della vita. Io non

in-

tendo parlare delle quattro o cinque odi nelle quali Orazio prende lo spunto da Anacreonte, quantuncjue di queste almeno una, I 23, si manifesti antica anche in certa
libert ritmica, l'iato tra

quale

il

riche, a

poeta ha

in

il

ferecrateo e

seguito rinunziato

il

gliconeo, alla

che queste

li-

qualunque tempo esse appartengano, non rom-

pono l'unit del canzoniere, poich Orazio perfettamente riuscito a tradurre in stile e ritmi lesbii la materia fornitagli da Anacreonte (l. N^ voglio dire 1' ode
(1)

V. .sopra p.

ISl.


epica,

71^2

15, nei cui asclepiadei

pure ammessa una volta

quella forma trocaica della base, che Orazio altrove ha


evitata costantemente
il

anche qui

indizio di antichit

trattamento del metro, non la scelta

meno

lo stile.

ancora un

una

ziare

neppure alludo a

po' duro, nella


lirica

nuova:

contenuto tenue stride

mia

si

(juale

di esso, e

tanto

26, l'alcaica di ritmo

Orazio, dichiara di ini-

non dice gran che, anzi il


con la solennit dello stile Lal'ode

sar contentato e compiaciuto

figurasse con tanto onore in

che

un metro sino

suo

nome

allora

nuovo

il

alla lingua latina.

Tutti questi carmi non

somighano

si

staccano tanto dalle

altre,

quanto tre del primo libro,


I 7, Laudabunt alii
I 4, Solvitiir acris hiems
I 28, Te maris
et terrae. Esse hanno comune con molte altre la compon tanto

si

tra loro
;

sizione distica,

non

tetrastica se

dei versi di ciascuna multiplo

ma

non
di

in

quanto

quattro

il

numero

di partico-

come quelli dei


giambi. In I 7 e in I 28 il primo verso un esametro
dattilico. L'esametro compare in tutta la prima raccolta
lare

metri non lesbi

archilochei,

delle Odi solo in questi due componimenti, mentre frequente quale primo verso di epodi archilochei, e forma
il verso lungo in tutti gli epodi oraziani, tranne i primi
dieci,

composti

invariabilmente

di

trimetro

dimetro

giambico, e l'ultimo che non un epodo. Anzi, proprio

medesima combinazione era gi

stata adoprata tale


da Orazio nel dodicesimo epodo, in una poesia
che non ubbidisce alla legge meinekiana della strofa di
quattro versi. Bench il secondo verso si solesse chiamare alcmanio, secondo Efestione (p. 21, 14) ne aveva
dato il primo esempio Archiloco v tzovjoIq; probabile che
dello stesso
il verso lungo dell'epodo archilocheo fosse
del
pi
breve,
dattilico,
un
esametro.
In I 4
genere
cio
il distico composto di un asinarteto formato a sua volta

la

e quale


una tetrapodia

di

713

dattilica acataletta

itifallico e di

un

metro furono adoprati


da Archiloco. Tutto questo cos noto che non varrebbe
la pena di ripeterlo, se non ci fosse altro da aggiungere.
Ma a me pare di poter dire che la parentela tra quelle
tre liriche non soltanto metrica; a me pare di scorgervi somiglianza di stato d'animo e di stile. Tutt'e tre
nell'ode di Archita
le odi sono, chi ben guardi, sconsolate

dimetro giambico: l'uno e

l'altro

il

poeta

abbandona

si

pensiero della morte


vero,

comune

tutto,

come l'argomento

un concetto

cosi ovvio, cos, per

come questo:

nel canzoniere oraziano

dobbiamo morire

una lunga

svolto per

, vi

esige, al

tutti

serie di

quattro o cinque tetrastici. In quelle a Sestio e a Fianco


il

poeta

fa forza per

si

momento che
non

mascherare

riesce a

spirito. In tutt'e tre


di, di eroi,

esser lieto

altri

pi clie

la tristezza,

di particolari

che non

che

meno

quello stesso

gli

annebbia

lo

stringato, pi ab-

o quasi tutti gli

tutti

in

carmi.

Chi esamini pi accuratamente

che queste siano tra


molteplici

quegli tra gli epodi che

con

Quanto

non voglio parlarne. Anche


di

raccolta; sorprende

7,

trover

(pii

sono

meno

all'ode di Archita io

sorprende un poco

i\ue\

sentimentaUt mollo, cos aliena dalla

indole di Orazio, quale

muni (Nettuno

4 e specie

pi antiche delle odi, congiunte da

le

archilochei e pi moderni.

certo zinzino

confermeranno nell'impressione

forse ragioni le quali lo

fili

in

abbondano nomi propri di citt, di


non soglia consentire l'arte discreta

di Orazio. In tutt'e tre lo stile

bondante

ma

invita a godere senza darsi pensiero, egli

il

si

la
^<.

manifesta per

lo

pi nella prima

per epiteti non co-

predilezione

custode del sacro Taranto

e per

miti rari, quale quello di Euforbo trasformato in Pitagora.


Certo, Pitagora a suo posto in
nella quale

il

pitagoreo Archita e

una
il

lirica

drammatica

personaggio princi-


pale

tomba
morto

ma

la

forme

idea di trattare in un canne

stessa

Pitagoreo che

di costui, del

in

714

della

dopo

illude di vivere

si

infinitamente varie, o forse di potersi sot-

comune

trarre al destino

indiandosi, e ora, coperto di poca

sabbia, mostra ai passanti l'ineluttabilit della morte, que-

ha qualche cosa

sta stessa idea

di prezioso.

Ma

non mi

sento di giudicare di un carme che non intendo appieno,

mentre credo

potere far vedere che

di

quasi esclusivamente di motivi ellenistici

I
;

4 intessuto
che

essole

in

impressioni sono un po' esuberanti e ricercate, come, in

misura minore, in odi che da altri indizi si riconoscono


che la disposizione d' animo, quale si rivela
in I 7, e l'architettura di questa poesia hanno riscontro
giovenili

piuttosto in alcuni epodi che nei carmi

Cominciamo da

ormai primavera, ed
Morte non distingue
(1)

Non avremmo

(1). Il

venuto

il

lirici.

semplice:

tempo

ili

che egli fu console

nell'anno

rino proprio

Ma

pubblicata, nel 23.

mente

heatus,

Orazio

(cfr.

o beate Sesti

non

Io

la

La

anche per

.annoverare quest'ode tra

Aanili, se fosse vero che essa sia stata indirizzata

di godere.

tra pezzenti e re, Sestio

diritto

il

pensiero

le gio-

a L. Sestio Qui-

prima raccolta fu

dimostra: Sestio

probabil-

perch ha modo di godere, ben pi del poeta povero

II 2, 18; II 18,

abbia un senso pi profondo

Ma poniamo

14).
:

pure che quell'epiteto

agli occhi di Orazio, Sestio era beato sin

dai tempi in cui lo conobbe nell'esercito di Bruto e lo vide combattere


sino alla fine per

suoi ideali al fianco del suo capitano,

non scosso

da minacele n allettato da lusinghe, ni', a che il poeta lo riconoscesse felice perch savio, occorreva che Augnsto, ammirato della
fei"mezza dell'uomo che al sovrano che lo onorava di

celava

il

come

avr pensato,

zio

noi, che

Augusto

sostituendolo al suo posto nel consolato,


ai

una

si

32 e App.

/>.

e.

IV

usare

51).

non
Ora-

mostrava magnanimo,
aggiungeva nulla

ma non

meriti di lui. Ma, lo ripeto, heatus Sesto sar detto per

<;hezze, di cui gli dato

LUI

visita,

ritratto dell'uccisore di Cesare, lo colmasse di onori

le

sue ric-

rettamente. (Su lui cfr. Dion. Cass.

715

te verr presto l'ora di andartene nei regni bui

(1),

dove

ne sederai pi a banchetto ne ti diletterai della tenera


di Lycida . Riassunta cosi, quest'ode male si
distingue dagli altri inviti a godere oraziani e non oraziani. Ma ellenistico il modo un po' minuto col quale
bellezza

descritta l primavera.

Il

vento del sud spira vigoroso,

come

nella prima strofa di questo carme, cosi attraverso


proemio lucreziano, ma esso pervade quello di un unico
alito di sensualit calda, mentre l'ode si compiace di un
succedersi agevole di quadretti graziosi. Un componimento
il

ellenistico
tico, ci

da

solo

che non

melico o epigramma-

certo se fosse

come abbiamo veduto disopra

noto,

che getta su epigrammi

riflessi

di

(p. 331),

contemporanei

di Orazio e di poetastri bizantini raccolti in principio del

libro dell'Antologia, e

esametrico

di

inoltre

da un componimento

Meleagro, che, quasi fosse un epigramma,

compreso nel libro IX sotto il numero 363. Di


pi antichi sono messi in bocca al
quegli epigrammi
naviganti ellenistici consideravano loro speciadio che
lissimo protettore, Priapo. Essi, come fa anche qualcuno
dei Bizantini, non mancano mai di cantare il vento che
riporta il tempo buono. Proprio in un Bizantino, che non
ha mai inventato nulla di nuovo, in uno, la cui ottusa
sensibilit si desta solo peri imitare, in Paolo Silenziario
stato

(X

15),

quali la

ritrova anche l'accenno ai


nave sdrucciola lentamente

si

Orazio, scrivendo tmhuntqiie

avuto forse

1'

4-1

l'iiiliiniii

nelle Epistole Orazio

multa KHperxtint

di

legno, sui

terra

in

acqua.

maciinae carinas, ha

occhio a un componimento ellenistico. Chi

(1) ({omuH l'jUin

toni'

siccas

rulli

di

ri

riiitone la ricclie/./a,

voriii dir proprio


(I

G,

15) scrive

l;i

povera

ciisa

ixUin dontits

rnl

di

uhi

Plu-

non

dom'ninm ftiUiml. Andare a eereare nel nonir di


ini

parreltlp sclierzo di cattivo ycuen-.


legga

secondo verso

il

di

716
I

4 senza preconcetti e preoc-

un po' prezioso e rimarr a prima giunta sorpreso. Del resto anche altre odi
mostrano che Orazio conosceva quel componimento ellenistico che abbiamo detto intravvedersi attraverso le
cupazioni, trover quel

particolare

imitazioni: esso gli rimase caro tutta

la vita, e

nella maturit pi piena,

attinse,

ode

pur

IV

epodica IV

essa

compare

12. In questo

di quegli

perch

ma

epigrammi,

7,

sia nell'invito

la rondine,

ancora
nella

sia

Virgilio

personaggio

cui Orazio tace in


con se stesso anche dove

severo

egli,

a esso egli

di

certo

I 4,

si

fisso

lascia

andare, non ha voluto nuocere all'unit dell'effetto con

troppa abbondanza di particolari.


Molti di

leagro

quei poeti

ingemmano

esametri mostra

suoi

zampogna

sulla

con

nei

si

suoi capretti.

diverte

il

prati

di

Me-

che suona

pastore

giocare

fiori

aria aperta

all'

Orazio, artista maggiore, preferisce,

dopo aver delineato con pochi tocchi la primavera, rievocare dinanzi alla mente l' inverno passato con
suoi
le
piaceri e
sue bellezze mescolate di noia e tristezza,
i

come

cos

nell'ode invernale del Soratte egli suscita di-

nanzi allo spirito l'immagine dell'estate:


se

ne sta pi

caldo nella stalla,

al

il

il

gregge non

contadino non siede

non sono pi bianchi di brina.


Forse gi Saffo aveva fatto calare sulla terra rifiorita
un ministro o una ministra di Afrodite JIor/c'XXeTa'. [xy,v

pi al fuoco,

prati

TtoX'jax'^avo;

Y^^'a

Ma

le

nere,

oootXxoj '(%o

danze notturne

mentre

la

Luna

di
s'

K'JTrpoyevoc

"pcTioov (1

).

Grazie e Ninfe, guidate da Ve-

indugia a guardarle

dal

cielo,

WiLAMOWiTZ (Sappilo . Simonides, 46-) ba riconosciuto idenmetro tra due frammenti adespoti 104^ e 129, e li ha accostati,
attribnendoli a Saffo, perch Demetrio, che ha conservato, il primo,
(1) Il

tit di

suole citare appunto Saffo <inale esempio di grazia.

717

sono ellenistiche e non lesbie quella luna davv^ero la


sorella gemella del sole callimacheo, cui (h. in Dian. 180)
dispiace lasciare addietro le Ninfe danzanti intorno ad
Artemide, si che si ferma a guardarle, e intanto
giorni
:

allungano, con grave danno per chi abbia dato a mer-

si

cede

suoi buoi a fendere podere altrui

bifolco

ma

Questo riscontro noto,

Vulcano

alle

officine dei Ciclopi ,

piuttosto ellenistica che classica. Neil' Iliade

dove ha

OUmpo. Ma

estraneo

sotto

anche la visita di
se non m' inganno,
il

dio lavora

avranno riflettuto che un cos gran signore non poteva non essersi edificato un villino lontano dall'officina rumorosa, e
avranno accolto con compiacimento leggende locali, che
spargevano qua e l per il mondo, in fondo a crateri e
la casa, in

contrade

sotto

posteriori

dal terremoto, le

scosse spesso

sue fu-

cine (1): Venere, da buona moglie, non va a ballare se

non quando il marito, in giro d' ispezione per suoi molti


dorme fuori e non ha bisogno di lei (2).
Ellenistico pare a me anche il modo particolareggiato
i

opifici,

con

quale l'oltretomba designato dai godimenti che

il

uno colaggi non pu pi avere: col non


cere,

giocando a dadi,

la

p\i vin-

si

presidenza del banchetto, ne

pu ammirar pi Lycida. Gi

primo

il

si

libro della raccolta

teognidea (973 sgg.) incita a godere, riflettendo che oltretomba non si mangia n si ode la musica del convito
:

Nessun uomo che una volta

sia

abbia coperto, e

la terra

sceso nell' rebo, casa di Persefone,

udendo

lira o

flautista o sollevando

(1) I passi degli scrittori suini

ruicolti

il

diletter pi

si

dono

di

Dioniso

nel ciniuiKMito

di

KiKSS-

i.ing-Heinze.
(2)

ma

La spiegazione

i>ui)

[lareie tropi) arliliciiklu

che ha a fare la primavera con

dei Ciclopi
gli di,

Del resto, nel

la

visita di

modo come

non manca mai nna punta

gli

*'

l'azionai istioa;

Vnlcano

Alessandrini

di sclierzo.

alle odiciue

dipingono

continua

un

senza contrasto ellenistica la figura

appena pubere, per

del fanciullo

giovani e domani

il

intiepideranno

si

grammi che chiedono amore


morsi della passione

(1).

ardono ora

quale

le

a un fanciullo,

Per

vergini. Negli episi

minaccia

l'insensibile, sen-

spesso vicina l'et nella quale costui,


i

Questo ancora motivo popolare, ma


regna vini per
quali si gettavan dadi, sa

dei

po' di prezioso.

tir

mio cuore

al

quel par-

cos via.
ticolare

Ci vedendo, dar retta

718

l'eroe della pi celebre

novella ellenistica di amore, per l'Acontio della Cydippe,.

domandano

spasimano

tutti

tabo se

loro

desiderio sar appagato

il

Gvxs; 'Ay.vxcov

xaya;

y^xav

102)

(2) (fr.

s'infiammer per

anche

giovani, e

spaile

di

al

giuoco del cot-hoaIoI y.al cpis-

oIvotztm ScxsX;

xu-'xwv

7.

a poco arder anch'egli, e Cydippe

lui.

raccolta delle

Lycida ricollega quest'ode, oltre


con gli Epodi. Nella prima
Odi, Orazio, come abbiamo veduto, ha rite-

gno a parlare

di giovinetti

che con

si

la figura di

la lirica ellenistica,

amasii

il

Cnidius Gi/ges, che

distingue a mala pena nel coro delle fanciulle, compare

una sola volta, in un carme (II 5) che prende


da un motivo anacreonteo, ben fuso del resto

le

mosse

nell'unit

Invece Ligurino appartiene alla seconda raccolta, in cui, sembra a me, il classicismo ha
stampato impronta meno profonda; agli Epodi appartiene
dello stile

il

classico.

Lycisco, che

litia.

Proprio

spiriti

dei

si

gloria quamlibet muliercnlam vincere mol-

la moUitia, chi

tre

primi

libri

delle Odi, nei quali

ma non

spira,

s,

pueri longam

Le chiome cadono anche

sulle spalle

(1)

Cfr. sopra, p. 430

(2)

148 e 169.

lontana dagli

teretis

Vardor puellae candidae,


renodantis comam.

ben guardi,
quello

sgg.

probabile che ad Acoiitio

si

riferiscano auche

frammenti


Non

Ligurino.

di

con pi

parli

caso

719

che V amore

passione proprio

mio maestro,

ha chiamato

Leo,

il

per un fanciullo
epodo a Pettio. Un
quel coniponimenta

nell'

elegia iambis concepta,

forse con soverchia rigidezza siste-

matica

si

di espressione

ma

rimane vero che negli epodi

distinguono due gruppi, nel primo dei quali fremono

archilochei, lontano il secondo dalla a|x,3'.7.rj loc^


Se talvolta anche nel primo dall'un canto le stregonerie
spiriti

raffinate

crudeli, dall'altro

descrizioni

le

schifose di

ricche signore brutte e vecchie, che, nonostante


telli

tra' guanciali,

stoici celati

trasportano

che ha bisogno

pensano solo

rivelando una

lettore,

il

all'

tratta-

amore,

sensualit torpida

cerchie cittadi-

di eccitanti violenti, in

nesche cariche e stanche di civilt troppo matura se


talvolta anche in questo primo gruppo lo stato d'animo
;

moderno ed ellenistico che archilocheo; il secondo con l'amore preannuncia le odi, con la malinconia
proprio quelle due odi che ci occupano, nelle quali ci
parso di sentire che il poeta, malinconico, strappi violentemente se stesso alla tristezza. In quel gruppo di
epodi al quale appartengono l'il, il 13, il 14, in certo
senso anche il 15,
metri non sono pi j)uramente giambici,
pur rimanendo archilochei; proprio come nei tre
carmi di cui diciamo. E in quegli epodi spuntano per la
prima volta motivi e immagini che ricompariramio nelle
odi, non soltanto in quelle poche odi
A me libertina nec
piuttosto

uno contento Phrijne macerai

me

meior

cnm

iale libertina,

nus

(I

violato

peteret

/'retila

33, 14).
(II 8),

Il

Venus, graia detiniiit compede kyr-

acrior

Hadriae

Caabros

si-

da

lei

ricorda quello di Neera, pur essa

salvo che nel secondo

15),

giano,

come avviene

negli Rpodi.

limina dura dell'epodo a Pettio,


ci

curranlis

giuranit^nto notturno di Barine,

(epod.

lumbos

risponde ipsum

14, 16)

{eyio([.

infrcgit

lains,

infedele

particolari lussureg-

)wn amici

contro

prcaiiiiuiu'iano

(piali

jiosles
il

poeta

~apaxXa'jat)"jpa.

7-20

Proprio nell'epodo a Pettio vibrano chiari anche all'orecchio pi ottuso

gognoso,

si

tradisce durante

punto come

l'ospite dell'ep.

imo

7cv'j[Jta

guita

contraile

spiritus

ca

vcYjpv

genium querebar

atT;f)'(ov

lucrum

amante

Orazio,

un banchetto, con
43

il

ver-

respiro

del petto, ap-

Callimaco: conviviorum

di

amantem languor

poenitet in qiiis

latere petit us

dal pi profondo

angosciosamente

tratto

et

motivi ellenistici

et

silentium arguit

et

eXxo; v/ov ^scvo; vf)-avcV w;


(tlz^\) 'n^^(x'^'t-r, {{).

nii

adplorans

Orazio se-

candidum pauperis inPoesia e povert vanno

valere
tihi.

sempre insieme nella poesia degli Alessandrini; nell'epigramma 4G di Callimaco sono insieme invocate quale rimedio contro l'amore; nel 32 il poeta confessa di avere
le mani vuote, ma scongiura Tatuato di non ricordarglielo.
Tibullo e Properzio

non

fossero

esigeva

in

si

realt,

fanno nei loro canti pi poveri che

perch

la tradizione letteraria lo

(2).

(1) li riscontro in

Leo, de Hor.

et

In 14 forse ellenistico anche

(2)

Ardi., 10.

sentimento fondamentale,

il

timore di morte, che la primavera, mutando da un giorno all'altro


la natura, infonde nell'animo insieme con il desiderio di godere della
vita breve. Ma la somiglianza dell'ode con un mediocre epigramma

il

(AP IX

412) di un poeta che Orazio stim e am, Filodemo, solquesto ricorda a nn amico che rose e ceci sono in

tanto apparente

che gi vi sono di nuovo e il eavolo primaticcio e le lattughine tenere e il formaggio fresco salato. E noi non poniamo ancora il piede sulla spiaggia o sul belvedere, come abbiamo fatto sempre

tore,

gli

f Eppure Antigene e Bacchio scherzavano ieri,


accompaguamo al sepolcro. Qui la natura descritta piutda un ghiottone che da un artista la primavera incita al godere

anni passati, Sosylo

e oo'gi

tosto

li

otfrendo facili diletti, non gi ricordando la mutevolezza delle cose.


Il poeta aggiunge di suo: Sbrighiamoci, perch i nostri amici, ieri
fiorenti,

oggi sono bell'e sepolti . Non suggerisce pensieri di morte


come in Orazio, ma un fatto esterno, la morte

la stagione dell'anno,

improvvisa degli amici. L'epigramma di Filodemo


tiglio degenere di epigrammi sepolcrali per morti

in

fondo,

fittizie,

nn

quali ne

avevano composti Asclepiade e Callimaco la primavera ci sta per


contorno, per contorno anche nel senso culinario della parola.
:


Lo

(p.

4 ricorda da vicino quello che abbiamo

di I

stile

osservato

721

51 sgg.) in altre odi giovanili.

arditezze verbali di

carme con minor discrezione che


lizzare

singoli periodi per mostrare

come

bia tenuto dietro con certa attenzione

Ma

del presente libro.

-je

grande

di

calda

sione

non sar

le proposizioni

lettore che ab-

il

svolgimento

allo

forse inutile notare che,

bellezza quel distinguere

giovani e

dei

tra

la

pas-

l'intiepidirsi lento dei petti

danza leggera di Venere, delle


si
oppone il passo strascicato,
dello zoppo Vulcano, se l'antitesi tra le capanne

Ielle fanciulle,

Ninfe,
'/ravis,

se alla

Grazie ben

delle

de' poveri e le

l'opporre

il

torri de' re

(1)

capo coronato,

spontanea,

naturale e

inceppato dal sempre

mirto, al fiore di cui la terra,


i

studio della

mature. Ana-

in odi pi

facciano contrappeso, superfluo per

si

Lo

non rifugge neppure da


gusto non ottimo, domina in questo

del contrasto, che

simmetria e

verde

appena slegata, ingemma

prati {nuic decet aiU viridi nitidum caput impedire mi/rfo

aut flore

terrete

ma

ziosa,

quem ferunt

a prezzo di

sice malit.haedo),

i>'V(

po' freddi.

tempo

a un
{iam

lo specificare

Nox

come

vetat incollare lOKjam ci lascia

Mani prement

stesso che essi sono favole, che

preynet

te

iios

che

dire

Il

che

a primavera {seu poscat agna

ozioso; che anche una frase

siimma hrevis spern

it((e

un

artifici evidenti,

Fauno richieda

quali vittime

d un'iumiagine gra-

solutae)

ricordarsi

il

non esistono

fahulaeque Manes), romper in taluno

l'unit dell'impressione.

(Ij

liittuulcro

con

niiTcrauti, scaild'a a

Kik8S[,in<j-IIkinzk

me

peiinato alle torri di

niDiianlii orientali

lazzo dei ru di babilonia


8,

"))

l,.M;;i'ri

avr veduto
di

in pitture
iC)'

(li

avr:"i

ritratti

in

letti)

in

pittura

[talazzi

(/iVtm.

Milt.,

tloi

ricchi

Orazio avr:\

di iinoll aUissinio del

Erodoto
}jli

nionarciii e jii'incipi asiatici, quali

pompeiane

jilti

troppi) tritaiiioutu ra/.ioiialit^tico.

uditici

am-or

\\\l KMI.

pa-

e in Otcsia ^Dioil. Il

i.i\.

aiti,

aj,'ili.

o;;'^i

li

"..

J^.

ariosi.

ritroviamo

722

Di I 4 dubitano a torto a clie tempo appartenga


quanto all'ode di Teucro (I 7) consentono che sia giovanile, perch lo stesso metro stato usato da Orazio
in un epodo archilocheo, il 12, e perch il motivo della
;

chiusa ricorda la fine di un


interpreti
perficiale

altro

sta poesia difetterebbe di unit.


alla

seconda sembra invece

poeta, recatosi a

Il

me

rimpiange

lucente

giorno

Ma

gli

che

li

piano e

uno

prima

agevole.

Il

podere

dei suoi cospicui

almeno possa tu

fin

come me,

le

affondare,

trapasso dalla

che col soleva villeggiare (1);


Munazio Fianco sia ora lontano, in

amici, originario di

guerra.

13.

il

diporto a Tivoli forse dal suo

sabino, pensa alla vita inquieta di

epodo,

moderni fanno male a ripetere il giudizio sudi commentatori antichi, a sentire i quali que-

le affonderai,

d'ora nell'accampamento

cure nel vino,

come un

tornato alle ombre della tua Tivoli.

Anche Teucro, fallite le speranze nel momento clie sembravano adempiersi, cacciato dalla patria appena toccata
dopo lunghissimi anni, mentre sta per riprendere la via
dell'esilio, mentre sa che solo in terra lontana potr farsi
una vita nuova, bevve e incit i compagni a bere e a
dimenticare per una volta domani avrebbero di nuovo
solcato il mare. Dov' la difficolt? Si pu scommettere che gli interpreti non avrebbero incespicato a quel
modo, se Orazio avesse messo seu te fulgentia signis castra tenent aeii densa tenehit Tiburis umbra tui in capo al
periodo e non in fine, se alle lodi di Tivoli, che giun:

gono a

tutto

trascritte e

(1)

il

V.

14,

non avesse

Che Fianco

avesse attaccato subito

le

parole

preferito di staccare, di ricomin-

fosse oriundo di

l,

come assevera

essere ricavato proprio dal Tiburis fui di Orazio.

Portrioue,

pu


come da

ciare,

con

principio,

7^23

la similitudine del

vento del

non porta soltanto acqua, e col consiglio di


porre un termine alle cure. Ma appunto quella maniera
che

sud,

di

formare

periodo eccita e sospende l'attenzione

il

del

L'ode freme di simpatia per Munazio, perch in


Munazio, come in Teucro, Orazio compiange se stesso.
lettore.

La Fortuna,

meno severa

che, pur

Telamone,

del padre

concesse a Teucro soltanto nella lontana Cipro una pa-

nuova, simile non solo nel nome all'antica (1), aveva


ridonato a Orazio e a Fianco gli di patri e il cielo itatria

lico

ma

essi,

rovinato

carsene uno nuovo.


tonio ad

Augusto

Il

il

mondo, dovevano

loro

riedifi-

dignitario romano, passato da

nel 32 (2)

An-

da questo

e accolto

ogni testimonianza di onore, non ebbe a lottare

con

per

il

pane come dopo Filippi il figlio del libertino ma Orazio


comprendeva che anche Munazio, cui egli stimava, dovesse sentirsi straniero tra gli uomini contro
quali egli
aveva combattuto sino al giorno prima. I commentatori
;

ripetono

un

severo giudizio di Velleio

il

(II

che dedica

83),

intero capitolo a mostrarlo morbo lyroditor;

sto e

suoi

non giudicarono un

girella costui,

ma Auguche pass

perch impaziente dell'arroganza di Cleopatra, perch disgustato di Antonio, che ogni giorno pij
al loro partito

diveniva un sovrano orientale e nuH'altro che un sovrano

che aveva senso di dignit, non


Il principe,
avrebbe permesso a un uomo che non stimava, di pro-

orientale.

(1)

Spie^iivu con

\\iv.^!^\.\Hi-Wv.l\/.v.

assurdo: socomlo Euripide [Ih.

Teucro

di abitare a

Cipro

IH

ainhigndm

(lui>lictm

mi pare

gg.) Apollo avevii ordinato

ovo|i.'x vY,ai'iixixv

laXxji.vx H;i3v(3v

-yj;

ix:

X'/piv -ccxpac.
{'2)

narrano

La

data

elio

e certa,

Fianco

perche

e l'itio

sia l'iiitarco {.liit.

nio ebbe ripudialo Ottavia, ci


sios (iuagj^io-f?iii;;iio) del

'.V2

.")H)

sia

Dione (L

o, )

passarono a Ottaviano dopo che Anto-

elio

secondo Eusebio avvenne nel Dai-

Kuom.vvkk,

lloi.

WXIII.

is;ts,

||.


porre per lui al senato

il

724

Augusto

titolo di

poeta sapeva per esperienza che

Anche

(Ij.

il

periodi di rapidi cam-

in

biamenti politici da stolto rimanere saldi nella propria

muta completamente

opinione,

quando

l'oggi al

domani. Le maggioranze, generose come sono,

sogliono in

la situazione

chiamare

casi

tali

dal-

stolto l'ostinato, traditore

l'uomo ragionevole.
Il

Teucro era

pubblici romani

commovevano
mone chiedere

la tragedia pi

dell'et

morto

il

fratello legittimo,

unico erede del regno. Cicerone stesso {de

forma che

il

193)

nipote,

il

46) ne

or. II

come

Teucro

il

Ma

Pacuvio, l'avr pi tardi veduto rappresentare.

figura dell' infelice

subito all'opera

angosce e metter mano


nuova e ardua, riproduceva per molta
di

parte del pubblico letterario di


:

la

che sa virilmente dire addio a spe-

ranze nutrite per anni e anni

nalissime

in-

usava mandare a mente nelle scuole dei

si

suoi lettori, avr studiato a scuola da ragazzo

di

si

osasse com.-

morto

retori passi scelti proprio di quella tragedia. Orazio,


i

vecchio Tela-

come mai

illegittimo,

al figlio

Pacuvio

di

{de or. II

udendo

sino alle lacrime,

parirgli dinanzi,

popolare

Cicerone

di

Roma

esperienze

perso-

molti dovevano nei primi ancor torbidi

anni

una vita nuova nel mondo nuovo.


mito, se non allegorizza, allude, svegliando

del principato rifarsi

Anche

qui

il

simpatia.

L'emozione

non

contenuta

solo gli amici

gli otto

ma

di chi

se,

versi dell'orazione

con una parola amara verso


que feret melior fortuna
la

strappa

alla

tristezza

dipinta maestrevolmente nepiccola.


il

La

quale

padre severo

comincia

quo nos cum-

parente. Nel verso seguente

prima parola mostra che

l'eroe risoluto

ibmus.

gi

Ma,

dichiarata la sua volont immutabile. Teucro chiede

(1) I passi

in

sono raccolti uella Frosopognipda Imperli Eomau'i.

rio

due parole d' invocazione il consenso, anzi la tenerezza dei


compagni, mentre pur li conforta promettendo loro nel
proprio nome successo buono o sodi comitesque, nil despenindum Teucro duce et auspice Teucro ; certus enim pro:

amhiguam

Apollo

niisit

Tra queste parole

tellure

nova Salamina

(1).

prime del discorso come

le

contraddizione, ricchissima di bellezza

qua

futuram

col la

una

fortuna,

dio duce. All'oracolo che gli d la sicurezza di

il

quando che sia in chi sa quale terra tontana (2)


una patria nuova
certo proprio al Teucro pacuviano
appartengono le parole che Cicerone cita quali Teucri
vox nelle Tusculane (V 108)
patria est, ubicumque est
egli si aggrappa con tutta l'anima per pobene (3),
ter vivere. Ancora un'esortazione ai compagni, a goritrovare

dere

del

banchetto e

affogare

nel

vino

cure:

le

do-

mani ricomincer la navigazione e l'esilio. In o forfes


mecnm saepe viri, mine vino pcUite curas il
mecnm spira insieme tenerezza virile di capitano per
soldati e fiducia dell'eroe in se: Quanti rischi abbiamo
il viri, messo in rilievo dall'iperbato,
superati insieme!

peioraque passi

leggomlo

(1) luterpiiiigoudo o

clivfi.^.iiji. /II.-,

m-

troppo (laro e spezzato, eoa ano o dao iperbati

vieii

lui

l'iinii

m-im)

iiitollorabili

nel

pi-

ooacladore

clic

Ta-

rioilo ftegucntt'.
(2)

Uaiii-

parole

cavio, se Pacuvio,

li

Orazio mi pare

come

8i

possa

seiabra, egli segae, iiumagiuasso

che

l'ora-

colo tacesse ia che parte del inondo Tenero avrebbe ritrovato la patria

per Enripide [Hel.

1-18

sgg.

Apollo aveva ordinato

Tenero

di na-

ll.".l) in

l'orma

vigare verso Ci)ro.


(li)

Qael proverbio gi noto ad Aristol'anc d'Ini.

mi po' diversa

"axpg fip jXI

Tt"' iv'

ma

Pacavio non chiede di stare bene,

Tenero

iv npi-cnrj ii; su

solo di vivere

i|nella

il

di

rasse-

gnazione dolorosa piaciuta al Pascoli:" giovane, che ha dato alla mas Io, la patria ^ per me dove si
lina certa violenza sintattica
vive . Al lglio (li povera gente liasta vivere: se bene o male, poco

sima

importa.

721)

compagni, che rischiano di intenerirsi, la loro


uomini. Ma anche Teucro sta per intenerirsi:
egli esprime ancora una volta il volere suo fermo, e lo
esprime nella forma che pi crudamente svela la durezza
dell'impresa e il tedio di un domani, il. quale sar uguale
a queir ieri, che sembrava morto per sempre perch egli
parla non solo per ammonire i compagni a guardare senricorda

ai

dignit di

La seconda

Il

anche, e pi,

per se stesso

ingens iterabimus aequor.

bile,

un

ma

nel futuro,

z' illusioni

cms

parte dell'ode un capolavoro.

e avvertita

da

infatti

altro capolavoro di Orazio giovane,


cielo in

giano

tempesta

nevica,

Aquilone. Orazio

dell'

il

mare

incita

Innega-

somiglianza con

molti, la

breve epodo 13:

rumoregcompagni a scio-

e selve

gliere dalla fronte corrugata la giovinezza, finch egli ed


essi

sono giovani e hanno le ginocchia salde. Presto


un dio forse
inutile ragionare di angosce

vin buono

rimedier a tutto.

canto
il

. Si

Ora

bene ungersi

aspetta una canzone allegra,

e consolarsi

ma

canto del Centauro Chirone ad Achille.

col

viene invece

Come

quello

profet a questo la terra di Troia, da cui non gli era dato


tornare,

ma

lo incit

a saper alleviare ogni male col vino e

col canto, dolci conforti alla

deforme

tristezza, cos

anche

qui attraverso l'esortazione alla gioia prorompe tristezza

non temperata nemmeno da speranze di vecchiaia


Achille morr giovane a Troia senza rivedere
la patria antica, senz'edificarsene una nuova.
Simile anche il sentimento vago della patria lonsi osservi come Troia non nominata
tana e misteriosa
non dissimile lo stile. L'epodo
ma descritta nell'epodo

virile,

serena

ha arditezze maggiori

le

nevi e

le

piogge che tiran gi

in terra Giove, deducunt lovem, la vecchiaia, vecchiaia di

giovani mesti, che

si

scioglie via dalla fronte corrugata,

obducta solvatiir fronte senectus, sono audacie e audacie che


in quell'ode

non hanno

riscontro

che

l'uso,

pure ardito,

IH
di

ambigua

meno

allontana

si

dal consueto, e nulla nel-

l'ode corrisponde a quel nec mater

domum

caerula

re-

te

mare

quale l' immagine della dea e quella del


sovrappongono e si fondono, come spesso in poeti ellenistici, nulla al dum virent genita, che, com' noto, si

vehet, nel
si

ritrova tale e quale nell'ultimo verso dell'Amore di Cyni-

sca teocriteo

; vvj //xopv.

bianco Noto che con

Il

le

nuvole (1) dal cielo oscuro e non


perpetua pioggia (2), immagine molto pi cauta
sebbene serva a portar nell'ode un contrasto di colori,

sue dita deterge le

vido

gra-

di

quale Orazio per

lo

pi

non cerca

(3).

Ma

contrasto di

artificioso nello stesso periodo tra

colori pi

pamento fulgente

di aquile,

l'accam-

che tiene ora Fianco, e l'omlo terr domani. E questi

bra densa della sua Tivoli, che

contrasti sono propri dello stile di Orazio giovane, al quale

pure appartiene la ricerca e la scelta minuta degli epiteti, s

che ogni sostantivo importante abbia

il

suo.

La mi-

nuzia pari nell'ode e nell'epodo, se pure in alcuni

distici

dell'epodo quegli aggettivi quasi offendono nella loro

quenza:

nohilis ut

grandi

cecinit

fre-

Centaurus alumno : invide mor-

anche il contrasto), te
pndunt Scamandri
flumina luhricus et Simois. Nell'ode mi pare di sorprendere
una ricercatezza ellenistica anche nelle foglie di pioppo
della corona, che il lettore, per gustar bene, deve riflettalis

dea nate puer Thetide (e qui

nianet Assaraci tellus

quam

tere essere proprie di

Lo

(1)

stesso viTso .-idopralo del

le

nel

iiiilii,

Ii4tii:

citm

senso
iif<iiie

contraiin

di

cu'njnux drtirsit

nuhen.

(2)

Se

la

(radi/ioni-

diiilomatiia induco a

perpetuo ((inantnniiue vhe iniporta una


tio

noti

Yjsjxfv.

'Hj^axXf^c;

negli Aratat di Ciccroiu' (v.

coprire,
Hilera

si

frigida parvi

couthiia

minativo
{'^)

non s'intemle \t'rci' pirpctiion


non iioasa unirsi eon imlnts,

i),

V. soi)ra

!>.

r>16.

le>JK''*''"

;>'''7><'"i"

scempia o doppia nella

'

iH>n

acrip'

del)lia essere pioi)rio

no-


L'epodo

pi di getto

stato d'animo

l'ode

7-28

un momento solo

un

procede

po' lenta,

un unico

(juantunque

con trapasso, come abbiamo veduto, facile e piano dal


confronto della placida Tivoli con altri luoghi pi celebri

ma

non

altrettanto

che Fianco

deliziosi, al pensiero

assente e tormentato da cure, all'esortazione a non


spregiare

Teucro.

un

il

piacere neppure in

La mossa

momenti

tristi,

del principio Laudabimt

alii

al

di-

mito di

pare a

me

enumerazione dei passi cantati


dai poeti e celebrati dai prosatori greci mi sembra un
po' fredda. Orazio si studiato di darle la maggiore variet possibile, e certo ciascun di noi trover abile ed
elegante il modo in cui Euforione, gran cacciatore di
miti, ne va da ogni parte in cerca per celebrare la citt
di Pallade, preponendo cos alla fronte una corona d'olivo
colto ogni dove; abile ed elegante s, ma anche un
po' freddo. Quei nomi avranno detto di pi ai contemporanei, che avevano quasi tutti visitato le celebri citt
della costa asiana, che vi avevano forse passato anni di
quiete. Noi non leggiamo pi in Teopompo la descrizione famosa della valle di Teinpe, o la leggiamo in un
po' scolastica

quell'

rifacimento di Eliano,
leziosa e insopportabile

parla pi,

il

quale,

(1).

per abbellirla, la

rende

Nessun proverbio popolare

come ad Aristofane

ci

{Av. 968) (2) e a Orazio,

della prosperit del piano tra Corinto e Sicione. Poesia di


tal

genere lascia freddi noi moderni, ed infatti, per sua


E quando tra le opere di un padre della

natura, caduca.

chiesa che ha pagato alla retorica

un

tributo

tutt'altro

che modico, Gregorio di Nyssa, ci imbattiamo in una lettera a un amico assente (4G, 1680 B Migne), in cui si en-

(1)

De

(2) Il

oli

Stkiaxi, B. ph.

IF.,

1911, 92.

proverbio citato solo uello ecolio,

nomina quella pianura perch

celebre.

ma

il

venditore di ora-


comia

una

729

villa deliziosa di quest'amico, la

gorio sta appunto visitando, e la


pi famosi

ho

Molti

luoghi

si

ho

quale Gre-

paragona con

visti

letto nelle narrazioni degli antichi;

eppure

luoghi

di molti

stesso,

io

tutti

quanti

ne ho veduti, stimo un
lezza di
sta villa

nonnulla a confronto della belqua quando vediamo che a riscontro di que nominata, oltre le isole de' beati e l'Elicona,
;

proprio la j)ianura Sicionia, quella cio tra Corinto e Sisi ripetono i vanti poetici
intorno al Peneo,
quale dicono che, spargendosi col suo ricco corso sulle
sponde, che gli si oppongono di traverso, formi ai Tes-

cione, e
il

Tempe

la tanto celebrata

sali

vien fatto di

(l);

pen-

sare che anche Orazio riproduca qui uno

anche

stico di lode. Certo,


letto

Teucro

per la prima volta a scuola,

dell'ode ogni

sentimento

il

scolasticit

Giovenile certo

stesso
il

ma

nella seconda parte

scompare, fusa nell'unit

dalla descrizione di

un capolavoro. Lo

di

schema scolaPacuvio egli avr

in gi

Tivoli

non

direi

il

del

carme

della prima parte.

carme, oltre che per

le

ragioni

anche perch e la tristezza di Orazio e il mito


Teucro mostrano quello stato d'animo misto di smarrimento, di si)eranza e un po' anche di rimpianto, che
non pot durare molto oltre le guerre civili. E strano
che il Kiessling e il TTeinze, che pur giovanile lo ricoanzidette,
di

noscono,
di

lo

assegnino

poi

agli

anni

spedizione

della

Fianco, alla quale, suppongono, Orazio avrebbe preso

parte nel sguito di Augusto. Questi part da


l'estate del 27

tempo della parte forse


contemporaneo o posteriore

stesso
sia

Kiessling e Heinze

(l)
liirif.

Il

tosto cosi

Roma

nel-

carme appartenga allo


maggiore dei tre libri, che

possibile clie

il

alle

Odi

Romane? Come

risolvano o concilino

mal

in

loro

nuMite

homi'o cIu' ]>rc(i-iis('o coiiipciKliari' ilu> tr.i-

7:}()

questa contraddizione, non so immaginare. Munazio abbandon Antonio verso la met del 32 probabile che
;

Ottaviano

come non

abbia messo subito a capo

lo

di

dell'esperienza e della

giovarsi

un esercito
competenza
:

un uomo che aveva, proconsole, riportato il


trionfo sulla G-allia, che aveva avuto parte cospicua nelle
guerre civili dopo la morte di Cesare? La diffidenza, lecita e naturale, doveva aver la peggio nella lotta contro
altre considerazioni
Augusto, offendendo un uomo di
tant' importanza, avrebbe trattenuto altri notabili antoniani dal seguirne l'esempio. L'ode sar scritta poco prima
poco dopo Azio Orazio durante il blocco che precedette Azio, compose un epodo, mentre la morte di Cleopatra celebrata in un'alcaica ma metro e un po' an<3he stile del carme a Plance sono da epodo. In quell'ode
militare di

arde ancora

la

passione

che negli

altri

carmi per

lo

pi spenta o tenuta a freno; piange la malinconia, che presto ceder

il

posto a un sentimento della vita pi equi-

librato e pi sereno.

IL

La seconda raccolta.

La prima
COSI

raccolta delle Odi, uscita nel 23, non ebbe

buon successo come Orazio

si

aspettava. Alcune

epistole del primo libro, pubblicato nel 20, ci


il

mostrano

poeta deluso del pubblico e anche disgustato o almeno

stanco della

lirica.

intendere che a

Nell'epistola 19, a Mecenate, Orazio fa

Roma

rifacevano non solo

le

erano subito
sue odi,

ma

sorti

anche

imitatori
il

che

suo perso-

modo di vivere, ma anche certe sue innocenti


manie dice anche chiaramente che il lettore ingrato loda
e ama suoi opuscoli a casa, ne dice male appena uscito.
nalissimo
;


Contro
egli

si

confratelli,

731

che contro

pi

il

pubblico grosso,

mostra sdegnato nei versi seguenti, l dove dicon doni il plauso delle folle

chiara di non cercare ne

ne con lusinghe l'approvazione dei poeti e dei professori


di
piacere alla plebe egli, per quanto
poco chiaroveggenti siano in questa materia gli artisti,
non si sar illuso mai, mentre proprio in quelle odi
che, perch poste a principio e in fine del libro, pi sal-

di letteratura

tano all'occhio, egli aveva dato a


agli onori di classico.

divedere

L'amore per

di

aspirare

la filosofia, che,

come

schermendosi dalle insistenze di Mecenate, dichiara nella prima epistola, lo allontana dalla lirica, non

Orazio,

sar stato senza forte mistura di dispetto.

Orazio attribuisce, sembra, la mediocrit del successo


all'

invida freddezza dei confratelli,

state pi complesse. Certo,


in rilievo (1),

come

situazione

la

ma

le

ragioni saranno

di recente stato

messo

dell'anno 23 e

politica

dei

seguenti, torbida e mal sicura, rivolgendo a s gli animi,


li

appena

distraeva dall'arte: proprio nel 2o, guarito

principe da una malattia che parve

venne a morte
tutti

il

scorgevano

giovane, nel quale, a torto o a ragione,


l'erede

designato

In quello stesso torno di tempo


giura di Fannie

il

mortale, inferm e

Caepione

il

del

Marcello.

trono,

scoperta della con-

illumin d'improvvisa luce

sentimenti veri che molti tra


celati in cuore, verso

la

governo

notabili
e

il

nutrivano, ben

sovrano

era tra

anche uno dei pi carezzati beniamini della


monarchia, il fratello di Proculeio, il cpgnato dell'onnipotente Mecenate, quel Licinio Murena che appunto in
cospiratori

(1)

Uni Wii.AMowirz (Sappilo

sliiiiieuto aiiclu'

nei

pili,

Orazio.

l:i

sorpresa

so pure carica

che

uu po'

le

ii.

la

Simoniilrn oli), che


lirica

tinte

iu>l

vjiliita

i^iu-

nuova lovcva produrr


descrivere

il

dispetto U

732

quell'anno, l'anno della pubblicazione delle Odi, era console e con

il

Orazio

quale

era

amicizia.

legato di

In

quello stesso anno e nel seguente incendi e devastazioni

danneggiarono

la citt, la peste funest

scordie e tumulti turbarono

Soltanto

la"

tutt' Italia.

Di-

elezioni consolari del 21.

le

gloria dei vessilli e dei

prigionieri, restituiti

Augusto senza n riscatto n lotta, risvegli


nel popolo romano la fiducia in so e nel principe questi
ancora nel monumentum Ancyranum (V, 40) si ascrive
nel 20 ad

quella vittoria incruenta a grandissimo merito; e


di quell'et

non rifiniscono mai

di

Roma.

ultimi tra

gli

In quello stesso

uomini,

poeti

questa resti-

di celebrare

dell'universalit dell'im-

tuzione quale segno evidente

pero

anno un'ambasceria degli


lusing ancor maggior-

gli Indiani,

mente

l'orgoglio nazionale. Di fronte a questi bei sucpoco importa che nell'anno seguente tumulti elettorali insanguinassero di nuovo le vie di Roma, che di
nuovo fosse scoperta una cospirazione pericolosa. Augusto,
tornato nel 19 a Roma, trov la citt pi benevola e
cessi

che senza pericolo pot accettare


poteri che sin allora aveva respinti pertinacemente, e
i
prendere provvedimenti che anni prima lo avrebbero reso
pi fiduciosa in

lui,

si

insopportabilmente odioso

cadono

in quegli anni l'epu-

Anche

la

celebrazione della festa secolare del 17 indica che la

si-

razione del senato e

le leggi sui

tuazione era migliorata

costumi

(1).

(2).

Probabilmente nel 18, come mostra Joiis, Etegesetze des An29 sgg., 34, 36 sgg. Al tempo del carmen eaeculare, di quella
legislazione non si vedevano ancora gli effetti, tanto che Orazio li
(1)

giistas^

augura buoni.
(2) Tonte principale per
sono

la storia interna di

capitoli ultimi del libro 53 e

Roma

in questi anni

primi del 51 di Dione Cassio;

salvo che questi sbaglia la cronologia della congiura di Murena, come


mostra il confronto con Velleio e con i Fasti Capitolini v. Kiesslixg,
:

Phil.

Uni. II

5(3.


Ma

733

pur cos torbida, non tutcausa n unica ne forse principale deiraccoglienza un po' fredda che il pubblico, come Orazio stesso
la situazione politica,

tavia la

fece

lascia trasparire,

tre

ai

Opere

delle Odi.

libri

di

grande n'ovit non trovano preparati i lettori, raa se li


devono educare esse stesse
la maggior parte dei capolavori anche in et pi moderna si sono fatti largo
lentamente tra una moltitudine di opere minori, che a
prima giunta venivano loro equiparate o preposte. E le
tiepide riflessioni, che mostrano necessario e inevitabile
:

ci

che

avvenuto, sono

atte

piuttosto

consolare

posteri che l'artista deluso.

Non che

non tornasse talvolta a carezzare

questi

il

pensiero di scrivere nuove liriche; ma, ogniqualvolta stava


per mettersi seriamente al lavoro, sfiducia e disgusto

sopraffacevano. Ancora nel 19

lo

pur riconoscendo

(1) egli,

li avere
promesso a Ploro carmina (epist. II 2, 25), si
scusava di non mantener la parola data, mettendo innanzi pretesti e ragioni: che egli, ormai libero dalla po-

vert che in giovinezza

lo

era sopraffatto ogni giorno


cos rumorosa,

non

aveva stimolato a produrre,


pii

dalla pigrizia, che

Hlosofia lo interessava pi di ogni

avr creduto

egli stesso

dal poetare

ma

che

altro

per noi evidente che

che

pedimento, senza

egli

forse

se ne

la

Orazio

studio.

lo rattenessero

Roma,
che

soggiorno adatto al poeta,

queste ragioni
il

maggior im-

rendesse conto

chiaramente, era nei gusti del pubblico. Chi scrive Car-

mine tu
bus

et

f/audes, hic delectatur iamhis,

sale

nigro, costui

lascia

cui palato la lirica sapeva

che solo

(1)
cl'r.

Por

poclii

la

giovani

croiioloi^ia

MoMMSK.N, Uirm.

\\

ille

Bioneis

sermoni-

indovinare che coloro

strano e

aciilo,

intendevano

le

(Icllii

Nceonda cpistula del

l^Sd,

Ilo

sg;;.

erano

Odi,

pi.

iiiontrt

scooinln

al

il

libro

/;yi-

pubblico grosso rimpiangeva che Orazio non avesse pub-

un nuovo

blicato

una nuova raccolta

libro di epodi o

di

sermoni. In quest'epistola la derisione dei Trissotini del

suo tempo (ed egli pensa senza dubbio a Properzio)


piuttosto

amara che serena: a che sprecare

lima per un

la fatica della

non intende, per

popolo che

letterati

che

giudicano secondo vanit soddisfatta o irritata suggerisce loro

Le

del quarto libro scritte, per quanto


argomenta dalle poche databili, tra il 17 o il 18 e il
14
il
13, mostrano tutt'altra disposizione di animo
gi di per se stesso un numero cos considerevole di
carmi, composto in cos breve giro di anni, fa pensare
che il poeta creda di nuovo all'opera sua e al suo pub-

quindici odi

si

blico. Orazio, per giunta, dice

chiaramente,

pure con

sia

qualche modesta restrizione imposta dal riguardo


tori,

che non permettono

dirsi sicuro

piace, che

di signoreggiarli,
le

favorito di

loro

al

dice chiaramente che egli

denigrazioni dei confratelli

invidiosi

possono pi nulla contro l'unto della Musa.


glio di

uomo

e di cittadino cresciuto

cipita nell'abisso,

come

egli

ai let-

credersi e

con

11

Roma non

migliori

non

suo orgo-

de'

pre-

contem-

poranei aveva temuto negli anni delle Odi Romane, e


pi forse nei seguenti

essa ordini; la generazione

pi forte

di

principe

popoli

pi

lontani chiedono a

nuova cresce pi numerosa e

quello che anni prima

si

potesse sperare;

il

ogni giorno pi venerato quale benefattore.

L' incarico, affidatogli dallo stato, di comporre

per la festa secolare del 17 ha operato

il

il

carme

prodigio nel-

compito non poteva essere asche a Orazio. Virgilio era morto dal 19;
gli elegiaci, come noi posteri scorgiamo facilmente, come
anche i contemporanei non avranno dubitato, erano impari

l'anima del poeta. Quel

segnato ad

altri

e inetti a lirica corale, che

si

richiedeva solenne e

pom-

posa.

735

Pure Orazio stato grato dell'onore ad Augusto


al senato romano, perch sceglier lui si-

e al popolo e

gnificava riconoscerlo poeta nazionale.


Il carme sincero
l'ossequio degli Indi e dei Parti
aveva aumentato in Orazio l'orgoglio di Romano, tant'
vero che anche in odi posteriori, non destinate a esser
:

recitate da cori di giovani cittadini, egli torna a cantare

quell'omaggio. Dalla riforma dei costumi, quale essa era


prescritta e ordinata dalle leggi Giulie, egli fin dagli anni

principato

dell'istituzione del

Roma,

se pure

Roma

si

attendeva

la

salvezza

di

poteva ancora salvare. Egli, che

gi un decennio prima aveva dichiarato di cantare virginibus puerisque, poteva ora. andar

superbo che cori di


non contaminati da macchie, nep-

fanciulli e fanciulle

pure da quella

involontaria che la morte dei genitori


spande secondo gli antichi sui figli, nel giorno che apriva
l'ra nuova, inalzassero agli di in nome del popolo ro-

mano preghiere composte da lui, figlio di


suo nome e soltanto il suo fosse aggiunto
gistrati sacri e profani negli atti della

per

lui

faceva

senza altissimo significato.


il

modo

tutto

nuovo con

cepito e ordinato la festa

non,

come

le

coscienza

popolare,
i

le

suo spirito

identificava

ma

che inaugurasse

con

il

che non, come

Dite Padre e Proserpina

sole e

la

l'OS.

luna,

era

usato sin

(l).
la

liilonii) alla (lilcn;ii/.a tra qiiosta l'est e U> prc<'i'(lciiti v.

SoWA, AhhauiU.

con-

divinit serene, che

L'architettura del carme sin troppo perfetta:

1^1)

si

Augusto aveva con-

Superi massimi, Giove e Giunone, vi

avessero parte maggiore


allora,

a quello dei ma-

cerimonia, non era

la specucontemporanei, penetrata ormai nella

filosofi

Apollo e Diana, e

al

il

l'imperatore voleva che questa

precedenti, seppellisse

un secolo; voleva che


lazione dei

cui

Che

libertino.

siii-

i--

domina senza

nietria pi severa vi

nome

poich parla non in

7:56

contrasto.

ma

proprio

poeta,

Il

in quello del popolo

romano, non per bocca sua ma per quella dei giovinetti


e delle giovinette, era molto meno libero che nelle altre
poesie. L'obbligo di nominare, sia pure in latino, non in
greco, tutti gli di che

invocavano, chiedere loro

riti

quegli stessi favori che da loro

Augusto

per Orazio impaccio non

Qua

che

poeta

.il

si

lieve.

dibatte tra pastoie

modi

p. e.

di lli-

lasciano freddi

gli di, specie

minori, personificazioni di concetti astratti,

appaiono cosi lontani e contegnosi. Pure


dore della passione spezza

che trae

alla

luce e

cela

sempre divergo e sempre


Noli saprei dire se Orazio

ceppi

lo

il

stesso (2),

si sia

talvTolta l'ar-

l'augurio che

giorno,

il

tutti

il

Sole,

che nasce
non possa veder
Sole

ricordato della

daro, dove pure souo enumerati (GS^sgg.)

nome

il

anche quella che accumula predicati di Apollo (Ij,


ma anche nella lirica pi classicistica

ihy'vd o

(1)

sentiamo'

noi

parecchie strofe,

quella che traduce in latino in due

ci

sollecitava, era

Pitica di Pin-

doui del

che

dio,

impartisce gli uomini e alle donne rimedio delle gravi malattie e

concede la

cetra e d la

cida giustizia, e tiene

ed

gente decorus arca,

dono.

La

astratti

cumulati rendono
(2)

ponendo

ehi voglia,

ragionevole che

(|ui

manchi,

strofa oraziana oscilla tra qualit che


la frase in

Musa a

recessi dell'oracolo

Pindaro

verbale,

si

in cuore

manca
poich

solo

pla-

il

non

ful-

un

vedon' e predicati

qui gli attributi nominali ac-

la sintassi troppo' massiccia.

Sole e Apollo

sono per

(Mj^io tutt'uno,

ijcrch egli

segue

anclie altrove in tatto e per tuttp l^racolo sibillino sulla festa, che
li

identifica

de Petra, 159

in ci
,

ha ragione t'ossATARO,

SaniTjolae in

honorem

lulii

che giudica con buon Ngusto anche del A-alore estetico

sottentra qui ad Apollo, proprio come al v. 3.")


nome di Apllo si congiunge un'invocazione non a Diana ma
Luna quest'osservazione, suggerita dalla simmetria che domina

del carme. Il Sole

con
a

il

sarebbe giovata al Fossataro contro le argomentazioni


zoppe del Kiessling. Del resto, fermarsi suU' interpretazione del carme
; ormai superfluo, dopo che la scoperta degli atti della festa dette

nel carme,

737

Roma, prorompe

nulla maggiore della citt di

dal cuore

e conquista

cuori. L'animo del poeta segue con fervore

e con ansia

padri troiani, guidati dal capostipite della

gente

Augusto, Enea, nella fuga, negli errori, nella


conquista della terra nuova, nella gesta cantata da Virdi

gilio e, grazie a Virgilio, presente allora a tutti gli animi.

con uguale fervore

al

poeta

aveva

il

poeta riprende un motivo caro

da Anchise

fatto

vaticinare

memento.... parcere sitbiedis

veneratur

bobiis

Augusto

riferendo ad

morto,

debellare superbos

et

noto,

Medo

quaeque vos
sanguis,

Cos pure,

impetret, bellante prior, iacentem lenis in hostem.

com'

quegli

romano

Anchisae Venerisque

clarus

albis,

che

ci

popolo

al

versi che celebrano l'incruento trionfo sul

compiuta un'altra parte

e sull'Indo, mostrano

quella profezia.

con

infinito

amore Orazio

nell'animo dei fanciulli cantanti

si

di

sprofonda

a noi par di sorpren-

dere la sua emozione perfino nelle modulazioni di quella


strofa

mores

di probos

quietem,

Romulae

docili iuventae, di senectuti placidae

genti date

remque prolemque

Nella strofa ultima freme

che

sicuri
le

in grazia del

il

et

decus omne.

bell'orgoglio dei giovinetti,

loro inno

di

gli

adempiranno

preghiere del popolo romano.

dovere scrivere un carme, si direbbe, a rime obha nociuto a Orazio meno che non avrebbe fatto
a (lualsiasi altro, perch egli possedeva in grado eccelIl

bligate,

una

occasioiit a

serie di ottimi Imiui.

pre quello del V.milkx, lerlhur


<iuaie

mi sembra tuttavia

('omprendo
mostrali

versi

dal

chiaro che

il

l!7

arzijjojiolan'
al

cirmc

.">!'.

lu

l.Sttl',

foss^

recitata

lOO.'i

^*lln-

s^ij.

il

un po' troppo sul pcritido che

('hccchr
recitato

so

nou

ne sia detto,

ik-II'uu posto, un'altra

^li

processione,

ili

volte, l'uua sul Palatino, l'altra sul (Jauipidoj;lio

una parte

pare a mi- pur

ihl'Ioic

Il

^ilzitiifixltcrichif,

eiii

ma

.Irla

diH'

iiumaf;iua che

nell'altro,

lo sciupa,

anzi lo mutila. La (|Ucstiouc sulla distribuzione di strofe e versi tra


Jori e paiii di

i'

i'(tri

i-

insiduta e insolubile.

73S

lente l'arte di dire con precisione e tuttavia con nobilt

cose difficilissime a esprimersi in

poesia

testimonio la

strofa sulle leggi intorno ai costumi, sui

patrum decreta

super iugandis feminis prolisque novae feraci leye marita. Pure,

annunziano nel cresciuto orgosempre pi chiara


del sovrano e dello stato, nella favola troiana divenuta
ormai leggenda nazionale, l'arte rimasta quell'antica.
Lo stile del carme nella sua classica compostezza simile piuttosto a quello della parte maggiore della prima
raccolta che non a quello del quarto libro, poetato pure
appunto negli anni immediatamente seguenti. Del quarto
tempi nuovi

mentre

glio di

Romano,

si

nell' identificazione

libro caratteristica la variet e libert di materia e di


stile.

Mentre

canzone

la

di

primavera, IV

nel sentimento, nelle immagini

richiama

nel ritmo,

7,
i

tempi degli

ultimi epodi e delle prime odi, mentre la derisione del-

mostra che Orazio non ha perduto

l'etera

ridere del
in un'altra

danno
ode

di chi gli

ha

facolt di

la

fatto del male, mentr'egli

ad esigere il confronto con


Callimaco; altri carmi ci mostrano

tctrna quasi

un poeta ellenistico,
una passione senile, forse soltanto letteraria, per un giovinetto, altri ci pongono sott'occhio un amore tardivo
per una donna, pervaso tutto dal rassegnato rimpianto
di un tempo migliore. Le odi al sovrano e ai principi
della famiglia regnante, fitte

che

questa molto pi

in

nella prima raccolta, sono infinitamente varie nel tono:

mentre

in

alcune

il

stiche di concepire e di

bert e

meno

abbandona a forme ellenisentire con molto maggior li-

poeta

si

riguardo che nei tre

professa chiaramente di volere


stile divenuto

(L)

anche

primi

in esteriorit pi libero

Nel carme secolare da Pindaro

in

libri,

emulare Pindaro

altre

(1).

Lo

lo studio

preso tutt'al pi uno spuuto,

e questo per giunta trattato poco felicemente.


di

simmetria in alcune almeno

divenuto

meno

esatta

da quelli della
appaia

queste quindici odi

di

meno

ansioso, la rispondenza

(3razio cerca effetti

anche con mezzi diversi

meno

scrupoloso,

Quest'estensione della

lirica lesbica.

poetica del nostro fa

si

739

meno uno

si

che

meno

il

gamma

quarto libro a noi moderni

caratteristico degli altri: Orazio,

direbbe, perch ormai pu intendere ed esprimere ogni

non

sentimento,

ne

alcuno

approfondisce

un

quanto

tempo, divenuto pi artista e meno poeta. Non avvenuto lo stesso, invecchiando, a Volfango Goethe?

Romane

Nelle Odi
volta

nella

lirica

di

sorprendiamo, forse per


Orazio, reminiscenze

specie nel comporre la quarta egli

immagini

agli epinici,

pi celebri tra

Odi

Romane

nicio, e

che gi

alloca

carmi del Tebano.

in

ha

Ma

prima

la

pindariche

dovevano essere

dovette parer nuova anche


sentenze,

in tutt' altra maniera.

l'architettura delle

Le

ai

ma

seste sono

contemporanei

lo stile, e
di

avviene spesso,

si

adoprate senza
accende,

il

lo imita, in ([uanto

ri-

anche

modo

rappresentare non quello pindarico.

Orazio non emula Pindaro:

non

intrecciati

sentiti e

sparmio in quest'edificio cosi severo e grandioso:


concepire e

complesso tutt'altra che quella dell'epi-

mancano ne mito n

dove

attinto pensieri e

di

Qm

ne ritrae

romano,
imitazioni,
quelle
mostrano
appunto
aveva
che, come
familiari (\e\ poeta almeno alcuni tra gli epinici maggiori (1), godeva anche questa volta di veder riconiati in
stile nuovo antichi pensieri e immagini.

liberamente spunti, e nulla pi.

Solo alcuni anni


posito, sia

(1)

che

Contro

in

pii

lui,

tarili

Il

colto pubblico

Orazio pindareggi

man mano che con

l'iisscr/ioiic dol

di

pro-

lo studio ore-

N(i;i>K\ {lunl. i.d.AII.-W'inx.,

."iOI).

7 io

sceva l'ammirazione per Pindaro, sorgesse spontaneo il


potenti amici, che leggedesiderio di emularlo, sia che
i

vano le Odi prima della pubblicazione, lo incitassero a


conquistare a Roma, insieme con la Musa lesbia, anche
maggior dignit

quella dorica, di

pregiudizi

ai

Quem virum

Nell'ode 112,

allora.

letterari di

respiro:

largo

pi

quell'esigenza era conforme alle dottrine e

aut heroa,

solo il
che tra le pi
(1), non
Olimpica,
principio, riproducendo il prologo della seconda
doveva ricordare Pindaro il poeta non perde mai di
vista quel proemio sino a tutta la quarta strofa, ma, gio-

recenti

raccolta

della

vandosene quasi
presente

alla

continuo

di filo conduttore, lo tiene di

memoria

fantasia

e alla

dei lettori.

Una

commentareminiscenza pindarica si pu forse con


tori trovare anche in quell' asserire che al dio supremo
spetta il primo posto nel canto, giacch Pindaro aveva
ripreso l' sx Aio; p)(w|i.x)-a in un luogo della seconda Nei

mea, che, essendo

collocato in

facilmente

mente.

fitto

in

quartultima strofa l'una


tica

lirica

greca,

l'

principio,

Delle due

altra, quella

dell'

albero

come

(1)

Come acceunauo
La profezia clie

Marcelli.

w.

si

(v.

come

40) l'inal-

imbatte in savi, cio poeti.

45 sgg.,

associa

che cresce

Marcello,

noto, suggerita dall'ottava Neraea, dove

quando

della

similitudini

patrimonio comune dell'an-

nell'et futura e per l'et futura,

zarsi della virt,

rimaneva pi

il

il

loro

futuro accaparrato

uome a quello

della

ai

dina-

nou avrebbe avuto ragione di essere prima di uu fidanzamento di uu membro di quella gente con la figlia del sovrano. Non
vai la pena di confutare le interpretazioni e datazioni fantastiche di
HiEMER [Bh. Mus. LXII 1907,229). Io leggo Marceli is la fama di

stia dei Giuli,

quella stirpe, che

si

era oscurata,

si

risollevava a jioco a jioco, e nes-

suno poteva prevedere quant'alto essa salisse


Marcello

si

inalz di

un

coli>o,

quando

la gloria del giovane

egli fu designato

Giulia: dipinger diversamente la cosa sarebbe stato scortese.

sposare

741

e giusti, confrontata

con

virt di verdi rugiade

aj;-a:

Svpscv

y.Q'JZi.

un

gnificato
tito

per

munque

Orazio trae
po' diverso:

vegetare

il

Z"

dell'

albero per

psx, yXfopx; isolai:

come

il

confronto,

il

suo albero

'i-z

suole, a si-

inavver-

cresce

nessuno sa quant'alto esso salir. Coci, Orazio si stacca materialmente da

nipoti, e
sia

di

Pindaro solo nella chiusa


volta alla

divinit

ma

quel rivolgersi ancora una

fine dell'ode in

in

Pindaro comu-

nissimo, comunissimo l'augurare successi nuovi alla per-

sona celebrata, cio, negli epinici, al vincitore. Forse in


nessun altro carme della prima raccolta si trova un'enu-

merazione

COSI larga

di

di, di eroi, di

mentre lunghe

del passato,

rabile, s'incontrano a

sfilate,

uomini celebri

variate con arte mi-

ogni pie sospinto in Pindaro

nel

comporre questo carme Orazio avr avuto in mente luoghi come il proemio della cosiddetta decima Nemea, che
ci

fa passare dinanzi agli occhi le gesta argive, finendo

pure con

mente

la

confessione che non

sono

tutte, tante

date in

Lunghe sono

lasci traviare,

ma

la

tenne nel

le

gesta

citt

litario consiglio;

di

Per-

furono fon-

n llypermestra

il
brando di sobionda Glaucopide fece una volta dio

immortale Diomede; a Tebe


di

pu celebrarle degna-

Gorgone Medusa molte


Egitto dalle mani di Epapho

seo contro la

si

si

Zeus, accolse in s

il

il

fodero

suolo, fulminato dai dardi

vate Oicleide,

nembo

di

guerra.

da gran tempo primeggia (Argo) per donne di belle


chiome Zeus illustr questo discorso avvicinandosi ad
Alcmane e a Danae; egli nel padre di Adrasto e in Lynceo un fior di senno con retta giustizia, e nutr la lancia
di Amphitryone . Segue il mito della nascita di lleraclc
:

e della sua ascesa tra gli Olimpii.

Orazio

si

maestra per sentieri


dal segno

In

nessun altro carme

lascia cos facilmente trasportar fuori della via

gli

che tuttavia lo allontanano


montagna, la cui eco ripeter

dilettosi,

basta tra

lo


il

nominare
mente il quadro

il

gelido Haerno perch

di

Orfeo che ferma fiumi

dio da lui cantato,

gli baleni alla

e venti,
i

74i>

querceti; gli basta

trascina dietro

si

veda rasserenarsi il
non appena rifulga benigna

Dioscuri, perch

e venti,
stella,

mano,

Elmo

cielo,

nominare

calmarsi mare

nelle tenebre la loro

che il Rocolpito da quella maravigliosa facolt di Pindaro


fuoco

il

di Sant'

Si direbbe

(1).

da immagine a immagine rapidamente quasi

di passare

senza accorgersene, voglia riprodurla in se


Orazio non ha ritenuto

di proposito.

suo tentativo pindarico

il

in-

degno della raccolta nella quale lo ha inserito; noi lo


giudicheremo freddo e in complesso non felice. Non che
manchi l'unit, come si asseverato spesso da critici
specie tedeschi. Io direi anzi che di unit ve n' troppa,
che l'invocazione in principio tiene troppo strette le une
alle altre le strofe seguenti,

che

attanaglia

le

che ne

serbano traccia nelle carni. Certo, mentre nella seconda

Olimpica Pindaro risponde subito alla domanda postasi


Pisa di Zeus
Heracle fond la gara olimpica, primizia di guerra Therone conviene cantare a cagione
:

della quadriga vincitrice

calza con le sue

altrove Pindaro stesso in-

(2),

domande per

Cos nella

versi e versi.

settima Istmica, chiesto a Tebe: Di quale delle antiche


gesta indigene,

cuore?

>>,

niso, o di

ll)

Tebe,

beata

pi

sei

ti

allietata in tuo

seguita a domandare, se della nascita di Dio-

Giove che

Com'

neve

in

oro

d'

si

avvicin ad Al-

stato spesso rilevato, la descrizione simile a quclhi

nei Dioscnri teocritei (XXII 10 sgg. 19 sgg.). Orazio conosceva bene


Teocrito,

ma

lasciamlo x)ure stare che

nuovi frammenti

il

avesse presente nn passo di Pindaro

motivo, come provano ora

non

di Alceo, era ditfuso,

si

pu escludere che

egli

a Pindaro Teocrito e Callimaco

attingono spesso immagini ed espressioni.


(2)

Ha

nella sua

notato bene

la ditterenza

nuova traduzione

di

Pindaro

di
\1

ispirazione
226).

il

Feaccaroli


cmena, o

743

di Tiresia, o di lolao, o degli Sparti di lancia

instancabile; o dell'esercito di Adrasto respinto e stermi-

nato, o degli Aegidi conquistatori di Amyclae.

proporzioni sono ben rispettate, e queste

le

Ma

col

domande

oc-

cupano solo una triade su tre, mentre Orazio non abbandona lo schema se non nella chiusa; e, che pi importa,

meno meccanico,

l'ordine col

il

trapasso pi semplice e

agevole. Orazio allinea in buon ordine un certo numero


di di (1), poi gli eroi,

Heracle e

r immortalit,

quistarono

Dioscuri, che

molti

poi

si

con-

personaggi celebri

romana, a cominciar dai re, questi in ordine


di antichit. Noi siamo grati al poeta che egli non abbia spinto pi in l l'amore della cronologia
che ai re
favolosi seguano non i liberatori di Roma,
Bruti e i
Poplicoli, ma un republ)licano di ieri, Catone; che la strofa
seguente aggiunga il nome di altri cittadini, i quali acdell'antichit

quistarono gloria morendo volontariamente e nell'ultimo

verso quello di Fabricio, celebre per austerit, che seguano


ancora quelli di Curio e Camillo, famosi pure per prisca semplicit (2). Ma anche qui il troppo ordine urta: Orazio

una volta ha unito


con un gruppo compatto

simmetrico persino nell'asimmetria:


neir ultimo verso della strofa

(1)

KiKiSSMxa

notato

Ila
Jilii

elle

^li

{Pkil.

di

([ili

Uni., II

51) sulle triicce di Hi;ii-|'i:usciikii)

iioiuiuati

nella Gigantomachia cbo Orazio

e forse giusta

intorno

alla

([ni

come

nel

s(;

fonte

sono

(|uelli

che

stillino

iu

pviina

aveva famigliare. L'osservazione


principale dello

Gigantomacliia, Apollodoro

(v.

sopra

nostre
p.

nozioni

()!>!>),

manca

Mario.
(2)

Komaiii

Il

Kii'.ssi.iNw;

nominati

alternano nella storia


si

|>arla dei

male speso

delitti

la

(//(('/.

f'/i/., II

rappresentanti
di

e chi

Roma,
meriti

l;t

sgg.) ha

voluto scorgere

delle virti e delle

colpe, che

e ci perch nella seeoiula

degli

Kmnienidi.

ditleren/.a consiste in ci,

Questo

nei
si

Olimpica
e

acume

che Pindaro lichiura, sia

p\ir

discretamente, di parlare delle colpe, x(bv TiSTipaYfiivtov v 5xx TS

/.%:

K/px ?ixav, Orn/io no.


di re

un nobile

744

anche nella stanza seguente

suicida,

nel-

r ultimo verso fa seguire a vari suicidi un esempio


austera.

vita

vanto

nel

Cosi

di

Giove, che

di

d princi-

enumerazione, distingue troppo sottilmente e oppone e contrappone troppo precisamente toide nil maius generatur ipso, nec viget quiclquam sanile aut secundnm,
pio

all'

proximos

illi

tmnen occupavii Pallas honores. Chi

contro

manoscritti legge occupahit, fa Orazio pi pedante di quel

che era: egli una volta tanto ha congiunto due di non


secondo l'ordine che occuperanno nel canto, ma secondo
la dignit loro. Ma, forza confessarlo, i trapassi seguenti sono pi pesanti neqiie te silebo, dicam et Alcidefi,
Romuliis post hos prius ayi quietimi Pompili regnum me:

morem,

gratus {gratus perch.

tudine verso chi

si

Romano,

sacrific per

la

egli sente grati-

patria, e

questa

espressione mirabile nella sua concisione) insigni referam

Camena. Quanto maggior variet, quanto pi slancio nella


decima Nemea Pindaro, se, che non certo, si pu imitare, se si pu cio risuscitare artificialmente la passione di un animo senza pari, non si pu imitare se non
in istile pindarico, e Orazio anche in quest'ode compone e scrive con arte troppo pacata e troppo conscia
di se: noi sentiamo che le digressioni su Orfeo e i Dioscuri non sono voli di fantasia accesa, ma ornamenti
esterni e nulla pi. Per audacie di espressioni Orazio non
!

era ancora maturo

le

querele

orecchiute

ci

fanno sor-

ridere.

Solo nelle tre ultime strofe

rendo

le

gesta di

dal presente

Roma,

getta

il

il

carme

si

poeta giunto

solleva: scoral

uno sguardo nel futuro

presente, e

La fama

come un albero nell'et che nascola stella Giulia brilla tra gli
sta allo sguardo umano
minori . Qui Orazio si
luna
tra
fuochi
la
come
astri
dei Marcelli cresce

arrischia perfino, ci che egli

non osa quasi mai, Pindaro

745

immagini

gente
Giulia simboleggiata dalla stella crinita che apparve
nel cielo dopo la morte di Cesare; ma non propriamente
questa, che ben presto scomparve, come avviene delle
spesso, a sovrapporre

comete, soverchia
ogni

Orazio

gli altri astri (1),

prosapia romana.

altra

Il

bens

nome

la

la stirpe dei Giuli

dei

supplicare Giove perch salvi

L'ode che aveva spiccato

sare.

e mescolarle

invita

Giuli

protegga Ce-

-e

volo dalle lodi del dio

il

sommo,

si ritrova l donde aveva preso le mosse. Questo


atteggiamento pindarico dei pi schietti quante volte
mito ci riconduce, senza che ce ne avvediamo, al punto

il

Ma nell' imitazione

questa volta non sentiamo


non avvertiamo 1' imitazione, se non ragionandoci su. Giove regner secundo Caesare l'espressione
non sonava empia airorecchio dei contemporanei, quali
non scorgevano negli di minori se non immagini di bellezza
simboli di forze naturali, non riconoscevano realt
concreta se non al dio unico e ai benefattori dell'umadi

partenza!

sforzo, anzi

Augusto,

nit.
i

sia

che

si

trascini dietro al carro trionfale

che soggioghi

Parti, sia

Seri

e gli Indi lontani,

mezzo

(luali trattava in quegli anni per

governer con giustizia

Giove; questo

colpir

con

ambasciatori^

di

sottomesso soltanto a
fulmine i sacrileghi che

terra,

la

con

il

osino riluttare al suo vicario. Bell'audacia questa, rap-

presentare

Parti quasi prossimi e contrapporli agli Indi

e ai Seri, che a
cini,

perch

mente fredda

si

sarebbero detti loro vi-

la fantasia del lettore cos eccitata

che pu

rappresentarsi dall' un canto l'imminenza del pericolo che


solo

Augusto potr allontanare,

mondo che

(1)
II.

<\v.\

/(.

II

Era

egli conquister a

cos

!I8),

tramonto.

liu-oiit*

ne intornia

elio

la

lirca

si

dall'altro

Roma.

l'

inuiensit del

Orazio, dove

vedeva, ooino Aujiiisto sfosso

undtrimain

wraui

liti,

uu' ora

meno

i^Plin.

primi

Tif)

La simmetria

pindareggia, pi ardito.
qui,

perch corrisponde alla tradizione

r insistenza della preghiera,

maschera bene che

il

al

quaties

minor

Olympum

latiim reget aequos

almeno

in terra

L' ode prima

vero

il

mittes

tu

quasi di

capo

in

al

li-

verso

re dei cieli di spo-

del suo potere in terra in grazia

gliarsi

inno e accenta

suo carattere

chiede

inno

l'

dello stile piace

dell'

pronome personale

tania. L'anafora del

tu

Augusto

di

fulmina corrisponde

orhem, che

dice

chiaro chi

te,

sia

dio.

ultima della raccolta verosimile

1'

quando questa era gi completa e


pronta, o almeno vicina alla forma definitiva. Neil' una
siano state composte

e neir altra

si

sono voluti scorgere con ragione voli pin-

darici.

Quanto alla prima mi sembra non si possa ragionevolmente negare la somiglianza di movenze con il frammento di Pindaro (fr. 221), secondo il quale taluno dilettano premi e onori di cavalli dal pie di procella, tatal
altro gode di varcare il
sembra distinzione troppo sottile opporre (1) che Pindaro parla non di professioni ma
di piaceri. Ognuno sceglie, per quanto le circostanze per-

luno la vita in sale dorate,

mare su rapida nave

mettono, quella

meno

professione

che

gli piace,

o prende al-

piacere nell'esercitare la professione scelta; e pro-

fessione e

godimento favorito

chi nel concetto

comune

non senza ragione, per


cesso

si

raccolgono per

genere

di vita, di

i3:o;.

influsso cio di Pindaro,

gli anti-

Orazio,

ha con-

posto di onore ai possenti che cercano gloria nelle

il

vittorie equestri, a

gente cio che egli conosceva soltanto

dalla poesia classica.


(1)

di

Con

il

Ma

Wii.AMOWiTZ,

bisogna pur riconoscere che

Sap])]io u. Shnonides,

190.

la


distinzione tra

,Jto:,

farailiarissiraa,

il

747

-^'.tcixo;, il '^'.o/py^jLaTo:. il -^'.-/,ovoc,

che

oltre

a Bacchilide, a

Pindaro,

Solone, alla tragedia (1)


che non di rado all'uno o all'altro di questi tre contrapposto il zO.'j'jyjZ del poeta;
;

sicch proprio in quest'ode

lettore

il

romano, nutrito

senza saper

dove mai

dire

poeta e confessa

emulare

di

carme

lirici

in cui

che di consueto,

prende

essi.

da

curuli, e

il

e moderni,

dichiara

spunti che

gli

principe, che aspira

Il

meramente

gloria olimpica, la sola figura

cittadino di

si

greci, trasforma an-

cor pi profondamente

liberamente

lui

avesse uditi

li

volta. Orazio, del resto, in questo

di

ben noti,
per la prima

cultura greca, sentiva echeggiare motivi a

buona famiglia che aspira

letteraria

alle

alla
:

il

magistrature

proprietario di latifondi africani sono romani


il

beve

-fiA/^ovo;

caccia era diffusa

Massico, la passione della

il

Roma

nella

di quel

tempo

(2).

tra-

non
pi
Il contadino
che zappa la
terra, non si potr indurre neppure a prezzo degno della
eredit di Attalo a solcare, navigante pauroso, il mare;
il mercante, finche sul mare e nella tempesta, loda la vita
libera da preoccupazioni e il podere presso alla sua citt;
di li a poco risarcisce la sua nave sconquassata, male
tollerante di vita non agiata. Orazio, dipingendo questo
oscillare dell'animo, ha dato vita nuova alla figura un
po' convenzionale del mercante che arrischia la vita sui

passi sono del resto pi facili, pi agili, pi vari che

pindarica

nell'ode

flutti,

per

dirla

pYaio'.aiv.

Orazio ha

(1)

Ai

a 'j;ji;i ungere
(!.')

<'lie

paura,

il

(r.

V. sopra

'l'-//,:

98

<li

ilal

\\

ii.

45), v|xaa'. ^ops-jnsvo;


fl'jisvo:

oOc[i''av

ma appena

indicati
t.")!

p.

12.

con Solone (XIII

'^if>)),v

luojLChi

passato

amou

1/

il

mercante

il

pericolo,

|i

SM

sj;>;.)

lo

di
di-

(HiV('ii:\

Kiiripule.

hjjj;.

Orazio non lonosecsse

torto

la

laecia

il

st-

W'ii.A.Mitw

1/ (p. ll'l) assever;

non dalla itltoralura.


jnentica

Pindaro aveva scritto semplicemente {Netn.


chi si augura oro, altri pianure infinite,

(1).

Vili 37)

nascondere, caro

io di

dando
vagi

Le

cittadini,

ai

ci eh' lodevole,

748

il

cospargendo

capo

sotterra, lo-

biasimo

di

mal-

(2), mescolano
gelido bosco dei poeti e le danze delle

edere, premio delle fronti dotte

Orazio agli

di,

Ninfe e dei

il

lo allontanano dal volgo. Quest' ultime parole trasportano in regioni misteriose, in quelle

Satiri

stesse in cui Isacco lo

aveva

L'ode nel suo comimmaginare che

rapito.

plesso pare originale, n vedo ragione di

composta guardando a un modello determinon certo Pindaro da Pindaro,

egli l'abbia

nato, forse Bacchilide,

come

si

visto, gli basta prendere lo spunto (3).

L'ode ultima presagisce

al

poeta apulo, nato povero

e salito a grande altezza, gloria perenne, sinch

con

tefice salir

quando

Roma

sciogliendo

zio,

immagine

L'

(1)

Il

la tacita

voto

il

del

WiLAMOWiTZ

(p.

zioni nello sport,


sfrutta

soldato,

non

il

il

profferito nel

campi,

il

vita pubblica
la

Greco cacciatore. Secondo me,

c' nulla:

anche

il

Romano va

uu succedersi

nell'ode

cpiXxi|Ji05

Greco esercita

il

a coronare Ora-

primo dei carmi.

pi duraturo del bronzo, pi


scorge

291)

Romano
Romano nella

pon-

Campidoglio, sino a

il

Melpomene

monumento

coppie di im Greco e u

mano

vergine

star; e invita

il

il ^',Xoy^pf,[i.7.xo

mercatura
di

Greco cerca soddisfa-

il

Ro-

Romano

tutto questo

nell'ode

a caccia, commercianti in grande

i
cittadini
al pi pu
un certo timore dell'acqua, insito nella nostra razza,
abbia avvivato la tavolozza di Orazio, dove descrive il mercanta
nulla di pi. La sola figura letteraria quella del proprietario di
i Geloni e i Theroiii erano morti
scuderie da corsa
da un pezzo.

ci

furono specie al tempo di Orazio anche tra

esser vero ohe

(2)

doeianim frontium par davvero alludere al

in greco antico proprio


(3)

LAMOWITZ

il

ao'-fi; .vlo;, e ao-j;

jioeta.

anche qui dispiace di non poter esser d'accordo con

il

\Vi-

appunto gi accennata chiaramente nel frammento pindarico, che egli a torto nega
essere imitato da Orazio.
(p.

291)

la distinzione delle tre vite era

740

muffa delle Piramidi, suggerita da


poesia antica: quod non imher edax, non Aquilo impotens
possit diruere, richiama V toio; 'j[j.vwv It-r^'^aup: di Pindaro
regale

alto della

{Pyth. VI,

7), cui n pioggia invernale, aspro esercito che


nuvola tonante giunga sospinto, ne il vento rovesceranno nei profondi del mare, battendolo con ghiaia incalzante da ogni dove tv o-jts -/tiaip'.o: o(x|jpo;. naxxv;

di

sXt'wv p:|jp[jio'J

yo'j;

; acoia:

vz'^ilx- azpat;

o'h' avc|xo; ; [vj-

i\iLtA:yo;.

xu71t6|cVov

yp{i.t

7ia|i,'^pq)

non

Orazio

adopra immagini cos grandiose, non simboleggia se non


dove lettura di grande poesia gli riscalda V animo. Qui
egli ha sfrondato (l) la metafora pindarica, togliendo via
l'esercito sospinto gi dalle nuvole, gli abissi del

la ghiaia
all'arte

che batte

(2)

mare,

l'ha adattata

sua pi pacata, evitando cosi una dissonanza tra

concetto e forma

r imita.

superbo edificio

il

Ma

non contende

egli

(^ui

con Pindaro,

deW innumerabilis annorum

l'aggiunta

series et

fuga tenporum suggerita da Simonide, che nell'epitafio


per i morti alle Termopili aveva cantato N la ruggine
:

ne

il

tempo che

doma, potr mai distruggere il loro


s'intende, che essi hanno nel canto:

tutto

avello, l'avello,
VT7/-fWV

Xpvo;.

Ma

xoioOxov

O'Jt"

p;o^

O'Jx'

Orazio, ricordandosi

7wav5a[ixwp

tempo

un

|JLa'jp(>')at

dell' 5vno;

pindarico, ha visto con gli occhi della fantasia

midi ergersi in mezzo


dal vento, turbina

anche, senza

al

le

Pira-

tormento della sabbia, che, spinta

loro intorno, le

riuscire n

percuote,

scuoterle

le

insozza

n a consumarle.

Cos\ la lettura dei due poeti grandi ha fecondato l'im-

(1) Qiiost'oaservii/.idUf

t-

parto

<U'llt'

sefxui'uti

moltii finezza dal Fi!accaiu)I.i, l'nnUiro, II


(2) S-Tjox'jpg h (levo iiitomlerc in

daro iieuser agli


cos

edifici

via, che sorj^cvano in

fasto e pieni di oblici

ti

de^li

senso concri'to f niaU'riaU'.

Att-niesi, doi Ciiidii,

Delfo e neyli

preziosi.

sono formulati- con

12.").

altri

dt-i

l'in-

8icioiiii

santuari, eostruiti con


magiiiazione dell'artista

750

maraviglie dell'Egitto

delle

sar parlato molto negli anni della guerra

patra e prima e dopo

ne vi ragione

di

si

contro Cleocredere che

il

poeta copi un' antica poesia greca ora smarrita o che ab-

mente

bia avuto in

altro

che

passi citati di Pindaro e

Simonide.

Ancora

nel

ogni tentativo
nella

egli

primo
di

libro delle Epistole Orazio giudica

imitar Pindaro audacia

prima lettera a Floro

certa paterna benevolenza, che

un poeta, certo un giovane,

se

(I

3,

da sbigottire

9) s'

fidibus

informa, con

pu essere anche

ironica,.

Titio, Pindarici fontis qui

expalluit Jumstus, scriva tragedie, o sia

noti

nel proposito di aptare

ancora fermo

Thebanos

Latinis

modos.

L'espressione non lascia dubbio che Titio voleva ripro-

durre anche

ritmi pindarici. Titio

ragione: in nessun poeta la


all'

effetto

totale dell'opera d'arte

Pindaro o s'imita anche


lingua propria vi

Orazio

libro

proposito,

metro.

si

nei

ribella,

motivi

Come mai

si

di

spesso

tanto

l'indole della

stare.

mezzo
allo

Nel quarto

pindareggia di

nello

convertito

senso

quanto nel Tebano:

lascia

si

in certo

contribuisce

nel metro o, se

una via

batte

aveva

ritmica

mai

stile,
'^f^')^oz

nel

Ilivap^y.;.

prova non felice di I 12 sembrava essersene allontanato per sempre ? Non inverosimile che
esortazioni dell'Augusto lo abbiano indotto a rinnovare
egli

il

che dopo

tentativo.

la

Non

caso le sue

poesie pi

nella composizione e nello stile sono


figliastri

il

pindariche

due epinici per

del principe, commessigli da questo, come narra

Svetonio.

avesse

Il

sovrano avr voluto che

suo Pindaro e avr imposto

vorito di farsi tale, con quel

buon

la lirica
al

romana

suo poeta fa-

volere e con quella

goffaggine che d un'impronta comune al mecenatismo

751

dei re, e pi dei migliori tra essi. Orazio,

che di Pindaro
aveva molta pratica, non seppe resistere alla tentazione
pindareggi dove pi dove meno, e non se ne trov male,
che la recusatio IV 2 non si deve prendere sul serio.
IV 6, Dive quem proles, composta, durante le prove
del carme secolare, quasi quale proemio a esso, la
pi antica fra le poesie databili, probabilmente fra tutte
:

poesie del quarto libro. L'ossatura semplice: Apollo


che hai fatto sentire la tua potenza a Tityo e a Niobe,
che hai salvato Troia nei suoi discendenti e hai colpito
le

Achille, proteggi l'onore della


il

poeta parla

Apollo
bili

io

al

suo dio

ho l'ispirazione,

fanciulli e

poi

musa
si

l'arte,

Orazio

di

rivolge

nome

il

Fin qui

al coro
di

Da

poeta: no-

Diana, ubbidite

fanciulle, protetti di

al

cenno di me che vi ho ammaestrato maritata, un giorno


dirai con orgoglio
Nelle feste del secol nuovo cantai
anch' io il carme del vate Orazio .
La seconda parte, pi breve, spira orgoglio schietto
il figlio di liberto pu, grazie all' ingegno,
ammaestrare
i
figli delle prime famiglie di Roma
le fanciulle nobilissime ricorderanno tutta la vita, anche nei giorni pi
lontani del nuovo secolo, cui gli di, piegati dal canto,
riempiranno di ogni grazia, di avere un giorno ubbidita
al cenno del vate Orazio. Tra il poeta del v. 30 e il vates
dell'ultimo par quasi di sorprendere un contrasto: poeta
egli nato per grazia degli di, vate ora, perch detta
al suo popolo le preghiere care agli di: castis nim piieri,^
;

disceret unde pveces, vates ni Musa


nomina s in fondo, come non gli era
lecito fare nel carme secolare, ma come registra il suo
nome, il solo di non magistrato, il protocollo ilella festa.
iijnara puela

mariti

dedisset? Orazio

Anche

particolarit di composizione ed espressioni simili

vogliono richiamare alla memoria


nel

carme

secolare,

il

coro

il

carme. Qui, come

])arla di se

in

line:

col

si


augura

terra

la

frugum. Col

7.V2

frugum,

fertilis

la

([ui

Luna prosperam

supplicano Apollo e Luna, non,

si

quel

in

passo, Diana, di porgere ascolto alle preghiere del coro,

qui

invita

si

La prima
lesbio,

daro,

coro a pregare Apollo e la Noctiluca.

il

parte

differente.

piede

Il

anche qui

come nel carme secolare, ma Orazio emula Pincome col non poteva, stretto com'era da prescri-

zioni severe.

11

poeta invoca Apollo, esaltando tre esempi

della sua potenza; ma, mentre sui due primi, attinti alla

mitologia pi comune, scivola rapido senza

fermarsi,

si

sperde quasi nel narrare


di

le gesta del dio contro il figlio


Thetide marina. L' invocazione comprende sette strofe,

racchiuse in un solo periodo, con incastonata una lunga


parentesi

la

settima riprende

compare

in quella

alfine

il

vocativo della prima

il

verbo

meno

consueto che narrazioni or pi or

aggrappino

del dio

si

carme,

ma

lare.

qui

si

al

finito. Neil* innologia

succinte dei fatti

suo nome, invocato

in

capo

al

scorge evidente un'intenzione partico-

Orazio emula Pindaro. Nella poesia sua. pi pinda-

rica, nell'epinicio

per

Neroni,

egli

con un periodo altrettanto lungo,

comincia

di sette

il

carme

strofe,

e pi

complesso ne manca la parentesi. Col sono proprio in


principio due larghe similitudini qui una minore, doppia,
:

apre la parentesi, che

importante:

quanto

mordaci velut

ille,

al

senso,

iota ferro

la parte

pi

pinus aut impulsa

cupressus Euro.

Come
cipia
il

ai

a dare arra della sua aspirazione, Orazio prin-

nominando Achille con un'espressione che ricorda

pi bello
Delfii

altae

tra

peani novellamente

sent la potenza di Apollo

Ptdus Achilles, ceteris

rnaior,

scoperti,

il

sesto

Troiae prope victor

Ubi miles impar,

filius

Dardanas turris quateret. Pindaro (v. 81) narra che Apollo ritard la presa di Troia,
inceppando con violenta uccisione il figlio di Thetide
quamvis

Tlietidis

marinae


marina
-ovTi'a;

dai

turchini,

riccioli

6xto;

jiitarv,

753

raaiv ipxo-

degli

riparo

fido

'A/^a'.iv

d'OT.rszl

Achei

tis-

-^vf;)

concetto e la forma quasi condizionale sono gli


non a caso Achille chiamato da Orazio figlio
di Thetide marina; l'imitazione certa (1). Ma Orazio
non ha scelto quel mito solo per innestare una reminiscenza pindarica in un'ode che emula lo stile pindarico.
Noi abbiamo osservato nel primo capitolo quanto spesso
nei carmi nei quali emula Alceo, egli, per cosi dire, lo
contraddica e lo corregga. Pindaro seguita mostrando che

zja;.
stessi

Il

r intervento di Apollo riusc a procurare maggiori danni

Achei

agli

Zeus non poteva mutare

suggellato

dagli di,

e continua

altochiomata era destino

elio

sepolcro molto

lacrimato

il

cagion

fulgore

il

fuoco distruggesse Pergamo vasta

fato di Troia,

il

ma

di

Elena

bruciante

di

poich posero nel

corpo del Pelide.

valoroso

onde del mare, tornarono indietro da Scyro


conducendo Neottolemo di larga forza, che dii messi,
secondo lui era
strusse Ilio . Pindaro si sentiva Greco
giusto e bene che la citt nemica della sua razza fosse
percorrendo

le

caduta, se pur anche era fatale che

distruttore, vittima

il

non rivedesse la patria. Orazio Romai come negli anni che seguirono immediata-

di colpe proprie,

mano,
mente

la pubblicazione

rono tanto

dell'

Eneide,

Romani

Troia e nutrirono tanto

di

figli

senti-

si

quella piet

per l'antica madre che doveva sopravvivere

all'Impero

e perpetuarsi nell'et di mezzo. Pindaro ha torto: Apollo


riusc nel proposito

Troia non

Roma. Cadde

Achille,

citt (ch egli

non sareblx^ socso a

(Il
filiti

11

([liei

'IS

risi^ont

clic

l'o

Nciriit*,

osserva
e

mio.

il

111

([uale,

uri

ma

morta,

presa

rivive in

viva

di

forza la

non

bassi iiigaiini,

rniiiniiMili)

ili

^^i

ni; -Il

\ /i;

754

avrebbe risparmiato n fanciulli innocenti n figli non


nati, celati ancora nel ventre delle madri, distruggendo
cos ogni speranza di rinnovamento. Giove, invece, si
lasciato piegare dalle parole tue, o Apollo, e di Venere,
e

ha assentito a Enea nuove mura con augurio migliore.

La

sesta strofa, ni

flexus Venerisque gratae vocibus di-

tiiis

vom pater admiisset rebus Aeneae potiore ductos edite muros,


richiama alla memoria pi da lontano la profezia di Giunone nelle Odi Romane, riattacca pi da vicino quest'ode
al carme secolare. Qui si conferma che Roma opera
di Apollo,

che egli impose

Roma

di cercar

a parte dei

Troiani, cui per ardentem sine fraude Troiam castus Aeneas


patriae superstes liberum munivit iter, daturus plura

La

Roma

ricerca di

mito

Il

relictis.

motivo fondamentale dell'Eneide.


pindarico, in quanto, prese le mosse da una

il

parola di Pindaro, percorre, scendendo per

le

generazioni,

una stirpe, anzi di un intero popolo. Ma Orazio


a Troia morta oppone Roma dominatrice; all'empio figlio

le

sorti di

di Achille feroce, a
citt

agognata,

Neottolemo, che conquist alfine

pio Enea, che fond

il

genda

greca

esegeti

hanno notato che

quella

Roma;

romana, cantata da Virgilio.


Teucro

pidvere

per

la

alla leg-

Gli

Troica

espressione virgiliana; che nella strofa in cui detto che

Achille avrebbe sdegnato di chiudersi nel cieco alvo del


cavallo, di sorprendere nel sonno

Troiani ebbri di festa,


,

si

sente quel disprezzo per le frodi greche che la lettura

appassionata

Ma

secondo

del

libro

dell'Eneide suggerisce.

anche Achille dipinto con non so quale ripugnanza,

leale

s,

ma

prigionieri,

sfrenato
sia

nella

pure palam

novella. Qui al principio


del suo vate

il

popolo di

crudelt,
capti

ma

del secol

Roma

ingeneroso

nuovo per

la

bocca

rivendica a se solo

vanto della piet esso orgoglioso che


non il feroce Achille, ma il pio Enea.
;

verso

consacrati dall'et

il

il

suo eroe sia

755

pindarico giudicare con caldezza di animo gli eroi

delle leggenda, quasi

uomini di ieri o di oggi. Nella prima


parte di quest' ode Orazio ha fuso i ricordi della lirica
greca pi sublime e dell'epopea nazionale di Virgilio
la seconda vive per la sincerit di un orgoglio dignitoso.
Questo carme mi sembra il pi felice tra i pindarici,
;

meno

quello in cui
pindarici e

IV

8,

il

Lesbius pes

Donarem

l'antichit, cos in

avverte

si
:

dissidio tra gli spiriti

il

fra tutti esso a

paterus,

me

il

pii

caro.

ha avuto sventura, come nel-

tempi moderni. L'ingegno

sottile, cor-

uno studioso contemporaneo (1) ha sparso su di esso pi tenebre che luce


chi pu credere che Orazio in un'ode cos grave si prenda
beffa dell' iscrizione spropositata di un monumento, o che
redato di erudizione squisita,

di

la riporti,

deridendone perfino

le

durezze ritmiche

vecchi editori avevano giudicato

Ma

carme interpolato
quando
che
in un' ode sola troviamo un numero
di versi che contravviene alla legge del' Meineke, non
cio divisibile in strofe tetrastiche, e leggiamo un verso
non incendia Karthaginis impiae, che presenta una stranissima singolarit ritmica, la mancanza di cesura dopo
il
coriambo dell'asclepiadeo, e un grossissimo svarione
storico, una confusione tra
due Africani, sembra pi
temerario negare che quel verso sia spurio che non ammetterlo. E una buona volta riconosciuto che in ijuesto
carme si insinuato un verso non autentico, tanto vale
cercarne un altro di cui si possa fare a meno, e cancellarlo per metter di accordo con la legge del Meineke
uno solo se ne trova, il pequest'unica poesia ribelle

gi

il

(j

A.

lli,ri:i:,

Donirnn paicnis

(H.inii,

Gi-orj^i,

lJlori-i)7).

750

imltimo, e (questo, ornatus viridi tempora pampino, riproduce


alla lettera

cingentem viridi tempora pampino di

il

tranne nella prima parola che non


questo luogo

tassi di

cate

III

adattava alla

25,
sin-

Altre atetesi non sono giustifi-

(1).

carme sarebbe riumente che Orazio


non forse in un solo

L' interpretazione di questo

(2).

meno

scita

si

se

difficile,

fosse posto

si

mentre non emula Pindaro, se


stile, che il solito simmetrico, rileanafore,
breve
di respiro, contesse insieme movato da
tivi dell' antica lirica corale, per buona parte appunto
gli inpindarici. Ma non vi ha badato neppure l'Elter
terpreti si fermano a mezza via, contentandosi di afTerrare mi riscontro in principio dell'ode.
Se avessi dovizia di opere d'arte,
Il carme incomincia
ne regalerei ai mei amici. Ma ne io ne possiedo, ne tu
canti ti posso donare e dirti
desideri altro che canti
quanto valgano . Nella prima Istmica (v. 13), si promette al vincitore Erodoto tebano, di inserirlo nell' inno
di Castore e lolao, i quali moltissimi premi conseguirono
qui,

passo, quanto allo

in
d'

gare
oro

ornarono

e
iv

x' id-Xo'.i'.

xa[jnrjaav o\iov

prenda
era

le

-/.al

mosse

difficile

case

le

t'i'yov

di tripodi

TtXeiaxwv

e lebeti e fiale

ywvcov

v.a:

Xeljrfttoaiv cptXaia: x )(puao'j.

di qui, riconosciuto

da un pezzo, ne

ammirando

a scoprirsi, poich egli stesso,

tripodi e chiamandoli premi de' forti Greci,

cio agli agoni

(i) Il

celebrati

dalla

v.

il

17 era

stato

accennando

poesia pindarica,

mette

Lachmaxx,

in osse-

verso peuultimo stato eapuuto dal

quio alla legge

Tp'.-saa'.v

Ohe Orazio

cancellato dal

Bextlky,.

senza

che egli sapesse nulla di tetrastici.


(a)

O almeno

neppure dopo

della loro necessit

letto

il

dotto

non mi sono potuto convincere*,


articolo di P. CORSSEX (X

discreto

Jahrb. f. d. kl. Alt., XXI 1908, 401 sgg.l, il quale, confutata la


esegesi dell' Elter, sostiene con nuove ragioui proposte molto radicali del

Lachmaxx.


sulla

buona

/o/

Non

traccia.

pare, invece, osservato ne che

Orazio ha avuto presente

anche nel

quel!' epinicio

se-

guito della sua ode, n che egli, in principio, pensa an-

che alla quinta Nemea. Orazio confronta

se,

pare, a

proprietario di opere d'arte preziose e oppone

Non

doni di

Pindaro principia opponendo se


sono scultore s da lavorare lenta-

costui a quelli del poeta

a uno scultore

un

mente statue che rimangano ferme sul loro piedistallo .


E continua Ma, dolce canto, muovi da Egina su ogni
:

barca da carico e
toria di

Lampone

in
.

ogni canotto per annunziar la vit-

Qui

l'

impeto

prende

gli

mano,

la

ma s' intende chiaro


che egli rompe ogni indugio
che il secondo termine del paragone era il poeta, il quale
si

compone opere non immobili,


di

ma

un viaggio,

celebrato per

il

che portano esse

mondo.

sar utile

artista,

compara

pure

altrove,

in

pi solo a prezzo

stesse la

fama

del

chi sembri strano che Orazio

preferisca confrontare s con

con un

visibili ai

un

ricco di l)uon gusto che

ricordare che
principio

di

Pindaro stesso
un' ode, la set-

tima Olimpica, il nettare delle Muse, spedito da lui ai


vincitori, con una coppa colma di vino, come se taluno,
presa con ricca mano una tazza spumeggiante dentro
di

rugiada

di

vite,

brindando, la doni a un giovane ge-

nero, di casa in casa, tutta aurea,


del convito,

onorando

la

anch'
delle

Non

io,

mandando

ai

dei tesori, gioia

sua parentela, e renda

amici presenti invidiabile per

gli

sommo

vincitori

il

concorde

effuso

lui

tra

letto; cos

dono

nettare,

Muse, dolce frutto della mente, me li propizio .


tre passi
necessario pensare che Orazio avesse
i

mente reminiscenze vaghe opeun poeta, anche di un poeta un [)o'


nostro, con maggiore; ellcacia che non

tutti del pari chiari alla

rano sull'animo
riflesso

qual

di
il

ricordi determinati.

Orazio seguita esaltando la potenza del canto

v^

Non


monumenti

iscrizioni di

758

Musa

tanta gloria all'Africano, quanta la


tu avrai premio, se

Romolo,

di

rendono vita e

pubblici, che

spi-

a capitani morti, non la vittoria di Annibale danno

rito

pur

un
Che

figlio

se

dio,

di

Ennio

di

poeti taceranno di te

invido

l'

che sarebbe

silenzio

ragionamento non proceda a fil di logica, sar vero, perch le iscrizioni e le


gesta non sono grandezze omogenee ma finche non ci

ostasse ai suoi meriti

il

si

ragiona su troppo

Ne

che

fa difficolt

freddamente,

zione,

minacce
l'altro

di

riferirsi

compara-

a capitani morti

secondo soggetto, le
Annibale ricadute sul suo
il

in

ge-

fughe e le
capo, come pure

celeri

si
devono intendere
primo Africano. Lo zeugma figura, se

termine, la poesia di Ennio,

delle gesta del

mai

benissimo.

primo termine della

il

marmi, sembri

nere, mentre

intende

primo soggetto della proposizione

il

complessa, che forma

s'

altra, pindarica.

qui mitigata di molto, se davvero

vogliono

zeugma
poeta pensa, come

del resto l'arditezza dello

commentatori,

al foro

il

dedicato molti anni dopo,

ma

promesso dal principe sin dal tempo di Filippi, opera


lunga lena, alla quale si lavor per decenni quivi,
presso il tempio di Marte Ultore, sotto un doppio portico
sorgevano le statue marmoree dei trionfatori, con scolpito sul piedistallo di ognuna un breve elogio, una succinta ricapitolazione delle loro gesta (1). Se cos
di

e cos sar,

troppo bene
in

perch

parole

le

Orazio

di

corrispondono

intenzione di Augusto, quale

all'

un suo detto

(2)

^ gi dove parla
,

in

si

rispecchia

genere

maggiore

morei e di notne puhlicae, Orazio pensa al

di

mar-

di quei

trionfatori.

(1)

lutoruo a tutto ci v. Svetou.,

Vita Alex. Sev. 28


(2)

Veli.

Anf. 291,

II 39, 2.

Serbatoci da Svetouio, Jin/.

:->!,

5.

Dio Cass.

LV

10, d:


Anche Pindaro non
dei carmi, che soli

grandi. Citare tutti

non sar
vita

rifinisce

mai

di

vantare la potenza

con

opere

conservano la memoria delle opere


ma
passi sarebbe tedioso e vano
i

inutile osservare

delle

759

che anche

quella

confronto

il

della

che ha dato

canto,

del

da torcere ai commentatori, pindarico nella


Neraea (v. 6) sta scritto Pi a lungo delle
opere vive la parola, che col favor delle Chariti la lingua tragga dal profondo del cuore v. Che al canto del
poeta anche Pindaro opponga il silenzio o la tenebra,
troppo naturale perch meriti di essere osservato (l).
Ma Pindaro chiama invidia il tacere le debite lodi.
molto

filo

quarta

Conviene tributare senz' invida mente sublime vanto

a chi abbia trovato la virt


altrove {Isthm.
si

scrive egli (Isthm.

volge per la via maestra

diarle di

mescere

delle sue

fatiche

la lode

opere

di

conveniente

non

divine,
al

invi-

canto in premio

poeta che d gloria, per Pindaro Omero

Il

43), e

24) grida a se stesso: Se essa (Egina)

Co-

nosciamo Nestore e Sarpedonte, fama tra uomini, da


sonanti poemi che savi fabbri hanno composti {Pi/th.
Ili 113). Aiace ha cattiva fama tra
figli degli EUeni
quanti andarono a Troia, ma lo ha reso onorato tra gli
uomini Omero, il quale, inalzata la virt di lui, in versi
i

tutta la insegn

divini

36)

(2).

Il

ai

posteri

romano Orazio

a celebrare

sostituisce

{hthm.

Omero

Valter

Homerus, Ennio, che negli Annali e nello Scipione aveva


cantato l'Africano, negli Annali Romolo.

Fin

qui,

(1) Cfr.

aoXv

fj|iva)v

(2)
'oiitro

i'ereiiza

noti bene, Orazio dice solo

tuttavia p.

e.

yem. VII

che

la gloria

IS xai [lEY^^a- yp xx' oy.TOv

xovTt 5s|isvat.

poeti ingraiuliscono portino rcccelleuzii

verit
di

si

Io

lo>jli

aiiticlii

credo che maggiore sia stata la fama

IMisse, grazir a Oiiuti

lai

soave canto

fatti

elle la sof-

(Xviit.

VII

'20\


di

Scipione dura immortale grazie a Ennio

non

se pur
di

700

Romolo dura

qui non

tandosi

fa intendere,

merito, se la

il

gli

prende

La sua

lingua

di vati

andare un passo oltre

osa

virt e la grazia degli

poeta, esal-

il

pregio della poesia

il

ma anche

di,

memoria

Di deificazione

Solo nei versi seguenti

(1).

man mano che

nell'anima,

vita

Ennio

di

nei cuori degli uomini.

parla

si

che

dice,

la

possenti, lo strappa agl'inferi e lo consacra nelle isole dei

beati: cosi Ercole,


sti

Tindaridi, Libero sono ora di. Que-

versi sono parsi

incauti, empi,

strani,

incredibili

ai

moderni, senza ragione. Gli eroi nominati, tranne Eaco,

sono
in

posidoniani

soliti

mercede

nati uomini

(2),

ma

degli immortali;
nit loro se

chi

fatto banditore della

si

non appunto

divenuti

poeti ?

Stoa posidoniana, che forni

il

Proprio

fondamento

devozione verso

gli

uomini mediante

filosofico

(1)

Checch

se

ne

alla

com-

il

mito rispetto e

il

di (3), e del resto essa riconosceva

categoria di

legittima

quale

divi-

a questi la

restaurazione augustea della religione, affidava


pito di istillare negli

di

all'umanit e per favore

dei benefci recati

sia detto di

di

legittimi la

sesta,

le

recente. Qualsiasi tentativo di ri-

poemi enuiani perduti arbitrario e vano. Chi con


il Lachmann e il CoRSSEN espunge
da non celeres fugae a lucratu
il secondo di
essi osserva
rediit, dovrebbe riflettere che, se, come
costruire di qui

(p. 409),

Ovidio ha gi letto

lahrae Flerides trovano esatto

anche

versi precedenti e

riscontro nella

la perifrasi per l'Africano,

cratus rediit, sa di oraziano

seguenti, se le Ca-

liomana Illa

(p.

402),

ems qui domita nomen ah Africa

serm. II

1,

65-66 qui duxit

lu-

ah oppressa

meritum Cartilagine nomen.


(2)

V. sopra p. 676.

(3)

Aetio nel

capitolo discusso

Wendlaxd,

pii

sopra

come ha provato

il

Tv Tisp

napavTzg as^aoixv i

Tctv

0-)v

seguita: SidaxsTai zb

l'opinione di Varroue.

ji'jO-ixv

(p.

676),

a Posidonio, scrive

hub xjv

-rpitov

(p.

ipS-yjxav

tioiyjtiov.

che

risale,

295

a 6)

yjiiv

siSwv.

Questa era anche

761

divinit foggiate da' poeti

(1).

Quelle parole dignum laude

Musa

Musa beat possono offendere


la religiosit di un moderno, non quella dei contemporanei di Augusto, che aveva appunto colore stoico. I
viriim

Dioscuri,

vetat mori, caelo

Ercole

Libero,

erano,

oserei

perch adorati, non adorati perch

Ed Eaco

quasi

di

dire,

di.

mai ragione qui aggiunto ai


A che egli serva in questo
passo, lo si vede chiaro
non detto che egli sia dio
come seguenti, eppure sottratto alla morte, anche
alla morte corporale, il che non si asserisce dei precedenti
ma perch sceglier proprio lui, e non un altro
degU eroi trasportati misteriosamente nelle isole dei beati?
?

per qual

consueti di posidoniani

ancora una volta


carme con poesia pindarica
quel nome citazione o reminiscenza pindarica. Pindaro ha sempre sulle
labbra il nome di Eaco e dei suoi discendenti, gli
eroi di Egina: egli e solo egli ci ha conservato leggende
Orazio vuole, crederei, ricongiungere

il

suo

che corsero
dinastia

in

Grecia intorno
sinch

dell' isola,

la

al

capostipite

marineria e

della mitica
la

potenza

di

Egina non soggiacquero ad Atene egli narra che Eaco


port il bramato aiuto ad Apollo e Posidone, quando edi;

ficarono

le

mura

mato a decidere
'i

liti

xa: oxt[Jivwv o.V.a;

di noi e
di

di

Troia {Olijmp. Vili 31), che fu chiatra gli immortali


{Isthm. Vili 28)
Orazio o non ne sapeva

il

immagin che

pii

caro dei

sia

(1)
si

da uno scolio

Ai't.

iicconlano

1,AM).

]).

'2\H'i

terrestri

nostri

Cicorone

jadre

cfr.

nel-

anche apprese quel


alle Istmie sono scarsi e
o

a 22 xtov i ''mb noirjxtbv -nXa3|iivov.

Cli'iiieiite e

al

anch'egli trasportato

fosse

r isola dei beati, come Menelao;

mito

pii

leggendo quest'ultimo passo, vedendo dal verso

sopra che Eaco fu

tonante,

K;s''pa'.v.

l'art,

cit.

Con

Aeti>

sopra del \Vr.NM>-

7G2

sia anche da un carme


Pindaro ora smarrito
di un epinicio istmico che appunto da Eaco prende le mosse, conservato ancora un
frammento. La scelta non era infelice che Eaco per
Pindaro modello di virt.

conservati in codici recenti

di

L'ode seguente, a LoUio, svolge gli stessi motivi pi


minuziosamente, come sogliono gli Alessandrini, quando
riprendono temi della lirica classica. Gli interpreti hanno
notato riscontri con

Chariti teocritee, che insistono a

le

lungo a spiegare come

Ma

anche

espressione che ha

da

torcere

tori,

7W71,

si

ricco,

che non

s'

in principio
ai

Homerus, Pinda-

intende facilmente, se non

di-

si

sguardo da quella poesia. Teocrito fa dire

lo

lo celebrino

Omero

filo

priores Maeonius tenet sedes

Camenae,

ricae latent

stolga

dato

non
una
commenta-

della guerra di Troia

gli eroi

sarebbero celebri senz'Omero.

si

sente di spender danari perch

Chi vorr udire un altro

Hai; uvisaatv

''OjjLyjpo;.

o Orazio ha concepito cos

teressava asserire senz'ombra di invidia,

il

lirici.

ma

tutti

di grosso,

Se Omero mantiene

hanno fama

luogo, non per questo non

Basta per

mi sbaglio

al

poeti

primo
lui in-

per ci ap-

punto a viso aperto, che i Romani non dovevano, nell'ammirazione per l'epopea nuova dell'amico suo caro
morto anzi tempo, fare meno conto della propria lirica (1).
Pi sotto, dove scrive panllum sepultae distai inertiae celata virtus,

Orazio

teocriteo tra

il

sar

si

rive dell'Acheronte e
lose (v. 31 sgg.).

(li

II

Ma

W[La;mowitz

^lall'ode spira questo

doverosa verso

il

forse ricordato

principe che piange non


il

confronto

del

celebrato

sulle

povero contadino dalle mani

Teocrito non

{Sappho

seutimento,

n.

fa, lo

abbiamo

ShnonUlea, o21)

uient'attatto

compagno ammirato.

si

cal-

detto,

accorto che

contrario

alla

jnet

763

ohe svolgere motivi pindarici (1); e Orazio ha avuto presente anche il modello, come mostrano le Uvidae obliviones.
Non senza ragione quest'ode messa subito dopo il carme
a Censorino
il
poeta con quell'arte sua troppo conscia
si divertito a mostrare com'egli sapesse
trattare mo:

modo come

pindarici nel

tivi

lo stile ,

sogliono

poeti ellenistici

ancor pi che nell'ode precedente,

tutto precisione, tutto proposizioni

suo schietto,

il

simmetrici,

e periodi

congiunti e bilanciati da anafore.

La seconda parte del carme, la pi breve, concede


davvero a LoUio la lode promessa. Qui almeno
particolari non sono pindarici ma moderni
non possidentem
i

multa vocaveris

heatum biasima un

recte

modo

che

di dire

dalla lingua -ellenistica era passato nella latina con scanlalo di filosofi e di assennati

pendia un paradosso

Odi Romane

delle

E non

sioni ricordano quei canti

rima, per cos dire, con

non

ille

diilce et
si

decorum

compiaccia

tutta

est

di

una

strofa

altre espres-

pauperiem pati

callet

finalmente

pati;

modo

in certo

pr patria mori. Si direbl)e che

vedere

incarnato

poeta

il

in

LoUio

delineato tanti anni prima: Lollio

lui

avanno saputo quei

lettori

anni com-

anr/ustam amice pauperiem

pr patria timidus perire richiama

l'ideale di virt da

nniits

a caso anche

duramque

non

svolto in

stoico

(2).

constd

versi a

memoria. Del

re-

sto,

questo richiamare poesie precedenti uno dei modi

con

quali

il

poeta

vecchio

vita vissuta nella sua lirica

Lyce che

cerca infondere calore


l'Orazio che

suoi voti siano adempiti, che

si
si

,di

rallegra con

conduole con

Phyllide che Telei)ho. sfuggitole, sia caduto nelle braccia


il)

biella

Ai

fama,

IiiomIii

sapienti e cantori
(2)

imlical

:ii

non muore

Cfr. sopra p.

ti71

;ij;i;iimni

s<i|ir;i

clic sn|iriivvivc

niort;ilc.
l.i

virti

l^iltli.

!!_':

;iiimmzi;i
liMiij;n,i

<li

Solo

l'ulti

Iri

Creso

il

v;iiito

morti a

764

(li

una giovane

Odi.

Ma

ricca,

il

poeta dei primi


artistica

quella libera finzione

tr<! libri (Ifdle

Orazio avr,

invece, gioito davvero che gli uomini della generazione

nuova

(Lollio

blica nel 25)

come
glio

la

prima volta nella vita pul)-

fossero quali egli

li

aveva augurati,

cosi

quarto libro pervaso del cresciuto orgocittadino romano. E schiettamente oraziano

tutto
di

compare per

il

pure questo staccarsi

completamente verso

la

fine

dal

in IV 6, Dive quem proles,


in principio
come vedemmo, la lunga invocazione al dio,
romano e moderno il vanto di s e l'esortazione al coro.
Cos l'epinicio pindarico IV 14, Qune cura patnim, finisce
in un inno tutt'altro che pindarico.

modello seguito

pindarica,

Tutto pindarico l'epinicio per

vittoria

riportata

sui Vindelici nell'estate del 15 dal figliastro di

Augusto,

Druso,

IV

4.

Se

si

bada

la

solo al nocciolo,

semplici e disposti in ordine perspicuo

pensieri sono

I Vindelici, vinti

da un capitano giovine, sanno ora bene che voglia dire


l'ingenita forza dei Neroni, allevata in casa di Augusto.
Ereditaria la virt negli uomini come nei bruti, ma
l'educazione la cresce. Il Metauro testimonio, Roma,
quanto tu debba ai Neroni Annibale, ucciso Asdrubale,
riconobbe infine invincibile la citt nostra e profet la
grandezza futura dei Claudii . Come spesso in Pindaro,
una sentenza congiunge la prima con la seconda parte del
:

carme, e questa stessa sentenza pindarica.


l'aristocratica civilt

dorica non

si

Il

poeta del-

affatica a risolvere

il

dubbio, che doveva pi tardi occupare la mente di Socrate, se la virt

si

possa insegnare

essa ingenita ed ereditaria, e non


talvolta di passaggio, quasi verit

si

egli

sicuro

che

sazia di ripeterlo,

nota e incontestabile,

765

tale altra insistendoci su passionatamente, come per prevenire obiezioni. Melisso non disonora la congenita virt

della sua famiglia, vpv ptv

Nell'ottava Pitica

(v.

sce negli Epigoni


-'ji-f.

'A

-y.-.iowj

pregi dei padri

~yj.'j\

in iuvencisj est in equis


ces

Ma

Xfj[ia.

putrum

(Isthm.

a'jjji-^uTov

44) l'oracolo di
:

Ili

Anfiarao

13).

ricono-

t '(tmlov

-^'j

-:-

Orazio, nello scrivere e^

virtus,

neque imbellem fero-

progenerant aquilae columham^ piuttosto che questo

altri simili

numero, avr avuto chiara in mente la


cima Olimpica Ne rossiccia volpe ne

fine

mutano

il

^(')-r]c y'rS

luoghi di cui sarebbe facile raccogliere grande

carattere ingenito
ipi'/jpijLo:

dell'unde-

ruggenti leoni

-h yp sii^j; o-jt af)-wv


Xlov": iaX;av-G v'o:. Di abilit che
;

si cavano fuori dal profondo dell'anima, ma si


imparano da estranei, talvolta a prezzo, Pindaro fa in genere pochissimo conto. Grande peso ha un uomo per

non

gloria congenita

ma

chi ha

cose imparate,

uomo

tor-

bido che spira ora in una direzione ora in un'altra, non

cammina mai con


virt con

ma

gusta

imunnerevoli

mente che non reca a compimento

Non

Ili 40).

piede sicuro,

{Nem.

a caso nell'enumerazione dei vanti di Egina

segue subito a questo

l'esempio di Achille, che bimbo

compi gi opere magnifiche. Di


daro scrive {Olijmp.

II

94)

se e del suo genio PinSavio colui che molto sa

, e paragona se al divino uccello di Giove,


che hanno imparato avidamente alla rinfusa, a
corvi vanamente gracidanti. Nell'Olimpica nona egli scrive
Valenti e savi sono gli uomini secondo il loro
(v. 28)
dmone , e pi sotto (v. 100): Tutto ci die per
molti tentarono con virt apprese connatura, ottimo

per natura

gli emuli,

seguire

la gloria,

ma

senza un dio non

un'azione, ancorch taciuta

>,

pi

sinistra

vale a dire, nulla

si

perde

a tacere di virt congenite, non largite dalla divinit,


che nessun canto pu fregiarle, e la loro oscurit ne-

TOC)

cessarla

(1).

Pindaro non ijitende negare che

i*ure

cessaria l'opera del seminatore,

vana, se

il

20) che egli

crede doveroso

trascenda

uomo

complimento

il

asserisce che essa

una volta [Ohjmp.

tributare al maestro

del pugile vittorioso, una

ginnastica, all'allevatore

che

ma

terreno non corrisppnde

sia ne-

consueto,

pu, aguzzando chi sia nato con

scrive

di

lode

Un

spingerlo

virt,

a gigantesca gloria con l'aiuto di un dio, e soggiunge

che pochi dotti ebbero gioia senza fatica. La seconda


parte della sentenza non veniva in acconcio a Orazio che

non poteva riconoscere


.eroe

ma

prima

dalla

promovet insitan rectique

Pindarico

cultiis

il

nome

il

il

suo

doctrina sed vim

pectora roborant.

risalire dagli eroi

il

con loro ebbero comune


darico

ad alcun altro

inferiore

egli trae proftto

antenati, che

ai loro

della prosapia (2)

pin-

ricercare ragione della virt del vincitore nelle


.

gesta di un lontano

passato,

che per Pindaro

per Orazio storia di dignit pi che mitica,

in

mito,

quanto

il

valore di Peleo e di Aiace illustra solo Egina, una citt

greca tra molte,

Claudio assicura al popolo


dominio del mondo. Quell' invo-

la vittoria di

romano l'avvenire

il

care testimonianze storiche pu a prima giunta sembrare,

almeno nella forma,

esso pindarico.

razionalistico e prosastico,

Metaurum flumen

testis

le osservazioni del

(1) Cfr.

Fkaccaholi

(I

fa

ma

pur

riscontro

316, 320

il

sgg. del suo

nuovo Pindaro),
(2)

Non

intendo come

Neronc's a cui

Roma

si

possa ragionevolmente dubitare che

tanto deve, come testimoniano

il

Metauro

bale vinto e la prima A'ittoria sui Cartaginesi, non siano

ma i loro
quanto Roma sia
rones,

antenati.
o

Il

pensiero che

debba essere grata

gesta degli antenati, pare a

me

ai

la vittoria

prendere con la stessa parola un concetto, allargandolo


dolo.

ci

non hanno pensato Kiksslixg-Heixze.

Asdru-

pueri Ne-

antica attesti

discendenti per la

sforzato e artificioso

magnanima

pindarico

ri-

trasforman-


celebre

xX|xa'po|i.a'.

Gorgia

^-^WjI'^

'HpaxXo;

giusta l'azione pi violenta

(1).

Pindaro

Negli epinici di

profezie

le

Medea

pensi alla predizione di

E non

nella nona.

vaticinio

al

si

dell'ora-

Chirone

di

consuetudine estranea all'arte del


mito in fine del carme, senza ri-

collocare

il

abbondano

promessa

e alla

colo delfico nella quarta Pitica,

Tebano

nel

citato

169),

(fr.

gesta di Heracle mostrano che la legge rende

le

7(57

il

tornare alla realt, ogniqualvolta esso stretto all'argo-

mento

meglio

di

pi direttamente

ogni altra parte dell'ode che ne


(2)

cima Nemea, dove

questo avviene nella cosidetta de-

una promessa la
amore del
giorni di una vita im-

favola include

la

fedelt di Polluce verso

il

fratello Castore, per

quale quegli rinunzi a met dei

mortale, arra sicura di protezione per la


vincitore,

il

cui capostipite ospit

vaticinio chiude la prima

dopo che

Anfiarao,

strangolato

tratti

le

serpenti,

Nemea

Tiresia,

bimbe

mani

a spiegare

un
chiamato da
Heracle ebbero

Dioscuri. Proprio

famiglia del

di

prodigio

il

e le sorti

future dell' infante, gli presagisce la gloria e la divinit.

Ma

Annibale, nel profetare in uno con la decadenza di

Cartagine

il

crescere

contemporaneo

di

Roma

dei

mostra emozione pi profonda che non Tiil


Cartaginese si sente tutt'uno con la sua citt,
resia
e sa che dal giorno del Metauro in poi, come la sua
Claudii

(3),

missione

si

manifesta

inadempibile,

la

sua vita

si

sma-

schera vana, cos Cartagine condannata all'impotenza


e all'eccidio.

L'Annibale che riconosce fallita l'impresa,


come mostra il suo contegno dopo

l'Annibale storico

auche Non, VI S on le
FuACcAUOLi, Pindaro II IHS.

(l) Cfr.
{2)
(:>)

inni

s(;iit(',

l'rofczia rimaiii^oiio

Aimihalt' coiislafa

ma

la

(im-llc

parolo.

<)iiiM]>()t('titi

con renna valf

pei'

spif^raziuni dei FiiAi AKoi.i.

lutti

lo
i

ancoiohf

inani

tempi.

si

lei t'iaiidii

Ifgj^a

per

perjlil

pn--

7c,,s

Sena, questi rinunzi

fin d'allora all'oH'ensiva,

speranza

Ma

non

il

Roma

vittoria.

di

datare da

invenzione geniale di Orazio

quel giorno

sovra ogni altra

potere

il

che antichi e moderni

(1)

di
il

raggiungere

merito della

il

sono concordi nel van-

tare la prontezza ardita con la quale


di

prepotere di

che pensiero espresso non

citt,

soltanto da Livio, ne l'attribuire a Claudio


vittoria,

cio a ogni

il

console deliber

collega nell'Italia Superiore, lasciando

il

fronteggiare Annibale, l'energia con

quale esegu

la

proposito, la pieghevolezza di spirito con la quale,

tate d'

un

condusse

mu-

tratto fronte e posizione durante la battaglia,


i

suoi sul fianco

del

bocca ad Annibale vinto

nemico

la profezia,

il

ma

il

porre in

vanto della pro-

sapia cui in quegli anni Augusto sembrava destinare la

congiungere e identificare le
sorti di essa con quelle del popolo romano.
Io non credo gi che la fantasia di Orazio si sia riscaldata, leggendo Livio, il quale (XXVII 51) narra che
successione

Annibale,

impero,

dell'

scorto

il

sorte di Cartagine,

il

capo mozzo,
sebbene

sia

riconoscesse

ormai

convinto che quei

delle Storie siano stati scritti in quegli anni

(2),

la

libri

e quan-

tunque non neghi che i mentii superbi, spediti certo dopo


Canne, abbiano riscontro nello storico. Ma per quest'ultima notizia Livio (XXIII 12, 7 sgg.) dipende certo da un
annalista romano, forse Caelio (3). E quanto all'apoftegma
di Annibale Livio ha qui tutta l'aria di voler condensare
in poche parole un aneddoto troppo celebre per essere

(1)

De

y. ora

Saxctis, Storia

dei

Romani, III

2, 488-89, 493-94,

569 sgg.
(2) Il libro 28,

com' noto,

posteriore al

di molto, che Livio, prima'di morire nel 17 d.

vere

altri
(3)

114

C, ma non

sar

di scri-

libri.

Mei.tzkr-Kahustebt,

Sanctis. III

19 a.

C ebbe tempo

2,

357.

Gcschichte der Karihagcr, III 225

De

eppure

eliminato,

poco

769

credibile

Hannibal tanto simul

publico familiarique ictus luctu agnoscere se


ihaginis fertiir

(si

badi a

quel

leggiamo quivi

Quest'

(IX

9,

ira-

in

mano Zonara,

12)

che Annibale

pressione confermata, se prendiamo


cio Dione, e

fortunam Car-

fertur) dixsse.

invoc la sorte e Canne

. Noi ne
uno scrittore di molta autorit aveva
prima di Orazio immaginato che Annibale confrontasse
dopo la rotta del Metauro la condizione sua di allora con
quella dopo la vittoria di Canne, quando spediva superhos
nnntios in patria. Celebre doveva essere questo scrittore,
se Dione non resist alla tentazione di inventare che
Annibale (Zon. IX 6), fallito il tentativo di sorprender

in quella circostanza

induciamo che

Roma
masse

per liberare Capua dall'assedio,


:

Canne, Canne!

piuttosto che l'autore

(l).

comune

gi allora

escla-

Piuttosto che un annalista,


di

Livio e Dione, Coelio,

un poeta avr immaginato quest'aneddoto fremente di


umanit. E un poeta celebre dov essere, se s' impose
agli annalisti
da Frontone {ad Marc. Caes. ep. IV 3) sappiamo che Caelio Ennitim studiosissime aemulatus est: questo avr colto di buona voglia l'occasione per dipingere
a contrasto due figure di capitano, Annibale e Nerone,
che tali contrapposti sono modo famigliare alla sua arte.
:

Ma
il

questa congettura rischiosa

originale di Orazio

presagio della grandezza dei Claudii,

sua

la

pienezza

dei sentimenti.

La quale

giustifica e fa

sembrare non

disdicevole

nella profezia e nel resto dell'ode l'uso di mezzi d'espres-

sione suggeriti da Pindaro, lo non intendo parlare tanto


di figure verbali,

(1)

Se

il

AimiliaK'.

l'iterazione

deW

Kihrstodt avusso piMisato a Orazio,

sparmiato mia lidia


<li

come

di |irtco s]irit(> (p. :ll^

sulla

occidif,

si

pur sug-

sai-clilx-

luitVa

l'orsi'

ri-

al'itiidiuf

><

770
gerita da luoghi pindarici

coordinazione

quali la

costruzioni

*;

(1),

della protasi

libere

cosi

all'apodosi

merses

proflindo, pulchrior evenit ; luctere, nntlta proruet integrum


cum lande victorem, sebbene dubiti che simili si trovino

in

passi di

altri

Orazio

nh ho

tanto

l'occhio a

espressioni cosi ricche e sovraccariche di significato e di


proelia coniugibus loquenda, quanto
come
penso alle immagini frequenti in questo carme e audaci
pi che in ogni altra ode di Orazio. Il giorno che primo
rise per l'alma adorea, ride ancora nella mente di chiunque

sentimento,

abbia letto quest'epinicio. Similitudini brevi spesseggiano,

appoggiandosi,

accavallandosi

Pindaro vuole {Ogmp.

IX

magnanimo

presto di cavallo

paragonata con

l'

idra

une

le

nave

e di

ogni volta tagliate, e a un tempo con


o di
di

Tebe

come una dura

essa

notizia pi

Qui

alata.

prodigi di Colchi

rami

dall' ascia,

L'Africano cavalc

trae forza e

vita dal

citt italiche

come fiamma per fiaccola


comune di

ferro.

Roma

membra

le

elee sull'Algido, ferace

nere fronde, la quale, mozzati

mare

una

rinascevano

a cui

cos

sulle altre:

23) diffondere

siciliano. Caratteristica

1'

ri-

per le

Euro per

tutte queste

il

si-

militudini che, al contrario di ci che Orazio suole altrove,

ma come

consuetudine quasi costante di Pindaro,

segno e la cosa significata si sovrappongono e si confondono. Dirus per urbis Afer ut Italas ceu flanina per
taedas vel Eurus per Sicidas equitavit iindas. Chi cavalc?
Solo il vento e Annibale o anche la fiamma ? La gente

il

romana,

(1)

l'iith.

animumque dal ferro? Ab

II 49 5's; aicav

uxspvi' alcxv

Isthm.

ancora.

VI

pi propriamente

di cui asserito, o

trasse opes

4-1

Pyth.

xixs

72

r.i

xaXg

l'elee

ferro

si

xoi

-/.slo y.slv'xiiap

Ji:9-u)V

Ttocp

Tiaisiv,

d-zor^-oixc, XiaaoiiOL'., e.

t^'-raav.

ri-

rife-

X-i5=aai xxiJtap vJsxai. 9-sc5 o;

vOv as, vDv sO/ats tc

IX 68

ipso

y.al

asl xa?.'.;

pi simile

animus calza meglio, detto del

risce pi all'albero,

polo.

Non Hydra
Herculem
Thebae
gioni

avvedersi che

ma

Colcki maius

momento

braccia

in

dell'

membra

all'immagine delle
sostituisce

si

le

clolentem crevit

vinci

firmior

qui bisogna indugiarsi un

sedo corpore

monsfrumve snhnisere

di

scenti

po-

tutto allacciato e intrecciato indissolubilmente.

Il

prima

771

un subito

Idra

in

Echioniaeve

a riflettere,

sono

le le-

continuo rina-

di

quella

delle schiere

uscenti dal suolo, alle quali soltanto conviene quel sub-

Che

misere.

in merses

nata alla mente

profundo, pulchrior evenif sia bale-

l' immagine
del sughero o di
oggetto
leggero,
che risale a galla, appena la mano,
altro

che

costringe

lo

s'intuisce pi che

che resta a

mentre
II

Orazio

di

scendere,

non

si

lo

abbia lasciato

libero,

veda. Appunto con un sughero

d'acqua senza tuffarsi nella salsedine,


s'immergono, paragona se a Pindaro {Pi/th.

fior

le reti

79).

Orazio in questo carme, forse soltanto in questo


carme, osa una volta rompere la forma tradizionale della
similitudine Annibale non paragona se e suoi con cervi,
i

ma

dice addirittura

preda

Cervi,

di lupi rapaci, pure


anche con l' inganno sa vantaggio inestimabile ,
rebbe.... . Si aspetterebbe
ma Orazio scrive trionfo opimo, adoprando due parole
del gergo militare e politico romano, confondendo cos
ancora una volta
termini del confronto. Neppure Pin-

inseguivamo

quelli cui sfuggire


:

daro

alieno

mali vivi

dal

comparare

Melisso (Ist/im.

IV

suoi vincitori con ani-

45)

simile

per audacia

nel travaglio al cuore di leone ruggente, e nella


volpe,

che sostiene riversa

poeta

scusa subito del paragono:

siasi

si

cosa ^ per distruggere

sogno

il

l'assalto dell'aquila

nemico

perdono a nessuno,
mostrarci Annibale umiliato. Ma pi
di

chieder

Si

mente

ma

il

deve fare qual-

Orazio non ha

bi-

perch egli vuol


della

materialit

77i

degli animali confrontati importa qui

il

modo

del con-

fronto: per Pindaro Melisso simile al cuore di

ma

senno

nel

volpe

per

altrove,

leone,

ancora un

citare

esempio cospicuo di un atteggiamento a lui frequente,


egli chiama Pjuea {Olt/mp. VI 91), oltre che rotto annunziatore , lettera (1) delle Muse, dolce coppa di
canti

Una

similitudine pi pacata del solito, l'abbiamo ripor-

dianzi, principia

tata

della tazza che

il

sesta Istmica (2)

la

immagine

padre, dopo aver da essa brindato, offre

dono al genero, mentre commensali sono colti da innon ha riscontro, se non quanto all'idea generale,
nei canti offerti da Pindaro ai vincitori benevoli e grati.
i
VinCosi IV 4 comincia con due larghe similitudini

in

vidia,

delici videro

Druso, come serpenti l'aquila o come

un giovane

priolo

il

ca-

Le due

similitudini sono simmeprima comincia Quale la


vigore ereditato dai padri spingono un bel

leone.

triche tra loro nella forma

giovinezza e

il

la

giorno fuor del nido l'aquila...... Si aspetterebbe:


incitarono a guerra Druso

ma

gi

il

cosi

secondo confronto

un capriolo vede un leone divezzato


A questo secondo paragone soltanto si congiunge imme tale videro Druso
Vindelici . La prima
diatamente
strofa della prima similitudine sovraccarica di ornaincalza: quale

menti
il

vi

si

ricorda la predilezione del re degli di per

re degli uccelli, e la

gli fu ministro

regnum

deoriim

spiega,

si

fedele nel ratto


in avis

rammentando che
di

Ganymede

esso

cui rex

vagas yermisit, deve richiamare la

parte cospicua che negli epinici pindarici all'aquila as-

segnata
(1)

questo

(3),

deve

Propriameute
il

in ispecie risvegliare nella

b.astone

lettere

sulla

T/.-niKr^

non

il

luogo di trattenerci.

Wl

(2)

Cfr. anche Olymp.

(3)

Cfr. p. e. O. XIII 22 e

Ili 80.

da

memoria

1.
i

due passi simili

Ol.

II it5 e Xern.

principio
rp-/c
le

prima Pitica, dove si descrive come


dorma, vinto dall'incanto della cetra, con

della

GfovJv

penne spioventi,

pur tra

Nella seconda strofa

sembra,

Orazio

come Pindaro

neir immagine

tutto

darsi

hanno

sonno sollevi il dorso.


prima parte della terza

il

nella

perdere affatto di vista

fiala,

773

fatto uscire

uccello, ancora

l'

nei

teme

il

movimenti

vento,

ma

amor

negli ovili,

similitudine della

termine

giovinezza

dal nido, lo ammaestrano, ora che


finiti,

nella

l'altro

sprofon-

nobilt,

che

ignaro della fatica,

nembi del verno sono

e negli sforzi inconsueti

ancora

egli

presto l'impeto nativo lo far scender


di cibo e

di battaglia

spinger di

lo

qui a poco contro dragoni, che ben sanno resistere, non


si

lasciano scannare

impunemente come pecore. Solo

VindeQuale un
capriolo intento ai grassi pascoli vede un leone appena
divezzato, per il cui dente dovr ben presto morire . Il
caprioli e i barbari Vindelici carico di
paragone tra
dracones
lici.

riaffaccia

si

La seconda

il

confronto con Druso e

nei

similitudine

pi precisa

^:

tragica ironia.

Orazio ha messo a profitto in quest'ode


di espressione
l'arte

che

lo

tutti

mezzi

studio intelligente e simpatico del-

pindarica gli aveva fatto scoprire e

lo

aveva posto

Ma

leggendo appunto quest' ode,


noi sentiamo chiaramente quanto divario corra tra l'arte
riflessa anche di un uomo di gusto e poeta e l'ispirazione.
Il carme fa l'effetto di essere troppo pieno, di essere come
stipato a bella posta di figure, di immagini, di (]uelle
in

grado

di far suoi.

particolarit

stilistiche e sintattiche

sorprendere e riuscire

che

pi

pi ostiche ai lettori

dovevano
contempo-

ranei.

devo confessare che la digressione nella (luiiila e


mi pare meschina e perfino ridicola. A Orazio
non potevano non fare grande impressione quei larghi
Io

sesta strofa

periodi di Pindaro, per

(piali

il

poeta par

(piasi correre

771.

di
pensiero in pensiero. Egli ha composto
un periodo che, chi ben guardi, giunge dal principio a
tutto il verso 28. IV 14 ne ha uno altrettanto lungo, ma
pi chiaro e pi pacato. Qui una prima principale com-

a precipizio

pare quale apodosi della similitudine, nella (juinta strofa

mezzo

un relativo

di

perch mai

subito a questa

Amazonia
un

Qui ritorna

sed.

il

Vindelici por-

nella destra, nec scire fas

fine della digressione esige

discorso con

remota

che
il

si

aggrappa per
poeta non sa

si

confessione che

la

dall'antichit pi

fin

tino la scure

La

Ma

Vindelici.

videre....

riprenda

omnia.

est
il

filo

del

soggetto e un po' mo-

il pensiero della prima principale: quei popoh, a


lungo e su larga estensione vincitori, ora, vinti, sperimentano che vogliano dire nobilt ed educazione. Di qui at-

dificato

traverso

il

vanto

di

queste due qualit

si

passa

ai fasti

da cui sono usciti


pueri Nerones.
Certo, Orazio ha osservato con molto acume che Pindaro,
grande amatore di digressioni, ama alla fine ritornare l
dond'era partito; che dopo la digressione il pensiero da
cui aveva preso le mosse, suole presentarglisi alla mente
un po' mutato. Ha anche osservato che egli spesso o biasima poeti e mitologi che hanno inventato menzogne
antichi

della

empie, come

danna

gente

p.

nella prima Olimpica (v. 28 sgg.) con-

e.

gli invidiosi

fosse imbandito

tacere cotali favole,

dove impone

quali

hanno immaginato che Pelope

mensa
come

agli di, o esorta se stesso a

nella

sua bocca

alla

nona Olimpica (35

di gettar

via

sgg.),

l'irriverente

mito della lotta di Heracle contro gli di, o anche giustifica se e spiega perch canti cos e cos. Ma era proprio qui il luogo di imitare queste particolarit? Pindaro

ha calda

verso

la piet

missione, sicch

contrastano

con

gli

di, alto l'orgoglio

della sua

miti foggiati in et pi antiche spesso


i

sentimenti suoi pi

profondi

onde

egli costretto dalla coscienza dignitosa e netta a porli,


come meglio

775

pu, con quella in accordo. Scrupoli lo con-

ducono per lo pi a tali digressioni e dichiarazioni. Qui


non solo non importa nulla sapere di quel particolare
etnografico, ma d noia che il poeta interrompa il corso
naturale delle idee, per dire appunto che non importa.
E la forma cos complessa e solenne, V intricata proposizione relativa, che diviene interrogativa per
di

un

linde a

rere distuli,

tenza

un

il

tirare in ballo per cos

scire fas est

7iec

1'

attacco

participio, la confessione personale quae-

poco

la

grave sen-

omnia, urtano violentemente

il

let-

che non .pu fare a meno di riflettere di quanto


poco conto sia quel particolare. Si supposto e probabilmente con ragione (1), che, poich Orazio non avrebbe
tore,

le Amazoni. se qualche favola non le


congiungesse con i Vindelici, e poich proprio un contemporaneo, Domizio Marso, aveva scritto un'Amazonide

tirato in ballo

epica, egli

si

faccia qui

beffe dell'emulo,

il

quale, solo

andavano armati di una


scure come le Amazoni, conforme a un metodo non
ignoto a etnografi moderni li riteneva discendenti dalle
donne guerriere della favola. Ma Pindaro, se non nasconde
il suo dispregio per
corvi che contendono con l'aquila,
non polemizza contro altri poeti per minuzie erudite. Mai
perch

popoli vinti da Druso

come

in

questa digressione appare quanto

riuscisse nell' imitare Pindaro

che

nell'

meno Orazio

emulare

x\lceo.

L'esame della poesia che Orazio, componendola per


la stessa

occasione e nello stesso metro, destin a fare

riscontro all'ode ora esaminata, di

(l)

Hakit, opiixr. Ili '.V.VA, clu'


(Jon'UKUo IIi.r.maw.

Gksni'.i: f di

IV

liprciuU'

14,

Qnae cnnt pa-

un iMiisifid dol vrdliio

77()

quantunque essa, proprio perch meno accuratamente pindarica, sia pi t'elice, pu modificare soltanto
di poco il nostro giudizio. Questo componimento, appunto
perch riunisce in s un epinicio pindarico per Neroni
triim,

per

sovrano che, presi

il

mando

dell'esercito,

gli auspici, confid loro

l'inno

principe, dio

al

il

co-

presente,

alquanto pi complicato;

pensieri faccia difficolt.

massimo
i

dei principi, la

Vindelici

vnito

ha

rio

non per che il nesso dei


Qual onore sar degno di te,
cui potenza hanno dianzi appreso

Che, subito dopo, con soldati tuoi Druso ha

Genauni
sconfitto

e
i

iBreuni; poco tempo ancora, e TibeRaeti. Egli infuriava sui nemici

come

impetuoso come l'Aufido in piena,


spazz via nel suo impeto le schiere avversarie, prestanl'Austro sulle onde

dogli tu soldati, consiglio e auspici: che, da


dici

anni sono

la

Fortuna ti apri
ti ha mai

Alessandria, essa non


terre pi lontane,
il

dell'Italia

porti e la reggia di

lasciato.

fiumi misteriosi e

confine del mondo, ubbidiscono

tettore

e di

quando quinI

popoli e

tuo cenno, dio pro-

al

Roma. A una prima

troppo rapida pu imbarazzare

nam

il

spiega del resto facilmente, purch

immediatamente precedenti.

Il

le

mari che segnano

si

nome

del v.

34,

rifletta alle

lettura

che

si

parole

della F'ortuna ripi-

dopo che si era gi


detto nella terza strofa che Tiberio aveva vinto con soldati di Augusto, si esprime ora con altre parole {te copias
praebeite) il medesimo concetto, aggiungendo che Tiberio
vinse senza perdite, perch Augusto, oltre alle truppe e
al consiglio, comunic al figliastro i suoi auspici, egli che
non era mai stato abbandonato dalla Fortuna Fortuna
e di vengono a dire lo stesso.
glia particolarmente

il

tuos divos

Particolarit pindariche di stile sono state spesso os-

servate: cosi l'inconsueto composto tauriforms; ma, pi

che queste minuzie, importa osservare

come

il

carme

777

con una, per cosi dire, ininterrotta fuga di


pensieri. Dal dubbio quali mai onori siano pari ai mea spiegare in che essi siano
riti di Cesare, si passa
tanto grandi, quale sia l'ultima gloria che muove il poeta
cominci

a presentare questa domanda.


delle Alpi, riportata

con

la vittoria

sui

popoli

soldati suoi da' suoi figliastri,

ma

prima di nominare quella e questi, si trova modo di aggiungere un richiamo ai Vindelici, cio all'altro epinicio.
combattimenti, perch
L'impeto lirico non si ferma;
gi celebrati nel carme a cui il poeta velatamente accenna, sono sbrigati in poche rapide strofe. Ma quando
un aggettivo veri fasti di Tiberio paiono gi esauriti,
bale aggiunto attributivamente riapre il periodo chiuso
dall'aggettivo pende per un'attaccatura agile e libera una
i

interrogativa

indiretta

spedandus

certamine Martio,

in

devota morti pecioni liberae quantis fatigaret ruinis


sta
le

si

aggrappa

la similitudine dell'Austro

onde, mentre

il

coro delle Pleiadi

si

a que-

che tormenta

affaccia al cielo.

Il periodo pare ancora una volta finito, ma lo prosegue


una nuova determinazione aggettivale, impiger, coordi-

nata allo spedandus, che questo spedandus


ferire al

ci

maior Neronum ormai cosi lontano

aiuta a

ri-

da impiger

dipendono ancora una volta proposizioni infinitive. Il


il sic iniziale
pare a prima vista
cerchio ormai chiuso
congiungere con il periodo precedente l'immagine dello
Aufido che medita in cuor suo danni ai colti, finch noi
una certa sorpresa che al sic corrici accorgiamo con
sponde un ut nella strofa seguente. Il tertium comune di
questa seconda comparazione pi sottinteso che detto
l'Aufido gonfio paragonato a Tiberio per V impeto ir
refrenabile; invano si cercherebbe corrispondenza nei
:

particolari.

tutta

la

similitudine,

determinazione aggettivale che


a un

lontano soggetto in

la

modo

ma

in

ispecic^ alla

chiude, aggiungendosi

a noi

familiare,

si

af-

77S
ferra

l'

ablativo assoluto

copias,

te

(e

consilium

fuos

et

Qui ci accorgiamo con


siamo tornati l dond'eravamo partiti, al milite tuo. Ispisebbene di questa, diversamente che
rate a Pindaro
dell'altra ode, si possa dire che nessun pensiero si ritrova
maraviglia che

praebente divos.

in

Pindaro

sono

fin

qui tutte le peculiarit pi singolari

di questa composizione
'

siero finche
riodi

quel fuggire di pensiero in pen-

uno gi espresso,

ritorni in cerchio a

si

ma

non simmetrici e pacati

delle immagini, la relazione tra

pe-

travolgenti, l'abbondar

due termini dei paragoni,


si guarda bene,

libera sostanzialmente e formalmente. Se

seconda similitudine

la

pi consueto sarebbe

Claudius aymina

ni....

diruit

direbbe

si

rovesciata: l'ordine

volvitur Aufdus, sic barbar orum

ma

a quale effetto miri Orazio

con questo scambio, abbiamo cercato di mostrare con


poche parole nella perifrasi. Tutta questa arte squisita,
ma che non riesce a dissimulare lo sforzo immenso.
Il

te

dal

copias praebente ripreso

guente. Di

(jui

in poi,

senza che

mutamento accortamente

ci

tibi

del verso se-

avvediamo subito

la solita degli inni oraziani, contrassegnati dall'

del

pronome

di

del

dissimulato, la forma diviene

seconda persona

il

anafora

sentimento quello

tempo
carme secolare in gi, compiacimento del dominio
universale non pi contrastato. Il fascino dei paesi lontani, suscitato innanzi allo spirito da nomi strani, dal
ricordo di fiumi e mari prodigiosi, porta un poco di vita

che anima

le

poesie civili e regie sempre pi dal

del

nella simmetria troppo rigida.

Quando
difficile

Roma

sia

scritta l'ode

seconda del

libro,

certo non proprio alla vigilia dell'entrata


Augusto reduce dalla Gallia, non proprio p-

dire
di

stata


chi giorni innanzi

779

4 luglio 13

il

del principe ancora lontano:

non

sarebbe scritto

si

sarem, quandoque trahet


decorus

trionfale

concines malore poeta plectro

sacrum clivom

per

ferocis

Sygamhros.

fronde

ritorno

Il

(1).

giorno innanzi al trionfo

il

Se

trionfo

il

Cae-

merita

era gi deciso,

hanno pi forza alcuna


Sygambri,
che, quando Orazio profetava cosi, non fossero

quelle parole non


giurerei

ancora ridotti in soggezione. Gi domati ce li mostra


r epinicio dianzi trattato
te
caede gandentes Sygamhri
:

compositi^ venerantur armis.

IV

IV

si

direbbe

anteriore

14 dunque o del 15, che Augusto, ancora

14, del

Roma

assente al tempo in cui fu scritta, era partito da

Ne

nel 16.

ragione di concludere altrimenti, perch

vi

quale

Tulio Antonio, al

appunto che

poeta intonasse
in virt della

che, per

Il

in

dei

il

parte

cospicua

13 fu pretore. Qui

s'im-

ma

quale

non quale pretore

canto trionfale

presiedere

alla festa

sua magistratura non avrebbe mai potuto,

dir altro,

importa

noi

quanto

meno

non

il

egli

assegna

si

proprio

nella festa trionfale,

magina

qui

non

consoli lo superavano in dignit.

data

tanto la

della poesia

esatta

genere sapere che essa posteriore a uno

al-

due epinici pindarici.

concetto

del

carme

solito,

al

semplicissimo

emulare Pindaro, si fiaccher nel tentativo


temerario, come Icaro volando troppo pi alto che le
ali non gli consentissero. Pindaro sollevato in cielo dal
Chi vuole

sotto

potente dell'ispirazione;

l'ape.

Tu

volo terra

io

potrai cantare con ala pi alta

nel giorno del suo trionfo,

io

al

di

terra,

me

come

Cesare

pi associarmi al canto

e prender parte quale cittadino alla cerimonia trionfale.

Tu

sei di

rai

quel giorno dieci tori e dieci vacclio,

ben altra possa che non

(1) Goiiic

crciloiKi

Kii:>>i.iN(;

io: cosi tu sacrifiche-

11i.in/i..

io

un vitellino


grazioso,

780

leggi

(juale api)uiito le

sacre richiedono (l).

commentatore Cruquiano informa che lullo Antonio


che maraviglia, i^e
scrisse una Diomedea epica e prose
Orazio, imitato da lui a emulare Pindaro, gli rispon Io sono poeta di modesta ispirazione, tu magdesse
giore ? Chi muta due volte concines in concinet e fantastica
Il

poi che

poeta

il

bero dato ad

commette un

lamenti de' magistrati,

si

altri

l'

33 sia

egli

carme

sicura sia al

detto chiaro

aver

Orazio, dopo

al v. 41.

fosse scritto proprio

Concines la lezione

la vigilia della festa.


V.

il

non aspira a cacciar Pindaro

trionfo,

il

non avrebbe scusa

violenza, che

atto di

quali avreb-

festeggiare

incarico di

neppure se fosse certo che

coraggio

nido, fa

di

a lullo, poeta epico, poeta cio di un genere

che

che nelle

dottrine letterarie di allora era considerato da pi della


lirica,

perch componga

di

pi libera ala.

di

pindareggiare

gli

chiaro che non

gli

Orazio, specie Orazio


sentarsi, ci

confronto

il

emuli

incauti

consiglia

perci lo

potrebbe, che pochi versi prima

lo

aveva mostrato con

attenda

onore dello zio un carme

in

lui

come a

di

Icaro

qual sorte

Tra

Pindaro e

Pindaro.

di

lui

stesso piace di rappre-

sono molti e molti gradi

d' intervallo.

poeta prenda qui in giro un principe del sangue

(1)

luali qui

In

umbro

(2),

il

lo

una parola speciale per gli auile tavole iguvine impongono


buoi caZef?</: Bvechelkk, Jrch. f. lai. Ler.

e in latino c'era

frontem albani hahent, calidus, e

di sacrilicai e proprio tre


I

Che

ioti.

(2)

Conio vuole

il

Wilamowitz,

Sappilo

ii.

tende la poesia pi o meno come

me

183), che formula tuttavia troppo

rigidamente

Simouidex.

Friediich
il

319'.

(Horatius

In-

Flaccus

suo pensiero.

Una

spiegazione ancor pi vicina alla mia data da Lucas, Festschr. f.


Vahlen 323 '. Forzata mi pare 1' interpretazione del Bcechelek
{Eh.

Mns^ XLIV,

maggiore, intende:

1889, 318);

Tu

il

quale, facendosi

canterai in

forte

un poema epico

le

del

plettro

gesta di tuo

crederei, se

781

mai professori prussiani

in

libri

stampati

si

fossero fatti beffe dei gusti letterari e della passione ar-

cheologica

di

Guglielmo IL

Orazio

il

complimento

tra

e deri-

Pindaro
principe letterato aveva fatto a Orazio Tonorn
tra

pure tediandolo con l'incitarlo,

di interessarsi per lui, sia

come

Ma

meno grande che

sione corre divario non

avevano incitato, a voler divenire il


Pindaro romano dopo essere stato l'Alceo. Che maraviglia se il poeta, quanto pi invecchiava, sempre pi devoto

mille altri lo

al

sovrano,

credette doveroso indorare

prediletto di questo

pace

di pi

steggiare le

il

mostrando

rifiuto,

al

nipote

di crederlo ca-

che non fosse egli stesso, incitandolo a feglorie del monarca, che era il capo della

quando sarebbe spuntato il giorno che avrebbe


membri della famiglia ? E strano
che non lo intendano proprio
concittadini del Goethe.
Orazio nella prima parte, dove parla di Pindaro, fino
al V. 32, pindareggia. Leggendo il paragone tra il cigno
dirceo e l'ape matina, le persone colte avranno ricordato
l'aquila contrapposta ai corvi
bench sia altrettanto
vero quanto naturale che, mentre Pindaro tratta Simonide e Bacchilide senza riguardi, Orazio, dipingendo s
casata,

sparso luce su tutti

nell'ape laboriosa, mostra nella modestia molto orgoglio.

L' ispirazione pindarica

mostra nello spesseggiare delle

si

oltre il cigno
immagini
fiume che tutto travolge;
:

periodare.

Come

l'ape,

si

volo

il

mostra anche,

nell' epinicio trattate

di

Icaro e

al

solito, nel

il

da ultimo un ag-

gettivo verbale aggiunto attributivamente riapre un periodo che pareva

zi", io

essere epica, a

Mieute

pure

celebreremo

le

ma dove
due

il

cosi

(pii

col spectandu^ e (piel

voce

al

curo con un carme lirico, e anilicihu*

trionfo

La cantata

a<:j<;iim<jr<'i(> I iiiiu

iiisienio
l)n(>

finito,

meno

lnisco

il

ultinui strofe

(rlie

non

si

n(>lla

interpreti

simbolo e incomincia

sono allegoriche.

il
il

festa trionfale

non

trionfo simholioa-

tiionfo \crof Nep-

- im

che segue, (jui laurea donandus Apollinari e poi, in dipendenza da donandus, quattro membri introdotti ciascuno
dal suo sive. I mezzi linguistici, specie l'uso libero dell'aggettivo verbale, non

hanno riscontro

in

Pindaro, per-

ch sono connaturati con la lingua latina ma mostrano


che Orazio, sull'esempio di Pindaro, tende a formare
quanto pu liberi
suoi periodi.
Come mai Orazio pindareggia proprio l dove scon;

siglia dall'emulare

sente sia
tutti

libro

Pindaro

anteriore,

com'

pi

tentativi

come mai

Poniamo pure che


al

secondo

propriamente

l'ode pre-

epinicio,

pindarici

cos a

del quarto

Orazio, se dopo averla scritta consenti

non solo, ma la colloc


un posto del libro, dove appare chiaro che ha valore
di programma, subito dopo il carme proemiale ? Che egli
critichi qui
propri tentativi pindarici, non lo crederemmo
neppure se non fossimo sicuri che anche dopo questo
carme egli pindareggi di proposito. La spiegazione ,
credo, molto semplice. In ogni poeta pensiero, immagine
a emulare Pindaro, la pubblic

in

stile

sono congiunti indissolubilmente

l'effetto totale di

con

il

ritmo

ogni poesia sull'immaginazione dipende

dal ritmo pi ancora che da ogni altro elemento. Si raccolga

l'onda travolgente di Pindaro nel giro breve di strofette


semplici, ed egli
la

non pi immensus

responsione a cos

profundo ore
inceppa la corsa,

ruet

breve distanza

spezza un respiro a essa commisurato. Orazio lo sapeva


meglio di noi egli possedeva abbastanza orecchio e gusto per accorgersene da s senza che altri ne lo avver:

tisse

non

si

ma

del

rende

resto,

che un poeta non

si

riproduce,

se

l'effetto dei suoi ritmi, era principio diffuso

nelle dottrine letterarie di quell'et. Orazio,

come abbiamo

veduto, orgoglioso di aver mostrato per primo al Lazio


i

giambi

parli,

chiloco, pur

di

di Arda imitazioni materiali.

aver seguito numeros animosque

mantenendosi

libero

783

vanta di aver conquistato al Lazio i


che pur sapeva quanti pochi pensieri e immagini da Alceo avesse attinto. Orazio, poich
non aveva mai scritto carmi latini in ritmi pindarici, poDel pari
di

ritrai

egli

si

Alceo,

egli

teva, senza offesa della

non voler
quando derivava da lui
stile. Egli non si mai ildichiarare di

verit,

gareggiare con Pindaro, anche

immagini, tentava rifarne


luso che la natura
del Tebano,

gli

lo

avesse concesso l'anima profonda

meno che mai quando compose

propriamente pindariche. Nel quarto


chiaro

come

Orazio, invecchiando, non

Goethe, anzi aumentasse e raffinasse

r apis Matina dice che in


controbilanciata da studio

Non

lui

l'

il

Il

scere, la cui protezione

Musa che

almeno

era

egli,
il

l'

dietro

quello

na-

gli arrise nel

ha conquistato

gli

essere caro agli di quanto

fonda,

confronto con

ispirazione

coscienzioso e forse penoso.

poeta ringrazia la

incontrastato del pubblico

come

facolt di giu-

a caso appunto a questo carme tien

in cui

scorgiamo

perdesse,

la

dicare rettamente di se e della sua arte.

odi pi

le

libro noi

alfine

il

favore

artista conscio, sa di

poeta

d'ispirazione

pro-

sa che anche ad arte riflessa, specie quand' essa

cosi complessa, occorre

ingegno naturale altissimo.

INDICE DEI CAPITOLI

Capitolo Phimo.
Orazio
I.

II.

III.

Alceo

Pi*g-

L'ode a Varo

(I 18)

L'allegoria della nave

L'ode di Cleopatra

IV. L'inno a Mercurio

(I

carini dionisiaci

P'^g-

16

14)

(I

IX

37) e l'epodo

38
63

(I 10;

V. L'ode dell'inverno (19)


Il lamento della vergine

VI.

'.

75

86

(III 12)

VII. Orazio imitatore di Alceo

10-1

C A TITOLO Secondo.
Orazio
I.

e la poesia ellenistica

Le

[Appendice
II.

pag. 141

fonti ellenistiche dei motivi lirici di Orazio, pag. 141


:

Cercida e Orazio

Elementi ellenistici del mondo

226]

lirico di

Orazio

in-

364

terpretazione di odi scelte


a) L'
1.

Amore
La riconciliazione

392
degli amanti (ili 9) ....

2.

Il TcapaxXa'jaiO")pov

3.
4.

Le canzoni a dispetto
L' ammonimento
al

5.

Il

6.

L'amante fedele

7.

La

10

(III

(I 25, 111 10,

IV

13).

440

sprezzante

fanciullo

(IV 10;

50

408
419

460

monito alla donna tentata (Ili


e

il

lupo

bella apergiura (II 8).

8.

L'amore per

9.

La catena

di

la schiava

amore

(I

22)

(I
..

11.

La preghiera a Venere

12.

L'innamorato vergognoso

495
498

(III 26)
(I

470
489

(114)

L'addio all'amore

463
477

33)

10.

7)

30)
(I

27)

511

504


h)

<)

Il

sentimento della uatiira

1.

Il

2.

La

La

festa campestre di

Fauno

(III

559

18)

565

L'inno alla Fortuna

2.

La

3.

L'inno all'anfora

sereno

(I

(I

35) e

il

fulmine a

34)

58>S

libazione della villanella ai Lari (III 23) 603

613

(III 21)

620

filosofia

biasimo della cupidlj^ia

Il

2.

L'invito a Mecenate (III 29)

CAPJT(tL()

635

Ij'.KZO.

Gli elementi romani della lirica di Orazio


1. L'invito a godere (II 14)

Le Odi romane

626

(II 2)

1.

2.

521

553

13)

reli^jione

1.

La

V^)i-

sacrificio alla fonte (III

ciel

d)

780

(III 1-6)

pag. 642

P^g. 643
649

Capitolo Qlakto.

Odi sfiovanili e canti della maturit


I. Le odi pi antiche
II. La seconda raccolta

pag. 711
P^g-

^H
730

INDICE ALFABETICO

pag. 112 sgg.


522i

Aemulatio

Albuuea
201.

64

.5

18

20

44

34

75, 79

21, 35 sgg.

i^ag.

435.

474

64

514
XII 133
Angusto.... 565 sgg., 575 sgg.
23 sgg., 39 sgg.

Azio

103-

44

79

Basso

205

45

332

Bione

244

032

S6

59

547, 619

Bacchilide

epicedio per la sua

246

morte

Alessandria

385

Bisanzio.

Amante

472

Boschi presso

401

Brisoide

fedele

Amica
Anacreoute
.501,

377

396, 404, 418,

36

46

433,

104 sgg., 128 sgg.,

Alceo

Aristotele

Asclepiade..

690

Konia..

76

491

133, 444,

.504

97

Caccia

8gg.

51

133

63

134, 507 sgg.

75

134

Anta

88

133

Arsinoe

562

selvaggia

Callimaco

260 sgg., 717


303 sgg.

.'

193, 280

Anfora

(il4

epigrammi

Aniiilialc

717

ep. 25

178

ep. 43

515

Recale

337

Arato

529

Aristofane

552

155

Antonio

Jo'lcs.

877 sgg.

Ecclcg.

9.52

sgg.... 415

erotici

404

Paniiychis

196

114

260

fr.

Camillo

690

7H8
Canznni a dispetto pag.

Carmi

tO gg.

174 sgg.

civili

Epicurei

pag. 379

Epicuro

377,

Carriera amniiuistrativa 366 egg.


208, 664

Case nuove

romane

443

Catena d'amore

495 sgg.

210 sgg., 220,

Ccrcida

657 sgg.

620

204

234

.535

Epigramma

226 sgg.

1(55

Cibele

Cipresso

646

Classicismo e barocco.

138

Cleopatra

25, 38 sgg.

768

Coelio

207

.581,

623, 628, 632 sgg,, 637 sgg.,

e inno

l.")0

sgg.,

Hgg.

Epigramma anonimo V 135


614 8gg.

X 12
XII 155

IX 374

555

556
412

672

Epopea lirica
Erede nella poesia

317 sgg.

Erotica e convito

340 sgg.

Etrusche

437

249 sgg.
340 sgg.

Fato

601

Coppe grandi

510'

Fauno

Culto dei Sovrani ....

179 sgg.,

Fenice

560
207

Coliambi

cinici

Comizi

Commiati

Condolano ad Liriam.. 239


Cosoatwnes

Convito ed erotica.

380

Filodemo

Cynthia

399

IX 412
XI 44

Danza a Roma

47

Diatriba cinico-stoica. 624

647

52

491, 499

326

Fonte nella poesia

479

Donna

463 sgg.

Eaco

761

Galla

Egitto e Impero

366 sgg.

Giuliano

380

el-

554 sgg.

lenistica

Fortuna
Fuochi di

tentata

411
720

Filosofi precettori ....

775

101

46,

Domizio Marso

Ennio

Filippo IX 232, 247.. 618

585 sgg.

Cultura generale

Dioscoride

278
.

588 sgg.

Elmo

S.

266
468

298

445

135, 685, 769

epigramma funebre

323,

Hiipantesis

197

551

ann. 302

691

Impero ed Egitto

316 sgg.

ann. 312

592

Inni

142 sgg.

ann. 348

593

Inni liturgici

Epicedi

237 sgg.

163 sgg.

145 sgg.,


Inni a sovrani.
Inviti a

pag. 190

pranzo

Lalage

Lamento

della

394 sgg.

t76

metrica

711 sgg.

Lari

603

Latifondi

Libazione

57,
29.

70

cronologia del canzoniere

32, 711 sgg.

Anacreonte

133 sgg.

e Callimaco

260 sgg.

630

ed Ennio

135

603 sgg.

460

690, 768

Teocrito

e.

424

e.

418

e.

701 sgg.

429

e.

706 sgg.

e.

712 sgg.

Ligurino

Luperco
Lyce
Lyde

565

III 4,

periodi

407
406

Livio

pag. 570

Orazio, ideali artistici

Lamia

Lygdamo

Noveusides

325 sgg.

donna

abbandonata

789

91.

Pindaro .... 136, 739 sgg.


Properzio
114

557
746 sgg.
...

712 sgg.

Macedonio
431, 616
637
Mantica
Marco Argentario .... 615
Mare nella letteratura

e.

75 sgg.

0.

10

63 sgg.

539

e.

antica

722 sgg.

142.

Matrimonio e amore.. 488


Meleagro XII 52
261
Melos ed epigramma.
359, 363

Mercurio
Meretrici in Grecia.

12

142,

ISI,

740.

e.

14

16 sgg.

352,

e.

115

278 sgg.

e.

17

336 sgg.

66

e.

18

e.

20

325

e.

21

142

e.

22

470 sgg.

e.

23

133

e.

24

237. 249 sgg.

402 sgg.

Roma

.398

e mostri

518

Mirto

41S

Mitologia e amor'....

164

sgg.

sgg.

Mosco

496

e.

25

133, 441 sgg.

Miinazio Fianco

723

e.

27

133. 504 sgg.

-'H

e.

30

Natura

in

Orazio

521 sgg.

NecessUdn

594

Nereo

2!H

Nevrastenia degli antichi

661

Nosside

105

712 sgg.
114.

117,

501 sgg.

0.

31

147

e.

32

115

e.

33

4!t.-.

:"

<

r.97

sgg.

sgg.


Orazio,

I35pag.l43, 588 8gg.

e.

37

44 8gg.

:{8

324

[I

[I

209, 62fj 8gg.


103^

489 8gg.
134

9..

477 8gg.
237 sgg.

U.

643 8gg.

19..

20..

TM)

Orazio,

5,

e.

I\'

ti

e.

e.

IV 8
IV 9
IV 10

e.

IV

e.

e.

e.

IV 12
IV 13
IV 14

e.

323, 551

649 sgg.

II 1

'654 8
'no'

II 2

667

II 3

681 sgg.

II 4

8 or>'

II 7

692 sgg.
463 sgg.

II 9

408 sgg.

II 10

419 sgg.

9 sgg.
144, 300,

4653.

751 Hgg.

755 8gg.
762 sgg.
354, 460 sgg.

336 sgg.

11

331

434 sgg.
775 8gg.,

Caruieu saeculure.. 733 8^g.


718 8gg.
epod. 9
38 sgg.

epodi

epod. 11

393

epod. 13

726

393

epod-

epod. 15

393

serm.

epist.

230 sgg.
750
641

epist. I 7
epist.

II 2

112, 733

Ottaviauo e Autonio..

II 12

86 sgg.

II 13

148, 553 sgg.

II

14

193 sgg.

II

17

Pacuvio

724

331

532 sgg.

greca

146, 559 sgg.

in Orazio

II 21

145, 613 sgg.

nella pittura augu-

22

148

II 23
II

24

II

25

603 sgg.
428
14 sgg.

II

27

II

521 sgg.

530

stea

Pan

559 sgg.

Parenesi

201 sgg.

Parti

Personalit
II 26

498 sgg.

703
nella

Personificazioni

29

329, 635 sgg.

Pindaro

II 30

323, 748 sgg.

V3

146 sgg.
778 sgg.

145

filo-

370

sofia

275, 278 sgg.

VI

23

Paesaggio nella letteratura

II 18

II

.sgg.

1;

779.

II 1-6

II 11

IV 4...pag. 764

e.

IV

e.

697 sgg., 739

Olymp. 1
Olymp. II
Olymp. VI

.gg.

582 sgg.
136; 691,
sg,-.,

764 sgg.

656
680, 742

693


Pindaro, Olymp. VII pag. 757

791

Roma, corporazioni operaie

700

Pyth.

Pyth.

pag. 389

736^

Pyth. VI

749

Romolo

Nem. Il 2
Nem. V
Nem. Vili
Nem. X

654

Rufino

63

680, 757

364
685
431, 450,

490.

740

Isthm.

I.

Isthm

VI 10

e l'Ellenismo

Isthm. VII...

741

Sacello rustico

756

Salii

46, 51

627

^ffo

547

742

534

90

752

87
Schiave in amore .... 490 sgg.

180

680

Sciti

221

746

Secolo

377, 535 sgg.

Seneca

peana

fr.

Ir.

jier

Delfi

Platone

Polimetria nella lirica


ellenistica.

Posidippo

344, 348 sgg.


147, 501,

614 sgg.

674 sgg.,

Posidonio

684, 689, 760 sgg.

427
571
663, 682

Serenata

419 sgg.

Servit all'amata ....

485

Servizio

669

militare

Sibillini

570

Simonide
Simposiarco

505

749

Postumio

468, 643

Sodalicia iuvenum. 103, 669

Priapo

332, 715

Spergiuro della donna

65

Prometeo

bella 477 sgg.

Propemj)tici

260 sgg.

Stazio

Properzio

276 sgg.,

Stoa

637 sgg., 671 sgg., 682

4763, 4j^i.

Callimaco

306 sgg.

18
II

276

Teocrito.

439

17

24-25

401

(Quirino

686
301 sgg.

Regolo

704

Keligioiic
(107

romana

....

565 sgg.,

'

'

sgg.

aspetto e.slerno

'.W'J

431, 433, 527,

189,

762.

epillii

llatdtx Aohxii

284
,

!(>,

348, 353 sgg., 435

Kotiia,

oncomii
626,

Jiccnsalio

727.

441 sgg.

Fucila

535 sgg., 540 8gg., 557,

467

Ili 12

111

240
379, 628, 632 sgg.

Thalysia

XXII

439,

559
742

i'1'K'i--

;">-"7

epigi'.

560^

Tt'ofrasto

378

Teopompo

79^2

='''^'*

Varrone, Meleagri. .pag. 99-

Tenero

724

Vecchie nella poenia

'J'iicodorida

118

lenistica e

Til.nllo

482

Timoteo

281

P''g-

el-

romana
449, 456 sg.

70'3

Venere Marina
499
Vino e donne romane. 90

Titanomachia

695 sgg.

Virgilio.... 526 sgg., 754

Tivoli

522

Ti ridate

.*

Uscio nell'erotica

Varrone
571

e l'oltretomba

577

profezie messianiche

57:^

420

565, 567,
tgg.

Zenone 264
Zio

581

88

BimuING SECT. JUN

PA
6/ill

Pasouali, Giorgio
0Ta.7Ao lirico

P3B
1^20

PLEASE

CARDS OR

DO MOT REMOVE

SLIPS

UNIVERSITY

FROM

THIS

OF TORONTO

POCKET

LIBRARY

y 1968

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