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\NDBOUND
AT THE
UNIVERSITY OF
TORONTO PRESS
n
y\o'ra. ^
3RAZI0 LIRICO
STUDI
GIORGIO PASQUALI
1
4
>r^-
FIRENZE
FELICE LE MONNIER
1920
pa
CAPITOLO PRIMO
Orazio e Alceo.
I.
1.
1
_ y)
al tuo volere ;
dietro ai tuoi simboli cammina un corteo
di vizi». I commentatori, costretti dalle precise parole
di Orazio a concedere ch'egli parla qui di un culto or-
giastico, credono di spicciarsi poi di ogni difficoltà asse-
rendo che questo culto è un' immagine, e quanto ai
I
_ 4 -
}iY]5' àiib ToO isysog (lyjS' ótliód-sv aùyaoarpS-s dunque o il cesto non
:
propatiilo exsultante nequitia; nam hoc turpe membrum jyer Liberi dies
festos cum honore magno plostellis impositum prius rure in compitia et
/
anphe Alceo, dopo aver bevuto, ha spesso dimenticato
la povertà e le incertezze e i dolori della sua vita di
esule, di mercenario » (1). 11 v. G segna il passaggio ad
un inno; pater in Bacche pater è un attributo schiet-
tamente romano, che fu forse una volta limitato alla
cerchia non larga degli Indigeti (2); decens è aggettivo
così oraziano e presuppone teorie estetiche così raffi-
nate e così complicate che non riesce facile immaginare
che un altro poeta l'abbia adoperato in tal senso prima
di Orazio. L'inno, di cui abbiamo udito quasi i primi
(1) Virgilio usa secondo gli indici 29 volte viti», non le aggiunge
ma.i l'epiteto sacra.
2.
to <
- 12 -
filiale del terzo loda l'opera d'arte eterna, ciie non ebbe
né avrà pari, e invita la Musa a coronare il poeta, così,
neir ultimo carme del secondo, Orazio, conscio della sua
grandezza, profeta la nell' immortale
trasformazione sua
cigno apollineo. Ma metamorfosi del secondo libro è
la
preceduta da una consacrazione. Orazio è immortale,
perchè Dioniso stesso 1' ha consacrato poeta (1). Non a
ciascuno è dato di ascoltare il dio, mentr'egli insegna i
caro al nostro poeta: III, 25 coniiucia ([iio me, Hacchc, rapi.y tui pie-
II.
2
— 18 —
greco contemporaneo (1). Si consideri appunto la tecnica
di Catullo e di Orazio, e se ne rimarrà convinti.
Questa tecnica del « principio-motto » è stata osser-
vata solo in tempi recenti, e non poteva infatti essere
scoperta, prima che non fosse scomparso il pregiudizio,
qualche anno fa ancor più diffuso che non ora, che
Orazio fosse un Alcaeus dimidiatus come Virgilio un di-
midiatus Homerus. La concezione di Ora-
dell'arte lirica
zio che io difendo, si è fatta in qualche modo strada
dal giorno che la scoperta di alcuni versi di un epodo
di Archiloco mostrò che Orazio non ha nei Giambi, nonché
tradotto il Parlo, neppure tolto da esso situazioni deter-
minate, ma solo imitato il tono e lo stile (2). Già lo studio
dell'ode a Varo conferma che a un dipresso lo stesso si
deve dire anche delle odi, come hanno già veduto, per
citare solo alcuni tra i maggiori, il Reitzenstein, il Wi-
lamowitz, il Norden (3). L'analisi accurata, quale ce la
siamo proposta, delle altre odi, per le quali sono con-
servati riscontri nella poesia lesbia, giova tuttavia a
determinare più precisamente, quale sia stata la rela-
zione tra Orazio e i suoi modelli, com'egli abbia conce-
(1) Dalle parole del Kukula parrebbe che nelle nostre fonti
fosse menzione di un viaggio e di una nave determinata, ciò che
non è.
miglior legno per navi veniva di lì, senza che per questo
vi sia bisogno di pensare a una leniiniscenza del celebre
phaselus catulliano : trucemve Ponticiim simun, uhi iste post
(1) Chiedere con il KtiKULA ad Orazio, qnale i^artito sia per lui
rappresentato dal rottame, è temerario ; il poeta avrebbe probabil-
mente risposto : ree Romana.
cedenti e seguenti alla battaglia di Azio, che riesce dif-
fìcile datare il carme. In quegli anni lo stato romano
llitto ad Antonio.
— 24
(3) L, 6, 1 IO) 5' 'Avxu)v((|) où8=v 8^ft^ev ictoOiov (cioè niente di-
chiarazione di K'ierra) sti/^yY^^'-^'^ ^'j
T^ £i5óTcC OTt xai aXXojj tioàsjko-
O'Yjao'.xo (o'j Y^P ^^'-> Ti^oio'ìq, ìxììvkjv xòl toù Kaiaapog ;:patx6'.v £|ieXXs)
xai PouXó|i=voi xai aùxò zob-zo TipoasYxaXéaat oi, òxt xòv uirèp xfic Aìyu-
:ix{ag 7ióX£|xov ixfov xaxà xyj^ Tia-piSoc;, |jiy,5£vò; a->x(ì) SsivoO oixc{>'£v ìSJqt.
a'j|iPxvxog, àvs'.Xsxo.
— "Ì<1
non mi paro elio riescano a i>r(>vare ciò che esse InttMuiono tlinio-
s tra re.
- 28 -
suoi cittadini in veste di araldo al modo del vecchio
Solone e li incoraggia ad abbandonare la patria, a rifu-
campi dei beati come si può
giarsi in lidi lontani, nei :
que dalla fine del 38 o dal principio del 37. Che Orazio
abbia scritto poesie con determinata tendenza politica
negli anni immediatamente seguenti al 37, non è dimo-
strato (1), ne tali carmi converrebbero ad uno che ancora
nel 39 si professava disgustato di ambedue i partiti. Di
una disposizione di animo, che comincia appena a rive-
larsi, è naturale che si dica mine e che questo mine si
glianze tra le orazioni di Dione e alcuni motivi nelle odi civili di Ora-
zio ne cogliamo anche altrove, ciò che mostra che Dione attingeva as
— 35 -
L
— 3tì -
L
- 38 -
si non che,
sia attenuto alia descrizione più celebre, se
forsenon senz' intenzione, egli riprese proprio un motivo
che Alceo aveva più volte toccato.
III.
sono ancora hostiles e rimangono nascoste noi porto ciò che non fa- ;
come propose già, ciò che non sapevo, il Lachmann (p. 23 del com-
mento a Lucrezio) petit e fertur avrebbero allora senso di futuro,
;
ciò che non è raro nei presenti dei verbi che indicano moto (S.toGREn.
Futurum im Altlateinischen, 6 sgg.). Ma se le difficoltà grammaticali
sono forse superabili, tanto più che una formazione come iturus, un
qualche cosa di mezzo tra presente e futuro, serve da ponte di pas-
- 43 —
mi pare quella del Corssen (p. 15), che dopo i primi suc-
cessi si sia sparsa nel campo e nella flotta di Ottaviano
la voce che Antonio fosse riuscito a sfuggire al blocco.
Plutarco (A?ìt. 63) narra, non so se con buon fondamento
di verità, che nel consiglio di guerra degli Antoniani,
che precedette la battaglia, fu discusso se non conve-
nisse tentare di far fuggire la regina. Che si potesse
sperare nell'adempimento di un tale disegno, mostrano
anche le vicende di Sosio, al quale in una mattinata
nebbiosa riuscì di avvicinarsi inosservato alla flotta di
saggio e che petit indica piuttosto una risoluzione che un'azione (/«-
dunque « sia clie egli sarà portato da venti contrari a Creta » ecc.
(2) Kromayer, 49 e Herm., XXXIII, 1898, 65 sgg.
4o
(2) Macroliio (HI, It, 15) parla ancora con stupore di tre noti
uomini ])olitici dell' et.\ ciceroniana, che non si vergognanuio di dan-
zare : Gabinio, il M. Celio difeso da Cicerone o Licinio Crasso, tiglio
minore del triumviro.
- 48 -
danza: l'avversario Catone aveva accusato
l'arte della
Murena di aver ballato, non già di altri stravizi ma ;
4
— 50 -
suo sodalizio, canta : « Ora è venuto il tempo di bere.
1 piedi dei pii danzatori, legati sinora dalla guerra, si
passim.
(2) Anno 91 succinti nacerdotes carme» diceuies tripodavenitit ; anno
218 Carmen descindentetf tripodaierunt ; le stesse parole si suppliscono
(;on sicurezza nel nuovo frammento in Klio, II, 1902, p. 277, 11.
(3) Il frammento più antico è del 21. Nel titolo degli atti, dove
si legge ancora la parola imperator, il Bormann ha supplito {Fest-
Hchrifi fiir Benndorf, 283 sgg.) il nome di Domizio Calvino, che nel 21
era infatti jjfià membro del sodalizio e che fu imperator e per giunta
ponti/ex. Se il supplemento è, come pare, giusto, il sodalizio, come
HORMANN ha osservato, non potè essere costituito ]>rima dell'anno
36, nel quale Domizio acquistò quel titolo.
— 52 —
silentioha grande valore. Invece la funzione principale
dei Salii consisteva appunto in una danza guerriera. E
assai bene ai loro movimenti si applica pulsare, se pure
a ragione Seneca identificava (epist. XV, 4) saltus fuUo-
niiis e sccltus saliaris. Dunque né sodali di Orazio ne ver-
gini ne fratres Arvales sono qui invitati a ballare la danza
della vittoria, ma Salii.
i
- 53 -
sione di una gioia che a un Romano libero e bennato
doveva sembrare indegna il lettore romano si sarà ac- ;
detto con squisita i)roprictà ^cl'r. UCciiki.kr, 13) ; <|uesto vino, che
ora si l)cve a sorsi per frenar la nausea, scorrerà a risi nel convito
della vittoria.
- 54 -
che essa sino all' ultimo non si era piegata alla rinuncia
saggia ma vile, parola che fa già pensare al nobile sui-
cidio. Ne le similitudini frapposte della colomba inse-
guita dallo sparviero e della lepre che fugge dinanzi al
i
- 59 -
Antonio e ferma nell'odio contro Roma ;
poi, quando
tutto era perduto, abbia cercato la morte (1).
Groag {h'iio. XIV, 1914, 'ù »gg.). A interpretare Orazio occorre solo
tener presente la versione ufficiale.
(2) A intendere così, quasi come una smentita, il passo, appaiono
ingiustificati i dubbi del Fiukdiuch (p. IH sg.).
— «0 —
dere la reggia da cui era partita fiduciosa nella vittoria,
senza sentirsi per ciò umiliata. Resistè senza disperare,
non già si rifugiò in terre lontane quale una femmina
fantastica.
La poesia si assomma e finisce nell'esaltazione del-
l'orgoglio regale, che accetta piuttosto la morte che la
(1) saevae souo le Liburne, nou solo perch' esse avrebbero dovuto
trasportare a Roma Cleopatra prigioniera, ma altrettanto e più per-
chè non lasciarono un momento di pace a lei e ad Antonio durante
la fuga (Plut., Ant., 67).
(2) Così pare abbia giudicato anche il Bucheler : « haec ode ea-
rum quae in tres libros digestae sunt, videtur prima fuisse » p. 14).
- tì] —
da participi e aggettivi, che reggono di nuovo intere
proposizioni : antehac nefas depromere Caecnbum,... dnm Ca-
pitolio regina.... ruinas parabat, quidlihet impotens sperare
fortunaque dnlci ebria. Le parole seguenti sed mimiit fu-
rorem vix una navis sospes contrastano piuttosto con l'ul-
tima proposizione participiale del periodo precedente che
con la principale. Similmente in quest'altro periodo, al-
lorché la proposizione principale redegit in veros timores
par già completa, ai participi ab Italia volantem remis
adurguens vengono ancora aggiunte due proposizioni com-
parative e una finale. Costruzioni participiali e aggetti-
vali fanno nuovo cornice al periodo prossimo, che
di
alla sua volta è continuato, com'abbiamo veduto, da un
participio ; e nella proposizione che ne dipende, incon-
triamo di bel nuovo due determinazioni nominali in fun-
zione di attributi del soggetto, anch'esse naturalmente,
come il participio, in nominativo. L' intenzione di scrivere
in stile alto è evidente. Uno sguardo aìVOrator (1) mostra
come al Romano xwXa brevi facessero l' impressione di
Xsw? àKoaiwTiàv si; xòìXov Ppax'") xaTao|iixp'Jv£i xV^v xoO Xóyou osiivóxTjxa.
— 62 —
non sarà neppiir caso che il xwXov ultimo è di solito il
più lungo ma dimostrerà invece che Orazio era seguace
;
E per il contrario nelle prescrizioni sul genus tenue (cap. 204) cpsu-
ysiv èv T^ auvO-Éasi toù ya-<^'^v.'^ripoc, to'jtou 7ipà)xov [lèv xà [it^xtj xtòv xtóXwv
IieyaXoTTpsTisg yàp nàv [xf^xo?.
(1) Cfr. anche 206 xai "^àp xaxà xà xsXsuxaìa èxxàasig (jLsyaXo-
7rp£7CEÌ$.
(2) L'Ermogeae autentico cita {de id., 307, 21 K.) come esera-
pio della sua tSéa del xaÀXog periodi domostenici, nei quali tutti i
IV.
und Prosa. Solche langen Periodeu, wie Lncrez, I, 930-950, siud eben
der Prosa angeniessen, nicht der Poiisie. Nodi Catnll bat am Anfau<j
dea Gedichtes auf das Haar der Herenike eiiio.... lauge Periodo ».
Trascrivo queste belle parole di Moritz Haupt dal commento del
NoRDEN al VI deli' Eneide (p. 369). il Norden vi aggiunge P osserva-
zione cbe Virgilio ba di rado periodi che sorpassino la misura di
2125. La tradizione è del resto così diffusa che la conosce perfino l' in-
(1) dcXXà [ivjv Toùxó Yì eowe Tif-pl Xóycv ti sìvai i 'Ep|i.r,5, xai. tò
nerale : o'ìzoc, [lèv o5v ó zoókoc. &iiQAoy:oi.q àpxalog Tidvu còv xai ànò
esaYsvouc; xoù 'Pyjy^voo, og npòjxos £Ypa'{/£ mpi '(>|iy,po') xxi. Qni viene
attribuita a Teagene solo l'uso dell'interpretazione allegorica.
(2)L'inno orfico 28, in cui il dio è detto non solo YX(uO(3r,j Sei-
vòv òuXov e XóYoo ^VYjxolot Ttpocpi^xr^g non è certamente anteriore al-
l'ellenismo, e l'ambiente pergameno. nel quale fu composto, subì in-
flussi egizi; cfr. ora Kern, fìenethliakon, 87 e Herm.. XLVI, 1911, 431.
(3) Certo già i più antichi tra i Greci, che visitarono 1' Egitto,
avranno identificato Thoth e Hermes, come mostra anche il nome
Hermupolìs dato alla città sacra di ThotJi ; ma (pieste relazioni non
poterono esercitare influsso sulla religione greca, se non quando
r Egitto divenne un centro di cultura ellenica o il XÓYOC un concetto
cosmico.
— ()8 —
doro (1), si celebra Hermes (Diod. 1, 16) per l'èTtivaa iwv
5uva|X£vwv wj^zlypyx ~>jv xo'.vòv P''ov, e in primo luogo viene
menzionata anche qui l'invenzione del linguaggio: Orò
TG'j-oi) 7rf-(T)xov TTjV xocvfjV Z'.'jXzv.xov 5'.ap0'ptoi)-f//a:. La conce-
zione è originariamente egizia, salvo che la creazione
delia parola è rappresentata secondo la dottrina di De-
mocrito (2) quasi un ordinamento sistematico dei molte-
plici suoni, che i singoli uomini formavano per istinto na-
turale in modo diverso gli uni dagli altri. Diodoro o
meglio Ecateo vanta poi l'invenzione della ginnastica
quale necessaria per la bellezza e l'educazione del corpo.
Questa è concezione greca, perchè i fellah antichi erano
altrettanto poco amanti dello sport quanto moderni, ma, i
(2) Perciò la maggior parte dei teologi non parla dell' attributo
xXéuxvjg. Cornuto (p. 25, 11) s' ingegna a spiegarlo come di colui
il quale yXénxst saS-' 6xe t^ TnS-avóxYjXt xrjv àXy^'&siav, ma si sente così
poco soddisfatto di quest'interpretazione che premette: 7i;apaaxf,aai 8è
aùxoù TYjv SuvafiLv v.a,i Sta xcòv ànsjjicpaivóvxwv O-éXovxs^ y.XéTTxr/v aùxòv
uapéStóxav.
— 71 —
dell' inganno, anzi ammira la furberia di quella birba.
stessa versione (imaci. 26, tace dell' invenzione della lira, il Robert
I,
ne vorrebbe {Herm. XLI, 1006, 416) indurre che anche Alceo non ne
abbia trattato. Ma trarre una tale conclusione da quella premessa
non sarebbe prudente neppure se fosse sicuro che Alceo sta a capo
di tutta la tradizione; perchè la descrizione della pittura, anche così
com' è ora, dimentica tanto di essere descrizione per correr dietro
si
a varie avventure, che non si \n\ò credere che lo scrittore si sia fatto
fabula haec ah Alcaeo fida potrebbe forse riferirsi anche al furto dei
buoi, perclit- lo scoliasta può aver ignorato che questo era già can-
tato uell' inno omerico. Io penso che sia ancora l' ipotesi piìi verosi-
mile che timoroso cenno di Apollo nell'inno omerico (v. 51ó) 8e{5La,
il
Ma'.àdoc uté..., [ir; [lot à|JLa yCki'i^Xli x'13-ap'.v xa- xap,nuXa tó^a sia stato
8o.stituito a una versione piti antica, che narrava il compimento del
furto e non viceversa, come crede il Robert. Una spiegazione diversa
;
ladro. —
Che quest' àpexr^ del dio fosse cantata già da Al-
ceo, non è certo, ma neppure improbabile (3). Che essa si
attagli bene al resto dell' inno, non prova nulla, perchè
V.
L'ode dell'inverno I, 9.
sigila nunc, Verres, uhi sunt ? Illa quaero quae aiiud te nuper ad omnis
columnas, omnibus etiam intercolumniis, in silva dcnique disposita sub divo
vidimue {Verr., II, 1, 51). Il contesto mostra ch'egli intende parlare di
un giardino nel peristilio. La silva, non l'edificio era di qualche valore
nella domus Tamphiliana di Attico sul Quirinale (Coru. Nep., Att. 13, 2).
(2) Nello stesso senso egli adopra anche la jiarola nemus (e, III,
10, 5) : nemus inter pulchra satnm teda ; cosi ])ure Tibullo, III, '^. 15
et nemora in domihus sacros imitantia lucos. Properzio, I, 14, 5 nemn»
unde satas intendat vertice silvas, urgetur quantis Caucasus arboribus sem-
bra intendere per nemus il boschetto, per silvae gli alberi che lo for-
mano ; ma il passo si riferisce piuttosto a una villa sulle sponde del
Tevere che a una casa cittadina. Non dissimile è Ovidio a. a. III. 6S9
silva nemus non facit.
(3) La notizia di Damaselo (in Fozio, bihl. 34l> a 35) sui redditi
dell'Accademia sotto lo scoliarcato di Proclo somma insieme i di-
versi cespiti senza stabilire una rubrica speciale per il pareo, come
del resto è espressamente detto.
- 78 —
in città, sia che componesse o fingesse di comporre il
riti fede più che le altre notizie minute sull'età che pre-
(1) Non mi arrischio a far uso del passo di Giovenale, VI, 522,
che è interpretato rettamente dal Heinze, perchè i futuri mostrano
che questo caso come pure altri simili sono supposti, fittizi. Orazio
— 7«J —
Greci chiamavano ~oto!.\ìoì piccole fiumare siciliane, il cui
letto già al loro tempo (1) era di certo asciutto tutto
l'anno (2).
La dunque una
descrizione della prima strofa forma
unità e conviene bene a un inverno romano più freddo
del consueto; solo l'ultimo verso riprende uno spunto di
Alceo. Anzi il quadro ha maggior unità che nel Le-
sbio (3) la pioggia di Alceo non va bene d'accordo con
;
il ghiaccio ;
può forse 'Jz: significare « nevica » ?
La seconda strofa segue da presso Alceo y.x}}7.1Xz xbv
•/c''[iwv'. sTil [lèv tcO-soì; Tiùp èv oà zip va:; o?vov à-^ecoéto; jjiéÀi-
scrive lina volta Jhivihia per ^és^pa: frigida parvi fnuìtiiit Scamandri
flumina epod. XIII, 14.
(1) Che il clima d'Italia non ò imitato, mostra il Iìeko nelle Ahìiaii-
dlungen del Pknck, X, 2, 59.
jin senso troppo prej^iiaiito ai cipressi ; (|iu'sti alberi ijii\ al tempo «li
i;
— S-J, —
nimenti naturali ma anche fatti interni, stati di animo.
L'inverno gli grava sull'anima, sull'anima gli cade la
neve: solo chi intenda così, riuscirà a risentire, che l'in-
Orazio non erano in Italia così rari clie sia necessario pensare a un
giardino: non ve n'erano in ogni cimitero (epod. 5, 18), ma
solo
Varroue parla (r. r. I, 15) di nn podere alle falde del Vesuvio, che
era delimitato da filari di questi alberi. Anzi già in Catone 28 essi
sono menzionati insieme con gli olivi, gli olmi, i fichi, i meli, le
viti, piante tutte punto rare.
- 83 -
non credo che Alceo sapesse trovare un tono cosi cit-
tadinescamente elegante, così aristocraticamente frivolo.
L'ardito cavaliere avrà amato piuttosto un giovane scu-
diero che un'etèra e di un amore sempHce e rude, che
non si sarà dilettato di scherzare, come qui si scherza.
Nelle due ultime strofe si riflette invece la vita amorosa
della gioventù elegante romana.
Siccome il verbo repetantur dipende à-ò xoivoO dai
tre soggetti, areae è legato a lenes siisurri da que, non più
da et, e composita hora, come mostra la collocazione ac-
canto al verbo, si riferisce non soltanto ai susurri. si
VI.
(2) Il versd plautino liacch. 1(I8S iiimia nolo desidiac ti daif ludum
si riferisce similmente alla vita un po' dissipata di Pistocloro.
- 88 —
emide solerei, fuit in hac causa pertristis quidam patruos,
censor, magister..., multa de incoutinentia intemperantìaque
disseruìt. Ma anclie altrove il patruos sostiene la stessa
parte nella morale sessuale romana, così p. e. in un e])i-
(1) Questo e altri passi souo raccolti nell'articolo dell' Otto, Arch.
f. lai. Lex., V, 374, a cui è però sfuggita la testimouiaiiKa forse più
importante, quella di Catullo.
J
— 89 —
La letteratura greca dell'età imperiale, che cita con grande
predilezione la commedia nuova, non conserva, che io
(1) Natura Imente Dione era considerato agli effetti giuridici come
morto, percliè òcTi|ao5.
(2) XII, 29 xòv Tià-cpoa xaì tò|x [id.zpo'x. TÒvg iy(ìX\i\iéyO'^c, xà xpé|iaxa
V.XÌ -ràv sraxapKiàv àpxósv ondi, y.a vuvavxai xàXXiaxx Tipiv x' òn'jisxac.
Queste disposizioni sono forse più recenti che il corpo della legge.
(3) Basta a mostrarlo il noto passo nella prefazione di Cornelio
Nepote, dove egli confronta usanze greche e romane : quevi Homano-
— 91 —
chetto (1). Quei versi significano : « noi infelici non dob-
biamo né amare né mandar giù la malinconia con un
sorso di vino ; se osiamo farlo, sgrida lo zio ». Lo zio
ha dunque sorpreso la nipote a bere di nascosto in ca-
mera anche la fanciulla prova durante il pranzo di
;
40 e) : Tò TtaXatòv oòv. slvat l^-oj oòx' olvov èni nXsiov o~n' àXXyjv t,5o-
luoghi.
- <H —
di bere vino (l). Così Ateneo (X, 429 a) narra che le
Xpwfiévae Siaycuoiv (soggetto sono gli Elleni'. L' uso di uSapyjg è illu-
strato bene dal passo di Antifaue presso Atheu. X, 441 b, o-jO-' uSapàg
o'Jx' òcxpocxov, interessante anche come documento della intemperanza
delle femmine, cb'è messa bene in luce pure dalle citazioni che in
Ateneo seguono questa.
(3) Raccolte dal Hosius in nota a Gellio X, 23.
(4) Che la costumanza fosse generale nel Lazio, dice Gellio X, 23;
che fosse estesa a tutti i popoli italici, esponeva Alcimo ó iixsXitóXYjs
tarco {qiiaest. roni. 265 b), che nel resto lo copia, cambia
quella parola in à-nzi^r^iiivov f^v segno che nel frattempo ;