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www.dellaportaeditori.com
isbn 978-88-96209-42-4
La favola antica
Esopo e la sapienza degli schiavi
Con una bibliografia
degli scritti dell’autore (1995-2021)
. 11
p Congedo esopico, di Antonio La Penna
15 La via esopica di Antonio La Penna,
di Giovanni Niccoli e Stefano Grazzini
57 Avvertenza editoriale
61 Edizioni di riferimento. Abbreviazioni
Appendici
359
Indice dei nomi
1. Autori e personaggi storici antichi e medievali, 361 2. Personaggi
mitologico-religiosi, letterari e di incerta storicità, 365 3. Autori
e personaggi storici moderni, 367
373
Indice delle favole
399
Bibliografia degli scritti di Antonio La Penna (1995-2021)
Congedo esopico
Antonio La Penna
1
Nell’ambito di una stretta collaborazione, si deve la prima parte a Giovanni Niccoli, la
seconda a Stefano Grazzini.
2
Per la ricostruzione della vicenda sono stati utilizzati, senza peraltro un’esplorazione siste-
matica, i materiali documentari conservati nell’Archivio storico Einaudi (AE), in deposito
presso l’Archivio di Stato di Torino: a) i verbali dei Consigli editoriali degli anni 1943-1963,
raccolti e pubblicati in I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi, a cura di Tommaso
Munari, prefazione di Luisa Mangoni, 2 voll., Einaudi, Torino 2011 e 2013 (vol. 1, 1943-1952;
vol. 2, 1953-1963); b) la corrispondenza editoriale intercorsa tra La Penna e l’Einaudi e tra i
diversi funzionari e consulenti Einaudi implicati nella vicenda (Giulio Bollati, Cesare Cases,
Carlo Muscetta, Daniele Ponchiroli, Paolo Serini): AE, Autori italiani, cart. 109, fasc. 1645,
intestato a La Penna; ivi, cart. 141.2, fasc. 2134.5, intestato a Muscetta; ivi, cart. 195, fasc. 2795,
intestato a Serini. Ringrazio il presidente della casa editrice Einaudi, Walter Barberis, per
aver autorizzato la consultazione e l’uso della documentazione.
3
AE, fasc. Muscetta, f. 1371.
Parte seconda
Ricerche particolari
i. La Vita Aesopi
ii. Redazioni retoriche della favola esopica
iii. Tentativi di localizzare le favole
iv. Le favole politiche
v. La favola e la novellistica
vi. La favola e la diatriba filosofica
vii. La favola e la parabola cristiana
viii. Promitio ed epimitio
ix. Alcune questioni sulle redazioni tarde della favola greca
x. Alcune questioni sulle redazioni tarde della favola latina
xi.
Specchietto raggruppante le favole secondo la loro morale (repertorio
comodo)4
4
Ivi, ff. 1372-1373.
5
Si veda il caldo ricordo di La Penna della sua esperienza giovanile al «Colletta»: «La
scuola a cui debbo il fondamento decisivo della mia istruzione è il Liceo classico
“Pietro Colletta”, in cui entrai nel 1939. […] Qui ebbi la fortuna di essere allievo di
Enrico Freda, mio professore di italiano e latino. […] Nella mia esperienza Freda si
segnalava in modo particolare, ma anche i suoi colleghi erano tutti all’altezza del loro
compito. Tra gli altri c’era sua moglie, che mi pare si chiamasse Angelina Petrone,
insegnante di filosofia, che era stata allieva di Gentile, cui era rimasta molto legata».
A. La Penna, Io e l’antico, conversazione con Arnaldo Marcone, Della Porta Editori,
Pisa 2019, pp. 22-23 e cfr. p. 28. Su Angelina Petrone e il suo ruolo nell’orientare verso
la Normale di Pisa il giovane La Penna cfr. Stefano Grazzini, Riflessioni e ricordi a
proposito della Conversazione di Antonio La Penna con Arnaldo Marcone, «Athenaeum»,
vol. 108, 2020, n. 1, p. 242.
6
Tra l’altro La Penna, subito dopo la liberazione, fu segretario della sezione di Bisaccia
del Pci. Cfr. La Penna, Io e l’antico, cit., pp. 40 e 32; Id., Memorie e discorsi irpini di un in-
tellettuale disorganico, a cura di Nino Gallicchio e Paolo Saggese, introduzione di Salvato-
re Frullone, Delta 3 Edizioni, Grottaminarda (AV) 2012, pp. 82 e 79.
7
Consiglio editoriale del 23-24 maggio 1951: «Muscetta ha proposto di affidare, per la
pubblicazione nell’“Universale”, la Guerra civile di Cesare al prof. La Penna. Il Consiglio
è senz’altro favorevole» (I verbali del mercoledì, cit., vol. 1, pp. 267-268); Ubaldo Scassellati
a La Penna, 18 giugno 1951: «Sono molto contento di comunicarti che, a seguito delle tue
conversazioni con Muscetta, la casa editrice è d’accordo di affidarti la preparazione della
Guerra civile di Cesare per la sua collana “Universale”» (AE, fasc. La Penna, f. 1; Scassel-
lati, arruolato da pochi anni nella redazione Einaudi, era stato allievo della Normale di
Pisa negli stessi anni di La Penna, Bollati e Ponchiroli).
8
I verbali del mercoledì, cit., vol. 1, p. 434 (riunione del 27 agosto 1952). Il saggio, Tendenze
e arte del Bellum civile di Cesare, era già apparso in «Maia», vol. 5, 1952, pp. 191-233 e in-
tendeva proporsi come «frutto di un […] primo approccio alla parte più stimolante dei
Commentari» (A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, Einaudi, Torino 1978, p. 145,
nota 1). Sarà poi ripubblicato in Aspetti, cit., pp. 145-185.
9
AE, fasc. Muscetta, f. 1371.
10
I verbali del mercoledì, cit., vol. 1, p. 350. Cfr. anche la lettera di Serini a Muscetta, in
data 11 febbraio 1952: «Per il saggio del La Penna, che a me sembra molto interessante […],
ti scriverà Bollati» (AE, fasc. Serini, f. 488). Nessuna traccia di questa lettera nel fascicolo
einaudiano intestato a Muscetta. In compenso Bollati, in data 13 febbraio, scriverà a La
Penna con cordialità affettuosa: «Caro Antonio, Muscetta ci ha mandato da Roma l’indi-
ce del tuo lavoro sui favolisti, accompagnandolo con un giudizio molto favorevole. Anche
l’accoglienza dei torinesi è stata buona, ed io ho avuto l’incarico di incoraggiarti a prose-
guire nel lavoro in modo che tu possa inviarcene presto almeno una parte in lettura. La
consuetudine vuole che non si prendano impegni editoriali se non dopo aver visto e toc-
cato il libro, ma già il progetto ha suscitato vivo interesse e credo che tu non abbia a teme-
re un rifiuto. All’incoraggiamento, per così dire, ufficiale unisco il mio privato, invitandoti
anche a far presto» (AE, fasc. La Penna, f. 6).
11
I verbali del mercoledì, cit., vol. 2, p. 211.
12
AE, fasc. La Penna, f. 15.
13
I verbali del mercoledì, cit., vol. 2, p. 220 (Consiglio editoriale del 28 giugno 1955).
14
Scrive Einaudi: «Si tratta di libri di giovani, che stanno molto bene insieme e che
dall’essere pubblicati a brevissima distanza di tempo l’uno dall’altro, e con la stessa presen-
tazione, acquistano un maggior risalto editoriale e un più preciso significato culturale;
mentre se uscissero disseminati, e forzatamente a intervalli piuttosto lunghi, nelle collane
esistenti, finirebbero per disperdersi nel mucchio con svantaggio di tutti». AE, fasc. Can-
timori, cit. in Luisa Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni Trenta
agli anni Sessanta, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 808, nota 724.
15
I verbali del mercoledì, cit., vol. 2, pp. 110-111 (Consiglio editoriale del 9 giugno 1954).
Sulla «accademizzazione» (e connessi rischi) della casa editrice, «la cui produzione ordi-
naria tendeva sempre più [in questo periodo] a esprimersi nelle consolidate certezze della
cultura accademica, la sola a sfuggire ai veti incrociati, prodotto di conflitti irrisolti», cfr.
Mangoni, Pensare i libri, cit., pp. 806-807.
16
I verbali del mercoledì, cit., vol. 2, p. 433.
17
Qui, cap. 4.
18
Cfr. infra, p. 258, nota 3.
19
Vol. 17, 1961, n. 4 (lug.-ago.), pp. 459-537 (qui, cap. 7).
20
A. La Penna, I giovanissimi e la cultura negli ultimi anni del fascismo, «Società», vol. 2, 1946,
nn. 7-8, pp. 678-690 e vol. 3, 1947, n. 3, pp. 380-405, ora ristampato, con scritti di Antonio
Gramsci, Concetto Marchesi, Carlo Morandi e Luigi Russo e con un’esauriente ricostru-
zione della vicenda, in Arnaldo Marcone, Dopo il fascismo. Antonio La Penna e la questione
giovanile, Della Porta Editori, Pisa 2020 (il testo di La Penna alle pp. 43-110, da cui si cita).
21
Qui, app. A.
22
Qui, cap. 3.
23
Qui, cap. 6.
24
Qui, cap. 5.
25
Osservava La Penna in proposito: «In queste pagine su Fedro presuppongo quel saggio
[La morale della favola esopica come morale delle classi subalterne nell’antichità]: senza tener
conto della tradizione esopica nel suo complesso non si può, ovviamente, interpretare
Fedro. Necessaria sarebbe una discussione sulla tradizione esopica nell’età ellenistica, cioè
sulla tradizione presupposta immediatamente da Fedro» (qui, p. 199, nota 19).
26
Giulio Einaudi a La Penna, 31 marzo 1966: «Ponchiroli mi fa sapere che Lei sarebbe
disposto a prefare la nuova edizione delle Favole di Fedro nella versione del Richelmy,
destinata a comparire col testo a fronte nella “Nuova Universale”. […] Tenga conto che le
pagine introduttive a noi servirebbero per la fine di giugno: e veda in ogni caso di venirci
incontro» (AE, fasc. La Penna, f. 90).
27
Come già ricordato (supra, p. 20), la prefazione è datata dicembre 1966.
28
AE, fasc. La Penna, f. 91.
29
Ivi, f. 92 (21 aprile 1966).
30
La Penna a Ponchiroli, 16 maggio 1966 (ivi, f. 94). La lista dei successivi rinvii, sempre
notificati al «benevolo» Ponchiroli, è martellante: 13 gennaio, 10 marzo, 8 maggio, 25 set-
tembre 1967 (ivi, ff. 96, 102, 106, 108).
31
Ponchiroli a La Penna, 30 novembre 1967: «Ho ricevuto oggi la tua bella prefazione a
Fedro. Te ne ringrazio» (ivi, f. 90).
Caro Bollati,
non è che io abbia scelto deliberatamente la via Muscetta-Cases: gli è che,
avendo negli ultimi tempi visto più volte il Muscetta (mio conterraneo ed
amico) a Firenze, gli ho chiesto consiglio e fatto delle proposte. Non dubita-
vo minimamente del tuo appoggio e ti ringrazio del consenso caloroso, che
spero di non raggelare collo scarso interesse dei miei prodotti. Poiché non so
se Cases ti abbia trasmesso i tre progetti dettagliati, te ne mando una copia.
32
Fedro, Favole, versione di Agostino Richelmy, Einaudi, Torino 1968, p. 319.
33
I verbali del mercoledì, cit., vol. 2, p. 558. Il riferimento al «saggio su Esopo» va ovviamen-
te inteso nel senso di «saggio sulla favola esopica», come risulta da un successivo interven-
to di Franco Venturi al Consiglio del 28 marzo e da una lettera di Bollati a La Penna in
data 17 aprile (cit. infra, p. 29).
34
AE, fasc. La Penna, f. 26 (lettera del 9 marzo 1962).
Come annunciato, alla lettera è allegata copia dei tre progetti, la cui
mancata trasmissione a lui in via prioritaria ha indispettito Bollati:
35
AE, fasc. La Penna, f. 27.
36
In realtà, mai pubblicato.
Terzo progetto
Una traduzione, con breve introduzione, del romanzo di Esopo e delle rac-
colte antiche di favole esopiche, ordinate in modo da evitare, il più possibile,
i doppioni di singole favole. Penso ad una traduzione senza testo, perché l’e-
dizione dei testi greci e latini sarebbe troppo faticosa e costosa e perché non
è richiesta dallo stato attuale degli studi.
Accompagnata da riproduzioni di miniature, la traduzione potrebbe essere
pubblicata in edizione di lusso.
Questo progetto non attira molto me personalmente, ma per la Casa potreb-
be costituire un compenso alla pubblicazione dei due lavori scientifici.
37
In realtà, mai pubblicato.
38
AE, fasc. La Penna, ff. 28-29; ai ff. 30-31, copia dei tre progetti a suo tempo trasmessa a
Cases, sostanzialmente identica, nel contenuto, a quella inviata a Bollati. Uniche varianti:
rispetto al primo progetto, la presenza di una indicazione più precisa circa i tempi di lavo-
razione e consegna («Il libro è pronto: mi occorrono un paio di mesi per i rimaneggiamen-
ti. Conterei di stampare entro l’anno»); rispetto al secondo progetto, un’inversione nell’or-
dine di successione dei capitoli ix-x («ix. La favola nella tarda cultura greca; x. La favola
nella tarda cultura latina»).
39
Cfr. supra, pp. 15-16.
40
Il modello sarà sperimentato da La Penna anche in altri volumi, per esempio in Orazio
e l’ideologia del principato, dove il lungo saggio sulla lirica civile, cuore dell’opera, è accom-
pagnato da altri scritti e appendici su temi e questioni connesse, e in L’integrazione diffici-
le (1977), dove il Profilo di Properzio è completato da una rosa di Esplorazioni diagonali,
«brevi ricerche su problemi singoli, che nell’analisi della prima parte, condotta libro per
libro, non potevano essere messi abbastanza a fuoco» (p. vii).
41
Cfr. infra, pp. 84-88.
Guardando ora al terzo progetto, quello che nel contratto sarà bat-
tezzato Romanzo di Esopo e favole complete, e tenendo l’occhio puntato
alla tipologia editoriale, lo si può pensare come la controparte antologi-
ca di quello saggistico appena considerato: dunque, con i problemi di
interpretazione testuale che vengono in primo piano e sopravanzano
quelli di ricostruzione storica. Aveva riferito Bollati al Consiglio del
16 novembre 1960: «La Penna, a proposito di Esopo, darebbe: il roman-
zo di Esopo, le favole, la favolistica da Fedro alla tarda latinità. Tradur-
rebbe tutto lui»42. Avverte ora cauto La Penna che, come abbiamo visto,43
proprio in questo torno di anni si occupa di critica testuale esopica e ben
conosce lo stato disperante di almeno parte della tradizione manoscritta:
«Penso ad una traduzione senza testo, perché l’edizione dei testi greci e
latini sarebbe troppo faticosa e costosa e perché non è richiesta dallo
stato attuale degli studi». Siamo nel 1962: a questa altezza, oltre che a
edizioni di singoli autori, spesso invecchiate e condotte senza sufficien-
ti preoccupazioni critiche44, La Penna poteva fare riferimento solo agli
Aesopica (1952) di Ben Edwin Perry, che presentano, insieme alla Vita
Aesopi e ad altro materiale documentario, l’intero corpus delle favole
esopiche greche e latine di tradizione antica, tardo-antica, bizantina e
medievale: «opus – sentenzia La Penna – magnae molis non sine auda-
cia inceptum, magna cum constantia et φιλοπονίᾳ perfectum», ma – in
cauda venenum – «il Perry non si è mai distinto per rigore» e «raro
Perryum in corrigendo felicem expertus sum»45. Dunque, stando così le
cose, inevitabile ripiegare su un’edizione divulgativa, con «breve intro-
duzione» e un ordinamento delle favole che permetta di «evitare, il più
possibile, i doppioni»; anzi, «un’edizione di lusso accompagnata da ri-
produzioni di miniature» (un «Millenni»?) che – soggiunge La Penna,
con curiosa sollecitudine per le sorti einaudiane –, pur non attirando
42
Cfr. supra, p. 20.
43
Cfr. supra, pp. 21, 23.
44
Carenti soprattutto l’ed. Westermann della Vita Aesopi (1845), definita dallo stesso La
Penna «non egregia» (qui, p. 96 e cfr. p. 132) e l’ed. Hervieux dei favolisti medievali in
latino (18942), sui cui limiti cfr. infra, p. 338. In ogni caso invecchiata e bisognosa di re-
visione quella di Babrio curata da Crusius (1897); sarà proprio La Penna, in collabora-
zione con Maria Jagoda Luzzatto, a curare nel 1986 la nuova edizione teubneriana dei
Mythiambi.
45
Cfr. infra, pp. 191 e 340.
Caro La Penna,
accettiamo con piacere i tre progetti per i quali ti proponiamo le seguenti
condizioni:
a) Orazio e l’ideologia del principato: anticipo di lire 200 000 a valere su una
percentuale dell’8%;
b) La favola esopica greca e latina: ut supra;
c) Romanzo di Esopo e favole complete: lire 1000 a cartella dattiloscritta di testo
più 400 000 lire per introduzione, eventuali note, indici, eccetera.
Dimmi se sei d’accordo, ed io ti farò mandare i contratti per la firma. […]
Sono molto lieto che si sia finalmente arrivati con te alla fase degli accordi
concreti. Fare gli editori delle opere degli amici è la cosa più piacevole del
nostro lavoro.
Cordialmente47
46
I verbali del mercoledì, cit., vol. 2, p. 570.
47
AE, fasc. La Penna, f. 32.
48
La Penna a Bollati, 29 maggio 1962, ivi, f. 36.
49
Bollati a La Penna, 12 giugno 1962, ivi, f. 37.
50
Per un elenco completo e relativi dati bibliografici si rimanda alla Bibliografia degli
scritti di Antonio La Penna 1943-1994, in A. La Penna, Da Lucrezio a Persio. Saggi, studi,
note, a cura di Mario Citroni, Emanuele Narducci e Alessandro Perutelli, Sansoni, Milano
1995, pp. 350 ss.
51
E inoltre diversi altri progetti, rimasti anche loro sulla carta: un volume di Considerazio-
ni attuali su filologia e storia, forse da identificare con altri due progetti intitolati rispettiva-
mente Considerazioni sulla storia della cultura e Considerazioni sulla storia della cultura clas-
sica e della scuola seguite da due discorsi sull’umanesimo; edizioni delle poesie di Carducci e
delle opere di Cicerone, Cesare e Tacito. Cfr. AE, Inventario, a cura di Sara Anselmo
e altri, 2005, vol. 2, p. 385, ad vocem La Penna.
52
AE, fasc. La Penna, ff. 96-97, 102, 106, 108, 116.
53
Cfr. supra, p. 22.
54
Fedro, Favole, cit., p. xxvi, nota 1. Il riferimento è stato tagliato nella versione del testo
qui ristampata (cfr. infra, p. 199, nota 19).
55
AE, fasc. La Penna, f. 129.
56
La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, cit., p. xi.
57
Qui, pp. 352-354.
58
Ripresa saggistica, naturalmente: nel 1986, infatti, aveva visto la luce l’importante e già
ricordata edizione teubneriana di Babrio, realizzata in collaborazione con Maria Jagoda
Luzzatto e corredata di amplissimi prolegomeni. Cfr. supra, p. 28, nota 44.
59
Qui aggregato al vecchio articolo Letteratura esopica e letteratura assiro-babilonese (1964),
cfr. infra, pp. 128-131.
Qui, p. 90.
60
Così, pochi anni più tardi, lo definirà Delio Cantimori in una lettera a Giulio Einaudi
61
62
Cfr. La Penna, Io e l’antico, cit. pp. 19-20 e 83.
63
Un incontro, però, intriso fin dall’inizio di diffidenza per il marxismo come ideologia e
filosofia della storia, cfr. ivi, p. 34.
64
Ivi, pp. 23-24 e cfr. pp. 25, 32-34.
Senza dubbio nella letteratura greca il mondo più vicino a quello esopico
resta quello contadinesco di Esiodo, con la sua preoccupazione del guadagno,
la sua aridità, la sua angustia: solo che al mondo esopico è estranea la vera e
propria problematica della Dike, la sussunzione e la disciplina dell’utile sotto
il segno della Giustizia divina, che fa di Esiodo la base del pensiero greco. La
gioia della bellezza o l’aspirazione alla bellezza sono estinte sul nascere dal
senso dell’utile65.
L’uomo di campagna, come già sappiamo da Esiodo, è tutto chiuso nella sua
economia domestica, tutto preso dalla preoccupazione di crearsi un minimo di
stabilità economica, di alzare un muro contro la miseria sempre incombente.
Su questo terreno non poteva nascere una solidarietà fra gli oppressi: questo
sentimento manca del tutto nella Vita [Aesopi] e quasi del tutto nelle favole:
esso meglio poteva nascere e fiorire, anche se con ben poche conseguenze pra-
tiche per l’ordinamento sociale, nel terreno religioso66.
Quasi mezzo secolo fa, nel saggio La morale della favola esopica come morale
delle classi subalterne nell’antichità [1961], interpretai la favola esopica antica,
greca e latina, come un’analisi della società e delle forze che la dominano:
violenza, astuzia, frode, accortezza e prudenza del più debole per difendersi
dalla violenza e dall’astuzia e sopravvivere. Il debole, cioè il povero, per lo più
viene sconfitto, oppresso o schiacciato; può riuscire, tuttavia, a sottrarsi alla
violenza e all’inganno: ciò che è impossibile è mutare le regole in cui sono
costretti i rapporti sociali, regole che sono come leggi di natura; quindi l’anali-
si razionale dei rapporti sociali portava a una lucida rassegnazione. La filosofia
della favola esopica antica era un materialismo rudimentale, che riteneva im-
mutabile l’ingiustizia della società. Auspicavo, allora, che il socialismo non uto-
pistico moderno, riprendendo e approfondendo quella concezione materiali-
stica, superasse la rassegnazione e liberasse i ceti subalterni dall’ingiustizia,
dall’oppressione, dalla mistificazione. La storia, per ragioni sulle quali qui non
mi propongo di indagare, ha bloccato e cerca di strozzare quella speranza, che,
tuttavia, non è ancora distrutta; ma la mia interpretazione della favola esopica
antica non ha subito cambiamenti rilevanti e resta sostanzialmente immutata67.
67
Contro la rassegnazione esopica, il socialismo, qui, p. 358. Cfr. anche La morale della favola
esopica, § 14, Favola esopica e socialismo scientifico (qui, pp. 330-332); Attualità della morale
esopica, qui, pp. 355-356.
70
Il pensiero di Gramsci, come è ben noto, ha rappresentato per La Penna un interesse e
un punto di riferimento costanti a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta; ancor
prima dell’uscita dell’edizione Einaudi delle Opere, a cura di Felice Platone e Palmiro
Togliatti (Lettere dal carcere, 1947; Quaderni del carcere, 6 voll., 1948-1951), già nel saggio
I giovanissimi e la cultura negli ultimi anni del fascismo (1946-1947, cit. supra, p. 21, nota 20),
La Penna mostra di conoscere il contenuto di alcune analisi gramsciane (si veda in partico-
lare a pp. 98 ss.) su Croce e la cultura borghese italiana: «La lettura e la meditazione di Marx
doveva portare il chiarimento definitivo anche su quella crisi della cultura che noi avvertiva-
mo da lungo tempo e di cui tanto si è discusso recentemente. Gramsci ha messo a fuoco la
cultura crociana come la cultura della borghesia italiana, cultura con prodigiose facoltà di
assimilare e digerire e accomodare nei suoi schemi e smussare tutte le correnti culturali
dell’Ottocento e talvolta del Novecento: la cultura della vecchia borghesia italiana pacifica e
ben educata». Altri cenni nettamente gramsciani sono alle pp. 100-101, ma da p. 107 si capisce
che la conoscenza è ancora solo indiretta (cfr. anche quanto osserva Marcone, Dopo il fasci-
smo, cit., p. 31 e nota 48). Qualcosa tuttavia già allora si sapeva: come ricorda Valentino
Gerratana nella Prefazione all’edizione critica Einaudi dei Quaderni (1975, vol. 1, p. xxxii,
note 1 e 3), una prima descrizione sommaria dei materiali era apparsa in un articolo (non
firmato, ma scritto probabilmente da Togliatti) uscito su «l’Unità» nel 1944, mentre la pri-
ma descrizione analitica si trova nell’intervento di Felice Platone, L’eredità letteraria di
Gramsci. Relazione sui Quaderni del carcere, «Rinascita», a. 2, 1946, n. 4 (a p. 21), pp. 81-90.
Inoltre, è più che possibile una diffusione dei contenuti, se non la circolazione degli scritti
prima della loro pubblicazione, all’interno del gruppo dirigente del Pci, di cui faceva parte
Muscetta, legato a La Penna, come abbiamo visto, da uno stretto vincolo di amicizia.
Sull’importanza della lettura di Gramsci si veda anche quanto La Penna scrive nella Prefa-
zione ad Aspetti del pensiero storico latino, cit., p. xi e in Luigi Capogrossi, Andrea Giardina e
Aldo Schiavone (a cura di), Analisi marxista e società antiche, Editori Riuniti – Istituto
Gramsci, Roma 1978, p. 195. Ancora di recente, a più di settant’anni di distanza dal suo primo
contatto con il pensatore sardo, a proposito della validità teoretica del marxismo, La Penna
osserva: «È immaginabile che ci possa essere, anche abbastanza presto, una rivalutazione
delle componenti meno caduche della teoria marxiana della storia. Sotto questo aspetto
credo che una rilettura del pensiero di Gramsci possa essere importante. L’attualità della
lezione di Gramsci mi sembra innegabile» (Io e l’antico, cit., p. 35).
71
C. Marchesi, La morale della favola, in Id., Voci di antichi, Leonardo, Roma, 1946,
pp. 225-234; il pezzo era uscito in «Mercurio», vol. 2, 1945, nn. 7-8, pp. 91-97 e ancora prima
in «Settegiorni», 9 maggio 1942.
72
Sullo scritto si veda il giudizio di La Penna, Concetto Marchesi. La critica letteraria come
scoperta dell’uomo, con un saggio su Tommaso Fiore, La Nuova Italia, Firenze 1980,
pp. 47-48 (qui, pp. 356-358).
73
Cfr. infra, pp. 41-42.
74
All’uso dell’aggettivo subalterno e alle diverse sfumature di significato che le espressioni
classi e ceti subalterni assumono negli scritti di Gramsci ha dedicato attenzione Guido
Liguori, Tre accezioni di «subalterno» in Gramsci, «Critica marxista», n. 6, 2011, pp. 33-41;
«Classi subalterne» marginali e «classi subalterne» fondamentali in Gramsci, «Critica marxi-
sta», n. 4, 2015, pp. 41-48; Subalterno e subalterni nei «Quaderni del carcere», «International
Gramsci Journal», vol. 2, 2016, n. 1, pp. 89-125 (http://ro.uow.edu.au/gramsci/vol2/iss1/24):
agli studi di Liguori rimando anche per l’immensa bibliografia sul tema; cfr. inoltre
Gianni Francioni e Fabio Frosini, Quaderno 25 (1934- 1935). Nota introduttiva, in Qua-
derni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, a cura di G. F., Istituto dell’Enciclope-
dia Italiana, Roma – L’Unione Sarda, Cagliari 2009, vol. 18, pp. 203-211.
Si può dire che finora il folclore sia stato studiato prevalentemente come
elemento pittoresco […]. Occorrerebbe studiarlo invece come «concezione
del mondo e della vita», implicita in grande misura, di determinati strati
(determinati nel tempo e nello spazio) della società, in contrapposizione
(anch’essa per lo più implicita, meccanica, oggettiva) con le concezioni del
mondo «ufficiali» (o in senso più largo delle parti colte della società storica-
mente determinate) che si sono successe nello sviluppo storico. (Quindi lo
stretto rapporto tra folclore e «senso comune» che è il folclore filosofico).
Concezione del mondo non solo non elaborata e sistematica, perché il popo-
lo (cioè l’insieme delle classi subalterne e strumentali di ogni forma di socie-
tà finora esistita) per definizione non può avere concezioni elaborate, siste-
matiche e politicamente organizzate e centralizzate nel loro sia pur
contraddittorio sviluppo, ma anzi molteplice – non solo nel senso di diverso,
e giustapposto, ma anche nel senso di stratificato dal più grossolano al meno
grossolano – se addirittura non deve parlarsi di un agglomerato indigesto di
frammenti di tutte le concezioni del mondo e della vita che si sono succedu-
te nella storia, della maggior parte delle quali, anzi, solo nel folclore si trova-
no i superstiti documenti mutili e contaminati76.
75
Su questo tema, come su tutto ciò che riguarda Gramsci, la bibliografia è nutritissima;
si veda comunque Giovanni Battista Bronzini, Come nacquero le Osservazioni sul fol-
clore di Gramsci, «Lares», vol. 68, 2002, pp. 195-224; Silvia Pieroni, Antonio Gramsci e il
folclore. I contributi gramsciani allo sviluppo dell’antropologia italiana attraverso «Lettere» e
«Quaderni», «Antrocom», vol. 1, 2005, n. 2, pp. 185-190; Neil Novello, Il sentimento del
folclore. La cultura subalterna nei «Quaderni del carcere», «Rivista di studi italiani», vol. 34,
2016, pp. 133-143.
76
Quaderno 27 (xi), § (1), pp. 2311-2312 (ed. Gerratana, da cui si cita); una prima e ridotta
versione risale alla fine degli anni Venti ed è nel Quaderno 1 (xvi), § 89, pp. 89-90. Tutti
i riferimenti bibliografici si trovano nell’apparato critico di Gerratana, in Gramsci,
Quaderni, cit., vol. 4, p. 3027.
77
Sulla peculiarità della favola esopica e sui limiti entro i quali la si può definire popolare
si sofferma La Penna all’inizio del saggio e in vari passaggi successivi (cap. 7, pp. 262-263,
277). Nelle sue parole si avverte l’eco lontana del dibattito sul mito romantico della lette-
ratura popolare come creazione collettiva a cui anche Pasquali si era mostrato fortemente
ostile in varie osservazioni sparse nei suoi scritti. Il suo antiromanticismo, che si era for-
mato soprattutto a partire dalla questione del primitivismo omerico, era ampiamente con-
diviso alla fine degli anni Venti sia in Italia che in Germania, ma aveva la propria radi-
ce nello storicismo tedesco di primo Novecento piuttosto che in Croce (Sebastiano
Timpanaro, Giorgio Pasquali, «Belfagor», vol. 28, 1973, pp. 195-196 e nota 20 = Storicismo di
Pasquali, in Per Giorgio Pasquali. Studi e testimonianze, a cura di Lanfranco Caretti, Nistri-
Lischi, Pisa 1972, pp. 137-138; il passo è già nel profilo Giorgio Pasquali, in I critici. Storia
monografica della filologia e della critica moderna in Italia, diretta da Gianni Grana, vol. 3,
Marzorati, Milano 1970, pp. 1821-1822). Su queste prese di posizione piuttosto radicali di
Pasquali, La Penna aveva espresso notevoli riserve già all’inizio degli anni Cinquanta: «Io
temo che, come tante volte nel nostro secolo, la scoperta di una verità ne abbia annebbia-
ta un’altra. È vero che la poesia è sempre individuale e non collettiva; ma innanzitutto i
rapporti dell’individuo con la massa variano da civiltà a civiltà e da epoca a epoca; in se-
condo luogo l’élite colta, se trasmette la sua cultura ai ceti più bassi, ne assorbe a sua volta
elementi culturali. […] Le relazioni culturali fra élite colta e ceti inferiori non vanno viste
solo come una cascata dall’alto in basso, ma piuttosto come un circolo» (Lo scrittore stra-
vagante, «Atene e Roma», vol. 2, 1952, p. 229; poi in Per Giorgio Pasquali, cit., pp. 77-78). Se
queste riserve riguardano la poesia, pochi dubbi potevano sussistere sull’essenza popolare
di un genere umile e antichissimo come la favola e in questo la distanza dal maestro è
notevole, dal momento che in qualche occasione la concezione antiromantica di Pasquali
aveva investito anche forme d’arte più umili: si vedano in particolare il ritratto di Dome-
nico Comparetti, «Aegyptus», vol. 8, 1927, nn. 1-2, pp. 117-136, poi in Pagine stravaganti di un
filologo, Carabba, Lanciano 1933, pp. 3-42 (= Pagine stravaganti di un filologo, a cura di Car-
lo Ferdinando Russo, Le Lettere, Firenze 1994, vol. 1, pp. 3-25, in particolare pp. 15-16) e
Congresso e crisi del folklore, «Pegaso», vol. 1, giugno 1929, pp. 750-753, poi in Pagine meno
stravaganti, Sansoni, Firenze 1935, pp. 49-56 (= Pagine stravaganti di un filologo, cit., vol. 1,
pp. 276-280). Sui limiti dell’interpretazione «romantica» di Comparetti e sulla prospettiva
neo-idealistica di Pasquali si vedano anche le osservazioni di Timpanaro, assai vicine a
quelle espresse da La Penna, nel ritratto di Domenico Comparetti, in I critici, cit., vol. 1, 1969,
pp. 496-499 (saggio ristampato in S. Timpanaro, Aspetti e figure della cultura ottocentesca,
Nistri-Lischi, Pisa 1980, cap. 9, pp. 349-370); in particolare, a p. 499 si legge: «L’imposta-
zione generale dei rapporti tra popolare e letterario è nel Pasquali, direi, meno soddisfa-
cente che nel Comparetti. Su questo punto […] Pasquali era troppo influenzato dal neo-
idealismo e troppo tendente, quindi, a riconoscere soltanto un processo a senso unico, di
Così è vero che esiste una «morale del popolo», intesa come un insieme de-
terminato (nel tempo e nello spazio) di massime per la condotta pratica e di
costumi che ne derivano o le hanno prodotte, morale che è strettamente le-
gata, come la superstizione, alle credenze reali religiose: esistono degli impe-
rativi che sono molto più forti, tenaci ed effettuali che non quelli della «mo-
rale» ufficiale. Anche in questa sfera occorre distinguere diversi strati: quelli
fossilizzati che rispecchiano condizioni di vita passata e quindi conservativi e
reazionari, e quelli che sono una serie di innovazioni, spesso creative e pro-
gressive, determinate spontaneamente da forme e condizioni di vita in pro-
cesso di sviluppo e che sono in contraddizione, o solamente diverse, dalla
morale degli strati dirigenti78.
Giusta e utile contro chi ammoderna la storia antica, contro chi assimila le
lotte di classe nell’antichità alla lotta del proletariato industriale moderno
contro la borghesia, la riflessione di Marx minaccia di rendere incomprensi-
bile non poca parte della storia antica (del resto essa è implicitamente supe-
rata dalla storiografia sovietica su Roma antica, che anzi sopravvaluta il peso
utile per capire il testo e non nutre per la biografia il disprezzo oggi di moda» (Io e l’an-
tico, cit., p. 89). Sul rapporto fra biografia e letteratura si vedano anche le riflessioni di
La Penna, Introduzione a Tersite censurato e altri studi di letteratura fra antico e moderno,
Nistri Lischi, Pisa 1991, pp. 26-29.
80
Si vedano le scarne riflessioni sul tema della schiavitù antica nel Quaderno 25 (xxiii),
§ (1), p. 2286, e § (6), p. 2290, su cui cfr. anche Erminio Fonzo, Il mondo antico negli scrit-
ti di Antonio Gramsci, Edizioni Paguro, Mercato San Severino 2019, pp. 103-112; su un
aspetto specifico cfr. infra, p. 44.
81
La morale della favola esopica, qui, p. 326.
82
Cito dall’edizione a cura di Giorgio Giorgetti con traduzione di Palmiro Togliatti, Edi-
tori Riuniti, Roma 2001, p. 40.
83
Pur in assenza di riscontri diretti negli scritti di La Penna si possono ricordare, a titolo
di semplice riferimento, la Storia di Roma [1949] di Sergej I. Kovaliov e il Principato
di Augusto [1949] di Nikolaj A. Maškin, pubblicati entrambi nelle Edizioni Rinascita di
Roma, rispettivamente nel 1953 e nel 1956; dello stesso Maškin nel 1953 era uscita in tradu-
zione tedesca la sua Römische Geschichte [1947] (Volk und Wissen Volkseigener, Berlin).
Certa invece, e databile al più tardi al 1959, la lettura di Der weltanschaulich-politische
Kampf in Rom am Vorabend des Sturzes der Republik [1952] di Sergej L. Utčenko (Akade-
mie-Verlag, Berlin 1956); La Penna ne discute infatti nello studio sulla congiura di Catili-
na, apparso in rivista appunto nel 1959 e quindi rifuso in Sallustio e la «rivoluzione romana»,
cit., pp. 81-82.
84
La morale della favola esopica, qui, p. 326. Sulla questione della formazione del proletariato
antico, sempre partendo dall’esigenza di puntualizzare l’immagine marxiana del proletariato
come piedistallo immobile della classe dominante, La Penna tornerà molti anni dopo, nel
suo intervento pubblicato in Capogrossi, Giardina e Schiavone (a cura di), Analisi marxista
e società antiche, cit., p. 191 (La Penna discute in questa parte del suo contributo la relazione
di Mario Mazza, Marx sulla schiavitù antica. Note di lettura, ivi, pp. 107-145).
85
Il romanzo di Esopo, qui, pp. 171-172.
86
La morale della favola esopica, qui, p. 303.
La favola esopica […] è un passo decisivo nel distacco dalla cultura religiosa
e nell’elaborazione di una cultura laica popolare, […] anzi in questa direzione
essa è, senza dubbio, […] il passo più decisivo prima della sofistica. […] Di
una rivolta antireligiosa, di una critica approfondita della religione e di un
forte soffio illuministico non si può parlare […]. In ogni modo l’interpreta-
zione della realtà umana nelle favole esopiche si pone al di fuori di qualsiasi
interesse religioso: ciò che regola i rapporti umani viene spiegato quasi sem-
pre senza ricorso alla divinità.
Vi si nota [nella favola esopica] uno spirito consono alla polemica contro il
mito che percorse l’età ionica, alla ricerca positiva che è alle radici della scien-
za europea: non per niente […] la prima fioritura greca della favola cade
nell’età ionica. Si è parlato, per quell’età e per la sofistica, di un illuminismo
greco: e quel termine approssimativo, ma significativo, va mantenuto contro
tendenze recenti a sentire in quei secoli solo un affinamento della teologia.
Di un illuminismo esplicito nella favola non sarebbe giusto parlare; ma, in-
somma, in essa vive un rudimentale razionalismo87.
Demistificazione, scoperta della realtà effettuale, valorizzazione di una prudenza
pragmatica che conta generalmente sulle forze dell’uomo e su effetti limitati con-
figurano una sorta di razionalismo empirico e rudimentale materialismo, che, al
di fuori della letteratura esopica, trova pochi riscontri nella cultura antica88.
87
La morale della favola esopica, qui, pp. 263-265 e 274. Sulle «tendenze recenti» della sto-
riografia sul pensiero ionico qui polemicamente chiamate in causa da La Penna e rappre-
sentate in modo esemplare dall’opera classica di Werner Jaeger, La teologia dei primi
pensatori greci [1953], trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1961, cfr. ivi, qui, p. 328.
88
Origine, sviluppo e funzione della favola esopica, qui, p. 88.
89
La morale della favola esopica, qui, p. 328.
L’altra figura di cui nel saggio lapenniano resta una traccia abba-
stanza visibile è, come abbiamo accennato, quella di Concetto Mar-
chesi, personalità controversa e culturalmente rilevante nell’Italia del
dopoguerra a cui La Penna dedicherà nel 1980 uno dei suoi ritratti
90
La morale della favola esopica, qui, pp. 292-293.
91
Ivi, qui, p. 328.
92
Sulla questione si veda comunque il punto di vista critico di Maria Jagoda Luzzatto,
Plutarco, Socrate e l’Esopo di Delfi, «Illinois Classical Studies», vol. 13, 1988, pp. 427-445,
in particolare pp. 437 ss.
93
La Penna, Concetto Marchesi. La critica letteraria come scoperta dell’uomo, cit.
94
Favole esopiche, tradotte da Concetto Marchesi, con tutte le xilografie «deltuppiane», For-
miggini, Roma 1930; quindi, con nuova prefazione, Universale economica, Milano 1951
(= Feltrinelli, Milano 19762, 19833): sul significato della ristampa del 1951 cfr. Luciano Can-
fora, Il sovversivo. Concetto Marchesi e il comunismo italiano, Laterza, Bari-Roma 2019, p. 561.
95
C. Marchesi, Fedro e la favola latina, Vallecchi, Firenze 1923.
96
La Penna, Concetto Marchesi, cit., p. 48: «Gli scritti di Marchesi sulla favola esopica non
danno un’idea piena dell’amore che egli nutriva per questa letteratura: bisogna tener con-
to dell’uso che ne fa nelle sue riflessioni e nelle sue polemiche: il vecchio Esopo poteva
sempre fornire esempi adatti alla sua ironia e al suo sarcasmo». Un caso celebre dell’uso
retorico e polemico di Esopo è la citazione della favola dell’albero e dell’uomo che vuole
fabbricarsi una scure (Zand. 16), nel celebre discorso tenuto da Marchesi all’8° Congresso
del Pci, del 1956, all’indomani dei fatti d’Ungheria: cfr. Canfora, Il sovversivo, cit.,
pp. 896-899. Un altro esempio celebre è citato anche da La Penna, infra, p. 266.
97
Marchesi, La morale della favola, cit. p. 227. La favola richiamata è ovviamente Le rane
che chiedevano un re (44 H.).
98
C. Marchesi, L’animo dell’oppresso, «Vie nuove», vol. 4, 1949, n. 42, p. 12. Può essere
interessante riportare il contesto della citazione: «Nessuno – diceva Catilina ai compa-
gni – può difendere la causa degli oppressi se non sia un oppresso anche lui. Io direi: se
non abbia l’animo dell’oppresso. Io l’avevo, l’animo dell’oppresso, senza averne la rassegna-
zione». Una parte significativa dello scritto, ma senza l’allusione a Catilina, verrà ripresa in
Perché sono comunista, discorso tenuto al Teatro Nuovo di Milano il 5 febbraio 1956 su in-
vito del gruppo milanese «Amici della rivista Rinascita», pubblicato in Id., Umanesimo e
comunismo, Editori Riuniti, Roma 1974, p. 30.
Fedro esalta la sua origine e il suo talento poetico in un’ora di triste risenti-
mento non già contro gl’invidiosi ma contro i maligni interpreti dell’opera
sua, i quali hanno voluto trovare in essa i profili delle loro persone, mentre il
poeta ha voluto esprimere il profilo dell’umanità: colpa della loro mala co-
scienza. Egli vuole esser creduto: se la favola delle bestie contiene la storia
degli uomini, ciò non avviene per colpa sua, ma per la natura stessa di quel
99
Marchesi, La morale della favola, cit. p. 227. La favola è richiamata anche da La Penna,
ma con interpretazione virata in senso opposto rispetto a quella suggerita da Marchesi:
«In questa tematica dei rapporti tra il forte e il debole, tra il potente e l’umile l’ispirazione
politica e sociale non lascia dubbi […]. Il convincimento che la propria condizione non
può essere mutata, che il tentativo di mutarla porta, se mai, al peggio si riferisce esplicita-
mente anche al governo. Su tale convincimento si fonda la celebre favola delle rane che
chiedono un re» (La morale della favola esopica, qui, p. 314).
100
Osserva La Penna, con motto gramsciano, nell’aforisma Attualità della morale esopica:
«La rassegnazione è, come si sa, conclusione frequente ed evidente del rudimentale razio-
nalismo e materialismo esopico: non si può certo affermare che nella favola esopica antica
al pessimismo dell’intelletto si unisca saldamente un ottimismo della volontà» (qui,
p. 355). A chiarimento del contesto, conviene ascoltare la testimonianza di Sebastiano
Timpanaro: «All’inizio degli anni Cinquanta era difficile parlare di pessimismo coi marxisti
italiani, quasi tutti troppo pieni di fiducia storicistica nel progresso umano e troppo ten-
denti, per le loro origini crociane, a disinteressarsi del rapporto uomo-natura. Poche erano le
eccezioni: c’era Antonio La Penna, che, come prima di me era arrivato al marxismo, così
prima di me aveva provato insoddisfazione per un modo troppo generico ed equivoco di
appellarsi allo “storicismo” e all’“umanesimo”» (Sul materialismo, Nistri-Lischi, Pisa 1970,
p. xiv). Qui Timpanaro fa riferimento all’«ottimismo storico-sociale» dei tanti marxisti di
allora, convinti del «comunismo come meta ormai sicura della storia umana».
101
Marchesi, Fedro e la favola latina, cit., pp. 40-41 (corsivo mio); in termini quasi iden-
tici la riflessione tornerà in La morale della favola, cit., pp. 225-226 e nella Storia della lette-
ratura latina, Principato, Milano 19828, vol. 2, p. 84.
102
Cito da C. Marchesi, Il libro di Tersite, con una nota di Luciano Canfora, Sellerio,
Palermo 1993, p. 144. Sulla genesi dello scritto, cfr. Canfora, Il sovversivo, cit., p. 317 e nota 23.
103
È uno dei brani più famosi di Marchesi (citato da Togliatti nell’esordio della celebre
commemorazione tenuta in Parlamento all’indomani della sua morte) pubblicato in L’a-
nimo dell’oppresso, cit., e poi in Perché sono comunista, cit., pp. 29-30 (da cui si cita): «Perché
sono diventato comunista? Altre volte mi è stata fatta questa domanda. È un perché di
anni lontani, che mi riporta alle vendemmie e alle falciature della mia campagna catanese.
Filari e filari di viti dentro un’ampia cerchia di mandorli e di ulivi e un suono di corno che
radunava le vendemmiatrici. Vigilavano i guardiani con mille occhi: ed esse sparivano
curve nel folto dei pampini, da cui rispuntavano colmi canestri ondeggianti su invisibili
teste. All’Ave Maria l’ultimo suono di corno: e la giornata finiva con un segno di croce. Ma
i piedi scalzi dovevano correre per chilometri prima di giungere a notte in un tugurio dove
era il fumo di un lucignolo e quello di una squallida minestra. Queste cose sapevo e vede-
vo; e a giugno mi accadeva più volte di scorgere uomini coperti di stracci avviarsi verso la
piana desolata con un pezzo di pane nella sacca e una cipolla e la bomboletta di vino
inacidito, destinato, secondo il costume, all’uso dei braccianti. Così negli anni della pueri-
zia cresceva in me un rancore sordo verso l’offesa che sentivo mia, che era fatta a me e
gravava su di me come una insensata mostruosità, perché insensate e mostruose mi pare-
vano le ragioni addotte a giustificarla».
104
Sull’«atteggiamento aristocratico-elitistico» di Marchesi ha insistito Canfora, Il sov-
versivo, cit., p. 377, dove è richiamata un’osservazione di La Penna, Concetto Marchesi, cit.
p. 43, a proposito di uno scritto oraziano del 1908 (altri cenni nel ritratto di La Penna alle
pp. 51 e 66-67); cfr. anche S. Timpanaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, «Belfagor»,
vol. 35, 1980, n. 6, pp. 660-661 (in un profilo complessivo tanto antipatizzante nei confron-
ti di Marchesi quanto benigno era stato quello di La Penna). Bisogna anche considerare,
però, che in uomini come Marchesi l’assenza di ogni accondiscendenza nei confronti del-
le masse era compensata dalla fiducia cieca nell’educazione come forza liberatrice, nella
prospettiva della formazione di una coscienza di classe che riscattasse la situazione di
svantaggio originaria.
105
Così La Penna, Concetto Marchesi, cit., p. 51: «Il senso aristocratico della distinzione
spirituale potrà stupire chi pensa al comunismo di Marchesi, ma non stupisce chi conosce
le sue opere. Tuttavia va tenuto presente, io credo, il clima in cui il saggio su Arnobio fu
scritto [Il pessimismo di un apologista cristiano (Arnobio), «Pegaso», vol. 2, 1930, pp. 536-550,
ristampato in Voci di antichi, cit., pp. 159-187]: la resistenza morale degli antifascisti isolati
trovava forza talvolta anche nel disprezzo per il gregge asservito, gregge che non si iden-
tificava con la povera gente».
Lo studio della favola esopica oggi non può non risvegliare problemi etico-
politici attuali. La separazione […] tra la lucidità rassegnata e l’aspirazione
utopistica nelle classi subalterne è superata solo dal socialismo, anzi solo dal
socialismo non utopistico […]106. È grande compito del socialismo eliminare
con l’educazione, oltre le illusioni oltremondane, questa sfiducia, portare le
masse a capire che è venuta l’età in cui esse stesse debbono costruire il loro
assetto economico, sociale, politico, in cui esse cessano di subire la storia e ne
diventano protagoniste: solo la partecipazione diretta e non illusoria allo sta-
to può eliminare la sfiducia nello stato. […] La libertà muore, se non sa
estendersi: il che vuol dire, se non sa sostanziarsi di eguaglianza. Ora in que-
sto suo grande compito di educazione il socialismo non può costruire niente
sulle illusioni oltremondane; ma può ricavare qualche cosa dallo scetticismo
rassegnato [della favola esopica], perché in quello scetticismo c’è pur sempre
un nucleo sano di analisi della realtà sociale, una forza della ragione107.
106
Cfr. anche La morale della favola esopica, qui, p. 327: «Le aspirazioni sociali degli strati
subalterni dell’antichità cercano espressione […] per varie vie utopistiche. La loro menta-
lità presenta così due aspetti inconciliabili: da un lato un’analisi acuta del mondo umano
che porta a un’accettazione passiva dell’oppressione, dall’altra le aspirazioni utopistiche
alla libertà, alla giustizia, all’uguaglianza. L’inesistenza di una prospettiva reale di libera-
zione tenne sempre separati e inconciliabili i due aspetti».
107
Ivi, pp. 331-332. Cfr. anche l’aforisma Contro la rassegnazione esopica, il socialismo, qui, p. 358.
108
La Penna, Concetto Marchesi, cit., p. 48 (qui, pp. 357-358).
109
Cfr. ivi, p. 95.
110
Marchesi, La morale della favola, cit., p. 228; la medesima interpretazione tornerà in
Uomini e bestie nella favola antica, in Id., Divagazioni, Neri Pozza, Venezia 1951, p. 11, un
saggio usato anche, con tagli e una diversa disposizione degli argomenti, come nuova
prefazione alla traduzione di Esopo ripubblicata per i tipi della Colip, Milano 1951 (dal
1976 ristampata nell’Universale economica Feltrinelli).
111
Sul passo e sulla visione «cesarista» del pensiero politico di Marchesi cfr. Canfora,
Il sovversivo, cit. pp. 317-318.
112
«In una favola come questa si sarebbe tentati di sentire una tendenza degli oppressi a
unirsi contro gli oppressori; ma un’interpretazione del genere non è sicura né in questo
caso né in altri» (La Penna, La morale della favola esopica, qui, p. 316).
113
Trad.: «Una volta il Senato deliberò che fosse l’abbigliamento a distinguere gli schiavi
dai liberi; poi risultò chiaro quanto pericoloso fosse se i nostri servi avessero cominciato a
contarci». Viene in mente, anche se i due testi sono ovviamente indipendenti, un appunto
di Gramsci trascritto nel Quaderno 3 (xx), § 99, con il titolo La legge del numero (base psi-
cologica delle manifestazioni pubbliche: processioni, assemblee popolari, ecc.), e quindi ripreso
con aggiunta dell’ultimo periodo nel Quaderno 25 (xxiii), § 6.2, p. 2290, da cui cito:
La lettura di Marchesi può aver fornito qualche altro spunto alla ri-
flessione di La Penna. Il siciliano aveva notato l’assenza dell’amore nel-
la favola, imputandola all’incompatibilità del sentimento con la condi-
zione animalesca: «A proposito di amore. Esso ha scarso rilievo nel
mondo animalesco esopiano: dove manca la passione amorosa»114. La
Penna, cogliendo in prospettiva sociologica l’affinità con il mondo esio-
deo e lo squallore della dimensione lucrativa a cui l’eros viene ridotto,
osserva: «Come il mondo esiodeo, questo esopico non conosce l’amore.
L’amore è una maschera dell’avidità di lucro»115. Marchesi concorre alla
definizione della favola esopica come teatro della lotta per la sopravvi-
venza secondo il principio dell’homo homini lupus: «La favola esopiana
riflette massimamente la lotta dell’uomo contro l’uomo, dell’uno contro
l’uno, in un mondo dove domina l’astuzia e la forza, senza pietà né spe-
ranza: un mondo, dunque, anticristiano e antisociale; dove alla reden-
zione non si giunge né con la fede né con la lotta»116. Una definizione a
cui La Penna dà forma solenne e universale riprendendo a più riprese la
celeberrima metafora animalesca del capitolo xviii del Principe: «La re-
altà effettuale dei rapporti umani così svelata è già per la favola esopica
la realtà della golpe e del lione, dell’astuzia e della forza»; «Questo mon-
do della golpe e del lione non conosce la pietà per il povero e per il de-
bole»; «La favola esopica antica constata con lucidità nella vita umana il
dominio del lione e della golpe, della forza e dell’astuzia»117.
«A Roma gli schiavi non potevano essere riconosciuti esteriormente come tali. Quando un
senatore propose una volta che agli schiavi fosse dato un abito che li distinguesse, il Senato
fu contrario al provvedimento, per timore che gli schiavi divenissero pericolosi qualora po-
tessero rendersi conto del loro grande numero (cfr. Seneca, De clem. I 24 e Tacito,
Annali, IV 27). In questo episodio sono contenute le ragioni politico-psicologiche che deter-
minano una serie di manifestazioni pubbliche: le processioni religiose, i cortei, le assemblee
popolari, le parate di vario genere e anche in parte le elezioni (la partecipazione alle elezioni
di alcuni gruppi) e i plebisciti». L’appunto fa riferimento alla trascrizione di una nota della
Storia economica di Roma di Tenney Frank (Vallecchi, Firenze 1924, p. 147), che si conclude
con i passi citati di Seneca e Tacito. Cfr. Gerratana, Quaderni, cit., vol. 4, Apparato critico,
p. 2910; Fonzo, Il mondo antico negli scritti di Antonio Gramsci, cit., pp. 110-112.
114
Marchesi, Uomini e bestie nella favola antica, cit., p. 12.
115
La Penna, La morale della favola esopica, qui, p. 291.
116
Marchesi, Uomini e bestie nella favola antica, cit., p. 15; uno stralcio di questo brano fu
citato fra l’altro da La Penna, Concetto Marchesi, cit. p. 47 (qui, p. 357).
117
La Penna, La morale della favola esopica, qui, pp. 274, 279 e Attualità della morale esopica,
qui, p. 355.
118
Su questo aspetto del procedere argomentativo di Marchesi cfr. Luciano Canfora,
Il «Marchesi» di La Penna, «Rivista di filologia e di istruzione classica», vol. 109, 1981, p. 236.
119
La Penna, La morale della favola esopica, qui, pp. 274, 303, 263 e 265.
120
Ivi, § 11, La favola come voce delle plebi antiche (qui, pp. 322 ss.).
121
Così recita il sottotitolo del libro di La Penna a lui dedicato.
122
Viene in mente quanto osservava Timpanaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, cit.,
p. 632: «A prima vista, chi conosca Antonio La Penna considererà forse più ovvio e com-
prensibile il distacco nei riguardi di Marchesi che la capacità di adesione e di valutazione
positiva. Gran parte dell’opera di La Penna come studioso della poesia, della cultura, della
società antica nasce da una sintesi (sintesi creativa e originale, non eclettismo né giustap-
posizione) tra la filologia di Wilamowitz, Leo, Norden, Pasquali, mirante a riimmergere
l’opera letteraria nell’ambiente e nella tradizione culturale da cui trasse impulso e alimen-
to, di intendere storicamente, non come pure “illuminazioni” prive di antecedenti, anche i
valori stilistici, formali della poesia, e l’esigenza marxista di collegare i fatti letterario-
culturali e ideologici con la struttura economico-sociale e con le istituzioni e le vicende
politiche (un marxismo, quello del La Penna, tendente a ridurre al minimo l’eredità hege-
liana, ad accentuare l’istanza empirica, senza tuttavia cadere in un empirismo disgregato e
agnosticizzante)». Sul paradosso (l’ennesimo) della coesistenza in Marchesi di una profes-
sione di marxismo militante con l’irrazionalismo di fondo della sua Weltanschauung cfr.
Canfora, Il «Marchesi» di La Penna, cit., pp. 235-236.
123
La Penna, Il romanzo di Esopo, qui, p. 148; cfr. anche La morale della favola esopica, qui,
p. 323.
de’ plebei che servivano agli eroi nella guerra troiana»), come segnala
La Penna, che illumina affinità e differenze tra le due figure che con-
dividono lo sguardo lucido e spietato sulla realtà, ma non l’atteggia-
mento verso l’autorità, che in Esopo è guardingo e attento a evitare
l’attrito, nella ricerca delle migliori strategie per la riduzione del dan-
no: «Tersite è, […] come già […] aveva pensato il Vico, “il primo
demagogo”. Esopo non è demagogo affatto, non è un ribelle: egli in-
vita alla prudenza e all’accettazione; pur conoscendo meglio di Ter-
site l’egoismo e l’iniquità dei grandi, egli non avrebbe affrontato i col-
pi di Ulisse, avrebbe cercato di non causare l’ira di Ulisse»124. Nel
fascino e nell’immedesimazione con una figura antieroica, provocato-
ria e demistificatrice come Tersite si può riconoscere un ultimo moti-
vo di affinità tra il futuro «intellettuale disorganico» e l’autore del Libro
di Tersite. La Penna, la cui attenzione per l’eroe omerico potrebbe es-
sere stata accesa da un articolo di Pasquali pubblicato nel 1940, Omero,
il brutto e il ritratto125, scriverà nella prefazione al suo Tersite censurato:
«Il titolo del libro è preso da uno degli studi raccolti; ma il tema di
quello studio è presente anche in altri che lo precedono […]. L’atten-
zione verso personaggi come Eumolpo e Tersite potrebbe spiegarsi
con la mia biografia intellettuale, ma questo è problema trascurabile»126.
124
La Penna, La morale della favola esopica, qui, p. 325; cfr. p. 323, dove è anche citato il
passo di Vico.
125
G. Pasquali, Omero, il brutto e il ritratto, «Critica d’arte», vol. 5, 1940, pp. 25 ss., quindi
in Id., Terze pagine stravaganti, Sansoni, Firenze 1942, pp. 139 ss. (= Pagine stravaganti di
un filologo, cit., vol. 2, pp. 99-118). Lo scritto è citato da La Penna (La morale della favola
esopica, qui, p. 323, nota 118) che rileva come un cenno a Tersite sarebbe stato appropriato;
ma del plebeo dell’Iliade Pasquali aveva dato un giudizio fortemente limitativo nella voce
Omero dell’Enciclopedia italiana: «Già l’attitudine rispetto alla religione basterebbe a mo-
strare che l’Iliade non è un poema popolare. Si può dire anzi che popolo e plebe per l’Ilia-
de non esistono: il solo plebeo, Tersite (e sarà figura inventata dal poeta, non già traman-
data dalla leggenda), è dipinto a colori tra foschi e ridicoli, ed è introdotto, si direbbe, solo
per farlo maltrattare da Ulisse» (G. Pasquali, Rapsodia sul classico. Contributi all’Enciclo-
pedia italiana, a cura di Fritz Bornmann, Giovanni Pascucci, Sebastiano Timpanaro, Isti-
tuto della Enciclopedia italiana, Roma 1986, p. 172).
126
La Penna, Tersite censurato, cit., p. 9.
Avvertenza editoriale
Gli scritti raccolti in questo volume1 non solo si scaglionano su un arco tem-
porale lungo (il nucleo maggiore risale agli anni Sessanta, con una ripresa
nella prima metà dei Novanta e sporadici interventi nei Settanta), ma rispec-
chiano sollecitazioni culturali e istanze metodologiche diverse: dall’analisi
sociologica d’impianto gramsciano del saggio più antico, quello su La morale
della favola esopica come morale delle classi subalterne nell’antichità (1961), all’a-
nalisi filologica e storica dell’indagine su Il romanzo di Esopo (1962), allo stu-
dio folclorico delle origini remote del genere in Letteratura esopica e letteratu-
ra assiro-babilonese (1964), fino alla presa di distanza (peraltro ancora non
aggressiva) dallo strutturalismo nella recensione-saggio di Nøjgaard, La fable
antique (1966). Del resto, non meno marcata è l’eterogeneità di genere dei
vari scritti, che vanno dal contributo di ricerca, come i già ricordati lavori
sulla Vita Aesopi e le origini mesopotamiche della favolistica esopica, a testi
di presentazione generale, come l’ampia introduzione a Fedro (1968), la «ra-
pida sintesi divulgativa» (p. 90) Le vie della favola esopica dalla Mesopotamia
verso occidente (1994) e il saggio complessivo Origine, sviluppo e funzione della
favola esopica nella cultura antica (1996). Una compresenza di generi che a sua
volta produce inevitabilmente varietà di stili espositivi in funzione dei diver-
si pubblici di destinazione, insieme a un certo numero di (anche estese) so-
vrapposizioni di contenuto e formulazione tra un testo e l’altro. In altre pa-
role, i materiali inclusi nella raccolta fanno sì, nel loro insieme, libro, ma non
quella storia organica della favola esopica greca e latina cui, come abbiamo
1
In quanto non pertinenti con la tematica esopica vera e propria, sono stati esclusi soltan-
to una breve nota su Virgilio fonte di La Fontaine (in Marginalia, «Maia», vol. 7, 1955,
pp. 142-143) e il contributo Una favola esopica e l’interpretazione di Catullo 96, apparso in
«Studi italiani di filologia classica», ser. 3, vol. 15 (a. 90), n. 2, 1997, pp. 246-249. Escluse per
il loro carattere strettamente filologico anche le sezioni a firma di La Penna incluse nei
prolegomeni all’edizione teubneriana di Babrio (1986) realizzata in collaborazione con
Maria Jagoda Luzzatto (pp. vi-xxii: 1. De Babrii nomine atque aetate, 2. De Babrii fabula-
rum origine et cognationibus).
visto, La Penna pensava già nei primissimi anni Cinquanta e a cui tornava a
fare riferimento, alla metà dei Novanta, in Le vie della favola esopica (p. 33).
Così stando le cose, e nell’ovvia impossibilità di mettere mano a un rim-
pasto radicale degli scritti nella pretesa di trasformarli in capitoli di un’opera
unitaria, va da sé che ai curatori non restava che riprodurli nella loro forma
originale, ripetizioni comprese, unicamente con gli indispensabili interventi
di carattere editoriale, atti a dare uniformità e coerenza formale alla trattazio-
ne lungo tutto il corso del libro. Ci si è dunque limitati all’unificazione dei
criteri redazionali dei vari contributi – come detto, disparati per carattere e
provenienza –, alla omogeneizzazione del sistema dei riferimenti bibliografi-
ci (sia delle fonti primarie che della letteratura secondaria) e al completamen-
to di alcune indicazioni date nell’originale in forma sommaria. In particolare,
nei riferimenti alle favole esopiche, ci si è conformati di norma al testo e alla
numerazione del Corpus Fabularum Aesopicarum di Hausrath. Solo nel capi-
tolo 6 (cfr. p. 240, nota 2) e nei rari casi in cui la redazione citata da La Pen-
na non era inclusa nel Corpus, si è rimandato all’edizione Chambry o agli
Aesopica di Perry. A ogni modo, per comodità di riscontro, nell’Indice delle
favole si è data la corrispondenza tra le numerazioni di tutte e tre le edizioni.
Per riparare in qualche misura alla cicatrice della mancata organicità
dell’opera, è parso opportuno evitare di disporre gli scritti in sequenza crono-
logica secondo la data di pubblicazione – una soluzione più adatta a una
raccolta di contributi di argomento eterogeneo e di carattere specialistico – e
attenersi all’ordinamento storico-tematico seguito da La Penna, da un lato
nel saggio di introduzione generale alla favola esopica, con cui si apre il vo-
lume e che segna il punto terminale della sua ricerca in questo campo, e
dall’altro nei due progetti einaudiani già discussi2, in cui, come abbiamo visto,
il discorso si articola secondo una struttura ternaria: interpretazione del signi-
ficato culturale e sociale della favola esopica come «razionalismo popolare» e
«morale delle classi subalterne»; ricostruzione storica delle varie fasi dello
sviluppo del genere esopico dalle sue origini mesopotamiche fino alla tarda
antichità e nel Medioevo; vaglio critico di problemi specifici, marginali ri-
spetto all’asse centrale della trattazione. Certo, basta un’occhiata all’indice
della raccolta per toccare con mano lo stato effettivo dei pieni e dei vuoti. Se
sul fronte dell’analisi critica il momento dell’interpretazione sociologico-an-
tropologica della «filosofia» esopica risulta illuminato di vivida luce ed è al-
meno messa a fuoco la questione della tipologia e delle strutture compositive
della narrazione, ben diversamente stanno le cose all’interno del quadro sto-
rico delineato: qui, di fatto, le uniche presenze oggetto di indagine approfon-
2
Cfr. supra, pp. 15-16 e 24.
3
Precisamente: «la favola esopica nella cultura ionica e attica», «la favola esopica fra dia-
triba e retorica», «la favola latina prima di Fedro», «Babrio», «la favola nella tarda cultura
latina e greca» e «la favola latina medievale e umanistica».
Tradizione esopica
Ben Edwin Perry, Aesopica. A series of texts relating to Aesop or ascribed to
him or closely connected with the literary tradition that bears his name, col-
lected and critically edited with a commentary and historical essay, I, Univer-
sity of Illinois Press, Urbana 1952 (abbr.: P.).
Oltre al corpus delle favole esopiche greche e latine di tradizione antica,
tardo-antica, bizantina e medievale (per Esopo viene presentata la recensione
Augustana), l’opera contiene: la Vita Aesopi nelle redazioni W e G (quest’ul-
tima in editio princeps) (Vita); le testimonianze antiche su Esopo e le favole
esopiche (Test.); i detti sentenziosi (Sent.) e i proverbi (Prov.) attribuiti al
medesimo Esopo. In particolare si fa riferimento a questa edizione e alla sua
numerazione per i progymnasmata dei retori (Ermogene, Pseudo-Dositeo,
Aftonio), i tetrastici giambici di Ignazio Diacono e dei suoi imitatori, la rac-
colta di Sintipa, le parafrasi prosastiche fedriane del Romulus e di Ademaro,
le favole latine medievali, nonché per le favole tratte dalle raccolte anonime e
pseudonime e per le narrazioni riprese da diversi autori.
Esopo
Aesopi fabulae, recensuit Aemilius Chambry, I-II, «Collection des Universités
de France», Belles Lettres, Paris 1925-1926, con presentazione di tutte le re-
dazioni di ogni favola (abbr.: Ch.).
Editio minor, con scelta di una sola redazione per ogni favola e numera-
zione leggermente diversa: Ésope, Fables, texte établi et traduit par Émile
Chambry, Les Belles Lettres, Paris 1927 (abbr.: Ch.2).
Aftonio, Sintipa), ma non tutte le diverse redazioni di una stessa favola ripor-
tate nell’ed. Chambry.
Babrio
Babrii Fabulae Aesopeae, recognovit, prolegomenis et indicibus instruxit Otto
Crusius. Accedunt fabularum dactylicarum et iambicarum reliquiae. Ignatii
et aliorum tetrasticha iambica recensita a Carlo Friderico Mueller, «Biblio-
theca scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana», Lipsiae 1897.
Si fa riferimento a questa edizione e alla sua numerazione per le favole
dattiliche e giambiche e le parafrasi in prosa (nn. 145-254; abbr.: Crus.) non
comprese nell’ed. Luzzatto – La Penna cit. subito sotto, nonché per i tetra-
stici giambici di Ignazio Diacono e dei suoi imitatori (abbr.: M.).
Fedro
Babrius and Phaedrus, newly edited and translated into English, together
with an historical introduction and a comprehensive survey of Greek and
Latin fables in the Aesopic tradition by Ben Edwin Perry, «Loeb Classical
Library», Harvard University Press, Cambridge (MA) 1965.
Phaedrus solutus, vel Phaedri fabulae novae xxx, quas fabulas prosarias
Phaedro vindicavit, recensuit metrumque restituit Carolus Zander, «Acta
Societatis humaniorum litterarum Lundensis», Lund 1921 (abbr.: Zand.).
Aviano
Fabulae Aviani, recensuit Antonius Guaglianone, «Corpus scriptorum Lati-
norum Paravianum», Augustae Taurinorum 1958.
Altre abbreviazioni
CGL
Corpus Glossariorum Latinorum, a Gustavo Loewe incohatum
[…] composuit, recensuit, edidit Georgius Goetz, I-VIII, Teubner,
Lipsiae 1888-1923 (rist. anast. Hakkert, Amsterdam 1965), III,
Hermeneumata pseudodositheana…, 1892.
CIL
Corpus Inscriptionum Latinarum, I-XVII, consilio et auctoritate
Academiae Litterarum Regiae Borussicae edidit Theodorus
Mommsen et alii, Berolini 1863-.
CPG
Corpus Paroemiographorum Graecorum, ediderunt E. L. a Leutsch
et F. G. Schneidewin, I-II, Vandenhoeck-Ruprecht, Gottingae
1839-1851 (rist. anast. Olms, Hildesheim 1965), I, Zenobius, Dio-
genianus, Plutarchus, Gregorius Cyprius cum Appendice Prover-
biorum, 1839.
DK Hermann Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker. Griechish und
Deutch, sechste verbesserte Auflage herausgegeben von Walther
Kranz, I-III, Weidmann, Berlin 1951-1952.
FGrHist
Felix Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, I-XVI,
Weidmann, Berlin 1923-1958.
FHG
Fragmenta Historicorum Graecorum, collegit, disposuit, notis et
prolegomenis illustravit, indicibus instruxit Carolus Mullerus,
I-V, Didot, Parisiis 1841-1873.
PG Patrologiae Graecae cursus completus, Parisiis 1857-1866, XXXVII
3, Gregorii Theologi opera quae extant omnia, accurante denuo et
recognoscente J.-P. Migne, 1862.
RE
Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft. Neue
Bearbeitung, herausgegeben von Georg Wissowa und andere,
Metzler-Duckenmüller, Stuttgart 1893-1972.
Rhet. Gr. Spengel Rhetores Graeci, ex recognitione Leonardi Spengel, I-III,
«Bibliotheca scriptorum Graecorum et Romanorum Teubne-
riana», Lipsiae 1853-1856 (rist. anast. Minerva, Frankfurt am
Main 1966).
Rhet. Gr. Walz Rhetores Graeci, emendatiores et auctiores edidit, suis
aliorumque annotationibus instruxit indices locupletissimos
Christianus Walz, I-IX, Cotta, Stuttgartiae et Tubingae 1832-
1836 (rist. anast. Zeller, Osnabrück 1968).
La favola antica
Esopo e la sapienza degli schiavi
Capitolo 1
Fino a meno di un secolo fa, fino a grandi storici della letteratura e del
pensiero greco come Wilamowitz e Jaeger, rimase vigoroso il culto,
risalente all’antichità, della cultura greca come autoctona, cioè come
nata e sviluppatasi, almeno prima dell’età ellenistica, quasi interamen-
te dalla Grecia stessa, senza influenze significative di altre culture; tale
visione oggi non è rovesciata, ma certo modificata in misura non tra-
scurabile: senza nulla togliere all’originalità della cultura greca, si sa
che anche prima dell’età ellenistica i Greci non poco assorbirono, spe-
cialmente nelle arti figurative e nella religione, da popoli stranieri, so-
prattutto del Vicino Oriente. Proprio la favola esopica, benché prenda
il nome da un «saggio» dell’età ionica, è un genere di letteratura che ha
le sue radici fuori della Grecia.
Ancora un secolo fa al centro dell’attenzione erano i rapporti tra la
favola esopica greca e l’analoga favola indiana, presente specialmente
nella raccolta di racconti intitolata Pañcatantra («I cinque libri»); oggi
la prospettiva è del tutto mutata: è dimostrato che i primi esempi di
quel genere di letteratura la cultura greca li conobbe, nell’età ionica,
dalla cultura dell’Asia Minore e che in quella parte del mondo le ori-
gini risalgono fino alla cultura dei Sumeri, ereditata e continuata dalla
cultura babilonese e assira: quella direzione, del resto, era indicata già
da alcune, sia pur rare, testimonianze antiche2.
1
[Introduzione a Esopo, Favole, a cura di Cecilia Benedetti, Mondadori, Milano 1996,
pp. vii-xxxv; quindi in La favola antica, a cura di Cecilia Benedetti (Esopo) e Fernando
Solinas (Fedro), «Meridiani (I Classici Collezione)», Mondadori, Milano 2007, pp. 3-31].
2
Per un primo orientamento su questi problemi mi permetto di rimandare a due miei
studi: Letteratura esopica e letteratura assiro-babilonese (qui, cap. 3); Le vie della favola esopi-
ca dalla Mesopotamia verso occidente (qui, cap. 2); ma soprattutto rimando alla bibliografia
I casi di favole che noi collochiamo nel genere esopico sono ormai
numerosi nei testi in scrittura cuneiforme scoperti nella Mesopotamia;
in alcuni di essi si sono trovate favole poi diffuse nella cultura greca.
Da circa mezzo secolo (e forse anche prima) si sa che risale a un rac-
conto babilonese una delle favole esopiche greche più antiche, quella
dell’aquila e della volpe, narrata già da Archiloco. L’aquila e la volpe si
mettono in società; probabilmente il patto viene sancito da un giura-
mento per Zeus. L’aquila, tradendo il patto, rapisce i cuccioli della
volpe e li dà in pasto ai suoi aquilotti. Dai frammenti di Archiloco il
racconto non riesce del tutto chiaro; comunque, con l’aiuto di Zeus, la
volpe riesce a ottenere giustizia: da un altare di Zeus l’aquila ruba un
pezzo di carne, ma alla carne resta attaccata un po’ di brace; il fuoco si
appicca al nido, gli aquilotti cascano giù, e ora è la volpe a cibarsi dei
figli dell’empia nemica. Press’a poco lo stesso racconto, e ancora più
dettagliato, ricorre in un poemetto epico babilonese, in cui si narra
come l’eroe Etana tentò di salire al cielo montato su un’aquila: i con-
tendenti sono qui l’aquila e il serpente, che in Grecia è stato sostituito
dalla volpe; anche qui il serpente si vendica seguendo i consigli di
Shamash, il dio Sole, che tutto vede e garantisce la giustizia. In un’al-
tra favola babilonese la mosca si posa sull’elefante e gli chiede: «Fratel-
lo, ti ho affaticato con il mio peso? Vicino all’abbeveratoio volerò via!».
Risponde l’elefante: «Che tu ti fossi posata su di me, non m’ero nep-
pure accorto». La stessa favola si ritrova in Babrio (84), solo che alla
mosca viene sostituita la zanzara, all’elefante il toro, animale familiare
nel mondo greco; naturalmente la morale è la stessa, cioè la satira con-
tro chi si dà importanza e in realtà non conta niente. In una favola
sumerica compresa in una collezione «retorica», cioè in una collezione
di testi usati come esercizi nelle scuole babilonesi (un po’ come, fino a
poco tempo fa, Fedro veniva usato nelle nostre scuole per imparare il
latino), troviamo un leone che, acchiappata una capra, si lascia persua-
dere a liberarla, perché la capra gli promette di offrirgli una grassa
pecora; tornata, però, nel suo recinto e messasi al sicuro, non mantiene
la sua promessa e irride la stoltezza del leone. Da questa favola, secon-
do me, deriva una favola greca (Esopo 137 H.): la narrazione è molto
ivi indicata, alla quale aggiungo qui Fr. R. Adrados, El tema del águila de la épica acadia a
Esquilo, «Emerita», vol. 32, 1964, pp. 267-282.
3
I testi a cui mi riferisco, scoperti nel 1983 e nel 1985, sono stati pubblicati e interpretati
da Erich Neu, Das Hurritische. Eine altorientalische Sprache in neuem Licht, «Abhandlun-
gen der Mainz Akademie der Wissenschaften und der Literatur», 3, Stuttgart 1988, e
ripubblicati da Heinrich Otten e Christel Rüster, Keilschrifttexte aus Boğazköy,
fasc. 32, Berlin 1990. Ringrazio Ruggero Stefanini per la segnalazione. L’interpretazione
dei testi presenta qua e là difficoltà gravi e non è sempre sicura.
4
Cfr. il mio studio Le vie della favola esopica, pp. 178-179 ss. (qui, pp. 105-106).
passaggio sia inverso. Non bisogna però credere che tutta la favola
«esopica» sia nata nell’area mesopotamica: non solo in India, ma anche
in Cina e in altre parti del mondo, racconti con personaggi animali
possono essere stati usati a fini gnomici: la monogenesi non sarebbe
ipotesi convincente.
Ora ai re, per quanto saggi essi siano, racconterò una favola. Così lo sparvie-
ro disse all’usignuolo dal collo variopinto, portandolo, dopo averlo ghermito
con i suoi artigli, molto in alto fra le nuvole: quello, trafitto dagli artigli ricur-
vi, gemeva; e a lui lo sparviero parlò con superba violenza: «Sciagurato, perché
gridi? Sei in potere di uno molto più forte di te: tu andrai esattamente dove
io vorrò menarti, anche se sei un cantore; farò di te il mio pasto, se vorrò, o
ti lascerò libero. Stolto chi vuole resistere ai più forti di lui: non ottiene vit-
toria e oltre la vergogna patisce il dolore». Così disse lo sparviero dal rapido
volo, l’uccello dalle lunghe ali spiegate.
lare. Nel testo di Esiodo troviamo anche la struttura narrativa più co-
mune e più caratteristica della favola «esopica», cioè il contrasto-dialogo
fra due personaggi animali (o anche provenienti dal mondo vegetale), di
cui uno enuncia (esplicitamente o implicitamente) la «morale».
Ha la stessa ispirazione, ma è svolta con arte più fine, la favola
dell’aquila e della volpe in Archiloco (anche qui il termine per indi-
care la favola è αἶνος); ma al grande lirico di Paro la favola serve
anche per irridere la stoltezza degli uomini e per svelare la realtà
sotto le illusioni e la vanagloria. In un epodo di cui conserviamo tre
frammenti (81-83 D.) vediamo la scimmia che si aggira solitaria e,
incontrata la volpe, vanta la nobiltà del proprio casato; «basta guar-
darti le natiche!» risponde la volpe. Dunque l’αἶνος ha, tra le altre
funzioni, quella di demistificare: un compito tra i più caratteristici
della futura favola esopica. È difficile, invece, avere la certezza che
Archiloco narrasse un’altra favola sulla volpe, che troviamo svolta
con ricchezza di dettagli da Babrio (95): la volpe, solleticando la va-
nità del cervo, facendogli credere che il vecchio leone malato voglia
nominarlo suo successore come re degli animali, lo induce ad acco-
starsi al letto del leone, che lo sbrana e lo divora. Comunque al tem-
po di Archiloco, cioè nel VII secolo a. C., la volpe è già il personag-
gio più familiare nel mondo della favola gnomica.
Che la favola venga usata non raramente nella riflessione morale
greca del VII e VI secolo a. C., è dimostrato da accenni di Solone,
Semonide di Amorgo, Teognide. Nel pensiero antico la morale si con-
fonde con la politica, e anche nella lotta politica, fra demos e nobiltà,
fra demos e tirannia, la favola viene usata talvolta come arma opportu-
na: per esempio, sappiamo dalla Retorica di Aristotele (II 20) che il
poeta Stesicoro (104 Page), per ammonire i suoi concittadini di Imera
a non accettare la protezione del tiranno Falaride, raccontò la favola,
divenuta poi famosa, del cavallo, del cervo e dell’uomo: il cavallo, per
cacciare il cervo dal pascolo, si allea con l’uomo, si fa cavalcare e poi
resta schiavo del suo alleato.
Questi usi della favola si ritrovano anche nella cultura attica del
V secolo a. C. Nella tragedia, però, l’uso è molto raro: di favole con
personaggi animali si può segnalare un solo esempio, che ricorre in
un frammento dei Mirmidoni di Eschilo (139 Nauck): l’aquila con-
stata amaramente di essere stata ferita da una freccia fatta con una
penna dell’aquila stessa (la stessa morale della favola in cui l’albero
viene tagliato con la scure fatta del suo stesso legno). L’uso politico
della favola si può ricavare, come abbiamo visto, dalla Retorica di
Aristotele, che prende gli esempi da tempi di lui più antichi: nello
stesso passo in cui cita la favola di Stesicoro contro il tiranno, ne cita
un’altra, adattabile a molte epoche, contro i politicanti avidi, che è
meglio sopportare per evitare guai anche peggiori: una volpe, attra-
versando un fiume, è spinta dalla forte corrente in un anfratto diru-
pato, da cui non può tirarsi fuori; le zecche la coprono e le succhiano
il sangue; capita là un riccio e, impietosito, si offre di liberarla dalle
zecche: «Ti prego di no» risponde la volpe. «Queste qui sono già
rimpinzate e succhiano poco; se togli queste, verranno altre ancora
affamate».
In luce diversa, con funzione diversa appare la favola esopica nelle
vive testimonianze del grande poeta comico Aristofane. Egli conosce
favole già narrate da Archiloco, come quella dell’aquila e della vol-
pe (Uccelli 652-654) e quella della volpe e della scimmia vanagloriosa
(Acarnesi 120-121), e accenna anche ad altre: per esempio, alla favola del-
la guerra fra l’aquila e lo scarafaggio, dove lo scarafaggio vola in cielo fino
a Zeus (Pace 127-130), e a una, che forse non ci è conservata, in cui per-
sonaggi erano il topo e la donnola (Vespe 1181-1182). Il commediografo
non narra le favole, ma le richiama per accenni: si tratta, dunque, di
racconti ben noti al pubblico a cui si rivolge; del resto a proposito della
favola del topo e della donnola dice esplicitamente che si tratta di una di
quelle storielle comunemente raccontate nelle case. Nell’uso di Aristo-
fane il sapore ludico prevale nettamente su quello gnomico e c’è ragio-
ne di credere che ciò non sia dovuto solo all’assimilazione da parte del
poeta comico: già nelle case degli ateniesi e negli incontri della gente
fuori di casa le favole si raccontavano per divertimento, mescolate con
altri aneddoti e specialmente con motti di spirito.
Mentre Esopo tornava una sera da cena, una cagna sfrontata e ubriaca gli
abbaiò contro. Allora le disse: «Cagna, cagna, se, per Zeus, invece della tua
cattiva lingua, tu comprassi da qualche parte del frumento, credo che saresti
molto più saggia».
Storielle del genere, il cui sale era nelle battute spiritose, si raccon-
tavano per divertimento anche nei conviti (Vespe 1259-1262). Di Esopo
Aristofane conosceva anche vicende biografiche: accenna, infatti,
all’accusa, che gli abitanti di Delfi gli mossero, di aver rubato un vaso
appartenente ad Apollo e al modo in cui Esopo li ammonì, raccontan-
do la favola dell’aquila e dello scarafaggio (Vespe 1446-1448). Da un
altro passo (Uccelli 471 ss.) si è voluto anche ricavare che Aristofane
conoscesse una biografia scritta di Esopo, in cui erano inserite alcune
favole come narrate in determinate occasioni: l’interpretazione non è
assurda ma, tuttavia, la formulazione non è abbastanza chiara da ri-
chiedere il riferimento a opera scritta: a rigore se ne ricava solo la fre-
quente pratica di narrazioni esopiche, che potrebbero anche essere
trasmesse solo oralmente.
Comunque nell’Atene del V secolo a. C. si parlava di Esopo come
di un personaggio realmente esistito. Non ci sono ragioni decisive per
negarne la realtà storica (anche se la negava, per esempio, Vico, che
vedeva in Esopo una figura-simbolo analoga a quella di Omero e a essa
contrapposta: il simbolo, cioè, della saggezza plebea); ma ben presto,
e poi sempre più nei secoli seguenti, gli sono stati attribuiti caratteri e
azioni che non hanno fondamento storico: Esopo, sia o no realmente
esistito, divenne presto un simbolo.
Erodoto, uno dei più importanti mediatori fra la cultura ionica e la
cultura attica, attingendo probabilmente da tradizioni locali dell’isola
di Samo, conosceva Esopo come schiavo, a Samo, di un certo Iadmo-
ne (in altre fonti Idmone) e lo collocava nel tempo di Saffo (cioè dal-
la fine del VII alla prima metà del VI secolo a. C.); un erudito del
III secolo a. C., Eraclide Pontico, indicava Xanto come primo padrone
5
Qui e in seguito, per quanto riguarda la figura di Esopo, attingo dal mio studio
Il romanzo di Esopo (qui, cap. 4); ora si possono vedere gli studi di vari autori raccol-
ti da N. Holzberg in Der Äsop-Roman. Motivgeschichte und Erzählstruktur, Tübin-
gen 1992.
dal 681 al 669 a. C.). Egli adottò come figlio un suo nipote, ma questi,
di indole malvagia, calunniò il padre adottivo presso il re; Ah.īqār fu
condannato a morte, ma l’ufficiale incaricato dell’esecuzione, ricono-
scente per i benefici ricevuti, gli risparmiò la vita e lo nascose con cura
(motivo, come si sa, diffuso nelle fiabe di molti paesi). Poco dopo il re
di Babilonia si trovò in grave difficoltà, perché ricevette una sfida dal
faraone d’Egitto; la guerra, però, si combatteva senza spargimento di
sangue: consisteva in una gara di indovinelli, al termine della quale il
vinto doveva pagare un tributo al vincitore. Il re di Babilonia è dispe-
rato, ma l’ufficiale gli rivela che il sapiente Ah.īqār è vivo e che può
affrontare tranquillamente la sfida. Il figlio adottivo viene condannato
per la sua calunnia, ma il padre ottiene che egli non venga ucciso. Il
racconto ha, sì, un suo fascino per l’intreccio fantastico, ma ancora più
serve da cornice a due prediche, a due serie di precetti: l’una tenuta
quando il figlio viene introdotto a corte, l’altra, molto aspra, dopo che
il figlio è stato condannato (ma in alcune redazioni le prediche si ridu-
cono a una sola e la collocazione varia); il malvagio calunniatore,
schiacciato dall’ultima predica, muore. Nella serie di precetti compa-
iono, almeno in alcune redazioni, anche favole «esopiche».
Di questo «romanzo» erano note nell’Ottocento varie redazioni,
risalenti al basso Medioevo, in diverse lingue (siriaca, armena, turca,
slava, etiopica), ma gli studiosi congetturarono, anche in base al con-
fronto con la Vita Aesopi, che dovevano esserci redazioni molto anti-
che; frammenti di una di queste, in lingua aramaica, furono scoper-
ti all’inizio del nostro secolo su un papiro in una colonia ebraica di
Elefantina, in Egitto, e pubblicati nel 1907; il papiro viene datato al
V secolo a. C.; è molto probabile, dato il contenuto e l’onomastica, che
la prima redazione fosse in accadico (risalisse, cioè, alla cultura babilo-
nese). Ora, tutta la parte della biografia di Esopo che narra le vicende
del «sapiente» alla corte del re Licurgo si può considerare una redazio-
ne greca del «romanzo» di Ah.īqār.
La Vita Aesopi è, dunque, un conglomerato di vari elementi, alcuni
dei quali risalenti fino al VI secolo a. C., altri aggiunti in età ellenistica,
altri, infine, all’inizio dell’età imperiale romana. Delle varie redazioni
correnti nell’antichità due, molto affini tra loro, ci sono state conser-
vate quasi intere: l’una già nota da secoli e pubblicata nell’Ottocento,
l’altra scoperta in un codice di Grottaferrata, che, dopo essere scom-
Anche quelle favolette che, anche se non hanno avuto origine da Esopo (in-
fatti il primo inventore sembra Esiodo), sono tuttavia note soprattutto sotto
il suo nome, influiscono molto sull’animo specialmente di persone rozze e
ignoranti [praecipue rusticorum et imperitorum], che ascoltano più ingenua-
mente i racconti inventati e che, conquistati dal piacere, si lasciano persuade-
re facilmente da ciò che suscita in loro diletto.
deltà alla brevitas, mai rinnegata dal poeta, non è però tale da non
permettere, dopo il primo libro, qualche narrazione più distesa, detta-
gliata, vivace, specialmente in aneddoti con personaggi umani, diversi
dalle favole esopiche vere e proprie. Il ricorso sporadico a tali aneddo-
ti s’inquadra nella tendenza, dichiarata dopo il primo libro, ad accre-
scere la varietà di temi: nel primo libro Fedro dev’essersi servito di una
raccolta di favole esopiche in senso stretto, poi ha cercato di ampliare
l’orizzonte, ricorrendo ad altre fonti e anche ad altri generi di narra-
zione, puntando su una varietà piacevole (II prol. 9 ss.). Comunque le
qualità migliori di Fedro, vivacità e naturalezza nello sviluppo dell’a-
zione, senza interesse accentuato per la descrizione, e particolare feli-
cità nel dialogo, si manifestano già chiaramente nel primo libro.
Con la scelta della brevitas ben si accorda lo stile. Questo coincide
con quello che vediamo operante anche nella favolistica greca in prosa,
cioè con la scelta dello stile semplice (ἀφελής, ἁπλοῦς) e chiaro (σαφής);
ma Fedro deve di più a uno dei filoni stilistici della poesia latina, quel-
lo che va da Terenzio all’Orazio del sermo: lingua e stile sono vicini, sì,
all’uso quotidiano, ma all’uso delle persone colte (vale a dire che c’è una
scelta netta in favore dell’urbanitas); su questo fondo l’arte, ispirata
dalla saggezza e dalla misura, opera per evitare fiacchezza e prolissità
e per tessere una narrazione e un dialogo che si caratterizzino per vi-
vacità mimica, agilità, eleganza.
Fedro, rielaborato stilisticamente con molta libertà, è in Occidente
la fonte principale della favolistica esopica in latino nella tarda antichi-
tà e nel Medioevo, svolta ora in prosa, ora in versi; tuttavia già il
Romulus, una raccolta tardo-antica di favole latine in prosa, contiene
anche materiale non proveniente da Fedro; altro materiale arriverà da
altre fonti nelle raccolte medievali, sino alle favole indiane del Pañca-
tantra, passate attraverso traduzioni arabe. Questa ricca fioritura si
colloca oltre i limiti che ci siamo posti.
Nella cultura greca la prima raccolta di favole esopiche in versi che noi
conosciamo è quella scritta da Babrio. Anche se il nome proviene
dall’Italia, Babrio è uomo di cultura interamente greca: sarà stato di-
scendente di una di quelle famiglie trasferitesi dall’Italia in Oriente
della sua lunga favola sul gracchio che si riveste delle penne di vari
altri uccelli (72):
Una volta Iride, purpurea messaggera del cielo, annunziò agli uccelli che era
indetta una gara di bellezza da tenersi nelle dimore degli dei: l’annunzio fu
subito udito da tutti, e tutti furono presi dal desiderio dei premi divini. Una
fonte sgorgava da una roccia che anche per una capra era difficile a raggiun-
gersi, e l’acqua sotto era raccolta, lucente come l’estate e trasparente; e là ar-
rivarono uccelli di ogni specie, e si lavavano la faccia e le gambe, scuotevano
le zampe, si pettinavano le chiome. A quella fonte arrivò anche un gracchio...
Di due topi l’uno viveva in campagna, l’altro aveva la sua tana nella dispensa
di una ricca famiglia. Decisero di menare vita in comune. Il topo domestico
per primo andò a pranzo nella campagna, che da poco aveva incominciato a
fiorire verdeggiante. Mentre rodeva magre radici di grano, bagnate e mesco-
late con nera zolla, disse: «Tu vivi la vita di una misera formica, mangiando
tenui chicchi nella profondità della terra. Io, invece, ho a disposizione molti
cibi e me ne avanzano: in confronto a te abito nel corno di Amaltea [la dea
dell’abbondanza]. Se venissi con me, scialacquerai come vuoi: lascia che que-
sta terra se la scavino le talpe».
teca del Monte Athos, oggi nella biblioteca del British Museum a
Londra): esse costituiscono solo una parte di un’edizione antica ordi-
nata alfabeticamente (secondo la lettera iniziale di ciascuna favola).
Altre si possono ricavare da parafrasi in prosa, talvolta anche in versi
dodecasillabi bizantini: le parafrasi in prosa devono essere state redat-
te nella tarda antichità, fra il IV e il VI secolo. Per una ventina di fa-
vole possiamo ricostruire frammenti del testo babriano; altre derive-
ranno da Babrio nel contenuto, ma distinguerle completamente dalle
favole di origine diversa non è possibile: non tutte le 148 favole del
codice Bodleiano (XIII sec.), il più importante tra quelli che ci tra-
mandano la parafrasi in prosa, risalgono al favolista siriaco6. Da Babrio
derivano quasi tutte le favole svolte in distici elegiaci, con stile un po’
troppo carico, dal tardo poeta latino Aviano, della fine del IV secolo
(solo per quattro di esse l’origine babriana non è dimostrabile)7.
Nel corso di millenni, cioè fin dalle prime manifestazioni che cono-
sciamo nella cultura sumerica e accadica, la favola esopica è stata svol-
ta in forme artistiche molto diverse, che vanno dalla secchezza del
proverbio fino a narrazioni distese e minute, come quelle icasticamen-
te vivide di Archiloco o quelle morbide e piacevoli di La Fontaine;
meno varie sono le strutture di fondo, in cui prevale il contrasto fra due
personaggi, risolto dalla prevalenza dell’uno sull’altro, con la forza o
l’astuzia o la saggezza, attraverso l’azione e il dialogo o uno solo di
questi due svolgimenti; meno comune è la struttura con tre personag-
gi, di cui il terzo interviene come arbitro o a danno degli altri due o di
uno di essi; non mancano, tuttavia, varie modifiche, che qui non è
possibile seguire8. Press’a poco costante è il metodo di confronto: la
favola esopica è un’allegoria indeterminata, cioè rimanda non a deter-
6
Tutti i problemi relativi alla tradizione di Babrio sono trattati ampiamente e lucidamen-
te nei prolegomeni all’edizione critica teubneriana (1986) da Maria Jagoda Luzzatto.
7
Sui rapporti fra Aviano e Babrio rimando alla mia trattazione nei prolegomeni della
citata edizione teubneriana di Babrio (pp. vi-xxii).
8
Una trattazione ampia, e anche troppo minuta, in M. Nøjgaard, La fable antique, 2 voll.,
Copenhague 1964 e 1967. Sul primo volume cfr. la mia recensione in «Athenaeum», 1966
(qui, cap. 6).
9
Mi servo qui del mio vecchio saggio La morale della favola esopica (qui, cap. 7).
rà ricordare la favola del cervo alla fonte (Esopo 76 H.; Babrio 43;
Fedro I 12) e quella della volpe e del corvo (Fedro I 13; Babrio 77).
La demistificazione rivela la realtà effettuale della società umana,
fatta di rapporti fondati generalmente sulla forza e sull’astuzia. A pro-
posito del dominio della forza tutti conoscono la favola del leone che
fa le parti (Babrio 67; Fedro I 5); ne ricorderò altre due meno note,
anche perché sono attestate fuori delle raccolte di cui ho parlato. Ari-
stotele nella Retorica (III 13, 2, 1284 a) riferisce una favola del filosofo
cinico Antistene: le lepri si riuniscono in assemblea per reclamare
uguaglianza politica e sociale con i leoni; e i leoni: «Signori dai piedi
pelosi, i vostri discorsi mancano di unghie e di denti quali noi abbia-
mo». Ecco l’aneddoto che il raffinato Silla raccontò per far capire ai
nemici sconfitti nelle guerre civili che cosa dovevano aspettarsi (Ap-
piano, Bellum civile I 101): i pidocchi pizzicavano un povero bifolco;
due volte egli interruppe il lavoro e si pulì la camicia; la terza volta, per
non avere troppi fastidi, la bruciò. La realtà dei rapporti sociali, oltre a
essere brutale, è anche complicata, perché non sempre la forza si pre-
senta come tale; a volte vuole giustificarsi come diritto: la favola em-
blematica è, a questo proposito, quella del lupo e dell’agnello, che
Fedro scelse come inizio della sua opera. Lo sparviero di Esiodo ucci-
de l’usignuolo proclamando senza mezzi termini la legge del più forte;
in una favola che forse risale a Fedro (è conservata dal favolista medie-
vale Ademaro, 39 = 567 P.) lo sparviero è più sofisticato e perfido: pro-
mette all’usignuolo che lo risparmierà, se canterà bene; ma l’usignuolo
non canterà mai abbastanza bene da convincere lo sparviero.
Quando la forza manca o non basta, si ricorre all’astuzia: così fa il
leone fingendosi malato e invitando gli animali a entrare nella sua
tana. Ma non inganna la volpe (Esopo 147 H.; Babrio 103): l’astuzia, se
a volte sostituisce la forza, più spesso si oppone alla forza e la supera.
Non starò qui a citare le tante favole in cui la volpe inganna gli scioc-
chi, forti o deboli che siano.
Non sempre la frode e la violenza, la golpe e il lione, hanno succes-
so: può anche accadere che a punirle intervenga la divinità; ma nor-
malmente nel mondo esopico, se forza e frode vengono vanificate e
punite, ciò accade per effetto di altra forza o di altra astuzia: nella fa-
vola risalente a Fedro che ho citato poco fa, lo sparviero, mentre ucci-
de l’usignuolo, viene colpito da un cacciatore; il topo ha già fra i denti
Capitolo 2
1. Culture a contatto
1
[Relazione tenuta al Congresso internazionale AICC (Associazione Italiana di Cultura
Classica), Delegazione valdostana, St. Vincent 17-18 ottobre 1992. Apparsa nei relativi atti:
Vie di comunicazione e incontri di culture dall’antichità al medio evo tra Oriente e Occidente, a
cura di Mariagrazia Vacchina, Assessorato regionale della Pubblica Istruzione, Aosta 1994,
pp. 162-186; quindi in Favolisti latini medievali e umanistici, XIV, a cura di Ferruccio Ber-
tini e Caterina Mordeglia, D.AR.FI.CL.ET., Genova 2009, pp. 9-34, «con ritocchi quasi
solo tipografici» e «due appendici di aggiornamento bibliografico», queste ultime colloca-
te rispettivamente, la prima (Addendum bibliografico 2009) al termine di questo capitolo
(p. 114), la seconda (Postilla 2009) in parte al termine del capitolo 7 (p. 332), in parte
nell’Appendice B (p. 358)].
della letteratura scritta, dei grandi generi letterari come l’epica, il tea-
tro, l’oratoria, la storiografia; ma, rispetto alla diffusione di questa let-
teratura scritta, ha importanza non molto minore la diffusione, più
orale che scritta, di forme varie di narrativa, generalmente in prosa,
più raramente in poesia: fiabe, novelle e altre forme ancora meno de-
finibili. Io darò una breve trattazione sull’origine e la prima diffusione
della favola esopica: ho scelto questo tema perché me ne occupai una
trentina di anni fa e, più sporadicamente, anche in seguito. Per questo
mio intervento ho utilizzato studi già da me pubblicati, ma anche i
risultati di ricerche successive condotte in vista di un progetto, non
ancora realizzato, di una storia della favola esopica nell’antichità greca
e latina. Naturalmente partii da acquisizioni e tentativi anteriori di
altri studiosi, e il debito è riconosciuto nei miei studi; accennerò, ma
senza sistematicità, anche a pubblicazioni più recenti: tutta la mia trat-
tazione vuole avere il carattere di una rapida sintesi divulgativa, non di
un nuovo contributo di ricerca.
2
Das Pantschatantra, Leipzig 1859. Una breve trattazione aggiornata sulla favola indiana
di tipo esopico si trova ora nella comunicazione di G. U. Thite nel volume collettaneo
La fable, a cura di Fr. R. Adrados e O. Reverdin, «Entretiens de la Fondation Hardt»,
30 (Vandœuvres-Genève, 22-27 agosto 1983), Vandœuvres-Genève 1984, pp. 33-53 (discus-
sione nelle pp. 54-60).
3
Indicazioni su tali labilissime congetture sono date da M. Marchianò, L’origine della
favola greca e i suoi rapporti con le favole orientali, Trani 1900, da me utilizzato in Letteratu-
ra esopica e letteratura assiro-babilonese, pp. 24-25 (qui, pp. 115-116).
4
Orientalische Fabeln in griechischem Gewande, «Internationale Wochenschrift für
Wissenschaft Kunst und Technik», vol. 4, 1910, coll. 993-1002.
5
Cfr. Letteratura esopica e letteratura assiro-babilonese, p. 26 (qui, p. 117).
6
Su questo genere di letteratura indicazioni bibliografiche detti in Letteratura esopica e
letteratura assiro-babilonese, cit.; cfr. ora R. S. Falkowitz, Discrimination and Condensation
on Sacred Categories. The Fable in Early Mesopotamian Literature, in Adrados e Reverdin
(a cura di), La fable, cit., pp. 1-24 (discussione alle pp. 25-32).
7
Die babylonische Fabel und ihre Bedeutung für die Literaturgeschichte, Leipzig 1927.