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La comprensione del metodo con cui i Padri della chiesa svilupparono il rapporto

SUPPLEMENTI ADAMANTIUS - ix
SUPPLEMENTI
ADAMANTIUS

con la cultura classica e, più in generale, con il contesto socio-culturale del mondo ix
greco-romano in cui le comunità cristiane si trovavano a vivere, può offrire contri-
buti significativi di riflessione anche per gli uomini del nostro tempo, che, nell’at-
tuale orizzonte di globalizzazione, hanno contatti sempre più ravvicinati e intensi
con tradizioni profondamente diverse. In riferimento all’opera di Christian Gnilka,
angela maria mazzanti (ed.)

A.M. Mazzanti (ed.) - UN METODO PER IL DIALOGO FRA LE CULTURE


che da tempo ha messo in rilievo la centralità del concetto di “retto uso” (chrêsis)
come chiave di volta del metodo patristico, questo volume presenta vari contributi
di studiosi italiani e stranieri che, da differenti prospettive disciplinari, illustrano e
verificano alcuni dei più importanti aspetti di tale fenomeno, mostrando come l’e-
sercizio del discernimento (krisis) permetta ai Padri, alla luce della cognizione della
natura umana, di vincere da una parte la tentazione dell’assimilazione e dall’altra
quella opposta del rifiuto e della chiusura difensiva, per sviluppare invece un fe-
condo dialogo con le culture del loro tempo, valorizzandone in chiave cristiana gli
apporti teorici ed esistenziali.
UN METODO PER IL DIALOGO
FRA LE CULTURE
La chrêsis patristica

Angela Maria Mazzanti, già professore associato di Storia delle religioni presso l’Università
di Bologna, si occupa di tematiche antropologiche e teologiche in ambiti religiosi dell’epoca
immediatamente precedente e successiva agli inizi dell’era cristiana. Ha dedicato particolare
interesse alla letteratura ermetica, al giudaismo della diaspora (più precisamente a Filone di
Alessandria) e ai primi autori cristiani. Fra le numerose pubblicazioni si segnalano le cura-
tele Il logos di Dio e il logos dell’uomo. Concezioni antropologiche nel mondo antico e riflessi
contemporanei (Vita e Pensiero, Milano 2014) e Crisi e rinnovamento tra mondo classico e
cristianesimo antico (BUP, Bologna 2015). È membro del Gruppo Italiano di Ricerca su «Ori-
gene e la tradizione alessandrina», dell’International Association for the History of Religion,
dell’Associazione «Patres» e fa parte del Comitato di Redazione della Rivista «Adamantius».

ISSN 2282-2402
ISBN 978-88-372-3367-9

€ 24,00
Sommario 235

SOMMARIO

Angela Maria Mazzanti, Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5


Christian Gnilka, L’ombra della verità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
Camillo Neri, Il metodo della filologia (ovvero, le regole del gioco). . . . . . . 33
Moreno Morani, Chrêsis per la storia di una radice.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
Alfredo Valvo, Chrêsis e recta ratio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
Leonardo Lugaresi, Paolo e Tertulliano. La sfida della krisis cristiana al
politeismo greco-romano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
Giuliano Chiapparini, Cultura profana, dottrine eterodosse e “chrêsis”.
L’attualità del “vero gnostico” di Clemente Alessandrino. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
Vito Limone, L’uso del concetto di sistema delle scienze in Origene. . . . . . . 95
Jean Paul Lieggi, Per una sintassi della chrêsis. La lezione di Basilio e di
Gregorio Nazianzeno. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
Giovanni Catapano, L’usus christianus dei filosofi nel De Genesi ad litte-
ram di Agostino. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
Johannes Zachhuber, Aristotle in Theodore of Raïthu and Pamphilus the
Theologian. The search for a Chalcedonian philosophy. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
Ilaria Vigorelli, Corifeo e divinizzazione. Esempio di chrêsis patristica
a partire da una metafora. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
Andrea Zauli, La figura di Socrate e l’exemplum Socratis nel Martyrium
Apollonii. Espressione di χρῆσις?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153
Sonja Caterina Calzascia, L’uso di Omero nell’episodio delle nozze di
Cana della Parafrasi di Nonno di Panopoli (2,1-69). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187
Maria Vittoria Cerutti, Usus iustus e religioni. Uno sguardo sulla con-
temporaneità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199

Abstracts dei contributi.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223

Indice degli autori antichi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227

Indice degli autori moderni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229


Camillo Neri

IL METODO DELLA FILOLOGIA


(OVVERO, LE REGOLE DEL GIOCO)*

1. Ofelé fa ’l te mesté, l’invalsa versione milanese del parimenti celebre pro-


verbio latino ne sutor supra crepidam1, non può che risuonare come monito e come
programma sulla bocca di un filologo, gentilmente invitato a esprimersi – se non
proprio “nel campo di Agramante”, almeno in munere alieno – addirittura sul me-
todo della sua disciplina. Mi perdonerete perciò la non petita “citazione” (in greco
χρῆσις) incipitaria, che confessa da principio l’àmbito della mia “familiarità” o
“pratica” (in greco χρῆσις) disciplinare e avverte subito dei limiti di un contributo
che, lungi dal proporsi come “oracolo” (in greco χρῆσις), come “esempio” (in gre-
co χρῆσις), o come “prestito” (in greco χρῆσις) inter­disci­plinare, aspira soltanto
a essere di qualche “utilità” (in greco χρῆσις) per il vostro lavoro di quest’oggi.
Gettando un’occhiata, spero non troppo distratta, sui fondamenti del mio2.
Un mestiere umile e rigoroso, che – poiché non esistono autografi dei classici
greci e latini almeno sino a Eustazio (xii secolo d.C.) e tutti i testi pervenuti sono gli
esiti di un secolare processo di copiatura che ha inevitabilmente introdotto errori,
deformazioni, modificazioni – si propone in sostanza di:
1) ricostruire la storia della tradizione di un testo (tutte le fonti, tutte le tappe),
2) ricostruirne lo stato più vicino possibile all’originale (stabilendo volta a volta
sin dove si può arrivare),
3) dare conto di ciò nel modo più preciso e sintetico possibile3.

*
Il testo riproduce il tono discorsivo e informale dell’intervento al Convegno. Le abbreviazioni delle riviste
filologiche sono quelle dell’«Année Philologique». Le poche altre sono facilmente comprensibili.
1
Per la (lunga) storia e le (varie) attestazioni dell’espressione, cfr. R. Tosi, Dizionario delle sentenze latine e
greche, Rizzoli (BUR), Milano 20172, pp. 473 s. (nr. 658).
2
Lo scopo, nello spazio e nel tempo qui concessi, è quello di fare una rassegna critica di “istruzioni per l’uso”,
attingendo in larga parte alle selezionatissime opere citate nelle note – dove ho arbitrariamente raccolto i testi da
cui ho imparato di più – e con qualche piccolo contributo personale. Non s’intende invece – ciò che eccederebbe
i limiti suddetti – affrontare il problema in una prospettiva storico-culturale (col ripercorrere gli snodi essenziali
della storia della filologia e ricercare i protoi heuretai di questo o di quel principio, per quanto filologia e storia
della filologia siano inestricabilmente collegate: cfr. in particolare E. Degani, Filologia e storia, in «Eikasmós»
10(1999), pp. 279-314 (= Id., Filologia e storia. Scritti di E. Degani, Olms, Hildesheim-Zürich-New York 2004,
pp. 1268-1303), per cui si rimanda in particolare a R. Pfeiffer, Storia della filologia classica, i. Dalle origini alla
fine dell’età ellenistica, tr. it. Macchiaroli, Napoli 1973 (ed. or. Oxford 1968); L. Canfora, Conservazione e perdita
dei classici, Antenore, Padova 1974; F. Bossi, La tradizione dei classici greci, Lipe, Bologna 1992; G. Fiesoli, La
genesi del lachmannismo, Sismel, Impruneta (Firenze) 2000; S. Timpanaro, La genesi del metodo del Lachmann,
Utet Libreria,Torino-Novara 20103 (Firenze 19631, Padova 19812); L.D. Reynolds - N.G.Wilson, Copisti e filologi.
La tradizione dei classici dall’antichità ai tempi moderni, tr. it. Antenore, Roma-Padova 20164 (Padova 19691; ed.
or. Oxford 1968); nonché – qui – alla sconsolata n. 35.
3
I concetti fondamentali sono in tutte le (poche) opere citate nelle note: si vedano, in particolare, M.L.
West, Critica del testo e tecnica dell’edizione, tr. it. L’epos, Palermo 1991 (ed. or. Stuttgart 1973), pp. 13-17 e P.
Maas, La critica del testo, tr. it. Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 20174 (19511; ed. or. Leipzig 19271, 19502,
19573), pp. 1 s. Sulla partizione storico-cronologica della tradizione dei classici, si vedano U. von Wilamowitz-
Moellendorff, Storia della filologia classica, tr. it. Einaudi, Torino 19672 (ed. or. Leipzig 19273); R. Pfeiffer,
Storia della filologia classica, cit.; S. Rizzo, Il lessico filologico degli umanisti, Edizioni di Storia e Letteratura,
Roma 1973; L. Canfora, Conservazione e perdita dei classici, cit.; F. Bossi La tradizione dei classici greci, cit.;
L.D. Reynolds - N. G. Wilson, Copisti e filologi, cit.
34 Camillo Neri

2. L’oggetto delle cure di un filologo sono dunque i testi e la loro tradizione:


i testi possono essere tramandati o non tramandati, e pertanto ciò che occorre fare
in primis è stabilire ciò che è (o vale come) tramandato (recensio), quale grado
di prossimità abbia con l’originale (examinatio), e infine quali guasti presenti e
come da tali guasti possa essere ricostruito l’originale (emendatio)4. In quest’opera
di ricostruzione, mette conto segnalare come gli “errori” siano tanto il nemico da
sconfiggere (per “risalire” il più possibile verso l’“originale”), quanto gli alleati cui
appoggiarsi (perché sono la spia principale di come la tradizione si sia dipanata).
I tipi di tradizione, al netto di molte complicazioni, sono essenzialmente due.
1) La tradizione diretta, quando uno o più testi di uno o più autori sono stati
trasmessi in quanto tali, per sé soli e per lo più nella loro interezza (ma talora in for-
ma di excerpta in antologie ed epitomi). I testimoni del testo, per gli autori antichi
greci e latini, sono di norma manoscritti pergamenacei o cartacei in forma di codice
di età tardo-antica, medioevale o umanistico-rinascimentale, ma vi sono anche te-
stimoni papiracei (talvolta pergamenacei) in forma di rotolo (dal iv secolo a.C. al
vii d.C.), quasi sempre fisicamente frammentari, e persino testimoni epigrafici, per
testi – com’è facile intuire – non troppo lunghi5. Se il testimone è unico, si tratta di
decifrarlo e descriverlo nel modo più accurato possibile. Se vi sono più testimoni,
le cose si complicano. Quando ogni testimone si può considerare copiato da un solo
altro testimone e tutta la tradizione può essere rappresentata tramite uno stemma (o
albero genealogico) dove i rapporti tra i testimoni sono tutti verticali, e permettono
di ricostruire il progenitore comune all’intera tradizione (“archetipo”), si ha allora
una recensione “chiusa” (o “meccanica”)6. In caso contrario, quando cioè uno o più
testimoni sono stati realizzati attraverso la collazione di altri due o più testimoni,
almeno uno dei quali non ricostruibile, e i rapporti tra testimoni sono sia verticali
che orizzontali, sì che non può essere ricostruito un unico archetipo per l’intera tradi-
zione, si ha allora una recensione “aperta” (o “contaminata extrastemmaticamente”,
il che avviene nella maggioranza dei casi)7. Quando una recensione è “aperta” non
è possibile praticare quell’opera di semplificazione nota come eliminatio codicum
descriptorum, cioè l’esclusione dal novero dei testimoni utili alla ricostruzione di
quelli certamente copiati da uno o più antigrafi già noti, e quindi portatori di testo
già conosciuto e di nuovi errori (tutt’al più, essi possono essere utili per buone con-
getture dei loro scribi o dove il loro modello sia diventato illeggibile)8.
2) La tradizione indiretta, quando un testo o più spesso una sua porzione si
trovino incapsulati all’interno di un altro testo, che li “contiene” (e quasi sempre

4
Cfr. § 3.
5
Sui manoscritti antichi, cfr. in particolare E.G. Turner (- P.J. Parsons), Greek Manuscripts of the Ancient
World, University, Institute of Classical Studies, London 19872 (Oxford 19711).
6
Cfr. soprattutto P. Maas, La critica del testo, cit. Sulla storia della teoria “stemmatica”, cfr. in particolare S.
Timpanaro, La genesi del metodo del Lachmann, cit.
7
Su ambiguità e limiti della terminologia pasqualiana (cfr. G.P. Pasquali, Storia della tradizione e critica del
testo, Le Monnier, Firenze 19522 [19341], p. 126) per indicare rispettivamente recensione “meccanica” e recensione
“extrastemmaticamente contaminata”, si vedano gli opportuni rilievi di G.B. Alberti (Problemi di critica testuale,
La Nuova Italia, Firenze 1979, pp. 1-18), che non hanno tuttavia scalfito l’ormai invalso usus tradizionale.
8
Sulla tradizione diretta, si vedano in particolare E.J. Kenney, Testo e metodo. Aspetti dell’edizione dei clas-
sici latini e greci nell’età del libro a stampa, tr. it. Gruppo Editoriale Internazionale, Roma 1995 (ed. or. Berkeley
et al. 1974); M.R. Reeve, Manuscripts and Methods. Essays on Editing and Trasmission, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma 2011.
Il metodo della filologia (ovvero, le regole del gioco) 35

li depriva del loro contesto originario), rendendone la fruizione, per così dire, “di
seconda mano” (o di terza, quarta, etc., a seconda che il testo contenitore attinga
direttamente al testo contenuto o meno). La forma più usuale e caratteristica in cui si
presenta un testo di tradizione indiretta è il “frammento” (per quanto possano essere
trasmessi così anche testi interi, ovviamente per il solito non lunghi, come per esem-
pio il cosiddetto “fr.” 1 di Saffo), ma quando a essere tramandate in questa forma non
siano le parole esatte dell’autore ripreso, ma piuttosto una loro parafrasi o una notizia
su un contenuto specifico e parziale della sua opera, si parla allora di frammenti “di
contenuto” o sine verbis, mentre quando a essere riportate siano notizie sull’autore
del testo ripreso o sugli assetti esterni e/o generali della sua opera si parla piuttosto
di testimonianze, spesso trascurate ma non di rado foriere di dati più ricchi di quelli
degli stessi frammenti9. La funzione più tipica che determina la tradizione indiretta
è quindi la citazione (ma in questo sfumato dominio rientrano anche le traduzioni, le
imitazioni, le parafrasi, le allusioni intenzionali, le parodie, e in casi particolari persi-
no i paralleli topici), che a sua volta può essere di natura letteraria, storica, filosofica,
antiquario-erudita, scoliografico-esegetica, onomastica, lessicografica, grammatica-
le, paremiografico-proverbiale, e avere contenuto concettuale, lessicale, grammatica-
le, retorico, stilistico, metrico e altro ancora. Il contesto citante, poi, può esercitare un
effetto più o meno distorsivo sulle parole autentiche del testo citato, con una gamma
che va – di norma – dal grado minimo di distorsione nei florilegi (come quello di Gio-
vanni Stobeo [v d.C.], che si limita a raggruppare le citazioni in capitoli e sottotitoli
tematici) al grado massimo nelle parodie (per esempio quelle aristofanee dei poeti
lirico-corali negli Uccelli) o nella critica filosofica (come nella citazione-esegesi di
Simonide, Poetae Melici Graeci 542 in Platone, Protagora 339a-346d). Le ragioni e
le modalità della citazione, cioè, possono interferire sia sul “nucleo” della citazione
(cioè il più forte trait d’union tra il testo citato e il suo contesto di arrivo), di norma
meno soggetto a deformazioni e corruzioni, sia sull’“alone” (cioè la parte del testo
citato meno essenziale per il contesto d’arrivo), al solito più facilmente deformabile
e corruttibile. Rispetto alla tradizione diretta, per altro, in quella indiretta errori e cor-
ruzioni possono situarsi a più livelli, generandosi tra l’autore citato e l’autore citante
(che riprenderebbe allora un testo già corrotto), o nella memoria (o spesso nella vo-
lontà di adattamento al contesto di arrivo) dell’autore citante (e in questi casi si dovrà
ecdoticamente correggere nell’autore citato ma non nell’autore citante), o ancora nel-
la tradizione dell’autore citante (e in tal caso si dovrà correggere in entrambi gli auto-
ri). Come si vede, il lavoro sui “frammenti” di tradizione indiretta è particolarmente
difficile e controverso, e proprio per questo particolarmente fascinoso per i filologi10.
Varrà la pena di precisare che a) malgrado la maggiore precarietà ed esposi-
zione all’errore della tradizione indiretta, non vi è necessariamente una differenza
qualitativa tra i due tipi di tradizione; b) non sono pochi gli autori tràditi sia di-
rettamente (attraverso manoscritti e papiri delle loro opere)11, sia indirettamente

9
In questi casi, benché la parola usata sia la stessa, la nozione di “frammento” designa ciò che è stato reso
tale dalle modalità indirette in cui il testo è tràdito, non dalle ingiurie del tempo su un supporto materiale, come nel
caso dei frammenti papiracei (o pergamenacei, o cartacei, o palinsesti, o epigrafici, etc.), che possono viceversa
essere frammenti di tradizione diretta: cfr. punto 1).
10
Sulla tradizione indiretta resta imprescindibile R. Tosi, Studi sulla tradizione indiretta dei classici greci,
Clueb, Bologna 1988.
11
Per i rapporti (anche stemmatici) tra codici medioevali e papiri, è ancora utile P. Collomp, La critique des
textes, Les Belles Lettres, Paris 1931.
36 Camillo Neri

(attraverso “citazioni”, da cui è possibile evincere come la tradizione indiretta non


sia sempre deteriore); c) i testi tràditi indirettamente sono comunque sottoposti alla
tradizione diretta degli autori e delle opere che li trasmettono, e con ciò a tutte le
problematiche che la caratterizzano.

3. Il metodo del filologo al lavoro riguarderà dunque la raccolta, l’organizza-


zione e la presentazione dei dati relativi al testo o ai testi di cui si sta occupando:
1) La raccolta deve riguardare tutti i dati (tutte le fonti, tutte le tradizioni, tutte
le tappe) utili alla ricostruzione del testo. Nel caso di tradizione diretta occorrerà
raccogliere tutti i manoscritti e anche tutte le edizioni (quanto meno le più antiche,
specie quando non si sia certi che si fondino su manoscritti noti, e le più autorevoli)
dell’autore o dell’opera oggetto del proprio studio: a questo proposito saranno di
aiuto i cataloghi dei manoscritti greci e latini delle varie biblioteche12, i repertori
bibliografici13, e la biblioteca (purtroppo definitivamente chiusa al pubblico dal
12.7.2019) dell’Institut de Recherche d’Histoire des Textes, che può offrire aiuto e
microfilms al ricercatore che ne faccia richiesta14. Nel caso di tradizione indiretta,
bisognerà collezionare tutti i frammenti (testuali e di contenuto) e tutte le testimo-
nianze dell’autore o dell’opera oggetto del proprio studio: alla bisogna, gioveranno
anche i repertori dei nomi propri e le principali banche-dati dei testi greci e latini15.
È la fase, in senso lato, della recensio.

12
Tuttora d’aiuto in proposito è M. Richard, Répertoire des bibliothèques et des catalogues de manuscrits
grecs [...], par J.-M. Olivier, Brepols, Turnhout 19953 (Paris 19481, 19582). Per i papiri letterari, il catalogo di
R. Pack e P. Mertens (<http://cipl93.philo.ulg.ac.be/Cedopal/MP3/dbsearch_en.aspx>) e il “Leuven Database of
Ancient Books” di W. Clarysse (<https://www.trismegistos.org/ldab/>).
13
Per il periodo da oggi al 1925, le bibliographische Beilagen sui numeri dispari (quattro all’anno) della rivi-
sta «Gnomon. Kritische Zeitschrift für die gesamte klassische Altertumswissenschaft» (cfr. anche «Lustrum», con
bibliografie ragionate dal 1957). Da un anno e mezzo fa al 1914, l’«Année Philologique. Bibliographie critique
et ana­­lyti­que de l’antiquité gréco-latine», Les Belles Lettres, Paris 1927- (1924‑) + J. Marouzeau, Dix années de
bibliographie classique. Bibliographie criti­que et ana­­lyti­que de l’antiquité gréco-latine, Les Belles Lettres, Paris
1927 (1924-1914). Dal 1914 al 1896, S. Lambrino, Bibliographie de l’antiquité classique, Les Belles Lettres, Paris
1951 (cfr. pure Bibliotheca philologica classica, in «JAW» e «JFClA» di K. Bursian, dal 1873 a metà degli anni
’30). Dal 1896 al 1878, R. Klussmann, Bibliotheca Scriptorum Classicorum et Graecorum et Latinorum, O.R.
Reisland, Lipsiae 1909-1912. Dal 1878 al 1700, W. Engelmann - E. Preuss, Bibliotheca Scriptorum Classicorum,
i-ii, W. Engelmann, Lipsiae 1880-18828. Dal 1830 alle prime edizioni a stampa, S.F.W. Hoffmann, Bibliographi-
sches Lexikon der gesamten Literatur der Grie­chen, i-iii, A.F. Böhme, Leipzig 1838-18452; F.L.A. Schweiger,
Bibliographisches Lexikon der gesamten Literatur der Römer, i-ii, F. Fleischer, Leipzig 18342. Dal 1700 (poi dal
1790 ca.) alle prime edizioni a stampa, J.A. Fabricius, Bibliotheca Graeca, sumptu viduae Felgnerianae, Hamburgi
17051, 1790-18094 (a cura di C.G. Har­les), Bibliotheca Latina, ap. S. Coleti, Venetiis 17281, ap. Weidmanni here-
des et Reichium, Lipsiae 1773-17742, Bibliotheca La­ti­na mediae et infimae aetatis, Th. Baracchi et f., Florentiae
1858-18594 (a c. di C. Schöttgen).
14
Cfr. comunque il portale “Pinakes” (<https://pinakes.irht.cnrs.fr/>).
15
In particolare, per il greco, il Wörterbuch der griechischen Eigennamen curato da W. Pape - G.E. Benseler,
F. Bieweg u. S., Braun­schweig 18623, e il Lexicon of Greek Personal Names (<http://www.lgpn.ox.ac.uk/>). Per
le banche-dati, si vedano soprattutto il Thesaurus Linguae Graecae di Irvine (<http://stephanus.tlg.uci.edu/> per il
greco e i databases del portale Brepolis (<http://www.brepolis.net/>) per il latino. Varrà la pena di notare inciden-
talmente, qui, come gli strumenti informatici si siano rivelati di straordinaria utilità nella fase della ricognizione
e della localizzazione bibliografica, nell’accesso alle (e nelle ricerche testuali e metatestuali sulle) fonti primarie,
nell’automatizzazione di alcune fasi dei processi di indicizzazione, creazione di concordanze, collazione di fonti
e testimoni, semplificando e velocizzando molte procedure, nonché nella presentazione editoriale (si pensi alle
edizioni ipertestuali) e nella didattica (si pensi alle molteplici possibilità di integrazione di più media), ma non si
siano ancora potuti sostituire al giudizio critico dello studioso. Cfr. soprattutto L. Perilli, Filologia computaziona-
le, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1995.
Il metodo della filologia (ovvero, le regole del gioco) 37

2) L’organizzazione dei dati ne prevede un esame accurato (examinatio), volto


soprattutto a determinare quali testimoni siano portatori indipendenti di tradizione
e quali no16, e una diagnosi, con la selezione di quelli che hanno più probabilità di
essere originari (selectio) e/o la divinazione di ciò che potrebbe essere originario
in presenza di un errore che abbia affetto l’intera tradizione (emendatio)17: sono le
fasi, strettamente collegate, di quella “lotta verso l’alto” (cioè, almeno tendenzial-
mente, verso l’originale) che è la quotidiana occupazione del filologo.
Quando si ha a che fare con la tradizione indiretta, occorre distinguere in primo
luogo tra frammenti testuali, frammenti di contenuto e testimonianze (il che non
sempre è semplice, e talvolta, come nel caso di Saffo, è quasi impossibile) e resti-
tuire il testo dell’autore citato a partire dal contesto citante e della sua tradizione
(che andrà all’occorrenza esaminata come ogni tradizione diretta). Quando si ha
a che fare con la tradizione diretta, occorre procedere al confronto tra i testimoni
(collatio) e – con l’aiuto delle lacune, delle corruzioni e delle lezioni secondarie
più significative (la concordanza in lezione giusta non dimostra alcuna parentela) –
procedere a determinarne le relazioni reciproche, e dove possibile a rappresentarle
in uno stemma genealogico18. Nel caso di recensioni “chiuse” (“meccaniche”), è
la natura dello stemma ricostruito a guidare le scelte del filologo19: se lo stemma è
tripartito (o polipartito), l’accordo di due rami contro il terzo (o della maggioranza
dei rami contro la minoranza) restituisce automaticamente la lezione dell’archeti-
po, che non è necessariamente anche quella originale, ma a questo punto solo lo
iudicium del filologo potrà deciderne; se lo stemma è bipartito, la lezione dell’ar-
chetipo e/o quella originale potrà essere stabilita solo tramite lo iudicium. Nel caso
di recensioni “aperte” (“contaminate extrastemmaticamente”), si può applicare un
metodo empirico (e come tale fallibile): a) compilare un elenco di luoghi testuali
caratterizzati dalla presenza di varianti significative; b) osservare quali manoscritti
non concordino mai (o concordino di rado) in errore tra loro e siano quindi più ve-
rosimilmente portatori di lezioni antiche non contaminate: adottarli; c) identificare
attraverso il confronto delle varianti quali lezioni appaiano antiche/autentiche e non
frutto di congettura, e adottare per la constitutio textus i manoscritti che ne sono
l’unica fonte; d) eliminare dall’elenco delle varianti le lezioni per cui i manoscritti
così adottati possono servire da fonte, e ripetere c) e d) finché ogni antica lezione e
ogni suo testimone risultino empiricamente identificati; e) eliminare i manoscritti
residui dalla constitutio textus20.

16
Cfr. R. Tosi, Studi, cit., pp. 52 s. (con esempi e bibl.).
17
L’emendatio – lungi dall’essere un’attività ludica e frivola – è necessaria ogni volta che l’examinatio non
stabilisca che la tradizione è la migliore possibile e può avere altresì un valore meramente diagnostico, tutte le
volte che senso della lingua, dello stile, della metrica e del ritmo prosastico, come pure dell’intimo significato di
un passo possono portare a sospettare anche di una tradizione apparentemente sana e a chiedersi che cosa l’autore
avrebbe voluto dire e come avrebbe potuto esprimerlo. Naturalmente, bisogna guardarsi dall’“abbellire” i testi e/o
dall’uniformarli a parametri troppo rigidi. Cfr. L. Havet, Manuel de critique verbale appliquée aux textes latins,
Hachette et Cie, Paris 1911, pp. 11-23, M.L. West, Critica del testo e tecnica dell’edizione, cit., pp. 56-59 e P.
Maas, La critica del testo, cit., pp. 13-23. Se la tradizione è corrotta ed emendabile in più modi equivalenti non
resta che localizzare la corruttela con la crux († per una parola) o le cruces (†...† per una porzione di testo).
18
Indicazioni molto pratiche in M.L. West, Critica del testo e tecnica dell’edizione, cit., pp. 33-40, 63-73.
19
È il cosiddetto metodo meccanico di recensione, convenzionalmente noto come “metodo del Lachmann”,
dallo studioso, Karl Lachmann (1793-1851) che lo applicò (parzialmente) alla sua edizione di Lucrezio del 1850.
Si vedano in proposito, S. Timpanaro, La genesi del metodo del Lachmann, cit., nonché (sulla natura equivoca di
tale definizione) G. Fiesoli, La genesi del lachmannismo, cit.
20
Cfr. M.L. West, Critica del testo e tecnica dell’edizione, cit., pp. 40-48.
38 Camillo Neri

Una volta determinati i rapporti tra i vari testimoni di una tradizione testuale e
ricostruito nei limiti del possibile il suo punto di partenza (il cosiddetto “archetipo”
o “più prossimo antenato comune dell’intera tradizione”21), occorre diagnosticare
quale fosse l’aspetto dell’originale e tentare di risolvere i problemi testuali residui.
La soluzione di un problema testuale, sia essa affidata a una selectio tra le lezio-
ni tràdite o a un’emendatio congetturale, deve sempre rispondere a tre requisiti:
a) deve restituire il senso che l’autore intendeva comunicare, così come si può
ricostruirlo dal contesto; b) deve rispettare l’uso di scrittura dell’autore quanto a
lingua, stile, metro, ritmo prosastico, etc. (usus scribendi); c) deve spiegare la ge-
nesi dell’errore (ratio corruptelae), cioè come si siano generate le lezioni erronee
trasmesse dai vari testimoni22.
Per quanto riguarda il requisito c), bisogna tenere in conto le diverse tipolo-
gie attestate di variazione testuale e di errore23: varianti di autore; adattamenti in
contenuto, lingua, stile, ritmo, ortografia operati dalla tradizione; errori metrici24;
errori mnemonici; spiegazioni e annotazioni marginali (anche di passi paralleli) pe-
netrate nel testo (“glosse intrusive” e “sostitutive”, non sempre per altro nel punto
“giusto”); trasposizioni testuali dovute al passaggio da un esemplare a due colonne
di scrittura a uno a unica colonna e viceversa; errori e lapsus mentali, quali bana-
lizzazioni sintattiche (simplex ordo) o linguistico-grammaticali (per es., gli invalsi
mi schernisco per mi schermisco, o aurea per aura, o i dilaganti mi auspico e al
contempo), errori di assimilazione e scritture-eco (per l’influenza di qualche paro-
la vicina nel contesto); trasposizioni di lettere o sillabe (anasillabismi), aplografie
(quando si scrive una volta sola ciò che occorrerebbe scrivere due o più volte, come
per es. la parola, ormai entrata nell’uso italiano, idolatra per idololatra, o megalat-
tico per megagalattico), dittografie (duplicazioni di lettere, sillabe, parole, sequen-
ze), “sauts du même au même” (quando parole o frasi uguali o simili compaiono
a poca distanza nel testo), omissioni determinate da identità o somiglianze verbali
in fine (omeoteleuto) o in inizio (omeoarcto) di verso o di periodo; errori di lettura
o anagnostici, per confusione tra lettere o gruppi di lettere in scrittura maiuscola
o minuscola, o in particolari tipi di scrittura25, per erronea divisione della scriptio
continua (senza spazi tra le parole), per erroneo scioglimento di compendio26, per

21
Secondo la celebre definizione di A. Dain, Les manuscrits, Les Belles Lettres, Paris 19753 (19642, 19491).
22
Cfr. M.L. West, Critica del testo e tecnica dell’edizione, cit., pp. 49-59.
23
Una casistica completa (per il latino, ma valida in gran parte anche per il greco) è in L. Havet, Manuel de
critique verbale, cit., pp. 25-428. Trattazioni più sintetiche (ma “bilingui”) in M.L. West, Critica del testo e tecnica
dell’edizione, cit., pp. 20-32 e in L.D. Reynolds - N.G. Wilson, Copisti e filologi, cit., pp. 229-240.
24
Celebre il vitium Byzantinum, consistente nell’assimilare la fine del trimetro giambico a un dodecasillabo
bizantino (cfr. M.L. West, Critica del testo e tecnica dell’edizione, cit., p. 25; L.D. Reynolds - N.G. Wilson,
Copisti e filologi, cit., p. 236).
25
Maiuscola greca (300 a.C.‑): Α=Δ=Λ, ΑΙ=Ν, Γ=Τ=Υ, Ε=Θ=Ο=C, Η=ΕΙ, Η=Ν=Κ=ΙC, ΛΛ=Μ. Minusco­
la greca (ix sec.‑): α=αυ, α=ει, α=ευ, β=κ=μ, ε=ευ, η=κ, μ=ν=ρ, π=σσ=ττ. Capitale latina (‑vi sec.): B=R,
C=P, C=G=O, D=O, E=F, H=N, I=L=T, M=NI, N=AI, O=Q, P=T. Onciale latina (iii-vi sec.): B=R, C=E=G=O,
CI=U, D=O=U, F=P=R, I=L=T, M=CO, N=AI, O=Q. Minuscola latina (viii sec.‑): a=u, b=h, c=e, cl=d, c=t,
f=s, in=m=ui, n=u. Cfr. M.L. West, Critica del testo e tecnica dell’edizione, cit., p. 28 s. e L.D. Reynolds - N.G.
Wilson, Copisti e filologi, cit., pp. 230 s.
26
Per es. i nomina sacra ΘC (θεός) e DS (deus) (con le forme flesse ΘΥ, ΘΩ, ΘΝ, DI, DO, DM), nonché
ΑΝΟC (ἄνθρωπος), ΚC (κύριος), ΜΗΡ (μήτηρ), ΟΥΝΟC (οὐρανός), ΠΗΡ (πατήρ, con le forme flesse ΠΡC,
ΠΡΙ, ΠΡΑ, ΠΕΡ), ΠΝΑ (πνεῦμα, con le forme flesse ΠΝC, ΠΝΙ, ΠΝΑΤΑ), CΤC (σταυρός), CΩΡ (σωτήρ),
ΥC (υἱός), DNS (dominus), NR (noster, con le forme flesse NRI, NRO, NRM, NRA, etc.), SCS (sanctus), SPS
(spiritus), VR (vester), etc. Cf. L. Havet, Manuel de critique verbale, cit., pp. 177-184; M.L. West, Critica del testo
e tecnica dell’edizione, cit., pp. 30 s. (con altra bibl.).
Il metodo della filologia (ovvero, le regole del gioco) 39

erronea interpretazione dei numerali27. Ma, soprattutto, occorre sempre chiedersi


quale lezione è più verosimile che si sia corrotta nell’altra o nelle altre (utrum in
alterum abiturum erat) e quale è più difficile che sia esito di corruzione (praestat
difficilior lectio), due principî che sono sempre relativi (la lectio difficilior non è –
come spesso si legge, si sente dire, si vede praticare – quella più strana o astrusa) e
che di fatto coincidono tra loro. L’eliminazione delle lezioni faciliores – come esito
di corruzione, cioè come punto di arrivo di un processo di copia – è in questo sen-
so, sul piano del singolo problema testuale, un processo del tutto analogo a quello
dell’eliminatio codicum descriptorum e dell’eliminatio lectionum singularium dei
manoscritti non indipendenti sul piano stemmatico.
3) La presentazione dei dati avviene solitamente nella forma dell’edizione cri-
tica, dove a un’introduzione in cui occorre dar conto delle nozioni essenziali su
autore, opera e tradizione (e in particolare dei dati, della semiografia, delle me-
todiche con cui si è costituito il testo), fa séguito il testo criticamente costituito
(con in margine i numeri, di 5 in 5, dei versi o dei righi)28, corredato da una o più
“mantisse” (con la citazione dei testimoni, dei loci similes, dell’assetto metrico,
di eventuali scolî, etc.), l’apparato critico (con la registrazione dei dati rilevanti
della tradizione, ivi compresi i più essenziali interventi congetturali dei moderni,
in forma positiva quando vi è registrata anche la forma adottata nel testo, ovvero
negativa se non lo è, e con porzioni sempre omogenee di testo messe a confronto
attraverso l’uso dei due punti, preceduti e seguiti da uno spazio forzato)29, la tradu-
zione (preferibilmente a fronte, ovvero in calce), il commento (che dovrebbe essere
complementare rispetto all’apparato critico e alla traduzione, senza ripetere dati già
offerti), e un robusto apparato di indici: delle parole di quell’autore o di quel testo
(l’index verborum: vi sono compresi i nomi propri, che talora figurano invece in
una lista a parte, e vi sono liste differenziate se più lingue sono rappresentate), delle
fonti del testo (manoscritti, papiri, testimonianze di tradizione indiretta), dei passi
citati (discussi) nel commento, dei nomi propri e dei concetti notevoli citati nel
commento, degli studiosi moderni. Chiuderà l’opera una bibliografia il più possibi-
le completa e funzionale, preferibilmente redatta secondo lo schema “di Harvard”
(o “all’americana”), in modo da rendere più rapide e precise – grazie all’uso delle

27
Tipologia ed esemplificazione ancora in M.L. West, Critica del testo e tecnica dell’edizione, cit., pp. 30 s.
e in L.D. Reynolds - N.G. Wilson, Copisti e filologi, cit., pp. 230-232.
28
Nelle edizioni di testi papiracei o epigrafici (ma anche di testi frammentari su altri supporti), la presentazione
del testo in forma critica può essere preceduta da una sua trascrizione diplomatica (che riproduce il documento nel
suo assetto complessivo, ivi compresi l’ortografia, la punteggiatura, il paratesto, i segni diacritici e di scansione
testuale, etc.), con in calce un apparato delle diverse letture dei luoghi incerti (perché evanidi, frammentari, etc.).
Testi papiracei ed epigrafici dovrebbero sempre (almeno nel caso di un’editio princeps) essere accompagnati da
riproduzioni fotografiche del documento. Un caso particolare è quello delle edizioni di scolî, dove il testo dovrebbe
sempre essere accompagnato dalle sigle delle recensioni e/o dei manoscritti (di norma, subito dopo il testo) che
trasmettono le relative note scoliastiche.
29
L’apparato va redatto in sintetico latino, con abbreviazioni come coni(ecit/ecerunt/ecerim), emend(avit),
prop(osuit), disp(exit), secl(usit), rec(epit), fort(asse) recte, cod(ex), cod(d)(ices) pl(l)(erique), pap(yrus), etc., e
con sigle per i testimoni (M cod. Marcianus, M2 seconda mano, Mpc post correctionem, Mac ante correctionem,
Mv.l./γρ varia lectio/γράφεται, etc.). Nel testo e nell’apparato si userà la seguente semiografia:  lettera incerta
nel documento, κύ(ριος) scioglimento di compendio, ..[.] tracce di lettere nel documento, una in lacuna, †αβγ†
corruzione, [αβγ] integrazione di lacuna meccanica, <αβγ> integrazione di lacuna congetturale, αβγ integrazione
da fonte secondaria, {αβγ} espunzione, αβγ espunzione dello scriba, \αβγ/ integrazione dello scriba. Cf. M.L.
West, Critica del testo e tecnica dell’edizione, cit., pp. 82-84.
40 Camillo Neri

sigle bibliografiche – le citazioni degli studiosi moderni nel corpo dell’opera30. In


conclusione e in estrema sintesi, la presentazione di un lavoro scientifico in àmbito
filologico dovrà essere la più chiara, concisa e completa possibile.

4. L’etica del filologo potrà apparire un titolo di paragrafo bizzarro, eslege in


una cursoria riflessione sul metodo della filologia. Ma ogni scienza, ogni disciplina
ha una sua etica, una sua deontologia, e la filologia non fa eccezione, per quanto
i filologi sembrino talora i primi a dimenticarsene. Lungi da ogni bolso e gratuito
moralismo, ci si limiterà qui a ricordare tre principi essenziali che devono (nel sen-
so del deon) regolare questo “amore per la parola” e per una “piccola verità” (quale
è una verità testuale) che chiamiamo filologia.
1) Poiché a differenza del paradigma delle scienze “esatte” (o “dure”), che si
incrementa per sostituzione, quello delle discipline “umanistiche” si incrementa per
accumulo31, ne consegue che in filologia, e in generale in antichistica, “le buone
idee non hanno età”: un’edizione critica, un’interpretazione, una congettura fatte ai
primi del Cinquecento hanno almeno teoricamente la stessa validità di quelle pro-
dotte l’altro ieri. Ciò impone il faticoso dovere della ricognizione bibliografica, e
se non si finirà mai di ringraziare coloro che predispongono strumenti bibliografici
per la totalità degli antichisti, spesso gratuitamente e senza alcun riconoscimento32,
non si finirà mai parimenti di raccomandare agli studiosi di non sfuggire all’onere
di una completa ricognizione bibliografica, che è preliminare a qualsiasi lavoro
voglia dirsi propriamente scientifico33: il rischio è quello di cercare (non di rado
vanamente) soluzioni a problemi risolti da anni o addirittura da secoli, e di post-
datare di anni o secoli, e persino di attribuirsi, interpretazioni già proposte, magari
in modo più preciso e completo. Il problema, a ben vedere, non è solo etico – non
sono rari studi anche recenti che forniscono (per dirla con la brutale franchezza di
un infastidito lettore) «a sad example of labour lost as a result of ignorance of older
and much better work»34 – e coinvolge anche il dominio dell’utile: un’opera come
quella del filologo, che richiede competenze letterarie, storiche, linguistiche, sti-
listiche, metriche, paleografiche, codicologiche, papirologiche, ormai sempre più
ramificate e settorializzate, non può darsi che in un’ottica collaborativa, dove tutti

30
Per es. Albiani 1999 = M.G. Albiani, Laureas, in Der Neue Pauly, 6 (1999), p. 1189; Aloni 1983 = A.
Aloni, Eteria e tia­so: i grup­pi aristocratici di Lesbo fra economia e ideologia, in «DArch» 1(1983), pp. 21-35;
Aloni 1997a = A. Aloni, Saffo. Frammenti, Giunti, Milano 1997; Aloni 1997b = A. Aloni, Il fr. 94 V di Saffo e
il suo contesto, in A. Degl’Innocenti - G. Moretti (eds.), Miscillo flamine. Studi in onore di Carmelo Rapisarda,
Trento 1997, pp. 13-27.
31
Cfr. T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, tr. it. Einaudi, Torino 2009 (1969; ed. or. Chicago
1962).
32
Neppure dalle più recenti procedure di valutazione della ricerca a livello nazionale e locale: per non fare
che un esempio, il prezioso e laborioso impegno che porta alla redazione dei volumi a stampa e del sito online
dell’«Année Philologique» (<http://cpps.brepolis.net/aph/search.cfm>), il più importante annuario bibliografico a
livello mondiale per le scienze dell’antichità, non ha di fatto alcun valore per la Valutazione della Ricerca di Ate-
neo (VRA) – Area 10 (Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche) dell’Università di Bologna.
33
Se è vero che vi sono molti filologi che si accingono ad ardue imprese senza la debita padronanza di lin-
gua, stile e metro, «particolarmente nelle regioni più meridionali d’Europa», come scrive M.L. West (Critica del
testo e tecnica dell’edizione, cit., p. 63), lo è anche che lo stesso deve dirsi della padronanza bibliografica (di una
bibliografia felicemente plurilingue), specie nelle regioni settentrionali d’Europa (e negli Stati Uniti), e in studiosi
di lingua inglese.
34
H.T. Wallinga, The structure of Herodotus ii 99-142, in «Mnemosyne» s. iv, 12(1959), pp. 204-223: p. 209.
Il metodo della filologia (ovvero, le regole del gioco) 41

si appoggiano al lavoro di tutti (e devono pertanto conoscerlo); si pone così la ne-


cessità, se non del lavoro “di gruppo”, almeno del lavoro “nel gruppo”.
2) Malgrado sia sempre più invalsa la fuorviante sicumera con cui molti studio-
si propongono le loro interpretazioni come verità indiscutibili, il lavoro del filologo
resta in fondo un’umile opera di rigorosa distinzione e certosina classificazione di
ogni dettaglio, nella definizione di ciò che è certo, probabile, possibile, improba-
bile, impossibile. Da questo punto di vista, lo studioso ha verso se stesso e verso
la comunità scientifica un obbligo di verità, anche quando ciò dia meno lustro alle
sue “scoperte”. Chi darà per certe le proprie ipotesi, anche quando siano probabili,
potrà essere una mente geniale, un brillante congetturatore, un sagace affabulatore.
Ma sarà un pessimo filologo: diffidatene.
3) Amicus Plato, sed magis amica veritas recita un diffuso proverbio tratto
dall’aristotelica Etica a Nicomaco (1096a 16 s.)35. Da raccomandare anche in filo-
logia, dove non deve valere alcun principio di autorità e dove nessun ipse dixit può
prevalere sull’analisi critica dei problemi36. Anche se molto spesso si ha l’impres-
sione che per molti studiosi, specie se arrembanti e in carriera, valga piuttosto il
motto opposto, cioè amica veritas sed magis amicus Plato. E anche se, come ebbe
a dire Alfred Housman, «this planet is largely inhabited by parrots»37, e nessuno
– nemmeno chi vi parla – sa di poter fare eccezione in proposito, purtroppo. Le
uniche medicine possibili a questa annosa e diffusa malattia sono l’esercizio del
dubbio sistematico – “un filologo non dovrebbe credere aprioristicamente (quasi)
a nulla”, ripeto sempre ai miei studenti – e l’assunzione di uno stile di lavoro lento
­– non dominato dalla necessità di publish or perish, o di produrre a tutti i costi
qualcosa in tempi brevi – e pertanto drammaticamente fuori moda38.
35
Con un precedente nel platonico Fedro (91c), poi ripreso dai Neoplatonici, dove naturalmente Socrate
compare in luogo di Platone. Tutti i dati in R. Tosi, Dizionario, cit., pp. 256 s. (nr. 362).
36
Per ipse dixit, di estrazione pitagorica (e poi aristotelica), cf. R. Tosi, Dizionario, cit., pp. 330 s. (nr. 473).
37
M. Manilii Astronomicon liber primus, rec. et enarr. A.E. H., Richards, Londini 19031 (Cantabrigiae
19372), p. xxxii.
38
Se la filologia alessandrina (e poi imperiale e tardo-antica), almeno da Aristarco (e la sua scuola) a Origene
(e la sua scuola) praticava tanto la recensio delle copie disponibili degli antichi autori, quanto l’emendatio conget-
turale (cfr. F. Montanari, Alexandrian Homer philology. The form of the ekdosis and the variae lectiones, in M.
Reichel - A. Rengakos [eds.], Epea Pteroenta. Festschrift für W. Kullmann zum 75. Geburtstag, Steiner, Stuttgart
2002, pp. 119-140); se le strettoie della tradizione (le esigenze della scuola, l’affievolirsi delle competenze lin-
guistiche in un quadro culturale globalizzato nel segno della koine, e poi con gli imperi latino e arabo alle porte,
il prevalere della cultura cristiana, il passaggio dai rotoli ai codici, etc.) ridussero il numero di autori e di libri in
circolazione tra il Medioevo greco e latino, l’età bizantina e l’Umanesimo europeo, riducendo la pratica filologica
al reperimento di una copia, o di una vulgata (textus receptus), o di una maggioranza di codici (codices plurimi),
o di quello ritenuto il migliore (codex optimus) e alla sua emendazione (da Demetrio Triclinio a Poliziano, da
Casaubon a Bentley, da Reiske a Porson: cfr. J. Clericus [Le Clerc], Ars critica, i-iii, ap. Janssonio-Waesbergios,
Amstelaedami 17305 [16961], e soprattutto L.D. Reynolds - N.G.Wilson, Copisti e filologi, cit.); se l’età dei lumi
e poi il positivismo che ne conseguì (soprattutto di marca olandese e tedesca) svilupparono la teoria stemmatica
di recensione, sull’onda lunga di un entusiasmo ricostruttivo che pareva poter de-soggettivizzare il recupero degli
originali (il metodo cosiddetto “lachmanniano” del recensere sine interpretatione: cf. soprattutto S. Timpanaro,
La genesi del metodo del Lachmann, cit., con le preci­sazioni di G. Fiesoli, La genesi del lachmannismo, cit.); se il
Novecento ci ha lasciato in dote, con la sfiducia nel potere taumaturgico di quel metodo, la necessità di coniugare
sempre la recensio con l’emendatio, la filologia con la storia (e con la storia della filologia: cfr. soprattutto E.
Degani, Filologia, cit.), di mettere in relazione e in collaborazione le varie discipline della “scienza dell’antichità”
(aprendola al fecondo confronto con discipline “nuove”, quali l’antropologia, la sociologia, la psicologia storiche,
la teoria della letteratura, gli sviluppi della linguistica, etc.), e di valutare ogni tradizione iuxta propria principia
(cfr. soprattutto G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, cit.); i pericoli più insidiosi della filologia
del nostro tempo, a mio parere, sono il sensibile decremento (innescato anche da perniciose riforme scolastiche e
universitarie, nazionali e locali) delle competenze linguistiche (in un’epoca di generalizzato primato della brillan-
42 Camillo Neri

5. Tornano utili, in conclusione, le parole di F. Nietzsche (Morgenröthe. Ge-


denken über die moralischen Vorurtheile [1881]), così note da trovarsi ormai persi-
no nei “Baci Perugina”, e così citate da restare quasi sempre irriflesse e inapplicate:

«Filologia... è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da
parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un’arte e una perizia di
orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se
non lo raggiunge lento. Ma proprio per questo fatto è oggi più necessaria che mai; è proprio
per questo mezzo che essa ci attira e ci incanta quanto mai fortemente, nel cuore di un’epoca
del “lavoro”, intendo dire della fretta, della precipitazione indecorosa e sudaticcia, che vuol
“sbrigare” immediatamente ogni cosa, anche ogni libro antico e nuovo; per una tale arte
non è tanto facile sbrigare una qualsiasi cosa, essa insegna a leggere bene, cioè a leggere
lentamente, in profondità, guardandosi avanti e indietro, non senza secondi fini lasciando
porte aperte, con dita ed occhi delicati...»39.

tezza sulla competenza), specie nelle lingue classiche, e il riaffermarsi per via informatica (con la pervasività delle
banche-dati e delle rappresentazioni digitali del testo) di nuove vulgatae, cui i nouveaux philologues si accosteran-
no sempre meno attrezzati e con sempre meno senso critico.
39
Tr. it. di F. Masini, in B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al v secolo, Feltrinelli,
Milano 20064, p. 329.

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