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James P. Womack - Daniel T. Jones Daniel Roos LA MACCHINA CHE HA CAMBIATO IL MONDO Prefazione di Giovanni Agnelli introduzione all’edizione italiana di MARIO DEAGIO traduzione di ANTONIO BELLOMI Biblioteca Universale Rizzoli Una sorta di distruzione creatrice sembra essere la noia dominante di questo ultimo scorcio del Secolo Ventesimo. Lionda lunga della innovazione scientifica e tecnologica, sem- pre pitt intensa, sempre pitt pervasiva, sempre pitt universale, mo- difica continuamente il disegno del nostro vivere operare quoti- diano. ‘Aggregazioni nuove di dimensione continentale — la comunita europea, Vunificazione dei mercati nordamericani, i legami tra il Giappone e gli altri paesi del Far East — mutano radicalmente ter- ‘mini ¢ modalita del commercio internazionale. Un evento epocale, il collasso del sistema del socialismo reale, ha stravolto, in un breve volgere di anni, la geografia economica e po- litica del mondo, aprendo spazi per un «ordine nuovo» del quale non sono chiaramente definiti, a oggi, i caratteri e i tempi di realiz- zazione. Questioni nuove investono Vintera societa civile: la salvaguar- dia ambientale e le sue compatibilita con le esigenze della crescita economica; gli equilibri demografici e le loro conseguenze in termini di pressione migratoria; la necessta, sempre pitt evidente, di orga- nismi internazionali in grado di dare un riferimento efficace allo sviluppo pacifico della comunita mondiale. Enmergono da questo scenario, nel quale il vecchic non da pitt certexze ¢ il nuovo non @ ancora in grado di darne, tensioni, proble- ‘mi, interrogativi. Sono tensioni, problemi, interrogativi che riguardano, in modo particolare, il ruolo e le prospettive dell’Occidente industrializzato. La leadership economica del mondo, patrimonio storico indi- scusso dell’Europa prima, e degli Stati Uniti successivamente, 2 da tempo contesa con crescente successo dal Giappone. E un confronto spesso aspro, talvolta condotto con i toni di una guerra commerciale, e nel quale il paese del Sol Levante segna con- vu tinuamente punti a suo vantaggio: siamo quindi in presenza di una prospettiva che crea non poche preoccupazioni all’industria e della quale non si possono non considerare le possibili conseguenze sul Piano culturale e politico. E daltra parte impossibile, nella misura in cui il mondo cammi- na sulla via della sua progressiva integrazione, U'ipotesi che questo confronto possa essere condotto sul terreno del protezionismo, come @ inaccettabile quella di una subalternita del sistema economico occi- dentale, che graverebbe di squilibri pericolosi la via dello sviluppo globale. Studi e indagini di varia portata ed ampiezza hanno cercato, nel corso di questi anni, di coglere le ragioni del successo giappone- se individuando cause diverse, tutte valide, ma, nella sostanza, nes- suna in grado di rendere pienamente conto del fenomeno. Si2 parlato, e con ragione, delle diversita nella cultura, nell’u- tilizzo ¢ nella disponibilita del fattore lavoro, nel funzionamen- to delle istituzions pubbliche, nei percorsi formativi del sistema sco- lastico. Lo studio di Womack, Jones ¢ Roos ha il merito — e in questo consiste la sua originalita ~ di andare oltre la valutazione di questi {fattori esterni e di andare al cuore del problema, confrontando di- rettamente le modalita di funzionamento dell’industria giapponese con quella occidentale. Ne emerge la constatazione di una innegabile obsolescenza dei principi e dei criteri che hanno guidato da Ford a oggi le logiche dimpresa in America e in Europa. Ne emerge la contrapposizione — del resto dichiarata fin dai primi capitoli del libro ~ tra Videa di produzione di massa, centrata su grandi volumi, sulla standardiz~ zazione spinta e sulla indifferenziazione del fattore lavoro, e Videa di lean production, articolata sulla flessibiita, sulla agitita delle strutture, sullapporto creativo dei singoli che partecipano al proces- $0 produttivo. La lettura del libro pud essere preoccupante, per noi occidentali, quando ci fa constatare la distanza che abbiamo accumulato rispetto 4 nastri concorrenti orientali. ‘Ma ci da anche un messaggio positivo: e cio® che Vesperienza se 2 fondata sulla diversiti: di metodi e strumenti, e non su insormontabili differenze di mentalita; ¢ pud essere un utile stimolo a ricercare e a perseguire senza pedisseque imitazioni vie di successo competitivo conformi alla nostra cultura e alla nostra tradizione in- dustriale. Lindicazione conclusiva che si pud trarre da questa lettura 2 al- lora che si tratta di porre in atto una trasformazione che 2 possibile, vi oltre che necessaria; una trasformazione che certo richiede un forte impegno ¢ una forte volonta, ma che appare oggi estenziale per creare i presupposti necessari a inserire pitt vigorosamente U'eco- nomia occidentale fra i protagonisti dello sviluppo det prossimo secolo. Febbraio 1991 GIOVANNI AGNELLI INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA L'uscita negli Stati Uniti di questo libro, nell’otobre 1990, ha coinciso con un momento particolarmente burrascoso per lindustria dell'auto americana ed europea. Sul mercato americano, la transizione verso il predominio dei produttori giapponesi subiva una notevole accelerazione; le tre grandi imprese automobilistiche degli Stati Uniti chiudevano im- pianti, sospendevano decine di migliaia di lavoratori, mo- stravano conti sempre meno lusinghieri mentre i giappone- si, nonostante i primi segni di recessione, continuavano a guadagnare quote di mercato e ad aumentare il fatturato, Gli stessi giapponesi, poi, non solo cominciavano ad at- taccare anche i produttori europei negli Stati Uniti, conten- dendo loro, per la prima volta, le lucrose «fasce alte» del mercato con prodotti di inaspettata qualita, ma estendevano altresi la propria presenza in Europa con nuove fabbriche, soprattutto ingles, pronte ormai a riversare una massiccia produzione sui mercati del vecchio continente. Lo sforzo giapponese di penetrazione in Europa é oggi probabilmente superiore a quello compiuto dalle imprese automobilistiche statunitensi tra la fine degli anni Cinquanta e Finizio degli anni Sessanta, al tempo della «sfida americana», ¢ potrebl prefigurare un’economia globalizzata a netto predominio nipponico. Sipud quindi comprendere Vinteresse suscitato da un sag- gio che propone, attraverso una puntigliosa esemplificazio- ne, un rimedio ai mali dell'industria dell’auto americana ed europea e, per analogia, suggerisce important modifiche al Vintero modo di produrre del capitalismo occidentale. Anche al dila di quest’attenzione contingente, perd, La macchina che hha cambiata il mondo occupa un posto di grande rilievo nella saggistica americana in materia di imprese. Appartiene a quel filone di tale saggistica che, nel corso degli anni Ottanta, ha xu awviato un severo riesame critico, condotto sulla base di osser- vazioni dirette, dei concetti fondamentali su cui é stata co- struita 'organizzazione produttiva di tipo capitalista, in mar- ‘ato contrasto con la tranquilla sicurezza, ostentata finoanon molto tempo fa dai manuali di management, sulla bonta di me- todi ¢ soluzioni consolidati dai tempi del taylorismo. La machina che ha cambiato il mondo appare, in un certo senso, come la prosecuzione dell'analisi impietosa di caratte- ristiche e limiti del mondo imprenditoriale avviata, agli inizi degli anni Ottanta, da un altro saggio di grande sucesso: In Search of Excellence di Thomas J. Peters ¢ Robert H. Water- man.* Analizzando i metodi organizzativi delle migliori im- rese americane, questo lavora ha di fatto rappresentato, se letto in controluce, una prima, profonda, critica a metodi di gestione consolidati e fino ad allora non posti in dubbio. Se- guirono poi, nel 1989, le quasi mille pagine di Made in Ame- rca (a cura di M.L. Dertouzos, R.K. Lester ¢ R.M. Solow), che costituisce un durissimo atto d’accusa sui metodi pro- duttivi e organizzativi dell'industria di quel paese. Come il lavoro di Peters ¢ Waterman, anche quello di Womack, Jones ¢ Roos deriva da una lunga indagine sul campo. Tale indagine — condotta, come quella che é alla ba- se di Made in America, nell'ambito del prestigioso MIT, il Massachusetts Institute of Technology, uno dei massimi centri di ricerca scientifica ed economico-manageriale degli Stati Uniti ~ @ durata cinque anni, @ costata cinque milioni di dollari, ed & stata al tempo stesso limitata al solo settore del- Yauto ed estesa a tutto il: mondo. Il suo obiettivo é stato quel- lo, reso urgente dall'evolversi del mercato automobilistico, di confrontare i produttori giapponesi con quelli del resto del mondo per comprendere quali caratteristiche rendono i primi pid competitivi. Come il lavoro di Peters e Waterman, anche quello di Womack, Jones ¢ Roos individua, mediante un concetto riassuntivo ~ I'«eccellenza» per i primi, la «produzione snel- la» (lean production) per i secondi ~ la somma delle caratteri- stiche positive che deve avere unvorganizzazione imprendi toriale oggi. Molti sono gli elementi comuni, quali il supera- mento del concetto rigidamente gerarchico di organiziario. ne, il coinvolgimento dei dipendenti dellimpresa, limpor- tanza dei sistemi di valore aziendali. Comune a entrambi é la * Trad. it. Alla ricerca delfeccellenza, Sperling & Kupfer, Milano 1987, xv convinzione che siano oggi inadeguate, a differenza di quanto si @ ritenuto fermamente in Occidente fino a non molto tempo fa ¢ talora si ritiene ancora oggi, organizzazio- ni produttive e qualita di prodotto «sufficientemente buo- ne> ¢ obiettivi aziendali comungue riconducibifi facilmente alla massimizzazione dei profitti in tempi brevi. ; Organizzazione e qualita del prodotto, un tempo consi- derati soprattutto come costi inevitabili per realizzare e col- locare la produzione, vincoli della funzione di profitto, di- ventano cost parte integrante degli obiettivi aziendali; questi obiettivi, del resto, non sono pit definibili in termini sempli cemente finanziari. Assumono ben maggiore spessore in una concezione in cui i buoni risultati finanziari sono una condizione necessaria ma non sufficiente a garantire il suc- cesso imprenditoriale. 7 Mentre, perd, Alla ricerca delf'eccellenza esamina soprat- tutto Torganizzazione di vertice, La macchina che ha cambiato il mondo si cala nel vivo del fenomeno produttixo, differen- ziandosi cosi nettamente dalla normale tematica degli studi di management. Non disdegna l'odore dell‘officina, la descr zione dettagliata di come si costruiscono le parti pid! compli- cate dell’auto; siamo, anzi, condotti per mano in una sorta di visita guidata e comparata dei pid celebri e importanti stabi limenti automobilistici, e soprattutto di Takaoka, la fabbri- ca-gioiello della ‘Toyota, culla della produzione snella. Gli autori non hanno paura di proporre, a un pubbiico abituato da decenni soprattutto a discorsi di grande organizzazione, esempi minuti, come il modo in cui si disegnano gli stampi, si assemblano i pezzi, si organizzano i magazzinie si tengono i rapporti con i fornitori. . Il fenomeno produttivo @ rivisitato partendo dal basso € solo al termine, e molto parzialmente, si passa ai discorsi abi- tuali negli Stati Uniti e in Europa, incentrati sulle strategie. Il tema della finanza, su cui il pensiero manageriale ha insi- stito a lungo, viene appena toccato. Non a caso, Eiji Toyoda ¢ Taiichi Ohno, gli eroi di questa storia in quanto considera- tii «padri fondatori> della produzione snella, sono ingegne- rie non esperti finanziari | Siamo invitati costa ripercorrere idealmente a rtroso i «pellegrinaggio industriale» che Eiji Toyoda — espressione af ina rara piccola imprenditoria giapponese alla quale gli eventi della guerra avevano impedito di sviluppare la pro- pria vocazione a produrre un’automobile di massa — compl, xv con umilta e con acutissimo spirito d’osservazione, nella pri- mavera del 1950 in uno dei templi dell’automobilismo mon- diale, lo stabilimento di River Rouge della Ford a Detroit. Come 'ingegner Toyoda allora, in questi stabilimenti siamo invitati a esaminare, misurare, paragonare. Che cos’t dunque che differenzia le imprese automobilisti- che giapponesi da quelle degli altri paesi? Gli autori rispon- dono con precisione: é, appunto, la lean production, la produ- zione snella, della quale forniscono, accanto a una definizio- ne piuttosto sommaria, esempi minuziosi. La lean production @ un processo produttivo che, paragonato con la produzione di massa tipica dell'industria occidentale, e in particolare di quella automobilistica, «usa meno di tutto», e cioé meno la- voro umano, meno tempo per sviluppare i prodotti nuovi, minori stock, minore superficie di stabilimento. In questo modo non cisi limita ad abbattere i costi, ottenendo livelli di profiuo analoghi a quel della produzione di massa con vo- lumi totali di produzione inferiori di un quarto o anche pid. Si ottiene altresi un prodotto migliore, in quanto i difetti qualitativi che caratterizzano la produzione di massa si ridu- cono dei due terzi Gli autori collocano la produzione snella in un'ampia prospettiva storica e l’analist, per quanto riguardi la sola in- dustria dell'auto, pud facilmente essere estesa alla maggior parte delle produzioni industriali. La produzione snella vie- ne individuata come il terzo modo di produzione sviluppato dalle societa industriali, dopo quello originario, di tipo anco- ra artigianale, e dopo la produzione di massa. La produzione di tipo artigianale era caratterizzata dall’e- levato fabbisogno di manodopera di alta professionalita, da tun capitale fisico tecnicamente semplice ma utilizzabile in ma- niera flessibile, da una produzione a costi estremamente ele- vati che avveniva su richiesta del consumatore. Nella produ- zione di massa, per contro, @ scarsa la specializzazione della maggior parte dei lavoratori mentre la dotazione di capitale fisico di buon livello tecnologico@ elevata. Nei processi produtti- vidi massa le machine svolgono quasi sempre solo una funzio- ne, con la conseguente perdita della flessibilita artigianale. In La macchina che ha cambiato il mondo produzione indu- striale di tipo artigianale e produzione di massa sono quindi viste come rigidamente antitetiche. Per quest’impostazione, gli autori sono probabilmente debitori di un importante la- XVI voro, opera di Michael J. Piore ¢ Charles F. Sabel, frutto an- ch’esso dell'ambiente intellettuale del MIT (Sabel ha colla- borato alla ricerca da cui é nato questo libro), i quali, nel sag- gio The Second Industrial Divide del 1986, hanno rivalutato Fimportanza della produzione industriale non di massa e so- stenuto la non inevitabilita storica di quest'ultima. La produzione snella pud quindi essere definita come la sintesi altamente positiva, la somma delle caratteristiche fa- vorevoli dei due modi di produzione precedent, il felicissi- mo connubio tra la qualita artigianale e i bassi costi della produzione di massa. Nessun difetto e bassi costi, ecco la combinazione vincente dei giapponesi. E bene souolineare che la produzione snellaé la concet- tualizzazione americana di un fenomeno giapponese che i giapponesi non hanno mai concettualizzato. E, in questo senso, un grande merito degli autori il proporre una siste- mazione concettuale unitaria a varie tecniche produttive ¢ organizzative gia note in Occidente, come il kaizen, ossia il flusso continuo di piccoli miglioramenti al prodotto e al si- stema produttivo; il kanban e il justin time che calibrano stret- tamente il flusso dei componenti e delle materie prime alle necessita della produzione, riducendo al minimo il magazzi- no; la «qualita subito» che non consente mai a un compo- nente difettoso di giungere alla fine della linea di produzio- ne per essere poi rilavorato. Il saggio esamina e chiarisce poi altri aspetti del modo di produzione giapponese relativamente meno esplorati in Oc- Cidente e cioe 1 rapporti tra impresa e fornitori, specie al momento della progettazione. Questi legami superano e, in tun certo senso, quasi annullano la linea di demarcazione tra imprese differenti, unite attorno all'idea di un nuovo pro- dotto con risultati spettacolari e paralleli, quali la riduzione dei tempi di sviluppo, la caduta dei costi ¢ il miglioramento della qualita. Isuperamento dei confini aziendali intesi in senso stretto in- duce a porre attenzione ai fondamenti storico-culturali di un edificio intellettuale cosi ben articolato come la produzione snella. Dietroalle tecniche della produzione snella si pud indi- viduare, prima di tutto, lossessione giapponese per l'elimina- zione degli sprechi. La produzione di massa, specialmente di tipo americano, si fonda impticitamente sul presupposto del- Tabbondanza delle materie prime, a cominciare dallo spazioe XVI dalle risorse naturali, che ha caratterizzato nell'ultimo secolo Vesperienza industriale americana; I'uso estensivo di queste risorse é tradizionalmente considerato negli Stati Uniti come nulPaltro che un piccolo elemento del costo. Le esigue superfici della fabbrica giapponese, il livello del prezzo del terreno industriale in Giappone (un paese che é inoltre privo di materie prime e che ha alle spalle una storia di grande poverta) fanno capire bene il motivo della riorita tassativa per il risparmio di risorse di ogni tipo, che portato, per esempio, alla nascita delle tecniche del just in time. E indubbio che questo modo di produzione presenta grandi e crescenti vantaggi in un pianeta sempre pit affolla- to ¢ assediato dalla scarsita delle risorse, il che basterebbe a renderlo di grande attualita nel mondo d’oggi. Un’altra caratteristica di base implicita nel concetto di produzione snella consiste nel suo non fondarsi su una qual- che tecnologia superiore (anche se, nel lungo periodo, la Pproduione snella favorisce lo sviluppo di tal tecnologie) id in generale, si pud affermare che i giapponesi non mira- no a ottenere un singolo vantaggio competitivo, per usare la terminologia di Porter, bensi a essere globalmente pitt com- petitivi. Questo implica la modificazione di variabili globali a cominciare dal capitale, il quale, come si @ gia detto, deve es- sere maggiormente impegnato in operazioni di largo respi- ro € non legato a interessi di breve termine. Implica altresi un diverso modo di intendere il lavoro, che appare, dai numerosissimi esempi riportati nel saggio, qualitativamente differente rispetto al normale lavoro di fabbrica 0 d'ufficio come viene tradizionalmente inteso in Occidente; potremmo forse definirlo «lavoro attento», o «la- voro coinvolgente» per distinguerlo dalla normale attivita in molti stabilimenti occidentali in cui per decenni sié esaltata Vintercambiabilita, l'impersonalita degli operatori, la mecca- nicita del processo produttivo anche oltre i cancelli della fabbrica. Esso esalta la creativita e l'impegno di gruppo nei confronti dellimpresa e una concezione diversa e meno in- dividualista della professionalita ¢ della carriera. Questo lavoro di tipo nuovo viene organizzato in manie- ra nuova. Mentre la produzione di massa si regge su econo- mie di scala di tipo puramente quantitativo, derivanti dal rapporto sempre pitt basso tra costi fissi ¢ una produzione crescente, la produzione snella sembra fondarsi su una me- no chiaramente misurabile sinergia dovuta al contributo ar- XxVHI monico dei vari component di una «squadra» produttiva. I vantaggi che si ottengono mediante tale sinergia sono decé samente maggiori di quelli che si ottengono semplicemente distribuendo le spese fisse su una produzione pit vasta pro- prio per il fatto di non essere solo quantitative ma di esten- dersi ad aspetti non quantificabili della produzione. E forse possibile vedere nell’organizzazione armonica della produzione snella i riflessi di una filosofia confuciana che ricerca 'armonia quale massimo obiettivo di ogni societ& umana, Pur partendo da premesse filosofiche diverse, perd, anche il pensicro manageriale occidentale, negli ulimi quin- dici anni, @ rapidamente passato dall’azienda come entita gcrarchicamente ordinata — simile, per esempio a un reggi- mento~a quella piti flessibile di entita che richiede una par- tecipazione pid attiva e pid creativa di chi vi lavora, come una squadra di calcio, in cui devono essere possibili linter- cambiabilita e la supplementarita dei ruoli. Peter Drucker ha scritto che lorganizzazione di un‘impresa deve assomi- glare a quella di un ospedaleo di un‘orchestra: tant speci isti che collaborano l'uno con altro. In questa diversa concezione dell’impresa, per®, gli occi- dentali si sono concentrati sui vertici, mentre i giapponesi so noandati molto pid in profondita: «orchestra» diDruckerin pone si spinge fino all’ultima officina, coinvolge diretta- mente ¢ fortemente i fornitori, i venditori, si estende persino ai consumatori in un concetto generale di armonia sociale. Con questo libro l'analisi della diversitA giapponese compie un deciso, ¢ forse decisive, passo avanti. Tale diversita era stata attribuita negli anni Settanta soprattutto ai differenzit li salariali: i giapponesi, quindi, sarebbero stati competitivi perché si accontentavano di guadagnar meno di americani ed europei. Con l'evoluzione dei salari giappones, quest’in- terpretazione ha perso gran parte della sua forza. Successivamente, si diede molta importanza alla politica industriale, e quindi al ruolo del MITI (il ministero giappo- nese del commercio internazionale e dell'industria), visto co- me eminenza grigia e supremo coordinatore dell'«azienda Giappone», una politica industriale che assicurava ai duttori nazionali non solo mercati protetti e sgravi fiscalt ma anche un sostanzioso aiuto nell’assalto ai mercati esteri. An- che questa spiegazione é tramontata di fronte al successo dei transplants, ossia dellesportazione a fabbriche a guida nip- Ix Bpnica im alte pari del mondo, ¢ in particolare negi Stat initi, del modo giapponese di produzione. E ugualmente tramontata la spiegazione meramente tecnicistica che indivi duava il vantaggio giapponese semplicemente in una maj giore dose di automazione e robotizzazione: molt stabi menti occidentali sono oggi pitt dotati di simili attrezzature eppure non raggiungono, o raggiungono solo a fatica, i li- velli di efficienza giapponesi. Se la produzione snella @ il vero segreto del Giappone — 0, quanto meno, una sintesi ragionevole di molti segreti - l'in- terrogativo che si pone agli occidentali riguarda la sua espor- tabilita. Womack, Jones € Roos forniscono una risposta netta- ‘mente positiva, basata sia sull'esperienza estera dei produtto- ri giapponesi sia sui risultati ottenuti dai produttori occiden- tali che si sono posti coscientemente il problema di seguire i giapponesi su questa strada, senza necessariamente imitarli in modo pedissequo. Essi sostengono, anzi, V'inevitabilita del- Yestendersi della produzione flessibile per i vantaggi che essa comporta, considerano gli anni Novanta come l'infanzia di questo modo di produzione e li paragonano agli anni Venti, quando si costruivano, in mezzo a molte incertezze, i primi grandi stabilimenti per la produzione di massa delle automobili. Questa conclusione ha il carattere di una «provocazio- ne», intesa nel senso di stimolo ad agire: se tutto quanto gli autori sostengono é vero, i produttori non giapponesi non hanno altra scelta che lanciarsi in programmi di rinnova- mento di natura molto diversa dai normali programmi di in- Yestimento. Azioni come quella della Fiat per ia «qualita to- tale> si configurano come una risposta obbligata al muta- mento pid profondo degli ultimi settant’anni; il mutamento di atteggiamento, 'accettazione del cambiamento continuo, una struttura organizzativa pitt snella non sono piti degli op- tional bensi dure necesita. Questi problemi non sono circoscritti alle imprese del- Yauto, ma coinvolgono tutta l'attivita manifatturiera. La machina che ha cambiato il mondo potrebbe cosi diventare Ja bandiera di un cambiamento di portata amplissima, di una sorta di rivoluzione copernicana nel modo di pensare ¢ di organizzare lintera industria americana ed europea. Limmediato sucesso del saggio, limpressione che sta su- scitando nel mondo imprenditoriale ¢ manageriale ameri- cano, nel momento dell'acuirsi delle difficoltA economiche XxX di quel paese, puntano in questa direzione. ‘Tutto cid pone due interrogativi di estrema importanza. Il primo ha carattere contingente e riguarda il tempo neces- satio per un adattamento cosi profondo. I giapponesi della Toyota impiegarono pitt di un decennio a mettere a punto il sistema della produzione snella ¢ un altro decennio per otte- nere chiari vantaggi al di 1a degli aspetti immediatamente jroduttivi quali i tempi di progettazione dei nuovi modelli. Europei ¢ americani possono oggi adattarsi in modo decisa- mente pid rapido, ma pur sempre con tempi misurabili in termini di anni e quinquenni; pud essere appropriata, in queste condizioni, una protezione, transitoria ¢ non totale, di entrambi i mercati dall'«assalto» giapponese, al fine di conservare a Europa e Stati Uniti grandi imprese indipen- denti, quanto meno nel settore dellauto. II problema si po- ne soprattutto per I'Europa, esposta ora, per la prima volta in maniera massiccia e intensa, all'attacco giapponese. Perché la protezione non si traduca in proterionismo, @ necessario che essa risulti chiaramente finalizzata alla tra- sformazione imprenditoriale, limitata nel tempo ¢ tale da permettere un certo afflusso del prodotto concorrente a scopo di stimolo. I progressi compiuti sulla via del rinnova- mento debbono essere periodicamente passati in rassegna con Tobiettivo finale di un confronto aperto e senza riserve. In questo senso, la politica industriale dell’ Europa del 1992 si deve configurare come una «terza via» tra il disinteresse liberista per quel che succede all’industria nel rome di un generico mercato e il sostegno stretto, quasi un'ingessatura, alla struttura produttiva attuale. E soprattutto @ necessario un diverso atteggiamento culturale, Ia disponibilita degli identali a imparare effettivamente qualcosa dagli altri mill, non certo uno dei tratti pid caratteristici dell'Occiden- te, diventa un requisito importante. Il secondo interrogativo @ invece di tipo pit generale e si puo formulare cosi. L'introduzione della roduzione di massa causd, a suo tempo, mutamenti profondi non solo nell organizzazione di lavoro e capitale ma anche nelle istitu- zioni di governo dell’economia, nella societa in generale. Quali modificazioni portera l'adozione della produzione snella? Gli esiti di questo sistema produttivo sono necessaria- mente quelli della societa giapponese? Sara possibile mante- here una «variante occidentale»? Si potranno riprodurre, attorno alla nuova realta produttiva, i metodi ¢ gli scontri XXE della democrazia rappresentativa, varra ancora l'ipotesi che dalla competizione perenne, dal confronto tra individuali- smi e istituzioni basate su un «contratto sociale» tra indivi- dui, emerge la soluzione migliore possibile? Non é facile rispondere a domande di questo tipo. La ri- flessione deve incominciare la dove il saggio di Womack, Jo- nes € Roos ha termine. Di certo, una societa organizzata se- condo le linee della «produzione snella» appare molto di- versa da quella nella quale @ stato istituzionalizzato il con- fronto-scontro continuo tra le figure standardizzate di «la- voro» e «capitale», o, se si preferisce, tra management, pro- prieta, organizzazioni sindacali e societa circostante. Nel caso giapponese la produzione snella sembra avere come ipotesi sociale sottostante una generale mancanza di conflitto aperto, la metabolizzazione delle contrapposizioni di interessi, all'interno come all’esterno delle aziende, me- diante claborati ed efficaci sistemi di creazione del consenso su linee direttamente operative. Come ha scritto uno dei maggiori studiosi occidentali del Giappone, linglese Ronald Dore, in un libro recente (Taking Japan seriously*), il concetto giapponese di «impresa-comunita» si contrappone a quello di «impresa-societ3 per azioni» tipico di molta se non di tut- ta la societa occidentale. ‘Andiamo forse, se non verso il superamento della conce- zione occidentale del capitalismo, quanto meno verso il rico- noscimento dell’esistenza di una varieta di soluzioni capitali- stiche. Non abbiamo il monopolio della verita, cosi come non abbiamo il monopolio del sucesso, in un mondo in ra- pido ¢ vorticoso mutamento, in cui problemi ecologici e pressioni demografiche del Terzo Mondo fanno da sfondo aun orizzonte perturbato, costellato di conflitti di ogni tipo. La nostra unica certezza @ quella di dover cambiare e di ave- re un’idea generale della direzione in cui deve muoversi Yorganizzazione produttiva. In questo senso, il titolo del li- bro, La macchina che ha cambiato il mondo, assume un valore emblematico ¢ invita a ulteriori riflessioni: il mutamento non é finito, la machina ha gia cambiato il mondo ma conti- muer& ancora a cambiarlo in profondita. Febbraio 1991 Marto Deaciio Universita di Torino * Trad. it. Bisogna prendere il Gappone sul serio, II Mulino, Bologna 1991. La macchina che ha cambiato il mondo RINGRAZIAMENTI La stesura di un libro basato sugli esiti di un importante pro- getto di ricerca ¢ lo sviluppo di una nuova automobile con Fausilio di tecnologie e metodi produttivi diversi presentano numerose affinita. In particolare richiedono una squadra molto unita, una guida efficace e la volonta di molti esperti di contribuire allo sforzo del gruppo con la propria compe- tenza ¢ il proprio intuito personale. Il gruppo coinvolto nella stesura di questo libro @ stato guidato da Jim Womack, Dan Jones e Dan Roos, itre princi- pali responsabili dell'IMVP. Con loro hanno collaborato giornalmente John O'Donnel, capo progetto dell MVP, con la sua vasta competenza nel settore automobilistico, ¢ Ann Rowbotham, segretaria dell’ MVP, che ha gestito con mae- stria per cinque anni ogni dettaglio di un progetto tanto complesso. Gli altri membri della squadra sono state Donna Carpen- tere la sua socia Abby Solomon, nostre consulenti editoriali, Helen Rees, nostra agente letteraria, ed Eleanor Rawson, nostro editor presso la Rawson Associates. Per ciascuno di noi si é trattato di un’esperienza a volte gravosa ma in definitiva gratificante. Se da un lato Jim Wo- mack, Dan Jones e Dan Roos non avevano mai scritto prima per il grande pubblico, dall’altro Donna Carpenter, Helen Rees ed Eleanor Rawson, con anni di esperienza alle spalle nell'editoria, hanno trovato inizialmente curiose o persino incomprensibili parecchie abitudini del mondo accademico. Alla fine abbiamo imparato molto a vicenda e speriamo che questo prodotto ibrido — basato su un rigoroso progetto di ricerca ma rivolto a tutti — rispecchi-una riuscita fusione di due culture distinte. Tutto sarebbe stato vano se non fosse stato per la straordinaria generosita dei ricercatori associati dell’ IMVP 3 ; che ci hanno profferto tutto il loro sapere. Anche se noi tre siamo clencati come autori, avendo noi messo nero su bianco, questo libro é stato in realta un lavoro di gruppo compiuto da persone di culture e paesi diversi. Abbiamo cercato di citarli per i loro contributi nei punti appropriati del testo e delle note a pié pagina. Ricordiamo comunque al lettore che, come lo sviluppo di una nuova automobile in una azienda automobilistica «snella», questo libro @ ope- ra di uno sforzo collettivo, DANIEL ROOS, Direttore, MVP DANIEL T. JONES, Direttore europeo, IMVP JAMES P. WOMACK, Direttore della ricerca, IMVP PREMESSA In un pomeriggio assolato nelfautunno del 1984 ci tro- vammo sui gradini di marmo all'entrata del Massachusetts Institute of Technology a riflettere sul futuro. Avevamo appena terminato una conferenza internazionale per an- nunciare la pubblicazione del nostro precedente libro, The Future of the Automabile,' in cui esaminavamo i problemi che si prospettavano in quel momento all'industria automobili- stica mondiale, Le nostre osservazioni erano prudentemente ottimiste. Eravamo convinti che esistessero i presupposti tecnici per ri- solvere i problemi ambientali ed energetici pid urgenti pro- vocati dai veicoli a motore. Rimanevano alcuni interrogativi sul lungo termine, in particolare per quanto concerneva 'ef- fetto serra causato dall’anidride carbonica dei gas di scarico, ma ritenevamo che le vetture potessero adeguarsi. Eravamo invece molto pitt pessimisti sull'industria automobilistica € sull’economia mondiale. Concludevamo che le industrie automobilistiche del- I America del nord e dell’Europa si fondavano su tecniche non molto diverse da quelle del sistema di produzione di massa propugnato da Henry Ford e che tali metodi non era- no affatto competitivi con le nuove idee avanzate dalle im- prese giapponesi e per le quali non avevamo neppure un nome. Con I'ampliamento della loro quota di mercato, i pro- duttori giapponesi cominciavano a incontrare una crescente resistenza politica. Le aziende occidentali non sembravano perd imparare la lezione dai loro rivali asiatici. Al contrario, concentravano le proprie energie nell'erezione di barriere commerciali e altri ostacoli alla concorrenza, il che a nostro parere non faceva che ritardare il momento in cui avrebbe- ro dovuto affrontare il vero problema. La nostra paura era che al primo accenno di recessione I'America del nord 5 Europa si isolassero contro la minaccia giapponese respin- gendo, in tale proceso, la possibilita di prosperare e di adot- tare un metodo di lavoro piii gratificante che questi nuovi si- stemi offrono. Ritenevamo che la mossa pit costruttiva da parte nostra per impedire cid fosse di intraprendere uno studio detta- gliato sulle nuove tecniche giapponesi, che in seguito chia- mammo lean production, produzione snella, raffrontandole con i vecchi metodi occidentali della produzione di massa, e di portarlo a termine con la partecipazione dei costruttori automobilistici di tutto il mondo. Ma come? Mentre stavamo considerando il problema in quel pomeriggio di sole, un di- rigente industriale presente alla conferenza si avvicind a . proprio con quella proposta. «Perché non coinvolgere anche i governi, preoccupati di dare nuovo vigore alla loro industria automobilistica?» ci chiese «e raccogliere abbastanza fondi da fare un buon lavo- ro?» Cosi al Massachusetts Institute of Technology nacque lnternational Motor Vehicle Program (IMVP, Programma internazionale per i veicoli a motore), il progetto internazio- nale riguardante lindustria automobilistica, e, infine, que- sto libro. LIIMVP, PROGETTO INTERNAZIONALE, RIGUARDANTE L'INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA All'inizio de! 1985 al MIT un evento casuale forni il quadro istitudionale ideale per 'TMVP. Fu fondato infatti un nuovo centro, il Center for Technology, Policy and Industrial De- velopment (Centro di tecnologia, politica e sviluppo indu- striale) diretto inizialmente da Daniel Roos. Il centro aveva uno scopo ben preciso: andare oltre la ricerca convenzionale per esplorare i meccanismi di un’interazione a livello inter- hazionale tra industrie, governi e universita al fine di com- prendere le forze fondamentali di un cambiamento indu- striale e migliorare il processo di elaborazione delle strategie per far fronte a tale cambiamento. Nellottica del nuovo cen- tro I'IMVP rappresentava il progetto ideale per dimostrare il possibile ruolo creativo di un’universita in un programma di collaborazione con governi ¢ industria. Nel procedere con i nostri piani nel nuovo centro, ci rendemmo conto che il sucesso del progetto dipendeva ‘6 strettamente da sei elementi: completezza, competenza, vi- sione globale, indipendenza, accesso all'industria e feed- back continuo. Per prima cosa dovevamo esaminare linsieme delle ope- razioni necessarie alla fabbricazione di un veicolo a motore: valutazione del mercao,svluppo del prodotto,progettazio- ne tecnica dettagliata, coordinazione della catena di approv- vigionamento, gestione delle singole fabbriche, vendita del prodotto finito e rete di assistenza. Sapevamo che molti sfor- 2i per comprendere questa industria erano fallii perché non erano andati al di la dell’azienda, elemento certo impor- tante del sistema, ma che costituisce soltanto una piccola parte del tutto. Ci rendemmo conto che per un lavoro esauriente avrem- mo avuto bisogno di esperti nei settori pitt disparati, nor- malmente non reperibili in ambiente universitario. Occorre- vano ricercatori competent in ogni singolo aspetio del siste- mae vincolati a metodi di ricerca rigorosi ma al tempo stesso con una certa dimestichezza con la confusione intrinseca del mondo industriale, dove i modelli accademici non hanno uun’esatta corrispondenza. Decidemmo allora di trovare ri- cercatori universitari provenienti dal mondo dell'industria e disposti a ritornare negli uffici di progettazione, nelle azien- de di forniture industriali e nelle fabbriche per settimane 0 mesi al fine di raccogliere le informazioni di cui avevamo bi- sogno per trarre deduzioni fondate. Per esempio, durante la loro partecipazione all'IMVP, Richard Lamming ¢ Toshiro Nishiguchi, i nostri esperti sistemi di approwvigionamento, erano impegnati nel dotto- rato di ricerca in Inghilterra rispettivamente all’Universita del Sussex e di Oxford. Il loro interesse per il settore del- Papprovvigionamento proveniva da precedenti esperienze presso aziende giapponesi e occidentali. Richard Lamming aveva lavorato per la Jaguar in Inghilterra in qualita di re- sponsabile acquisto componenti mentre Toshiro Nishiguchi aveva lavorato per la Pioneer Electric in Giappone. Durante i i quattro anni di collaborazione all'IMVP hanno visitato cen- tinaia di aziende fornitrici e fabbriche di componenti nell America del nord, in Europa e in Giappone. Inoltre hanno studiato i sistemi di approvvigionamento nei principali paesi in via di svilappo, inclusi Corea, Taiwan e Messico. Analogamente, Andrew Graves, il nostro esperto in tec- nologia, seguiva un dottorato di ricerca presso Universita 7 del Sussex dopo anni di carriera come costruttore di auto di Formula 1. Andrew Graves ha trascorso mesi interi in visita ai principali centri di progettazione tecnica del mon- do automobilistico. [1 suo compito era quello di verificare alcune teorie sui migliori metodi aziendali per introdurre nuove tecnologie, teorie inizialmente concepite per il mon- do delle auto da corsa, dove la supremazia tecnica é la chiave del successo. Uno dei nostri esperti aziendali, John Krafcik, era stato il primo ingegnere americano assunto dalla joint venture tra la Toyota e la General Motors, la NUMMI. I suo adde- stramento presso questa azienda aveva comportato prolun- gati soggiorni in Giappone presso le aziende della Toyota a Toyota City, dove aveva appreso alla fonte le basi della produzione snella. John Krafcik ha conseguito un Master (MBA, Master of Business Administration) alla Sloan School of Management del MIT mentre viaggiava per il mondo per studiare novanta impianti di assemblaggio di vetture in quindici paesi, in quella che a nostro parere & Findagine pit esauriente mai portata a termine in un setto- re industriale, Altri due partecipanti al Master del MIT, Antony Sheriff ¢ Kentaro Nobeoka, hanno fornito un approfondimento al- Ie nostre ricerche sullo sviluppo dei prodotti attraverso una casistica basata sulle loro precedenti esperienze in qualita di responsabili della pianificazione del prodotto rispettivamen- te presso la Chrysler e la Mazda. L’elenco di questi nomi testimonia una delle caratteristi- che del nostro lavoro per noi essenziale, ossia la costituzione di un team internazionale di ricercatori, con le capacita lin- guistiche e culturali necessarie per comprendere i metodi produttivi dei vari paesie il desiderio di illustrare le proprie conclusioni a colleghi con un bagaglio di conoscenze ¢ di esperienze del tutto diverse. Non tutti i ricercatori elencati nell'Appendice B facevano capo al MIT né tantomeno sono americani. Abbiamo preferito costituire un gruppo cosmo- polita senza alcun riferimento geografico e in maggior parte di diversa nazionalita. Per acquisire credibilita tanto all'interno quanto all'ester- no dell'industria automobilistica dovevamo essere indipen- denti. Percid decidemmo di raccogliere i 5 milioni di dollari che ci servivano tramite stanziamenti da parte di aziende au- tomobilistiche, fornitori di component e governi. I trentasei a organismi che hanno finanziato !'IMVP sono clencati nel- l’Appendice A. Abbiamo limitato i contributi delle aziende e dei governi al 5 per cento della somma totale, e li abbiamo versati in un unico conto in modo che nessuno sponsor po- tesse influenzare lorientamento del nostro lavoro stanzian- do fondi per uno specifico scopo. Ci siamo inoltre preoccu- pati di raccogliere quote identiche nell’America del nord, nell’Europa occidentale e in Giappone in modo da non esse- re soggetti a pressioni nazionali o locali Per poter riuscire nell'intento i nostri ricercatori doveva- no poter contare sul largo accesso alle aziende automobilisti- che del mondo, dai reparti di produzione agli uffici direzio- nali. Abbiamo dunque spiegato ai nostri potenziali sponsor che il loro pid valido contributo sarebbe stato non tanto il denaro quanto il tempo a noi dedicato dal loro personale. In ogni caso queste aziende si sono dimostrate molto piti aperte di quanto sperassimo. Siamo rimasti molto meravigliati di fronte allo spirito professionale di questo settore industria- le, che ha spinto i dirigenti delle strutture peggiori e delle aziende piti deboli a discutere i loro problemi con franchez- za ei dirigenti degli impianti migliori e delle aziende pid forti a spiegare candidamente i loro segreti. Infine per riuscire nel nostro intento abbiamo deciso di creare un sistema di feedback attraverso il quale illustrare le nostre conclusioni alle industrie, ai governi e ai sindacati e raccogliere le loro reazioni a nostro mutuo vantaggio. L'o- biettivo 2 stato raggiunto in tre modi. Per prima cosa tenevamo ogni anno un incontro con gli addetti al collegamento di ciascuno sponsor. Durante queste riunioni effettuavamo un’analisi approfondita della ricerca svolta nel corso dell'anno, sollecitando critiche e suggeri- menti sul proseguimento del nostro studio. In secondo luogo ogni anno organizzavamo una tavola rotonda in differenti citta del mondo (Niagara-on-the-Lake in Canada, Como in Italia, Acapulco in Messico) per presen- tare le nostre conclusioni ai dirigenti e ai funzionari delle aziende e dei governi che finanziavano il progetto, oltre agli osservatori dei sindacati e della comunita finanziaria. Tali riunioni private fornivano Poccasione ai dirigenti di questo settore di discutere i problemi reali che poneva al mondo la conversione dell'industria da produzione di massa in produ- zione snella, al di fuori del clamore pubblicitario e senza nuocere alla loro immagine pubblica. Nell'Appendice C 9 sono elencati i partecipanti alle tavole rotonde dell'IMVP. Infine abbiamo condotto centinaia di seminari per azien- de, governi ¢ sindacati. Per esempio, la nostra équipe sui metodi ha tenuto un seminario in ciascuno dei novanta im- pianti di assemblaggio da noi visitati nel quadro dell'IMVP. World Assembly Plant Survey, 'indagine dell'IMVP sugli impianti di assemblaggio nel mondo. In tali occasioni pre- sentavamo i risultati nel resto del mondo, facevamo il punto sulla situazione nello stabilimento visitato e spiegavamo gli eventuali punti deboli dellimpianto. Abbiamo tenuto semi- nari anche ai consigli di amministrazione delle aziende, ai comitati esecutivi sindacali, ai ministeri e ai capi della comu- nit& finanziaria, spiegando le differenze tra produzione di massa e produzione snella con idee su come convertire il vecchio sistema. PRESENTAZIONE DEL LIBRO Abbiamo trascorso cinque anni scandagliando le diversita tra la produzione snella e la produzione di massa in un set- tore industriale di immense proporzioni. Siamo stati a un tempo insider, con accesso a una quantita incredibile di in- formazioni confidenziali e un contatto quotidiano con i ver- tici dell'industria, e outsider con una visione aperta, spesso molto critica, sui metodi esistenti. Durante tale processo ci siamo convinti che i principi della produzione snella possa- no essere applicati analogamente in ogni settore industriale del globo e che la conversione avra un effetto profondo sul- Ja societa umana e cambiera veramente il mondo. ‘Abbiamo quindi deciso di non stendere un rapporto ac- cademico del nostro lavoro, laconiea raccolta delle conclu: sioni di un comitato in cerca di consensi, Noi tre direttori del progetto IMVP abbiamo preferito raccontare, nelle pagine che seguono, come la societa abbia attuato il processo di fab- bricazione durante l'ascesa ¢ ora il declino della produzione di massa e come alcune aziende in certi paesi siano state fau- trici di un nuovo metodo di fabbricazione agli albori della produzione snella. L’ultima parte del libro fornisce un sug- gerimento su come il mondo intero possa entrare in questa nuova era. Il libro si basa sulle 116 monografie dei ricercatori asso- ciati del’ IMVP elencate nell’Appendice, anche se per forza 10 di cose @ inclusa soltanto una piccola parte delle deduzioni della nostra analisi. I lettori interessati ad approfondire un argomento specifico possono consultare FAppendice Deri- chiedere copie delle pubblicazioni all' IMVP, Center for Technology, Policy and Industrial Development, E40-219, MIT. Cambridge, MA 02139 U.S.A. E comprensibile che in presenza di tale diversita di o] nioni ¢ risorse intellettuali, i ricercatori dell' IMVP non si sia~ no trovati d'accordo su tutti i punti. Questo volume illustra Topinione personale dei tre responsabili del progetio IMVP enon deve quindi essere considerato come il rapporto uffi- ciale concordato da tutti i partecipanti. In ogni caso non vanno biasimati per eventuali errori ¢ omissioni. Il nostro libro non @ rivolto a un pubblico specializzato, ma a chiunque interessi sapere come Ia societa affronti il problema della produzione ~ funzionari di governo, leader indacali, dirigenti industriali e comuni lettori. Nelle spiega~ zioni siamo stati costretti a ricorrere a confronti poco lusin- ghieri per aziende e paesi, che il lettore dovrebde recepire nello spirito appropriato. Non é nostro desiderio mettere in imbarazzo né al contrario tessere lodi, ma piuttosto illustra- re la transizione dalla produzione di massa a quella snella con esempi concreti comprensibili ai lettori. Vorremmo inoltre sottolineare la straordinaria dispor lita dei nostri sponsor, i quali hanno inviato i loro dirigenti ai nostri incontri annuali e in parecchi ci hanno fatto perve- nire una critica sulla bozza di questo volume, qualche volta esprimendo le proprie divergenze. In ogni caso non hanno esercitato alcun veto sulle nostre conclusioni né le hanno avallate. Le opinioni espresse nelle pagine che seguono sono strettamente personali. Siamo profondamente grati ai nostri sponsor per non avere interferito in un momente di profon- la transizione. UN'ULTIMA SFIDA AL LETTORE Presentando il nostro lavoro a un vasto pubblico abbiamo un grosso timore, ossia che i lettori lo esaltino 0 lo condanni- no come uno dei soliti libri «filogiapponesi» riguardante il modo in cui un sottogruppo della popolazione della terra al- interno di un paese relativamente piccolo produca secondo un metodo unico al mondo. II nostro intento é del tutto di- ra verso. Riteniamo che le idee fondamentali della produzione snella siano universali, applicabili in qualsiasi luogo ¢ da chiunque, e che numerose aziende non giapponesi le abbia- no gid recepite. Ber questo motivo ci dilunghiamo sulla logica ¢ le tecni- che della produzione snella. Abbiamo invece trascurato le caratteristiche specifiche della societa giapponese — l'elevato tasso di risparmio, una scolarizzazione quasi totale, una po- polazione omogenea, la tendenza spesso dichiarata a subor- dinare i desideri personal ai bsogni di gruppo ela dispon- bilita o addirittura il desiderio di lavorare per molte ore — a cui alcuni osservatori imputano il successo del Giappone e che invece noi riteniamo di sccondaria importanza. ‘Analogamente, abbiamo sorvolato su altre caratteristiche della societa giapponese —il ruolo limitato delle donne e del- le minoranze nell'economia, lo stretto rapporto tra governo ¢ industria, le barriere alla penetrazione straniera sul mer- cato interno la diffusa distinzione tra estero e giapponese = che altri paesi desiderosi di adottare la produzione snella non vogliono né hanno bisogno di copiare. Del resto questo non é un libro su cid che é sbagliato nel Giappone o nel resto del mondo ma su cid che @ giusto nella produzione snella. Gid nonostante il livelo di tensione commerciale e di in- vestimenti tra il Giappone e il resto del mondo é arrivato a un punto tale che la maggior parte dei lettori, in Giappone come pure in Occidente, dovra fare uno sforzo particolare +r risalire ai principi universali della produzione snella dal- 'esempio giapponese. Ali inzi del secolo la gran parte degli europei non era in grado di distinguere le teorie universali e i vantaggi della produzione di massa dalle loro origini americane. Cosi, idee di grande valore furono respinte per una generazione. La grande sfida del momento @ di evitare di ripetere l'errore. 1 LINDUSTRIA DELLE INDUSTRIE IN TRANSIZIONE. Quaranv’anni fa Peter Drucker la soprannomind «industria delle industrie»!, Oggi la produzione automobilistica @ anco- ra la principale attivita industriale del mondo, con quasi 50 milioni di veicoli prodotti annualmente. La maggior parte di noi possiede un’auto, molti ne pos- siedono piu d’una e, anche se forse non ne siamo consape- voli, gli automezzi hanno un ruolo fondamentale nella no- stra vita quotidiana, Lindustria automobilistica pee, 2 per noi pid importan- te ancora di quel che si potrebbe immaginare. Per ben due volte in questo secolo ha modificato le nostre teorie fonda- mentali sulla fabbricazione. E il sistema di fabbricazione in- fluisce non soltanto sul modo in cui noi lavoriamo, ma anche sul nostro comportamento all’acquisto, sul nostro modo di pensare e di vivere. Dopo la prima guerra mondiale, Henry Ford e Alfred Sloan della General Motors furono artefici del passaggio dell'industria dai secoli di produzione artigianale, di cut le aziende europee erano state caposcuola, all'era della produ- zione di massa. A cid'si deve in gran parte il successivo pre- dominio degli Stati Uniti sulla scena economica mondiale. Dopo la seconda guerra mondiale, Eiji Toyoda e Taiichi Ohno della Toyota Motor Company in Giappone introdus- sero il concetto di produzione snella. L’ascesa economica del Giappone fino alla sua attuale supremazia fu rapida e altre societa e industrie nipponiche copiarono questo straordina- rio sistema. Gli industriali del mondo intero stanno ora tentando an- ch’essi di adottare la produzione snella, ma si accorgono di avere difficolta. Le aziende che per prime cominciarono a padroneggiare questo sistema avevano tutte il loro quartier generale nel medesimo paese: il Giappone. Con il diffon- B dersi della produzione snella nell’ America del nord e in Eu- ropa sotto la loro egida, sono seguite guerre commerciali e una crescente resistenza all'investimento estero. Oggi sentiamo costantemente dire che il mondo é sul- Torlo di una grave crisi per un esubero di capacita produt- tiva, che secondo alcuni esponenti dei vertici industriali ec- cederebbe di 8 milioni lattuale volume delle vendite mon- diali attestato a circa 50 milioni di unita.’ In realté @ un modo di dire improprio. Della capacita competitiva tipica della produzione snella il mondo ha estremo bisogno, in esubero invece @ la capacit non competitiva della produ- zione di massa. La crisi @ causata dalla minaccia della pri- ma sulla seconda. Numerose aziende occidentali ora comprendono il con- cetto di produzione snella e almeno una é sulla buona strada verso l'integrazione. Tuttavia, lintroduzione dei metodi del- la produzione snella in un sistema esistente di produzione di massa @ penosa e causa problemi. In mancanza di una crisi che minacci la soprawvivenza dell’azienda, sembra possibile soltanto un progresso limitato. La General Motors é l'esempio pid eclatante. Questo co- losso @ tuttora la maggiore industria del mondo e fu senza dubbio la migliore in quanto a produzione di massa, sistema che aiutd a nascere. Oggi, nellera della produzione snella, abbonda di dirigenti, dipendenti e impianti. Tuttavia la Ge- neral Motors non si é ancora trovata in un’impasse come in- vece fu per la Ford Motor Company agli inizi degli anni Ot- tanta, ¢ quindi non é stata in grado di convertirsi.’ Questo libro costituisce uno sforzo per facilitare la neces- saria transizione dalla produzione di massa a quella snella. Ci concentreremo quindi sullindustria automobilistica mondiale per spiegare in termini semplici e concreti che co- s’ la produzione snella, le sue origini, come funziona nella realta e come pud diffondersi in ogni angolo del globo a be- neficio di tutu. Ma perché mai preoccuparsi se gli industriali del mondo si vogliono disfare di decenni di produzione di massa per abbracciare la produzione snella? La risposta @ che quest'ul- tima, che si sta inevitabilmente diffondendo in altri settori industriali, modifichera ogni aspetto di quasi tutte le indu- strie: le scelte per il consumatore, la natura del lavoro, la fortuna delle aziende e, da ultimo, il destino delle nazioni. Ma che cos'é la produzione snella? Forse il modo miglio- 4 re per descrivere questo sistema di produrione innovativo ® contrapporio con la produzione artigianale ela produsione di massa, gli altri due metodi che gli uomini hanno ideato per fabbricare i beni di consumo. Il produttore artigianale si serve di lavoratori altamente specializzati e di strumenti semplici ma flessibili per creare esattamente cid che il consumatore chiede, un articolo alla volta, Mobili su misura, opere d’arte decorativa ¢ auto spor- tive fuoriserie costituiscono gli esempi attuali.. A tutti piace Tidea della produzione artigianale, ma il problema che sor- ge @ owvio. I beni prodotti con il metodo artigianale — com'e- Fano le automobil di una volta —costano troppo per la mag- gior parte di noi. Cosi, in altcrnativa, all’inizio del ventesimo secolo si @ sviluppata la produzione di massa. Il produttore di massa utilizza professionisti ultraspecia~ lizzati per progettare articoli fabbricati da lavoratori non qualificati 0 semiqualificati impegnati a controllare macchi- ne costose e dedicate, Queste ultime sfornano prodotti stan- dardizzati in notevoli quantita. Dal momento che il maccl nario @ molto costoso ¢ non tollera interruzioni, per assicu- rare un processo di lavorazione senza problemi il produtto- re di massa @ costretto a prevedere numerosi espedienti tampone: una quantita supplementare di scorte, di lavorato- rie maggiore spazio. Dato che cambiare articolo costa anco- radi pid, il produttore di massa mantiene in produzione ti- pologie standard il pid a lungo possibile. Risultato: il consu- matore pud contare su costi inferiori ma a spese della varie- te con metodi di lavoro che la maggior parte del personale trova noiosi e demotivanti. Il produttore snello, al contrario, combina i vantaggi del- Ja produzione artigianale con quella di massa, evitando l'ele- vato costo della prima ¢ la rigidita della seconda. A tale sco- po impiega squadre di dipendent| mulispeciaizat a tut | li del organizzazione aziendale e utilizza macchinari sempre pitt automatizzati e altamente flessibili per produrre quantita di prodotti in una varieta enorme. La produzione snella (termine coniato dal ricercatore dell MVP John Krafcik) @ cosi detta in quanto di tutto im- piega una minor quantita rispetto alla produzione di mass meta delle risorse umane nell’azienda, meta dello spazio di produzione, meta degli investimenti in attrezzature, meta delle ore di progettazione per sviluppare un nuovo prodot- to in met tempo. Inoltre richiede una quantita di scorte a B magazzino di gran lunga inferiore della meta, genera difetti di fabbricazione meno grossolani e produce una varietd di prodotti maggiore ¢ sempre crescente. Ma forse la differenza pitt evidente tra produzione di massa e produzione snella @ insita nei reciproci obiettivi nali. I produttori di massa si impongono un traguardo limi. tato, ossia che il prodotto sia «sufficientemente buono», il che si traduce in un numero accettabile di difetti, in un mas- simo livello accettabile di scorte ¢ in una gamma ridotta di Prodotti standardizzat, Fare meglio, sstengono, costereb- troppo o andrebbe oltre le capacita umane intrinseche. I produttori snelli, invece, fissano i propri obiettivi esplictamente sulla perfezione: costi in continuo calo, zero difetti, zero scorte e un’infinita varieta di prodotti. Natu- ralmente, nessun produttore snello ha mai raggiunto que- sta terra promessa, e forse nessuno la raggiungera mai; ma la ricerca incessante della perfezione continua ad avere svi- luppi imprevisti. Per prima cosa, la produzione snella cambia il modo di lavorare ma non sempre nella maniera che crederemmo. Con il dilagare della produzione snella quasi tutti - inclusi i cosiddetti colletti blu — troveranno il proprio lavoro pid stimolante. E sicuramente diventeranno pid’ produttivi. Contemporaneamente perd il lavoro potra rivelarsi pid stressante poiché un obiettivo chiave della produzione snella @ quello di spingere la responsabilita fino ai livelli pitt bassi dell’organizzazione interna dell'azienda. Respon- sabilita significa possibilita di controllare il proprio lavoro = pregio notevole ~ ma accresce anche l'ansia di commette- re errori costosi. Al tempo stesso, la produzione snella modifica il signifi- cato di carriera professionale. In Occidente siamo abituati a pensare alla carriera come a un continuo progresso verso li- velli sempre maggiori di cognizioni e abilita tecniche in un’a- rea sempre pid ristretta di specializzazione e a divenire re- sponsabili di un numero crescente di subordinati: capo con- tabile, capo tecnico di produzione e via dicendo. La produzione snella richiede l'apprendimento di un ventaglio assai maggiore di abilitA professionali e l'applica- zione delle stesse in modo creativo in un ambiente di squa- dra piuttosto che in una rigida gerarchia. Il paradosso é che migliori si risulta nel lavoro di squadra e minor’ sono le pro- prie conoscenze in una specifica, ristretta specializzazione e 16 la possibilita di portarle con sé in un’altra azienda o sfruttar- le per avviare un’attivita in proprio. Oltretutto, 'assenza di uno sviluppo di carriera con mansioni e titoli sempre pitt ri- cercati potra risultare deludente e sconcertante per nume- rosi dipendenti. Se fa forza lavoro deve prosperare in questo ambiente, le aziende devono offrirle una continua varieta di sfide. In tal modo i lavoratori avranno la sensazione di affinare le pro- prie tecniche e di essere valutati per i diversi tipi di compe- tenze che hanno sviluppato. In mancanza di queste continue sfide, i dipendenti potrebbero avere limpressione di aver raggiunto un punto morto gia agli inizi della propria carrie~ ra, Risuluaw: rifiuterebbero allazienda il proprio bagaglio di conoscenze tecniche e il proprio impegno e il principale Yantaggio dela produzione snela scomparirebte; Questo naturalmente @ un primo abbozzo schematico della produzione snella e dei suoi effetti. Ma da dove @ sorta esattamente questa teoria e come funziona in pratica? Per- ché produrra cambiamenti politici ed economici tanto pro- fondi nel mondo intero? In questo libro daremo le risposte a questi interrogativi. Nelle «Origini della produzione snella» tracceremo I'e- voluzione di questo sistema di produzione, mentre negli «Elementi della produzione snella» analizzeremo il suo funzionamento nelle attivita aziendali, nello sviluppo dei prodotti, nella coordinazione del sistema di approvvigiona- mento, nei rapporti con la clientela ¢ in un’impresa globale snella. Infine nella «Diffusione della produzione snella» esa- mineremo il progresso della diffusione di questo sistema nel mondo e in altri settori industriali, che sta rivoluzio- nando il nostro stile di vita e di lavoro. Come vedremo, pe- 1, la produzione snella non si sta diffondendo dappertut- to in modo uniforme. Percid passeremo in rassegna le bar- riere che impediscono alle aziende e ai paesi di diventare snelli e suggeriremo alcuni modi creativi attraverso i quali acquisire snellezza. Le origini della produzione snella Nessuna nuova idea nasce gid del tutto formata dal nulla, Le nuove teorie emergono da una serie di condiziont in cui le vecchie non sembrano pid funzionare. Questo si ap- plica in particolare alla produzione snella, che sorse in un paese in un momento in cut le idee convenzionali per lo sviluppo industriale del paese parevano inattuabili. Percid, per comprendere a fondo la produzione snell¢ le sue rar dici, @ importante tornare indietro nel tempo, fino alla na- scita dell'industria automobilistica alla fine del diciannove- simo secolo. ‘Nel capitolo 2 analizzeremo le origini artigianali dell’ dustria intorno al 1880 ¢ la transizione alla produzione di massa verso il 1915, quando la produzione artigianale in- contrd problemi insormontabil. Quindi descriveremo il stema della produzione di massa ormai giunto a maturazio- ne negli anni Venti, incluse le sue forze ¢ le sue debolezze, jiché queste ultime furono alla fine fonte d'ispirazione per successiva fase del pensiero industriale. Nel capitolo 3 esamineremo quindi la genesi della prov duzione snella negli anni Cinquanta ¢ come prese piede. Inoltre riassumeremo le caratteristiche essenziali del sistema gia pienamentesvluppato in Giappone negli anni Sessanta, molto prima che il resto del mondo se ne rendesse conto. 2 ASCESA E DECLINO DELLA PRODUZIONE DI MASSA Nel 1894, !Onorevole Evelyn Henry Ellis, facoltoso mem- bro del Parlamento inglese, si prefisse di acquistare un'auto- mobile.' Non si recd da un concessionario (allora non ne esi. stevano). Né contattd un produttore inglese di automobili (non esistevano neanche quelli). Si recd invece in visita alla famosa azienda di macchine ‘utensili Panhard et Levassor di Parigi ¢ commissiond un’au- tomobile. Oggi la P&L, com’era chiamata, ¢ ricordata soltan- to dai collezionisti di auto d’epoca ¢ dai cultori di storia del- Fautomobile, ma nel 1894 era la principale fabbrica di auto- mobili del mondo.? ‘Questa aveva avuto il suo esordio — facendo un salto di qualita rispetto agli altri potenziali concorrenti — nel 1887, uando Emile Levassor, la «L» di P&L, aveva incontrato ottlieb Daimler, fondatore dell'azienda che oggi costruisce la Mercedes. Levassor aveva comprato una licenza per co- struire il nuovo motore a benzina ad «alta velocita» ‘Agli inizi dell'ultimo decennio del secolo, la P&L fabbri- cava parecchie centinaia di automobili all'anno. Le auto era- no progettate secondo il Syst?me Panhard, ossia con il motore collocato anteriormente, i passeggeri seduti dietro ¢ il pro- pulsore che azionava le ruote posteriori. ‘Quando Ellis arrivo alla P&L, che era ancora principal- mente una fabbrica di seghe per metalli, trovd il sistema dlassico di produzione artigianale. La forza lavoro della P&L era in massima parte composta da artigiani qualificati che aia abilmente a mano piccole quantita di auto- mobili. ‘Questi lavoratori conoscevano in modo approfondito i principi della progettazione meccanica e i materiali. Oltre- tutto, molti di loro lavoravano in proprio, spesso come ap- paltatori autonomi allinterno dello stabilimento della P&L. 23 ©, pid frequentemente, come proprietari di officine mecca- niche cui l'azienda ordinava la fabbricazione di componenti © pezzi specifici. I due fondatori, Panhard ¢ Levassor, ¢ i loro diretti soci assolvevano il compito di stabilire con il cliente le caratteri- stiche esatte del veicolo, ordinare i pezzi necessari e assem- blare il prodotto finale. Gran parte del lavoro, tuttavia, in- clusa la progettazione, avveniva in laboratori artigianali sparsi in tutta Parigi Uno dei presupposti fondamentali nell'era della produ- zione di massa — che il costo per unita decresce in modo sen- sibile con aumento della produzione — non era valido per la P&L, fondata sull’artigianato. Sc lazienda avessc tcntato di produrre 200.000 automobili identiche ogni anno, il costo per vettura probabil mente non sarebbe stato di molto infe- iore al normale costo unitario raggiunto producendone dieci. Oltre a cid, la P&L non avrebbe mai potuto cbstruire due automobili identiche, per non parlare di 200.000, anche qualora fossero state costruite dai medesimi operai. Questo rché i lavoratori della P&L non utilizavano un sistema standard di calibrazione e con le macchine utensili della fine del secolo non era possibile tagliare lacciaio temprato. 1 pezzi erano costruiti dai vari appaltatori che utilizzava- no calibri leggermente diversi 'uno dall'altro, Quindi veni- vano passati in un forno per temprarne la superficie in mo- do che potesse sopportare un uso intenso. Purtroppo, nel forno i pezzi spesso si deformavano e dovevano essere ulte- riormente lavorati per riprendere la forma originale, Quando pot i pezzi arrivavano nel reparto di assemblag- gio finale della P&L, le loro caratteristiche presentavano, per dirla con un eufemismo, solo una vaga rassomiglianza. I] compito dei montatori specializzati era di prendere i primi due pezzi e limarli finché non coincidevano perfewamente. Poi cominciavano a limare il terzo pezzo per farlo com- baciare ai primi due, e cosi via fino al completamento del- Vintero veicolo, composto da centinaia di pezzi. Questo montaggio sequenziale produceva quella che og- gi definiamo «deformazione dimensionale permanente». Cosi quando i montatori arrivavano all'ultimo pezzo il veico- lo poteva differire in modo significativo nelle dimensioni dall'automobile costruita al banco vicino secondo il medesi- mo disegno. 24 Dal momento che la P&L non poteva produrre in massa auto identiche, non ci provd neppure. Concentro invece le ptoprie forze per fabbricare ogni prodotto secondo i precisi desideri dei singoli acquirenti. Pose inoltre T'accento sulle prestazioni delle automobili e sulla maestria con cui erano assemblate a mano, grazie alla quale gli interstizi tra i vari pezzi erano praticamente invisibili. Per iclienti che Panhard cercava di allettare il ragiona- mento non faceva una grinza. Questi ricconi annoveravano infatti nel loro staff personale autisti e meccanici. I] costo, la facilita di guida e la manutenzione per loro non erano que- stioni fondamentali. Quel che pitt importava erano la veloci- 12 e la fabbricazione su misura. Evelyn Ellis rappresentava senza dubbio il tipico cliente della P&L: non voleva un’auto qualsiasi, ne voleva una che Tispondesse ai suoi precisi bisogni ¢ ai suoi gusti. Era dispo- sto ad accettare il telaio ¢ il motore di base della P&L, spiegd ai proprietar dell’azienda, ma voleva una carrozzeria spe- ciale costruita da un carrozziere di Parigi. Fece inoltre a Levassor una richiesta che il produttore di automobili di oggi riterrebbe insensata: che i comandi della trasmissione, dei freni e del motore fossero trasferiti sul lato sinistro dell’auto. (Ma non perché gli inglesi guidavano sulla sinistra; anzi, in tal caso spostare i comandi alla sinistra del veicolo sarebbe stato sbagliato. Presumibilmente riteneva che l'azionamento dei comandi fosse pid comodo in quella posizione.) : ‘Alla P&L la richiesta di Ellis con tutta probabilita sembrd semplice ¢ ragionevole. Dato che si costruiva un pezzo alla yolta, piegare le leve a sinistra invece che a destra e invertire i collegamenti era un gioco da ragazzi. Al’attuale produtto- re di massa per apportare questa modifica occorrerebbero anni interi, e milioni 0 centinaia di milioni di dollari (ancora oggi le industrie automobilistiche americane non offrono la possibilita della guida a destra sulle vetture da loro vendute nel Giappone, dove si guida a sinistra, in quanto ritengono che il costo di progettazione sarebbe proibitivo). Non appena la sua automobile fu terminata, Ellis, ac ‘compagnato da un meccanico ingaggiato a tale scopo, la col- Iaudd a lungo per le strade di Parigi. A differenza delle au- tomobili di oggi, infatti, il veicolo che aveva appena acquista- to era un prototipo in ogni senso. Quando si convinse che la 2s sua nuova auto funzionava bene — con tutta probabilita do- po varie capatine allo stabilimento della P&L per la messa a punto ~ Ellis pard alla volta dell'Inghilterra Il suo arrivo nel giugno del 1895 fece scalpore. Ellis fu il primo a guidare un’automobile in Inghilterra. Superd la no- vantina di chilometri che separavano Southampton dal suo paese natale in appena 5 ore e 32 minuti, escluse le fermate, con una velocita media di 9,84 miglia all’ora (circa 15,8 km/ hy. La sua velocita era scandalosamente illecita giacché in In- ghilterra il limite per i veicoli non trainati dal cavallo era di + tranquille miglia orarie (6,4 km/h). Ma Ellis non intendeva rimanere fuori legge. Entro il 1896 aveva preso la guida del Parlamento abro- ando la «legge della bandiera>* che limitava la velocita del- je automobili ed aveva organizzato una Corsa di Emancipa- zione da Londra a Brighton, viaggio in cui alcune vetture superarono addirittura il nuovo limite di velocita di 12 mi- glia orarie (19,2 km/h). A quell'epoca un certo numero di aziende inglesi comincid a fabbricare vetture, indizio che l'e- ra dell'automobile stava prendendo piede, diffondendosi dalla Francia, suo paese di origin, all nghilterra nella sua marcia attraverso il mondo. Evelyn Ellis e la P&L meritano di essere ricordati, mal- grado il successivo fallimento dell'azienda di Panhard e la grossolanita della vettura di Ellis del 1894 (che trovo posto nell6 Science Museum di Londra, dove ancor oggi pud esse- re ammirata). Insieme incarnano perfettamente il momento sorico della produzione artigianale delfindustria automobi- istica. In sintesi, le caratteristiche della produzione artigianale erano le seguenti: ‘* Una forza lavoro altamente specializzata in progettazione, lavorazioni meccaniche e montaggio. La maggior parte dei lavoratori passava dall’apprendistato a un bagaglio completo di abilita tecniche manuali. Molti di loro poteva- no sperare di gestire un'officina meccanica in proprio, di- ventando appaltatori delle aziende finali. © Strutture estremamente decentrate, anche se ubicate nel- * Cosi detta perché imponeva a ogni automobilista di farsi precedere dda un uomo a piedi con una bandiera rossa. [Na.7] a 26 la stessa citta. Quasi tutti i pezzi e gran parte della proget- tazione del veicolo provenivano da piccole officine mecca- niche. 1] sistema era coordinato da un proprietario/im- prenditore in contatto diretto con tutti gli interessati: clienti, dipendenti e fornito © Utilizzo di machine utensili generiche per eseguire tra- panatura, molatura ¢ altre operazioni sul metallo ¢ sul le- gno. ‘* Produzione molto ridotta: non pid di mille automobili al- Yanno, di cui soltanto alcune (una cinquantina) costruite sul medesimo progetto. E anche tra queste cinquanta non ve n'eranu neppure due uguali poiché le tecniche artigia- nali producevano implicitamente delle variazioni. Nessuna azienda, naturalmente, poteva esercitare un monopolio su queste risorse e caratteristiche ¢ la Panhard et Levassor si trovd ben presto a competere con infinite altre imprese, tutte che producevano veicoli in modo analogo. Entro il 1905, meno di vent’anni dopo la fabbricazione della prima automobile commercialmente riuscita da parte della P&L, centinaia di aziende in Europa e nell’America del nord sfornavano automobili in piccole quantita con tecniche arti- gianali. L'industria automobilistica passd alla produzione di mas- sa dopo la prima guerra mondiale e la P&L alla fine naufra- g0 nel tentativo di effettuare la conversione. Un certo nu- mero di aziende artigianali sono invece sopravvissute fino ai giorni nostri, Esse continuano a mirare a minuscole nicchie di mercato nel segmento superiore di lusso, popolato di ac- quirenti desiderosi di un’immagine esclusiva ¢ di trattare di- rettamente con l'azienda. La Aston Martin, per esempio, nel corso degli ultimi ses- santacinque anni nel suo stabilimento inglese ha prodotto meno di 10,000 automobili e attualmente fabbrica una sola vettura ogni giorno lavorativo. Sopravvive rimanendo pic- cola ed esclusiva, facendo una virt degli alti prezzi che le sue tecniche artigianali esigono. Nel suo reparto carrozze- ria, per esempio, alcuni battilastra specializzati approntano i pannelli d’ailuminio della carrozzeria martellando la lamie- ra con magli di legno. ‘Negli anni Ottanta, con laccelerazione del ritmo del pro- gresso tecnologico nellindustria automobilistica, la Aston 27 Martin e aziende simili sono state costrette ad allearsi con i giganti del settore (la Ford, nel caso della Aston Martin), al fine di acquisire competenze specialistiche in aree che vanno dal controllo dei gas di scarico alla sicurezza. Sviluppare tali competenze indipendentemente avrebbe rappresentato un costo semplicemente proibitivo. Tutavia, negli anni Novanta per queste ditte artigianali si profila un‘altra minaccia. Infatti con 'avvento della pro- duzione snella le aziende del settore, guidate dai giapponesi, cominciano a mirare alle loro nicchie di mercato, troppo ri- dotte ¢ specializate finora per poter essere assaltate con successo dai produttori di massa, come la Ford ¢ la General Motors (GM). Per esempio, la Honda ha appena introdotto le sue auto sportive NS-X con scocca in alluminio, un attacco diretto alla nicchia della Ferrari delle auto sportive gran tu- rismo. Se le aziende che praticano la produzione snella sa- pranno ridurre i costi della progetiazione e della fabbri ione e migliorare qualitativamente rispetto al prodotto of ferto dalle ditte artigianali, come probabilmente sara, i tra- dizionali produttori artigianali dovranno essi stessi adottare i metodi della produzione snella o rassegnarsi a estinguersi dopo pit di un secolo di esistenza. T nostalgici considerano Panhard ¢ i suoi concorrenti co- me i rappresentanti dell’eta d’oro della produzione automo- istica, dove contava Pabilita e dove le aziende curavano personalmente la clientela. Olretutto, i lavoratori artigiani, orgogliosi del loro lavoro, affinavano le proprie tecniche € numerosi diventavano proprietari di officine Tutto cid @ vero, ma git inconvenienti della produzione artigianale in retrospettiva sono altrettanto owi. I costi di produzione erano elevati e non diminuivano con l'aumento della produzione, il che voleva dire che soltanto i ricchi po- tevano permettersi le automobili. In aggiunta a cid, poiché ogni auto prodotta era in realta un prototipo, la solidita € Yaffidabilita erano molto vaghe. (Questo, comunque, @ il medesimo problema che affligge i satelliti ¢ gli shuttle ameri- cani, che oggi sono i prodotti artigianali pit illustri.) 1 proprietari d’auto come Evelyn Ellis, o i loro autisti e meccanici, erano costretti a effettuare personalmente i col- laudi su strada. In altre parole, il sistema non si preoccupava della qualita del prodotto ~ e ci riferiamo alla sua affidabilita ¢ durata pid che alla profusione di pelle ¢ radica — a causa della mancanza di prove sistematiche. 28 Fatale per quell’era, comunque, fu anche l'incapacita di sviluppare nuove tecnologie nelle piccole officine, dove av- veniva la maggior parte della produzione. Il fatio @ che gli artigiani non avevano le risorse per seguire le innovazioni fondamentali: per il vero progresso tecnologico era necessa- rio fare il ricercatore invece del semplice tuttofare. Se si con- siderano tutti questi limiti, appare chiaro in retrospettiva che il settore stava raggiungendo la sua soglia massima quando fece la sua comparsa Henry Ford. Infatti, con la progettazione degli automezzi che cominciava a convergere verso 'ormai familiare veicolo a quattro ruote, con motore anteriore a combustione interna (0 motore a scoppio) che conosciamo oggi, Vindustria aveva raggiumto una maturita precoce, divenendo un fertile terreno per una nuova idea. ‘ questo punto Henry Ford trovo il modo per superare problemi della produzione artigianale. Le nuove tecniche ayrebbero ridotto i costi in modo sensibile ¢ aumentato al tempo stesso la qualita del prodotto. Ford chiamd questo suo sistema innovativo produzione di massa.* LA PRODUZIONE DI MASSA Imodello T di Ford del 1908 fu il suo ventesimo progetto do- po un quinquennio cominciato nel 1903 con la produzione dell'originale modello A. Con il modello T, Férd raggiunse infine due obiettivi: un’auto progettata in funzione della pro- duzionee facile da utilizzare. Praticamente chiunque avrebbe potuto guidare l'automobile e ripararla senza autista omecca- nico. Questi due traguardi furono la.base del cambiamento che rivoluziond l'intera industria automobilistica® Il concetto chiave della produzione di massa non ‘era, come molti allora e ancora adesso credono, la linea di montaggio in movimento, o continua, ma 'intercambiabilita completa dei pezzi e la semplicita d’incastro. Queste furono le innovazioni nella fabbricazione che resero possibile la linea di montaggio. Per ottenere lintercambiabilita, Ford insistette sull’uso del medesimo sistema di calibratura per ogni pezzo nel cor- so dellintero proceso produttivo. Si era accorto infatti del tornaconto che cid procurava in termini di risparmio sui co- sti di montaggio. Stranamente nessun altro in quel nuovo settore industriale aveva colto questo rapporto causa-effet- 29 to; cosi nessun altro persegui la tecnica della lavorazione ca- librata con lo zelo quasi religioso di Ford. Henry Ford approfittd anche dei progressi segnati nel settore delle machine utensili capaci ora di lavorare metalli pretemprati. La deformazione che avveniva durante la tem- pra dei pezzi lavorati era stata la rovina dei precedenti tenta- tivi di standardizzazione. Una volta risolto tale problema, Ford fu in grado di sviluppare progetti di automobili inno- vativi che riducevano il numero di pezzi necessari c li rende- vano facili da assemblare. Per esempio, il monoblocco a quattro cilindri di Ford consisteva di un unico pezzo com- 1 suoi concorrenti invece fondevano separata- dri che poi bullonavano insieme. Lintercambiabilita, la semplicita e la facilita di montag- gio diedero a Ford un immenso vantaggio sulla concorren- za, Oltretutto poté eliminare i montatori qualificati che ave- vano sempre rappresentato il grosso della forza lavoro di tutte le aziende automobilistiche. I primi sforzi di Ford per assemblare le sue automobili, a cominciare dal 1903, implicarono la predisposizione di ban- chi di montaggio su cui veniva costruita un’intera auto, spes- so da un unico montatore. Nel 1908, alla vi dell'introdu- zione del modelo T, il ciclo di lavoro medio di un montato- re di Ford — ossia il tempo necessario per portare a termine tutte le operazioni prima di ricominciare da capo — era in to- tale di 514 minuti, ossia 8 ore ¢ 56 primi. Ogni operaio mon- tava una parte consistente dell’auto prima di spostarsi a quella successiva. Per esempio, un operaio inseriva sul telaio tutti i pezzi meccanici, ruote, molle, motore, trasmissione, generatore, attivita che richiedeva un‘intera giornata di la- Yoro. I montatori ripetevano continuamente le stesse opera- zioni ai loro banchi fissi di montaggio. Dovevano reperire i pezzi necessari, limarli in modo che combaciassero (Ford non aveva ancora raggiunto la perfetta intercambiabilita dei pezzi) e infine fissarli. La prima iniziativa assunta da Ford per rendere pit effi- cace questo processo fu di consegnare i pezzi a ogni stazione di lavoro. Cosi i montatori potevano restare fermi nel mede- simo posto tutto il giorno. Poi intorno al 1908, quando arrivo all'intercambiabilit& perfetta dei pezzi, Ford decise di assegnare al montatore un'unica mansione e di farlo muovere da vettura a vettura nel reparto di assemblaggio. Nell'agosto del 1913, appena 30 prima dell'introduzione della linea di montaggio mobile, il Giclo di lavoro del montatore medio della Ford era stato ri- doo da 514 a 2,3 minuti. Naturalmente questa riduzione diede impulso a un au- mento considerevole della produttivita, in parte perché la totale familiarita con una singola operazione permetteva al- Toperaio di eseguirla pit rapidamente, ma anche perché la limatura e Padeguamento dei pezzi erano ormai stati elimi- nati, I lavoratori si limitavano a inserire pezzi che combacia- vano perfettament . Le innovazioni di Ford devono aver segnato un ingente risparmio rispetto alle precedenti tecniche produttive che obbligavano gli operai a limare e poi montare pezzi imper- fetti. Sfortunatamente, l'importanza di questo gigantesco balzo verso la produzione di massa fu in gran parte sottova- lutaa, cosicché non abbiamo stime accurate della quantita di lavoro, ¢ di denaro, risparmiata grazie alla divisione minu- ziosa del lavoro e alla perfetta intercambiabilita dei pezzi. Sappiamo che fu consistente, probabilmente assai maggiore del risparmio realizzato da Ford nella fase successiva, con Vintroduzione nel 1913 della linea di montaggio a flusso continuo. Ford si rese subito conto del problema che comportava lo spostamento dell’operaio da un banco di montaggio al- Valtro, Camminare, anche soltanto per un paio di metri, ri- chiedeva tempo ¢ provocava spesso ingorghi quando i lavo- ratori pitt veloci superavano quelli pitt lenti davanti a loro. Il Iampo di genio che ebbe Ford nella primavera del 1913, presso il suo nuovo stabilimento di Highland Park a Detroit, fu l'introduzione della linea di montaggio in movimento, che faceva passare I'automobile davanti agli operai fermi. Quest’innovazione ridusse il ciclo lavorativo da 2,3 a 1,19 minuti. La differenza era da attribuire al tempo risparmiato dall’operaio che rimaneva fermo invece di muoversi eal rit mo pid veloce del lavoro, che la linea in movimento poteva imporre. . : Di fronte a questo palese cambiamento il mondo comin- cid.a mostrare interesse, cosi disponiamo di rapporti ben do- cumentati sul risparmio di quest’innovazione in termini di fatica produttiva. I giornalisti Horace Arnold e Fay Faurote, rr esempio, in un articolo su «Engineering Magazine» nel 1915 confrontarono il numero di pezzi assemblati dallo stes- so gruppo di operai utilizzando le tecniche di montaggio a1 FIGURA 2.1 Confronto tra produzione artigianale (1913) ¢ produzione di massa (1914) nel reparto di assemblaggio Minat d lara TTardaprodusione —Produsione ‘Ris per montages di: crtguanale, imate, eng cutwine 1913 primavera 1914 Motore 594 226 62 Magnete 20 5 % Assile 150 26.5 88 Veicolo completo a partire dai component principali 750 93 88 ‘Nate: La «Tarda produsone avtigianales conteneva git eumero! elements dela procusione di mi, in parsicolare uns buona intereambilica Gel pez ena Ininuosa disione del lavoro. La grande sols al 1913 al 1914 fula wanszione dala linea di montaggio fine 2 quella mobile Font: Dati ricavat dag ator in base a quanto riportato da David A. Hounshell, From te American Sytem to Mass Produon, 1800-1932, Balumora: Johns Hopkins [river Pret 1864 pp 248, 254, 2952861 dat ds Houoaheondano wl jc ouservasion’ del glormalii Horace Arnold e Fay Fauroteriporate ne loro vali- the Ford Methods andthe Ford Shope, New York, «Engineering Magazine», 1915. mobile e fissa, fornendo un’immagine vivida ed emozionan- te di cid che Ford aveva inventato (figura 2.1). Aumenti di produttivita di tale rilievo attirarono l'atten- zione e stimolarono limmaginazione di altri produttori di automobili. I concorrenti di Ford si resero ben presto conto che questi aveva fatto una scoperta straordinaria. La sua nuova tecnologia riduceva di fatto la necessiti di capitale. Questo perché la linea di montaggio di Ford non costava praticamente nulla ~ meno di 3.500 dollari alla Highland Park® — ¢ accelerava la produzione in modo tanto sensi- bile che il risparmio realizzato, riducendo le scorte dei zzi in attesa di essere assemblati, superava di gran lunga Fesborso. (La linea di montaggio mobile di Ford consisteva di due strisce di lamiera ~ poste sotto le ruote da un lato e dall’altro della vettura ~ che percorrevano lo stabilimento per intero. All'estremita della linea, le strisce montate su un nastro gira- vano sotto il pavimento e ritornavano all'inizio. Il dispositive assomigliava molto ai lunghi nastri di gomma che ora fun- gono da tapis roulant in alcuni aeroporti. Dal momento che 2 Ford bastavano il nastro e un motore elettrico per azionar- Io, il costo era minimo.) 32 Ma la cosa ancora pit! strabiliante era che la scoperta di Ford riduceva al tempo stesso la quantita di lavoro necessa- rio per assemblare un’automobile. Oltretutto, maggiore era il numero di veicoli prodotti da Ford, minore il costo unita- rio. Gia al suo lancio nel 1908 il modello T, con pezzi intera- mente intercambiabili, costava meno delle altre veiture. Agli inizi degli anni Venti, quando raggiunse il tetto di 2 milion di automobili identiche all’anno, Ford aveva ridotto il prez~ zo al consumo di altri due terzi.” Per accattivarsi la sua fascia di mercato media, Ford ave- va progettato l'auto puntando su una facilita di utilizzo.e manutenzione senza precedenti. Presupponeva infatti che Vacquirente fosse un contadino con pochi attrezzie il genere di abilita meccanica necessaria per riparare macchinari agri- coli, Percid il manuale fornito con il modello T, scritto in forma di questionario, spiegava in sessantaquattro pagine come servirsi di semplict arnesi per risolvere ognuno dei possibili 140 inconvenienti. Per esempio, i proprietari potevano rimuovere le incro- stazioni carboniose dalla testa del cilindro, causa di battito in testa e di perdita di potenza, dalla parte superiore della ca- mera e dei pistoni allentando le quindici viti che fissavano la testa del cilindro e utilizzando una spatola per mastice come raschietto. In modo analogo un paragrafo e un diagramma illustravano agli utenti come rimuovere le incrostazioni dal- le valvole dell'automobile con il Ford Valve Grinding Tool, lo smerigliatore per valvole appositamente previsto dalla Ford e di cui l'auto era corredata.* E se un pezzo andava so- stituito, i proprietari potevano comprare il ricambio presso un Tivenditore Ford e avvitarlo o fissarlo da soli. Con il mo- dello T della Ford non cera bisogno di adattamenti. Lo stupore dei concorrenti di Ford di fronte a questa fa- cilia di riparazioni non fu da meno di quello generato dalla linea di montaggio mobile. Questa combinazione di vantag- gi catapultd Ford in testa alfindustria automobilistica mon- diale ed elimind dalla piazza le aziende artigianali incapaci di stare al passo con lui nel risparmio sui costi di produzio- ne. (Come abbiamo gia fatto notare, perd, qualche produ tore artigianale europeo di vetture di lusso in pochissimi esemplari ha potuto ignorare l'imposizione della produzio- ne di massa.) La produzione di massa di Henry Ford fu il motore del- Yindustria automobilistica per oltre mezzo secolo, adottata 33 alla fine in quasi tutti i settori industriali nell’America del nord e in Europa. Oggi, tuttavia, le stesse tecniche, cosi radi- cate nella filosofia industriale, frustrano gli sforzi che nume- rose aziende occidentali stanno compiendo per adottare la produzione snella. Ma quali sono precisamente le caratteristiche della pro- duzione di massa introdotta da Ford nel 1913 e che persiste tuttora in tante imprese? Forza lavoro Ford perfezionéd il sistema in modo che si arrivasse all’inter- cambiabilita non soltanto del pezzo ma anche dell'operaio. Nel 1915, quando alla Highland Park erano state ormai in- tegralmente adottate le linee di assemblaggio e la produzio- ne aveva raggiunto il suo potenziale, gli addeti al montag- gio superavano le 7.000 unita. Nella maggior parte era- no arrivati da poco a Detroit, provenienti il pitt delle volte dal settore agricolo. Molt erano appena sbarcati negli Stat init. Untindagine del 1915 rivelava che gli operai della High- land Park parlavano pit di cinguantaidiomi e che molti sa pevano a malapena 'inglese.” Ma come era possibile che ‘questo esercito di stranieri riuscisse a fabbricare in collabo- razione un prodotto complesso (i! modello T) in quantita maggiore di quanto qualsiasi altra azienda avesse mai imma- ginato, e con una precisione costante? "Il segreto stava nel portare agli estremi l'idea della divi- sione del lavoro. Il montatore qualificato dell'impianto Ford a produzione artigianale del 1908 doveva raccogliere tutti i pezzi necessari,‘reperire gli attrezzi nel reparto uten- sileria, eventualmente ripararli, eseguire il complesso mon- taggio delf'intero veicolo, quindi controllare il proprio la- voro prima di mandare Pautomobile completata nel repar- to spedizioni In totale contrasto, Poperaio alla linea di montaggio del- lo stabilimento Ford dopo lintroduzione della produzione di massa aveva un unico compito: infilare due dadi su due bulloni o magari fissare una ruota su ogni vettura. Non do- veva ordinare i pezzi, procurarsi attrezzi, ripararli, control- lare la qualita del suo lavoro o anche solo capire cid che I'o- peraio al suo fianco stava facendo. Teneva la testa china e 3t pensava ad altro, Il fatto che egli non parlasse neppure la stessa lingua dei suoi colleghi o del caporeparto era irrile- vante per il sucesso del sistema di Ford. (L’uso del maschile @ deliberato; fino alla seconda guerra mondiale, i dipenden- tidelle industrie automobilistiche negli Stati Unitie in Euro- pa erano unicamente maschi.) Certo qualcuno doveva pensare al modo in cuii vari pez- zi andavano assemblati e a cid che ogni montatore doveva fare. Era il compito di una nuova figura professionale: il tec- nico del lavoro. Analogamente, qualcuno doveva organizza- re la consegna dei pezzi alla linea, di solito un tecnico di pro- duzione che a tale scopo progettava nastri trasportatori o scivoli, Nei reparti rnotavano periodicamente gli addetti alle Pulizie per ripulte le zone di lavoro; inoltre cxcalavano ri paratori qualificati per rimettere a punto gli utensili dei montatori. Un altro esperto invece controllava la qualita. Le imperfezioni venivano individuate soltanto alla fine della li- nea di montaggio, dove interveniva un altro gruppo di ope- rai, gli addetti al ritocco, le cui capacita manuali erano para- gonabili a quelle dei vecchi montatori. Con questa parcellizzazione del lavoro, all'operaio basta- vano pochi minuti di addestramento. Oltretutto era tenuto continuamente sotto tensione dalla velocita della linea, che incalzava i lavoratori lenti ¢ rallentava quelli veloci. Il capo- reparto — un tempo a capo di un’intera zona della fabbrica con responsabilit’ ¢ compiti molto vari e ora ridotto a sem- plice controllore parzialmente qualificato — era in grado di individuare immediatamente ogni eventuale rallentamento ‘0 mancata esecuzione del compito assegnato. In pratica gli operai alla linea di montaggio finirono per essere intercam- biabili esattamente come pezzi d’auto. Tn tale atmosfera, Ford dava per scontato che i suoi di- pendenti si sarebbero rifiutati di fornire volontariamente Informazioni sulle condizioni operative, per esempio che un utensile non funzionava bene, e tantomeno suggerimenti pet miglorare il proceso, Tali responsabilia rilevano tie spettivamente sul caporeparto € sul tecnico del lavoro, che riferivano le proprie osservazioni e proposte ai livel riori della direzione, Cosi nacquero eserciti di operai limtta- tamente specializzati per il lavoro indiretto: il riparatore, I’ spettore di qualita, 'addetto alle pulizie e il ritoccatore, oltre al caporeparto e al tecnico del lavoro, figure praticamente inesistenti ai tempi della produzione artigianale. Faurote € 3s Arnold non le presero neppure in considerazione nel racco- gliere i dat sulla produttivta riportat nella figura 2.1.” Le Gifre infatti includono soltanto gli operai alla linea di mon- taggio. In ogni caso, il ruolo del lavoro indiretto divenne sempre pid. importante nelle industrie Ford, dove la gra- duale introduzione dell’automazione ridusse nel corso degli anni la richiesta di montatori. Ford prese a dividere il lavoro non soltanto in fabbrica, ma anche negli uffici di progettazione. I tecnici del lavoro presero il loro posto accanto ai tecnici di fabbricazione che progettavano i macchinari principali. Con loro collaborava- no i tectiici del prodotto, che progettavano l’automobile. Ma jueste specializzazioni erano soltanto 'inizio. ‘Alcan tecniel del lavoro si specalizzarono nelle opera- zioni di assemblaggio, altri nel funzionamento delle mach ne dedicate alla produzione di singoli pezzi. Alcuni tecnici di fabbricazione si specializzarono nella progettazione delle at- trezzature per il montaggio, altri progettavano le specifiche machine per ogni componente. Alcuni tecnici del prodotto si specializzarono in motori, altri in carrozzeria e altri ancora in sospensioni o nei sistemi elettrici. Questi «lavoratori di concetto» — persone che manipola- vano le idee ei dati ma raramente toccavano una vera auto 0 entravano in fabbrica — sostituivano gli abili proprietari di officine meccaniche e i vecchi capireparto tipici dell'era del- la produzione artigianale. Quei lavoratori-imprenditori fa- cevano di tutto: si accordavano con I'assemblatore finale, progetavano il pezzo, sviluppavano una macchina per fab- ricarlo e, in molti casi, sovrintendevano al funzionamento della machina nell’officina. La missione fondamentale dei nuovi esperti, invece, era di progettare mansioni, pezzi e utensili per operai non qualificati, i quali costituivano la joranza della forza lavoro della nuova industria auto- \obilistica. In questo nuovo sistema, gli operai non avevano pro- spettive di carriera, eccetto forse quella di caporeparto. Le nuove figure emergenti di tecnico invece avevano davanti la scala del successo. A differenza degli abili artigiani, tuttavia, la loro carriera non era volta a diventare proprietari di un‘impresa. Né implicava di dover restare per sempre nella stessa azienda, come forse Ford sperava. Sarebbero avanzati di grado nella loro stessa professione: da tecnico apprendi- sta a capo tecnico, il quale, possedendo ormai l'intero baga- 36 glio di conoscenze della professione, era responsabile della coordinazione dei tecnici a livelli inferiori. Salire di grado nella propria carriera di tecnico voleva spesso dire passare di continuo da un'azienda all'altra per tutta la propria vita lavorativa, Nel corso degli anni, con la suddivisione delle progettazioni tecniche in un numero sempre maggiore di sottospecializzazioni, i tecnici ebbero sempre meno contatti con i colleghi impiegati in altre man- siont. In seguito all’aumento della complessita del prodotto automobilistico, questa minuziosa parcellizzazione nel cam- po della progettazione avrebbe causato massicce disfunzio- ni, come vedremo nel capitolo 5. Onganizzarione Quando apri lo stabilimento di Highland Park, Henry Ford era ancora per lo pid un assemblatore. Acquistava motori e telai dai fratelli Dodge, quindi per completare ogni veicolo aggiungeva una miriade di articoli ordinati presso altre aziende. Entro il 1915, tuttavia, Ford aveva portato tutte queste attivit’ all’interno dello stabilimento ed era sulla buo- na strada verso lintegrazione verticale completa (ossia, fab- bricare autonomamente tutto cid che @ inerente alle auto- mobili, partendo dalle materie prime). Quest’evoluzione junse la sua conclusione logica nel complesso di Rouge etroit, che apri nel 1931. Ford persegui lintegrazione verticale in parte perché aveva perfezionato le tecniche della produzione di massa prima det suoi fornitori e poteva otte- nere un considerevole risparmio sui costi facendo tutto da solo. Ma aveva anche altre ragioni, fra cui la sua particolare natura che lo rendeva profondamente diffidente nei con- fronti di tutti. Il motivo principale restava comunque il fatto che gli ser- vivano pezzi con tolleranze pit ridotte e termini di consegna pit: ravvicinati di quanto fosse pensabile fino ad allora. Li- mitarsi ad acquistare quanto era disponibile sul mercato, aveva riflettuto, sarebbe stato irto di difficolta. Cosi decise di sostituire il meccanismo del mercato con la «mano visibile» della coordinazione organizzativa. Alfred Chandler, docente presso la Harvard Business School, conid il termine «mano visibile» nel 197. Nel suo li- bro omonimo tentava di difendere la grande azienda mo- 37 | | t derna.” I seguaci della teoria della «mano invisibile» di Adam Smith (secondo il quale se ogni individuo perseguisse il proprio tornaconto il libero mercato produrrebbe da sé il miglior risultato per la collettivita nel suo insieme) non ve- devano di buon occhio Tascesa, nel ventesimo secolo, del- Yazienda moderna integrata verticalmente. Dal loro punto di vista l'integrazione verticale interferiva con le forze del bero mercato. Chandler sosteneva invece che una mano visi- bile era fondamentale per le aziende moderne se volevano introdurre la necessaria prevedibilita nella propria attivita. Chandler utilizzava il termine per indicare semplicemen- te l'ottenimento delle materie prime necessarie, dei servizi, € cosi via, dalle divisioni stesse dell’azienda, coordinate dalla dirigenza. La mano invisibile, al contrario, implicava lacqui- sto dei pezzi e dei servizi da ditte indipendenti senza alcun rapporto finanziario o d'altro con il compratore. Le transa- zioni si basavano su prezzo, consegna ¢ qualita, senza pro- spettive di un rapporto continuativo o di lunga durata tra Vacquirente ¢ il venditore. Il problema, come vedremo, fu che la totale integrazione verticale introdusse la burocrazia su scala cosi vasta che provocd a sua volta altri problemi, non facilmente risolvibili. La dimensione del potenziale produttivo possibile, ¢ ne- cessario, del sistema di Ford si scontro con una seconda dif- ficolta organizzativa, questa volta causata da problemi di spedizione ¢ dalle barriere commerciali. Ford desiderava produrre la vettura completa nello stesso posto e venderla al mondo intero. Ma i sistemi dell’epoca non erano in grado di trasportare a basso costo immense quantita di automobili fi- nite senza danneggiarle. Inoltre le politiche dei governi, oggi come allora, impo- nevano spesso barriere all'importazione di unita finite. Cosi Ford decise di disegnare, progettare e produrre i pezzi a Detroit. Le automobil, invece, sarebbero state assemblate in localita lontane. Nel 1926, le automobili Ford venivano as- semblate in pid di trentasei citta degli Stati Uniti e in dician- nove paesi stranieri.!? Non pass molto tempo che questa soluzione comincid a incappare in un altro inconveniente. Il prodouto standard non era adatto indistintamente a tutti i mercati del mondo. Per esempio, per gli americani il modello T della Ford era un‘automobile piccola, in particolare dopo che la scoperta del petrolio nel ‘Texas aveva fatto crollare i prezzi della ben- 38 zina rendendo economicamente fattibili lunghi viaggi in au- tomobile. Al contrario, in Inghilterra e negli altri paesi eu- ropei, con le loro citta affollate e le strade strette, il modello T sembrava molto pitt grande. In pid, non avendo trovato giacimenti di petrolio in patria, negli anni Venti gli europei cominciarono a gravare la benzina di pesanti imposte per scoraggiarne l'importazione. Gli europet iniziarono ben pre- sto chiedere a gran voce un’automobile pid piccola di quel- la che Ford voleva vendere. ‘Oltre a cid, massicci investimenti diretti nei paesi stranie~ ri fomentavano il risentimento nei confronti del predominio di Ford sull'industria locale. In Inghilterra, per esempio, dove nel 1915 Ford era diventato il principale praduttore di automobili il suo pacifismo nella prima guerra mondiale fu denunciato apertamente ¢ i dirigenti inglesi dell’azienda riuscirono infine a convincere Detroit a offrire una cospicua partecipazione di minoranza agli inglesi per smorzarne I'o- stilita. Ford incontra barriere in Germania e Francia anche dopo la prima guerra mondiale. Le imposte sui pezzi ¢ sui veicoli finiti continuavano ad aumentare. Cosi per gli inizi degli anni Trenta Ford aveva creato tre impianti produttivi totalmente integrati in Inghilterra, Germania e Francia. Queste aziende fabbricavano prodotti speciali secondo i gu- sti nazionali ed erano gestite da dirigenti del posto che cer- cavano di minimizzare le ingerenze di Detroit. Altrezzature Il segreto dell’intercambiabilita dei pezzi, come abbiamo vi- sto, consisteva nel progettare nuove attrezzature che potes- sero tagliare il metallo temprato e stampare la lamiera con assoluta precisione. Ma la chiave delleconomacita di tale siste- ma erano machine utensili in grado di effettuare il lavoro in quantita clevate a basso o nessun costo di messa a punto tra un pezzo ¢ laltro. Detto in parole povere, affinché una machina potesse lavorare un pezzo di metallo ci voleva qualcuno a caricare il metallo nella machina e magari qual- cuno a regolarla, Nel sistema di produzione artigianale, do- ve una singola macchina poteva effettuare numerosi tipi di lavorazione ma richiedeva continue regolazioni, era il com- pito del meccanico qualificato. Ford ridusse in modo considerevole il tempo di messa a 39 punto costruendo macchinari che eseguissero una sola ope- Tazione. Poi i suoi tecnici perfezionarono semplici maschere e attrezzi per tenere fermo il pezzo da lavorare nella macchi- na. Agli operai non qualificati bastava mettere in posizione il pezzo e premere un pulsante o tirare una leva e la machina effettuava la lavorazione. Cid significava che le macchine potevano ‘essere caricate e scaricate da un lavoratore con Cinque minuti di addestramento. (In realta il caricamento delle macchine di Ford ricalcava il modo di lavorare alla li nea di montaggio: il pezzo si fissava solo in una determinata posizione e Poperaio si limitava a far quello.) Inoltre, poiché Ford produceva soltanto un articolo, po- teva mettere le attrezzature in successione in modo che ogni stadio del proceso portasse immediatamente a quello se- iente. A molti visitatori lo stabilimento di Highland Park i Ford pareva in realta un’unica, immensa machina dove ogni fase produttiva era strettamente collegata a quella suc- cessiva. Avendo ridotto i tempi di messa a punto da alcuni minuti, o addirittura ore, a qualche secondo, Ford riusciva a ottenere dal medesimo numero di macchinari un volume di produzione assai maggiore. Ma, fatto ancora pi importan- te, i tecnici trovarono il modo di lavorare pid pezzi alla volta. L'unico difetto di questo sistema era la mancanza di flessibi- lita, La modifica di queste machine dedicate a un'operazio- ne richiedeva molto tempo e denaro. La fresatrice del blocco motore di Ford 2 un ottimo esempio. In quasi tutti i motori d’auto, allora come adesso, la parte superiore del blocco motore é unita al fondo della testa del cilindro per formare un motore completo. Al fine di mantenere la compressione nei cilindri, 'accoppiamento trail blocco e la testa deve essere perfetto. Percid la parte su- periore del blocco e il fondo della testa del cilindro devono essere fresati con una rettificatrice. Nello stabilimento Cadillac di Henry Leland a Detroit (dove, per inciso, Veffettiva intercambiabilita di tutti i di un autoveicolo fu conseguita nel 1906), l'operaio caricava ‘ogni blocco motore su una fresatrice, quindi lo lavorava ac- curatamente secondo necesita. L'addetto ripeteva la proce- dura per la testa dei cilindri, che venivano caricati uno alla volta sulla medesima fresatrice. In questo modo i pezzi erano intercambiabili, l'accoppia- mento tra blocco e testa perfetto e la fresatrice poteva lavo- rare un'ampia gamma di pezzi. Questo proceso, perd, pre- 40 sentava un difetto: il tempo ¢ la fatica, e dunque il costo, del- Toperaio qualificato ai comandi della machina. ‘Alla Highland Park nel 1915 Ford introdusse due mac- chine dedicate, una per la fresatura dei blocchi e Paltra per la fresatura delle teste dei cilindri, Queste due macchine pe- 1 non lavoravano un pezzo alla volta bensi quindici blocchi ¢ trenta teste contemporaneamente. Per di pitt entrambe le macchine erano dotate di un’attrezzatura che permetteva a operai non qualificati di posizionare blocchi e teste su un vassoio laterale durante la fresatura di un'altra partita di pezzi. L'addetto poi spingeva il vassoio nella fresa ¢ l'opera- zione procedeva automaticamente. L'abilita della fresatura era affidata interamente alla macchina e il costo del proces- so diminul drasticamente. Gli utensili di Ford erano ad alta precisione ¢ in molti ca- si automatizzati o quasi, ma erano anche destinati a lavorare un singolo articolo, fino ad arrivare talvolta all'assurdo. Per esempio, Ford acquistava presse per lo stampaggio di pezzi in lamietino d’acciaio con stampi dimensionati per uno spe- cifico pezzo. Quando la fabbrica aveva bisogno di un pezzo sid grande a causa di una rettifica nelle caratteristiche 0, nel 927, in seguito alla totale riprogettazione del modello A, Ford spesso insieme con il vecchio pezzo o il modello elimi- nava if macchinario. Prodotto Il prodotto originale di serie di Ford, il modello T, era di: sponibile in nove linee diverse, inclusa una spider a due po- sti, una vettura turismo a quattro posti, una berlina chiusa a quattro posti ¢ un autocarro a due posti con un pianale sul retro. Tutte erano costruite sul medesimo telaio, che inclu- deva la totalita dei pezzi meccanici. Nel 1923, l'anno di pun- taper la fabbricazione del modello T, Ford produsse 2,1 mi- lioni di telai, cifra che si sarebbe rivelata il tetto della produ- zione di massa standardizzata (anche se pitt tardi il Maggioli- no della Volkswagen avrebbe eguagliato il record). Il successo delle automobili di Ford si fondava innanzi- tutto sul prezzo basso, che non smetteva di scendere. Ford infatti continud a diminuire i prezzi dal giorno il cui il mo- dello T fu introdotto sul mercato. Alcune riduzioni si ricol- legavano alle variazioni dei prezzi generali al consumo — pri- a“ ma che i governi tentassero di stabilizzare 'economia, i prez zi al consumo fluttuavano ~ ma soprattutto erano dovute ai crescenti quantitativi prodotti che favorivano un abbatti- mento dei costi, il che a sua volta provocava un aumento del- la produzione. Al suo tramonto, nel 1927, il modello T non era pit cosi richiesto e Ford era costretto indubbiamente a vendere sotto costo, (La domanda era crollata in quanto la General Motors offriva un prodotto pit moderno a un prez zo di poco superiore. Oltretutto, un’automobile GM di un anno era venduta a meno di una Ford nuova.) La strabiliante popolarita dell’automobile Ford fu anche dovuta alla durevolezza del progetto e dei materiali e, come gid sottolineato, al fatto che l'utente medio potesse facilmen- te ripararla. I maggiori asslli dell'acquirente di oggi erano praticamente inesistenti al tempo di Ford. Per esempio, accessori finiture — o l'aspetto esteriore dell'auto, quali parafanghi continui, una verniciatura senza sbavature, o portiere che si chiudono con il giusto schiocco— non avevano alcuna importanza per i clienti di Ford. A par- te la capote, il modello T non aveva lamiera esterna, la ver- niciatura era cosi rudimentale che sarebbe stato arduo nota- re sbavature di sorta e parecchie delle nove linee non preve- devano neppure le portiere. Quanto alle avarie e ai problemi di ordine quotidiano motore che perde i colpi, per esempio, 0 misteriose noie elettriche, come la spia di controllo del motore che in alcune vetture di tanto in tanto si accende — gli acquirenti di Ford non si preoccupavano neppure di cid. Se il motore del mo- dello T perdeva i colpi, si limitavano a ricercare la causa nel manualetto fornito dall’azienda e a rimediare al problema. Magari avrebbero vuotato il serbatoio per poi riempirlo di nuovo di benzina con una pelle di camoscio per eliminare ogni traccia d’acqua. Per finire, se un pezzo non combaciava perfettamente o era installato leggetmente fuori tolleranza, toccava al proprietario rimetterlo a punto. E dal momento che tutte le auto si guastavano spesso, la facilita delle ripara- zioni era di fondamentale importanza. Alla Highland Park, Ford raramente controllava le auto- mobili finite. Nessuno accendeva il motore finché la vettura non era pronta a partire dalla linea di montaggio ¢ nessun modello T fu mai provato su strad: Cid nonostante, malgrado un sistema di fabbricazione che probabilmente non garantiva un’elevata qualita nel sen- 42 so moderno del termine, Ford fu in grado di dominare quello che ben presto divenne il principale settore industria- Te del mondo, essendo stato il primo a padroneggiare i prin- cipi della produzione di massa. Si dovevano attendere anco- ra cinquant‘anni prima che fabbriche organizzate in base ai principi della produzione snella riuscissero a garantire una qualiti quasi totale senza estesi controlli del prodotto finito € con pochi ritocchi. 1 LIMITT LOGICI DELLA PRODUZIONE DI MASSA: LO STABILIMENTO DI ROUGE La vera produzione di massa comincid alla Highland Park, ma la strada da percorrere era ancora lunga. Ford era con- vinto che Pultimo tassello fosse 'applicazione della «mano visibile» in ogni fase della produzione, dalle materie prime al veicolo finito. Fu cid che tentd di fare nel complesso di Rouge, che apri nelle vicinanze di Detroit nel 1927. Copie del medesimo complesso, ma in scala ridotta, furono aperte a Dagenham, in Inghikerra, € a Colonia, in Germania, nel 1931 In quest stabiliment) Ford prosegu nella sua ossessione un unico prodotto: il modello A nella fabbrica di Rouge, il modello Y a Dagenham e la Ford V8 in Germania. Alle at- tivita di formatura e taglio del metallo della Highland Park aggiunse poi un’acciaieria ¢ una vetreria. Cosi tutte le mate- rie prime necessarie entravano da una porta e dall'altra usc vano le automobili finite. Ford era riuscito nell'intento dili minare la dipendenza da fornitori esterni. . ‘Alla mano visibile Ford aggiunse perfino le materie pr mee il trasporto, grazie a una piantagione di gomma in Bra- sile, miniere di ferro nel Minnesota, navi per trasportare mi- nerale di ferro e carbone attraverso i Grandi Laghi fino allo stabilimento di Rouge e una ferrovia per collegare le fabbri- che di Ford nella regione di Detroit, tutto di sua propriet. ‘Alla fine, Ford tentd di produrre in serie tutto quanto, dagli alimentari (con la fabbricazione di trattori ¢ uno stabi- limento di estrazione dell‘olio di soia) al trasporto aereo (con il Ford TriMotor, che avrebbe dovuto ridurre le tariffe del traffico aereo commerciale, e il «Flying Fliver», 'utilitaria volante, che voleva essere 'equivalente del modello T per il mondo dell'aria). Ford riteneva che fabbricando tutto, dagli 8 alimentari rrattori agli acroplani, in forma standardizzata © quantita elevate, avrebbe potuto ridurre sensibilmente il costo dei prodotti ¢ arricchire le masse. Tutti i suoi proget li finanziava diretamente poiché detestava le banche € gli investitori ed era deciso a mantenere il controllo totale sulla ‘sua societa, Alla fine, tutte queste iniziative fallirono, in parte per la mancata sinergia tra industric, che gli industriali spesso cer- cano e raramente trovano, ma anche perché Ford non aveva alcuna idea di come organizzare un'impresa globale se non centralizzando tutta Yattivita decisionale nell'unica persona al vertice: lui stesso. Tale concetto era inattuabile gia quan- do Ford era al suo apice € condusse quasi la societa allo sfa- celo allorché negli anni Trenta le facolta mentali del patron cominciarono a declinare. SLOAN COME NECESSARIO COMPLEMENTO DI FORD Alla General Motors Alfred Sloan aveva gia una buona idea di cid che fare quando, agli inizi degli anni Venti, fu chiama- toa rimettere in sesto il caos che William Durant, vivace foi datore della General Motors, aveva creato. Durant era il classico fondatore d'impero. Non aveva la minima idea di come amministrare cid che comprava. Aveva finito cosi per ritrovarsi con una dozzina di aziende automobilistiche, cia- scuna gestita separatamente con un elevato livello di sovrap- posizione di prodotti. Poiché non aveva modo di sapere cid che stava accadendo in queste ditte, al di la dei conti trime- strali dei profitti e delle perdite, aveva pitt volte scoperto con sorpresa che veniva fabbricato un numero eccessivo di automobili rispetto al fabbisogno del mercato 0 che non’ vi era sufficiente disponibilita di materie prime per sostenere la produzione. Un'improvvisa ondata di sovrapproduzione che sarebbe poi culminata con la recessione economica del 1920 l'aveva mandato in rovina. I suoi banchieri insistettero allora che affidasse il comando a qualcuno dotato di capacita manageriali. Cosi Pierre du Pont, presidente della E. I. du Pont, divenne presidente della General Motors e nomind a sua volta Sloan direttore generale della General Motors. Laureato al MIT (contribui con una grossa fetta dei gua- dagni intascati alla General Motors alla fondazione-della Sloan School of Management del MIT dopo la seconda “4 guerra mondiale), Sloan aveva assunto la direzione, nei pri- mi anni del secolo, della Hyatt Roller Bearing Company, un’azienda comprata da Billy Durant intorno al 1915. Era vice direttore della General Motors quando Durant fu estro- messo, Ottenne la direzione sulla base di una relazione scrit- ta nel 1919 su come amministrare un‘impresa multidivisio- nale. In breve Sloan individud i due problemi critici della Ge- neral Motors che andavano risolti se voleva continuare a produrre in massa con sucesso € scalzare Ford dal vertice dell'industria. La societa doveva innanzitutto gestire in mo- do professionale le immense imprese richieste ¢ al tempo stesso rese possibili dalle nuove tecniche di produzione ¢ in secondo luogo era necessario elaborare un prodotto su quel- 1o di base di Ford in modo che potesse adattarsi «a tutti gli Use a tutte le borses, come dichiard La Ford Motor Company, ovviamente, non soffriva del- Tinconveniente della General Motors di sovrapposizione dei prodotti in quanto fabbricava un solo prodotto. Aveva perd i medesimi problemi organizzativi, ma Ford non 'ammette- va. Era riuscito ad applicare le tecniche della produzione di massa nella sua azienda ma non riuscl mai a escogitare i stema aziendale adatto a gestire in modo efficace il comples- so di fabbriche, attivita progettuali e sistemi di marke che la produzione di massa richiedeva. Sloan avrebbe com- pletato il sistema di cui Ford era stato pioniere ed @ proprio guest il sistema completo a cu ogg viene riferito illtermine ii produzione di massa. ‘Sloan trovd alla svelta una soluzione a ciascuno dei nodi della General Motors. Per risolvere la questione manageria- le cred divisioni decentralizzate amministrate da una piccola sede centrale. In poche parole, Sloan e gli altri dirigenti con- trollavano ciascuno dei vari centri di profitto della societa, ossia le cinque divisioni automobilistiche ¢ le divisioni della componentistica, quali la Delco per i generatori, la Saginaw per gli sterzi e la Rochester per i carburatori. Sloan e il suo gruppo dirigenziale a intervalli ravvicinati chiedevano det- tagliati rendiconti sulle vendite, sulla quota di mercato e sul- le giacenze e il conto profitti e perdite ed esaminavano la previsione del fabbisogno di capitale ogni volta che le divi- sioni domandavano fondi alle casse centrali della societa. Sloan riteneva inutile e al tempo stesso inappropriato che i responsabili della direzione della societA conoscessero i 6 dettagli operativi di ogni divisione. Se i resoconti indicavano restazioni modeste voleva dire che era il momento di cam- iare direttore di area. Chi invece presentava dati solidi era candidato a livello di vice-direzione. Per soddisfare 'ampia fetta di mercato che la General Motors voleva servire, Sloan sviluppo una gamma di cinque modelli che andavano dall’auto economica a quella di lusso, dalla Chevrolet alla Cadillac. In questo modo, secondo il ra- gionamento di Sloan, avrebbero accontentato per tutta la vi+ ta j potenziali acquirenti di qualsiasi fascia di reddito. Sloan ided questa strategica soluzione ai problemi della General Motors intorno al 1925, anche se poté codificarla per il mondo esterno soltanto allorche si decise a scrivere le Propric memorie negli anni Sessanta, quando si stava av- vicinando alla novantina.'* Escogitd soluzioni anche a due altre questioni fonda- mentali per l'azienda. Attraverso i suoi legami con la Du- Pont ¢ la Morgan Bank, sviluppo fonti costanti di finanzia- mento esterno, disponibili in caso di necesita. Inoltre, la sua teoria sulle divisioni decentralizzate pote- va essere applicata in modo altrettanto egregio nell organiz~ zazione ¢ nell'amministrazione delle consociate della Gene- ral Motors. Le attivita produttive ¢ commerciali in Germa- nia, Gran Bretagna e numerosi altri paesi furono trasforma- te in aziende autonome controllate da Detroit. La struttura richiedeva pochissimo tempo in gestione o in diretta super- visione. Dire che la politica aziendale di Sloan risolse gli ultimi pressanti problemi che inibivano la diffusione della produ: zione di massa non é fargli molto onore. A complemento dei tecnici emersero nuove figure professionali, il direttore fi- nanziario e l'esperto di marketing, cosicché ogni area fun- ionale dell'azienda aveva finalmente i propri specialisti. La divisione del lavoro professionale era completa. Il pensiero innovativo di Sloan parve anche risolvere il conflitto tra l'esigenza della standardizzazione per ridurre i costi di fabbricazione e la necessiti di una diversita di mo- delli per soddisfare l'ampio ventaglio della domanda dei matori. Riusci in entrambi gli obiettivi standardizzan- do vari pezzi meccanici dell’intera produzione della societ2, quali pompe e generatori, e fabbricandoli per molti an con utensili dedicati. Allo stesso tempo, tutti gli anni modifi- cava lesterno di ogni automobile e introdusse un'infinita se- 16 rie di accessori supplementari, quali il cambio automatico, aria condizionata e la radio, che potevano essere installati sui modelli esistenti per alimentare l'interesse dei client. Le innovazioni di Sloan costituirono una vera e propria rivoluzione nel marketing e nella gestione aziendale per l'in- dustria automobilistica. Tuttavia, non fecero niente per mo- dificare Videa, istitucionalizzata per prima da Henry Ford, che gli operai non fossero altro che pezzi intercambiabili del sistema di produzione. Cosi, nella fabbrica le cose andarono di male in peggio. In quanto a Ford, si accontentava delle elevate percen- tuali di turnover che la sua filosofia e le sue tecniche del la- voro incoraggiavano. Nonostante cid, Ford si rese conto che, ne! 1914, una volta raggiunta la totale integrazione del siste- ma a flusso continuo alla Highland Park, l'efficienza della sua azienda eclissava la concorrenza a un punto tale che po- teva permettersi contemporaneamente di raddoppiare i sa- lari da famosa decisione del «five-dollar day», la giornata di lavoro pagata cinque dollari) e tagliare i prezzi. Queste due iniziative gli permisero di essere dipinto agli occhi della gen- te come un datore di lavoro paternalista (e di evitare i sinda- cati), mentre mandava in rovina i suoi rivali che si basavano sulla produzione artigianale. Tl dramma fu che la soluzione dell’aumento salariale, co- me risultd poi, funziono: la velocit’ di rotazione diminut in quanto gli operai di Ford decisero di mantenere il loro lavo- ro. Alla fine smisero di sognare di tornare alle campagne o al loro paese natale e compresero che alla Ford avrebbero robabilmente trascorso tutta la vita. Quando comincid a farsi strada tale consapevolezza, le condizioni di lavoro ben presto cominciarono ad apparire ai loro occhi molto meno tollerabili, Oltretutto, il mercato automobilistico si riveld ancora pit ciclico rispetto agli altri settori economici. I costruttori ame- ricani di automobili, owiamente, consideravano la propria forza lavoro un costo variabile e licenziavano gli operai al primo segno di rallentamento delle vendite. Di conseguen- za, quando sopraggiunse la Grande Depressione vi erano le condizioni ideali per l'affermarsi di un movimento sindacale nel settore automobilistico. Si trattd, tuttavia, di un movimento allinterno della pro- duzione di massa. I suoi capi accettavano pienamente tanto il ruolo della direzione aziendale quanto la natura implicita 7 del lavoro in un'azienda con una linea di montaggio. Non C@ da sorprendersi dunque se alla fine degli anni Trenta, quando i lavoratori uniti del settore firmarono finalmente gli accordi con quelle che erano diventate le Big Three (le ‘Tre Grandi: Ford, General Motors e Chrysler), i punti prin- cipali furono i diritti di anzianita e d’impiego. Il movimento fu chiamato «Job-control unionism» (movimento sindacale per il controllo dell'impiego)." La natura ciclica dell’industria implicava il frequente cenziamento di alcuni dipendenti, cosi fu l'anzianita, e non la competenza, a divenire il fattore determinante per sce- gliere chi dovesse andarsene. E poiché alcuni lavori erano pitt semplici (o pia interessanti) di altri, ma tutti pagati pit o meno con lo stesso stipendio, lanzianita divenne anche il criterio per lassegnazione dei compiti. I] risultato fu un elenco sempre crescente di regole del lavoro che ridussero indiscutibilmente l'efficienza dell'industria di Ford dove i dipendenti continuavano a lottare per lequita. IL MASSIMO FULGORE DELLA PRODUZIONE DI MASSA? AMERICA NEL 1955 Se si prendono i metodi produttivi di Ford, vi si aggiungono le tecniche di marketing e aziendali di Sloan e il nuovo ruolo della manodopera organizzata nel controllo dell'assegnazio- ne dei compiti e delle mansioni, si ottiene la produzione di massa nella sua forma completa. Per decenni questo sistema segnd una vittoria dopo Paltra. I costruttori americani di au- tomobili dominavano l'industria mondiale dei veicoli a mo- tore ¢ il mercato statunitense registrava la massima percen- tuale di vendite d’auto nel mondo. Le industrie di quasi tutti gli altri settori adottarono metodi simili, lasciando in genere soltanto qualche dita artigianale nelle nicchie di mercato specializzate nella produzione di pochi esemplari. Come mai prima di allora, il 1955 dimostro quanto fosse vasta ¢ diffusa l'ndustria automobilistica ¢ cosi pure il siste- ma su cui era basata. Fu quello il primo anno in cui negli Stati Uniti si vendettero oltre 7 milioni di automobili. Fu an: che 'anno in cui Sloan si ritird dopo trentacinque anni di di. ezione o presidenza alla General Motors. tre giganti~ la Ford, la General Motors e la Chrysler — rappresentavano il 95 per cento delle vendite e sei modelli 8 costituivano 1'80 per cento di tutte le automobili vendute. Negli Stati Uniti era ormai sparita qualsiasi traccia di produ- Zione artigianale, che un tempo era stato il sistema praticato in tuuti i settori ‘Ma la gloria é effimera, come ormai ha imparato Lallora potente industria automobilistica americana. Per colmo d'i- Tonia, il 1955 fu anche l'anno in cui comincid il declino, co- me mostrano le figure 2.2 ¢ 2.3. La quota di mercato recla- mata dalle importazioni inizid una costante ascesa. L'iniziale perfezione nella produzione di massa non poté sostenere ol- tre le aziende statunitensi nella loro posizione di supre- mazia. FIGURA 2.2 Quote di mercato nel settore automobilistico mondiale per area geografica, 1955-1989 As ‘Nota: La figura comprende tut i veicoli prodotti da tutte le aziende operanti nelle trearce eogrfiche principal, Inoltreevdenaiala produzione det acs di recente rdusraizicione (NIC) ¢ del resto del mondo (ALT) INL America del nord: Stati Uniti e Canada EY = Europa occidentale, incusa la Seandinavia G__ = Giappone Nic. = Pact’ di recente industraizzazione, in paricolare Brasil, Corea e Mesico ALT = Resto del mondo, inclisa Unione Sovietica, TEuropa dell'Est ¢ la Cina Fonte: Dati ricavati dagli autori da Automotive News Market Data Book, 1990, p. 3 9 LA DIFFUSIONE DELLA PRODUZIONE DI MASSA. Uno dei principali motivi della perdita di terreno in fatto di competitivita da parte delle Tre Grandi aziende americane fu che nel 1955 la produzione di massa era ormai diffusa nei paesi di tutto il mondo. Anzi, molti avevano previsto il tra- monto dell'egemonia americana da tempo, collocandolo ne- gli anni immediatamente successivi alla prima guerra mon- diale. Ben prima dello scoppio del conflitto, un costante flusso di pellegrini, inclusi André Citroén, Louis Renault, Giovanni Agnelli (Fiat), Herbert Austin ¢’ William Morris (Morris and MG) avevano visitato lo stabilimento di High- land Pirk. Henry Ford si era mostrato straordinariamente disponibile a discutere le proprie tecniche con loro e negli FIGURA 2.3 Quota det mercato automobilistico americano detenuta da aziende di proprieth americana, 1955-1989 Ann ‘Nou; La quot mereat include | eclimponta dale sien american da ‘Cbimetallenero dro propetoin patsenure- Non nce nee porasont ncaa ffnn ds tends sere sip Font 158-198 da Asmat Net Mar Data ok in se al maicatio {821969 da Words Automate Report in base alle ve ai seco 50 anni Trenta aveva dimostrato direttamente ogni aspetto della produzione di massa in Europa nelle sue aziende di Dagenham e Colonia. In Europa i concetti di base della produzione di massa erano rimasti percid in balia di tutti per anni prima della se- conda guerra mondiale. Tuttavia, il caos economico e il gret- to nazionalismo esistente in quei paesi negli anni Venti e agli inizi degli anni Trenta, insieme con un forte attaccamento al- le tradizioni artigianali, ne avevano impedito il progresso. Alla fine degli anni Trenta, la Volkswagen e la Fiat avevano intrapreso ambiziosi progetti di produzione di massa a Wolfsburg ¢ a Mirafiori, ma ben presto lo scoppio della se- conda gucrra mondiale aveva interrotto la produzione civil Cosi, fu soltanto negli anni Cinquanta, oltre trenvanni dopo l'introduzione della produzione di massa da parte di Henry Ford, che questa tecnologia, comune in ogni angolo degli Stati Uniti, si diffuse estesamente oltre i confini del pacse di Ford. Alla fine degli anni Cinquanta le aziende di Wolfsburg (Volkswagen), Flins (Renault) e Mirafiori (Fiat) producevano su scala patagonabile alle maggiori industrie di Detroit. Anche alcune delle aziende artigianali europee, guidate dalla Daimler-Benz (Mercedes), si convertirono alla produzione di massa. Tutte queste fabbriche offrivano prodotti che erano di- stintamente differenti dall‘automobile e dall’autocarro stan- dard favoriti dai costruttori statunitensi. Agli inizi gli euro- pei si specializzarono in due tipi di vetture che gli americani non offrivano: automobili compatte ed economiche, di cui Tesempio tipico é il Maggiolino della Volkswagen, e automo- i sportive, divertenti da guidare, come I'MG. Pia tardi, ne- gli anni Settanta, ridefinirono anche l'automobile di lusso irasformandola in un veicolo un po’ pid piccolo, dalla tecno- logia pitt elevata e dallo stile pid sportivo (1.500 chilogram- mi della Mercedes a iniezione, sospensioni indipendenti ¢ monoscocca contro 2.200 chilogrammi della Cadillac con carburatore, assale dritto ¢ carrozzeria su telaio). (L'automo- bile con monoscocca pesa di meno rispetto a un’auto con carrozzeria su telaio e abitacolo di pari dimensioni. Tuttavia, pur avendo il vantaggio di una maggiore rigidita ¢ quindi di tuna minor tendenza a vibrare, ha un costo di progettazione pid sostenuto.) Queste vatiazioni nel prodotto ¢ un livello salariale pid basso contribuirono ad aprire i mercati del mondo agli eu- 51 ropei, che, come gli americani prima di loro, collezionarono tun successo dopo l'altro sui mercati esteri per un periodo di venticingue anni, dall'inizio degli anni Cinquanta fino agli anni Setanta. Si applicarono inoltre, contrariamente a Detroit nello stesso periodo, a introdurre nuove caratteristiche. Le inno- vaziont europee negli anni Sessanta e Settanta inclusero la trazione anteriore, freni a disco, iniezione, carrozzerie auto- portanti, cambio a cinque velocita e motori con alti rapporti potenza-peso. (Le carrozzerie autoportanti non sono soste- nute da un telaio di acciaio. La superficie di lamiera tiene in- sieme tutta l'auto.) Gli americani, al contrario, furono leader in fauwo di comfort: aria condizionata, servosterzo, stereo, cambio automatico e motori massicci (¢ con funzionamento molto fluido). La storia sarebbe forse andata nel verso degli americat se i prezzi della benzina avessero continuato a calare, come fecero per una generazione, fino al 1973, ¢ se gli americani avessero continuato a richiedere vetture che li isolassero dal loro ambiente circostante. Invece i prezzi del carburante an- darono alle stelle e i giovani americani, soprattutto quelli da- narosi, cominciarono a volere qualcosa di divertente da gu dare. Il problema di Detroit era che gli accessori, quali Paria condizionata e lo stereo, potevano essere installati anche sul- le automobili europec. Ma sarebbe stata necessaria una com- pleta riprogettazione dei veicoli americani e nuove macchi- ne utensili per produrre carrozzerie piti spaziose, sospensio- ni migliori e motori pid efficienti. ‘Tuttavia, come divenne chiaro alla fine degli anni Ouan- tae come illustreremo nei capitoli successivi, 1 sistemi euro- pei di produzione erano semplici copie di quello di Detroit, con minore efficienza e accuratezza nella lavorazione. Gli stabilimenti automobilistici europei vissero negli anni Cinquania la medesima esperienza vissuta dagli americani negli anni Trenta. Nel dopoguerra la maggior parte delle industrie europee assunse come operai moniatori intercam- biabili uno stuolo di immigrati— turchi e iugoslavi in Germa- nia, siciiani ¢ altri meridionali in Italia e marocchini e alge- rini in Francia. ‘Alcune di queste persone ritornarono al proprio paese d'origine non appena il tasso di disoccupazione postbellica in Europa inizid a decrescere. Altri, invece, rimasero per es- sere raggiunti da stuoli ancora pit folti di lavoratori locali. 52 Alla fine, proprio come era accaduto negli Stati Uniti, gli operai di Torino, Parigi Wolfsburg si resero conto che il lavoro alla catena non ¢ra un’occupazione temporanea pri- ma di ritornare a casa per mettersi in proprio, bensi un’atti- vita che avrebbero svolto per tutta la vita. All'improvviso Vintercambiabile, incessante monotonia degli stabilimenti di produzione di massa comincid ad apparire insopportabile. Un’ondata di tensione ne segul ; 1 sistemi europei di produzione di massa appianarono il conflitto negli anni Settanta aumentando i salari ¢ dimi- nuendo costantemente l'orario di lavoro. I costruttori euro- pei di automobili condussero alcuni esperimenti marginali anche con la partecipazione dei dipendenti, come accadde nella fabbrica di Kalmar della Volvo che, in un revival della sala di montaggio di Henry Ford del 1910, reintrodusse le tecniche artigianali assegnando a piccoli gruppi di operai Tassemblaggio di un intero veicolo. A cid si aggiunsero le gravi condizioni economiche successive al 1973 che mitiga- Tono le aspettative dei lavoratori e ridussero le alternative ‘occupazionali. — ; Furono perd semplici palliativi. Negli anni Ottanta i la- voratori europei continuarono a trovare il lavoro alla catena cos1 ingrato che nelle trattative ebbe sempre priorita la ridu- zione delle ore di lavoro. ‘Tale situazione stagnante della produzione di massa tanto negli Stati Uniti quanto in Europa avrebbe potuto continuare indefinitamente se in Giappone non fosse emersa una nuova industria automobilistica. La vera porta- ta di questa industria sta nel fatto che non si trata sempli- cemente di una replica dell’ormai antiquato approccio americano alla produzione di massa. I giapponesi stavano sviluppando un modo del tutto nuovo di fabbricazione, che noi chiamiamo produzione snella. 3 ASCESA DELLA PRODUZIONE SNELLA Nella primavera del 1950 un giovane ingegnere giappone- se, Eiji Toyoda, intraprese un pellegrinaggio di tre mesi a Detroit allo stabilimento di Rouge di Ford. In realta si tratta- va della seconda spedizione per la famiglia, dato che lo zio di Eiji, Kiichiro, aveva visitato Ford nel 1929. Da quel primo viaggio era passata molta acqua sot i ponti per la famiglia Toyoda e la Toyota Motor Company, che avevano fondato nel 1937.! (Siccome il nome della fami- glia fondatrice, Toyoda, in giapponese significa «fertile ri- saia», ragioni di marketing imponevano un nuovo nome alla neonata societa. Di conseguenza nel 1936 fu indetto un con- corso che raccolse 27.000 proposte: vinse «Toyota», che in giapponese non ha nessun significato particolare.) ‘L'azienda aveva subito non poche avversita. Negli anni Trenta era stata contrastata dal governo militare nel suo tentativo di costruire automobili per uso privato e, nell’in- fausto sforzo bellico, aveva optato per la fabbricazione di au- tocarri, in massima parte con metodi artigianali. ‘Alla fine del 1949, un crollo delle vendite aveva costretto Ja Toyota a licenziare una consistente parte della forza lavo- ro, ma soltanto dopo un prolungato sciopero terminato quando Kiichiro aveva rassegnato le dimissioni dalla societ& per assumersi la responsabilita dei fallimenti aziendali. Nel 1950, nell'arco dei trent'anni di attivita, la Toyota Motor Company aveva prodotto 2.685 automobili, contro le 7.000 che lo stabilimento di Rouge sfornava ogni giorno.’ La situazione di li a poco sarebbe cambiata non era un comune tecnico, quanto ad abilita ¢ ambi- zione. Dopo aver studiato palmo a palmo il vasto stabilimento di Rouge, la pit grande ed efficiente struttura produttiva del mondo, Fiji tiferiai propri quartieri generali che «riteneva vi fosscro possibilita per migliorare il sistema di produzione».’ 5s Limitarsi a copiare e perfezionare i metodi di Rouge si riveld tutwaltro che facile. Ritornato a Nagoya, Eiji Toyoda e Taichi Ohno, genio della produzione, non tardarono molto a concludere che, per motivi che presto spiegheremo, in Giappone la produzione di massa non avrebbe mai funziona- to. Da questo esordio sperimentale nacque quello che Toyoda fin) per chiamare Sistema di Produzione Toyota (Toyota Pro- duction System) e, in fondo, la produzione snella.* IL LUOGO DI ORIGINE DELLA PRODUZIONE SNELLA La Toyota 2 spesso considerata la pid giapponese delle aziende automobilistiche nipponiche, essendo situata nel- Vinsulare Nagoya invece che nella cosmopolita Tokio.’ Per molti anni la sua forza lavoro fu composta in larga parte da ex braccianti, tanto che a Tokio l'azienda era spesso sbeffeg- giata con Tappellativo di «manipolo di contadini», Oggi & Considerata da quasi tutti gli osservatori economici come il produttore di autoveicoli pit efficiente e di maggior livello qualitativo al mondo. La famiglia fondatrice Toyoda si era gia distinta nella co- struzione di macchine tessili negli ultimi anni del dicianno- vesimo secolo, sviluppando sui telai caratteristiche tecniche Superior! Alla fine Gog anni Trenta sou le pression! del go- verno la societa era entrata nel settore automobilistico, specia- lizzandosi in autocarri militari, Aveva fatto a tempo a costruire soltanto alcuni prototipi di auto con metodi artigianali quando ra scoppiato il conffito e la produzione di automobili era ces- sata, Nel dopoguerra, la Toyota aveva deciso di intraprendere la produzione completa di vetture e autocarri commerciali, ma si era trovata di fronte a una miriade di ostacoli. ‘* Il mercato interno era molto limitato ma la domanda ab- bracciava un'ampia gamma di veicoli: auto di lusso per i funzionari del governo, grandi camion per il trasporto delle merci al mercato, autocarri di dimensioni inferiori per gli agricoltori giapponesi e automobili piccole che te- nessero conto delle cittd affollate del Giappone e degli alti prezzi del carburante. # I lavoratori indigeni, impararono ben presto la Toyota e le altre aziende, non erano pid disposti a tollerare di esse- re trattati come un costo variabile 0 pezzi intercambiabili. 56 Per di pit le nuove leggi sindacali introdoute dall’occupa- zione americana avevano rafforzato in modo considere- vole la posiione degli operai nelle trattative per ottencre condizioni di lavoro migliori. Il diritto delle aziende di da- re il benservito ai dipendenti era stato notevolmente limi- tato e la posizione contrattuale dei sindacati d’impresa che rappresentavano la forza lavoro ne era uscita sensibil- mente rafforzata. I sindacati utilizzavano la loro forza per rappresentare chiunque, eliminando la distinzione tra colletti bianchi e blu, e assicurarono ai dipendenti una fet- ta degli utili della societa souo forma di premi di produ- zione in aggiunta al salario di base.° Del resto, in Giappone non vi crano lavoratori e raggiungere I'alta scala necessaria per competere con i prezzi sui mercati esteri. "Che cosa sarebbe accaduto se tali progetti fossero andati in porto? Liindustria nipponica alfinizio avrebbe verosimilmente conosciuto una rapida crescita per poi condividerc lo stesso destino delfattuale industria automobilistica coreana. Con la diminuzione costamte del vantaggio dato da livelli salariali pid bassi, i nuovi produuiori giapponesi, non avendo nulla Ei nuove da offrite in teeniche'produttive e una limitata concorrenza nel proprio paese, sarebbero falliti. Forse sa- rebbero riusciti a proteggere il loro mercato nazionale, ma non avrebbero mai costituito una minaccia a lungo termine per le solide imprese mondiali che impiegavano le medesi- me tecniche. _ Invece la Toyota, la Nissan ¢ le altre fabbriche sfidarono il ministero e si misero a produrre gamme complete di auto- mobili con una varieta di modelli diversi. Il capo produzione della Toyota, Taiichi Ohno, si rese ben presto conto che per questa strategia le attrezzature di Detroit non erano adatte, € neppure i metodi. Le tecniche artigianali erano una ben nota alternativa, ma non sembravano una valida soluzione per un'azienda che intendeva produrre per il mercato di massa. Ohno capi che occorreva un diverso tipo di approc- cio, e lo trovd. Guardiamo da vicino il reparto di stampaggio che meglio incarna i nuovi principi.* PRODUZIONE SNELLA: UN ESEMPIO CONCRETO. Sono trascorsi pitt di sessant’anni dall'introduzione del mo- dello A di Henry Ford con la sua carrozzeria interamente d'acciaio. Eppure, da un capo all'altro del mondo, quasi tut- te le scocche degli autoveicoli sono ancora prodotte saldan- do insieme circa 300 pezzi di metallo stampati nella lamiera dacciaio. 58 I costruttori d’auto hanno sempre effettuato questi «stampaggi> secondo due diverse metodiche. Alcuni piccoli produttori artigianali, quali la Aston Martin, ritagliano una Sagoma approssimativa da lamiere di metallo, di solito al- luminio, per poi martellare il pezzo grezzo a mano su uno stampo fino a ottenere la sagoma finale. (Lo stampo non @ altro che un pezzo rigido di metallo modellato secondo la forma che la lamiera metallica dovrebbe assumere dopo la martellatura.) T costruttori che fabbricano pitt di qualche centinaio di automobili all'anno, categoria che include aziende automo- bilistiche che vanno dalla Porsche alla General Motors, co- minciano con un rotolo di lamicra di acciaio. Fanno passa- re la lamiera attraverso una pressa automatica per wancia- tura in modo da ottenere una pila di pezzi grezzi piani | germente pit larghi del pezzo finale desiderato. Quindi in- seriscono il grezzo in massicce presse per stampaggio con- tenenti uno stampo superiore e uno inferiore che combaciano. Quando gli stampi vengono spinti I'uno con- tro altro sotto la pressione di tonnellate, il pezzo bidimen- sionale muovendosi attraverso una serie di presse assume gradualmente la forma tridimensionale di un parafango di automobile, per esempio, o di una portiera di autocarro.+ Tl problema che sorgeva con questo secondo metodo, dal punto di vista di Ohno, era la scala minima richiesta per I'e- ‘conomia dell'operazione. Le massicce e costose linee di stampaggio occidentali erano concepite per operare a circa dodici corse al minuto, tre turni al giorno, e produrre un milione e pitt pezzi di un singolo articolo all'anno. Mentre agli inizi Vintera produzione annua della Toyota arrivava a poche migliaia di veicoli, Si poteva pensare di alternare gli stampi in modo che la medesima linea di stampaggio potesse fabbricare pezzi di- versi, ma cid presentava notevoli difficoltd. Gli stampi pesa- vano parecchie tonnellate ciascuno e gli operai dovevano al- linearli nella pressa con assoluta precisione. Un allineamen- to imperfetto avrebbe infatti prodotto grinze nei pezzi, ‘mentre un disallineamento pitt grave avrebbe causato un di- sastro: la lamiera si sarebbe fusa nello stampo provocando danni con conseguenti riparazioni estremamente costose in tempo e denaro. Per evitare questi problemi, a Detroit, Wolfsburg, Flins ¢ Mirafiori il cambio degli stampi era affidato a specialisti. 59 Lrperazione veniva effettuata metodicamente e in genere passava un'intera giornata tra uscita dell'ultimo pezzo dai vecchi stampi e la produzione del primo pezzo accettabile da quelli nuovi. Dopo I'aumento vertiginoso della doman- da di automobili in Occidente alla fine della seconda guer- ra mondiale, lindustria aveva escogitato una soluzione an- cora migliore al problema del cambio di stampi. I costrut- tori si erano accorti che in molti casi avrebbero potuto «dedicare» una serie di presse a un unico pezzo e stam- parlo per mesi interi, e anche anni, senza mai cambiare gli stampi. Agli occhi di Ohno, tuttavia, questa non era affatto una soluzione. La pratica occidentale dominante esigeva centi- nia di presse per costruire tutti i pezzi della carrozzeria mentre il budget di Ohno imponeva l'utilizzo di un limitato numero di presse per stampare Iintero veicolo Pensd quindi di sviluppare procedure semplificate per il cambio degli stampi e di effettuare l'operazione frequente- mente ~ ogni due o tre ore contro i due o tre mesi della pras- si normale ~ servendosi di rulli per spostare e riposizionare gli stampi e di semplici meccanismi di regolazione.’ Dal mo- mento che le nuove tecniche non richiedevano particolari abilita e al tempo stesso gli operai addetti alla lavorazione erano inattivi durante il cambio degli stampi, a Ohno venne la geniale idea di sfruttare gli stessi operai anche per tale operazione. “Acquistando qualche pressa americana di seconda mano ¢ continuando a sperimentare dalla fine degli anni Quaran- ta in poi, Ohno riusci a perfezionare la tecnica dei cambi ra- Pic, Per a fine degli anni Cinquanta aveva ridotto incredi ilmente il tempo necessario per cambiare gli stampi da un giorno a tre minuti soltanto ed eliminato la necessit’ di ope- Tatori specializzati. Nel processo, aveva fatto un’inaspettata scoperta: il costo unitario dello stampaggio di piccoli lotti era inferiore a quello relativo a grandi partite. Due erano le giustificazioni di tale fenomeno. Produrre quantitativi ridotti eliminava le spese d'immobilizzo degli immensi stock di pez fini che il sistema di produzione di ‘massa implicava. Ma, fatto ancora pid importante, la fabbri- cazione di pochi pezzi rivelava quasi istantaneamente gli er- rori di stampaggio prima che fosse assemblata l'auto. Le conseguenze di quest'ultima scoperta furono straor- dinarie. Rese i lavoratori allo stampaggio molto pitt consci oo della qualita ed elimina lo spreco di numerosi pezzi difetto- si, da riparare con notevoli costi o addirittura da scartare, che di norma sarebbero stati scoperti soltanto molto dopo Yavvenuta lavorazione. Ma per far si che il sistema funzio- nase, sistema che idealmente produceva scorte per due ore ‘© anche meno, Ohno doveva disporre di una forza lavoro molto qualificata e altamente motivata. Se i lavoratori non fossero riusciti a prevenire i proble- mi prima che questi si verificassero € non si fossero mo- strati disponibili a escogitare soluzioni, lintera produzione sarebbe stata compromessa..II rifiuto di collaborare ~ ripe- tutamente notato dai sociologi industriali come una carat- teristica saliente di tutti i sistemi basati sulla produzione di massa — avrebbe portato in fretta la fabbrica di Ohno al fallimento. PRODUZIONE SNELLA: L'AZIENDA COME COMUNITA, Furono gli stessi dipendenti di Ohno a risolvere questo di- Jemma per lu alla fine degli anni Quaranta, causa di pro- blemi macroeconomici del Giappone — gli occupanti ameri- cani avevano deciso di estinguere l'inflazione mediante re- strizioni del credito, ma avevano strafatto provocando inve- ce una depressione — la Toyota aveva scoperto che la pro- pria nascente attivita automobilistica era in profonda crisi ¢ stava rapidamente esaurendo i prestiti delle banche. La famiglia fondatrice, guidata dal presidente Kiichiro Toyoda, aveva proposto, come soluzione, il licenziamento di tun quarto dell'organico. L’azienda si era cosi ritrovata in un baleno al centro di una rivolta che aveva finito per portare aloccupazione della fabbrica. Oltretutto, il sindacato d'im- presa era in una posizione di forza. Nel 1946, quando il go- iapponese sollecitato dagli americani aveva rafforza- ttidei sindacat, inelusi quelli aziendali, e poi imposto severi limiti al licenziamento, la parte del manico era passata ai dipendenti. Dopo prolungate trattative, la famiglia e il sindacato ave- vano trovato un compromesso che ancora oggi rimane la formula in uso per i rapporti di lavoro nell'industria auto- mobilistica giapponese. Un quarto della forza lavoro fu. cenziata come era stato inizialmente proposto. Ma Kiichiro Toyoda dovette rassegnare le dimissioni da presidente per or assumersi la responsabilita del fallimento dell’azienda e i di pendenti rimasti ricevettero due garanzie. La prima fu il po- sto di lavoro a vita, la seconda una retribuzione con lauti scatti associati all'anzianita piuttosto che alla specifica man- sione e vincolati alla redditivita dell'azienda mediante premi di produzione. In breve essi divennero membri della comunita Toyota, con una serie di dirt, inclusi la garanzia del posto di lavoro a vita e Paccesso alle strutture della Toyota (alloggi, stabili- menti ricreativi e cosi via), che andavano ben oltre quelli strappati in Occidente dalla maggior parte dei sindacati per i dipendenti di aziende a produzione di massa. In cambio, Vimpresa si attendeva che la sua forza lavoro restasse a lavo- rare alla Toyota per tutta la vita. Era un’aspettativa ragionevole dal momento che anche altre societa giapponesi avevano adottato il sistema salariale basato sull’anzianita ¢ i lavoratori ci avrebbero perso se aves- sero lasciato il proprio posto ricominciando da zero con gli scatti di anzianita. La progressione retributiva era vertigino- sa. Un operaio quarantenne riceveva un salario assai mag- giore rispetto a quello di un venticinquenne con le stesse mansion}. Se il quarantenne si licenziava per andare a lavo- rare presso un’altra azienda, avrebbe ricominciato dalla re- tribuzione minima, inferiore persino a quella del venticin- quenne. I dipendenti inoltre accettavano di essere flessibili nel- assegnazione dei compiti e attivi nella promozione degli in- teressi dell'impresa, favorendo le migliorie invece di limitar- sia risolvere i problemi. Il ragionamento della direzione era: «Se noi vi assuiniamo per tutta la vita, voi dovete fare la vostra parte e lavorare come si deve», patto che i sindacati avevano accettato. Rientrato in fabbrica, Taiichi Ohno si era reso conto del- Je implicazioni di questo storico accordo. La forza lavoro or- mai rappresentava a breve termine un costo fisso come il macchinario dell’azienda e a lungo termine tale costo fisso era ancora piti gravoso. Dopo tutto i vecchi macchinari pote- vano essere ammortizzati ¢ scartati, mentre la Toyota aveva bisogno di ottenere il massimo dalle sue risorse umane per un periodo di quarant’anni, ossia dal momento in cui gli operai entravano in fabbrica, che in Giappone avviene in ge- nere tra i diciotto e i ventidue anni, fino al pensionamento a sessant’anni, Era logico dunque cercare di accrescere le ca- oe pacita dei dipendenti e approfittare della loro competenza ed esperienza oltre che det loro muscoli. PRODUZIONE SNELLA: STABILIMENTO DI ASSEMBLAGGIO FINALE La rielaborazione di Ohno dell'operazione di montaggio fi- nale dimostra quanto questo nuovo approccio alle risorse umane abbia ripagato la Toyota. Come si ricordera, il siste- ma di Ford presupponeva che gli operai alla catena di mon- taggio eseguissero ripetitivamente una o due semplici ope- razioni e, Ford sperava, senza lamentarsi. I] caporeparto non aveva mansioni al montaggio ma doveva assicurarsi che gti opera eseguisero gl ordini, Questi ultimi a loro volta provenivano dal tecnico del lavoro, al quale spettava anche il compito di trovare il modo per migliorare il processo. Jcuni addetti riparavano gli attrezzi. Altri erano respon- sabili della pulizia periodica delle zone di lavoro. Speciali ispettori controllavano la qualita e i difetti scoperti venivano rettificati in un’area di ritocco in fondo alla linea di montag- gio. Un'ultima categoria di lavoratori, gli operai tuttofare, completava la divisione del lavoro. Infatti dato che, malgrado salari elevati, la maggior parte degli stabilimenti di assem- blaggio a produzione di massa non riusciva a eliminare l'as- senteismo a due cifre percentuali, occorreva un folto gruppo di operai tuttofare sempre disponibile per rimpiazzare quelli che ogni mattina non si presentavano al lavoro. I dirigenti in genere classificavano la gestione dellim- presa in base a due criteri: rendimento e qualita. Il rendimen- to era il numero di automobili effettivamente prodotto ri- spetto al previsto e la qualita era la qualita finale dopo la parazione dei pezzi difettosi dell’automobile. I dirigenti sa- pevano che scendere al di sotto del target di produzione comportava grossi problemi e che i difetti potevano, se ne- cessario, essere riparati nella zona di ritocco, alla fine del montaggio prima che le auto raggiungessero il collaudatore nel reparto spedizioni. Percid era di capitale importanza non fermare mai la linea di assemblaggio, a meno che non fosse assolutamente necessario. Il fatto che il montaggio di un’automobile proseguisse anche quando un pezzo era stato assemblato in modo imperfetto andava benissimo, poiché questo tipo di difetto poteva essere rettificato nella zona di 63 ritocco, mentre i minuti e le automobili perse in un arresto della linea potevano essere compensati soltanto con costosi straordinari. Cosi era nata nell'industria automobilistica di massa la mentalita definita move the metal (letteralmente: avanti il metallo). Ohno, che nel dopoguerra aveva visitato Detroit ripetu- tamente, riteneva che lintero sistema fosse impregnato di muda, termine giapponese per indicare lo spreco in fatto di fatica, materiali e tempo. Rifletteva che nessun esperto oltre al montatore contribuiva al plusvalore dell’auto. Per di pit, Ohno riteneva che i montatori fossero in grado di svolgere gran parte delle mansioni degli esperti e meglio, per la co- noscenza diretta delle condizioni alla catena. (Anzi, aveva gid confermato questa sua osservazione nel reparto stam- paggio.) Eppure nella fabbrica il montatore era al livello im- piegatizio pid basso. In alcuni stabilimenti occidentali la di- Tezione diceva senza mezzi termini ai montatori che erano necessari soltanto perché I'automazione non poteva ancora sostituirli, Di ritorno a Toyota City, Ohno comincid a effettuare esperimenti. Per prima cosa raggruppd gli operai in squa- dre con un caposquadra al posto del caporeparto. Alle squa- dre veniva affidata una serie di fasi di montaggio, ossia una parte della linea di assemblaggio, spiegando loro che avreb- bero dovuto collaborare insieme per trovare il modo di ese- guire al meglio le necessarie operazioni. Anche il caposqua- dra avrebbe lavorato con loro, ma al tempo stesso doveva coordinare la squadra ¢, in particolare, sostituire qualsiasi operaio assente, concetti inauditi negli stabilimenti di pro- duzione di massa, In una fase successiva Ohno affido alla squadra anche il compito di pulire area di lavoro, effettuare riparazioni mi- nori agli tensile contrllae I qualita. Infine, quando illa- voro delle squadre comincié a funzionare in modo regolare, chiese loro di dedicare periodicamente un po’ di tempo a suggerimenti collettivi su come migliorare il sistema (quelli che in Occidente avrebbero soprannominato quality circles, Gircoli di qualita.) Questo proceso di miglioramento incre- mentale continuo, kaizen in giapponese, fu attuato in colla- borazione con i tecnici del lavoro, che soprawvivevano, ma in numero assai ridotto. In quanto al problema del «ritocco», quella di Ohno fu vera ispirazione. Riteneva che la pratica della produzione di o4 massa di ignorare i difetti per mantenere la linea in movi- mento favorisse il moltiplicarsi degli errori all'infinito. Ogni operaio a ragione pensava che i difetti sarebbero stati poi in- dividuati alla fine della catena e che sarebbe stato punito per qualsiasi interruzione della linea. L'errore iniziale, un pezzo difetoso oppure instllato in modo improprio, procedendo nella linea si ampliava. Una volta che un pezzo difettoso era diventato parte integrante di un veicolo complesso, la ripa- razione poteva richiedere un ingente lavoro di rettifica. E poiché il problema sarebbe stato scoperto soltanto alla fine della linea di montaggio, prima di individuare l'inconve- niente sarebbe stato costruito un numero consistente di vei- coli difettosi. . . Cosi, in aperto contrasto con lo stabilimento di produzio- ne di massa, dove la responsabilita dell'arresto della linea ri- cadeva sul direttore della catena di montaggio, Ohno fece si- stemare un interruttore sopra ogni posto di lavoro e istrul gli operai perché fermassero I'intera linea di assemblaggio non appena fosse insorto un problema che non riuscivano a sbrogliare. Dopo di che lintera squadra sarebbe intervenuta per risolvere 'inconveniente, . ‘Ma Ohno non si fermo i. Negli stabilimenti a produzio- ne di massa i problemi tendevano a essere considerati come eventi casuali. L'idea era quella di riparare ogni errore € sperare che non si verificasse pit. Ohno invece istitul un si- stema di risoluzione dei problemi detto «i cinque perché». ‘Agli operai addetti alla lavorazione si insegnava a rintraccia- te sistematicamente la causa ultima di ogni errore (doman- dandosi « gli sforzi di ogni stabili- mento di assemblaggio verso un unico prodoto di base. Dal canto loro, tutte le filiali giapponesi nell’America del nord costruiscono due o tre prodotti, 4 Dal momento che la vita media dei prodotti é di soli quat- tro anni, un modelo nipponico nell’arco della sua esistenza viene fabbricato in un numero di pezzi quattro volte inferiore rispettoalle automobili di serie occidentali, eil divario sistaal- largando sempre pid. In poche parole, i giapponesiatual- mente fabbricano in media 125.000 esemplari di ciascun mo- delloall’anno. I sete grandi costruttori occidentali ne produ- cono quasi il doppio. Tuttavia, in media i giapponesi tengono in produzione ogni modello per quattro anni contro i dieci degli occidentali. Cid significa che per ciascun modelloi giap- ponesifabbricano 500,000 esemplari(125.000 per 4), mentre Je aziende occidentali ne costruiscono 2 milioni (200.000 per 10), una differenza di quattro a uno. La cosa ancor pitt stupefacente @ che il volume di produ- zione dei modelli delle case giapponesi come la Toyota é so- lo due terzi di quello delle aziende europee specialistiche, come la Mercedes e la BMW. Anzi, con lavvento in partico- lari nicchie di mercato di una miriade di nuove vetture nip- poniche, tipo la Honda NS-X, i giapponesi potranno forse riuscire 1a dove le aziende a produzione di massa hanno sempre fallito: attaccare i produttori artigianali superstiti, come la Aston Martin e la Ferrari, spingendo il mondo inte- ro nell'era della produzione snella. PRODUZIONE SNELLA? RAPPORTO GON LA CLIENTELA Tutta la varieta resa disponibile dalla produzione snella sa- rebbe stata inutile se il costruttore non fosse stato in grado di produrre cid che voleva il cliente. Cosi sin dagli inizi Eiji Toyoda ¢ il suo esperto di marketing, Shotaro Kamiya, co- minciarono a riflettere sul legame tra sistema di produzione e clientela. Per Henry Ford questo legame era molto semplice. Visto che il prodotto era unico ¢ la maggior parte delle riparazioni poteva essere effettuata dallo stesso proprietario, al conces- sionario bastava avere un numero sufficiente di automobili € di pezzi di ricambio in magazzino per soddisfare le richi ste previste. Inoltre, poiché la domanda sul mercato auto- mobilistico americano fluttuava in modo incontrollato sin dai primi esordi dell'industria, il produttore tendeva a utiliz~ zare il concessionario come un ammortizzatore per difende- 7 re l'azienda dalla necesita di aumentare e diminuire conti- nuamente la produzione. Il risultato, consolidato negli anni ‘Venti, fu un sistema di concessionari di piccole dimensioni e finanziariamente indipendenti costretti a mantenere ampie scorte di automezzi in attesa di essere venduti. 1 rapport trail fabbricantee il concessionario erano freddi e di solito tesi in quanto la casa costruttrice cercava di imporre Pacquisto di automobili al concessionario per ren- dere la produzione pid regolare. Neppure i rapporti tra il concessionario e il cliente erano migtion| pote ll primo continuava ad aggiustare i prezzi per adeguare la domanda altofferta massimizzando gli utili. Come chiunque abbia ac- quistato un’automobile nell’America del nord o in Europa sa bene, questo sistema 2 stato contrassegnato da una man- canza di impegno a lungo termine da entrambi i lati, enfatiz- zando ancora pitt il senso di sfiducia. Per rafforzare la pro- pria posizione di contrattazione, nessuno collabora: il con- cessionario tiene la bocca chiusa sul prodotto e il cliente sui propri desideri, e tutti a lungo termine ci perdono. Kamiya aveva imparato a conoscere questo meccanismo lavorando negli anni Trenta nel sistema di distribuzione Biapponese dela General Motors cla cosa lo aveva lasciato molto insoddisfatto. Percid, alla fine della guerra insieme a Toyoda comincid a pensare a nuovi metodi di distribuzione delle vetture."* La loro soluzione, elaborata col tempo, fu di costruire una rete di vendita che ricalcasse quella del grup- po di fornitori della Toyota, e che permise di stringere rap- porti molto diversi con la clientela. In particolare, la Toyota Motor Sales Company" istitud una rete di distributori, alcuni di proprieta dell'azienda e al- tri di cui possedeva un piccolo pacchetto azionario, i quali avevano con la casa costruttrice un «destino comune». ou sti concessionari svilupparono nuove tecniche di «vendita aggressiva», come le defint la Toyota, Ilconcetto di base era luppare un rapporto a lungo termine, anzi a vita, tra pro- duttore, concessionario e compratore inserendo il conces- sionario nel sistema di produzione ¢ il compratore nel pro- cesso di sviluppo dei prodotti. Il concessionario divenne parte integrante del sistema di produzione mentre la Toyota smise gradualmente di co- struire automobili in previsione di ignoti clienti e si convert aun sistema di produzione su ordinazione. Il concessionario era il primo stadio del sistema kanban, il cui compito era 76 quello di spedire alla fabbrica gli ordini di automobili gia Yendute per la consegna al cliente entro due o tre settimane. ‘Affinché cid potesse funzionare, tuttavia, il concessionario. doveva lavorare a stretto contatto con Iazienda in modo da inviare gli ordini in una successione alla quale il costruttore potesse adeguarsi. Mentre il sistema di produzione di Ohno tera efficacissimo nella fabbricazione dei veicoli in base alle specifiche richieste, non era in grado di rispondere a impen- nate o crolli della domanda globale o spostamenti bruschi tra prodotti che non potevano essere costruiti con gli stessi macchinari, per esempio tra automobili di grandi e di picco- le dimensioni, oppure tra automobili ¢ autocarri. Si arrivd alla giusta sequenza degli ordini allorché i ven- ditori della Toyota smisero di aspettare i clienti nella conces- sionaria per contattarli direttamente effettuando visite a do- micilio. Quando le richieste cominciavano a calare i conces- sionari si davano da fare di pid, mentre se la domanda si spostava puntavano sui nuclei familiari che secondo loro po- tevano desiderare il tipo di automobile che l'azienda era in grado di produrre. Cid era possibile grazie a una seconda caratteristica del sistema di vendita aggressiva: l'esistenza di un esteso archi- vio sulle famiglie e sulle loro preferenze d'acquisto che la Toyota aveva creato gradualmente in base a ogni nucleo fa- miliare che aveva mostrato un qualche interesse per un loro prodotto. Potendo contare su queste informazioni, i vendi- tori della Toyota erano in grado di orientarsi verso i pitt probabili compratori. Il sistema riusci a incorporare nel processo di sviluppo dei prodotti anche il cliente e in modo assai diretto. La Toyota convergeva tutti i propri sforzi sui clienti fedeli, con- cetto basilare in un paese in cui i controlli statali sui veicoli, i famosi shoken, obbligavano a demolire praticamente ogni automobile dopo sci anni. La Toyota era determinata a non perdere mai un cliente e poteva ridurre tale evenienza ser- vendbsi dei dati contenuti nel suo archivio per anticipare i desideri dei suoi acquirenti a ogni modifica del reddito, del- la dimensione del nucleo familiare, dello stile di guida e dei gusti. A differenza dei produttori di massa che conduceva- no «gruppi di studio» per la valutazione del prodouo e altre ricerche su compratori selezionati a caso, e con scarsa, 0 pre- sunta tale, «fedelta al marchio», la Toyota contattava diret- tamente i suoi clienti nella progettazione dei nuovi prodotti. 77 I vecchi clienti erano trattati come membri della «famiglia Toyota» e la fedelta al marchio divenne una caratteristica saliente del sistema a produzione snella della Toyota. IL FUTURO DELLA PRODUZIONE SNELLA Gia agli inizi degli anni Sessanta la Toyota aveva finito di metiere a punto i principi della produzione snella. Gran parte furono adottati pure dagli altri costruttori giapponesi, anche se occorsero parecchi anni. Per esempio, la Mazda non abbraccié per intero le idee di Ohno sulla gestione delle industri © sul sistema di approvvigionamento finché non dovette affrontare una crisi nel 1978, quando la domanda estera per le sue vetture con motore Wankel, a forte consu- mo di carburante, croll6. Il primo passo del gruppo di Su- mitomo nell‘offrire aiuto alla Mazda fu di insistere che il complesso produttivo di Hiroshima della societa si conver- tisse in fretta a immagine e somiglianza di Toyota City a Na- goya. Inoltre, non tutte le aziende furono altrettanto abil nel- Tattuazione del sistema. (Uno dei nostri maggiori obiettivi in questo libro é di educare il pubblico all'idea che alcune so- cieta nipponiche sono pit snelle di altre e che parecchi dei vecchi produttori di massa occidentali stanno diventando rapidamente anch’essi snelli.) Nonostante cid, negli anni Sessanta le aziende giapponesi guadagnarono in media un enorme vantaggio sui produttori di massa del mondo e fu- rono in grado per un periodo di vent’anni di espandere co- stantemente la propria quota nel mercato automobilistico mondiate effettuando esportazioni dai loro impianti giappo- nesi di produzione estremamente mirata, come mostra la fi- gura 3.1. Lo sviluppo delle esportazioni si arrestd bruscamente dopo il 1979, quando I'economia mondiale precipitd, i disa- vanzi nella bilancia commerciale con America del nord YEuropa raggiunsero proporzioni incontrollabili e furono erette barriere commerciali. Per quanto riguarda la diffu- sione della produzione snella, il mondo negli anni Ottanta @ allo stesso punto in cui si trovava con la produzione di massa negli anni Venti. I principali seguaci del.nuovo metodo cer- cano per necessiti di aumentare la propria quota di mercato nel mondo mediante investimenti indiretti nell’America del 78 FIGURA 3.1 Quota di mercato detenuta dai giapponesi nel settore automobilistico mondiale, 1955-1989 a @ S ee sna Nota: La figura include la produzione estera e nazionale, Fonte: Automotive Neus Market Data Book nord ¢ in Europa (come mostra ’area quadretiata nella figu- ra 3.1) piuttosto che aumentare le esportazioni di articoli f niti, Nel frattempo, gli americani, gli europei e persino le aziende coreane — spesso abili maestri nell’ormai obsoleta produzione di massa — tentano di eguagliare o superare le prestazioni dei loro rivali snelli. Si tratta di un processo molto emozionante. Ma crea an- che enormi tensioni. Alla fine ci saranno vinti (inclusi aleuni fra i costruttori giapponesi pitt piccoli e meno esperti) e vin- citori, ma il pubblico di tuito il mondo tende troppo fa mente a interpretare la contesa in termini nazionalisti ~ «noi contro di «loro», il «nostro» paese contro il «loro». Ritorneremo sul problema della diffusione della produ- zione snella negli ultimi capitoli di questo libro poiché rite- niamo che sia una delle questioni pitt importanti per lec nomia mondiale degli anni Novanta. Prima, perd, @ indi- spensabile approfondire gli elementi caratteristici della pro- duzione snella. I principi della produzione snella La gente si fa un’idea semplice e vivida della produzione di automobili: lo stabilimento di assemblaggio dove tutti i pezzi vengono montati per creare il veicolo Fnito. Benché questa fase finale sia importante, essa rappresenta soltanto il 15 per ‘cento circa del lavoro necessario per la costruzione di un au- tomezzo. Per comprendere a fondo la produzione snella bi- sogna considerare ogni singolo stadio del processo di fabbri- cazione, cominciando dalla progettazione tecnica del pro- dotto fino ad andare oltre la fabbrica, al consumatore che dipende dall’automobile nella vita di tutti i giorni. Inoltre, & di fondamentale importanza comprendere il meccanismo di coordinazione necessario per armonizzare tutte queste di- verse fasi, meccanismo che chiamiamo impresa snella. Nei capitoli che seguono passeremo in rassegna ogni sin- golo stadio della produzione snella. Cominceremo con la parte del sistema che tutti identificano con la fabbrica di au- tomobili, lo stabilimento di assemblaggio, per dimostrare si- stematicamente quanto si discosti la produzione snella dalle idee di Henry Ford. Passeremo poi allo sviluppo e alla pro- gettazione del prodotto, quindi al sistema di approwvigiona- mento, che costituisce il grosso del processo produttivo. Suc- cessivamente analizzeremo il sistema di vendita, che nella produzione di massa rappresenta la fine del processo pro- duttivo, ma che per la produzione snella é soltanto Finizio. In- fine esamineremo il tipo di impresa snella globale necessaria per far funzionare intero sistema, unico aspetto della pro- duzione snella che ancora non sia stato del tutto sviluppato. Questo capitolo si basa sull' [MVP World Assembly Plant Survey, l'indagine sugli stabilimenti di assemblaggio nel mondo avviata da John Krafcik, al quale successivamente si @ unito John Paul MacDuffie. Aila ricerca ha collaborato an- che Haruo Shimada. 4 GESTIONE DELLA FABBRICA Lo stabilimento di assemblaggio dell’auto domina lo scena- rio, ovunque sia nel mondo. Da lontano appare come un ampio capannone privo di finestre circondato da vaste aree adibite a magazzino e scali merci. La sagoma del complesso ¢ la mancanza di una facciata spesso rendono difficoltoso di- stinguere 'entrata, Una volta all'interno, la visione @ inizial- mente sconcertante. Migliaia di operai in un unico enorme edificio sono af- faccendati attorno a fiumi di veicoli che si muovono nella fabbrica, mentre una complessa rete aerea di convogliatori ¢ nastri trasportatori fa circolare i pezzi da una parte e dall’ tra, La scena é intensa, febbrile, rumorosa. Di primo acchito & come ritrovarsi all’interno di un orologio svizzero: affasci- nante ma incomprensibile ¢ anche un po’ terrorizzante. Nel 1986, all'avvio dell IMVP, ci prefiggemmo di con- trapporre la produzione snella alla produzione di massa rendendo attentamente in esame il maggior numero possi- ile di stabilimenti di assemblaggio di autoveicoli nel mon- do. Alla fine, visitammo e iemmo sistematicamente dati su oltre novanta stabilimenti in diciassette paesi, circa meta dellintera industria di assemblaggio mondiale. La no- stra si sarebbe rivelata una delle indagini internazionali pid esaurienti mai intraprese nel settore automobilistico o in qualsiasi altro settore. Ma perché abbiamo scelto lo stabilimento di assemblag- gio peril nostro studio? Perché non la fabbrica di motori, 0 i freni oppure di alternatori? E perché un numero cosi consistente di fabbriche in tanti paesi? Di certo il migliore stabilimento a produzione snella in Giappone e il peggiore a produzione di massa nell’America del nord o in Europa sa- Tebbero stati sufficienti a dimostrare la differenza tra pro- duzione snella e produzione di massa. as Tre elementi ci hanno convinto che lo stabilimento di as- semblaggio fosse lattivita pitt interessante nel sistema di produzione dell’auto. Prima di tuto, il montaggio rappresenta una consistente fetta delle attivita produttive dell’industria automobilistica. Cid semplicemente a causa del nutrito numero di pezzi di cui un’automobile é costituita. Gran parte del processo di as- semblaggio ha luogo nelle fabbriche di componenti. Per esempio, una fabbrica di alternatori riceve dai fornitori op- pure costruisce da sé i circa 100 pezzi di cui un alternatore & costituito, quindi li monta formando I'unita completa. In ogni caso, é difficile comprendere il processo di assemblag- gio in tale fabbrica, in quanto di solity Pattivita & volta a co- struire soltanto una piccola parte dell’insieme. Nello stabil mento di assemblaggio finale, invece, la sola attivita @ il montaggio, ossia la saldatura ¢ il fissaggio di parecchie mi- gliaia di semplici pezzi e di componenti complessi in un vei- colo completo. In secondo luogo gli stabilimenti di assemblaggio di tutto il mondo effettuano quasi esattamente le medesime opera- zioni dato che in pratica tutti gli autoveicoli di ogi sono co- struiti con tecniche di fabbricazione molto affini. Nella mag- gioranza degli stabilimenti di assemblaggio per costruire una scocca € necessario saldare a punti circa 300 pannelli di acciaio stampato. Quindi la scocca viene trattata a immersio- ne € a spruzzo con un anticorrosivo, poi verniciata. Infine, migliaia di parti meccaniche, eleuriche e di tappezzeria ven- gono installate allinterno della scocca verniciata per com- pletare l'automobile. Data la grande uniformita di queste operazioni, ci 2 possibile confrontare in modo significativo uno stabilimento situato in Giappone con uno in Canada, un altro in Germania e un altro ancora in Cina, anche se le auto prodotte sono molto diverse luna dall'altra quando escono dalla fabbrica. Da ultimo, abbiamo scelto lo stabilimento di assemblag- gio perché gli sforzi giapponesi di diffondere la produzione snella costruendo fabbriche nellAmerica del nord ¢ in Eu ropa inizialmente interessava questo tipo di stabilimento. Quando nel 1986 cominciammo la nostra indagine, negli Stati Uniti erano gia operativi tre stabilimenti di assemblag- gio a gestione giapponese e uno stava per aprire in Inghil- terra, Alcune fabbriche nipponiche di motori, freni, alternato- 86 rie altri componenti, benché annunciate ufficialmente nel- TAmerica del nord e in Europa, erano ancora in fase di pia- nificazione. Sapevamo per esperienza che non ha senso ¢sa~ minare i programmi di un’azienda o considerare uno sta- bilimento appena avviato. Per cogliere la vera differenza tra produzione snella e produzione di massa a livello di fabbrica bisognava confrontare stabilimenti funzionanti a pieno rit- mo. In quanto alla seconda domanda che spesso ci é rivolta, perché studiare un numero cosi esteso di aziende e in tanti paesi diversi, la risposta @ semplice. La produzione snella si sta diffondendo oltre i confini giapponesi in quasi tutte le nazioni. Sul suo cammino vi sono i giganti della produzione di massa della precedente era industriale. ; In ogni paese ¢ in ogni azienda — incluse, aggiungerem- mo, quelle meno affermate in Giappone ~ abbiamo percepi- to un desiderio intenso, quasi disperato, di ottenere la rispo- sta a questi due semplici interrogativi: «Qual é la nostra po- sizione?» e «Che dobbiamo fare per essere all'altezza del nuovo livello competitivo imposto dalla produzione snel- la?». Ora noi abbiamo le risposte. ESEMPIO TIPICO DI PRODUZIONE DI MASSA? LO STABILIMENTO DI FRAMINGHAM DELLA GENERAL MOTORS Avviammo la nostra ricerca nel 1986 presso lo stabilimento della General Motors di Framingham nel Massachusetts, uno stabilimento di assemblaggio pochi chilometri a sud del- la nostra base di Boston. Optammo per Framingham non tanto per la sua vicinanza, quanto perché avevamo il forte sospetto che incarnasse tutti gli elementi tipici della produ- zione di massa. La nostra prima intervista con i dirigenti dell'azienda non fu promettente. Erano appena rientrati da una visita al- lo stabilimento nato dalla joint-venture tra la Toyota e la Ge- neral Motors (la NUMMI) dove aveva lavorato John Kraf- cik, nostro coordinatore dell’indagine sugli stabilimenti di assemblaggio. Uno dei tre riferi che dietro la fabbrica dove- vano esserci aree segrete di ritocco e magazzini poiché non ne aveva visti a sufficienza per un «vero» stabilimento. Un altro si chiedeva perché se ne parlasse tanto. «Fanno auto 87 come noi». Un terzo avvisava che «tutto quello di cui dice la NUMMI [sulla produzione snella] qua non é gradito». Malgrado questo gelido inizio, la direzione dello stabili- mento fu estremamente disponibile. In tutto il mondo, co- me ogni volta da allora abbiamo scoperto, dirigenti e dipen- denti hanno sete di sapere quale sia la loro posizione e come migliorare. In realta Vostilita iniziale @ spesso dovuta al timo- re che la situazione sia pid nera di quel che sembri. Nel reparto di produzione trovammo pitt o meno cié che ciaspettavamo: il tipico ambiente di lavoro della produzione di massa, con le sue numerose disfunzioni. Cominciammo a studiare i passaggi lungo la linea di assemblaggio. Erano sti- pati di cid che noi definiamo lavoratori indirewti: operai in procinto di prendere il posto di un collega, riparatori di macchinari impegnati a individuare un guasto, addetti alla pulizia, portaordini di magazzino. Nessuno di questi dipen- denti in realta contribuisce al plusvalore dell’auto e le azien- de possono trovare altri modi per lesecuzione di tali man- sioni. ‘Quindi prendemmo in considerazione la linea stessa. Ac- canto a ogni posto di lavoro vi erano pile di scorte, in certi casi sufficienti per settimane intere. In terra vi erano scarti di scatole e altro materiale da imballo. Sulla linea, il lavoro era distribuito irregolarmente, con alcuni operai che corre- vano all'impazzata per rimanere al passo e altri che trovava- no il tempo di fumare o persino leggere il giornale. In certi punti i montatori parevano impegnati in vere e proprie lotte per fissare pezzi non perfettamente combacianti sui modelli della Oldsmobile Ciera che stavano fabbricando. I pezzi che non riuscivano a montare venivano buttati senza tante ceri- monie nei bidoni della spazzatura. Alfestremo capo della linea scoprimmo quello che forse 2 Yemblema pid significativo dell'antiquata produzione di massa: un'enorme area di ritocco ingombra di vetture finite difettose che andavano riparate prima della spedizione, operazione che si pud rivelare molto lunga e che spesso non @ in grado di risolvere tutti i guai ormai sepolti sotto strati di pezzi e tappezzeria. Riattraversando lo stabilimento per discutere le nostre conclusioni con i dirigenti, trovammo gli ultimi due segni caratteristici della produzione di massa: ingenti scorte cusci netto di scocche finite in attesa di essere trasportate alla ver- niciatura o di ritorno verso la linea di montaggio e massicce 88 giacenze di pezzi, molti dei quali ancora sui vagoni prove- nienti dalle fabbriche di componenti della General Motors nell’area di Detroit. . | Infine una parola sulla forza lavoro. Scoraggiata® unico aggettivo appropriato. Gli operai di Framingham erano gid stati licenziati una mezza dozzina di volte dagii inizi della cri- sidell’industria americana nel 1979 ¢ sembravano avere po- che speranze sul futuro dello stabilimento di fronte alle nuove strutture a produzione snella che stavano sorgendo nel Midwest. UN ESEMPIO TIPICO DI PRODUZIONE SNELLA: LO STABILIMENTO DI TAKAOKA DELLA TOYOTA La nostra successiva visita fu lo stabilimento di assemblaggio di Takaoka a Toyota City. Al pari dello stabilimento di Fra- mingham (costruito nel 1948), si tratta di una struttura non recente (risale al 1966). Nel 1986 era dotato di un numero assai maggiore di robot per Ia verniciatura e la saldatura ma non eguagliava certo lo stabilimento ad alta tecnologia che la General Motors stava costruendo per i suoi nuovi modelli GM-10, dove convogliatori elettronici sostituivano la linea di assemblaggio finale. ; — Le differenze tra gli stabilimenti di Takaoka e di Framin- ham erano impressionanti per chiunque capisca la logica della produvione snella, Innanzitutto, nei passaggi lungo la linea di montaggio non vi era quasi nessuno. Gli eserciti di lavoratori indiretti cosi appariscenti alla General Motors qui non esistevano e praticamente tutti gli operai visibili al mo- mento contribuivano al plusvalore dell’auto. I] fatto era tan- to pid evidente in quanto alla Takaoka i passaggi sono molto. stretti. La filosofia della Toyota circa la quantita di spazio neces- saria per un dato volume di produzione é esattamente in an- titesi a quella della General Motors allo stabilimento di Fra- mingham: la Toyota ritiene opportuno destinare il minore io possibile per facilitare la comunicazione faccia a fac- cia tra gli operai e non prevede aree per le scorte. La Gene- ral Motors, al contrario, ha sempre ritenuto che fosse neces- sario spazio supplementare per lavorare ai veicoli da ripara- re e per immagazzinare le scorte necessarie a una produzio- ne costante. 3 La linea di montaggio finale rivelava ulteriori differenze. Accanto a ogni operaio della Takaoka vi erano scorte suffi- cienti per meno di un’ora. I pezzi venivano montati in modo pitt regolare e le operazioni erano meglio equilibrate, tanto che ogni operaio lavorava quasi allo stesso ritmo. Quando un lavoratore trovava un pezz0 difettoso, egli - non esistono donne tra le maestranze della Toyota in Giappone — lo con- trassegnava ¢ lo mandava nell'area di controllo qualita per la sostituzione. Nell’area di controllo qualita gli addetti sotto- ponevano il pezzo a cid che la Toyota definisce «i cinque perché> in cui, come spiegato nel capitolo 2, si individua la causa ultima del difetto in modo che non si ripeta pit. Come gia notato, ogni operaio alla catena di montaggio p® trare una fune posta proprio sopra di li per fermare la linea qualunque problema sorga. Alla General Motors sol- tanto i responsabill possono arrestare la catena di montag- gio per motivi che non siano di sicurezza, ma la linea si fer- ma lo stesso di frequente a causa di problemi con i macchi- nario con la consegna dei materiali. Alla Takaoka ogni ope- raio pud fermare la linea, ma cid non awviene quasi mai in jwanto i problemi vengono risolti in anticipo e gli stessi di- fetti non si verificano mai due volte. I] fatto di porre una costante attenzione alla prevenzione dei difetti ha eliminato la maggior parte dei motivi di arresto della catena di mon- taggio. ‘Alla fine della linea, la differenza tra produizione snella e produzione di massa era ancora pid eclatante. Alla Takaoka hon notammo quasi la presenza di aree di ritocco. Pratica- mente ogni automobile veniva portata direttamente dall'as- semblaggio alla nave o ai camion per la spedizione. Riattraversando lo stabilimento, osservammo altre diffe- renze tra questo e lo stabilimento di Framingham. Non vi erano praticamente scorte cuscinetto tra il reparto di salda- tura ela cabina di verniciatura e tra la verniciatura e 'assem- blaggio finale. E non vi era alcun magazzino. I pezzi veniva- no consegnati direttamente alla linea a intervalli di un’ora dagli stabilimenti dei fornitori dove erano appena stati fab- bricati. (Anzi, il nostro questionario per l'indagine iniziale sug stabilimentichiedeva quanti omni di scorte prevedes- se Fazienda. Un dirigente della Toyota ci domand® gentil- mente se vi era un errore nella traduzione, Di sicuro inten- devamo dire minuti.) Un'ultima, palese differenza con lo stabilimento di Fra- 90 mingham era il morale della forza lavoro. Il ritmo era chia- ramente pit serrato alla Takaoka, eppure aleggiava un sen- so di motivazione. Non erano semplici operai che effetua~ vano meccanicamente i movimenu sotto locchio vigile del caporeparto. Senza dubbio cid derivava in gran parte dal fatto che tutti gli operai della Takaoka erano impiegati a vita alla Toyota, con un lavoro sicuro in cambio di un impegno totale. CONFRONTO TRA PRODUZIONE DI MASSA E PRODUZIONE SNELLA Dopo la visita a entrambi gli stabilimenti cominciammo a co. struire una semplice tabella per inquadrare la produttivita € Taccuratezza di ogni stabilimento (per «accuratezza» si in- tende il numero di difetti di montaggio riferiti dagli acqui- enti)? Basare il paragone sulla produttivita lorda era sem- plice, bastava dividere il numero di ore di manodopera com- plessiva per il numero di veicoli prodotti, come mostra la prima riga della figura 4.1.° Tuttavia dovevamo essere certi che ogni stabilimento eseguisse esattamente le medesime ope- razioni, altrimenti il raffronto non sarebbe stato obiettivo. FIGURA 4.1 Confronto tra lo stabilimento di assemblaggio di Framingham della General Motors ¢ lo stabilimento di assemblaggio di Takaoka della Toyota, 1986 General Motors Toyota Ore complessve di assemblaggio per auto 407 180 Ore correte di astemblaggio per auto 2 is fed assemblaggio per 100 auto Sued eaaipen 0,75, 0,45, Spacio di assemblage er auto Storte di pez (media) 2setimane ore nit compe di aobngg pest no ast iendo er oy oe ce es ate Se ra ee pea ef Foc eon epee t Fe rn Ee ee hoe inal Quay Sates ore ] eee ee eerie ace eee ie pe ae te Se ee pec pia Fonte: IMVP World Assembly Plant Survey aL A tale proposito redigemmo un elenco di operazioni standard per entrambi gli stabilimenti ~ saldatura di tutti i pannelli della carrozzeria, applicazione di tre mani di verni- e, installazione di tutti i pezzi, ispezione finale e ritocco - e annotammo ogni operazione effettuata dall'uno ma non dallaltro stabilimento. Per esempio, lo stabilimento di Fra- mingham eseguiva soltanto meta del lavoro di saldatura e appaltava a terzi la saldatura di numerose parti. Per tener conto di questa circostanza fummo costretti ad apportare un adeguamento. ‘Sapevamo anche che non avrebbe avuto senso paragona- re stabilimenti che assemblassero veicoli di dimension’ mol- to diverse € con un numero differente di accessori, percid correggemmo la quantita di manodopera di ogni stabili- mento riferendo lassemblaggio a veicoli standard di una certa dimensione € con un dato corredo di accessori*. Il risultato che emerse dai nostri calcoli fu strabiliante, come rivela la figura 4.1. Lo stabilimento di Takaoka pre- sentava una produttivita doppia e un’esecuzione tre volte pit accurata rispetto alla Framingham per la medesima se- Tie di operazioni standard su automobill standard. In termi ni di spazio di lavorazione, la Takaoka aveva un’efficienza del 40% superiore e i suoi magazzini erano una minuscola frazione di quelli della Framingham. Confrontando il risultato con quello della figura 2.1 nel capitolo 2, cist poirebbe chiedere se questo balzo in avanti nel rendimento dalla produzione di massa classica, praticata dalla General Motors, alla produzione snella, praticata dalla Toyota, meriti davvero il termine di rivoluzione. Dopo tutto, Ford era riuscito a ridurre a un nono la quantita di lavoro diretto alla Highland Park. In realta, il risultato della Takaoka @ per certi versi anco- ra pitt impressionante di quello di Ford alla Highland Park in quanto rappresenta un progresso in molteplici campi Non soltanto la fatica @ dimezzata e i difetti ridotti di un ter- 20, la Takaoka riduce drasticamente le giacenze e lo spazio riservato al ritocco. (In pratica realizza un risparmio al tem- po stesso di capitale e di manodopera rispetto alla produzio- ne di massa tipo quella attuata a Framingham.) Per di pi, lo stabilimento di Takaoka é in grado di passare in pochi gior- ni da un tipo di veicolo alla generazione successiva mentre la Highland Park, con la sua vasta gamma di utensili dedicati, rimase chiusa per mesi interi nel 1927 quando Ford passd 92 dal modello T al nuovo modello A. Ancora oggi gli stabili- menti di produzione di massa continuano a chiudere per mesi ¢ mesi quando devono cambiare prodotto. DIFFUSIONE DELLA PRODUZIONE SNELLA Le rivoluzioni in campo industriale sono utili soltanto se at- twabili da tutti. Eravamo dunque molto curiosi di sapere se le filiali giapponesi nell’ America del nord e in Europa pote- vano applicare allo stesso modo la produzione snella in un ambiente diverso. ‘Conoscevamo molto bene uno degli stabilinenti nippo- nici nell’ America del nord, naturalmente, visto che il ricer- catore dell IMVP John Krafcik vi aveva lavorato. Lo stabili- mento New United Motor Manufacturing Inc. (NUMMI) a Fremont, in California, 2 una joint venture tra il tipico pro- duttore di massa, la General Motors, e il tipico produttore snello, la Toyota. La NUMMI utilizza un vecchio stabilimento che la Gene- ral Motors aveva costruito negli anni Sessanta nell'intento di assemblare automobili e autocarri per la costa occidentale degli Stati Uniti, Con il graduale spostamento della quota di mercato della General Motors verso la costa pacifica, lo sta- bilimento aveva registrato un costante calo di lavoro ed era stato infine chiuso definitivamente nel 1982. Nel 1984 la General Motors aveva deciso di imparare qualcosa sulla pro- duzione snella dal maestro in persona. Cosi aveva convinto la Toyota a fornire il management per uno stabilimento da riaprire allo scopo di produrre piccole vetture private per il mercato statunitense su progetto Toyota. ‘La NUMMI aveva deciso di essere intransigente sull’at- tuazione della produzione snella. I dirigenti provenivano tutti dalla Toyota e in men che non si dica attuarono una co- pia esatta del sistema di produzione della societa giappone- se. Una mossa chiave a tale scopo fu la costruzione di un nuovo stabilimento di stampaggio adiacente alla zona di sal- datura delle scocche in modo che i pannelli della carrozzeria potessero essere stampati in piccolt lotti al momento neces- sario. Viceversa, il vecchio stabilimento di Framingham ve- niva approvvigionato via ferrovia dagli stabilimenti centrali di stampaggio della General Motors nel Midwest, che stam- pavano milioni di pannelli su presse dedicate. 93 Anche il sindacato americano dei lavoratori automobili- stici (United Automobile Workers Union) collabord. Liot- tanta per cento della forza lavoro della NUMMI consisteva di ex dipendenti della General Motors di Fremont, Tutta- via, in luogo del solito contratto sindacale con migliaia di pa- gine di righe fite per definire tutte le minuziose categorie d'impiego e altre questioni sindacali, il contratto della NUMMI prevedeva soltanto due categorie di lavoratori montatori e tecnici. Il sindacato accettd anche che tutti i suoi membri lavorassero in piccole squadre al fine di effettuare il lavoro con il minimo sforzo ¢ la massima qualita. Nell'autunno del 1986 la NUMMI lavorava a pieno rit- mo. E noi eravamo pronti a confrontarla con gli stabilimenti di Takaoka e di Framingham, come mostra la figura 4.2. FIGURA 4.2 Confronto tra lo stabilimento di Framinj della General Motors, la fabbrica di Takaoka della Toyota ela NUMMI di Fremont, 1987 General Motors Toyota. = NUMA Ore di assemblaggio per auto a1 6 Dife di asemblaggo ® 100 ao 180 e 6 pari di aseemblaggio per auto 075 045 06s Scorte di pezzi (media) 2setimane ore 2 giorni Fonte: IMVP World Assembly Plant Survey Scoprimmo che la NUMMI eguagliava la qualita della Toyota e quasi anche la sua produttivita. Lo sfruttamento dello spazio non era altrettanto efficace a causa della medio- cre disposizione dello stabilimento della General Motors. La quantita di giacenze era sensibilmente maggiore rispetto alla Takaoka in quanto quasi tutti pezzi venvano dalfaltra co- sta del Pacifico, a pid di 7.000 chilometri di distanza, in luo- go dei dieci chilometri o poco pity che separavano ‘Toyota ity dalle fabbriche dei fornitori. (Ma anche cost la NUMMI era in grado di lavorare con scorte di pezzi di due giorni, in- vece delle due settimane necessarie alo stabilimento di Fra. mingham.) Ci rendemmo quindi conto alla fine del 1986 che la ot Toyota era riuscita veramente a compiere una rivoluzione industriale, che i vecchi stabilimenti a produzione di massa non potevano competere e che il nuovo metodo, la produ- ne snella, poteva essere trapiantato con successo in nuovi ambienti, come era accaduto per la NUMMI. Con queste premesse non fummo stupiti dai succesivi event: In Takao- a con l'aumento dellautomazione continua a migli Anche la NUMMI migliora costantemente e una seconda li- hea sta per essere aggiunta per assemblare autocarri Toyo- ta, Lo stabilimento di Framingham invece é stato definitiva- mente chiuso nellestate del 1989. INDAGINE NEL MONDO Al termine della nostra ricerca preliminare, decidemmo di proseguire con un’indagine che comprendesse tutto il glo- bo. Eravamo motivati in parte dal fatto che le societ ¢ i go- verni che ci finanziavano volevano sapere quale fosse la loro posizione ¢ in parte dalla consapevolezza che un’indagine computa su tre stabilimenti lasciava irrisolti un certo nume- ro di interrogativi sul ruolo svolto da automazione, facilita di montaggio, varieti dei prodotti e tecniche aziendali nel successo dell’industria. Tuttavia, ci rendemmo presto conto che nei nostri rap- porti avremmo dovuto nascondere i nomi delle soeieta e de- i stabilimenti. Molte aziende erano disposte a concederci accesso ai propri stabilimenti a condizione che non ne fa- cessimo il nome. Abbiamo rispettato i loro desideri e in que- sto libro indichiamo gli stabilimenti soltanto per quelle so- cieta che Phanno consentito. Dopo altri quattro anni di ricerche sulla produttivita e la qualita (0 accuratezza) nel mondo, abbiamo tratto le conclu- sioni riassunte nelle figure 4.3 e 4.4. T risultati non sono affatto quelli che ci saremmo aspetta- ti, Immaginavamo che tutte le aziende giapponesi in Giap- pone fossero pressappoco omogenee, ossia parimenti snelle. Inoltre, eravamo convinti che i risultati di tutti gli stabilimen- ti americani nell’America del nord ¢ quelli a capitale ameri- ano o europeo in Europa fossero all'incirca allo stesso livello con poche variazioni e che il distacco dello stabilimento me- dio giapponese fosse pressoché identico a quello osservato tra gli stabilimenti di Framingham e di Takaoka nel 1986. 95 FIGURA 4.3 Produttivita degli impianti di assemblaggio, Produttori di grandi serie, 1989 wo » ign wo] B Melinponderaa 5 i reason Zw. bo. fo Bs WMA "TRA USWA. — USEC /E EE, NC o a ® as) ab, Paese societs madre /Pacue sabiimento ‘angen ‘la: Xproduttri ai grandi serie includono le Tre Grandi Case americane; Fat, ‘A, Renault e Volkswagen in Europa; e tutte le societa giapponesi. GG ‘="Impianti 4 capitale gaspponese in Giappone. Glin HEBERT SRS Ra a titi usuay, ~ loins TipShtS tii etme d tr, ii = impan scone ameens eet Amerie de por BenO® = Hemant scone aneiane gpes a Fi 7 am ee nee oR oo Manic, Bre, ‘Talwan ¢ Corea, Fonte: IMVP World Assembly Plant Survey Infine ci aspettavamo che gli stabilimenti di assemblaggio nei paesi in via di sviluppo fossero contrassegnati da un basso li- vello di produttivita e di qualita. La realt é un’altra. Abbiamo infatti scoperto che in Giappone i risultati della produttivita variano moltissimo, con una differenza di due a uno tra lo stabilimento migliore e quello peggiore, tanto nella produttivitd quanto nella qualti, It divanio 1 guardante altre dimensioni ~ sfruttamento dello spazio, li- vello delle scorte, percentuale della superficie della fabbri- ca dedicata al ritocco - @ assai inferiore, ma ci sono co- munque differenze, 96 FIGURA 4.4 Qualita degli impianti di assemblaggio, produttori di grandi serie, 1989 1 Miglor 1B Media ponderata im Peagiont CRN USNR ee ‘o a ° Pese sie madre/Paesesabilimento om: La qual & express in numero di diet per 100 vio imputabi atin. pianto di assemblaggto, secondo quanto riferito dat proprietari net primi tre mesi i utlizzo. I dai includono unicamente le automoblk vendute negh Stati Uniti. Fonte: IMVP World Assembly Plant Survey, in base a una speciale classficazione ‘dei difetti per impianto di astemblaggio fornita dalla J. D. Power and Associates, Nell’America del nord abbiamo presto scoperto che la Framingham era in realta il peggiore stabilimento a capitale americano, Le prestazioni rede delle Tre Grandi alla fine del 1989 sono decisamente migliori, soltanto il 48 per cento in pid di lavoro e il 50 per cento in pit di difetti, contro il doppio e il triplo rispettivamente a cui arrivava il divario tra gli stabilimenti di Framingham e di Takaoka nel 1986. II fat- to ancor pitt sorprendente @ che gli stabilimenti di assem- blaggio di Ford, che diede il via alla produzione di massa settantacinque anni fa, sono altrettanto snelli delle filiali giapponesi nell’America del nord.’ I migliori stabilimenti a capitale americano nell’America del nord sono ora quasi produttivi quanto la media giapponese... e quasi altrettanto validi in termini di qualita. I pitt sorprendenti sono i risultati dell’Europa. La pro- 97 duttivita della Framingham, lo stabilimento americano che andava tanto male in confronto alla Takaoka e che ora é sta- to chiuso, in realta era sensibilmente migliore nel 1986 ri- spetto alla media europea del 1989. Anzi, dopo aver visitato uno stabilimento dopo Paltro traemmo una sensazionale conclusione: Europa, un tempo culla della produzione arti- gianale nel settore automobilistico, oggi incarna il tipico esempio della produzione di massa. Le prestazioni medie americane, sotto Vinesorabile pressione delle filiali giappo- nesi nell'America del nord, sono migliorate drasticamente, in parte chiudendo gli stabilimenti peggiori, come quelli di Framingham, ¢ in parte adottando le tecniche della produ- zione snella negli altri, L’Europa, al contrario, non ha anco- ra cominciato a recuperare il distacco con la concorrenza. In quanto alle aziende nipponiche nell’America del nord, irisultaiispetiano le attese: Leloro prestazioni medic in ter mini di qualita sono pressoché paragonabili alla media giap- ponese, mentre in fatto di produttivita sono inferiori del 25 per cento circa. Riteniamo che tali discrepanze siano da ricon- durre in parte al fatto che gli stabilimenti nipponici nell’ Ame- rica del nord siano ancora in una fase iniziale della curva di apprendimento della produzione snella. A cid siaggiunganoi diversi metodi di approwvigionamento che sono pit! comples- si, punto su cui ritorneremo nel capitolo 6.° ‘Comunque sia, anche tra le filiali giapponesi esistono si- gnificative variazioni. Per esempio, nella nostra ricerca il peggior esempio di sfruttamento dello spazio @ rappresenta- to da un‘industria nipponica. In genere @ emerso che le so- cieta che eccellono in Giappone gestiscono le migliori filiali giapponesi nell’ America del nord, il che significa che la gran parte delle variazioni osservate ¢ imputabile a differenze nella gestione. Infine, gli stabilimenti di assemblaggio nei paesi in via di sviluppo, in particolare Brasile, Corea, Messico e Taiwan, hanno prestazioni incredibilmente variabili. L’azienda mi- gliore in termini di qualita, la Ford di Hermosillo in Messi- Co, in realta costituisce il miglior esempio di stabilimento di assemblaggio dell'intero campione in fatto di qualita, supe- riore perfino ai migliori stabilimenti giapponesi ¢ alle mi- gliori filiali nipponiche nell’America del nord. Il migliore stabilimento dei paesi in via di sviluppo @ anche sorprenden- temente efficiente, considerato soprattutto il suo modesto li- vello di automazione. Al contrario, i peggiori stabilimenti 98 dei paesi in via di sviluppo risultano molto carenti in qualita ¢ produttivita. Ma a che cosa attribuire la differenza? Riteniamo che il successo possa dipendere dall’assemblaggio di un articolo derivante da un processo di sviluppo dei prodotti snello (co- ne a Hermosillo, dove fautomoble asscmblata era una Va: riante di una Mazda 323) con lassistenza aziendale di un’industria a produzione snella. (Nel caso di Hermosillo si trattava direttamente della Ford, ma in parecchi altri casi erano aziende indipendenti che avevano ricevuto un'assi- stenza giapponese significativa e continua alla gestione, di- ventando in pratica una loro filiale.) Questi risultati impongono un drastico riassetto della mappa che ci facciamo mentalmente del mondo industriale, impresa che molti lettori a nostro parere troveranno estre- mamente difficile. Dobbiamo infatti smeterla di assimilare il «Giappone» con la produzione «snella» e I'«Occidente» con la produzione «di massa». In realti nel Sol Levante vi sono aziende non particolarmente snelle e parecchi stabili- menti a capitale nipponico nell’ America del nord sono oggi la dimostrazione che la produzione snella pud essere attuata in un luogo molto distante dal Giappone. Allo stesso tempo, le migliori fabbriche a capitale americano nell’America del nord rivelano che la produzione snella pud essere adotata integralmente dalle societ occidentali e i migliori stabil menti dei paesi in via di sviluppo confermano che la produ- zione snella pud essere introdotta in qualunque posto. LO STRANO CASO DEI PRODUTTORI “ARTIGIANALI> 1 dati relativi alla produutivita e alla qualita riportati nelle fi- gure 4.3 e 4.4 riguardano unicamente automobili destinate a mercati di massa, ossia le Ford ma non le Lincoln, le Toyo- ta ma non le Lexus, le Volkswagen ma non le Mercedes. Dapprincipio eravamo convinti che gli stabilimenti di assem- blaggio fossero tutti molto simili nelle operazioni che svolgo- no, per quanto prestigiosa fosse la marca. Lo stesso tipo di robot, spesso addirittura modelli identici del medesimo co- struttore, effettuano la saldatura delle scocche della Volks- wagen e della Mercedes. La vernice viene applicata in cabine raticamente identiche e l'assemblaggio finale comporta Pinstallazione, in gran parte manuale, di migliaia di pezzi 99 mentre il veicolo si sposta su una lunga linea di montaggio. La vera différenza tra Pautomobile intesa per il mercato di massa e quella di lusso @ che quest'ultima pud avere una scocca di acciaio di maggior spessore, mani supplementari di vernice, un isolante pitt consistente e un numero pid rile- ita degli impianti di assemblaggio di automobili di lusso, 1989 vante di accessori di lusso. aya 3 Pur essendo per noi ovvio, questo concettononéaccettas | = 3 B itt pond 7 to universalmente neppure nella stessa industria automobi- ci m«_ listica e di certo non é l'opinione del grande pubblico. A pit 2 riprese alcuni dirigenti ci hanno detto che i nostri risultati & 0 sulla produttivita sulla qualita potevano anche essere cor- F ve retti per Tautovettura media e gli autocarri, ma che «le auto jo» 2 iy di lussv sono un’alura cosa». | do . | ge a3 = FIGURA 4.5 beeen = eee 7 Produttivita degli ti di assemblaggio | 2°) ey Z i automobili di lusso, 1989 | 2. i \ 0 rom tse Barope Mion 7 om i To rs Metta ponderaia 1 Peggion | Noa: Le «automobili di lusso» includono quanto specificato nella Figura 4.5. | Rane; IMVP World Assembly Plant Survey in base ai dati fornii dalla J. D. Power | and Asocates, e Decidemmo quindidiandarea fondo della questione con- 7 . | ducendo una speciale ricerca negli stabilimenti mondiali di 232 2 | assemblaggio di automobili di lusso. Ci recammo presso lo a | stabilimento di auto dilusso del costruttore giapponese che a 2 nostro awviso, in base all'indagine da noi compiuta negli stabi- io limenti della stessa societA per la fabbricazione di auto desti- | nateal mercato di massa, ¢il migliore del mondo. Nell’ Ameri- ° — s S | cadelnord visitammo gi stabilimenti della Lincoln e della Ca- “ @ Ogee \ dillac, in Europa l’Audi, la BMW, la Mercedes, la Volvo, la ' een ‘Naa: Nelle «automobii di aso» incladono quelle prodote dalle asiende «rpe- Galisiches europee - Daimler-Benz, BMW, Volvo, Saab, Rover, Jaguar, Aude A fa Romeo come pure dalla Cadilac e dalla Lincoln nell America del nord. Laca {egoria papponesediveture di hss include la Honda Legend, fa Toyota Cres “ite La Hada 929, ee bern pi como conate dale socetanipponiche per Yesportasione nel 1989.1 modell Leas dela Toyots e Infinit dell Nisan ton hanno potot csere incl perché troppo recent Fonte: IMVP World Assembly Plant Survey 100, Rover, la Saab e la Jaguar. In ciascun caso abbiamo attenta- mente standardizzato le operazioni svolte ele caratteristiche del veicolo in modo da poter calcolare effettivamente le ore di lavoro necessarie a ogni stabilimento per portare a termine le fasi standard di assemblaggio su automobili pitt piccole e me- no elaborate e gli errori compiuti nel proceso. Diconseguen- zaVeffettiva quantita delle ore di manodopera dedicate all'as- semblaggio in ogni stabilimento é assai maggiore di quanto 101 indicato nelle figure 4.5 ¢4.6. In aggiunta acid, abbiamoade- guato le cifre all'assenteismo, che arriva al 25 per cento in pa- recchie industrie europee considerate contro il 5 per cento 0 meno in Giappone. Le ore indicate rappresentanole ore di la- voro effettivo e non quelle in busta paga. T risultati sono significativi. Allo stabilimento giapponese @ sufficiente meta del lavoro necessario agli stabilimenti americani di fabbricazione di vetture di lusso come pure ai migliori costruttori europei, che diventa un quar'o rispetto al costruttore europeo medio e un sesto rispetto al peggior produttore europeo di automobili di lusso. Contempora- neamente, perd, lo stabilimento giapponese supera di gran Junga il livello qualitative di tucd gli altri stabilimenti eccetto uno in Europa, ma a quest’ultimo occorrono quattro volte il lavoro necessario al costruttore giapponese per assemblare un prodotto paragonabile. Nessuna meraviglia dunque se i roduttori occidentali di auto di lusso siano terrorizzati dal- ‘arrivo della Lexus, dell'Infiniti e dell'Acura e altre attese marche giapponesi di lusso. Scorrendo i dati molti lettori si chiederanno forse se la differenza non stia nella maggior varieta di offerte e nei mi- nori quantitativi prodotti in Europa. Certo l’idea che ci fac- ciamo di queste aziende @ quella di produttori che fabbrica- no artigianalmente pochi esemplari di automobili. Cid non corrisponde alla realt2. Gli stabilimenti europei sfornano, con una sola eccezione, lo stesso numero di automobili dei produttori di massa considerati precedentemente, e nella maggior parte dei casi prevedono una gamma di prodotti meno complessa di quella dei fabbricanti nipponici di auto di lusso presso i quali abbiamo svolto la nostra ricerca. Visitando lo stabilimento europeo di alta qualita e bassa produttivita di cui abbiamo accennato sopra, non ci volle molto a scoprire la causa principale di tale discrepanza: una diffusa convinzione tra i dirigenti e i lavoratori di essere de- gli artigiani. Alla fine della linea di montaggio vi cra una spropositata area di ritocco dove eserciti di tecnici in camice bianco si davano da fare per portare i veicoli finiti alla mitica qualita standard dell'azienda. Ci accorgemmo che un terzo della manodopera totale necessaria per l'assemblaggio era imputabile a quell'area. In altre parole, lo stabilimento tede- sco sprecava pid energia a risolvere i problemi che aveva ap- pena creato di quanta ne occorresse allo stabilimento giappo- nese per costruire un’automobile quasi perfetta la prima volta. 102 Interrogammo gentilmente i dipendenti in camice bian- co per sapere che cosa stessero esattamente facendo. «Siamo artigiani, a dimostrazione dell'importanza che la nostra azienda da alla qualita» replicarono. Questi «artigiani» sa- rebbero rimasti sorpresi nel sapere che in realt& stavano svolgendo lo stesso lavoro dei montatori di Henry Ford nel 1905: regolazione di pezzi non standard, messa a punto dei zzi a tale scopo progetiati e rettifica delle eventuali imper- Ferioni nel montaggio in modo che tutto alla fine funzionas- se alla perfezione. - ‘Non si pud negare che questi lavoratori siano altamente specializzati e che il lavoro da loro svolto sia impegnativo, dal momento che ogni problema 2 diverso dall'altro. Tutta- via, dal punto di vista del produttore snello si trata di puro e semplice muda, spreco. Le cause sono la mancata progetta- zione di pezzi facili da assemblare e l'incapacita di individua- re Vorigine dei difetti non appena scoperti in modo che non si ripetano pit. Quando i dipendenti non effettuano que- stultima importante operazione, il montaggio amplia il pro- blema iniziale cosicché & necessario rivolgersi all’artigiano per rimettere a posto le cose. | | Il nostro suggerimento a qualsiasi azienda che attui un «artigianato» di questo tipo in qualsivoglia attivita produtti- va, nel settore automobilistico.o in qualunque altro, & sem- plice e a chiare lettere: liberatevene. Adottate al pid presto la produzione snella ed eliminate alla radice la necessita di interventi artigianali. In caso contrario negli anni Novanta sarete schiacciati dai concorrenti snelli. RIEPILOGO DELL'INDAGINE DELL'IMVP SUGLI STABILIMENTI DI ASSEMBLAGGIO La figura 4.7 riassume, oltre alla produttivita e alla qualita, alcune caratteristiche relative alle attuali prestazioni mon- diali dei costruttori automobilistici di grandi serie a livello di stabilimento di assemblaggio. In particolare, si noti la diffe- renza tra la media giapponese e quella dell’America del nord e dell'Europa in termini di superficie destinata al ritoc- co, percentuale di lavoratori organizzata in squadre, nume- ro di suggerimenti ricevuti (e la mancanza per ora di sistemi di proposte negli stabilimenti giapponesi all'estero) e addestra- mento necessario per ogni nuovo addetto all'assemblaggio. 103 FIGURA 4.7 Sintesi delle caratteristiche degli stabilimenti di assemblaggio ___ di produttori di grandi serie, 1989 (medie per stabilimenti suddivisi per area geografica) Asiende —Asiende —Anende —_Aviende siappones ci ameriane SP Cjpone Soiree salto et nord del nord Prestaxoni Produttvita (ore/veicolo) «(16.8225 Quatita (diets dt e Sssemblaggio/I00 veicoli) 60,0 65,082.38. (97,0 ‘Asset: Spazio (metri quadratil veicolivanno) Area di rtocco (% dellarea di assemblaggio) 410491294 Scorte (numero giorni per 8 pezzi campione) og 16-290 Forza lavoro: % dela forza lavoro in squadre 63 71378 Rotazione della ° manodopera (O=nessuna, 0.53 085 0730.78. Te trequente) 30 2709, Suggerimentidipendente 618 std Numero di categorie dimpiego ng 87 oka ‘Addestramento nuovi operai (ore) 380,3 370,0 46.4 173,3 ‘senteimo 300 a8 TT dad ‘Automatione: Saldatura (5 delle operazion) 82 850 82788 Werle ate operazion) 546407868 ‘semblaguio Ui deli operacion) wooo ae Font: IMVP World Assembly Plant Survey 1989, ¢ J.D. Power Intl Quality Sur cos Degno di nota é un ulteriore ¢ importantissimo risultato dell'indagine: il rapporto tra produttivita e qualita. Quando alfinizio della ricerca correlammo la produttivita con la qua- Jita in tutti gli stabilimenti non trovammo quasi connessione. Per di pid cid non mutava nel tempo. Nella figura 4.8, che il- 104 FIGURA 4.8 Correlazione tra produttivita e qualita negli impianti di assemblaggio, produttori di grandi serie, 1989 a © UswNa a Ne * © ows 3 a Ar Eo : a | a Es a cee a i ° i = a ° a » ae » ° ww i im Wo 1mm (fendi asernblaggio/ 10 vecoi) Fonte: IMVP World Assembly Plant Survey, 1989 lustra tale rapporto alla fine de! 1989 nel mondo, la correla- zione tra produttivita ¢ qualita risulta di 0,15. La cosa lasciava perplessi. Pensavamo che avrebbe dovu- to esserci una correlazione negativa — cioé che per ottenere ui livello qualitativo elevato fosse necessario uno sforzo maggiore, come da tempo credevano i dirigenti occidental — oppure positiva cio’ che la qualita fosse «gratuita», come molti autori interessati all’industria giapponese avevano suggerito. La risposta all’enigma, come dimostra un esame pit attento della figura 4.8, é che entrambe le tendenze so- no visibili e si annullano 'una con l'altra. Gli stabilimenti nipponici in Giappone e all’estero sono tutti concentrati nel- Yangolo inferiore sinistro della figura. Per queste aziende snelle, la qualita @ davvero gratuita. Eliminando questi stabi- limenti rimane un modello in cui le imprese tendono ad ave- re qualita elevata o produttivita elevata ma non entrambe. Per questi produttori di massa, la qualita @ costosa, sempre che sia possibile raggiungerla. 105 CONVERSIONE ALLA PRODUZIONE SNELLA Periodicamente abbiamo riesaminato i risultati della nostra indagine con tutti 0 quasi i produttori di autoveicoli del mondo, principali sponsor dell'IMVP. I dati riportati non sono dunque una sorpresa per queste societd e sono ora ge- neralmente considerati un’accurata ricapitolazione dello sta- to generale della concorrenza a livello di fabbrica. Tuttavia, individuare nello scenario mondiale la posizio- ne di ciascuno non basta a spiegare precisamente che cosa fare per riacquistare terreno. Nel riesaminare i dati con le aziende, i dirigenti ci hanno posto domande riguardo a quattro punti in particolare. Prima di tutto, chiedono se il segreto @ Yautomazione. Noi rispondiamo sie no. La figura 4.9 indica il rapporto tra percentuale di operazioni di assemblaggio automatizzate — tramite la robotica 0 con lautomazione pit tradizionale ~ e produttivita degli stabilimenti. A destra la curva é nettamen- te in declino: maggiore automazione significa minore sfor- zo. [Detto in altri termini, maggiori livelli di automazione ri velano una forte correlazione negativa (—0,67) con maggio- 1 livelli di sforzo.] Secondo i nostri calcoli in media Yauto- mazione @ responsabile di un terzo della differenza totale di produttivita tra aziende. Tuttavia, cid che @ veramente sorprendente nella figura 4.9 che a qualsiasi livello di automazione la differenza tra lo stabilimento pid efficiente e quello meno efficiente & enorme. Per esempio, all'azienda giapponese operante in patria meno automatizzata del campione (con il $4 per cento di tutte le operazioni compiute automaticamente), che @ pu- re lo stabilimento pit efficiente al mondo, é sufficiente meta del lavoro necessario a uno stabilimento europeo con un li vello di automazione equivalente ¢ un terzo rispetto a un al- tro, Osservando pit a destra ancora nella figura 4.9 si pud nolare che allo stabilimento europeo pid: automatizzato al mondo (con il 48 per cento di tutte le operazioni di assem- blaggio eseguite automaticamente) occorre il 70 per cento di sforzo in pit per svolgere la nostra serie standard di opera- zioni di assemblaggio della nostra automobile standard ri- spetto allo stabilimento pid efficiente con un’automazione del 34 per cento soltanto. La domanda owvia @: com’é possibile? Dai risultati della nostra indagine e dalle visite agli stabilimenti abbiamo con- 106 FIGURA 4.9 Correlazione tra automazione e produttivita, produttori di grandi serie, 1989 °0 * 1B usayan anc © G/AN . =o daa AE a + Ausra. a aa te hooaa a cae b og “ z ‘ aa 3a be 8° . Produtibi (ore/seicolo) s > oP ‘Automazione (% di operazion dt assemblaggioauominzate} "Naw: Lteautomarione> equvale alla percentuale di operation’ di assemblaggio a= tomatizate Include tanto gh automatson fost, ipo mulualdatiy, quanto Fauto- Imarione flessbile mediante robotic, Lautomacione della movimentasone mate. Tal non € compress Fonte: IMVP World Assembly Plant Survey, 1989 cluso che le aziende che adottano tecnologie elevate ma che sono inadeguatamente organizzate tolgono, si, manodopera diretta non qualificata dalle operazioni manuali di assem- blaggio, ma finiscono per aggiungere altrettanta manodo- pera indiretta per le operazioni tecniche e di servizio. Per di pid fanno molta fatica a mantenere un rendimen- to elevato in quanto i guasti di macchinari complessi riduco- no la percentuale di ore totali di funzionamento di uno sta- bilimento per produrre veicoli. Dall’osservazione delle tec- niche di robotica avanzata in numerose aziende abbiamo de- dotto il semplice principio che Torganizzazione snella deve venire prima dell'automazione ad alta tecnologia affinché Timpresa possa trarne il massimo beneficio.’ seconda domanda che si pongono é: «Forse pitt che la gestione della fabbrica conta la facilita di assemblaggio del prodotto?». Anche i capi dei sindacati ci hanno posto spesso 107 muesta domanda. Donald Ephlin, ex vicepresidente del sin- dicato statunitense dellindustria automobilistica, ora in pensione, ci ha impegnati in un dibattito su questo punto per tutta la durata del progetto IMVP. Voleva sapere fino a che punto il divario tra ottime e pes- sime aziende fosse da imputare agli operai in fabbrica e non piuttosto ai tecnici e ai dirigenti che se ne stavano negli uffici della societ&. Le sue argomentazioni erano semplici: «I lavo- ratori che io rappresento nelle industrie americane sono in- colpati di problemi che non possono risolvere». Ephlin so- steneva che sarebbe stato meglio mettere in atto migliorie nell'organizzazione aziendale ~ scorte just-in-time, un inter- ruttore che permettesse agli operai di fermare la linea, e cost via - ma che nessuno di questi miglioramenti avrebbe reso uno stabilimento del tutto competitivo se la progettazione tecnica del prodotto era difettosa. Dare una risposta definitiva alla domanda sulla facilita di montaggio é difficile in quanto su ogni vettura assemblata in ogni stabilimento da not visitato avremmo dovuto eseguire uno studio di smontaggio, la cosiddetta tear-doun analysis co- me i costruttori americani di automobili la definiscono. Sol- tanto cosi avremmo potuto sapere di quanti pezzi l'auto & co- stituita e con che facilitA possono essere assemblati. Questo esame sarebbe stato incredibilmente dispendioso dal punto di vista economico e di tempo. Percid possiamo riferire sol- tanto alcune prove interessanti ma parziali sull'estrema im- portanza di questa caratteristica. Una dimostrazione viene da un‘indagine da noi condotta nella primavera del 1990 presso i costruttori mondiali di au- tomobili.’ Chiedemmo loro di classificare tutti gli altri fabbri- canti di auto in termini di facilita di montaggio dei loro pro- dott. Avrebbero dovuto basare laloro classifica sug studi di smontaggio che le aziende automobilistiche conducono come parte dei loro programmi di valutazione della concorrenza. (Per quanto strano possa sembrare i primi modelli prodotti di una nuova auto difficilmente arrivano ai consumatori, Sonoi concorrenti che li comprano per poi smontarli immediata- mente al fine della valutazione della concorrenza.) I risultati riportati dai costruttori sono visibili nella figura 4.10. Non possiamo confermare l'accuratezza dei risultati in quanto non conosciamo la sistematicita né la precisione del metodo utilizzato da ogni societa per lo studio di smontag- gio. Quando avviammo la nostra indagine sugli stabilimenti 108 FIGURA 4.10 Facilita di montaggio dei prodotti. Classifica effettuata dagit altri produttori, 1990 Produttore Media Variasione Toyota 22 Honda 39 Mazda 48 Fat 53 Nissan 54 Ford 568 Volkswa 64 Mitsubishi 66 Suzuki 87 General Motors 102 Hyundai us Renault 127 Chrysler 135 BMW 139 Volvo 13.9 PSA 1490 Saab 16d Daimler-Benz 16.6 186 Jaguar "Not: La asia ¢ stata compia eplogandoeriaponte date a utndagine cone ‘ota presso le dicannove principal stlende asxmblatrc. Oto aziende hanno re- Seae Stgradunira in rma palzntie: de amercne, quatre curopee, une carvan cunacoreana Le arene dovevano dasifcae ele diannove ime EE ts base labia che secondo vo ogn tsa dimosta nella progetasione EF produ fc da eonrur per uno salstinento oh ascmblageon Fou: IMVP Manufacturably Survey, 1990 FIGURA 4.11 Confronto tra lo stabilimento di assemblaggio della Ford di Atlanta e quello della General Motors di Fairfax, 1989 Differenza di produttivita attribuita alle seguenti cause: rowigionament 9% ieee 2% ogetazione per Tassemblaggio ai Meta ms Pet eens 8% 100% Fonte: General Motors 109 di assemblaggio, restammo stupiti nello scoprire che pochis- sime industrie automobilistiche conducono regolari test sui loro concorrenti. Ciononostante, le societa che hanno rispo: sto alla nostra richiesta erano concordi nell’'indicare i co- struttori che progettano il prodotto pitt facile da assemblare. Inoltre vi é una notevole corrispondenza tra questi e i risul- tati aziendali riportati dalle nostre tabelle sugli indici di pro- duttivita e qualita. Cid suggerisce che la facilitt di montag- gio contribuisce al conseguimento di elevate prestazioni aziendali. Un'ulteriore prova viene da un recente confronto che la General Motors ha effettuato tra il suo nuovo stabilimento di assemblaggio di Fairfax nel Kansas, che costruisce la ver~ sione Pontiac Grand Prix del modello GM-10, ¢ lo stabil mento di assemblaggio della Ford nei pressi di Adanta per i suoi modelli Taurus e Mercury Sable. Il confronto @ stato effettuato smontando entrambe le automobili per poi rico- struire 'assemblaggio servendosi dei manuali di fabbrica. La General Motors rilevd un notevole divario di produt- tivitd tra il proprio stabilimento e quello della Ford, entram- bii quali costruivano automobili della stessa classe dimensio- nale con analoghi livelli di accessori e concepite per il mede- simo segmento di mercato. Dopo accurate indagini la Gene- ral Motors concluse che il 41 per cento del divario di pro- duttivita poteva essere ricondotto alla facilita di montaggio dei due progetti, come mostra la figura 4.11. Per esempio, Yautomobile Ford é costituita da un numero assai inferiore di pezzi ~ dieci nel paraurti anteriore contro i 100 della GM Pontiac - che oltretutto combaciano con maggior facilita. (Laltro motivo principale della differenza di produttivita era da imputare alle tecniche organizzative degli stabilimen- tidi cui abbiamo gia accennato. Lo studio della General Mo- tors riveld che il livello di automazione, che nello stabilimen- to della General Motors era decisamente pitt elevato, non era un fattore rilevante.) La facilita di assemblaggio non & casuale. Anzi 2 uno dei risultati fondamentali del processo di progettazione sna, Valuteremo questo punto in modo pid approfondito nel ca- pitolo 5. Una terza domanda che spesso emerge quando riesami- niamo i nostri risultati con le aziende riguarda la varieta e la. complessita dei prodotti. Il direttore di fabbrica di cui abbia- mo accennato nel capitolo 3 che sosteneva che avrebbe po- 0 tuto competere con chiunque se soltanto avesse potuto con- centrare il lavoro dell’azienda su un singolo prodotto stan- dardizzato @ l’esempio tipico del dirigente occidentale. tratta certamente di un’idea interessante e alla base vi é una logica semplice. Tuttavia, nella nostra ricerca non siamo riusciti a trovare alcuna correlazione tra il numero di modelli e di linee che escono da una catena di montaggio e la produttivita o la qualita del prodotto. Abbiamo tentato un diverso approccio confrontando il prodotto degli stabilimenti di‘tutto il mondo in termini di complessita «interna». Si tratta di un sistema di misura composito che tiene conto del numero di cablature del corpo principale, colori della vernice e combinazioni motore/trasmissione che vengono installati su una linea di montaggio, oltre al numero di pezzi diversi montati e al nu- mero di fornitori per stabilimento di assemblaggio. I risulta- ti si sono rivelati ancora meno confortanti per chi riteneva che una produzione concentrata su un unico articolo fosse la soluzione ai problemi della concorrenza: gli stabilimenti presso i quali abbiamo compiuto la nostra indagine che pre- sentavano la massima complessita interna avevano anche il massimo indice di produttivita e di qualita, Ovviamente era no gli stabilimenti nipponici in Giappone’. ORGANIZZAZIONE SNELLA A LIVELLO DI STABILIMENTO. I dirigenti, i diretori della produzione e i leader sindacali che accettano la nostra conclusione secondo cui Pautomazio ne e la facilita di montaggio sono entrambe importanti per il conseguimento di prestazioni elevate, ma che lo sfruttamen- to delf'intero potenziale dell'una e dell'altra esige una gestio- ne di prim’ordine dello stabilimento, di solito pongono un‘ultima domanda che a parer nostro é la pit interessante: «Quali sono le principali caratteristiche aziendali di uno sta- bilimento snello, gli aspetti della gestione a cui possa essere attribuita anche soltanto meta della differenza dei risultati complessivi tra i vari stabilimenti del mondo? E come adot- tarlid L’arienda dawero snella presenta due caratteristiche aziendali chiave: trasferisce ill massimo numero di mansioni ¢ responsabilita ai lavoratori che contribuiscono effettivamente al plusvalore del automobile nella linea di assemblaggro ¢ istituisce un mi sistema per Vindividuazione dei difetti che riesce a rintracciare la vera origine di ogni problema scoperto. ‘Questo a sua volta comporta un lavoro di squadra tra gli operai addetti alla linea di montaggio e un sistema semplice ma esauriente di visualizzazione delle informazioni che ren- de possibile a tutti coloro che lavorano in fabbrica reagire in fretta ai problemi che sorgono e comprendere la stuazione globale della fabbrica. Nelle vecchie aziende a produzione di massa i direttori serbavano gelosamente per sé le informa- ioni sulle condizioni dello stabilimento, convinti che tale co- noscenza fosse il segreto del loro potere. In uno stabilimen- to snello, come quello di Takaoka, tutte le informazioni target di produzione giornaliera, le automobili prodouee nel- la giornata fino a quel momento, i guasti agli stabilimenti, la mancanza di personale, il fabbisogno di straordinari e via di- endo —vengono visualizzate su pannelli andon (display clet- tronici illuminati) visibili da qualsiasi posto di lavoro. Ogni volta che qualcosa non va in un punto qualunque dello stabi- Jimento, tutti coloro che sanno che cosa fare accorrono a da- re una mano. Cosi alla fine al centro della fabbrica snella emerge il la- voro dinamico di squadra. La creazione di squadre cosi effi- cienti non & semplice, Innanzitutto & necessario insegnare agli operai un’ampia varieta di tecniche, in pratica tutte le operazioni effettuate dal proprio gruppo di lavoro in modo che sia possibile una rotazione delle mansioni e la sostituzio- ne di ciascuno di loro. Gli operai quindi devono acquisire numerose altre competenze: semplici riparazioni dei mac- chinari, controllo della qualita, pulizia del luogo di lavoro e ordinazione dei materiali. Quindi vanno incoraggiati a pen- sare attivamente, anzi preattivamente, in modo che escogit no la soluzione prima che il problema si faccia serio. T nostri studi sugli stabilimenti che cercano di adottare la roduzione sella dimostrano che gl opera rispondono po- sitivamente soltanto quando esiste un certo senso di obbligo reciproco, come pure l'impressione che la direzione apprez- zieffettivamente gli operai esperti, sia disposta a fare sacrifi- Gi per trattenerli ¢ a delegare la responsabilita alla squadra. E improbabile che la semplice modifica dell’organigramma. 1 creare delle «squadre> e 'introduzione di circoli di qua- itd nell'intento di trovare i modi per migliorare il processo produttivo servano a qualcosa. ‘Questo concetto elementare emerse gid da uno dei nostri uz primi studi riguardanti gli impianti della Ford e della Gene- ral Motors negli Stati Uniti. Negli stabilimenti Ford sco- primmo che il contratto sindacale di base non cambiava dal 1988, quando Ford era stato infine costretto a firmare un contratto di lavoro con Vassociazione sindacale del settore. 1 dipendenti continuavano a essere suddivisi in categorie di- stinte e non era prevista nessuna struttura formale di squa- dra, Tuttavia, dopo aver visitato stabilimento su stabilimen- to ci rendemmo conto che il lavoro di squadra in realta esi steva. Gli operai ignoravano su vasta scala i dettagli tecnici del contratto per collaborare insieme all'effettuazione del la- voro. Al contrario, in un certo numero di stabilimenti di prova della General Motors trovammo in vigore un nuovo contrat to di squadra e tutto lapparato formale della produzione toella, Eppure bastarone pochi minuti per rentlercl conto che il lavoro di squadra era scarso e che il morale in fabbrica era molto basso. Ma come spiegare queste apparenti contraddizioni? La risposta é semplice. Gli operai degli stabilimenti Ford aveva- no molta fiducia nella direzione operativa, che agli inizi de- gli anni Ottanta si dava da fare per capire i principi della produzione snella. Erano inoltre fortemente convinti che se tutti i dipendenti avessero collaborato insieme per una mi- gliore esecuzione del lavoro la societa avrebbe powuto difen- dere i loro posti di lavoro. Agli stabilimenti della General Motors, al contrario, ci accorgemmo che i dipendenti aveva- no poca fiducia che la direzione sapesse gestire la produzio- ne snella, Nulla di strano, visto che agli inizi deght anni Ot- tanta Pattenzione della General Motors era volta a intensifi- care l'adozione di tecnologie avanzate per ridurre la mano- dopera. Tra gli operai delia General Motors aleggiava inol- tre la convinzione fatalistica che numerosi stabilimenti era- no in ogni caso condannati a chiudere. In tali circostanze non ¢ da sorprendersi se un impegno a introdurre la pro- duzione snella da parte della dirigenza della societa ¢ dei sindacati non si sia mai tradotto in progresso a livello di fab- brica. Ritorneremo sulla spinosa questione di come introdurre a produzione snella nelle aziende a produzione di massa nel capitolo 9. 43 LA PRODUZIONE SNELLA E APPAGANTE DAL PUNTO DI VISTA UMANO? Come abbiamo notato nel capitolo 2, quella di Henry Ford era un’arma a doppio taglio. Se da un lato la produzione di massa rendeva possibile il consumo di massa, dall'altro ren- deva arido il lavoro in fabbrica. La produzione snella dona di nuovo soddisfazione al lavoro, oltre a innalzare la qualita della vita, oppure é un'arma ancora pid pericolosa di quella di Ford? Le opinioni sono contrastanti. Due esponenti del sinda- cato statunitense dei lavoratori automobilistici hanno recen- temente sostenuto che la produzione snella per il lavoratore @ ancora peggio della produzione di massa."! Arrivano addi- rittura a definire il sistema a produzione snella istituito pres- so lo stabilimento NUMMI in California management by stress, gestione per stress, in quanto i dirigenti cercano continua- mente di trovare qualche pecca nel sistema — tempo di lavo- ro inutilizzato, eccesso di operai, eccesso di scorte ~ e di eli- minarla. Alcuni si lamentano che questo approccio fa sem- brare Tempi moderni una passeggiata. Nella fabbrica di Char- lie Chaplin almeno gli operai non erano costretti a pensare a cid che facevano per cercare di migliorare. Una seconda critica mossa alla produzione snella si pre- senta sotto forma di quel che potrebbe essere definito «neoartigianato». Questo sistema @ stato messo in atto sol- tanto in pochi stabilimenti in Svezia, ma attira l'attenzione del mondo intero poiché fa appello a una fede apparente- mente incrollabile della gente nell'artigianato. Prendiamo per esempio il nuovo stabilimento di Udeval- la della Volvo nella Svezia occidentale. A Udevalla squadre di operai assemblano i modelli 740 e 760 della Volvo su piat taforme fisse di assemblaggio in piccole celle di lavoro. Ogni squadra di dieci operai @ responsabile del montaggio di un intero veicolo dal momento in cui emerge dal forno di ver- niciatura. Considerato da questo punto di vista, il sistema @ un ritorno alla sala di assemblaggio di Henry Ford del 1903, che noi e il resto del mondo avevamo lasciato al capitolo 2. A Udevalla il ciclo di lavoro, ossia l'intervallo di tempo che tra- scorre prima che l'operaio ripeta un’operazione, aumenta fino a svariate ore, dal minuto circa occorrente nello stabil mento di assemblaggio a produzione di massa o snella. In aggiunta, gli operai della squadra di assemblaggio possono 4 stabilire il proprio ritmo di lavoro purché completino quat- tro automobili al giorno. All'interno della squadra possono anche effettuare una rotazione delle mansioni a loro piace- re, Stabilimenti automatici di movimentazione materiali tra- sportano i pezzi necessari per ogni automobile alla squadra. Tssostenitori del sistema di Udevaila affermano che eguaglia Yefficienza degli stabilimenti a produzione snella creando al tempo stesso un ambiente di lavoro molto pid umano. Noi dissentiamo fermamente su entrambi i punti. Samo convinti che tra tensione e continua sfida, e tra neoartigia- nato e produzione snella, esista una differenza vitale ma spesso fraintesa. Riprendendo il primo punto, siamo anche noi d'accordo che un sistema basato sulla produzione snella e ben organiz- zato rimuova effettivamente tutte le pecche: proprio per questo é snello. Ma da anche agli operai tutte le capacita ne- cessarie a controllare l'ambiente di lavoro e a rispondere alla continua sfida di rendere il lavoro sempre pitt scorrevole. Mentre lo stabilimento a produzione di massa & spesso per- vaso di stress che intorpidisce le menti, con gli operai che lottano per assemblare prodotti per nulla semplict da mon- tare e che non hanno modo di migliorare il proprio ambien te di lavoro, la produzione snella offre una tensione creativa in cui i lavoratori hanno molti modi per rispondere alle sfi- de. La tensione creativa che la risoluzione di problemi com- plessi comporta é precisamente cid che nellera della produ- zione di massa distingueva il lavoro manuale dal lavoro «di concetto». Per far funzionare questo sistema, naturalmente, la dire- zione dell'azienda deve offrire il proprio sostegno alla forza layoro ¢, quando il mercato automobilistico mostra segni di crisi, fa sacrifici per garantire la solidita del posto di lavoro che storicamente @ sempre stata offerta ad apprezzati pro- fessionisti, Si tratta di un vero e proprio sistema di impegno reciproco. Per di pit riteniamo che, una volta applicati interamente i principi della produzione snella, le aziende saranno in gra- do di procedere rapidamente negli anni Novanta automatiz- zando gran parte delle restanti operazioni ripetitive dell'as- semblaggio dei veicoli, e altro ancora. Cosi alla fine del seco- lo gi stabiimenti di assemblaggio basati sulla produzione snella saranno con ogni probablita popolati quasi intera~ mente di risolutori di problemi altamente specializzati il cui us

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