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Gianfranco Folena

dieci anni dopo


Riflessioni e testimonianze

ATTI DEL CONVEGNO


Padova, 12 -13 febbraio 2002

A cura di Ivano Paccagnella e Gianfelice Peron

Esedra Editrice
Padova 2006
Volume stampato con il contributo del Magnifico Rettore, Vincenzo Milanesi,
e del Dipartimento di Romanistica dell’Università di Padova

© 2006 by Esedra editrice s.r.l.


Via Palestro, 8 – 35138 Padova
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CLAUDIO CIOCIOLA

LA FILOLOGIA DI FOLENA

«Negli ultimi mesi, quando ormai ricusava di fare nuove conoscenze,


perché voleva portare il proprio lavoro ancora un passo innanzi prima di
morire, mi chiese d’indicargli un giovane che potesse aiutarlo negli studi
danteschi. Io designai uno studente che stimo per la finezza dell’ingegno,
ma anche per la delicatezza dell’animo, congiunta, come spesso, con certa
timidezza. Questo studente si presentò al Barbi; il quale lo trattenne per
quattr’ore, gli aprì tutto l’animo proprio, gli fece dono delle proprie opere.
Il ragazzo era commosso. Ora è in guerra: Dio voglia che sia conservato
agli studi!». Con queste parole, rivendicando all’insigne dantista, con il
«sigillo dell’umanità», doti di maestro che riconosceva tra le più congeniali
alle proprie («Del maestro egli ebbe quella che, secondo me, è la virtù
principale: sapeva annullare d’un tratto ogni distanza tra sé e l’interlocuto-
re. Il maestro vero è molto più spesso un fratello che un padre»), Giorgio
Pasquali avviava a conclusione il ricordo di Michele Barbi – morto a
Firenze il 23 settembre 1941 – letto all’Accademia d’Italia nell’adunanza
1
del 19 febbraio 1942. Quel giovane fine d’ingegno, d’animo delicato e

1
G. PASQUALI, Commemorazione di Michele Barbi, in «Atti della R. Accademia d’Italia.
Rendiconti della Classe di scienze morali e storiche», S. VII, vol. IV, 1943, pp. 67-83, poi
(sotto il titolo Ricordo di Michele Barbi), in Stravaganze quarte e supreme, 1951, ora in ID.,
Pagine stravaganti di un filologo, vol. II, a cura di C.F. Russo, Firenze, Le Lettere, 1994, pp.
434-51, a p. 449 (per il «sigillo dell’umanità», vd. p. 450). Un decennio più tardi, nell’ot-
tantesimo compleanno di Max Pohlenz, suo maestro a Gottinga, scriverà: «Quando era-
vamo ragazzi, non avremmo osato aprirci con personalità così vive e così piene ma
anche così intente ai proprî lavori, come Schwartz, o così austere, seppure profonda-
mente umane, come Leo. A Pohlenz ognuno di noi poteva aprirsi come non avrebbe
osato al proprio padre, avrebbe forse osato solo con un fratello» (ID., Per l’ottantesimo
anno di Max Pohlenz, in «Paideia», vol. VII, 1952, pp. 193-99, ora in ID., Scritti filologici, a
cura di F. Bornmann, G. Pascucci, S. Timpanaro, Introduzione di A. La Penna, Firenze,
Olschki, 1986, vol. II, pp. 779-85, a p. 784; che in quel passo l’autore delinei «il model-
lo del maestro da lui sempre vagheggiato e un po’ anche il proprio ritratto» osserva luci-
damente A. La Penna nell’Introduzione: Gli «Scritti filologici» di Giorgio Pasquali, vol. I, pp.
IX-LXXIV, a p. XIX; anche in Giorgio Pasquali e la filologia classica del Novecento. Atti del
Convegno, Firenze-Pisa, 2-3 dicembre 1985, a cura di F. Bornmann, Firenze, Olschki,
1988, pp. 15-77).
16 CLAUDIO CIOCIOLA

timido, era Gianfranco Folena.2 Nella primavera del ’41, ventunenne,


Folena era stato da Pasquali introdotto al Barbi per il progetto, che l’an-
ziano studioso intendeva confidare nelle mani di un erede giovane e affi-
dabile, di un commento scientifico alla Commedia.3 «Barbi […] mi ha chie-
sto se io potevo trovare un italianista, linguista e medievalista giovane che
potesse e volesse volger la sua vita a un commento scientifico della
Divina Commedia. Io ho pensato subito a Folena, ch’è dotto e ha ampie
letture e gusto di lingua. Barbi ha accettato, e Folena dopo una serata di
esitazione ha accettato, grato a Barbi e a me».4 Non è da escludere che la
preoccupazione di Barbi risuonasse in un passo del notevolissimo pro-
getto Per un Tesoro della lingua italiana, licenziato nell’aprile del ’41, laddove
Pasquali condensava la storia dell’italianistica degli ultimi decenni, tra
polemiche tardo-positivistiche e intuizionismo, così: «Si è detto, non sem-
pre senza ragione, tanto male degli italianisti indagatori di biblioteche e di
archivi, che ora se ne sta perdendo il seme, per far luogo a critici lettera-
ri ed estetici, punto adatti a siffatti lavori; e poi ci si rammarica; ma già
Plauto sapeva con non si può sorbire e soffiare al tempo stesso. Filologi
interpreti e critici di testi, in Italia in quest’ultimo decennio ce ne sono stati
pochini, come insegna la storia lacrimosa dell’esegesi di Dante. Eppure

2
Per la biografia di Folena rimando una volta per tutte alla voce eponima di L.
Renzi, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol.
XLVIII, 1997, pp. 540-43; per la bibliografia (fino al 1993, a cura di A. Daniele), a
Omaggio a Gianfranco Folena, Padova, Editoriale Programma, 1993, vol. I, pp. XXV-XLVII.
3
Che il commento alla Commedia fosse il problema dei suoi ultimi mesi conferma la
raccolta postuma M. BARBI, Problemi fondamentali per un nuovo commento della Divina
Commedia, Firenze, Sansoni, 1955. Già nella Prefazione alla prima serie dei Problemi di criti-
ca dantesca (1934) ne aveva formulato il disegno: «Io morirò con la voglia di fare un com-
mento al poema di Dante»; «ho voluto almeno dar qualche saggio che invogli altri a ten-
tare quello che era mio proposito: un commento che dall’esatta interpretazione letterale
risalga all’analisi delle più meditate costruzioni e delle più ispirate creazioni poetiche; un
commento che rechi, dovunque sian necessarie, le prove e le testimonianze a persuade-
re il certo e a chiarire le cose che oggi ai più rimangono oscure; un commento critico che
per i punti controversi, fatta brevemente la storia dell’esegesi, esamini il pro e il contro
delle probabili interpretazioni» (M. BARBI, Problemi di critica dantesca, Prima serie (1893-
1918), Firenze, Sansoni, 1934, pp. X, XI).
4
Lettera del 4 giugno [1941] a Dino Pieraccioni, in D. PIERACCIONI, Lettere a uno sco-
laro, in «Nuova Antologia», a. XCV, vol. CDLXXX, settembre-dicembre 1960, pp. 17-36,
poi (con aggiunte e sotto il titolo Lettere di Giorgio Pasquali), in ID., Incontri del mio tempo,
Milazzo, Spes, [1977], pp. 23-64, a p. 27.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 17

qualche giovane bene educato dai suoi maestri c’è tuttora».5 Nell’estate del
’41 Folena partì per il fronte, e il progetto dantesco non ebbe séguito.6
Quando, il 1° dicembre dell’anno successivo, Pasquali, socio aggregato
dei Lincei fin dal 1927 (in tale qualità aveva commemorato Barbi), fu
nominato (con Ungaretti) accademico d’Italia, reagì con «gioia fanciulle-
sca»;7 eppure, scriveva all’allievo Pieraccioni, quella gioia gli era turbata
dall’assenza di notizie di Folena.8 Nel «Tempo», settimanale illustrato del
5
G. PASQUALI, Per un Tesoro della lingua italiana, in «Atti della R. Accademia d’Italia.
Rendiconti della Classe di scienze morali e storiche», S. VII, vol. II, 1941, pp. 490-521,
ora in Per un grande vocabolario storico della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1957, pp. 39-107,
a p. 101 (a p. 80 il primo dei richiami encomiastici al Barbi che avremo occasione di cita-
re: «Solo ora si incomincia a introdurre numerazione di righe e partizione di paragrafi
nelle grandi edizioni critiche ed esegetiche, non solo di Dante (e del Petrarca latino), ma
anche dei maggiori del secolo XIX: il merito del nuovo uso spetta per buona parte all’e-
ditore e critico dei testi più rigoroso tra i cultori d’italiano, Michele Barbi»). La polemica
nei confronti degli italianisti, che «sovente non hanno mai riflettuto sui criteri della costi-
tuzione dei testi, e tuttavia non si rassegnano a tener lontane le mani da questo ufficio»,
ritornerà nella Presentazione a P. MAAS, Critica del testo, Traduzione dal tedesco di N.
Martinelli con Presentazione di G. Pasquali, Firenze, Le Monnier, 1952, pp. V-VI. Ed era
polemica, per citare un altro dei maestri ideali di Folena della generazione precedente a
quella di Pasquali, già avviata nel ’21 da Ernesto Giacomo Parodi, il quale, nell’Avvertenza
a Poesia e storia, aveva stilato queste sferzanti parole (indirizzate, è da credere, più ai cul-
tori della cosiddetta “critica estetica” che non direttamente al Croce, al cui idealismo si
era egli stesso “convertito”): «Oggi sono tutti esteti e critici; da parecchi anni si ostenta
un grande disprezzo per la filologia e l’erudizione e si esalta la genialità. Gli italiani che
furono sempre molto ammirati e poco stimati dagli stranieri per i loro improvvisatori, e
che hanno fatto pur ora, e anzi stanno ancora facendo una dura esperienza di quel che
costi il fidarsi nella propria abilità improvvisatrice, sono ridiventati pazzi d’amore per
l’improvvisazione geniale, illudendosi spesso che altro non sia anche l’estetica e la criti-
ca» (E. G. PARODI, Poesia e Storia nella «Divina Commedia», a cura di G. Folena e P. V.
Mengaldo, Vicenza, Neri Pozza, 1965, p. 2).
6
Il 24 settembre, il giorno dopo la morte di Barbi, Pasquali scriveva ansioso al
Pieraccioni: «E Folena, che mi dicono è in Sicilia in partenza per l’Africa, Folena che egli
aveva accolto come un figlio, di cui si fidava? Io non ho neanche l’indirizzo» (D. Pieraccioni,
Incontri del mio tempo, cit., p. 42).
7
M. RAICICH, Pasquali in Accademia, Pintor in casa sua, in «Belfagor», vol. XXXVIII,
1983, pp. 207-11, a p. 207 (e cfr. M. FERRAROTTO, L’Accademia d’Italia. Intellettuali e potere
durante il fascismo, Napoli, Liguori, 1977, in part. a p. 154).
8
«Qui ho un tormento in cuore, che a volte mi impedisce di dormire, che mi toglie
di essere del tutto contento. Di Gianfranco Folena non si ha notizie dall’ultimo d’otto-
bre; e la migliore ipotesi è che sia prigioniero. Io gli ho molto voluto bene per il calore
umano, per l’amore verso i soldati, per quel suo esser libero da ogni egoismo; e mi dis-
piace di essere accademico senza che lui lo sappia, senza forse che lo possa sapere, senza
18 CLAUDIO CIOCIOLA

7 gennaio 1943, un cronista d’eccezione, Eugenio Montale, dedicava al


“filologo soprano”, in occasione della nomina, un articolo «spiritosetto»
(in realtà assai acuto), che a Pasquali nel complesso dispiacque (a diffe-
renza dell’altro, «il più bell’articolo uscito su di me», dell’allievo Gennaro
Perrotta):9 lo rallegrava tuttavia che una delle foto dell’articolo lo ritraes-
se, nel suo «aereo studio di lungarno Vespucci» («Salire allo studio di
Pasquali costituiva […] una delle avventure più liete e sorprendenti per un
giovane piombato a Firenze dalla provincia»),10 in conversazione con
Folena; e gli sembrava anzi una confortante coincidenza.11 Reduce dalla
prigionia, Folena prenderà altre strade: e quel commento filologico-lin-
guistico alla Commedia propostogli da Barbi per consiglio di Pasquali reste-

saper io se è in terra o nell’Ade» (lettera del 7 dicembre 1942, in D. PIERACCIONI, Incontri


del mio tempo, cit., pp. 48-49: le fa da controcanto la lettera del 25 dicembre 1942, p. 50:
«E ora una grande notizia: Folena è salvo. Abbiamo penato per lui più di un mese, e nel
momento, lieto, in cui mi arrivava la notizia della mia nomina ad accademico, il mio più
grande dolore era di temerlo, di crederlo morto. Quindi ora giubilo»).
9
E. MONTALE, Il “filologo soprano”: Giorgio Pasquali, in «Tempo», a. VII, n. 189, 7 gen-
naio 1943, pp. 33-35 (l’articolo, riproposto da L. CARETTI, Montale e Pasquali, in «Para-
gone», Letteratura, vol. XXXVI, n. 430, dicembre 1985, pp. 70-86, poi in ID., Montale, e
altri, Napoli, Morano, 1987, pp. 65-81, si legge ora in E. MONTALE, Il secondo mestiere. Prose
1920-1979, a cura di G. Zampa, vol. I, Milano, Mondadori, 1996, pp. 594-600); G.
PERROTTA, Intelligenza di Giorgio Pasquali, in «Primato», vol. IV, n. 1, 1 gennaio 1943, pp.
5-6, ora in «Quaderni urbinati di cultura classica», vol. L, n.s. XXI, 1985, n. 3, pp. 7-12.
10
L. CARETTI, Ricordo di Giorgio Pasquali, in «Letteratura», vol. I, n. 2, marzo-aprile
1953, pp. 78-86, poi in ID., Filologia e critica. Studi di letteratura italiana, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1955, pp. 202-14, ora (sotto il titolo Ritratto di Pasquali), in ID., Antichi e moderni.
Studi di letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1976, pp. 389-401, a p. 398 (anche in Per Giorgio
Pasquali. Studi e testimonianze, a cura di L. Caretti, Pisa, Nistri-Lischi, 1972, pp. 35-49).
11
Lettera a Dino Pieraccioni del 7 febbraio 1943: «Profitto dell’occasione per farti
avere il più bell’articolo uscito su di me, quello di G. Perrotta in Primato. Molto inferiore
è uno di Montale, spiritosetto, nel Tempo, corredato di molte fotografie, una delle quali
con Folena; e per me questa coincidenza mi ha dato conforto» (in D. PIERACCIONI,
Incontri del mio tempo, cit., pp. 52-53); cfr. anche una lettera del 17 agosto 1943: «Folena è
prigioniero in India, ai piedi dell’Himalaya, forse nel Kaschmir: è triste. Fu per me una
grande gioia quando nel Tempo, in occasione della mia nomina, tiraron fuori fotografie di
due anni prima, tra le quali una che lo fa vedere in conversazione con me. Ha saputo della
mia nomina e si è rallegrato. È dei più dolci tra voi ragazzi, sebbene anche lui austero e
chiuso» (ivi, p. 61). La foto (qui riprodotta) è l’ultima in basso a destra nell’ed. in rivista
dell’art. di Montale (p. 35); l’accompagna questa didascalia: «Noto è il suo amore per i
discepoli: ad essi dedica molte ore della sua operosa giornata, le sue passeggiate, i suoi
brevi ozi. Ne ha sempre qualcuno al seguito, in casa e fuori di casa, come un’appendice
naturale: e per essi, in piacevole, cordiale, affettuosa conversazione, quotidianamente
LA FILOLOGIA DI FOLENA 19

rà un progetto annientato dalla guerra.12 Ma alle “geovarianti” del poema,


alla fortuna (anche manoscritta) di Dante nel Veneto e alla storia della tra-
dizione dell’opera dantesca nel suo complesso si ascriveranno alcuni dei
più maturi frutti della filologia di Folena; l’ultimo dei quali, memorabile,
incluso in versione tedesca in un originalissimo profilo della tradizione
della letteratura italiana antica, recherà la dedica: «Giorgio Pasquali zum
Gedächtnis».

Entrato in Normale, diciassettenne, nel 1937, Folena vi aveva trovato


maestri Luigi Russo (in quell’anno succeduto a Santino Caramella nella
direzione degli «Scrittori d’Italia»: a Russo sarebbe subentrato, nel ’59, lo
stesso Folena), e Giorgio Pasquali, per i suoi interessi di linguistica italia-
na eletto nel ’36 Accademico della Crusca (dal ’49 al ’52 dirigerà il Centro
di studi di filologia italiana dell’Accademia, presso il quale Folena sarà
comandato a partire dal ’50).13 La prima immagine di Russo, al concorso
d’ingresso in Normale, fu rievocata da Folena così: «Chi scrive – gli sia
concesso un ricordo personale –, fresco della fervida lettura di quello
[allude alla prima ed. dei Ritratti e disegni storici, del 1937] e degli altri suoi
libri che a lui, studente di liceo, avevano aperto un nuovo orizzonte criti-
co e morale, lo conobbe allora all’esame d’ammissione alla Scuola
Normale di Pisa, dov’egli sedeva tra Giovanni Gentile e Giorgio Pasquali;
e ricorderà sempre la paterna autorità con cui quell’uomo grande e seve-
ro dallo sguardo fiammeggiante di terribile arcangelo sapeva vincere la
timidezza dei giovani, senza debolezze, sciogliendola nel calore umano
del discorso. Visto il mio tremore, cominciò inaspettatamente col chie-
dermi di recitargli una poesia del Carducci. Sapevo a memoria “Faida di
comune”, e gliela dissi tutta, e lui con me a rinforzare e colorire con la sua

riprende temi e argomenti della sua ricca e appassionata dottrina». Fotografie e didasca-
lie non sono riprodotte nelle successive ristampe del pezzo; le foto furono esposte nella
mostra centenaria di Pasquali: vd. Giorgio Pasquali, a cura di D. Pieraccioni, Firenze,
Gabinetto G.P. Vieusseux, 1986, p. 54 n. 66.
12
Per la circolazione, nel campo di prigionia indiano in cui Folena era segregato, di
un «preziosissimo Dantino», vd., in questi Atti, la testimonianza di A. Balduino, Le lezio-
ni “in diretta” e Dante in ascensore.
13
Gli altri comandati presso il Centro negli anni della direzione Pasquali (Presidente
dell’Accademia era Bruno Migliorini) furono Lanfranco Caretti e Arrigo Castellani: vd.
D. DE ROBERTIS, Premessa a un cinquantenario, in «Studi di filologia italiana», vol. XXXV,
1977, pp. V-IX, a p. IX.
20 CLAUDIO CIOCIOLA

voce calda e possente […] Degli scrittori che amava Russo era un lettore
impareggiabile, di maschia e scabra vigoria, di partecipazione totale eppu-
re misurata e concentrata, senza alcuna effusione. Con quale verità d’ac-
cento la sua voce sapeva interpretare per noi l’ironia, il sarcasmo, la pas-
sione e insieme il distacco dell’artista, leggesse i sonetti di Rustico di
Filippo e la tenzone fra Dante e Forese, o le laudi di Iacopone, oppure
pagine di Verga e di Pirandello dove riscopriva dall’interno la profondità
amara e disincantata del suo nativo accento siciliano».14
Russo, allora «nel culmine di quel suo straordinario vigore che aveva
l’apparenza di una forza di natura, e nella pienezza della sua autorità mora-
le di maestro», «non fu filologo, ma, amico di filologi, intese le ragioni e le
funzioni della nuova filologia che si affermava soprattutto per opera di
Michele Barbi: e molto peso ebbe su di lui in quegli anni l’amicizia che lo
legò al Barbi, del quale scrisse poi un ritratto che è fra le sue pagine più
belle e ispirate».15 Grande del resto la consonanza tra Barbi, che nel ’38
avrebbe dato alle stampe la Nuova filologia, e Pasquali. La travolgente curio-
sità antropologica faceva di Pasquali l’interlocutore ideale, e il naturale e
stimolante “maestro”, dei più giovani, tanto a Firenze che a Pisa: anche di

14
G. FOLENA, Per Luigi Russo, in «Cultura moderna», n. 5, 54, dicembre 1961, pp. 23-
24. Sull’importanza accordata da Folena (la cui voce non potrà dimenticare chi abbia
avuto il privilegio di ascoltarla) all’evocazione e all’interpretazione delle caratteristiche
foniche dei personaggi ritratti, vd. R. MELIS, In margine a «Filologia e umanità» di Gianfranco
Folena, in «Lingua nostra», vol. LVI, 1995, pp. 19-26, alle pp. 22-24, e I. PACCAGNELLA,
La filologia di Gianfranco Folena, in «Lettera dall’Italia», vol. X, n. 37, gennaio-marzo 1995,
pp. 64-65, a p. 65.
15
G. FOLENA, Per Luigi Russo, cit., rispettivamente alle pp. 23, 24; e cfr. L. RUSSO,
Michele Barbi e la nuova filologia, in La critica letteraria contemporanea, Nuova edizione, Firenze,
Sansoni, 1967, pp. 46-68; riproduce l’acutissimo Discorso commemorativo di Michele Barbi
letto in Normale il 28 maggio 1942 e stampato in Commemorazione di Michele Barbi a cura
della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, Firenze, Sansoni, 1942, pp. 11-36 (Barbi era
stato normalista negli anni 1885-1889: vd. Elenco degli allievi dal 1813 al 1998, Pisa, Scuola
Normale Superiore, 1999, p. 116). Nel ’37 entrarono in Normale con Folena, tra gli altri:
Carlo Azeglio Ciampi, lo storico Giulio Cervani, il latinista Scevola Mariotti, il pedago-
gista Aldo Visalberghi (vd. Elenco, cit., pp. 32-33); furono alla Scuola negli anni di Folena:
Emilio Bigi, Antonino D’Andrea, Mario Marti (allievi dal ’34), Aldo Duro, Franco
Munari, Aurelio Roncaglia, Armando Saitta (allievi dal ’35), Walter Binni, Vittore Branca
(perfezionandi dal ’35, allievi dal ’32), Alessandro Natta, Antonio Russi (allievi dal ’36),
Aldo Borlenghi (perfezionando dal ’36, allievo dal ’32), Arsenio Frugoni (perfezionando
dal ’37, allievo dal ’33), Marcello Aurigemma, Mario Baratto, Geno Pampaloni (allievi dal
’38), Carlo Ferdinando Russo, Giuseppe Tonna (allievi dal ’39). Sulla Normale gentiliana
LA FILOLOGIA DI FOLENA 21

quanti non intendessero espressamente rivolgersi agli studi di filologia


classica e di antichistica. Le inesauribili e onnivore curiosità storiche, lin-
guistiche e letterarie del filologo rendevano del tutto agevole e spontaneo
il colloquio anche su temi estranei, o almeno apparentemente tali, all’àm-
bito specifico, in sé già smisurato, della filologia classica (o, meglio,
dell’Altertumswissenschaft).16 «Con Pasquali, fin dal primo contatto sub specie
sermonis, si sperimentava così quel suo inimitabile metodo filologico che
egli portava con sé dovunque, al caffè, per strada, in treno, non come un
abito professorale ma come una seconda natura che era cresciuta con lui,
fra socratica e galileiana, con quel suo amore del discorso che lo faceva
filologo in senso assoluto e primordiale: quel cercar di capire, quell’aggre-
dire sempre ex novo il caso concreto, particolarissimo, quell’avvolgerlo, nel
dialogo con gli altri, attraverso successive intuizioni sparse e man mano
coordinate in una rete di relazioni storiche, quell’abbattere le paratie delle
discipline per inseguire la realtà delle cose e afferrare l’unità dei problemi:
“nella scienza esistono, in concreto, solo i problemi”, era il suo principio
capitale, che non cessò di affermare e di applicare».17 È sorprendente con-

vd. T. TOMASI-N. SISTOLI PAOLI, La Scuola Normale di Pisa dal 1813 al 1945. Cronache di
un’istituzione, Pisa, Scuola Normale Superiore-ETS, 1990, pp. 177-214, e soprattutto P.
SIMONCELLI, Cantimori, Gentile e la Normale di Pisa. Profili e documenti, Milano, FrancoAngeli,
1994, e ID., La Normale di Pisa: tensioni e consenso (1928-1938). Appendice 1944-1949,
Milano, FrancoAngeli, 1998. Importante la rievocazione dei comuni anni in Normale di
A. RONCAGLIA, Lettera a Gianfranco Folena, in Studi di filologia romanza e italiana offerti a
Gianfranco Folena dagli allievi padovani, Modena, S.T.E.M.-Mucchi, 1980 (= «Cultura
Neolatina», vol. XLI, 1981), pp. VII-X.
16
In relazione alle incursioni («scorribande») pasqualiane negli àmbiti della storia
della lingua italiana e della filologia e critica letteraria, vd. D’A. S. AVALLE, La filologia
romanza, in Storia dell’Ateneo fiorentino. Contributi di studio, Firenze, Parretti, [1986], vol. I,
pp. 287-315, ora (sotto il titolo La filologia romanza a Firenze, che recava già in ID., Dal mito
alla letteratura e ritorno, Milano, Il Saggiatore, 1990, pp. 41-62) in ID., La doppia verità.
Fenomenologia ecdotica e lingua letteraria del Medioevo romanzo, Firenze, Edizioni del Galluzzo,
2004, pp. 681-703, a p. 691.
17
G. FOLENA, Premessa a G. PASQUALI, Lingua nuova e antica. Saggi e note, a cura di G.
Folena, Firenze, Le Monnier, 1964 (19852), pp. V-XXXI, ora (sotto il titolo Giorgio
Pasquali) in ID., Filologia e umanità, a cura di A. Daniele, Vicenza, Neri Pozza, 1993, pp.
212-28, a p. 212 (anche, sotto il titolo Pasquali e la lingua, in Per Giorgio Pasquali, cit., pp.
50-70; in parte, sotto il titolo L’insegnamento del Pasquali e la sua esperienza linguistica, in coda
al profilo di Pasquali di S. Timpanaro, in Letteratura italiana. I Critici. Storia monografica
della filologia e della critica moderna in Italia, diretta da G. Grana, III, Milano, Marzorati,
1969 [1982], pp. 1801-33, alle pp. 1825-30).
22 CLAUDIO CIOCIOLA

statare, ma già lo ha fatto Renzi, come le parole di Folena, nel ritratto del
maestro, si adeguino perfettamente al profilo del discepolo: il processo d’i-
dentificazione appare in ogni caso indubbio.18 La formulazione del pro-
verbiale assioma citato da Folena proviene da uno dei saggi più originali e
acuti di Pasquali, Paleografia quale scienza dello spirito, del ’31 («nella scienza
esistono, in concreto, solo i problemi; attribuirli all’una o all’altra casella, o
farli a pezzi per distribuirli tra più caselle, è cura posteriore, secondaria e
spesso vana»),19 nel quale rileva l’intero contesto: «la paleografia, disciplina,
per eccellenza, ausiliaria, se vuole adempiere i compiti suoi più delicati,
deve ricorrere a scienze che si direbbero di maggior dignità, di grado più
alto, deve chiedere aiuto alla linguistica romanza, alla storia dell’arte, alla
filologia medievale in tutte le sue specialità. Questo è un bene per lei: in
filosofia, in matematica, in scienze naturali possono forse esistere (io non
mi sento competente a giudicare) discipline autonome; in tutto quello che
in qualsiasi modo appartiene alla storia, certamente no; questo perché la
storia, cioè la vita, non si può dividere in compartimenti stagni. Nella sto-
ria, appena un problema è alquanto complesso, non basta più a risolverlo
un’unica disciplina, ma ci si riesce soltanto, quando ci si riesce, assaltando-
lo da tutte le parti con tutte le discipline, con i mezzi peculiari di ciascuna
di esse. E le discipline si distinguono tra loro non tanto per differenza di
oggetto quanto per diversità di metodo: l’oggetto, insomma, rimane sem-
pre l’uomo».20 Questi concetti, e l’intonazione generale che li permea,

18
Vd. L. RENZI, La linguistica di Gianfranco Folena, in «Lingua e stile», vol. XXVII,
1992, pp. 461-82, a p. 463 (e cfr. G. GHINASSI, Gianfranco Folena, in «Lingua nostra», vol.
LIII, 1992, pp. 1-3, a p. 2). Risvolto della individualità concreta dei “problemi” è la loro
“ciclicità”: vd., anche in chiave psicologica e biografica, L. RENZI, Commemorazione di
Gianfranco Folena, in «Atti dell’Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti», Classe di scien-
ze morali, lettere ed arti, CLI 1992-1993, pp. 943-49, a p. 945 («Con Folena si parlava a
scatti. Non si chiudeva nessun problema, ma lo si riprendeva ciclicamente […]. Noi, suoi
allievi, ci siamo spesso immaginati che Folena tramandasse così la lezione vivente della
Normale di Pisa, di cui era stato allievo, e in particolare del suo maestro Giorgio
Pasquali»).
19
G. PASQUALI, Paleografia quale scienza dello spirito, in «Nuova Antologia», a. LXVI,
vol. CCCLV, maggio-giugno 1931, pp. 342-54, poi in Pagine stravaganti di un filologo, 1933,
ora in ID., Pagine stravaganti di un filologo, cit., vol. I, pp. 105-17, a p. 106.
20
Ivi, pp. 105-6. Qui semmai sorprende che alla matematica e alle scienze naturali sia
associata, forse per cautele contingenti, la filosofia; ma vd. a p. 106: «L’esigenza dell’au-
tonomia delle singole scienze storiche era, secondo me, un trasporto illegittimo di con-
cezioni adeguate solo alle scienze naturali, quale conveniva all’età positivistica»; con l’ag-
LA FILOLOGIA DI FOLENA 23

ricorrono anche altrove.21 Antispecialismo, tendenziale antimonografismo,


antimeccanicismo e vivo senso della concretezza dei problemi, o storici-
smo “integrale” (o “prensile”, come ha detto La Penna)22 – consapevole e
rispettoso del metodo ma sospettoso nei confronti delle sue astrazioni –,
sono tendenze dell’habitus, e del magistero, di Pasquali – congiunte, sul
piano propriamente pedagogico, alla “simpatia” per l’atmosfera (respirata
a Gottinga e rigenerata in Normale) del “seminario” – delle quali più evi-
dente è il riverbero nel Folena “linguista-filologo” (categoria che Folena
applicò al Parodi, mentre “filologo-linguista” dirà il Crescini):23 sarà per-
tanto opportuno ricercarne la genesi e definirne le caratteristiche.24

giunta: «Io oso esprimere sommessamente il sospetto che anche nella biologia e anche
nella medicina l’autonomia delle specialità sia già superata o stia per essere superata, per-
ché anche il corpo umano, come lo spirito, è un’unità» (e cfr. S. TIMPANARO, Storicismo di
Pasquali, in Per Giorgio Pasquali, cit., pp. 120-46, a p. 129); in tono faceto, recensendo tre
anni più tardi (in «Pan», a. II, novembre 1934, pp. 445-48) la traduzione e il commento
alla Poetica di Manara Valgimigli, così lamentava l’inerte specialismo del coevo commen-
to di Alfred Gudeman: «Mi par di ricordarmi che si narra degli antichi Egizi ch’essi aves-
sero medici speciali per l’occhio destro e medici speciali per il sinistro; a specialisti così
ristretti io non affiderei i miei occhi» (G. PASQUALI, Scritti filologici, cit., vol. II, pp. 932-37,
a p. 935, e cfr. l’Introduzione di La Penna, ivi, pp. XVI-XVII).
21
Vd. riassuntivamente D. DE MARTINO, Preistoria editoriale delle ‘Stravaganze’ di Giorgio
Pasquali, in «Rivista di filologia e di istruzione classica», vol. CXXIII, 1995, pp. 236-249,
alle pp. 245-46. Si citi almeno la Prefazione a G. PASQUALI, Storia della tradizione e critica del
testo, Firenze, Le Monnier, 1934 (Seconda edizione con nuova prefazione e aggiunta di
tre appendici, Firenze, Le Monnier, 1952; rist. con Premessa di D. Pieraccioni, Firenze, Le
Lettere, 1988), p. XIV: «io sono convinto che almeno nelle scienze dello spirito non esi-
stano discipline severamente delimitate, “scomparti”, Fächer, ma solo problemi che devo-
no essere spesso affrontati contemporaneamente con metodi desunti dalle più varie
discipline»; altri passi, e in particolare quello, assai importante, nel Ricordo di Jacob
Wackernagel, saranno citati più oltre.
22
«Lo storicismo di Pasquali aveva un senso del concreto più operante, più prensi-
le, perché aveva una profonda radice empiristica e non era deviato né da schemi filoso-
fici né da tentazioni mistiche: era uno storicismo veramente depurato da residui teologi-
ci» (A. La PENNA, Gli «Scritti filologici», cit., p. XLIX).
23
G. FOLENA, Ernesto Giacomo Parodi. Nel centenario della nascita, in «Lettere italiane»,
vol. XIV, 1962, pp. 395-420, ora (sotto il titolo Ernesto Giacomo Parodi), in ID., Filologia e
umanità, cit., pp. 123-53, rispettivamente alle pp. 126, 133 (il saggio è in parte rifuso anche
in ID., Parodi filologo e linguista, in Letteratura italiana. I Critici, cit., vol. III, pp. 1593-1616).
In proposito, vd. oltre quanto si dirà del Circolo “filologico-linguistico” padovano.
24
Quanto all’antimonografismo, per la disaffezione di Folena nei confronti dei volu-
mi organicamente monotematici, e la sua propensione al contributo puntuale (propen-
24 CLAUDIO CIOCIOLA

La polemica “antimetodologica”, propugnata nei primi decenni del


Novecento dal neoidealismo, può riassumersi nell’arguta, e insofferente,
tautologia crociana (spesso ripetuta, anche a lezione, da Contini) secondo
la quale «tutti i metodi sono buoni, quando sono buoni».25 Nell’idea, non
estranea nemmeno a un Contini (e si sa quanto il giovane Contini subis-
se il fascino di Pasquali), che il problema del metodo nasca (e si risolva)
nella concretezza del processo d’“individuazione” riesce difficile non
riconoscere un sedimento neoidealistico, per quanto vivacemente fecon-
dato, nella prassi, da un’originale disposizione euristica.26 Ma l’antispecia-
lismo e l’antimetafisico amore per il “problema” hanno radici di altra
natura. Se Pasquali non fu «spirito sistematico» (non dotato com’era
d’«inclinazioni speculative, per interrogare le ragioni ultime e i massimi

sione in certo senso generazionale: si pensi a un Contini), vd. tra gli altri L. RENZI,
Gianfranco Folena, un italiano in Europa, in Italiano: lingua di cultura europea. Atti del Simposio
internazionale in memoria di Gianfranco Folena, Weimar 11-13 aprile 1996, a cura di H.
Stammerjohann con la collaborazione di H.-I. Radatz, Tübingen, Narr, 1997, pp. 11-18,
a p. 12. Questo atteggiamento, che «menava più all’articolo che al libro», era stato di
Pasquali: vd. A. LA PENNA, Lo scrittore “stravagante”, in «Atene e Roma», N.S., vol. II, 1952,
pp. 224-36, ora in Per Giorgio Pasquali, cit., pp. 71-89, alle pp. 71-72, e S. TIMPANARO,
Storicismo di Pasquali, cit., pp. 126-27.
25
Vd. G. CONTINI, Avviso, in Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968),
Torino, Einaudi, 1970, p. VIII («La varietà che appartiene al tempo, letterale o mentale,
di queste pagine, appartiene ugualmente ai loro oggetti, essendo lo scrivente fermamen-
te persuaso che, com’ebbe una volta a dire il Croce, tutti i metodi sono buoni quando
sono buoni»), e ID., Filologia, in Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, vol. II, 1977, pp. 954-72, ora in ID., Breviario di ecdotica, Milano-Napoli, Ricciardi,
1986, pp. 3-66, a p. 8 («si può ripetere delle forme di edizione il famoso detto del Croce
sulle forme di critica, che ognuna è buona quando è buona»).
26
Per la storia dei rapporti Contini-Pasquali vd. D. DE MARTINO, «Come il cane che ha
perso il padrone». Corrispondenza Giorgio Pasquali - Gianfranco Contini (1935-1952), in
“Strumenti critici”, vol. I, 1994, pp. 387-439; in una lettera a Gentile del ’37 (dal giugno
il filosofo era nuovamente Direttore della Normale, e in quella vesta aveva presenziato,
come si è visto, anche all’esame di ammissione di Folena), Russo, che gli manifestava l’in-
tenzione di chiamare a Pisa Contini in veste d’incaricato di francese, lo definiva «un tipo
di ingegno alla Pasquali, dottissimo, ma con una spina dorsale che il nostro amico
Pasquali purtroppo non ha. Ed è sicuramente giovane di largo avvenire» (la mediazione
di Gentile risulterà in séguito determinante per l’ed. 1941 delle opere di Bonvesin: vd. C.
CIOCIOLA, Contini, Croce e Bonvesin, in c.s.); a Russo, peraltro, Contini era stato introdotto,
nel ’36, proprio da Pasquali, come «ottimo conoscitore dei nostri antichi dialetti e splen-
dido teorico di metodo editoriale» (vd. D. DE MARTINO, Gianfranco Contini è sicuramente
giovane di largo avvenire, in «Belfagor», vol. LVII, 2002, pp. 177-185, rispettivamente alle pp.
177, 178); «giovane di molto ingegno e di preziosa dottrina» Contini è del resto nel Prologo
LA FILOLOGIA DI FOLENA 25

sistemi»),27 «ebbe – scrive Folena – mente metodica, coordinatrice e uni-


taria nel grado sommo: più che di questioni di metodo amava parlare di
cose, di oggetti particolari, ma bastava restare anche pochissimo con lui
per capire quanto metodo c’era nella sua filologia, nelle sue “stravaganze”
e anche nelle intuizioni che sembravano più estemporanee, e venivano
spesso a mutare la prospettiva di un problema, a indirizzarne la soluzio-
ne verso obbiettivi nuovi».28 La sua sorgiva tendenza, e irrequietudine feb-
brile, verso una filologia “totale” puntava ovviamente all’opposto dell’e-
clettismo e dell’enciclopedismo, ed era piuttosto antipatia nei confronti
degli schematismi;29 «la dottrina, che era in lui sterminata» – con le paro-
le di un altro dei suoi allievi modernisti, Lanfranco Caretti –, «non gli era
mai di peso, né frenava o isteriliva il suo giudizio, il quale procedeva, in
ogni caso, diritto e sicuro al centro delle questioni, alle loro ragioni più
intime e vere».30 Non v’è dubbio che l’antispecialismo di Pasquali si radi-
casse, e fosse in parte il retaggio, della polemica antipositivistica d’inizio
Novecento.31 Questa polemica, comune al fronte idealistico, traeva tutta-
via in Pasquali origine, e conduceva a sviluppi, in sostanza remoti da quel-
li del neoidealismo (meno da quello gentiliano che da quello crociano,
come con tempestiva intelligenza aveva tra le righe messo in luce, nell’ar-
ticolo del ’43, Montale).32 Lo stesso richiamo “storicistico” alla concre-

della prima edizione (1942, ma il Prologo è datato al settembre 1941) di La critica letteraria
contemporanea, cit., p. XVII, e i suoi «tentativi di critica linguistica» sono salutati come «il
crepuscolo [aurorale] di una nuova esperienza». Sulle reazioni tra i normalisti al primo
insegnamento pisano di Contini, tenuto nell’a.a. 1937-1938 (quello dell’ingresso di
Folena in Normale), vd. la testimonianza di A. RONCAGLIA, Ricordo di Gianfranco Contini,
in G. CONTINI, La critica degli scartafacci e altre pagine sparse, Con un ricordo di A. Roncaglia,
Pisa, Scuola Normale Superiore, 1992, pp. VII-XXXV.
27
G. CONTINI, Una testimonianza, in «Nuovo Corriere» del 9 agosto 1952, p. 3 (anche
in Per Giorgio Pasquali, cit., pp. 20-24), ora (sotto il titolo Memoria di Giorgio Pasquali), in
ID., Altri esercizî (1942-1971), Torino, Einaudi, 1972, pp. 349-53, a p. 350; e cfr. A. LA
PENNA, Lo scrittore “stravagante”, cit., p. 79: «Pasquali non parte mai dall’alto, da principii
generali, non “deduce”»; e p. 84: «insofferente di ogni sistema, assetato di concretezza,
non si sentiva portato ad approfondire le sue esigenze speculative».
28
G. FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., p. 212.
29
«Per lui, nemico di ogni schematismo, le eccezioni contano non meno delle regole;
e tuttavia esistono anche le regole» (G. PERROTTA, Intelligenza di Giorgio Pasquali, cit., p. 10).
30
L. CARETTI, Ritratto di Pasquali, cit., p. 399.
31
Vd. S. TIMPANARO, Storicismo di Pasquali, cit., pp. 127-28.
32
«Una filologia così intesa […] fa tutt’uno col concetto di storia, è storia resa attua-
le: è il mondo dei fatti ch’esce dal buio e prende infine un significato. Per quanto tempo,
26 CLAUDIO CIOCIOLA

tezza e all’individualità dei problemi, in sé consonante con le dichiarazio-


ni di principio neoidealistiche, sfociava in applicazioni che al crocianesimo
risultavano, anche esplicitamente, antitetiche.33 Non era del resto un richia-
mo isolato nella Firenze “filologica” degli anni ’30. «Ho insistito molto sul-
l’individualità dei problemi, perché è il punto fondamentale a cui è arriva-
ta la riflessione della nuova filologia italiana»: sono le parole con cui si apre
il secondo paragrafo dell’Introduzione di Barbi alla Nuova filologia.34 Citando

e per chi? È questo, non diciamo il limite, ma il sentimento che una simile scienza ci
lascia: il senso (e lo dice il Pasquali) che non esistono scienze separate ma problemi che
si devono assalire coi metodi d’ogni scienza, in vista di risultati che non saranno mai defi-
nitivi. Non diverse sono le conclusioni della filosofia nuova, quella almeno che ha sosti-
tuito il divenire alla stasi, il dover essere all’essere. Ma il convergere (la domanda è nostra)
d’ogni scienza, storia e filosofia comprese, in un nuovo concetto di storia che sia l’unica
scienza, darà luogo a una sintesi nuova o a un’addizione? In tal caso i babau soppressi, e
prima di tutto la vecchia metafisica e la scienza positivistica, non riaffacceranno le loro
pretese? In ogni modo è certo che questo creduto specialista ha ben distrutto le barrie-
re della sua specialità» (E. MONTALE, Il “filologo soprano”, cit., p. 598-99).
33
Che tra i due storicismi, di Croce e di Pasquali, vi fossero «differenze tutt’altro che
secondarie» sottolinea, molto opportunamente, A. LA PENNA, Gli “Scritti filologici”, cit., in
part. p. XLVII e sgg. (cfr. in specie p. XLIX: «Nel privilegiare la conoscenza del concre-
to v’era certamente una convergenza con lo storicismo crociano: io credo, però, che la
convergenza fosse in parte apparente. Croce e i crociani teorizzavano molto la cono-
scenza del concreto, ma non avevano molto forte il senso della concretezza: la cono-
scenza del concreto era spesso vanificata con l’incasellamento in questa o quella catego-
ria o col ricondurre ogni problema concreto ai suoi termini universali»; e già: «Un tale
storicismo non poteva non cozzare sia con un certo dilettantismo estetico, che con lo
storicismo non aveva nulla a che fare, sia con l’altro storicismo generalmente dominan-
te in Italia, che si diceva anche esso assetato di concretezza, ma ch’era in realtà formali-
stico e deduttivo, che amava le caselle fissate a priori e risolveva i problemi prima di porli»:
A. LA PENNA, Lo scrittore “stravagante”, cit., p. 80). A definire i caratteri dello storicismo
pasqualiano, e il suo divergere da quello di Croce, è dedicato il saggio di S. TIMPANARO,
Storicismo di Pasquali, cit. (sviluppa un nucleo già presente nel profilo di Pasquali in
Letteratura italiana. I Critici, cit.); rilevante la riconduzione dell’espressione “scienze
dello spirito”, frequente in Pasquali, alle Geisteswissenschaften di tradizione germanica
piuttosto che alla tradizione crociano-gentiliana (pp. 125 sgg.). Cosa intendesse Pasquali
per “storicismo” si può ricavare tra l’altro dal contesto in cui egli si autodefinisce scher-
zosamente «fradicio di storicismo»: rec. a G. DEVOTO, Introduzione alla grammatica, e a
B. MIGLIORINI, La lingua nazionale, in «Nuova Antologia», a. LXXVI, vol. CDXVII, set-
tembre-ottobre 1941, pp. 407-14, a p. 411 (rist., sotto il titolo Devoto e Migliorini gramma-
tici, in «Belfagor», vol. XXII, 1967, pp. 273-83).
34
M. BARBI, Introduzione, in La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante al
Manzoni, Firenze, Sansoni, 1938, pp. VII-XLI, a p. XV; vd. ora l’anastatica con la biblio-
grafia degli scritti di Michele Barbi a cura di S. A. Barbi, Introduzione di V. Branca,
LA FILOLOGIA DI FOLENA 27

il Montale del ’43, «siamo qui a un incontro Pasquali-Barbi, del quale


lungo sarebbe accennare».35 Anche per Pasquali, come per Russo (benché
in prospettiva, e con ricadute, evidentemente diverse: e valgano, oltretut-
to, le ragioni della cronologia), l’amicizia e il quotidiano commercio con
l’autore della Nuova filologia, più anziano di una generazione, risultarono
determinanti.36 Commemorandolo, al Barbi Pasquali riconobbe la capaci-
tà di leggere trasversalmente, nella loro concretezza, i problemi, pur nel

Firenze, Le Lettere, 1994 (sull’“individualità dei problemi” nella visione filologica del
Barbi insiste in più luoghi l’Introduzione di Branca).
35
E. MONTALE, Il “filologo soprano”, cit., p. 598 (a proposito di Storia della tradizione). I
riferimenti a una linea Barbi-Pasquali sono ormai numerosi: ne ha scritto, tra gli altri, A.
RONCONI, Rievocazione di Giorgio Pasquali, tenuta nell’aula magna dell’Università il 18 mag-
gio 1963, Firenze, 1963, ora (sotto il titolo Giorgio Pasquali), in ID., Filologia e linguistica,
Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1968, pp. 281-307, a p. 297 (anche, sotto il titolo Il filologo,
in Per Giorgio Pasquali, cit., pp. 90-119); vd. anche E. GARIN, Per De Robertis, in Giuseppe De
Robertis. Giornata di studio e mostra documentaria promossa dal Gabinetto scientifico
letterario G.P. Vieusseux, a cura di L. Caretti, Firenze, Olschki, 1985, pp. 7-17, a p. 7, e
S. TIMPANARO, De Robertis e la filologia, ivi, pp. 59-70, a p. 65: notevoli perché ambientano
l’atteggiamento nei confronti della filologia, e in specie dello studio delle varianti, di un
altro dei “maestri” fiorentini di Folena (che ne fu assistente volontario), Giuseppe De
Robertis; autore a sua volta di un bel ritratto di Barbi (originato, nel 1939, da una recen-
sione a La nuova filologia): «oggi che si va farneticando di non so qual dono di cui due o
tre in Italia, e in questo secolo, si sentirebbero privilegiati per leggere poesie; oggi que-
st’esempio illustre di lettore armato è di conforto grande a non lasciarsi abbagliare da
questi arcangeli. Perché, per Barbi, l’intelligenza della poesia è ben altra cosa, di natura
ben più difficile, e si chiama, con una parola sola, filologia. Sta al principio ed è il coro-
namento di qualunque serio lavoro critico» (G. DE ROBERTIS, Michele Barbi, in Studi,
Firenze, Le Monnier, 1944, pp. 171-77, a p. 173). Per la complementarità dell’insegna-
mento di Pasquali e di De Robertis in Folena, come del resto in Caretti (e nel suo caso
valga la testimonianza dello stesso L. CARETTI, A titolo di fatto personale, in «La fiera lette-
raria», 3 aprile 1955, p. 4, ora in ID., Antichi e moderni, cit., pp. 365-70, alle pp. 368 e, rias-
suntivamente, 369: «Attraverso De Robertis venivo articolando […] il rapporto tra filo-
logia e critica, mentre Pasquali mi mostrava concretamente ad ogni passo la convertibi-
lità della prima in storia»), vd. S. TIMPANARO, De Robertis e la filologia, cit., p. 66. Nello stes-
so volume è Folena a sottolineare che la “religione della poesia” di De Robertis si dis-
piegò «progressivamente in una serie di fecondissimi incontri con la filologia» (G.
FOLENA, Stile e critica stilistica in De Robertis, in Giuseppe De Robertis, cit., pp. 19-29, ora in
ID., Filologia e umanità, cit., pp. 282-93, a p. 292).
36
Cfr. G. FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., p. 219: «l’incontro con un filologo della tem-
pra di Michele Barbi lo aprì ai problemi della filologia testuale moderna e italiana (e il
libro sulla tradizione costituì anche per questo un’esperienza capitale per i filologi italia-
nisti, quando per merito suo e del Barbi filologia testuale, storia della lingua e storia della
cultura si dettero la mano in campo antico e moderno)».
28 CLAUDIO CIOCIOLA

quadro di una sistematicità estranea al commemorante (evidente, nel


seguente passo, è il riferimento autobiografico): «Sapeva benissimo che
almeno nelle discipline dello spirito non esistono scienze separate, ma
solo problemi concreti, i quali ognuno deve assalire con tutti i mezzi di
cui dispone […]. Un ingegno sistematico sa sempre dominare impulsi
centrifughi, che lo porterebbero a disperdere la propria attività. A un
amico più giovane, che ha il vizio di lasciarsi tentare dagli argomenti più
disparati, il Barbi ha detto un giorno col sorriso sulle labbra: “Tu, sì, sei
universale”».37 La Nuova filologia (1938) era stata prontamente recensita da
Pasquali, che aveva avuto buon gioco nel metterne in luce le consonanze
con Storia della tradizione (1934): «Qui si insiste sull’individualità del pro-
blema testuale. La scuola (cioè esercitazioni di seminario, non la tronfia
predica alla quale per lo più si riduce la lezione universitaria italiana; eser-
citazioni di seminario su casi concreti), la scuola può far vedere che (p. X)
“procedendo razionalmente i problemi si pongono nei giusti termini, e
una soluzione soddisfacente, più o meno perfetta, secondo i dati di cui si
dispone, non può mai mancare”. Però “ogni testo ha il suo problema cri-
tico, ogni problema la sua soluzione, e… quindi le edizioni non si fanno
su modello e, per così dire, a macchina”. Questa è anche la conclusione e
insieme il presupposto di un mio libro su “storia della tradizione e critica
del testo”, che il Barbi stesso esenta a metà dalla condanna, che profferi-
sce severa contro tutti i manuali di metodo».38 Ciò che dalla citazione scor-
ciata di Pasquali non si evince, ed è rilevante, è che in quel passo Barbi
non parla in prima persona, ma rinvia all’insegnamento della scuola del
Rajna, spostando dunque all’indietro di un’ulteriore generazione l’inse-

37
G. PASQUALI, Ricordo di Michele Barbi, cit., p. 438; e cfr. G. FOLENA, La filologia dante-
sca di Carlo Witte, in AA.VV., Dante e la cultura tedesca, Padova, Antoniana, 1967, pp. 109-39,
ora in ID., Filologia e umanità, cit., pp. 25-52, a p. 27, in cui si legge che Barbi «ha saputo con-
ciliare il senso acutissimo del caso particolare con lo spirito di sistema in una metodologia
mirabilmente duttile e varia». Cfr. anche la commemorazione di Barbi letta dal Santoli
all’Università di Firenze il 13 dicembre 1942: «Non aveva toccasana metodici da spacciare
né certezze da proclamare. Parlava sempre di casi particolari, concreti» (V. SANTOLI,
Michele Barbi, in «Studi di filologia italiana», vol. VII, 1944, pp. 7-27, ora in ID., Fra
Germania e Italia. Scritti di storia letteraria, Firenze, Le Monnier, 1962, pp. 315-27, a p. 326).
38
G. PASQUALI, rec. a La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante al Manzoni,
in «Leonardo», vol. IX, 1938, pp. 471-83, poi (sotto il titolo L’edizione dei classici italiani da
Dante al Manzoni), in Terze pagine stravaganti, 1942, ora in ID., Pagine stravaganti di un filologo,
cit., vol. II, pp. 154-75, alle pp. 162-63.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 29

gnamento relativo all’individualità dei problemi: «Alla scuola del Rajna


non s’imparava nessun sistema, poiché anche quel “codice critico che
regoli e agevoli il lavoro degli studiosi” invocato dai suoi primi scolari, egli
si guardò bene dal formularlo. Eran sempre esercitazioni su casi concre-
ti, e la conclusione era sempre: – così si vede che procedendo razional-
mente i problemi si pongono nei giusti termini, e una soluzione soddi-
sfacente, più o meno perfetta, secondo i dati di cui si dispone, non può
mai mancare . – Noi uscivamo pertanto con la giusta idea che ogni testo
ha il suo problema critico, ogni problema la sua soluzione, e che quindi le
edizioni non si fanno su modello e, per così dire, a macchina».39 La cor-
relazione dell’insegnamento di Storia della tradizione con le esperienze della
Nuova filologia era stata prontamente e lucidamente individuata da Russo,
nel quadro di un’ascrizione, intelligentemente tendenziosa, del Barbi al
clima nuovo dello storicismo idealistico: «Questo insegnamento della
individualità di ogni problema della critica del testo è il fondamentale, con
cento altri particolari, che si leva dal suo libro ricordato: La nuova filologia
e l’edizione dei nostri scrittori da Dante al Manzoni. Quelli che si illudono di tro-
vare in un manuale di metodologia le regole per comporre saggi critici o
edizioni critiche di un testo devono disincantarsi alla lettura di tale volu-
me, che, in ogni pagina, batte in breccia contro le generalità, e segna l’im-
postazione concreta di singole questioni o di singoli testi […]. Una lezio-
ne di concretezza, a ogni pagina. L’opera può essere ravvicinata a quella
di Giorgio Pasquali, sulla Storia della tradizione e critica del testo, anch’esso un
libro di apparente metodologia; ma in verità discussione delle regole cri-
tiche calate volta per volta in singoli e particolareggiati problemi testuali.
Cito il libro del Pasquali, perché di un maestro dell’ultimo Novecento, e
per riaffermare anche per via di vicinanze, quella che era la freschezza e
la modernità di vedute del nostro Barbi. E del resto questa vicinanza era
avvertita con compiacimento dal Barbi stesso, che però aggiungeva, chi-
nando il capo: “Ma Pasquali è un doctor universalis”».40 Come si vede, non

39
M. BARBI, La nuova filologia, cit., p. X.
40
L. RUSSO, Michele Barbi e la nuova filologia, cit., p. 59; ma cfr. l’intero contesto, note-
volissimo, delle pp. 58-59. Quanto spontaneo riuscisse a uno studioso in formazione in
quegli anni accomunare la lezione di Barbi a quella di Pasquali risulta, ad esempio, dal
consuntivo autobiografico di Vittorio Santoli (1961): «La filologia che avevo imparato a
Pisa era piuttosto alla buona. Nasceva intanto quella che è stata chiamata “la nuova filo-
logia”. In Barbi essa aveva uno dei suoi maestri. Un altro era Pasquali. E a Pasquali (verso
30 CLAUDIO CIOCIOLA

era estranea, alle menti più vive l’ambizione di annettere all’impostazione


“filosofica” anche gli studiosi più originali della generazione precedente.
Sintomatico fra tutti un aneddoto riferito dal Russo circa l’imposizione
del titolo (da lui suggerito) della prima serie dei Problemi di critica dantesca
(1934): «“Barbi, Galileo Galilei vedeva l’universo descritto in circoli e in
triangoli, tu vedi il mondo sempre come un manoscritto da decifrare, da
classificare, da emendare. Niente bibliografismo estrinseco, nella tua
Fortuna di Dante, ma problemi filologici ad ogni momento: sei la mente più
problematica che sia uscita dalla scuola del D’Ancona. Tu sei un proble-
matico, e quegli altri erano soltanto degli eruditi sdottoratori estrinseci di
bibliografie”. Il Barbi scosse il capo, fece una delle sue solite risatine stri-
dule, ricche dei più opposti significati, poi si aggrondò e mi parlò, viva-
cissimo, dei suoi primi studi pisani, e dell’avversione incontrata nel
D’Ancona e dell’avversione ancora di poi perpetuatasi in circoli accade-
mici di Firenze contro le sue ereticali novità. Quando, nel 1934, si decise
a raccogliere la prima serie di Problemi di critica dantesca, egli riconoscendo-
mi una certa virtuosità di intitolatore di libri, mi chiese: “Dammi un tito-
lo per queste mie povere pagine sparse”. E io, senza pensarci su due volte:
“Problemi di critica dantesca!”. “Problemi, problemi! Mi fai diventare
anche me un crociano o un gentiliano; io sono un uomo di un’altra
razza!” “Ma chi più di te, rincalzai io, ha la mente problematica?” Dopo
due giorni, rividi il Barbi, fatto ironicamente dolce e mansueto, e mi disse:
“Va bene, avevi ragione te; vada per problemi di critica dantesca”; e la
prima serie fu varata e si passò a ragionare d’altro».41 Di fronte all’ami-

cui mi ero sentito attratto fin da quando ero studente) io debbo, dopo Barbi, il mio
riorientamento di quegli anni che, sia pure su un settore limitato, di lì a poco doveva por-
tarmi sulla prima linea del fronte neofilologico» (V. SANTOLI, Una cornice biografica per rifles-
sioni attuali, in ID., Fra Germania e Italia, cit., pp. 3-14, a p. 7). Al Santoli era stata affidata
la voce Archetipo nell’Enciclopedia italiana (vol. IV, 1929), scritta «prima che uscisse la Storia
della tradizione, ma ispirandosi a idee pasqualiane e in parte, di Michele Barbi» (S.
TIMPANARO, Premessa a Rapsodia sul classico. Contributi all’Enciclopedia italiana di Giorgio
Pasquali, a cura di F. Bornmann, G. Pascucci, S. Timpanaro, Roma, Istituto della
Enciclopedia italiana, 1987, pp. 3-28, a p. 13).
41
L’aneddoto è rievocato nella citata Commemorazione, ora in L. RUSSO, Michele Barbi
e la nuova filologia, cit., p. 50 (cfr. del resto quanto Russo scrive nella Prefazione alla secon-
da ed. dei propri Problemi di metodo critico, Bari, Laterza, 1950 – la prima, del 1929, era usci-
ta con dedica al Barbi –, p. 7: «Il titolo ebbe fortuna, ma l’autore ha sempre sentito il peso
d’un significato equivoco, che esso poteva assumere agli occhi dei lettori più distanti e
più distratti. La metodologia, per l’autore, non è stata in nessun momento un’astratta
LA FILOLOGIA DI FOLENA 31

chevole tentativo di “annessione” (Russo era per sua parte pronto a rico-
noscere l’influsso del maestro fiorentino sulla propria «esperienza di pre-
sunto filosofante “siculo-partenopeo”»),42 è tanto più significativo il
richiamo del Barbi alla scuola del Rajna e la lucida rivendicazione, sempre
nell’Introduzione alla Nuova filologia, delle posizioni sue e della sua genera-
zione, di eredi consapevoli e non inerti della tradizione del metodo stori-
co (in specie danconiano), con una presa di distanze che non può di per
sé tradursi in un’accettazione delle novità “filosofiche”: «Già la nostra
generazione reagiva ai suoi maestri che volevano l’edizione critica senza
la critica, l’emendatio senza l’interpretatio, e mirava a uno storicismo totalita-
rio e distingueva benissimo che la vera vita del poeta non era quella este-

esperienza filosofica (egli non è filosofo, e gli fa torto chi gli attribuisce, per ragioni pole-
miche, questa ambizione), perché volta per volta essa si calava su problemi storici con-
creti»). Quanto alla fama diffusasi di un Russo “intitolatore”, ragioni cronologiche indu-
cono a supporre che il riferimento fosse all’intitolazione di un libro appunto pasqualia-
no, le celebri Pagine stravaganti di un filologo, uscite nel 1933: titolo dovuto a Russo, come si
ricava da una lettera del 3 dicembre 1933 di Pasquali a Manara Valgimigli (pubblicata più
volte: vedila in D. PIERACCIONI, Manara Valgimigli e Giorgio Pasquali. Storia d’una amicizia
(1912-1952), in «Atene e Roma», vol. XXIII, 1978, pp. 37-45, a p. 4): «Russo volle quel
titolo, e io l’accettai» (cfr. anche D. PIERACCIONI, Il centenario di Giorgio Pasquali, in «Nuova
Antologia», a. CXXI, vol. DLV, aprile-giugno 1986, pp. 269-79, alle pp. 278-79, e D. DE
MARTINO, Preistoria editoriale delle «Stravaganze», cit., p. 242). In Russo si deve pertanto
identificare il «collega spiritoso (e tuttavia non malevolo)» evocato nella Prefazione alle
Terze pagine stravaganti, 1942 (G. PASQUALI, Pagine stravaganti di un filologo, cit., vol. II, p. 3),
e l’«amico faceto che battezzò il primo libro», nella Prefazione alle Stravaganze quarte e supre-
me, 1951 (ivi, p. 273). Si noti peraltro che l’identità dell’«amico faceto» doveva essere ben
nota all’entourage, se già nel ’52, in morte di Pasquali, La Penna scriveva che il titolo «fu
suggerito al Pasquali da un amico estroso, che è oggi il nostro critico più insigne» (A. LA
PENNA, Lo scrittore “stravagante”, cit., p. 71).
42
«Furono quelli gli anni […] in cui l’autore cercò di umanizzare la sua esperienza
di presunto filosofante “siculo-partenopeo”, avvalendosi degli ammaestramenti che gli
venivano da un maestro fiorentino, quale Michele Barbi, il quale, mentre accettava dal
suo scolaro e compagno la terminologia filosofica nuova e parlava anche lui di problemi
(donde i suoi Problemi di critica dantesca), d’altra parte insisteva costantemente sulla neces-
sità che il calidante collega si assoggettasse ad una minuta e paziente interpretazione dei
classici: da ciò i suoi numerosi commenti. Poiché l’ambizione dell’autore, in quegli anni,
fu precisamente questa, di fondere insieme il metodo storiografico proprio della grande
tradizione meridionale (De Sanctis, Croce) e il metodo della fedele lettura filologica dei
testi, secondo la buona tradizione galileiana, riaffermata dal Tommaseo al Carducci, dal
Del Lungo e dal Fornaciari al Barbi» (Prefazione a L. RUSSO, Problemi di metodo critico, cit.,
pp. 9-10; non sapremmo dire se la compagnia “galileiana” qui assortita da Russo fosse
fatta per soddisfare in tutto Barbi).
32 CLAUDIO CIOCIOLA

riore. Se la filosofia è coscienza dei problemi e dei mezzi migliori per


risolverli, si poteva ripetere ciò che diceva sant’Agostino dei cristiani, e
quei filologi eran filosofi anche se non usavano il frasario venuto oggi di
moda».43 La consapevolezza del valore determinante dell’interpretazione
(«costituire un testo e interpretarlo sono, in fondo, tutt’uno»)44 e l’aspira-
zione a uno “storicismo totalitario” spiegano di per sé vuoi l’intima con-
sonanza di vedute e d’intenti di Barbi e di Pasquali – il quale da sempre
scrutava con attenzione il panorama della filologia italiana e romanza –,
vuoi la loro sostanziale, e inevitabile, estraneità al punto di vista del neoi-
dealismo.45 E proprio a Barbi, nel 1936 (a metà strada tra Storia della tradi-
zione e Nuova filologia), Pasquali dedicava la sua Preistoria della poesia romana
(intesa a indagare e inquadrare storicamente le origini del saturnio), moti-
vando la dedica così: «Ho voluto che il mio libro fosse dedicato a M.
Barbi, col quale, che io ricordi, non ho mai ragionato del saturnio, ma nel

43
M. BARBI, La nuova filologia, cit., p. XXV (e vd. l’intero contesto delle pp. XXIV-
XXVI). Barbi si era laureato nel 1889 con Alessandro D’Ancona, e la sua dissertazione,
Della fortuna di Dante nel secolo XVI, era stata pubblicata l’anno seguente nel vol. XIII (VII
della Serie “Filosofia e Filologia”) degli «Annali» della Scuola Normale (nonché in volu-
me autonomo, con dedica al D’Ancona: Pisa, Nistri-Lischi, 1890).
44
G. PASQUALI, Filologia e storia, Introduzione di F. Giordano, Firenze, Le Monnier,
1998 [1920], p. 26.
45
Già nella voce Edizione compilata per l’Enciclopedia italiana (vol. XIII, 1932) – voce
che costituisce una «sintesi anticipata» di Storia della tradizione (S. TIMPANARO, Premessa a
Rapsodia sul classico, cit., p. 13) – Pasquali aveva scritto: «Esempio del modo come si risol-
vono problemi complicatissimi di tradizione dànno i più recenti romanologi italiani, spe-
cie Michele Barbi, Vittorio Rossi e già il loro maestro Pio Rajna nei loro studî su Dante,
il Petrarca, lo stil nuovo e il Boccaccio» (ivi, p. 266; subito dopo è detto «problema spe-
cialmente istruttivo» quello del Milione, al quale, in Storia della tradizione, si dedicherà lo
stesso Pasquali). L’“interpretazione”, in senso pregnante e anche in relazione alla que-
stione della traduzione, era un punto chiave nell’opposizione dei “filologi” ai critici “este-
tici” (basti pensare al Pasquali di Filologia e storia); una traccia di quella polemica sembra
riverberarsi, anche se in diverso contesto, nell’importante passo in cui Folena riconosce
nella “traduzione” di culture la genesi stessa delle culture: «È noto che all’inizio di nuove
tradizioni di lingua scritta e letteraria, fin dove possiamo spingere lo sguardo, sta molto
spesso la traduzione: sicché al vulgato superbo motto idealistico in principio fuit poëta vien
fatto di contrapporre oggi l’umile realtà che in principio fuit interpres, il che significa nega-
re nella storia l’assolutezza o autoctonia di ogni cominciamento» (G. FOLENA,
Volgarizzare e tradurre, Torino, Einaudi, 1991, poi 1994, p. 3; già, sotto il titolo
«Volgarizzare» e «tradurre»: idea e terminologia della traduzione dal Medio Evo italiano e romanzo
all’umanesimo europeo, in AA.VV., La traduzione: saggi e studi, Trieste, Lint, 1973, pp. 57-120).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 33

quale io onoro un filologo che sente direttamente in tutte le sfumature


ogni parola dei nostri Italiani, dai rimatori più antichi al Manzoni e al
Tommaseo, quale l’ha foggiata l’uso dei secoli, cioè la storia; un filologo
che interpreta i suoi autori, innanzi a ogni altro Dante, senza sforzarli mai,
senz’accentare a capriccio, come fanno tanti altri, un verso o una parola
secondo che accomodi alla loro estetica»;46 così anticipando chi avesse
avuto a ridire sul titolo (intimamente anticrociano) dell’operetta:
«Pappagalli sapienti si scandalizzeranno del titolo di questo volumetto e
non potranno tenersi dall’insegnarmi che la poesia non ha preistoria, per-
ché la sua origine è nell’anima dell’artista e non in modelli o in forme rit-
miche tradizionali. Questo sapevo forse anch’io, ma avevo bisogno di un
titolo semplice e breve, che indicasse come volessi trattare della storia di
una forma ritmica che già per Livio Andronico, anzi già per Appio
Claudio Cieco era tradizionale».47 Non sorprenderà, a questo punto, la
lucida consapevolezza di Folena nel rivendicare, in uno scritto breve ma
acutamente tempestivo (apparso in occasione dell’uscita, imprevedibil-
mente postuma, della seconda edizione di Storia della tradizione e critica del
testo), la reciprocità della linea Barbi-Pasquali: «Della vitalità della sua
opera anche nel campo non classico, medievale, romanzo, italiano,
Pasquali fu convinto prima ancora che il libro si diffondesse: la risposta
più bella e il riconoscimento più ambito vennero dal vecchio e modernis-
simo Barbi, negli ultimi anni della sua attività».48
Il convincimento – fecondato dallo storicismo “prensile” di Pasquali –
che l’opera dello storico della lingua sia opera di storico tout court (ogni
parola, del resto, «è quel che è e produce l’effetto che produce solo in grazia
della sua storia»)49 è in Folena più che in altri significativamente operante:
anche, in un clima culturale radicalmente mutato, in esplicita polemica

46
G. PASQUALI, Preistoria della poesia romana, con un saggio introduttivo di S.
Timpanaro, Firenze, Sansoni, 1981, pp. 88-89.
47
Sottolinea il rilievo della bordata polemica S. TIMPANARO, Storicismo di Pasquali, cit.,
p. 137 (e cfr., per la dedica, ID., Pasquali, la metrica, e la cultura di Roma arcaica, in G.
PASQUALI, Preistoria della poesia romana, cit., pp. 5-80, a p. 59; sull’“incompatibilità” sostan-
ziale dell’opera pasqualiana con il crocianesimo, vd. le pp. 48-49).
48
G. FOLENA, Un libro e due prolusioni, in «Letteratura», vol. I, n. 3, maggio-giugno
1953, pp. 81-84, a p. 81.
49
«Come in ognuno di noi pulsa la vita d’innumerevoli progenitori, di tutta la nostra
stirpe, così ogni parola è quel che è e produce l’effetto che produce solo in grazia della
sua storia» (G. PASQUALI, Filologia e storia, cit., p. 7).
34 CLAUDIO CIOCIOLA

con l’insorgere e il prevalere – agli albori degli anni Settanta – d’istanze


d’ordine, almeno in principio, formalistico (criticate appunto per i rischi
della seduzione a generalizzare, astraendo dalla concretezza dei problemi:
«il lavoro storico è per natura lento e interessato agli oggetti»).50 In manie-
ra ancor più esplicita, nel proemio al primo dei «Quaderni» del Circolo
Filologico-Linguistico Padovano – dedicato, con anticipatrice apertura:
quasi una dichiarazione di libertà d’intenti, a Ricerche sulla lingua poetica con-
temporanea –, si rintraccia, sotto formula di modestia, un’eloquente dichia-
razione di adesione agli oggetti della storia: «Il nostro circolo non vuole
[…] né può vantare prerogative teoriche o metodologiche; […] in un’e-
poca incline al formalismo logico e all’astrazione spesso dogmatica, in cui
rimane sempre meno tempo per leggere e per conversare, e mentre si
attribuisce tanto rilievo al processo della “comunicazione”, si finisce non
di rado per perdere di vista l’oggetto della comunicazione, le cose e il
valore delle cose».51 Queste prese di posizione sono il risvolto di un’atti-
tudine che Renzi ha ben sintetizzato in questa formula: «oggetto dello
studio di Folena non era la lingua in sé, ma il mondo visto sub specie lin-
guistica».52 Proprio come, reciprocamente, a uno dei maestri di Pasquali a
Gottinga, il basileese Jacob Wackernagel, «era dato di scorgere, per intui-

50
G. FOLENA, Presentazione, in Lingua e strutture del teatro italiano del Rinascimento,
Padova, Liviana, 1970, pp. IX-XIX, ora in ID., Scrittori e scritture. Le occasioni della critica,
Introduzione di M. Berengo, Edizione a cura di D. Goldin Folena, Bologna, Il Mulino,
1997, pp. 219-33, a p. 220; l’asserto suggella un capoverso significativo: «Il terreno della
storia linguistica, che per la mia generazione ha costituito una feconda ipotesi ricostrut-
tiva di tutto il tessuto della storia civile, appare oggi, se non disertato, meno attraente per
i giovani […] L’interesse per gli strumenti è un segno positivo del nostro tempo, purché
non si trasformi, come spesso avviene, in un puro strumentalismo indifferente agli
oggetti. E l’indifferenza agli oggetti, che nel nostro caso sono in larghissima parte ogget-
ti storici […], produce una superfetazione di macchine che producono altre macchine
prima che l’utilità d’impiego ne sia stata collaudata a fondo» (ivi, p. 220). «Sembra di leg-
gere Croce – ha osservato, nella sua Introduzione, a p. 17, Berengo –, con in più un robu-
sto innesto di fiducia nella filologia».
51
G. FOLENA, Presentazione, in Ricerche sulla lingua poetica contemporanea, Padova,
Liviana, 1966, pp. IX-XV, ora in ID., Scrittori e scritture, cit., pp. 209-18, alle pp. 209-10 (il
passo è citato anche da A. DANIELE, Gianfranco Folena, in «Belfagor», vol. IL, 1994, pp.
535-50, a p. 537).
52
L. RENZI, La linguistica di Gianfranco Folena, cit., p. 462 (rimodulata, in senso evolu-
tivo, nella voce del Dizionario biografico degli Italiani, cit., p. 541: «Sempre più, con il passa-
re del tempo e l’avanzare della sua ricchissima produzione, i lavori del F[olena] appaio-
no studi di storia della cultura sub specie linguistica»).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 35

zione quasi magica, nello specchio della lingua tutta una civiltà».53 Nel
Ricordo di Wackernagel, del ’38, è, del resto, una lucida rivendicazione del
carattere storico dell’analisi linguistica, nel quadro di una contrapposizio-
ne tra i ruoli dei comparatisti puri – gli indoeuropeisti, o linguisti “prei-
storici” – e i linguisti “storici”; rivendicazione che oltretutto ripropone il
Leitmotiv della individualità dei problemi e della molteplicità, insofferente
di compartimentazioni, delle strategie per affrontarli, implicitamente rifa-
cendosi al passo già citato di Paleografia quale scienza dello spirito, del ’31: «I
comparatisti puri o preistorici si contentano di determinare (o di conget-
turare) se una certa forma, parola, costruzione sia rispetto all’indoeuro-
peo originaria, conservazione, oppure se sia innovazione. Gli storici
vogliono veder chiaro quali forze abbiano agevolato la conservazione, e
quanto alle innovazioni (delle quali naturalmente s’interessano di più, pro-
prio inversamente agli altri) vogliono stabilire quando e dove una sia avve-
nuta, come si sia diffusa, quali siano i suoi limiti e perché non li abbia tra-
scesi. Questo significa inserire la storia della lingua nella storia della cul-
tura e nella storia politica; ed è ancora un carattere differenziale di tal lin-
guistica. I comparatisti isolano i fatti linguistici, cercano di comporli in un
sistema relativamente chiuso, di farne un compartimento in qualche misu-
ra stagno. Il linguista storico, invece, come il filologo, non conosce disci-
pline, ma problemi, e assalta i problemi da ogni parte e con tutti i mezzi
possibili».54 A distanza di moltissimi anni, ricordando Angelico Prati,
Folena ne loderà la consapevolezza di ciò che «molti comparatisti spesso
dimenticano: che la “comparazione” è essenzialmente un’operazione sto-
rica, non un calcolo algebrico né un procedimento naturalistico».55
Se oggetto dello studio di Folena era dunque «il mondo visto sub spe-
cie linguistica», non vi è dubbio che le lenti da inforcare per scrutare quel
mondo con garanzie di legittimità fossero le lenti della filologia: praticata
nel quotidiano, paziente, oneroso, talora snervante, esercizio dell’accerta-
mento dei fatti, che alla storia dei fatti concede l’accesso. Principio che si

53
G. PASQUALI, Ricordo del linguista Jacob Wackernagel, in «Letteratura», vol. II, n. 3,
luglio 1938, pp. 6-15, poi (sotto il titolo Ricordo di Jacob Wackernagel), in Terze pagine strava-
ganti, 1942, ora in ID., Pagine stravaganti di un filologo, cit., vol. II, pp. 216-29, a p. 224.
54
Ivi, p. 218.
55
G. FOLENA, Ricordo di Angelico Prati, in A. PRATI, Etimologie venete, Venezia-Roma,
Istituto per la collaborazione culturale, 1968, pp. VII-XI, ora in G. FOLENA, Filologia e
umanità, cit., pp. 295-303, a p. 302.
36 CLAUDIO CIOCIOLA

sarebbe propagato, spontaneamente, alla scuola. «Non portava la filologia


a tutti, ma trasformava tutti in filologi», ha scritto di Folena, in un fulmi-
nante epigramma, Cesare Cases:56 e sembra questo il miglior elogio di un
maieuta generoso, non prevaricante ma perentorio e sagace nell’intuire
propensioni e talenti, com’è nella natura di ogni maestro.57 E anche a
questo proposito, come per il sostanziale “ottimismo” attivistico che gli
allievi più prossimi gli hanno concordemente riconosciuto, non è forse
improprio invocare il contagioso ascendente di Pasquali.58 Né potrà giu-
stificarsi con l’estrinseca ambizione a un’autonoma caratterizzazione la
significativa aggiunta dell’aggettivo “filologico” nella denominazione del
“Circolo padovano”, fondato da Folena nel 1963, per filiazione palese e
dichiarata, sul modello del Circolo Linguistico Fiorentino dei maestri
Devoto e Migliorini:59 sede privilegiata della “discussione intorno a un
tavolo”, laddove in diritto il rango dello studioso illustre si equipara al
rango del promettente avventizio, secondo un abito che a un ex norma-
lista (e tanto più a un ex normalista allievo di Pasquali e della sua
Normale, «immagine restituita» di Gottinga) riesce tanto spontaneo

56
C. CASES, in «L’Indice dei libri del mese», vol. IX, n. 3, marzo 1992, p. 16 (cit.
anche da A. DANIELE, Gianfranco Folena, cit., p. 537). Molto suggestivamente, la formula
di Cases è stata da Mengaldo variata in «spargere attorno a sé filologia» (P. V. MENGALDO,
Premessa a Mille sedute, Padova, Editoriale Programma, 1992, p. IX-XI, a p. IX).
57
Cfr. A. DANIELE, Gianfranco Folena, cit., p. 537.
58
Ivi, p. 538. Tra gli altri, anche G. CONTINI, Memoria di Giorgio Pasquali, cit., p. 351,
ricorda la predilezione di Pasquali, «ancora così poco condivisa dai suoi colleghi, per la
conversazione maieutica, per il “seminario” (dove dicono fosse spettacolo bellissimo sor-
prendere il nascere delle sue scoperte, e ancor più la sua umiltà e il festivo saluto della
scoperta altrui)».
59
«È nato così, per generazione spontanea e per via non gerarchica, quello che ci è
piaciuto battezzare con l’appellativo di “circolo filologico-linguistico padovano”: che
potrà sembrare forse una vanità provinciale a chi voglia pensare ad altri circoli insigni
negli annali recenti della linguistica e della filologia, e più direttamente a quello fiorenti-
no del venerdì dal quale il nostro ha derivato lo stimolo e l’esempio» (G. FOLENA,
Presentazione, in Ricerche sulla lingua poetica contemporanea, cit., ora in ID., Scrittori e scritture, cit.,
p. 209). Vd. anche G. FOLENA, Parole introduttive: vecchia e nuova retorica, in Attualità della reto-
rica, Atti del I Convegno italo-tedesco (Bressanone, 1973), Parole introduttive di G.
Folena, Padova, Liviana, 1975, pp. 1-11, ora in ID., Scrittori e scritture, cit., pp. 234-43, a p.
235, in cui il Circolo fiorentino è detto «progenitore del nostro»; e cfr. C. A. MASTRELLI,
Un esempio di costanza, in Studi linguistici per i 50 anni del Circolo Linguistico Fiorentino e «I secon-
di mille dibattiti», 1970-1995, Firenze, Olschki, 1995, pp. VII-XI, a p. IX (e a p. VIII, per
la derivazione pasqualiana dell’attitudine “seminariale”).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 37

indossare.60 Come ha scritto Mengaldo, «quella denominazione nacque in


Folena dall’idea, profondissimamente radicata in lui – e poi nella massi-
ma parte dei suoi allievi – della circolarità e osmosi di linguistica (storica)
e filologia»: 61 circolarità e osmosi simboleggiate nell’intenzionale, e pre-
gnante, trattino congiuntivo dei due componenti (allo stesso modo in cui
Crescini era detto “filologo-linguista”, e Parodi “linguista-filologo”).62
Ancora, nel consuntivo del primo decennio di riunioni del Circolo (si
legge nelle Parole introduttive agli Atti – «Quaderno» n. 6 del Circolo – del
primo incontro di Bressanone, dedicato all’Attualità della retorica) ritorna
un esplicito riconoscimento del valore – nel frattempo divenuto, ancor-
ché preterintenzionalmente, polemico – del fondante abbinamento: «il
coniugio di Filologia e Linguistica, su cui il nostro Circolo si fonda, da
pacifico che era è divenuto spesso difficile e burrascoso, eppure ancor più

60
L’acuta lettura della Normale pasqualiana quale «immagine restituita della vita uni-
versitaria di Gottinga, collegialmente intesa» è di L. CARETTI, Ritratto di Pasquali, cit., p.
392. Di “discussione intorno a un tavolo” si parla esplicitamente nella cit. Presentazione a
Ricerche sulla lingua poetica contemporanea: «La nostra è un’iniziativa tanto più limitata e
modesta, ma insieme appassionata e tenace, nata per il piacere di ritrovarci puntualmen-
te intorno a un tavolo per scambiare esperienze ed idee, per favorire ogni volta che è pos-
sibile l’incontro con studiosi lontani, e soprattutto per incoraggiare i giovani a esprimer-
si, a confrontare metodi e indirizzi diversi e a scegliere fra questi liberamente la propria
via, in un contatto non solo interdisciplinare, com’è di moda dire oggi, ma personale e
umano» (in G. FOLENA, Scrittori e scritture, cit., p. 209). Per il perpetuarsi della forma semi-
nariale nella didattica di Folena e per il suo iterarsi negli allievi, vd. ad es., in questo stes-
so volume, la testimonianza di Sergio Bozzola.
61
P. V. MENGALDO, Premessa a Mille sedute, cit., p. XI. Con Castellani e Baldelli, Folena
è additato tra gli studiosi nei quali è più significativamente visibile l’intreccio di filologia
e storia delle lingua da A. STUSSI, Filologia e storia della lingua italiana, in «Yearbook of
Italian Studies», vol. IX, 1991, pp. 1-20, ora in ID., Lingua, dialetto e letteratura, Torino,
Einaudi, 1993, pp. 214-34, a p. 217.
62
Vd. sopra, p. 25. “Circolo filologico” rinverdiva una denominazione secondo-
ottocentesca: basti pensare al Circolo Filologico Milanese, 1872, o a quello Napoletano
di De Sanctis, 1876; “circolo linguistico”, a sua volta, riecheggia «predecessori illustri»,
come riconobbe G. DEVOTO, Un esempio di modestia, in Mille. I dibattiti del Circolo Linguistico
Fiorentino, 1945-1970, Firenze, Olschki, 1970, pp. 1-6, a p. 1 (e si pensa al Circolo lingui-
stico di Praga, o al Circolo linguistico di Mosca, fondato da Jakobson agli inizi del
Novecento, che Devoto non cita ma fu il precursore di quello praghese). Nell’accezione
fiorentina che stingerà su quella padovana, nel «nome stesso di “Circolo” era sottinteso
lo scambio non gerarchico ma ininterrotto di informazioni e di idee, senza un capotavo-
la, che non fosse l’oratore di turno»: G. DEVOTO, La mille del Circolo, in ID., Gioco di forze,
Vicenza, Neri Pozza, 1971, pp. 217-22, a p. 219.
38 CLAUDIO CIOCIOLA

necessario: somma di esperienze e anche di individui […]. Se la natura del


nostro Circolo è per costituzione eclettica, e se esso non rappresenta né
vuol rappresentare una scuola, ma se mai l’incontro di molte e varie scuo-
le, per cercare insieme strade diverse, a due sue caratteristiche noi tenia-
mo particolarmente: l’apertura e lo scambio internazionale, e quel con-
fronto di metodologie e conoscenze che oggi si chiama “interdisciplina-
rità”, ma che io, anche perché, vecchio e impenitente scolaro di Giorgio
Pasquali, non sono ancora convinto dell’esistenza delle “discipline”, pre-
ferirei ancora chiamare circolarità, o se volete, con Schleiermacher e
Spitzer, Zirkel im Verstehen».63
Si è accennato ai maestri diretti di Folena, e al suo vero maestro di
filologia, anche se non di filologia soltanto: Giorgio Pasquali. Non è
improprio tuttavia interrogarsi su quale fosse il retroterra filologico di un
giovane nato nel ’20 e avviatosi agli studi superiori nel ’37. Il panorama
è già stato tracciato da Stussi.64 Ma lo stesso Folena, per il quale la “sto-
ria degli studi” è occasione di studio dei precursori, e di messa a fuoco,
nell’analisi dell’altrui percorso, delle origini e motivazioni proprie, ci
offre molteplici materiali di riflessione.65 Per citare alcuni dei profili più
riusciti o significativi di filologi (la messe è altrettanto ricca, com’è ovvio,
nell’àmbito degli storici della lingua) – e tacendo di quelli, già citati, dedi-
cati ai maestri diretti, e in particolare a Pasquali –, ecco i nomi, tra Otto
e Novecento, di Ernesto Giacomo Parodi (sentito quasi come un mae-
stro “ideale”) (1962), Emilio Lovarini (1965), Carlo Witte (1967),
Rodolfo Renier (1985), e dei “precursori” nello Studio padovano
Vincenzo Crescini (1984) e Ugo Angelo Canello (1987).66 Assai rilevan-
63
G. FOLENA, Parole introduttive: vecchia e nuova retorica, cit., pp. 235-36. Al Circolo
come «al nostro particolare Zirkel im Verstehen» aveva già alluso (con scherzosa, ma estre-
mamente rivelatrice, aequivocatio tra “Circolo” e “Zirkel”) nella cit. Presentazione del 1966
(ora in ID., Scrittori e scritture, cit., p. 209; e cfr. A. DANIELE, Gianfranco Folena, cit., p. 537).
64
A. STUSSI, Storia della lingua italiana: nascita d’una disciplina, in AA.VV., Storia della lin-
gua italiana, vol. I, I luoghi della codificazione, a cura di L. Serianni e P. Trifone, Torino,
Einaudi, 1993, pp. 5-27, ora in ID., Tra filologia e storia. Studi e testimonianze, Firenze,
Olschki, 1999, pp. 45-80.
65
Il contributo di Folena alla storia delle discipline filologico-linguistiche è valoriz-
zato, tra gli altri, da A. STUSSI, Gianfranco Folena storico della lingua italiana, cit., in part. pp.
256-57.
66
Tranne il penultimo (voce nel Dizionario biografico degli Italiani, cit., vol. XXX, 1984,
pp. 681-85), tutti i profili citati sono raccolti in G. FOLENA, Filologia e umanità, cit., rispet-
tivamente alle pp. 123-53, 177-209, 25-52, 93-122, 53-92.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 39

te, tra gli altri, il profilo di Parodi («l’intelletto forse dotato di più larga e
varia filologia dell’età sua»):67 vuoi per l’originale funzione di “ponte” tra
filologia e storia della lingua assolta dallo studioso genovese (nella
Firenze di Rajna prima e poi di Barbi),68 vuoi per l’influsso diretto che il
saggio sulla Rima nella Divina Commedia esercitò su Folena «novellino
nella Scuola pisana», contribuendo a determinarne la vocazione. Quel
saggio procurò infatti al giovanissimo normalista un salutare incontro
con i “fatti”, fatti “nutriti di storia”: «fui invitato dalla mirabile introdu-
zione a procedere oltre la siepe grammaticale (era la prima volta che la
varcavo), e mi trovai di là con qualche fatica e con un certo disorienta-
mento, in un mondo assai diverso e pieno di spigoli e d’inciampi; dove
nel grande casellario grammaticale stavano bene ordinati fatti, fatti reali
e sperimentati, proprio quei duri fatti contro cui un giovane aveva biso-
gno di battere la testa formicolante di formule e di filosofemi».69 Nella
«naturale “politropia”» del Parodi, e nel suo ricongiungersi all’insegna-
mento fiorentino di Vitelli e Comparetti (al quale Parodi fu «forse più di
ogni altro prossimo nell’aspirazione a una Realphilologie che abbracciasse
e avvicinasse diverse esperienze storiche e che fosse storia complessa di
tradizioni»),70 Folena sembra a un tempo riconoscere tratti culturali e
umani che, vivificati dall’incontro con Pasquali, furono suoi propri. Già
nel 1957 aveva del resto lucidamente individuato, nell’esperienza emble-
matica di Parodi, la sintesi di un’evoluzione cruciale nella storia della cul-
tura italiana della prima metà del Novecento: «si può dire che tutto il
cammino della nostra cultura filologica e linguistica e critica nel passag-
gio dall’idealismo a uno storicismo integrale nutrito di interessi positivi
ci riconduce a Parodi».71 Particolare spicco, nel filo del nostro discorso,
assume tuttavia, anche per l’acume nella ricostruzione del paesaggio cul-

67
G. FOLENA, Ernesto Giacomo Parodi, cit., p. 125.
68
Vd. anche U. VIGNUZZI, Linguistica e filologia: il ‘metodo’ di E. G. Parodi, in AA. VV.,
La Società Dantesca Italiana 1888-1988, Convegno Internazionale (Firenze 24-26 novem-
bre 1988, Palazzo Vecchio - Palazzo Medici Riccardi - Palagio dell’Arte della Lana), Atti
a cura di R. Abardo, Milano-Napoli, Ricciardi, 1995, pp. 207-26.
69
G. FOLENA, Ernesto Giacomo Parodi, cit., pp. 122-23.
70
Ivi, pp. 127, 136.
71
G. FOLENA, Nota sulla presente raccolta, in E. G. PARODI, Lingua e Letteratura. Studi di
Teoria linguistica e di Storia dell’italiano antico, a cura di G. Folena con un Saggio introdutti-
vo di A. Schiaffini, Venezia, Neri Pozza, 1957, pp. XXXIX-XL.
40 CLAUDIO CIOCIOLA

turale di primo Novecento, il saggio dedicato nel ’70 a Benedetto Croce e gli
«Scrittori d’Italia».72 Uno snodo biografico e culturale determinante, pur
nel segno della continuità, rappresentò infatti il passaggio della direzio-
ne degli “Scrittori” dalle mani del Russo («un mio amato e rimpianto
maestro, […] che per vigore e fuoco di temperamento aveva alcunché di
Carducci») in quelle di Folena, all’inizio del 1959 (Russo morirà nel ’61).73
Più che ragguardevoli i risultati raggiunti, sotto la direzione di Folena, da
una collana nelle intenzioni della quale egli aveva scorto, con perspicacia,
un «ponte gettato dall’altra sponda verso la scuola storica, in nome di
una metodologia critica e di una interpretazione della storia molto diver-
se»; o ancora «un assalto in forze» (che aveva indotto la rammaricata rea-
zione di Serra) «proprio della non-poesia e anche della non-letteratura e
dell’antiletteratura alla roccaforte classica e alla “religione delle lette-
re”».74 Il bilancio della direzione Folena risiede corposo nella cinquanti-

72
G. FOLENA, Benedetto Croce e gli «Scrittori d’Italia», in Critica e storia letteraria. Studi offer-
ti a Mario Fubini, Padova, Liviana, 1970, vol. II, pp. 123-60, ora (senza l’Appendice) in
ID., Filologia e umanità, cit., pp. 155-176.
73
La citazione da G. FOLENA, Carducci maestro di retorica, in Carducci e la letteratura italia-
na, Padova, Antenore, 1989, pp. 27-46, ora in ID., Filologia e umanità, cit., pp. 8-24, a p. 20.
74
G. FOLENA, Benedetto Croce e gli «Scrittori d’Italia», cit., pp. 159, 160; a p. 168 ribadi-
rà argutamente: «col suo piano il Croce aveva lanciato un ponte verso la scuola storica,
pur rimanendo ben fermo sulla sua riva napoletana». Notevoli le considerazioni circa la
fin de non recevoir in sostanza opposta dall’altra riva: «fu certo una grossa occasione man-
cata, che allora molti rappresentanti della scuola storica e della filologia più qualificata
rispondessero solo in limine e pochi di loro portassero poi la loro opera a quella vasta
impresa; e fu un grave danno per la serietà e la continuità della nostra filologia che alcu-
ni di quei maestri ed epigoni della scuola storica perdessero allora tempo in improvvisa-
zioni estetiche e critiche, alle quali non erano vocati, o magari in concioni nazionalisti-
che, invece di consacrarsi al lavoro in rebus che davvero conveniva a dei filologi e che solo
poteva far nascere la nuova scuola filologica» (p. 169). Sono parole del ’70, anno in cui
uscì nel «Giornale storico» l’importante saggio Cultura poetica dei primi Fiorentini (ora in ID.,
Textus testis. Lingua e cultura poetica delle origini, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp. 159-96):
l’anno seguente Folena assunse la condirezione della rivista. Si noterà incidentalmente
che l’attività di condirettore di rivista, che risulta spesso – e quasi inevitabilmente – sog-
getta a ragioni di natura contingente, rappresenti in Folena il naturale riflesso – nel solco
delle “tradizioni di studi” a lui più congeniali – dei suoi molteplici fulcri d’interesse: la
storia della lingua italiana («Lingua nostra», la rivista dei maestri, alla quale incominciò a
collaborare ancora studente, nel ’41); la storia letteraria (il «Giornale storico»); la filolo-
gia romanza («Medioevo romanzo»); la lessicografia («Bollettino dell’Atlante linguistico
mediterraneo»), e infine, tutta sua, la filologia veneta («Filologia veneta» appunto, nata
come rivista anche se caratterizzatasi in serie di monografie tematiche a più voci).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 41

na di volumi apparsi nell’arco di un trentennio, a illuminare i quali gio-


vano in primis le acutissime schede editoriali dello stesso direttore, i
famosi “santini”: oggetti bibliologici per natura deperibilissimi e oppor-
tunamente salvaguardati, dunque, in una recente e preziosa raccolta
postuma.75 Qui preme sottolineare le istanze coesistenti di continuità
(Folena era chiamato a succedere a Russo, il quale, assumendo la dire-
zione della serie nel ’37, aveva contribuito «come pochi altri a riaffiatare
la cultura filosofico-critica meridionale con la cultura filologica fiorenti-
na»)76 e al tempo stesso d’innovazione:77 un’innovazione rispettosa
negl’intenti, ma determinata nell’esecuzione e talora dirompente negli
effetti, degli “ascetici” criteri di castità filologica (ed esegetica) dettati nel
1902 e strenuamente difesi dal Croce.78 Né era immaginabile che nel
nuovo direttore la voce della filologia (spontaneamente alleatasi – il pen-
siero va ad esempio ai copiosi glossari che arricchiscono alcuni volumi
tra i più significativi della direzione Folena – alla voce più propria della
storia della lingua: per tutti, vuoi per il rigore filologico che per l’acribia
linguistica, basti ricordare il Boiardo lirico di Mengaldo) potesse tacere.79

75
Costituiscono la sezione II della Parte prima di G. FOLENA, Scrittori e scritture, cit.
76
«Quando la nuova filologia di maestri come Barbi e Pasquali acquistò generale riso-
nanza e prestigio, il senso di una situazione di cultura mutata si ebbe subito con la direzio-
ne assunta nel ’37 da Luigi Russo» (G. FOLENA, Scrittori d’Italia, in Catalogo generale delle edi-
zioni Laterza, Bari, 1974, pp. 9-11, ora in ID., Scrittori e scritture, cit., pp. 53-55, a p. 55).
Descrivendo l’efficacia e l’importanza della “strategia culturale” messa in atto dal Croce nel
primo decennio del Novecento, Folena aveva parlato del «divorzio crescente tra filologia e
filosofia, fra nord scientifico e filologico e sud filosofico», divorzio accentuatosi negli
ultimi anni del positivismo (G. FOLENA, Benedetto Croce e gli «Scrittori d’Italia», cit., p. 156).
77
Nella nota editoriale anonima La nuova direzione degli «Scrittori d’Italia», in «Cultura
moderna», n. 3, 41, maggio 1959, p. 13 (il sommario recita: «Giancarlo [sic] Folena suc-
cede a Luigi Russo alla guida della collana ideata da Croce, che rappresenta oggi il più
vasto, aperto e organico “corpus” di classici italiani») l’anonimo autore, ripercorsa la sto-
ria della collana, scrive: «Su queste linee gli “Scrittori d’Italia” continueranno a cammi-
nare, mantenendo fede al programma iniziale e aprendosi alle soluzioni nuove prospet-
tate di volta in volta dalla nostra progrediente filologia, con una revisione dei criteri edi-
toriali graduale e commisurata ai casi singoli»).
78
Sul modello della Teubner e della Oxford, «testi critici accuratissimi, ciascuno dei
quali affidato ad uno studioso specialista, e non avrà ingombro di note o commenti, salvo,
in fine di ciascun volume, un’appendice critica, che dia conto del metodo tenuto nel pub-
blicare il testo» (vd. G. FOLENA, Benedetto Croce e gli «Scrittori d’Italia», cit., p. 163).
79
È notevole, per il carattere programmatico e per la consapevole concentrazione
sui secoli “di crisi”, quanto Folena scrive, nel 1963, al principio delle schede dedicate al
42 CLAUDIO CIOCIOLA

Certo, nel riconoscere al Croce autore del progetto editoriale degli


«Scrittori» «la tenacia e la capacità ordinatrice di un grande erudito sette-
centesco, con una decisa volontà riformistica», e, nel suo piano, «il dise-
gno, anche se non sempre organico, di una storia letteraria come storia
civile», è difficile non immaginare che Folena rimeditasse indirettamente
sui propri intenti di direttore.80

Boiardo a cura di Mengaldo e agli Scritti critici e satirici di Pier Jacopo Martello: «Nelle
nostre biblioteche di “classici” italiani i palchetti ancora più sguarniti di adeguati incre-
menti moderni (anche se non mancano certo lodevoli eccezioni), son proprio quelli riser-
vati alle epoche meno “classiche”, alle cosiddette età di trapasso, quelle che vedono ela-
borarsi nuove forme di cultura e formarsi una nuova coscienza civile e letteraria, e che
son poi età di note “crisi” linguistiche: il ’400 umanistico e volgare (il “quattrocentuccio”
dei cruscanti), e il ’700 razionalistico e umanistico (il “secol miterino” dei puristi). Il lavo-
ro storico-critico particolarmente intenso negli ultimi anni in questi settori ha largamen-
te rinnovato il panorama degli studi e approfondito i nessi storico-culturali in queste epo-
che “critiche”, verso le quali ci sentiamo sollecitati da interessi attuali: perché questo rin-
novamento sia durevole e profondo occorre che la nostra cultura si familiarizzi sempre
più con testi che restano ancora spesso usufruiti marginalmente o, peggio, indirettamen-
te. In questi campi rimane davvero moltissimo da fare e da rivalutare, se non da scopri-
re, e il programma degli «Scrittori d’Italia» è qui particolarmente impegnato e folto, nel
presente e per gli anni prossimi» (G. FOLENA, Quattrocento e Settecento negli «Scrittori d’Italia»,
in «Cultura moderna», n. 2, 60, aprile 1963, pp. 10-12, a p. 10).
80
G. FOLENA, Benedetto Croce e gli «Scrittori d’Italia», cit., in ID., Filologia e umanità, cit.,
p. 160; e cfr. p. 165: «Una concezione della storia letteraria in sostanza eminentemente
“positiva” e “storicista”, policentrica e legata alla varietà e circolarità delle forme, “pen-
siero-poesia-letteratura-vita morale”, secondo il sottotitolo dell’opera di storia letteraria
e civile del Croce che meglio rispecchierà questa più complessa e articolata concezione,
in contrasto con taluni indirizzi della sua saggistica estetica, la Storia dell’età barocca in
Italia» (dove merita di essere sottolineato, tra l’altro, l’aggettivo “policentrica”, tipica-
mente foleniano; e cfr. G. FOLENA, Scrittori d’Italia, cit., p. 54: «Nella loro etichetta esteti-
camente adiafora, sottratta al giudizio canonico di valore letterario implicito nella nozio-
ne di classico, gli “Scrittori d’Italia” proponevano fiduciosamente a un pubblico di letto-
ri colti, non specialisti ma preparati a leggere un testo senza “ingombro di note o comen-
ti”, una concezione della storia letteraria eminentemente positiva e storicistica, policen-
trica e legata alla varietà e circolarità delle forme, pensiero-poesia-letteratura-vita mora-
le»). Questo aspetto dell’impostazione crociana fu accentuato dalla direzione Russo, e
ribadito da Folena: «Il suo desiderio di fare degli “Scrittori d’Italia” una scuola per i gio-
vani, la sua visione militante e intimamente antiletteraria della letteratura come espres-
sione seria e profonda della vita storica, morale e civile, rimarranno fra i più preziosi
motivi ispiratori del lavoro nel quale ci toccò la sorte, inattesa e immeritata, di succede-
re a un nostro non dimenticabile maestro» (ID., Per Luigi Russo, cit., p. 24).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 43

Se tanto operante, e indissolubilmente connaturato all’attività di sto-


rico della lingua, è in Folena l’esercizio filologico in vivo, tanto parca è la
riflessione esplicita sul metodo: le ragioni, storiche e culturali, di questa
programmatica discrepanza appariranno ormai evidenti. Nella distesa di
un’opera vastissima e policentrica, caratterizzata – come è stato ripetuta-
mente sottolineato – dalla curiosità euristica e dalla capacità d’interpre-
tare, e anzi di “creare”, i problemi da vedette di osservazione mutevoli
(quante volte, d’altronde, anche nelle scienze della natura è il corretto
punto di vista a “creare” il fenomeno!), la riflessione di Folena sulla teo-
ria filologica appare un’isola “minore”. Quel che è certo, l’esplicita rifles-
sione sul metodo – capillarmente diffusa, nella discussione dei fatti, in
ogni sua pagina – forma l’oggetto dichiarato di un unico intervento mag-
giore, tanto più rilevante, dunque, anche nel suo valore programmatico:
le relazione Filologia testuale e storia linguistica, tenuta al convegno bologne-
se Studi e problemi di critica testuale, in cui nel 1960 si gettarono le fonda-
menta della filologia “nuovissima”.81 Andrà osservato che in tale appa-
rente refrattarietà, o meglio insofferenza, al “discorso sul metodo” filo-
logico («Methode ist Erlebnis», secondo l’aforisma dello studioso goe-
thiano Friedrich Gundolf, derivato a Folena, secondo la convincente
ipotesi di Renzi, attraverso una citazione di Leo Spitzer)82 dovrà ricono-
scersi la riaffermazione di un’attitudine antispeculativa («Per noi non si
dà teoria senza esperienza storica»),83 significativamente dichiarata, al di
là della formula di modestia, nel consuntivo autobiografico premesso

81
G. FOLENA, Filologia testuale e storia linguistica, in Studi e problemi di critica testuale.
Convegno di Studi di Filologia italiana nel Centenario della Commissione per i Testi di
Lingua (7-9 aprile 1960), Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1961, pp. 17-34, ora
in ID., Textus testis, cit., pp. 59-77.
82
«[…] i procedimenti del singolo studioso, legati come sono alle sue prime espe-
rienze, alla sua Erlebnis, come dicono i tedeschi, determinano il suo metodo: Methode ist
Erlebnis, ha detto Gundolf» (L. SPITZER, Linguistica e storia letteraria, in ID., Critica stilistica e
storia del linguaggio. Saggi raccolti a cura e con presentazione di A. Schiaffini, Bari, Laterza,
1954 [il saggio era apparso, in inglese, nel 1948], pp. 105-60, a p. 106): cfr. L. RENZI, La
linguistica di Gianfranco Folena, cit., p. 463. Anche se l’uso che Spitzer fa del motto sia adat-
tato a una lettura “autobiografica” del formarsi del metodo (suo proprio e di ogni stu-
dioso), la mediazione sembra tanto più plausibile in quanto la citazione di Spitzer nasce
per associazione con il connotato termine tedesco Erlebnis, che Folena riprenderà nel
medaglione di Pasquali (vd. G. FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., p. 212).
83
G. FOLENA, Volgarizzare e tradurre, cit., p. IX.
44 CLAUDIO CIOCIOLA

all’“ultima lezione” (1990): «io non mi sento preparato a un discorso


generale o conclusivo: non ho un temperamento speculativo e ho sem-
pre preferito il commercio al minuto, il particolare al generale, o meglio
cercare il generale nel particolare, quando ci sono riuscito».84 Nella con-
trapposizione che per un certo periodo aveva opposto la cosiddetta
“filologia formale” alla “filologia reale” (alla filologia, cioè, dei Realien),
non vi è dubbio che le simpatie di Folena si rivolgessero alla seconda. E,
una volta di più, può valere per lui quanto Gennaro Perrotta scrisse a
proposito dell’“impurità” filologica di Pasquali: «Con tutto il suo amore
per la filologia “pura”, Pasquali è un filologo “impuro” […] Se difende
impetuosamente la filologia formale così spesso vilipesa dai faciloni, lo
fa in parte per ragioni metodiche (giustamente egli la ritiene la base indi-
spensabile di ogni filologia), in parte per gusto polemico. Ma i suoi inte-
ressi dominanti sono reali non formali: volentieri egli si proclama “stori-
co”. Poiché veramente egli ha quasi sempre, nella sua opera, due mire
fondamentali: la storia della cultura e l’interpretazione storica dei testi».85
In Ernesto Giacomo Parodi, un maestro indiretto nel quale per molti
aspetti amava riconoscersi, Folena identificherà «un caposcuola della
nostra nuova filologia, accanto a un Barbi, per esempio, grandissimo
nella filologia formale, ma meno sollecitato di lui da interessi di filologia
“reale”, di ricostruzione storica integrale»:86 esplicitamente inquadrando
le figure, per lui complementari piuttosto che antitetiche, di Barbi e di
Parodi nella cornice dell’epica antitesi ottocentesca che aveva contrap-
posto Hermann a Boeckh.87 Quanta consapevolezza e curiosità metodi-
ca innervasse l’attività di Folena basterebbero tuttavia a dimostrare le

84
G. FOLENA, Antroponimia letteraria (ultima lezione – 23 maggio 1990), in «Rivista
Italiana di Onomastica», vol. II, 1996, pp. 356-68, alle pp. 356-57. Nel ’65, nel ritratto di
Emilio Lovarini, dello studioso aveva elogiato «la capacità di cogliere il particolare nella
sua individuale essenza, da filologo vero, e non da estrinseco comparatista, e di valutare
i fatti con forte senso storico» (G. FOLENA, La vita e gli studi di Emilio Lovarini, in E.
LOVARINI, Studi sul Ruzzante e la letteratura pavana, a cura di G. Folena, «Miscellanea erudi-
ta», I, Padova, Antenore, 1965, pp. VII-XLIII, ora in ID., Filologia e umanità, cit., pp. 177-
209, a p. 183).
85
G. PERROTTA, Intelligenza di Giorgio Pasquali, cit., p. 11.
86
G. FOLENA, Ernesto Giacomo Parodi, cit., p. 126.
87
Ivi: «chi scriverà in futuro la storia della filologia del ’900 vedrà forse queste due
figure come rappresentanti due tipi e due momenti opposti e necessari della filologia,
quasi lo Hermann e il Boeckh della moderna filologia nostrana».
LA FILOLOGIA DI FOLENA 45

brevi pagine che seguono, nel fascicolo di «Letteratura» del maggio-giu-


gno 1953 (da quel numero lo studioso subentrava a Lanfranco Caretti
nella redazione della rassegna Filologia), l’annuncio della seconda edizio-
ne di Storia della tradizione e delle concomitanti prolusioni pavese di
Caretti e fiorentina di Contini («che ha dato, con la coscienza critica della
moderna filologia romanza nella sua totalità, una splendida dimostrazio-
ne della validità del metodo lachmanniano, affrontando in un caso esem-
plare, colto dal campo francese antico, la tradizione del Saint Alexis, la
strenua riduzione di una tradizione supposta finora bipartita o aperta a
una tradizione tripartita o chiusa»).88 Intitolate Statica e dinamica del testo,
sono pagine che dialogano con Caretti, anche in chiave terminologica (a
proposito dell’apparato, Folena propone, in alternativa all’opposizione
“sincronico/diacronico” di Caretti, quella “statico/dinamico”), sulla
questione, divenuta cruciale per i modernisti anche in grazia del libro di
Pasquali, delle varianti d’autore.89 «Il problema della mobilità del testo –
annota, con la consueta curiosità multidisciplinare, Folena – è ormai cen-
trale nell’attività filologica presente e fornisce materia di riflessione al lin-
guista come al filologo [sic] dell’estetica; né è vivo soltanto nella lettera-
tura, ma, come nella musica, così anche nelle arti figurative lo studio
genetico non si presenta più come esame di schizzi e abbozzi prepara-
tori o comunque redazioni diverse della stessa opera: soprattutto nella
pittura l’ausilio dei mezzi radiografici favorisce oggi spesso l’introspe-
zione del quadro e lo studio di “correzioni”».90 La prolusione di Caretti
si apre con la rievocazione del sodalizio intellettuale con Pasquali (morto
prematuramente l’anno prima, il 9 luglio 1952) e con la giustificazione
del tema della prolusione (varianti d’autore, apparati «diacronici» e criti-
ca delle varianti), dal sodalizio con Pasquali alimentato e anzi diretta-

88
G. FOLENA, Un libro e due prolusioni, cit., p. 81. La prolusione di L. CARETTI, Filologia
e critica, tenuta il 17 novembre 1952, fu pubblicata in «Aut aut», n. 12, 1952, pp. 484-506,
poi in ID., Filologia e critica, cit., pp. 1-25, ora in ID., Antichi e moderni, cit., pp. 471-88; quel-
la fiorentina di G. Contini, La “Vita” francese “di Sant’Alessio” e l’arte di pubblicare i testi anti-
chi, fu pubblicata soltanto nel ’70, in AA.VV., Un augurio a Raffaele Mattioli, Firenze,
Sansoni, 1970, pp. 343-74, e ora in G. CONTINI, Breviario di ecdotica, cit., pp. 67-97.
89
G. FOLENA, Statica e dinamica del testo, in «Letteratura», vol. I, n. 3, maggio-giugno
1953, pp. 82-84. Che l’opera di Pasquali inducesse a un «esame di coscienza» anche il filo-
logo romanzo aveva subito additato l’importante rec. di G. Contini, in «Archivum
Romanicum», vol. XIX, 1935, pp. 330-40, a p. 330.
90
G. FOLENA, Statica e dinamica del testo, cit., p. 82.
46 CLAUDIO CIOCIOLA

mente provocato.91 Dai temi delle concomitanti prolusioni Folena ricava


«la riprova più viva» della fecondità del lascito pasqualiano «nella nostra
cultura», rivelato «ancora una volta da un italianista critico e filologo e da
un romanista filologo e critico che nel loro insediamento universitario
italiano hanno iniziato il loro diverso discorso col nome di Pasquali».92 E
conclude che il maestro avrebbe avuto «di che essere contento vedendo
messi a fuoco in maniera così lucida due problemi che gli stavano a
cuore, e non per opera di scolari di stretta osservanza, ma di maestri di
tirocinio diverso e complesso, seppure a lui legati da lungo colloquio: che
è la prova più perentoria di quella vitalità dei problemi che si manifesta
fuori da tutti i confini estrinseci e muraglie cinesi e strette osservanze».93
Periodizzare è operazione tanto delicata quanto, a volte, futile. Pure,
si può affermare che la concentrazione maggiore dell’attività stricto sensu
filologica di Folena si attui all’incirca nel quindicennio 1950-1965 (e subi-
to risalterà l’inadeguatezza dell’asserto, quando si ricordi il contributo
all’edizione delle Poesie foscoliane nel vol. I dell’Edizione Nazionale, del
1985: testimonianza estrema di fedeltà alla critica del testo). Sul piano bio-
grafico, non si potrà considerare ininfluente la circostanza che Folena,

91
Cfr. la Prefazione alla seconda ed. di Storia della tradizione, cit., pp. XXI-XXII; a p.
XXI l’autore si dichiara consapevole del magistero esercitato attraverso la prima ed. del-
l’opera: «Mi sento di poter dire che le indagini testuali degli Spongano, Caretti, Folena, e
nomino tre dotti coi quali sono stato e sono in stretta relazione d’amicizia, senza quel
libro sarebbero forse state, ma presenterebbero un aspetto un po’ diverso». Per l’influs-
so di Pasquali sugli italianisti in generale vd. A. LA PENNA, Lo scrittore “stravagante”, cit.,
pp. 77-78; la storia della questione delle varianti d’autore in quegli anni è stata ricostrui-
ta da F. FINOTTI, La storia finita. Filologia e critica degli “scartafacci”, in «Lettere italiane», vol.
XLVI, 1994, pp. 3-43. Notevole il passo della prolusione di Caretti in cui si discute la
valenza della critica delle varianti in prospettiva critico-letteraria (in filigrana, la polemica
Croce-Contini sulla “critica degli scartafacci”), perché in esso riemerge un richiamo alla
“concretezza” dei problemi: «il “variantismo” già è stato giudicato una sorta di vizio
decadente, così come a suo tempo si pensò di fermare il passo alla filologia con lo spet-
tro del “filologismo” (che in fondo poi non era che cattiva filologia o filologia in mala
fede; allo stesso modo che c’è ovviamente anche uno studio delle varianti cattivo e depre-
cabile). Ma una discussione così impostata, fuori della realtà concreta del problema e
delle figure precise dei praticanti del metodo, è condannata a lasciar il tempo che trova»
(L. CARETTI, Filologia e critica, cit., pp. 484-85).
92
G. FOLENA, Un libro e due prolusioni, cit., p. 81
93
Ivi, pp. 81-82; per “muraglie cinesi” cfr. la Prefazione alla seconda ed. di Storia della
tradizione, p. XXIV («Meno che mai rispetterò il confine, anzi la muraglia cinese, che serra
e soffoca la filologia classica»).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 47

all’epoca insegnante nei licei, fosse dal 1950 al 1955 comandato presso il
Centro di Studi di filologia italiana dell’Accademia della Crusca:94 Centro
diretto, dal giugno del ’49 alla morte, da Pasquali (gli successe Casella, e a
questi, dal ’56 – quando Folena era ormai a Padova –, Contini).95 Agli anni
del comando risalgono le due preziose raccolte, in collaborazione con il
maestro Bruno Migliorini, di Testi non toscani del Trecento (Modena, 1952) e
di Testi non toscani del Quattrocento (ivi, 1953): notevoli, originali e precoci
esempi di sillogi sussidiarie alla didattica universitaria, in cui l’accerta-
mento testuale (si tratta in genere, anche se non esclusivamente, di testi di
carattere pratico, precedentemente editi in sedi disparate e talora malage-
voli) è preliminare alla loro valorizzazione in quanto testimonianze di lin-
gue municipalmente dislocate (sempre Folena prediligerà «scrutare – ha
scritto Mengaldo – non il centro della lingua, ma le sue periferie»).96 E
ancora in quegli anni si collocano le edizioni dei quattrocenteschi Motti e
facezie del piovano Arlotto (Milano-Napoli, 1953) e della Istoria di Eneas vul-
garizata per Angilu di Capua, versione siciliana primo-trecentesca del volga-
rizzamento di Andrea Lancia di un compendio dell’Eneide, apparsa a
Palermo nel ’56 (vol. 7 della “Collezione di testi siciliani dei secoli XIV e
XV”, diretta da Ettore Li Gotti) ma intrapresa negli anni del comando
fiorentino (la Nota al testo è datata «Firenze-Padova, inverno 1955»).97 È
notevole, pertanto, ma non sorprendente, che la vigilia filologica di
Folena, strettamente avvinta agl’interessi concomitanti e preminenti di
linguistica storica (anche se non disgiunta da anticipazioni, più o meno
larvate, di altri interessi, che acquisteranno col tempo spazio sempre più
ampio), si sviluppi e fruttifichi proprio negli anni del “bagno filologico”
fiorentino e del comando alla Crusca.98

94
Vd. Catalogo degli Accademici dalla fondazione, a cura di S. Parodi, Firenze, Presso
l’Accademia, 1983 (“IV Centenario dell’Accademia della Crusca”), p. 283 n. 971.
95
Ivi, pp. 277-78 n. 952, 280-81 n. 963.
96
P. V. MENGALDO, Ricordo di Gianfranco Folena, in «Giornale storico della letteratura
italiana», vol. CLXIX, 1992, pp. 321-33, a p. 327 (e cfr. G. FOLENA, La storia della lingua,
oggi, in AA.VV., Lingua, sistemi letterari, comunicazione sociale, Padova, CLEUP, 1977, pp. 109-
36, a p. 129).
97
La Istoria di Eneas vulgarizata per Angilu di Capua, a cura di G. Folena, Palermo,
Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 1956, p. 265.
98
Di “bagno filologico” Folena parla a più riprese: ad es. in relazione a Parodi (G.
FOLENA, Ernesto Giacomo Parodi, cit., p. 139), o ancora a proposito del retaggio della scuo-
la storica torinese: «Quanto questo bagno filologico abbia fatto bene alla nostra cultura
48 CLAUDIO CIOCIOLA

Dell’ampia Nota al testo che giustifica l’edizione della Istoria di Eneas


interessa, in particolare – con lo sguardo rivolto ai futuri sviluppi di un
ramo rigoglioso degl’interessi dell’estensore, quello per l’arte e la tecnica
della traduzione letteraria (basti il rimando a Volgarizzare e tradurre) –, la
caratterizzazione delle peculiarità della tradizione dei volgarizzamenti e
l’affermazione della prioritaria esigenza di metter ordine nell’intrico selvo-
so delle genealogie, o “trafile”, dei monumenti ancor prima di affrontare
la questione tecnica della classificazione dei testimoni (è merito, tra gli
altri, di Folena l’aver considerevolmente ampliato, e riordinato – dopo lo
studio pionieristico del Parodi – anche la folta tradizione del volgarizza-
mento toscano del Lancia, in previsione di un’edizione non andata in
porto di quella versione).99 Di testi siffatti, in ragione delle “metamorfosi
plurilingui” non di rado subite, la «fisionomia culturale e linguistica è l’ul-
timo e spesso teratologico risultato di diverse incarnazioni linguistiche».100
L’accertamento della veridicità testuale non potrà pertanto prescindere
dalla vigile consapevolezza del condizionamento causato, prima ancora
che dall’ordinario sviluppo della trasmissione verticale (e Folena chiarisce,
nel caso specifico, l’importanza del dimostrato rapporto della redazione
siciliana, rappresentata da due testimoni indipendenti, con un ramo della
tradizione fiorentina, per poter “chiudere” quel caso di recensione “aper-
ta”),101 dalla delicatezza dei travasi linguistici operatisi e dalla mutevole e
variegata competenza, linguistica e testuale, di chi di quei travasi fu
responsabile: nella fattispecie (a tacere dei copisti dell’Eneide e dei copisti
del non ritrovato compendio latino dell’Eneide di frate Anastasio minori-
ta), il volgarizzatore fiorentino Andrea Lancia e i copisti del suo volgariz-
zamento da un lato, il traspositore in siciliano e rimaneggiatore della ver-
sione lancèa Angelo di Capua da Messina e i suoi copisti dall’altro.102 Il
riferimento tipologico più diretto ed esemplare è giudicato da Folena

ha riconosciuto Benedetto Croce anche recentemente» (rec. a Letterature e leggende di


Ferdinando Neri (1951), ora in ID., Scrittori e scritture, cit., pp. 33-37, alle pp. 33-34).
99
La Istoria di Eneas, cit., pp. 233-52 (l’annuncio dell’intenzione di pubblicare l’edi-
zione del volgarizzamento del Lancia a p. 249; per lo studio di Parodi, vd. G. FOLENA,
Ernesto Giacomo Parodi, cit., pp. 138-39).
100
La Istoria di Eneas, cit., pp. 229-30.
101
«E così la tradizione “aperta” viene in molti casi a “chiudersi” automaticamente
con l’apporto verticale della tradizione del Lancia» (ivi, p. 253, e cfr. p. 255).
102
Vd. La Istoria di Eneas, cit., p. 257.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 49

quello alla tradizione testuale del Milione, e il significativo richiamo di


metodo, che apre la Nota al testo, è alle pagine che a quella tradizione
dedicò Pasquali in Storia della tradizione.103 Sono le pagine finali dell’Excursus.
Archetipi che si ricostruiscono per addizione e non integralmente, che conclude il
celebre cap. IV – Recentiores, non deteriores – dell’opera. Converrà citare il
passo al quale Folena espressamente rinvia. Nella famiglia A dell’archeti-
po del Milione, giudica Pasquali, è notevole «il processo continuo di tra-
duzione e ritraduzione da una lingua in un’altra nei capostipiti delle sot-
tofamiglie e poi nella discendenza di ciascuno di essi, il quale rende diffi-
cile all’editore il lavoro di collazione, tecnicamente impossibile il riassu-
merlo brevemente nell’apparato».104 Nella restituzione della veste della
redazione messinese di Angelo di Capua, assicurata da due testimoni, A e
B, l’uno trecentesco e l’altro quattrocentesco, Folena rifiuta la lezione di
«B quando forniva una lezione formalmente più siciliana, dato che le trac-
ce antiche di toscaneggiamento di A, così cospicue e storicamente note-
voli, vanno fedelmente conservate».105 Filologia e storia della lingua, dun-
que, ancora una volta – nell’edizione di un testo che incarna uno degli
innumerevoli rappresentanti della sopravvivenza di “Virgilio nel Medio
Evo” –, indissolubilmente avvinte.
Tutt’altro che casuale è dunque che proprio al Folena linguista-filolo-
go fosse affidato, nel quadro del ricordato convegno bolognese del ’60, il
tema Filologia testuale e storia linguistica. Il problema, cruciale e delicatissimo
per ogni filologo, della restituzione della veste formale dei testi offre a
Folena il destro di ripercorrere, a grandi falcate ma con acuta dottrina, la
storia delle modalità di rappresentazione grafica dei testi dalle Origini alla
prima diffusione della stampa, mettendo in luce, insieme alla peculiarità
dei fenomeni, le implicazioni che essi determinano nell’evoluzione dell’i-
taliano letterario e nella prassi filologica dal Cinquecento in poi. La fisio-
nomia del quadro storico, delineato sottolineando le diverse modalità
della tradizione dei testi moderni rispetto a quelli dell’antichità classica,
«pone da un lato problemi particolari assai gravi al critico del testo vol-
gare, che è tenuto, in misura molto maggiore del critico del testo latino o

103
Ivi, p. 230 n. 3; cfr. G. PASQUALI, Storia della tradizione, cit., pp. 104-8.
104
Ivi, p. 105. Il nome di Pasquali, nell’Istoria, compare fin dalla prima pagina
dell’Introduzione (La Istoria di Eneas, cit., p. IX n. 1), nella qualità di curatore della nuova
edizione del Virgilio nel Medio Evo di Comparetti (Firenze, 1941).
105
La Istoria di Eneas, cit., pp. 255.
50 CLAUDIO CIOCIOLA

greco, a sviluppare caso per caso una speciale metodologia indirizzata a


fissare materialmente o a ricostruire ipoteticamente la veste linguistica
che nell’ambito di una tradizione si può determinare come più vicina
all’originale […], una metodologia di quella che proporrei di chiamare,
forzando il significato di un termine dantesco, discretio linguistica, cioè una
tecnica della ricostruzione e del restauro della lingua fondata sul presup-
posto della prevedibile natura poligenetica della innovazione linguistica; e
questa metodologia viene a innestarsi, con caratteristiche sue proprie,
quando le testimonianze siano plurime, sulla metodologia della recensio,
fondata invece sul presupposto logico lachmanniano della corruttela
monogenetica e congiuntiva».106 Con il corollario, oggi certo non sor-
prendente, ma in evidente anticipo sui tempi, dell’importanza vitale, per
lo storico della lingua, dello studio e della caratterizzazione del testimone
in quanto individuo, al di là del suo “algebrico” incasellamento funziona-
le nello stemma. Lo storico della lingua ha infatti «l’obiettivo puntato,
oltre il testo “come fine”, alla sua vita linguistico-culturale, alla sua volga-
rizzazione e diffusione nel tempo e nello spazio».107 È evidente quanto
tale posizione, ancora una volta sensibile all’insegnamento del Pasquali di
Storia della tradizione (la vitalità della storia della tradizione nell’ottica e
secondo la declinazione specifica dello storico della lingua), sia risultata
feconda negli sviluppi successivi vuoi della storia della lingua vuoi della
filologia italiana. È indubbio che la sensibilità nei confronti dell’indivi-
dualità del testimone sia oggi un fatto acquisito, anche in filologia: ma è
certo che, nel ’60, la lucida consapevolezza di Folena appare su questo
punto precorritrice. Qui è anche il più esplicito riconoscimento di quella
imprescindibile circolarità di linguistica storica e di filologia in cui gli ese-
geti più accorti, da Mengaldo a Stussi, hanno avvertito uno dei tratti carat-
terizzanti del Folena studioso di testi: «non c’è bisogno che dica – prose-
gue la relazione bolognese – quanto il progresso degli studi di storia della
lingua italiana è legato al progresso della nostra filologia, non solo attra-
verso uno scambio e una circolazione di risultati, ma con una convergen-
za effettiva di posizioni, nell’inserimento sempre più vivo di vicende indi-
viduali dentro la vicenda collettiva della lingua: il critico del testo è oggi
sempre più sollecitato da interessi di storia linguistico-culturale e sempre

106
G. FOLENA, Filologia testuale, cit., p. 59.
107
Ivi, p. 60.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 51

più è obbligato a provvedersi del bagaglio tecnico necessario, e lo storico


della lingua è sempre più direttamente partecipe del lavoro filologico-
testuale».108 È una lucida presa di posizione, e al tempo stesso un sipario
programmatico aperto sui successivi decenni di studi propri e altrui
(anche se lo stato dell’arte appariva a Folena nel complesso confortan-
te).109 È del resto sintomatico che l’esempio citato a rincalzo sia l’allora
recente, brillantissima etimologia continiana di razza, originata dallo scru-
tinio di una tradizione testuale.110 Ne consegue l’invito a non disperdere il
prodotto pazientemente accumulato nella collazione formale dei testimo-
ni, o anche nella spesso pletorica congerie, destinata – a norma di stem-
ma – a disperdersi, delle lectiones singulares: «Non si può certo auspicare che
gli apparati, salvo casi eccezionali, raccolgano tutti questi materiali lingui-
stici a piè di pagina: scopo degli apparati è quello di fornire tutti, e sol-
tanto, gli elementi utili per la costituzione del testo, non i dati documen-
tari per la storia della sua fortuna. È però desiderabile che (come si
comincia a fare) questa ricca esperienza che tanto spesso va perduta for-
nisca materia di raccolte e di studi particolari. Per lo storico della lingua
tutti i materiali superflui che la recensio man mano accantona ed elimina
come descripti o sicuramente spuri sono evidentemente utili e suggestivi,
soprattutto quando le indicazioni topografiche e cronologiche permetta-
no di aprire uno spiraglio sull’uso di un centro scrittorio e su una parti-
colare tradizione scrittoria».111 Notevoli sono altresì le posizioni enuncia-
te circa la questione cruciale, nella prassi, della «restituzione del colorito
linguistico e della resa grafica del testo antico»; posizioni che sarebbe
tanto più opportuno vagliare alla luce di recenti recrudescenze della dis-

108
Ivi, p. 60; cfr. la rec. di A. Stussi a Textus testis, in «Lingua e stile», vol. XXXVII 2,
2002, pp. 341-44, a p. 343. Per la “mediazione” filologica nell’àmbito delle scelte di Folena
nei confronti della linguistica, vd. ID., Gianfranco Folena storico della lingua italiana, in «Italia-
nistica», vol. XXVI, 1997, pp. 491-99, ora in ID., Tra filologia e storia, cit., pp. 243-59, a p.
245; per il carattere «primario e fondante» dell’aspetto filologico in Folena, anche in con-
trasto con il maestro Devoto, vd. A. DANIELE, Gianfranco Folena, cit., p. 540 e passim.
109
«Senza timore di esagerare, e con la consapevolezza di tutto quello che resta da
fare, si può dire che questa situazione è oggi un vanto della filologia italiana, com’è d’al-
tronde un carattere della sua tradizione migliore, dal Borghini al Barbi» (G. FOLENA,
Filologia testuale, cit., p. 61).
110
G. CONTINI, I più antichi esempî di razza, in «Studi di filologia italiana», vol. XVII,
1959, pp. 319-27 (vd. G. FOLENA, Filologia testuale, cit., p. 60).
111
Ivi, pp. 66-67.
52 CLAUDIO CIOCIOLA

cussione sul tema, tanto delicato e spinoso quanto, finché si dia filologia,
ineludibile.112 L’auspicio – e anche in questo caso un richiamo di Pasquali,
precedente di vent’anni, si rivela puntuale – della rapida messa in cantie-
re di un grande dizionario storico dell’italiano in sostituzione del vecchio
Tommaseo-Bellini («che nel lavoro di filologi e linguisti rappresenta anco-
ra oggi la più comune, utile, quotidiana presenza») è la naturale conclu-
sione del discorso metodologico di Folena.113
L’importanza dell’escussione linguistica delle singole testimonianze
all’interno di una tradizione testuale (la tradizione presa ad esempio è quel-
la della Commedia dantesca, con un avvincente excursus etimologico su bara-
tro-baratto-barattolo) consente a Folena, sette anni più tardi (Geografia lingui-
stica e testi medievali),114 di approfondire, raccogliendo uno spunto di
Giovanni Nencioni e valorizzando la «complessa fenomenologia dei rap-

112
Ivi, p. 73; che tali pagine non abbiano perso «attualità e autorità» giudica Stussi,
rec. cit., a Textus testis, p. 342.
113
G. FOLENA, Filologia testuale, cit., p. 77: «il più fecondo e naturale terreno d’in-
contro della filologia testuale e della storia della lingua, il più urgente obiettivo per il
progresso del lavoro comune, resta comunque l’opera del grande dizionario storico che
speriamo di vedere presto in cantiere». Nella primavera del ’41 Pasquali aveva disegna-
to il modello di un vocabolario storico dell’italiano improntato all’esperienza del
Thesaurus linguae Latinae, nel quale si facesse adeguato luogo alle informazioni grafiche e
morfologiche, e si ordinassero i corpi degli articoli secondo criterî sintattici: «Quello che
nella prima metà del nostro secolo è stato il migliore conoscitore di letteratura italiana
antica, Michele Barbi, si lamentava spesso che i nostri classici, antichi e moderni, non
fossero stati ancora né pubblicati criticamente né interpretati adeguatamente. Anch’egli
ravvisava una delle ragioni principali della scarsa feracità, sicurezza, conclusività dell’i-
talianistica moderna nella mancanza di ogni sussidio lessicale. Io l’ho veduto spesso, già
vecchio, leggere testi con la penna in mano per trovare e schedare vocaboli e costrutti
sintattici, e ogni volta ho pensato con rammarico che questo lavoro, che gli toglieva
tempo per altri uffici più degni della sua intelligenza, non poteva se non rimanere fram-
mentario e quindi poco utile. Testi italiani non si potranno pubblicare e intendere pre-
cisamente, se l’editore e il lettore non saranno sorretti da un dizionario che mostri come
ogni vocabolo sia usato e da quali autori» (G. PASQUALI, Tesoro della lingua italiana, in
«Primato», vol. IV, n. 5, 1 marzo 1943, pp. 82-83, ora in ID., Lingua nuova e antica, cit, pp.
94-102, alle pp. 96-97; l’organico, notevolissimo progetto era stato esposto due anni
prima: G. PASQUALI, Per un Tesoro della lingua italiana, cit.; per la genesi di quel contribu-
to vd. Y. GOMEZ GANE, Per un «Thesaurus» della lingua italiana: un breve inedito di Giorgio
Pasquali, in «Studi linguistici italiani», vol. XXX, 2004, pp. 113-17).
114
G. FOLENA, Geografia linguistica e testi medievali, in AA.VV., Gli atlanti linguistici.
Problemi e risultati (Roma 20-24 ottobre 1967), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei,
1969, pp. 197-222, ora in ID., Textus testis, cit., pp. 27-58.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 53

porti fra geolinguistica e filologia medievale»,115 l’opportunità per il lingui-


sta-filologo, questa volta in relazione allo studio della linguistica areale
(«Nelle mani del linguista-filologo l’apparato è una specie di sensibile for-
cella rabdomantica, che rivela di frequente correnti sotterranee, altrimenti
non manifeste»), di invertire, per dir così, l’orientamento dell’ispezione
della varia lectio, e di mettersi – valorizzando, anche in chiave esplicitamen-
te strutturale, l’individualità del testimone –, nei “panni del copista”:
«Quando si fa critica del testo ci si mette, o si tenta di metterci, nei panni
dell’autore, di risalire su per i rami della tradizione verso la vetta dell’e-
spressione originale, in un processo di anabasi comparativa: dal nostro
punto di vista […] può essere singolarmente interessante percorrere il
cammino inverso, collocarsi al polo opposto e metterci nei panni del copi-
sta, considerando costui come “cronotopo” linguistico e cercando di
coglierne, al di là degli interventi sporadici, il sistema».116 L’intera pagina
(«sommarissima presentazione metodologica del problema della meta-

115
Vd. G. NENCIONI, Filologia e lessicografia: a proposito della “variante”, in Studi e proble-
mi di critica testuale, cit., pp. 183-92; prosegue Folena: «Il dare e l’avere tra filologia testua-
le e geolinguistica, in tutte le sue specificazioni e applicazioni metodologiche e storiche,
geofonologia e geomorfologia, geoonomasiologia e geosemantica, stratigrafia linguistica
e linguistica areale, e quella di recente sviluppo e di crescente importanza che può chia-
marsi geolinguistica dei contatti o delle affinità, sono evidentemente reciproci, riguarda-
no da un lato, per esempio, la localizzazione del testo sulla base di isoglosse precisate
dalla geolinguistica, che per verificarle nel passato si deve d’altronde servire di altri testi
già sicuramente localizzati e localmente indicativi (ed ecco già disegnarsi un primo cir-
coscritto ed essenziale Zirkel im Verstehen, nel nostro dominio), dall’altro l’utilizzazione
del testo scritto come fonte, diciamo come “informatore”, per la raccolta di dati lingui-
stici nel passato. Quanto questo circolo sia attivo, mostrano, per esempio, le note intro-
duttive e i commenti ai Poeti del Duecento di Gianfranco Contini, ricchissimi di indicazio-
ni e di insegnamenti anche da questo punto di vista» (G. FOLENA, Geografia linguistica, cit.,
pp. 27-28). Cfr. A. STUSSI, Apporto di temi moderni alla pratica ecdotica, in Filologia classica e filo-
logia romanza: esperienze ecdotiche a confronto. Atti del Convegno (Roma, 25-27 maggio 1995),
a cura di A. Ferrari, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1998, pp. 567-
81, ora in ID., Tra filologia e storia, cit., pp. 27-43, a p. 33; e soprattutto, anche per l’acuto
inquadramento storico, ID., Gianfranco Folena storico della lingua italiana, cit., p. 244. La sug-
gestione esercitata su Pasquali dalle formule areali del Bartoli è rilevata da Folena, in pagi-
ne penetranti sul significato dell’interesse di Pasquali per la linguistica italiana, nel suo più
volte citato ricordo: «È notissima l’applicazione che proprio Pasquali fece di quei princi-
pî, particolarmente di quello delle “aree laterali”, alla storia della tradizione dei testi, nella
sua opera maggiore» (G. FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., p. 219).
116
G. FOLENA, Geografia linguistica, cit., pp. 36-37.
54 CLAUDIO CIOCIOLA

morfosi linguistica nel corso della trasmissione dei testi») costituisce un’o-
riginale riflessione sui principî della critica testuale applicati alle “geova-
rianti” («varianti geograficamente motivate», introdottesi nella tradizione
di un testo nel corso della sua propagazione nello spazio).117 Folena traccia
un’originale tipologia, morfologica ed eziologica, delle innovazioni di
carattere linguistico, notandone il carattere prevalentemente poligenetico,
non congiuntivo: con le conseguenti ricadute sulle determinazioni di
parentela e in relazione «alla crux massima della contaminazione». Del con-
flitto, o interazione (ai vari livelli), tra morfologia linguistica dell’originale
o dell’antigrafo e langue del copista (i rapporti d’integrazione «dando luogo
talora a un vero e proprio diasistema») si propone un’interpretazione strut-
turale, efficacemente riassunta in una metafora astronomica: «come nelle
diverse fasi di un eclisse, le aree linguistiche di a (apografo) e di A (anti-
grafo) potranno risultare totalmente o parzialmente sovrapposte o tan-
genti o esterne».118 Anche in questa notevole pagina di teoria testuale, che
in definitiva ha per oggetto la fenomenologia degli “interventi coscienti”
di matrice linguistica nell’alveo della tradizione, fruttifica l’insegnamento di
Storia della tradizione, la cui voce giunge quasi a riecheggiare laddove si affer-
ma (con l’accentuazione giustificata dalla prospettiva del filologo romanzo
e dello storico delle lingue moderne) uno storicistico “antimeccanicismo”:
«La tradizione di un testo è viva ogni volta che la trascrizione di un origi-
nale o di una copia non è puramente meccanica, caso rarissimo».119
L’abbandono della Toscana e il trasferimento, nel 1954, a Padova, com-
portò, com’è noto, un arricchimento prospettico ma anche un progressivo
e sempre più tumultuoso e innovante “insediamento” di Folena nei ranghi,
già prestigiosamente rappresentati negli ultimi decenni dell’Ottocento, della
filologia veneta (“Filologia veneta” s’intitolerà una delle sue ultime creatu-
re).120 Anche e soprattutto in questo caso la contingenza biografica si tra-

117
Ivi, p. 38.
118
Ivi, p. 37.
119
Ivi, e cfr. il punto 6 del decalogo “di dodici articoli” nella Prefazione a Storia della
tradizione: «È un pregiudizio credere che la tradizione degli autori antichi sia sempre mec-
canica; meccanica è solo dove l’amanuense si rassegna a non intendere» (G. PASQUALI,
Storia della tradizione, cit., p. XVII); anche se Pasquali respingerà gli eccessi dell’antimec-
canicismo: vd. S. TIMPANARO, Storicismo di Pasquali, cit., p. 144.
120
Le ragioni storiche di una “filologia veneta” sono lucidamente analizzate (sinto-
matico, tra l’altro, il confronto tra Venezia e Firenze) nella Premessa al primo volume,
dedicato a Ruzzante, della serie (Padova, Editoriale Programma, 1988), ora (sotto il tito-
LA FILOLOGIA DI FOLENA 55

duce in razionale, e straordinariamente ferace, elaborazione intellettuale. La


geografia evolve, a parte subiecti, in “punto di vista”, e in “luogo di tensioni”
a parte obiecti: «Il Veneto è un crocevia europeo e mediterraneo che ci pone
di fronte a opzioni decisive della nostra storia linguistica e culturale: è la
massima officina del plurilinguismo letterario e teatrale e insieme dell’affer-
mazione del monolinguismo toscano».121 Europa e Mediterraneo, lingue in
contatto e in crisi (di crescenza), storia linguistica e/in quanto storia cultu-
rale, plurilinguismo e teatro, Veneto e Toscana: credo sia difficile trovare
una più lucida e concentrata sintesi retrospettiva dei temi di una vita dedi-
cata alla ricerca di quella che si legge nella Premessa a “Filologia veneta”. Ma
del Veneto di Folena (ideatore della monumentale e innovativa «Storia della
cultura veneta») – dalla scoperta della Omelia volgare padovana, testo vene-
rando delle nostre Origini, alla mancata edizione (preparata però da illumi-
nanti studi) del canzoniere di Giovanni Quirini, alla valorizzazione lessico-
grafica dei testi in pavano (con la riscoperta di un originale precursore degli
studi sul pavano e su Ruzante quale Emilio Lovarini), al suo Goldoni e oltre
– ha detto da par suo Stussi in questi Atti.122 Del Folena “filologo veneto”
(e sarà bene sottolineare ulteriormente quanto al filologo debba in lui l’e-
sperto lessicografo) si citerà perciò soltanto, come nuovo esempio di sensi-
bile e curiosa capacità di “isolare” i problemi e di “creare” i metodi idonei
a risolverli operando in vivo, l’edizione della tardo-trecentesca Bibbia istoriata
padovana.123 Si tratta della «Bibbia più ampiamente “istoriata” di tutto il
Medioevo italiano»: documento linguisticamente prezioso – insieme al

lo Premessa ad una «Filologia veneta») in G. FOLENA, Scrittori e scritture, cit., pp. 323-28: note-
vole, in esordio («ab Iove principium»), il richiamo al «discorso storico-critico che più inci-
sivamente ha contribuito a mettere a fuoco il problema storiografico della pluralità e
unità della nostra storia culturale, Geografia e storia della letteratura italiana di Carlo
Dionisotti», «denso di ispirazioni per filologi e storici della lingua» (p. 323).
121
Ivi, pp. 325-26.
122
Al quale si rimanda anche per la bibliografia; su Folena «grande toscano nel
Veneto» vd. almeno L. RENZI, Commemorazione di Gianfranco Folena, cit., e ancora A.
STUSSI, Gianfranco Folena storico della lingua italiana, cit., pp. 250 sgg.
123
Bibbia istoriata padovana della fine del Trecento. Pentateuco-Giosuè-Ruth, a cura di G.
Folena e G.L. Mellini, Venezia, Neri Pozza, 1962; il saggio introduttivo di Folena, La
Bibbia istoriata padovana nei codici di Rovigo e di Londra, pp. IX-XXIII, è rifuso, insieme a ID.,
La «Bibbia istoriata padovana» dell’ultima età carrarese, in «Atti e memorie dell’Accademia
Patavina di scienze, lettere ed arti», Memorie della Classe di Scienze morali, lettere ed arti,
vol. LXXIV, 1961-1962, pp. 441-48, sotto il titolo del secondo contributo, in ID., Culture
e lingue nel Veneto medievale, Padova, Editoriale Programma, 1990, pp. 353-75.
56 CLAUDIO CIOCIOLA

prossimo, tanto paleograficamente quanto cronologicamente, Libro agregà


de Serapiom («altro insigne esempio di rapporto funzionale fra testo e figu-
ra») –,124 del dialetto padovano nel secondo Trecento, e monumento insigne
della miniatura di età carrarese (oggi diviso nei mss. Silvestri 212 della
Biblioteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo e Additional 15277 della
British Library di Londra).125 Risolutiva è la dimostrazione, su basi codico-
logiche, paleografiche e linguistiche, dell’unitarietà dell’originaria compagi-
ne; efficace la descrizione delle modalità d’impaginazione simultanea del
testo iconico e del testo verbale. Precoce (e precorritrice) la consapevolez-
za della funzionalità dell’analisi filologica nella caratterizzazione di prodot-
ti testuali sui generis come i testi à figures; soprattutto di quelli, come la Bibbia
padovana, che si offrano nella veste preziosa di “originali”.126 La ricostru-
zione delle procedure di progettazione dello “sceneggiatore” e di riparti-
zione dei ruoli nell’opera concertata di volgarizzatore e copista (funzioni
secondo Folena coniugate nello stesso individuo) e bottega d’artisti, per
non parlare del committente, «certo da cercare assai in alto»,127 nell’incarna-
re una prova ricostruttiva di grande brillantezza, costituisce un maturo e
originale incunabolo della filologia dei testi italiani per immagini («testo e
figura, anzi testo-figura»).128
L’ultimo ragguardevole prodotto della filologia di Folena sul quale
intendiamo soffermarci è il determinante contributo (con la collabora-

124
G. FOLENA, La «Bibbia istoriata padovana», cit., p. 356 (la citazione precedente a
p. 366).
125
Vd. ora le schede di F. Toniolo-A. Donadello in La miniatura a Padova dal Medioevo
al Settecento, Progetto e coordinamento scientifico G. Canova Mariani, Catalogo a cura di
G. Baldissin Molli, G. Canova Mariani, F. Toniolo, Modena, Panini, 1999, pp. 161-72 nn.
58-59 (e vd. F. TONIOLO, La «Bibbia istoriata padovana», ivi, pp. 465-70).
126
«l’analisi filologica […] potrà fornire qualche pur tenue indizio orientativo intor-
no ai procedimenti e ai tempi del lavoro, a quel rapporto fra testo e figure che mi pare
si ponga qui come fondamentale obiettivo critico, anche forse alla stratificazione e iden-
tificazione delle varie mani che hanno collaborato a questa grande storia sacra per
immagini» (G. FOLENA, La «Bibbia istoriata padovana», cit., p. 369).
127
«Un lavoro collettivo e anonimo, che comporta collaborazioni e fasi molteplici,
press’a poco come avviene oggi nell’esecuzione di un film, dalla sceneggiatura del sog-
getto fino al montaggio» (ivi, p. 372).
128
Ivi, p. 373; cfr. anche, subito dopo: «L’interesse primo e fondamentale dell’opera
mi pare consista proprio, al di là dei vari risultati della collaborazione illustrativa, nell’u-
nità di concezione e nell’indirizzo culturale che essa rivela dentro il rapporto che lega
“scrittura” o “istoria” e “figura”».
LA FILOLOGIA DI FOLENA 57

zione di Ineichen, Mengaldo e Quaglio) alla sezione italiana di un’opera


che, nelle discontinuità esecutive (più appariscenti in alcuni domini lin-
guistico-letterari: e senza dubbio l’italiana è una delle sezioni a miglior
tenuta), appare, per i tempi in cui fu realizzata, per la generosità dell’im-
pianto complessivo, per l’originalità dell’idea e, infine, per la sua stessa
unicità, un’opera di grande momento nella storia della filologia novecen-
tesca, all’ordinaria circolazione della quale non avrà giovato il fatto di
esser compilata in lingua tedesca: la Geschichte der Textüberlieferung der anti-
ken und mittelalterlichen Literatur. Folena e collaboratori vi presero parte con
il capitolo relativo alla tradizione della letteratura italiana medievale (una
punta estrema raggiunge, in avanti, il Sannazaro).129 Come si è anticipato,
molto significativamente la dedica che si legge nella pagina di “frontespi-
zio” suona: «Giorgio Pasquali zum Gedächtnis».130 In quel volume è anco-
ra un italiano, d’Arco Silvio Avalle, a firmare un’altra punta di diamante:
il capitolo sulla tradizione provenzale, nel quale si compendiano i risulta-
ti esposti nell’originale volume einaudiano del 1961.131 L’originale intento
della Geschichte der Textüberlieferung è di descrivere la tradizione manoscrit-
ta e i rapporti tra i testimoni, autore per autore e testo per testo, apparte-
nenti all’area e al periodo cronologico di volta in volta considerati. Al di
là dell’ovvia utilità pratica di un’opera così concepita, l’occasione offre,
almeno ai più abili dei numerosi compilatori (e tra questi Folena senz’al-
tro primeggia), il destro per ripercorrere criticamente la storia di tradizio-
ni cruciali e complesse (basti pensare, per l’Italia medievale, ai Siciliani e
allo stilnovo); d’illustrare il ruolo di testimoni chiave (i canzonieri due-
centeschi, ad esempio); di lumeggiare le modalità della fortuna di autori
grandi e grandissimi.132

129
G. FOLENA (unter Mitwirkung von G. Ineichen, A. E. Quaglio, P. V. Mengaldo),
Überlieferungsgeschichte der altitalienischen Literatur, in G. Ineichen, A. Schindler, D. Bodmer,
Geschichte der Textüberlieferung der antiken und mittelalterlischen Literatur, vol. II, Überlieferungs-
geschichte der mittelalterlichen Literatur, Zürich, Atlantis, 1964, pp. 319-537.
130
Ivi, p. 318.
131
D’A. S. AVALLE, La letteratura medievale in lingua d’oc nella sua tradizione manoscritta.
Problemi di critica testuale, Torino, Einaudi, 1961 (e cfr. ID., I manoscritti della letteratura in lin-
gua d’oc, Nuova edizione a cura di L. Leonardi, Torino, Einaudi, 1993).
132
“Splendido” giudica quel «riesame della tradizione manoscritta di tutti i testi ita-
liani del medioevo» A. V[ARVARO], Per Gianfranco Folena, in «Medioevo romanzo», vol.
XVII, 1992, pp. 3-5, a p. 4.
58 CLAUDIO CIOCIOLA

Una felice concomitanza comportò che nell’anno successivo all’edizio-


ne del volume zurighese cadesse il settimo centenario della nascita di
Dante: e Folena ebbe l’incarico d’inaugurare il Congresso Internazionale di
Studi danteschi tenutosi a Firenze nell’aprile del 1965 con una relazione
intitolata appunto La tradizione delle opere di Dante Alighieri.133 Il testo italiano
coincide, salvo minori varianti, con il paragrafo dedicato a Dante nella Über-
lieferungsgeschichte:134 ai pregi intrinseci aggiunge dunque quello di offrire un
immediato riscontro, attraverso lo specimen relativo all’autore più grande,
dell’intero lavoro. La mole dei dati, diretti e indiretti, vagliati in quell’occa-
sione (basti sfogliare le attentissime pagine di bibliografia ragionata) è di per
sé impressionante. L’ardire di sintetizzare, in meno di 80 pagine, l’intero
quadro, opera per opera, della tradizione dantesca e della relativa bibliogra-
fia critica è giustificato dalla competenza impareggiabile dell’autore: senza
baldanza, ma con passo sicuro e inesorabile, Folena dipana il quadro testi-
moniale, la storia della tradizione e la storia editoriale dei testi, non esi-
mendosi dal riesame, anche comparativo laddove necessario, degli stemmi
proposti, e in taluni casi addirittura istituendo, o esplicitando razionalmen-
te, ipotesi o varianti di stemmi. Lungi dal risultare inficiato dai risultati,
nuovi e ricchissimi, che la filologia dantesca ha prodotto negli ultimi decen-
ni (basti ricordare che il profilo di Folena precede, a tacer d’altro, l’edizione
Petrocchi della Commedia), il panorama tracciato resta solido e accuratissi-
mo, e si configura come un pezzo di bravura ineguagliato e ammirevole. Se
numerosi sono i dettagli che il progredire, in questo settore particolarmen-
te impetuoso, degli studi impone d’integrare e di modificare, ben poco del
traliccio originario è da mutare, e quasi nulla da rettificare nel vaglio, sicuro
e attentissimo, del quadro bibliografico antecedente. Molteplici, anzi, le
perle disseminate, con la signorile noncuranza di chi molto possiede: si citi
almeno la valorizzazione di un precursore settecentesco nell’enunciazione
di principi tuttora condivisibili di teoria filologica, tra l’altro in tema di lectio
difficilior, il veronese Bartolomeo Perazzini,135 o l’orecchio prestato, in linea

133
G. FOLENA, La tradizione delle opere di Dante Alighieri, in Atti del Congresso Interna-
zionale di studi danteschi, 20-27 aprile 1965, Firenze, Sansoni, 1965, vol. I, pp. 1-78 (un
ampio stralcio relativo alle opere “minori” è antologizzato in Letteratura e filologia, a cura
di B. Basile, Bologna, Zanichelli, 1975, pp. 117-29).
134
G. FOLENA, Überlieferungsgeschichte, cit., pp. 420-86.
135
G. FOLENA, La tradizione delle opere di Dante, cit., pp. 67-69 (e cfr. FOLENA, Überlie-
ferungsgeschichte, cit., pp. 478-79).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 59

con quell’apertura mai rinnegata al “concerto europeo” (e in particolare alle


voci risonanti dai paesi di area germanica), alla singolare figura di dantista
incarnata dal giurista Carl Witte, al quale di lì a poco (1967) consacrerà un
bel medaglione.136 Quanto al Perazzini, si legga, anche in relazione all’ap-
porto di Folena, il giudizio che ne darà Sebastiano Timpanaro nella Genesi
del metodo del Lachmann, uscita in prima edizione a Firenze nel ’63 (nella
«Bibliotechina del Saggiatore» allora diretta da Bruno Migliorini, e prima di
Migliorini da Pasquali) anche grazie alle amichevoli premure di Folena.137
Nel capitolo dantesco si dispiegano con speciale evidenza, forse per l’ecce-
zionalità coinvolgente dell’autore e del tema trattato, le qualità, che altri
potrà utilmente indagare, del Folena prosatore.138 «La tradizione manoscrit-

136
G. FOLENA, La filologia dantesca di Carlo Witte, cit.
137
Vd. S. TIMPANARO, La genesi del metodo del Lachmann, Nuova edizione riveduta e
ampliata, Padova, Liviana, 1981 (prima ristampa corretta con alcune aggiunte, 1985), pp.
IX (per l’interessamento di Folena) e 32 n. 43 (a proposito del Perazzini, sul quale
Timpanaro ritornerà anche altrove: ad es. in ID., Ancora sul Foscolo filologo, in «Giornale sto-
rico della letteratura italiana», vol. CXLVIII, 1971, pp. 519-44, ora, sotto il titolo Sul
Foscolo filologo, in ID., Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Pisa, Nistri-Lischi, 1980, pp.
105-35, alle pp. 115-6 nn. 13-14 e 130; «geniale» il Perazzini è detto in ID., Ancora sul padre
Cesari: per un giudizio equilibrato, in ID., Nuovi studi sul nostro Ottocento, Pisa, Nistri-Lischi,
1995, pp. 1-29, a p. 2). Sulla scia di Folena, il ruolo del Perazzini è riconosciuto, nella sto-
ria della filologia italiana, da A. BALDUINO, Manuale di filologia italiana, Firenze, Sansoni,
19922 (1979), pp. 27-28; e vd. G. VARANINI, Una lettera di Bartolomeo Perazzini a Gian
Giacomo Dionisi, in AA. VV., La ragione e il cimento. Studi settecenteschi in onore di Fiorenzo Forti,
a cura di E. Graziosi, A. L. Lenzi, M. Saccenti, Padova, Antenore, 1992, pp. 135-46. Per
i rapporti Timpanaro-Migliorini vd. ora A. ROTONDÒ, Sebastiano Timpanaro e la cultura uni-
versitaria fiorentina della seconda metà del Novecento, in AA.VV., Sebastiano Timpanaro e la cultu-
ra del secondo Novecento, a cura di E. Ghidetti e A. Pagnini, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2005, pp. 3-88, alle pp. 25-26 (molto importante anche per lo sfondo).
138
Le «qualità di scrittura» di Folena sono valorizzate da A. DANIELE, Gianfranco
Folena, cit., p. 545. Un comparto in cui tali qualità sembrano usualmente accendersi è
quello delle descrizioni naturalistiche o di paesaggio: come risalta, nella prosa epistolare,
ad es. nelle lettere ad Albino Pierro (raccolte in G. FOLENA, Com’a nu frète. Folena e la poe-
sia di Albino Pierro, a cura di F. Zambon, Potenza, Il Salice, [1994]): qui la Loira è «fiume
pigro, vagabondo, cangiante di colore secondo il cielo e le nuvole, riposante», lettera del
15 settembre 1971 da Châteauneuf sur Loire, p. 19), o nella descrizione del paesaggio
urbano della Firenze derobertisiana: «Una città sobria, minima e circoscritta come da una
siepe invisibile, sede di un passeggiare riposato, ma con accensioni e scoppi improvvisi
come il suo parlare, così diversa per esempio dalla Firenze che conoscevo attraverso
Pasquali, a me forse più familiare. Per me ci sono state tante Firenze quanti i maestri che
ho conosciuto, e quella di De Robertis fa corpo con la sua voce e la sua scrittura» (G.
FOLENA, Stile e critica stilistica in De Robertis, cit., p. 284); o ancora nel passo sui fiori india-
60 CLAUDIO CIOCIOLA

ta della Commedia è come un fiume il cui corso più alto vicino alle sorgenti
non solo ci è ignoto ma appare, dall’analisi delle prime acque attingibili, già
carico di confluenze che hanno confuso e rimescolato le correnti».139 Il
passo emula quella pagina di seducente prosa racchiusa nel par. 21 della
Textkritik di Paul Maas, che, attraverso la “similitudine” («Gleichnis») del
«torrente che nasce sottoterra sotto la vetta di un monte inaccessibile», illu-
stra la “costituzione della genealogia” di una tradizione e la sua rappresen-
tazione nello stemma.140 È appena il caso di ricordare che la seconda edi-
zione della Textkritik, del 1949, era stata tradotta in italiano nel ’50 per
impulso e con presentazione di Giorgio Pasquali, il quale già nel ’34 (nella
Prefazione e nel cap. V di Storia della tradizione) aveva sottolineato, con note-
voli parole, il pregio di quella pagina (l’intera Storia, del resto, si sviluppava
da una recensione alla prima edizione, 1927, del Maas): «Nella pagina più
viva (perché più storica) del suo libro il Maas confrontava la tradizione a un
corso d’acqua che, ricevendo affluenti e filtrando per terreni d’ogni specie,

ni che sarà citato più oltre. Anche in questo caso non suoni eccessivo riscontrare una
consonanza con Pasquali, che in una bella lettera a Dino Pieraccioni del 28 giugno 1941
così rievoca una giornata trascorsa in compagnia di Folena e di altri amici a Rigoli e sui
monti di Molina: «Facemmo colazione con burro splendido e pesche. Poi su per la mon-
tagna: due ore sotto bosco, prima lecci e poi castagni, senza disturbo di sole benché la
giornata fosse caldissima. Sbucammo in costa dei monti Pisani» (in D. PIERACCIONI,
Lettere di Giorgio Pasquali, cit., p. 33); vivissimo il ricordo di quella giornata in Folena, che
la rievoca in una lettera del 28 febbraio 1977 al Pieraccioni: «prendemmo per il monte
passando per Le Molina alta e salimmo su per l’osteria da Ciapino fino ai Quattro Venti
(che è l’unico dolce vertice selvoso dei monti “per cui i Pisan veder Lucca non ponno”,
dal quale si possa godere insieme la vista di Pisa e di Lucca, e della val di Serchio e di
Viareggio e di Livorno, e nelle giornate chiare, oltre la gobba della Capraia anche la costa
della Corsica e il luccicare dei vetri di Bastia! e quel giorno era limpidissimo» (ivi, p. 64).
139
G. FOLENA, La tradizione delle opere di Dante, cit., p. 46 (e cfr. FOLENA, Überliefe-
rungsgeschichte, cit., p. 458).
140
Cfr. E. MONTANARI, La critica del testo secondo Paul Maas. Testo e commento, Firenze,
SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2003, pp. LXII-LXIII (testo: riproduce la terza ed. di P.
MAAS, Critica del testo, Traduzione di N. Martinelli, Presentazione di G. Pasquali, Con lo
«Sguardo retrospettivo 1956» e una nota di L. Canfora, Firenze, Le Monnier, 1972, pp.
26-27) e p. 238 (commento: se ne ricava che dom J. FROGER, La critique des textes et son
automatisation, Préface de R. Marichal, Présentation de R. Faure, Paris, Dunod, 1968, p.
268, individua in Girolamo – senza peraltro rinviare a un’opera precisa – il più antico
inventore della metafora). L’inefficacia della metafora organicista, di provenienza biolo-
gica (“riproduzione”, “genealogia”, etc.), e l’inclinazione di Maas, nel luogo citato, verso
la «geologia» sono rilevate in D.’A S. AVALLE, L’immagine della trasmissione manoscritta nella cri-
tica testuale, in La letteratura medievale in lingua d’oc, cit., pp. 183-96 [della 1a ed.], a p. 184 n. 1.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 61

perda il colore genuino, ne acquisti di spuri. Per eliminare questi, occorre


conoscere la composizione chimica dell’acqua di quegli affluenti e la natu-
ra geologica e chimica di quei terreni: fuor di metafora, occorre conoscere
le civiltà che su ogni tradizione hanno lasciato le loro impronte; occorre,
dunque, dottrina storica».141 È notevole, perché è un tratto che rivela lo
scrittore, che il “trauma mnemonico” (per indulgere a un continismo) fosse
in Folena già operante all’altezza del citato Filologia testuale e storia linguistica
(1960), nel luogo in cui si osserva che lo storico della lingua non considera
la tradizione «come un corso da risalire a ritroso cercando verso la sorgen-
te acque incontaminate, ma da percorrere per il suo verso, seguendo la cor-
rente in tutti i suoi meandri e nelle confluenze e mescolanze anche più spu-
rie e limacciose».142 La parola, aveva scritto Pasquali, «è come acqua di rivo
che riunisce in sé i sapori della roccia dalla quale sgorga e dei terreni per i
quali è passata».143

141
G. PASQUALI, Storia della tradizione, cit., pp. XI-XII, e cfr. p. 141, qui con vivo
apprezzamento delle qualità letterarie della pagina e una riserva sulla sua efficacia meta-
forica in relazione ai fenomeni della tradizione orizzontale (vd. E. MONTANARI, La criti-
ca del testo, cit., p. 238). Per la trafila Maas (Textkritik), Pasquali (Storia della tradizione),
Timpanaro (Genesi del metodo del Lachmann) e oltre, vd., tra gli altri, A. CARLINI, Note spar-
se sull’insegnamento filologico a Pisa e Firenze, in «Il Ponte», vol. LVII, n. 10-11 (Per Sebastiano
Timopanaro), ottobre-novembre 2001, pp. 131-44, in part. alle pp. 137-38.
142
G. FOLENA, Filologia testuale, cit., p. 60.
143
Nell’esordio di Arte allusiva, il famoso saggio del ’42 che inaugura le Stravaganze
quarte e supreme (uscite nel 1951 presso Neri Pozza: vd. ora G. PASQUALI, Arte allusiva, in
ID., Pagine stravaganti di un filologo, cit., vol. II, pp. 275-82, a p. 275); il ruolo rilevante di
Folena nella confezione del volume è dichiarato da Pasquali nella Prefazione: «Più di tutti
ha fatto per il libro un mio vecchio scolaro dottissimo e ricchissimo di sensibilità stili-
stica, appunto Gianfranco Folena, ordinando lui gli articoli e comunicandomi sue ricer-
che supplementari, segnalandomi espressioni poco chiare o comechessia infelici» (ivi, p.
274). La metafora “fluviale” riaffiorerà, altrimenti modulata, nel ricordo di Migliorini:
«Movendo da miriadi di sorgenti disseminate in zone remote e impervie ai margini della
lingua, dove la parola non è ancora segno ma segnale di riconoscimento […], attraver-
so mille rivoli Migliorini convogliava queste acque dentro il grande alveo della lingua
comune, dalla periferia al centro» (G. FOLENA, La vocazione di Bruno Migliorini: «Dal nome
proprio al nome comune», in L’opera di Bruno Migliorini nel ricordo degli allievi, con una biblio-
grafia dei suoi scritti a cura di M. L. Fanfani, Firenze, presso l’Accademia della Crusca,
1979, pp. 1-16, ora in ID., Filologia e umanità, cit., pp. 267-82, a p. 278). Una variante
metaforica di tipo “chimico” è invece accolta nella Nota al testo di La Istoria di Eneas,
cit., p. 230: qui, dello studioso che intenda ripercorrere la vicenda tradizionale di un vol-
garizzamento affetto da «metamorfosi plurilingui» si dice «che dovrà seguire a ritroso il
62 CLAUDIO CIOCIOLA

A più riprese si è invocato, in questa rievocazione, il nome di Pasquali


(«Folena e Pasquali potrebbe essere l’argomento d’un intero seminario», ha
scritto Stussi).144 Nel nome di Pasquali sia dunque lecito concludere. In
occasione della pubblicazione, nel 1929, delle Erinnerungen di Ulrich von
Wilamowitz-Moellendorf, Pasquali, recensendole in «Pègaso», scriveva
una delle più riuscite tra le sue Pagine stravaganti, inaugurata da un celebre
‘attacco’, che sarà il caso di ripetere: «Il lettore comune si accosta di soli-
to con diffidenza a libri autobiografici di scienziati. Il lettore comune non
ha torto, ché scienziato non vuol dire sempre spirito largo, e si può esse-
re fisiologi, chimici, mineralogi grandi, senza provare curiosità né avere
intelligenza per i propri compagni di umanità; si può passar la vita speri-
mentando senz’acquistare esperienza. Possono anche filologi grandi esse-
re fatti così? Ragionamento e pratica mi direbbero di no; ché anche il più
puro eroe di varianti, ogniqualvolta fa un testo e si ferma a una difficol-
tà, deve, se vuol capire qualche cosa, chiedersi come fossero fatti, come
pensassero tutti e due, l’autore e lo scrivano, deve potersi raffigurare un’a-
nima, grande o piccola che sia. I filologi vivono talvolta tra i venti e i tren-
ta anni come in un tubo, ché l’età che per gli uomini comuni è la più sva-
gata, suol essere per i dotti la più concentrata; ma a trent’anni escono
quasi tutti da quel guscio e lasciano che gli occhi si volgano tutt’intorno
con libertà perfetta; tanto più grande, quanto più grande è il filologo. Le
discipline dello spirito esigono che chi le coltiva, abbia non dirò persona-
lità, ma almeno umanità».145 Filologia e storia è il titolo pasqualiano che – ha
scritto Berengo – si «sarebbe potuto attribuire a quasi tutte le raccolte» di
Folena (di Filologia e storia, del resto, è un controcanto il Filologia e critica di
Caretti).146 Filologia e umanità è invece il titolo da Folena escogitato per la
silloge, postuma ma da lui avallata nel progetto e nell’esecuzione, che rac-
coglie i ricordi di maestri e precursori; tra questi, in luogo d’onore,
Pasquali: del cui “umanesimo” («umanesimo anticonformistico e storici-

travaso del liquido attraverso una serie di vasi comunicanti, contenenti ciascuno un
diverso reagente: e che nell’ultimo vengono a depositare tutti i residui e le impurità di
una catena di reazioni».
144
A. STUSSI, Gianfranco Folena storico della lingua italiana, cit., p. 244.
145
G. PASQUALI, in «Pègaso», a. 1, n. 3, marzo 1929, pp. 377-84, poi (sotto il titolo
Ricordi italiani di un filologo tedesco) in Pagine stravaganti di un filologo, 1933, ora in ID., Pagine
stravaganti di un filologo, vol. I, cit., pp. 55-64, a p. 55.
146
M. BERENGO, Introduzione a G. FOLENA, Scrittori e scritture, cit., pp. 11-19, a p. 19.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 63

stico») sarà certo traccia nella formula del titolo.147 Quello di “filologia e
umanità”, in quanto riverbero e compendio psicologico dell’altro, cultu-
rale, di “filologia e storia”, è binomio che si attaglia, in misura del tutto
calzante, allo stesso Folena. Interrotti gli studi universitari, all’entrata in
guerra dell’Italia fu ufficiale dell’esercito prima, e brevemente, in Sicilia,
poi in Africa Settentrionale; catturato dagli Inglesi in Egitto nell’autunno
del ’42, fu tratto prigioniero in India, ove rimase in cattività fino all’esta-
te del ’46.148 Nella solitudine e nell’isolamento resistevano, quasi in forma
di autodisciplina, la memoria degli studi interrotti e il desiderio di perse-

147
Cfr., persuasivamente, R. MELIS, In margine a «Filologia e umanità», cit., p. 21, e I.
PACCAGNELLA, La filologia di Gianfranco Folena, cit., p. 64. Per la citazione nel testo, vd. G.
FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., pp. 212-13: «Il bisogno di comunicazione era in lui tutt’u-
no col desiderio di capire meglio la realtà che lo circondava, attraverso il confronto con
civiltà lontane, come le antiche a lui familiari, e il contatto con altri uomini, con espe-
rienze differenti: con quel suo senso della radicale diversità di antico e moderno, e insie-
me dell’unità e fruibilità di tutto ciò che è umano, su cui si fondava il suo umanesimo
anticonformistico e storicistico: l’affermazione ricordata sopra [e cioè quella da noi cita-
ta in apertura, per cui «nella scienza esistono, in concreto, solo i problemi»] va integrata
con l’altra a lui cara che, in tutte le scienze, “l’oggetto… rimane sempre l’uomo”»; e
ancora, a p. 215: «Pasquali in ogni sua pagina sapit philologum (ma un filologo così poco
libresco e accademico, e così sperimentale), e sempre poi il filologo sapit hominem». In una
sorta di mise en abîme di ascendenze, è notevole che Folena attribuisca a Pasquali quanto
Pasquali aveva riconosciuto al Barbi: «uomo umano, è naturale che amasse le pagine che
più sanno di uomo» (G. PASQUALI, Ricordo di Michele Barbi, cit., p. 437). E cfr. A. LA PENNA,
Lo scrittore “stravagante”, cit., p. 84 (che pure lamenta la genericità del termine “umanità”):
«Quando deve esprimere l’apertura del maestro universitario verso gli scolari, verso gli
uomini del suo tempo, verso ciò che è dentro e fuori della scuola, egli usa la parola “uma-
nità”: il verso famoso di Terenzio, che esprime la massima apertura dell’uomo classico
alla comprensione degli altri uomini, è il verso da lui più amato». La sua umanità, si
aggiunga, è il titolo del necrologio di Pasquali pubblicato da Folena, a un giorno dalla
morte repentina del maestro, ne «Il Mattino dell’Italia centrale» del 10 luglio 1952, p. 1;
qui si noti: «Sicuro e acuto nell’esercizio supremo della sua filologia, che era poi scienza
di tutto lo spirito, Pasquali non amava la tecnica pura, odiava le paratie della scienza spe-
cializzata: e questo lo fa grande come uomo e come maestro».
148
Tali vicende possono ripercorrersi, tra l’altro, attraverso le lettere di Pasquali a
Pieraccioni; vd. ad es. quella già citata sull’escursione a Molina, del 28 giugno 1941: «Ho
caldo e mi sento solo. È per me un dolore che Folena, a cui mi ero affezionato sempre
più, proprio per quella sua malinconica e tenera timidezza e umiltà che ricopre profon-
da dottrina e molto gusto, parte posdomani per Trento, ufficiale: proseguirà per la
Russia? È possibile: egli lo crede ed è rassegnato»: D. PIERACCIONI, Incontri del mio tempo,
cit., p. 34; e ancora: lettere del 12 luglio 1941, p. 37; del 13 luglio 1941, p. 39; del 25 otto-
bre 1942, p. 47 («Ma più di tutti mi fa stare in pena Folena. Ha preso parte a infiniti com-
64 CLAUDIO CIOCIOLA

guirli, se possibile, anche in condizioni tanto imprevedibili e scoraggian-


ti.149 Il 3 settembre 1943 il sottotenente Folena, P. O. W. (Prisoner of War)
358049, indirizzava a Giorgio Pasquali, dal campo 24 di Bombay, una car-
tolina postale di sette righe esatte, quante ne concedeva il servizio di cen-
sura, nella quale, tra le dichiarazioni di memore affetto, riusciva a incap-
sulare un fulminante giudizio critico sull’antologia del Lazzeri («molto
utile benché d’una filologia non più intelligente del vecchio Monaci»),

battimenti»); del 7 dicembre 1942, pp. 48-49 (già citata all’inizio); del Natale del 1942,
p. 50 (già citata); del 7 febbraio 1942, pp. 52-53 (già citata); del 25 febbraio 1943, p. 54
(«Folena, a lungo malato, ritornato al fronte, fu fatto prigioniero: tempo fa era in un
campo egizio, ma era certo lo scaricassero nell’India. Quella sua natura così sensibile resi-
sterà alla solitudine della prigionia? Io ho paura»); del 13 maggio 1943, p. 55; del 17 ago-
sto 1943, p. 61 (già citata).
149
Vd. la testimonianza raccolta da Gian Piero Brunetta nell’intervista a Folena nel
«Mattino di Padova» del 3 luglio 1983 (in occasione del conferimento del premio
Viareggio), e riproposta nell’«Indice dei libri del mese», vol. IX, n. 3, marzo 1992, p. 17:
«Il campo di concentramento ha significato per me esperienze culturali importanti, non
è stata una parentesi inerte o perduta di vita. Nel campo avevamo inventato una sorta di
piccola università privata, facevamo letture, davamo lezioni. Io, in quegli anni, ho impa-
rato il greco. Così, quando sono tornato in Italia, mi sentivo in buona forma culturale».
A proposito dell’esperienza dell’India piace citare, documento a un tempo delle qualità
stilistiche della prosa di Folena e del persistere in lui della memoria di quegli anni, un
passo – giudicato «bellissimo» anche da A. DANIELE, Gianfranco Folena, cit., p. 539 - della
nota Il pallor della viola, in «Lingua nostra», X, 1949, pp. 75-78, a p. 75: «È un fatto che
nell’Italia, giardino d’Europa, i fiori, campestri e coltivati, sono sempre stati abbondanti
e svariatissimi ma, specialmente in città, poco noti e popolari, meno assai che nei paesi
nordici, dove i fiori sono generalmente prodotto di serra, o in Giappone, dove l’amore
dei fiori ha qualcosa di eccessivo e rasenta il culto e la mania; e meno (posso dirlo per
esperienza personale) che in India dove i fiori sono cura quotidiana, anche nelle classi più
umili, e non è raro vederli come ornamento nelle capanne dei villaggi più poveri e sper-
duti: della coltivazione dei fiori Gandhi sentiva l’importanza educativa, come avviamen-
to, direi, al disinteresse estetico ed etico, due motivi che nell’educazione, specie elemen-
tare e popolare, non vanno separati; e io ricordo che i bambini indiani dei villaggi, andas-
sero o no a scuola, riconoscevano e nominavano con gioia, nei loro vari dialetti, fiori
anche rari e piante». Un entusiasmo comparabile ricompare nella descrizione delle illu-
strazioni del Serapiom, «accompagnato da una serie di splendide figurazioni di semplici,
frutto di un precoce e già maturo naturalismo, forse le prime figure che nella storia della
scienza medievale appaiano ispirate direttamente dal vero, come ha indicato il Pächt:
camomille e vilucchi campestri, asparagi e piselli sembrano vegetare nella pagina traboc-
canti di linfe, carichi di energie naturali, fuori di ogni paradigma consueto, pur nel teso
raffinatissimo calligrafismo tardo-gotico» (G. FOLENA, La «Bibbia istoriata padovana», cit.,
pp. 354-55).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 65

recapitatagli avventurosamente dai familiari per suggerimento del mae-


stro fiorentino-pisano:150
Caro Professore, non so se le sia mai giunto nulla di mio; manco di un suo scrit-
to dall’estate del ’42 – Le lettere di casa mi danno sempre la misura della sua ami-
cizia e i due libri che finora mi son giunti, Lazzeri e Russo, so che sono stati con-
sigliati da lei. Grazie. Il Lazzeri m’è molto utile benché d’una filologia non più
intelligente del vecchio Monaci. Sto bene, la clausura è penosa, ma più il pen-
siero dei lontani. Con affetto Gianfranco.151
Così, all’indimenticato maestro di filologia, «maestro non imitabile di
umanità» («il metodo fu veramente per lui Erlebnis, esperienza attuale e
pratica di vita, e dell’esperienza vissuta come dono e lavoro quotidiano
egli conobbe la gioia pura e intensa, confortatrice anche nei giorni più
amari e difficili»),152 s’indirizzava il ventitreenne allievo dall’India: maestro
a noi oggi, anche in quest’etica strenua di rasserenante dedizione agli
studi, di filologia e umanità.

150
G. LAZZERI, Antologia dei primi secoli della letteratura italiana, I. – Primi documenti del
volgare italiano, II. – La scuola siciliana, in Appendice Lamento della sposa padovana,
Milano, Hoepli, 1942 (il finito di stampare è del 20 aprile; l’Antologia, postuma, sarà
ristampata nel 1954): nella nota Ai lettori, p. VII, l’Editore annota che «L’opera del
Lazzeri rifà, con tutti i sussidi degli studi più recenti e con un diretto esame dei codici,
un lavoro analogo a quello compiuto da Ernesto Monaci nella ormai rarissima
Crestomazia». Alla pratica editoriale del Monaci allude con rispettosa sufficienza in più
d’un caso Pasquali (ad es. laddove, nella rec. a La nuova filologia di Barbi, di Joseph Bédier,
«principe dei romanisti francesi», «uomo di enorme dottrina, raffinato senso di stile, inge-
gno combinatorio singolare», asserisce che, quando propone di pubblicare “tante edizio-
ni quante tradizioni”, «sembra rinnovellare, nonostante la disparità dell’ingegno, il
Monaci»; e più oltre: «si ricadrebbe da Gaston Paris e dal Rajna nel Monaci»: G. PASQUALI,
L’edizione dei classici italiani, cit., pp. 158, 163).
151
Accademia della Crusca, Archivio Moderno, Fondo Giorgio Pasquali, n. 638 (sul
fondo cfr. D. DE MARTINO, “Come il cane che ha perso il padrone”, cit., p. 410; sul ritrova-
mento del carteggio vd. D. PIERACCIONI, Ricomparso l’archivio Pasquali, in «Belfagor», vol.
XLII, 1987, pp. 481-82). Il libro di Russo sarà verosimilmente il primo volume de La cri-
tica letteraria contemporanea, Bari, Laterza, 1942 (a p. IV la data del maggio; a rigore – ma
dovremmo conoscere la data del consiglio di Pasquali, e quella della spedizione –,
potrebbe trattarsi dell’intera opera, il secondo volume risalendo al settembre 1942 e il
terzo al gennaio 1943).
152
G. FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., pp. 214, 212; cfr. la Premessa a G. FOLENA,
L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino, Einaudi, 1983, p. XI: «con-
vinto come sono da tempo che il metodo è esperienza e ogni esperienza deve trovare il
suo metodo».

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