Esedra Editrice
Padova 2006
Volume stampato con il contributo del Magnifico Rettore, Vincenzo Milanesi,
e del Dipartimento di Romanistica dell’Università di Padova
esedraed@tin.it
www.esedraeditrice.com
CLAUDIO CIOCIOLA
LA FILOLOGIA DI FOLENA
1
G. PASQUALI, Commemorazione di Michele Barbi, in «Atti della R. Accademia d’Italia.
Rendiconti della Classe di scienze morali e storiche», S. VII, vol. IV, 1943, pp. 67-83, poi
(sotto il titolo Ricordo di Michele Barbi), in Stravaganze quarte e supreme, 1951, ora in ID.,
Pagine stravaganti di un filologo, vol. II, a cura di C.F. Russo, Firenze, Le Lettere, 1994, pp.
434-51, a p. 449 (per il «sigillo dell’umanità», vd. p. 450). Un decennio più tardi, nell’ot-
tantesimo compleanno di Max Pohlenz, suo maestro a Gottinga, scriverà: «Quando era-
vamo ragazzi, non avremmo osato aprirci con personalità così vive e così piene ma
anche così intente ai proprî lavori, come Schwartz, o così austere, seppure profonda-
mente umane, come Leo. A Pohlenz ognuno di noi poteva aprirsi come non avrebbe
osato al proprio padre, avrebbe forse osato solo con un fratello» (ID., Per l’ottantesimo
anno di Max Pohlenz, in «Paideia», vol. VII, 1952, pp. 193-99, ora in ID., Scritti filologici, a
cura di F. Bornmann, G. Pascucci, S. Timpanaro, Introduzione di A. La Penna, Firenze,
Olschki, 1986, vol. II, pp. 779-85, a p. 784; che in quel passo l’autore delinei «il model-
lo del maestro da lui sempre vagheggiato e un po’ anche il proprio ritratto» osserva luci-
damente A. La Penna nell’Introduzione: Gli «Scritti filologici» di Giorgio Pasquali, vol. I, pp.
IX-LXXIV, a p. XIX; anche in Giorgio Pasquali e la filologia classica del Novecento. Atti del
Convegno, Firenze-Pisa, 2-3 dicembre 1985, a cura di F. Bornmann, Firenze, Olschki,
1988, pp. 15-77).
16 CLAUDIO CIOCIOLA
2
Per la biografia di Folena rimando una volta per tutte alla voce eponima di L.
Renzi, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol.
XLVIII, 1997, pp. 540-43; per la bibliografia (fino al 1993, a cura di A. Daniele), a
Omaggio a Gianfranco Folena, Padova, Editoriale Programma, 1993, vol. I, pp. XXV-XLVII.
3
Che il commento alla Commedia fosse il problema dei suoi ultimi mesi conferma la
raccolta postuma M. BARBI, Problemi fondamentali per un nuovo commento della Divina
Commedia, Firenze, Sansoni, 1955. Già nella Prefazione alla prima serie dei Problemi di criti-
ca dantesca (1934) ne aveva formulato il disegno: «Io morirò con la voglia di fare un com-
mento al poema di Dante»; «ho voluto almeno dar qualche saggio che invogli altri a ten-
tare quello che era mio proposito: un commento che dall’esatta interpretazione letterale
risalga all’analisi delle più meditate costruzioni e delle più ispirate creazioni poetiche; un
commento che rechi, dovunque sian necessarie, le prove e le testimonianze a persuade-
re il certo e a chiarire le cose che oggi ai più rimangono oscure; un commento critico che
per i punti controversi, fatta brevemente la storia dell’esegesi, esamini il pro e il contro
delle probabili interpretazioni» (M. BARBI, Problemi di critica dantesca, Prima serie (1893-
1918), Firenze, Sansoni, 1934, pp. X, XI).
4
Lettera del 4 giugno [1941] a Dino Pieraccioni, in D. PIERACCIONI, Lettere a uno sco-
laro, in «Nuova Antologia», a. XCV, vol. CDLXXX, settembre-dicembre 1960, pp. 17-36,
poi (con aggiunte e sotto il titolo Lettere di Giorgio Pasquali), in ID., Incontri del mio tempo,
Milazzo, Spes, [1977], pp. 23-64, a p. 27.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 17
qualche giovane bene educato dai suoi maestri c’è tuttora».5 Nell’estate del
’41 Folena partì per il fronte, e il progetto dantesco non ebbe séguito.6
Quando, il 1° dicembre dell’anno successivo, Pasquali, socio aggregato
dei Lincei fin dal 1927 (in tale qualità aveva commemorato Barbi), fu
nominato (con Ungaretti) accademico d’Italia, reagì con «gioia fanciulle-
sca»;7 eppure, scriveva all’allievo Pieraccioni, quella gioia gli era turbata
dall’assenza di notizie di Folena.8 Nel «Tempo», settimanale illustrato del
5
G. PASQUALI, Per un Tesoro della lingua italiana, in «Atti della R. Accademia d’Italia.
Rendiconti della Classe di scienze morali e storiche», S. VII, vol. II, 1941, pp. 490-521,
ora in Per un grande vocabolario storico della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1957, pp. 39-107,
a p. 101 (a p. 80 il primo dei richiami encomiastici al Barbi che avremo occasione di cita-
re: «Solo ora si incomincia a introdurre numerazione di righe e partizione di paragrafi
nelle grandi edizioni critiche ed esegetiche, non solo di Dante (e del Petrarca latino), ma
anche dei maggiori del secolo XIX: il merito del nuovo uso spetta per buona parte all’e-
ditore e critico dei testi più rigoroso tra i cultori d’italiano, Michele Barbi»). La polemica
nei confronti degli italianisti, che «sovente non hanno mai riflettuto sui criteri della costi-
tuzione dei testi, e tuttavia non si rassegnano a tener lontane le mani da questo ufficio»,
ritornerà nella Presentazione a P. MAAS, Critica del testo, Traduzione dal tedesco di N.
Martinelli con Presentazione di G. Pasquali, Firenze, Le Monnier, 1952, pp. V-VI. Ed era
polemica, per citare un altro dei maestri ideali di Folena della generazione precedente a
quella di Pasquali, già avviata nel ’21 da Ernesto Giacomo Parodi, il quale, nell’Avvertenza
a Poesia e storia, aveva stilato queste sferzanti parole (indirizzate, è da credere, più ai cul-
tori della cosiddetta “critica estetica” che non direttamente al Croce, al cui idealismo si
era egli stesso “convertito”): «Oggi sono tutti esteti e critici; da parecchi anni si ostenta
un grande disprezzo per la filologia e l’erudizione e si esalta la genialità. Gli italiani che
furono sempre molto ammirati e poco stimati dagli stranieri per i loro improvvisatori, e
che hanno fatto pur ora, e anzi stanno ancora facendo una dura esperienza di quel che
costi il fidarsi nella propria abilità improvvisatrice, sono ridiventati pazzi d’amore per
l’improvvisazione geniale, illudendosi spesso che altro non sia anche l’estetica e la criti-
ca» (E. G. PARODI, Poesia e Storia nella «Divina Commedia», a cura di G. Folena e P. V.
Mengaldo, Vicenza, Neri Pozza, 1965, p. 2).
6
Il 24 settembre, il giorno dopo la morte di Barbi, Pasquali scriveva ansioso al
Pieraccioni: «E Folena, che mi dicono è in Sicilia in partenza per l’Africa, Folena che egli
aveva accolto come un figlio, di cui si fidava? Io non ho neanche l’indirizzo» (D. Pieraccioni,
Incontri del mio tempo, cit., p. 42).
7
M. RAICICH, Pasquali in Accademia, Pintor in casa sua, in «Belfagor», vol. XXXVIII,
1983, pp. 207-11, a p. 207 (e cfr. M. FERRAROTTO, L’Accademia d’Italia. Intellettuali e potere
durante il fascismo, Napoli, Liguori, 1977, in part. a p. 154).
8
«Qui ho un tormento in cuore, che a volte mi impedisce di dormire, che mi toglie
di essere del tutto contento. Di Gianfranco Folena non si ha notizie dall’ultimo d’otto-
bre; e la migliore ipotesi è che sia prigioniero. Io gli ho molto voluto bene per il calore
umano, per l’amore verso i soldati, per quel suo esser libero da ogni egoismo; e mi dis-
piace di essere accademico senza che lui lo sappia, senza forse che lo possa sapere, senza
18 CLAUDIO CIOCIOLA
riprende temi e argomenti della sua ricca e appassionata dottrina». Fotografie e didasca-
lie non sono riprodotte nelle successive ristampe del pezzo; le foto furono esposte nella
mostra centenaria di Pasquali: vd. Giorgio Pasquali, a cura di D. Pieraccioni, Firenze,
Gabinetto G.P. Vieusseux, 1986, p. 54 n. 66.
12
Per la circolazione, nel campo di prigionia indiano in cui Folena era segregato, di
un «preziosissimo Dantino», vd., in questi Atti, la testimonianza di A. Balduino, Le lezio-
ni “in diretta” e Dante in ascensore.
13
Gli altri comandati presso il Centro negli anni della direzione Pasquali (Presidente
dell’Accademia era Bruno Migliorini) furono Lanfranco Caretti e Arrigo Castellani: vd.
D. DE ROBERTIS, Premessa a un cinquantenario, in «Studi di filologia italiana», vol. XXXV,
1977, pp. V-IX, a p. IX.
20 CLAUDIO CIOCIOLA
voce calda e possente […] Degli scrittori che amava Russo era un lettore
impareggiabile, di maschia e scabra vigoria, di partecipazione totale eppu-
re misurata e concentrata, senza alcuna effusione. Con quale verità d’ac-
cento la sua voce sapeva interpretare per noi l’ironia, il sarcasmo, la pas-
sione e insieme il distacco dell’artista, leggesse i sonetti di Rustico di
Filippo e la tenzone fra Dante e Forese, o le laudi di Iacopone, oppure
pagine di Verga e di Pirandello dove riscopriva dall’interno la profondità
amara e disincantata del suo nativo accento siciliano».14
Russo, allora «nel culmine di quel suo straordinario vigore che aveva
l’apparenza di una forza di natura, e nella pienezza della sua autorità mora-
le di maestro», «non fu filologo, ma, amico di filologi, intese le ragioni e le
funzioni della nuova filologia che si affermava soprattutto per opera di
Michele Barbi: e molto peso ebbe su di lui in quegli anni l’amicizia che lo
legò al Barbi, del quale scrisse poi un ritratto che è fra le sue pagine più
belle e ispirate».15 Grande del resto la consonanza tra Barbi, che nel ’38
avrebbe dato alle stampe la Nuova filologia, e Pasquali. La travolgente curio-
sità antropologica faceva di Pasquali l’interlocutore ideale, e il naturale e
stimolante “maestro”, dei più giovani, tanto a Firenze che a Pisa: anche di
14
G. FOLENA, Per Luigi Russo, in «Cultura moderna», n. 5, 54, dicembre 1961, pp. 23-
24. Sull’importanza accordata da Folena (la cui voce non potrà dimenticare chi abbia
avuto il privilegio di ascoltarla) all’evocazione e all’interpretazione delle caratteristiche
foniche dei personaggi ritratti, vd. R. MELIS, In margine a «Filologia e umanità» di Gianfranco
Folena, in «Lingua nostra», vol. LVI, 1995, pp. 19-26, alle pp. 22-24, e I. PACCAGNELLA,
La filologia di Gianfranco Folena, in «Lettera dall’Italia», vol. X, n. 37, gennaio-marzo 1995,
pp. 64-65, a p. 65.
15
G. FOLENA, Per Luigi Russo, cit., rispettivamente alle pp. 23, 24; e cfr. L. RUSSO,
Michele Barbi e la nuova filologia, in La critica letteraria contemporanea, Nuova edizione, Firenze,
Sansoni, 1967, pp. 46-68; riproduce l’acutissimo Discorso commemorativo di Michele Barbi
letto in Normale il 28 maggio 1942 e stampato in Commemorazione di Michele Barbi a cura
della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, Firenze, Sansoni, 1942, pp. 11-36 (Barbi era
stato normalista negli anni 1885-1889: vd. Elenco degli allievi dal 1813 al 1998, Pisa, Scuola
Normale Superiore, 1999, p. 116). Nel ’37 entrarono in Normale con Folena, tra gli altri:
Carlo Azeglio Ciampi, lo storico Giulio Cervani, il latinista Scevola Mariotti, il pedago-
gista Aldo Visalberghi (vd. Elenco, cit., pp. 32-33); furono alla Scuola negli anni di Folena:
Emilio Bigi, Antonino D’Andrea, Mario Marti (allievi dal ’34), Aldo Duro, Franco
Munari, Aurelio Roncaglia, Armando Saitta (allievi dal ’35), Walter Binni, Vittore Branca
(perfezionandi dal ’35, allievi dal ’32), Alessandro Natta, Antonio Russi (allievi dal ’36),
Aldo Borlenghi (perfezionando dal ’36, allievo dal ’32), Arsenio Frugoni (perfezionando
dal ’37, allievo dal ’33), Marcello Aurigemma, Mario Baratto, Geno Pampaloni (allievi dal
’38), Carlo Ferdinando Russo, Giuseppe Tonna (allievi dal ’39). Sulla Normale gentiliana
LA FILOLOGIA DI FOLENA 21
vd. T. TOMASI-N. SISTOLI PAOLI, La Scuola Normale di Pisa dal 1813 al 1945. Cronache di
un’istituzione, Pisa, Scuola Normale Superiore-ETS, 1990, pp. 177-214, e soprattutto P.
SIMONCELLI, Cantimori, Gentile e la Normale di Pisa. Profili e documenti, Milano, FrancoAngeli,
1994, e ID., La Normale di Pisa: tensioni e consenso (1928-1938). Appendice 1944-1949,
Milano, FrancoAngeli, 1998. Importante la rievocazione dei comuni anni in Normale di
A. RONCAGLIA, Lettera a Gianfranco Folena, in Studi di filologia romanza e italiana offerti a
Gianfranco Folena dagli allievi padovani, Modena, S.T.E.M.-Mucchi, 1980 (= «Cultura
Neolatina», vol. XLI, 1981), pp. VII-X.
16
In relazione alle incursioni («scorribande») pasqualiane negli àmbiti della storia
della lingua italiana e della filologia e critica letteraria, vd. D’A. S. AVALLE, La filologia
romanza, in Storia dell’Ateneo fiorentino. Contributi di studio, Firenze, Parretti, [1986], vol. I,
pp. 287-315, ora (sotto il titolo La filologia romanza a Firenze, che recava già in ID., Dal mito
alla letteratura e ritorno, Milano, Il Saggiatore, 1990, pp. 41-62) in ID., La doppia verità.
Fenomenologia ecdotica e lingua letteraria del Medioevo romanzo, Firenze, Edizioni del Galluzzo,
2004, pp. 681-703, a p. 691.
17
G. FOLENA, Premessa a G. PASQUALI, Lingua nuova e antica. Saggi e note, a cura di G.
Folena, Firenze, Le Monnier, 1964 (19852), pp. V-XXXI, ora (sotto il titolo Giorgio
Pasquali) in ID., Filologia e umanità, a cura di A. Daniele, Vicenza, Neri Pozza, 1993, pp.
212-28, a p. 212 (anche, sotto il titolo Pasquali e la lingua, in Per Giorgio Pasquali, cit., pp.
50-70; in parte, sotto il titolo L’insegnamento del Pasquali e la sua esperienza linguistica, in coda
al profilo di Pasquali di S. Timpanaro, in Letteratura italiana. I Critici. Storia monografica
della filologia e della critica moderna in Italia, diretta da G. Grana, III, Milano, Marzorati,
1969 [1982], pp. 1801-33, alle pp. 1825-30).
22 CLAUDIO CIOCIOLA
statare, ma già lo ha fatto Renzi, come le parole di Folena, nel ritratto del
maestro, si adeguino perfettamente al profilo del discepolo: il processo d’i-
dentificazione appare in ogni caso indubbio.18 La formulazione del pro-
verbiale assioma citato da Folena proviene da uno dei saggi più originali e
acuti di Pasquali, Paleografia quale scienza dello spirito, del ’31 («nella scienza
esistono, in concreto, solo i problemi; attribuirli all’una o all’altra casella, o
farli a pezzi per distribuirli tra più caselle, è cura posteriore, secondaria e
spesso vana»),19 nel quale rileva l’intero contesto: «la paleografia, disciplina,
per eccellenza, ausiliaria, se vuole adempiere i compiti suoi più delicati,
deve ricorrere a scienze che si direbbero di maggior dignità, di grado più
alto, deve chiedere aiuto alla linguistica romanza, alla storia dell’arte, alla
filologia medievale in tutte le sue specialità. Questo è un bene per lei: in
filosofia, in matematica, in scienze naturali possono forse esistere (io non
mi sento competente a giudicare) discipline autonome; in tutto quello che
in qualsiasi modo appartiene alla storia, certamente no; questo perché la
storia, cioè la vita, non si può dividere in compartimenti stagni. Nella sto-
ria, appena un problema è alquanto complesso, non basta più a risolverlo
un’unica disciplina, ma ci si riesce soltanto, quando ci si riesce, assaltando-
lo da tutte le parti con tutte le discipline, con i mezzi peculiari di ciascuna
di esse. E le discipline si distinguono tra loro non tanto per differenza di
oggetto quanto per diversità di metodo: l’oggetto, insomma, rimane sem-
pre l’uomo».20 Questi concetti, e l’intonazione generale che li permea,
18
Vd. L. RENZI, La linguistica di Gianfranco Folena, in «Lingua e stile», vol. XXVII,
1992, pp. 461-82, a p. 463 (e cfr. G. GHINASSI, Gianfranco Folena, in «Lingua nostra», vol.
LIII, 1992, pp. 1-3, a p. 2). Risvolto della individualità concreta dei “problemi” è la loro
“ciclicità”: vd., anche in chiave psicologica e biografica, L. RENZI, Commemorazione di
Gianfranco Folena, in «Atti dell’Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti», Classe di scien-
ze morali, lettere ed arti, CLI 1992-1993, pp. 943-49, a p. 945 («Con Folena si parlava a
scatti. Non si chiudeva nessun problema, ma lo si riprendeva ciclicamente […]. Noi, suoi
allievi, ci siamo spesso immaginati che Folena tramandasse così la lezione vivente della
Normale di Pisa, di cui era stato allievo, e in particolare del suo maestro Giorgio
Pasquali»).
19
G. PASQUALI, Paleografia quale scienza dello spirito, in «Nuova Antologia», a. LXVI,
vol. CCCLV, maggio-giugno 1931, pp. 342-54, poi in Pagine stravaganti di un filologo, 1933,
ora in ID., Pagine stravaganti di un filologo, cit., vol. I, pp. 105-17, a p. 106.
20
Ivi, pp. 105-6. Qui semmai sorprende che alla matematica e alle scienze naturali sia
associata, forse per cautele contingenti, la filosofia; ma vd. a p. 106: «L’esigenza dell’au-
tonomia delle singole scienze storiche era, secondo me, un trasporto illegittimo di con-
cezioni adeguate solo alle scienze naturali, quale conveniva all’età positivistica»; con l’ag-
LA FILOLOGIA DI FOLENA 23
giunta: «Io oso esprimere sommessamente il sospetto che anche nella biologia e anche
nella medicina l’autonomia delle specialità sia già superata o stia per essere superata, per-
ché anche il corpo umano, come lo spirito, è un’unità» (e cfr. S. TIMPANARO, Storicismo di
Pasquali, in Per Giorgio Pasquali, cit., pp. 120-46, a p. 129); in tono faceto, recensendo tre
anni più tardi (in «Pan», a. II, novembre 1934, pp. 445-48) la traduzione e il commento
alla Poetica di Manara Valgimigli, così lamentava l’inerte specialismo del coevo commen-
to di Alfred Gudeman: «Mi par di ricordarmi che si narra degli antichi Egizi ch’essi aves-
sero medici speciali per l’occhio destro e medici speciali per il sinistro; a specialisti così
ristretti io non affiderei i miei occhi» (G. PASQUALI, Scritti filologici, cit., vol. II, pp. 932-37,
a p. 935, e cfr. l’Introduzione di La Penna, ivi, pp. XVI-XVII).
21
Vd. riassuntivamente D. DE MARTINO, Preistoria editoriale delle ‘Stravaganze’ di Giorgio
Pasquali, in «Rivista di filologia e di istruzione classica», vol. CXXIII, 1995, pp. 236-249,
alle pp. 245-46. Si citi almeno la Prefazione a G. PASQUALI, Storia della tradizione e critica del
testo, Firenze, Le Monnier, 1934 (Seconda edizione con nuova prefazione e aggiunta di
tre appendici, Firenze, Le Monnier, 1952; rist. con Premessa di D. Pieraccioni, Firenze, Le
Lettere, 1988), p. XIV: «io sono convinto che almeno nelle scienze dello spirito non esi-
stano discipline severamente delimitate, “scomparti”, Fächer, ma solo problemi che devo-
no essere spesso affrontati contemporaneamente con metodi desunti dalle più varie
discipline»; altri passi, e in particolare quello, assai importante, nel Ricordo di Jacob
Wackernagel, saranno citati più oltre.
22
«Lo storicismo di Pasquali aveva un senso del concreto più operante, più prensi-
le, perché aveva una profonda radice empiristica e non era deviato né da schemi filoso-
fici né da tentazioni mistiche: era uno storicismo veramente depurato da residui teologi-
ci» (A. La PENNA, Gli «Scritti filologici», cit., p. XLIX).
23
G. FOLENA, Ernesto Giacomo Parodi. Nel centenario della nascita, in «Lettere italiane»,
vol. XIV, 1962, pp. 395-420, ora (sotto il titolo Ernesto Giacomo Parodi), in ID., Filologia e
umanità, cit., pp. 123-53, rispettivamente alle pp. 126, 133 (il saggio è in parte rifuso anche
in ID., Parodi filologo e linguista, in Letteratura italiana. I Critici, cit., vol. III, pp. 1593-1616).
In proposito, vd. oltre quanto si dirà del Circolo “filologico-linguistico” padovano.
24
Quanto all’antimonografismo, per la disaffezione di Folena nei confronti dei volu-
mi organicamente monotematici, e la sua propensione al contributo puntuale (propen-
24 CLAUDIO CIOCIOLA
sione in certo senso generazionale: si pensi a un Contini), vd. tra gli altri L. RENZI,
Gianfranco Folena, un italiano in Europa, in Italiano: lingua di cultura europea. Atti del Simposio
internazionale in memoria di Gianfranco Folena, Weimar 11-13 aprile 1996, a cura di H.
Stammerjohann con la collaborazione di H.-I. Radatz, Tübingen, Narr, 1997, pp. 11-18,
a p. 12. Questo atteggiamento, che «menava più all’articolo che al libro», era stato di
Pasquali: vd. A. LA PENNA, Lo scrittore “stravagante”, in «Atene e Roma», N.S., vol. II, 1952,
pp. 224-36, ora in Per Giorgio Pasquali, cit., pp. 71-89, alle pp. 71-72, e S. TIMPANARO,
Storicismo di Pasquali, cit., pp. 126-27.
25
Vd. G. CONTINI, Avviso, in Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968),
Torino, Einaudi, 1970, p. VIII («La varietà che appartiene al tempo, letterale o mentale,
di queste pagine, appartiene ugualmente ai loro oggetti, essendo lo scrivente fermamen-
te persuaso che, com’ebbe una volta a dire il Croce, tutti i metodi sono buoni quando
sono buoni»), e ID., Filologia, in Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, vol. II, 1977, pp. 954-72, ora in ID., Breviario di ecdotica, Milano-Napoli, Ricciardi,
1986, pp. 3-66, a p. 8 («si può ripetere delle forme di edizione il famoso detto del Croce
sulle forme di critica, che ognuna è buona quando è buona»).
26
Per la storia dei rapporti Contini-Pasquali vd. D. DE MARTINO, «Come il cane che ha
perso il padrone». Corrispondenza Giorgio Pasquali - Gianfranco Contini (1935-1952), in
“Strumenti critici”, vol. I, 1994, pp. 387-439; in una lettera a Gentile del ’37 (dal giugno
il filosofo era nuovamente Direttore della Normale, e in quella vesta aveva presenziato,
come si è visto, anche all’esame di ammissione di Folena), Russo, che gli manifestava l’in-
tenzione di chiamare a Pisa Contini in veste d’incaricato di francese, lo definiva «un tipo
di ingegno alla Pasquali, dottissimo, ma con una spina dorsale che il nostro amico
Pasquali purtroppo non ha. Ed è sicuramente giovane di largo avvenire» (la mediazione
di Gentile risulterà in séguito determinante per l’ed. 1941 delle opere di Bonvesin: vd. C.
CIOCIOLA, Contini, Croce e Bonvesin, in c.s.); a Russo, peraltro, Contini era stato introdotto,
nel ’36, proprio da Pasquali, come «ottimo conoscitore dei nostri antichi dialetti e splen-
dido teorico di metodo editoriale» (vd. D. DE MARTINO, Gianfranco Contini è sicuramente
giovane di largo avvenire, in «Belfagor», vol. LVII, 2002, pp. 177-185, rispettivamente alle pp.
177, 178); «giovane di molto ingegno e di preziosa dottrina» Contini è del resto nel Prologo
LA FILOLOGIA DI FOLENA 25
della prima edizione (1942, ma il Prologo è datato al settembre 1941) di La critica letteraria
contemporanea, cit., p. XVII, e i suoi «tentativi di critica linguistica» sono salutati come «il
crepuscolo [aurorale] di una nuova esperienza». Sulle reazioni tra i normalisti al primo
insegnamento pisano di Contini, tenuto nell’a.a. 1937-1938 (quello dell’ingresso di
Folena in Normale), vd. la testimonianza di A. RONCAGLIA, Ricordo di Gianfranco Contini,
in G. CONTINI, La critica degli scartafacci e altre pagine sparse, Con un ricordo di A. Roncaglia,
Pisa, Scuola Normale Superiore, 1992, pp. VII-XXXV.
27
G. CONTINI, Una testimonianza, in «Nuovo Corriere» del 9 agosto 1952, p. 3 (anche
in Per Giorgio Pasquali, cit., pp. 20-24), ora (sotto il titolo Memoria di Giorgio Pasquali), in
ID., Altri esercizî (1942-1971), Torino, Einaudi, 1972, pp. 349-53, a p. 350; e cfr. A. LA
PENNA, Lo scrittore “stravagante”, cit., p. 79: «Pasquali non parte mai dall’alto, da principii
generali, non “deduce”»; e p. 84: «insofferente di ogni sistema, assetato di concretezza,
non si sentiva portato ad approfondire le sue esigenze speculative».
28
G. FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., p. 212.
29
«Per lui, nemico di ogni schematismo, le eccezioni contano non meno delle regole;
e tuttavia esistono anche le regole» (G. PERROTTA, Intelligenza di Giorgio Pasquali, cit., p. 10).
30
L. CARETTI, Ritratto di Pasquali, cit., p. 399.
31
Vd. S. TIMPANARO, Storicismo di Pasquali, cit., pp. 127-28.
32
«Una filologia così intesa […] fa tutt’uno col concetto di storia, è storia resa attua-
le: è il mondo dei fatti ch’esce dal buio e prende infine un significato. Per quanto tempo,
26 CLAUDIO CIOCIOLA
e per chi? È questo, non diciamo il limite, ma il sentimento che una simile scienza ci
lascia: il senso (e lo dice il Pasquali) che non esistono scienze separate ma problemi che
si devono assalire coi metodi d’ogni scienza, in vista di risultati che non saranno mai defi-
nitivi. Non diverse sono le conclusioni della filosofia nuova, quella almeno che ha sosti-
tuito il divenire alla stasi, il dover essere all’essere. Ma il convergere (la domanda è nostra)
d’ogni scienza, storia e filosofia comprese, in un nuovo concetto di storia che sia l’unica
scienza, darà luogo a una sintesi nuova o a un’addizione? In tal caso i babau soppressi, e
prima di tutto la vecchia metafisica e la scienza positivistica, non riaffacceranno le loro
pretese? In ogni modo è certo che questo creduto specialista ha ben distrutto le barrie-
re della sua specialità» (E. MONTALE, Il “filologo soprano”, cit., p. 598-99).
33
Che tra i due storicismi, di Croce e di Pasquali, vi fossero «differenze tutt’altro che
secondarie» sottolinea, molto opportunamente, A. LA PENNA, Gli “Scritti filologici”, cit., in
part. p. XLVII e sgg. (cfr. in specie p. XLIX: «Nel privilegiare la conoscenza del concre-
to v’era certamente una convergenza con lo storicismo crociano: io credo, però, che la
convergenza fosse in parte apparente. Croce e i crociani teorizzavano molto la cono-
scenza del concreto, ma non avevano molto forte il senso della concretezza: la cono-
scenza del concreto era spesso vanificata con l’incasellamento in questa o quella catego-
ria o col ricondurre ogni problema concreto ai suoi termini universali»; e già: «Un tale
storicismo non poteva non cozzare sia con un certo dilettantismo estetico, che con lo
storicismo non aveva nulla a che fare, sia con l’altro storicismo generalmente dominan-
te in Italia, che si diceva anche esso assetato di concretezza, ma ch’era in realtà formali-
stico e deduttivo, che amava le caselle fissate a priori e risolveva i problemi prima di porli»:
A. LA PENNA, Lo scrittore “stravagante”, cit., p. 80). A definire i caratteri dello storicismo
pasqualiano, e il suo divergere da quello di Croce, è dedicato il saggio di S. TIMPANARO,
Storicismo di Pasquali, cit. (sviluppa un nucleo già presente nel profilo di Pasquali in
Letteratura italiana. I Critici, cit.); rilevante la riconduzione dell’espressione “scienze
dello spirito”, frequente in Pasquali, alle Geisteswissenschaften di tradizione germanica
piuttosto che alla tradizione crociano-gentiliana (pp. 125 sgg.). Cosa intendesse Pasquali
per “storicismo” si può ricavare tra l’altro dal contesto in cui egli si autodefinisce scher-
zosamente «fradicio di storicismo»: rec. a G. DEVOTO, Introduzione alla grammatica, e a
B. MIGLIORINI, La lingua nazionale, in «Nuova Antologia», a. LXXVI, vol. CDXVII, set-
tembre-ottobre 1941, pp. 407-14, a p. 411 (rist., sotto il titolo Devoto e Migliorini gramma-
tici, in «Belfagor», vol. XXII, 1967, pp. 273-83).
34
M. BARBI, Introduzione, in La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante al
Manzoni, Firenze, Sansoni, 1938, pp. VII-XLI, a p. XV; vd. ora l’anastatica con la biblio-
grafia degli scritti di Michele Barbi a cura di S. A. Barbi, Introduzione di V. Branca,
LA FILOLOGIA DI FOLENA 27
Firenze, Le Lettere, 1994 (sull’“individualità dei problemi” nella visione filologica del
Barbi insiste in più luoghi l’Introduzione di Branca).
35
E. MONTALE, Il “filologo soprano”, cit., p. 598 (a proposito di Storia della tradizione). I
riferimenti a una linea Barbi-Pasquali sono ormai numerosi: ne ha scritto, tra gli altri, A.
RONCONI, Rievocazione di Giorgio Pasquali, tenuta nell’aula magna dell’Università il 18 mag-
gio 1963, Firenze, 1963, ora (sotto il titolo Giorgio Pasquali), in ID., Filologia e linguistica,
Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1968, pp. 281-307, a p. 297 (anche, sotto il titolo Il filologo,
in Per Giorgio Pasquali, cit., pp. 90-119); vd. anche E. GARIN, Per De Robertis, in Giuseppe De
Robertis. Giornata di studio e mostra documentaria promossa dal Gabinetto scientifico
letterario G.P. Vieusseux, a cura di L. Caretti, Firenze, Olschki, 1985, pp. 7-17, a p. 7, e
S. TIMPANARO, De Robertis e la filologia, ivi, pp. 59-70, a p. 65: notevoli perché ambientano
l’atteggiamento nei confronti della filologia, e in specie dello studio delle varianti, di un
altro dei “maestri” fiorentini di Folena (che ne fu assistente volontario), Giuseppe De
Robertis; autore a sua volta di un bel ritratto di Barbi (originato, nel 1939, da una recen-
sione a La nuova filologia): «oggi che si va farneticando di non so qual dono di cui due o
tre in Italia, e in questo secolo, si sentirebbero privilegiati per leggere poesie; oggi que-
st’esempio illustre di lettore armato è di conforto grande a non lasciarsi abbagliare da
questi arcangeli. Perché, per Barbi, l’intelligenza della poesia è ben altra cosa, di natura
ben più difficile, e si chiama, con una parola sola, filologia. Sta al principio ed è il coro-
namento di qualunque serio lavoro critico» (G. DE ROBERTIS, Michele Barbi, in Studi,
Firenze, Le Monnier, 1944, pp. 171-77, a p. 173). Per la complementarità dell’insegna-
mento di Pasquali e di De Robertis in Folena, come del resto in Caretti (e nel suo caso
valga la testimonianza dello stesso L. CARETTI, A titolo di fatto personale, in «La fiera lette-
raria», 3 aprile 1955, p. 4, ora in ID., Antichi e moderni, cit., pp. 365-70, alle pp. 368 e, rias-
suntivamente, 369: «Attraverso De Robertis venivo articolando […] il rapporto tra filo-
logia e critica, mentre Pasquali mi mostrava concretamente ad ogni passo la convertibi-
lità della prima in storia»), vd. S. TIMPANARO, De Robertis e la filologia, cit., p. 66. Nello stes-
so volume è Folena a sottolineare che la “religione della poesia” di De Robertis si dis-
piegò «progressivamente in una serie di fecondissimi incontri con la filologia» (G.
FOLENA, Stile e critica stilistica in De Robertis, in Giuseppe De Robertis, cit., pp. 19-29, ora in
ID., Filologia e umanità, cit., pp. 282-93, a p. 292).
36
Cfr. G. FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., p. 219: «l’incontro con un filologo della tem-
pra di Michele Barbi lo aprì ai problemi della filologia testuale moderna e italiana (e il
libro sulla tradizione costituì anche per questo un’esperienza capitale per i filologi italia-
nisti, quando per merito suo e del Barbi filologia testuale, storia della lingua e storia della
cultura si dettero la mano in campo antico e moderno)».
28 CLAUDIO CIOCIOLA
37
G. PASQUALI, Ricordo di Michele Barbi, cit., p. 438; e cfr. G. FOLENA, La filologia dante-
sca di Carlo Witte, in AA.VV., Dante e la cultura tedesca, Padova, Antoniana, 1967, pp. 109-39,
ora in ID., Filologia e umanità, cit., pp. 25-52, a p. 27, in cui si legge che Barbi «ha saputo con-
ciliare il senso acutissimo del caso particolare con lo spirito di sistema in una metodologia
mirabilmente duttile e varia». Cfr. anche la commemorazione di Barbi letta dal Santoli
all’Università di Firenze il 13 dicembre 1942: «Non aveva toccasana metodici da spacciare
né certezze da proclamare. Parlava sempre di casi particolari, concreti» (V. SANTOLI,
Michele Barbi, in «Studi di filologia italiana», vol. VII, 1944, pp. 7-27, ora in ID., Fra
Germania e Italia. Scritti di storia letteraria, Firenze, Le Monnier, 1962, pp. 315-27, a p. 326).
38
G. PASQUALI, rec. a La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante al Manzoni,
in «Leonardo», vol. IX, 1938, pp. 471-83, poi (sotto il titolo L’edizione dei classici italiani da
Dante al Manzoni), in Terze pagine stravaganti, 1942, ora in ID., Pagine stravaganti di un filologo,
cit., vol. II, pp. 154-75, alle pp. 162-63.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 29
39
M. BARBI, La nuova filologia, cit., p. X.
40
L. RUSSO, Michele Barbi e la nuova filologia, cit., p. 59; ma cfr. l’intero contesto, note-
volissimo, delle pp. 58-59. Quanto spontaneo riuscisse a uno studioso in formazione in
quegli anni accomunare la lezione di Barbi a quella di Pasquali risulta, ad esempio, dal
consuntivo autobiografico di Vittorio Santoli (1961): «La filologia che avevo imparato a
Pisa era piuttosto alla buona. Nasceva intanto quella che è stata chiamata “la nuova filo-
logia”. In Barbi essa aveva uno dei suoi maestri. Un altro era Pasquali. E a Pasquali (verso
30 CLAUDIO CIOCIOLA
cui mi ero sentito attratto fin da quando ero studente) io debbo, dopo Barbi, il mio
riorientamento di quegli anni che, sia pure su un settore limitato, di lì a poco doveva por-
tarmi sulla prima linea del fronte neofilologico» (V. SANTOLI, Una cornice biografica per rifles-
sioni attuali, in ID., Fra Germania e Italia, cit., pp. 3-14, a p. 7). Al Santoli era stata affidata
la voce Archetipo nell’Enciclopedia italiana (vol. IV, 1929), scritta «prima che uscisse la Storia
della tradizione, ma ispirandosi a idee pasqualiane e in parte, di Michele Barbi» (S.
TIMPANARO, Premessa a Rapsodia sul classico. Contributi all’Enciclopedia italiana di Giorgio
Pasquali, a cura di F. Bornmann, G. Pascucci, S. Timpanaro, Roma, Istituto della
Enciclopedia italiana, 1987, pp. 3-28, a p. 13).
41
L’aneddoto è rievocato nella citata Commemorazione, ora in L. RUSSO, Michele Barbi
e la nuova filologia, cit., p. 50 (cfr. del resto quanto Russo scrive nella Prefazione alla secon-
da ed. dei propri Problemi di metodo critico, Bari, Laterza, 1950 – la prima, del 1929, era usci-
ta con dedica al Barbi –, p. 7: «Il titolo ebbe fortuna, ma l’autore ha sempre sentito il peso
d’un significato equivoco, che esso poteva assumere agli occhi dei lettori più distanti e
più distratti. La metodologia, per l’autore, non è stata in nessun momento un’astratta
LA FILOLOGIA DI FOLENA 31
chevole tentativo di “annessione” (Russo era per sua parte pronto a rico-
noscere l’influsso del maestro fiorentino sulla propria «esperienza di pre-
sunto filosofante “siculo-partenopeo”»),42 è tanto più significativo il
richiamo del Barbi alla scuola del Rajna e la lucida rivendicazione, sempre
nell’Introduzione alla Nuova filologia, delle posizioni sue e della sua genera-
zione, di eredi consapevoli e non inerti della tradizione del metodo stori-
co (in specie danconiano), con una presa di distanze che non può di per
sé tradursi in un’accettazione delle novità “filosofiche”: «Già la nostra
generazione reagiva ai suoi maestri che volevano l’edizione critica senza
la critica, l’emendatio senza l’interpretatio, e mirava a uno storicismo totalita-
rio e distingueva benissimo che la vera vita del poeta non era quella este-
esperienza filosofica (egli non è filosofo, e gli fa torto chi gli attribuisce, per ragioni pole-
miche, questa ambizione), perché volta per volta essa si calava su problemi storici con-
creti»). Quanto alla fama diffusasi di un Russo “intitolatore”, ragioni cronologiche indu-
cono a supporre che il riferimento fosse all’intitolazione di un libro appunto pasqualia-
no, le celebri Pagine stravaganti di un filologo, uscite nel 1933: titolo dovuto a Russo, come si
ricava da una lettera del 3 dicembre 1933 di Pasquali a Manara Valgimigli (pubblicata più
volte: vedila in D. PIERACCIONI, Manara Valgimigli e Giorgio Pasquali. Storia d’una amicizia
(1912-1952), in «Atene e Roma», vol. XXIII, 1978, pp. 37-45, a p. 4): «Russo volle quel
titolo, e io l’accettai» (cfr. anche D. PIERACCIONI, Il centenario di Giorgio Pasquali, in «Nuova
Antologia», a. CXXI, vol. DLV, aprile-giugno 1986, pp. 269-79, alle pp. 278-79, e D. DE
MARTINO, Preistoria editoriale delle «Stravaganze», cit., p. 242). In Russo si deve pertanto
identificare il «collega spiritoso (e tuttavia non malevolo)» evocato nella Prefazione alle
Terze pagine stravaganti, 1942 (G. PASQUALI, Pagine stravaganti di un filologo, cit., vol. II, p. 3),
e l’«amico faceto che battezzò il primo libro», nella Prefazione alle Stravaganze quarte e supre-
me, 1951 (ivi, p. 273). Si noti peraltro che l’identità dell’«amico faceto» doveva essere ben
nota all’entourage, se già nel ’52, in morte di Pasquali, La Penna scriveva che il titolo «fu
suggerito al Pasquali da un amico estroso, che è oggi il nostro critico più insigne» (A. LA
PENNA, Lo scrittore “stravagante”, cit., p. 71).
42
«Furono quelli gli anni […] in cui l’autore cercò di umanizzare la sua esperienza
di presunto filosofante “siculo-partenopeo”, avvalendosi degli ammaestramenti che gli
venivano da un maestro fiorentino, quale Michele Barbi, il quale, mentre accettava dal
suo scolaro e compagno la terminologia filosofica nuova e parlava anche lui di problemi
(donde i suoi Problemi di critica dantesca), d’altra parte insisteva costantemente sulla neces-
sità che il calidante collega si assoggettasse ad una minuta e paziente interpretazione dei
classici: da ciò i suoi numerosi commenti. Poiché l’ambizione dell’autore, in quegli anni,
fu precisamente questa, di fondere insieme il metodo storiografico proprio della grande
tradizione meridionale (De Sanctis, Croce) e il metodo della fedele lettura filologica dei
testi, secondo la buona tradizione galileiana, riaffermata dal Tommaseo al Carducci, dal
Del Lungo e dal Fornaciari al Barbi» (Prefazione a L. RUSSO, Problemi di metodo critico, cit.,
pp. 9-10; non sapremmo dire se la compagnia “galileiana” qui assortita da Russo fosse
fatta per soddisfare in tutto Barbi).
32 CLAUDIO CIOCIOLA
43
M. BARBI, La nuova filologia, cit., p. XXV (e vd. l’intero contesto delle pp. XXIV-
XXVI). Barbi si era laureato nel 1889 con Alessandro D’Ancona, e la sua dissertazione,
Della fortuna di Dante nel secolo XVI, era stata pubblicata l’anno seguente nel vol. XIII (VII
della Serie “Filosofia e Filologia”) degli «Annali» della Scuola Normale (nonché in volu-
me autonomo, con dedica al D’Ancona: Pisa, Nistri-Lischi, 1890).
44
G. PASQUALI, Filologia e storia, Introduzione di F. Giordano, Firenze, Le Monnier,
1998 [1920], p. 26.
45
Già nella voce Edizione compilata per l’Enciclopedia italiana (vol. XIII, 1932) – voce
che costituisce una «sintesi anticipata» di Storia della tradizione (S. TIMPANARO, Premessa a
Rapsodia sul classico, cit., p. 13) – Pasquali aveva scritto: «Esempio del modo come si risol-
vono problemi complicatissimi di tradizione dànno i più recenti romanologi italiani, spe-
cie Michele Barbi, Vittorio Rossi e già il loro maestro Pio Rajna nei loro studî su Dante,
il Petrarca, lo stil nuovo e il Boccaccio» (ivi, p. 266; subito dopo è detto «problema spe-
cialmente istruttivo» quello del Milione, al quale, in Storia della tradizione, si dedicherà lo
stesso Pasquali). L’“interpretazione”, in senso pregnante e anche in relazione alla que-
stione della traduzione, era un punto chiave nell’opposizione dei “filologi” ai critici “este-
tici” (basti pensare al Pasquali di Filologia e storia); una traccia di quella polemica sembra
riverberarsi, anche se in diverso contesto, nell’importante passo in cui Folena riconosce
nella “traduzione” di culture la genesi stessa delle culture: «È noto che all’inizio di nuove
tradizioni di lingua scritta e letteraria, fin dove possiamo spingere lo sguardo, sta molto
spesso la traduzione: sicché al vulgato superbo motto idealistico in principio fuit poëta vien
fatto di contrapporre oggi l’umile realtà che in principio fuit interpres, il che significa nega-
re nella storia l’assolutezza o autoctonia di ogni cominciamento» (G. FOLENA,
Volgarizzare e tradurre, Torino, Einaudi, 1991, poi 1994, p. 3; già, sotto il titolo
«Volgarizzare» e «tradurre»: idea e terminologia della traduzione dal Medio Evo italiano e romanzo
all’umanesimo europeo, in AA.VV., La traduzione: saggi e studi, Trieste, Lint, 1973, pp. 57-120).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 33
46
G. PASQUALI, Preistoria della poesia romana, con un saggio introduttivo di S.
Timpanaro, Firenze, Sansoni, 1981, pp. 88-89.
47
Sottolinea il rilievo della bordata polemica S. TIMPANARO, Storicismo di Pasquali, cit.,
p. 137 (e cfr., per la dedica, ID., Pasquali, la metrica, e la cultura di Roma arcaica, in G.
PASQUALI, Preistoria della poesia romana, cit., pp. 5-80, a p. 59; sull’“incompatibilità” sostan-
ziale dell’opera pasqualiana con il crocianesimo, vd. le pp. 48-49).
48
G. FOLENA, Un libro e due prolusioni, in «Letteratura», vol. I, n. 3, maggio-giugno
1953, pp. 81-84, a p. 81.
49
«Come in ognuno di noi pulsa la vita d’innumerevoli progenitori, di tutta la nostra
stirpe, così ogni parola è quel che è e produce l’effetto che produce solo in grazia della
sua storia» (G. PASQUALI, Filologia e storia, cit., p. 7).
34 CLAUDIO CIOCIOLA
50
G. FOLENA, Presentazione, in Lingua e strutture del teatro italiano del Rinascimento,
Padova, Liviana, 1970, pp. IX-XIX, ora in ID., Scrittori e scritture. Le occasioni della critica,
Introduzione di M. Berengo, Edizione a cura di D. Goldin Folena, Bologna, Il Mulino,
1997, pp. 219-33, a p. 220; l’asserto suggella un capoverso significativo: «Il terreno della
storia linguistica, che per la mia generazione ha costituito una feconda ipotesi ricostrut-
tiva di tutto il tessuto della storia civile, appare oggi, se non disertato, meno attraente per
i giovani […] L’interesse per gli strumenti è un segno positivo del nostro tempo, purché
non si trasformi, come spesso avviene, in un puro strumentalismo indifferente agli
oggetti. E l’indifferenza agli oggetti, che nel nostro caso sono in larghissima parte ogget-
ti storici […], produce una superfetazione di macchine che producono altre macchine
prima che l’utilità d’impiego ne sia stata collaudata a fondo» (ivi, p. 220). «Sembra di leg-
gere Croce – ha osservato, nella sua Introduzione, a p. 17, Berengo –, con in più un robu-
sto innesto di fiducia nella filologia».
51
G. FOLENA, Presentazione, in Ricerche sulla lingua poetica contemporanea, Padova,
Liviana, 1966, pp. IX-XV, ora in ID., Scrittori e scritture, cit., pp. 209-18, alle pp. 209-10 (il
passo è citato anche da A. DANIELE, Gianfranco Folena, in «Belfagor», vol. IL, 1994, pp.
535-50, a p. 537).
52
L. RENZI, La linguistica di Gianfranco Folena, cit., p. 462 (rimodulata, in senso evolu-
tivo, nella voce del Dizionario biografico degli Italiani, cit., p. 541: «Sempre più, con il passa-
re del tempo e l’avanzare della sua ricchissima produzione, i lavori del F[olena] appaio-
no studi di storia della cultura sub specie linguistica»).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 35
zione quasi magica, nello specchio della lingua tutta una civiltà».53 Nel
Ricordo di Wackernagel, del ’38, è, del resto, una lucida rivendicazione del
carattere storico dell’analisi linguistica, nel quadro di una contrapposizio-
ne tra i ruoli dei comparatisti puri – gli indoeuropeisti, o linguisti “prei-
storici” – e i linguisti “storici”; rivendicazione che oltretutto ripropone il
Leitmotiv della individualità dei problemi e della molteplicità, insofferente
di compartimentazioni, delle strategie per affrontarli, implicitamente rifa-
cendosi al passo già citato di Paleografia quale scienza dello spirito, del ’31: «I
comparatisti puri o preistorici si contentano di determinare (o di conget-
turare) se una certa forma, parola, costruzione sia rispetto all’indoeuro-
peo originaria, conservazione, oppure se sia innovazione. Gli storici
vogliono veder chiaro quali forze abbiano agevolato la conservazione, e
quanto alle innovazioni (delle quali naturalmente s’interessano di più, pro-
prio inversamente agli altri) vogliono stabilire quando e dove una sia avve-
nuta, come si sia diffusa, quali siano i suoi limiti e perché non li abbia tra-
scesi. Questo significa inserire la storia della lingua nella storia della cul-
tura e nella storia politica; ed è ancora un carattere differenziale di tal lin-
guistica. I comparatisti isolano i fatti linguistici, cercano di comporli in un
sistema relativamente chiuso, di farne un compartimento in qualche misu-
ra stagno. Il linguista storico, invece, come il filologo, non conosce disci-
pline, ma problemi, e assalta i problemi da ogni parte e con tutti i mezzi
possibili».54 A distanza di moltissimi anni, ricordando Angelico Prati,
Folena ne loderà la consapevolezza di ciò che «molti comparatisti spesso
dimenticano: che la “comparazione” è essenzialmente un’operazione sto-
rica, non un calcolo algebrico né un procedimento naturalistico».55
Se oggetto dello studio di Folena era dunque «il mondo visto sub spe-
cie linguistica», non vi è dubbio che le lenti da inforcare per scrutare quel
mondo con garanzie di legittimità fossero le lenti della filologia: praticata
nel quotidiano, paziente, oneroso, talora snervante, esercizio dell’accerta-
mento dei fatti, che alla storia dei fatti concede l’accesso. Principio che si
53
G. PASQUALI, Ricordo del linguista Jacob Wackernagel, in «Letteratura», vol. II, n. 3,
luglio 1938, pp. 6-15, poi (sotto il titolo Ricordo di Jacob Wackernagel), in Terze pagine strava-
ganti, 1942, ora in ID., Pagine stravaganti di un filologo, cit., vol. II, pp. 216-29, a p. 224.
54
Ivi, p. 218.
55
G. FOLENA, Ricordo di Angelico Prati, in A. PRATI, Etimologie venete, Venezia-Roma,
Istituto per la collaborazione culturale, 1968, pp. VII-XI, ora in G. FOLENA, Filologia e
umanità, cit., pp. 295-303, a p. 302.
36 CLAUDIO CIOCIOLA
56
C. CASES, in «L’Indice dei libri del mese», vol. IX, n. 3, marzo 1992, p. 16 (cit.
anche da A. DANIELE, Gianfranco Folena, cit., p. 537). Molto suggestivamente, la formula
di Cases è stata da Mengaldo variata in «spargere attorno a sé filologia» (P. V. MENGALDO,
Premessa a Mille sedute, Padova, Editoriale Programma, 1992, p. IX-XI, a p. IX).
57
Cfr. A. DANIELE, Gianfranco Folena, cit., p. 537.
58
Ivi, p. 538. Tra gli altri, anche G. CONTINI, Memoria di Giorgio Pasquali, cit., p. 351,
ricorda la predilezione di Pasquali, «ancora così poco condivisa dai suoi colleghi, per la
conversazione maieutica, per il “seminario” (dove dicono fosse spettacolo bellissimo sor-
prendere il nascere delle sue scoperte, e ancor più la sua umiltà e il festivo saluto della
scoperta altrui)».
59
«È nato così, per generazione spontanea e per via non gerarchica, quello che ci è
piaciuto battezzare con l’appellativo di “circolo filologico-linguistico padovano”: che
potrà sembrare forse una vanità provinciale a chi voglia pensare ad altri circoli insigni
negli annali recenti della linguistica e della filologia, e più direttamente a quello fiorenti-
no del venerdì dal quale il nostro ha derivato lo stimolo e l’esempio» (G. FOLENA,
Presentazione, in Ricerche sulla lingua poetica contemporanea, cit., ora in ID., Scrittori e scritture, cit.,
p. 209). Vd. anche G. FOLENA, Parole introduttive: vecchia e nuova retorica, in Attualità della reto-
rica, Atti del I Convegno italo-tedesco (Bressanone, 1973), Parole introduttive di G.
Folena, Padova, Liviana, 1975, pp. 1-11, ora in ID., Scrittori e scritture, cit., pp. 234-43, a p.
235, in cui il Circolo fiorentino è detto «progenitore del nostro»; e cfr. C. A. MASTRELLI,
Un esempio di costanza, in Studi linguistici per i 50 anni del Circolo Linguistico Fiorentino e «I secon-
di mille dibattiti», 1970-1995, Firenze, Olschki, 1995, pp. VII-XI, a p. IX (e a p. VIII, per
la derivazione pasqualiana dell’attitudine “seminariale”).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 37
60
L’acuta lettura della Normale pasqualiana quale «immagine restituita della vita uni-
versitaria di Gottinga, collegialmente intesa» è di L. CARETTI, Ritratto di Pasquali, cit., p.
392. Di “discussione intorno a un tavolo” si parla esplicitamente nella cit. Presentazione a
Ricerche sulla lingua poetica contemporanea: «La nostra è un’iniziativa tanto più limitata e
modesta, ma insieme appassionata e tenace, nata per il piacere di ritrovarci puntualmen-
te intorno a un tavolo per scambiare esperienze ed idee, per favorire ogni volta che è pos-
sibile l’incontro con studiosi lontani, e soprattutto per incoraggiare i giovani a esprimer-
si, a confrontare metodi e indirizzi diversi e a scegliere fra questi liberamente la propria
via, in un contatto non solo interdisciplinare, com’è di moda dire oggi, ma personale e
umano» (in G. FOLENA, Scrittori e scritture, cit., p. 209). Per il perpetuarsi della forma semi-
nariale nella didattica di Folena e per il suo iterarsi negli allievi, vd. ad es., in questo stes-
so volume, la testimonianza di Sergio Bozzola.
61
P. V. MENGALDO, Premessa a Mille sedute, cit., p. XI. Con Castellani e Baldelli, Folena
è additato tra gli studiosi nei quali è più significativamente visibile l’intreccio di filologia
e storia delle lingua da A. STUSSI, Filologia e storia della lingua italiana, in «Yearbook of
Italian Studies», vol. IX, 1991, pp. 1-20, ora in ID., Lingua, dialetto e letteratura, Torino,
Einaudi, 1993, pp. 214-34, a p. 217.
62
Vd. sopra, p. 25. “Circolo filologico” rinverdiva una denominazione secondo-
ottocentesca: basti pensare al Circolo Filologico Milanese, 1872, o a quello Napoletano
di De Sanctis, 1876; “circolo linguistico”, a sua volta, riecheggia «predecessori illustri»,
come riconobbe G. DEVOTO, Un esempio di modestia, in Mille. I dibattiti del Circolo Linguistico
Fiorentino, 1945-1970, Firenze, Olschki, 1970, pp. 1-6, a p. 1 (e si pensa al Circolo lingui-
stico di Praga, o al Circolo linguistico di Mosca, fondato da Jakobson agli inizi del
Novecento, che Devoto non cita ma fu il precursore di quello praghese). Nell’accezione
fiorentina che stingerà su quella padovana, nel «nome stesso di “Circolo” era sottinteso
lo scambio non gerarchico ma ininterrotto di informazioni e di idee, senza un capotavo-
la, che non fosse l’oratore di turno»: G. DEVOTO, La mille del Circolo, in ID., Gioco di forze,
Vicenza, Neri Pozza, 1971, pp. 217-22, a p. 219.
38 CLAUDIO CIOCIOLA
te, tra gli altri, il profilo di Parodi («l’intelletto forse dotato di più larga e
varia filologia dell’età sua»):67 vuoi per l’originale funzione di “ponte” tra
filologia e storia della lingua assolta dallo studioso genovese (nella
Firenze di Rajna prima e poi di Barbi),68 vuoi per l’influsso diretto che il
saggio sulla Rima nella Divina Commedia esercitò su Folena «novellino
nella Scuola pisana», contribuendo a determinarne la vocazione. Quel
saggio procurò infatti al giovanissimo normalista un salutare incontro
con i “fatti”, fatti “nutriti di storia”: «fui invitato dalla mirabile introdu-
zione a procedere oltre la siepe grammaticale (era la prima volta che la
varcavo), e mi trovai di là con qualche fatica e con un certo disorienta-
mento, in un mondo assai diverso e pieno di spigoli e d’inciampi; dove
nel grande casellario grammaticale stavano bene ordinati fatti, fatti reali
e sperimentati, proprio quei duri fatti contro cui un giovane aveva biso-
gno di battere la testa formicolante di formule e di filosofemi».69 Nella
«naturale “politropia”» del Parodi, e nel suo ricongiungersi all’insegna-
mento fiorentino di Vitelli e Comparetti (al quale Parodi fu «forse più di
ogni altro prossimo nell’aspirazione a una Realphilologie che abbracciasse
e avvicinasse diverse esperienze storiche e che fosse storia complessa di
tradizioni»),70 Folena sembra a un tempo riconoscere tratti culturali e
umani che, vivificati dall’incontro con Pasquali, furono suoi propri. Già
nel 1957 aveva del resto lucidamente individuato, nell’esperienza emble-
matica di Parodi, la sintesi di un’evoluzione cruciale nella storia della cul-
tura italiana della prima metà del Novecento: «si può dire che tutto il
cammino della nostra cultura filologica e linguistica e critica nel passag-
gio dall’idealismo a uno storicismo integrale nutrito di interessi positivi
ci riconduce a Parodi».71 Particolare spicco, nel filo del nostro discorso,
assume tuttavia, anche per l’acume nella ricostruzione del paesaggio cul-
67
G. FOLENA, Ernesto Giacomo Parodi, cit., p. 125.
68
Vd. anche U. VIGNUZZI, Linguistica e filologia: il ‘metodo’ di E. G. Parodi, in AA. VV.,
La Società Dantesca Italiana 1888-1988, Convegno Internazionale (Firenze 24-26 novem-
bre 1988, Palazzo Vecchio - Palazzo Medici Riccardi - Palagio dell’Arte della Lana), Atti
a cura di R. Abardo, Milano-Napoli, Ricciardi, 1995, pp. 207-26.
69
G. FOLENA, Ernesto Giacomo Parodi, cit., pp. 122-23.
70
Ivi, pp. 127, 136.
71
G. FOLENA, Nota sulla presente raccolta, in E. G. PARODI, Lingua e Letteratura. Studi di
Teoria linguistica e di Storia dell’italiano antico, a cura di G. Folena con un Saggio introdutti-
vo di A. Schiaffini, Venezia, Neri Pozza, 1957, pp. XXXIX-XL.
40 CLAUDIO CIOCIOLA
turale di primo Novecento, il saggio dedicato nel ’70 a Benedetto Croce e gli
«Scrittori d’Italia».72 Uno snodo biografico e culturale determinante, pur
nel segno della continuità, rappresentò infatti il passaggio della direzio-
ne degli “Scrittori” dalle mani del Russo («un mio amato e rimpianto
maestro, […] che per vigore e fuoco di temperamento aveva alcunché di
Carducci») in quelle di Folena, all’inizio del 1959 (Russo morirà nel ’61).73
Più che ragguardevoli i risultati raggiunti, sotto la direzione di Folena, da
una collana nelle intenzioni della quale egli aveva scorto, con perspicacia,
un «ponte gettato dall’altra sponda verso la scuola storica, in nome di
una metodologia critica e di una interpretazione della storia molto diver-
se»; o ancora «un assalto in forze» (che aveva indotto la rammaricata rea-
zione di Serra) «proprio della non-poesia e anche della non-letteratura e
dell’antiletteratura alla roccaforte classica e alla “religione delle lette-
re”».74 Il bilancio della direzione Folena risiede corposo nella cinquanti-
72
G. FOLENA, Benedetto Croce e gli «Scrittori d’Italia», in Critica e storia letteraria. Studi offer-
ti a Mario Fubini, Padova, Liviana, 1970, vol. II, pp. 123-60, ora (senza l’Appendice) in
ID., Filologia e umanità, cit., pp. 155-176.
73
La citazione da G. FOLENA, Carducci maestro di retorica, in Carducci e la letteratura italia-
na, Padova, Antenore, 1989, pp. 27-46, ora in ID., Filologia e umanità, cit., pp. 8-24, a p. 20.
74
G. FOLENA, Benedetto Croce e gli «Scrittori d’Italia», cit., pp. 159, 160; a p. 168 ribadi-
rà argutamente: «col suo piano il Croce aveva lanciato un ponte verso la scuola storica,
pur rimanendo ben fermo sulla sua riva napoletana». Notevoli le considerazioni circa la
fin de non recevoir in sostanza opposta dall’altra riva: «fu certo una grossa occasione man-
cata, che allora molti rappresentanti della scuola storica e della filologia più qualificata
rispondessero solo in limine e pochi di loro portassero poi la loro opera a quella vasta
impresa; e fu un grave danno per la serietà e la continuità della nostra filologia che alcu-
ni di quei maestri ed epigoni della scuola storica perdessero allora tempo in improvvisa-
zioni estetiche e critiche, alle quali non erano vocati, o magari in concioni nazionalisti-
che, invece di consacrarsi al lavoro in rebus che davvero conveniva a dei filologi e che solo
poteva far nascere la nuova scuola filologica» (p. 169). Sono parole del ’70, anno in cui
uscì nel «Giornale storico» l’importante saggio Cultura poetica dei primi Fiorentini (ora in ID.,
Textus testis. Lingua e cultura poetica delle origini, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp. 159-96):
l’anno seguente Folena assunse la condirezione della rivista. Si noterà incidentalmente
che l’attività di condirettore di rivista, che risulta spesso – e quasi inevitabilmente – sog-
getta a ragioni di natura contingente, rappresenti in Folena il naturale riflesso – nel solco
delle “tradizioni di studi” a lui più congeniali – dei suoi molteplici fulcri d’interesse: la
storia della lingua italiana («Lingua nostra», la rivista dei maestri, alla quale incominciò a
collaborare ancora studente, nel ’41); la storia letteraria (il «Giornale storico»); la filolo-
gia romanza («Medioevo romanzo»); la lessicografia («Bollettino dell’Atlante linguistico
mediterraneo»), e infine, tutta sua, la filologia veneta («Filologia veneta» appunto, nata
come rivista anche se caratterizzatasi in serie di monografie tematiche a più voci).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 41
75
Costituiscono la sezione II della Parte prima di G. FOLENA, Scrittori e scritture, cit.
76
«Quando la nuova filologia di maestri come Barbi e Pasquali acquistò generale riso-
nanza e prestigio, il senso di una situazione di cultura mutata si ebbe subito con la direzio-
ne assunta nel ’37 da Luigi Russo» (G. FOLENA, Scrittori d’Italia, in Catalogo generale delle edi-
zioni Laterza, Bari, 1974, pp. 9-11, ora in ID., Scrittori e scritture, cit., pp. 53-55, a p. 55).
Descrivendo l’efficacia e l’importanza della “strategia culturale” messa in atto dal Croce nel
primo decennio del Novecento, Folena aveva parlato del «divorzio crescente tra filologia e
filosofia, fra nord scientifico e filologico e sud filosofico», divorzio accentuatosi negli
ultimi anni del positivismo (G. FOLENA, Benedetto Croce e gli «Scrittori d’Italia», cit., p. 156).
77
Nella nota editoriale anonima La nuova direzione degli «Scrittori d’Italia», in «Cultura
moderna», n. 3, 41, maggio 1959, p. 13 (il sommario recita: «Giancarlo [sic] Folena suc-
cede a Luigi Russo alla guida della collana ideata da Croce, che rappresenta oggi il più
vasto, aperto e organico “corpus” di classici italiani») l’anonimo autore, ripercorsa la sto-
ria della collana, scrive: «Su queste linee gli “Scrittori d’Italia” continueranno a cammi-
nare, mantenendo fede al programma iniziale e aprendosi alle soluzioni nuove prospet-
tate di volta in volta dalla nostra progrediente filologia, con una revisione dei criteri edi-
toriali graduale e commisurata ai casi singoli»).
78
Sul modello della Teubner e della Oxford, «testi critici accuratissimi, ciascuno dei
quali affidato ad uno studioso specialista, e non avrà ingombro di note o commenti, salvo,
in fine di ciascun volume, un’appendice critica, che dia conto del metodo tenuto nel pub-
blicare il testo» (vd. G. FOLENA, Benedetto Croce e gli «Scrittori d’Italia», cit., p. 163).
79
È notevole, per il carattere programmatico e per la consapevole concentrazione
sui secoli “di crisi”, quanto Folena scrive, nel 1963, al principio delle schede dedicate al
42 CLAUDIO CIOCIOLA
Boiardo a cura di Mengaldo e agli Scritti critici e satirici di Pier Jacopo Martello: «Nelle
nostre biblioteche di “classici” italiani i palchetti ancora più sguarniti di adeguati incre-
menti moderni (anche se non mancano certo lodevoli eccezioni), son proprio quelli riser-
vati alle epoche meno “classiche”, alle cosiddette età di trapasso, quelle che vedono ela-
borarsi nuove forme di cultura e formarsi una nuova coscienza civile e letteraria, e che
son poi età di note “crisi” linguistiche: il ’400 umanistico e volgare (il “quattrocentuccio”
dei cruscanti), e il ’700 razionalistico e umanistico (il “secol miterino” dei puristi). Il lavo-
ro storico-critico particolarmente intenso negli ultimi anni in questi settori ha largamen-
te rinnovato il panorama degli studi e approfondito i nessi storico-culturali in queste epo-
che “critiche”, verso le quali ci sentiamo sollecitati da interessi attuali: perché questo rin-
novamento sia durevole e profondo occorre che la nostra cultura si familiarizzi sempre
più con testi che restano ancora spesso usufruiti marginalmente o, peggio, indirettamen-
te. In questi campi rimane davvero moltissimo da fare e da rivalutare, se non da scopri-
re, e il programma degli «Scrittori d’Italia» è qui particolarmente impegnato e folto, nel
presente e per gli anni prossimi» (G. FOLENA, Quattrocento e Settecento negli «Scrittori d’Italia»,
in «Cultura moderna», n. 2, 60, aprile 1963, pp. 10-12, a p. 10).
80
G. FOLENA, Benedetto Croce e gli «Scrittori d’Italia», cit., in ID., Filologia e umanità, cit.,
p. 160; e cfr. p. 165: «Una concezione della storia letteraria in sostanza eminentemente
“positiva” e “storicista”, policentrica e legata alla varietà e circolarità delle forme, “pen-
siero-poesia-letteratura-vita morale”, secondo il sottotitolo dell’opera di storia letteraria
e civile del Croce che meglio rispecchierà questa più complessa e articolata concezione,
in contrasto con taluni indirizzi della sua saggistica estetica, la Storia dell’età barocca in
Italia» (dove merita di essere sottolineato, tra l’altro, l’aggettivo “policentrica”, tipica-
mente foleniano; e cfr. G. FOLENA, Scrittori d’Italia, cit., p. 54: «Nella loro etichetta esteti-
camente adiafora, sottratta al giudizio canonico di valore letterario implicito nella nozio-
ne di classico, gli “Scrittori d’Italia” proponevano fiduciosamente a un pubblico di letto-
ri colti, non specialisti ma preparati a leggere un testo senza “ingombro di note o comen-
ti”, una concezione della storia letteraria eminentemente positiva e storicistica, policen-
trica e legata alla varietà e circolarità delle forme, pensiero-poesia-letteratura-vita mora-
le»). Questo aspetto dell’impostazione crociana fu accentuato dalla direzione Russo, e
ribadito da Folena: «Il suo desiderio di fare degli “Scrittori d’Italia” una scuola per i gio-
vani, la sua visione militante e intimamente antiletteraria della letteratura come espres-
sione seria e profonda della vita storica, morale e civile, rimarranno fra i più preziosi
motivi ispiratori del lavoro nel quale ci toccò la sorte, inattesa e immeritata, di succede-
re a un nostro non dimenticabile maestro» (ID., Per Luigi Russo, cit., p. 24).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 43
81
G. FOLENA, Filologia testuale e storia linguistica, in Studi e problemi di critica testuale.
Convegno di Studi di Filologia italiana nel Centenario della Commissione per i Testi di
Lingua (7-9 aprile 1960), Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1961, pp. 17-34, ora
in ID., Textus testis, cit., pp. 59-77.
82
«[…] i procedimenti del singolo studioso, legati come sono alle sue prime espe-
rienze, alla sua Erlebnis, come dicono i tedeschi, determinano il suo metodo: Methode ist
Erlebnis, ha detto Gundolf» (L. SPITZER, Linguistica e storia letteraria, in ID., Critica stilistica e
storia del linguaggio. Saggi raccolti a cura e con presentazione di A. Schiaffini, Bari, Laterza,
1954 [il saggio era apparso, in inglese, nel 1948], pp. 105-60, a p. 106): cfr. L. RENZI, La
linguistica di Gianfranco Folena, cit., p. 463. Anche se l’uso che Spitzer fa del motto sia adat-
tato a una lettura “autobiografica” del formarsi del metodo (suo proprio e di ogni stu-
dioso), la mediazione sembra tanto più plausibile in quanto la citazione di Spitzer nasce
per associazione con il connotato termine tedesco Erlebnis, che Folena riprenderà nel
medaglione di Pasquali (vd. G. FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., p. 212).
83
G. FOLENA, Volgarizzare e tradurre, cit., p. IX.
44 CLAUDIO CIOCIOLA
84
G. FOLENA, Antroponimia letteraria (ultima lezione – 23 maggio 1990), in «Rivista
Italiana di Onomastica», vol. II, 1996, pp. 356-68, alle pp. 356-57. Nel ’65, nel ritratto di
Emilio Lovarini, dello studioso aveva elogiato «la capacità di cogliere il particolare nella
sua individuale essenza, da filologo vero, e non da estrinseco comparatista, e di valutare
i fatti con forte senso storico» (G. FOLENA, La vita e gli studi di Emilio Lovarini, in E.
LOVARINI, Studi sul Ruzzante e la letteratura pavana, a cura di G. Folena, «Miscellanea erudi-
ta», I, Padova, Antenore, 1965, pp. VII-XLIII, ora in ID., Filologia e umanità, cit., pp. 177-
209, a p. 183).
85
G. PERROTTA, Intelligenza di Giorgio Pasquali, cit., p. 11.
86
G. FOLENA, Ernesto Giacomo Parodi, cit., p. 126.
87
Ivi: «chi scriverà in futuro la storia della filologia del ’900 vedrà forse queste due
figure come rappresentanti due tipi e due momenti opposti e necessari della filologia,
quasi lo Hermann e il Boeckh della moderna filologia nostrana».
LA FILOLOGIA DI FOLENA 45
88
G. FOLENA, Un libro e due prolusioni, cit., p. 81. La prolusione di L. CARETTI, Filologia
e critica, tenuta il 17 novembre 1952, fu pubblicata in «Aut aut», n. 12, 1952, pp. 484-506,
poi in ID., Filologia e critica, cit., pp. 1-25, ora in ID., Antichi e moderni, cit., pp. 471-88; quel-
la fiorentina di G. Contini, La “Vita” francese “di Sant’Alessio” e l’arte di pubblicare i testi anti-
chi, fu pubblicata soltanto nel ’70, in AA.VV., Un augurio a Raffaele Mattioli, Firenze,
Sansoni, 1970, pp. 343-74, e ora in G. CONTINI, Breviario di ecdotica, cit., pp. 67-97.
89
G. FOLENA, Statica e dinamica del testo, in «Letteratura», vol. I, n. 3, maggio-giugno
1953, pp. 82-84. Che l’opera di Pasquali inducesse a un «esame di coscienza» anche il filo-
logo romanzo aveva subito additato l’importante rec. di G. Contini, in «Archivum
Romanicum», vol. XIX, 1935, pp. 330-40, a p. 330.
90
G. FOLENA, Statica e dinamica del testo, cit., p. 82.
46 CLAUDIO CIOCIOLA
91
Cfr. la Prefazione alla seconda ed. di Storia della tradizione, cit., pp. XXI-XXII; a p.
XXI l’autore si dichiara consapevole del magistero esercitato attraverso la prima ed. del-
l’opera: «Mi sento di poter dire che le indagini testuali degli Spongano, Caretti, Folena, e
nomino tre dotti coi quali sono stato e sono in stretta relazione d’amicizia, senza quel
libro sarebbero forse state, ma presenterebbero un aspetto un po’ diverso». Per l’influs-
so di Pasquali sugli italianisti in generale vd. A. LA PENNA, Lo scrittore “stravagante”, cit.,
pp. 77-78; la storia della questione delle varianti d’autore in quegli anni è stata ricostrui-
ta da F. FINOTTI, La storia finita. Filologia e critica degli “scartafacci”, in «Lettere italiane», vol.
XLVI, 1994, pp. 3-43. Notevole il passo della prolusione di Caretti in cui si discute la
valenza della critica delle varianti in prospettiva critico-letteraria (in filigrana, la polemica
Croce-Contini sulla “critica degli scartafacci”), perché in esso riemerge un richiamo alla
“concretezza” dei problemi: «il “variantismo” già è stato giudicato una sorta di vizio
decadente, così come a suo tempo si pensò di fermare il passo alla filologia con lo spet-
tro del “filologismo” (che in fondo poi non era che cattiva filologia o filologia in mala
fede; allo stesso modo che c’è ovviamente anche uno studio delle varianti cattivo e depre-
cabile). Ma una discussione così impostata, fuori della realtà concreta del problema e
delle figure precise dei praticanti del metodo, è condannata a lasciar il tempo che trova»
(L. CARETTI, Filologia e critica, cit., pp. 484-85).
92
G. FOLENA, Un libro e due prolusioni, cit., p. 81
93
Ivi, pp. 81-82; per “muraglie cinesi” cfr. la Prefazione alla seconda ed. di Storia della
tradizione, p. XXIV («Meno che mai rispetterò il confine, anzi la muraglia cinese, che serra
e soffoca la filologia classica»).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 47
all’epoca insegnante nei licei, fosse dal 1950 al 1955 comandato presso il
Centro di Studi di filologia italiana dell’Accademia della Crusca:94 Centro
diretto, dal giugno del ’49 alla morte, da Pasquali (gli successe Casella, e a
questi, dal ’56 – quando Folena era ormai a Padova –, Contini).95 Agli anni
del comando risalgono le due preziose raccolte, in collaborazione con il
maestro Bruno Migliorini, di Testi non toscani del Trecento (Modena, 1952) e
di Testi non toscani del Quattrocento (ivi, 1953): notevoli, originali e precoci
esempi di sillogi sussidiarie alla didattica universitaria, in cui l’accerta-
mento testuale (si tratta in genere, anche se non esclusivamente, di testi di
carattere pratico, precedentemente editi in sedi disparate e talora malage-
voli) è preliminare alla loro valorizzazione in quanto testimonianze di lin-
gue municipalmente dislocate (sempre Folena prediligerà «scrutare – ha
scritto Mengaldo – non il centro della lingua, ma le sue periferie»).96 E
ancora in quegli anni si collocano le edizioni dei quattrocenteschi Motti e
facezie del piovano Arlotto (Milano-Napoli, 1953) e della Istoria di Eneas vul-
garizata per Angilu di Capua, versione siciliana primo-trecentesca del volga-
rizzamento di Andrea Lancia di un compendio dell’Eneide, apparsa a
Palermo nel ’56 (vol. 7 della “Collezione di testi siciliani dei secoli XIV e
XV”, diretta da Ettore Li Gotti) ma intrapresa negli anni del comando
fiorentino (la Nota al testo è datata «Firenze-Padova, inverno 1955»).97 È
notevole, pertanto, ma non sorprendente, che la vigilia filologica di
Folena, strettamente avvinta agl’interessi concomitanti e preminenti di
linguistica storica (anche se non disgiunta da anticipazioni, più o meno
larvate, di altri interessi, che acquisteranno col tempo spazio sempre più
ampio), si sviluppi e fruttifichi proprio negli anni del “bagno filologico”
fiorentino e del comando alla Crusca.98
94
Vd. Catalogo degli Accademici dalla fondazione, a cura di S. Parodi, Firenze, Presso
l’Accademia, 1983 (“IV Centenario dell’Accademia della Crusca”), p. 283 n. 971.
95
Ivi, pp. 277-78 n. 952, 280-81 n. 963.
96
P. V. MENGALDO, Ricordo di Gianfranco Folena, in «Giornale storico della letteratura
italiana», vol. CLXIX, 1992, pp. 321-33, a p. 327 (e cfr. G. FOLENA, La storia della lingua,
oggi, in AA.VV., Lingua, sistemi letterari, comunicazione sociale, Padova, CLEUP, 1977, pp. 109-
36, a p. 129).
97
La Istoria di Eneas vulgarizata per Angilu di Capua, a cura di G. Folena, Palermo,
Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 1956, p. 265.
98
Di “bagno filologico” Folena parla a più riprese: ad es. in relazione a Parodi (G.
FOLENA, Ernesto Giacomo Parodi, cit., p. 139), o ancora a proposito del retaggio della scuo-
la storica torinese: «Quanto questo bagno filologico abbia fatto bene alla nostra cultura
48 CLAUDIO CIOCIOLA
103
Ivi, p. 230 n. 3; cfr. G. PASQUALI, Storia della tradizione, cit., pp. 104-8.
104
Ivi, p. 105. Il nome di Pasquali, nell’Istoria, compare fin dalla prima pagina
dell’Introduzione (La Istoria di Eneas, cit., p. IX n. 1), nella qualità di curatore della nuova
edizione del Virgilio nel Medio Evo di Comparetti (Firenze, 1941).
105
La Istoria di Eneas, cit., pp. 255.
50 CLAUDIO CIOCIOLA
106
G. FOLENA, Filologia testuale, cit., p. 59.
107
Ivi, p. 60.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 51
108
Ivi, p. 60; cfr. la rec. di A. Stussi a Textus testis, in «Lingua e stile», vol. XXXVII 2,
2002, pp. 341-44, a p. 343. Per la “mediazione” filologica nell’àmbito delle scelte di Folena
nei confronti della linguistica, vd. ID., Gianfranco Folena storico della lingua italiana, in «Italia-
nistica», vol. XXVI, 1997, pp. 491-99, ora in ID., Tra filologia e storia, cit., pp. 243-59, a p.
245; per il carattere «primario e fondante» dell’aspetto filologico in Folena, anche in con-
trasto con il maestro Devoto, vd. A. DANIELE, Gianfranco Folena, cit., p. 540 e passim.
109
«Senza timore di esagerare, e con la consapevolezza di tutto quello che resta da
fare, si può dire che questa situazione è oggi un vanto della filologia italiana, com’è d’al-
tronde un carattere della sua tradizione migliore, dal Borghini al Barbi» (G. FOLENA,
Filologia testuale, cit., p. 61).
110
G. CONTINI, I più antichi esempî di razza, in «Studi di filologia italiana», vol. XVII,
1959, pp. 319-27 (vd. G. FOLENA, Filologia testuale, cit., p. 60).
111
Ivi, pp. 66-67.
52 CLAUDIO CIOCIOLA
cussione sul tema, tanto delicato e spinoso quanto, finché si dia filologia,
ineludibile.112 L’auspicio – e anche in questo caso un richiamo di Pasquali,
precedente di vent’anni, si rivela puntuale – della rapida messa in cantie-
re di un grande dizionario storico dell’italiano in sostituzione del vecchio
Tommaseo-Bellini («che nel lavoro di filologi e linguisti rappresenta anco-
ra oggi la più comune, utile, quotidiana presenza») è la naturale conclu-
sione del discorso metodologico di Folena.113
L’importanza dell’escussione linguistica delle singole testimonianze
all’interno di una tradizione testuale (la tradizione presa ad esempio è quel-
la della Commedia dantesca, con un avvincente excursus etimologico su bara-
tro-baratto-barattolo) consente a Folena, sette anni più tardi (Geografia lingui-
stica e testi medievali),114 di approfondire, raccogliendo uno spunto di
Giovanni Nencioni e valorizzando la «complessa fenomenologia dei rap-
112
Ivi, p. 73; che tali pagine non abbiano perso «attualità e autorità» giudica Stussi,
rec. cit., a Textus testis, p. 342.
113
G. FOLENA, Filologia testuale, cit., p. 77: «il più fecondo e naturale terreno d’in-
contro della filologia testuale e della storia della lingua, il più urgente obiettivo per il
progresso del lavoro comune, resta comunque l’opera del grande dizionario storico che
speriamo di vedere presto in cantiere». Nella primavera del ’41 Pasquali aveva disegna-
to il modello di un vocabolario storico dell’italiano improntato all’esperienza del
Thesaurus linguae Latinae, nel quale si facesse adeguato luogo alle informazioni grafiche e
morfologiche, e si ordinassero i corpi degli articoli secondo criterî sintattici: «Quello che
nella prima metà del nostro secolo è stato il migliore conoscitore di letteratura italiana
antica, Michele Barbi, si lamentava spesso che i nostri classici, antichi e moderni, non
fossero stati ancora né pubblicati criticamente né interpretati adeguatamente. Anch’egli
ravvisava una delle ragioni principali della scarsa feracità, sicurezza, conclusività dell’i-
talianistica moderna nella mancanza di ogni sussidio lessicale. Io l’ho veduto spesso, già
vecchio, leggere testi con la penna in mano per trovare e schedare vocaboli e costrutti
sintattici, e ogni volta ho pensato con rammarico che questo lavoro, che gli toglieva
tempo per altri uffici più degni della sua intelligenza, non poteva se non rimanere fram-
mentario e quindi poco utile. Testi italiani non si potranno pubblicare e intendere pre-
cisamente, se l’editore e il lettore non saranno sorretti da un dizionario che mostri come
ogni vocabolo sia usato e da quali autori» (G. PASQUALI, Tesoro della lingua italiana, in
«Primato», vol. IV, n. 5, 1 marzo 1943, pp. 82-83, ora in ID., Lingua nuova e antica, cit, pp.
94-102, alle pp. 96-97; l’organico, notevolissimo progetto era stato esposto due anni
prima: G. PASQUALI, Per un Tesoro della lingua italiana, cit.; per la genesi di quel contribu-
to vd. Y. GOMEZ GANE, Per un «Thesaurus» della lingua italiana: un breve inedito di Giorgio
Pasquali, in «Studi linguistici italiani», vol. XXX, 2004, pp. 113-17).
114
G. FOLENA, Geografia linguistica e testi medievali, in AA.VV., Gli atlanti linguistici.
Problemi e risultati (Roma 20-24 ottobre 1967), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei,
1969, pp. 197-222, ora in ID., Textus testis, cit., pp. 27-58.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 53
115
Vd. G. NENCIONI, Filologia e lessicografia: a proposito della “variante”, in Studi e proble-
mi di critica testuale, cit., pp. 183-92; prosegue Folena: «Il dare e l’avere tra filologia testua-
le e geolinguistica, in tutte le sue specificazioni e applicazioni metodologiche e storiche,
geofonologia e geomorfologia, geoonomasiologia e geosemantica, stratigrafia linguistica
e linguistica areale, e quella di recente sviluppo e di crescente importanza che può chia-
marsi geolinguistica dei contatti o delle affinità, sono evidentemente reciproci, riguarda-
no da un lato, per esempio, la localizzazione del testo sulla base di isoglosse precisate
dalla geolinguistica, che per verificarle nel passato si deve d’altronde servire di altri testi
già sicuramente localizzati e localmente indicativi (ed ecco già disegnarsi un primo cir-
coscritto ed essenziale Zirkel im Verstehen, nel nostro dominio), dall’altro l’utilizzazione
del testo scritto come fonte, diciamo come “informatore”, per la raccolta di dati lingui-
stici nel passato. Quanto questo circolo sia attivo, mostrano, per esempio, le note intro-
duttive e i commenti ai Poeti del Duecento di Gianfranco Contini, ricchissimi di indicazio-
ni e di insegnamenti anche da questo punto di vista» (G. FOLENA, Geografia linguistica, cit.,
pp. 27-28). Cfr. A. STUSSI, Apporto di temi moderni alla pratica ecdotica, in Filologia classica e filo-
logia romanza: esperienze ecdotiche a confronto. Atti del Convegno (Roma, 25-27 maggio 1995),
a cura di A. Ferrari, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1998, pp. 567-
81, ora in ID., Tra filologia e storia, cit., pp. 27-43, a p. 33; e soprattutto, anche per l’acuto
inquadramento storico, ID., Gianfranco Folena storico della lingua italiana, cit., p. 244. La sug-
gestione esercitata su Pasquali dalle formule areali del Bartoli è rilevata da Folena, in pagi-
ne penetranti sul significato dell’interesse di Pasquali per la linguistica italiana, nel suo più
volte citato ricordo: «È notissima l’applicazione che proprio Pasquali fece di quei princi-
pî, particolarmente di quello delle “aree laterali”, alla storia della tradizione dei testi, nella
sua opera maggiore» (G. FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., p. 219).
116
G. FOLENA, Geografia linguistica, cit., pp. 36-37.
54 CLAUDIO CIOCIOLA
morfosi linguistica nel corso della trasmissione dei testi») costituisce un’o-
riginale riflessione sui principî della critica testuale applicati alle “geova-
rianti” («varianti geograficamente motivate», introdottesi nella tradizione
di un testo nel corso della sua propagazione nello spazio).117 Folena traccia
un’originale tipologia, morfologica ed eziologica, delle innovazioni di
carattere linguistico, notandone il carattere prevalentemente poligenetico,
non congiuntivo: con le conseguenti ricadute sulle determinazioni di
parentela e in relazione «alla crux massima della contaminazione». Del con-
flitto, o interazione (ai vari livelli), tra morfologia linguistica dell’originale
o dell’antigrafo e langue del copista (i rapporti d’integrazione «dando luogo
talora a un vero e proprio diasistema») si propone un’interpretazione strut-
turale, efficacemente riassunta in una metafora astronomica: «come nelle
diverse fasi di un eclisse, le aree linguistiche di a (apografo) e di A (anti-
grafo) potranno risultare totalmente o parzialmente sovrapposte o tan-
genti o esterne».118 Anche in questa notevole pagina di teoria testuale, che
in definitiva ha per oggetto la fenomenologia degli “interventi coscienti”
di matrice linguistica nell’alveo della tradizione, fruttifica l’insegnamento di
Storia della tradizione, la cui voce giunge quasi a riecheggiare laddove si affer-
ma (con l’accentuazione giustificata dalla prospettiva del filologo romanzo
e dello storico delle lingue moderne) uno storicistico “antimeccanicismo”:
«La tradizione di un testo è viva ogni volta che la trascrizione di un origi-
nale o di una copia non è puramente meccanica, caso rarissimo».119
L’abbandono della Toscana e il trasferimento, nel 1954, a Padova, com-
portò, com’è noto, un arricchimento prospettico ma anche un progressivo
e sempre più tumultuoso e innovante “insediamento” di Folena nei ranghi,
già prestigiosamente rappresentati negli ultimi decenni dell’Ottocento, della
filologia veneta (“Filologia veneta” s’intitolerà una delle sue ultime creatu-
re).120 Anche e soprattutto in questo caso la contingenza biografica si tra-
117
Ivi, p. 38.
118
Ivi, p. 37.
119
Ivi, e cfr. il punto 6 del decalogo “di dodici articoli” nella Prefazione a Storia della
tradizione: «È un pregiudizio credere che la tradizione degli autori antichi sia sempre mec-
canica; meccanica è solo dove l’amanuense si rassegna a non intendere» (G. PASQUALI,
Storia della tradizione, cit., p. XVII); anche se Pasquali respingerà gli eccessi dell’antimec-
canicismo: vd. S. TIMPANARO, Storicismo di Pasquali, cit., p. 144.
120
Le ragioni storiche di una “filologia veneta” sono lucidamente analizzate (sinto-
matico, tra l’altro, il confronto tra Venezia e Firenze) nella Premessa al primo volume,
dedicato a Ruzzante, della serie (Padova, Editoriale Programma, 1988), ora (sotto il tito-
LA FILOLOGIA DI FOLENA 55
lo Premessa ad una «Filologia veneta») in G. FOLENA, Scrittori e scritture, cit., pp. 323-28: note-
vole, in esordio («ab Iove principium»), il richiamo al «discorso storico-critico che più inci-
sivamente ha contribuito a mettere a fuoco il problema storiografico della pluralità e
unità della nostra storia culturale, Geografia e storia della letteratura italiana di Carlo
Dionisotti», «denso di ispirazioni per filologi e storici della lingua» (p. 323).
121
Ivi, pp. 325-26.
122
Al quale si rimanda anche per la bibliografia; su Folena «grande toscano nel
Veneto» vd. almeno L. RENZI, Commemorazione di Gianfranco Folena, cit., e ancora A.
STUSSI, Gianfranco Folena storico della lingua italiana, cit., pp. 250 sgg.
123
Bibbia istoriata padovana della fine del Trecento. Pentateuco-Giosuè-Ruth, a cura di G.
Folena e G.L. Mellini, Venezia, Neri Pozza, 1962; il saggio introduttivo di Folena, La
Bibbia istoriata padovana nei codici di Rovigo e di Londra, pp. IX-XXIII, è rifuso, insieme a ID.,
La «Bibbia istoriata padovana» dell’ultima età carrarese, in «Atti e memorie dell’Accademia
Patavina di scienze, lettere ed arti», Memorie della Classe di Scienze morali, lettere ed arti,
vol. LXXIV, 1961-1962, pp. 441-48, sotto il titolo del secondo contributo, in ID., Culture
e lingue nel Veneto medievale, Padova, Editoriale Programma, 1990, pp. 353-75.
56 CLAUDIO CIOCIOLA
124
G. FOLENA, La «Bibbia istoriata padovana», cit., p. 356 (la citazione precedente a
p. 366).
125
Vd. ora le schede di F. Toniolo-A. Donadello in La miniatura a Padova dal Medioevo
al Settecento, Progetto e coordinamento scientifico G. Canova Mariani, Catalogo a cura di
G. Baldissin Molli, G. Canova Mariani, F. Toniolo, Modena, Panini, 1999, pp. 161-72 nn.
58-59 (e vd. F. TONIOLO, La «Bibbia istoriata padovana», ivi, pp. 465-70).
126
«l’analisi filologica […] potrà fornire qualche pur tenue indizio orientativo intor-
no ai procedimenti e ai tempi del lavoro, a quel rapporto fra testo e figure che mi pare
si ponga qui come fondamentale obiettivo critico, anche forse alla stratificazione e iden-
tificazione delle varie mani che hanno collaborato a questa grande storia sacra per
immagini» (G. FOLENA, La «Bibbia istoriata padovana», cit., p. 369).
127
«Un lavoro collettivo e anonimo, che comporta collaborazioni e fasi molteplici,
press’a poco come avviene oggi nell’esecuzione di un film, dalla sceneggiatura del sog-
getto fino al montaggio» (ivi, p. 372).
128
Ivi, p. 373; cfr. anche, subito dopo: «L’interesse primo e fondamentale dell’opera
mi pare consista proprio, al di là dei vari risultati della collaborazione illustrativa, nell’u-
nità di concezione e nell’indirizzo culturale che essa rivela dentro il rapporto che lega
“scrittura” o “istoria” e “figura”».
LA FILOLOGIA DI FOLENA 57
129
G. FOLENA (unter Mitwirkung von G. Ineichen, A. E. Quaglio, P. V. Mengaldo),
Überlieferungsgeschichte der altitalienischen Literatur, in G. Ineichen, A. Schindler, D. Bodmer,
Geschichte der Textüberlieferung der antiken und mittelalterlischen Literatur, vol. II, Überlieferungs-
geschichte der mittelalterlichen Literatur, Zürich, Atlantis, 1964, pp. 319-537.
130
Ivi, p. 318.
131
D’A. S. AVALLE, La letteratura medievale in lingua d’oc nella sua tradizione manoscritta.
Problemi di critica testuale, Torino, Einaudi, 1961 (e cfr. ID., I manoscritti della letteratura in lin-
gua d’oc, Nuova edizione a cura di L. Leonardi, Torino, Einaudi, 1993).
132
“Splendido” giudica quel «riesame della tradizione manoscritta di tutti i testi ita-
liani del medioevo» A. V[ARVARO], Per Gianfranco Folena, in «Medioevo romanzo», vol.
XVII, 1992, pp. 3-5, a p. 4.
58 CLAUDIO CIOCIOLA
133
G. FOLENA, La tradizione delle opere di Dante Alighieri, in Atti del Congresso Interna-
zionale di studi danteschi, 20-27 aprile 1965, Firenze, Sansoni, 1965, vol. I, pp. 1-78 (un
ampio stralcio relativo alle opere “minori” è antologizzato in Letteratura e filologia, a cura
di B. Basile, Bologna, Zanichelli, 1975, pp. 117-29).
134
G. FOLENA, Überlieferungsgeschichte, cit., pp. 420-86.
135
G. FOLENA, La tradizione delle opere di Dante, cit., pp. 67-69 (e cfr. FOLENA, Überlie-
ferungsgeschichte, cit., pp. 478-79).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 59
136
G. FOLENA, La filologia dantesca di Carlo Witte, cit.
137
Vd. S. TIMPANARO, La genesi del metodo del Lachmann, Nuova edizione riveduta e
ampliata, Padova, Liviana, 1981 (prima ristampa corretta con alcune aggiunte, 1985), pp.
IX (per l’interessamento di Folena) e 32 n. 43 (a proposito del Perazzini, sul quale
Timpanaro ritornerà anche altrove: ad es. in ID., Ancora sul Foscolo filologo, in «Giornale sto-
rico della letteratura italiana», vol. CXLVIII, 1971, pp. 519-44, ora, sotto il titolo Sul
Foscolo filologo, in ID., Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Pisa, Nistri-Lischi, 1980, pp.
105-35, alle pp. 115-6 nn. 13-14 e 130; «geniale» il Perazzini è detto in ID., Ancora sul padre
Cesari: per un giudizio equilibrato, in ID., Nuovi studi sul nostro Ottocento, Pisa, Nistri-Lischi,
1995, pp. 1-29, a p. 2). Sulla scia di Folena, il ruolo del Perazzini è riconosciuto, nella sto-
ria della filologia italiana, da A. BALDUINO, Manuale di filologia italiana, Firenze, Sansoni,
19922 (1979), pp. 27-28; e vd. G. VARANINI, Una lettera di Bartolomeo Perazzini a Gian
Giacomo Dionisi, in AA. VV., La ragione e il cimento. Studi settecenteschi in onore di Fiorenzo Forti,
a cura di E. Graziosi, A. L. Lenzi, M. Saccenti, Padova, Antenore, 1992, pp. 135-46. Per
i rapporti Timpanaro-Migliorini vd. ora A. ROTONDÒ, Sebastiano Timpanaro e la cultura uni-
versitaria fiorentina della seconda metà del Novecento, in AA.VV., Sebastiano Timpanaro e la cultu-
ra del secondo Novecento, a cura di E. Ghidetti e A. Pagnini, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2005, pp. 3-88, alle pp. 25-26 (molto importante anche per lo sfondo).
138
Le «qualità di scrittura» di Folena sono valorizzate da A. DANIELE, Gianfranco
Folena, cit., p. 545. Un comparto in cui tali qualità sembrano usualmente accendersi è
quello delle descrizioni naturalistiche o di paesaggio: come risalta, nella prosa epistolare,
ad es. nelle lettere ad Albino Pierro (raccolte in G. FOLENA, Com’a nu frète. Folena e la poe-
sia di Albino Pierro, a cura di F. Zambon, Potenza, Il Salice, [1994]): qui la Loira è «fiume
pigro, vagabondo, cangiante di colore secondo il cielo e le nuvole, riposante», lettera del
15 settembre 1971 da Châteauneuf sur Loire, p. 19), o nella descrizione del paesaggio
urbano della Firenze derobertisiana: «Una città sobria, minima e circoscritta come da una
siepe invisibile, sede di un passeggiare riposato, ma con accensioni e scoppi improvvisi
come il suo parlare, così diversa per esempio dalla Firenze che conoscevo attraverso
Pasquali, a me forse più familiare. Per me ci sono state tante Firenze quanti i maestri che
ho conosciuto, e quella di De Robertis fa corpo con la sua voce e la sua scrittura» (G.
FOLENA, Stile e critica stilistica in De Robertis, cit., p. 284); o ancora nel passo sui fiori india-
60 CLAUDIO CIOCIOLA
ta della Commedia è come un fiume il cui corso più alto vicino alle sorgenti
non solo ci è ignoto ma appare, dall’analisi delle prime acque attingibili, già
carico di confluenze che hanno confuso e rimescolato le correnti».139 Il
passo emula quella pagina di seducente prosa racchiusa nel par. 21 della
Textkritik di Paul Maas, che, attraverso la “similitudine” («Gleichnis») del
«torrente che nasce sottoterra sotto la vetta di un monte inaccessibile», illu-
stra la “costituzione della genealogia” di una tradizione e la sua rappresen-
tazione nello stemma.140 È appena il caso di ricordare che la seconda edi-
zione della Textkritik, del 1949, era stata tradotta in italiano nel ’50 per
impulso e con presentazione di Giorgio Pasquali, il quale già nel ’34 (nella
Prefazione e nel cap. V di Storia della tradizione) aveva sottolineato, con note-
voli parole, il pregio di quella pagina (l’intera Storia, del resto, si sviluppava
da una recensione alla prima edizione, 1927, del Maas): «Nella pagina più
viva (perché più storica) del suo libro il Maas confrontava la tradizione a un
corso d’acqua che, ricevendo affluenti e filtrando per terreni d’ogni specie,
ni che sarà citato più oltre. Anche in questo caso non suoni eccessivo riscontrare una
consonanza con Pasquali, che in una bella lettera a Dino Pieraccioni del 28 giugno 1941
così rievoca una giornata trascorsa in compagnia di Folena e di altri amici a Rigoli e sui
monti di Molina: «Facemmo colazione con burro splendido e pesche. Poi su per la mon-
tagna: due ore sotto bosco, prima lecci e poi castagni, senza disturbo di sole benché la
giornata fosse caldissima. Sbucammo in costa dei monti Pisani» (in D. PIERACCIONI,
Lettere di Giorgio Pasquali, cit., p. 33); vivissimo il ricordo di quella giornata in Folena, che
la rievoca in una lettera del 28 febbraio 1977 al Pieraccioni: «prendemmo per il monte
passando per Le Molina alta e salimmo su per l’osteria da Ciapino fino ai Quattro Venti
(che è l’unico dolce vertice selvoso dei monti “per cui i Pisan veder Lucca non ponno”,
dal quale si possa godere insieme la vista di Pisa e di Lucca, e della val di Serchio e di
Viareggio e di Livorno, e nelle giornate chiare, oltre la gobba della Capraia anche la costa
della Corsica e il luccicare dei vetri di Bastia! e quel giorno era limpidissimo» (ivi, p. 64).
139
G. FOLENA, La tradizione delle opere di Dante, cit., p. 46 (e cfr. FOLENA, Überliefe-
rungsgeschichte, cit., p. 458).
140
Cfr. E. MONTANARI, La critica del testo secondo Paul Maas. Testo e commento, Firenze,
SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2003, pp. LXII-LXIII (testo: riproduce la terza ed. di P.
MAAS, Critica del testo, Traduzione di N. Martinelli, Presentazione di G. Pasquali, Con lo
«Sguardo retrospettivo 1956» e una nota di L. Canfora, Firenze, Le Monnier, 1972, pp.
26-27) e p. 238 (commento: se ne ricava che dom J. FROGER, La critique des textes et son
automatisation, Préface de R. Marichal, Présentation de R. Faure, Paris, Dunod, 1968, p.
268, individua in Girolamo – senza peraltro rinviare a un’opera precisa – il più antico
inventore della metafora). L’inefficacia della metafora organicista, di provenienza biolo-
gica (“riproduzione”, “genealogia”, etc.), e l’inclinazione di Maas, nel luogo citato, verso
la «geologia» sono rilevate in D.’A S. AVALLE, L’immagine della trasmissione manoscritta nella cri-
tica testuale, in La letteratura medievale in lingua d’oc, cit., pp. 183-96 [della 1a ed.], a p. 184 n. 1.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 61
141
G. PASQUALI, Storia della tradizione, cit., pp. XI-XII, e cfr. p. 141, qui con vivo
apprezzamento delle qualità letterarie della pagina e una riserva sulla sua efficacia meta-
forica in relazione ai fenomeni della tradizione orizzontale (vd. E. MONTANARI, La criti-
ca del testo, cit., p. 238). Per la trafila Maas (Textkritik), Pasquali (Storia della tradizione),
Timpanaro (Genesi del metodo del Lachmann) e oltre, vd., tra gli altri, A. CARLINI, Note spar-
se sull’insegnamento filologico a Pisa e Firenze, in «Il Ponte», vol. LVII, n. 10-11 (Per Sebastiano
Timopanaro), ottobre-novembre 2001, pp. 131-44, in part. alle pp. 137-38.
142
G. FOLENA, Filologia testuale, cit., p. 60.
143
Nell’esordio di Arte allusiva, il famoso saggio del ’42 che inaugura le Stravaganze
quarte e supreme (uscite nel 1951 presso Neri Pozza: vd. ora G. PASQUALI, Arte allusiva, in
ID., Pagine stravaganti di un filologo, cit., vol. II, pp. 275-82, a p. 275); il ruolo rilevante di
Folena nella confezione del volume è dichiarato da Pasquali nella Prefazione: «Più di tutti
ha fatto per il libro un mio vecchio scolaro dottissimo e ricchissimo di sensibilità stili-
stica, appunto Gianfranco Folena, ordinando lui gli articoli e comunicandomi sue ricer-
che supplementari, segnalandomi espressioni poco chiare o comechessia infelici» (ivi, p.
274). La metafora “fluviale” riaffiorerà, altrimenti modulata, nel ricordo di Migliorini:
«Movendo da miriadi di sorgenti disseminate in zone remote e impervie ai margini della
lingua, dove la parola non è ancora segno ma segnale di riconoscimento […], attraver-
so mille rivoli Migliorini convogliava queste acque dentro il grande alveo della lingua
comune, dalla periferia al centro» (G. FOLENA, La vocazione di Bruno Migliorini: «Dal nome
proprio al nome comune», in L’opera di Bruno Migliorini nel ricordo degli allievi, con una biblio-
grafia dei suoi scritti a cura di M. L. Fanfani, Firenze, presso l’Accademia della Crusca,
1979, pp. 1-16, ora in ID., Filologia e umanità, cit., pp. 267-82, a p. 278). Una variante
metaforica di tipo “chimico” è invece accolta nella Nota al testo di La Istoria di Eneas,
cit., p. 230: qui, dello studioso che intenda ripercorrere la vicenda tradizionale di un vol-
garizzamento affetto da «metamorfosi plurilingui» si dice «che dovrà seguire a ritroso il
62 CLAUDIO CIOCIOLA
travaso del liquido attraverso una serie di vasi comunicanti, contenenti ciascuno un
diverso reagente: e che nell’ultimo vengono a depositare tutti i residui e le impurità di
una catena di reazioni».
144
A. STUSSI, Gianfranco Folena storico della lingua italiana, cit., p. 244.
145
G. PASQUALI, in «Pègaso», a. 1, n. 3, marzo 1929, pp. 377-84, poi (sotto il titolo
Ricordi italiani di un filologo tedesco) in Pagine stravaganti di un filologo, 1933, ora in ID., Pagine
stravaganti di un filologo, vol. I, cit., pp. 55-64, a p. 55.
146
M. BERENGO, Introduzione a G. FOLENA, Scrittori e scritture, cit., pp. 11-19, a p. 19.
LA FILOLOGIA DI FOLENA 63
stico») sarà certo traccia nella formula del titolo.147 Quello di “filologia e
umanità”, in quanto riverbero e compendio psicologico dell’altro, cultu-
rale, di “filologia e storia”, è binomio che si attaglia, in misura del tutto
calzante, allo stesso Folena. Interrotti gli studi universitari, all’entrata in
guerra dell’Italia fu ufficiale dell’esercito prima, e brevemente, in Sicilia,
poi in Africa Settentrionale; catturato dagli Inglesi in Egitto nell’autunno
del ’42, fu tratto prigioniero in India, ove rimase in cattività fino all’esta-
te del ’46.148 Nella solitudine e nell’isolamento resistevano, quasi in forma
di autodisciplina, la memoria degli studi interrotti e il desiderio di perse-
147
Cfr., persuasivamente, R. MELIS, In margine a «Filologia e umanità», cit., p. 21, e I.
PACCAGNELLA, La filologia di Gianfranco Folena, cit., p. 64. Per la citazione nel testo, vd. G.
FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., pp. 212-13: «Il bisogno di comunicazione era in lui tutt’u-
no col desiderio di capire meglio la realtà che lo circondava, attraverso il confronto con
civiltà lontane, come le antiche a lui familiari, e il contatto con altri uomini, con espe-
rienze differenti: con quel suo senso della radicale diversità di antico e moderno, e insie-
me dell’unità e fruibilità di tutto ciò che è umano, su cui si fondava il suo umanesimo
anticonformistico e storicistico: l’affermazione ricordata sopra [e cioè quella da noi cita-
ta in apertura, per cui «nella scienza esistono, in concreto, solo i problemi»] va integrata
con l’altra a lui cara che, in tutte le scienze, “l’oggetto… rimane sempre l’uomo”»; e
ancora, a p. 215: «Pasquali in ogni sua pagina sapit philologum (ma un filologo così poco
libresco e accademico, e così sperimentale), e sempre poi il filologo sapit hominem». In una
sorta di mise en abîme di ascendenze, è notevole che Folena attribuisca a Pasquali quanto
Pasquali aveva riconosciuto al Barbi: «uomo umano, è naturale che amasse le pagine che
più sanno di uomo» (G. PASQUALI, Ricordo di Michele Barbi, cit., p. 437). E cfr. A. LA PENNA,
Lo scrittore “stravagante”, cit., p. 84 (che pure lamenta la genericità del termine “umanità”):
«Quando deve esprimere l’apertura del maestro universitario verso gli scolari, verso gli
uomini del suo tempo, verso ciò che è dentro e fuori della scuola, egli usa la parola “uma-
nità”: il verso famoso di Terenzio, che esprime la massima apertura dell’uomo classico
alla comprensione degli altri uomini, è il verso da lui più amato». La sua umanità, si
aggiunga, è il titolo del necrologio di Pasquali pubblicato da Folena, a un giorno dalla
morte repentina del maestro, ne «Il Mattino dell’Italia centrale» del 10 luglio 1952, p. 1;
qui si noti: «Sicuro e acuto nell’esercizio supremo della sua filologia, che era poi scienza
di tutto lo spirito, Pasquali non amava la tecnica pura, odiava le paratie della scienza spe-
cializzata: e questo lo fa grande come uomo e come maestro».
148
Tali vicende possono ripercorrersi, tra l’altro, attraverso le lettere di Pasquali a
Pieraccioni; vd. ad es. quella già citata sull’escursione a Molina, del 28 giugno 1941: «Ho
caldo e mi sento solo. È per me un dolore che Folena, a cui mi ero affezionato sempre
più, proprio per quella sua malinconica e tenera timidezza e umiltà che ricopre profon-
da dottrina e molto gusto, parte posdomani per Trento, ufficiale: proseguirà per la
Russia? È possibile: egli lo crede ed è rassegnato»: D. PIERACCIONI, Incontri del mio tempo,
cit., p. 34; e ancora: lettere del 12 luglio 1941, p. 37; del 13 luglio 1941, p. 39; del 25 otto-
bre 1942, p. 47 («Ma più di tutti mi fa stare in pena Folena. Ha preso parte a infiniti com-
64 CLAUDIO CIOCIOLA
battimenti»); del 7 dicembre 1942, pp. 48-49 (già citata all’inizio); del Natale del 1942,
p. 50 (già citata); del 7 febbraio 1942, pp. 52-53 (già citata); del 25 febbraio 1943, p. 54
(«Folena, a lungo malato, ritornato al fronte, fu fatto prigioniero: tempo fa era in un
campo egizio, ma era certo lo scaricassero nell’India. Quella sua natura così sensibile resi-
sterà alla solitudine della prigionia? Io ho paura»); del 13 maggio 1943, p. 55; del 17 ago-
sto 1943, p. 61 (già citata).
149
Vd. la testimonianza raccolta da Gian Piero Brunetta nell’intervista a Folena nel
«Mattino di Padova» del 3 luglio 1983 (in occasione del conferimento del premio
Viareggio), e riproposta nell’«Indice dei libri del mese», vol. IX, n. 3, marzo 1992, p. 17:
«Il campo di concentramento ha significato per me esperienze culturali importanti, non
è stata una parentesi inerte o perduta di vita. Nel campo avevamo inventato una sorta di
piccola università privata, facevamo letture, davamo lezioni. Io, in quegli anni, ho impa-
rato il greco. Così, quando sono tornato in Italia, mi sentivo in buona forma culturale».
A proposito dell’esperienza dell’India piace citare, documento a un tempo delle qualità
stilistiche della prosa di Folena e del persistere in lui della memoria di quegli anni, un
passo – giudicato «bellissimo» anche da A. DANIELE, Gianfranco Folena, cit., p. 539 - della
nota Il pallor della viola, in «Lingua nostra», X, 1949, pp. 75-78, a p. 75: «È un fatto che
nell’Italia, giardino d’Europa, i fiori, campestri e coltivati, sono sempre stati abbondanti
e svariatissimi ma, specialmente in città, poco noti e popolari, meno assai che nei paesi
nordici, dove i fiori sono generalmente prodotto di serra, o in Giappone, dove l’amore
dei fiori ha qualcosa di eccessivo e rasenta il culto e la mania; e meno (posso dirlo per
esperienza personale) che in India dove i fiori sono cura quotidiana, anche nelle classi più
umili, e non è raro vederli come ornamento nelle capanne dei villaggi più poveri e sper-
duti: della coltivazione dei fiori Gandhi sentiva l’importanza educativa, come avviamen-
to, direi, al disinteresse estetico ed etico, due motivi che nell’educazione, specie elemen-
tare e popolare, non vanno separati; e io ricordo che i bambini indiani dei villaggi, andas-
sero o no a scuola, riconoscevano e nominavano con gioia, nei loro vari dialetti, fiori
anche rari e piante». Un entusiasmo comparabile ricompare nella descrizione delle illu-
strazioni del Serapiom, «accompagnato da una serie di splendide figurazioni di semplici,
frutto di un precoce e già maturo naturalismo, forse le prime figure che nella storia della
scienza medievale appaiano ispirate direttamente dal vero, come ha indicato il Pächt:
camomille e vilucchi campestri, asparagi e piselli sembrano vegetare nella pagina traboc-
canti di linfe, carichi di energie naturali, fuori di ogni paradigma consueto, pur nel teso
raffinatissimo calligrafismo tardo-gotico» (G. FOLENA, La «Bibbia istoriata padovana», cit.,
pp. 354-55).
LA FILOLOGIA DI FOLENA 65
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G. LAZZERI, Antologia dei primi secoli della letteratura italiana, I. – Primi documenti del
volgare italiano, II. – La scuola siciliana, in Appendice Lamento della sposa padovana,
Milano, Hoepli, 1942 (il finito di stampare è del 20 aprile; l’Antologia, postuma, sarà
ristampata nel 1954): nella nota Ai lettori, p. VII, l’Editore annota che «L’opera del
Lazzeri rifà, con tutti i sussidi degli studi più recenti e con un diretto esame dei codici,
un lavoro analogo a quello compiuto da Ernesto Monaci nella ormai rarissima
Crestomazia». Alla pratica editoriale del Monaci allude con rispettosa sufficienza in più
d’un caso Pasquali (ad es. laddove, nella rec. a La nuova filologia di Barbi, di Joseph Bédier,
«principe dei romanisti francesi», «uomo di enorme dottrina, raffinato senso di stile, inge-
gno combinatorio singolare», asserisce che, quando propone di pubblicare “tante edizio-
ni quante tradizioni”, «sembra rinnovellare, nonostante la disparità dell’ingegno, il
Monaci»; e più oltre: «si ricadrebbe da Gaston Paris e dal Rajna nel Monaci»: G. PASQUALI,
L’edizione dei classici italiani, cit., pp. 158, 163).
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Accademia della Crusca, Archivio Moderno, Fondo Giorgio Pasquali, n. 638 (sul
fondo cfr. D. DE MARTINO, “Come il cane che ha perso il padrone”, cit., p. 410; sul ritrova-
mento del carteggio vd. D. PIERACCIONI, Ricomparso l’archivio Pasquali, in «Belfagor», vol.
XLII, 1987, pp. 481-82). Il libro di Russo sarà verosimilmente il primo volume de La cri-
tica letteraria contemporanea, Bari, Laterza, 1942 (a p. IV la data del maggio; a rigore – ma
dovremmo conoscere la data del consiglio di Pasquali, e quella della spedizione –,
potrebbe trattarsi dell’intera opera, il secondo volume risalendo al settembre 1942 e il
terzo al gennaio 1943).
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G. FOLENA, Giorgio Pasquali, cit., pp. 214, 212; cfr. la Premessa a G. FOLENA,
L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino, Einaudi, 1983, p. XI: «con-
vinto come sono da tempo che il metodo è esperienza e ogni esperienza deve trovare il
suo metodo».