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Gianfranco Folena

Lingua nostra
A cura di Ivano Paccagnella

C
Carocci editore
1a edizione, novembre 2015
© copyright 2015 by Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Le Varianti, Roma

Finito di stampare nel novembre 2015


da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

isbn 978-88-430-7477-8

Riproduzione vietata ai sensi di legge


(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

Senza regolare autorizzazione,


è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche per uso interno
o didattico.
Indice

Folena e «Lingua nostra». Questioni di metodo 11


di Ivano Paccagnella

Abbreviazioni 31

Parte prima
Scritti di «Lingua nostra»

Quarantuno
Ana in medici e alchimisti 37

Quarantanove
Il pallor della viola 42

Cinquantuno
Chiaroscuro leonardesco 48

Cinquantaquattro
Fra i Lapi e i Bindi del Duecento 61
Cappe e capparazze 72

Cinquantacinque
-antia, -entia 74
Pensamento guittoniano 76
Il ciaraffo 85

7
lingua nostra

Cinquantasei
Antroponimia fiorentina rara 87
Cosacco e casacca 93
Semantica e storia di monello 97

Cinquantasette
Noterelle lessicali albertiane 123
Ancora monello e famiglia 133
Sordo come una campana 138
Treggiaia 139

Cinquantotto
Sopralluogo 140
Lombardismi tecnici nelle Consulte del Beccaria 142
Giovanni ventitré 160
Distributorio (di benzina) 163

Cinquantanove
l da r preconsonantico nel pisano antico 165
«Parlamenti» podestarili di Giovanni da Viterbo 170

Sessanta
Ana in una carta salernitana 186

Sessantuno
Alfido, alfiere 189
Terminologia medica. Un «prefissoide» paronimico:
pneumo- = pneumato-, pneumono- 191

Sessantadue
Rustica in Guittone e altrove 195
Ciambella 203
Diligenza, fiacre, vettura 205
Palazzi e non Palazzi-Treves 208

Sessantatré
Razza come traslato 209
Olio (e acqua) sul fuoco 211
Metafore mercuriali 213

8
indice

Sessantaquattro
Boberia 216
Brins 218

Sessantotto
Prinzipales 219
Annicchiare 221
Taleno e altalena 223

Settantatré
Balatroni ‘barattoli’ 225

Settantasette
Anaretico (da Tolomeo al Marino) 227
Allo sbando 229
Ancora baratro e barattolo 231

Ottantadue
Raitro e reitro 233
Note sulla Lauda escorialense 235

Ottantatré
A gogo (gogò) 240

Parte seconda
Altri scritti

Cinquantotto
Gergo teatrale 245

Settantatré
Mi bevo un’ombra 248

Settantaquattro
Ingegnere 251

Settantacinque
Il consumo verbale dello sport 256
Gioco e sport 259

9
lingua nostra

Il tecnoletto sportivo 261


Vita e morte della virtù 264

Settantasei
Ansia e angoscia 268
Pluralismo 272

Quasi una conclusione

Settantasette
La storia della lingua, oggi 277

Ottantaquattro
La lingua italiana verso il Duemila 295

Indice delle voci commentate 303

Indice dei nomi 313

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Folena e «Lingua nostra»
Questioni di metodo
di Ivano Paccagnella

1. Nato il 9 aprile 1920 a Savigliano, in provincia di Cuneo, di famiglia


toscana, Gianfranco Folena1, dopo gli studi liceali a Firenze, nel 1937
entra alla Scuola Normale Superiore di Pisa. All’esame di ammissione
presenziavano Giovanni Gentile, direttore della Scuola, Luigi Russo e
Giorgio Pasquali2. Di quest’ultimo Folena ricostruirà affettuosamen-

1.  Su Folena, oltre ai numerosi scritti commemorativi alla morte, il 14 febbra-


io 1992 (in primis il commosso annuncio di Ghinassi, in LN, liii, nel marzo dello
stesso anno), rinviamo al profilo (e all’annessa bibliografia) di L. Renzi nel Dizio-
nario biografico degli italiani, vol. xlviii, 1997 – anche nel sito www.treccani.it/
enciclopedia/gianfranco-folena_(Dizionario-Biografico) – e a: I. Paccagnella, G.
Peron (a cura di), Gianfranco Folena, dieci anni dopo. Riflessioni e testimonianze, Ese-
dra, Padova 2006; L’italiano in Europa (Firenze, 6-7 maggio 2011), Atti a cura di N.
Maraschio, D. De Martino, G. Stanchina, Accademia della Crusca, Firenze 2012;
F. Zambon (a cura di), Gianfranco Folena e la cultura veneta in Europa, Atti del Con-
vegno (Treviso, 23 settembre 2011), Associazione Amici di Giovanni Comisso, Tre-
viso 2012; L’italiano in Europa, la lingua come risorsa. A vent’anni dalla scomparsa di
Gianfranco Folena, Palazzo Montecitorio, 26 settembre 2012, Camera dei Deputati,
Roma 2013; I. Paccagnella, E. Gregori (a cura di), Lingue, testi, culture. L’eredità di Fo-
lena vent’anni dopo, Atti del xl Convegno Interuniversitario (Bressanone, 12-15 luglio
2012), Esedra, Padova 2014. Una bibliografia esaustiva è stata pubblicata da A. Daniele
in Omaggio a Gianfranco Folena, Editoriale Programma, Padova 1993, i, pp. xxv-xlvii.
2.  Lo ricorda lo stesso Folena in Per Luigi Russo, in «Cultura moderna», 5, 54,
dicembre 1961, pp. 23-4. Con lui entrarono Carlo Azeglio Ciampi, Scevola Mariotti,
Aldo Visalberghi; poco prima erano entrati Emilio Bigi, Antonio D’Andrea, Mario
Marti, Aurelio Roncaglia, poco dopo entrerà Mario Baratto: amicizie profonde e du-
rature, che segneranno la vita umana e intellettuale di Folena. R. Melis, Genealogie
foleniane, in L’italiano in Europa, cit., p. 45, riporta una bella cartolina del 12 marzo
1943 inviata a Russo da tre allievi: «Tre discepoli prigionieri, Victor Sprocatti, Um-
berto Serafini, Gianfranco Folena vi ricordano sempre con affetto e col desiderio di
rileggervi».

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lingua nostra

te la duratura presenza nella propria formazione umana e culturale in


particolare nella Premessa alla raccolta di saggi Lingua nuova e antica3.
Sarà sotto la loro guida che si orienterà verso gli studi di storia della
lingua e di filologia italiana. E sarà anzi Pasquali a spingerlo a seguire i
corsi di Bruno Migliorini che aveva appena ricoperto la prima cattedra
di Storia della lingua italiana a Firenze. Ricorda Folena:

nel 1939-40, sollecitato da Giorgio Pasquali, frequentai le sue lezioni, delle


quali conservo gli appunti sulla lingua di Galileo, lessi il primo fascicolo di
«Lingua Nostra» e il suo primo libro, ed ebbi da lui, su una schedina che ho
conservato anch’essa con un pacco di mie, un primo tema di esercitazione:
«La negazione intensiva in italiano: il tipo non me ne importa un fico». Era
la vigilia della guerra, di lì a poco ci si sarebbe tutti dispersi, e a qualcuno
potrà sembrare oggi un po’ buffo che uno studente a quei dì esercitasse il suo
ingegno su particolari marginali di lingua. Eppure quella ricerca mi condusse
a leggere attentamente e a schedare una quantità notevole di cantari del Tre
e Quattrocento fino al Morgante, poi a fare i conti con una folla di indivi-
dui o casi particolari che pian piano si componevano in serie morfologiche
e semantiche, e a individuare una ricca tradizione di stilemi, a risalire quindi
all’epica francese e di lì su su fino al latino dei comici, caro a Pasquali. Quella
esperienza così concreta, che non escludeva altre e diverse esperienze, mi affe-
zionò durevolmente alla storia della lingua e al maestro sempre sollecito a for-
nire suggerimenti, schede e appunti bibliografici. Decisi che mi sarei laureato
con lui su un autore del Quattrocento, il periodo fino ad allora più trascurato
della nostra storia linguistica4.

Pasquali l’aveva anche messo in contatto, nel 1941, con Michele Barbi,
per collaborare con lui al progetto di un commento filologico-lingui-
stico alla Commedia5.
La guerra interrompe i suoi studi prima della laurea. Nel 1941-42
fa il servizio militare in qualità di sottotenente in Sicilia e successiva-

3.  G. Folena, Premessa a G. Pasquali, Lingua nuova e antica, Le Monnier, Firenze


1964 (19852), pp. v-xxviii, ora (con il titolo: Giorgio Pasquali) in G. Folena, Filologia
e umanità, a cura di A. Daniele, Neri Pozza, Vicenza 1993, pp. 212-28.
4.  La vocazione di Bruno Migliorini: «dal nome proprio al nome comune» [1979],
ora in Id., Filologia e umanità, cit., p. 281.
5.  Quest’episodio, insieme con la continua presenza di Pasquali nella formazione
di Folena, è stato ben ricostruito in un articolo esemplare di C. Ciociola, La filologia
di Folena, in Paccagnella, Peron (a cura di), Gianfranco Folena, dieci anni dopo, cit.,
pp. 15-65: 15-6.

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folena e «lingua nostra»

mente in Africa settentrionale; in Egitto viene fatto prigioniero dagli


inglesi e, alla fine del 1942, mandato in India, nel campo di Dheradun,
nell’Uttarakhand, fra Kashmir e Nepal, dove rimase fino all’estate del
1946 (quando fu rimpatriato a Napoli). Nel campo si legò di forte ami-
cizia con Ludovico Quaroni, architetto e urbanista, Rigo Innocenti,
che fu poi collaboratore di Adriano Olivetti6, con Vittorio Checcucci,
matematico e Umberto Serafini, grande europeista7, entrambi allievi
della Normale di Pisa.
Un’affettuosa memoria del paesaggio indiano (ma anche forse una
rimozione di quegli anni tramite la scrittura) si ritrova nel Pallor della
viola – il primo lavoro edito dopo la prigionia in «Lingua nostra»
(x, 1949), quasi a colmare il lungo iato dopo la prima pubblicazione
del 1941 – dove compara la cura dei fiori in Italia, nei paesi nordici, in
Giappone con quella dell’India,

dove i fiori sono cura quotidiana, anche nelle classi più umili, e non è raro
vederli come ornamento nelle capanne dei villaggi più poveri e sperduti: del-
la coltivazione dei fiori Gandhi sentiva l’importanza educativa, come avvia-
mento, direi, al disinteresse estetico ed etico, due motivi che nell’educazione,
specie elementare e popolare, non vanno separati; e io ricordo che i bambini
indiani dei villaggi, andassero o no a scuola, riconoscevano e nominavano
con gioia, nei loro vari dialetti, fiori anche rari e piante.

Se non erro, è l’unico accenno che compaia nei suoi scritti ai luoghi dell’in-
ternamento. E ci mostra precocemente un tratto che chi ha frequentato
Folena ben conosce, la sua curiosità, la sua voglia di capire sempre e co-
munque “l’altro” cercando di immergersi nella sua cultura, nella sua storia.
Reduce dalla prigionia, Folena abbandona il progetto dantesco di Bar-
bi e riprende gli studi a Firenze sotto la direzione di Bruno Migliorini:

quando poi, dopo sei anni di lontananza dalla scuola, di là dalla guerra e dalla
prigionia tornai nel ’46 in una Firenze spettrale ma viva e ritrovai i miei mae-
stri, fu lui con la sua serena e mite fermezza, con la sua pacifica e comunicativa

6.  Nel 1955 Innocenti diresse lo stabilimento-modello Olivetti di Pozzuoli; con


Quaroni partecipò all’esperienza del progetto olivettiano di Matera (il Borgo la Mar-
tella) e del piano regolatore di Ivrea.
7.  I suoi Scritti sull’Europa dal 1957 al 2002 sono stati editi dalla Fondazione
Adriano Olivetti (collana “Intangibili”) nel 2012.

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lingua nostra

fiducia nel lavoro collettivo, a ricondurmi fuori dal tunnel in cui mi trovavo.
Senza di lui probabilmente non avrei rimontato la china. E non direi questo
se non fossi convinto che il mio caso è quello di molti altri che da lui sono
stati condotti o ricondotti alla serenità del lavoro comune8.

Nel dicembre dello stesso 1946 si laurea con una tesi su La crisi lingui-
stica del Quattrocento e l’Arcadia di J. Sannazaro (poi edita nel 1952 da
Olschki a Firenze).

2. Il primo numero di «Lingua nostra» – diretta da Bruno Migliori-


ni e Giacomo Devoto (l’editore Federico Gentile ne era condirettore
responsabile) – esce nel febbraio 19399.
Nessuna premessa programmatica: in apertura il saggio di Miglio-
rini, Correnti dotte e correnti popolari nella lingua italiana, seguito da
uno di Devoto intestato alle «Lingue speciali» e intitolato Le crona-
che del calcio. I due testi venivano peraltro a segnalare immediatamen-
te gli indirizzi della rivista: l’attenzione a uno dei tratti caratteristici
dell’italiano, il rapporto fra lingua dotta e lingua popolare, la peculiare
funzionalità nella nostra lingua di influenze colte e popolari10; la consi-
derazione della dimensione storica e areale della lingua non meno della
sua stratificazione sociale (è di Migliorini la coniazione dell’aggettivo
«social-linguistico»); la specificità di metodologie e campi d’inda-
gine di dialettologia e linguistica storica, insieme alla distinzione di
studio sincronico e studio diacronico della lingua, che portava alla de-
scrizione delle terminologie settoriali, tecnico-scientifiche, o anche di
autori contemporanei (in linea con gli interessi di stilistica di Devoto).

8. Folena, La vocazione di Bruno Migliorini, cit., pp. 281-2.


9.  Su «Lingua nostra» si vedano: B. Migliorini, 34 volumi di «Lingua nostra»,
in Testimonianze per un centenario, Sansoni, Firenze 1974, pp. 55-7; G. Ghinassi, Lin-
gua nostra, in «Romanische Forschungen», C, 1988, pp. 135-47; M. Fanfani, Devoto
e gli inizi di «Lingua nostra», in C. A. Mastrelli, A. Parenti (a cura di), Giacomo
Devoto nel centenario della nascita, Olschki, Firenze 1999, pp. 189-219; Id., La prima
stagione di «Lingua nostra», in M. Santipolo, M. Viale (a cura di), Bruno Migliorini,
l’uomo e il linguista, Accademia dei Concordi, Rovigo 2009, pp. 25-96.
10.  A proposito del saggio sugli Allotropi italiani di Canello – avendo ben pre-
sente Migliorini – Folena notava «non tanto la distinzione di due strati, dotto e po-
polare, ereditario e adottivo, ma le loro relazioni storiche, il loro spesso inestricabile
intreccio» (Ugo Angelo Canello e i primordi della storia della lingua italiana [1987],
in Folena, Filologia e umanità, cit., p. 55).

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folena e «lingua nostra»

Qualcosa di simile a un editoriale, Propositi, a firma di Devoto e Mi-


gliorini, comparirà nel secondo numero (ii, 1940, pp. 1-2), ma a dichia-
razioni teoriche, interventi metodologici astratti o prese di posizione
polemiche nel dibattito linguistico in atto (specie a proposito della po-
litica linguistica del fascismo), la rivista e i suoi direttori preferiscono i
risultati di ricerche consistenti e documentate o anche interventi e te-
stimonianze, facendone programmaticamente «un centro di raccolta
per coloro che, a qualsiasi titolo e in qualsiasi occasione, si occupassero
di lingua italiana in tutto il vasto mondo», creando una rete di corri-
spondenti che andava «dall’Europa agli Stati Uniti al Giappone alla
Nuova Zelanda, e comprendeva […] persone di estrazione culturale e
professionale assai diversa: italianisti o romanisti o linguisti di profes-
sione (e talora si trattava di studiosi di gran nome come Lerch, Spitzer,
Škerlj, Wagner ecc.), insegnanti di lingua italiana all’estero, semplici
osservatori e curiosi di cose di lingua residenti in paesi stranieri»11.
In partenza la rivista si articola in tre sezioni: una strettamente di
storia della lingua, studiata diacronicamente e con applicazione alle
questioni filologiche, con particolare attenzione alla lessicologia sto-
rica, alla storia della lessicografia e (interesse sempre prioritario di Mi-
gliorini, a partire dalla tesi di laurea con De Lollis del 1919 su Nomi
propri di persona nel vocabolario comune, diventata poi, nel 1927, il suo
primo libro, Dal nome proprio al nome comune) all’onomastica; delle
altre due parti, «rivolte al presente e, per quel che si può, all’avveni-
re» (com’è scritto nei Propositi), una seconda più attenta all’analisi
sincronica dell’italiano, sia sul versante della «lingua collettiva», dei
linguaggi settoriali (le «nomenclature speciali» le chiameranno nei
Propositi) che su quello della letteratura contemporanea; una terza più
normativa ed esplicativa, rivolta alla formazione di una «coscienza
linguistica» e specialmente agli insegnanti, «quelli che a loro volta
formano la coscienza dei giovani». È in queste due sezioni che si eser-
cita quello che i direttori stessi (soprattutto Migliorini) definiscono
«neopurismo» (definizione che sarà poi progressivamente sostituita
da quella di «glottotecnica» e di linguistica applicata), proponendo
l’eliminazione delle «voci male foggiate o inutilmente assunte da al-

11.  G. Ghinassi, Ricordo di Bruno Migliorini dal “laboratorio” di «Lingua no-


stra», in L’opera di Bruno Migliorini nel ricordo degli allievi, Accademia della Crusca,
Firenze 1979, p. 46.

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lingua nostra

tre lingue» secondo un criterio strutturale, occupandosi delle «lingue


speciali» (l’etichetta era di Devoto), senza pubblicare «minacciose li-
ste di proscrizione» (con acuta preveggenza di quello che sarebbe suc-
cesso pochi anni dopo, già con il concorso bandito da «La tribuna»
nel febbraio-luglio 1932 per la sostituzione di 50 parole straniere, con
la rubrica Una parola al giorno tenuta da Paolo Monelli fra 1932 e 1933
su «La Gazzetta del popolo», e poi con il decreto legislativo del 1942
che affidava all’Accademia d’Italia e alla Commissione per l’italianità
della lingua le proposte di sostituzione di circa 1.500 prestiti in uso):

È vero, nel nostro tempo è più facile imporre decisioni in fatto di lingua che
non in passato: ma occorre che decisioni di tal genere siano prese (con pon-
derazione) da chi ha l’autorità: noi possiamo esporre soltanto pareri.

Qualche anno dopo, tornando sul purismo e sulle posizioni (e il meto-


do) di «Lingua nostra», così sintetizzava Migliorini:

Rimaneva da tentare un’altra via: quella di studiare anche le fasi più recenti
della lingua con criterî storici e con metodo scientifico: registrare esattamen-
te i fenomeni linguistici che si svolgono sotto i nostri occhi e poi ricercare
dove e quando sono nati, con lo scopo precipuo d’indagarne le cause. In que-
sta ricerca storica e funzionale non si tratta più di bello o di brutto12.

Non era prevista all’inizio una sezione specificamente riservata alle re-
censioni. I lavori pubblicati partono sempre dalla bibliografia critica
più recente e molti articoli sono lunghe discussioni critiche. Dal se-
condo anno compare una rubrica, Libri e opuscoli, che verrà progres-
sivamente estesa (con il nuovo cartiglio Libri e articoli) «ancor più
quando venne a collaborare con noi Gianfranco Folena (ufficialmente
condirettore a cominciare dal volume xviii)», secondo la testimo-
nianza di Migliorini13.

3. Folena è invitato da Migliorini a collaborare a «Lingua nostra»,


ancora studente, nel 1941 (l’anno in cui viene arruolato) con un artico-

12.  B. Migliorini, Divagazioni sulla norma linguistica, in LN, iv, 1942, pp. 16-21
(e poi in Id., Lingua contemporanea, Sansoni, Firenze 1943, pp. 205-29, con il titolo
La norma linguistica e il gusto).
13. Migliorini, 34 volumi, cit., p. 55.

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folena e «lingua nostra»

lo, Ana in medici e alchimisti, nato da uno spunto di Pasquali. Subito


dopo la guerra e la laurea, mentre insegna nei licei, riprende la collabo-
razione, pubblicando nel 1949 Il pallor della viola e nel 1951 Chiaroscu-
ro leonardesco. Dal 1950 al primo incarico di Storia della lingua italiana
all’Università di Padova, nel 1954, Folena sarà comandato presso il
Centro di studi di Filologia italiana dell’Accademia della Crusca (sono
gli anni dei lavori tre-quattrocenteschi, su Benedetto Dei, sui Detti
piacevoli di Poliziano, della pubblicazione con Migliorini dei testi non
toscani del Trecento e del Quattrocento, di grandi imprese filologiche
come l’edizione del Piovano Arlotto e dell’Eneas di Angilu di Capua).
Di «Lingua nostra» diverrà redattore nel 1953, nel 1957 sarà chiamato
come condirettore e assumerà la direzione insieme a Ghino Ghinassi
dal 1975, anno della morte di Migliorini, al 1992. La collaborazione alla
rivista si infittisce, particolarmente negli anni 1957-64, per diventare
meno continuativa negli anni successivi (quando spesso cede volentieri
spazio, con la sua ben nota generosità e spiccata disposizione maieutica
e didattica, ad allievi e collaboratori), fino all’ultimo articolo, A gogo
(gogò) del 1983.
Agli articoli, Folena affianca (come ricordava Migliorini) un’inten-
sa attività di recensioni e segnalazioni. Recensioni “pesanti”14, che dal
libro recensito prendono solo l’abbrivo e si allargano poi a diventare
contributi autonomi (come Fra i Lapi e i Bindi del Duecento, del 1954,
che parte da Michaëlsson e Brattö), più che altro discussioni e nuovi
contributi e spunti, a partire dal 1952 (quando esamina il libro di Segre
sulla sintassi dei primi prosatori) e poi continuativamente fino al 1963:
le lingue cancelleresche di Vitale, i nuovi testi fiorentini di Castella-
ni, i volgarizzamenti di Maggini, il Nencioni della polimorfia lettera-
ria, il glossario del Cantalicio di Baldelli, l’edizione Marti delle Prose
bembiane, il Boccaccio medievale di Branca, il Poliziano di Ghinassi,
il Cavalcanti di Favati, e poi Bosco, la Wortgeographie, i geosinonimi
e la Umgangssprache di Rüegg (ricchissima di spunti metodologici), il
Dossi di Isella, Dionisotti, Prati ecc.
Molto lunga e importante, per le implicazioni metodologiche che
se ne possono dedurre, la recensione al primo volume del Grande di-
zionario della lingua italiana di Battaglia (xxii, 1961, pp. 52-7): una

14.  Da notare la parallela, intensa rubrica di recensioni dedicate al Duecento re-


datta per la «Rassegna della letteratura italiana» dal 1954 al 1964.

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lingua nostra

esemplare sintesi di storia della nostra lessicografia a partire dal Tom-


maseo-Bellini, dove Folena valuta la funzione dell’esemplificazione,
a volte criticandone la sproporzione o l’eccessiva contemporaneità di
testi letterari – «da questa impostazione letteraria e un po’ arcadica
risulta accentuato il divorzio fra il “bel mondo” lessicale e la termino-
logia scientifica e tecnica, accolta in gran copia, ma troppo raramen-
te documentata e “datata”» – finalizzata alla definizione della lingua
dell’uso: «Non vogliamo qui contestare l’opportunità di inclusioni
o esclusioni singole (ce n’è, ci pare, per tutti i gusti), ma solo rileva-
re che nel dizionario si rispecchia una situazione di cultura che non
ci pare corrispondere alla realtà». Senza mezzi termini, riguardo agli
autori e alle edizioni citate, Folena critica la molteplicità di fonti per
gli spogli di unico testo (e non solo per spogli tradizionali, eredita-
ti da altri vocabolari, ma anche e soprattutto per gli spogli nuovi) e
le troppe edizioni superate o infide o antologiche: dove si vede la si-
curezza dell’apporto filologico e storico-linguistico alla lessicografia
(che traspare anche negli appunti e nelle osservazioni più puntuali e
minuziose: controllo delle citazioni dalla Crusca, mancanza delle edi-
zioni più aggiornate, errori di datazione, errori nella corrispondenza
fra citazioni e indice, lacune nelle retrodatazioni, omissione di autori
fondamentali, come ad esempio Alberti, insicurezza e oscillazioni nel
caso di dialettalismi e neologismi entrati attraverso scrittori ecc.). In
sostanza Folena lamenta che non si ponga almeno embrionalmente
il problema dell’inquadramento sinonimico, che non si oltrepassi la
semplice etimologia in favore della storia semantica della parola, in-
somma che troppo spesso si perda il senso della complessità della pa-
rola. Critiche radicali ma mai distruttive: difetti inevitabili in un’ope-
ra di tale mole e complessità, soprattutto un’opera in fieri, che «offre
comunque senza dubbio, soprattutto per la documentazione recente,
il più vasto contributo lessicografico italiano da un secolo a questa
parte».
L’attività si fa più sporadica negli anni seguenti (ma ancora nel
1976 recensisce i testi rossanesi di Di Stilo).
Quasi più minuziosa e continua è la serie di segnalazioni, dal 1955
in poi: uno sterminato cahier des lectures che ci documenta un Folena
onnivoro, pronto a leggere e a far conoscere quanto di più importante
si veniva pubblicando nel settore filologico-linguistico, a mettere in
circolazione fra gli studiosi i risultati più rilevanti della linguistica in-
ternazionale.

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folena e «lingua nostra»

Il “redattore” Folena postilla incisivamente anche articoli che la ri-


vista man mano pubblica. E comincia proprio da una (come sempre
acuta e spiritosa) noticina del “maestro” Pasquali (Direttori la cattedra,
xii, 1951) che commenta una forma di accusativo dipendente da nomen
agentis in Bacchelli, riportando una citazione del Trattato della pittura
leonardiano alla reale forma del manoscritto, di cui nella stessa annata
si era occupato con il saggio magistrale sul termine chiaroscuro. L’arti-
colo di Münster su un trecentesco referto medico15 in volgare bolognese
(xv, 1954), un testo che Folena, a scanso di equivoci, dice subito «non
offrire nulla di veramente rilevante dal punto di vista linguistico, anche
per la sua brevità», diventa l’occasione per una riflessione (a livello
puntuale di grammatica storica: fonologia, sintassi) del bolognese ed
emiliano antico, sempre con l’occhio del filologo alla realtà documen-
tale: «la situazione di Bologna, così particolare e interessante, presenta
ancora molti punti oscuri, anche perché manca, per uno studio appro-
fondito dello svolgersi della norma scritta fra Duecento e Trecento,
quella raccolta attendibile di antichi documenti che possa servire come
termine sicuro di confronto». In appendice a un articolo di Herczeg
(xviii, 1957) riporta la questione di un particolare modo di relazione
sintattica ad una prospettiva storica, in una linea che risale alle forme
di sintassi periodica che si impongono nel Seicento e Settecento per
influsso del francese, con esempi di Parini, Alfieri, Cesarotti, Baretti.
C’è in più l’insistenza sul fenomeno come caso di «convergenza eu-
ropea» nella formazione della sintassi moderna, «episodi stilistici che
toccano il problema storico della diffusione e della grammaticalizza-
zione di questi moduli, e del sorgere di una nuova e complessa libertà
di scelta offerta dalla lingua, dove prima si trattava di mezzi stilistici
eccezionali»: qui mi sembra ben operativa la lezione della critica sti-
listica di Devoto. Integra la ricca schedatura degli adattamenti di toi-
lette, ad opera di Maria Luisa Altieri Biagi (xxv, 1963), focalizzando la
propria attenzione su “tavoletta”, soprattutto riportando il problema
ai rapporti fra etimologia popolare ed etimologia dotta: «e anche in
questo caso si potrà constatare che l’étymologie du peuple (toletta) ha

15.  L’interesse per la storia della lingua medica, a partire dall’articolo del 1941 su
ana (su cui peraltro tornerà nel 1960) sarà continuo in Folena, con l’articolo del 1961
sul prefissoide pneumo, e, estensivamente, con i lavori del 1963 sulle metafore mercu-
riali e del 1976 su ansia e angoscia.

19
lingua nostra

avuto la meglio sull’étymologie des étymologiste (nella fattispecie, telet-


ta). Oppure integra l’analisi sincronica del doppio imperativo toscano
fatta da Stefanini (xxxi, 1970) con un riferimento al pavano Ruzante
(e cita il lavoro dell’allieva Marisa Milani), o l’etimologia del siciliano
sciara di Sinicropi (xliv, 1983) sulla base degli Arabismi medievali di
Sicilia di Caracausi che era fresco di stampa.
Ho lasciato per ultima la sintetica nota (xxiii, 1962) Palazzi, non
Palazzi-Treves16, perché mi sembra dia un ritratto di quello che è l’uo-
mo-Folena, non solo lo studioso. Su richiesta dell’editore Ceschina
e dello stesso Fernando Palazzi (di cui a piè di pagina si annuncia la
scomparsa, per singolare coincidenza) la redazione rettifica la dicitura
autoriale compendiosa del Novissimo dizionario della lingua italiana,
riportandola al solo Palazzi. Folena17, come dire, non ci sta e ribadisce
nella redazione del dizionario la preziosa funzione di collaboratore di
Eugenio Treves, che nel 1939, «quando erano in vigore le leggi per la
cosiddetta difesa della razza», gli era stata preclusa; anzi, con puntiglio
Folena recupera i riconoscimenti e le lodi «che per ragioni contingen-
ti» (patetico eufemismo del vecchio lessicografo per definire il razzi-
smo fascista) «non fu possibile dargli fin dalla prima stampa», che
lo stesso Palazzi tributa al collaboratore nella prima ristampa dopo la
guerra e ancor più in quella del 1957: quasi un metodo di ricostruzione
filologica per una questione storica ma soprattutto etica.
Negli articoli di «Lingua nostra» l’indagine storico-linguistica si
estende ai settori più diversi: storia economica (come nel caso della
lingua delle Consulte di Beccaria che si misura con altri autori, come
Gian Rinaldo Carli), storia degli istituti giuridici, storia della medicina
(ci torna a più riprese, dopo il primo articolo del 1949, nel 1954, 1960,
1961, 1963, 1976), botanica e scienze naturali, architettura, pittura, lin-
gua politica.
Gli scritti di Folena puntano non solo a una storia di parole, di les-
semi, combinazioni, locuzioni, ma a quella che si potrebbe dire una
storia semantica e stilistica della parola: più che i singoli significati e
usi, le loro variazioni negli autori e nella storia, con un metodo, tutto

16.  A differenza di tutte le altre note finora citate si è scelto di ristampare inte-
gralmente proprio per i tratti che elenchiamo.
17.  Che poi curerà la ripubblicazione del vocabolario (con una notevole prefa-
zione) nel 1974, 1976, 1986 e poi nel 1992, apparendo, lui sì, che ne aveva fatto un’o-
pera totalmente diversa e nuova, come coautore.

20
folena e «lingua nostra»

miglioriniano, di schedatura che cresce su sé stessa fino a raggiungere


la piena documentazione espressiva dei propri testi. Vi si rivela imme-
diatamente una eccezionale cultura storico-linguistica, il possesso de-
gli strumenti lessicografici e archivistici anche i più peregrini e datati,
i meno accessibili, una mole di letture pregresse (fin dagli anni della
Normale), congiunte alla capacità, tutta personale, di penetrare il sen-
so profondo dei testi (mai avulsa da una valutazione stilistica) parten-
do da un dato minimo, puntuale: un prefisso, ana- o prefissoide, pneu-
mo-; un suffisso, -anza, -enza; una parola, balatroni, barattolo, ciaraffo,
cosacco, treggiaia… magari di tradizione letteraria, tecnica o gergale,
parlamento, pensamento, rustica, monello; un’espressione, sordo come
una campana, Giovanni Ventitré, olio (e acqua) sul fuoco.
Fin dai primi interventi si ritrova una caratteristica, persistente poi
negli anni: la curiosità intellettuale e l’apertura pluridisciplinare (come
dimostra, già nel 1951, Chiaroscuro leonardesco), che convergono a ri-
costruire la storia di una parola o di un più ampio campo semantico in
una acquisizione larga di storia culturale, che però sempre si fonda sul
dato linguistico e filologico, perché l’attenzione è concentrata sulle pa-
role, sui testi, senza mai indulgere a teorizzazioni astratte, slegate dagli
istituti linguistici.
L’unità di filologia, storia della lingua, linguistica (intesa più come
Sprachwissenschaft o, con la tradizionale etichetta accademica, “Glot-
tologia”, ma anche – e più dalla fine degli anni Sessanta – come Lingui-
stics, “Linguistica generale”) è per lui – sempre integralmente storico
della lingua e filologo, italiano e romanzo – un assioma. Non si può
fare storia della lingua senza conoscenza “materiale”, vorrei dire, dei
testi (che significa competenze paleografiche, archivistiche, bibliogra-
fiche ecc.), della storia della loro tradizione, come non si può fare cri-
tica ecdotica senza perfetta conoscenza dei percorsi della trasmissione
testuale e dell’usus linguistico degli autori, in quello che amava definire
un proficuo «circolo virtuoso».
Nella Premessa a Volgarizzare e tradurre (Einaudi, Torino 1991,
p. ix)18 – parlando di storia e teoria della traduzione, contrapponendo

18.  Aggiornamento e ampliamento di un saggio del 1973, «Volgarizzare» e «tra-


durre»: idea e terminologia della traduzione dal Medioevo italiano e romanzo all’U-
manesimo europeo, in La traduzione. Saggi e studi, Atti del Convegno del Centro per
lo studio dell’insegnamento all’estero dell’italiano, Università degli studi di Trieste,
lint, Trieste 1973, pp. 57-120.

21
lingua nostra

Steiner e Berman a Mounin, con un’affermazione che assume valenza


più generale – categoricamente asseriva: «per noi non si dà teoria sen-
za esperienza storica»19. Già nel 1966, presentando il primo dei «Qua-
derni» del suo Circolo filologico linguistico padovano20 aveva insistito
sulla distanza dal prevalere di sollecitazioni di ordine formalistico, da
pretese metodologiche astratte (in anni di strutturalismo egemonico):

Il nostro circolo non vuole dunque né può vantare prerogative teoriche o me-
todologiche; ad esso noi siamo affezionati come al nostro particolare Zirkel
in Verstehen [dove non si può non notare l’allusione spitzeriana], un con-
fortante luogo d’incontro e di comprensione comune, in un’epoca incline
al formalismo logico e all’astrazione spesso dogmatica, in cui rimane sempre
meno tempo per leggere e per conversare, e mentre si attribuisce tanto rilievo
al processo della «comunicazione», si finisce non di rado per perdere di vista
l’oggetto della comunicazione, le cose e il valore delle cose.

Citando opportunamente questo stesso passo, Ciociola sottolineava


«sotto forma di modestia, un’eloquente dichiarazione di adesione agli
oggetti della storia»21: e, preciserei, ai testi e al valore dei testi. Ancora
nel 1970, presentando il secondo dei «Quaderni», prendeva di nuovo
implicitamente le distanze da ogni astrattezza metodologica: «il lavo-
ro storico è per natura lento e interessato agli oggetti»22.
In Folena era sempre forte il principio che la storia della lingua fos-
se storia della cultura, storia, senza aggiunte. Sinteticamente ma con
estrema chiarezza, nell’Avvertenza premessa a Culture e lingue nel Ve-
neto medievale23, insistendo sul plurale, aveva scritto:

il titolo […] capovolge il consueto binomio «lingua e cultura», perché


le molteplici scelte linguistiche sono qui per lo più condizionate da scelte
culturali.

19.  Per quella che si è definita polemica “antimetodologica” da Barbi a Pasquali,


con le ricadute su Contini e Folena, cfr. Ciociola, La filologia di Folena, cit., pp. 24-33.
20.  Ricerche sulla lingua poetica contemporanea, Liviana, Padova 1966 (ora in G.
Folena, Scrittori e scritture. Le occasioni della critica, a cura di D. Goldin Folena, il
Mulino, Bologna 1997, pp. 209-10).
21. Ciociola, La filologia di Folena, cit., p. 34.
22.  Lingua e strutture del teatro italiano del Rinascimento, Liviana, Padova 1970
(ora in Folena, Scrittori e scritture, cit., p. 220).
23.  Editoriale Programma, Padova 1990, p. xiii.

22
folena e «lingua nostra»

Renzi ha ben scritto che «oggetto dello studio di Folena non era
la lingua in sé, ma il mondo visto sub specie linguistica»24. Nei suoi
lavori la prospettiva storica è capitale e sempre centrale. Non solo nel
senso dell’inquadramento di ogni oggetto di analisi, per cui ciascun
dato è vagliato, verificato filologicamente, inserito in una rete conte-
stuale di relazioni, rapporti, influssi, antagonismi, ma in quello più
ampio del significato e del valore, appunto, storico. Per lui la storia
linguistica non può prescindere dalla ricerca storica, è anzi soltan-
to un modo di scrivere la storia25, non può prescindere da indagini
e rilievi esaurienti e puntigliosi e confronti metodici e sistematici,
congloba storia del lessico, di istituti metrici e retorici, storia di tra-
dizioni stilistiche, storia della filologia, di manoscritti e testimoni,
con cui comprendere l’unità dei problemi penetrando nella realtà
delle questioni.

4. Nella seconda parte di questo libro compare una serie di altri


scritti che per stile e temperie metodologica non si distanziano da
quelli apparsi in «Lingua nostra». Analisi di parole, alcune, come
dire, “di moda” nel panorama culturale e giornalistico, altre legate a
specifici interessi di Folena (quali la lingua dello sport, sulla quale,
negli stessi anni in cui ne scrive, aveva assegnato una cospicua serie
di tesi di laurea).
Un piccolo blocco compatto è quello che appare in «GO Informa-
zioni», rivista aziendale (Giornale Olivetti) di carattere socio-econo-
mico e culturale destinata alla clientela e al pubblico esterno, pubblica-
ta dal 1973 al 1980, a cui Folena collabora fra il 1974 e il 1976.
Nel 1954 per l’ufficio stampa Olivetti Folena e il maestro Miglio-
rini avevano già redatto una Piccola guida di ortografia26, un libret-
to leggero, spiritoso e brillante (rivolto a un’ipotetica dattilografa,
magari utente delle macchine da scrivere Olivetti) ma chiaro ed

24.  L. Renzi, La linguistica di Gianfranco Folena, in «Lingua e stile», xxvii,


1992, p. 436.
25.  Lo ha rilevato, attribuendogli felicemente un’espressione di Monticone rela-
tivamente alle “storie speciali”, P. Del Negro, Folena “storico”, in Paccagnella, Peron (a
cura di), Gianfranco Folena, dieci anni dopo, cit., p. 84.
26.  B. Migliorini, G. Folena, Piccola guida di ortografia, Olivetti, Ivrea 1954
(19552, 19573; rist. anast. con introduzione e cura di C. Marazzini, Apice Libri, Firenze
2015).

23
lingua nostra

estremamente rigoroso. È lo stesso anno in cui Migliorini pubblica


le due sue grammatiche scolastiche27 e si era indubbiamente impo-
sto anche al di fuori dell’ambito accademico per i suoi lavori sulla
lingua contemporanea (con gli Appunti sulla lingua contemporanea,
dal 1931 in avanti). Non è sicuro chi abbia fatto da tramite tra Folena
e la Fondazione Olivetti. Ma si deve pensare quasi ad un incontro
“predestinato”. Dal 1947 (e vi resterà fino alla morte di Adriano, nel
1960) lavorava in Olivetti (come direttore della biblioteca aziendale,
diventando poi direttore delle relazioni culturali e capo dell’ufficio
della presidenza) Geno Pampaloni, che di Folena era amico fraterno,
fin dagli anni di liceo a Grosseto. A «Comunità», come responsabile
della sezione dedicata all’urbanistica e all’architettura, in particolare
quella applicata alle problematiche connesse allo sviluppo industria-
le, collaborava il compagno di prigionia Ludovico Quaroni, che già
nel 1948 aveva appoggiato Adriano Olivetti nel salire alla presiden-
za dell’Istituto nazionale di urbanistica ed era stato successivamente
chiamato al progetto (rimasto incompiuto) di recupero dei Sassi di
Matera. E per la parte riservata all’assistenza sociale vi collaborava
l’altro compagno di prigionia, Rigo Innocenti. Sempre a «Comuni-
tà» e successivamente alla casa editrice connessa era approdato un
altro amico di Folena, Renzo Zorzi28.
Ancora una volta, anche nel caso degli articoli per «GO Infor-
mazioni», “schede”, magari più “leggere”, che testimoniano la quali-
tà di Folena di partire da un’occasione (anche banale: un articolo di
giornale, una voce enciclopedica o l’intervento dello specialista in un
dibattito politico-culturale) per ripercorrere la “storia” di una parola,
ricostruirne gli sviluppi semantici e gli usi contingenti, facendone un
modello di storia culturale.

27.  Lingua viva. Grammatica per le scuole di avviamento professionale, Le Mon-


nier, Firenze 1954; La lingua nazionale. Avviamento allo studio della grammatica e del
lessico italiano per la scuola media, Le Monnier, Firenze 1954 (nuova edizione, dopo
la prima del 1941).
28.  Zorzi entra nel 1965 anche in Olivetti come responsabile della pubblicità e
stampa e come promotore dell’immagine e dello stile aziendale; nel 1988 assume-
rà l’incarico di segretario generale della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, dove,
dalla sua fondazione nel 1957, Folena dirigeva l’Istituto per le Lettere, la Musica e il
Teatro. Zorzi era legato fin dagli anni della guerra partigiana a Bruno Visentini (che
dal 1963 era presidente della Olivetti), presidente della Fondazione dal 1977 al 1995.
Visentini, che dal 1979 presiedeva il Premio Comisso, chiamerà Folena nella giuria.

24
folena e «lingua nostra»

Esulano un po’ da questi scritti, che per brevità definiamo lessi-


cografici, gli ultimi due articoli che abbiamo voluto pubblicare quasi
come conclusione.
Anch’essi fanno fede di una grande qualità umana di Folena (ben
nota agli amici, agli allievi e a quanti hanno avuto modo di frequentar-
lo anche solo in modo occasionale), la capacità di ascoltare, la dispo-
nibilità per ogni intervento, come dire, divulgativo e promozionale:
premesse, introduzioni anche a scritti e iniziative locali, a poeti “della
domenica”.
Folena aveva grande attenzione per il mondo della scuola, riflesso
della sua esperienza di insegnante, dopo la laurea, ma anche con-
sapevolezza della fecondità dell’osmosi fra istituzioni scolastiche e
istituzioni accademiche (scambio in Italia poco e sempre meno favo-
rito, a differenza di quanto avviene in altri paesi, come quella Francia
che a Folena era sempre presente). È così comprensibile che Folena
abbia parlato della propria disciplina, di sé, della sua formazione, del
proprio lavoro di storico della lingua, ad un corso di aggiornamento
per insegnanti, con il suo solito linguaggio chiaro, la sua sintassi pia-
na, il lessico elegante e a tratti arguto, volendo essere il più possibile
“didattico” (l’altra sua grande qualità, l’essere sempre, naturaliter,
maestro). Di qui l’articolazione per punti (e titoletti) riassuntivi, la
precisione dei riferimenti, fino alla bibliografia finale, non riassunti-
va ma incentivo ad altre letture.
E analogamente che abbia voluto tracciare un quadro complessivo
e di prospettiva dell’italiano ad un incontro-rassegna sui libri di te-
sto scolastici, partendo da premesse non strettamente “linguistiche”,
ma da Pasolini o da Orwell, basando il proprio ragionamento sull’i-
taliano dei giornali, lingua che definisce evasiva, «spesso eufemistica
e imprecisa» e insieme «sofisticata e snobistica». Si vede qui anche
il “mestiere”, la capacità di incollare l’uditorio ad esempi ben presen-
ti all’esperienza collettiva, frasi-fatte, giochi di parole, cascami del
linguaggio politico e pubblicitario, per portarlo a condividere la sua
analisi, per quanto priva di generalizzazioni pur sempre pessimisti-
ca: «lo sfascio della lingua è legato allo sfascio della scuola», con
il messaggio finale più ottimistico che «la cura più importante per
la nostra lingua sarebbe quella di formare una classe di insegnanti
consapevoli, coscienti di questi problemi, che avesse, diciamolo pure,
anche un tantino di amore per l’italiano».

25
lingua nostra

5. Parlando della sua esperienza di studioso, quasi in un bilancio della


propria disciplina, nel 1977, aveva scritto:

Personalmente, insomma, mi sono sempre aggirato nelle periferie della lin-


gua: anche quando ho studiato un testo fiorentino, anzi fiorentinissimo,
Motti e facezie del piovano Arlotto. Si trattava infatti di un testo alquanto fuo-
ri dei canoni letterari toscani, un testo demotico, di tradizione popolare, di
scrittura che si opponeva proprio alla tradizione letteraria presentando feno-
meni, per esempio, di sintassi popolare estremamente interessanti29.

In «Lingua nostra» e negli altri scritti qui pubblicati Folena ha esplo-


rato diversi testi e linguaggi (toscano, italiano letterario e popolare,
dialetto, gerghi, mescidanze), in uno spazio cronologico che si estende
dal medioevo latino e italiano al contemporaneo, analizzando singole
parole o autori, dai ricettari mediolatini all’antroponimia fiorentina
duecentesca, dagli ittionimi alla terminologia medica, da Giovanni da
Viterbo a Guittone a Dante, da Leonardo a Alberti a Sannazaro, da
Pulci a Folengo, da Beccaria ad Algarotti ecc.: non esattamente “peri-
ferie” o autori e questioni marginali.
Nella lezione conclusiva del suo insegnamento padovano aveva
esordito dicendo: «Non ho un temperamento speculativo e ho sempre
preferito il commercio al minuto, il particolare al generale, o meglio
cercare il generale nel particolare, quando ci sono riuscito»30, con-
tinuando così ad accreditare di sé l’immagine di uno studioso senza
pretese teoriche o di metodologia astratta. «Sono uno storico molto
empirico della lingua», aveva detto presentandosi ad un corso di ag-
giornamento per insegnanti di scuola.
Recentemente Mario Mancini31 ha ripreso questa stessa citazione,
rovesciandola però, molto opportunamente:

Questo è verissimo, ma è vero anche il contrario. È un’affermazione, certo,


nel segno dell’understatement e avanzata non senza ironia. C’è un Folena
speculativo, teorico, come risulta dal continuo dialogo con i suoi maestri, ol-

29.  Qui a pp. 289-90.


30.  G. Folena, Antroponimia letteraria (ultima lezione – 23 maggio 1990), in «Ri-
vista italiana di onomastica», ii, 1996, pp. 356-7.
31.  M. Mancini, Folena e la critica stilistica, in Zambon (a cura di), Gianfranco
Folena e la cultura veneta in Europa, cit., p. 109.

26
folena e «lingua nostra»

tre che con Bruno Migliorini […] con maestri meno contigui ma altrettanto
decisivi, come Pasquali, Parodi, Spitzer.

Ricordiamo che la dedica de L’italiano in Europa32 era «ai miei mae­


stri», indistintamente. Idealmente a Migliorini, cui è da affiancare
Devoto. Altri nomi “impliciti” potrebbero essere quelli di De Lollis e
Fubini. Su Pasquali e Parodi Folena ha scritto pagine mirabili; vale qui
la pena di mettere in evidenza come, per entrambi, Folena insisteva sul
metodo filologico (di Pasquali: «quanto metodo c’era nella sua filo-
logia, nelle sue “stravaganze” e anche nelle intuizioni che sembravano
più estemporanee, e venivano spesso a mutare la prospettiva di un pro-
blema, a indirizzarne la soluzione verso obiettivi nuovi», «il suo ini-
mitabile metodo filologico […], quel cercare di capire, quell’aggredire
sempre ex novo il caso concreto, particolarissimo, quell’avvolgerlo, nel
dialogo con gli altri, attraverso successive intuizioni sparse e man mano
coordinate in una rete di relazioni storiche, quell’abbattere le paratie
delle discipline per inseguire la realtà delle cose e afferrare l’unità dei
problemi: “nella scienza esistono, in concreto, solo i problemi”, era il
suo principio capitale, che non cessò di affermare e di applicare»33; di
Parodi, «linguista-filologo in senso larghissimo», il «rapporto fon-
damentale fra tradizione e poesia, fra poesia e storia», la «limpida
visione della storia letteraria intimamente connessa con quella della
lingua e delle tradizioni stilistiche», «quella nuova stilistica filologi-
ca che fondava l’analisi dello stile su precise categorie storico-culturali
e ne indagava la vita storica iuxta propria principia, senza per questo
smarrire nella tecnica il giudizio di valore»34). Aprendo poi la Premes-
sa a Il linguaggio del caos35, riconosce che i saggi ripubblicati recavano
sì l’impronta della scuola fiorentina, «ma insieme manifestano il fasci-
no ininterrottamente esercitato su di me da un maestro lontano, Leo
Spitzer, rimasto sempre presente nel mio lavoro anche quando parve

32.  Einaudi, Torino 1983.


33. Folena, Filologia e umanità, cit., p. 212. Renzi, La linguistica di Gianfranco Fo-
lena, cit., p. 463 e Ciociola, La filologia di Folena, cit., p. 22 hanno rilevato quanto le
parole di Folena nel profilo del maestro valessero anche per l’allievo, in un indubbio
processo di identificazione.
34.  G. Folena, Ernesto Giacomo Parodi. Nel centenario della nascita [1962], in Id.,
Filologia e umanità, cit., pp. 126, 146 e 149.
35.  Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. xi.

27
lingua nostra

dimenticato»36. Ancora più esplicita questa presenza, in relazione alle


modalità del proprio lavoro e del metodo che in quegli anni veniva
affinando, nella nota con cui conclude Semantica e storia di monello:

Il presente contributo vuole soprattutto sottolineare la complessità di una


storia come questa: complessità che un dizionario etimologico, pur senza
esaurire i dettagli, dovrebbe sempre lasciare intravedere, piuttosto che orien-
tare verso soluzioni parziali, e perché parziali, dogmatiche. In questo senso
solo un grande e moderno dizionario storico della lingua italiana, del quale
finalmente ora si riparla con intenzioni serie, potrà darci la possibilità, of-
frendo l’adeguata documentazione ordinata storicamente coi collegamenti
formali e semantici con altre parole e famiglie di parole, di ricostruire la storia
del vocabolo in tutte le sue vicende e le sue viventi associazioni.
Se ogni parola ha un’anima individuale e una storia particolare, è anche
vero che questa storia non è mai un aneddoto ma è legata a quella di molte
altre ed è un po’ «la storia di tutte»; o, secondo il felice paradosso di Leo
Spitzer (Aus der Werkstatt des Etymologen, in «Jahrbuch für Philologie», i,
1922, p. 143): «la conseguenza del detto “Ogni parola ha la sua storia” è che
“la storia di una parola è anche quella di un’altra”».

I due livelli, quello metodologico e quello delle analisi concrete, sono


perfettamente integrati: non si dà astrazione metodologica senza base
analitica, le capillari ed esaustive analisi linguistiche presuppongono
un sistema e una teleologia storica. Proprio da questi articoli di «Lin-
gua nostra» messi in sequenza traspare un metodo e un ben preciso
modo di concepire la sua stessa disciplina. Metodo cui continuerà a
mantenersi fedele negli anni, come dimostrano i lavori sull’ittionimia
volgare (1964), sui primi americanismi nell’italiano (1973), sulla ter-
minologia pittorica rinascimentale (1983), sul lessico di Paolo Giovio
(1985), sull’antroponimia letteraria (1990). La dichiarazione migliore
di questo metodo credo sia quella che dà Folena stesso, già nel 1956, in
apertura di Semantica e storia di monello:

La documentazione lacunosa e tarda, insieme con la instabilità e ambiguità


semantica (le parole più cariche di affettività e di allusiva evocazione ambien-
tale sono quelle che hanno un nucleo semantico meno solido e meno chia-
ramente definibile e circonscrivibile), rendono difficile e talora disperato il

36.  Mancini (Folena e la critica stilistica, cit., pp. 115-22) ha ricostruito questa
«presenza continua, pervasiva»: «Davvero una lunga fedeltà».

28
folena e «lingua nostra»

compito di afferrare la vita di questi «folletti» verbali37 nella loro cerchia


originaria, di riportarli al loro ambiente sociale e storico primitivo, per rin-
tracciare quel legame vivente con altre parole, l’etimologia, che la storia ha
cancellato, e identificare il centro di diffusione e il canale che li ha portati nel-
la lingua comune. La possibilità di appigli e di ipotesi diverse e contrastanti (o
anche talora complementari), la loro apparente equipollenza, rendono spesso
estremamente precaria la soluzione di queste equazioni a molte incognite.

Anche Migliorini ribadiva di continuo il proprio empirismo, la pro-


pria istintiva e crescente ritrosia a impelagarsi in discussioni teoriche38
e avallava questa idea pragmatica della storia della lingua39, in cui pre-
dominante era la scheda, l’indagine minuta, concreta, sui testi o sulla
lingua comune.
E anche qui si vede la lunga fedeltà di Folena al maestro. Nel ri-
cordo pronunciato nel 1976 Folena ne rammentava il gusto asciutto e
sobrio dei fatti e delle cose, la «maniera di scrivere senza mai un fron-
zolo, solo di tanto in tanto la pointe spesso deguisée dell’arguzia, senza
ricerca d’effetto, con quella chiarezza cristallina sentita come dovere
comunicativo e sociale»; richiamava le «letture vastissime e metodi-
che di tutto il meglio che la linguistica europea aveva prodotto e veniva
producendo in quegli anni», i «maestri e corrispondenti elettivi di
linguistica», Bally, Jud e soprattutto Spitzer, «lo Spitzer fervidissimo
del dopoguerra così aperto anche ai problemi nuovi dell’italiano po-
polare, della Umgangssprache scritta dei prigionieri di guerra dominata

37.  Questo gusto delle definizioni non tecniche, quasi banali, lo si ritrova nella
presentazione nel 1991 de Il linguaggio del caos, quando applica ai saggi sul plurilingui-
smo rinascimentale un paragone paradossale, legato alla sua consuetudine di lettore
di polar come quelli del commissario San-Antonio di Frédéric Dard: «storie come
quella di monello o di cannibale o di quadro mi hanno sollecitato e appassionato come
romanzi gialli straordinariamente complicati e spesso di incerta soluzione». Un pri-
mo approccio allo stile di Folena è in F. Brugnolo, Primi appunti sulla lingua e lo stile
di Folena, in Paccagnella, Gregori (a cura di), Lingue, testi, culture, cit., pp. 601-24
e G. Peron, Folena nel Duecento. Osservazioni sui temi e lo stile, ivi, pp. 625-49.
38.  Che questo non significasse però sottrarsi al dibattito metodologico, special-
mente per quanto concerne l’interpretazione del rapporto fra storia linguistica e storia
culturale, ho cercato di dimostrarlo in «Il Quattrocento» di Migliorini, in Santipolo,
Viale (a cura di), Bruno Migliorini, l’uomo e il linguista, cit., in particolare pp. 224-6.
39.  «Pragmatica saggezza» l’ha definita Folena, La vocazione di Bruno Miglio-
rini, cit., p. 268 e analoga idea è ribadita da Ghinassi nella sua Introduzione alla riedi-
zione del 1988 (Sansoni, Firenze) della Storia della lingua italiana.

29
lingua nostra

dai bisogni elementari come la fame». Ma soprattutto metteva a fuoco


la sua capacità di toccare i nodi centrali della storia della lingua, con
un’attenzione costante alla storia della società e una particolare sen-
sibilità per la storia socioculturale del lessico, il vivace interesse per la
storia della lingua nelle sue diverse componenti comunicative, lettera-
ria ed espressiva, tecnica e usuale.
Quello che Folena scrive di Migliorini in fondo vale per sé stesso,
«umile manovale della scienza», con un’etichetta di quell’Ugo An-
gelo Canello, iniziatore di una storia della lingua italiana finalmente
autonoma dalla glottologia e dalla filologia romanza, che gli era caro.

Nota al testo
Non vengono qui ristampate le recensioni, le segnalazioni, i necrologi e le
postille. Dei saggi qui pubblicati sono già stati riediti, per volontà di Folena e
con minimi aggiustamenti e aggiornamenti bibliografici dell’autore:
– Chiaroscuro leonardesco, in Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo
rinascimentale, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. 242-54.
– Fra i Lapi e i Bindi del Duecento (con aggiunto nel titolo: Note di antro-
ponimia fiorentina), in Culture e lingue nel Veneto medievale, Editoriale Pro-
gramma, Padova 1990, pp. 211-25.
– Semantica e storia di monello e Ancora monello e famiglia (con aggiunto:
Luigi Pulci e l’uso gergale di monello), in Il linguaggio del caos. Studi sul pluri-
linguismo rinascimentale, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. 69-98.
– Lombardismi tecnici nelle «Consulte» del Beccaria, in L’italiano in Euro-
pa. Esperienze linguistiche del Settecento, Einaudi, Torino 1983, pp. 67-86.

Ringrazio Chiara Schiavon per la collaborazione nella redazione degli Indici


e nella revisione dei materiali.

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