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Storia dell’italiano

scritto
i. Poesia

A cura di Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese


e Lorenzo Tomasin

Carocci editore Frecce


1a edizione, aprile 2014
© copyright 2014 by Carocci editore S.p.A., Roma

Impaginazione: Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

Finito di stampare nell’aprile 2014


da XXXXXXX

isbn 978-88-430-7195-1

Riproduzione vietata ai sensi di legge


(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

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Indice

Piano dell’opera 11
Introduzione 13
Premessa al primo volume 23

1. Lirica
di Luca Serianni 27
1. Questioni preliminari 27
2. La fondazione del genere lirico
in Italia 35
3. Dante, Petrarca
e la codificazione del genere lirico 41
4. Il pluristilismo della lirica
tre e quattrocentesca 50
5. Il secolo del petrarchismo tra imitazione,
emulazione e innovazione. Le poetesse 57
6. Le novità secentesche 66
7. Il Settecento:
l’apparente ritorno all’ordine 72
8. La lirica patriottica 77
9. Vari percorsi del classicismo 79

2. Poesia narrativa
di Carlo Enrico Roggia 85
1. Questioni preliminari 85
2. Narrazione in terzine 89
3. Narrazione in ottave 101
4. Narrazione in endecasillabi sciolti 128
5. Innovazioni, persistenze: la poesia narrativa
dall’Ottocento al primo Novecento 140
8 storia dell’italiano scritto

3. Poesia comico-realistica
di Michelangelo Zaccarello 155
1. Questioni preliminari 155
2. Tipologie del testo poetico 165
3. Riflessi linguistici
della trasmissione testuale 170
4. Le voci del comico:
scelte linguistiche e marcatura regionale 173
5. Contro logica e sintassi tradizionale:
effetti di nonsense 177
6. Funzioni allocutive ed elementi performativi:
il rapporto con l’uditorio 180
7. Poesia del corpo: l’autoritratto comico 182
8. Il vituperium e l’invettiva:
poesia cortigiana e occasionale 184
9. Uno sguardo fuori città:
satira del villano e idillio nenciale 186
10. Il mondo alla rovescia:
poesia e miti del Carnevale 188
11. Rivendicazioni municipali, rapporti con il potere
e l’attualità politica 191
4. Poesia didattico-morale e religiosa
di Rosa Casapullo 195
1. Questioni preliminari 195
2. Generi e lingue della poesia didattica medievale 197
3. Frate Guittone 201
4. La lauda 202
5. La lirica spirituale 207
6. Poesia “delle lacrime” e altri generi colti 208
7. La poesia mariana 211
8. Gli Inni Sacri del Manzoni 218
9. Poesia in dialetto e in italiano 220
5. Poesia didascalica
di Matteo Motolese 223
1. Questioni preliminari 223
2. Modelli 226
3. Forme 231
4. Lingua e stile: alcune tendenze di lungo periodo 238
5. Conclusioni 252
indice 9

6. Poesia popolare
di Giuseppe Polimeni 257
1. Questioni preliminari 257
2. Cortocircuiti 262
3. Ragioni metriche 270
4. Funzioni e soluzioni ricorrenti 274
5. Risorgimenti in versi:
il dialogo con la poesia colta nell’Ottocento 285
6. Conclusioni 288

7. Poesia per musica


di Fabio Rossi 291
1. Questioni preliminari 291
2. Il melodramma 291
3. La canzone 318

8. Teatro in versi: commedia e tragedia


di Tobia Zanon 323
1. Questioni preliminari 323
2. Metri 326
3. Lingua 337
4. Conclusioni 349

9 La crisi della lingua poetica tradizionale


di Sergio Bozzola 353
1. Questioni preliminari 353
2. Quattro punti di fonomorfologia 354
3. Quattro punti di sintassi 360
4. Lessico 377
5. Forme dell’analogia 386
6. La testualità debole 395
7. Conclusioni 399

10 Dopo la lirica
di Paolo Zublena 403
1. Questioni preliminari 403
2. Prima del tramonto:
apogeo e declino del codice lirico 410
3. Lessico 415
10 storia dell’italiano scritto

4. Sintassi 430
5. Testualità 441
6. Conclusioni 450

Bibliografia 453
Indice delle cose notevoli
a cura di Marcello Ravesi 515
Gli autori e i curatori 541
Piano dell’opera

Volume i. Poesia
1. Luca Serianni, Lirica
2. Carlo Enrico Roggia, Poesia narrativa
3. Michelangelo Zaccarello, Poesia comico-realistica
4. Rosa Casapullo, Poesia didattico-morale e religiosa
5. Matteo Motolese, Poesia didascalica
6. Giuseppe Polimeni, Poesia popolare
7. Fabio Rossi, Poesia per musica
8. Tobia Zanon, Teatro in versi: commedia e tragedia
9. Sergio Bozzola, La crisi della lingua poetica tradizionale
10. Paolo Zublena, Dopo la lirica

Volume ii. Prosa letteraria


1. Giovanna Frosini, Volgarizzamenti
2. Marcello Aprile, Trattatistica
3. Davide Colussi, Cronaca e storia
4. Luca D’Onghia, Drammaturgia
5. Fabio Romanini, Forme brevi della prosa letteraria
6. Luigi Matt, Epistolografia letteraria
7. Laura Ricci, Paraletteratura
8. Lorenzo Tomasin, Autobiografia
9. Maurizio Dardano, Romanzo
12 storia dell’italiano scritto

Volume iii. Italiano dell’uso


1. Stefano Telve, Il parlato trascritto
2. Francesca Geymonat, Scritture esposte
3. Fabio Magro, Lettere familiari
4. Alessio Ricci, Libri di famiglia e diari
5. Rita Fresu, Scritture dei semicolti
6. Sergio Lubello, Cancelleria e burocrazia
7. Michele Colombo, Predicazione e oratoria politica
8. Francesca Gatta, Giornalismo
9. Elena Pistolesi, Scritture digitali
9
La crisi della lingua poetica tradizionale
di Sergio Bozzola

1. Questioni preliminari
Il disegno linguistico di un segmento relativamente breve della lunga storia
della lingua poetica italiana, segmento che nella fattispecie coincide addirittu-
ra con una delle sue fasi cruciali, deve di necessità ridursi a termini certi sia per
così dire in lungo che in largo: delimitando cioè il corpus dei testi in diacronia
e limitandone il genere a quello lirico, che si assume qui quale specimen della
lingua poetica tutta. Con il che non si debbono certo ignorare la sua articola-
zione, appunto, per genera e i conseguenti comparti stilisticamente differenti
che ne hanno da sempre caratterizzato l’evoluzione. Ma è proprio la “purità”
del genere lirico che ne rende sintomatici il dinamismo ed i cambiamenti, i
quali indicheranno a fortiori un cambiamento più generale della lingua let-
teraria tutta, e certo della lingua poetica in particolare. Si possono cioè in-
terpretare i fenomeni prescelti come altrettanti carotaggi, dai quali desumere
ipoteticamente valutazioni più generali. E selettiva deve essere naturalmente
la scelta dei testi, che si allarga (ma con estensione variabile secondo i proble-
mi) dalla Scapigliatura ai primi Ossi di seppia – opera, come è ben stato scritto,
che «riassume e chiude un’epoca» (Mengaldo, 1991a, p. 135) – con i dettagli
che si indicheranno via via nelle note. La rosa dei risultati non sembra potersi
chiudere intorno ad una «lingua poetica della crisi», come è stato possibile
per i simbolisti minori di Francia (Spitzer, 1959) e per gli ermetici (Mengal-
do, 1991a), e come è ben noto per il petrarchismo cinquecentesco. Ma certo
essi disegnano un primo fascio di costanti, pressoché sempre in evidenza e dal
tracciato continuo nel caso dei rilievi fonomorfologici e lessicali; discontinue
ma con sorprendenti riaffioramenti carsici, talora fino al Novecento inoltrato,
nel caso di parte dei fenomeni sintattici, analogici e testuali1.

1. Le antologie da cui si cita sono siglate come segue: PMO = Baldacci (1958); PN =
Mengaldo (1986); SD = Viazzi (1981). Il testo è arricchito dai suggerimenti di Matteo
354 sergio bozzola

2. Quattro punti di fonomorfologia


Soltanto nell’àmbito della fonomorfologia è possibile limitarsi a fenomeni
di marca specificamente poetica, separandoli da quelli più genericamente
aulici che sono stati sovente oggetto dell’attenzione degli studiosi della
lingua poetica ottocentesca2.

2.1. Spostamenti d’accento


La sistole e la diastole assumono qui un duplice significato. Da una parte,
la disponibilità dello scrittore a piegarsi ad una forma più o meno desueta
ma certo estranea alla lingua viva, con il fine di saturare un’esigenza metri-
ca, denota la sua coscienza della lingua poetica stessa come territorio anco-
ra separato dalla grammatica, eccezionale e dunque permeabile a forzature
e “licenze”. Dall’altra, la scelta (date le risultanze degli spogli che qui sotto
si riportano) di forme quasi sempre blasonate, quando non addirittura di
origine dantesca, denota il senso di una appartenenza ad un codice antico
ed autorevole. Credo che solo una o due eccezioni agli ess. che seguono (i
più mutuati dagli studi che si citeranno) fuoriescano dalla casistica allesti-
ta da Menichetti (1993, pp. 512-3)3, che anzi esemplifica spesso con voci che

Giancotti, Pier Vincenzo Mengaldo e degli amici del Circolo filologico linguistico pado-
vano, dove è stato presentato nel 2013. Sono tutti qui ringraziati.
2. Il largo regesto di Serianni (2009a), e le indagini più specialistiche che si citeranno
in séguito, nelle quali sono spesso oggetto di spoglio e di ricostruzione storica fenomeni
come la prima persona dell’imperfetto indicativo in -a (in realtà comune alla prosa fino al
Novecento e non connotato nemmeno in senso aulico); l’articolo lo dopo per; il dileguo
della labiovelare nelle forme dell’imperfetto indicativo (-ea, -eano, -ìa-, -iano ecc.) ecc.
Una rapida conferma della compresenza di molte delle più tradizionali polimorfie nella
lingua letteraria viene dal Bolide pascoliano (Canti di Castelvecchio), che alterna imperfet-
ti in -a e in -o, e forme del passato con o senza dileguo della consonante intervocalica: v.
4 «Io non t’udiva: udivo i cantonieri», 12 [io] passava, 16 passavo ecc.; 12 battea, 31 sentia
vs. le forme appena cit.; ecc. Sull’alternanza dei due imperfetti in Pascoli, regolata dalla
presenza/assenza del pronome soggetto, cfr. Bocchi (2010). Si aggiunga l’osservazione di
Manfredini (2008, p. 197) sul Libro delle figurazioni ideali di Lucini (1894), in cui ravvisa
in uno stesso testo analoghe alternanze.
3. Nell’ordine: derivati dal nominativo latino (pièta, podèsta ecc.); «i vari collòca, dissìpa,
replìco, supplìco, revòche [...] che direttamente o per analogia, perpetuano esitazioni del-
la pronuncia medievale del latino»; il gruppo delle voci con muta cum liquida (intègra,
funèbre, lugùbri ecc.); la desinenza -ièno per -ìeno (movièno ecc.); grecismi come caòs(so),
oceàno ecc.
la crisi della lingua poetica tradizionale 355

si ritrovano qui, e che rispecchia lo stato della questione nella tradizione


poetica italiana.
I poeti della Scapigliatura sembrano largheggiare nel fenomeno. Ar-
cangeli (2003, pp. 210-4) offre un nutrito elenco di forme, nell’insieme
in linea con la tradizione poetica (e infatti «non sempre asservite alla
rima»: cioè segno di un’appartenenza e non solo ausilio metrico) e spes-
so largamente condivise nel secondo Ottocento (in più di un caso sem-
bra che vi concorra l’influsso del francese): demòne, anàtema, funèbre,
impàri agg., incùbo, intègro, lugùbre, macàbro, oceàno, satàna, simìle,
tenèbra, umìle, upùpa. Di molte di queste forme è documentata la ricca
tradizione secondo-ottocentesca, suggerita anche da Serianni (1990, p.
136 oceàno, ferètro, funèbre, incùbi, umìle), dove si fanno i nomi di Praga,
Zanella, A. Negri, Nencioni, Prati. Da PMO, gli ess. si possono integrare
almeno con provòchi (: pochi, Betteloni, PMO, p. 980), calìbro (Graf, ivi,
p. 1165), imìta (Aganoor, ivi, p. 1182), micròbi (Orsini/Gnoli, ivi, p. 1200:
se non è la forma primaria e diacronicamente più alta micròbio); cui si
aggiunga penètra (Lipparini, SD, p. 123).
Alcuni dei casi carducciani, altrettanto in linea con la tradizione, sono
documentati da Tomasin (2007, pp. 58-9): oceàno (ma anche la forma
sdrucciola), tenèbre (con la forma parossitona concorrente ma minorita-
ria), in rima con funèbre, palpèbre, umìle (più frequente di ùmile), il dan-
tesco pièta (di solida tradizione classica e ottocentesca, assente in D’An-
nunzio). Dal crocevia pascoliano e dannunziano il fenomeno subisce una
drastica contrazione: di tutte le parole citate fino qui, ritrovo tra Myri-
cae, Canti di Castelvecchio, Poema paradisiaco e Alcyone solamente oceàno
(Pascoli, Il ciocco) – tuttavia motivato come variante parlata nel glossario
apposto alla seconda edizione del libro («Oceàno. Così pronunzia lo Zi
Meo e tutti quanti»)4, e infatti ocèano nelle Myricae; lugúbri (: colúbri)
in D’Annunzio, Ditirambo iv, umìle nell’Alcyone (Beatitudine). In area
primo-novecentesca il fenomeno sembra sopravvivere ancora un poco:
Beccaria (1971, p. 79) documenta ad es. la «non più usuale» diastole in
Morgana di Arturo Graf (del 1901), con voci come infìdo, oceàno, dissìpi,
sgomìna. Ma si tratta appunto di casi residui, se anche in un contesto ritmi-
camente inerziale e cogente come quello della prima poesia palazzeschiana
l’autore non si concede deroghe (Adamo, 2003, p. 277 n.: «inesistenti i
fenomeni di sistole e diastole»).

4. Si cita dall’appendice all’edizione a cura di G. Nava, Rizzoli, Milano 1998, p. 434.


356 sergio bozzola

2.2. Monottongo poetico


Il fenomeno, come è noto, già nel modello linguistico dei Fragmenta di
Petrarca si presenta in modo discontinuo (Vitale, 1996, pp. 37 ss.). Pertan-
to paga certamente di più, rispetto ad una sistematica e larga rilevazione
statistica, uno spoglio selettivo e concentrato sulle forme che hanno avu-
to una qualche stabilità nella tradizione della lingua poetica, definite dal
«combinato disposto dell’uso petrarchesco e della testimonianza dell’A-
lunno» citata da Serianni (2009a, p. 57); da cui si possono elencare: core,
foco, loco, move, novo.
Si segnala dunque Perugini (1985, pp. 107-8), che attesta una note-
vole frequenza in Betteloni dei tipi monottongati core, foco, novo, che
tuttavia convivono con le corrispondenti forme dittongate. In nota
vengono forniti i dati di uno spoglio della lirica successiva, nei qua-
li «notiamo l’uso ormai generalizzato del dittongo, anche in parole
di tradizione manifestamente letteraria». La vicenda ed il destino di
estinzione del monottongo poetico tra Otto e Novecento sono stati
ben documentati da Arcangeli (2003, pp. 219-30). Se ne desumono in
breve i risultati seguenti. Il monottongo poetico ha una presenza mag-
gioritaria nei quattro scapigliati Boito, Camerana, Praga, Tarchetti. Il
rapporto cambia di segno sia nelle Myricae (dodici forme monottonga-
te contro settantatré dittongate) – dove peraltro varrà più spesso come
toscanismo che come aulicismo – che nell’Alcyone (con una maggiore
incidenza del monottongo: sessantasette contro ottanta). D’Annunzio,
d’altra parte, favorisce anche se di poco il monottongo nel Canto novo
(quindici contro undici), ma non più nel Poema paradisiaco (sedici
contro quarantuno). Nello scorcio del secolo, dunque, e all’ingresso
del secolo nuovo, il fenomeno residua: Lucini nel 1894 privilegia qua-
si senza eccezioni il monottongo (Manfredini, 2008, pp. 184-5); trovo
sporadiche presenze di core, foco, novo, vota ‘vuota’ tra il 1897 e il 1903
in SD (Varaldo, Marrone, Toscano, Baratono, De Maria)5; core e novo
ricorrono in misura ancora significativa in Corazzini (Arcangeli, 2003,
p. 227 n.), senza tuttavia prevalere sul dittongo; così ancora in Moretti
nelle Poesie scritte col lapis (ibid.); Govoni in Armonia in grigio et in
silenzio (ibid.); Sbarbaro in Pianissimo. Si osservi tuttavia che i due ul-
timi si limitano, nelle raccolte citate, a forme perlopiù non (o meno)

5. Spoglio delle sezioni Ideosimbolisti, esteti, ermetisti e Dal liberty all’Art déco.
la crisi della lingua poetica tradizionale 357

connotate poeticamente (sòno ecc.), senza far uso delle parole-insegna


che si sono considerate ecc. Così è per i casi registrati di séguito dal-
lo studioso in Ungaretti, Quasimodo, Montale (ivi, p. 228 n), che in
quanto tali non mi sembrano in questa sede significativi e interessano il
profilo linguistico individuale, non tanto la storia della lingua poetica.
Si aggiunga che Diego Valeri corregge novo in nuovo nel passaggio dalla
prima (1916) alla seconda edizione (1921) di Umana (Giancotti, 2008,
p. 136), ma scrive già cuore nella prima forma. Rimane anche fuori dalla
tendenza generale il Saba del Canzoniere 1921, nel quale le forme core,
novo presentano una frequenza ancora significativa.

2.3. Preposizioni articolate analitiche


L’oscillazione che si registra nella lingua letteraria tra forme analitiche e
sintetiche delle preposizioni articolate sembra ritrovare tra Sette e Otto-
cento una chiarificazione normativa, assegnandosi le prime alla poesia, le
altre alla prosa (Serianni, 2009a, pp. 149-51). Ma Leopardi, riconoscen-
done da una parte la specificità poetica6, corregge i Canti verso le forme
sintetiche (Girardi, 2000, pp. 65-9), con il che sembra ristabilire la rile-
vanza oggettiva della scelta per l’una o l’altra forma nei poeti della seconda
metà dell’Ottocento: le forme moderne, perché autorizzate in sede lirica,
rendono significativa cioè non inerziale la scelta di quelle analitiche, rin-
novandone, per così dire, la connotazione poetica.
Ma la ricerca elettronica di de la / della, a la / alla nei testi LIZ di Praga
e Camerana dimostra la totale estraneità alle forme analitiche in Praga, una
significativa permeabilità nei loro riguardi in Camerana (tredici occorrenze
di a la, cinquanta di de la, a fronte di una larga maggioranza delle forme
moderne). Tutto quanto trovo salvo errore nel corpus betteloniano anto-
logizzato in PMO consiste in una quindicina di occorrenze delle diverse
forme, a fronte di una larga ricorrenza delle corrispettive forme moderne.
Dunque, nell’insieme, si può ritenere la persistenza del fenomeno, proprio
perché rapsodica e apparentemente non governata, residuale. Che è quanto
si può rilevare addirittura in Carducci. Dallo spoglio di Tomasin (2007, p.
61) risultano nettamente prevalenti ma non esclusive le forme analitiche. E
Capovilla (1990, p. 382) ricorda che il poeta si rivolse a Mazzoni per un pa-

6. Serianni (2009a) ricorda che con l’editore Stella Leopardi insiste perché tutte le prepo-
sizioni articolate risultino in forma analitica nella Crestomazia.
358 sergio bozzola

rere sulla questione7. La richiesta di consulenza è il segno del profilo proble-


matico della scelta, come è ulteriormente confermato dal’esame della varian-
tistica fatto dallo stesso Capovilla (1990, p. 374): Carducci correggeva nelle
due direzioni, dalle forme analitiche alle univerbate e viceversa.
Un simile ibridismo sembra evidenziarsi in Pascoli e in D’Annunzio.
Nava (1974, i, p. cclix) mostra che sono predilette da Pascoli le forme
analitiche nella terza e quinta edizione delle Myricae, mentre nella sesta
edizione del 1903 sono ripristinate le forme univerbate. Così sembra muo-
versi il poeta anche nell’elaborazione dei Canti di Castelvecchio (Mengal-
do, 2002, p. 109). Fanno solo eccezione i composti con su, sentito forse
spesso come avverbio (escluso su + il che dà sul ma sulla corretto in su la:
Soldani, 1993, p. 19; Mengaldo, 2002). Il dato è confermato da Soldani
(1993, pp. 18-20) nella lingua dei Conviviali. Il declino poetico della forma
trova qui una prima autorevole sanzione, che è tanto più notevole proprio
nei Conviviali, la cui lingua grecizzante sceglie evidentemente vie differen-
ti, anticarducciane, per trovare un registro aulico e classicheggiante (ivi, p.
21). Tale sembra essere anche il percorso dannunziano. La larga prevalenza
delle forme analitiche nel Poema paradisiaco e la preferenza carducciana8
ivi accordata nei titoli alle forme sintetiche viene abbandonata nell’Alcyo-
ne, nel quale le preposizioni articolate analitiche non sono che una man-
ciata (trovo de la tre volte, ne la quattro, a fronte della normale ricorrenza
delle corrispondenti forme moderne).
Così, all’ingresso del Novecento, viene consegnato ai primi protagoni-
sti del proscenio poetico il certificato di morte di questo fenomeno. Già
nel Libro delle figurazioni ideali di Lucini (1894), Manfredini (2008, p.
193) documenta la presenza esclusiva delle forme sintetiche. Da un insieme
di testi esteso da D’Annunzio a Montale9, integrato con i testi poetici no-

7. È notevole che la risposta dell’interlocutore ponesse ancora su due fronti distinti la


grammatica e la lingua poetica. Mazzoni definisce la questione «un bell’imbroglio», rico-
nosce le ragioni grammaticali per uniformare tutto alle preposizioni sintetiche, ma rico-
nosce altresì la persistenza di un’autorità della tradizione poetica a favore delle analitiche
(e «non c’è ragione per rigettare un beneficio che abbiamo in eredità»).
8. Cfr. Tomasin (2007, p. 61).
9. Sono compresi i seguenti testi in forma elettronica: Pascoli, Myricae e Canti di Castel-
vecchio; D’Annunzio, Poema paradisiaco e Alcyone; Govoni, Armonia in grigio et in silen-
zio; Corazzini, Dolcezze, L’amaro calice, Le aureole, Piccolo libro inutile, Elegia, Libro per
la sera della domenica, Il sentiero, La morte di Tantalo, Poesie sparse; Rebora, Frammenti
lirici; Sbarbaro, Pianissimo; Ungaretti, Il porto sepolto (ed. del 1916); Saba, Canzoniere (ed.
del 1921); Montale, Ossi di seppia (ed. del 1928).
la crisi della lingua poetica tradizionale 359

vecenteschi della LIZ, limitatamente a de la ed a la deriviamo un caso per


forma in Gozzano (a la in Laus matris 30-1 «Rosa adamantina, / invitta a
la ruina»; de la in un’altra occorrenza); una manciata dell’una e dell’altra
nei testi non dialettali di Corazzini. Una occorrenza anche nei Frammenti
lirici (Con me in persi indicibili moti «a la giornata cieca»). In tutti e tre
sono viceversa normali le corrispondenti forme moderne. Govoni invece
sembra preferire le forme analitiche, senza tuttavia marcarle come tratto
specificamente poetico. Le svariate occorrenze di de la e la scelta regolare
per a la non differenziano titoli e testo, come invece accade in Carducci (si
vedano i titoli come Lo specchio de la domenica, Ne la cappella de la beata,
La via de la certosa). Anche tra i poeti di SD (sezioni indicate nella nota 5)
le forme analitiche persistono, ma sono minoritarie, fino a tutto il primo
decennio del nuovo secolo. Aggiungeremo in cauda la correzione monta-
liana nell’elaborazione di Falsetto: v. 24 «su lo scoglio» (manoscritto) →
sullo (ma rimane «su la veccia» in Meriggiare 5).

2.4. Condizionale poetico


Ultimo dei tratti fonomorfologici di specifica marca poetica, il condi-
zionale in -ìa conosce una sostanziale ma insieme residuale persistenza
nell’intero secolo diciannovesimo (Serianni, 2009a, pp. 217-8, da cui par-
te delle informazioni che seguono). I margini di questa stagione ultima
sono ben segnati da un lato nelle varianti pariniane del Giorno (che lo
vedono in crescita, cfr. Tizi, 1996, p. cxxiii), dall’altro nella sua assenza
in D’Annunzio lirico (ma non in quello ditirambico: Alcyone, Dit. iv 84
«non sarìami valso») e Pascoli. Nel corso del secolo è ancora documenta-
to in Betteloni, nel quale spicca – in ragione del tono medio e colloquiale
di quella poesia – appunto semmai come segno di appartenenza e vede
del tutto dimesso il suo blasone aulico (i pochi casi sono documentati
da Perugini, 1985, p. 114). Vi avrà inoltre avuto un ruolo il sottofondo
dialettale. Un controllo elettronico (LIZ) nella lirica di Praga e Camera-
na, conferma lo spazio ridotto delle forme poetiche, se ad esempio, delle
coppie sarìa(no) / sarei (sarebbero) e avrìa(no) / avrei (avrebbero) sono
attestate rispettivamente un esempio per autore delle forme antiche con-
tro diverse decine delle forme moderne; un solo caso della forma antica
(in Praga) contro due della moderna. Sporadiche le attestazioni, e solo in
Praga, di altre forme come: potrìa(no) (un caso), dirìa(no) (due casi), trar-
360 sergio bozzola

rìa, verrìa (un caso per tipo) ecc.10 Dallo stesso repertorio queste forme del
condizionale ritornano più frequentemente se si comprende nella ricerca
la librettistica verdiana, per sua stessa natura più conservativa, in quanto
legata con doppio laccio alla tradizione melica e librettistica settecentesca:
I due foscari (Piave) «Ne’ miei nemici infondere / non potrìa la pietà»; La
battaglia di Legnano (Cammarano) «Questo foglio stornar potrìa cotanta
/ sciagura»; Un ballo in maschera (Somma) «darìa la vita a te»; La forza
del destino (Piave) «Alcun potrìa sorprendermi!» ecc. D’altra parte, sem-
bra che lo stesso Carducci scarichi la differenza di potenziale della forma
rispetto alla lingua della prosa, se nella sua poesia «le rare forme in -ria
del condizionale presente [...] si accompagnano alle poco più frequenti in
-rebbe» (Tomasin, 2007, p. 75): se cioè in sostanza non differenzia tipo-
logicamente e distribuisce senza criterio. Il che in un classicista vale come
gesto di liquidazione.
E infatti, si può documentare l’assestamento della forma moderna e
prosastica sia in una pagina come quella che segue di Graf (PMO, p. 1165):
«Andrei moltissimo a spasso, / lavorerei poco o nulla / [...] ne lo trarrei via
bel bello, / [...] lo schiaccerei con un dito, / come si schiaccia un insetto. /
Non aprirei mai un libro; / e metterei da una banda / ogni pensiero [...]»,
dove sembra che il cozzo (preterintenzionale) del residuo poetico ed auli-
co con un linguaggio dimesso, ancora vivo in Betteloni, sia tutto riassor-
bito dal lato colloquiale, nonostante qualche minimo precipitato tradizio-
nale; sia in D’Annunzio (come si è visto), che smisterà verso altri livelli di
lingua e altri fenomeni la sua ricerca spasmodica di separatezza linguistica
e preziosità nella lingua letteraria. Non troviamo riscontri del condiziona-
le in zona novecentesca nel corpus di cui a nota 9; rarissime comparse della
forma nelle sezioni spogliate (cfr. nota 5) di SD (citiamo il solo Guido da
Verona, p. 443 «E parmi che saria troppo dolcezza», nel 1907).

3. Quattro punti di sintassi


Al di fuori dei veri e propri «poetismi» si collocano i gruppi di fenomeni
sintattici che seguono. L’enclisi libera e gli ordini marcati delle parole (cfr.
parr. 3.1 e 3.2) vanno interpretati come segnali generici di letterarietà e

10. Arcangeli (2003, pp. 138-9) tratta del fenomeno nel capitolo dedicato al lessico degli
Scapigliati.
la crisi della lingua poetica tradizionale 361

dunque come tratti di una lingua poetica che marca la propria separatezza.
Ma diverso è il peso specifico di ciascun fenomeno, secondo le modalità
d’uso e i componenti grammaticali che sono coinvolti. I fenomeni della
brevitas, della paratassi e della sintassi nominale incominciano a caratteriz-
zare positivamente, e non più per scarto rispetto alla tradizione, la lingua
poetica della crisi.

3.1. Enclisi libera


Si intenda l’enclisi non regolata dalla posizione della parola, dunque
svincolata dalla norma di Tobler e Mussafia, e ormai da qualche secolo
suggello semmai di lingua aulica. La sua marcatezza genericamente let-
teraria e non specificamente poetica è provata dalla sua diffusione nella
prosa ottocentesca (Serianni, 2009a, p. 177 e relativi rinvii a Nievo, Ver-
ga, De Roberto). Il quadro della sua presenza in poesia è già sommaria-
mente illustrato da Serianni (2009a), che informa del suo regresso a far
data dalla metà del secolo xix e della sua resistenza nella poesia barba-
ra, in ragione della penuria italiana di voci sdrucciole. Perugini (1985,
pp. 115-6) documenta una buona presenza dell’enclisi in Betteloni. Per
la sua diffusione tra la Scapigliatura e Pascoli cfr. Arcangeli (2003, pp.
319-36; ma sul Pascoli conviviale già Soldani, 1993, pp. 37-8). Sorvolando
sui minuziosi conteggi offerti dallo studioso, ne registriamo in questa
sede i risultati complessivi, che dimostrano una significativa presenza
del fenomeno in Camerana, Praga e Tarchetti, con percentuali differenti
ma, tranne Tarchetti, in calare rispetto a Leopardi11. Dallo stesso studio
risulta una marginale resistenza dell’enclisi in Pascoli, che in Fior da fiore
la qualifica come parte di uno «stile accademico, pretensioso, affettato»
(lo segnala dapprima Soldani, 1993, p. 38)12.
La posizione pascoliana sul valore accademico e pretenzioso dell’en-
clisi, nonché divergere almeno in piccola misura dal dato che lo riguar-
da, si colora di una punta di anticarduccianesimo. E infatti in Carducci
il fenomeno è ancora presente, anche al di fuori della poesia barbara. Tra
Juvenilia, Levia gravia, Giambi ed epodi e Rime nuove trovo nell’archi-
vio LIZ i casi seguenti (ricerca limitata all’enclitico -mi): gli indicativi

11. Su cui vertono le pp. 322-5.


12. E nell’elaborazione dei Canti di Castelvecchio la elimina in un paio di casi (Mengaldo,
2002, p. 110).
362 sergio bozzola

dolgomi, erami, traggemi, (Juvenilia), odomi, perseguiami (Levia gravia),


appresermi, torrommi (Giambi ed epodi), allargommi, apersemi, dicea-
mi, gittommi, pareami, parvemi, piovvemi, rampollommi (Rime nuove);
i congiuntivi compongami, convertami (Juvenilia). L’alternanza con la
proclisi può occorrere nelle stesse forme e nello stesso contesto: «Del
suo cavallo la pésta udivasi / guazzar nel fango; dietro s’udivano / passi
in cadenza» (A Giuseppe Garibaldi), «manipolazioni ancora possibili
[...] con la stratificata e poco strutturata, quindi molteplice, lingua ita-
liana» (Nencioni, 1987, p. 305, da cui anche la citazione carducciana).
Una cauta coloritura di “genere”, come è stata rilevata nel Carducci bar-
baro, andrà sospettata in D’Annunzio. Limitatamente a -mi, tra Poema
paradisiaco e Alcyone raccolgo infatti un numero considerevole di occor-
renze, come parmi, sembrami (più volte), pareami (varie volte; Poema
paradisiaco); apparsemi, godevami, parvemi (più volte), fecemi, correami,
rigavami, scendeami, nascevami, sentomi, piovonmi, dissemi, rivolgomi,
piacquemi, vinceami, erami, sonavami, sarìami, trassemi ecc. Dunque,
con una maggiore frequenza della forma nell’Alcyone, e qui con con-
centrazione significativa nei Ditirambi. Nei quali l’enclisi è al servizio,
come in Carducci, dell’uscita proparossitona del verso che li caratterizza
virtuosisticamente per l’intera loro lunghezza (152 vv.): 45 «feci schiere
ordinate. E in cor godevami»; 58 «la muta gente parvemi»; 63 «[...]
spavento; ché la preda mia fuggivasi» ecc. A tale, non rigida, specia-
lizzazione alcionia e ditirambica va aggiunto l’uso retorico della forma,
a variare contestualmente e magari in posizione metrica forte, in una
studiata forma di ripresa capfinida (Corona di Glauco, L’acerba 4-5, nel
passaggio dalla prima alla seconda quartina del sonetto): «[...] e mi piace
l’orichico. // E il latte agresto piacemi del fico»; o più genericamente per
esigenze di variatio (Ditirambo iv 339-341):

[...] ché pareami troppo tarda


la sua fatica per il mio desìo
e sempre poche mi parean le penne.

Da generico contrassegno di poeticità e più genericamente di letterarietà,


l’enclisi libera sembra dunque tendere, nella sua fase terminale, a specializ-
zarsi in senso retorico, come a cercare un’ultima ragione di sopravviven-
za. Poche occorrenze tra Otto e Novecento in SD (nelle sez. indicate a
nota 5: Lucini nel 1894 e 1898, p. 9 «perdesi l’Idea»; p. 13 «svolgesi nel
la crisi della lingua poetica tradizionale 363

fiato»; Tumiati 1897, p. 86 «svolgevansi magiche volute»; Sinadinò nel


1900, Marrone nel 1901, Menzella Frontini nel 1905, Scaglione nel 1911
ecc.). Dagli spogli effettuati nel corpus citato alla nota 9 si ricavano pochi
altri esempi. Un paio di occorrenze in Pianissimo (1914) di Sbarbaro: A
volte, quando penso alla mia vita 12-13 «parmi / di vederla» (ma altrove
«perché mi par d’aver lasciato» ecc.); Piccolo quando un canto d’ubriachi
2 «giungevami all’orecchio». E infine due casi in Saba (Canzoniere del
1921): Poesie dell’adolescenza, La sera 11 «parmi vivere»; Versi militari, La
ginnastica del fucile 7-8 «Sembrami ad ogni gesto provocare / Iddio».

3.2. Ordine delle parole


Maggiore resistenza e maggiore complessità palesano i fenomeni relati-
vi all’ordine delle parole. La grande apertura fenomenica che vi pertie-
ne non consente, in questa sede, che qualche prospezione, dalla quale
stimare la consistenza e la struttura dinamica dell’insieme. Circa la si-
tuazione di «anastrofi, iperbati, chiasmi e altre figure di ricollocazione
sintattica» a metà Ottocento, disponiamo degli ampi spogli, ma ora nel
solo àmbito della Scapigliatura, di Arcangeli (2003, pp. 336 ss.). Ne risul-
ta complessivamente una notevole disponibilità degli Scapigliati verso
costrutti e forme tradizionalmente appartenenti alla lingua letteraria, a
conferma del carattere esterno e non decisivo di quella rivolta. Altret-
tanto in linea con la tradizione sembra la poesia di Betteloni: Perugini
(1985, p. 116) discorre di una «estrema libertà di dislocazione», e docu-
menta fenomeni come la posposizione e/o allontanamento dell’ausiliare
dal participio (ibid.) e del verbo servile dall’infinito (ibid.: «frequenti
casi»), l’anticipazione del complemento di specificazione (ivi, p. 117:
«spesso») ecc. La poesia di fine secolo rimane a tutt’oggi in quest’àmbi-
to senza copertura, fatto salvo Pascoli, su cui occorre fermarsi per qual-
che momento.
La sintassi delle due prime raccolte rimane proverbialmente ancorata
al parlato e alla lingua comune, secondo quanto notavano lettori con-
temporanei o quasi come Renato Serra («non sono altro che prosa, la
più povera delle prose», cit. da Soldani, 1993, p. 45). La scelta pascolia-
na va di conserva con un insieme di fatti linguistico-stilistici ben noti
(il lessico, la paratassi ecc.) su cui in parte si tornerà infra. Qui mette
conto piuttosto sottolineare che «cambiato il genere, muta anche la sin-
364 sergio bozzola

tassi» (ibid.), e pertanto, come per altri fenomeni esaminati supra, ciò
che prima connotava genericamente in senso aulico e letterario la lingua
poetica ora si specializza (o piuttosto tende a specializzarsi13) nei Poe-
mi conviviali in funzione della «elevazione stilistica» e della «tensione
straniante» ecc. che ne sono caratteristiche. Soldani (1993) documenta
le «inversioni, gli iperbati e in genere le disposizioni marcate» («nume-
rosissimi» p. 45) con profusione di esempi cui si rinvia. La fenomeno-
logia comprende tutta la gamma delle figure di inversione (anastrofe) e
di dislocazione (iperbato) e delle loro combinazioni. Ne sono coinvolti
i componenti nucleari della frase (verbo, soggetto, oggetto, predicativi),
nonché nessi particolarmente stretti come il complemento di specifica-
zione (p. 54 «sì di capre e sì di buoi nutrice», «m’erano vecchie d’Odis-
seo le gesta»), l’infinito retto da verbo servile o causativo (p. 55 «tornar
nell’ombra io volli», «volsesi e schricchiolar fece»), il predicato nomina-
le (p. 51 «E grande lo stupore era de’ lecci»), fino all’articolo che in più
di un caso è allontanato dal nome, secondo un modulo dallo spiccato
sapore neoclassico: p. 56 «Allora, stando, il pari a un Dio Pelide», «il
morto per amore / bel giovinetto»; o la preposizione: «con tra le mani il
dolce viso», «con sul capo le braccia» (ibid.)14.
La prevedibile, vivace mobilità dell’ordine delle parole in D’Annunzio
dovrebbe essere oggetto di un’indagine sistematica che a tutt’oggi man-
ca. Basterà saggiarne qui la differenza rispetto a Pascoli osservando un fe-
nomeno specifico come la posizione dell’aggettivo rispetto al nome nella
sede dell’interverso (Bozzola, 2007b). Stante la tradizione lirica italiana,
la figura inarcante più tipica in quella sede vede l’esposizione nell’innesco
dell’aggettivo e lo slittamento in rejet del sostantivo (Soldani, 2009, pp.
141-3). Il modulo metrico-sintattico è maggiormente significativo se l’in-
nesco ospita un aggettivo di relazione, la cui posizione è linguisticamente
vincolata alla sede postnominale (D’Addio, 1974, p. 80). La sua disloca-
zione acquista un valore stilistico rilevante15. Diviene pertanto significa-
tivo che tale figura sia rara nel Pascoli di Myricae e Canti, frequente nel
D’Annunzio paradisiaco e alcyonio. Dal Poema ad es.: Hortus conclusus 18-

13. Date le indicazioni di Stussi (1982, pp. 256 ss.) circa la presenza di iperbati e vari generi
di inversioni al di fuori dei Conviviali.
14. Cfr. anche Stussi (1982, pp. 261-2), che porta anche un esempio dalle Myricae e vari
altri dai Canti di Castelvecchio, dai Primi e Nuovi poemetti e altre raccolte.
15. Altro il discorso in presenza di un aggettivo coloristico, spesso impressionisticamente
collocato in posizione prenominale anche da Pascoli (Bozzola, 2007b, pp. 270-1).
la crisi della lingua poetica tradizionale 365

19 «[...] a non mortale / bocca»; dall’Alcyone: Il nome 7-8 «alle tenarie /


fauci» (‘del Tenaro’); Ditirambo ii 125-126 «L’Acheronte, il gran tartareo /
pianto»; La morte del cervo 143-144 «intorno alle cervine / corna» ecc. Da
questo specimine desumiamo, a fortiori, che l’anastrofe sia in D’Annunzio
un fenomeno generalizzato e diffuso. Se si osservano infatti altre classi di
inversione nell’interverso, la differenza tra i due poeti viene confermata:
raro ad es. l’agg. participiale anteposto in Myricae e Canti (si intende sem-
pre qui e avanti nell’interverso), relativamente frequente in D’Annunzio
(Bozzola, 2007b, pp. 273-4); più infrequente nelle due raccolte pascolia-
ne rispetto a D’Annunzio anche l’anticipazione dell’aggettivo con valore
semantico oggettivo (il cui valore, cioè, sia verificabile secondo il criterio
vero/falso: D’Addio, 1974, p. 80), la cui posizione è altrettanto vincolata
nella lingua. E, si aggiunga, quanto in generale è Pascoli differente per ge-
nera, altrettanto è D’Annunzio indifferenziato e stilisticamente uniforme
(Girardi, 2001, pp. 52-3, con rapida documentazione): a confermare una
specializzazione dei fenomeni stilistici in Pascoli, rispetto ad una lingua
poetica, quella dannunziana, uniforme e sempre solenne e aulica. Se infatti
si ritorna al Pascoli conviviale, è stata documentata da Soldani (1993, pp.
52-4) un’alta frequenza di aggettivi prenominali, con esempi che possono
rientrare nelle sottoclassi che si sono appena indicate (eburnea cetra, tuni-
cati Iàoni ecc.).
In àmbito novecentesco, se non proprio del tutto estinti (come vuole
Perugini, 1985, p. 117 n)16, i fenomeni dell’anastrofe e dell’iperbato sono
certamente in corso d’estinzione. Se ne possono documentare le trac-
ce in SD (sez. indicate a nota 5): residui classicistici come l’iperbato tra
agg. possessivo e nome (Lucini 1894 «Via, al soccorso / della sua im-
plorar opera arcana», p. 8; Saffiotti 1902 «le sue consparga sete lumino-
se», p. 171), agg. quantificatore e nome (Roccatagliata Ceccardi 1907
«E molte egli in quell’ansia / rincorrendo fanciulle», p. 53); inversione
dell’infinito rispetto al causativo (Saffiotti l.c. «un arazzo violetto rica-
dere / sulle imposte socchiuse fa»). Ma non si tratta che di rimasugli. Se
si allarga invece lo spoglio ad un corpus di testi che si estende da Coraz-

16. Lo studioso dà conto di spogli effettuati su alcuni poeti (pp. 116-7 n.), dichiarando
«rari i casi di tmesi e posposizione nella lirica del primo Novecento, sia tra ausiliare e
verbo principale sia tra verbo servile e infinito»: nessun caso in Gozzano e Montale; un
paio di casi in Ungaretti; altrettanto sporadica l’anticipazione del compl. di specificazione,
che «scompare completamente nella poesia successiva» (a Betteloni). I dati che seguono
integrano e correggono parzialmente questi rilievi.
366 sergio bozzola

zini agli Ossi di seppia del 192817, limitando il sondaggio ai fenomeni che
coinvolgano almeno due versi (o tre e più nei casi che si segnalano infra),
sarà possibile articolar almeno in parte il quadro del fenomeno. Segna-
lando dapprima l’assenza di figure di inversione del sintagma verbale o
di nessi verbali stretti come l’infinito rispetto al verbo servile, causativo o
di percezione. Meno prevedibile, entro i confini grammaticali indicati, la
diffusione e la consistenza dell’iperbato: gli esempi più significativi, este-
si sull’arco di almeno tre versi, sono esclusivamente in Corazzini e Mon-
tale18. Ma non appena si attivano filtri meno selettivi, la matassa dei ri-
sultati ne esce aggrovigliata. Ne isoliamo almeno due fili. a) L’inversione
(da un verso all’altro) del complemento di specificazione: figura che af-
fiora sporadicamente in Corazzini19, Gozzano20, Rebora21, Cardarelli22 e

17. Comprensivo dei seguenti testi elettronici: Corazzini, Dolcezze, Piccolo libro inutile, Ele-
gia; (dall’ed. a cura di S. Jacomuzzi, Einaudi, Torino 1968); Gozzano, La via del rifugio, Col-
loqui (a cura di A. Rocca, Mondadori, Milano 1983); Cardarelli, Prologhi (Studio editoriale
lombardo, Milano 1916) e Viaggi nel tempo (Vallecchi, Firenze 1920); Rebora, Frammenti
lirici (i-x, xxi-xxx, xli-l, lxi-lxx; da Le poesie (1993-1957), a cura di G. Mussini e V. Schei-
willer, Garzanti, Milano 1988); Sbarbaro, Pianissimo (testo del 1914; da L’opera in versi e in
prosa, a cura di G. Lagorio e V. Scheiwiller, Garzanti, Milano 1985); Ungaretti, Il porto sepolto
(testo del 1916, a cura di C. Ossola, il Saggiatore, Milano 1981), L’allegria di naufragi (testo
del 1919, a cura di C. Maggi Romano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano
1982); il Canzoniere 1921 di Saba (a cura di G. Castellani, Fondazione Arnoldo e Alberto
Mondadori, Milano 1981: le raccolte Casa e campagna, Trieste e una donna, La serena dispe-
razione, Poesie scritte durante la guerra, Cose leggere e vaganti, L’amorosa spina); Montale, Ossi
di seppia (testo a cura di G. Contini e R. Bettarini, Einaudi, Torino 1980).
18. Corazzini: Piccolo libro inutile, A Gino Calza 25-28 « Or la luna se ne è andata / con
la sua corte beata / tutta bianca e desolata / a dormirsene nel mare»; Dolcezze, La Madon-
na... 35-36 (in posiz. interstrofica) «s’udì una prece, dolce, un passo umano // lontanare»;
Elegia 9-11 «e voglia, / ad uno ad uno, dalle guance, tutte / bagnate, liberarli»; ivi, 36-38
«possa / domani, ancora, s’io lo voglia, tutte / alla mia bocca renderle».
19. Corazzini, Dolcezze, Ballata della Primavera 12-13 «[...] ché di spine / fatte del mio
buon sangue porporine / come Cristo ho corona ai miei capelli».
20. Gozzano, La via del rifugio, comp. omonimo 125-126 «D’inchiostro / l’ali, senza rin-
tocchi»; L’amica di nonna Speranza 107-108 «[...] di tuo pugno / la data»; ivi, La bella
del Re 61-62 «[...] delle belle / la più bella [...]».
21. Rebora, Frammenti lirici v 3-4 «O di nuvole e vento / errabonde fanfare»; xliv 1-4, in
ampio iperbato: «O dei grilli in cadenza solitària / ai poggi senza stelle / dentro il bagnato
alitare dell’aria / tenui serenatelle!».
22. Cardarelli, Prologhi, Incontro notturno 64-67 (l’inversione è a sua volta parte di un
ampio iperbato in anastrofe tra predicativo e sintagma reggente) «Di questi neutri sog-
giorni, / passaggi alieni della salamandra nel fuoco, / a poco a poco, desolatamente, / della
tua vita tutto il tempo è pieno».
la crisi della lingua poetica tradizionale 367

Montale23; ma che caratterizza diffusamente il Canzoniere 1921 di Saba24.


All’elementarità della figura in Saba e Gozzano (per la contiguità dei
costituenti coinvolti) si contrappone la sua relativa complessità in qual-
cuno degli esempi degli altri scrittori (il secondo esempio di Rebora, poi
Cardarelli, il primo es. di Montale): segno della sua funzione relazionale
nei primi due (segnale di un’appartenenza – Saba – rovesciata semmai in
parodia – Gozzano), straniante (Rebora) o diversamente motivata ne-
gli altri. b) L’anticipazione nell’interverso dell’oggetto rispetto al verbo:
che trova una notevole messe di riscontri nel corpus delimitato supra,
con una particolare frequenza in Corazzini, Gozzano, Rebora, Saba e
Sbarbaro. Entro queste risultanze si possono avanzare alcune distinzio-
ni. In Saba il fenomeno presenta le medesime caratteristiche dell’ana-
strofe (prossimità, quando non è contiguità, dei costituenti e notevole
frequenza d’uso) e fa pertanto serie con essa circa le sue ragioni funzio-
nali (segnale di appartenenza e genericamente di poeticità, in una lingua
notevolmente parificata all’uso comune nel lessico)25. Si può interpretare
in questa direzione, fatta qualche eccezione26, il gruppo numericamen-

23. Montale, Ossi di seppia, I limoni 18-19 «Qui delle divertite passioni / per miracolo
tace la guerra»; Corno inglese 8-9 «D’alti Eldoradi / malchiuse porte!».
24. Casa e campagna, Intermezzo a Lina 67-68 «e di tutti i tuoi vezzi / sorridente, mi
guardi»; Trieste e una donna, A mia figlia 5-6 «tu non sei dei sogni / miei la speranza»;
La serena disperazione, Attraversando l’Appennino toscano 8-9 «Del vetturale, di quell’a-
spra terra / serberò la memoria»; Cose leggere e vaganti, Sopra un ritratto di me bambino
5-6 «e d’abbandono / e d’ingenua goffaggine una posa»; Dopo un mese 12-13 «d’una zia,
poi d’un’amica / m’hai tenuto discorso»; Favoletta 3-4 (in iperbato) «e di gemente misera
colomba / quale – oh mio Dio! – fa strazio»; L’amorosa spina, In riva al mare 20-21 «Io
della morte, / non desiderio provai, ma il rimorso».
25. Basti parte degli ess. reperibili nella sola A mia moglie: 29-30 «il collo / volge»; 34-35
«l’erba / strappi»; 36-37 «il mio dono / t’offro»; 40-50 «i denti / candidissimi scopre»;
59-60 «i radicchi / tu le porti»; 63-64 «quel cibo / ritoglierle». La quasi totalità degli
ess. ricavati dal Canzoniere 1921 presenta queste caratteristiche. Qualche es. dalle Poesie
scritte durante la guerra: Vita di guarniglione 43-44 «l’istessa brama / discopre»; Zac-
caria 3-4 «i danni / ristorava dei morbi una capretta»; 12-13 «il tempo gaio / della pace
ricorda».
26. Gozzano, La via del rifugio, Ora di grazia 9-12 «Non la voce così dell’Infinito, / né
mai così la verità del Tutto / sentii levando verso i cieli puri // la maschera del volto»;
In morte di Giulio Verne 9-11 «La Terra il Mare il Cielo l’Universo / per te, con te, poeta
dei prodigi, / varcammo in sogno oltre la scienza»; Sbarbaro, Pianissimo, Nel mio povero
sangue... 10-12 «La femmina che aspetta sulla porta / l’ubriaco che rece contro il muro
/ guardo con occhi di fraternità»; I miei occhi... 1-3 «I miei occhi implacabili che sono /
sempre limpidi pure quando piangono / Amicizia non vale ad ingannare».
368 sergio bozzola

te significativo di esempi tratti dalla lirica di Corazzini, di Gozzano e


da Pianissimo, e vedere nell’insieme la resistenza primonovecentesca di
un fenomeno tipico e, nel genere lirico, quasi nemmeno marcato della
lingua poetica italiana. Un quadro a sé, anche in quest’àmbito, merite-
rebbe la lingua poetica dei Frammenti lirici, nei quali la figura ha una
ricorrenza seconda solo al Canzoniere di Saba, ma con un’incidenza ben
maggiore di soluzioni complesse e tese27. In questo senso essa interessa lo
stile espressionista del poeta e meno il paradigma che si va disegnando
in questa sede. Al cui estremo più basso vanno collocati gli Ossi di seppia
del 1925, nei quali il fenomeno è quasi del tutto assente, e riaffiora un
paio di volte a garantire l’aulicismo e quella nota tenuta di letterarietà
che caratterizza costantemente la lingua del primo Montale: L’agave...,
Scirocco 2-3 «l’arsiccio terreno gialloverde / bruci»; Tramontana 19-20
«gli spiriti che la convulsa terra / sorvolano a sciami»; Crisalide 30-31
«il viso / in alto vi rivolge»; 49-50 «l’acque di piombo come alcione
profugo / rade».

3.3. Brevitas, paratassi


Esaminiamo in questa sezione la diffusa tendenza, tra Otto e Novecento,
alla brevitas. Sono campionati esempi di frasi brevi allineate perlopiù asin-
deticamente, senza intercorrenti legami di subordinazione, dalla misura
massima del verso (ecceduta semmai di poco se la frase è inarcata) alla mi-
sura minima della parola-frase28.
Un prima serie di casi è in funzione del descrittivismo o più generi-

27. Qualche esempio. Accumulazione a sinistra di oggetti (e conseguente effetto iper-


batico): i 8-10 «Né i melliflui abbandoni / né l’oblioso incanto / dell’ora il ferreo bàttito
concede»; iii 11-12 «E guizzi e suono e vento / tramuta in ansietà»; iv 10-12 «La vita
imaginando, e luce e suono / di vaghissime forme in abbandono / per l’iridata brezza
ridipingo». Combinazione con un’epifrasi: iv 7-8 «E nei fervidi sensi ondeggiamento /
il sangue lieto suscita e gorgheggi».
28. Il corpus dei testi da cui sono tratti i dati di questo paragrafo e di quello seguente sulla
sintassi nominale comprende: PMO a partire da Enrico Nencioni; i Canti di Castelvec-
chio; l’Alcyone; i testi di PN fino a Montale escluso (ed esclusi i testi di autori precedenti,
ma scritti dopo il 1925); Prologhi e Viaggi nel tempo (cit. a nota 17) di Cardarelli; Il porto
sepolto di Ungaretti del 1916 e la sua Allegria del 1919 (cit. entrambi a nota 17); il Canzo-
niere 1921 di Saba (cit. a nota 17, limitatamente a: Casa e campagna, Trieste e una donna,
Cose leggere e vaganti, L’amorosa spina); gli Ossi di seppia nell’ed. del 1925 (ricostruita ad
loca tramite l’apparato dell’ed. cit. a nota 17). I testi cit. sono integrati con SD, sez. Ideo-
la crisi della lingua poetica tradizionale 369

camente della rappresentazione del contesto paesaggistico o urbano (o


dell’interno piccolo-borghese, nel caso gozzaniano) nei loro componenti
inanimati e animati. Se unità sintattica e unità versale coincidono, la descri-
zione è fissata oggettivamente: Pascoli, Canti di Castelvecchio, La partenza
del boscaiolo 13-14 «Le talpe scavano più fondo. / Vanno più alte le gru»;
ivi, L’uccellino del freddo 22-23 e 29-30 «Tutto, intorno, screpola rotto. /
Tu frulli ad un letto, ad un vetro. / [...] Vedi il lume, vedi la vampa. / Tu
frulli dal vetro alla fratta»29; D’Annunzio, Alcyone, I tributarii 48-49 «Il
gregge passa il guado. / Il mulino rintrona»; ivi, La morte del cervo 81, in
rapidissima sequenza «Si scrollò, si squassò, si svincolò»; Govoni, Armo-
nia..., La siesta del micio 9-10 «Sopra un tetto s’illuminan dei coppi. / De le
finestre sono infiorate»; Gozzano, I colloqui, L’amica di nonna Speranza ii
41 «Carlotta canta. Speranza suona»; Sbarbaro (con l’intermissione, fra le
note descrittive, di dati psicologici), Pianissimo, Io che come un sonnambu-
lo... 15-18 «Una luce si fa nel dormiveglia. / Tutto è sospeso come in un’at-
tesa. / Non penso più. Sono contento e muto. / Batte il mio cuore al ritmo
del tuo passo». La scena viene dinamizzata in caso di frizione tra sintassi
e metrica: Pascoli, Canti, La canzone della granata 5-8 «Cadeva la brina;
la pioggia / cadeva: passavano uccelli / gemendo»; in D’Annunzio, l’una
e l’altra strategia nella stessa lirica: Alcyone, Stabat nuda aestas 22-23 «Le
cicale si tacquero. Più rochi / si fecero i ruscelli. Copiosa / la résina gemette
giù pe’ fusti. / Riconobbi il colùbro dal sentore»; e 29-30 «Distesa cadde
tra le sabbie e l’acque. / Il ponente schiumò ne’ suoi capegli».
In Pascoli la brevitas, se declinata in sintassi nominale (su cui cfr. par.
3.4) può essere causa di marcati effetti di frantumazione sintattica (Il ri-
tratto 73-76 e 81-84):

Era il dieci d’agosto. Era su l’ora


dello scurire. L’ora del ritorno.

simbolisti, esteti, ermetisti e Dal liberty all’Art déco. Uno spoglio della poesia govoniana in
merito a questo fenomeno in Canobbio (2009).
29. Di «esasperata paratassi» nelle Myricae discorre già Stussi (1982, p. 252), es. Ceppo
1-4 «È mezzanotte. Nevica. Alla pieve / suonano a doppio; suonano l’entrata. / Va la
Madonna bianca tra la neve: /spinge una porta; l’apre: era accostata». Sul fenomeno nei
Primi poemetti cfr. Prandin (1997, pp. 242 ss.): tra gli es. portati, La morte del papa iii 10
ss. «Poi si portò su l’uscio uno sgabello. / Sedé movendo ad ora ad or la bocca. / Aspettò
che venisse il suo gemello»; La messe ii 1-3 «In ogni campo alzarono due tonde / mete di
spighe. Posero per prime / quattro mannelle, le più grosse e bionde». Ivi, p. 244 si discorre
di «oggettivismo descrittivo».
370 sergio bozzola

Non attese al ritratto egli d’allora


più. Mai più, da quell’ora e da quel giorno.
Oltre monti, oltre fiumi, oltre pianure,
oltre città. Veniva da Cesena.
Di buon trotto. Non anco erano oscure
le strade. Solo. L’anima, serena.

Effetti che sono spesso l’esito di una puntigliosa rielaborazione, che inter-
viene a tal fine anche nella punteggiatura30.
A partire dallo stesso Pascoli, si registra una figura che passa a D’An-
nunzio (e dintorni) e infine a Montale: una breve enumerazione di verbi
d’aspetto puntuale mima una sequenza di eventi più o meno rapida, scom-
ponendo il processo nella serie dei suoi fotogrammi: Pascoli, Canti, La can-
zone della granata 17-18 «Un vecchio ti prese, recise, / legò»; D’Annunzio,
Alcyone, La pioggia nel pineto 75-79 «Più sordo e più fioco / s’allenta, si spe-
gne. / Sola una nota / ancor trema, si spegne, / risorge, trema, si spegne»; ivi,
Le madri 35-37 «Taluna / esce del mucchio, annusa / l’acqua, s’abbevera len-
ta»; e quasi interamente L’onda, che presenta accumuli paratattici di verbi-
frase, alternando contrazione e dilatazione sintattica (vv. 40 ss. «L’onda si
spezza, / precipita nel cavo / del solco sonora; / spumeggia, biancheggia,
/ s’infiora, odora, / travolge la cuora, / trae l’alga e l’ulva; / s’allunga, / ro-
tola, galoppa» ecc.). In SD si documenta la figura in un arco che corre dal
1902 (primo es.) al 1924 (ultimo): Saffiotti «saliva diminuiva irrompeva
si estingueva / l’orchestra de le acque e delli alberi» (p. 164); Moscardelli
«Il gocciolìo dilaga assilla freme e tace» (p. 547); «cado rimbalzo mi al-
lungo / m’inalzo torno riparto» (p. 548); Sinadinò «Spumeggiano, spril-
lano, squillano, crosciano / gli architravi» (p. 144). Si aggiunga Rebora,
Frammenti lirici viii 8-9 «S’io dorma, prepari, affatichi / discorra, divori il
mio pasto». Un passaggio gozzaniano: I colloqui, Le due strade iv 7 «D’un
balzo salì, prese l’avvio»; dà l’abbrivio al dilagare di questa tecnica già nel
primo Montale31: Ossi di seppia, Minstrels 19-21 «Scatta ripiomba sfuma, /
poi riappare / soffocata e lontana: si consuma»; Egloga 15 ss. «Brucia una
toppa di cielo / in alto, un ragnatelo / si squarcia al passo: si svincola / d’at-
torno un’ora fallita. / È uscito un rombo di treno, / non lunge, ingrossa.

30. Si veda Nava (1974, i, p. lvii e passim) e Mengaldo (1987a, pp. 107-9).
31. Una descrizione più ampia dello stilema nella poesia montaliana in Bozzola (2006,
pp. 57 ss.)
la crisi della lingua poetica tradizionale 371

Uno sparo / si schiaccia nell’etra vetrino»; Flussi 16-17 «Brilla in aria una
freccia, / si configge s’un palo, oscilla tremula».
Dentro e fuori codesta funzione descrittiva, la sintassi breve, se coadiu-
vata da altri livelli linguistici (il lessico, una certa idiomatica colloquiale,
versificazione senza norma e prosastica ecc.), sortisce l’effetto di uno svi-
limento dello stile, portato verso la sprezzatura e il parlato. Fenomeno già
ben consolidato nell’Ottocento: da Graf (scegliendo tra i non pochi riscon-
tri) PMO (p. 1161) «Bada: tu vedi: son magro»; ivi (p. 1164) «E basta. Che
c’è bisogno / d’altro?»; ivi (p. 1161) «allora non ero solo. // Adesso sì. Non
importa»; ivi (p. 1163) «Vecchio e finito. – Dio buono!»; alla Contessa
Lara, ivi (p. 1125) «Ecco, son qui. Lo attendo»; ivi (p. 1126) «Io sbadiglia-
vo. Ei con pupille intente [...]». Per dilagare poi nel primo Novecento: Co-
razzini (PN, p. 38) «Oh, io sono, veramente malato! / E muoio, un poco,
ogni giorno. / Vedi: come le cose. / Non sono, dunque, un poeta»; Buzzi
(ivi, p. 142) «È l’ora del mortorio. / Si muove. Avanza. Il prete, zoppo. / Il
carro pare che zoppichi coi cavalli»; e proverbialmente Moretti (ivi, pp.
179-81 e passim): «Piove. È mercoledì. Sono a Cesena / [...] Tu mi sorridi.
Io sono triste. E forse / triste è per te la pioggia cittadina [...] / Piove. S’avvi-
cina / l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi»32 (e già De Maria, SD, p. 453,
nel 1909 «Piove. Folgora»); vi si aggiungano ancora Bontempelli (ivi, p.
424) «Scivolo. Corro. Mia / questa goccia. Questa, mia. / Qui stiamo in
cento»; e il Canzoniere 1921 di Saba: Casa e campagna, Dopo la vendemmia
1 «La campagna è deserta»; 43 «Sono sincero chiedendoti questo»; L’ar-
boscello 1 «Oggi il tempo è di pioggia»; L’amorosa spina 6ª 9 «Nulla dirò.
Dirò a me stesso invece: / questa è poi la tua meta?».
La brevitas sembra in questi casi la via sintattica della simulazione del
parlato33. E infatti affiora anche nei testi in cui compare il discorso diret-
to o che mimano il dialogo stretto, come già Panzacchi (PMO, p. 1055):
«– Silenzio, è qui. –Tuonan due colpi. – Evviva! – / Corre il bifolco e
brontola: – Accidenti! –»; la Contessa Lara, ivi (p. 1125): «Mi sussurrò:
– Domani? – Ed io: – Domani»; Corazzini (PN, p. 39): «– Oh, Sorelle,
e, se non torna, / che faremo? [il sole] / – Se non torna, aspetteremo. /
– Come è gelido il convento. / – È più gelido il mio cuore». L’irruzione
del discorso diretto nel testo lirico conosce ben altri casi, che qui si trala-

32. Sulla sintassi breve e sul dialogato in Moretti cfr. ancora Coletti (1975, p. 445).
33. Così già Prandin (1997, p. 244) a proposito di Italy nei Primi poemetti. Interamente
dedicato alla sintassi del parlato nelle Myricae è Da Rin (1997).
372 sergio bozzola

sciano34; e va correlata con la diffusione di fenomeni sintattici tipici del


parlato, ampiamente documentati ad esempio nella poesia di Pascoli (da
ultimo Stussi, 2009, pp. 81-2) su tema sospeso, dislocazione a sinistra e a
destra; che polivalente) e Moretti (Coletti, 1975, pp. 445-6).
All’opposto di tutto ciò stanno alcuni casi dannunziani nei quali la bre-
vitas viene contrapposta alla sintassi lunga e distribuita nel testo secondo un
disegno definito. Nella Pioggia nel pineto il verbo-frase d’apertura («Taci»)
viene riecheggiato nel corso dello sviluppo dell’affabulazione nella prima
strofa (8 «Ascolta») poi ancora all’inizio e nel corpo della seconda (33
«Odi?», 40 «Ascolta»), nella stessa posizione (primo e ottavo verso);
quindi nuovamente ripetuto a marcare arcate più ampie (65, inizio terza
str. «Ascolta, ascolta», 88 «Ascolta»). Ai verbi deittici sono intercalate le
descriptiones loci a loro volta segnate da fenomeni iterativi di vario genere.
Vengono così a formarsi delle ondate ritmiche in successione, prima della
stessa misura poi crescenti, modulate ciascuna da raffinati e astutissimi ac-
corgimenti prosodici e retorici. Analogamente nei Camelli: una prima strofa
monoperiodale (un’ampia inarcatura sintattica di 32 versi) è seguita da una
seconda strofa nella quale, ad ampi segmenti di sintassi lunga sono interca-
lati versi-frase che funzionano come ritornello ritmico: 47 «Cola e odora la
ragia»; 64 «Vanno i callosi cuoi»; 73 «Poi sbadigliano al sole»; 92 «S’al-
zano senza peso»; fino al verso isolato che chiude la strofa lunga: «E l’Arno
era soave». Si può discorrere in questi casi di una funzione architettonica
e contrastiva della brevitas, che sembra trovare riscontro entro campiture
meno complesse nella lirica di Cardarelli («La mia lirica (attenti alle pau-
se e alle distanze) non suppone che sintesi», scrive nei Dati biografici dei
Prologhi)35; nell’esibizione, ad esempio, di frasi-verso nelle sedi di inizio te-

34. Oltre ai più noti testi pascoliani (Canti, The hammerless gun 11-13; Primi poemetti,
Italy, passim), si aggiungano: Nuovi poemetti, La morte del Papa, passim; ivi, La vendem-
mia Canto primo; Poemi conviviali, Il poeta degli Iloti i 35 ss. ecc.; e si ricordino anche di
Palazzeschi Visita alla contessa Eva Pizzardini Ba, lirica interamente costituita da un dia-
logo a battute brevi; e L’incendiario, in cui si alternano lunghe serie di discorso diretto (la
vox populi che commenta anonimamente) e parti narrative; fra i testi di SD cfr. Scaglione,
Le favole (pp. 504-8, nel 1911), da cui ad es. «– ma che, dimmi, hai paura?... – eh! – paura
– paura... – / paura... io... non so – hai tu paura, tu? – / ma paura di che...»; Crociato, Il
messaggio de la Morte (p. 529, nel 1912) «– Telegrafate! / – Signora, che dite? / – Telegra-
fate!! / – A chi? / – A tutti i miei parenti, a tutto il mondo!». Qualche altro dato e un
inquadramento metodologico sull’oralità simulata in versi in Serianni (2005b, p. 30-1).
35. Ibid.: «Non sono vittorioso che in certe fulminee ricapitolazioni. [...] »; e ancora, ivi,
Fuga 1-2 «Brevi sono le forme / che il caos inquieto produce».
la crisi della lingua poetica tradizionale 373

sto: Prologhi, Saluto di stagione 1 «Benvenuta estate»; o a cornice dell’inizio


e della fine: ivi, Amicizia 1 e 25 «Noi non ci conosciamo», «Ed era il nostro
soffrire»; o nella sola posizione conclusiva: ivi, Stanchezza 24 «La mia fati-
ca è mortale». Una poesia cardarelliana come Abbandono (Viaggi nel tempo
25) vede distribuiti i versi-frase nell’incipit, nel mezzo e nella fine, a costru-
ire una trama ritmicamente simmetrica36. La mise en relief epifonematica
sarà poi ancora di Montale: a fine strofa, con evidente stacco avversativo da
quanto precede (So l’ora in cui... 1-4) «So l’ora in cui la faccia più impassibile /
è traversata da una cruda smorfia: / s’è svelata per poco una pena invisibile. /
Ciò non vede la gente nell’affollato corso»; e in chiusa assoluta: Mediterraneo
viii «Sensi non ho; né senso. Non ho limite».

3.4. Sintassi nominale


Come la sintassi breve, i costrutti nominali assumono il più delle volte
una funzione descrittiva, disponendosi nel testo come una didascalia o
semmai serie di didascalie in funzione della rappresentazione del con-
testo spaziale e temporale: il paesaggio, gli eventi che lo attraversano, il
tempo, gli oggetti di un interno37. La compattezza della serie esemplifi-
cativa che segue vuol suggerire l’istituzionalizzazione di questo costrut-
to fra Otto e Novecento: Nencioni (PMO, p. 1033) «Oggi il sole e il
sereno arco de’ cieli, / e l’iridi fiammanti, e l’infinite / tremule stelle [e
così a continuare fino alla fine della poesia]»; Zena (ivi, p. 1120) «Pace
e notte. / [...] / notte e pace»; Marradi (ivi, p. 1069) «Non più di trilli
argute risonanze / per la montagna»; Pascoli: Canti, I due girovaghi 6-7
«Non altro suono / che due gridi»; L’imbrunire 9-1638 ecc.; D’Annun-

36. «Che cosa mi colpisce oramai! / Un velo d’ombra di mare / sui monti lontani, / un
lembo di nuvola tutelare. / Ma basta levare la testa. / Le cose non stanno che a ricordare.
/ Il mondo è abitato dalle nostre memorie. / Piano piano, i minuti vissuti, / fedelmente li
ritroveremo. / Coraggio, vediamo».
37. Limitiamo la descrizione a questo àmbito semantico, relegando in nota o lasciando
nel nostro schedario i documenti di sintassi nominale aventi funzioni o ragioni semanti-
che differenti. L’insieme di tali materiali è assai ampio e dimostra la diffusione e la stabilità
di questo fenomeno nella lirica tra Otto e Novecento.
38. Per due intere quartine: «Tre pianeti sull’azzurro gorgo, / tre finesttre lungo il fiume
oscuro; / sette case nel tacito borgo, / sette Pleiadi un poco più su. // Case nere: bianche
gallinelle! / Case sparse: Sirio, Algol, Arturo! / Una stella od un gruppo di stelle / per ogni
uomo e per ogni tribù».
374 sergio bozzola

zio, Alcyone, L’ulivo 9-12 «Esili foglie, magri rami, cavo / tronco, distor-
te barbe, piccol frutto, / ecco»; Meriggio 55-56 «Bonaccia, calura, / per
ovunque silenzio» ecc.39, Intra du’ Arni vv. 1, 25 e 5040. Approdando al
nuovo secolo il costrutto trova conferme continuative ad es. in Marrone
(SD, p. 136) «Pallido d’ametista, / in lontananza, il cielo»41; Govoni: Ne
la corte 1 ss (PN, pp. 9-10) consta dell’elenco degli oggetti che abitano il
contesto indicato dal titolo, di cui rappresentano dunque la predicazio-
ne, oggetti e robaccia senza più l’altezza e la rarefazione delle descrizioni
dannunziane: «Dei cocci gialli. Un vaso vuoto. Un fiale / che à vomita-
to. Dei fogliami bruni» ecc.42 Così a seguire Palazzeschi (PN, pp. 75-6),
«Bella sera luminosa! / Fresca, di primavera. / Pura e serena»; Coraz-
zini, Toblack 1 (ivi, pp. 29-30), ancora per l’intero sviluppo della poesia:
«portoni semichiusi, davanzali / deserti, qualche piccola fontana / che
piange un pianto eternamente uguale / al passare d’ogni funerale, / un
cimitero immenso, un’infinita / messe di croci [...]»; Moretti (PN, p.
170) vv. 21-22 «Giornata grigia. Piove: / giornata grigia e stolta»43; Fol-
gore, a profusione (con una tendenza all’elenco informe, su cui si torna
infra)44: «Nero. Più nero. Troppo nero. / Moka. / [...] Gli occhi smisu-
rati in ridda / dietro profili di cose strane. / Benessere. / Strappo acuto.
/ Forse vertigine» (PN, p. 242), «Una montagna enorme, [...] / Una
casetta / perfetta, [...] / Un uomo e una donna [...] / Un’ombra che va ce-
lere. / Un profilo che nel buio si culla. / Una linea esigua. / Un punto. /
Nulla» (ivi, p. 240) ecc.; Cardarelli, Viaggi nel tempo, Largo serale 4-10

39. Riecheggiato in Sogni di terre lontane, Le carrube 5 «Bonaccia, e nel saffiro non è
nube».
40. Dunque ancora con marcata funzione architettonica, come già la sintassi breve: la
frase nominale al v. 1 «Ecco l’isola di Progne» viene ripetuta (con variatio nella prima ri-
petizione) nelle sedi indicate («Ecco l’isola molle», «Ecco l’isola di Progne»), a scandire
inizio centro e fine della lirica.
41. E cfr. ibid. (in ordine cronologico) Malfettani 108, Lucini 16, Guglielminetti 482,
Altomare 1912 (l’intero testo), Guido da Verona (444 e passim: sintassi breve e nominale
lungo l’intero testo).
42. Ancora in Govoni, una serie di sintagmi nominali sviluppa il titolo (Le cose che fanno
la domenica, PN, p. 14), con il quale si pone dunque in stretta relazione sintattica: «L’o-
dore caldo del pane [...]. / Il canto del gallo nel pollaio. / Il gorgheggio dei canarini alle
finestre. / L’urto dei secchi contro il pozzo [...]» ecc.
43. E ivi, 1-3 «Ha smesso il lutto. Una vestina chiara. / Beethoven, terza pagina. Un sor-
riso / nell’ombra»; e di séguito (vv. 9-12) «Un fruscìo di quaderni. / L’agilità di tocco / di
un’allieva. Uno sciocco / esercizio di Czerny».
44. Sul fenomeno cfr. Mengaldo (1986, p. 237).
la crisi della lingua poetica tradizionale 375

«Dolcezza e meraviglia di queste ore! / [...] I riflessi di raso degli abitati


sul lago. / Dolce fermezza di queste chiome / d’alberi sotto i miei occhi.
/ Alberi della montagna italiana!»; e infine, largamente, nei primi Ossi
di seppia, Minstrels 3 ss. «Acre groppo di note soffocate, / riso che non
esplode [...] / Musica senza rumore / che nasce dalle strade [...]»; Gloria
del disteso mezzogiorno, passim «Il sole, in alto, – e un secco greto. [...]
// L’arsura, in giro; un martin pescatore [...]»; Debole sistro 1-4 «Debole
sistro al vento / d’una persa cicala»; Casa sul mare 6-7 «Un giro: un
salir d’acqua che rimbomba. / Un altro, altr’acqua; a tratti un cigolio»;
Riviere 38-43 «Lame d’acqua scoprentesi tra varchi / di labili ramure;
rocce brune / tra spumeggi; frecciare di rondoni / vagabondi...» ecc.45
Nel primo e nel secondo Ungaretti, infine: ma rarefazione, poliva-
lenza e indeterminatezza sintattica costringono a spostare il sistema di
riferimenti. Certo, asserzioni nominali assolute come Porto sepolto, Ma-
linconia 18 «Mondo» (parola-strofa); ibid. 1 «Calante malinconia per
il corpo avvinto al suo destino» (verso-trofa), 2-3 «Calante notturno
abbandono / di corpi»; 19 «Giro volubile di razzi» ecc., sembrano as-
sumere una vaga funzione descrittiva di luoghi e atmosfere; così anco-
ra Allegria, Convalescenza in gita in legno (Maggi Romano, 1982, p. 56)
«Damaschi / di verde / passeggero / sgranati / dagli occhi / pigri» (lo
stesso si dirà degli esempi portati infra)46. Da qui l’«uso spinto, abrupto
e brachilogico, della sintassi nominale» in terra ermetica di cui ha scrit-
to Mengaldo (1991a, pp. 140-1).
La modalità sintattica della descriptio loci appena esaminata si risolve
spesso in enumerazione o elenco47, come già si è potuto probabilmente
osservare in parte degli ess. precedenti. La figura prende il largo special-

45. Si veda ancora, nell’attacco di Caffè a Rapallo, la rappresentazione del «tepidario»,


offerta come mera notazione e didascalia dell’ambiente liberty in margine al quale si svolge
la parata di maschere descritta a seguire: «Natale nel Tepidario / lustrante, truccato dai
fumi / che tazze svolgono e sigari; / nascente tremore di lumi / di là dai velati cristalli, /
profili felini di femmine, / incisi nel grigio, baleni / di gemme tra screzî di sete, / e mur-
muri e lezî...».
46. E si vedano nell’Allegria del 1919 le liriche della sezione intitolata Intagli, nelle quali
i sintagmi del testo sembrano predicare il titolo (che ha valore situazionale, nello spazio
fisico o psicologico): Melodia delle gole dell’orco (p. 57), «Feline / arcate / d’angioli / cir-
colanti / nella conchiglia / dei monti»; ivi, 58 «Abbarbagliati / risvegli / sfiorenti / in
vetrato / cupolio»; Noia 7-9 (ivi, p. 192) «Filo d’afa al collo // Occhi / di odalische a
zonzo coll’ombrellino» ecc.
47. La figura è oggetto di attenzione anche nel par. 6.1.
376 sergio bozzola

mente nella poesia crepuscolare, e non per caso: la descrizione, nella sua
dimessa tonalità provinciale e piccolo-borghese, rappresenta tutto ciò
che può offrire un soggetto desublimato; lirica e linguaggio poetico con-
sistono in essa e in nient’altro più. Se ne ha riscontro in Moretti, il cui sti-
le nominale, tendente a «stanchi e interminabili “rosari d’immagini”» è
stato illustrato da Coletti (1975, p. 457). L’approdo gozzaniano di questa
figura concomita con lo scollamento tra i realia oggetto della descrizio-
ne e la prospettiva del soggetto, che se da una parte marca la separatezza
dal rappresentato, dall’altra non è più in grado di trascenderlo: poiché
quella realtà non ha alcuna contropartita, l’ironia che ora pàtina l’elenco
non si rovescia in parodia. Ecco dunque gli elenchi noti della Signorina
Felicita 48 e dell’Amica di Nonna Speranza (ivi, pp. 118-9, inizio di com-
ponimento): «Loreto impagliato ed il busto d’Alfieri, di Napoleone / i
fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto), // il caminetto un po’
tetro, le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalle campane
di vetro, // un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve, / gli oggetti
col monito, salve, ricordo, le noci di cocco» ecc. Dove, si aggiunga, l’ef-
fetto stilistico dello sliricamento è supportato dall’ineguagliata tecnica
del verso composto, nel quale la cesura metrica viene continuamente
scavalcata dalla sintassi e le misure degli emi-versi continuano a variare
(cenni su questo e fenomeni simili infra).
La figura elencativa, in questa forma, trova uno sviluppo particolar-
mente vivace nei primi lustri del secolo: da SD (p. 533) si veda ad es. Calen
di Morte di Valsecchi (1914) «Finestre cieche. Paraventi chini. / Tavoli
zoppi. Mobili incantati. / Mummie di fiori. Teschi di bambini» ecc. (con-
tinua nelle due strofe segg.), descrizione di un interno grottesco; e si giun-
ga a Soffici, Atelier 19 ss. (PN, p. 344): un interminabile elenco di oggetti
e situazioni, sviluppo forse dell’invocazione ai vv. 16-17: «Lasciate le cose
gli uomini i paesi / venire a me», a descrivere come in un’ékphrasis ciò che
si dipinge e l’atelier stesso che ospita i quadri: «Bottiglie di tutti i liquori
scritti sull’etichetta / Sher Tvui Césa / Un fico dottato / Cocomeri che
marman la bocca / Tetti vermigli riposo d’amore all’ombra dei frascami
d’estate / Fiaschi di vino giocattoli giornali / Corpi nudi fioriti d’affiches
/ Cirque Médrano / La Gaîte-Rochechouart» ecc. (altro elenco nella su-

48. Cfr. ad esempio PN, p. 105: «Ercole furibondo ed il Centauro, / le gesta dell’eroe
navigatore, / Fetonte e il Po, lo sventurato amore / d’Arianna, Minosse, il Minotauro, /
Dafne rincorsa, trasmutata in lauro / tra le braccia del Nume ghermitore».
la crisi della lingua poetica tradizionale 377

ite dei vv. conclusivi). Si chiude con il Frammento vi di Rebora, che però
fa caso a sé, poiché la serie dei sintagmi nominali, variamente arricchita
e complicata da frasi subordinate, traduce metaforicamente o parasino-
nimicamente l’espressione del verso di apertura, alternando designazioni
concrete e astratte, fisiche e morali, in ciascuna coppia di versi (Martigno-
ni, 1999, p. 845): «Sciorinati giorni dispersi, / Cenci all’aria insaziabile: /
Prementi ore senza uscita, / Fanghiglia d’acqua sorgiva: / Torpor d’attimi
lascivi / Fra lo spirito e il senso; / Forsennato voler che a libertà / Si lancia
e ricade, / Inseguita locusta tra sterpi; / E superbo disprezzo / E fatica e
rimorso e vano intendere» ecc. Qui e nel passo che precede di Soffici, la
dilatazione della figura, e in Rebora la distanza crescente del tertium com-
parationis, tendono a slogare la testualità (cfr. par. 6.1).

4. Lessico
Il duplice processo di dissoluzione del patrimonio lessicale tradizionale e
di arricchimento del vocabolario poetico nel corso dell’Ottocento è stato
sufficientemente chiarito e documentato dagli studi linguistici e sarà per-
tanto qui esemplificato in parte con dati e risultanze note. Si procederà
ordinando dapprima la pars destruens relativa alla decadenza e caduta del
lessico poetico tradizionale (par. 4.1); facendo quindi seguire l’illustra-
zione delle principali novità del lessico poetico ottocentesco e primo-no-
vecentesco (par. 4.2).

4.1. Le parole della lirica


Come è ben noto, nel corso della tradizione, ma specialmente tra Sette
e Ottocento, parole che appartenevano al codice letterario finiscono per
trovarsi «ormai livellate nella categoria del poetico» (Nencioni, 1987, p.
293): alla lenta progressione della lingua letteraria verso lo standard della
lingua nazionale corrisponde cioè un movimento inverso di separazio-
ne della lingua poetica, che accentua la differenza spingendo sul pedale
dell’aulicismo. Il processo, che vede il suo culmine nel neoclassicismo,
incomincia ad indebolirsi con la poesia dei romantici e arriva a compi-
mento nel periodo qui in esame. Lessicalmente tutto ciò significa che
i doppioni che avevano caratterizzato peculiarmente il lessico poetico
378 sergio bozzola

(elencati ad esempio da Elwert, 1970, pp. 106-8 – anche se con una certa
larghezza)49, vengono progressivamente meno a favore della controparte
prosastica e comune.
Per comprovare tale processo si può campionare dagli spogli di Arcan-
geli (2003, pp. 19 ss.) La rubrica che li raccoglie viene però qui delimitata
ai soli «petrarchismi», che a differenza delle voci dantesche sono appunto
il segno di appartenenza ad una tradizione (laddove un dantismo tende
piuttosto ad avere valore citazionale). Si prenda aere: la voce trova una
manciata di attestazioni tra gli Scapigliati (ivi, p. 91) ed una «fittissima
documentazione nella tradizione poetica fino a tutto l’Ottocento», no-
nostante la sanzione prosastica manzoniana, che ne elimina le tre occor-
renze ventisettane. Del suo statuto poetico è già traccia in Rigutini-Fan-
fani (GDLI s.v.: «alla prosa gli è inutile»). Alcuni residui novecenteschi
(VPIN: un’occ. in Moretti e una in Saba; GDLI: ess. fino a Carducci50)
ne comprovano la caduta. Vi accostiamo aura, discretamente attestata ne-
gli Scapigliati (insieme ad auretta: Arcangeli, 2003, p. 97) e stabile «fino
al primo Novecento» (Serianni, 2009a, p. 55; VPIN elenca Palazzeschi,
il secondo Ungaretti, Saba, il Montale degli Ossi, Quasimodo). Di alma,
ancora significativamente presente tra gli Scapigliati (Arcangeli, 2003, p.
92), è già documentata da Serianni (2009a, pp. 101-2 e 251) la rapida deca-
denza tra Otto e Novecento. La voce è infatti attestata nell’Ottocento solo
da Cesare Arici, Leopardi e Nencioni nel GDLI, e già sostanzialmente ri-
gettata da Pascoli (anche dalla sua parte classicista, che ha soltanto almo:
Soldani, 1993, p. 139) e da D’Annunzio (Serianni, 2009a); un ritorno nove-
centesco (vedi caso) solo in Saba (VPIN: «alma impaürita»). Lo statuto
poetico dell’antico provenzalismo augello è già un fatto in Leopardi, che
lo usa nei Canti precedenti (ad es. nel Bruto minore) e successivi alle Ope-
rette (dov’è sempre uccello – cfr. ad es. La quiete). La voce ha una buona
diffusione nel pieno Ottocento (Arcangeli, 2003, p. 96 seleziona Praga,
Tarchetti, Aleardi, Carducci, D’Annunzio), e un ritorno, ma nel primo
caso in controcanto, all’inizio del Novecento (VPIN: Gozzano «gementi
il core e l’augello», corsivi nel testo; Moretti). Del ventaglio di voci che

49. Nella lunga elencazione dello studioso isoliamo: anima/alma, uccello/augello, bello/
vago, vezzoso, vento/aura (o semmai aria/aura), speranza/speme, dolore/doglia, duolo, allo-
ro/lauro, ricordarsi/sovvenire, rimembrare, membrare.
50. Seguiti da un riferimento prosastico di Baldini, con evidente funzione citazionale
(«Città piena di civiltà e di gentilezza, d’aer benigno»).
la crisi della lingua poetica tradizionale 379

si apre intorno al poetismo desio (di-, desire, di-, desiare, di-), di statuto
poetico già cinquecentesco (Arcangeli, 2003, p. 101) e ancora diffuse tra
gli Scapigliati (ibid.) e l’Otttocento lirico, Serianni (2009a, p. 67 n) scrive
di una significativa persistenza nel primo Novecento (Corazzini, Michel-
staedter, Rebora, Cardarelli, Saba) – cui aggiungiamo dal VPIN Govoni e
Moretti51. La voce speme doveva ormai portare un inconfondibile accento
leopardiano sovrapposto alla sua antica appartenenza poetica: Arcangeli
(2003, p. 117) ne documenta la diffusione ottocentesca dagli Scapigliati
«fino all’Ottocento inoltrato», con sporadici rigurgiti novecenteschi
(VPIN elenca Cardarelli, dal testo delle Poesie del 1958). L’elenco potreb-
be allungarsi ancora, ma inutilmente52, se la costante che se ne deriva è la
puntuale rarefazione (se non proprio scomparsa) di queste voci nel Nove-
cento, sigillata dalla prima edizione degli Ossi di seppia (dove, eccetto aura,
non occorre più nessuna delle voci citate).

4.2. Nuovo lessico poetico


La crescita di un vocabolario poetico nuovo è esito di due movimenti
fondamentali: l’abbassamento prosastico (a) e l’immissione di vocabola-
ri speciali (b). Ma in qualche caso l’innovazione è inseguita tramite una
«sublimazione all’introrso» (Nencioni, 1987, p. 292), valorizzando nuovi
territori dell’aulicismo e dell’arcaismo (c). Di questa terza tendenza non

51. Cfr. Coletti (1975, p. 430), che cita desio in una serie di voci poetiche tradizionali di
Moretti: pondo, duolo, chiome, tèma, oblìo, terrifico, cerulo ecc.
52. Si rimanda ancora ad Arcangeli (2003, pp. 56-7) per l’esemplare vicenda di arbore,
che si specializza come poetismo proprio fra Sette e Ottocento, resiste fino a D’Annunzio
dove tuttavia concorre con la variante comune, scompare nel Novecento maggiore (nes-
suna attestazione in VPIN); e si consultino di séguito bambolo, prence ecc., voci tutte che
sembrano conoscere nel periodo in esame una specializzazione poetica e insieme una rapi-
da decadenza. Sulle resistenze primo-novecentesche di lessico e altra paccottiglia tradizio-
nale cfr. anche Beccaria (1971, pp. 79-81). Da SD (sez. cit. a n 5) recupero un manipolo di
schede che attestano da una parte la resistenza, dall’altra l’esiguità numerica degli aulicismi
nei primi due decenni del Novecento: desì(r)o, -are ed eventualm. di- corrono da Lucini
1894 a Bongioanni 1924 con relativa continuità: Morasso 1894, Quaglino 1896, Varaldo
1897, Lipparini 1898, Saffiotti 1902, Canudo e Valenti 1906 (nel secondo addirittura di-
sianza), Rino, Vallini e Guglielminetti 1907 (desiosamente nella poetessa). Rispondono
a mode carducciane e dannunziane forme come guatare (Toscano, Scaglione, Sinadinò),
leuto (in più di un caso dieretizzato: Borzaghi, Morasso). In Tumiati 1897 addirittura rai,
in Morasso (1894) aure.
380 sergio bozzola

rimangono tracce durature nella lingua poetica novecentesca, fatto salvo il


ritorno ermetico, su cui Mengaldo (1991a, pp. 141-3).
Là dove le due componenti (antica e nuova) convivono, magari unita-
mente alla persistenza della grammatica poetica tradizionale, cresce una
lirica dall’impasto eterogeneo che era sembrata dissonante e cacofonica
a De Lollis53. Non erano in realtà che le prime manifestazioni di un rin-
novamento il cui processo potrà dirsi compiuto ai primi del Novecento,
e incominciato in realtà già tra Sei e Settecento (in tanta lirica “civile” e
mondana nei contenuti, se ancora tradizionale nella sintassi e nelle forme).
Veramente nuova sarà la coniugazione di quelle novità lessicali con l’uni-
formazione della grammatica poetica a quella della lingua comune, e con il
rinnovamento delle forme e la diffusione di una nuova metrica.
a) Già tra i poeti scapigliati si registra una larga apertura al lessico prosa-
stico: nella Tavolozza di Emilio Praga si legge di arrotini, ciabattini, man-
driani, mozzi, droghieri, operai; e poi ancora di cappellini, soprabiti, berret-
to, corsetto, camicietta, gioielli, sottane; di aglio, cipolle, patate, polli, vino,
bicchieri, botti, casseruole ecc. (Girardi, 2001, p. 8). La tendenza è in realtà
diffusa tra i maggiori e i minori lirici della seconda metà del secolo, e si ma-
nifesta ad es. in Betteloni nella predilezione per le varianti più comuni dei
tradizionali doppioni (Serianni, 2009a, p. 143: albero piuttosto che arbore,
anima e più raramente alma, bellezza vs. beltà, dolore vs. duolo e doglia,
speranza vs. speme ecc.), e nella scelta programmatica per uno stile «senza
grande toilette» (Beccaria, 1971, p. 82). In Carducci è ben noto l’uso di voci
prosastiche, che se è concentrato nella poesia giambica, secondo lo statuto
del genere (aperto alla polemica su temi vivi e civili e dunque al linguaggio
“comico”), non manca tuttavia di macchiare anche testi dall’impronta più
tradizionalmente lirica: si veda Serianni (2009b, p. 61), che commenta,
in un’ode come Cadore, la presenza di voci concrete e di sintagmi come
confine austriaco, fazzoletto rosso, stritolatelo ecc.54 E si integri il rilievo con
Tomasin (2007, pp. 101-2), circa Intermezzo, «punto di massimo avvici-

53. Si veda ad es. il giudizio su Berchet (De Lollis, 1929, p. 38), e nella stessa falsariga i
giudizi su Prati (p. 55), Mamiani (pp. 91-2), fino allo stesso Carducci (p. 99). E cfr. ancora
Beccaria (1971, pp. 62-3). Vi si aggiunga Serianni (2013b, pp. 216-7).
54. Vi si aggiunga Elwert (1970, pp. 125 ss.), a commento della romanza Era un giorno di
festa nelle Odi barbare, tematicamente liricheggiante, ma piena di termini correnti: «gior-
no e non dì, nuvole, non nubi, bianche non candide, chiesa non tempio, panche non seggi o
sedili, e poi: l’afa, la chiesa lombarda, le bifore, la porta arcuata, il granito, il rumor, la piazza,
le canzoni e perfino i muggiti».
la crisi della lingua poetica tradizionale 381

namento tra poesia e prosa carducciane» nonostante il tono intimistico


e tradizionalmente lirico del testo: con voci come strozzerei, sghimbescio,
maiale, cesso, ortolano, asino, merluzzo ecc. Una propensione a «violare
occasionalmente lo statuto della lingua poetica» (Serianni, 2009b, p. 60),
cioè a rinnovarla erodendone e ridefinendone progressivamente i confini55,
il cui effetto sembrava a De Lollis (1929, p. 108) pensato dal poeta « a
lacerarvi gli orecchi».
La tendenza prosastica del lessico trova forse la sua acme in una par-
te considerevole della poesia pascoliana, come hanno potuto largamente
dimostrare gli studi linguistici, che hanno documentato lessico parlato e
dialettale, raccogliendo i suggerimenti dello stesso poeta56 (una sintesi in
Coletti, 1993, pp. 393-8) e dimostrandone la crescita anche nell’elaborazio-
ne del testo. In questo senso Pascoli rappresenta la strettoia da cui passa
la lingua poetica italiana a monte delle sue realizzazioni primo-novecen-
tesche. Si distingua tuttavia. Il dialetto in Pascoli è la via del tecnicismo
dunque dell’esattezza (di cui infra, b), e su questa via si fonda uno dei filoni
del rinnovamento del lessico poetico che approderà al primo Montale. Il
suo lessico medio e parlato dà invece la stura allo sviluppo di un linguag-
gio prosastico e sottotono, già in realtà praticato tra Otto e Novecento e
affluente nel crepuscolarismo. Questa seconda vena pascoliana, se troverà
ancora in Montale un punto di arrivo, lo troverà sul piano tematico, e non
su quello linguistico (la polemica contro i poeti laureati e i «versi veri»
degli studenti canaglia, la poesia che può delimitare solo negativamente il
soggetto – «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo»), trattenendosi più
o meno sempre quella lingua poetica sopra il vero e proprio parlato (e agi-
ranno in questa direzione anche le sue scelte metriche). Mentre nel Pascoli
si può viceversa discorrere di mimesi del parlato, giocata nella sintassi (cfr.
parr. 3.3 e 3.4) e appunto in un lessico che potremmo definire dell’uso
medio (Girardi, 2001, p. 41 «la maggior parte delle parole [delle Myri-
cae] corrisponde al vocabolario prosastico, come sino ad allora non era
mai accaduto»). Intervengono in questo senso anche il discorso diretto
(cfr. par. 3.3, nota 34) e interferenze linguistiche allotrie (tutti ricordano
inglese e interlingua di Italy).

55. Tomasin (2007, p. 125) «Emerge [...] una linea evolutiva, diacronicamente tracciabile
nella sequenza delle raccolte, che testimonia di un rapporto sempre più libero e autonomo
con i modelli della tradizione».
56. In margine alla seconda edizione dei Canti di Castelvecchio, l’appendice cit. a nota 4.
382 sergio bozzola

Circa il prolungamento crepuscolare di quella prassi, basterebbe scor-


rere, a prenderne atto, il nuovo catalogo dei temi allestito da Beccaria
(1971, pp. 12-38), essendone, le parole nuove, la più prevedibile delle im-
plicazioni. Restando tra le parole-tema (pp. 47 ss.): piccolo, povero, buono
detto, oltre che di persone, di cose (la buona stazione, la squilla buona,
il cielo buono), grigio (già in un titolo di raccolta govoniano), bianco (b.
tristezza, b. suore, nostalgia b.), crepuscolare (ora c., ciel c. ombra c., chiarità
c., nebbia c., ebetudine c.); un «lessico sentimentale tra i più banali» (pp.
52-3): anima, cuore, amore, tristezza, nostalgia, malinconia, noia, solitudine,
tedio; «si privilegia insomma la serie lessicale più diretta» (p. 54): malin-
conia, dolcezza, malato, stanco ecc. Prima, dopo e attorno ai crepuscolari si
può continuare la raccolta. Alla lettera r del VPIN si raccolgono ad esem-
pio: voci generiche come roba (Gozzano, Palazzeschi), robaccia e robetta
(Palazzeschi); alimenti, oggetti e azioni della vita feriale: radicchio (Palaz-
zeschi, Saba)57, ragù (Saba), rosmarino (Govoni), rasoio (Govoni, Palaz-
zeschi) e rasare (Govoni), ringhiera (Govoni, Gozzano, Moretti, Campa-
na), risata (Moretti e Palazzeschi), -accia (Palazzeschi), rutto (Rebora: «E
ridevi nei tuoi rutti sozza»), rammendare (Gozzano); mestieri: rosticcere
(Palazzeschi), rigattiere (Campana); espressioni dell’uso parlato: andare a
ruba (Palazzeschi), ridarello (Govoni, Gozzano) ecc.
b) Arcangeli (2003, pp. 144-50) documenta un gruppo notevole di voci
tecniche e settoriali prese a prestito dagli Scapigliati dall’architettura e
dalla scultura come aguglie, archiere, torso, propilei, antemurale, intercolun-
nio, plinto, ogivi; e attingendo ad altri àmbiti: melopea, smerinto e caleide
(entrambi tecnicismi entomologici), colibrì e macchietta (ornitologici),
colchico, elianto, elitropio, erioforo ecc. (botanici)58. Vi andrà semmai os-
servata l’estrazione prevalentemente dotta ed il gusto preziosistico che la
muove, come sarà presto in D’Annunzio, nel quale il tecnicismo (ponia-
mo: pancrazio ‘giglio marino’, crambe ‘cavolo selvatico di mare’, Beccaria,
1993, p. 714) è parte, non meno dell’aulicismo o dell’arcaismo, di «impasti
ritmici e musicali [...] dissolti nella loro semanticità a favore dell’efficacia
fonosimbolica» (ivi, p. 712), ed è ammesso «di preferenza se fornito di

57. Citando gli autori, ci si riferisce sempre ad opere uscite a stampa prima del 1928.
58. Anche Girardi (2001, pp. 8-9) segnala in Emilio Praga la presenza di nomenclature
precise di piante (betulle, noce, platani), animali (capinero, tordi, rane), e di linguaggi spe-
ciali della scienza, della medicina (fosforo, microscopio, autopsia, feto) e della finanza (cedole,
buoni del tesoro).
la crisi della lingua poetica tradizionale 383

patenti d’autorità culte» (Mengaldo, 1996a, p. 201). In questo senso, se


nuove o rare sono talora quelle voci nel contesto lirico, consueta e diffusa
ne è la ragione stilistica. Ben altra, come è noto, la via seguita da Pascoli,
che ama valersi delle varianti d’uso e popolari dei termini botanici e zo-
ologici ricorrendo al parlato e al dialetto locali e di luoghi (nota bene)
variabili (romagnolo, garfagnino ecc.: Beccaria, 1993, p. 710) elenca erba
cornetta, rosolaccio, pandicuculo, mortella, pimpinella, pan porcino, ulivella,
cedrina)59. Nel glossario allestito per la seconda edizione dei Canti si rac-
colgono ad esempio (alla voce segue la glossa dell’autore): cardo «il riccio
delle castagne», grispollo «non vale come grappolo, ma parte di grappolo.
Il grappolo o pigna ha tanti grispolli, il grispollo tanti chicchi», màcole
«baccole: vaccinia nigra», rappa «spiga e anche pannocchia» ecc. La
convergenza di dialettismo e tecnicismo è la premessa per una presa esat-
tissima del linguaggio sulla realtà, la cui condizione in vero è la minuziosa
osservazione in loco dei fenomeni resa con la voce viva del dialetto loca-
le. Stussi (2009, pp. 85-7) ha dimostrato ad esempio a proposito di Foglie
morte (Canti di Castelvecchio) 1-5 «Oh! che già il vento volta / e porta via
le pioggie! / Dentro la quercia folta / ruma le foglie roggie / che si stacca-
no» – nei quali l’arrivo della primavera sembra concomitare con la caduta
(autunnale) delle foglie – che in realtà il poeta tiene conto del ciclo lungo
della roverella, varietà di quercia le cui foglie rimangono attaccate al ramo
per tutto l’inverno e cadono soltanto a primavera. A fronte di questo det-
taglio, i rinvii dei commentatori a Omero tradotto da Monti, all’Eneide,
a Dante non sono pertinenti. Così (ivi, pp. 86-7), a commento della me-
taforizzazione dei boccioli di pesco in cuccoli (‘uova’: 13-15 «picchiano nei
ramelli / del roseo pesco, pieno / de’ suoi cuccoli già»), motivata dal fatto
che quando il bocciolo di pesco sta per aprirsi, «compare, contornato dal
rosa dei petali, il giallo degli stami e dei pistilli; ecco perché, se il bocciolo è
un uovo, il giallo sarà quello delle unghiette gialle messe fuori dal pulcino
che ancora indugia a uscire dal guscio» (e infatti ai vv. 26-27 l’immagi-
ne ritorna in verbum proprium: «Dentro ogni cocco all’uscio / vedo dei
gialli ugnoli»). Questa vertiginosa esattezza finisce per riconvertire voci
tradizionalmente liriche e petrarchesche come poggio, che nel barghigia-
no odierno (e dunque a ritroso nei Canti) e in aree contermini designa
un pendìo e non un colle, e in particolare quello tra l’una e l’altra fascia

59. O ancora, pp. 709-10: re di macchia, fiorrancino, calandra, carpino, madreselva, vital-
ba, mortella ecc.
384 sergio bozzola

di terreno coltivato a viti o a ulivi sulle pendici di un colle (ivi, p. 90). Si


consideri infine che lo «sfratto al generico in favore del preciso e specifi-
co» caratterizza l’elaborazione delle Myricae secondo quanto documenta
Mengaldo (1987a, pp. 100-1).
Tale dimestichezza con voci della descrizione della fauna e della flora
transita nel Novecento, a comprovare una delle più feconde innovazioni
linguistiche pascoliane, da Govoni60 agli altri crepuscolari. Dai quali più
in generale sembra vengano aperte le porte ai vocabolari speciali, compre-
so quello tecnologico che troverà un acceso ed effimero successo tra i futu-
risti. Dallo spoglio di Beccaria (1993, p. 718): automobile, bicicletta, elettri-
cità, tram, ciclista, fotografia, rivoltella, piroscafo, treno, gru motrici, telefono,
grammofono, magnetismo, gas. Che si può integrare con le voci seguenti
(lettera r del VPIN): radioscopia (Gozzano), reumatismo (Palazzeschi), re-
tina (Govoni); rettangolo (Sbarbaro e Campana) e rombo (geom. Gozza-
no); retrovia (mil. Saba); reseda (bot. Govoni); repubblicano (Palazzeschi),
Restaurazione e Rinascenza (Govoni), Risorgimento (Gozzano), rococò
(agg. Govoni e Moretti); se in molti hanno rondine, si trova rondinella
(Govoni, Corazzini, Moretti), rondinotto (Govoni), rondone (Montale).
Quanto ai futuristi, nell’antologia di Marinetti (1912) trovo, solo fra Alto-
mare e Buzzi: telegrafico, -ista, magnetico, elettrico, acciaio, cinematografo,
automobile, vaporiera, motore, tram, aerostato, mitragliera, -atrice, docks,
mareografo, semaforo, gazometro, grua.
La convergenza pascoliana di dialetto ed esattezza torna a caratterizza-
re il lessico poetico nel primo Montale: cfr. da ultimo Mengaldo (2000b,
p. 105): «Il termine [in Montale] non individua mai il genere, ma sempre
specie precise e rare» (ghiandaia, pavoncella, gallinella di mare, scricciolo,
reattino, martin pescatore, cormorano, luì), ed è «a questa ricerca dell’in-
dividuazione lessicale e del tecnicismo che va in buona parte riportata la
serie non breve dei dialettalismi liguri». Tra i quali si citano avvenarsi
‘screpolarsi’, chinare ‘discendere’, cimello ‘estremità del germoglio nuovo di
una pianta’, fumacchio, galletto di marzo ‘upupa’, maggengo, muraglia, riale
‘rigagnolo’, roggio ‘sgorgo’ ecc.
c) È in Carducci la ricerca di una nuova sublimazione del lessico poeti-

60. Beccaria (1971, p. 91) elenca termini botanici usati da Govoni: «accanto a gigli e
rose, abbiamo iris, mughetti, primule, garofani, lilla, gelsomini, mente, tulipani, peonie,
magnolie, gardenie, ortensie, azalee»; anche se stornati dallo studioso verso D’Annunzio
(p. 92 «culto estetistico della parola»).
la crisi della lingua poetica tradizionale 385

co bene sintetizzata da Nencioni (1987, p. 306): una «rilatinizzazione


del lessico» a ripescare sdruccioli per le barbare, verso cui converge una
«prescritta scelta di accento: cùculo, còlubro, adamàntino, aconìto, dìruto,
anacreònteo»; la torsione classicheggiante dei nomi propri come già usava
nel Settecento (l’Adda diventa Addua, il Po l’Eridano) nonché la scelta
di varianti rare (pargolo è conteso da parvolo) ecc.; poi vi sono «latini-
smi in apparenza vocabulistici, come atavo, alauda, finitimo (finitimi letti
nell’ospitale!), in realtà passati attraverso un più o meno antico battesimo
volgare»; il tutto per uno stile «sempre eletto, spesso sostenuto, a volte
solenne, raramente antiquario» (ivi, pp. 306-7). Questo materiale prezio-
so può coabitare funzionalmente con un lessico basso e realistico (di cui
supra, punto a), come accade nei Giambi ed epodi, ad esprimere il contra-
sto tra ideali risorgimentali e degrado contemporaneo (Tomasin, 2007, p.
99), e dunque differenziandosi in questo senso dagli impasti grammaticali
e lessicali della poesia realistica più o meno coeva61. Un percorso differen-
te, accuratamente calibrato tra i diversi generi poetici, sembra delinearsi
in Pascoli, che cerca questa sublimazione soprattutto nei Poemi conviviali,
lavorandola tuttavia, come è congruo all’ambientazione della gran parte di
quei poemi, piuttosto sul greco che sul latino. Ne dà conto Soldani (1993,
pp. 103 ss.) con grande ricchezza di materiali: grecismi crudi e senza tradi-
zione come alalà ‘evviva!, vittoria!’, clatro ‘sbarra, serratura, cancello’, me-
teco ‘forestiero residente ad Atene’, mistoforo ‘mercenario’; voci che hanno
sì precedenti nella tradizione letteraria, ma nei suoi percorsi laterali o spe-
cialistici (tecnici, botanici, zoologici, musicali, marinareschi ecc.), o sem-
mai caratteristiche delle traduzioni dai classici, da Salvini a Pindemonte,
Foscolo, Monti ecc. (ivi, p. 111); scegliamo qui ambrosio ‘divino’, asfodelo,
auletride ‘suonatrice di flauto’, citaredo ‘cantore che accompagna il canto
con la cetra’, collabo ‘chiave per regolare la tensione delle corde della lira’,
cratere ‘vasi in cui si miscelano acqua e vino’, grammatista, pompa ‘corteo,
processione’ ecc. In qualche caso una voce già acquisita dal codice lettera-

61. Analoga finalizzazione di registri differenti, ma – come è interessante – verificata nella


morfologia, suggerisce ancora Nencioni (1987, pp. 308-9) in Davanti a San Guido nella
redazione del 1874: nella prima pers. dell’imperfetto indicativo compare la desinenza eti-
mologica in -a («guardando io rispondeva», rispondea, «mentr’io così piangeva»), che
però è sostituita da quella toscana in -o nell’appello alla nonna, evocativo di un contesto
infantile e famigliare («O nonna, o nonna! deh com’era bella / quand’ero bimbo»). Cfr.
Serianni (2013b, pp. 217-9), per una più ampia sintesi su consimili coabitazioni nel lessico
carducciano.
386 sergio bozzola

rio ritrova il valore semantico dell’omologa parola greca: un po’ come in


poggio risemantizzato sul dialetto, Pascoli riversa sull’italianissimo anima
una delle accezioni del greco psyché ‘vapore prodotto dall’alito’ (ivi, p. 126).
Vi si aggiunga la grande profusione di nomi propri di persona, di luogo
ecc. (pp. 114-6) e l’ampio ricorso al calco (pp. 120 ss.) e alla traduzione dei
nomi propri (la Nasconditrice per Calypso, Capo di toro per Bucefalo ecc.).
Ora, quel grecizzare trova una ragione, lo si è detto, nel genere lette-
rario62 e ha lasciato poche tracce, proprio perché così specializzato, nella
tradizione della poesia tra Otto e Novecento. Ma è notevole che parte di
questa tecnica si ritrovi in D’Annunzio, in Maia (su cui Soldani, 1993, pp.
128-9) – dove può sussistere ancora la motivazione di genere – ma anche
altrove: in Alcyone ritornano ad es. voci come auletride, dèspota ‘padrone’,
olocausto; Migliorini (1990, pp. 267-8) segnala ecatombe ‘branco di cento
buoi destinato al sacrificio’ nelle Elegie romane, e l’interpretatio nominis di
Afrodite (‘dea nata dalla schiuma’) nel verso «preda schiumosa d’Afrodi-
te» nell’Alcyone ecc. Al grecismo vanno poi affiancati ben altri espedienti
(sui quali ivi, pp. 266-7): arcaismi recuperati spesso per via vocabolaristica
(antibraccio ‘avambraccio’, laude, palagio, chiragra ‘gotta’, traslazione ‘tra-
duzione’, Ascesi ‘Assisi’, Peroscia ‘Perugia’, Fiorenza, Vinegia, Germano, To-
desco, Francioso, Inghilese ecc); risollecitazioni etimologiche (erroneo ‘va-
gabondo’, circostanze in senso concreto ‘le cose circostanti’ ecc.) ecc., che
si spandono senza esitazione nei diversi generi poetici e nella prosa, dal
romanzo al teatro (altri ess. in Serianni, 2009a, p. 252). Tale indiscriminata
distribuzione dell’aulicismo in D’Annunzio è il segno del venir meno delle
distinzioni di genere letterario.

5. Forme dell’analogia
Anche sul piano semantico si viene progressivamente a smagliare, tra Otto
e Novecento, il tessuto convenzionale della lingua poetica tradizionale. Il
processo consiste nella torsione della lingua verso iuncturae ed usi seman-
tici rari o nuovi e non autorizzati dalla “grammatica” della lingua. Un buon
osservatorio di tali processi è rappresentato dall’analogia. Vi si considerino

62. Così anche nelle Canzoni di Re Enzio, nelle quali Pascoli «ricrea [...] il clima lingui-
stico della Bologna comunale, prelevando vetusti arcaismi tramontati nei secoli preceden-
ti» (Serianni, 2009a, p. 253, che cita: cavelli, dolze, meo, Deo, elli ecc.)
la crisi della lingua poetica tradizionale 387

compresi tutti i fenomeni che agiscono in senso lato sul valore semantico
dell’espressione: dalla metafora e dintorni (metonimia, sineddoche, sine-
stesia ecc.), alla comparazione. Entro questa vasta rete di procedimenti,
distinguiamo i dispositivi semplici, che generalmente comportano un solo
spostamento di senso (o riguardano la comparazione nella sua forma ele-
mentare); da quelli combinati, in cui ne convergono due o più.

5.1. Analogia semplice


Già nei casi di analogia semplice sembra di poter individuare una prima
compromissione del criterio di pertinenza (così formulabile: ogni parola
ha i propri contesti legittimi, definiti dalla tradizione della lingua lette-
raria italiana). Si prenda il caso di Nigra nox dello Zena (PMO, p. 1116):
«Il cielo [...] / sbadiglia ogni minuto / lividi lampi in giro»: il verbo sba-
digliare selezionerebbe un soggetto animato e, per sé, nessun oggetto che
non sia quello implicito nella semantica stessa del verbo. I pochi casi di
uso transitivo del verbo attestati dal GDLI rimandano a valori traslati di
un verbum dicendi, con rarissime eccezioni63. Il clima snervato e languido
dell’intera lirica determina questo spostamento proiettivo da uno stato
psichico all’oggetto della rappresentazione (il cielo). L’effetto che ne sor-
tisce è quello dell’attribuzione al verbo di un soggetto e di un oggetto (i
lampi) non legittimati dalla tradizione. Spostamenti di questa sorta sono
relativamente frequenti nel campione di testi che abbiamo scelto. Si veda
ancora ad es. la «quïete affascinata e stracca» di Graf (PMO, p. 1146):
l’aggettivo selezionerebbe un soggetto animato; «e le porte sbadigliano
annoiate ne l’ombre» di Francesco Scaglione (SD, p. 503); il danzare dei
«fiocchi dilatati e stanchi» di Marradi (PMO, p. 1063); o ancora il suo
«pianger di campane» (PMO, p. 1070) ecc. Figure che tendono a istitu-
zionalizzarsi nella poesia di Pascoli. Ad es. appena più complesso si legga
Canti, Notte d’inverno 20-22 «Ed il treno s’appressa / tremando tremando

63. L’unico caso accostabile a questo è Carducci, cit. ivi e glossato ‘proiettare una luce
fioca’: «Oh quei fanali come s’inseguono / accidiosi là dietro gli alberi / tra i rami stillanti
di pioggia / sbadigliando la luce su ’l fango». Gli altri ess. sono riconducibili al processo
del dire, proferire ecc. eccetto gli ess. comunque coevi di Tommaseo («s. quattr’anni di
legge»), Dossi («s. il mio primo anno di liceo»), Giusti («s. il momento di tornare a
Firenze»). Vi si aggiunga Rebora, Frammenti lirici xxiv 22-23 «al flaccido baglior ch’e-
stenuato / da fanale a fanale sbadiglia».
388 sergio bozzola

/ nell’oscurità»: una prima equivocazione di dati percettivi (il vento e il


fiume scambiati per un treno che si avvicina) tende a risolversi nell’alluci-
nato senso di un passato che ritorna cui si associano sentimenti di ango-
scia; da cui l’analogia di 31-33 «Già l’ultimo squillo [fischio del treno?]
s’inalza / gemendo gemendo / nell’oscurità...»: il gemito è spostato dal
soggetto lirico all’oggetto. Il risultato diviene così quello dell’animazione
di oggetti inanimati e dell’umanizzazione del paesaggio: Foglie morte 8-9
«Par che la quercia sogni / ora, gemendo»; L’ora di Barga 19-23:

E suona ancora l’ora, e mi manda


prima un suo grido di meraviglia
tinnulo, e quindi con la sua blanda
voce di prima parla e consiglia,
e grave grave grave m’incuora.

Il fenomeno è già in Roccatagliata Ceccardi «brume pensose» (SD, p.


48, nel 1895) e diffuso in D’Annunzio: Alcyone, Pace 8 «L’Arno favella con
la bianca ghiaia» (ricordato forse da Montale, Ossi, Maestrale 2 «Tra gli
scogli parlotta la maretta»); Govoni cit. da Beccaria (1989, p. 188) «Per
il loro interstizio s’affeziona / un ramerino espansivo»; Moretti: zattera
dolente, giorno lacrimoso, orto sonnolento, raggio iracondo, giardino atten-
to, divanetto impermalito ecc. (tutti cit. da Coletti, 1975, p. 435); Rebora
(PN, p. 258) «i muri abbassano pàlpebre» (forse l’abbassarsi delle tende,
saracinesche o tapparelle; e infatti a seguire: «e spràngan le soglie nell’a-
rido giro»); come Altomare in Marinetti (1912, p. 82) «Ecco: le case /
socchiudono le palpebre stridule / de le finestre». D’Annunzio adombra il
procedimento nella forma della comparazione: Gli indizii 1-3 «Ahimè, la
vigna è piena di languore / come una bella donna sul suo letto / di porpora,
che attenda l’amadore». E così ancora Rebora (PN, p. 254) «s’inombra [il
turbine] come un’occhiaia».
A questo genere di spostamenti, che possiamo definire verticali (poi-
ché scendono dal soggetto lirico all’oggetto rappresentato), si possono
far seguire i casi in cui il movimento è operato orizzontalmente dall’uno
all’altro degli oggetti rappresentati o dall’uno all’altro dei processi percet-
tivi. Al primo caso rispondono le frequenti enallagi pascoliane: Canti, Le
rane 9-10 «Qual è questa via senza fine / che all’alba è sì tremula d’ali?»
(l’aggettivo rimanda alle ali); La messa 10-1 «C’è un vecchio che mormora
stanco / con tutto un suo tremolìo bianco» (il bianco della testa canuta);
la crisi della lingua poetica tradizionale 389

figura che ritorna in Lucini («torme d’uccelli, bruni guai / dell’esistenza»


SD, p. 17, l’agg. va rif. a uccelli), e continuata nel Novecento ad esempio da
Bontempelli (PN, p. 424): «Stridi di rondini neri nei mattini passano»;
e da Montale, Ossi, Egloga 1-2 «Perdersi nel bigio ondoso / dei miei ulivi».
Al secondo caso le qualificazioni o predicazioni che scambiano i dati per-
cettivi (sinestesie, parestesia e loro varianti), tipico modulo simbolistico
e decadente, e già occasionale effetto degli spostamenti cit. sopra (l’enal-
lage cit. «stridi di rondini neri» provoca la sinestesia stridi... neri): Zena
(PMO, p. 1116) «afa di velluto»64; Carducci cit. da Migliorini (1990, p.
264), silenzio verde, poi variati in silenzio nero, silenzio ceruleo da D’An-
nunzio (ibid.), che nell’Alcyone qualifica la voce di Ermione come virente
(ivi, p. 265); Pascoli, Canti, Le rane 21 «lo strepere nero del treno» e lo
strepere chiaro cit. da Beccaria (1993, p. 708), da cui anche: palpito trito,
pallido tinnito, crepito arido; e si veda poi l’incrocio fin troppo callido dei
predicati di D’Annunzio: «In ogni sostanza si tace / la luce e il silenzio
risplende» (Alcyone, Undulna 85-86, come il dantesco «io venni in loco
d’ogne luce muto», Inf. v 28). Compatta la serie delle sinestesie ricavabile
da SD (sez. cit.), da Morasso 1893 a Folicaldi 1925, che si tace per brevità.
Su questa figura in Moretti alcune pagine di Coletti (1975, pp. 443-4), da
cui citiamo ritmi azzurri, ritmi rotondi (e già Morasso, SD, p. 23 «rotondi
/ suoni»), «rime simili a corolle», «il cielo è azzurro come / un suono di
campane»65, volo morbido ecc. La morbidezza è attribuita al cielo in Lu-
cini («Morbido cielo fuso in un malato / rossor» SD, p. 23), alla luna in
Folgore, Il cinese caricaturista 1-2 (PN, p. 239) «La luna è morbida / come
un cuscino di piume»; il clamore è attribuito alle luci in Soffici (ivi, p.
343) «con l’improvviso clamore dell’elettricità del gas dell’acetilene e delle
altre luci» (e dello stesso ancora: «Ogni colore / canta come un uccello»,
ibid.)66. Su Rebora cfr. Bandini (1972, pp. 11-3), da cui desumiamo: «ar-

64. Nel Novecento, Campana, Canti, L’invetriata 8 (PN, p. 282) «la sera si veste di vel-
luto».
65. Dello stesso genere sono ad es. il «canto giallo» di Morasso (SD, p. 29), il «cerulo
canto» di Toscano (ivi, p. 152), le «note rosse» di Moscardelli (ivi, p. 547).
66. La frizione tra soggetto e predicato, sostanza e qualità ecc. può in realtà scaturire da
fattori molto vari, che non si possono qui raccogliere esaustivamente. Si aggiunga solo
almeno qualche caso. Un predicato che transita su un oggetto astratto, dovendo selezio-
nare grammaticalmente un oggetto concreto: Cardarelli, Prologhi, Incontro notturno 69
«e ciascuno mordeva il suo silenzio»; cui si allineano Bontempelli, Nervi 17-18 (PN, p.
425) «e le gengive ti sanguinano / masticando le nuvolette del veleno dolciastro»; e Un-
390 sergio bozzola

peggia il tramontare», «il piano / sconfina melodioso», flessibili trilli,


aroma lunare, tinnir luminoso, carnoso clamore ecc.
Si individuano infine due ultimi tratti dell’analogia: l’opacità del figura-
to e l’evasività della motivazione. Comprendiamo nel primo aspetto la ten-
denza ad appannare il significato proprio dell’analogia, che finisce per essere
ambigua o polisemica, qualche volta oscura. Tendenza non più che abboz-
zata alla fine dell’Ottocento, ma già sensibile in esempi come: Contessa Lara
(PMO, p. 1133) «... cantando, apri alla barca [sogg.: marinar(o)]: / mentre
uno stuol di sogni alto nell’aria, / come riga di gru, l’oceano varca» (le nuvole,
o stormi di uccelli)67; analogamente De Bosis (ivi, p. 1220) «Ne l’alto, angeli
erranti, esili veli, / ali di sogni passano repente?»; o ad inizio di testo (Zena,
ivi, p. 1110) «La campagna ha il suo grigio accappatoio» (la nebbia?). Se ne
derivano certo ipotesi di senso, che tuttavia non sono mai univoche.
L’evasività della motivazione riguarda in generale le analogie in prae-
sentia del verbum proprium o di qualcuno dei suoi satelliti (dunque le
comparazioni, o le metafore con il figurato o qualche suo annesso nel
complemento, nell’aggettivo o nel sostantivo ecc.): il significato dell’ana-
logia è dunque trasparente, ambiguo o evanescente ne è il tertium com-
parationis. Anche di questo fenomeno non troviamo che l’embrione tra
Otto e Novecento. Si può ricordare ad es. Gnoli, La basilica 17-20 (PMO,
p. 1208): nel quadro di un’ampia comparazione che struttura l’intera liri-
ca (1-2 «L’anima mia è una deserta / basilica»), «le volute sui capitelli,
/ le logore foglie d’acanto / come un desiderio di pianto / si ripiegano sui
listelli»; o ancora Marradi (PMO, p. 1070):

Dolce, Autunno, sei tu; dolci ed arcane


son le penombre che, fra terra e cielo,
sfuman gli occasi tuoi come in un velo
di lunghi sogni e di mestizie umane.

Strutture consimili, di forma semplice, si ritrovano diffusamente in D’An-


nunzio e nel Novecento. Bastino: D’Annunzio, Alcyone, La tenzone 7-8

garetti, Porto sepolto, La notte bella 14-15 «Comparso allo spazio / l’ho morso / come un
neonato»; ancora un verbo che seleziona un soggetto ed un oggetto grammaticalmente
impropri e dunque forzati metaforicamente: Rebora Frammenti lirici, O poesia 10 «[il
lucido verso] strizza ferite sul cuor della terra» ecc.
67. L’immagine sembra la versione contratta della comparazione carducciana in San
Martino (gli stormi di uccelli neri come pensieri esuli).
la crisi della lingua poetica tradizionale 391

«Come l’Estate porta l’oro in bocca, / l’Arno porta il silenzio alla sua
foce»; Campana (PN, p. 283) «[io vidi svanire i colli di Spagna] Come
una melodia: / D’ignota fanciulla sola / Come una melodia / Blu, su la riva
dei colli ancora tremare una viola...» (dov’è ambigua anche la sintassi); e
Cardarelli, Prologhi, Tempi immacolati 29-30 «ho ricevuto l’ignoto / tre-
pestìo delle sorprese». Si rimanda per il resto al par. 5.2. Da questo pae-
saggio proiettivo e umanizzato si stacca di netto il primo Montale, che ne
ri-oggettiva l’alterità rendendolo, come è noto, con fotografica esattezza.
Nulla di elegiaco e piangente, negli Ossi, semmai marine e coste riarse, il
mare in calma piatta o tempestoso, nei quali il soggetto può eventualmen-
te rispecchiarsi, mai identificarsi o confondersi.

5.2. Analogia combinata


Si definisce così quell’insieme di fenomeni che insistono sul piano se-
mantico dell’espressione, combinando o ibridando forme anche diffe-
renti di spostamento (metafora, comparazione, metonimia, enallage,
sinestesia ecc.). Se ne può innanzitutto documentare la diffusione pre-
coce, già a fine Ottocento. Si saggino i casi seguenti, scelti tra le mol-
te schede disponibili. Marradi (PMO, p. 1067) «Guarda / laggiù con
quale iridescente e calda / magnificenza di purpuree tinte [...]» è dato
nel contesto di un’ékphrasis (v. 1 «Guarda che quadro, o amore mio»);
l’immagine descritta rappresenta il tramonto sul mare di Livorno; due
agg. rispettivamente coloristico e tattile qualificano un sostantivo astrat-
to (magnificenza), su cui sono spostati dal complemento (tinte); all’e-
nallage deve aggiungersi l’effetto sinestetico prodotto dall’accostamento
dell’aggettivo calda ad un complemento che appartiene al campo visivo;
l’intera operazione spinge in primo piano il dato soggettivo implicito
nel sostantivo astratto (magnificenza) che convoglia il giudizio dell’os-
servatore. Da una convergenza di metafore esce l’analogia complessa che
segue nello stesso testo: «Ecco d’un soave e lungo / voluttuoso brivido
incresparsi / l’ampia marina palpitante ai freschi / baci del maestrale»; la
metafora portante maestrale/bacio (che diventerà una carezza in Mon-
tale, Maestrale 5-6 «Una carezza disfiora / la linea del mare») innesca
spostamenti contestuali che umanizzano il paesaggio (voluttuoso brivi-
do, palpitante) e produce un’anfibolia (freschi detto dei baci e del vento).
Così ancora Enzo Marcellusi (SD, p. 520, nel 1920) «Quando il primo
392 sergio bozzola

brivido di primavera / carezzò la rugosa faccia del mare». Convergo-


no sempre due o più spostamenti in casi come Marradi (PMO, p. 1068)
«Limpida sorride / sul mar la calma» (una metonimia nel sostantivo;
una metafora nel verbo); Gnoli (ivi, p. 1206) «in terra / era un silenzio
di foglie / gialle» (slittamento incrociato: silenzio di foglie vale ‘le foglie
nel silenzio’; e l’implicata personificazione del silenzio circostanziato dal
complemento in terra): nella cui linea stanno ad esempio «Attorno era
una lontananza / di tempi, di luoghi, d’amore» (ivi, p. 1207: proiezio-
ne nel contesto spaziale della condizione psichica del sogg.); De Bosis
(ivi, p. 1221) «Trema il silenzio in suoi tintinni d’oro» (la metafora del
tremito per il silenzio che viene turbato; la qualificazione sinestetica del
secondo sostantivo); Pascoli, Canti, Commiato 3-4 «Su la campagna so-
litaria / tremava il pianto delle squille» (tremare attribuito sinestetica-
mente al pianto; il quale metaforizza il suono delle campane) ecc.
In D’Annunzio forme del genere sono sottoposte a stiramenti e dilata-
zioni: nell’attacco della Sera fiesolana, «Fresche le mie parole ne la sera /
ti sien come il fruscìo che fan le foglie / del gelso ne la man di chi le
coglie», l’agg. è dapprima attribuito metaforicamente alle parole, quin-
di dilatato comparativamente nella sinestesia (come il fruscìo). Quel che
più conta tuttavia è il procedere continuamente modulato del discorso
(la mano, la scala che s’annera, il fusto che s’inargenta, le sue rame, la
luna ecc.) e il conseguente allentamento testuale di cui si discorre infra.
Un caso bene evidente di opacità della motivazione in Furit aestus 9-11
«La luce copre abissi di silenzio, / simile ad occhio immobile che celi /
moltitudini folli di desiri». E un esempio di convergenza di spostamen-
ti multipli nello spazio contratto di un verso in La morte del cervo 105:
«Una rapidità fulva e ramosa»: i due agg. trasferiscono sul movimento
del cervo la percezione istantanea del colore e delle corna dell’animale;
il quale è significato dal suo movimento: dunque una combinazione di
enallage e metonimia68.
Nel primo Novecento questo insieme di presupposti si sviluppa in
una duplice direzione. Da una parte l’analogia si intellettualizza e per
così dire si raffredda negli intrecci di metafore (e nelle metafore conti-
nuate) del futurismo e dei suoi dintorni; dall’altra si libera dai residui
richiami al verbum proprium e tende a farsi oscura o polivalente sui ver-

68. Lo stesso dispositivo sarà ripreso da Rebora (su cui infra), Frammenti, Al tempo... 49-
50 (PN, p. 265) «a un bronzeo inquietamente / fèrvere d’api».
la crisi della lingua poetica tradizionale 393

santi opposti dell’espressionismo vociano e del protoermetismo unga-


rettiano. Possiamo rapidamente esemplificare il primo aspetto partendo
da Govoni «i gatti scorticano l’acrobatica / musica delle stelle / con i
loro epilettici violini» (PN, p. 16)69; e da Buzzi (ivi, p. 141) «I lampi
sono rosei / come i filari efimeri delle gambe alle ballerine / in passo di
finale»70; per seguitare con Onofri (ivi, p. 154) «il sospiro stanco della
sera / accompagna il dolce belato / delle pecore al pascolo / secondo le
curve indistinte dell’anima», in cui il senso si fa più evanescente; e Soffici
(ivi, p. 341) «Lo spazio / È un verme crepuscolare che si raggriccia in una
goccia di fosforo».
L’opacità dell’analogia esaminata nel par. 5.1 si ritrova a fortiori nella
sua forma combinata. Soffici (PN, p. 340) «Non si dimentica né il pro-
fumo di certe notti affogate nelle ascelle di topazio»; Bontempelli (ivi, p.
425) «fischi paralitici fanno tre passi muoiono / col loro secreto nell’aria
molle piena / di silenzi accovacciati sotto i voli delle viole»; e si dispiegano
largamente, come detto, nella poesia di Rebora e del primo Ungaretti.
Da un opposto movimento, di condensazione nel primo, di rarefazione
nel secondo, deriva il medesimo effetto retorico: l’opacità del figurato o
della motivazione, e la conseguente polisemia e indeterminatezza dell’a-
nalogia. Di Rebora si veda (PN, p. 259) «contro la noia sguinzaglia l’e-
terno, / verso l’amore pertugia l’esteso [sogg. il cielo balzàno]», e ibid.
«Sgorgo, inalveo, verso / fra murmuri e spruzzi al meriggio / nell’aria
l’effuso tesoro / del vivido corso immortale»71. Una disamina dell’ana-
logia ungarettiana72 richiederebbe uno spazio molto ampio, i cui primi
comparti dovrebbero documentare la presenza di tutta la raggera di feno-
meni illustrata qui sopra: «La terra / s’è velata / di tenera / leggerezza»

69. Cfr. dello stesso Fiale, Crepuscolo 3-4 «il vento è un incrinarsi di cristalli / sopra uno
stagno intricato di mazze»; Poesie elettriche, Il giardino 8-12 «L’ultimo fulmine, laggiù, /
come un pagliaccio infarinato / su una scoppiante bicicletta / ha percorso / il taboga di
vetro dell’arcobaleno».
70. E ancora Buzzi, Versi liberi, Il mortorio di Bibia 26-27 «i loro nervi [dei mendicanti]
ballano / sotto l’archettata d’uno spasimo».
71. La lirica rappresenta un passaggio psichico dalla canicola (con il suo corredo di atonia,
devitalizzazione ecc.) ad uno stato di rifioritura e nuovo slancio. La svolta è preannunciata
dal v. 25: «Ma chi nel borro impeciato / sorger libero e terso mi vede...?», e si libera dai
versi che cito, che metaforizzano un figurato non identificabile (ma Mussini e Giancotti,
2008, p. 436 lo identificano nell’Eterno).
72. Già abbozzata da Spezzani (1972, pp. 105-7, con rilievi precisi anche su Pascoli e D’An-
nunzio, e passim).
394 sergio bozzola

(Maggi Romano, 1982, p. 22, Prato), ad es., se indica il calare della bruma
mattutina, ripropone un’analogia non lontana da un passo cit. supra di
Zena, e rilancia una figura analoga e maggiormente elaborata del Porto
sepolto, Nostalgia 7-10: «[quando la notte è a svanire] su Parigi s’adden-
sa / quell’oscuro colore / di pianto / che ci disfa gli edifizi»; analogie
dunque complesse, ma ancora interpretabili per la presenza di richiami
contestuali al verbum proprium. Com’è ancora il caso di Allegria, Alba
(Maggi Romano, 1982, p. 65) «Zampilli / di matasse radiose / spioventi
/ in masse sinuose / di perle», che diventa interpretabile grazie al segna-
le del titolo, che ne denota il referente; o di Porto sepolto, La notte bella
1-4, che intreccia ai figuranti indizi molto chiari e rende così intelligibile
la pericope: «Quale canto s’è levato stanotte / che intesse / di cristallina
eco del cuore / l’illuminazione del cielo?»73.
Gli sviluppi più radicali di queste tecniche largheggiano nel campione
di testi che abbiamo scelto. Si veda ad es. Porto sepolto, A riposo 8-10 «Si
dilatano le montagne / in sorsi d’ombra lilla / e vogano col cielo», dove, se
si possono intuire i riferimenti generali (uno scenario paesaggistico), sono
evasivi e polivalenti i particolari analogici (sorsi d’ombra, vogano) e la loro
motivazione; o ancora, Allegria, Ritorno (ivi, p. 12, dove è citata l’intera
poesia):

Trinano le cose un’estesa monotonia di assenze


Ora è un pallido involucro
L’azzurro scuro delle profondità si è franto
Ora è un arido manto

dove sembra interdetta qualsiasi interpretazione della lettera, cui si ag-


giunge una sintassi ambigua, indeterminata (quale il sogg. del v. 2?). O si
legga infine Babele (ivi, p. 188), che consiste in un solo verso: «Uno sciame
si copula nel sangue», risultato di un’elaborazione che ha spazzato via tut-
ti i dettagli e accampato la sola, assoluta e totalmente irrelata asseverazio-
ne del verso (su consimili varianti di condensazione, cfr. ancora Spezzani,
1972, pp. 121 ss.).

73. Il groviglio di spostamenti semantici si può così approssimativamente dipanare: il


canto come un tessitore, il cielo come l’ordito, ma con slittamento per enallage (ad essere
tessuta è l’illuminazione del cielo), il filo come figurante dei sentimenti (il cuore), a loro
volta significati dall’eco del cuore.
la crisi della lingua poetica tradizionale 395

6. La testualità debole
Tutto quanto si è fino a qui documentato ai livelli sintattico e analogi-
co concorre ad indebolire la coesione testuale: il testo poetico, da unità
argomentativa compatta e concludente, tende a diventare un coacervo di
motivi dai nessi interni deboli o opachi, e a sbiadire i segnali di inizio e
fine74. Tra Otto e Novecento l’allentamento della coesione è determinato
principalmente dalla tendenza del testo a risolversi in elenco (par. 6.1); e
dalla dispersione centrifuga dei dettagli, che oscura la linea argomentativa
portante del testo (par. 6.2). Nel primo caso la sintassi tende ad assecon-
dare la figura semantica, disponendosi in membri brevi e tendenzialmente
nominali (cfr. par. 3.4, punto b); nel secondo caso essa tende viceversa
a controbilanciarne l’effetto, arginandone la dispersione e garantendo la
tenuta del testo.

6.1. Enumerazione
I casi in cui tale struttura semantica si risolve in sintassi nominale sono
stati esaminati nel par. 3.4. Ma in quella sede il fenomeno sintattico non si
esauriva in quello semantico, e vi sono discussi esempi di sintassi nominale
non elencativa. Qui viceversa si trattano casi di elencazione non necessa-
riamente o solamente risolta in sintassi nominale. La non totale sovrap-
ponibilità delle due serie scaturisce dal fatto che l’allentamento coesivo ha
anche una ragione specificamente semantica, che consiste nella debolezza

74. Così in Pascoli l’attacco (già foscoliano) con congiunzione copulativa (Myricae, Le
femminelle «E dice la rosa alba: Oh! chi mi svelle?»; Canti, Il gelsomino notturno «E
s’aprono i fiori notturni»), gli explicit sospesi (Myricae, L’assiuolo «chiù...»; Un gatto
nero «t’apre i suoi verdi occhi...»), addirittura – e per così dire – tagliati (ivi, Mezza-
notte finisce «come una pupilla», cui segue Il gatto nero che incomincia «aperta»), o
interrogativi (ivi, Paese notturno «Una fronte / bianca di sfinge?»). Da SD (pp. 499
ss.) si può documentare la precoce sperimentazione di Scaglione (1911), ... dal ‘Viaggio
intorno alla mia camera’, in cui titolo e testo iniziano con i puntini di sospensione (e
lo stesso titolo rinvia al pre-testo di Xavier de Maistre, da cui si immagina di stralcia-
re il contenuto della lirica); Moscardelli lama [sic] p. 549 (1916): titolo e inizio testo
in minuscola, con attacco avverbiale («sempre le mie nuove e vecchie nostalgie / di
bassifondi in chiaroscuro d’avventura»); Venditti (1921), p. 565: il titolo Gli infermieri
dell’anima in esilio è integrato nel testo, che incomincia: «Per esempio: la siepe / di
pelargonio; il parco sempre chiuso», e continua in figura elencativa fino alla fine; la
conclusione rilancia in dissolvenza: «E così via».
396 sergio bozzola

del nesso che stringe i singoli addendi dell’elenco: la posizione di ciascun


addendo o motivo non è governata da alcun criterio e in qualche caso si
può spendere la categoria spitzeriana dell’elencazione caotica; la sequenza
dei motivi non risponde ad una logica coercitiva, la posizione di ciascuno
è pertanto implicitamente intercambiabile con quella degli altri75. Ad un
modello di testualità gerarchica e consequenziale viene sostituito quello di
una testualità granulare, segno di un soggetto lirico debole se non proprio
defilato, che limita il proprio spazio alle funzioni percettive elementari
(vedo, sento, annoto).
Qualche esempio. Elenchi di oggetti il cui filo rosso è suggerito dal
titolo, che ne costituisce non già il sunto o l’essenza, ma proprio la chiave
di ingresso: si veda Treno diretto della Contessa Lara (PMO, p. 1134):
l’elenco allinea ciò che si vede dalla finestra del treno, «due caprifichi,
un casolare, / un legno, un contadino [...] / fughe d’alberi chiomati; /
rari giardini; snelli / ponti specchiati in arco da ruscelli; / borghi da’
muri rozzi e sgretolati» ecc.76 Analogamente (ma con la figura contrat-
ta in due versi) Oxilia (SD, p. 553), In automobile sotto la pioggia «Il
motore cantava. Foglie morte. / Alberi nudi in corsa. Forme stanche».
Un altro caso è La passeggiata di Palazzeschi (PN, pp. 65-8), intermi-
nabile elencazione di tutto ciò che i due personaggi vedono o sentono
nel corso della loro camminata: insegne, titoli dei giornali, numeri civici
(vv. 35-36 «26 / 26 A»), nomi delle vie, avvisi esposti dai commercianti,
slogan commerciali, voci, nomi degli hotel ecc. Se non è il titolo, a tenere
le fila dell’elenco sarà un segnale testuale esplicito: cfr. Egli ed ella della
Contessa Lara (PMO, pp. 1130-1), descrizione di un interno risolta nel-
la pluralità eterogenea degli oggetti di arredamento; Amore vivo dello
Zena (PMO, p. 1098), elenco intenzionalmente eterogeneo degli oggetti
dell’«amare» del sogg. (il biondo e il fuoco, l’estate, le donne indebitate,
trenta e quaranta [gioco delle carte], la rossa e la nera [donne], Musset,
schioppettate, la birra di Baviera, il porco, Francesca); e via sfogliando:
Nencioni (PMO, p. 1039), Gnoli (ivi, pp. 1208-9); fino ai cataloghi di
oggetti desueti, residui, chincaglierie ecc. della poesia crepuscolare cui

75. Un «elencare senza gerarchia» già segnalato in Emilio Praga da Girardi (2001,
pp. 9-10).
76. La stessa forma ritornerà in Accelerato di Montale (Occasioni), nel quale tuttavia la
struttura elementare del viaggio viene sublimata dalla sua torsione simbolica, così come i
dettagli visivi sono deformati o occultati nella percezione del soggetto.
la crisi della lingua poetica tradizionale 397

si è già accennato: intere poesie govoniane degli Aborti e di Armonia


sono costituite da elenchi di questo genere77; Libero Altomare (cit. a n
41) assembla, a predicare polemicamente il titolo (Il Passato), una serie
di sintagmi nominali sulla quale si regge l’intero testo (vecchio carillon,
bigotto, povero specchio infranto ecc.). Quanto più l’elenco si protrae,
tanto meno viene tenuto a fuoco un centro argomentativo, da cui una
«poesia [...] come somma atonale di successive definizioni più che di
implicazioni consequenziali [...] frammenti privi di un centro, di una
conclusione», con le parole di Beccaria (1989, p. 212).

6.2. Disseminazione
Ad un soggetto o comparato sono attribuiti una pluralità di predicati o
comparanti: una superfetazione centrifuga di elementi che tende a pregiu-
dicare, nel progresso della lettura, la linea argomentativa e il senso dell’in-
sieme del testo. Il rischio della disgregazione testuale è scongiurato dalla
sintassi e dalla retorica. In Alcyone, Il fanciullo ii 84 ss., la spiga e il monte
«sembra / si giungano per l’aere sereno»: l’immagine innesca una serie di
quattordici comparanti (come i tuoi labbri, come amato e amante, come i
tuoi diti ecc.) e finisce per saturare l’intera sezione. L’indugio sul dettaglio
comparativo scompatta l’insieme. Il lettore è invitato a fermarsi sui compa-
ranti più o meno ingegnosi senza darsi pensiero del tutto, tenuto insieme
dall’unica arcata sintattica e dalla ripetizione anaforica ad inizio verso del
come78. Viene così rovesciata la figura leopardiana dispiegata nel Tramon-
to della luna, prima strofa e inizio della seconda, dove viceversa precede
classicamente il comparante, tutto giocato su particolari pertinenti che
danno forza alla struttura dell’insieme. Là dunque una semantica e una

77. Della prima raccolta si può citare ad es. Il palazzo dell’anima e la serie dei sonetti
sui colori (Il rosso, Il bianco, Il verde ecc.), costituiti tutti da elenchi nominali di libere
associazioni sulla suggestione del tema coloristico (Il giallo: «Oro assassino. Lampi gialli.
Raggi. / Insonnia. Cloroformio. Ubbriachezza / stesa sotto la tavola. Ricchezza» ecc.);
della seconda raccolta si è già citata supra Ne la corte – Tre stracci. Sulla figura cfr. Canob-
bio (2009).
78. Il procedimento, secondo Jacomuzzi (1974, pp. 37 ss.: «comparazione seriale»), as-
sieme all’«enumerazione protratta» rappresenta una delle modalità dell’oratio perpetua
dannunziana, vera e propria cifra stilistica delle Laudi. La «proliferazione parassitaria»
dei comparanti finisce per renderli «serie autonoma [...] autentica irrelata sostanza del
discorso» (corsivo mio).
398 sergio bozzola

sintassi concentriche; qui una sintassi concentrica trattiene una semantica


dispersiva.
Nelle Stirpi canore, vv. 7 ss., le parole sono di sèguito profonde come le
radici terrene, serene come i firmamenti, fervide come le vene degli adole-
scenti, ispide come i dumi, confuse come i fumi confusi, nette come i cristalli
dei monti ecc. così fine alla fine del testo79. Ritroviamo un procedimento
analogo in Govoni, I tetti (PN, pp. 15-6), che consiste interamente in as-
sociazioni analogiche sul tema del titolo, in elenco nominale (i tetti rosei
come guanciali, sanguigni come torchi di tramonti, come ceppi per le serali
decapitazioni dei soli, e via dicendo per trenta versi); in Rebora, Lungo di
donna... 8 ss.: serie di comparanti sul tenore delle «bellezze [...] che sole /
vaniscon senza amore»: «baleno d’oro non giunto al guizzo, / pianta nel
succhio divelta, tizzo / scordato sotto la cappa / a sognare la fiamma, / alito
non respirato, / baci non schiusi, / forte corpo senza amplesso».
Una complicazione ulteriore di questa forma è inventata ancora da D’An-
nunzio nelle Ore marine, il cui scheletro argomentativo è molto semplice: la
prima strofa consiste in una domanda (quale delle ore marine accompagna
Ermione?); la seconda in tre possibilità di risposta (tre momenti differenti
della giornata estiva associati a tre diverse circostanze ambientali); la terza
nella ripetizione della domanda iniziale. Le prime due strofe sono tuttavia
di trenta versi ciascuna, e dettagliano minuziosamente particolari secondari
rispetto alla linea semantica portante, dilatando in misura abnorme la sintas-
si (un unico periodo, nella prima, di trenta versi). La quale sintassi, dunque,
rappresenta la ratio extrema della tenuta testuale. La dettagliata descriptio ri-
guarda particolari secondari e non più il soggetto o tema centrale del testo,
e può pertanto dilatarsi in frasi subordinate (1 ss. «Quale delle Ore / che
mi conducesti / viventi e furon larve / cinerine / quando il sole disparve /
nella triste sera...») o nell’espansione di elementi circostanziali (28-30 «di
là dai fiumi sereni, / di là dalle verdi colline, / di là dai monti cilestri»)80. Di

79. La figura ritorna ancora ad esempio in Albàsia 6-19: elenco di coppie di oggetti na-
turali o situazioni che si «disposano»: la nube dal monte, l’ombra dal piano, l’acqua dal
sale, la canna dal tralcio ecc.
80. E ancora a conclusione di testo, che non è altro dunque che la ripetizione e l’espansio-
ne dell’interrogativa già posta nella prima strofa e può essere citato qui a saggio dell’insie-
me: «Quale delle Ore, / quale delle Ore marine, / con gli occulti beni / che tu le désti, /
col segreto linguaggio / che le apprendesti, / o Ermione, / t’accompagna nel viaggio / di là
dai fiumi sereni, / di là dalle verdi colline, / di là dai monti cilestri, / o Ermione, / di là dalle
chiare cascine, / di là dai boschi di querci, / di là da’ bei monti cilestri?».
la crisi della lingua poetica tradizionale 399

questa tecnica ritroviamo una prima realizzazione novecentesca in Rebora,


Dal grosso e scaltro rinunciar superbo 1-48 (PN, pp. 261-3): un unico abnor-
me periodo tenuto a lungo in sospeso dalla superfetazione di complementi
e dall’accumulazione di dettagli paesaggistici ed evenemenziali; una sintas-
si robusta ed ipotattica tiene stretto l’insieme semanticamente eterogeneo
e centrifugo. Tutta la massa grava sul v. 46 «si lamina enorme la vetta»,
che pure rappresenta semanticamente una base di appoggio evasiva rispet-
to al referente, con effetto che aggiunge alla vertigine sintattica l’instabilità
semantica.
Questa struttura, in cui la dispersione semantica determinata dal det-
tagliamento di particolari centrifughi viene contenuta da sintassi e retori-
ca, avrà una sua durata novecentesca, arrivando almeno fin dentro la terza
raccolta montaliana81.

7. Conclusioni
La dissoluzione della lingua poetica tradizionale presenta naturalmen-
te anche una sua facies metrica che richiederebbe una trattazione a sé.
Agli aspetti più eclatanti condensati a suo tempo da Contini (1969, p.
590) – le parole in libertà, il poème en prose, la restaurazione metrica
del Novecento – e ai non pochi di dettaglio individuati da Mengaldo82,
andrebbero aggiunti fenomeni meno studiati che si diffondono ancora
internamente a manifestazioni formali apparentemente tradizionali dei
poeti minori del secondo Ottocento. Compaginazioni di versi isosilla-
bici ritmicamente differenti, di misure versali incompatibili83, segmen-
tazione dei versi grammaticale o a innesco debole84 e cesure collocate in

81. Nelle prime due strofe dell’Orto, su cui cfr. Bozzola (2007a).
82. Specie lungo l’asse dell’eredità novecentesca di D’Annunzio: si veda la sintesi in Men-
galdo (1996b, pp. 223-31). Cfr. inoltre: Mengaldo (2000b, pp. 22-4), sulla rima «dissonan-
te» dei crepuscolari; su cui anche Beccaria (1989, pp. 201-3, su Govoni); e tralasciando gli
interventi metrici sui singoli poeti (Palazzeschi, Govoni ecc.), Mengaldo (1991b).
83. Ad esempio la Aganoor (PMO, p. 1182) alterna novenari dattilici sdruccioli con settenari
piani; (ivi, p. 1181), ottonari e quinari; Zena (ivi, p. 1195) compagina settenari e quadrisillabi;
lo Gnoli (ivi, p. 1199), ottonari, novenari e decasillabi ritmicamente eterogenei ecc.
84. Panzacchi (PMO, p. 1055) «Dunque c’è / qualcuno che ti vince in furberia»; Graf
(ivi, p. 1165) «Verrebbe un corvo alla mia / finestrina»; Aganoor (ivi, p. 1180) «tra due
/ spalle di monte»; Zena (ivi, p. 1117) «sorella luna, se / ci rifulge il miracolo» e (ivi, p.
1117) «Degli scorpioni e delle / biscie notturne a zonzo»; fino all’esibizione della tmesi in
400 sergio bozzola

posizione anomala85 sono tutti espedienti con i quali vengono umiliate


riconoscibili forme e versi tradizionali prima ancora della loro deflagra-
zione dannunziana. Una sorta di «prosa in versi», come ha ben titolato
Girardi (2001), che trova nella lezione del Pascoli post-myriceo un ma-
estro e in qualche caso un compagno di strada. Sono questi i terreni di
coltura di tanta parte della metrica liberata e libera primo-novecentesca,
molto più, crediamo, delle allitterazioni e delle onomatopee messe in
grande evidenza da Contini (1969, pp. 596-7).
Sopravvalutazione continiana che sembra riguardare anche la forma
del poème en prose e probabilmente defluita dalla suggestione della poe-
sia simbolista (ma anche presimbolista) francese. E si capisce: nessuno dei
fenomeni che si sono illustrati sopra manca di essere osservato nella lirica
d’oltralpe da Bruneau (1968) e, per gli anni a seguire, da Bruneau (1958, ii,
pp. 175 ss.). La spinta convergente del lessico da una parte verso la prosa e il
parlato, dall’altra verso il tecnicismo e l’esattezza, è ad esempio osservata in
Hugo (Bruneau, 1968, pp. 16-7, 18-9 e passim), e ritrovata tra i parnassiani
(ivi, pp. 271-2, 328 ss.). Viene altresì più volte rilevata come prevedibile
nei parnassiani, ma già in Hugo e in séguito nei cosiddetti “decadenti”, la
controspinta verso il lessico aulico e prezioso, nella forma dell’arcaismo

De Bosis (ivi, p. 1220) «Palpitano le stelle armonïosa- / mente»; da SD: la tmesi in Tumia-
ti (p. 91 «l’anima langue mesta- / mente»); tagli di verso provocatorî in Saffiotti (p. 164
«la fiamma de ’l / desìo», «de le / acque», «un getto più largo di / acque»), Cavacchioli
(p. 463 «senza fiato, col / tremore dentro li ossi» – come sarà in Montale, ma in rima,
Occasioni, L’anima che dispensa... «Su fili, su ali, al vento, a caso, col / favore della musa»,
in rima con sol nota mus.) ecc. Tecniche tutte che trovano séguito nella poesia del primo
Novecento, via Pascoli e D’Annunzio (Bozzola, 2007c), e che hanno puntuali precedenti
nella poesia francese tra Otto e Novecento (Bozzola, 2009).
85. In questo senso è interessante la tecnica del verso della Aganoor, che anticipa le cesure
mobili del verso doppio gozzaniano: cfr. ad es. Egli ed ella (PMO, pp. 1130-1), 9-10 «poi
rari uccelli e vasi di Tokyo dall’enorme / ventre, dove su fiori di loto un drago dorme»;
22-23 «trattenendo il respiro per non turbarlo. Io pure, / per vie diverse, allora, sorgo»; 29
«non v’incresca d’accogliere il mio voto. Ero sola» ecc. La stessa predilige sovente cesure
in posizione anomala: Finalmente 1-4 (ivi, p. 1175) «Dunque domani! il bosco esulta al
mite / sole. Ho da dirvi tante cose, tante / cose! Vi condurrò sotto le piante / alte, con me;
solo con me! Venite!» (corsivi nel testo); così ancora Panzacchi (ivi, p. 1052) «una bionda
figura / tua. Con agil bravura [...]»; 1054 «alle immobili forme / ride. Sui tasti muoiono»
ecc.; tecnica che si ritrova in Pascoli, Canti, La fonte di Castelvecchio 58-60 «vive la bianca
Matta dei Beghelli / più? desta lei la sveglia mattutina»; La mia malattia 28-29 «che a un
Angiolo bisbiglia che li porti / su, c’era il Requiem [...]»; Il sogno della vergine 25-26 «sì
forse un affanno // c’è, l’ombra di un palpito [...]» ecc.
la crisi della lingua poetica tradizionale 401

«de toute date et de toute nature» (Bruneau, 1958, ii, p. 183) e del greci-
smo (ivi, pp. 258-9); lessico spesso di origine vocabolaristica (Heredia: «la
lecture du dictionnaire de Jean Nicot procure plus d’agrément, de plaisir et
d’émotion que celle des Trois Mousquetaires»)86, proprio come sarà poi in
D’Annunzio87. Nella sintassi, trovano esatti precedenti l’uso dei costrutti
nominali e la loro risoluzione in elenco (Bruneau, 1968, pp. 352 ss.; 1958,
ii, p. 188), nonché la tendenza a dilatare dispositivi retorici fino a scompa-
ginare la testualità (ivi, p. 204 su Maeterlinck88; ivi, pp. 199-200 un es. di
Henri de Régnier che anticipa puntualmente la pratica dannunziana della
proliferazione dei comparanti). Altrettanto sperimentata la tecnica pasco-
liana della frantumazione sintattica e più in generale la sintassi breve (Bru-
neau, 1968, pp. 350 e ss. sui parnassiani; 1958, ii, pp. 199-200 su simbolisti
e decadenti), e casi come: «Le soleil, près de choir, s’est, d’orgueil, arrêté,
/ là-bas, royal encore» (Vielé-Griffin), «Le temps passe. Tout meurt. Le
marbre même s’use» (Heredia), «En décembre. A Paris. – Verte et froide,
la Seine / Sous les ponts lentement roule son eau malsaine» (Bourget), an-
ticipano quasi ad unguem svariati luoghi pascoliani, fino al ben noto attac-
co morettiano di A Cesena89. Così, ancora a partire da Hugo e a seguire in
Leconte de Lisle e parnassiani, vengono documentati procedimenti analo-
gici come sinestesia e parestesia («parfum de langueur», Coppée; «par-
fumé de verdeurs», Leconte de Lisle), enallage («filer les lentes laines»,
Mendès: a suggerire il lavoro lungo e faticoso del filare la lana), scambi di
ruoli tra sostanze e qualità («le bleu du ciel» anziché «le ciel bleu»)90,
umanizzazione del dato paesaggistico o faunistico e cioè slittamento di
aggettivi e predicati propri della persona umana verso referenti animali o
inanimati (già ad es. in Gautier cit. in Bruneau, 1968, pp. 229-30). Quanto
ai precedenti simbolisti dell’analogia complessa, non occorrerà aggiungere
alcunché a ciò che è già ben noto e che trova una sintesi anche troppo sem-
plificata in Bruneau (1958, ii, pp. 193 ss.).
Del resto, già Montale aveva individuato in Hugo l’antecedente fran-
cese della «funzione D’Annunzio» (Montale, 1976, pp. 62 e 68), rico-

86. Cit. da Bruneau (1968, p. 328).


87. Cfr. Martinelli, Montagnani (1979).
88. «M. procède souvent par “développements”; des parenthèses, des points d’exclamation
détachent des notations isolées, qui se suivent sans le moindre souci de logique».
89. Altri precedenti francesi, che si innestano nella filiera pascoliano-crepuscolare della
brevitas sintattica e della paratassi, in Mengaldo (2000c, pp. 20-1).
90. Tutti gli ess. sono cit. da Bruneau (1958, ii, pp. 110-1).
402 sergio bozzola

noscendovi le potenzialità della lingua poetica moderna in tutta la sua


latitudine. Ora, quella consapevolezza scaturiva forse dalla posizione lin-
guisticamente compendiaria degli Ossi di seppia, unita ad un’acuta coscien-
za metalinguistica che il poeta già faceva fruttare nei suoi scritti critici.
In quell’opera viene a cadere la percezione separata dei singoli tratti che
abbiamo individuato in queste pagine e comincia a formarsi una lingua
nuova e compatta, nella quale l’eredità della lingua poetica tradizionale
è come impastata con quanto di nuovo era venuto dai maggiori di fine
Ottocento. Se le tracce della tradizione agiscono nella poesia minore
dell’Ottocento come le rovine rispetto al perduto mondo antico, e «ciò
che è invisibile (o assente) è messo in risalto dalla frammentazione delle
rovine, dal loro carattere ‘inutile’ [...], dalla loro perdita di funzionalità»
(Settis, 2004, p. 85), negli Ossi viceversa esse sembrano il frutto di un’attiva
riappropriazione, sono rifunzionalizzate. Vengono pertanto drasticamen-
te ridotte le presenze diciamo segnaletiche di fenomeni tradizionali, che
nell’Ottocento, ma ancora e massicciamente in Saba, fungevano da indi-
catori di appartenenza: sistoli e diastoli, enclisi libera, condizionali in -ia,
forme di inversione (come l’anticipazione dell’oggetto rispetto al verbo) la
cui coloritura aulica stingeva ormai su uno sfondo di déjà vu. Sono d’altra
parte raccolte e stabilizzate le novità meno effimere dell’eredità pascolia-
na e dannunziana: i frequenti rilanci da D’Annunzio (Mengaldo, 1975); carattere normale,
l’innovazione lessicale pascoliana e in generale i valori dell’esattezza senza NON grassetto

aloni del suo vocabolario; la sintassi breve dello stesso, ma anche e vice-
versa le interminabili volute sintattiche dell’Imaginifico, a contenimento
di una testualità sollecitata nei margini e portata in tensione fin quasi alla
deflagrazione. Viene così a chiarirsi la crucialità degli Ossi di seppia nella
formazione della lingua poetica italiana del Novecento. Il processo che in
essi viene ancora soltanto avviato troverà compimento nelle Occasioni.
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