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scritto
i. Poesia
isbn 978-88-430-7195-1
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Indice
Piano dell’opera 11
Introduzione 13
Premessa al primo volume 23
1. Lirica
di Luca Serianni 27
1. Questioni preliminari 27
2. La fondazione del genere lirico
in Italia 35
3. Dante, Petrarca
e la codificazione del genere lirico 41
4. Il pluristilismo della lirica
tre e quattrocentesca 50
5. Il secolo del petrarchismo tra imitazione,
emulazione e innovazione. Le poetesse 57
6. Le novità secentesche 66
7. Il Settecento:
l’apparente ritorno all’ordine 72
8. La lirica patriottica 77
9. Vari percorsi del classicismo 79
2. Poesia narrativa
di Carlo Enrico Roggia 85
1. Questioni preliminari 85
2. Narrazione in terzine 89
3. Narrazione in ottave 101
4. Narrazione in endecasillabi sciolti 128
5. Innovazioni, persistenze: la poesia narrativa
dall’Ottocento al primo Novecento 140
8 storia dell’italiano scritto
3. Poesia comico-realistica
di Michelangelo Zaccarello 155
1. Questioni preliminari 155
2. Tipologie del testo poetico 165
3. Riflessi linguistici
della trasmissione testuale 170
4. Le voci del comico:
scelte linguistiche e marcatura regionale 173
5. Contro logica e sintassi tradizionale:
effetti di nonsense 177
6. Funzioni allocutive ed elementi performativi:
il rapporto con l’uditorio 180
7. Poesia del corpo: l’autoritratto comico 182
8. Il vituperium e l’invettiva:
poesia cortigiana e occasionale 184
9. Uno sguardo fuori città:
satira del villano e idillio nenciale 186
10. Il mondo alla rovescia:
poesia e miti del Carnevale 188
11. Rivendicazioni municipali, rapporti con il potere
e l’attualità politica 191
4. Poesia didattico-morale e religiosa
di Rosa Casapullo 195
1. Questioni preliminari 195
2. Generi e lingue della poesia didattica medievale 197
3. Frate Guittone 201
4. La lauda 202
5. La lirica spirituale 207
6. Poesia “delle lacrime” e altri generi colti 208
7. La poesia mariana 211
8. Gli Inni Sacri del Manzoni 218
9. Poesia in dialetto e in italiano 220
5. Poesia didascalica
di Matteo Motolese 223
1. Questioni preliminari 223
2. Modelli 226
3. Forme 231
4. Lingua e stile: alcune tendenze di lungo periodo 238
5. Conclusioni 252
indice 9
6. Poesia popolare
di Giuseppe Polimeni 257
1. Questioni preliminari 257
2. Cortocircuiti 262
3. Ragioni metriche 270
4. Funzioni e soluzioni ricorrenti 274
5. Risorgimenti in versi:
il dialogo con la poesia colta nell’Ottocento 285
6. Conclusioni 288
10 Dopo la lirica
di Paolo Zublena 403
1. Questioni preliminari 403
2. Prima del tramonto:
apogeo e declino del codice lirico 410
3. Lessico 415
10 storia dell’italiano scritto
4. Sintassi 430
5. Testualità 441
6. Conclusioni 450
Bibliografia 453
Indice delle cose notevoli
a cura di Marcello Ravesi 515
Gli autori e i curatori 541
Piano dell’opera
Volume i. Poesia
1. Luca Serianni, Lirica
2. Carlo Enrico Roggia, Poesia narrativa
3. Michelangelo Zaccarello, Poesia comico-realistica
4. Rosa Casapullo, Poesia didattico-morale e religiosa
5. Matteo Motolese, Poesia didascalica
6. Giuseppe Polimeni, Poesia popolare
7. Fabio Rossi, Poesia per musica
8. Tobia Zanon, Teatro in versi: commedia e tragedia
9. Sergio Bozzola, La crisi della lingua poetica tradizionale
10. Paolo Zublena, Dopo la lirica
1. Questioni preliminari
Il disegno linguistico di un segmento relativamente breve della lunga storia
della lingua poetica italiana, segmento che nella fattispecie coincide addirittu-
ra con una delle sue fasi cruciali, deve di necessità ridursi a termini certi sia per
così dire in lungo che in largo: delimitando cioè il corpus dei testi in diacronia
e limitandone il genere a quello lirico, che si assume qui quale specimen della
lingua poetica tutta. Con il che non si debbono certo ignorare la sua articola-
zione, appunto, per genera e i conseguenti comparti stilisticamente differenti
che ne hanno da sempre caratterizzato l’evoluzione. Ma è proprio la “purità”
del genere lirico che ne rende sintomatici il dinamismo ed i cambiamenti, i
quali indicheranno a fortiori un cambiamento più generale della lingua let-
teraria tutta, e certo della lingua poetica in particolare. Si possono cioè in-
terpretare i fenomeni prescelti come altrettanti carotaggi, dai quali desumere
ipoteticamente valutazioni più generali. E selettiva deve essere naturalmente
la scelta dei testi, che si allarga (ma con estensione variabile secondo i proble-
mi) dalla Scapigliatura ai primi Ossi di seppia – opera, come è ben stato scritto,
che «riassume e chiude un’epoca» (Mengaldo, 1991a, p. 135) – con i dettagli
che si indicheranno via via nelle note. La rosa dei risultati non sembra potersi
chiudere intorno ad una «lingua poetica della crisi», come è stato possibile
per i simbolisti minori di Francia (Spitzer, 1959) e per gli ermetici (Mengal-
do, 1991a), e come è ben noto per il petrarchismo cinquecentesco. Ma certo
essi disegnano un primo fascio di costanti, pressoché sempre in evidenza e dal
tracciato continuo nel caso dei rilievi fonomorfologici e lessicali; discontinue
ma con sorprendenti riaffioramenti carsici, talora fino al Novecento inoltrato,
nel caso di parte dei fenomeni sintattici, analogici e testuali1.
1. Le antologie da cui si cita sono siglate come segue: PMO = Baldacci (1958); PN =
Mengaldo (1986); SD = Viazzi (1981). Il testo è arricchito dai suggerimenti di Matteo
354 sergio bozzola
Giancotti, Pier Vincenzo Mengaldo e degli amici del Circolo filologico linguistico pado-
vano, dove è stato presentato nel 2013. Sono tutti qui ringraziati.
2. Il largo regesto di Serianni (2009a), e le indagini più specialistiche che si citeranno
in séguito, nelle quali sono spesso oggetto di spoglio e di ricostruzione storica fenomeni
come la prima persona dell’imperfetto indicativo in -a (in realtà comune alla prosa fino al
Novecento e non connotato nemmeno in senso aulico); l’articolo lo dopo per; il dileguo
della labiovelare nelle forme dell’imperfetto indicativo (-ea, -eano, -ìa-, -iano ecc.) ecc.
Una rapida conferma della compresenza di molte delle più tradizionali polimorfie nella
lingua letteraria viene dal Bolide pascoliano (Canti di Castelvecchio), che alterna imperfet-
ti in -a e in -o, e forme del passato con o senza dileguo della consonante intervocalica: v.
4 «Io non t’udiva: udivo i cantonieri», 12 [io] passava, 16 passavo ecc.; 12 battea, 31 sentia
vs. le forme appena cit.; ecc. Sull’alternanza dei due imperfetti in Pascoli, regolata dalla
presenza/assenza del pronome soggetto, cfr. Bocchi (2010). Si aggiunga l’osservazione di
Manfredini (2008, p. 197) sul Libro delle figurazioni ideali di Lucini (1894), in cui ravvisa
in uno stesso testo analoghe alternanze.
3. Nell’ordine: derivati dal nominativo latino (pièta, podèsta ecc.); «i vari collòca, dissìpa,
replìco, supplìco, revòche [...] che direttamente o per analogia, perpetuano esitazioni del-
la pronuncia medievale del latino»; il gruppo delle voci con muta cum liquida (intègra,
funèbre, lugùbri ecc.); la desinenza -ièno per -ìeno (movièno ecc.); grecismi come caòs(so),
oceàno ecc.
la crisi della lingua poetica tradizionale 355
5. Spoglio delle sezioni Ideosimbolisti, esteti, ermetisti e Dal liberty all’Art déco.
la crisi della lingua poetica tradizionale 357
6. Serianni (2009a) ricorda che con l’editore Stella Leopardi insiste perché tutte le prepo-
sizioni articolate risultino in forma analitica nella Crestomazia.
358 sergio bozzola
rìa, verrìa (un caso per tipo) ecc.10 Dallo stesso repertorio queste forme del
condizionale ritornano più frequentemente se si comprende nella ricerca
la librettistica verdiana, per sua stessa natura più conservativa, in quanto
legata con doppio laccio alla tradizione melica e librettistica settecentesca:
I due foscari (Piave) «Ne’ miei nemici infondere / non potrìa la pietà»; La
battaglia di Legnano (Cammarano) «Questo foglio stornar potrìa cotanta
/ sciagura»; Un ballo in maschera (Somma) «darìa la vita a te»; La forza
del destino (Piave) «Alcun potrìa sorprendermi!» ecc. D’altra parte, sem-
bra che lo stesso Carducci scarichi la differenza di potenziale della forma
rispetto alla lingua della prosa, se nella sua poesia «le rare forme in -ria
del condizionale presente [...] si accompagnano alle poco più frequenti in
-rebbe» (Tomasin, 2007, p. 75): se cioè in sostanza non differenzia tipo-
logicamente e distribuisce senza criterio. Il che in un classicista vale come
gesto di liquidazione.
E infatti, si può documentare l’assestamento della forma moderna e
prosastica sia in una pagina come quella che segue di Graf (PMO, p. 1165):
«Andrei moltissimo a spasso, / lavorerei poco o nulla / [...] ne lo trarrei via
bel bello, / [...] lo schiaccerei con un dito, / come si schiaccia un insetto. /
Non aprirei mai un libro; / e metterei da una banda / ogni pensiero [...]»,
dove sembra che il cozzo (preterintenzionale) del residuo poetico ed auli-
co con un linguaggio dimesso, ancora vivo in Betteloni, sia tutto riassor-
bito dal lato colloquiale, nonostante qualche minimo precipitato tradizio-
nale; sia in D’Annunzio (come si è visto), che smisterà verso altri livelli di
lingua e altri fenomeni la sua ricerca spasmodica di separatezza linguistica
e preziosità nella lingua letteraria. Non troviamo riscontri del condiziona-
le in zona novecentesca nel corpus di cui a nota 9; rarissime comparse della
forma nelle sezioni spogliate (cfr. nota 5) di SD (citiamo il solo Guido da
Verona, p. 443 «E parmi che saria troppo dolcezza», nel 1907).
10. Arcangeli (2003, pp. 138-9) tratta del fenomeno nel capitolo dedicato al lessico degli
Scapigliati.
la crisi della lingua poetica tradizionale 361
dunque come tratti di una lingua poetica che marca la propria separatezza.
Ma diverso è il peso specifico di ciascun fenomeno, secondo le modalità
d’uso e i componenti grammaticali che sono coinvolti. I fenomeni della
brevitas, della paratassi e della sintassi nominale incominciano a caratteriz-
zare positivamente, e non più per scarto rispetto alla tradizione, la lingua
poetica della crisi.
tassi» (ibid.), e pertanto, come per altri fenomeni esaminati supra, ciò
che prima connotava genericamente in senso aulico e letterario la lingua
poetica ora si specializza (o piuttosto tende a specializzarsi13) nei Poe-
mi conviviali in funzione della «elevazione stilistica» e della «tensione
straniante» ecc. che ne sono caratteristiche. Soldani (1993) documenta
le «inversioni, gli iperbati e in genere le disposizioni marcate» («nume-
rosissimi» p. 45) con profusione di esempi cui si rinvia. La fenomeno-
logia comprende tutta la gamma delle figure di inversione (anastrofe) e
di dislocazione (iperbato) e delle loro combinazioni. Ne sono coinvolti
i componenti nucleari della frase (verbo, soggetto, oggetto, predicativi),
nonché nessi particolarmente stretti come il complemento di specifica-
zione (p. 54 «sì di capre e sì di buoi nutrice», «m’erano vecchie d’Odis-
seo le gesta»), l’infinito retto da verbo servile o causativo (p. 55 «tornar
nell’ombra io volli», «volsesi e schricchiolar fece»), il predicato nomina-
le (p. 51 «E grande lo stupore era de’ lecci»), fino all’articolo che in più
di un caso è allontanato dal nome, secondo un modulo dallo spiccato
sapore neoclassico: p. 56 «Allora, stando, il pari a un Dio Pelide», «il
morto per amore / bel giovinetto»; o la preposizione: «con tra le mani il
dolce viso», «con sul capo le braccia» (ibid.)14.
La prevedibile, vivace mobilità dell’ordine delle parole in D’Annunzio
dovrebbe essere oggetto di un’indagine sistematica che a tutt’oggi man-
ca. Basterà saggiarne qui la differenza rispetto a Pascoli osservando un fe-
nomeno specifico come la posizione dell’aggettivo rispetto al nome nella
sede dell’interverso (Bozzola, 2007b). Stante la tradizione lirica italiana,
la figura inarcante più tipica in quella sede vede l’esposizione nell’innesco
dell’aggettivo e lo slittamento in rejet del sostantivo (Soldani, 2009, pp.
141-3). Il modulo metrico-sintattico è maggiormente significativo se l’in-
nesco ospita un aggettivo di relazione, la cui posizione è linguisticamente
vincolata alla sede postnominale (D’Addio, 1974, p. 80). La sua disloca-
zione acquista un valore stilistico rilevante15. Diviene pertanto significa-
tivo che tale figura sia rara nel Pascoli di Myricae e Canti, frequente nel
D’Annunzio paradisiaco e alcyonio. Dal Poema ad es.: Hortus conclusus 18-
13. Date le indicazioni di Stussi (1982, pp. 256 ss.) circa la presenza di iperbati e vari generi
di inversioni al di fuori dei Conviviali.
14. Cfr. anche Stussi (1982, pp. 261-2), che porta anche un esempio dalle Myricae e vari
altri dai Canti di Castelvecchio, dai Primi e Nuovi poemetti e altre raccolte.
15. Altro il discorso in presenza di un aggettivo coloristico, spesso impressionisticamente
collocato in posizione prenominale anche da Pascoli (Bozzola, 2007b, pp. 270-1).
la crisi della lingua poetica tradizionale 365
16. Lo studioso dà conto di spogli effettuati su alcuni poeti (pp. 116-7 n.), dichiarando
«rari i casi di tmesi e posposizione nella lirica del primo Novecento, sia tra ausiliare e
verbo principale sia tra verbo servile e infinito»: nessun caso in Gozzano e Montale; un
paio di casi in Ungaretti; altrettanto sporadica l’anticipazione del compl. di specificazione,
che «scompare completamente nella poesia successiva» (a Betteloni). I dati che seguono
integrano e correggono parzialmente questi rilievi.
366 sergio bozzola
zini agli Ossi di seppia del 192817, limitando il sondaggio ai fenomeni che
coinvolgano almeno due versi (o tre e più nei casi che si segnalano infra),
sarà possibile articolar almeno in parte il quadro del fenomeno. Segna-
lando dapprima l’assenza di figure di inversione del sintagma verbale o
di nessi verbali stretti come l’infinito rispetto al verbo servile, causativo o
di percezione. Meno prevedibile, entro i confini grammaticali indicati, la
diffusione e la consistenza dell’iperbato: gli esempi più significativi, este-
si sull’arco di almeno tre versi, sono esclusivamente in Corazzini e Mon-
tale18. Ma non appena si attivano filtri meno selettivi, la matassa dei ri-
sultati ne esce aggrovigliata. Ne isoliamo almeno due fili. a) L’inversione
(da un verso all’altro) del complemento di specificazione: figura che af-
fiora sporadicamente in Corazzini19, Gozzano20, Rebora21, Cardarelli22 e
17. Comprensivo dei seguenti testi elettronici: Corazzini, Dolcezze, Piccolo libro inutile, Ele-
gia; (dall’ed. a cura di S. Jacomuzzi, Einaudi, Torino 1968); Gozzano, La via del rifugio, Col-
loqui (a cura di A. Rocca, Mondadori, Milano 1983); Cardarelli, Prologhi (Studio editoriale
lombardo, Milano 1916) e Viaggi nel tempo (Vallecchi, Firenze 1920); Rebora, Frammenti
lirici (i-x, xxi-xxx, xli-l, lxi-lxx; da Le poesie (1993-1957), a cura di G. Mussini e V. Schei-
willer, Garzanti, Milano 1988); Sbarbaro, Pianissimo (testo del 1914; da L’opera in versi e in
prosa, a cura di G. Lagorio e V. Scheiwiller, Garzanti, Milano 1985); Ungaretti, Il porto sepolto
(testo del 1916, a cura di C. Ossola, il Saggiatore, Milano 1981), L’allegria di naufragi (testo
del 1919, a cura di C. Maggi Romano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano
1982); il Canzoniere 1921 di Saba (a cura di G. Castellani, Fondazione Arnoldo e Alberto
Mondadori, Milano 1981: le raccolte Casa e campagna, Trieste e una donna, La serena dispe-
razione, Poesie scritte durante la guerra, Cose leggere e vaganti, L’amorosa spina); Montale, Ossi
di seppia (testo a cura di G. Contini e R. Bettarini, Einaudi, Torino 1980).
18. Corazzini: Piccolo libro inutile, A Gino Calza 25-28 « Or la luna se ne è andata / con
la sua corte beata / tutta bianca e desolata / a dormirsene nel mare»; Dolcezze, La Madon-
na... 35-36 (in posiz. interstrofica) «s’udì una prece, dolce, un passo umano // lontanare»;
Elegia 9-11 «e voglia, / ad uno ad uno, dalle guance, tutte / bagnate, liberarli»; ivi, 36-38
«possa / domani, ancora, s’io lo voglia, tutte / alla mia bocca renderle».
19. Corazzini, Dolcezze, Ballata della Primavera 12-13 «[...] ché di spine / fatte del mio
buon sangue porporine / come Cristo ho corona ai miei capelli».
20. Gozzano, La via del rifugio, comp. omonimo 125-126 «D’inchiostro / l’ali, senza rin-
tocchi»; L’amica di nonna Speranza 107-108 «[...] di tuo pugno / la data»; ivi, La bella
del Re 61-62 «[...] delle belle / la più bella [...]».
21. Rebora, Frammenti lirici v 3-4 «O di nuvole e vento / errabonde fanfare»; xliv 1-4, in
ampio iperbato: «O dei grilli in cadenza solitària / ai poggi senza stelle / dentro il bagnato
alitare dell’aria / tenui serenatelle!».
22. Cardarelli, Prologhi, Incontro notturno 64-67 (l’inversione è a sua volta parte di un
ampio iperbato in anastrofe tra predicativo e sintagma reggente) «Di questi neutri sog-
giorni, / passaggi alieni della salamandra nel fuoco, / a poco a poco, desolatamente, / della
tua vita tutto il tempo è pieno».
la crisi della lingua poetica tradizionale 367
23. Montale, Ossi di seppia, I limoni 18-19 «Qui delle divertite passioni / per miracolo
tace la guerra»; Corno inglese 8-9 «D’alti Eldoradi / malchiuse porte!».
24. Casa e campagna, Intermezzo a Lina 67-68 «e di tutti i tuoi vezzi / sorridente, mi
guardi»; Trieste e una donna, A mia figlia 5-6 «tu non sei dei sogni / miei la speranza»;
La serena disperazione, Attraversando l’Appennino toscano 8-9 «Del vetturale, di quell’a-
spra terra / serberò la memoria»; Cose leggere e vaganti, Sopra un ritratto di me bambino
5-6 «e d’abbandono / e d’ingenua goffaggine una posa»; Dopo un mese 12-13 «d’una zia,
poi d’un’amica / m’hai tenuto discorso»; Favoletta 3-4 (in iperbato) «e di gemente misera
colomba / quale – oh mio Dio! – fa strazio»; L’amorosa spina, In riva al mare 20-21 «Io
della morte, / non desiderio provai, ma il rimorso».
25. Basti parte degli ess. reperibili nella sola A mia moglie: 29-30 «il collo / volge»; 34-35
«l’erba / strappi»; 36-37 «il mio dono / t’offro»; 40-50 «i denti / candidissimi scopre»;
59-60 «i radicchi / tu le porti»; 63-64 «quel cibo / ritoglierle». La quasi totalità degli
ess. ricavati dal Canzoniere 1921 presenta queste caratteristiche. Qualche es. dalle Poesie
scritte durante la guerra: Vita di guarniglione 43-44 «l’istessa brama / discopre»; Zac-
caria 3-4 «i danni / ristorava dei morbi una capretta»; 12-13 «il tempo gaio / della pace
ricorda».
26. Gozzano, La via del rifugio, Ora di grazia 9-12 «Non la voce così dell’Infinito, / né
mai così la verità del Tutto / sentii levando verso i cieli puri // la maschera del volto»;
In morte di Giulio Verne 9-11 «La Terra il Mare il Cielo l’Universo / per te, con te, poeta
dei prodigi, / varcammo in sogno oltre la scienza»; Sbarbaro, Pianissimo, Nel mio povero
sangue... 10-12 «La femmina che aspetta sulla porta / l’ubriaco che rece contro il muro
/ guardo con occhi di fraternità»; I miei occhi... 1-3 «I miei occhi implacabili che sono /
sempre limpidi pure quando piangono / Amicizia non vale ad ingannare».
368 sergio bozzola
simbolisti, esteti, ermetisti e Dal liberty all’Art déco. Uno spoglio della poesia govoniana in
merito a questo fenomeno in Canobbio (2009).
29. Di «esasperata paratassi» nelle Myricae discorre già Stussi (1982, p. 252), es. Ceppo
1-4 «È mezzanotte. Nevica. Alla pieve / suonano a doppio; suonano l’entrata. / Va la
Madonna bianca tra la neve: /spinge una porta; l’apre: era accostata». Sul fenomeno nei
Primi poemetti cfr. Prandin (1997, pp. 242 ss.): tra gli es. portati, La morte del papa iii 10
ss. «Poi si portò su l’uscio uno sgabello. / Sedé movendo ad ora ad or la bocca. / Aspettò
che venisse il suo gemello»; La messe ii 1-3 «In ogni campo alzarono due tonde / mete di
spighe. Posero per prime / quattro mannelle, le più grosse e bionde». Ivi, p. 244 si discorre
di «oggettivismo descrittivo».
370 sergio bozzola
Effetti che sono spesso l’esito di una puntigliosa rielaborazione, che inter-
viene a tal fine anche nella punteggiatura30.
A partire dallo stesso Pascoli, si registra una figura che passa a D’An-
nunzio (e dintorni) e infine a Montale: una breve enumerazione di verbi
d’aspetto puntuale mima una sequenza di eventi più o meno rapida, scom-
ponendo il processo nella serie dei suoi fotogrammi: Pascoli, Canti, La can-
zone della granata 17-18 «Un vecchio ti prese, recise, / legò»; D’Annunzio,
Alcyone, La pioggia nel pineto 75-79 «Più sordo e più fioco / s’allenta, si spe-
gne. / Sola una nota / ancor trema, si spegne, / risorge, trema, si spegne»; ivi,
Le madri 35-37 «Taluna / esce del mucchio, annusa / l’acqua, s’abbevera len-
ta»; e quasi interamente L’onda, che presenta accumuli paratattici di verbi-
frase, alternando contrazione e dilatazione sintattica (vv. 40 ss. «L’onda si
spezza, / precipita nel cavo / del solco sonora; / spumeggia, biancheggia,
/ s’infiora, odora, / travolge la cuora, / trae l’alga e l’ulva; / s’allunga, / ro-
tola, galoppa» ecc.). In SD si documenta la figura in un arco che corre dal
1902 (primo es.) al 1924 (ultimo): Saffiotti «saliva diminuiva irrompeva
si estingueva / l’orchestra de le acque e delli alberi» (p. 164); Moscardelli
«Il gocciolìo dilaga assilla freme e tace» (p. 547); «cado rimbalzo mi al-
lungo / m’inalzo torno riparto» (p. 548); Sinadinò «Spumeggiano, spril-
lano, squillano, crosciano / gli architravi» (p. 144). Si aggiunga Rebora,
Frammenti lirici viii 8-9 «S’io dorma, prepari, affatichi / discorra, divori il
mio pasto». Un passaggio gozzaniano: I colloqui, Le due strade iv 7 «D’un
balzo salì, prese l’avvio»; dà l’abbrivio al dilagare di questa tecnica già nel
primo Montale31: Ossi di seppia, Minstrels 19-21 «Scatta ripiomba sfuma, /
poi riappare / soffocata e lontana: si consuma»; Egloga 15 ss. «Brucia una
toppa di cielo / in alto, un ragnatelo / si squarcia al passo: si svincola / d’at-
torno un’ora fallita. / È uscito un rombo di treno, / non lunge, ingrossa.
30. Si veda Nava (1974, i, p. lvii e passim) e Mengaldo (1987a, pp. 107-9).
31. Una descrizione più ampia dello stilema nella poesia montaliana in Bozzola (2006,
pp. 57 ss.)
la crisi della lingua poetica tradizionale 371
Uno sparo / si schiaccia nell’etra vetrino»; Flussi 16-17 «Brilla in aria una
freccia, / si configge s’un palo, oscilla tremula».
Dentro e fuori codesta funzione descrittiva, la sintassi breve, se coadiu-
vata da altri livelli linguistici (il lessico, una certa idiomatica colloquiale,
versificazione senza norma e prosastica ecc.), sortisce l’effetto di uno svi-
limento dello stile, portato verso la sprezzatura e il parlato. Fenomeno già
ben consolidato nell’Ottocento: da Graf (scegliendo tra i non pochi riscon-
tri) PMO (p. 1161) «Bada: tu vedi: son magro»; ivi (p. 1164) «E basta. Che
c’è bisogno / d’altro?»; ivi (p. 1161) «allora non ero solo. // Adesso sì. Non
importa»; ivi (p. 1163) «Vecchio e finito. – Dio buono!»; alla Contessa
Lara, ivi (p. 1125) «Ecco, son qui. Lo attendo»; ivi (p. 1126) «Io sbadiglia-
vo. Ei con pupille intente [...]». Per dilagare poi nel primo Novecento: Co-
razzini (PN, p. 38) «Oh, io sono, veramente malato! / E muoio, un poco,
ogni giorno. / Vedi: come le cose. / Non sono, dunque, un poeta»; Buzzi
(ivi, p. 142) «È l’ora del mortorio. / Si muove. Avanza. Il prete, zoppo. / Il
carro pare che zoppichi coi cavalli»; e proverbialmente Moretti (ivi, pp.
179-81 e passim): «Piove. È mercoledì. Sono a Cesena / [...] Tu mi sorridi.
Io sono triste. E forse / triste è per te la pioggia cittadina [...] / Piove. S’avvi-
cina / l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi»32 (e già De Maria, SD, p. 453,
nel 1909 «Piove. Folgora»); vi si aggiungano ancora Bontempelli (ivi, p.
424) «Scivolo. Corro. Mia / questa goccia. Questa, mia. / Qui stiamo in
cento»; e il Canzoniere 1921 di Saba: Casa e campagna, Dopo la vendemmia
1 «La campagna è deserta»; 43 «Sono sincero chiedendoti questo»; L’ar-
boscello 1 «Oggi il tempo è di pioggia»; L’amorosa spina 6ª 9 «Nulla dirò.
Dirò a me stesso invece: / questa è poi la tua meta?».
La brevitas sembra in questi casi la via sintattica della simulazione del
parlato33. E infatti affiora anche nei testi in cui compare il discorso diret-
to o che mimano il dialogo stretto, come già Panzacchi (PMO, p. 1055):
«– Silenzio, è qui. –Tuonan due colpi. – Evviva! – / Corre il bifolco e
brontola: – Accidenti! –»; la Contessa Lara, ivi (p. 1125): «Mi sussurrò:
– Domani? – Ed io: – Domani»; Corazzini (PN, p. 39): «– Oh, Sorelle,
e, se non torna, / che faremo? [il sole] / – Se non torna, aspetteremo. /
– Come è gelido il convento. / – È più gelido il mio cuore». L’irruzione
del discorso diretto nel testo lirico conosce ben altri casi, che qui si trala-
32. Sulla sintassi breve e sul dialogato in Moretti cfr. ancora Coletti (1975, p. 445).
33. Così già Prandin (1997, p. 244) a proposito di Italy nei Primi poemetti. Interamente
dedicato alla sintassi del parlato nelle Myricae è Da Rin (1997).
372 sergio bozzola
34. Oltre ai più noti testi pascoliani (Canti, The hammerless gun 11-13; Primi poemetti,
Italy, passim), si aggiungano: Nuovi poemetti, La morte del Papa, passim; ivi, La vendem-
mia Canto primo; Poemi conviviali, Il poeta degli Iloti i 35 ss. ecc.; e si ricordino anche di
Palazzeschi Visita alla contessa Eva Pizzardini Ba, lirica interamente costituita da un dia-
logo a battute brevi; e L’incendiario, in cui si alternano lunghe serie di discorso diretto (la
vox populi che commenta anonimamente) e parti narrative; fra i testi di SD cfr. Scaglione,
Le favole (pp. 504-8, nel 1911), da cui ad es. «– ma che, dimmi, hai paura?... – eh! – paura
– paura... – / paura... io... non so – hai tu paura, tu? – / ma paura di che...»; Crociato, Il
messaggio de la Morte (p. 529, nel 1912) «– Telegrafate! / – Signora, che dite? / – Telegra-
fate!! / – A chi? / – A tutti i miei parenti, a tutto il mondo!». Qualche altro dato e un
inquadramento metodologico sull’oralità simulata in versi in Serianni (2005b, p. 30-1).
35. Ibid.: «Non sono vittorioso che in certe fulminee ricapitolazioni. [...] »; e ancora, ivi,
Fuga 1-2 «Brevi sono le forme / che il caos inquieto produce».
la crisi della lingua poetica tradizionale 373
36. «Che cosa mi colpisce oramai! / Un velo d’ombra di mare / sui monti lontani, / un
lembo di nuvola tutelare. / Ma basta levare la testa. / Le cose non stanno che a ricordare.
/ Il mondo è abitato dalle nostre memorie. / Piano piano, i minuti vissuti, / fedelmente li
ritroveremo. / Coraggio, vediamo».
37. Limitiamo la descrizione a questo àmbito semantico, relegando in nota o lasciando
nel nostro schedario i documenti di sintassi nominale aventi funzioni o ragioni semanti-
che differenti. L’insieme di tali materiali è assai ampio e dimostra la diffusione e la stabilità
di questo fenomeno nella lirica tra Otto e Novecento.
38. Per due intere quartine: «Tre pianeti sull’azzurro gorgo, / tre finesttre lungo il fiume
oscuro; / sette case nel tacito borgo, / sette Pleiadi un poco più su. // Case nere: bianche
gallinelle! / Case sparse: Sirio, Algol, Arturo! / Una stella od un gruppo di stelle / per ogni
uomo e per ogni tribù».
374 sergio bozzola
zio, Alcyone, L’ulivo 9-12 «Esili foglie, magri rami, cavo / tronco, distor-
te barbe, piccol frutto, / ecco»; Meriggio 55-56 «Bonaccia, calura, / per
ovunque silenzio» ecc.39, Intra du’ Arni vv. 1, 25 e 5040. Approdando al
nuovo secolo il costrutto trova conferme continuative ad es. in Marrone
(SD, p. 136) «Pallido d’ametista, / in lontananza, il cielo»41; Govoni: Ne
la corte 1 ss (PN, pp. 9-10) consta dell’elenco degli oggetti che abitano il
contesto indicato dal titolo, di cui rappresentano dunque la predicazio-
ne, oggetti e robaccia senza più l’altezza e la rarefazione delle descrizioni
dannunziane: «Dei cocci gialli. Un vaso vuoto. Un fiale / che à vomita-
to. Dei fogliami bruni» ecc.42 Così a seguire Palazzeschi (PN, pp. 75-6),
«Bella sera luminosa! / Fresca, di primavera. / Pura e serena»; Coraz-
zini, Toblack 1 (ivi, pp. 29-30), ancora per l’intero sviluppo della poesia:
«portoni semichiusi, davanzali / deserti, qualche piccola fontana / che
piange un pianto eternamente uguale / al passare d’ogni funerale, / un
cimitero immenso, un’infinita / messe di croci [...]»; Moretti (PN, p.
170) vv. 21-22 «Giornata grigia. Piove: / giornata grigia e stolta»43; Fol-
gore, a profusione (con una tendenza all’elenco informe, su cui si torna
infra)44: «Nero. Più nero. Troppo nero. / Moka. / [...] Gli occhi smisu-
rati in ridda / dietro profili di cose strane. / Benessere. / Strappo acuto.
/ Forse vertigine» (PN, p. 242), «Una montagna enorme, [...] / Una
casetta / perfetta, [...] / Un uomo e una donna [...] / Un’ombra che va ce-
lere. / Un profilo che nel buio si culla. / Una linea esigua. / Un punto. /
Nulla» (ivi, p. 240) ecc.; Cardarelli, Viaggi nel tempo, Largo serale 4-10
39. Riecheggiato in Sogni di terre lontane, Le carrube 5 «Bonaccia, e nel saffiro non è
nube».
40. Dunque ancora con marcata funzione architettonica, come già la sintassi breve: la
frase nominale al v. 1 «Ecco l’isola di Progne» viene ripetuta (con variatio nella prima ri-
petizione) nelle sedi indicate («Ecco l’isola molle», «Ecco l’isola di Progne»), a scandire
inizio centro e fine della lirica.
41. E cfr. ibid. (in ordine cronologico) Malfettani 108, Lucini 16, Guglielminetti 482,
Altomare 1912 (l’intero testo), Guido da Verona (444 e passim: sintassi breve e nominale
lungo l’intero testo).
42. Ancora in Govoni, una serie di sintagmi nominali sviluppa il titolo (Le cose che fanno
la domenica, PN, p. 14), con il quale si pone dunque in stretta relazione sintattica: «L’o-
dore caldo del pane [...]. / Il canto del gallo nel pollaio. / Il gorgheggio dei canarini alle
finestre. / L’urto dei secchi contro il pozzo [...]» ecc.
43. E ivi, 1-3 «Ha smesso il lutto. Una vestina chiara. / Beethoven, terza pagina. Un sor-
riso / nell’ombra»; e di séguito (vv. 9-12) «Un fruscìo di quaderni. / L’agilità di tocco / di
un’allieva. Uno sciocco / esercizio di Czerny».
44. Sul fenomeno cfr. Mengaldo (1986, p. 237).
la crisi della lingua poetica tradizionale 375
mente nella poesia crepuscolare, e non per caso: la descrizione, nella sua
dimessa tonalità provinciale e piccolo-borghese, rappresenta tutto ciò
che può offrire un soggetto desublimato; lirica e linguaggio poetico con-
sistono in essa e in nient’altro più. Se ne ha riscontro in Moretti, il cui sti-
le nominale, tendente a «stanchi e interminabili “rosari d’immagini”» è
stato illustrato da Coletti (1975, p. 457). L’approdo gozzaniano di questa
figura concomita con lo scollamento tra i realia oggetto della descrizio-
ne e la prospettiva del soggetto, che se da una parte marca la separatezza
dal rappresentato, dall’altra non è più in grado di trascenderlo: poiché
quella realtà non ha alcuna contropartita, l’ironia che ora pàtina l’elenco
non si rovescia in parodia. Ecco dunque gli elenchi noti della Signorina
Felicita 48 e dell’Amica di Nonna Speranza (ivi, pp. 118-9, inizio di com-
ponimento): «Loreto impagliato ed il busto d’Alfieri, di Napoleone / i
fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto), // il caminetto un po’
tetro, le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalle campane
di vetro, // un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve, / gli oggetti
col monito, salve, ricordo, le noci di cocco» ecc. Dove, si aggiunga, l’ef-
fetto stilistico dello sliricamento è supportato dall’ineguagliata tecnica
del verso composto, nel quale la cesura metrica viene continuamente
scavalcata dalla sintassi e le misure degli emi-versi continuano a variare
(cenni su questo e fenomeni simili infra).
La figura elencativa, in questa forma, trova uno sviluppo particolar-
mente vivace nei primi lustri del secolo: da SD (p. 533) si veda ad es. Calen
di Morte di Valsecchi (1914) «Finestre cieche. Paraventi chini. / Tavoli
zoppi. Mobili incantati. / Mummie di fiori. Teschi di bambini» ecc. (con-
tinua nelle due strofe segg.), descrizione di un interno grottesco; e si giun-
ga a Soffici, Atelier 19 ss. (PN, p. 344): un interminabile elenco di oggetti
e situazioni, sviluppo forse dell’invocazione ai vv. 16-17: «Lasciate le cose
gli uomini i paesi / venire a me», a descrivere come in un’ékphrasis ciò che
si dipinge e l’atelier stesso che ospita i quadri: «Bottiglie di tutti i liquori
scritti sull’etichetta / Sher Tvui Césa / Un fico dottato / Cocomeri che
marman la bocca / Tetti vermigli riposo d’amore all’ombra dei frascami
d’estate / Fiaschi di vino giocattoli giornali / Corpi nudi fioriti d’affiches
/ Cirque Médrano / La Gaîte-Rochechouart» ecc. (altro elenco nella su-
48. Cfr. ad esempio PN, p. 105: «Ercole furibondo ed il Centauro, / le gesta dell’eroe
navigatore, / Fetonte e il Po, lo sventurato amore / d’Arianna, Minosse, il Minotauro, /
Dafne rincorsa, trasmutata in lauro / tra le braccia del Nume ghermitore».
la crisi della lingua poetica tradizionale 377
ite dei vv. conclusivi). Si chiude con il Frammento vi di Rebora, che però
fa caso a sé, poiché la serie dei sintagmi nominali, variamente arricchita
e complicata da frasi subordinate, traduce metaforicamente o parasino-
nimicamente l’espressione del verso di apertura, alternando designazioni
concrete e astratte, fisiche e morali, in ciascuna coppia di versi (Martigno-
ni, 1999, p. 845): «Sciorinati giorni dispersi, / Cenci all’aria insaziabile: /
Prementi ore senza uscita, / Fanghiglia d’acqua sorgiva: / Torpor d’attimi
lascivi / Fra lo spirito e il senso; / Forsennato voler che a libertà / Si lancia
e ricade, / Inseguita locusta tra sterpi; / E superbo disprezzo / E fatica e
rimorso e vano intendere» ecc. Qui e nel passo che precede di Soffici, la
dilatazione della figura, e in Rebora la distanza crescente del tertium com-
parationis, tendono a slogare la testualità (cfr. par. 6.1).
4. Lessico
Il duplice processo di dissoluzione del patrimonio lessicale tradizionale e
di arricchimento del vocabolario poetico nel corso dell’Ottocento è stato
sufficientemente chiarito e documentato dagli studi linguistici e sarà per-
tanto qui esemplificato in parte con dati e risultanze note. Si procederà
ordinando dapprima la pars destruens relativa alla decadenza e caduta del
lessico poetico tradizionale (par. 4.1); facendo quindi seguire l’illustra-
zione delle principali novità del lessico poetico ottocentesco e primo-no-
vecentesco (par. 4.2).
(elencati ad esempio da Elwert, 1970, pp. 106-8 – anche se con una certa
larghezza)49, vengono progressivamente meno a favore della controparte
prosastica e comune.
Per comprovare tale processo si può campionare dagli spogli di Arcan-
geli (2003, pp. 19 ss.) La rubrica che li raccoglie viene però qui delimitata
ai soli «petrarchismi», che a differenza delle voci dantesche sono appunto
il segno di appartenenza ad una tradizione (laddove un dantismo tende
piuttosto ad avere valore citazionale). Si prenda aere: la voce trova una
manciata di attestazioni tra gli Scapigliati (ivi, p. 91) ed una «fittissima
documentazione nella tradizione poetica fino a tutto l’Ottocento», no-
nostante la sanzione prosastica manzoniana, che ne elimina le tre occor-
renze ventisettane. Del suo statuto poetico è già traccia in Rigutini-Fan-
fani (GDLI s.v.: «alla prosa gli è inutile»). Alcuni residui novecenteschi
(VPIN: un’occ. in Moretti e una in Saba; GDLI: ess. fino a Carducci50)
ne comprovano la caduta. Vi accostiamo aura, discretamente attestata ne-
gli Scapigliati (insieme ad auretta: Arcangeli, 2003, p. 97) e stabile «fino
al primo Novecento» (Serianni, 2009a, p. 55; VPIN elenca Palazzeschi,
il secondo Ungaretti, Saba, il Montale degli Ossi, Quasimodo). Di alma,
ancora significativamente presente tra gli Scapigliati (Arcangeli, 2003, p.
92), è già documentata da Serianni (2009a, pp. 101-2 e 251) la rapida deca-
denza tra Otto e Novecento. La voce è infatti attestata nell’Ottocento solo
da Cesare Arici, Leopardi e Nencioni nel GDLI, e già sostanzialmente ri-
gettata da Pascoli (anche dalla sua parte classicista, che ha soltanto almo:
Soldani, 1993, p. 139) e da D’Annunzio (Serianni, 2009a); un ritorno nove-
centesco (vedi caso) solo in Saba (VPIN: «alma impaürita»). Lo statuto
poetico dell’antico provenzalismo augello è già un fatto in Leopardi, che
lo usa nei Canti precedenti (ad es. nel Bruto minore) e successivi alle Ope-
rette (dov’è sempre uccello – cfr. ad es. La quiete). La voce ha una buona
diffusione nel pieno Ottocento (Arcangeli, 2003, p. 96 seleziona Praga,
Tarchetti, Aleardi, Carducci, D’Annunzio), e un ritorno, ma nel primo
caso in controcanto, all’inizio del Novecento (VPIN: Gozzano «gementi
il core e l’augello», corsivi nel testo; Moretti). Del ventaglio di voci che
49. Nella lunga elencazione dello studioso isoliamo: anima/alma, uccello/augello, bello/
vago, vezzoso, vento/aura (o semmai aria/aura), speranza/speme, dolore/doglia, duolo, allo-
ro/lauro, ricordarsi/sovvenire, rimembrare, membrare.
50. Seguiti da un riferimento prosastico di Baldini, con evidente funzione citazionale
(«Città piena di civiltà e di gentilezza, d’aer benigno»).
la crisi della lingua poetica tradizionale 379
si apre intorno al poetismo desio (di-, desire, di-, desiare, di-), di statuto
poetico già cinquecentesco (Arcangeli, 2003, p. 101) e ancora diffuse tra
gli Scapigliati (ibid.) e l’Otttocento lirico, Serianni (2009a, p. 67 n) scrive
di una significativa persistenza nel primo Novecento (Corazzini, Michel-
staedter, Rebora, Cardarelli, Saba) – cui aggiungiamo dal VPIN Govoni e
Moretti51. La voce speme doveva ormai portare un inconfondibile accento
leopardiano sovrapposto alla sua antica appartenenza poetica: Arcangeli
(2003, p. 117) ne documenta la diffusione ottocentesca dagli Scapigliati
«fino all’Ottocento inoltrato», con sporadici rigurgiti novecenteschi
(VPIN elenca Cardarelli, dal testo delle Poesie del 1958). L’elenco potreb-
be allungarsi ancora, ma inutilmente52, se la costante che se ne deriva è la
puntuale rarefazione (se non proprio scomparsa) di queste voci nel Nove-
cento, sigillata dalla prima edizione degli Ossi di seppia (dove, eccetto aura,
non occorre più nessuna delle voci citate).
51. Cfr. Coletti (1975, p. 430), che cita desio in una serie di voci poetiche tradizionali di
Moretti: pondo, duolo, chiome, tèma, oblìo, terrifico, cerulo ecc.
52. Si rimanda ancora ad Arcangeli (2003, pp. 56-7) per l’esemplare vicenda di arbore,
che si specializza come poetismo proprio fra Sette e Ottocento, resiste fino a D’Annunzio
dove tuttavia concorre con la variante comune, scompare nel Novecento maggiore (nes-
suna attestazione in VPIN); e si consultino di séguito bambolo, prence ecc., voci tutte che
sembrano conoscere nel periodo in esame una specializzazione poetica e insieme una rapi-
da decadenza. Sulle resistenze primo-novecentesche di lessico e altra paccottiglia tradizio-
nale cfr. anche Beccaria (1971, pp. 79-81). Da SD (sez. cit. a n 5) recupero un manipolo di
schede che attestano da una parte la resistenza, dall’altra l’esiguità numerica degli aulicismi
nei primi due decenni del Novecento: desì(r)o, -are ed eventualm. di- corrono da Lucini
1894 a Bongioanni 1924 con relativa continuità: Morasso 1894, Quaglino 1896, Varaldo
1897, Lipparini 1898, Saffiotti 1902, Canudo e Valenti 1906 (nel secondo addirittura di-
sianza), Rino, Vallini e Guglielminetti 1907 (desiosamente nella poetessa). Rispondono
a mode carducciane e dannunziane forme come guatare (Toscano, Scaglione, Sinadinò),
leuto (in più di un caso dieretizzato: Borzaghi, Morasso). In Tumiati 1897 addirittura rai,
in Morasso (1894) aure.
380 sergio bozzola
53. Si veda ad es. il giudizio su Berchet (De Lollis, 1929, p. 38), e nella stessa falsariga i
giudizi su Prati (p. 55), Mamiani (pp. 91-2), fino allo stesso Carducci (p. 99). E cfr. ancora
Beccaria (1971, pp. 62-3). Vi si aggiunga Serianni (2013b, pp. 216-7).
54. Vi si aggiunga Elwert (1970, pp. 125 ss.), a commento della romanza Era un giorno di
festa nelle Odi barbare, tematicamente liricheggiante, ma piena di termini correnti: «gior-
no e non dì, nuvole, non nubi, bianche non candide, chiesa non tempio, panche non seggi o
sedili, e poi: l’afa, la chiesa lombarda, le bifore, la porta arcuata, il granito, il rumor, la piazza,
le canzoni e perfino i muggiti».
la crisi della lingua poetica tradizionale 381
55. Tomasin (2007, p. 125) «Emerge [...] una linea evolutiva, diacronicamente tracciabile
nella sequenza delle raccolte, che testimonia di un rapporto sempre più libero e autonomo
con i modelli della tradizione».
56. In margine alla seconda edizione dei Canti di Castelvecchio, l’appendice cit. a nota 4.
382 sergio bozzola
57. Citando gli autori, ci si riferisce sempre ad opere uscite a stampa prima del 1928.
58. Anche Girardi (2001, pp. 8-9) segnala in Emilio Praga la presenza di nomenclature
precise di piante (betulle, noce, platani), animali (capinero, tordi, rane), e di linguaggi spe-
ciali della scienza, della medicina (fosforo, microscopio, autopsia, feto) e della finanza (cedole,
buoni del tesoro).
la crisi della lingua poetica tradizionale 383
59. O ancora, pp. 709-10: re di macchia, fiorrancino, calandra, carpino, madreselva, vital-
ba, mortella ecc.
384 sergio bozzola
60. Beccaria (1971, p. 91) elenca termini botanici usati da Govoni: «accanto a gigli e
rose, abbiamo iris, mughetti, primule, garofani, lilla, gelsomini, mente, tulipani, peonie,
magnolie, gardenie, ortensie, azalee»; anche se stornati dallo studioso verso D’Annunzio
(p. 92 «culto estetistico della parola»).
la crisi della lingua poetica tradizionale 385
5. Forme dell’analogia
Anche sul piano semantico si viene progressivamente a smagliare, tra Otto
e Novecento, il tessuto convenzionale della lingua poetica tradizionale. Il
processo consiste nella torsione della lingua verso iuncturae ed usi seman-
tici rari o nuovi e non autorizzati dalla “grammatica” della lingua. Un buon
osservatorio di tali processi è rappresentato dall’analogia. Vi si considerino
62. Così anche nelle Canzoni di Re Enzio, nelle quali Pascoli «ricrea [...] il clima lingui-
stico della Bologna comunale, prelevando vetusti arcaismi tramontati nei secoli preceden-
ti» (Serianni, 2009a, p. 253, che cita: cavelli, dolze, meo, Deo, elli ecc.)
la crisi della lingua poetica tradizionale 387
compresi tutti i fenomeni che agiscono in senso lato sul valore semantico
dell’espressione: dalla metafora e dintorni (metonimia, sineddoche, sine-
stesia ecc.), alla comparazione. Entro questa vasta rete di procedimenti,
distinguiamo i dispositivi semplici, che generalmente comportano un solo
spostamento di senso (o riguardano la comparazione nella sua forma ele-
mentare); da quelli combinati, in cui ne convergono due o più.
63. L’unico caso accostabile a questo è Carducci, cit. ivi e glossato ‘proiettare una luce
fioca’: «Oh quei fanali come s’inseguono / accidiosi là dietro gli alberi / tra i rami stillanti
di pioggia / sbadigliando la luce su ’l fango». Gli altri ess. sono riconducibili al processo
del dire, proferire ecc. eccetto gli ess. comunque coevi di Tommaseo («s. quattr’anni di
legge»), Dossi («s. il mio primo anno di liceo»), Giusti («s. il momento di tornare a
Firenze»). Vi si aggiunga Rebora, Frammenti lirici xxiv 22-23 «al flaccido baglior ch’e-
stenuato / da fanale a fanale sbadiglia».
388 sergio bozzola
64. Nel Novecento, Campana, Canti, L’invetriata 8 (PN, p. 282) «la sera si veste di vel-
luto».
65. Dello stesso genere sono ad es. il «canto giallo» di Morasso (SD, p. 29), il «cerulo
canto» di Toscano (ivi, p. 152), le «note rosse» di Moscardelli (ivi, p. 547).
66. La frizione tra soggetto e predicato, sostanza e qualità ecc. può in realtà scaturire da
fattori molto vari, che non si possono qui raccogliere esaustivamente. Si aggiunga solo
almeno qualche caso. Un predicato che transita su un oggetto astratto, dovendo selezio-
nare grammaticalmente un oggetto concreto: Cardarelli, Prologhi, Incontro notturno 69
«e ciascuno mordeva il suo silenzio»; cui si allineano Bontempelli, Nervi 17-18 (PN, p.
425) «e le gengive ti sanguinano / masticando le nuvolette del veleno dolciastro»; e Un-
390 sergio bozzola
garetti, Porto sepolto, La notte bella 14-15 «Comparso allo spazio / l’ho morso / come un
neonato»; ancora un verbo che seleziona un soggetto ed un oggetto grammaticalmente
impropri e dunque forzati metaforicamente: Rebora Frammenti lirici, O poesia 10 «[il
lucido verso] strizza ferite sul cuor della terra» ecc.
67. L’immagine sembra la versione contratta della comparazione carducciana in San
Martino (gli stormi di uccelli neri come pensieri esuli).
la crisi della lingua poetica tradizionale 391
«Come l’Estate porta l’oro in bocca, / l’Arno porta il silenzio alla sua
foce»; Campana (PN, p. 283) «[io vidi svanire i colli di Spagna] Come
una melodia: / D’ignota fanciulla sola / Come una melodia / Blu, su la riva
dei colli ancora tremare una viola...» (dov’è ambigua anche la sintassi); e
Cardarelli, Prologhi, Tempi immacolati 29-30 «ho ricevuto l’ignoto / tre-
pestìo delle sorprese». Si rimanda per il resto al par. 5.2. Da questo pae-
saggio proiettivo e umanizzato si stacca di netto il primo Montale, che ne
ri-oggettiva l’alterità rendendolo, come è noto, con fotografica esattezza.
Nulla di elegiaco e piangente, negli Ossi, semmai marine e coste riarse, il
mare in calma piatta o tempestoso, nei quali il soggetto può eventualmen-
te rispecchiarsi, mai identificarsi o confondersi.
68. Lo stesso dispositivo sarà ripreso da Rebora (su cui infra), Frammenti, Al tempo... 49-
50 (PN, p. 265) «a un bronzeo inquietamente / fèrvere d’api».
la crisi della lingua poetica tradizionale 393
69. Cfr. dello stesso Fiale, Crepuscolo 3-4 «il vento è un incrinarsi di cristalli / sopra uno
stagno intricato di mazze»; Poesie elettriche, Il giardino 8-12 «L’ultimo fulmine, laggiù, /
come un pagliaccio infarinato / su una scoppiante bicicletta / ha percorso / il taboga di
vetro dell’arcobaleno».
70. E ancora Buzzi, Versi liberi, Il mortorio di Bibia 26-27 «i loro nervi [dei mendicanti]
ballano / sotto l’archettata d’uno spasimo».
71. La lirica rappresenta un passaggio psichico dalla canicola (con il suo corredo di atonia,
devitalizzazione ecc.) ad uno stato di rifioritura e nuovo slancio. La svolta è preannunciata
dal v. 25: «Ma chi nel borro impeciato / sorger libero e terso mi vede...?», e si libera dai
versi che cito, che metaforizzano un figurato non identificabile (ma Mussini e Giancotti,
2008, p. 436 lo identificano nell’Eterno).
72. Già abbozzata da Spezzani (1972, pp. 105-7, con rilievi precisi anche su Pascoli e D’An-
nunzio, e passim).
394 sergio bozzola
(Maggi Romano, 1982, p. 22, Prato), ad es., se indica il calare della bruma
mattutina, ripropone un’analogia non lontana da un passo cit. supra di
Zena, e rilancia una figura analoga e maggiormente elaborata del Porto
sepolto, Nostalgia 7-10: «[quando la notte è a svanire] su Parigi s’adden-
sa / quell’oscuro colore / di pianto / che ci disfa gli edifizi»; analogie
dunque complesse, ma ancora interpretabili per la presenza di richiami
contestuali al verbum proprium. Com’è ancora il caso di Allegria, Alba
(Maggi Romano, 1982, p. 65) «Zampilli / di matasse radiose / spioventi
/ in masse sinuose / di perle», che diventa interpretabile grazie al segna-
le del titolo, che ne denota il referente; o di Porto sepolto, La notte bella
1-4, che intreccia ai figuranti indizi molto chiari e rende così intelligibile
la pericope: «Quale canto s’è levato stanotte / che intesse / di cristallina
eco del cuore / l’illuminazione del cielo?»73.
Gli sviluppi più radicali di queste tecniche largheggiano nel campione
di testi che abbiamo scelto. Si veda ad es. Porto sepolto, A riposo 8-10 «Si
dilatano le montagne / in sorsi d’ombra lilla / e vogano col cielo», dove, se
si possono intuire i riferimenti generali (uno scenario paesaggistico), sono
evasivi e polivalenti i particolari analogici (sorsi d’ombra, vogano) e la loro
motivazione; o ancora, Allegria, Ritorno (ivi, p. 12, dove è citata l’intera
poesia):
6. La testualità debole
Tutto quanto si è fino a qui documentato ai livelli sintattico e analogi-
co concorre ad indebolire la coesione testuale: il testo poetico, da unità
argomentativa compatta e concludente, tende a diventare un coacervo di
motivi dai nessi interni deboli o opachi, e a sbiadire i segnali di inizio e
fine74. Tra Otto e Novecento l’allentamento della coesione è determinato
principalmente dalla tendenza del testo a risolversi in elenco (par. 6.1); e
dalla dispersione centrifuga dei dettagli, che oscura la linea argomentativa
portante del testo (par. 6.2). Nel primo caso la sintassi tende ad assecon-
dare la figura semantica, disponendosi in membri brevi e tendenzialmente
nominali (cfr. par. 3.4, punto b); nel secondo caso essa tende viceversa
a controbilanciarne l’effetto, arginandone la dispersione e garantendo la
tenuta del testo.
6.1. Enumerazione
I casi in cui tale struttura semantica si risolve in sintassi nominale sono
stati esaminati nel par. 3.4. Ma in quella sede il fenomeno sintattico non si
esauriva in quello semantico, e vi sono discussi esempi di sintassi nominale
non elencativa. Qui viceversa si trattano casi di elencazione non necessa-
riamente o solamente risolta in sintassi nominale. La non totale sovrap-
ponibilità delle due serie scaturisce dal fatto che l’allentamento coesivo ha
anche una ragione specificamente semantica, che consiste nella debolezza
74. Così in Pascoli l’attacco (già foscoliano) con congiunzione copulativa (Myricae, Le
femminelle «E dice la rosa alba: Oh! chi mi svelle?»; Canti, Il gelsomino notturno «E
s’aprono i fiori notturni»), gli explicit sospesi (Myricae, L’assiuolo «chiù...»; Un gatto
nero «t’apre i suoi verdi occhi...»), addirittura – e per così dire – tagliati (ivi, Mezza-
notte finisce «come una pupilla», cui segue Il gatto nero che incomincia «aperta»), o
interrogativi (ivi, Paese notturno «Una fronte / bianca di sfinge?»). Da SD (pp. 499
ss.) si può documentare la precoce sperimentazione di Scaglione (1911), ... dal ‘Viaggio
intorno alla mia camera’, in cui titolo e testo iniziano con i puntini di sospensione (e
lo stesso titolo rinvia al pre-testo di Xavier de Maistre, da cui si immagina di stralcia-
re il contenuto della lirica); Moscardelli lama [sic] p. 549 (1916): titolo e inizio testo
in minuscola, con attacco avverbiale («sempre le mie nuove e vecchie nostalgie / di
bassifondi in chiaroscuro d’avventura»); Venditti (1921), p. 565: il titolo Gli infermieri
dell’anima in esilio è integrato nel testo, che incomincia: «Per esempio: la siepe / di
pelargonio; il parco sempre chiuso», e continua in figura elencativa fino alla fine; la
conclusione rilancia in dissolvenza: «E così via».
396 sergio bozzola
75. Un «elencare senza gerarchia» già segnalato in Emilio Praga da Girardi (2001,
pp. 9-10).
76. La stessa forma ritornerà in Accelerato di Montale (Occasioni), nel quale tuttavia la
struttura elementare del viaggio viene sublimata dalla sua torsione simbolica, così come i
dettagli visivi sono deformati o occultati nella percezione del soggetto.
la crisi della lingua poetica tradizionale 397
6.2. Disseminazione
Ad un soggetto o comparato sono attribuiti una pluralità di predicati o
comparanti: una superfetazione centrifuga di elementi che tende a pregiu-
dicare, nel progresso della lettura, la linea argomentativa e il senso dell’in-
sieme del testo. Il rischio della disgregazione testuale è scongiurato dalla
sintassi e dalla retorica. In Alcyone, Il fanciullo ii 84 ss., la spiga e il monte
«sembra / si giungano per l’aere sereno»: l’immagine innesca una serie di
quattordici comparanti (come i tuoi labbri, come amato e amante, come i
tuoi diti ecc.) e finisce per saturare l’intera sezione. L’indugio sul dettaglio
comparativo scompatta l’insieme. Il lettore è invitato a fermarsi sui compa-
ranti più o meno ingegnosi senza darsi pensiero del tutto, tenuto insieme
dall’unica arcata sintattica e dalla ripetizione anaforica ad inizio verso del
come78. Viene così rovesciata la figura leopardiana dispiegata nel Tramon-
to della luna, prima strofa e inizio della seconda, dove viceversa precede
classicamente il comparante, tutto giocato su particolari pertinenti che
danno forza alla struttura dell’insieme. Là dunque una semantica e una
77. Della prima raccolta si può citare ad es. Il palazzo dell’anima e la serie dei sonetti
sui colori (Il rosso, Il bianco, Il verde ecc.), costituiti tutti da elenchi nominali di libere
associazioni sulla suggestione del tema coloristico (Il giallo: «Oro assassino. Lampi gialli.
Raggi. / Insonnia. Cloroformio. Ubbriachezza / stesa sotto la tavola. Ricchezza» ecc.);
della seconda raccolta si è già citata supra Ne la corte – Tre stracci. Sulla figura cfr. Canob-
bio (2009).
78. Il procedimento, secondo Jacomuzzi (1974, pp. 37 ss.: «comparazione seriale»), as-
sieme all’«enumerazione protratta» rappresenta una delle modalità dell’oratio perpetua
dannunziana, vera e propria cifra stilistica delle Laudi. La «proliferazione parassitaria»
dei comparanti finisce per renderli «serie autonoma [...] autentica irrelata sostanza del
discorso» (corsivo mio).
398 sergio bozzola
79. La figura ritorna ancora ad esempio in Albàsia 6-19: elenco di coppie di oggetti na-
turali o situazioni che si «disposano»: la nube dal monte, l’ombra dal piano, l’acqua dal
sale, la canna dal tralcio ecc.
80. E ancora a conclusione di testo, che non è altro dunque che la ripetizione e l’espansio-
ne dell’interrogativa già posta nella prima strofa e può essere citato qui a saggio dell’insie-
me: «Quale delle Ore, / quale delle Ore marine, / con gli occulti beni / che tu le désti, /
col segreto linguaggio / che le apprendesti, / o Ermione, / t’accompagna nel viaggio / di là
dai fiumi sereni, / di là dalle verdi colline, / di là dai monti cilestri, / o Ermione, / di là dalle
chiare cascine, / di là dai boschi di querci, / di là da’ bei monti cilestri?».
la crisi della lingua poetica tradizionale 399
7. Conclusioni
La dissoluzione della lingua poetica tradizionale presenta naturalmen-
te anche una sua facies metrica che richiederebbe una trattazione a sé.
Agli aspetti più eclatanti condensati a suo tempo da Contini (1969, p.
590) – le parole in libertà, il poème en prose, la restaurazione metrica
del Novecento – e ai non pochi di dettaglio individuati da Mengaldo82,
andrebbero aggiunti fenomeni meno studiati che si diffondono ancora
internamente a manifestazioni formali apparentemente tradizionali dei
poeti minori del secondo Ottocento. Compaginazioni di versi isosilla-
bici ritmicamente differenti, di misure versali incompatibili83, segmen-
tazione dei versi grammaticale o a innesco debole84 e cesure collocate in
81. Nelle prime due strofe dell’Orto, su cui cfr. Bozzola (2007a).
82. Specie lungo l’asse dell’eredità novecentesca di D’Annunzio: si veda la sintesi in Men-
galdo (1996b, pp. 223-31). Cfr. inoltre: Mengaldo (2000b, pp. 22-4), sulla rima «dissonan-
te» dei crepuscolari; su cui anche Beccaria (1989, pp. 201-3, su Govoni); e tralasciando gli
interventi metrici sui singoli poeti (Palazzeschi, Govoni ecc.), Mengaldo (1991b).
83. Ad esempio la Aganoor (PMO, p. 1182) alterna novenari dattilici sdruccioli con settenari
piani; (ivi, p. 1181), ottonari e quinari; Zena (ivi, p. 1195) compagina settenari e quadrisillabi;
lo Gnoli (ivi, p. 1199), ottonari, novenari e decasillabi ritmicamente eterogenei ecc.
84. Panzacchi (PMO, p. 1055) «Dunque c’è / qualcuno che ti vince in furberia»; Graf
(ivi, p. 1165) «Verrebbe un corvo alla mia / finestrina»; Aganoor (ivi, p. 1180) «tra due
/ spalle di monte»; Zena (ivi, p. 1117) «sorella luna, se / ci rifulge il miracolo» e (ivi, p.
1117) «Degli scorpioni e delle / biscie notturne a zonzo»; fino all’esibizione della tmesi in
400 sergio bozzola
De Bosis (ivi, p. 1220) «Palpitano le stelle armonïosa- / mente»; da SD: la tmesi in Tumia-
ti (p. 91 «l’anima langue mesta- / mente»); tagli di verso provocatorî in Saffiotti (p. 164
«la fiamma de ’l / desìo», «de le / acque», «un getto più largo di / acque»), Cavacchioli
(p. 463 «senza fiato, col / tremore dentro li ossi» – come sarà in Montale, ma in rima,
Occasioni, L’anima che dispensa... «Su fili, su ali, al vento, a caso, col / favore della musa»,
in rima con sol nota mus.) ecc. Tecniche tutte che trovano séguito nella poesia del primo
Novecento, via Pascoli e D’Annunzio (Bozzola, 2007c), e che hanno puntuali precedenti
nella poesia francese tra Otto e Novecento (Bozzola, 2009).
85. In questo senso è interessante la tecnica del verso della Aganoor, che anticipa le cesure
mobili del verso doppio gozzaniano: cfr. ad es. Egli ed ella (PMO, pp. 1130-1), 9-10 «poi
rari uccelli e vasi di Tokyo dall’enorme / ventre, dove su fiori di loto un drago dorme»;
22-23 «trattenendo il respiro per non turbarlo. Io pure, / per vie diverse, allora, sorgo»; 29
«non v’incresca d’accogliere il mio voto. Ero sola» ecc. La stessa predilige sovente cesure
in posizione anomala: Finalmente 1-4 (ivi, p. 1175) «Dunque domani! il bosco esulta al
mite / sole. Ho da dirvi tante cose, tante / cose! Vi condurrò sotto le piante / alte, con me;
solo con me! Venite!» (corsivi nel testo); così ancora Panzacchi (ivi, p. 1052) «una bionda
figura / tua. Con agil bravura [...]»; 1054 «alle immobili forme / ride. Sui tasti muoiono»
ecc.; tecnica che si ritrova in Pascoli, Canti, La fonte di Castelvecchio 58-60 «vive la bianca
Matta dei Beghelli / più? desta lei la sveglia mattutina»; La mia malattia 28-29 «che a un
Angiolo bisbiglia che li porti / su, c’era il Requiem [...]»; Il sogno della vergine 25-26 «sì
forse un affanno // c’è, l’ombra di un palpito [...]» ecc.
la crisi della lingua poetica tradizionale 401
«de toute date et de toute nature» (Bruneau, 1958, ii, p. 183) e del greci-
smo (ivi, pp. 258-9); lessico spesso di origine vocabolaristica (Heredia: «la
lecture du dictionnaire de Jean Nicot procure plus d’agrément, de plaisir et
d’émotion que celle des Trois Mousquetaires»)86, proprio come sarà poi in
D’Annunzio87. Nella sintassi, trovano esatti precedenti l’uso dei costrutti
nominali e la loro risoluzione in elenco (Bruneau, 1968, pp. 352 ss.; 1958,
ii, p. 188), nonché la tendenza a dilatare dispositivi retorici fino a scompa-
ginare la testualità (ivi, p. 204 su Maeterlinck88; ivi, pp. 199-200 un es. di
Henri de Régnier che anticipa puntualmente la pratica dannunziana della
proliferazione dei comparanti). Altrettanto sperimentata la tecnica pasco-
liana della frantumazione sintattica e più in generale la sintassi breve (Bru-
neau, 1968, pp. 350 e ss. sui parnassiani; 1958, ii, pp. 199-200 su simbolisti
e decadenti), e casi come: «Le soleil, près de choir, s’est, d’orgueil, arrêté,
/ là-bas, royal encore» (Vielé-Griffin), «Le temps passe. Tout meurt. Le
marbre même s’use» (Heredia), «En décembre. A Paris. – Verte et froide,
la Seine / Sous les ponts lentement roule son eau malsaine» (Bourget), an-
ticipano quasi ad unguem svariati luoghi pascoliani, fino al ben noto attac-
co morettiano di A Cesena89. Così, ancora a partire da Hugo e a seguire in
Leconte de Lisle e parnassiani, vengono documentati procedimenti analo-
gici come sinestesia e parestesia («parfum de langueur», Coppée; «par-
fumé de verdeurs», Leconte de Lisle), enallage («filer les lentes laines»,
Mendès: a suggerire il lavoro lungo e faticoso del filare la lana), scambi di
ruoli tra sostanze e qualità («le bleu du ciel» anziché «le ciel bleu»)90,
umanizzazione del dato paesaggistico o faunistico e cioè slittamento di
aggettivi e predicati propri della persona umana verso referenti animali o
inanimati (già ad es. in Gautier cit. in Bruneau, 1968, pp. 229-30). Quanto
ai precedenti simbolisti dell’analogia complessa, non occorrerà aggiungere
alcunché a ciò che è già ben noto e che trova una sintesi anche troppo sem-
plificata in Bruneau (1958, ii, pp. 193 ss.).
Del resto, già Montale aveva individuato in Hugo l’antecedente fran-
cese della «funzione D’Annunzio» (Montale, 1976, pp. 62 e 68), rico-
aloni del suo vocabolario; la sintassi breve dello stesso, ma anche e vice-
versa le interminabili volute sintattiche dell’Imaginifico, a contenimento
di una testualità sollecitata nei margini e portata in tensione fin quasi alla
deflagrazione. Viene così a chiarirsi la crucialità degli Ossi di seppia nella
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