Sei sulla pagina 1di 5

(Canzoniere, 16)

Movesi il vecchierel canuto et biancho


del dolce loco ov’à sua età fornita
et da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;

indi trahendo poi l’antiquo fianco


per l’extreme giornate di sua vita,
quanto piú pò, col buon voler s’aita,
rotto dagli anni, et dal camino stanco;

et viene a Roma, seguendo ’l desio,


per mirar la sembianza di colui
ch’ancor lassú nel ciel vedere spera:

cosí, lasso, talor vo cerchand’io,


donna, quanto è possibile, in altrui
la disïata vostra forma vera.

SONETTO 62
Padre del ciel, dopo i perduti giorni,dopo le notti vaneggiando spese,
con quel fero desio ch’al cor s’accese,mirando gli atti per mio mal sì adorni,

piacciati omai col tuo lume ch’io torniad altra vita et a più belle imprese,sì
ch’avendo le reti indarno tese,il mio duro adversario se ne scorni.

Or volge, Signor mio, l’undecimo annoch’i’ fui sommesso al dispietato giogoche


sopra i più soggetti è più feroce.

Miserere  del mio non degno affanno;reduci i pensier’ vaghi a miglior luogo;ramenta
lor come oggi fusti in croce.

CANZONIERE 90

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi


che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;

e ’l viso di pietosi color’ farsi,


non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?

Non era l’andar suo cosa mortale,


ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro, che pur voce humana.

Uno spirto celeste, un vivo sole


fu quel ch’i' vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.

SONETTO 189
Passa la nave mia colma d’oblio
per aspro mare, a mezza notte il verno,
enfra Scilla et Caribdi; et al governo
siede ’l signore, anzi ’l nimico mio.
 
A ciascun remo un penser pronto et rio
che la tempesta e ’l fin par ch’abbi a scherno;
la vela rompe un vento humido eterno
di sospir’, di speranze, et di desio.
 
Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni
10 bagna et rallenta le già stanche sarte,
che son d’error con ignorantia attorto.
 
Celansi i duo mei dolci usati segni;
morta fra l’onde è la ragion et l’arte,
tal ch’incomincio a desperar del porto.

CANZONIERE 315
Tutta la mia fiorita et verde etade
passava, e ’ntepidir sentia già ’l foco
ch’arse il mio core, et era giunto al loco
ove scende la vita ch’al fin cade.

Già incomminciava a prender securtade


la mia cara nemica a poco a poco
de’ suoi sospetti, et rivolgeva in gioco
mie pene acerbe sua dolce honestade.

Presso era ’l tempo dove Amor si scontra


con Castitate, et agli amanti è dato
sedersi inseme, et dir che lor incontra.

Morte ebbe invidia al mio felice stato,


anzi a la speme; et feglisi a l’incontra
a mezza via come nemico armato.

CANZONIERE 1
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suonodi quei sospiri ond’io nudriva ’l corein
sul mio primo giovenile errorequand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

del vario stile in ch’io piango et ragionofra le vane speranze e ’l van dolore,ove
sia chi per prova intenda amore,spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tuttofavola fui gran tempo, onde soventedi me
medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente


che quanto piace al mondo è breve sogno.

CANZONIERE 126
Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir’ mi rimembra)
a lei di fare al bel fiancho colonna;
herba et fior’ che la gonna
leggiadra ricoverse
co l’angelico seno;
aere sacro, sereno,
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:
date udïenzia insieme
a le dolenti mie parole extreme.

S’egli è pur mio destino,


e ’l cielo in ciò s’adopra,
ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda,
qualche gratia il meschino
corpo fra voi ricopra,
e torni l’alma al proprio albergo ignuda.
La morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo:
ché lo spirito lasso
non poria mai in più riposato porto
né in più tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata et l’ossa.

Tempo verrà anchor forse


ch’a l’usato soggiorno
torni la fera bella et mansüeta,
et là ’v’ella mi scorse
nel benedetto giorno,
volga la vista disïosa et lieta,
cercandomi: et, o pieta!,
già terra in fra le pietre
vedendo, Amor l’inspiri
in guisa che sospiri
sì dolcemente che mercé m’impetre,
et faccia forza al cielo,
asciugandosi gli occhi col bel velo.

Da’ be’ rami scendea


(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo;
et ella si sedea
humile in tanta gloria,
coverta già de l’amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch’oro forbito et perle
eran quel dì a vederle;
qual si posava in terra, et qual su l’onde;
qual con un vago errore
girando parea dir: Qui regna Amore.

Quante volte diss’io


allor pien di spavento:
Costei per fermo nacque in paradiso.
Così carco d’oblio
il divin portamento
e ’l volto e le parole e ’l dolce riso
m’aveano, et sì diviso
da l’imagine vera,
ch’i’ dicea sospirando:
Qui come venn’io, o quando?;
credendo esser in ciel, non là dov’era.
Da indi in qua mi piace
questa herba sì, ch’altrove non ò pace.

Se tu avessi ornamenti quant’ài voglia,


poresti arditamente
uscir del boscho, et gir in fra la gente.

CANZONIERE 61
Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, e l’anno,e la stagione, e ’l tempo, e l’ora, e
’l punto,e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui giuntoda’ duo begli occhi che legato
m’hanno;
e benedetto il primo dolce affannoch’i’ebbi ad esser con Amor congiunto,e l’arco, e
le saette ond’i' fui punto,e le piaghe che ’nfin al cor mi vanno.Benedette le voci
tante ch’io
chiamando il nome de mia donna ho sparte,e i sospiri, e le lagrime, e ’l desio;e
benedette sian tutte le carteov’io fama l’acquisto, e ’l pensier mio,ch’è sol di
lei, sì ch’altra non v’ha parte.

CANZONIERE 22
Giovene donna sotto un verde lauro
vidi piú biancha et piú fredda che neve
non percossa dal sol molti et molt'anni;
e 1 suo parlare, e '1 bel viso, et le chiome
5mi piacquen sí ch'i' Fò dinanzi agli occhi,
ed avrò sempre, ov'io sia, in poggio o 'n riva.

Allor saranno i miei pensier a riva


che foglia verde non si trovi in lauro;
quando avrò queto il core, asciutti gli occhi,
1ovedrem ghiacciare il foco, arder la neve:
non ò tanti capelli in queste chiome
quanti vorrei quel giorno attender anni.

Ma perché vola il tempo, et fuggon gli anni,


sích'a la morte in un punto s'arriva,
150 colle brune o colle bianche chiome,
seguirò l'ombra di quel dolce lauro
per lo piú ardente sole et per la neve,
fin che l'ultimo dí chiuda quest'occhi.

Non fur già mai veduti sí begli occhi


200 ne la nostra etade o ne' prim'anni,
che mi struggon cosí come 'I sol neve;
onde procede lagrimosa riva
ch'Amor conduce a pie' del duro lauro
ch'à i rami di diamante, et d'òr le chiome.
I' temo di cangiar pria volto et chiome

che con vera pietà mi mostri gli occhi


l'idolo mio, scolpito in vivo lauro:
ché s'al contar non erro, oggi à sett'anni
che sospirando vo di riva in riva
ola notte e '1 giorno, al caldo ed a la neve.

Dentro pur foco, et for candida neve,


sol con questi pensier', con altre chiome,
sempre piangendo andrò per ogni riva,
per far forse pietà venir negli occhi
di tal che nascerà dopo mill'anni,
se tanto viver pò ben cólto lauro.

L'auro e i topaci al sol sopra la neve


vincon le bionde chiome presso agli occhi
che menan gli anni miei sí tosto a riva.

CANZONIERE 11
Lassare il velo o per sole o per ombra,donna, non vi vid’iopoi che in me conosceste
il gran desioch’ogni altra voglia d’entr’al cor mi sgombra.Mentr’io portava i be’
pensier’ celati,ch’ànno la mente desïando morta,vidivi di pietate ornare il volto;
ma poi ch’Amor di me vi fece accorta,fuor i biondi capelli allor velati,et
l’amoroso sguardo in sé raccolto.
Quel ch’i’ piú desïava in voi m’è tolto:sí mi governa il veloche per mia morte, et
al caldo et al gielo,de’ be’ vostr’occhi il dolce lume adombra.

Potrebbero piacerti anche