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Foto di: Massimo Mangialavori

camminando nel cosmo vivente


Camminando nel cosmo vivente una guida pratica che introduce il lettore alla conoscenza e alla conduzione delle tecniche spirituali ed energetiche proprie del cammino iniziatico dei Sacerdoti Inka contemporanei del Per. L'autore ci insegna ad entrare in rapporto con le energie e sviluppare il potere personale. La base di questo sistema conoscitivo semplice: il cosmo energia vivente. Occorre imparare a riconoscerla, usare la bolla di energia che ci avvolge, liberarci dalle energie pesanti, ricevere l'energia fine per accrescere cos la nostra consapevolezza. Le tecniche spirituali ed energetiche vengono spiegate per la prima volta nei pi piccoli dettagli: Juchamijuy: mangiare e digerire l'energia pesante Ayni e Karpay Ayni: lo scambio del potere personale Yanantin-Masintin: polarit e alleanza Apertura degli nawi, gli occhi della percezione sottile Digestione di gruppo dell'energia pesante Formazione della mesa personale Saywachakuy: fare una colonna di energia vivente

Jun Nuez Del Prado

Jun Nuez Del Prado il maestro di Elisabeth Jenkins, autrice del libro Il Ritorno dell'Inka. Antropologo, nato a Cuzco (antica capitale incaica), dove insegnava nella locale Universitad Nacional. Jun lavora oggi con i pi importanti altomisayoq della comunit di Q'ero (villaggio a 4.000 metri sul livello del mare, 2 giorni a cavallo per raggiungerlo), ma stato per oltre dieci anni l'apprendista del pi famoso curatore spirituale della vallata del Cuzco: Don Benito Qoriwaman, un indio del paesino di Wasau. Dopo la morte del suo maestro, Jun ne continua oggi gli insegnamenti che affondano le loro radici nelle tradizioni iniziatiche degli Inka.

Nessuna parte di questo libro pu essere riprodotta, memorizzata in sistemi d'archivio, o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altri, senza la preventiva autorizzazione scritta dell'autore.

Questo libro stampato su carta ecologica prodotta in totale assenza di cloro. 1 edizione novembre 1998 1 ristampa marzo 1999 Juan Victor Nuiez Del Prado 1998 macro edizioni Via Isei - 47814 Cesena (FO) ISBN 88-7507-199-3

pag. 189

. 26.000

Jun Nuez Del Prado

camminando nel cosmo vivente


Guida alle tecniche energetiche e spirituali delle Ande

a cura di Celso Bambi e Nityama Masetti

MACRO EDIZIONI

Questo lavoro segue l'andamento dei seminari di base tenuti da Don Jun in Italia nel novembre del 1997 durante il suo primo viaggio nel nostro paese. Ha quindi una struttura discorsiva e sono possibili ripetizioni. Il testo stato ricavato dalle traduzioni dallo spagnolo fatte durante gli incontri. I curatori Celso Bambi e Nityama Masetti si sono limitati a sistematizzare e rendere pi organici i materiali. La prima redazione stata visionata da Don Jun stesso. Un particolare ringraziamento va a Rosa e Luca della Macropost per il sostegno e l'aiuto tecnico nella preparazione del libro.

Indice
Prefazione Lo spazio archetipico Quechua e Aymara introduzione a cura di Celso Bambi La relazione uomo-natura nell'Occidente e nelle Ande Il panpsichismo dell'universo andino Concetti di morte, tempo e spazio La Pachamama o Madre Terra
1. Come sono diventato un sacerdote andino Domande e risposte 2. Profezia Domande e risposte 3. Kausay: l'energia sovrabbondante Kausaypacha, l'energia e il cosmo vivente Potere e poteri Domande e risposte 4. Introduzione alle pratiche energetiche Passaggio della mesa - Mesa e Saminchakuy Domande e risposte 5. Juchamijuy: mangiare e digerire l'energia pesante Domande e risposte 6. Ayni e Karpay Ayni: il principio della reciprocit e l'iniziazione andina Domande e risposte 7. Yanantin-Masintin: polarit e alleanza Pratica dello Yanantin e del Masintin Domande e risposte 8. Apertura degli awi, gli occhi della percezione sottile

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Parallelo fra le concezioni andine e quelle tibetane buddiste Tecnica del awi Kichay: apertura degli occhi Dopo la pratica Domande e risposte

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9. Digestione di gruppo dell'energia pesante e formazione della mesa personale 161 Pratica della digestione dell'energia pesante nella bolla collettiva del gruppo 161 La prima khuya per la mesa personale 162 10. Saywachakuy: fare una colonna di energia vivente Domande e risposte 11. Riassunto 12. Arrivederci 163 166 171 175 177

Vocabolarietto

Prefazione
Il significato dell'incontro con Don Jun

Ho incontrato Don Jun nel 1997 a Cuzco, durante uno dei miei frequenti viaggi nelle Ande. Cercavo un appartenente al sentiero andino, che non fosse soltanto un erudito della disciplina, ma un praticante appassionato in grado di lenire quel "mal di Per" di cui soffrivo da tempo, "malessere" simile a un morboso innamoramento che nutro per quelle terre sudamericane. Jun esprime le capacit di incontro tra due mondi: da un lato la razionalit occidentale e la cultura cristiana, dall'altro il misticismo andino che si attua nella sentita celebrazione della natura e permea energeticamente ogni forma vivente dell'universo. L'insegnamento di alcune tecniche, da lui ricevute e apprese, mi ha permesso di agire nuove capacit e approfondire la sensibilit percettiva, allargando la mia possibilit di visione. Entrando nel Karpay Ayni, l'iniziazione andina, si crea l'opportunit, di un vero dialogo con ogni espressione vivente del pianeta e del cosmo, la comunicazione si muove dall'uomo alla natura e dalla natura all'uomo. Praticando le tecniche andine la percezione si espande oltre l'abituale sentire. L'attenzione si apre a porzioni di realt ignorate, attivando "sensi interiori" che ci lasciano accedere ad aspetti multidimensionali del vivente. Ci sono soglie che raramente il condizionamento occidentale ci porta a varcare, Jun offre gli strumenti per entrare in zone spesso inesplorate dalla nostra coscienza ordinaria e ci fa partecipi di un progetto profetico di cambiamento del pianeta dove ognuno protagonista iniziando da se stesso. Nei paragrafi successivi cerco di introdurre il lettore, con un linguaggio forse troppo tecnico, e me ne scuso, ad alcune delle categorie del pensiero andino entro le quali si muove la ricerca di Don Jun. Sono commosso dalla ricchezza e dal senso di libert che ispirano gli insegnamenti di quest'erede di un antico lignaggio di sacerdoti quechua peruviani, e la mia gratitudine va a lui e al suo maestro Don Benito.

Celso Bambi

A tutti i maestri che hanno condiviso e condividono con infinita pazienza e compassione (con-passione) insegnamenti, tecniche di "risveglio" e pi ancora la grazia del loro stato d'essere. Al mio maestro va la gratitudine di essere libera di attingere ed esplorare variegati sentieri...
Dedica della curatrice Nityama E. Masetti

Lo spazio archetipico Quechua e Aymara


Introduzione a cura di Celso Bambi

La relazione uomo-natura nell'Occidente e nelle Ande L'occidentale si rapporta con il suo ecosistema e le sue risorse in modo quantitativo: tanta terra, tanta capacit produttiva; la filosofia prevalente quella del dominio dell'uomo sulla natura, vista come mossa da leggi fisiche oggettive. La scienza studia queste leggi e crea l'illusione che tutto manipolabile; il suo avvento ha provocato quello che la letteratura sociologica weberiana ha chiamato il disincanto del mondo, eliminando la percezione fascinosa del mistero. In queste nostre societ desacralizzate, il lavoro agricolo e il lavoro in generale diventato un atto profano, giustificato unicamente da un vantaggio economico, senza offrire alcuna apertura verso l'universale. All'opposto, nelle societ arcaiche, il lavoro agricolo era rivelato dagli Dei o dall'eroe civilizzatore, e costituiva un atto reale e significativo, che legava intimamente il soprannaturale al naturale. Con il monoteismo cristiano era gi iniziato un processo che riduceva e combatteva la visione pagana di una natura vivente, dove agli uomini erano offerti vari tipi d'identit e dove gli Dei erano gli elementi della natura imparentati fra loro e con gli uomini. Qui, coscienza, intelligenza e psiche non esistono solo nell'uomo, ma anche nella natura e molte logiche interagiscono fra loro nel mondo. Lo scenario di questo tessuto di relazioni implica il senso del divino: l'uomo incontra esseri di altre dimensioni e dei nella sua vita quotidiana. Questo processo di natura vivente era una drammatizzazione dinamica, non un universo rigidamente ordinato e finito. Con il tramonto del paganesimo in Occidente, la ragione, che conviveva con altre parti dinamiche come l'istinto, venne resa astratta e staccata da quel tessuto animato sopraddetto 1. Il cristianesimo ricondusse il governo della natura ad un unico dio, la cui esperienza religiosa veniva sempre pi istituzionalizzata; altrettanto fece il protestantesimo che contemplando l'esperienza religiosa come fatto privato ne estingueva l'apertura verso il cosmo. In questo quadro l'uomo trova come interlocutori Dio e se stesso. Quando la scienza cercher di eliminare la divinit, rimarr l'individuo razionale a dominare su una natura intesa come macchina morta; l'uomo non potr che autodifendersi e non avr altro tipo di interlocutore se non se stesso. Per gli indios quechua e aymara delle Ande, l'uomo immerso in un universo misterioso, dove persino la polvere che corre nel vento ha vita, ossia coscienza, forza intenzionale e volont. La razionalit occidentale logico-matematica, l'intelligibilit culmina con connessioni di senso trattabili come asserzioni matematiche, finalizzate ad uno scopo di dominio; l'esperienza viene sempre quantificata. l'opposto di una razionalit che cerca la comprensione dell'oggetto con penetrazione simpatetica, cio diretta a rivivere o a partecipare dal di dentro gli avvenimenti.

Con il giudaismo viene persa l'idea dell'eterno ritorno o del tempo ciclico: il tempo assume un principio e una fine. Jahv non si manifesta nel tempo cosmico come gli Dei del paganesimo, bens in un tempo storico irreversibile.

Per l'andino la terra non solo utile, un modo di vivere, una totalit alla quale si sente radicato e ne dipendente come una pianta. Egli guarda ci che lo circonda non come un oggetto ma come un coesistente, la relazione con la terra e con l'universo gli familiare 2. La sua vita non solo umana, ma transumana perch partecipe delle infinite esperienze cosmiche: i suoi principali atti quotidiani diventano sacramenti.

Il panpsichismo dell'universo andino Uno dei risultati della culturizzazione ispanica che oggi, dopo pi di quattro secoli dalla conquista dell'impero incaico3, circa il 90% della popolazione peruviana e boliviana si dichiara formalmente cattolico. Tutti gli atti fondamentali della vita privata e pubblica sono oggettivati e socialmente sanciti attraverso i riti cattolici. Infatti le cerimonie civili sono quasi complementari con le funzioni sacre cattoliche. Inoltre una parte del sistema educativo, dei paesi considerati, a carico dei religiosi. Naturalmente, in quasi tutti i villaggi e fattorie esiste una chiesa o una cappella, "ed almeno una volta l'anno i campesinos si riuniscono l con il pretesto della festa patronale4. Spesso questi aspetti, per, sono parte di un sistema pi ampio che conserva una visione del mondo precolombina che si integra con gli elementi della cultura spagnola-cattolica. Mi riferisco alle comunit andine. I membri delle comunidades, i villaggi andini tradizionali, condividono sentimenti, elaborazioni mentali e maniere di percepire il mondo che sono il risultato di processi intimi di relazione con l'ambiente e la sua ecologia. Nell'antico Per avevano concezioni generali abbastanza simili. In primo luogo la loro visione dell'universo si riferisce sia alla parte della natura con la quale l'uomo ed il gruppo hanno contatto, sia alla sfera della immaginazione simbolica, senza che si avverta la separazione fra ci che naturale e ci che soprannaturale. Si pu dire che l'universo animato da una sorta di latenza divina o di un panpsichismo, che si concretizza in una serie di entit spirituali, ognuna con una storia ed un'ubicazione specifica. Nelle relazioni con esse l'uomo cerca di definire le sue condizioni esistenziali. Nell'insieme il mondo appartiene ad un ordine archetipico ed governato non da leggi fisiche, ma da principi di carattere morale e sacro; la conoscenza empirica della realt non si separa dal contenuto mitico. La natura piena di divinit e di spiriti protettori dell'uomo, degli animali, delle piante e dei minerali, nonch delle varie attivit sociali. Questi esseri controllano i fenomeni fisici ed agiscono secondo il comportamento degli umani. Attraverso le proprie azioni l'uomo partecipa a questo controllo motivando le risposte degli dei. Le forme di comportamento sono prescritte dalla tradizione che perpetua i riti con i quali s'invoca la protezione e si ringrazia per essa gli Spiriti Superiori. Si crede che gli indios adorino le montagne, i laghi, le rocce, le foglie di coca, i fulmini ed altri fenomeni della natura; in realt il culto non diretto n alle cose, n ai luoghi in quanto tali, ma allo spirito che li produce o li abita e alla forza del simbolo che li consacra o che s'incarna come ierofania5.
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L'uomo andino pensa ontologicamente, cercando di reintegrare il tempo dell'origine. Il suo mondo sacro non solo perch deriva dagli Dei, ma perch in esso sono rese palesi le diverse modalit del sacro e dei fenomeni cosmici: l'uomo religioso lo contempla scoprendo le molteplici forme del sacro e quindi dell'essere. 3 Jins de Sepulveda, nei primi anni della conquista del Per e del Messico, sosteneva che gli indios non avevano anima e per questo si potevano ritenere al pari delle bestie e trattati come tali. Lo storico Rolando Mellafa, ha calcolato che nei primi ottanta anni dalla conquista del Per, furono sterminati circa 7-8 milioni di indios, il 70% della popolazione dell'impero incaico. 4 Il culto cattolico, per come lo vive la popolazione quechua, di solito esprime la capacit del mondo indigeno di assimilare le divinit cristiane all'interno della cosmovisione andina. 5 Ierofania: manifestazione miracolosa della presenza di un elemento sacro o divino.

In tutte le comunit andine ogni luogo ha un nome significativo e una personalit sacra. Gli animali, le piante e le cose come l'uomo hanno un'anima o sono abitati da uno spirito che li vivifica. Nell'antico Per perfino i prodotti materiali dell'attivit umana avevano una loro divinit reggente, una forza spirituale della quale erano espressione. Oggi gli indios che ancora mantengono queste credenze evitano di rivelarle, poich hanno un rispetto particolare per esse e capiscono l'incredulit e la derisione che causerebbero in coloro che sono estranei all'intimit del loro mondo.

Concetti di morte, tempo e spazio Gli indios sono convinti che la morte solo un passaggio verso un'altra vita. Tutti credono che l'anima si separi dal corpo nel momento della morte per iniziare una nuova forma di esistenza. Fra gli indigeni di certe comunit non esistono concetti di salvezza o condanna eterna; incluso le pi gravi trasgressioni danno luogo a patimenti temporali provvisori nell'altro mondo. Il mondo dei vivi e il mondo dei morti non sono radicalmente separati, in certe circostanze e occasioni i vivi possono visitare il mondo dei morti e viceversa, conseguentemente appare totalmente naturale avere dialoghi e incontri con i defunti. Nella mentalit andina i concetti di tempo e di spazio non esistono come astrazioni separate, sono nozioni che nascono subordinate all'essere, agli avvenimenti reali e ideali. per la stessa ragione che la conoscenza empirica della realt non si separa dal pensiero mitico. Gli indios, come tutti gli uomini profondamente religiosi, vivono due classi di tempo: un tempo reale, della durata del fenomeno, ed un altro tempo ideale e sacro, dentro il quale fluiscono le immagini mitiche e hanno spazio gli echi magico-religiosi che disarticolano le sequenze logiche dell'accadere. Di conseguenza un tempo mitico primordiale, sempre senza fine, rinnovabile, nel quale determinate situazioni possono essere rivissute attraverso i riti, ossia attraverso quelle gestualizzazioni rituali che permettono di passare senza pericolo dal tempo comune, quotidiano, al tempo sacro e perpetuo6. Senza dubbio in questo tempo, paradossalmente senza tempo, i miti equivalgono ad essenze; perci, nel proiettare gli ideali nel passato, la mentalit religiosa d a quest'ultimo un valore essenziale, necessario, naturale, lo sente come gi realizzato; si rinforza quindi la possibilit di reintegrazione e di comunione con le antichit stesse. La storia concepita come una successione di mondi , ognuno dei quali sostituito da uno nuovo, ogni qualvolta entrano in crisi le forze rigenerative della natura e dell'ordine morale degli uomini. Per ogni mondo vecchio non scompare totalmente fino a quando non viene incorporato nella terra ctonica, cio nelle profondit, ed in questo modo continua ad influenzare il corso degli avvenimenti. L'atteggiamento rispetto allo spazio, come quello rispetto al tempo, rivela che l'andino vive nella sua anima uno spazio con doppio significato. Il primo dato dallo spazio fisico delle dimensioni, dentro al quale ogni cosa ha la sua grandezza reale. Il secondo significato invece rivelato dallo spazio simbolico, che non uno spazio di magnitudine, bens un ambito eterogeneo dove esistono esseri qualitativamente differenti, con gerarchie date dal grado di sacralit. Lo spazio e il tempo sacri sono categorie di uno spazio senza distanze e di un tempo che si sviluppa come una spirale periodificata, dentro ai quali trovano la loro possibilit le forze della

I riti fermano il tempo periodicamente e inseriscono un tempo astorico, primordiale e improvviso, senza altro tempo precedente perch nessun tempo pu esistere prima dell'apparizione del mito. Nel cristianesimo invece si rompe con questo tempo sacro, affermando la storicit della persona di Cristo e sviluppando un tempo storico santificato dall'incarnazione del figlio di Dio.

credenza. Solo per mezzo di queste forme di tempo e di spazio sono possibili e hanno significato i riti e le credenze magico-religiose. D'altronde, si tenga conto anche dell'influenza del paesaggio andino come ruolo decisivo della formazione dei modelli di vita. L'esistenza subordinata alle esigenze di un habitat forte e difficile; nelle yungas, terre basse (mare, deserto, foci di fiumi), si ha l'umidit pi tremenda, e nella sierra verso le cime, si ha un freddo pungente; i fiumi serpeggiano fra gole, guadi e rapide mortali fino alle valli alte, isolate dal resto del mondo e in molti casi anche tra loro. Qui, l'uomo deve lavorare duramente per costruire terrazzamenti sulle falde scoscese, trasportarvi terra fertile, proteggerle dall'erosione, dalle frane e dall'azione dei venti. Dall'infanzia, l'uomo andino, vive in un paesaggio scabro, profondo, spoglio di vegetazione ma coronato da cime maestose ed esaltanti.

La Pachamama o Madre Terra La Pachamama la Grande Madre comune a tutti gli uomini e rappresenta la base stessa della vita, poich la fonte primaria che d il nutrimento necessario. Il poeta boliviano contemporaneo Jun Condorcanqui, nativo di Oruro, appartenente all'etnia aymara, illustra molto bene nella poesia che segue il rapporto fra l'uomo andino e la Pachamama, ossia la Madre Terra. Infatti, in questo esempio lirico, il culto alla grande dea generatrice si rivela una delle esperienze pi profonde della religiosit indigena; verso di lei si proietta l'anima andina piena di rispetto, venerazione e gratitudine. Pachamama , donna eterna, fonte, porta del Sole da te nacquero la luce per tutti i ranchos7 e i monti del mondo Raccogli nel tuo ventre questo tuo popolo, che il mio cuore Raccogli i suoi pianti, le sue terre, le sue miserie saccheggiate O Mamala8, Pacha Mama, che dalle tue viscere ardenti di vita germoglino mille cuori fratelli, mille amori, centomila lama e vigogne9, centomila ayllu10 e una stella, centomila figli delle nostre donne Ti supplico per la mia fede e il mio lavoro, e per il vigore immenso dei Mallkus11 che dal tuo seno materno, Pachamama, fiorisca nella pampa il fiore di quenoa12 e rinasca la fratellanza dell'ayni13.

Rancho: fattoria, qui indica le propriet agricole dei contadini. Mamala: mammina. 9 Vigogna: camelide che vive a grandi altezze, pregiato per la sua lana. 10 Ayllu: indica trib, genealogia, casata, famiglia; l'insieme delle famiglie che formano una comunit. 11 Mallku: rappresentante indigeno ma anche mummia sacra. 12 Quenoa (quinua o quinoa): pianta alimentare che cresce a grandi altezze con importanti propriet nutritive. 13 Ayni: coloro che nel lavoro si prestano un mutuo aiuto. In generale il comandamento morale della reciprocit.
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Il termine Pachamama ha nel pensiero andino implicazioni filosofiche profonde. Pacha in quechua significa sia tempo che spazio, quindi il mondo animato nella sua totalit14. Il concetto molto differente da un'altra parola nativa: allpa, che si riferisce alla terra come materia e costituisce il suolo naturale. La Pachamama viene anche chiamata semplicemente Pacha o Pacha Tierra Santa Maria, e viene spesso assimilata al culto alla Vergine cristiana. Non propriamente una dea con caratteristiche personali definite, anche se suscettibile a personalizzazioni secondo specifiche credenze regionali; non nemmeno una forza impersonale e indefinibile come mana15; invece uno spirito dotato di attributi genetici, rigenerativi di femminilit. la divinit creatrice per eccellenza, che simbolizza la fecondit delle piante, degli animali e dell'uomo. prodiga e tollerante, per di fronte all'indifferenza umana pu ritirare la sua protezione propiziatoria dando luogo all'indebolimento e alla scarsit. L'andino le offre un grande rispetto e quindi il fatto stesso di aprire un solco con l'aratro, non pu avvenire senza prima aver ottenuto il permesso con un'aspersione di chica16 o di altro liquore alla Madre Terra 17. Non facendolo potrebbe ferirla o graffiarla, mancarle della devozione necessaria. La Terra, quindi, un'entit con un corpo, con parti corrispondenti a quelle dell'uomo. L'uomo non pu intervenire nei ritmi creatori e distruttori della Terra, se li alterasse cambierebbe il flusso delle loro forze; la fecondit del pianeta dipende da queste e dalla sua unione con il Cielo: quando Terra e Cielo si congiungono viene perpetuata la creazione cosmica.

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Il cosmo concepito come un'unit vivente che nasce, si sviluppa e termina nell'arco di un anno. Il cosmo rinasce ogni anno perch il tempo ricomincia ad initio ogni anno, ma non come ripetizione bens con movimento spiraliforme. 15 Mana: termine polinesiano che indica un potere sovrannaturale che impregna oggetti o entit. 16 Chica: bevanda alcolica ottenuta generalmente dalla fermentazione dei chicchi di mais. 17 La Pachamama non pu essere aspersa con acqua, occorrono sempre bevande alcoliche, perch nell'alcool c' il fuoco, elemento purificatore.

Nota informativa sulla pronuncia delle parole spagnole e quechua

Tutte le parole spagnole comprese nella relazione seguono queste regole semplificate di pronuncia:

gue e gui que, qui ce, ci

ghe, ghi che, chi se, si

La g davanti ad e e i ha lo stesso suono che ha la j davanti a tutte le vocali, cio un suono gutturale aspirato (ch tedesco). La j in fine di parole pi debole e tende a scomparire.

ch + vocale Ll r y

ci, ce, di, ci, di gl gn in principio di parola e dopo l, n e s ha il suono aspro di quando raddoppiata (rr). i

Se l'accento non segnato cade sulla penultima sillaba. Le parole quechua seguono le regole fonetiche dello spagnolo poich sono scritte nello stesso alfabeto, eccetto cinque gruppi di consonanti che hanno suoni distinti e sono:

ch, p, t, k, e q si pronunciano come le consonanti spagnole ma a volte con pi aspirazione o con pi durezza. ch', k', p', t', q' vale quanto detto sopra, ma in certi casi la pronuncia si effettua esercitando una pressione molto forte sul palato o sulla gola, con una emissione "esplosiva".
Il quechua una lingua che pu costruire con una sola parola concetti molto complicati, attraverso una serie di suffissi che sono circa quaranta, in modo da poter esprimere tutte le variazioni della situazione: temporali, spaziali, affettive.

1 Come sono diventato un sacerdote andino


L' incontro con il Maestro

per me un grande piacere incontrarvi. Ringrazio molto per l'invito ricevuto, grazie a chi ha organizzato questo seminario che mi d la possibilit di condividere la mia esperienza e di lavorare con tutti voi. In queste due giornate praticheremo insieme il misticismo degli indios del Per, i quali, prima dell'arrivo degli Spagnoli, erano governati dagli Inka. Di fatto, nel significato andino, "inka" indica "un individuo capace di concentrare energia vivente per poi ridistribuirla". Mi introduco, raccontandovi il modo in cui cominciai a percorrere questo cammino spirituale. Il sentiero "Kausay Puriy" significa "imparare a camminare insieme all'energia vivente", camminare la vita in armonia con il cosmo, e mi auguro qui di muovere alcuni passi in vostra compagnia. una lunga storia, che cercher di riassumere. Inizia nel 1968. Ero, allora, ancora un giovanotto e stavo ultimando gli studi di antropologia all'Universit di Cuzco. Come quasi tutti i miei coetanei a quell'epoca, avevo una visione del mondo molto razionale dove le faccende spirituali non trovavano spazio alcuno. Era mia convinzione che certi temi fossero una perdita di tempo e un modo per ingannare la gente. Per motivi didattici mi trovai a investigare in una piccola comunit di indigeni. Faceva infatti parte del piano di studi svolgere una "ricerca sul campo", come esperienza diretta su cui basare, poi, la tesi di laurea. Forse non tutti sanno che la societ del Per comprende ancora una forte presenza indigena. I modi propri della tradizione e visione occidentale sono solo di una parte della popolazione che di solito parla castigliano. Anch'io appartenevo a questa realt. Un'altra parte dei peruviani, invece, parla i linguaggi indigeni locali ed in contatto con chi vive ancora secondo i principi praticati dalle comunit quechua tradizionali. Cos quando qualcuno si specializza in Antropologia non costretto ad andare all'estero per incontrare etnie diverse da studiare. Praticamente sufficiente percorrere qualche chilometro da una qualsiasi citt della Sierra per entrare a contatto con un mondo culturale diverso. Allo scopo d'intraprendere questo tipo di ricerca sono andato a Qotobamba, nel distretto di Pisaq. Avevo scelto come tema la struttura sociale di quel villaggio. Sono rimasto un mese presso quella comunit e qualcosa mi sorprese molto. I contadini con cui mi confrontavo finivano sempre per portarmi qualche spiegazione di tipo soprannaturale. Qualsiasi fosse il mio punto d'indagine, economico sociale, ottenevo risposte che provenivano dalla sfera religiosa, mistica in cui quegli indios dimostravano di essere profondamente immersi. Tutti gli argomenti affrontati alla fine erano riassorbiti da una visione divina del cosmo, da un profondo rispetto per l'energia vivente. Mi resi conto che quest'aspetto era fondamentale, perci chiesi il permesso ai miei professori di cambiare il tema della ricerca. Cominciai in modo pi approfondito, a lavorare sugli aspetti religiosi di quella comunit. Feci una relazione che poi si trasform in una tesi di laurea ed infine in una piccola pubblicazione. Il

materiale pubblicato provoc reazioni inaspettate, quelle testimonianze arrivarono nelle mani della Chiesa Cattolica. C'era, allora, la convinzione, tra i sacerdoti, che tutti gli indigeni fossero fedeli al cattolicesimo mentre io affermavo, documentandolo con la mia ricerca, che nonostante gli indigeni fossero apparentemente cristiani, mantenevano un sistema di credenze totalmente diverso da quello della Chiesa, pi somiglianti alla religione degli Inka del secolo sedicesimo, piuttosto che alla dottrina cattolica. Non ero disposto a cambiare la mia idea in materia spirituale, ma a quel punto non potevo chiudere gli occhi sul fatto che per questa gente l'ispirazione al sacro, al soprannaturale rappresentava il tessuto del vivere quotidiano nelle sue varie espressioni. Era evidente che quella comunit conosceva la cultura cristiana importata dai conquistatori, rimanendo per profondamente legata alla tradizione Inka: alla Pachamana, la Madre Terra vissuta come divinit, con cui gli andini si rapportavano continuamente; cos pure agli spiriti delle montagne, chiamati Apu, anch'essi delle divinit molto importanti. Usavano fare sempre delle offerte a queste entit, avevano un rapporto molto intimo con la natura, con i fiumi, con i laghi, come espressioni del divino. La Chiesa reag, quindi, alla mia scoperta, poich pensava che il mio lavoro fosse una mistificazione ad opera di un antropologo di sinistra. Cos cre un istituto per la ricerca con il compito di dimostrare che la mia tesi era sbagliata. Fece l'errore di mettere a capo dell'istituto un sacerdote, antropologo, molto onesto. Quest'uomo, Don Luis Dal, cominci ad indagare arrivando alle mie stesse conclusioni; infine fu lui ad invitarmi a pubblicare ci che avevo scoperto, sulla rivista dell'istituto. Allora, ero convinto, che quelle pratiche appartenessero a una piccola comunit che viveva nelle vicinanze del Cuzco, pensavo, cio, che fossero limitate a quell'area senza avere risonanza maggiore. In quegli anni io e mia moglie, anch'ella antropologa, cominciammo a lavorare ad un grande progetto di riforma agraria del Governo rivoluzionario militare. Si present cos l'occasione di avere contatti con gli indigeni delle Ande, dalla frontiera a Nord con l'Ecuador fino a quella al sud con il Cile. Abbiamo avuto l'opportunit di fare incontri molto interessanti con le genti di quei luoghi e nonostante fossimo l a lavorare per un progetto di sviluppo governativo, stavamo nel contempo cercando di esplorare il tema della spiritualit. Nel giro di 5 anni giunsi alla conclusione che quella cosmologia molto pratica che credevo limitata a una piccola zona, in realt apparteneva, come tessuto religioso, a tutti gli indigeni. Infatti, da alcuni confronti avuti con dei colleghi antropologi, capii che il sistema scoperto non apparteneva solo alle comunit peruviane, ma partiva dal sud della Colombia, continuava in Ecuador, coinvolgendo il Per, il nord del Cile, tutta la Bolivia e persino una piccola parte del nord dell'Argentina. Durante un seminario universitario di specializzazione, tra il 1976/77, presentai un'ipotesi del tutto accademica che portava alla luce come una rete cos diffusa di attitudini spirituali non poteva reggersi solo da se stessa, ma era cos coerente e vasta che doveva pur esserci qualche "specialista" a mantenerla in vita. Questa osservazione piacque ad un docente del seminario, Luis Millones, il quale mi stimol a convertirla in un progetto. Naturalmente, fino ad allora, il mio punto di vista personale non era cambiato, le scoperte che si susseguivano rimanevano ai miei occhi constatazioni puramente teoriche. Riuscimmo ad avere poi un finanziamento dalla Fondazione Ford, dato per sostenere un lavoro di ricerca di un anno. Tornammo quindi a Cuzco nel 1979 per iniziare. Come cominciammo, si imposero alla nostra attenzione fatti estremamente sorprendenti: Cuzco la citt dove ho vissuto praticamente tutta la mia vita, senza accorgermi che c'erano ben 70 mesas. La parola mesa pu assumere diversi significati, ma ci che ora qui intendo un gruppo formato da un maestro indigeno attorniato da alcuni discepoli: una specie di piccolo cenacolo esoterico guidato da un particolare tipo di sacerdote. Nella mia citt, in modo del tutto sotterraneo, esistevano un numero maggiore di mesas che di sacerdoti cattolici e protestanti messi insieme. Solo questa

scoperta rappresentava di per s un dato molto significativo. Ma c'era altro. Non esistevano solo questi "sacerdoti", ma bens una vera e propria gerarchia costituita da quattro differenti gradi. Da ogni livello, caratterizzato da pratiche particolari e riti d'iniziazione, si poteva passare al livello successivo. Giungemmo alla conclusione, anche per un fattore puramente di studio, che fosse importante contattare il "sacerdote" di grado pi alto. Scoprimmo cos che c'erano due "guide" del quarto livello proprio nella valle del Cuzco. Una viveva a nord, Don Oscar Velasquez e l'altra a Sud, Don Benito Qoriwaman. Alcune interviste avute con Don Oscar Velasquez furono veramente illuminanti. Avevamo gi una quantit di materiale sufficiente a giustificare le indagini. Tuttavia volevo recarmi anche da Don Benito Qoriwaman. Lui parlava runa simi, la lingua degli Inka, quindi portai un interprete poich la mia conoscenza dell'idioma indigeno era insufficiente, soprattutto per affrontare argomenti sottili. Andai l con un giovane studente della mia Universit che parlava molto bene il runa simi. Durante le mie ricerche avevo anche imparato il modo per trattare con questi personaggi. Portammo con noi l'offerta tradizionale adeguata: un pacchetto di foglie di coca e una bottiglia di liquore. Giungemmo nella piccola comunit una mattina d'aprile del 1979. Chiedemmo dove abitava Don Benito Qoriwaman, che significa il "Falco d'oro", e ci indicarono una piccola casa, in periferia. Al nostro arrivo usc fuori un ometto di bassa statura un po' grassottello, con un viso rotondo e sorridente, gli occhi erano particolarmente penetranti. Non era diverso, nel modo di comportarsi e nell'aspetto, da qualsiasi contadino dei dintorni. Anche la sua casa era simile alle altre, forse pi povera. In modo molto franco spiegammo quello che stavamo facendo e perch. Gli offrimmo il liquore e la coca. Ci invit a entrare e tir fuori, secondo l'usanza locale, un piccolo tavolo con tre seggioline, sulle quali sedemmo. Prese un bicchierino di cristallo, tipico fra i contadini e ci invit a bere il liquore. Cominciammo a dialogare tramite l'interprete. Don Benito ci offr un altro bicchierino, poi ancora un' altro, quindi, cominci a parlare direttamente a me, usando una lingua mista di runa simi e castigliano ed io gli risposi con quel poco che sapevo. Poi focalizz il suo sguardo su di me e si espresse in una lingua che non era n runa simi, n castigliano, n "cinese", n nessun'altro idioma conosciuto. Era una lingua mai sentita. Eppure, sorprendentemente, mentre lui parlava ero in grado di ricevere nella mia mente delle immagini a colori molto chiare e potevo capire il significato esatto di ci che lui stava dicendo. Quando volli intervenire mi ritrovai a parlare lo stesso strano linguaggio. Un'altro fatto insolito: agivo in quel modo singolare come se fosse del tutto normale, era molto familiare parlare con Don Benito, non ero sorpreso, mi trovavo completamente a mio agio. Il giovane interprete era noto per reggere bene l' alcool, poteva scolarsi anche mezza bottiglia di whiskey senza conseguenze. Quando arriv il momento di congedarsi avevamo bevuto solo tre bicchierini e dialogato per due ore di fila. A quel punto iniziarono i miei problemi. Trovandomi di nuovo a parlare da solo con il mio studente mi resi conto di quanto lui fosse ignaro dell'accaduto, non aveva capito assolutamente niente della conversazione, inoltre era completamente ubriaco e dovetti portarlo via a braccia. Usciti dalla casa di Don Benito la mia testa esplose. Ero lucido e consapevole dell'esperienza vissuta in quelle due ore, ma il mio apparato razionale e tutto ci che avevo imparato fino ad allora sembravano sgretolarsi. Inizi uno dei mesi pi complicati e sofferti della mia vita. C'erano momenti in cui avrei voluto dimenticare, a volte invece percepivo che ero arrivato a toccare qualcosa di veramente prezioso. Ero colto dalla tentazione di liquidare tutto come un semplice incidente di percorso, facendo finta che non fosse successo niente. Allo stesso tempo mi rendevo conto di aver sperimentato una realt molto importante. Non riuscivo a capire, a spiegare quello spazio che aveva permesso quel contatto e quella comunicazione, attraverso gli strumenti razionali conosciuti. Con tutta la mia logica e le mie idee tradizionali antropologiche non avrei mai potuto afferrare ci che mi stava succedendo. Divenne per me chiaro che l'unico modo per comprendere e approfondire era diventare discepolo di Don Benito.

Da ricercatore accademico, materialista diventai un frequentatore, un allievo di questo maestro. Mi guadagnai il discredito di molti colleghi perch secondo loro avevo perso l'obiettivit giusta per studiare quelle comunit senza esserne coinvolto. Contemporaneamente mi resi presto conto di aver guadagnato qualcosa che compensava qualsiasi perdita. Don Benito mi fece fare una serie di pratiche che mi donarono un'altra immagine della realt. Non che questa fosse nel frattempo cambiata, semplicemente avevo iniziato a percepire qualcosa che precedentemente non ero in grado di cogliere. Rimanendo a contatto con questa "nuova" realt e interagendo con essa emergeva un modo di sentire la vita diverso, molto meno teso, pi autentico. Fu cos che ricevetti una prima iniziazione da parte di Don Benito, attraverso un gioco che poi vi racconter. Poi mi mand da un secondo maestro per ricevere l'iniziazione successiva. In seguito andai, sotto suo consiglio, a Q'ero, un'altra comunit molto integra nel mantenere antiche pratiche rituali, forse la pi tradizionale dell'area andina. L conobbi un maestro del "sentiero", Don Andres Espinosa, e uno dei suoi allievi mi inizi al terzo livello. Percorsi molto velocemente la gerarchia iniziatica andina. Nel giro di un anno e due mesi ero arrivato al terzo livello, per cui pensavo che per raggiungere il quarto ci sarebbero voluti due tre mesi. Il quarto grado arriv, ma ci vollero altri otto anni e mi fu dato in un momento in cui sentivo che niente sarebbe pi successo. Era un periodo molto difficile per me, perch tutto quello che avevo costruito grazie al mio sforzo personale si stava sgretolando. Un'accadimento estremo mi fece accedere a capacit che prima mantenevo inattive, represse. Al manifestarsi di queste nuove potenzialit Don Benito mi riconobbe pronto all'iniziazione del quarto grado. Fu un grande shock per me, avevo atteso per otto anni questo momento. Durante quel periodo avevo percorso le montagne sacre, preso intimo contatto con i laghi, i fiumi e tutta la natura vivente. Vistomi sufficientemente maturo per questo passo ulteriore, Don Benito mi port nella Cattedrale del Cuzco dove partecipammo insieme alla messa cattolica, facendo ambedue la comunione. Ero alquanto perplesso sullo svolgimento iniziatico, pur rendendomi conto che il livello di partecipazione che mi veniva richiesto era ben diverso da quello abituale. Unica consolazione fu che, dopo la messa, svolgemmo una breve pratica utilizzando un grande uovo di pietra posto in un angolo della cattedrale. Presi parte ad un rituale che non aveva niente a che vedere con quelli cattolici. Si trattava di un legame diretto con la tradizione del sedicesimo secolo: gi a quel tempo un cronista indigeno aveva dipinto "l'altare maggiore degli Inka", dove venivano rappresentati i principali dei incaici. In una posizione centrale, in alto, c'era un uovo dedicato al Dio metafisico, soprannaturale. Il luogo dove si trova ora la Cattedrale del Cuzco nel punto stesso dove c'era, in passato, l'antico palazzo che fu tempio del Dio Wiraqocha. Quando lasciammo la cattedrale, l'iniziazione continu con rituali in luoghi tradizionali usati solo dagli indios. Alla fine, nei pressi di una laguna, facemmo un'invocazione a Waskar Inka, ultimo imperatore e spirito libero dell'impero incaico. Il rituale, cominciato alle otto del mattino, fin alle quattro del pomeriggio. Il mio sconcerto iniziale si trasform in riflessione perch compresi la continuit tra la spiritualit del sedicesimo secolo e quella dei nostri giorni, con una differenza frutto di una particolare qualit della religione andina. I maestri indigeni avevano incorporato la messa, la pi grande cerimonia della religione cattolica, nel rito di iniziazione. Questa flessibilit, ovvero assimilare parte delle cerimonie occidentali, aveva permesso di salvare il rituale, arricchendolo. Mi resi conto che il segno distintivo di questo sentiero spirituale era l'apertura, un'attitudine non nuova per quel popolo, in quanto fu gi praticata dagli stessi Inka. Essi avevano tessuto questa grande tradizione mistica accogliendo anche le piccole culture ed i sistemi religiosi di ogni regione da loro governata. In questo modo compii quel cammino iniziato nel 1968. Avevo accesso ad un'insieme di tecniche preziose ed una percezione della realt completamente diversa da quella conosciuta fino a quel

momento. Da semplice ricercatore accademico mi ero trasformato in uno sperimentatore di queste pratiche spirituali. Nel frattempo mia moglie si preoccup molto delle mie nuove attitudini, poich mi aveva sempre conosciuto come una persona molto razionale.

Intervento di Lida, moglie di Jun. vero, Jun spariva da casa e andava da Don Benito. Mi preoccupavo molto per lui e cominciai a provare rabbia nei confronti di Don Benito; trovavo strano che Jun andasse dietro a un contadino chiamandolo maestro. Mi chiedevo che cosa mai poteva insegnargli un contadino. Mi rendevo conto che Jun aveva fatto degli studi su quelle popolazioni caratterizzate da un terreno religioso cos forte e vitale, tale da essere valido anche dopo i 500 anni di colonizzazione subita. Comunque sia non mi spiegavo come Jun fosse potuto diventare il discepolo di Don Benito. Mi decisi e andai da lui con l'intenzione di dirgli di non mettere zizzania nella mia casa. Non riuscii a parlargli. Ebbi paura di avvicinarmi alla casa, temevo che lui potesse leggermi "dentro" e sentire tutta la collera accumulata nei suoi confronti. Guardavo da lontano la casa e percepivo il potere di Don Benito. Mi resi conto che questo uomo aveva qualcosa di speciale.

segue da pag. 26

Domande e Risposte
Ci sono simboli nella tradizione andina? Ci sono alcuni simboli associati alla tradizione. Per la maggior parte sono oggetti sacri, idoli, che noi chiamiamo khuya. Khuya un qualsiasi oggetto che una volta caricato del potere personale di un maestro, viene dato al discepolo dopo la pratica di un rituale d'iniziazione. Quindi la khuya ha la funzione di connettere l'energia di chi la dona con quella di colui che la riceve. sempre la tradizione che consente la relazione maestro-discepolo, attraverso il tipo di comunicazione di cui vi ho accennato raccontatondovi del primo incontro con Don Benito. Il mio maestro cerc di frequentare i corsi della scuola, ma non arriv n a leggere n a scrivere. Ci sono diverse generazioni di maestri: anche Don Benito aveva un maestro, Don Julin Ch'allayku. Ed a sua volta Don Julin era discepolo di Don Manuel Pinta. La tradizione del resto molto libera, per cui si pu ricevere la conoscenza ed utilizzarla in un campo esclusivamente privato, oppure si pu condividerla con altri. Per me, all'inizio, era una questione del tutto personale. Per, spinto da alcune circostanze, sono arrivato al punto di trasmetterla.

Questo cammino spirituale possibile solo sulle Ande perch qui non ci sono maestri c'e una motivazione particolare? Perch Jun questa esperienza d'iniziazione toccata proprio a te? Nel mio caso si trattato di un'interessante opportunit. Vivevo a Cuzco, gi centro spirituale dell'antica civilt, ed ero un antropologo, gi in contatto con la tradizione andina. Grazie all'attivit intrapresa ho incontrato il mio maestro. Ho trovato qualcosa che non stavo razionalmente cercando, ma a cui in qualche modo anelavo. Certo, anch'io

mi sono chiesto perch mi successo. Sarebbe potuto accadere a chiunque altro. chiaro che mi stato assegnato il compito di essere un anello di questa tradizione. Fino a quel momento era stata insegnata, seguendo un passaggio diretto tra maestro e discepolo, esclusivamente da indios a indios. Risulta subito visibile che non sono indigeno. Suppongo che Don Benito sarebbe stato interessato a insegnare tutto ci a qualsiasi altra persona con la stessa forte motivazione. Suppongo anche che avvenimenti come quelli da me narrati possano essere successi ad altri. Il punto che la mia formazione professionale, la mia inquietudine, la mia curiosit, mi portarono a decidere di diventare un discepolo di Don Benito. In un certo modo si pu dire che io lo stavo cercando, stavo cercando proprio lui, perch ero focalizzato sulla volont di approfondire e comprendere la tradizione. Da un altro punto di vista posso dire che lui stava cercando me quando mi comunic tutto quel "potere" al nostro primo incontro. Attualmente vedo questi eventi in termini di risonanza. Sicuramente la risonanza e la sincronia hanno diversi livelli, nel mio caso

stato veramente un mosaico di accadimenti particolari.

segue da pag. 28

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