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Sapph. fr.

1,18-24 e la grammatica dellíeros

Franco Ferrari

Le parole indirizzate da Afrodite a Saffo (nominata al v. 20) nella celeberrima


ode (fr. 1) citata da Dionigi di Alicarnasso (Comp. 23) come esempio supremo di
ëcomposizione eleganteí (γλαφυρÏ σύνϑεσις) sono state ampiamente discusse, ma
alcune questioni restano da chiarire. Ecco il testo, accompagnato da un apparato in
parte semplificato e in parte aggiornato, dei vv. 18b-24 secondo líedizione di Eva-
Maria Voigt (1971):

τίνα δη“τε πείϑω


®]®σάγην ἐς σÏν φιλότατα; τίς σ᾽, ‚
20 Ψάπφ᾽, ἀδίκησι;
καÚ γÏρ αἰ φεύγει, ταχέως διώξει,
αἰ δÓ δῶρα μὴ δέκετ᾽ ἀλλÏ δώσει,
αἰ δÓ μὴ φίλει, ταχέως φιλήσει
24 κωÃκ ἐϑέλοισα.
(Sapph. fr. 1,18-24)
18 πειϑω- (P) vel πειϑω (F) vel πειϑὼ codd. Dion.Hal. Comp. 23: πείϑω Faber, Πείϑων Ahrens,
πείϑῳ Meister, πείϑω-|μαι Blass, πείϑωμ᾽ Di Benedetto, πείϑεις Hutchinson 19 ®]®ϲάγην[ η ex ει
facto P. Oxy. 2288 (punctulum post ϲ infra in linea addidit scriba), -μαι σαγήνεσσαν (βαι ex μαι corr.)
P, και σαγηνεσσαν F: ἄ]ψ σ᾽ ἄγην Lobel, ἂ]ψ {σ} ἄγην Di Benedetto, μαῖσ᾽ ἄγην Wilamowitz,
malim μᾶσ᾽ ἄγην | ἐς ϝÏν Edmonds, Lobel 20 ἀδίκησι Meillet: ἀδικήει Et.Gen. AB, -α δίκης (F)
vel -α δίκη (P) codd. Dion.Hal. 22 ἀλλÏ G: αλλα F, ἄλλα P 24 κωÃκ ἐϑέλοισα Bergk: κωυ
κεϑέλουσα F, κ᾽ ‹υ κ᾽ἐϑέλοις P; κωÃκ ἐϑέλοισαν Schäfer, Blomfield, κω– κε ϑέλοισα Lobel, κω–
σε ϑέλοισαν A.D. Knox, κω– κε ϑέλοισαν Privitera

Ruoli e stagioni
Un punto di partenza per líesegesi del passo può essere tuttora rappresentato
da un contributo di una studiosa e poetessa canadese, Anne Giacomelli (1980)1, non
di rado ignorato o rifiutato, seppur riproposto in Reading Sappho2.

1
Anne Giacomelli non è altri che Anne Carson, autrice fra líaltro di una assai pregevole
versione inglese dei frammenti saffici (If not, Winter, London 2003).
2
Cf. Greene 1996, 227-233. In particolare, Di Benedetto (1983, 31 n. 5) dichiarava che
«fantastica è líinterpretazione di ἀδικήει proposta da Giacomelli» e Weissenberger (1991, 219 n. 32)
Franco Ferrari

Partendo dal dato per cui, nella dichiarazione di Afrodite, i predicati διώξει e
φιλήσει non appaiono accompagnati da un complemento oggetto, né δώσει da un
complemento di termine, ma sono usati assolutamente (si dice semplicemente che la
ragazza desiderata inseguirà, farà doni, amerà), Giacomelli riconosce nel carme la
presenza del topos secondo cui líamato che non ricambia diventerà in futuro un
erastes e in questo nuovo ruolo inseguirà un eromenos che a sua volta potrà ricusarlo
secondo scansioni legate alle diverse stagioni dellíamore.
Ecco alcune realizzazioni del modulo (altri passi, a cui si può aggiungere
Diocl. AP XII 35 = 4 G.-P., richiamava Giacomelli a p. 137 n. 8).

1305 ϑυμῷ γνοˆς ὅτι παιδείας πολυηράτου ἄνϑος


‹κύτερον σταδίου, τοῦτο συνεÚς χάλασον
δεσμοῦ, μή ποτε καÚ σˆ βιήσεαι, ƒβριμε παίδων
Κυπρογενους δ᾽ ἔργων ἀντιάσῃς χαλεπῶν,
·σπερ ἐγὼ νῦν „δ᾽ ἐπÚ σοί.

1305 Comprendendo che il fiore dellíagognata giovinezza


è più breve di uno stadio, questo capendo scioglimi
dalla catena, sì che un giorno anche tu, fierissimo fra i ragazzi,
non abbia a subire violenza cozzando nelle dure opere di Kypris
come ora accade a me per causa tua.
(Theogn. 1305-1309)

αἴδεο μ᾽, ‚ παῖ ã õ διδοˆς χάριν, εἴ ποτε καÚ σˆ


1332 ἕξεις Κυπρογενοῦς δῶρον ἰοστεφάνου
χρηΐζων καÚ ἐπ᾽ ἄλλον ἐλεύσεαι, ἀλλά σε δαίμων
δοίη τῶν αÃτῶν ἀντιτυχεῖν ἐπέων.

sosteneva che la sua tesi è smentita dalla doppia presenza di ταχέως ai vv. 21 e 23 e dal fatto che
líuomo non prega gli dèi per qualcosa che rientra nel corso naturale delle cose, ma ταχέως può avere
uníintenzionale carica enfatica e trova comunque riscontro nellíοÃκÔτι δηρόν di Theogn. 1303 e nel
paragone fra líadolescenza (παιδεία) e la corsa veloce in Theogn. 1305s., mentre quella di Afrodite
nella sesta strofe non è propriamente, come vedremo, la sua risposta pragmatica alla richiesta di Saffo
(questa si esaurisce ai vv. 15-20) ma, appunto, un richiamo didattico alla fisiologia dellíeros. Adesione
alla tesi del Giacomelli mostra invece Calame (2010, 161 n. 28), quando osserva che la studiosa «ha
visto chiaramente che nella relazione tra amante e amato la giustizia può essere ristabilita solamente
dopo un certo tempo» e più in generale (pp. 19s.) mette a fuoco la ëasimmetria costitutivaí che sta alla
base della relazione amorosa.
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Abbi riguardo di me, ragazzo, concedendomi ãquestoõ3 favore se mai pure tu


1332 godrai, desiderandolo, del dono di Kypris
dalla corona di viole e cercherai qualcun un altro, a allora un nume ti dia
di ricevere in cambio le stesse parole.
(Theogn. 1331-1334)

Il graffito del I d.C. ritrovato nella Villa di Arianna a Stabia (DíOrsi 1968)4:

εἴ τις καλÙς γενόμενος


οÃκ ἔδωκε πυγίσαι· ἐκῖνος καλῆς
ἐρασϑεÚς μὴ τύχοι βεινήματος.

Se uno, diventato bello,


non si lascia sodomizzare, a quello, innamoratosi,
non tocchi di scoparsi la sua bella.
(SEG XXVIII 816)

Dover (1978 = 1985, 185), pur seguendo líinterpretazione tradizionale (e al


tempo la sola in circolazione) secondo cui la ragazza inseguita cercherà e amerà a
sua volta anche suo malgrado colei che ora la insegue5, osservava che qui è
presupposto un forte senso di reciprocità erotica e dunque uníeclissi della consueta
distinzione fra un partner dominante e un partner subordinato che smentisce ciò che
le testimonianze sullíomosessualità greca maschile ci portano a immaginare, ma non
si intravede per líomosessualità femminile alcuna ësovversioneí, come vorrebbero
Skinner (1993) e McIntosh Snyder (1997), di un modello maschile. Gesti, desideri,
reazioni mostrano anzi, pur nella grande lacunosità della nostra documentazione,
uníestesa omogeneità6 ñ lo stesso Dover (1978 = 1985, 185) sottolineava che alcuni
3
Con ãτήνδεõ di G. Hermann.
4
Forse, come ha notato Jordan (1996), si tratta di due trimetri giambici di cui il primo (fino
a πυγίσαι) parzialmente storpiato (Jordan espungeva ἐκεῖνος e modificava γενόμενος in γ᾽ ‡ν).
5
Ma perché mai Saffo avrebbe dovuto essere gratificata dalla prospettiva che Afrodite
costringesse la ragazza desiderata a riamarla suo malgrado o peggio ancora, leggendo ἐϑέλοισαν (su
cui vedi sotto, pp. 106s.), contro la volontà di Saffo stessa?
6
Basti ricordare le coincidenze (resta fondamentale in proposito Lanata 1966) tra Sapph. fr.
1,3 ¿νίαισι (e 5,10 [¿ν]ίαν δÓ λύγραν) e Theogn. 1337 χαλεπÏς δ᾽ ἀπελάκτισ᾽ ἀνίας, tra Sapph. fr.
1,25s. (e fr. 96,17 λέπταν ποι φρένα κ[®]ρ ®®® βόρηται: a favore di βόρηται ësi divoraí vedi Page
1955, 92) e Theogn. 1323s. παῦσόν με πόνων σκέδασον δÓ μερίμνας / ϑυμοβόρους, tra Sapph. fr.
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brani di Saffo sono indirizzati a figure femminili nel linguaggio usato dagli erastai
maschi nei confronti dei loro eromenoi ñ pur senza escludere alcune differenze
(soprattutto una più condivisa articolazione del rapporto) nella reinterpretazione da
parte di Saffo di uno stesso modello generale7.
Certo líuscita del pais dallíadolescenza non comportava necessariamente la
fine del rapporto con il suo erastes, anzi Socrate nel Fedro sostiene che un ragazzo
non dovrebbe cedere a colui che più intensamente lo desidera bensì a colui che più
di altri sia in grado di contraccambiare il favore ricevuto e di restare un philos per
tutta la vita (233e-234b) e Teocrito, in un paidikon in dialetto eolico, fa dire a un
innamorato che scopo del loro legame deve essere quello di diventare Ἀχιλλέιοι
φίλοι (29,34), amici alla maniera di Achille (e Patroclo), ma questo tipo di relazione
duratura riguardava essenzialmente la philia: era una consuetudine di vita svincolata
dalla logica del corteggiamento e della ripulsa, dei doni e degli inseguimenti. In caso
di rifiuto, annuncia il maturo corteggiatore teocriteo, egli rinuncerà a ogni rapporto
con il pais e anche se quello, ormai provvisto di una barba da uomo (v. 33), dovesse
chiamarlo dalla strada egli non si affaccerà nemmeno sulla porta della corte perché
si sarà ormai liberato dalla stretta del desiderio (vv. 39s. τότα δ᾽ οÃδÓ κάλεντος

31,6-13 ἐπτόαισεν Ö α–τικα χρῷ πῦρ Ãπαδεδρόμηκεν Ö ἴδρως κακχέεται e Mimn. fr. 5,1s. (=
Theogn. 1017s.) αÃτίκα μοι κατÏ μÓν χροιὴν ῥέει ἄσπετος ἱδρώς / πτοιῶμαι δ᾽ ἐσορῶν ἄνϑος
¡μηλικίης, tra Sapph. fr. 49,1 †ράμαν μÓν ἔγω σέϑεν, êτϑι e Theogn. 1345s. παιδοφιλεῖν δέ τε
τερπνόν, ἐπεί ποτε καÚ Γανυμήδους / ἤρατο καÚ Κρονίδης, tra Sapph. fr. 48,2 ὂν δ᾽ ἔψυξας ἔμαν
φρένα καιομέναν πόϑῳ e Theogn. 1273 ἄμμε δ᾽ ἀνέψυξας μικρÙν χρόνον, tra Sapph. fr. 94,21-23
καÚ στρώμναν ἐπÚ μολϑάκαν / ἀπάλαν πα®[⏑ ⏑ ñ]®®®ων / ἐξίης πόϑο[ν ñ ⏑ ⏑]®νίδων e Theogn. 1064
ἱμερτῶν ἔργων ἐξ ἔρον ἱέμενον, tra Sapph. fr. 130,1 ûρος μ᾽¿ λυσιμέλης δόνει (e Alcm. PMGF
3,61s. λυσιμελεῖ τε πόσῳ) e Pind. fr. 123,11 τάκομαι, tra Sapph. fr. 163 τÙ μέλημα τ‚μον e Ibyc.
PMGF 288,1s. Χαρίτων Ö μελέδημα. Chiara distinzione di ruoli fra ἐράστρια e ἐρωμένη si ha anche
nel quinto Dialogo delle cortigiane di Luciano, dove Leena viene fatta oggetto delle attenzioni di
Megilla, la γυνὴ Ö δεινῶς ἀνδρική che la convince con vari doni a coricarsi fra lei e la sua ësposaí
Demonassa (Luciano poteva elaborare in chiave ironica la situazione ma non poteva smentire le attese
dei suoi lettori e delle sue lettrici sullíomosessualità femminile). Contro una netta distinzione fra
omosessualità maschile e femminile vedi Cavallini 1986, 21-31; Calame 1992 = 2010, 65-78;
Boehringer 2007a, 91-141.
7
Su questo aspetto ha insistito in particolare, e con interessanti osservazioni, E. Greene
(1994) partendo da uníanalisi dei ënoií disseminati per il fr. 94. Quando però la Greene (1994, 51)
contesta líinterpretazione di Giacomelli suggerendo che líassenza dei complementi oggetti nella sesta
strofe dipende dal fatto che «Sappho is suggesting that neither she nor her beloved are objects of each
otherís love» non tiene conto della sfasatura temporale fra le due situazioni anche secondo
líinterpretazione tradizionale (secondo la quale ognuna delle due sarebbe, a turno, ëoggettoí della
passione dellíaltra).
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ἐπ᾽αÃλείοις ϑύραις / προμόλοιμί κε, παυσάμενος χαλέπω πόϑω). Entro una


simile prospettiva, come ha mostrato Cairns (1977), già Pelope nellíOlimpica 1 di
Pindaro invoca líaiuto di Poseidone perché blocchi líasta di Enomao in nome della
χάρις che il dio dovrebbe nutrire verso di lui per i doni di Kypris ricevuti un tempo
(vv. 75s. φίλια δῶρα Κυπρίας ἄγ᾽ εἴ τι, Πόσειδον, ἐς χάριν / τέλλεται, πέδασον
ἔγχος Οἰνομάου χάλκεον).
Si potrebbe anche ipotizzare che oggetto del desiderio di Saffo non fosse una
pais ma una donna adulta e da più parti si è appunto sostenuto che líeros che si
dichiara nei brani superstiti della poetessa non si riferiva al rapporto fra una donna e
ragazze adolescenti, bensì a quello fra donne ugualmente mature8. Che obiettivo
delle attenzioni erotiche di Saffo fossero sempre o quasi sempre paides, e paides
della sua cerchia, emerge tuttavia dai frammenti, dalle testimonianze antiche, per
quanto talora distorte o tendenziose, sul suo ruolo e sulla sua poesia, dalle
raffigurazioni vascolari9.
Su un cratere a figure rosse del Pittore di Titono (ca. 490 a.C.) conservato
nelle Kunstsammlungen della Ruhr-Universität di Bochum (inv. nr. S 508) troviamo
addirittura, sui due lati del vaso, due figure rispettivamente indicate come ΣΑΦΦΟ
e come Η ΠΑΙΣ. Si tratti, come vuole Yatromanolakis, di una scena di corteggia-
mento o, come credo, di una danza processionale o, ancora, come interpretano
Gentili e Catenacci (2007a, 141) nella terza edizione di Polinnia, di una scena
díaddio, la relazione fra la poetessa e giovani ragazze a lei collegate ne esce ribadita
a circa un secolo di distanza dalla sua morte10. Né certo è pensabile che Saffo facesse
uníeccezione proprio per líOde ad Afrodite, con il suo carattere generalizzante e
quasi programmatico e il suo richiamo a vicende che si ripetono nel tempo.

8
Cf. Parker 1993; Stehle 1997, 262-318; Schlesier 2013.
9
Ne ho discusso in Ferrari 2007b, 41-44; per le raffigurazioni vascolari vedi Yatromanolakis
2007, 51-140.
10
Rispetto a quanto scrivevo in 2007b, 100-103 aggiungo che il gesto della ragazza di tenere
sollevata la veste è ricollegabile allíaccusa rivolta ad Andromeda di non saper alzare la veste sopra le
caviglie (fr. 57,3) ñ quel gesto che troviamo attestato già in Il. VI 442 = XXII 105 Τρῳάδας
ἑλκεσιπέπλους e poi in Eupol. fr. *104,3 K.-A. ἐπÚ τοῖν σφυροῖν ἕλκοντα τὴν στρατηγίαν (su cui
vedi Telò 2007, 249-257) e altrove e che Alceo (fr. 130b,18) riferisce alle parthenoi in processione nei
Kallisteia celebrati a Lesbo ñ e che Saffo viene ricordata in AP IX 189 (= anon. FGE 38) nellíatto di
guidare ragazze dellíisola di Lesbo (Λεσβίδες) verso quel temenos di Hera a Messon nel cui ambito i
suddetti Kallisteia dovevano essere celebrati (Robert 1960, 312-315; Caciagli 2010). Anche in questo
epigramma anonimo, come nel cratere di Bochum, Saffo suona la lira (v. 3) mentre le ragazze dellíisola
«muovono le tenere orme dei piedi» (v. 2 ἁβρÏ ποδῶν βήματ᾽ ἑλισσόμεναι), dunque con un
andamento ritmico lieve e pacato (cf. Pind. fr. 94b,66 ἡ[σύχ]ῳ ποδί) caratteristico di una processione.
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Con questa dimensione verticale e asimmetrica può integrarsi, ma non certo


nel nostro caso (dove ëSaffoí viene esplicitamente nominata), uníaltra dimensione
omoerotica, orizzontale e simmetrica, che trova riscontro anche in àmbito maschile
(cf. Theogn. 1063 ἐν δ᾽ •βῃ πάρα μÓν ξˆν ¡μήλικι πάννυχον ε—δειν): quella che
poteva legare fra loro coetanee eventualmente appartenenti alla cerchia saffica e che
si percepisce nello stupore che afferra Gongila alla vista della veste di Abanthis(?)
intorno alla quale vola il pothos (fr. 22,11-14), nella nostalgia di Atthis per líamica
lontana che andata sposa a Sardi spicca ora fra le donne lidie (fr. 96,1-20),11 nei
riferimenti al dormire insieme fra compagne (ἔταιραι) nei fr. 94,21-23 e 126.
Ma tornando al primo tipo di relazione ñ quella ëasimmetricaí ñ possiamo
notare che la specularità fra omoerotismo maschile e omoerotismo femminile vale
anche per il nesso ἐς σÏν φιλότατα del v. 19, che trova un puntuale parallelo in
Theogn. 1099 = 1361 ἐμῆς φιλότητος ἁμαρτών (e cf. anche v. 1296 e v. 1313).
Anche se φιλότης mostra in Saffo come nella silloge teognidea una chiara
valenza erotica non si può trascurare che questo vocabolo, come emerge da una
classica analisi di Benveniste (1969 = 1976, 256-271), comportava fin da Omero le
nozioni di legame vincolante (matrimoniale, come in Alc. fr. 42,10, o di altro
genere), di possesso (appartenenza) e di patto (come nella formula epica φιλότητα
καÚ ὅρκια) oltre che di affettività12. Così il nesso epico φιλότητι μιγήμεναι designa
il rapporto sessuale in quanto la mixis rappresenta uníunione o congiunzione, come
ben mostra il φιλότητος ἔρως di Archil. fr. 191,1. Dunque ἐς σÏν φιλότατα non
significherà «à tíaimer» (Lasserre) ma ìallíunione (relazione, legame) con teî così
come in fr. 71,3 φιλότ[ατ᾽] ἤλεο Πενϑιλήαν Mika viene accusata di aver scelto di
legarsi alla fazione delle Pentilidi (e cf. Theogn. 1278b προλιπόνϑ᾽ ἡμετέρην
φιλίην, «disertando il nostro vincolo díamore»).
Se inoltre, come vedremo di qui a poco, bisogna optare al v. 24 per
ἐϑέλοισαν, il discorso di Afrodite viene a perdere ogni esplicita connotazione
omoerotica secondo una tendenza a oltrepassare la logica di genere che affiora anche
altrove in Saffo, in particolare nel τις di ἔγω δÓ κῆν᾽ ƒτ-/τω τις ἔραται di fr. 16,3s.
Se inseguire, fare doni, desiderare erano comportamenti propri del ruolo di
amante, non di quello di amato/-a (da cui si poteva sperare χάρις e αἰδώς, non
passione), il richiamo della dea al cambiamento di ruolo che la ragazza fra breve

11
Come ben scriveva Bonanno (2007, 34), «si fa evidente la puntigliosa esattezza del contiguo
νῦν δÓ Λύδαισιν ἐμπρέπεται γυναί-/κεσσι (vv. 6s.), che temporalmente (νῦν) oppone (δέ) líattuale
compagnia di donne sposate (γύναικες) ai passati cori di fanciulle in fiore».
12
Vedi anche líampia discussione della relazione tra φιλότης, eteria e xenia in Caciagli 2011,
56ss.
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Sapph. fr. 1,18-24 e la grammatica dellíeros

sperimenterà allarga la prospettiva collocando le frustrazioni passate e presenti del


soggetto lirico entro un orizzonte più ampio: líiterazione di innamoramenti non
corrisposti viene a situarsi nella cornice di una dinamica per cui il giovane o la
giovane tende a sottrarsi alla passione della persona più adulta prima di inseguire più
tardi egli stesso o ella stessa una persona più giovane13.

Reticenze
Dalla replica di Afrodite alla sua devota non emerge alcuna rivelazione
sullíesito della vicenda: troviamo solo la domanda su che cosa ella desideri ñ
tradizionalmente usata fin da Il. XIV 195 = XVIII 426 = Od. V 89 α–δα ὅ τι
φρονέεις per dimostrare interessamento e buona disposizione verso chi ha bisogno
di un favore non ancora formulato ñ e la doppia interrogativa sullíidentità della
giovane oggetto di desiderio, seguita da parole di conforto che non garantiscono
alcun successo del corteggiamento (per il testo dellíinizio di vv. 18s. vedi sotto, pp.
98s.) ma si propongono come un memento didattico.
Proprio il mancato riconoscimento dellíatteggiamento reticente mostrato da
Afrodite è probabilmente alla base dellíinterpretazione tradizionale e della sua quasi
universale accettazione, eppure essa fa il paio con quella dellíëioí sul nome della
ragazza desiderata (nel passato e nel presente) e su quale sia líobiettivo primario
dellíinvocazione alla dea: se in vista della liberazione dalle ansie14 o della conquista
della pais o di entrambe le cose. Da notare che in Theogn. 1323-1326 analoga
invocazione a Kypris per la liberazione dagli affanni sfocia nellíattesa di una
sophrosyne su cui poter contare una volta varcato il termine della giovinezza.
A proposito di questa ambiguità fra perseguimento di un obiettivo e libera-
zione dai tormenti Hunter (2007) ha richiamato líatteggiamento di Orazio in Carm.
IV 1. Invaso da tardiva passione per il giovane Ligurino, il poeta supplica Venere di
non tormentarlo con nuove ansie, ma di andarsene (allíἔλϑε saffico si contrappone
líabi di IV 1,7) trasferendosi presso il lago Albano nella villa del giovane Paolo
Massimo, che accoglierà festante la dea e le dedicherà una statua di marmo. A

13
Líinterpretazione tradizionale è invece compatibile con líinseguire/fuggire in àmbito etero-
sessuale, dove è consueta la reciproca inversione di ruoli fra due amanti, come in Aristaen. II 16,11
ἐκείνην διώκεις ὅτι σε πόρρωϑεν ἀποφεύγει (con il commento di Drago 2007, 557) e in Ter. Eun.
812s. novi ingenium mulierum: / nolunt ubi velis, ubi nolis cupiunt ultro.
14
Cf. Lanata 1966, 67: «Afrodite nellíode 1 si presenta più a temperare che a scatenare i
ëdeliri del cuoreí»; West 1970, 308: «a real prayer Ö would have had to specify what it was that Sappho
wanted. She leaves that pleasantly vague».
91
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Venere, che ha ripreso a muovergli guerra (vv. 1s. Intermissa, Venus, diu / rursus
bella moves?), Orazio si rivolge con parce, precor, precor (v. 2, cf. Tib. I 2,99 at
mihi parce, Venus) e con desine, dulcium / mater saeva Cupidinum, / circa lustrum
decem flectere mollibus / iam durum imperiis (vv. 4-7), ma questa supplica non gli
evita di continuare ad alimentare la sua passione se di fronte al puer gli si blocca,
safficamente (fr. 31,7-9), la lingua (vv. 35s. cur facunda parum decoro / inter verba
cadit silentio lingua?) ed egli apostrofa il giovane, a principio del carme gemello IV
10, con O crudelis adhuc et Veneris muneribus potens ricordandogli che la superbia
che ora sfoggia verrà punita quando sarà dileguata la sua bellezza: una rivalsa nei
confronti della superbia della persona amata ñ non sarai giovane per sempre! ñ che
risulta alternativa a quella annunciata in Sapph. fr. 1 e quale troviamo anche in
Theogn. 1299-1304 e poi diffusamente nella letteratura ellenistica15.
Per altro uníapostrofe ad Afrodite, detta ben a proposito δέσποινα (cf. Eur.
Hipp. 117, 415, 522 e Med. 632), in relazione non a un oggetto di desiderio ma al
soffocamento o al superamento delle pene díamore la troviamo ora in Saffo stessa,
e con una riproposizione di ἄσαισι di 1,3 in ἄσαιτο del v. 1, a principio della
seconda ode recuperata in P. Obbink16:

1 πῶς κε δέ τις οà ϑαμέως ἄσαιτο,


Κύπρι δέσποιν᾽, ƒττινα [μ]ὴ φίλ[ησϑα
ϑᾶς] ϑέλοι μάλιστα πάϑ[ος] κάλ[υψαι;

1 Come non si cruccerebbe più volte,


Kypris padrona, uno che tu [non] ami
[finché] voglia in sommo grado nascondere la sua sofferenza Ö?
(Sapph. Carme di Cipride 1-3)

La persona sofferente non chiede alla dea il successo nella sua ricerca
amorosa, ma le rimprovera di non soccorrerla se tenta di soffocare ο dissimulare la

15
Cf. Asclep. AP V 85, Theocr. 29,25-30, Tib. I 8,47s. Si vedano, inoltre, Pasquali 1920,
354s. e Vetta 1980, 89s.
16
Per la ricostruzione e interpretazione del testo vedi Obbink 2014, 45-49; West 2014, 17s.;
Ferrari 2014, 14; Benelli 2015, ma alcuni aspetti restano problematici. Cf. anche líanalisi di Boehringer
e Chabod alle pp. 47ss. di questo volume.
92
Sapph. fr. 1,18-24 e la grammatica dellíeros

sua passione17, continuando invece a vessarla con il desiderio che le ha fiaccato le


ginocchia (vv. 5s. δαΐσδ[ − / ἰμέ]ρῳ λύσαντι γόν᾽)18.
Bisogna inoltre considerare che anche se il nesso tra eros e follia affiora già
in Anacr. PMG 359,2, 398,1 e 428,2 καÚ μαίνομαι κοà μαίνομαι (ma con mondana
ironia) e in Ibyc. PMGF 286,10s. παρÏ Κύπριδος ἀζαλέ-/αις μανίαισιν (ma con
un senso di cupa oppressione) prima di essere teorizzato da Platone (Phaedr. 244a-
245c), rispetto alle altre domande formulate da Afrodite quella dei vv. 17s. (che cosa
vuoi ottenere?) contiene nella determinazione μαινόλᾳ ϑύμῳ «con animo folle» una
censura per la carenza di autocontrollo della sua devota19: si pensi alla μαινόλις γυνή
di Archil. fr. 196a,20 e anche, parimenti con connotazioni erotiche, a διάνοιαν
μαινόλιν di Aesch. Supp. 109, a μαινομένᾳ κραδίᾳ di Eur. Med. 433 = Hipp. 1274,
a ἔρωτι μανιώδη di Suppl.Mag. I 45, r. 31.
La poetessa appare consapevole della propria ëfolliaí, ma non se ne compiace,
né forse è un caso che questo μαινόλᾳ sia líunica attestazione saffica di termini con-
nessi a μαίνομαι / μανία. E sembra sintomatico il fatto che mentre Alceo dichiara
che Elena seguì Paride «diventata pazza per un uomo troiano ingannatore di ospiti»
(fr. 283,4s. Τρωΐῳ δ᾽ [ἐ]π᾽ ἄν[δρι / ἐκμάνεισα ξ[εν]ναπάτᾳ)20 senza specificare
líagente di una tale follia e nel fr. 42 delinea una synkrisis fra Elena rovina della
gente troiana e Tetide madre del più grande degli eroi, Saffo, rievocando la stessa
vicenda, precisa che il traviamento di Elena fu opera di Afrodite (fr. 16,11 παράγα-
γ᾽, cf. Od. IV 261s. ἄτην Ö ἣν Ἀφροδίτη / δῶχ᾽): una deresponsabilizzazione della
bellissima tra le donne che ora vediamo confermata dal recupero di νόημμα (già
congetturato da Di Benedetto) in P.GC. inv. 105 fr. 2 c. I r. 11 e di ]®®ηση® (νοήσῃ)
al r. 12, con cui possiamo ricostruire con qualche fiducia il testo di fr. 16,11-14:

Ö ἀλλÏ παράγαγ᾽ α–ταν


12 οÃδάμ᾽ ἔκοι]σαν
Κύπρις· ἄγν]αμπτον γÏρ [ἔχει] νόημμα
®®®®]®®(®) κούφως τ[®®®®®®] νοήσῃ
(Sapph. fr. 16,11-14)

17
Cf. Eur. Hipp. 139 κρυπτῷ πάϑει, Men. Mis. 361 Sandb. ποιεῖν τ᾽ ἄδηλον τοῖς συνοῦσι
τὴν νόσον, Sulp. 6,6 ardorem cupiens dissimulare meum.
18
Cf. fr. 58c,5 e Od. XVIII 212 τῶν δ᾽αÃτοῦ λύτο γούνατ᾽, ἔρῳ δ᾽ἄρα ϑυμÙν ἔϑελχϑεν.
19
Cf. Stanley 1976, 318 e Hutchinson 2001, 156.
20
A favore di Τρωΐῳ Ö [ἐ]π᾽ ἄν[δρι Ö ξ[εν]ναπάτᾳ piuttosto che Τρωΐω [Õ]π᾽ ἄν[δρος
Ö ξ[εν]ναπάτα sta che ἐμάνην suole funzionare da riflessivo, non da vero passivo, e pertanto ben
difficilmente poteva essere accompagnato da un complemento di agente.
93
Franco Ferrari

12 οÃδάμ᾽ supplevi | ἔκοι]σαν Pesenti 13 Κύπρις· ἄγν]αμπτον Schubart | [ἔχει] Di Benedetto 14


καÚ τέλ]ει Lidov | τ[ό κε Lavagnini, deinde fort. περ] cl. Il. X 225 εἴ πέρ τε νοήσῃ

Ö ma la traviò
12 [nientíaffatto consenziente]
[Kypris:] infatti [ha] mente [in]flessibile
[e realizza] facilmente [ciò che] pensa.21

La cosa più bella è, per comune sentire22, ottenere ciò che uno desidera (v. 4
ἔραται) e la pulsione erotica è tale che Elena, la più bella fra tutti gli esseri umani e
in quanto tale, come ha osservato Most (1981), idonea a essere utilizzata come
termine di riferimento e di giudizio in questo àmbito, seguì Paride fuorviata da
Afrodite e dalla sua «mente inflessibile»23, lasciando i suoi splendidi philoi, fra cui
il migliore dei mariti (forse τÙν [πανάρ]ιστον [Page] al v. 8).
Un esempio da non ripetere, un caso iperbolico pagato a carissimo prezzo da
tutti, Elena compresa24, ma uníazione gratificante e inevitabile nel breve lasso di
tempo coincidente con il raggiungimento dellíobiettivo e dunque suscettibile di
essere posta in parallelo (forse tramite κἄ]με di Lobel a principio di v. 15) con il
rimpianto che coglie líëioí lirico al ricordo, promosso dalla stessa Afrodite, di
Anattoria assente (vv. 15s. ¿]νέμναι-/σ᾽ οÃ] παρεοίσας), eternizzata nel suo passo

21
Per una discussione del passo sulla base della testimonianza del nuovo papiro vedi Burris-
Fish-Obbink 2014, 16s. Il supplemento κωÃδάμ᾽ ñ per líavverbio οÃδάμα / οÃδαμά cf. fr. 91 e, omesso
dalla Voigt, fr. 87 (18),4 L.-P. ñ tiene conto non solo, come faceva Martinelli Tempesta 1999 (che
proponeva οÃδÓ ϑέλοι]σαν), dellíaccento grave segnalato da Lobel in séguito allíaggiunta di due
frustoli (1951) allíeditio princeps ma anche del suo posizionamento al di sopra della seconda lettera del
v. 12 (secondo la prassi alessandrina rispecchiata nei papiri letterari líaccento grave avvertiva in
anticipo il lettore della tonicità di una sillaba successiva, in particolare dellíultima, eventualmente ma
non necessariamente marcata con líaccento acuto, vedi Laum 1928, 400ss.: dunque κὼυδαμ᾽ come
κὼυδ[ε al v. 11). Per líintegrazione [ἔχει] vedi Di Benedetto in Di Benedetto-Ferrari 1987, 147, per
ἔκοι]σαν (cf. fr. 94,5 ἀέκοισ᾽) Pesenti 1922, che però integrava, con Hunt, Κύπρις a principio del v.
12 facendo di Elena una vittima consenziente (ma allora non si capirebbe il nesso con líinflessibilità
della mente della dea, il cui intervento risulterebbe assai meno significativo, vedi Koniaris 1967, 265
n. 1), per τ[ό κε Lavagnini 1932 (τ[ό κεν ἐν]νοήσῃ).
22
Cf. Theogn. 155s., Carm.conv. PMG 890.
23
Cf. Il. XXIV 4s. ο–τε νόημα / γναμπτόν [di Achille], Aesch. Pr. 164 ἄγναμπτον νόον,
Paul.Sil. AP XVI 278,3 ἄγναμπτον ἔχει νόον.
24
Sulla problematicità dellíesempio mitico di Elena vedi Bierl 2003. Da notare la voluta
assenza, diversamente che in Alc. fr. 283, di qualsiasi riferimento esplicito alla guerra di Troia: si parla
solo del viaggio marino della donna alla volta di Ilio (v. 9).
94
Sapph. fr. 1,18-24 e la grammatica dellíeros

seducente e nello scintillio del suo volto. Dea volubile e prepotente, Kypris fa
ricordare (v. 15) e fa dimenticare (vv. 10s.) realizzando facilmente ogni sua
intenzione.
Affettuosa ironia25 è poi da riconoscere nel sorriso della dea in 1,14
(μειδιαίσαισ᾽). Se Afrodite è per definizione φιλομμειδής26, in quanto il sorriso è
parte integrante della fenomenologia erotica, qui assistiamo alla presa di contatto fra
una divinità apostrofata come ëbeataí (v. 13 ‚ μάκαιρα) e una donna che la invoca
in una condizione di acuta sofferenza. Il sorriso della dea, inteso a placare líansia
della supplicante, può allora somigliare a quello di Zeus quando consola la stessa
Afrodite per il graffio procuratole da Diomede (Il. V 426) e a quello di Hera quando
(ri)ascolta le disavventure del figlio Efesto (Il. I 595), non a quello della medesima
Hera compiaciuta dellíeffetto seducente che potrà esercitare su Zeus la fascia
multicolore donatale proprio da Afrodite (Il. XIV 222).
Anche i tre δη“τε disseminati ai vv. 15, 16 e 18 ñ un modulo per il quale cf.
fr. 22,11 e 130,1, Alcm. PMGF 59a,1, Ibyc. PMGF 287,1 (α“τε), Anacr. PMG
358,1, 376,1, 413,1, 428,1 ñ sembrano commentare in tono gentilmente spazientito
la ricorrente predisposizione della locutrice, come donna e come poetessa, alla
passione amorosa (Mace 1993, 358).
Con un allargamento del quadro si accorda la natura del nesso che avvia la
sesta strofe (v. 21) καÚ γάρ «e in effetti», «e in verità», «e del resto» (Denniston
1954, 108-111), con cui «the phrase in which καÚ γάρ stands is added as a new and
important thought» (Smyth 1920, 640) in quanto inserisce il caso particolare in una
tendenza o regola generale oppure lo illustra con un esempio significativo27.
Relativamente a Saffo sia in fr. 22,15s. (καÚ γÏρ α–τα δή πο[τ᾽] ἐμέμφ[ετ᾽ –μμε
/ Κ]υπρογέν[ηα «e in verità talvolta [vi] rimproverava la stessa dea nativa di
Cipro») sia nel fr. 27,4s. (®®®]® καÚ γÏρ δὴ σˆ πάις ποτ᾽ [ἦσϑα / κἀ]φίλης
μέλπεσϑ᾽ «e in verità anche tu un tempo [eri] ragazza / [e] amavi cantare»)28 il nesso
apre uno squarcio sul passato personale di Saffo e del suo gruppo mentre nellíode
del papiro di Colonia (fr. 58c,9) segna la transizione da una sentenza
sullíineluttabilità della vecchiaia al paradigma mitico di Aurora e Titono
(líintegrazione iniziale è pressoché sicura): καÚ] γάρ π[ο]τα Τίϑωνον ἔφαντο

25
Cf. Page 1955, 15: la dea appare «a little impatient, but tolerant, as a mother with a
troublesome child»; Hutchinson 2001, 155: «the smile also conveys Aphroditeís amusement».
26
Cf. Il. IV 10, V 375, VIII 362, Ven. 49, 56, 65 etc.
27
Analogo è líuso di namque in latino, ad es. in Hor. Carm. I 22,9 namque me silva lupus in
SabinaÖ
28
Su questi due carmi si veda Di Benedetto 1986.
95
Franco Ferrari

βροδόπαχυχυν Α–ων. E particolare affinità, in quanto formula di passaggio


allíenunciazione di una norma generale, mostra líuso di καÚ γάρ nella Trugrede di
Aiace (Soph. Ai. 669s.): καÚ γÏρ τÏ δεινÏ καÚ τÏ καρτερώτατα / τιμαῖς
Õπείκει29.

Amare chi non vuole


Giacomelli evitava il passo ulteriore di adottare la correzione ἐϑέλοισαν al v.
24 accogliendo invece la lezione ἐϑέλοισα e richiamando, per la necessità o
compulsione indotta da Eros, passi come Archil. fr. 120 δάμναται, Ibyc. PMGF 287
ἀέκων, Theogn. 1343 ἀεκούσια πολλÏ βίαια, AP XII 85,6 ἄκων φέρομαι.
Senonché con ἐϑέλοισα non si avrebbe alcun ribaltamento della situazione in atto
perché líamata continuerebbe a ënon volereí così come ora ñ in realtà, nellíàmbito
di un precedente contatto tra la poetessa e la dea ñ non ricambia le attenzioni della
sua inseguitrice: a meno che, contro il dato per cui un participio presente modifica il
suo orientamento temporale rispetto al predicato a cui si lega solo grazie a un
avverbio, si intenda che amerà in futuro, come talora si traduce, «anche se ora non
vuole». I vari confronti addotti a favore del nominativo sono falsi paralleli poiché
connettono la condizione di volontà o di non volontà non allíamore o ad altro
sentimento, bensì ad azioni o comportamenti. Per M.G. Bonanno (1973) ci sarebbe
una puntuale imitazione del luogo saffico in Theogn. 1283-1294, uníelegia dove la
vergine Atalanta fugge ricusando líunione con gli uomini (v. 1289 ἀναινομένην
γάμον ἀνδρῶν) ma alla fine sperimenta (ἔγνω) i doni di Afrodite pur continuando
a recalcitrare (v. 1294 καÚ μάλ᾽ ἀναινομένη). In realtà questa selvatica figura,
esposta bambina dal padre e allevata da uníorsa prima di essere restituita alla
famiglia, conosce il matrimonio e líunione sessuale, non líamore, subendo lo stesso
destino che Tetide lamenta, per le sue nozze con Peleo, in Il. XVIII 433s. ἔτλην
ἀνέρος εÃνὴν / πολλÏ μάλ᾽ οÃκ ἐϑέλουσα. Quando il padre le ordina di maritarsi
propone ai suoi pretendenti una gara di corsa promettendo di sposare chi non si lasci
raggiungere da lei nella corsa, ma poi si ferma a raccogliere le mele díoro
astutamente lasciate cadere da uno dei pretendenti, Melanione (ma Ippomene in Hes.
frr. 72 e 74 M.-W.), e non riuscendo più a raggiungerlo si trova costretta a mantenere
suo malgrado la promessa fatta30; parallelamente, nellíillustrandum, líamante chiede

29
Cf. Finglass 2011, 330s.
30
Cf. ëApollod.í III 9,2 e Ael. VH 13,1.
96
Sapph. fr. 1,18-24 e la grammatica dellíeros

al pais amato di non fargli torto (v. 1283 μή μ᾽ ἀδίκει) e di ascoltarlo con
benevolenza, non di amarlo31.
È piuttosto una serie di passi addotti dalla Bonanno ma da lei considerati
uníintenzionale deviazione da un primitivo modello a riferirsi allíamare (inseguire)
chi fugge e ricusa: in particolare, con coincidenza letterale, Theogn. 352 μὴ δή μ᾽
οÃκ ἐϑέλοντα φίλει (apostrofe a Povertà) e 1094 χαλεπÙν δ᾽ οÃκ ἐϑέλοντα
φιλεῖν, Strat. AP XII 203,1 οÃκ ἐϑέλοντα φιλεῖς με, φιλῶ δ᾽ἐγὼ οÃκ ἐϑέλοντα32.
La disputa su ἐϑέλοισα o ἐϑέλοισαν è di vecchia data e prende le mosse da
G.H. Schäfer, che in una nota alla sua edizione del De compositione verborum
pubblicata a Lipsia nel 1808 congetturò ἐϑέλοισαν conoscendo, della tradizione
manoscritta di questo trattato di Dionigi di Alicarnasso, solo il ramo facente capo a
P (Parisinus 1741), che reca κ᾽ώυ κ᾽ ἐϑέλοις (analogamente i codici dellíepitome
[DMRV] hanno, con variazioni insignificanti, κ‡ εἰ καἰ ϑέλεις)33 e da Th. Bergk,
che sulla stessa base manoscritta congetturò ἐϑέλοισα (1833, 111).
F.G. Welcker, che nel 1816 aveva pubblicato a Gottinga un opuscolo in cui
intendeva liberare la poetessa da ogni pregiudizio di ëscandalosaí omosessualità (sul
dibattito in corso allíepoca vedi Most 1995), reagì alla proposta di Bergk osservando
(1857, 228) che sulla base del tramandato ἐϑέλοις líaccusativo (per cui la persona
amata poteva essere, come Welcker in effetti riteneva, un uomo) è altrettanto
legittimo di ἐϑέλοισα e richiamava, oltre al citato epigramma AP XII 203 di
Stratone, Il. VI 165 (Bellerofonte secondo la calunnia della moglie di Preto) ὅς μ᾽
ἔϑελεν φιλότητι μιγήμεναι οÃκ ἐϑελούσῃ34. Una svolta fu impressa da Enea
Piccolomini in un contributo del 1892 in cui per primo valorizzava, insieme con altri
manoscritti fino ad allora ignorati, il Laurentianus 59,15 (F), che recando κωυ
κεϑέλουσα conferiva dignità di lezione alla congettura di Bergk. Da allora il
nominativo ἐϑέλοισα ha largamente prevalso35 anche se guasta la coerenza tematica

31
Per líunitarietà dellíelegia 1283-1294 vedi Gentili 1984 = 2006, 77-81 e Ferrari 1989, 316-
320.
32
Per altri paralleli vedi Giannuzzi 2007, 278-280.
33
La stessa congettura fu fatta indipendentemente non molto tempo dopo, e con assoluta
convinzione («quod reposui certissimum est»), da Blomfield 1926, 7.
34
Il passo omerico potrebbe aver influenzato direttamente Saffo se è vero che anchíella usa
qui, atipicamente, una forma di ἐϑέλω (un parallelo non sicuro è Alc. fr. 66,6 ‹ς ἐϑελ[), non di ϑέλω
(che compare al v. 17 e più volte altrove in Saffo e Alceo). In Omero la forma con aferesi si trova solo
in Od. XV 317 ὅττι ϑέλοιεν.
35
Ma Knox suggerì κω– σε ϑέλοισαν (1938, 194 n. 3) e Privitera 1967, 46-50 κω– κε
ϑέλοισαν, e anche Page 1955, p. 11 dubitava del nominativo («I leave οÃκ ἐϑέλοισα in the text,
without the last confidence in it»).
97
Franco Ferrari

della strofe e anche se si può sospettare che sia solo líerrato scioglimento di
uníabbreviazione, rispecchiata da ἐϑέλοις di P, già presente nellíarchetipo36. Né
Giacomelli prendeva in considerazione un dato che avrebbe quadrato molto bene con
la sua interpretazione ma che è stato sistematicamente rimosso: la possibilità,
rivendicata da Jouanna (1999, 124-126), di leggere al v. 22, con P, ἄλλα (αλλα
senza accento F), non ἀλλÏ di un recenziore (G). Líuso di ἀλλά come un ëinveceí
pleonastico per rafforzare líavvio di uníapodosi è uno stilema omerico (Il. II 281,
Od. XIX 86 etc.), effettivamente introdotto per contrastare líidea espressa nella
protasi, ma dopo Omero tende a essere limitato a casi in cui la protasi è negativa e
líapodosi «gives a more or less inadequate substitute for what is left unrealized in
the protasis: ëat all eventsí, with a notion of pis aller» (Denniston 1954, 11s.). E
precisamente con questa valenza ἀλλά compare in Sapph. fr. 94,8s. αἰ δÓ μή, ἀλλά
σí ἔγω ϑέλω / ƒμναισαι «e se non vuoi (ricordare), io voglio comunque (almeno)
ricordarti». Inoltre nel nostro passo ἀλλά incrinerebbe il perfetto parallelismo fra le
tre frasi composte da protasi e apodosi che occupano ognuna un verso della strofe;
invece ἄλλα (cf. Hdt. III 39,2 πέμπων τε δῶρα καÚ δεκόμενος ἄλλα παρí
ἐκείνου) contribuisce a distanziare e diversificare doni ricevuti e doni offerti, realtà
immanente e suo futuro ribaltamento37.

Il testo del v. 19
Come osservava Bonanno (1973, 110), il ëtortoí lamentato da Saffo consiste
«nel rifiuto dellíofferta díamore». Nulla suggerisce che qui si presupponga uno di
quei ëtradimentií pur ben attestati nei nostri frammenti: da Mika, la fuggitiva del fr.
71, ad Atthis che vola verso Andromeda del fr. 131 e alla Pleistodika di cui, in fr.

36
Líarchetipo in onciale del trattato di Dionigi dovette essere oggetto di due traslitterazioni
indipendenti per i due distinti rami della nostra tradizione (Aujac 1974).
37
Questa prospettiva didattica esclude qui un aggancio, ventilato da Petropoulos (1993) e da
Winkler (1990, 42-53), al filone magico delle ἀγωγαί nonostante líaffinità fra la diade saffica φεύγει
/ διώξει e formulazioni come κατατρ[έ]χω, αÃτÙς δέ με φεύγει di Suppl.Mag. II 72, c. II r. 12 (età
augustea). Un tenore incantatorio è piuttosto riconoscibile, con Faraone 1992, nella frase conclusiva
della preghiera con la sua quasi formulare genericità (cf. fr. 5,3s.), per la quale si può richiamare,
allíinterno del papiro magico appena citato, la frase πότνια Κυπρογένεια τέλει τελέαν ἐπαοιδήν (c.
I 14s. = c. II r. 24s.), e cf. anche Aristoph. fr. 29,2 K.-A. (dallíAnfiarao) τελέει δ᾽ἀγαϑὴν ἐπαοιδήν
e Suppl.Mag. I 45,53 τελεῖτε τελείαν ἐπαοιδήν (per altri paralleli vedi Daniel e Maltomini 1990-
1992, I 173). Notevole, per la giustapposizione fra appello a una figura divina e richiesta di esaudimento
di un desiderio, anche la coincidenza tra Sapph. fr. 1,25-7 e il v. 11 δεῦρ᾽ ἐλϑέ ãμοι καÚõ τÏς ἐμÏς
γνώμας τέλει della sezione giambica di Suppl.Mag. I 42, A 20-25.
98
Sapph. fr. 1,18-24 e la grammatica dellíeros

213, rr. 4-6, si dice che «sarà detta insieme con Gongila compagna (σύνδυγος) di
Gorgò»38. E data la presenza dei tre δη“τε «appare inverosimile che Saffo
presentasse come tipica una richiesta di aiuto ad Afrodite in occasione di rotture di
rapporti già avviati e non invece in occasione di tentativi di avviare ex novo un
rapporto erotico non precedentemente sperimentato»39.
Certo si profilerebbe quasi inevitabilmente la speranza del ritorno di una
transfuga accettando a principio del v. 19 il fortunato ἄ]ψ «indietro», ma si tratta di
una proposta molto opinabile. Essa risale al 1951, quando nellíeditio princeps di P.
Oxy. 2288 (MP3 1438, LDAB 3886), dellíinizio del II d.C., E. Lobel interpretò una
traccia riconoscibile in alto verso il principio del rigo come líapice di una lettera
dotata di una verticale assai estesa verso líalto, ψ o φ (Turner 1973, 21-23 ha poi
ipotizzato poco plausibilmente la cuspide di un α)40: di qui líἄ]ψ σ᾽ἄγην dello stesso
Lobel (in combinazione con ἐς ϝÏν, già proposto da Edmonds, in luogo di ἐς σÏν),
accolto da D.A. Campbell (1982) con la resa «whom I am to persuade this time to
lead you back to her love?», di contro alla tradizione di Dionigi, divisa fra
(πείϑω)μαι σαγήνεσσαν (μαι in βαι corr.41) di P e καÚ σαγήνεσσαν di F.
In verità non cíè alcuna prova che la tradizione di Dionigi e quella del papiro
divergessero nella sostanza: la traccia in alto sul rigo può essere ricondotta, con R.
van Bennekom (1975)42 e M.G. Parca (1982), al residuo di un accento circonflesso,
tanto più che neppure una lettera come ψ avrebbe verosimilmente raggiunto la

38
Ne ho discusso in Ferrari 2007a. A uníadikia consistente nellíabbandono del gruppo e nella
violazione di «un lien díassociation objective» riferiva invece il nostro carme Rivier (1967)
richiamando in particolare líὅς μ᾽ †δίκησε di Hippon. fr. 115,15 (rottura di un legame eterico):
uníipotesi che, come osserva Di Benedetto (1983, 31 n. 3), «non tiene conto del carattere fortemente
erotico e personalizzato del passo».
39
Di Benedetto 1983, 32, e vedi anche West 1970, 310 n. 5: «I do not see why Sappho should
represent her favourites as always having to be won back».
40
Turner (1973, 25) e Obbink (2011) hanno inoltre notato che incollato sotto lo strato
superiore (quello che reca il testo di Sapph. fr. 1) il frustolo reca un ësottopostoí con tracce di scrittura
probabilmente della stessa mano: dunque il nostro frustolo doveva essere preceduto da almeno uníintera
voluta contenente altri carmi secondo un assetto editoriale alternativo a quello che, data la citazione
dellíincipit come illustrazione della struttura della strofe saffica da parte di Heph. 14,1 (p. 43s.
Consbruch), doveva porre la nostra Ode ad Afrodite a principio del I libro.
41
Non il contrario, come registra la Voigt in apparato (vedi Jouanna 1999, 121 sulla base di
un riesame del manoscritto).
42
Ma non molto tempo prima (1972, 122) van Bennekom aveva proposto di identificare, con
Heitsch 1967, la traccia in questione con il vertice di uno iota.
99
Franco Ferrari

traccia suddetta43. Allíipotesi dellíaccento circonflesso Stanley obiettava che «the


direction of the stroke seems Ö to be vertical rather than oblique» (p. 314)44. In realtà
si scorge líabbozzo di una curva che sale da destra verso sinistra e anche una macchia
díinchiostro posizionata più a sinistra: due dati che sembrano compatibili con un
angolo aperto verso il basso come il circonflesso tracciato su ΣΤΡΟΥΘΟΙ di r. 10.
Van Bennekom proponeva Πείϑων / αἶσ᾽ ἄγην, che non colmerebbe la lacuna
iniziale del papiro e offrirebbe un senso («whom will it befall this time to be led by
Peitho to your love?») decisamente incongruo (in base a quale motivazione doveva
scattare, se non il ëdestinoí, il ëmomento giustoí perché qualcuno fosse condotto
allíamore di Saffo?), mentre Parca suggeriva πείϑω / βαῖσ᾽ ἄγην, con una
costruzione sintattica assai forzata in cui ἄγην si legherebbe non a πείϑω ma, come
infinito consecutivo, a βαῖσα («whom should I persuade this time, setting out to
bring her to your love?»)45.
Proporrei invece di leggere τίνα δη“τε Πείϑων (Ahrens: πείϑω vel πειϑῶ
codd.) / μᾶσ᾽ ἄγην ἐς σÏν φιλότατα; «chi di nuovo desideri che Peitho conduca al
tuo amore?», con μᾶσ(αι)46 II persona singolare dellíindicativo medio di μᾶμαι, a
sua volta variante atematica di μάομαι / μαίομαι così come in fr. 130,4 abbiamo, ma
con caduta del sigma intervocalico e susseguente contrazione, πότᾳ «voli» (Lobel:

43
La lettera ψ non compare in P. Oxy. 2288 ma la troviamo in P. Oxy. 2076 (3x) e in P. Oxy.
2280, r. 20, assegnati alla stessa mano da Lobel (si tratta dello scriba A6 di Johnson 2004, 21), e
Caciagli 2011, 81 ha osservato che lo ψ, tracciato in forma di croce greca, presenta uníaltezza inferiore
al φ. Neppure lo iota ipotizzato da Heitsch 1967, che proponeva ε]ἰσάγην (intransitivo: πείϑω /
εἰσάγην «devo persuadere a venire») sarebbe abbastanza alto (a meno di riferire la traccia in alto a un
segno diacritico: un accento grave per Caciagli 2011, 85s.), né ε]ἰσάγην sarebbe in grado di colmare
lo spazio della lacuna.
44
E vedi anche Hutchinson 2001, 156 e Burzacchini 2007, 85s. (che si richiama a riesami
autoptici compiuti da H. Maehler e da A. Nicolosi).
45
Contro le ricostruzioni di van Bennekom e di Parca vedi Burzacchini 2007, 86, che per altro
propone un implausibile ἄ]ψ σ᾽ ἄγην, con σ᾽ = σοι in contrasto col dato per cui nella lirica eolica la
forma enclitica del dativo del pronome personale non è σοι ma, come in Omero, τοι (né si comprende
come un σ᾽ collocato davanti a un verbo transitivo come ἄγην potesse essere inteso come un dativo e
non come un accusativo). Per líirriducibilità del sigma a σ(οι) vedi Di Benedetto 1983, 38, di cui
tuttavia non condivido líipotesi (pp. 41-43) di leggere πείϑωμ᾽ (πείϑω-/μαι senza elisione già Blass),
con una violazione del blocco della sinafia fra endecasillabi mal giustificabile con un caso di
monosillabo eliso in fine di verso come δ᾽ di fr. 31,8, per il quale abbiamo diversi paralleli in Sofocle
(Martinelli 1997, 96).
46
Líelisione di -αι nelle terminazioni verbali è normale, al pari che nellíepica, nei poeti di
Lesbo, cf. Sapph. fr. 31,7s. φώναι-/σ᾽, 95,10, ἄδομ᾽, 112,2 ἐκτετέλεστ᾽, Alc. fr. 113,6 πέλοντ᾽ e
vedi Hamm 1957, 39s. e West 1982, 10.
100
Sapph. fr. 1,18-24 e la grammatica dellíeros

ποτε vel ποτη codd.)47 come II persona di πόταμαι di contro a ποτέονται di Alc.
fr. 322 (e cf. anche Alc. fr. 119,8 δύνᾳ, indicativo o congiuntivo che sia). La
possibilità di una forma μᾶμαι in alternativa a μάομαι trova conferma nello ionico
μῶμαι48 e in un graffito di Eufronio, attivo ad Atene fra il 520 e il 470 a.C., su
uníanfora da Vulci (Paris, Louvre G 30), dove si legge μαμεκαποτεο = μᾶμαι καÚ
ποϑήω (Kretschmer, Vaseninschriften, nr. 54, 86), presumibile variazione di καÚ
ποϑήω καÚ μάομαι di Sapph.(?) fr. 3649. Già Wilamowitz (1913, 45-48) aveva
proposto, assai prima della pubblicazione del papiro, Πειϑὼ μαῖσ(αι),50 ma μᾶσ᾽ è
più adeguato allíestensione della lacuna e alla posizione dellíipotizzato circonflesso
e trova conforto, per la riduzione /ay/ > /a:/, oltre che nel citato fr. 36 e in numerose
attestazioni epigrafiche (Blümel 1982, 72), in forme come βεβάως di Alc. fr. 344,1,
ºδαος di Sapph. fr. 44,3, Μυτιλήναῳ di Sapph. fr. 98b,3, ἐλάαις di Alc. fr. 296b,2,
῎Υρραον di Alc. fr. 129,1451.
Quanto alla terminazione, forme non contratte in -σαι, per quanto inattestate
nella poesia eolica (ma i casi a noi noti di presente medio indicativo o congiuntivo
di II persona di verbi della coniugazione atematica si riducono a due, i ricordati πότᾳ
e δύνᾳ), si legittimano sulla base di δύνασαι, παρίστασαι, Õποδάμνασαι
(rispettivamente 6x, 2x e 2x in Omero,52 dove però troviamo δίζηαι in Od. XI 100),
ßσαι (Il. II 255), μάρνασαι (Pind. N. 10,86), ƒνοσαι (Od. XVII 378) etc. E inoltre

47
Qui Voigt optava per πότῃ sulla base di ποτέονται, ma altrove in Saffo troviamo πόταμαι
(fr. 22,12 ἀμφιπόταται, fr. 55,4 ἐκπεποταμένα), vedi Blümel 1982, 173 n. 175.
48
Cf. Theogn. 771 μῶσϑαι, Aesch. Ch. 45 μωμένα, Soph. Tr. 1136 μωμένη etc.
49
Che μαμε sia registrazione di μᾶμαι è stato visto da Perpillou (1992, 558), che però dubi-
tava di una così precoce confusione αι/ε preferendo ipotizzare un beotismo; díaltra parte lo stesso
Perpillou (1984, 155) aveva osservato anni prima che casi come παλεός per παλαιός in Aristoph. Lys.
988 inducono a pensare che «αι tendait dès le Vème siècle à une prononciation /e/». Sapph. fr. 36 è citato
senza nome díautore in Et.Gen. (AB), p. 175 Miller insieme con ἀδικήει di Sapph. fr. 1,20 (per cui
scrivo, con G. Hermann e Lobel-Page, ἀδικήει, non ἀδίκησι con Meillet e Voigt) allo scopo di
mostrare che οἱ Αἰολεῖς τÏ τῆς πρώτης συζυγίας διÏ τοῦ ëηí προφέρουσιν e fu assegnato per la
prima volta a Saffo da J. Toll nel suo commento al De sublimitate (Utrecht 1694, 357).
50
Scrivendo Πειϑὼ Wilamowitz non teneva conto né della baritonesi né del fatto che la forma
lesbia corretta dellíacc. è Πείϑων (Ahrens 1839, 113), cf. Sapph. fr. 58c,9 Α–ων e inc. auct. 11 Ἤρων.
Già F. Bücheler aveva proposto μαῖσ᾽, ma come participio presente femminile attivo (μαῖσα):
nonostante líidentità grafica la congettura con líindicativo medio è dunque da assegnare in toto a
Wilamowitz.
51
Cf. Hamm 1957, 27. In tal caso le forme registrate nei codici presuppongono una
banalizzazione μα > μαι forse favorita dallíinflusso ottico del μαι di μαινόλᾳ a principio del verso
precedente prima della riduzione a prosa del carme nella tradizione di Dionigi.
52
Per δύνασαι cf. anche Pind. P. 4,158 e N. 7,96, anon. AP V 90,2.
101
Franco Ferrari

troviamo gli imperativi medi presenti atematici ἄρνυσο (Sapph. fr. 121,1) e, forse,
ἴστασο (Alc. fr. 295a,2 (]ιστασο[) di contro a ἔρχεο (Sapph. fr. 94,7) e a
μεγαλύνεο (inc. auct. fr. 5a) della flessione tematica53.
Definire μαῖσαι (o μᾶσαι) un monster, come faceva Page (1955, 9), è
intimidatorio. Come osservava G. Crusius (1877, 89), nonostante la generale
insofferenza del greco per il sigma intervocalico, la sibilante mostra la massima
tenacia vitale nei verbi in -μι tanto da riemergere sporadicamente anche a grande
distanza di tempo «come se il linguaggio non avesse mai perduto la consapevolezza
che la terminazione -σαι fosse quella giusta e appropriata».
Con μᾶσ᾽ si riesce a dar conto anche della κάτω στιγμή collocata dallo scriba
dopo il sigma, che viene a separare due vocaboli recuperando la regolare funzione
di ëseparatoreí che da essa ci si poteva aspettare (Turner 1973, 26) se si immagina
che ΜΑΣ fosse inteso non come μᾶσαι eliso ma come μᾶς II persona di una forma
attiva μάω/μαίω nota solo da testi grammaticali54 ma proprio per questo suscettibile
di essere approvata da un diortota.
Relativamente poi allíintroduzione della figura di Peitho, Wilamowitz (1913,
47) sosteneva che il suo intervento riguardava esclusivamente la sfera della φιλία,
non dellíeros, ma Peitho, ancella oppure figlia naturale o adottiva (secondo Sapph.
fr. 90a, c. II, r. 7-8 e fr. 200) di Afrodite, ed epiteto della dea in IG XIX 2,236
(Farsalo) e SEG XII 423 (Cnido), appare non di rado connessa con la seduzione
erotica55. Del resto la tesi di Wilamowitz faceva parte del suo improbo tentativo di
emancipare líode, sulle orme di Welcker, da ogni ombra di desiderio (omo)erotico.
Forse anche per questo la soluzione da lui sostenuta ha incontrato solo sporadica
fortuna e qualche aperto rifiuto (ad es. Burzacchini 2007, 84).
Con una disposizione anulare la dea veniva così a riproporre in ordine inverso
(e su base τίς) le stesse domande (formulate su base ƒττι) che la sua devota le aveva
rivolto (μᾶσαι riprende ϑέλω del v. 17 come τίς σ᾽ Ö ἀδικήει riprende ƒττι Ö
πέπονϑα del v. 15), in una piena congruenza ñ rincalzata dalla condivisa presenza
di δη“τε ñ fra le due ëversionií, indiretta e diretta, delle parole di Afrodite:

53
Per una lista di doppioni nella dizione dei poeti eolici vedi Hooker 1977, 46s., che prosegue
una linea di rifiuto del rigorismo ëvernacolareí di Lobel (e della sua discriminazione fra odi ënormalií
e ëanormalií) avviata da Marzullo 1958.
54
Cf. schol. AT Il. IV 190 [I 485 Erbse], ëZonar.í α 245 Tittmann, etc.
55
Cf. Hes. Op. 72, dove πότνια Πειϑώ rende seducente Pandora insieme con le Cariti, Pind.
P. 4,219 ἐν φρασÚ καιομέναν Ö μάστιγι Πειϑοῦς e 9,39, frr. 122,1s. e 123,14, Aesch. Supp. 1039s.
Πόϑος ᾇ τ᾽ οÃδÓν ἄπαρνον / τελέϑει ϑέλκτορι Πειϑοῖ.
102
Sapph. fr. 1,18-24 e la grammatica dellíeros

15 ἦρε᾽ ƒττι δη“τε πέπονϑα κ‡ττι


16 δη“τε κάλημμι
17 κ‡ττι Ö ϑέλω Ö
18 Ö τίνα δη“τε Ö
19 μᾶσ᾽ Ö τίς Ö
20 Ö ἀδικήει;

La reciprocità amorosa
Ma vediamo se il torto o ingiustizia che in base alla domanda di Afrodite τίς
σ᾽, ‚ Ψάπφ᾽, / ἀδικήει; si presuppone patito dallíëioí lirico possa rientrare in una
norma generale secondo la quale chi è amato deve riamare. Il tema della giustizia
violata e della reciprocità amorosa fu sollevato da Archibald Cameron nel 1939, ma
lo studioso scozzese si riferiva a uníinfedeltà o a un tradimento della ragazza amata
(p. 10: «this treachery is a flouting of Aphroditeís power, a violation of her pax which
demands her intervention») sulla linea di Epich. VS 23 B 35 σώφρονος γυναικÙς
ἀρετÏ τÙν συνόντα μὴ ἀδικεῖν e del Fragmentum Grenfellianum (vv. 17, 22, 40).
Più tardi Privitera (1967 e 1974, 68s.) credette di poter ricostruire in termini più
generali una ëleggeí di reciprocità che Afrodite intenderebbe far valere (1967, 40:
«líinosservanza della reciprocità è una colpa di cui è giudice la stessa divinità da cui
ha avuto origine il processo» e 50s.: «Afrodite [Ö] proclama che sua legge è la
reciprocità») e Gentili (1984 = 2006, 151) sostenne che «la nozione díingiustizia
(adikia), formulata nellíode ad Afrodite, ha implicazioni, oltre che personali,
comunitarie, nel senso che la non corresponsione díamore da parte della ragazza
amata comportava il suo distacco dalla comunità díappartenenza per accedere nel
territorio della comunità rivale. In questo quadro si situa la preghiera di Saffo: con il
suo potere irresistibile la dea dovrà imporre alla ragazza di tornare, anche se non
vuole, allíamore di lei che líama [Ö] líamore deve essere ricambiato» aggiungendo
che questa norma sarebbe diventata «un principio cardine dellíamore cortese del XII
secolo», teorizzata in particolare con Andrea Cappellano, De amore 2,8, reg. 26
amor nil posset amori denegare e a fra Giordano da Rivalta, pred. 45: Non è nullo
che, sentendosi che sia amato da alcuno, chíegli non sia tratto ad amare lui
incontanente.
Contro questa teoria Di Benedetto (1983, 32) osservò che «líuso del concetto
di ἀδικία in relazione a una non corresponsione di uníofferta iniziale di amore non
trova alcuna conferma in ciò che noi conosciamo della letteratura greca», né mai
viene enunciata una sanzione nei confronti di chi violi questo presunto principio. Il
103
Franco Ferrari

τίς σ᾽ [Ö] ἀδικεῖ sarebbe piuttosto (p. 24) «espressione del sentimento affettuoso
della dea», secondo un modulo che ritroviamo in Ar. Eq. 730 (Demos) τίς, ‚
Παφλαγών, ἀδικεῖ σε; Eur. Ba. 1320ss. τίς σ᾽ ἀδικεῖ, τίς σ᾽ ἀτιμάζει, γέρον;
(Penteo a Cadmo), Plat. Prot. 310d (Socrate al giovane Ippocrate) μῶν τί σε ἀδικεῖ
Πρωταγόρας; (e cf. anche Il. V 373s., con Dione che domanda ad Afrodite: τίς νύ
σε τοιάδ᾽ ἔρεξε; «chi ti fece questo?»)56.
Si può aggiungere che neppure in Andrea Cappellano o nella massima
pronunciata da Francesca da Rimini in Dante, Inf. 5,103 Amor chía nullo amato
amar perdona si accenna a leggi o norme o sanzioni quanto invece al potere
irresistibile dellíamore di sedurre i ëcuori gentilií.
Certo al v. 1282 dei Theognidea si dice che non cíè bel ragazzo che non abbia
ancora fatto torti (τῶν δÓ καλῶν παίδων ο–τις ἔτ᾽ οÃκ ἀδικῶν)57 e a principio
dellíelegia seguente un pais viene scongiurato di non essere ëingiustoí (v. 1283 ‚
παῖ, μή μ᾽ ἀδίκει) fuggendo e ingannando il corteggiatore (ma, come indica líἔτι
di v. 1283 ἔτι σοι καταϑύμιος εἶναι / βούλομαι, si tratta di un rapporto già avviato
e poi interrotto), e queste adikiai, come emerge dal complesso delle elegie pederoti-
che del corpus, possono consistere nellíabbandono dellíamante (vv. 1238a, 1278b),
nel lasciarsi sedurre da uomini meschini (vv. 1238b, 1262, 1377s.), nellíavere
carattere subdolo (v. 1244) o superbo (v. 1301), nel passare da un amante allíaltro
(vv. 1258, 1270), nel rompere il vincolo díamore prestando ascolto alle dicerie dei
malevoli (vv. 1312-1314), nel mancare di gratitudine (v. 1264), non certo nel non
contraccambiare il desiderio altrui al principio di un rapporto, anzi nei vv. 1237s.
viene esplicitamente sottolineato che il pais corteggiato non ha il dovere (ο–τοι
ἀνάγκη) di fare ciò che non gli va a genio.
Né si doveva far riferimento a un presunto obbligo di ricambiare le avances
di un corteggiatore in un paidikon di Anacreonte (PMG 402b) in cui si sosteneva che
καλÙν τῷ ûρωτι τÏ δίκαια: uníespressione che doveva alludere a comportamenti
conformi al galateo erotico-simposiale nel senso di un equilibrio e di una giusta
misura (cf. Xenoph. fr. 1,15s. τÏ δίκαια δύνασϑαι / πρήσσειν, Ion fr. 26,16 πίνειν
καÚ παίζειν καÚ τÏ δίκαια φρονεῖν) nella stessa relazione erotica (χάρις e αἰδώς
da entrambe le parti), e questo in sintonia con gli altri due brani (PMG 402a «mi
piace far festa con te perché hai un bel carattere» e PMG 402c «i ragazzi possono
amarmi per le mie parole perché canto cose piene di grazia e so come dire cose

56
Contro la convinzione di Gentili 1972 di poter ritrovare questo principio anche nella Medea
di Euripide, vedi Di Benedetto 1997, 47-62.
57
Qui il testo di A (líunico manoscritto che conservi il secondo libro) è corrotto
(ουτοσετουτ᾽), ma con Valckenaer (ο–τις ἔτ᾽ ούκ) ἔτ᾽ va probabilmente conservato.
104
Sapph. fr. 1,18-24 e la grammatica dellíeros

graziose») che il testimone (Max. Tyr. 18,9, pp. 232s. Hobein) cita per dimostrare
che un forte senso di sophrosyne pervadeva tutta la produzione omoerotica del poeta
di Teo.
Pertanto il ragionamento di Di Benedetto, ineccepibile per quanto riguarda
líuso dellíespressione «chi ti fa torto?» come modulo consolatorio, va integrato sulla
base del fatto che líavvio di un nuovo motivo con καÚ γάρ comportava un aggancio
molto stretto fra τίς Ö ἀδικήει; e la strofe seguente.
Come scriveva G. Perrotta nella nota ad l. della prima edizione di Polinnia
(1948), «cíè líidea che un grande amore co,me quello di Saffo, che fa soffrire
terribilmente, debba essere ricambiato»58, ma nellíesemplificazione offerta dalla
sesta strofe cíè anche líidea che questa adikia sarà presto risarcita: non per una norma
di giusta reciprocità amorosa, ma, come sottolineava Giacomelli (1980, 140: «time
is the enactor of justice»), per la legge naturale del tempo, quella che tende a
restaurare in ogni campo il naturale equilibrio fra gli opposti.
Proprio Gentili (1975 e 1984 = 2006, 74), per illustrare la nozione arcaica di
dike, richiamava il distico di Solone (fr. 12,2) in cui si dice che quando il mare non
è turbato dai venti «è il più giusto (δικαιοτάτη) di tutte le cose» e il celebre dictum
di Anassimandro (VS 12 B 1) secondo cui gli ƒντα (le cose esistenti e i loro attributi)
«pagano líuno allíaltro il fio e la pena dellíingiustizia commessa secondo líordinanza
del tempo» (διδόναι γÏρ αÃτÏ [scil. τÏ ƒντα] δίκην καÚ τίσιν ἀλλήλοις τῆς
ἀδικίας κατÏ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν).
Líadikia a cui si richiama Afrodite in Saffo viene così a coincidere con una
soggettiva frustrazione e sofferenza (sintomatica la giustapposizione fra ἀδικέω e
¿δυνάω in Fr. Grenf. 17 ταῦτά μ᾽ἀδικεῖ, ταῦτά μ᾽¿δυνᾷ e quella fra ἀδικέω e
λυπέω in Luc. DMeretr. 12,2 τί σε ¢ μέγα ¢ μικρÙν †δίκησα ¢ ἐλύπησα ἐγώ;)
generata dalla consapevolezza di un mancato contraccambio dei favori (doni, lode,
cortesia, affetto etc.) tributati alla persona amata ma nel contempo rimanda a una
generale esigenza di riequilibrio di ogni scompenso.
Per una tale frustrazione non cíè, per líinnamorato deluso, alcuna facoltà di
appello a uníautorità esterna se non nella forma di una supplica o di una preghiera.
E la risposta di questa autorità è, nel nostro caso, perfettamente conseguente:
comunque andrà a finire, il torto che la persona loquens sente di subire sarà risarcito
dal torto che la ragazza da lei desiderata soffrirà a sua volta quando si troverà a essere

58
Conservata nella seconda edizione del volume (Perrotta-Gentili 1965, 121), líosservazione
è stata soppressa nella terza (2007).
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Franco Ferrari

uníamante inseguitrice invece che uníamata inseguita. Così, e solo così, giustizia
sarà fatta.
Nel frattempo líanonima pais sarà libera di ricambiare ο non ricambiare
líamore altrui: per dirla proprio con Andrea Cappellano in un altro passo del suo
trattato (I 104), in mulieris esse collatum arbitrium postulanti, si velit, amorem
concedere, et, si non concedat, nullam videtur iniuriam facere (e cf. anche I 44 amor
in arbitrio posuit amantis, ut, quum amatur, et ipsa, si velit, amet, si vero nolit, non
cogatur amare).

Ecco dunque la mia riproposizione del passo:

τίνα δη“τε Πείϑων


μᾶσ᾽ άγην ἐς σÏν φιλότατα; τίς σ᾽, ‚
20 Ψάπφ᾽, ἀδίκήει;
καÚ γÏρ αἰ φεύγει ταχέως διώξει,
αἰ δÓ δῶρα μὴ δέκετ᾽ ἄλλα δώσει,
αἰ δÓ μὴ φίλει ταχέως φιλήσει
24 κωÃκ ἐϑέλοισαν.

Chi di nuovo desideri


che Peitho conduca al tuo amore? Chi, o
20 Saffo, ti fa torto?
E in verità se fugge presto inseguirà,
se non accetta doni altri ne farà,
se non ama presto amerà
24 anche una che rifiuterà.

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