Finché ti piacevo,
e nessun giovane più fortunato gettava le braccia
intorno al tuo collo candido,
vissi più felice del re dei Persiani.
Note. 1. Donec… eram: proposizione temporale, introdotta da donec con il verbo all’indicativo perfetto
(da sum, es, fui, esse).
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3. dabat: indicativo imperfetto 3° persona singolare (da do, das, dedi, datum, dare).
4. vigui: indicativo perfetto 1° persona singolare (da vigeo, viges, vigui, vigere). rege: ablativo di paragone.
La ricchezza dei Persiani era proverbiale. beatior: comparativo di maggioranza di beatus.
6. arsisti: indicativo perfetto 2° persona singolare (da ardeo, ardes, arsi, ardere); in questo contesto il
verbo ardeo significa “bruciare d’amore”.
8. Ilia: ablativo di paragone. Si tratta di uno dei nomi attribuiti alla madre di Romolo e Remo, così come fu
cantata dal poeta epico Ennio (nel I libro degli Annales, Ilia, figlia di Enea, racconta alla sorella un sogno
profetico, che allude alla seduzione di Ilia stessa da parte del dio Marte, alle persecuzioni successive patite
dalla donna e alla salvezza che il fiume Tevere avrebbe poi portato a lei e ai gemelli Romolo e Remo, nati
dalla sua unione con il dio).
9. Thressa: calco di uso poetico, di un aggettivo greco significante: “donna proveniente dalla Tracia”
(regione appartenente all’impero romano, la quale occupava l’estremità sudorientale della penisola
balcanica; comprendeva l’odierno nordest della Grecia, il sud della Bulgaria e la Turchia europea). Chloe:
nome parlante, che significa erba verdeggiante (uno dei nomi con cui veniva chiamata la dea della terra
Demetra).
12. parcent: indicativo futuro 3° persona plurale (da parco, parcis, peperci, parsum, parcere) in una frase
ipotetica della realtà. Regge il dativo di direzione animae… superstiti, dove anima indica la donna amata
e superstite equivale ad un augurio (cosi che ella sopravviva).
15. Bis: avverbio di tempo (“due volte”). patiar: indicativo futuro (da patior, pateris, passus sum, pati).
18. diductos: participio perfetto in caso accusativo (da diduco, diducis, diduxi, diductum, diducere). iugo :
ablativo di mezzo. aeneo: “di bronzo”, dunque infrangibile.
19. excutitur: indicativo presente passivo (da excutio, excutis, excussi, excussum, excutere). In una protasi
di periodo ipotetico della realtà, come la precedente si redit. L’immagine è quella del cavaliere
disarcionato.
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20. reiectaeque: participio perfetto (da reicio, reicis, reieci, reiectum, reicere) da collegare
con Lydiae. Lydiae: dativo (più che genitivo) di vantaggio.
Commento. L’ode è un canto amebeo, tecnica già vista in molte delle Bucoliche di Virgilio (come nella I,
quella sulla vicenda di Titiro e Melibeo). Infatti, la poesia riproduce il dialogo tra Orazio e Lidia, un tempo
amanti, che si ritrovano dopo molto tempo e si raccontano delle loro vite e dei loro nuovi amori. Il poeta
esordisce parlando della sua storia e Lidia gli risponde con tono di sfida, entrambi si dicono disposti a
morire per i loro attuali partner, usando peraltro la stessa eccessiva formulazione appena mutata da Lidia,
che esagera, sostenendo che lei morirebbe “due volte” (v. 15). Orazio, però, le confida che, dopo averla
incontrata e aver rivissuto tutti i bei momenti passati insieme, si è accorto di amarla ancora. Lidia gli fa
capire che prova gli stessi sentimenti, pronunciando in finale di poesia la bella e romantica frase: “con te
amerei vivere, con te volentieri morirei”. Tra loro si ricrea così un rapporto, ma su un piano diverso. Solo
dopo aver fatto alcune esperienze di vita, i due amanti riscoprono un amore davvero puro, rinunciando alla
passione del momento, per rivisitare il loro vecchio legame. Ed è così che alla fine essi si promettono amore
e fedeltà fino alla morte. La poesia appare, in ultima analisi, come una rivisitazione del foeduscatulliano nel
quale la fedeltà e il rispetto reciproco stanno alla base del rapporto sentimentale.
Qui vediamo un Orazio abbastanza controllato, ma non meno passionale di un Catullo o di Tibullo, in lui
prevale l'aspirazione per l'autàrkeia di provenienza epicurea. L'ideale da perseguire è il controllo delle
passioni e non la sospensione del sentimento. Tra le passioni che compaiono con più forza nell'ode vi è la
gelosia: tra le tante amanti, Lidia ha lasciato un segno molto evidente; nel nostro poeta vi è pure la rabbia
che qualcuno abbia posto le braccia attorno al collo della sua amata. Ognuno tende a rimarcare, come in
una sfida, le qualità del proprio amante e a sottolineare la devozione che ha per lui, ma alla fine entrambi
cedono e si scambiano un proposito di fedeltà eterna. Come già Lucrezio, nel libro IV del De rerum natura,
ha delineato un quadro angosciante della passione amorosa, Orazio, anche lui epicureo, sembra scoprire
che la soluzione per i turbamenti legati all'amore, sia un foedus ( per riprendere un termine della poesia
latina), un legame duraturo; ciò potrebbe dimostrare un legame con il mos maiorum. Riprendo due cose
riguardo allo stile, e la metrica: Orazio usa il sistema asclepiadeo quarto per la sua duttilità; sono numerose
le riprese verbali e le anafore.
In questo dialogo, ogni strofa rappresenta una battuta o di Orazio o di Lidia: Il primo a parlare è appunto il
poeta, che ricorda la sua felicità quando la donna lo amava: essa è descritta con il confronto proverbiale
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con l’imperatore persiano, ritenuto l’uomo più ricco del mondo conosciuto (si veda l’iperbole al v. 4). Lidia
risponde echeggiando le parole del ex amante: al donec del v. 1 corrisponde in anafora il donec del v. 5, a
segnalare il momento della rottura; al gratus eram tibi del v. 1 il non alia magis/arsisti dei vv. 5-6, dove
l’amore è indicato con la solita metafora del fuoco. In ciascuno dei secondi versi delle due battute, è
introdotto il rivale in amore: quello del poeta non è nominato, ma definito potior (v. 2), mentre quella di
Lidia (che ripete il proprio nome due volte, al v. 6 e al v. 7) è Cloe (v. 6). Anche Lidia esagera
iperbolicamente la propria felicità al tempo della relazione con Orazio, definendo se stessa più famosa di un
notissimo personaggio mitologico, Ilia (v. 8).
Nella terza e nella quarta strofa, i due con accenti forti si dichiarano innamoratissimi dei rispettivi amanti
del momento: le due battute iniziano entrambe con il pronome me seguito da un verbo che indica il
rapporto erotico (regit, v. 9; torret, v. 13, più intenso e in linea con la metafora dell’amore come fuoco
inaugurata al v. 6). Orazio, da una parte, conferma che si tratta di Cloe, una fanciulla greca dall’educazione
brillante (sottolineata dal chiasmo docta modos et citharae sciens, v. 10, a sua volta complicato
dall’allitterazione del suono /d/); Lidia, dall’altra, identifica il ragazzo (non un uomo maturo come Orazio)
con il nome, il patronimico e la provenienza: si tratta probabilmente di un giovane di buona famiglia,
anch’egli di origini presubilmente greche.
Nelle due strofe finali, quelle che segnano la pace, i percorsi mentali dei due partecipanti sono meno
simmetrici: Orazio si lascia andare all’ipotesi di un ritorno al fidanzamento con Lidia (seppur espresso con la
metafora del giogo, v. 18); quest’ultima gli risponde prima con il rimpianto per il giovane Calais (sidere
pulchrior, v. 21, ancora con un’iperbole), poi con l’augurio di tornare col poeta, per il quale sono immaginati
due confronti meno gentili, con un sughero e con il violento mar Adriatico.